LA FILOSOFIA ITALIANA
•i3 (ì. I»K huGGiKKO. La filosofia coniemfor>tnea. !.. . . I DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 1. La fortuna dei nostri filosofi. — Con la filo- soTia italiana vogliamo rifarci dalle origini. Se c’è un paese che può vantare uno svolgimento origi¬ nale di pensiero, dal Rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel tempo stesso, sem¬ bra che nessun paese possa deplorare, con maggior diritto delTItalia, il disconoscimento più pieno della sua vita mentale. Il nostro Rinascimento è in generale conosciuto; ma, dopo, ci si sequestra dalla circolazione del pen¬ siero europeo: Vico è lettera morta fuori d’Italia; e il secolo XIX offre questa stranezza, che vengono ele¬ vati a fama europea scrittori mediocri come l’Hamil- ton, il Cousin e più tardi il Lotze, mentre sono igno¬ rati un Rosmini, un Gioberti, uno Spaventa, tre pen¬ satori geniali, che proseguono la tradizione specula¬ tiva del pensiero europeo, proprio quando sembrava interrotta, nella fine apparente dell’idealismo tedesco. Io non starò qui a fare un ridicolo processo agli stranieri per averci dimenticati: noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del nostro pas¬ sato; e le stesse condizioni civili e politiche d’Italia nel secolo XIX hanno purtroppo contribuito alla sprezzante dimenticanza Si, perché la circolazione i 350 LA FILOSOFIA IT.ALIANA del pensiero avviene in modo diverso nei tempi mo¬ derni che nel Rinascimento. Allora potevamo, anche politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri: allora infatti la vita del pensiero era l’universalismo astratto, naturalistico, che neutra¬ lizza le diflerenze della storia: la sua espressione è il concetto della sostanza del Bruno, l’unità indiffe¬ rente degli opposti. Nel secolo XIX, invece, s’inizia un movimento profondo d’individuazione: è il pe¬ riodo dello storicismo. Il pensiero non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori deU’indivi- duazione politica, sociale, morale d’un popolo è nulla, è flatus vocis. Cosi si sono affermate la cultura tedesca, quella francese, quella inglese: culture di popoli formati. La nostra no. Noi avemmo due grandi pensatori. Rosmini e Gioberti, ma erano un’antici¬ pazione sulla nostra realtà storica. Noi non h cele¬ brammo che quando volemmo far la nostra stona: il loro pensiero rifulse di vivida luce nel 1848; ma diventò cosa morta nel ’49. E l’Italia che si forniò nel ’fiO non fu rosminiana né giobertiana: perché? Purtroppo è nota la decadenza mentale e morale di quella nuova Italia: la sua voce non era più la voce generosa di Gioberti, ma la molle cantilena di Ma- miani e l’accento rauco di Ferrari. Nel 1861, in un corso di filosofia, che resterà celebre nella storia del nostro pensiero, il terzo dei grandi pensatori italiani, Bertrando Spaventa, rievo¬ cava le glorie del nostro passato, e spiegava a una folia d’ignari lo svolgimento originale del pensiero italiano nei suoi rapporti col pensiero europeo : nella nuova luce da lui diffusa sulla nostra filosofia. Bruno e Campanella trovavano il loro posto nella storia del pensiero come precursori di Cartesio, di Spinoza e di Locke; Vico, come il geniale presentimento di I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 357 Kant; e infine, Galluppi, Rosmini, e Gioberti rappre¬ sentavano la coscienza via via più compiuta del kantismo, come questo s’era svolto in Germania per opera di Fichte e di Hegel. Ma lo Spaventa avver¬ tiva che la caratteristica dell’ingegno italiano in tutti i tempi era quella di es.sere precursore, di avere il presentimento delle nuove verità, ma di non sa¬ perle svolgere, e di falsificarne perfino il senso e la portala. Ma con la rinnovata coscienza della pro¬ pria storia, lo Spaventa sperava che ritalia risorta allora a unità politica, potesse riprendere, in una piena consapevolezza, il posto che le spettava nella cultura. Ed egli stesso ne additava la via, con uno sforzo tenace, che durò tutta la sua vita, per porsi all’altezza del movimento storico, comprimendo ogni impulso del suo pensiero originale per rivivere in¬ tensamente il pensiero altrui; facendosi perpetuo scolaro, per poter diventare il vero maestro degli italiani. Ma l’Italia alla quale egli parlava non era in grado di capirlo: ell’era quella stessa Italia che aveva pervertito il giohertismo in una speculazione flaccida e senza sangue; la filosofia dei bramani, come lo stesso Spaventa diceva. Ond’è che il geniale hege¬ liano parve a taluni un mistico, ad altri un sovverti¬ tore della scolastica; a nessuno quello che in realtà era. I falsi nazionalisti gli rimproveravano il suo hegelismo; i falsi hegeliani il suo nazionalismo: in verità gli rimproveravano gli uni gli errori degli altri: dalla doppia taccia egli era immune: egli che sentiva, si, italianamente la filosofìa, ma la pensava universalmente. Il primo insegnamento dello Spaventa, come quello ilei suo granile conterraneo, il De Sanctis, fu dunque infruttuoso; a riceverlo, le menti erano 358 LA FILOSOFIA ITALIANA impreparate. Non cosi oggi, che nella rinascente ita¬ lianità. noi impariamo a vivere in comunione col nostro passato, consci che ogni sviluppo della vita speculativa è possibile solo mediante una piu salda continuità con la tradizione storica. L’Italia nostra non s’è fatta net 1860 ma si va facendo ai nostri giorni ' : quella stessa Italia che va conquistando una posizione sempre più eminente tra i popoli, afferma la forza interiore di questa ascensione col rinnova¬ mento della sua coscienza speculativa. In tale rin¬ novamento. risorgono i nostri grandi, Francesco De .Sanctis. Bertrando Spaventa; attraverso essi, noi ci colleghiamo al nostro passato. Io esporrò breve¬ mente Tammaestramento loro (e di quelli che pro¬ seguendone l’opera hanno contribuito con loro al presente risveglio) su questo passato. 2. Il Rinascimento e Machiavelli. Gli albori del pensiero moderno sono da ricercare nell’uma- nismo. Ivi la filologia già lascia intravvedere il principio e l’indirizzo della nuova filosofia; ivi già si accenna quel ritorno all’antico che è invece creazione del nuovo. Sotto i colpi dell’umanismo comincia il dissolvimento della scolastica, che pro¬ segue poi, più rapido, nel rinnovamento della vita civile e politica, e della speculazione che l’esprime. Qual è il significato della scolastica? Essa è un con¬ nubio del cristianesimo con l’aristotelismo. Il Dio che si era umanizzato in Cristo si naturalizza nella logica aristotelica: diviene l’Ente, l’oggetto, nei quadri della sillogistica. 11 monumento della scola¬ stica è la prova ontologica di Anseimo. Questo natu- 1 Queste parole sono state scritte nel 1911. I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 359 ralismo è già un grande progresso: non è il na¬ turalismo fisico dei presocratici, non il naturalismo ideale dei platonici, ma è naturalismo divino. Per mezzo suo si svolge la contradizione del cristiane¬ simo, con la sua doppia alTermazione dell’umanità e della divinità di Dio. E il nuovo naturalismo del Rinascimento, che sorge come negazione di quello scolastico, contiene in realtà la doppia esigenza, nella sua unica aflermazione della divinità e umanità della natura. Con esso s’inizia l’età veramente umana della lìlosofia. Quanto al suo procedimento speculativo, la sco¬ lastica si compendia nei princìpi della sillogistica; la sua visione etica del mondo, poi, nell ascetismo e nel misticismo: la speranza messianica implica la svalutazione della realtà attuale e della vita. E il Rinascimento è l’antitesi di entrambi gl’indirizzi: esso è la sopravvalutazione della vita — quella che la libertà comunale, gli attivati commerci e i rap¬ porti politici promovevano e intensificavano; e in pari tempo esso è Patteggiamento nuovo del pensiero speculativo, che non ha una realtà fatta innanzi a sé, da sillogizzare, ma crea la sua realtà, osservando, provando, inducendo. Nascono cosi due scienze, la politica e la fisica, ambedue dal me<ìesimo indirizzo, rivolto a umanizzare i rapporti della vita civile e delia realtà naturale. Eppure l’una non sa dell’altra e non intende che concorre con l’altra: da questa reciproca ignoranza deriva quell’ombra del trascen¬ dente, residuo della scolastica, che attenua la forza della nuova speculazione: è la doppia proiezione dell’ignoto, dall’un capo all’altro. Manca in Italia la concezione della scienza universale, che ammi¬ riamo in uno Spinoza o in un Leibniz: Machiavelli e Galileo non trovano la loro unità. 360 LA FILOSOFIA ITALIANA Perciò abbiamo i politici da una parte, i natu¬ ralisti dall'altra: i lìlosofì qui non rappresentano l’unica chiarezza della doppia posizione. La loro visione è ancora torbida; ancora il movimento non è giunto alla maturità della rillessione. La realta nuova che si fa nella mente di Machiavelli o di Galileo non si esprime ancora con chiarezza nella speculazione di Bruno o di Campanella. Il pensatore che meglio rappresenta la formazione dello spirilo moderno è Machiavelli. In lui già tutta la scolastica è virtualmente superata: alla vita asce¬ tica del medio evo subentra la vita attiva del con¬ sorzio politico: all’arte sillogistica, l’osservazione della realtà umana nei nessi causali della stona. In lui già si trovano come concentrate tutte le tendenze dell’uomo nuovo. Come l’umanista si trasferiva nel passato per liberarsi dal linguaggio barbaro de a scolastica; come più tardi Bruno si richiamerà al a lilosolia di Pitagora e degli Kleati per vinceie a .stessa barbarie nella filosofia, cosi Machiavelli cerca di attingere ai grandi storici dell’antichità i mezzi per liberare l’uomo dalle contingenze storiche, quali sono tutte le forme e istituzioni medievali sorrette dall’autorità di una tradizione irrazionale*. A che mena questo indirizzo? A neutralizzare le differenze della storia, a concepire l’umanita come una forza potente, retta da leggi fatali e inesorabili, da una logica interiore che annulla ogni autonomia degli individui. Non è dunque l’umanità come mentali a. concetto assai più recente, ma come sostanza; Ma¬ chiavelli anticipa nella politica la posizione di Bruno e di Spinoza. Ma non ha egli, nel Principe, dato 1 G. Gentile. B. Telesio, Buri, 1911, p. 30. I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 361 un’allerniazione potente deirindividiialità umana? Si, allo stesso modo che Bruno atTennerà la monade nel suo naturalismo: non come principio e presen¬ timento di vita spirituale, quale sarà per Leibniz, ma come semplice contrazione e concentrazione della sostanza. Cosi col Principe vagheggiato da Machia¬ velli, l’umanità non si eleva a una vita spirituale e libera, a una vera individualità, ma al contrario vien consacrato e ribadito il più rigido naturalismo. Ma questo naturalismo è tutto nuovo, ed è l’an¬ titesi di quello scolastico. Ora l’antica trascendenza è negata, e l’uomo è spiegato nella sua realtà efTet- tuale, secondo le forze e le leggi della propria na¬ tura: è la prima affermazione deH’autonomia umana e dcH’immanenza del processo storico: è il pensiero moderno che acquista coscienza di essere l’autore della propria storia. Ma, come naturalismo, ha il difetto di ogni naturalismo: quello di creare una nuova trascendenza nel seno stesso deH’immanenza. Il concetto della patria, nel Machiavelli, come os¬ serva il De Sanctls, rassomiglia troppo all’antica divinità, e assorbe in sé religione, moralità, indivi- <lualità. Il suo Stato non è contento di essere auto¬ nomo esso, ma toglie l’autonomia a tutto il rima¬ nente. Ci sono i diritti dello Stato: mancano i diritti dell’uomo. Siamo insomma con l’unità neutra della sostanza. 3. Bruno e Campanella. — Tutta la specula¬ zione del secolo XVI e XVII non supera questo con¬ cetto, e non fa che svolgerlo; anzi, per la maggior difficoltà della posizione speculativa, non sempre sa mantenersi a tale altezza, e ricade spesso in piena scolastica. Telesio, Bruno, Campanella, sono ì teorici 362 LA FILOSOFIA ITALIANA (lei nuovo naturalismo. Con essi s’inizia, in piena coscienza, la dissoluzione della filosofia aristotelica, o di quella parte almeno di essa, che è a fondamento della scolastica. Il dualismo di materia e forma, potenza ed atto, su cui poggiava l’intuizione medie¬ vale del mondo, è attaccato con vigore: già per Telesio la natura, la materia non è la mera priva¬ zione, ma una realtà positiva, che non ha fuori di sé le sue ragioni, ma si spiega iurta propria principia. K Bruno satireggia nei suoi dialoghi il dualismo, col dire: se la materia è la pura potenza, come mai avrà l’atto? Quella pretesa potenza è dunque, con più verità, un’impotenza. Il nuovo concetto hru- niano è che la materia è fonte di attualità, e la forma non le è e.strinseca; anzi, quando si dà la causa della corruzione, non si dice che la forma fugge o lascia la materia, ma piuttosto che la materia rigetta quella forma, per prenderne, un’altra. Non si tratta cosi della mera materia dei tìsici, ma della materia che ha consustanziata la sua forma, cioè a dire del con¬ cetto speculativo della sostanza. L’atteggiamento di Bruno è consono al suo prin¬ cipio. Kgli dice di voler considerare profondamente coi rdosofi naturali e lasciare i logici nelle lor fan¬ tasie. Questo disprezzo- per la logica segna la sco¬ perta delta nuova logica, della mente e insieme della natura. È una e medesima scala, per la quale la natura discende alla produzione delle cose e l’in¬ telletto ascende alla cognizione di quelle; e l’una e l’altro dall’unità procedono all’unità, passando per la moltitudine dei mezzi. K la logica della sostanza, della pura identità immediata: non più l’identità vuota della sillogistica, ma l’identità della scala, o dell’ordine causale, come dirà più esplicitamente Spinoza. I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 363 L’unità della sostanza è afTermata da Bruno con un vigore e un entusiasmo veramente grandiosi. t..a profonda considerazione dei filosofi naturali gli mo¬ stra che tutto ciò che fa differenza e numero è puro accidente, pura Figura, è pura complessione. < Ogni produzione, di qualsivoglia sorte che sia, è un’alte¬ razione, rimanendo la sostanza sempre medesima; perché non è che una: uno ente divino, immortale. > Essa è la sola cosa stabile ed eterna: ogni volto, ogni faccia, ogni altra cosa è vanità, è come nulla; anzi è nulla tutto ciò che è fuor di questo uno. Spinoza non parlerà con maggior vigore, ma a differenza di Bruno, egli non indietreggerà d’un passo dalla po¬ sizione conquistata. Il filosofo italiano, come già Telesio, e poi Campanella, alterna il nuovo col vecchio: più veemente di Spinoza, è assai meno coerente, e accanto al nuovo Dio lascia sussistere l’antico. Più oscillante ancora di Bruno è Campanella, benché rappresenti un’esigenza nuova del pensiero .speculativo. La difficoltà del concetto di sostanza è che il pensiero, naturalizzandosi nell’oggetto, non può spiegare sé stesso. La sostanza è conosciuta ma non si conosce: come ciò è possibile? Come può l’uomo, un semplice modo o accidente, conoscere la sostanza, ed elevarsi a Dio, se è semplice effetto? come l’effetto ritorna alla causa? *. Il nuovo pro¬ blema che il concetto della sostanza apre alla spe¬ culazione è quello del conoscere, e ad esso si ap¬ punta il pensiero del frate di Stilo. Campanella è confusamente il Cartesio e il Locke della iìlosofla italiana. Muove dal dubbio scettico e trova la certezza nella coscienza di sé, nel xensus B. Spatonta, Saggi di critica, Napoli, I8882, p. Iti. 364 LA FILOSOFIA ITALIANA abciilus, ma d’allra parte fonda la conoscenza della natura sul semplice sensus addilux. Le due esigenze restano in lui inconciliate: per avere una concilia¬ zione si dovrà giungere fino a Kant. Ond’è che la certezza delle cose esteriori sembra a Campanella ora uno sviluppo, ora una caduta, ora un incre¬ mento, ora un limite. 15 l’intonazione generale del suo pensiero è, nella metafisica, il razionalismo — la dottrina delle primalità fondata sul sensus abditiis; nella teoria del conoscere l’empirismo — la mera certezza sensibile e la concezione dell’intelletto come semplice senso illanguidito. Ma se per questo verso egli fa un gran passo su Bruno, gli resta poi di gran lunga indietro per la convinzione e la fede nell’inlinita presenza di Dio nell’universo: Campanella è in qualche modo, e quasi inconsciamente, il filosofo della restaurazione catto¬ lica, come fha definito lo Spaventa: egli, col suo ra¬ zionalismo, non toglie i ceppi alla scienza, se non perché questa se li rifaccia da sé medesima e si sot¬ tometta liberamente. Ma l’entusiasmo di Bruno non troverà il suo riscontro che nello sforzo tenace di Galilei. Con questo la Scolastica, solo virtualmente superata nella filosofìa del Rinascimento, è vinta per sempre. Il naturalismo non è più soltanto celebrato come nuova tendenza dello spirito, ma è la nuova attualità spirituale: nella nuova scienza si umanizza la natura, che non è più la mera privazione degli scolastici, né la divinità ancora trascendente della speculazione, ma è la scienza stessa, l’atrermazione deU’umanità concreta del mondo — di quel mondo che non ci è estraneo ma interiore, e che vive della stessa nostra vita di ricerca e di conquista incessante. I. - DA MACHIAVELLI A GlOBEItTI 3H5 4. Vico. — Tra Machiavelli e Vico corrono due secoli, e ratteggianieiito mentale è profondamente mutato. All’apparenza li direste vicini, rivolti come .sono tutti e due al passato, per attingere da esso la loro forza. Ma con che occhio diverso lo guardano! .Machiavelli vede nel passato il mezzo per liberare il presente dalle accidentalità storiche e per contem¬ plar l’uomo nell’intimità della sua natura, delle sue passioni: egli fonda così la politica. Con Vico, il na¬ turalismo umano del Rinascimento è già sorpassato, e l’esperienza storica non suggerisce più alcuna di¬ stinzione tra sostanza ed accidente, ma la conside¬ razione nuova dello sviluppo, dello spiegamento della mente umana: Vico fonda la storia. Le due mentalità sono profondamente diverse. La tradizione dei politici si continua attraverso il (ìuicciardini, il Paruta, il Sarpi, ed ha un lontano rappresentante, nel secolo XVIll, nell’abate Galiani. Anche questi, come Vico, fa la critica del suo secolo, e del giacobinismo che quello prepara; ma la sua critica non preannunzia il secolo seguente; essa è quella del vecchio politico, che, incapace d’inten¬ dere le nuove aspirazioni del giovane, ha e.sperienza per avvertire le sue fanciullaggini e sorridere alle sue illusioni ’. La critica di Vico è al contrario novatrice. Essa investe tutto il pensiero del secolo XVlll, il carte¬ sianismo e il sensismo. All’universalità astratta del primo che non spiega la scienza, perché vuol fon¬ darla sulla rivelazione immediata dell’evidenza. Vico contrappone l’intuizione genetica delle cose, che le 1 P. un'acuta osservazione de! Croce: cfr. : Il pensiero del- Vabate Galiani, in Critica, 1909, p. 404. 366 LA FILOSOFIA ITALIANA spiega nel loro farsi, nel loro sviluppo: e prelude cosi allo storicismo del secolo XIX. E mentre il sensualismo traeva dall’esperienza sensibile un mo¬ tivo tutto materialistico. Vico svolge, da quella stessa esperienza, l’universale fantastico, la poesia e il linguaggio, nella loro originalità spirituale: e cosi prelude al romanticismo. Queste geniali intuizioni sono comprese in un’unità potente: è la mentalità umana che nel suo sviluppo si afferma come dispersa nel senso e nella fantasia e si unifica e si riflette nel pensiero. Vico perciò intravvede una metafisica della mente, una storia ideale, eterna, per la quale cor¬ rono le storie delle singole nazioni: nelle modifica¬ zioni della mente sono per lui da ricercare i mo¬ menti dello sviluppo storico. Ecco la grande origi¬ nalità di Vico: per Machiavelli l’umanità era natura, sostanza, e perciò fatale nel suo corso, nella .sua lo¬ gica interiore. Con Vico sorge il concetto della men¬ talità, della provvidenza immanente nello sviluppo delle nazioni. In Machiavelli c’è ancora — contro l’apparenza — l’intuizione teologica del mondo, e la tristezza d’un’attesa messianica: l’uomo è fatto tra¬ scendente a sé medesimo: in Vico non più: nella sua concezione storica l’umanità è tutta spiegata. Ma pure quello stesso Vico, che scrutando la sto¬ ria di Roma, attuava magnificamente la sua nuova idea, lasciava poi intatto il pregiudizio dell’elezione arbitraria degli Ebrei. Nel passare alla storia di Roma, egli aveva compiuto il suo grande sforzo, e vi si era esaurito, senza aver più la forza di ripassare alla storia degli Ebrei, come osserva il Croce nella sua bella monografia sul Vico. Fu viltà, fu pregiu¬ dizio? Forse, con più verità, fu un difetto intrinseco- dei sistema: Vico non seppe uscire dal particolari¬ smo ristretto delle unità nazionali: mancava a lui il I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 367 concetto dell’università del particolare, deiriima- nità della nazione, che sar.à l’opera del secolo se¬ guente. E perciò quel pas.saggio dai Romani agli Ebrei, che a noi sembra oggi cosi facile, non fu pos¬ sibile al suo genio. Vico non ebbe mai il riconoscimento che gli spettava, né in Italia né fuori, né vivente né dopo morto. Nel secolo nostro s’impadronirono della sua dottrina, come vedremo, i positivisti, e falsificarono nel modo più barocco la sua celebre formula della conversione del vero col fatto. Rivendicarne la me¬ moria e perseguirne la speculazione è stata l’opera dello Spaventa, del De Sanctis, e più ancora, del Croce. Per merito loro la profonda lacuna della nostra cultura è colmata. Con Machiavelli e con Vico noi possediamo gli esponenti maggiori della storia del nostro pensiero, dal Rinascimento alle porte del secolo XIX. 5. Rosmini e Gioberti. — Vico con la sua intui¬ zione di una metafìsica della mente umana è il pre¬ sentimento del criticismo, che si svolge poi in Italia nel secolo seguente, per opera di Galluppi, Rosmini e Gioberti. La posizione storica di questi pensatori è stata fraintesa generalmente, e da loro medesimi per primi, finché la critica di Bertrando Spaventa non ne ha liberato la dottrina dall’involucro contin¬ gente e svelata la stretta parentela con la filosofia tedesca. La spiegazione del fraintendimento ci è data dalla considerazione dell’ambiente nel quale sorsero e si svilupparono le nuove dottrine. .\I principio del secolo XIX l’Italia è infestata dal sensualismo fran¬ cese del secolo precedente, e la stessa filosofia kan- 3R8 LA FILOSOFIA ITALIANA liunn non vi s’introduce che attraverso reclettismo e la psicologia degli scozzesi : il valore sommamente originale del nuovo concetto della soggettività ne vien completamente perduto. Nel rinnovamento cat¬ tolico, che s’inizia in questo stesso periodo, il sen¬ sismo vien minato alla base, ma non già in nome di Kant. 11 sensismo è, nelle sue ultime conseguenze, scettico; è un vano gioco di elementi soggettivi, che non fonda l’oggettività, il sapere. Ma Kant — si sog¬ giunge — non è anch’egli chiuso nel soggettivismo delle forme del senso e dell’intelletto? e non va a finire del pari nello scetticismo? Con questa critica si pretende di disfarsi di Kant, e si cre<le di battere una via opposta, nella ricerca di un fondamento og¬ gettivo del sapere: in realtà non si fa che attuare la stessa esigenza kantiana, soltanto però con una men chiara coscienza, e col pericolo di più frequenti ca¬ dute in posizioni di pensiero già oltrepassate. Que¬ sto è l’oggetlivismo di Kosmini e di Cdoberti *. Ciià un sentore del criticismo si ritrova nella filo¬ sofia del Galluppi, che all’apparenza è puro empi¬ rismo, ma, in quanto distingue la sensazione dalla coscienza della sensazione e pone questa a fonda¬ mento di quella, è già virtualmente kantismo. Ma (ialluppi non intende il valore della distinzione e non vi si tien perciò sempre fedele; in altri termini, egli non comprende che la coscienza della sensa- zionc non è più a sua volta sensazione ma pensiero, e non giunge perciò a concepire la sintesi a priori. Vi giunge invece il Rosmini, col suo concetto della percezione intellettiva. Questa è la sintesi del parti¬ colare del senso e dell’universale deU’intelIetto, il 1 V. le acute osservazioni del Gentile nel suo libro: Ro¬ smini e Gioberti, Pisa, 1898, 1. -DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 369 quale si compendia nell’idea dell’essere. Questa idea, investendo il contenuto sensibile contingente e mutevole, gli conferisce l’universalità e l’oggetti- vità del sapere. Come per Kant, cosi per Rosmini, pensare è giu¬ dicare: nell’atto originario e primitivo del giudizio si compie la sintesi del senso e deU’intelletto. Ma che cosa è l’idea intellettuale dell’essere fuori del giu¬ dizio? Non una realtà empirica, sensibile, perché og¬ gettiva; non una realtà trascendente, perché ideale: è un concetto trascendentale. Questo il Rosmini non alTerma, ma è implicito in tutta la sua dottrina. E, poiché tale è il suo significato, non può apparire che una amplificazione inutile il complemento della dottrina rosminiana, per cui l’essere sarebbe og¬ getto deH’intuito. Se la realtà non è fuori ma nel¬ l'atto del giudizio, è chiaro che il volerne fare un oggetto d’intuito non esprime altro che la preoccu¬ pazione ili volerla salvare ad ogni costo dal mero soggettivismo, senza capire che era già salva. Anzi, con la dottrina dell’intuito, l’oggettività che era si¬ cura in porto, viene risospinta in alto mare. Ma l’ente rosminiano, come la categoria kantiana, è il mero universale non individuato. È 1 essere possibile, che fonda una semplice esperienza pos¬ sibile: la possibilità non è ancora assoluta attualità. In quell’esperienza possibile c’è ancora in effetti il residuo del dommatismo: chi mai la trarrà all’atto? L’atto del giudizio, della percezione intellettiva è, come per Kant, insufficiente a risolvere tutto l’og¬ getto: resta al di là di esso la cosa in sé, il termine incognito della sensazione, il coefficiente invisibile dell’attualità del pensiero. Perciò la categoria non vince il presupposto, e perciò non compenetra vera¬ mente il sensibile, ma gli si adatta quasi dall’esterno. Ct. DE auGGiERO. La fìlosofia contemporanea. 24 370 LA FILOSOFIA ITALIANA Ora si deve risolvere tutto l’oggetto, se non si vuole che il rosminianismo degeneri in un mero psi¬ cologismo: una dottrina del conoscere che lasci in¬ tatto il presupposto è semplice psicologia. Bisogna insomma risolvere il problema ontologico e non sol¬ tanto quello psicologico, e concepire un psicologismo trascendente che sia insieme il vero ontologismo. Ecco il compito di Gioberti, che si può esprimere diversamente col dire: bisogna individuare l’univer¬ sale di Rosmini, e unificare il che deU’esperienza col suo cos’è. La soluzione è, per Gioberti, il concetto della creazione, della relazione assoluta, che fonda in pan tempo l’ente e resistente, l’idea e l’essere. Solo nella creazione, l’assoluta virtualità è l’assoluta attualità: la realtà non s’individua se non creandola: creare infatti è concretare; è, direbbe Vico, convertire il vero col fatto. Il concetto della creazione ha nella prima fase della filosofia giobertiana un significato ancora trascendente: non è ancora affermata l’asso¬ luta apriorità della relazione creatrice, e il pensiero è semplice intuito, visione del creare. Ma nelle opere postume, quest’astrattezza è superata. È criticato l’intuito: la sua prospettiva infatti non ha distanze e intervalli, come quella della riflessione; essa è mera superficie; ha lunghezza e larghezza, ma difetta della terza dimensione e non ha profondità. È visiva e non tattile. L’intuito vede l’atto creativo e non vi partecipa. E l'organo della filosofia diviene, in questa nuova fase, la riflessione, il dialettismo. Solo nella rifles¬ sione l’atto umano si adegua a quello di Dio, ed è veramente creatore. Creare è proprio ed essenziale del pensiero. Il nostro spirito crea continuamente; creare non è altro che pensare, e pensare che creare. I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI 371 Essere e pensare sono i due poli opposti della menta¬ lità, che si riuniscono e si neutralizzano neH’attività pura, cioè nella creazione. Questo atto è la vera con¬ cretezza degli opposti; è la relazione assoluta, più so¬ stanziale dei suoi termini; è la radice del dialettismo. Cosi, p. es., l’uomo non è anima e corpo, ma relazione deir'una con l’altro. L’uomo è quel punto indiviso in cui il fisico e il morale si neutralizzano. Egli è prima di tutto un’unità; la dualità vien dopo. Non bisogna dunque chiedersi in che modo l’anima sia in commercio col corpo, cioè come la dualità si unizzi, ma piuttosto come l’unità si dualizzi. Questa idea della creazione si svolge nelle po¬ stume in una vera esplosione d’intuizioni magnifiche e geniali. In pochi pensatori ci è dato ammirare tanta ricchezza di pensiero, ond’è che dell’ingegno di Gioberti si può airermarc ciò ch’egli diceva dell’in¬ gegno in genere: che somiglia a Dio quando disse: futi lux. Ma nello stesso tempo egli ci richiama alla mente la critica che Quintiliano fece di Ovidio: se aves.se frenato il suo ingegno invece di abbando¬ nargli le briglie 1 Gli scarseggia il senso scientifico del processo graduale della ricerca : è, come Schel¬ ling, un temperamento esplosivo. Ma, iier mezzo suo, la speculazione italiana della prima metà del secolo XIX si sforza di adeguarsi a quella tedesca. Come ha osservato per primo lo Spa¬ venta. in Gioberti noi abbiamo il Fichte, lo Schelling e l’Hegel della nostra filosofia, ma senza il passaggio graduale dall’uno all’altro, e perciò confusamente e quasi a salti. Dopo di lui, il còmpito della filosofia era di costituire il senso scientifico che a noi man¬ cava, e di darci la coscienza della nostra posizione storica di fronte al pensiero europeo. Questa è stata l’opera di Bertrando Spaventa, il quale perciò si 372 L.\ FILOSOFIA ITALIANA connette al grande torinese e ne completa il pen¬ siero. Ma prima di parlare di questo scrittore ch’è stato per noi quel che Lachelier per i Francesi, Slirling per gl’inglesi, noi dobbiamo far qualche cenno dei vari indirizzi fioriti nella seconda metà del secolo XIX. L’opera dello Spaventa si svolge, si, ad essi contemporanea, ma la sua maggiore effi¬ cienza comincia col secolo XX, per merito special- mente del Gentile. II TRA IL SECOLO XIX E IL XX 1. Lo SCETTICISMO.- — Oopo l’iiifelice fine della guerra del '48-49, e l’esilio di Gioberti, la fìlosolìa italiana sembra presa da un’invincibile sonnolenza, (ibi si prova a scorrere, per mera curiosità, qualcuno dei molti volumi che si pubblicarono dal 1850 al 1860 non può non restare impressionato dall’aria di sonno che grava su di essi. Non si riesce più a distin¬ guere un indirizzo daH’altro, né a individuare qual¬ che dottrina: la mediocrità, la povertà, le accomuna e le neutralizza tutte. L’araldo della mediocrità è Te¬ renzio Mamiani. Qual’è la sua filosofia? Non saprei dirlo, e credo che non lo sapesse neppur lui. Com¬ battè Rosmini ed ebbe un’indimenticabile bastona¬ tura dal Santo roveretano, com’egli stesso, con sim¬ patica bonomia, riconobbe. Di Gioberti non comprese nulla, o quasi: fu empirista tra gli empiristi, fino ad ammettere l’influsso fisico tra la coscienza e gli oggetti; platonico tra i platonici, perché, una volta ammessa una realtà fatta, fuori del pensiero, la ve¬ rità gli diventava un ideale a cui il pensiero doveva cercare d’adeguarsi; e fu scettico tra gli scettici, col negare che la mente potesse conquistare l’essenza ultima delle cose. Fu lutto questo, e fu niente; in 374 LA FILOSOFIA ITALIANA realtà, nella leziosaggine del suo stile snervato, fu un addornientatore di coscienze. Ma se si pensa al favore quasi universale che egli godè per un certo tempo in Italia, non bisogna essere troppo corrivi a ritenerlo causa della decadenza della nostra filosofìa: fu causa e insieme effetto: nel do¬ minio del pensiero vale universalmente il principio della reciprocità. Egli divenne cosi l’organo ricono¬ sciuto della filosofìa italiana, e la sua filosofìa della mediocrità trovò perfino uno storico in Luigi Ferri, che mostrò come in essa convergesse la speculazione del secolo XIX. Il libro del Ferri è l’unico documento che gli stranieri posseggano della nostra filosofìa. In base ad esso hanno formato la triade: Rosmini, Gioberti, Mamiani: e nella loro ignoranza, hanno incluso i due forti pensatori nello stesso giudizio sprezzante che hanno dato del terzo. Ma nel Ferri, un po’ meglio che nel Mamiani, si comincia a delincare un indirizzo: il dualismo del pensiero e dell’essere, e il tentativo di concepire una terza serie che costituisca l’unità del reale. Terza serie che, beninteso, non esiste, neppure neH’imma- ginazione del Ferri, e che è semplicemente postu¬ lata, quasi ad attestare il vuoto del procedimento. Il termine della speculazione non può essere, date queste premesse, che l’eclettismo, la concezione della verità come conformità del pensiero alle sue leggi proprie e a quelle dell’essere, o, in altri termini, la semplice dissimulazione del mistero. Questo dualismo del pensiero e dell’essere noi lo ritroveremo ram- modernato e quasi ringiovanito nel Bonatelli e in altri scrittori; ma il suo difetto capitale, quello cioè di ammettere una doppia logica, resterà im¬ mutato. La causa dell’errore è la dimenticanza degli am- II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 375 maestramenti della storia : di quella storia che aveva capovolta l’antica concezione dell’essere, e dalla dottrina del pensiero come semplice visione di una realtà data, era giunta a quella del pensiero come produzione e creazione della realtà. 11 Rosmini e il Gioberti, con le loro immaginazioni dell’intuito ave¬ vano di nuovo introdotto, pur con notevoli modifl- cazioni, il vecchio platonismo, e se la loro conce¬ zione sostanzialmente non ne veniva toccata, perché esso ne costituiva il semplice involucro superficiale, assai maggiore era invece il pericolo per ingegni meno agguerriti. Questo può dirsi, tra gli altri, del¬ l’autore della c Filosolia della vita », il Berlini. Per lui il pensare è semplice vedere, scevro da ogni azione e passione del veggente; come tale, presup¬ pone l’essere, la realtà già formata e costituita. Ond’è che la speculazione, che il Berlini intraprende in¬ torno a quella realtà, si svolge nel dominio della vec¬ chia metafisica. Nondimeno la sua filosofia, per quanto doniniatica, si colorisce di qualche tinta più moderna, d’ispirazione jacobiana: quell’intuito di¬ retto, immediato della realtà, che attinge, al di là del lìnito, l’infinito, Dio, arieggia la concezione del Jacobi; e d’altra parte la convinzione salda che ogni giudizio sulla natura, sul pregio e sulla destinazione della vita implichi la soluzione del problema della realtà universale, dà al suo pensiero una certa into¬ nazione commossa e religiosa ‘. Malgrado questi pregi, la filosofia di Berlini, a cosi poca distanza da quella di Rosmini e di Gio¬ berti, denota già una certa decadenza. Ma se vo¬ gliamo conoscere l’espressione più compiuta di • S. M. Rertini, Idea di una ftlosofla della alla, Torino, 1850, 1, p. 9. mm 37g LA FILOSOFIA ITALIANA quella decadenza, noi dobbiamo ricercarla in un altro pensatore, il Ferrari. La Filosofia della rivoluzione del Ferrari è la filo¬ sofìa della rivoluzione fallita, la filosofìa di Novara, fi il nuovo scetticismo confusionario, che si fa strada con le sue strampalate negazioni di Dio, della reli¬ gione, del pensiero, e prelude alla Babilonia positivi¬ stica. Il Ferrari accavalla antinomie su antinomie, ncirordine più fantastico e coi più comici anacro- nismi; ma tutto lo sfoggio, ch’egli fa, di sapere an- tinomico, ha in fondo un motivo assai semplicistico, quello di mostrare che vana è la pretesa del pensiero di voler dominare la natura. La sojuzione dei conflitti non può invece venire che da un inverso procedi¬ mento, per cui il pensiero si subordina alla natura, e s’inchina alla sua rivelazione. Vi sono, dice il Fer¬ rari, due critiche: < L’una negativa, l’altra positiva; la prima ci getta in una continua irrisoluzione, la seconda ci sforza di continuo a prendere una deci¬ sione; colla prima non si fa che distruggere; la se¬ conda edifica nel tempo stesso in cui distrugge. Di¬ nanzi alla critica negativa, la natura si confessa con- tradittoria; dinanzi alla critica positiva, la natura ci accusa di contradizione. Due cose vi sono: il dubbio e la scienza: la critica negativa e la positiva: la con¬ tradizione universale e la contradizione fisica. Noi evitiamo l’illusione della metafisica, distinguendo le line specie di antinomie, esaminando se la contradi- zione è nella natura o nell’intelletto, se è figlia della logica che domina la natura, o figlia della natura che domina la logica. L’apparenza sola decide, perché ogni fenomeno si spiega di sé » *. Dunque, non pen- I G. Febiubi, Filosofìa della rivoluzione, Londra, 1851, l, pp. 250, 251. II. - TRA IL SF.COLO XIX E IL XX 377 siamo più, e abbandoniamoci alle rivelazioni della natura! Ma quali sono queste rivelazioni che in nome della natura ci ammannisce il Ferrari? Ben poca cosa: ralTermazione cieca del fenomeno, la negazione della metalìsica, e, più ancora, l’eliminazione di Dio. La fede in Dio è detta l’errore più primitivo e naturale del genere umano: l’ignoranza che crea la religione è quella deiruomo che conosce la parte positiva dei fenomeni senza sospettarne la parte cri¬ tica. Ma la natura esplorata dalla fìsica non può es¬ sere il teatro della rivelazione cristiana: ogni pro¬ gresso è perciò una lotta contro il Dio cristiano *. H simili sciocchezze da tribuno di comizi. (!osi con grande fracasso si preannunziava il po¬ sitivismo italiano. 2. Il po.sitivismo. — .Ma a dire il vero, il posi¬ tivismo italiano, sul suo .sorgere, non è affatto ru¬ moroso: anzi si mostra con la decorosa modestia di chi sa di non aver grandi rivelazioni da fare. 1 suoi primi seguaci sono scienziati, storici, economisti; gente insoinma che non guarda tanto per il sottile, e per cui il positivismo, più che una concezione del reale, è un programma di lavoro. Questo lo rende persino simpatico, e gli conferisce una serietà mag¬ giore di quella che ha avuto in altri paesi. In fondo, chi pensi in che condizione miserevole si era ridotta la metalìsica in Italia, tra il platonismo an¬ nacquato degli uni, l’inconcludenza semiscettica de¬ gli altri, e qualche riesumazione di tomismo per giunta, non preannunziata in alcun mudo dallo stato precedente della cultura e voluta con qualche sforzo. I Op. clt.. Il, pp. 252, 279. 378 LA FILOSOFIA ITALIANA non può che considerare come un progresso quel positivismo, che almeno si presentava come critica delle vane ideologie e richiamava le menti allo stu¬ dio dei fatti. Certo, quel richiamo era il più spesso spropositato; ma tale appare a noi, che viviamo in un ambiente di cultura assai più epurato; allora in¬ vece anche lo sproposito era un’opportuna reazione contro il vuoto mentale. Uno dei primi positivisti è il Cattaneo, un dili¬ gente studioso di scienze sociali. Uomo di spirito veramente positivo, egli combatte la metalìsica come una scienza vana, che non serve a niente. « Gio¬ vasse ella a dare un qualche sussidio almeno postic¬ cio alla morale! Ma la dottrina dell’ente è sempre una contemplazione di mere possibilità, e non fonda alcun principio dell’umano consorzio, né al¬ cuna regola della famiglia e del costume » '. Fatti invece ci vogliono; osservazioni ed esperimenti. « Il nome di fenomeno non esprime ancora tutta la potenza del fatto. Fenomeno per gli antichi e per i loro continuatori fino a Kant, fino a Schelling, fino a Leroux, è l’apparenza in quanto si oppone alla realtà. La realtà e la potenza sono per essi nell’idea; nel fenomeno sta l’apparenza e l’inanità. Ma per le scienze attive e per noi, fenomeno è la forza che si manifesta; è- la forza in atto; è la forza in quanto è forza » L’esigenza è giusta; però quanti er¬ rori di dottrina e di storia potremmo far notare in un cosi breve giro di parole! Ma tiriamo innanzi; in che modo vuole il Cattaneo fondare i suoi fatti, assai più solidamente che non Kant i suoi fenomeni? Ecco; il fenomeno non è illusorio, ma reale, perché I C. Cattaneo, Opere edite e inedite, Firenze, 1892, VI, p. 120. T Ibid., p. 218. II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 379 noi sentiamo l’azione sua sulla nostra coscienza: nei nostri propri sforzi la coscienza sente e misura le forze vive che ila ogni parte ci assediano. Questo saggio può bastare; non si tratta di altro che di quel psicologismo empirico che da Maine de Biran .s’era trasmesso ai metafisici spiritualisti e dualisti della scuola cousiniana; non si tratta cioè che di quel mero soggettivismo contro cui un Kant e un Rosmini avevano reagito, per la buona ragione che esso non giova a fondare l’oggeftività del sapere. Kant e Rosmini erano dunque più positivisti del Cattaneo! Questa è una delle tante ingenuità positivistiche, che diverranno più frequenti in sèguito, e saranno aggravate da una totale ignoranza della storia del pensiero. Almeno il Cattaneo ha ancora qualche sen¬ tore di quella storia; il suo positivismo s’impersona in tre nomi: Bacone per lo studio della natura, Locke per lo studio della coscienza, e Vico per lo studio detl’umanità Per buona sorte, egli non tentò mai di fatto il rimpasto dei tre pensatori, e si limitò allo studio dell’umanità, sotto la guida del suo Vico. Ma da questo egli non seppe trarre altro che l’idea di una psicologia delle menti associate — un che di mezzo tra la psicologia individuale e la cosi detta ideologia sociale — dove, per mancanza di ogni cri¬ terio filosofico, l’organizzazione sociale del pensiero era intesa come un semplice ricalco dell’organizza¬ zione delle cose fuori della mente. Ci siamo dilungati un po’ a parlare del Cattaneo, sia perché è il più intelligente dei vecchi positivisti, sia perché l’esposizione che abbiamo fatto della sua 1 Op. ci(., VII, p. 262. 380 LA FILOSOFIA ITALIANA dottrina ci risparmia la pena di parlar minutamente di altri scrittori. In fondo si rassomigliano tutti: il Villari, il Galielli, l’Angiulli. per citare i maggiori. Sono in genere specialisti che vogliono allontanare lo spauracchio della metalisica, che spesso è il fan¬ toccio della loro immaginazione. Il Villari ragiona cosi : « Se il sistema di Kant è vero, tutta la specu¬ lazione di Condillac è un monte di proposizioni as¬ surde; se il sistema del Rosmini è vero, quello del- l'Hegel è assurdo e viceversa. Voi infatti vedete, che i filosofi delle varie scuole non si combattono ^ sopra verità accessorie; essi negano gli uni agli altri sino il nome di filosofi, perché la loro divergenza versa sopra la natura e l’essenza stessa delle loro dottrine più generali e fondamentali » *. Per com¬ penso egli si richiama allo studio dei fatti, guardati alla luce delle idee: «Finché nella storia non avete cercato che fatti, e dallo spirito umano non avete potuto cavare altro che speculazioni, aveste da un lato un puro empirismo, e dall’altro una filosofia sco¬ lastica. Ma ora che il Vico ha trovato che le leggi del mondo delle nazioni sono le leggi stesse dello spirito umano, il quale ha creato questo mondo so¬ ciale, voi potete avere da un lato la scienza storica, da un altro lato la scienza provata e dimostrata deH’uomo. Infatti, se la storia vi dà come il mondo esterno, sul quale sperimentare ed accertare le in- «luzioni della vostra psicologia; questa, a sua volta, diviene una fiaccola che illumina la storia. Le leggi deH'una, se son vere, debbono trovare riscontro in quelle dell’altra, e viceversa > *. Sono curiose queste citazioni vichiane che s’in- 1 H. Arie, storia e fìlosofta, Firenze, 1884, p. *142. 2 pp. 479-480. II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 381 contrailo presso i positivisti; se ne trovano oltre che nel Cattaneo e nel Villari, nel Cahelli e nellWn- giiilli. Vico diviene un precursore del positivismo, la sua formula della conversione del vero col fatto (identità del pensiero e dell’essere, come mentalità, sviluppo) viene dai più intesa nel senso che la ve¬ rità sta nel fatto e non già nella mente. Ma pure queste reminiscenze vichiane trattengono i primi po¬ sitivisti dal cadere in una metafìsica materialistica. Sono tutti assai prudenti, anche perché non hanno nulla da dire: il più arrischiato forse è l’Angiulli, che è d’ingegno un po’ più filosofico degli altri; ma il suo programma positivistico, pubblicato nel 1869, non manifesta alcun contenuto nuovo di dottrina. FI quando il positivismo, per la logica stessa del suo movimento, degenerò ovunque nel materialismo, i nostri positivisti furono pronti a sconfessare la conseguenza da essi non voluta delle nuove dottrine. Il Villari polemizzò coi materialisti francesi; il Ga¬ belli distinse un vecchio ed un nuovo positivismo, e manifestò la sua avversione per quest’ultimo. Certo in questi pentimenti c’era qualcosa d’ingenuo, pro¬ prio di chi non sa valutare la portata di una dot¬ trina, mentre l’accetta; e i materialisti francesi erano più conseguenti dei positivisti italiani, nel negare quelle idealità vaghe che questi lasciavano ancora ondeggiare al di sopra dei fatti. Ma se in ciò i nostri erano meno filosofi, erano poi più di buon senso nelle loro riserve, perché dopo tanti sforzi per libe¬ rarsi da una metafìsica pseudo-idealistica, non vole¬ vano trovarsi impegoiati in una altra metafìsica, di tendenze materialistiche. La trivialità di questa metafìsica non tardò a ma¬ nifestarsi. Essa sorgeva dal connubio tra la filosofìa 382 LA FILOSOFIA ITALIANA e la biologia; e il suo nome era il monismo: un nome che dice tutto, anche più del contenuto di dottrina con cui lo si è voluto giustilìcare. I suoi fautori erano medici, naturalisti, botanici, fisici, e via discorrendo. La loro opera sarebbe certamente andata dispersa se Enrico Morselli non avesse avuto la felice idea di raccoglierla e disciplinarla in una Rivista di filo¬ sofia scientifica durata pochi anni, che resterà come prezioso documento della mentalità italiana sullo scorcio del secolo XIX. Ma le esagerazioni più stravaganti del positivi¬ smo materialistico si videro nella scuola di antropo¬ logia, fondata da Cesare Lomhroso, notissimo autore di libri in cui il genio e la delinquenza si accoppia¬ vano in una felice coincidentia oppositorum. Di que¬ ste dottrine non ci occuperemo, perché son divenute di competenza forense, e funestano le squallide aule delle nostre Corti d’Assise. Accenneremo soltanto a una propaggine del positivismo italiano che per opera specialmente di Enrico Ferri s’è innestata nella dottrina socialistica. E del Ferri raccomando la lettura d’una prefazione a una sgrammaticata tra¬ duzione italiana deWAntidiiliring di Engels, che è un bel documento del livello di cultura del nostro ex-socialista. Ma con tutto ciò, del positivismo italiano noi non avremmo che notizie scarse e frammentarie, se esso non fosse stato conglobato e quasi condensato in una dottrina unica da Roberto Ardigò. Di questo perciò vogliamo occuparci un po’ più estesamente. La filosofìa dell’Ardigò ha quello stesso motivo naturalistico che abbiamo osservato nel positivismo inglese; e.ssa è l’indiflerenza tra il sensismo e il ma¬ terialismo, senza per altro il rigore logico del Mill II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 383 e la veduta vasta, per quanto superficiale, dello Spencer. Mentre infatti fenipirismo inglese è vera¬ mente monistico, nel senso che, ammesso il fatto naturale della sensazione, ritiene poi derivata e po¬ steriore la distinzione del soggetto e deH’oggetto, l’Ardigó invece tradisce fin dal principio la sua preoccupazione dualistica, propria del realismo inge¬ nuo. Perciò ammette come fondamentale la distin¬ zione del senso interno e del senso esterno, dell’auto- sintesi e dell’eterosintesi, cioè da una parte fas-socia- zione dei dati psichici stabili che costituiscono il me, dall’altra l’associazione degli stati psichici acciden¬ tali che costituiscono il non-me. Questa è prova dcl- l’inferiorità della dottrina in quistione rispetto alle altre forme di positivismo, perché la distinzione non fa che adombrare quella tra la materia e la sensa¬ zione, e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo nella conoscenza, che ad empiristi come l’Ave- narius o il Mach parrebbe una vera mostruosità. Il termine comune di materia psichica, nei due campi, del senso interno e del senso esterno, non è in ef¬ fetti altro che un nome, che si può trasformare a piacere in un altro — l’indistinto — , che l’Ardigò pone a fondamento della realtà. Si vuole che r.\rdigò abbia fatto una critica dei- rinconoscibile di Spencer, e c’è veramente uno scritto suo su questo soggetto; ma bisogna proprio dire che egli sia andato in cerca della pagliuzza nell’occhio del fratello, senza accorgersi del trave che aveva nel proprio. Almeno il povero Spencer po¬ teva illudersi di veder Dio in quel suo inconosci¬ bile, mentre nel caso dell’indistinto, nemmeno questa immaginazione è più possibile. Con questo concetto deir.Ardigò l’epurazione degl’inconoscibili, degl’in¬ coscienti e simili prodotti del facile eclettismo con- 384 LA FILOSOFIA ITALIANA temporaneo è compiuta, e non resta che l'innocua sodilisrazione (ti dire uno, quando le cose, a di¬ spetto del positivista, pare che vogliano dire due. L’indistinto dell’Ardigò non contiene dunque più alcuna traccia di Dio. L’idea di Dio è del tutto radiata dai quadri di questa filosofia, e al suo posto subentra il nuovo concetto deH’inlìnito o della vir¬ tualità permanente dell’esperienza: un concetto che, come quello inilliano della possibilità delle sensa¬ zioni dimostra, si. la preoccupazione immanentistica del positivismo, ed è perciò da lodare nel movente psicologico della sua formazione, ma è nel fatto in¬ sufficiente, come quello che si travaglia ancora nel vecchio dualismo aristotelico, e dissimula, nella sua apparente facilità, il problema non risoluto, e l’igno¬ ranza dei potenti sforzi che la speculazione di venti secoli ha compiuto per giungere al graduale supera¬ mento di esso. Questo cenno sul motivo fondamentale dell’opera dell’Ardigò può bastare, come un saggio del suo pen¬ siero. Lo svolgimento della dottrina, secondo i cri¬ teri direttivi dell’empirismo, è dato dal tentativo di aggruppare in varie forme e in varie guise il ma¬ teriale plastico della sensazione: un campo di ricer¬ che che Tempirismo inglese aveva già da tempo sfruttato, e che con l’.Ardigò non è in grado di dar nuovi frutti. 3. D.\l dualismo al monismo. — Nell'imperver- sare delle dottrine materialistiche, molte voci mo¬ deste furono soffocate, che forse in un ambiente più propizio avrebbero potuto esercitare un’efficacia mag¬ giore. La loro influenza sul pensiero italiano fu assai scarsa, in un tempo in cui il materialismo dominava II. - TR.\ IL SECOLO XIX E IL XX 385 la vita sociale nelle sue più cospicue manifestazioni. Esse nondimeno riuscirono a formarsi un teatro più ristretto, ma insieme più consono alla loro intona¬ zione: la cattedra. E come già in Francia lo spiri¬ tualismo eclettico, svalutato dai nuovi indirizzi, si conservava nella cerchia universitaria, così nell’Ita¬ lia positivistica e materialistica si ebbe, nella se¬ conda metà del secolo scorso, un insegnamento uni¬ versitario con tendenze spiritualistiche. Noi abbiamo già accennato a quel dualismo pla- tonizzante che si delineava nelle opere del Mamiani, del Ferri e del Berlini: come quello che, bilanciato tra i due domini estranei del pensiero e dell’essere, naufragava poi nello spiegare la mediazione di en¬ trambi, il conoscere, esso non poteva riuscir vinci¬ tore di quel positivismo che viveva nella medesima dillìcoltà, e solo cercava di dissimularla con le sue pòco fondate asserzioni. Né il dualismo, nella nuova forma datagli dal Bonatelli o dal Cantoni, per quanto più corretto e rammodernato, aveva migliori proba¬ bilità di successo; in fondo la difficoltà restava iden¬ tica, e al più veniva spostata in più remote regioni. Nella sua vita infaticabile di studio e di ricerca, il Bonatelli non riuscì mai a migliorare la posizione iniziale del suo pensiero, che noi conosciamo dal sag¬ gio: Pensiero e conoscenza del 1864. Là egli, ispi¬ randosi a Lotze, muove dal soggettivismo empirico della coscienza e invano si tortura per conseguire l’oggettività del conoscere. Il pensiero è da lui ridotto al semplice pensato, alla mera forma indifferente a ogni contenuto, qual’è quella della logica aristote¬ lica, e cosi fin dal principio gli è preclusa la via a concepire la relazione tra il pensiero e l’essere. Egli afferma, si, che pensare è giudicare, ma non intende il valore e la portata di questa grande verità della G. DB Ruggiero, La filosofìa contemporanea. 25 386 LA FILOSOFIA ITALIANA lilo.solia kantiana, che è neutralizzata dall’intuizione fondamentalmente platonica della sua dottrina. Di qui, se il pensiero è il semplice pensiero, la certezza del reale non è che un’inferenza, un’ana¬ logia, per cui noi interpretiamo le cose esterne a noi nei termini della nostra esperienza soggettiva. Ma¬ cho cos’è la realtà in sé stessa? Ora è qualcosa di simile ai reali di Lotze, ora è lo stesso pensiero inteso come norma ideale a cui tentano di adeguarsi le singole conoscenze '. Soluzioni deboli, come si vede, perché col principio di analogia crediamo di muo¬ vere, ma in realtà non moviamo un passo fuori della mera soggettività; e la norma ideale, d’altra parte, posta fuori del pensiero attuale, è la mera oggetti¬ vità, a cui manca il ponte di passaggio verso il sog¬ getto. Oggettività pura e semplice, e soggettività pura e semplice, dunque: qui la soluzione, in fondo, non fa che ridarci tal quale il problema. Il platonismo del primo saggio si trova immutato negli altri; al più si epura. Nell’opuscolo Perce¬ zione e penniero è detto che l’oggetto opera sul sog¬ getto, imprimendo in questo Tinimagine di sé stesso; immagine che non è per nulla sfigurata e deformata dalla passione del conoscente, perché il mutamento subito da questo consiste soltanto in ciò, che egli conosce ciò che prima non conosceva * *. La cono¬ scenza viene così sempre più alleggerita di quel còmpito copernicano che Kant aveva voluto imporle e quindi ridotta a una mera duplicazione inesplica¬ bile di una realtà in sé bell’e fatta. Il termine della speculazione del Bonatelli è, per questa via, il capo- » F. Bonatkixi, Pensiero e conoscenza^ Bologna. 1864, p. 5, 29, 34, 35. * F, Bonatelli; Percezione e Pensiero (Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, t. Ili, serie VII, 1892), p. 536. II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 387 volgimento completo della tesi kantiana: la forma non è più del soggetto ma appartiene all’oggetto in sé, e al soggetto non viene attribuito che la semplice modilicazione sensibile, o, in altri termini, la ma¬ teria 11 che significa, se non mi sbaglio, volere ricondurre la tesi dualistica all’assurdo. Un altro dualista orientato verso la filosofia di Lotze è il Cantoni, pur con la sua vasta, ma poco profonda, cultura kantiana. Nel suo lodevole tenta¬ tivo di acclimatare la filosofìa di Kant in Italia, egli introdusse quel famoso problema sull’origine psico¬ logica dell’apriori che ebbe grande fortuna in Ger¬ mania nello scorso secolo, e che costituì per lungo tempo il Capo dei Naufragi di molti neo-kantiani. Nell’intento del Cantoni, quel problema doveva sal¬ vare la critica dal mero soggettivismo in cui pareva l’avesse chiusa Kant: il riconoscimento della forma¬ zione psicologica dell’apriori doveva infatti segnare il punto di convergenza della doppia azione del pen¬ siero e della realtà. Ma per quella legge dell’etero- genia dei fini, la cui fecondità è sorprendente, la ri¬ cerca del Cantoni era viziata precisamente da quello stesso soggettivismo contro il quale egli credeva di combattere. Come infatti si può parlare di forma¬ zione psicologica dell’apriori, tranne che questo non venga inteso che come il semplice apriori della co¬ scienza empirica, e non della coscienza e insieme della realtà? Esso dunque presuppone qua una co¬ scienza, là una realtà bell’e fatta, e dice: questa co¬ scienza nell’appropriarsi quella realtà procede per gradi; è prima un mero aposteriori, e si apriorizza a poco a poco con lo spogliarsi del contenuto sensibile e col concepire la forma astratta delle cose che il ‘ Op. di., p. IBOS. 388 LA FILOSOFIA ITALIANA pensiero può padroneggiare (concepire universal¬ mente, necessariamente) appunto perché è vuota di contenuto Ma questo, è il falso apriori analitico da cui Kant s’era liberato nella sua critica, e che poi Lotze, con un vero anacronismo, aveva voluto ripri¬ stinare. Esso non regge se non in quanto si pone il pensiero da una parte e il reale dall’altra, e si fa gio¬ care il pensiero con sé stesso, nella sua vuota interio¬ rità. E questo fa appunto il Cantoni, il quale, una volta fuori della buona via, parla di applicazione delle categorie al reale, di una corrispondenza Ira quelle e questo con un completo capovolgimento di tutti i principi fondamentali del kantismo. Uno scrittore raccolto e con una simpatica into¬ nazione mistica è Francesco Acri, personalità assai caratteristica della filosofìa italiana contemporanea. In un periodo di grande rozzezza spirituale, quando il materialismo regnava incontrastato, l’Acri osava scuotere il giogo della dittatura e affrontare diretta- niente il nemico. Rivolgendosi ai naturalisti, egli di¬ ceva: voi con la vostra cellula credete di spiegar tutta la vita della coscienza, e in realtà non spiegate niente; nella cellula nulla c’è che chiarisca la me¬ desimezza della coscienza, e l’unità sua, e la sua fa¬ coltà formativa, e quella speculativa, e quella voli¬ tiva, e nulla c’è che chiarisca la più umile delle operazioni sue E ricorreva, per mostrare l’im¬ possibilità di comporre l’uno coi più, al grazioso esempio deH'aquila dantesca che sembrava un unico essere, ed era un’accolta di esseri; e dava da lon- I C. Cantoni. E. Kant, Milano, 1879, I, pp. 209, 21.1, 219. » /birf.. pp. 330, 334. 3 F. Acri. Videmua in aenìgmate, Bologna, 1907, p. 1 II. - TRA IL SECOLO XI.K E IL XX 389 tano l’illusione di dire; «io, io», nienlre in realtà, a sentirla da vicino, diceva « noi, noi ». Ma il platonismo di Acri riproduce, in più sublime sfera, la stessa dilTicoltà, e, in fondo, la stessa illusione dell’aquila dantesca. Poste le idee, non si spiega più il pensiero; e posta l’intuizione immediata della verità ideale, riesce inesplicabile la rillessione dell’autocoscienza. Quindi invano cer¬ cherà l’Acri di adombrare con immagini poetiche il principio della riflessione, che in realtà manca nella sua filosofìa. Egli ricorre all’esempio dello scintillio della luce stellare; ma questo esempio appunto tra¬ disce la difficoltà del platonismo; lo scintillare della stella è la mera apparenza della riflessione ilella luce, è l’illusione soggettiva della nostra visione. La dottrina della coscienza è così la nota fuori posto nella concezione dell’Acri; questi abbracciamenti tra Platone e Kant, a tanti secoli di distanza, hanno sempre qualcosa di fittizio. Nei nomi di Bonatelli, di Cantoni e di Acri si compendia l’indirizzo dualistico della filosofia ita¬ liana della seconda metà del secolo XIX. Più recente¬ mente esso ha avuto un altro prosecutore nel De Sarlo, fondatore della rivista la Cultura filosofica. Questa, sorta in antitesi col positivismo e con l’agno¬ sticismo, e riprendendo alcuni motivi lotziani, cerca di svolgere c ravvivare l’antico dualismo, col porlo in contatto con la filosofia europea contemporanea, e particolarmente con le nuove dottrine gnoseolo¬ giche e con le ricerche di psicologia sperimentale. E torna infine opportuno parlare a questo punto di un pensatore, che neH’ultimo decennio ha com¬ piuto uno sforzo notevole per conquistare una ve¬ duta idealistica della realtà: intendiamo dire del Varisco. Nel libro Scienza e opinioni del 1901, egli si 390 LA FILOSOFIA ITALIANA muove ancora nel campo della metafisica dommatica. Il mondo è da lui inteso come « un insieme di ele¬ menti originari o monadi che operano gli uni sugli altri. Le azioni reciproche tra le monadi sono in ef¬ fetti di due specie. Determinano cioè; 1) una varia¬ zione in ciascuna monade; 2) una variazione tra le monadi, ossia ne modificano raggruppamento (la di¬ stribuzione spaziale). I fatti della prima specie sono psichici, quelli della seconda, fisici » '. Questo è il dualismo della metafisica dommatica, e consiste nel considerare le relazioni del mondo fisico come af¬ fatto fuori della monade — mentre ripugna alla monadologia ammettere azioni inframonadiche (le monadi non hanno finestre); e una volta ammesse, risulta inconcepibile la conoscenza di quelle rela¬ zioni, perché non si comprende dove mai esse ca¬ dano, se son fuori della monade. Ma con l’approfondire il concetto della monado¬ logia, il Varisco ha superato il dualismo della meta¬ fisica dommatica. Nel volume: / massimi problemi il dualismo tra fisi e psiche ha un significato gnoseo¬ logico, nel senso che quella distinzione non è più tra due realtà estranee l’una all altra, ma si costi¬ tuisce nel dominio stesso della conoscenza. La realtà fisica di Scienza e opinione diviene una psichicità, un complesso di sensibili: il soggetto (la psichicità dell’antica posizione), diviene l’unità del molteplice sensibile. Su questa dualità originaria, il Varisco eleva la sua costruzione. Da una parte la realtà dei sensibili si costituisce secondo le sue leggi; dal¬ l’altra la realtà del soggetto, secondo il principio dell’unità di coscienza. In tal modo il dualismo non > B. V*Bisco, l massimi problemi, Milano, 1910, p. 252, dove è riassunta l’antica dottrina. Cfr. ancora Sciema e opi¬ nioni, Homa, 1901, pp. 247, 256, 261, 307, 321. II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX 391 è risoluto; e questo perché il Varisco non ha svolto il concetto dell’unità della coscienza in tutla la sua portata, eliminando quel residuo di aristotelismo che sta nel porre, di fronte alla coscienza, dei sensi¬ bili non sentiti, delle potenze che aspettano di porsi in atto. Insoinma l’ombra del dommatismo, «Iella pre¬ cedenza di quei sensibili di fronte all’atto dell’auto¬ coscienza permane sempre, e in veste psicologica si ripresenta quella realtà fìsica di Scienza ed opinioni, che il Varisco non ha mai veramente risoluta. Per superare il dualismo, egli fa ricorso a un con¬ cetto della filosofia rosminiana, quello dell’essere in universale; ma ne muta profondamente il significato, che non è più per lui trascendentale, ma empirico, ed esprime soltanto l’identità del pensato, l’indifTe- renza di soggetto e oggetto; in altri termini, quella psichicità primaria su cui deve fondarsi la dualità di fisi e psiche. 11 Varisco compie un notevole sforzo per mostrare come questo indifferenziato, per un’in¬ tima esigenza, .si differenzi: e ciò mostra che egli è bene addentro nella difficoltà dell’idealismo; ma non mi pare che risolva il suo problema, perché non veggo il principio della differenziazione, il soggetto. Quel differenziarsi è perciò ancora da lui inteso nel senso della metafisica dell’essere e non del cono¬ scere, vale cioè a fondare una monadologia e non una fenomenologia. Per giungere a questa è neces¬ sario spogliarsi del tutto della preoccupazione di una realtà fatta, sia come natura, sia come potenza del pensiero, e guardarsi dall’anticipare in qualunque modo il mondo sull’atto concreto del pensare. Già nella dottrina che il Varisco ha accennato della personalità, s’intravvede il principio di un ap¬ profondimento dell’idea del soggetto. Riporterò le seguenti sue parole: «Quando ciò di cui giudico 392 LA FILOSOFIA ITALIANA sono io stesso, il mio fare non è più soltanto rico¬ struttivo; è veramente costruttivo. L’io nel senso vero della parola, ossia l’iinità dell’autocoscienza _ ben diversa dalla pura unità della coscienza, dal soggetto animale — non esiste che in quanto afferma sé stesso Bene, ma una volta inteso che ripro¬ durre è in verità, nel mondo della coscienza, della realtà in fieri, un produrre, bisogna andare avanti, approfondire il concetto della riflessione creatrice, che è il cardine della filosofìa moderna, svelare tutti i tesori che esso racchiude: allora solo si vedrà, nella trasparenza della coscienza, tutta la realtà nella sua pienezza. Il Varisco invece si ferma a metà: egli infravvede, ma non svolge, il motivo fe¬ condo dell’iilealismo. 4.1 NEO-KANTIANI.— Il neo-kantisiiio ifaliano è per molli rispetfi benemerito della nostra cultura, per avere alacremente pronio.sso gli studi storici, che fra noi facevano difetto. Si pensi che perfino i due più profondi pensatori italiani del secolo XIX, Ro¬ smini e Gioberti, spropositarono talvolta nel modo più deplorevole la storia del pensiero, si da falsare la loro stessa posizione storica di fronte alla specu¬ lazione moderna. E nel campo della storia della filo¬ sofia si sono specialmeiile distinti il Fiorentino, il Tocco, il Masci, il Tarantino, il Chiappelli. ed altri ancora. Ma, quanto aU’atteggiamento dottrinale, il neo-kantLsmo ha uno stretto rapporta con l’indirizzo di cui abbiamo testé parlato. La sua dottrina si svolge infatti più specialmente nei confini segnati dall’analitica trascendentale di i Varisco, / massimi problemi, cit., p. 129. II. - TRA IL .SECOLO XIX E IL XX 393 Kant. Di qui. il limite della sua forza speculativa c dato dalle antinomie; limite che si vuol poi supe¬ rare con la dimostrazione della vanità di ogni me¬ tafisica. Ma con la metafisica il neo-kantismo è co¬ stretto, suo malgrado, a fare i conti, quando vuole spiegarsi quell’apriori che esso accetta da Kant. Non appena esce dalla semplice distinzione tra il pro¬ blema della formazione empirica delle conoscenze e quello della loro validità, e vuol cercare di spiegarsi il come e il perché di quest’ultima, eccolo già alle prese con la metafisica. Il valore, come abbiamo già notato, è un concetto neutro, bilanciato tra il pen¬ siero e l’essere; la spiegazione del valore è dunque il problema metafisico del rapporto tra il pensiero e l’essere. In che modo risolverlo? Il neo-kantismo, non sapendo vedere nelle categorie altra cosa che quel semplice fatto del valore, ha esaurito già la sua provvista, e non può chiedere perciò al suo Kant quella spiegazione ulteriore; esso allora la persegui¬ terà attraverso la psicologia, la biologia, e finirà col ritrovarsi in una posizione che aveva già oltrepas¬ sata con la sua premessa. Questa dilTicoltà del neo-kantismo si rivela nel modo più caratteristico nella parabola descritta dal suo primo rappresentante in Italia, il Fiorentino, che non riuscì a mantenersi nella sua posizione ini¬ ziale, ma, cedendo all’urto delle nuove ricerche bio¬ logiche, contro cui s’era già abbattuto il neo-kan¬ tismo tedesco, fini col fraintendere del tutto il si¬ gnificato dell’apriori kantiano, contaminandolo di naturalismo evoluzionistico. Più fedele allo spirito del neo-kantismo è il Masci, che se ne può considerare oggi come il maggiore rappresentante. Le sue istanze negative contro i fraintendimenti dei principi fondamentali della 394 LA FILOSOFIA ITALIANA filosofia kantiana sono solide, ma la fondazione posi¬ tiva di quegli stessi principi dà luogo alla ditTicoltà già notata a proposito del neo kantismo in genere. Giu-stameute il Masci difende l’apriorità dello spazio e del tempo, come funzioni spirituali, dal psicolo¬ gismo, che con la semplice costruzione delle rappre¬ sentazioni 'di spazio e tempo s’illude di aver soddi¬ sfatto all’esigenza dell’estetica trascendentale; col suo mosaico delle sensazioni esso crede di costruir la forma, invece la presuppone a ogni passo. Né migliori surrogati della deduzione kantiana offrono le ricerche biologiche sull’apriori, che non riescono addirittura a rendersi conto del problema di cui si tratta. Un altro errore che si suol commettere nell’inter¬ pretazione di Kant, è quello di ridurre la realtà alla mera rappresentazione; cosi, osserva il Masci, si fa svaporare il reale, mentre, secondo i principi del kantismo, la serie psichica non ha maggiori diritti al riconoscimento della serie fisica. Ma esistono fisi e psiche come due realtà per sé? Qui sta il problema. K pare che il Masci a un certo punto sia sulla via di risolverlo secondo il criterio dell’idealismo asso¬ luto, col riconoscere l’inanità della riflessione che vuol risalire a una realtà oltre l’atto dell’autoco¬ scienza *. Però non riesce a rendersi conto che al di là di queU’atto non c’è una realtà che sia a noi preclusa per la scarsezza delle nostre facoltà men¬ tali, ma che non c’è^ proprio nulla, fuori che la ■proiezione della nostra ombra. E una volta perduto .il criterio dell’unità concreta, fisi e psiche gli restano innanzi come due fatti distinti, che egli pur sente * F. Masci, Il materialismo psicofisico, Napoli, 1901, II, p. 93. II. - TR.\ TL SECOLO XIX E IL XX 395 il bisogno ili unificare. E concepisce cosi il suo mo¬ nismo: «Non si tratta di sapere né come la ma¬ teria genera il pensiero, né come questo genera le azioni materiali. Porre cosi il problema è ren¬ derlo insolubile, perché le idee di materia e spirito sono generalizzazioni unilaterali, astrazioni nostre, operate in direzioni opposte, di un processo che in realtà è unico»'. E per conseguenza cerca di tra¬ sferire quell’unità in un passato in cui psiche e tisi erano indill'erenziate. < Riportata la psichicità a quello che si può pensare che sia prima che esista un sistema nervoso diflerenziato, anzi prima che esi¬ stano strutture nervose negli animali unicellulari e nel protoplasma amorfo, la difficoltà di concepire l’unità di natura e spirito si trova ridotta a un mi¬ nimum; perché resistenza psichica si può ricondurre al dinamismo intimo della realtà, ai principi quali¬ ficativi determinanti e direttivi che non si possono negare senza rendere inintelligibile lo stesso feno¬ meno meccanico. L’unità apparisce meglio al prin¬ cipio che alla line, meglio nel germe che nel frutto, meglio nell’inizio dello sviluppo, che nei prodotti ultimi della differenziazione progressiva in cui esso consiste. Similmente, procedemlo in quella direzione, la riduzione diventa gradatamente più intelligibile, finché gli opposti quasi si toccano e si compenetrano nei concetti dell’atomo e della monade, che tendono a identificarsi » L’unità del reale viene cosi trasfe¬ rita in un oscuro passato; non è più quella che si dà nella trasparenza luminosa della coscienza, se¬ condo la nuova metafìsica del conoscere fondata da Kant, ma quella che si dava tra le due realtà etero¬ genee dell’antica metafisica dell’essere. * Op. cit., IH, pp. 18-19. > Ibld., IH, pp. 35-36. 396 LA FILOSOFIA ITALIANA La monadologia da una parte e il principio nuovo dell’autocoscienza dall’altra : questa a me pare la doppia esigenza inconciliata in cui si travaglia il pensiero del Masci. E nella stessa ditlicoltà s’imbatte un altro filosofo, il Martinetti, che vi resta impi¬ gliato, benché faccia un grande sforzo per liberar¬ sene, cercando di fondere la metafìsica dell’essere con la luelalìsica del conoscere. Come già il Bnirac, egli concepisce il reale come una pluralità di mo¬ nadi, o (per togliere la possibilità di un fraintendi¬ mento storico) di centri coscienti o unità sintetiche di soggetto oggetto Ma questa pluralità, realistica¬ mente intesa, è incompatibile con la monadologia. Posta la monade, o comunque il rapporto soggetto- oggelto, è con ciò tolta la realtà (nel significato realistico) delle altre monadi, la cui esistenza è pos¬ sibile solo come iilealilà nella monade. Lo svolgi¬ mento deH’idealismo è consistito nell’approfondire questo concetto nuovo dell’idealità, in cui s’è rico¬ nosciuta la realtà vera e concreta: così è stato ab¬ battuto il vecchio concetto del mondo come totalità naturale, e s’è costituito il nuovo concetto del mondo come esperienza assoluta. Il Martinetti invece tien fermo ancora all’idea del mondo come un tutto naturale e dissemina lungo di esso i suoi centri co¬ scienti, .senza intendere che questo è incompatibile col concetto nuovo dell’idealità che egli mostra di accettare. Ond’è che, malgrado tutti gli sforzi, egli resta un realista, e, come tale, si mostra impigliato in una difficoltà insolubile allorché vuol superare il disgregamento dei principi coscienti in una unità superiore. Una volta posta dommaticamente la plu- > P. Mabtinetti. hitroiiuzlone alla melathica, Torino, 1904, pp. 110, 413. II. -TUA IL SECOLO XIX E IL XX 397 ralità delle coscienze, l’unitù o sarà un nome, o un principio trascendente, perché lo ripeto, la plura¬ lità, come tale, è fuori dell’atto di coscienza. Dato questo residuo di dommatismo, un vero su¬ peramento della metafisica dell’essere non è più possibile al Martinetti, il quale non riesce che a una conciliazione apparente tra quella metafisica e la nuova metafisica del conoscere, col mostrare che la stessa instabilità dei centri coscienti, per cui essi si sviluppano e si potenziano in sintesi sempre più alte, si dà nel campo del conoscere come processo delle conoscenze dalle forme più semplici e imlilTerenziate del senso alle sintesi più alte dcH’iiitellelto e della ragione. Qui non fa che ripro<lursi quello stesso di¬ sgregamento che noi abbiamo già prima osservato: come l’unità dei reali cadeva fuori di essi, cosi il principio di organizzazione delle conoscenze è fuori d’ogni singola forma, e il pas.saggio dall’una all’altra è la semplice dialettica herbartiana, cioè il principio di contraddizione, applicato all’organizzazione pro¬ gressiva del dato sensibile. Certo non mancano nel¬ l’opera del Martinetti degli accenni a un dialettismo assai più profondo, ma il motivo fondamentale dello svolgimento dialettico è empirico, e non dà che una genesi empirica delle conoscenze, incapace perciò di risolvere quel che v’è di dato nel dato sensibile. 11 vizio della dottrina è l’afTermazione immediata dell’unità puntuale di coscienza, che si riproduce, nella gnoseologia, neH’afrermazione del pari imme¬ diata della realtà sensibile: ogni ulteriore svolgi¬ mento del pensiero non potrà essere che una sem¬ plice elaborazione, una purificazione del dato, e non riuscirà mai a spiegare il suo prodursi. 11 presup¬ posto realistico della metafisica si riverbera nella dottrina del conoscere; posta la scala delle monadi, 398 LA FILOSOFIA ITALIANA ne vengono con ciò posti i gradi della conoscenza, realisticamente e non trascendentalmente, come per Hegel. E, chi bene osserva, riconoscerà che una tale dottrina dei gradi del sapere non può reggere se non si presuppone una realtà già costituita, a cui la conoscenza cerchi di adeguarsi. Sicché il tenta¬ tivo del Martinetti di fondere te due metafìsiche, quella dell’essere e quella del conoscere, a me non sembra riuscito, perché col lasciare impregiudicata la posizione del dato, sia pure come dato spirituale e non già naturale, è tolta la possibilità di risol¬ vere l’essere nel conoscere; e, al tirar le somme, quel dato finirà sempre con l’accennare a qualcosa di là dal sapere, o in altri termini a un essere, sia pure spirituale, com’è nella concezione del Marti¬ netti. Questa però, malgrado la diflìcoltà accennata, a me pare uno degli sforzi più notevoli che abbia compiuto il pensiero italiano negli ultimi anni. in L’IDEALISMO ASSOLUTO 1. Vera e Spaventa. Nel primo capitolo noi ab¬ biamo accennato che con Vincenzo Gioberti la spe¬ culazione italiana del secolo XIX cerca di adeguarsi a quella tedesca. Ma Gioberti fraintese la sua po¬ sizione storica, e solo nel tardi si rese un po’ conto «legli elementi fìchtiani ed hegeliani del suo sistema; e, ciò malgrado, continuò a criticare il preteso pan¬ teismo tedesco, e a credere che la sua dialettica fosse platonica, nel mentre che era la dialettica della mentalità assoluta, cioè dello spirito. In Bertrando Spaventa il pensiero italiano ac¬ quista chiara coscienza di sé medesimo; e le felici intuizioni giobertiane sono sviluppate in un sistema scientifico. Spaventa insegnò per molti anni nell’università di Napoli ed ebbe per collega un hegeliano di fama europea. Augusto Vera. Ma l’uno non avverti nem¬ meno la vicinanza dell’altro; erano mentalità troppo diverse: da una parte il giovane hegeliano che vi¬ vificava con la sua vita nuova e ardente il pensiero di Hegel: dall’altra il vecchio hegeliano, avanzo di un passato glorioso, tutto pieno di mistica adora- 400 LA FILOSOFIA ITALIANA zione per il suo Hegel, da lui chiamalo il Cristo della filosofia, e per cui la vita d’un intero secolo è un niente, o una serie di errori da cui bisogna libe¬ rarsi. Qui siamo ancora con gli epigoni, e là co¬ mincia una nuova filosofia. È un tipo curioso quello del vecchio hegeliano, che non sa muoversi senza pestarsi i piedi, e che, tutto assorto nelle nuvole, non vede il fossato innanzi a sé. Noi lo vediamo impacciato fin nel suo primo entrare nel santuario della filosofia, e perdersi in un dedalo di ragionamenti per escogitare il modo mi¬ gliore d’entrarvi. « Com’è possibile, egli si chiede, insegnare filosofia hegeliana? >. Purtroppo egli sa per esperienza che la gente a cui osa parlare di Hegel è solita di prendersi segretamente gioco di lui, e allora conclude: «che l’hegelismo non si può di¬ mostrare che ad un hegeliano > *. E allora insorge più grave un nuovo problema: «Come si fa a di¬ ventare hegeliani? ». Qui le cose si complicano, una volta che non si può diventare hegeliani se già non si è tali. Ecco l’antinomia da risolvere; e l’unica via possibile è di ammettere che hegeliani si è in quanto si nasce. Questa è per lui una vera rivela¬ zione: egli finirà per convincersi di essere hegeliano per diritto divino, e dall’alto di questa convin¬ zione potrà lanciare uno sguardo di commiserazione ai non eletti, rassegnarsi alle defezioni dei suoi scolari, e abbandonarsi, senza nessuna preoccupa¬ zione di essere inteso o compreso, alle sue contem¬ plazioni. La filosofia di Vera è appunto la contemplazione del sacerdote di Brahma. Il termine a cui s’appunta » A. Vera, Inlroduclion à la philosophie de Hegel, Paris, 18042, p. XVI. in. - l’ideali.smo assoluto 401 è l’idea nella sua vuota universalità, .senza più nes¬ sun contatto col mondo della vita. Per toccarla bi¬ sogna porsi al di sopra della sfera del sentimento, abdicare alla propria coscienza individuale, e puri- licarsi di tutta la propria contingenza umana. Che cosa credesse il Vera di conquistare in un tal modo, è difiìcile dire; non certo Puniversale concreto di Hegel. Ed è davvero impressionante vedere come le pagine piene di vita della Fenomenologia o della Logica, dove tutto il mondo della storia si fonde in una grandiosa epopea, diano luogo, per opera del sonnolento hegeliano, a un annacquato platonismo che prende le idee per entità e per mere rappresen¬ tazioni di cose, e le dialettizza in un nebuloso em¬ pireo. Qui si compiva quel pervertimento dell’hege- lismo in una nuova metafisica dell’essere, assai peg¬ giore dell’antica, perché cristallizzava l’idea nelle cose, e deduceva i cavalli dagli asini, commisurando la deduzione al grado progressivo di perfezione delle relative idee. Di fronte a una tale metafisica era la benvenuta la reazione dello Schopenhauer, contro cui pur sentiva bisogno il Vera di protestare. Con ben altra mente concepiva l’hegelismo Ber¬ trando Spaventa. Gioberti aveva detto, non diver¬ samente da Hegel : pensare è creare. L’idea del pensiero come creazione è l’idea nuova della Qlosofla kantiana, mentre Cartesio e Spinoza non erano giunti che al concelto del pensare come causare. Ma Gio¬ berti s’era elevato al nuovo principio tutto d’un colpo, per una subitanea esplosione: egli aveva intuito ma non provato la creazione; questa per lui era un fatto, indeducibile e indimostrabile. Eppure egli stesso, in un passo importantissimo ^ delle Postume, aveva integrato la formula del G. DE Ruggiero. La filosofia contemporanea. 26 402 LA FILOSOFIA ITALIANA pensare = creare, con l’altra : provare è creare *. Il pensiero prova l’atto creativ*o col riprodurlo e ri¬ crearlo dentro di sé; ma riprodurre è produrre, e ri¬ creare è creare. Ecco il nuovo grande concetto della mentalità, la quale non si svolge per accrescimento e riproduzione del suo prodotto, ma per creazione del nuovo: il prodotto stesso non esiste che in que¬ sto nuovo produrre; l’atto creativo, che in questo atto che lo ricrea. A tale conclusione non era giunto il Gioberti, il quale, anzi, dall’idea che provare è creare aveva voluto inferire che la creazione è indi¬ mostrabile. Ma. poiché il carattere essenziale della mentalità è appunto il provare (in ciò la mente si distingue dalla sostanza che si definisce soltanto), il problema che la filosofia di Gioberti apriva ai suc¬ cessori era : provare la creazione. Ed è questo ap¬ punto il problema di Spaventa: «Gioberti dice: es¬ sere è creare, pensare è creare, creare è pensare. — Questa identità bisogna provare ». «Creare è l’Ente concreto, soggiunge lo Spa¬ venta, è fare, realizzare, individuare, sostanziare, entare, far esistere; è la realtà, l’assoluta realtà. È assoluta realtà, perché, per Gioberti, Dio stesso è creare, creare sé stesso. Toglieteci creare e avrete il niente. — Eppure non si ha mai il niente; giacché togliere qui è pensare; il pensare rimane, e ci è sempre. Ciò vuol dire: il creare, tolto, rimane; per¬ ché il togliere stesso è creare: cioè come semplice togliere — negare — è momento del creare. Ora come si prova la realtà, il creare? » «Il Pensare è; non può non essere. Il Pensare prova sé stesso: negare il Pensare è Pensare. 11 Pen- , IV. Gioberti, Nuova ProtoloQla, 6<t. Gentile, Bari, 1912, II, p. 211. in. - l’idealismo assoluto 403 sare è Certo, assoluto Certo. Il Pensare è atto dialet¬ tico, un mondo, totalità, sistema. Pensando, sem¬ plicemente pensando, io — come semplice pensare — fo, costruisco, creo questo mondo, questo mio mon¬ do, che è lo stesso Pensare. Questo mondo, creato dal Pensare, è assolutamente certo come il Pen¬ sare, è lo stesso Pensare. (Il puro mondo del Pen¬ sare è appunto la logica) » *. Come si vede, il problema di Spaventa è lo stesso problema cartesiano, svolto in tutta la sua potenza. Cartesio muove dairatlermazione dommatica e la nega col suo dubbio; ma questo dubitare è esso stesso un pensare, e l’essere che si annulla nel dub¬ bio risorge come il nuovo essere, l’essere del pensare; non più l’antico essere, la mera posizione arbitraria, ma il nuovo essere, come dialettismo, come l’essere che si annulla per risorgere in quanto si annulla, e cioè come sapere, come assoluto processo, in sé mediato, che è affermazione in quanto è negazione, certezza in quanto vittoria sul dubbio, verità in quanto superamento dell’errore, creazione in quanto è tutto ciò in una volta; originalità di pensiero che non sta al dato, ma lo riconosce in quanto lo as¬ simila; produttività di pensiero, che risorge perpe¬ tuamente dalle sue ceneri; creatività di pensiero che risorge unicamente da sé medesimo, in quanto la vita e la morte, l’affermazione e la negazione, la fede e il dubbio, sono del pari opera sua. Ecco i tesori del Cogito cartesiano, quel Cogito di cui lo stesso Cartesio non comprese il valore, e che rimase come un troncone morto nelle sue mani. Avere svolto questo concetto nuovo in tutta la sua > B. Spaventa, La filosofìa Italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari, 1909 (Appendice: Schizzo d’una storia della logica» p. 254). 404 LA FILOSOFIA ITALIANA inesauribile ricchezza è il grande pregio della Lo¬ gica hegeliana. Essa spiega il processo originale, creativo, per cui il pensiero creando le proprie de¬ terminazioni crea sé medesimo; è la storia ideale, eterna del pensiero, prospettata nel sistema della scienza. Sta qui il significato dell’afTermazione dello Spaventa, che la spiegazione del creare è la logica. Questa logica, di cui lo Spaventa toglie ad Hegel, dirò cosi, lo scheletro, è da lui svolta nel suo ca¬ rattere più profondo, perché concepita nel suo mo¬ tivo storico (cartesiano). L’interpretazione delle tre prime categorie, l’essere, il non essere, il divenire, costituisce di per sé sola il documento maggiore della originalità dello Spaventa. L’essere è da lui in¬ teso come la posizione immediata del pensiero, come il semplice pensato. Esso è l’assoluto astratto, è il pensiero che s’estingue neH’cssere. Ma io penso l’es¬ sere, c in quanto lo penso, l’essere non è più il sem¬ plice astratto, ma il mio astrarre, il mio pensare. Dunque, per virtù stessa del pensiero, l’estinguersi del pensiero nell’essere è in verità un distinguersi. Per la grande importanza dell’argomento, ripe¬ terò testualmente il nostro autore. « Fissando l’essere — egli dice — io non mi distinguo come pensiero dall’essere; io mi estinguo come pensiero nell’es¬ sere; io sono l’essere. — Ora questo estinguersi del pensare nell’essere è la contradizione dell’essere. E questa contradizione è la prima scintilla della dialettica. — L’essere si contradice, perché questo estinguersi del pensare nell’essere, — e solo cosi è possibile l’essere, — è un non estinguersi: è distin¬ guersi, è vivere. Pensare di non pensare, fare astra¬ zione dal pensare, cioè fissare l’essere, è pensare; è astrazione, cioè pensare. » Questa contradizione del pensiero che si estingue nell’essere, e in quanto si HI. - l’idealismo assoluto 405 estingue, pensa, e cioè si distingue e risorge, è il divenire — inteso come pensare. « Essere e non Essere, in quanto inverati nel Di¬ venire, non sono più quel che erano prima di essere inverati; ma sono ciascuno quella stessa unità nella differenza che è il divenire; e in quanto tale unità, sono davvero, cioè attualmente, distinti. In quanto veramente uno e distinti, si dicono appunto inverati; cioè momenti del divenire». < L’essere come momento è l’essere che di¬ viene : il cominciare, il nascere (il distinguersi); il non essere come momento è il non essere che diviene: il cessare, il perire (l’estinguersi).» * Cosi il divenire stesso è il cominciare che cessa, e il cessare che comincia; il nascere che perisce, e il perire che nasce (il distinguersi che si estingue, e l’estinguersi che si distingue). Eterno perire, eterno nascere. Questo eterno perire che è eterno nascere, questo eterno nascere che è eterno perire, è il Pensare. Penso, cioè nasco come pensare; ma non posso afferrar me stesso come pensare, ma solo come pensato, e perciò perisco come pensare. Perendo come pensare, penso, e perciò nasco come pensare. E cosi sempre » L Ho riportato questo lungo brano, perché è una veduta profondissima nella Logica di Hegel, e nello stesso tempo la confutazione completa del sistema deWEnciclopedia. Nella dialettica dell’essere e del non essere interviene un fattore che Hegel, fedele alle partizioni sistematiche della sua dottrina, po¬ neva un po’ all’ombra: è il Cogito di Cartesio, l’/o penso di Kant. Il che non esprime altro se non que- * B. Span’enta, Le prime categorie della logica di Hegel (in Scritti fllosofìcit ed. Gentile, Napoli, 1901, pp. 196-200Ì. 406 LA FILOSOFIA ITALIANA sto, che il dialettismo della logica di Hegel non è concepibile come semplice sistema della scienza, come puro sviluppo del Logo in sé, ma come attività immanente della coscienza. La conversione del pen¬ siero con l’essere, la risoluzione dell’essere nel pen¬ siero, è il processo che si compie nella luce della mia coscienza, ed è psicologico nello stesso tempo che logico e storico. Qui la fllogenesi non è già che ripeta l’ontogenesi, ma è essa stessa l’ontogenesi; il pensiero non si produce come semplice psiche che ha di fronte a sé un mondo, della natura o della scienza, ma c esso stesso la realtà di quel mondo; e non riproduce nella sua genesi psicologica la genesi storica, ma è esso stesso questa genesi storica. Si dice che noi esistiamo in virtù del passato; si può aggiungere che il passato esiste in virtù nostra, del nostro pensiero: il vero senso di questa reciprocità è l’eternità del pensiero, la divina eternità dell’atto in cui presente e passato sono tutt’uno e per cui non si distinguono il riprodurre dal produrre. Ciò implica piena fusione della fenomenologia, della logica, della filosofia della natura e della filo¬ sofia dello spirito, in una scienza sola, psicologia o fenomenologia che dir si voglia, che sia in pari tempo una storia ideale eterna dello spirito nel suo sviluppo. Questo assoluto psicologismo o assoluto empirismo a noi pare la conseguenza logica di tutta la filosofia post-kantiana. Ma lo Spaventa non trasse neppur una conse¬ guenza dalla sua premessa, e continuò a distinguere una fenomenologia da una logica, ed ambedue dalla filosofia della natura e dello spirito. Quindi si trovò impigliato nella difficoltà di dover distinguere due coininciamenti, uno della coscienza, un altro della scienza (della logica). Di qui il problema: qual è il HI. - l’idealismo assoluto 407 Primo della scienza? E la conseguente antinomia: < Primo provato è una contradizione; giacché se è provato, non è Primo. Dunque, si conchiude, non può essere provato. Ma d’altra parte, non può essere ammesso cosi ad arbitrio, ammesso perché ammesso, cioè dev’essere provato; altrimenti sarebbe un Pri¬ mo. ma non il Primo della scienza » *. E cercava di risolvere l’antinomia col riallacciare la logica alla fenomenologia, nel senso che quest’ultima, con l’epu¬ rare il pensiero dall’empiria, doveva preparare quel pensiero puro, quell’essere, che forma il principio della logica. Ma il problema, in cui tanto si travagliò 10 Spaventa, era un vero assurdo. Esso riassomigliava un po’ alla pretesa di voler derivare il pensiero da qualcos’altro, nel mentre che nessuno forse meglio dello Spaventa ha riconosciuto che il pensiero non può derivare che da sé medesimo. Il pensiero si de¬ duce da sé; il suo dedursi è un prodursi; provare 11 Primo del pensiero è ancora un pensare. Qui il regresso non è che apparente; in realtà è un pro¬ gresso; quindi è falsa la pretesa di voler riportare la prova a un grado antecedente del pensiero, ed è falsa ancora l’idea di voler ricercare un Primo della scienza: il carattere del pensiero è questo suo farsi primo in ogni atto, questo suo farsi centro in ogni momento; e perciò la ricerca di un primo determi¬ nato non ha senso, perché dove tutto è primo non c’è nessun Primo; e l’assoluto primo è appunto il pensare concreto. Ma una volta per questa via. Io Spaventa era condotto insensibilmente ad aggravar l’errore; posta la distinzione tra una fenomenologia e una logica, tra una propedeutica e una scienza, ne veniva di > B. Spaventa, La fllos. Hai. clt., p. 258. 408 LA FILOSOFIA ITALIANA conseguenza un’altra distinzione: quella della verità in sé e della verità per noi, di una metessi e di una mimesi, nel linguaggio giobertiano. « Questa pro¬ pedeutica, egli diceva alludendo alla fenomenologia, che è scienza, e prova il primo della scienza, ci è solo in quanto ci siamo noi, coscienza o spirito fi¬ nito: noi dobbiamo elevarci alla scienza, non siamo immediatamente scienza. La vera scienza, invece, ci è in sé assolutamente; è non solo umana, ma di¬ vina; quando l’altra è solo umana, e non divina. È di¬ vina come momento della vera scienza, non come propedeutica; Dio non ha bisogno di propedeu¬ tica » *. Quanti c.avilli per dissimulare un passo falso! In fondo qui Spaventa è un dommatico della più bell’acqua, un platonico che distingue una verità in sé e una verità per noi, mentre ciò ripugna nel modo più completo al nuovo idealismo. La ragione dell’errore è che allo Spaventa manca del tutto una fenomenologia dell’errore; quindi egli non riesce a svolgere il concetto nuovo della verità come svi¬ luppo, come processo, che pure è nello spirito della sua lìlosotìa; ma Unisce inconsciamente coll’oggetti- varla in un che di fatto e di compiuto, in una realtà in sé. Qui c’è ancora un residuo della men¬ talità del vecchio hegeliano, che mentre ammette il progresso, il movimento, e simili, è condotto poi, per la sua soverchia fedeltà alla lettera, a negare tutte queste cose, allorché è giunto al culmine della speculazione. Ma non è qui che bisogna vedere nella sua più grande vivezza il pensiero di Spaventa. Quello stesso Spaventa che affermava il carattere astratta- » Op. cU.t p. 265. III. - l'idealismo assoluto 409 mente divino della scienza, diceva poi, con quanta maggior verità!, che l’apriori è la stessa potenza nuova della natura, la potenza umana, la quale ri¬ sulta e si concentra e s’individua da tutta la sparsa attualità antecedente: e perciò è insieme un assoluto aposteriori'. Qui s’intravvede il vero Spaventa, il pensatore che meglio di ogni altro ha compreso la vera umanità dell'assoluto, di quell’assoluto che non è lontano da noi, ma ci è intimo, e non è fuori della nostra contingenza, ma è questa stessa contingenza, sub specie aeterni. Egli dice: « Tutti coloro che fanno ad Hegel due accuse opposte, di relativismo e di as¬ solutismo, sono il trastullo di una illusione ottica, propria della posizione in cui si mettono; ciascuna parte prende di mira nell’assoluto hegeliano qiiel- l’elemento che a lei fa male agli occhi: i semi-sog¬ gettivisti, l’esperienza (il fenomeno, la manifesta¬ zione, il divenire); gli oggettivisti, il pensiero; nes¬ suna ha l’animo e la potenza di aflìssarlo come quello che è veramente, vale a dire come ragione asso¬ luta, al di là della quale, oltre e fuori, non vi ha nulla, e il relativo e il cosi detto assoluto non sono che enti astratti, e come membri scissi dall’unità organica e viva: da un lato viene scambiata la re¬ lazione col relativo (come opposto all’assoluto), e daH’altro l’assolutezza coll’assoluto (come opposto al relativo). Ai primi io dico: il processo dal primo pensabile (dal puro essere) al pensabile assoluto (al¬ l'assoluta soggettività del mondo, come unità di co¬ noscere e volere, di verità e bontà), e da questo come prima esistenza, esteriorità omogenea e indif¬ ferente o spazio, all’intimità o soggetto corporeo, * Scritti flios. eli., p. 313 (Paolotlismo, positivismo, razio- nalismo). 410 LA FILOSOFIA ITALIANA all’animale, al senso, come senso umano o spirituale, allo spirito o soggetto assoluto, questo processo non è un gioco vano del pensiero con sé stesso, sola¬ mente nel mio intendimento, o un pallido riflesso di un lontano ed invisibile oggetto; ma, come atto infinito, come il pensiero che si determina in sé medesimo e si raccoglie nelle sue determinazioni e si condensa e concentra e si compie e pone come assoluto pensiero, è l’atto dell’assoluto, il suo intendi¬ mento, la presenza sua, lui stesso. Ai secondi dico: questo processo, appunto come produzione, osserva¬ zione critica che il pensiero fa di sé stesso, e in quanto il pensiero, e non altro che lui, principia originalmente e investe sempre e conchiude quella che si chiama comunemente esperienza, e non si esercita fuori e senza di questa come in vuoto aere; questo processo è non solo empiria, ma la vera e assoluta empiria; e ha sempre più valore d’ogni frammento e articolo sconnesso a cui si dà tal nome » *. Qui, pur con qualche reminiscenza dell’antico schematismo hegeliano, c’è il pensiero nuovo, che concentra tutta la vita dell’hegelismo. Di fronte al concetto della relazione assoluta, che è quello stesso del fenomenizzarsi della realtà nel pensiero umano, scompare ogni dualità del pensiero in sé e del pen¬ siero per noi, di un processo della coscienza e di un processo della scienza; e in quanto la realtà non è il mero contingente né il mero assoluto, ma il pro¬ cesso assoluto del contingente, essa non è soltanto una soluzione o una cosa bell’e fatta e anticipata senza problema, né qualcosa che si perseguita sem¬ pre e a cui non si arriva mai, un eterno problema 1 B. Spaventa. Principii di etica, Napoli, 1904, pp. 22-23. III. - l’idealismo assoluto 411 che non è mai soluzione, ma è l’eterno problema che è l’eterna soluzione, l’assoluta possibilità che è l’assoluta attualità. Svolgere questo concetto è sod¬ disfare all’esigenza millenaria posta <ia Aristotele, dell’unità di potenza ed atto, che può trovarsi solo nell'assoluta convertibilità dell’una e dell’altro. Pa¬ scal diceva profondamente: noi non cercheremmo se non avessimo già trovato; noi possiamo ripe¬ tere il motto del pari profondo dello Spaventa, che lo spirilo è eterno problema che è eterna so¬ luzione, e farne l’insegna della nostra vita specu¬ lativa. 2. La storia della letteratura di F. De San- CTis. — ■ L’insegnamento dello Spaventa non ebbe da principio una notevole efficacia. Pochi e fedeli sco¬ lari, tra i quali bisogna ricordare il De Meis, il Jaia, il Maturi, raccolsero e custodirono gelosamente il pensiero del maestro; ma come questi non aveva saputo trarre il frutto delle sue geniali intuizioni e differenziarsi da Hegel, cosi neppure gli scolari eb¬ bero sentore della radicale trasformazione dell’hege- lismo che si andava preparando sotto i loro occhi, anzi accentuarono sempre più il momento platonico, contemplativo di quella dottrina, che divenne per essi una vera religione, un simbolo da conservare gelosamente nella sua integrità. Perciò non senti¬ rono l’urto dei tempi nuovi e dei bisogni nuovi che sorgevano: temperamenti mistici e religiosi, essi convertirono il valore speculativo della dottrina nel valore mistico di una fede, e finirono cosi con l’im- mobilizzare la vita del pensiero. Non cosi aveva fatto lo Spaventa, il cui pensiero s’era continua- mente ringiovanito nell’urto delle nuove dottrine. 412 L\ FILOSOFIA ITALIANA e che aveva cosi creato ciò che nelThegelismo non aveva trovato ancora il suo giusto riconoscimento . il senso della positività, della concretezza assoluta del pensiero. In ciò si rivelava il valore negativo, dialettico del positivismo. Per via diversa, lo stesso processo di dissoluzione deH’hegelismo che si compiva inconsapevolmente nel pensiero dello Spaventa, avveniva per opera del suo grande conterraneo, Francesco De Sanctis. La sua storia della letteratura, monumento unico nella cultura europea, ci dà lo svolgimento dello spirito italiano dai suoi primi albori, via via attraverso i secoli, alla formazione della mentalità moderna. L’arte è per il De Sanctis appunto la vita dello spirito in quanto individuata nel senso, e resa tra¬ sparente a sé medesima; è il contenuto della vita in quanto è giunto alla chiarezza della forma. La storia dell'arle è perciò il processo d’individuazione della mentalità, è l’unità di pensiero e di senso come svi¬ luppo. Togliete all’opera d’arte il suo carattere indi¬ viduale, e avrete la scienza astratta che vale per una vuota eternità, ma che perciò non è più nulla di con¬ creto, perché lo spirito è vita, è varietà di atteggia¬ menti e di forme; togliete la trasparenza dell’idea, dell’universale nel .senso, e il senso stesso vi si adom¬ bra, non è più la luminosità della fantasia, ma l’opa¬ cità della semplice immaginazione, vano gioco del meccanismo psicologico. In questa reciprocanza di universale e individuale sta il segreto dell arte, che non è arbitrio dell’individuo, né il mero rispec¬ chiarsi della vita nella fantasia, ma è la vita stessa che nel suo svolgimento giunge alla propria chia¬ rezza intuitiva. Sta qui, se non mi sbaglio, il signifi¬ cato di quella corrispondenza che il De Sanctis in- HI. - l’idealismo assoluto 413 daga in tutta la sua opera, tra l’arte e il contenuto della vita da cui si forma; corrispondenza che non è quella della pura rappresentazione al rappresentato — perché l’arte allora non sarebbe che copia della realtà — ina, sarei per dire, quella della realtà a sé medesima, ed esprime cioè l’equilibrio, o lo squili¬ brio dei vari momenti della formazione spirituale. Ciò posto, il rapporto del contenuto della vita — religione, morale, scienza, ecc. — all’arte, non è il mero rapporto del contenuto e della forma, ma è lo sles.so processo d’individuazione storica del conte¬ nuto, che raggiunge la chiarezza della forma. Ciò che falsifica l’arte è la costrizione arbitraria di un contenuto inerte in una forma posticcia; è il preten¬ dere che Machiavelli indossi la cotta o Ariosto cinga la spada. Ma quelle determinazioni etiche che in un Machiavelli sarebbero una stonatura, perché la chia¬ rezza del mondo storico della Rinascenza è appunto il naturalismo umano, senza alcun sentore di vita spirituale, raggiungono invece la concretezza del¬ l’arte in un Manzoni, quando cioè nel ciclo storico s’è sviluppata in tutta la sua potenza la nuova idea umana. Cosi ancora quella scienza che nella lette¬ ratura che va fino a Dante non giunge alla sua espressione artistica, perché il suo contenuto è fatto trascendente ed estraneo allo spirito, trova la sua consacrazione in un Bruno o in un Galilei, perché col riconoscimento dell’umanità del sapere, ogni dis¬ sidio è colmato. Né si creda che cosi l’arte venga commisurata a un criterio estrinseco, o sottoposta alla contingenza del tempo; ma la sua eternità è questa stessa con¬ tingenza, in quanto concentra e individua l’univer¬ salità dello spirito. Dante, Machiavelli, Manzoni sono fuori della storia appunto perché — sembra un para- 414 LA FILOSOFIA ITALIANA dosso _ sono cosi profondamente radicati nella sto¬ ria. Qui. come da per tutto, l’assoluto non è fuori del contingente, ma ne è la vita stessa interiore. Con pochi nomi che segnano i momenti culmi¬ nanti dello sviluppo spirituale, e con molte sfuma¬ ture e passaggi intermedi, il De Sanctis costruisce la sua storia della letteratura. L’idea centrale di essa è quella della formazione del mondo dantesco come espressione più compiuta del medio evo, e la sua dissoluzione nei secoli seguenti, fino alla nega¬ zione più completa nello .scetticismo presago dei tempi moderni, e alla nuova formazione d’un mondo tutto umano, in piena antitesi con l’antica trascendenza. « L’uomo e la natura, egli dice, hanno nel medio evo la loro base fuori di sé, nell’altra vita; le loro forze motrici .sono personificate sotto nome di universali ed hanno un’esistenza separata. Questo concetU) della vita genera la Divìtict Cotnmedio. La macchina della storia è fuori della storia ed è detta la Provvidenza. Questa macchina è nel mondo boccaccesco il caso, la fortuna. Non ci è più la Provvidenza, e non ci è ancora la scienza. Il meraviglioso non è più detto miracolo, anzi del miracolo si fanno beffe, ma e detto intrigo, nodo, accidente straordinario. Le pas¬ sioni, i caratteri, le idee, non sono forze che regolano il mondo, sopraffatte da questo nuovo fato, la vo¬ lubile e capricciosa fortuna. Il Machiavelli insorge e contro la fortuna e contro la Provvidenza, e cerca nell’uomo stesso le forze e le leggi che lo conducono. 11 suo concetto è che il mondo è quale lo facciamo noi, e che ciascuno è a sé stesso la sua provvidenza e la sua fortuna. Questo concetto doveva profon¬ damente trasformare l’arte. » Con la nuova scienza sorge la nuova letteratura. L’antica trascendenza è negata e l’uomo acquista coscienza della propria m. - l’idealismo assoluto 415 soggettività. La nuova poesia è come la nuova scienza, umana; essa si preannunzia nella malattia del Tasso; la malattia dell’uomo moderno. E il carat¬ tere umano di quest’arte si può esprimere con un termine: quello di lirismo. Il De Sanctis non mise forse in un giusto rilievo questo momento della liri¬ cità dell’arte; svolgere questo concetto è stata opera del Croce. Secondo noi, è da darne un’interpreta¬ zione più orientata verso la storia; ma la determi¬ nazione puramente ideale del concetto rientra nel quadro generale della illosofia del Croce che impa¬ reremo a conoscere tra breve. Il gran merito del De Sanctis sta nell’avere at¬ tuata nella sua maggior concretezza l’idea hegeliana dello spirilo come sviluppo, e di aver concepita l’arte nel dinamismo stesso della vita, spogliando il nuovo concetto da ogni schematismo arbitrario. L’opera sua, come quella dello Spaventa, non fu compresa in Italia, e non trovò seguaci. I meri eru¬ diti le negarono il nome di storia, e i più benevoli si piacquero di considerarla come un insieme di monografie. Tanta cecità oggi ci stupisce, ma lo stu¬ pore cessa quando si pensi alla dilllcoltà che incon¬ tra nel concepire il movimento chi non si muove. •’l. Il marxismo. — Una propaggine dell’inse¬ gnamento di Bertrando Spaventa innestata sul tronco del positivismo è la storia del materialismo storico di .\ntonio Labriola. Scrittore vivace, acuto, pur senza grande profondità e vero ingegno specu¬ lativo, il Labriola seppe dare tutta un’intonazione propria al marxismo. E mentre questo degenerava in Germania in una vuota ideologia dualistica, egli ne fece una dottrina della storia d’intonazione 416 LA FILOSOFIA ITALIANA Strettamente monistica. « La storia, egli dice non poggia sulla differenza di vero e di falso, o di giusto e d’ingiusto, e molto meno sulla più astratta antitesi di possibile e di reale; come se le cose stessero da un canto ed avessero dall’altro canto le proprie ombre e fantasmi nelle idee. Essa è sempre tutta d’un pezzo, e poggia tutta sul processo di formazione e di trasformazione della società; il che è da intendere in senso affatto oggettivo, e indipendentemente da ogni nostro gradimento o sgradimento.» Ma questo ogget¬ tivismo nel Labriola, che è memore dell’insegna¬ mento di Vico e di Engels, non è disconoscimento del valore umano della storia, ma solo del mero arbi¬ trio umano. Onde può dire che < producendo succes¬ sivamente i vari ambienti sociali, ossia i successivi terreni artiliciali, ruomo ha prodotto sé stesso; e in ciò consiste il nocciolo serio, la ragione concreta, il fondamento positivo di ciò che per varie combina¬ zioni fantastiche e con varia architettura logica, dà luogo presso gl’ideologi alla nozione del pro¬ gresso dello spirito umano » Questo è idealismo schietto; e appunto perciò il Labriola doveva esser meno che mai propenso a insistere sulla distinzione tra la struttura economica e la soprastruttura poli¬ tica e sociale della società, come si rileva ancora dall’acuta critica che egli fa della dottrina dei fat¬ tori della storia. Ond’è che la parte più strettamente socialistica della dottrina di Marx sta un po’ a pi¬ gione nella sua filosofia della storia, e riesce spesso a un travestimento puro e semplice di concetti he- I A. Lahriola, Saotji intorno alla concezione materialietica della storia, I: In memoria del manifesto dei comunisti, Roma, 18952, p. 15. » A. Labhiola. Saggi ecc.. Ili; Discorrendo di socialismo e filosofia, Roma, I90Z2, pp. 80, 104. ni. - l’ideausmo assoluto 417 geliani. Cosi egli asserisce che per il materialismo storico il divenire, ossia l’evoluzione, è reale, anzi la realtà stessa, come è reale il lavoro, che è il prodursi deU’uomo che ascende dalla immediatezza del vivere animale alla libertà perfetta (che è il comuniSmo). E ancora, non c’è un inconoscibile, o comunque, un limite alla conoscibilità, perché neH’indefinito pro¬ cesso del lavoro, che è esperienza, gli uomini cono¬ scono tutto ciò che fa bisogno e che è utile di cono¬ scere. Qui il travestimento, ancorché operato da un uomo d’ingegno, non è meno un travestimento, e arieggia assai da vicino quelli del prammatismo. Ma, fuori di queste reminiscenze, la sostanza del¬ l’opera del Labriola sta appunto in ciò che, con l’ap¬ profondire il concetto della storia, essa contiene la confutazione implicita del materialismo storico. Una volta negato ogni dualismo, ogni teoria dei fattori della storia e ogni interpretazione semplicistica dello sviluppo umano, vien meno ogni ragione di distin¬ guere nella storia l’economia dalle soprastrutture sociali e di porre quella a fondamento di queste. Preso nella sua maggiore concretezza, e senza più quel connubio di storia e di naturalismo che gli dava un significato caratteristico nelle opere del Marx e dell’Engels, il materialismo storico non ha più ra¬ gion d’essere come lllosofia della storia. E in una recensione dell’opera del Labriola, il Croce accennò appunto a questo fatto, della liquida¬ zione del materialismo storico, inteso come filosofia. Per il Croce esso restava come un semplice canone della storiografia, o meglio, come « una somma di nuovi dati, di nuove esperienze, che entra nella co¬ scienza dello storico ». Ma la critica a parer mio più conclusiva della dottrina è stata data dallo stesso Croce in un articolo su La fine del socialismo, e non G. DE Ruggiero, La filosofia contemporanea. 27 418 LA FILOSOFIA ITALIANA con un’astratta analisi dottrinale, ma con un esame storico sull’origine e lo sviluppo del marxismo. Di qui risulta in modo chiaro il valore meramente con¬ tingente e transitorio del materialismo storico, la cui utopia comunista è stata la generalizzazione affretta¬ ta, e poi smentita dai fatti, delle esperienze che la sto¬ ria ha accumulato sulla formazione del capitalismo. Cosi il materialismo storico che in Germania e in Francia si avviava per vie diverse al regno di Utopia, ha finito invece in Italia col trovare il suo elogio funebre; e, negandosi come filosofìa della sto¬ ria, è stato in pari tempo d’impulso fecondo nella formazione delle nostre dottrine della storiografia. 4. La FILOSOFIA DELLO SPIRITO DI B. CrOCE. - Nella filosofia del Croce i vari motivi della specu¬ lazione antecedente si concentrano e s’individuano in un foco unico di grande chiarezza. La concezione vichiana dell'arte e della storia, insieme alle larghe vedute del De Sanctis sulla critica letteraria, hanno dato l’orientamento e l’intonazione fondamentale al pensiero del Croce, che s'è svolto fin da principio secondo i due indirizzi, della storiografia e dell’este¬ tica. L’interesse più strettamente speculativo della dottrina non è sorto che tardi, quando questa era già quasi formata, e non ha cagionato nell’interno di essa nessuno squilibrio o mutamento notevole, ma solo un coordinamento più intrinseco delle sue parti. Questo spiega come mai il Croce abbia potuto de¬ terminare cosi nettamente la propria posizione di fronte ad Hegel, e distinguere — ciò che prima non era stato mai tentato — le parti vive del sistema hegeliano da quelle morte, mentre tutti i seguaci di Hegel si sono trovati impigliati, più o meno irrime- III. - l’ide.\lismo assoluto 419 (liabilmenle, nelle maglie di quella dottrina. La ra¬ gione è che Croce non è stato mai un hegeliano nello stretto senso della parola; e anche quando più intensamente studiava il lìlosofo di Stoccarda, era già tutto lui. Di Hegel l’attraeva specialmente quel senso vivo dei problemi, quel temperamento ostile ad ogni vago sentimentalismo e morboso misticismo, e lìnalmente quella coscienza seria e rigida della vita, fatta di lavoro tenace e non di facili rivelazioni dell’intuito e del sentimento: caratteri che erano anche i propri. Ma di fronte a questo momento hegeliano del carattere del Croce, e in antitesi con esso, ve n’è un altro, che, per restare nella storia, chiamerei herbar- tiano. Infatti, come in Herbart ci è dato osservare una forza speculativa di prira’ordine, che si svolge con una potenza che ha il suo riscontro solo in Hegel, — ma poi a un certo punto un arresto brusco per cui la dialettica viene strozzata e l’unità del reale fran¬ tumata; cosi, anche nel Croce, si può notare nell’ap¬ parente uniformità del pensiero, un hiatus profondo, una contradizione insoluta, tra una cultura impron¬ tata al dinamismo più ricco di vita, e un gusto delle distinzioni e classificazioni, che raffredda quella vita o è incapace di contenerla. Chi legga le belle pagine del Croce sulla dialettica degli opposti nel libro su Hegel, e molte ancora nella Filosofìa della Pratica — che segna il punto culminante del suo pensiero — si convincerà facilmente che là dentro non c’è al¬ cuna reminiscenza di Hegel, o di altri, ma c’è una mentalità nuova, originale, che si svolge tutta com¬ presa dell’attualità dei problemi tra cui si muove. Ma poi, dalla rete delle distinzioni, una parte di quella vita ^fugge e lo slancio speculativo si disperde; onde avviene che l’intimità più profonda del reale e il 420 LjV filosofia italiana senso vivo della storia cadano in certo modo fuori del sistema, nella personalità del filosofo che lo domina. Nel Croce a me pare che siano ancora in conflitto due culture: da una parte la critica insi¬ stente e decisiva del naturalismo in tutte le sue forme, nella letteratura, nella logica, nella pratica, ha lasciato nel suo pensiero delle tracce di quello stesso naturalismo, determinando, in antitesi con la Babilonia filosofica degli ultimi cinquant’anni, una tendenza a segnare dovunque dei confini netti e precisi, che spesso, come vedremo, rompono l’unità dello spirito; ma d’altra parte, dalla considerazione viva e attuale dei problemi filosofici, che in lui non ha niente della reminiscenza o dello sforzo, ma muove dalla vita per tornare ad essa, sorgono mo¬ tivi profondi di pensiero, anzi tutta una mentalità nuova, per cui l'immanentismo non è parola, ma atto, e che conferisce ai problemi quell’interesse di cui solo i veri pensatori conoscono il segreto. Perciò il Croce è stato un grande suscitatore e agitatore di problemi, in un tempo in cui questi erano sopiti; e quali che siano le soluzioni che ha tentato di darne, le si accetti o le si respinga, resta sempre a lui il merito di aver rinnovata la cultura italiana. Il progresso del Croce sulla speculazione del se¬ colo XIX è consistito in ciò, che egli ha iniziato quel movimento di dissoluzione del sistema hegeliano, che, nella pesantezza ingombrante della sua mole, sof¬ focava gli stessi problemi vivi che s’erano agitati nel pensiero di Hegel. Se la dialettica è pensiero in fieri, è negazione del fatto e conversione di esso nel pen¬ siero, il lavoro di dissoluzione della grande mole del sistema hegeliano è nello spirito stesso dell’hegeli- smo. I due punti nei quali più si dimostra efficace la critica del Croce sono la recisa negazione di ogni III. - l’idealismo assoluto 421 lìlosolìa della natura e di ogni distinzione tra una fenomenologia e un sistema filosofico. Questa parti¬ zione aveva nella doltrina di Hegel un valore tutto storico, perché rispondeva ai vari momenti della formazione del suo pensiero, ma non può avere un valore logico in una filosofia idealistica per cui non v’è una realtà fatta a cui il pensiero debba ade¬ guarsi, ma per cui la realtà è lo stesso pensiero, cioè il suo stesso processo nella conquista della verità. E, quanto all’idea di un’elaborazione speculativa del concetto di natura, essa è un non-senso, perché con¬ siste precisamente nel conferire una realtà in sé a una costruzione arbitraria del pensiero; è insomma, diremmo noi, un residuo della vecchia metafisica dell’essere. Pensar la natura come natura è un as¬ surdo; in quanto la si pensa, la natura è già spi¬ rito; quindi non v’è altra filosofia possibile che la filosofia dello spirito. La liquidazione degli errori di Hegel rende pos¬ sibile un più giusto apprezzamento delle sue verità. E la verità fondamentale della filosofia hegeliana è la scoperta del concetto concreto, 'della sintesi degli opposti. Il pensiero non è vuota identità, né mera opposizione, ma l’unità profonda nell’opposizione, c Gli opposti non sono illusione, e non è illusione l’unità. Gli opposti sono opposti tra loro, ma non sono opposti verso l’unità: giacché l’unità vera e concreta non è altro che unità, o sintesi, di opposti: non è immobilità, è movimento; non è stazionarietà, è svolgimento. Il concetto filosofico è universale concreto; e perciò è pensamento della realtà come, tutt’insieme, unita e divisa. » Senza dialettismo, non c’è sviluppo. Chi dice pura identità del pensiero con sé, dice verità che non sia superamento di errore; bene, che non sia trionfo sul male; bello, che non 422 LA FILOSOFIA ITALIANA sia vittoria sul brutto; e perciò lungi dal concepire la realtà spirituale nella sua concretezza, ne prende 10 schema vuoto e astratto. Il motivo dialettico deU’hegelismo si compendia per il Croce tutto nella prima triade della Logica: essere, nulla, divenire, c Che cosa è l’essere senza 11 nulla? l’essere puro, indeterminato, inqualificabile, ineffabile; l’essere, beninteso, in universale, non que¬ sto o quell’essere in particolare? in che modo si di¬ stingue dal nulla? E che cosa, d’altra parte, è il nulla senza l’essere, il nulla concepito in sé, senza determinazione e qualifica alcuna, il nulla in gene¬ rale, non il nulla di questa o quella cosa in partico¬ lare, in che modo si distingue da quell’essere? Chi prende l’un solo dei due termini, gli è come se pren¬ desse solo l’altro; giacché l’uno ha significato solo nell’altro e per l'altro. Cosi chi prende il vero senza il falso, il bene senza il male, fa del vero qualcosa di non pensato, — perché il pensiero è lotta contro il falso, — e quindi qualcosa di non vero; del bene qualcosa di non voluto, — perché volere il bene è negare il male, — -’e quindi qualcosa di non buono. Fuori della sintesi, i due termini astrattamente presi si confondono tra loro e scambiano le loro parti: la verità é soltanto nel terzo; e cioè, per la prima triade, nel divenire, che perciò, come Hegel dice, è il primo concetto concreto » ‘. Nella scoperta della dialettica degli opposti con¬ siste, dunque, per Croce, il merito permanente di Hegel. 11 suo torto invece sta nell’avere abusato di questo concetto, ed esteso indebitamente la dialettica dagli opposti ai distinti, cioè alle forme spirituali. » B. Croce, Ciò che é viuo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, Bari, 1907, p. 22. IH. - l’idealismo assoluto 423 Vero e falso, bene e male sono realmente opposti tra loro, e vale quindi per essi il principio hegeliano, che il termine positivo non ha vita se non trionfando del negativo. Ma lo stesso non può dirsi dei concetti di bello e di vero, di vero e di bene; queste seconde coppie presentano, rispetto alle prime, la peculiarità che ciascun termine non annulla l’altro, ma può armonizzarsi con esso. «Il vero non sta al falso nel rapporto stesso in cui sta al buono; il bello non sta al brutto nel rapporto stesso in cui sta alla verità filosofica. Vita senza morte e morte senza vita sono due falsità opposte, la cui verità è la vita, che è nesso di vita e di morte, di sé e del suo op¬ posto. Ma verità senza bontà e bontà senza verità non sono due falsità, che si annullino in un terzo termine: sono false concezioni, che si risolvono in un nesso di gradi, pel quale verità e bontà sono di¬ stinte e insieme unite» ^ Questa unità-distinzione è la dialettica dei di¬ stinti, o meglio la dottrina dei gradi dello spirito. Se il bello e il vero non sono dialettizzabili come il vero e il falso, e d’altronde non possono venir consi¬ derati ecletticamente come le specie d’un genere, la soluzione del problema del loro rapporto non può stare, secondo il Croce, che nel concepirli come due momenti dell’attività conoscitiva dello spirito: un primo grado, fantastico, e un secondo, logico; il primo, logicamente concepibile senza il secondo, ma non viceversa. L’attività fantastica, intuitiva, non presuppone l’attività logica, ed è la forma primaria, ingenua dello spirito; mentre invece il logo, il concetto, non vive se non in quanto è intuito ed espresso, ed implica perciò il primo grado dell’atti- 1 0/7. ci7,, pp. 89-90. 424 LA FILOSOFIA ITALIANA vita spirituale. Alla ilottrina empirica della classilì- cazione delle forme spirituali subentra così quella lilosolica deirimplicazione delle varie forme, che non annulla l’universalita di ciascuna, ma le confe¬ risce il suo pieno riconoscimento, e insieme deter¬ mina l’ordine ideale di tutte, inteso come un po¬ tenziamento progressivo della realtà spirituale. Per questa via il Croce distingue due forme fon¬ damentali dello spirito, la teoretica e la pratica, e, neH’interno di ciascuna di esse, due forme subor¬ dinate; intuizione e concetto nella prima, a cui rispondono, neH’altra, Teconomia e l’etica, concepite nello stesso rapporto d’impticazione. Il passaggio dall’una all’altra costituisce la vita spirituale; esso però non determina, come nella dialettica degli op¬ posti, un annullamento delle forme oltrepassate, lierché la circolarità del processo spirituale rende possibile l’eterno ritorno di ciascuna. E d’altra parte, quel passaggio non si fa per contradizioni in¬ trinseche a ciascuna forma, ma per la contradizione stessa intrinseca al reale, che è divenire; altrimenti sarebbe reso impossibile ogni ritorno, o impliche¬ rebbe un inconcepibile regresso. Questa, nelle sue linee essenziali, è la dottrina proposta dal Croce, dei gradi spirituali, e della dia¬ lettica dei distinti. In seguito noi vedremo con quanto vigore egli abbia cercato di conciliarla con la dialettica degli opposti; ma l’assunto a noi sem¬ bra insostenibile, perché le due dialettiche, non che coesistere l’una con l’altra, si annullano reci¬ procamente. Da un punto di vista storico, l’originalità di He¬ gel di fronte a Kant consiste tutta nell’aver con¬ vertito la sintesi a priori, che per Kant era una sintesi di distinti, in una sintesi di opposti. Solo cosi in. - l’idealismo assoluto 425 la sintesi a priori che era in Kanf un principio ancora inerte, ha potuto svolgere tutta la ricchezza del suo contenuto: suU’opposizione fondamentale del senso e deH’intelletlo, che porta inevitabilmente alle antinomie, si eleva l’attività mediatrice della ra¬ gione che risolve le antinomie via via che son poste, e vien così concepita in un ritmo eterno di sviluppo. Ma per il Croce, l’unità di senso e di intelletto non è unità di opposti, bensì di distinti; quindi non può esservi tra i due termini conversione reciproca, con- fradizione, antinomia; per conseguenza la sìntesi a priori — sintesi di distinti — contiene la semplice unità sfatica di quelle determinazioni, mentre le sfugge appunto lo sviluppo spirituale: la vita dello spirito cade in un certo modo fuori dello spirito. Il Croce all'erma, si, che le conlradizioni, le antitesi, (che sono il lievito dello sviluppo) son poste dalla vita, senza esistere pertanto tra le varie forme spiri¬ tuali, ma non si accorge che cosi la vita finisce col cader tutta fuori di quelle forme, che pur dovrebbero compendiarla in sé, senza residui. Gli è che vi sono in lui due esigenze opposte, inconciliate, di pensiero: da una parte, in quanto afferma lo sviluppo, egli nega implicitamente le determinazioni statiche delle forme spirituali; dall’altra, in quanto afferma que¬ ste ultime, nega lo sviluppo. Noi vedremo come il conllitto di questi due interessi finisca col paralizzare ed annullare alcune delle sue più acute concezioni. La prima forma dello spirito teoretico è l’arte, la conoscenza intuitiva. In questo campo, avere iden¬ tificato l’intuizione con l’espressione; avere inteso il carattere non meramente rappresentativo, ma sog¬ gettivo, lirico e sentimentale dell’arte; fondato scientificamente la critica letteraria; unificato l’este¬ tica e la linguistica; compiuto una critica decisiva 426 LA FILOSOFIA ITALIANA della dottrina dei generi letterari e di tutto il vec¬ chiume retorico che toglieva la possibilità di inten¬ dere il valore intrinseco e genuino dell’opera d’arte, — io qui per necessità sono costretto ad accennare soltanto — ; son questi dei grandi e indiscutibili me¬ riti dell’opera del Croce, che si connette a quella del De Sanctis, e la svolge in un sistema scientifico jen coordinato. Secondo questi principi l’opera d’arte viene pie¬ namente individuata e colpita nella sua intimità. Ma, quanto alla determinazione del suo rapporto con lo svolgimento della vita in generale, il Croce alTerma, si, che il variare degli atteggiamenti dello spirito nella storia implica un mutamento anche nell’arte, e perciò, in un certo senso, la sua storicità; però il carattere troppo monadistico che egli attri¬ buisce all’opera d’arte è di ostacolo per una compe¬ netrazione intima dei due elementi, e fa si che l’idea dello svolgimento, di cui egli pur sente l’esigenza, sia transeunte piuttosto che immanente al poncetto dell’attività artistica. Ma questa difficoltà della con¬ cezione crociana, che nel campo dell’estetica è meno palese, perché il Croce stesso la risolve nella pratica della critica letteraria, dove il suo senso vivo della realtà spirituale prende il sopravvento, diviene più chiara nella trattazione dei problemi della logica. Dal primo momento ideale dello spirito teoretico, che è l’arte, la conoscenza intuitiva, si passa, nel sistema del Croce, al secondo momento, che è costi¬ tuito dal pensiero logico, dal concetto. Come l’arte è conoscenza dell’Individuale, così il concetto è pen¬ samento dell’universale, cioè riflessione autoco¬ sciente del pensiero; e, per il principio dell’impli¬ cazione o dei distinti, il pensiero logico è l’unità dei due momenti, universale e individuale, concetto e in- III. - l’idealismo assoluto 427 tuizioiie. Come tale esso è il giudizio, che in quanto predica le categorie del soggetto individuale, intui¬ tivo, è giudizio sintetico a priori, e, in quanto è, per questo suo carattere, creatore di realtà, è giudizio storico, e si distingue nettamente dal giudizio clas¬ sificatorio, che è la semplice formula abbreviativa e schematica di una realtà già presupposta. Ma sul modo con cui il Croce intende il giudizio sintetico a priori, noi dobbiamo muovere quella dif¬ ficoltà che abbiamo già fatta, parlando della dialet¬ tica dei distinti in genere. Come unità di determi¬ nazioni distinte e non opposte, esso non è veramente la conversione dei suoi termini l’uno nell’altro, e perciò non attività giudicante (identità come svi¬ luppo), ma unità puntuale dei suoi momenti: unità posta di determinazioni poste. Ciò che gli manca, è il motivo dialettico. Di quest’ultimo se ne trova, nella logica del Croce, un accenno profondo, ma è in qualche modo soffocato dalla dottrina dei di¬ stinti. Noi intendiamo riferirci alla fenomenologia dell’errore. Alla teoria dell’errore, in una logica idealistica, spetta un posto centrale, perché, col venir negata ogni realtà fatta fuori del pensiero, la verità non può esser mai un risultato bell’e compiuto, commi¬ surato alla norma estrinseca del modello, ma dev’es¬ sere intesa al contrario come sforzo, ricerca, pro¬ cesso, e quindi come criterio intrinseco per il supe¬ ramento dell’errore. Spetta al Croce il merito di aver portato la discussione su questo importante problema, trascuralo in genere dalla filosofia contemporanea, che vive ancora in gran parte nel pregiudizio che la verità sia neH’oggetto, come tutto fisico o ideale, e fa perciò dell’errore il semplice distinto dal vero. Ma il pensiero — è una cosa ovvia! — non può pensare 428 LA FILOSOFIA ITALIANA indifliTentemente il vero e il falso; un pensiero che pensi il falso è un assurdo, un non senso. Ora il tnerilo del Croce sta nell’aver mostrato che il falso non è già il distinto, ma l’opposto del vero, e, come tale, il non essere, la semplice negazione dialettica: il pensiero è pensiero della verità, è superamento continuo dell’errore, e come tale, è dialettismo, svi¬ luppo. Ma ecco che il Croce perde, nel miglior punto, il frutto della sua scoperta: se l’errore è il semplice non essere, egli si chiede, come si spiega l’apparente suo carattere positivo? com’è possibile, per esempio, che noi attribuiamo agli altri l’errore? Qui inter¬ viene la dialettica dei distinti: ciò che a noi sembra positivo nell’errore non è in realtà errore, perché non è atto di pensiero; ma è un fatto pratico, econo¬ mico, un fatto volitivo. Chi erra non pensa — perché se pensasse davvero supererebbe l’errore — ma vuole: vuole raggiungere un suo fine, vuole affrettare una conclusione, vuole mistificare il prossimo. Donde il carattere pratico del cosi detto errore teoretico. Ecco alle prese le due dialettiche, quella degli opposti e quella dei distinti. Noi c’ingegneremo di mostrare che l’una non è conciliabile con l’altra, ma l’annutla inesorabilmente. E in realtà, posto il principio dei distinti, posto cioè che il falso coesista col vero come un fatto pratico, non si capisce più che ragion d’essere abbia il principio degli opposti, una volta che, mutati i termini, noi ci troviamo di fronte il falso come falso da una parte, e il vero come vero dall’altra. La verità cresce cosi unica¬ mente su sé stessa, e il falso pure; e poiché la verità è quel che era fin dal principio, essa potrà si accre¬ scersi, ma non veramente svolgersi. D’altra parte, se si accetta la dialettica degli opposti, viene con ciò negato che il vero e il falso siano determinazioni III. - l’idealismo assoluto 429 statiche di pensiero, ed entrambi vengono compresi in un processo unico spirituale, che è fenomenolo¬ gico nel tempo stesso che storico, e per cui l’errore è veramente il lievito dello sviluppo. Insomma, i due principi sono concepiti in una mutua esclusione. Ma, una volta ammessi come coesistenti,* già nella logica v’è un accenno alla pratica; nella conoscenza, aH’azione, che integri l’unità spirituale. Lo stesso accenno è dato dalla dottrina crociana delle scienze empiriche che, in quanto si fondano sul giudizio classificatorio, non sono conoscenze, ma schemi pra¬ tici. L’ispirazione di questa teoria è data dalle filosofie empirio-critiche, che considerano la scienza come economia di pensiero; ma non si tratta che della semplice ispirazione, perché, compreso nel principio speculativo dei distinti, il prammatismo scientifico riceve un significato affatto diverso. Per il Croce, la scienza naturale non è il mero astratto, ciò che in una filosofia idealistica sarebbe il nulla, ma, in quanto è un momento spirituale, è concre¬ tezza: è astratta se le si conferisce una valutazione teoretica che essa non comporta, ma è concreta come attività pratica spirituale. Qual è allora il suo rap¬ porto verso la storia, che è la concretezza della vita teoretica? Qui, come in tutto il sistema, il principio dello svolgimento della scienza cade fuori della scienza. Ma basta considerare che il momento dello schematismo, della legge, in cui per il Croce si com¬ pendia l’arbitrarietà della scienza di fronte al pen¬ siero, è esso stesso un momento astratto del proce¬ dimento scientifico, che la scienza risolve in quanto si svolge, perché la scienza empirica venga elevata all’altezza della storia e della filosofia, non come conoscenza di una pretesa realtà naturale, ma come una realtà essa stessa, storica, attuale. 430 LA FILOSOFIA ITALIANA La stessa antitesi tra le due esigenze opposte di pensiero, che abbiamo fin qui considerato, si osserva nella Filosofia della pratica: il libro, del resto, più ricco di vita, e profondo di pathos, che sia uscito dalla penna del Croce. Qui il tema più decisamente speculativo è costituito dalla dottrina del giudizio pratico e della dialettica del bene e del male. Spetta al Croce il merito di una critica, a parer mio, com¬ piuta, dei giudizi di valore, la più grossa pietra d’inciampo che Tintellettualismo avesse frapposto al libero svolgimento dell’attività spirituale. Ma, una volta negata ogni anticipazione della valutazione dell’attività sull’attività stessa, e con ciò rotta quella rete di schemi con cui il pensiero astratto preten- <leva di preordinare il cammino dello spirito e ri¬ durlo cosi a un mero meccanismo, il concetto della libertà creatrice balza fuori nella sua maggior con¬ cretezza. ed è aperta la via a concepire il dinami¬ smo dialettico dello spirito. Nella dialettica del bene e del male questo nuovo motivo è potentemente svolto. Il male diviene il non-ente, non più platonico, ma hegeliano, e cioè il lievito perenne della vita spirituale, che è una lotta e un trionfo sul male, una conquista progressiva del bene. In questa concezione della vita come lotta e sforzo tenace, non come facile e vano vagheggiamento d’idealità e di utopie, in questa necessità dell’urto del male, delle passioni, perché si crei il bene, è tutta la visione seria e mo¬ derna della vita : vita che è aliena da ogni misti¬ cismo, ascetismo e verginità di sentimenti morali, e non teme di contaminare i suoi ideali nel contatto con le turpitudini del mondo. Qui, in questo dialet¬ tismo, si attua quel trasferimento che vagheggiava il Vico, della repubblica di Platone nella feccia di Romolo. .Ma anche qui il dialettismo è soflocato dal IH. - l’idealismo assoluto 431 principio ilei •distinti, che per spiegare l’apparente positività del male crea dpe forme, economica ed etica, c fa del bene qualcosa di fatto dall’eternità, e, mutali i nomi, finisce col far del male un semplice distinto dal bene. Qui insomma si riproduce quello stesso fenomeno che abbiamo osservato parlando della dialettica del vero e del falso. Una ulteriore discussione dell’opera del Croce esorbita dai limiti di questo quadro storico. Conclu¬ dendo, a noi sembra che l’opera del Croce sia lo sforzo più potente che il pensiero italiano abbia com¬ piuto negli ultimi anni, e per cui esso si adegua al pensiero europeo. Dopo il Croce — o per meglio dire, dopo la Filosofìa dello spirito — perché il Croce pen¬ satore, nello svolgimento del suo pensiero infatica¬ bile, potrà sorpassare quella posizione, il còmpito della filosofia, è, secondo noi, di fondere di nuovo nell’unità le distinzioni del sistema crociano, in modo tuttavia da includere le giuste esigenze poste da quelle distinzioni. E bisogna prima di tutto ap¬ profondire il concetto che realtà è attività spirituale, cioè concretezza, o per dirla con una espressione del (ienlile, che la realtà è filosofia. Quindi l’arte è lilosofia, non nel senso che escogiti filosofemi o si risolva In una forma più elevata di conoscenza, ma in quanto è realtà spirituale, cioè sviluppo storico. Cosi la contradizione dell’arte — monade immobile, librata sul movimento delle cose — è risoluta dal¬ l’arte stessa, in quanto è concepita nello stesso svol¬ gimento della realtà. Quindi la scienza è filosofia, non come conoscenza di una realtà esterna al pen¬ siero, ma come la stessa realtà spirituale che pone e risolve l’elernità vuota e immobile della legge. E nello stesso processo storico d’individuazione, che è lo spirito, è concepita l’attività pratica, che in 432 LA FILOSOFIA ITALIANA quanto non è mera prassi, ma attività in sé riflessa e auto cosciente, è attività spirituale, pensiero puro. In questa profonda identità spirituale, che non an¬ nulla. ma riconosce e invera la differenze delle at¬ tività dello spirito, la filosofia esce dal particola¬ rismo ristretto delle scuole, ed è la stessa realtà storica, nella pienezza delle sue esplicazioni; è la coscienza riflessa della realtà umana del mondo; il Dio invisibile che 'si esplica nel mondo visibile. Questa è la nuova concezione del reale, che esce dal seno stesso della tilosofia del Croce, svolgendo quanto v’è in essa di dinamico e di vitale. 5. L’idealismo assoluto di G. Gentile. — Per questa via, attraverso molti pentimenti e rielabora¬ zioni del suo pensiero, s’è posto il Gentile, e si parva licei componere mugnis, chi scrive queste pagine ’■ Il Gentile, già nel suo saggio sui rapporti tra la storia della filosofia e la filosofìa, si mostra compreso della necessità di concepire il reale nella sua unità più profonda. Egli svolge una tesi originale sulla identità della filoiSofia e della sua storia, intesa non come identità statica, immobile, ma come sviluppo, nel senso che la filosofia creando la sua storia crea sé medesima. Quindi, un’assoluta immanenza della ve¬ rità filosofica nel processo storico, che è in pari tempo il processo fenomenologico dello spirito. E se¬ condo questa premessa, la ricerca della verità è an¬ cora una storia ideale dell’errore; dove l’errore è lo stesso momento dialettico, negativo dello spirito, il coefficiente necessario deiio sviluppo. I A qucsfordlne d’idee è Ispirato il mio saggio. La scienza come esperienza assoiuta, Bari, 1913. IH. - l’idealismo assoluto 433 Questa tesi deH’identità, preparata da Hegel e da "paventa, ma non sviluppata da essi, anzi soffocata nella struttura esteriore dei loro sistemi, è la chiara coscienza che il pensiero moderno acquista di sé e della propria opera. La filosofia moderna è nega¬ zione della realtà come oggetto, come dato, e l’afTer- raazione di essa come soggetto, come farsi, come storia; ora la riconosciuta storicità della filosofia è l’unità del nuovo essere e della coscienza del nuovo essere, della realtà e della riflessione sulla realtà: ciò che porta, come tra breve vedremo, a una tra¬ sformazione del concetto di filosofia. Nella dottrina delle forme assolute dello Spirito, il Gentile muove dal concetto dell’autocoscienza come sintesi di soggetto e oggetto, e quindi deter¬ mina tre forme spirituali, secondo i momenti essen¬ ziali dell’autocoscienza: posizione del soggetto, po¬ sizione dell’oggetto, e posizione della loro sintesi. Questi momenti sono soltanto logicamente distingui¬ bili, perché la sintesi è originaria, a priori, e perciò non è possibile trascenderla in re; ma si possono chiamare, nel linguaggio kantiano, trascendentali '. .\1 di fuori di essi, che compendiano tutta la realtà spirituale, non c’è nulla, tranne la proiezione im¬ maginaria dello stesso contenuto di coscienza. Ai tre momenti corrispondono tre forme assolute dello spirito, che sono l’arte, la religione, la filosofia: « distinte fra loro e legate dagli stessi rapporti dei detti momenti. L’arte è la coscienza del soggetto, la religione la coscienza dell’oggetto e la filosofia la coscienza della sintesi del soggetto e dell’oggetto. Donde il corollario: che l’arte è in sé contradittoria I G. Gentile. Le forme assolute dello spirito, in Modera nismo^ Bari, 1909, pp. 232-233. G. DE Rucgiebo, La filosofìa contemporanea. 28 434 LA FILOSOFIA ITALIANA e ha bisogno di essere integrata nella religione: questa per sé è contradittoria e ha bisogno di essere integrata nell’arte: integrazione che viene ad essere integrazione simultanea dell’una e dell’altra, nella filosofia. Sì che la filosofia è la forma finale, in cui si risolvono le altre: e rappresenta la verità, l’attua¬ lità piena dello spirito » *. La critica di questo concetto si attua nello svol¬ gimento stesso del pensiero del Gentile. In quanto la vera concretezza è la sintesi di soggetto e oggetto, cioè la filosofia, questo vuol dire che l’arte, in quanto è concreta, è filosofia, e similmente la religione. Perciò il processo della soggettività-oggettività non è qualcosa che s’iiiizia nell’arte e si compie altrove, ciò che implicherebbe una trascendenza, ma si com¬ pie nell’arte stessa in quanto il momento di soggetti¬ vità è il semplice astratto di fronte al concetto con¬ creto dell’arte: quindi l’arte non si risolve già nella filosofia, ma è essa stessa filosofìa, in quanto è realtà e concretezza. Similmente fare della religione il sem¬ plice momento dell’oggettività significa fermarsi in un’astrazione, riporre l’essenza della religiosità nel misticismo, che ha invece un valore soltanto nega¬ tivo, come lievito dello sviluppo religioso, e che si pone perciò e si risolve nella stessa esperienza reli¬ giosa. Ond’è che la religione è filosofia, non come un’elaborazione di concetti filosofici e di vedute sulla realtà ultima delle cose, nel qual senso sarebbe una falsa filosofia, ma nel senso che è concretezza di esperienza religiosa, sviluppo spirituale, e, come tale, risoluzione continua del trascendente, che, per intrinseca necessità, essa pone. Da questo punto di vista il concetto della filosofia Op. cit.t p. 235. III. - l’idealismo assoluto 435 riceve tutto un nuovo significato: non esprime più una forma particolare dello spirito, ma la stessa pie¬ nezza della vita dello spirito in tutte le sue forme; è la coscienza della libertà creatrice dello spirito nella sua storia. Verso questa meta, se non erro, a me pare -che muova il Gentile. Il suo ultimo saggio: L’atto del pensare come atto puro contiene, per questo ri¬ spetto, un intero programma. Qui il residuo del¬ l’astrattismo vien risoluto e implicitamente negata la dottrina dell’arte e della religione come tesi e antitesi di una sintesi filosofica. < Bisogna, egli dice, entrare nel concreto, nell’eterno processo del pen¬ siero. E qui l’essere si muove circolarmente tor¬ nando su sé stesso, e però annientando sé stesso come essere. Qui è la sua vita, il suo divenire: il pen¬ siero. L’essere (tesi) nella sua astrattezza è nulla; ossia nulla di pensiero (che è il vero essere). Ma questo pensiero che è eterno, non è mai preceduto dal proprio nulla. Anzi questo nulla da esso è posto, ed è, perché nulla del pensiero, pensiero del nulla: ossia pensiero, cioè tutto. Non la tesi rende possibile la sintesi, ma al contrario, la sintesi rende possibile la tesi, creandola con l’antitesi sua, ossia creando sé stessa. E però l’atto puro è autoctisi > *. Qui, come si vede, il Gentile riprende e svolge il concetto della dialettica, accennato dallo Spaventa nel suo scritto sulle prime categorie della logica di Hegel: è la dialettica dell’essere e del pensiero, che, sola, a noi sembra feconda e rispóndente allo spi¬ rito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta aprio¬ rità della sintesi, in questo dialettismo, è l’assoluta I R. Gentile. L’atto del pensare come atto paro (voi. I dcl- l’Annuario della biblioteca fllosoOca di Palcnno), 1912, p. 41. 436 LA FILOSOFIA ITALIANA immanenza del pensiero, come atto puro o pensiero concreto. Come tale esso è pensiero nostro; fuori di questa attualità non v’è il pensiero, ma il pensato, che è natura, materia. E il ritmo dialettico del pen¬ sare è appunto il convertirsi del pensiero in pen¬ sato, dell’alto in fatto, per risorgere poi eternamente da sé medesimo. Questa dottrina dell’assoluta immanenza, per cui la vera concretezza è il pensiero attuale, e che perciò nega esplicitamente ogni anticipazione della realtà come potenza sull’atto del pensare, ed è la più re¬ cisa negazione del vecchio concetto del mondo come il tutto dell’immaginazione, è stata appena abboz¬ zata in poche pagine dal Gentile. Ogni ulteriore discussione intorno ad essa è prematura; bisognerà prima conoscerla nel suo pieno svolgimento. 6. Conclusione. — Nelle pagine precedenti ab¬ biamo seguito lo sviluppo del pensiero italiano mo¬ derno dalle sue origini fino ai tempi nostri. Questo sviluppo non ha subito nessuna brusca interruzione come falsamente si è creduto. Il naturalismo del Rinascimento precede e preannunzia il movimento cartesiano, e similmente la dissoluzione del natu¬ ralismo, che avverrà in Germania per opera di Kant e dei suoi successori, s’inizia già in Italia col Vico, e prosegue poi, a un secolo di distanza, col Rosmini e col Gioberti, che inconsapevolmente at¬ tuano l’esigenza posta dalla nuova metafisica della mentalità. Sul cadere del primo cinquantennio del XIX se¬ colo, il pensiero speculativo italiano, non altrimenti da quello europeo, entra in un periodo di deca¬ denza: le ultime apparizioni della metafisica sono III. - l’idealismo assoluto 437 tenui c senza consistenza, come le ombre della ca¬ verna platonica. Il positivismo, in Italia come al¬ trove, sorge con la giusta esigenza di una dottrina che non vuole anticipare col pensiero sulla realtà, ma finisce ben presto col falsare la sua premessa in un miscuglio ibrido di dottrine e in una mal dissi¬ mulata simpatia per il materialismo. I suoi primi ac¬ cenni sono opera di specialisti, come il Cattaneo, il Cabelli, il Villari ed altri ancora: privi di vera ori¬ ginalità filosofica, ma corretti nella loro povertà; le sue ulteriori esplicazioni sono orientate verso la scienza naturale e particolarmente biologica. Il rap¬ presentante maggiore di questo indirizzo è Roberto .\rdigò che, per il suo sforzo serio e tenace di pen¬ siero, pur senza dire quasi niente di nuovo, eleva il positivismo italiano quasi all’altezza di tutti i po¬ sitivismi del mondo. La rinascita del pensiero speculativo è segnata da un approfondimento del dualismo tra il pensiero e l’essere, che già si accennava nelle opere del Ma- miani e del Ferri, e per cui si passa dal dualismo dommatico del Bonatelli, al dualismo gnoseologico del Varisco. Il neo-kantismo, come quello che non svolge la nuova potenza dell’apriori, si travaglia nello stesso problema, e non riuscendo a superare la posizione della metafisica dell’essere, finisce col ricadérvi, annullando cosi il concetto nuovo dello spirito, che esso attinge originariamente alla filo¬ sofia kantiana. F infine, librato sulle due metafi¬ siche, in una posizione incerta, ma pure interessante ed originale, il Martinetti segna il punto in cui la mentalità del neo-criticismo si volge verso l’idea¬ lismo assoluto. .Ma la linea classica della metafìsica italiana è ripresa dallo Spaventa, che promuove l’indirizzo 438 LA FILOSOFIA ITALIANA della filosolia giobertiana, con quella più chiara co¬ scienza della sua vera natura, chft poteva esser data dalla nuova cultura hegeliana. Con lui comincia im¬ plicitamente il processo dissolutivo della filosofìa di Hegel, che è in pari tempo costitutivo di una nuova metafisica, che mira a svolgere nella sua pienezza la potenza umana della realtà, l’apriori kantiano, negando nel modo più reciso ogni trascendenza. Le tappe di questo cammino sono segnate dal Croce e dal Gentile: con essi, gli sforzi della filosofìa ita¬ liana convergono alla stessa meta di quelli della lìlosolìa europea, verso una dottrina dell’assoluta immanenza, che, come assoluto idealismo, sarebbe anche in pari tempo il vero e assoluto positivismo. (’ONSIDERAZIONI FINALI Abbiamo seguito, nelle esplicazioni originali della sua vita, lo sviluppo del pensiero contempo¬ raneo. Nelle diflerenze degli indirizzi e delle cor¬ renti, il lettore avrà già potuto osservare quell’iden- titù spirituale profonda, che vince l’apparente atomismo delle dottrine, e per cui quel pensiero è l’unico pensiero contemporaneo, nei vari momenti del suo corso vitale. E sorgono ora le domande: a che mai esso tende? È una vita che si dissipa in un gioco senza scopo, in una ridda di teorie di cui l’una vive della morte dell’altra, in una rassegnata attesa che suoni la pro¬ pria ora? O è un momento di vita questa morte; e allora a che vive quella vita? Qui la facile sapienza agnostica si accontenterebbe di rinunziare a com¬ prendere l’intimità più profonda del pensiero, col chiamar vana la pretesa per cui noi, atomi sperduti neU’immensità del pensiero, vogliamo erigerci a giu¬ dici del pensiero: come può un elemento trascura¬ bile adeguarsi al tutto? Ma a noi ripugna questa dotta ignoranza. Noi abbiamo la ferma coscienza che il pensiero non è la vuota immensità che ci opprime, perché al di sopra di noi, ma è pensiero nostro, è l’intimità di noi a noi stessi. La vastità non deve opprimerci, perché non ci sta di fronte distesa, ma è dentro di noi raccolta, nello stesso processo con- 442 CONSIDERAZIONI FINALI tinuo della ricerca, per cui progrediamo da una po¬ sizione all’altra. La storia del pensiero del mondo non è che la semplice storia psicologica di ciascuno di noi, che vive in sé i momenti di quel pensiero universale. Questa convinzione ci è di grande conforto. Nella nostra storia intima noi ricordiamo mille sconfitte e mille vittorie, ricordiamo la ridda delle teorie, che sembrano nascere soltanto per perire; e nondimeno questo non ci suggerisce alcuna considerazione pes¬ simistica, perché la salda coscienza del nostro pen¬ siero attuale è coscienza di forza, di vita e non già di morte; e noi inneggiamo perfino alla morte perché sentiamo che del trionfo su di essa è mate¬ riata la nostra vita. Cosi è di tutta la storia. Noi qui abbiamo scritto l’epigrafe di molte dot¬ trine: è la stessa epigrafe che abbiamo scritta sui momenti oltrepassati della nostra vita; con la stessa fiducia noi possiamo renderci interpreti della vita nuova che si concentra e s’individua dalle varie correnti del pensiero moderno, perché sentiamo che è la vita stessa che si agita in noi e che ci dà forza di dominare i momenti di vita oltrepassata. La storia non è fonte di pessimismo, e neppure di facile ottimismo, ma di forza, di tenacia, di la¬ voro. Ormai il positivismo è finito, il kantismo dà gli ultimi aneliti, e le improvvisazioni filosofiche, che un tempo son parse le prime espressioni di una nuova filosofia, ci fanno appena sorridere; erano forse dei vagiti; come riconoscere in essi le nostre voci? A taluno parrà che noi parliamo qui con troppa sicurezza. Ci si dirà: siete voi ben sicuri di non essere dei tardi epigoni di un lontano movi¬ mento di pensiero? ombre e non corpi vivi? È questo il problema che la storia deve risolvere; e allora CONSIDEB.\ZIONI FINALI 443 si vedrà se noi — parlo, s’intende, in nome del nuovo idealismo, non pure italiano, ma europeo — se noi, che diamo principio a rinnovar l’antica tìlo- solìa, siamo nella mattina per dar fine alla notte, o pur nella sera per dar fine al giorno, come diceva il nostro Bruno. Nella filosofia contemporanea si compie la critica del movimento kantiano, che culminò in Hegel. Ma questa critica, lungi dall’essere dissolutrice come i suoi inconsapevoli ministri hanno creduto, è la vera critica integratrice, che comincia a colmare l’abisso tra Kant ed Hegel e a svolgere i motivi nuovi delle loro dottrine. La filosofia kantiana, col suo concetto della cosa in sé, apriva largo adito alla trascendenza nelle sue varie forme, che si possono compendiare tutte nel dualismo, non risoluto, del¬ l’essere e del pensiero. Hegel, negando questo dua¬ lismo, e unificando la logica dell’essere e quella del conoscere, sopprimeva virtualmente l’idea della trascendenza, ma nel fatto poi la ripristinava nel seno stesso della nuova immanenza da lui scoperta: scienza e coscienza, logo e natura, natura e spirito; ecco in una veste nuova le antiche forme del dua¬ lismo. Nella decadenza e nel discredito della filosofia idealistica che comincia dopo Hegel, pare che siano naufragate tutte le sue più geniali intuizioni: il naturalismo e il positivismo dichiarano bancarotta della metafisica, ed esaltano i fatti, l’esperienza. Ep¬ pure, nel loro linguaggio infantile e confuso, essi sono gli esponenti di quella stessa esigenza nuova, che aveva posto l’hegelismo: la negazione del tra¬ scendente, l’immanentismo assoluto. Nella storia della filosofia ricorre spesso questo tema immanen- 444 CONSIDERAZIONI FINALI tistico: con Aristotele, di fronte alla dottrina delle idee, con Bruno e Spinoza, di fronte alla scolastica. Ma questo continuo ricorrere è un continuo progre¬ dire; cosi Tultima sua apparizione nel secolo XIX non è più quella di un’immanenza puramente ideale, né divina, ma schiettamente umana. Ma se sotto questo aspetto, come espressioni di esigenze nuove, il naturalismo e il positivismo hanno per la storia un grande valore, lo stesso non può dirsi del modo con cui hanno cercato di attuare il proprio tema. Noi perciò nel corso della nostra espo¬ sizione, mentre abbiamo accentuato l’importanza ideale di queste dottrine, ci siamo guardati con cura dal farne un’ampia esposizione, perché l’ignoranza dei loro autori è tale, che non sanno essi stessi dove risegga l’originalità della loro posizione, e Uniscono col dare un ricalco di temi oltrepassati, confusi in¬ sieme neiribridismo più strano. Ma il significato ideale del naturalismo, che sorge dalle scienze biolo¬ giche, è questo: che vana è la pretesa di voler far del pensiero un’entità vaga e nebulosa, venuta su chi sa come, a illuminare il mondo della materia, mentre bisogna indagare la genesi del pensiero, se si vuol dare una spiegazione vera e propria di esso., E il significato del positivismo sta nella negazione di ogni vuota ideologia, che pretenda fare a meno dei fatti e anticipare in qualunque modo su di essi col pensiero. Si tratta insomma di quell’eterno motivo immanentistico con cui la cultura del secolo XIX ha compiuto la critica del secolo precedente. Ma il significato ideale del naturalismo e del po¬ sitivismo sta soltanto nei nuovi problemi e non già nelle soluzioni loro; perché il naturalismo, nel suo tentativo d’indagare la genesi biologica del pensiero retrocedeva al periodo pre-cartesiano della storia. CONSIDERAZIONI FINALI 445 cioè alla dottrina degrinflussi fìsici tra l’anima e il corpo; e d’altra parte il positivismo, col richiamarsi al fatto come a realtà assoluta, ricadeva in quella trascendenza, che esso aveva già implicitamente ne¬ gata. Il fatto porta con sé una duplice afTermazione di trascendenza: da un lato, nella fissità delle sue li¬ nee, esso è posto come trascendente di fronte al pen¬ siero; dall’altro, in quanto è un complesso di determi¬ nazioni finite, è trasceso in quanto pensato. Quindi, una duplice incongruità, della realtà naturale di fronte al pensiero e viceversa, e una duplice inespli¬ cabilità dell’una per l’altro. Come espressioni di problemi, il naturalismo e il positivismo conservano un valore attuale; come soluzioni, il primo va a finire nella deificazione di sé stesso (ciò che se era grandioso in un Bruno' è ridicolo in un contempo¬ raneo); e il secondo ha per suo termine l’agnostici¬ smo, cioè la propria sterilità ed impotenza. La contradizione del positivismo sta nel dissidio tra ciò che esso dice di fare e ciò che realmente fa: sorge in nome dell’immanenza e intanto vive nella trascendenza, ora agnostica, ora materialistica. Que¬ sta è la sua contradizione; ed ecco che a risolverla sorgono le nuove filosofìe, che tutte vogliono porsi come continuatrici dell’opera del positivismo. È no¬ tevole questo fatto, che ogni pensatore, il quale sia giunto a una visione concreta e immanente dei pro¬ blemi filosofici, ha seniito il bisogno di battezzare la sua filosofia come il vero positivismo; ciò dimostra che quanto v’è di più vitale nell’esigenza del positi¬ vismo non è quello che si disperde e si annulla nelle scuole positivistiche, ma è piuttosto quel momento del nostro sviluppo spirituale che ci è di sprone a conquistare una visione immanentistica della vita. Ma l'immanentismo che da principio sorge come 446 CONSIDEKAZIONl FINALI esplicazione di quello spirito positivo che è in tutti i pensatori della seconda metà del secolo XIX, è la più povera forma d’immanentismo: quella del senso, della coscienza immediata. Ed è il tema più frequente che ricorre in quel periodo, e che vale a caratteriz¬ zarlo tutto. Tanto nella forma di un empirismo, come in un Mill, in un Mach, o in uno Schuppe; o di un fenomenismo, come in tutte le scuole neo-kantiane; o di un intuizionismo come nella filosofia del Bergson e in altre ancora, è sempre l’identico motivo fonda- mentale, che si ripete su scale diverse. Noi abbiamo osservato come il principio dell’esperienza imme¬ diata si annulli da sé medesimo, e lungi dal fondare un’assoluta immanenza, è fatalmente spinto verso il trascendente. E il trascendente, di fronte ad esso, è tutto il pensiero, in quanto costituisce un suo < al di là », invano negato, invano torturato in mille guise. E questo trascendente risorge dalla filosofia dell’espe¬ rienza immediata in forme varie: o come naturalismo, perché il pensiero scientifico inesplorato si solidifica in una natura opaca al di là del conoscere, o come un misticismo religioso, o come una visione immediata, romantica, dei problemi ultimi che la sua logica è impotente a risolvere, o come una consacrazione degli ideali sociali fuori del processo storico. Son queste altrettante confutazioni di quel principio, nel tempo stesso che ne costituiscono l’immancabile meta. Né si creda che si tratti di un dissidio superficiale di teorie; a noi sembra che questo sia il dissidio di tutta la vita moderna. L’intuizionismo esplosivo delle teorie è il sensualismo della vita. E come nelle teorie dell’esperienza immediata a noi sembra in un primo momento di trovare una grande esuberanza di energie, tale che il secco schematismo del pensiero non può contenerla, cosi ancora la vita moderna si CONSIOERAZIONI FINALI, 447 mostra all’apparenza in una ricchezza smagliante di atteggiamenti, di forme, di tendenze, per cui sembra impotente ogni freno. Ma nelle teorie, l’èmpito della vita è solo apparente; la ricchezza del senso è una ricchezza illusoria, tutta esteriore, che cela e dissi¬ mula la più grande povertà interiore. La pretesa forza è in realtà debolezza, malattia. E chi cerchi d’indagare fino in fondo quel carattere del falso immanentismo, per cui esso sembra concepito in uno sforzo potente d’espansione, che rompe tutte le bar¬ riere che gli si frappongono, vedrà che quello sforzo è senza intimità, e che quella vita che appare rac¬ colta, concentrata, pronta a esplodere, è al contrario una vita già dispersa. Questo senso di vuoto in mezzo alla più smagliante ricchezza ci è dato specialmente dalla fllosofia di Bergson. E similmente la vita moderna dissimula con la sua apparente esuberanza una profonda sterilità. Sembra che essa non abbia più limiti alla sua espan¬ sione, sembra che l’uomo del nostro secolo viva in una attività vertiginosa, che cerchi sempre nuovi campi d’applicazione, ma è la vertigine del vuoto; sono forze che si disperdono: tensioni spasmodiche, perché tendono a vuoto. È debolezza, non forza, è anemia, non esuberanza; è insomma il sensualismo della vita, nella sua più completa assenza d’intimità spirituale. E, come il sensualismo della teoria si com¬ pendia tutto nella riuscita del concetto, una spe¬ cie di arrivismo logico, per cui il pensiero, di fronte a una realtà che esso non possiede, non fa che gio¬ care una sua carta, cosi il sensualismo della vita si compendia in un simile arrivismo, per cui, innanzi alla realtà non posseduta degli eventi, lo spirito si abbandona e si lascia vivere. In questo abbandono, s’illude l’individuo di vivere in un consenso pieno 448 CONSIDERAZIONI FINALI col tutto, di riassumere in sé le esigenze dell’uni¬ verso, e di essere veramente dominatore, mentre in realtà questo dilettantismo della vita è la più com¬ pleta dissipazione delle forze spirituali, è l’abdica¬ zione che l’individuo fa di sé stesso al gioco degli eventi, è un essere posseduto, non già un possedere. Questo arrivismo della vita inquina l’arte, la scienza, la religione. Noi abbiamo un’arte torbida di sensualismo, un’arte isterica, tutta musicalità vuota, che coi raffinati contorcimenti del senso cerca di crearsi un’intimità spirituale posticcia, e vive di questa sua stessa malattia. Noi abbiamo un arrivi¬ smo scientifico anche peggiore, perché non lavato nelle acque pure dell’arte: la mentalità dello scien¬ ziato moderno è quanto di più gretto si possa imma¬ ginare; ivi, al più meschino specialismo s’accoppia l’empirismo più grossolano, che nega tutto ciò che non rientra nei suoi strettissimi quadri. K final¬ mente manca ogni vero spirito di religiosità; ma v’è una religione apparente, fatta di falsa intimità sensuale e di rivelazioni soggettive, che non è cele¬ brazione di umillà, ma di orgoglio, e quand’anche è ammonita dalla storia della necessità dell’obbe¬ dienza come elemento costitutivo della religione, pure è per sua natura ribelle. Questa è la cultura che sta per finire. Ma noi sen¬ tiamo di venir su da essa, per quanto in antitesi con essa, e sentiamo che la sua infecondità non è decre¬ pitezza ed esaurimento, ma piuttosto immaturità; è la gestazione travagliata di una nuova cultura. Sotto questo punto di vista quella stessa dispersione di forze, quel sensualismo della vita, esprime qualcosa che anche per noi è importante: quasi un agitarsi per creare un contenuto nuovo di vita che ancora manca, un tendere a qualcosa che non riesce a de- CONSIDERAZIONI FINALI 449 nnirsi, e che perciò provoca lo spasimo deH’irapo- tenza. Al di sopra degli arrivisti volgari della cultura che sono le scorie che ogni corrente trascina con sé, vi sono degli spiriti seri in cui il dissidio tra ciò che è possesso e ciò che è aspirazione diviene una crisi profonda. Noi abbiamo imparato a conoscere nel corso della nostra esposizione qualcosa di questi tempera- nienti : in essi si dimostra come in una sfera elevata il fermento dei prodotti più alti della nostra cultura. (>osi avviene che dalla cultura falsamente sogget¬ tivistica e individualistica, per cui il pensare è il riuscire del concetto, e la vita è un semplice rischio, si passa, in base all’esigenza di un’intimità più profonda, a una celebrazione del trascendente, al misticismo,, che assume in certi pensatori un’into¬ nazione veramente elevata. Ma il misticismo non migliora la posizione logica dei problemi, e deter¬ mina invece il momento in cui le esigenze stesse del pensiero, che si è svolto nei limiti di determinate premesse, rendono quelle premesse insuflicienti, ed esprimono un bisogno di rinnovamento. Cosi avviene che quell’immanentismo della vita che era nelle convinzioni del pensiero del secolo XIX e che non aveva potuto trovare nel positivismo la sua formulazione adeguata, non riesce neppure ad esprimersi in questa litosotìa dell’esperienza imme¬ diata, che anch’essa sconfina nella trascendenza. L'esperienza storica dei secoli ha mostrato che l’attuazione del principio immanentistico si compen¬ dia nella risoluzione di due problemi, che in fondo si riducono ad un solo: quello dell’umanità della storia e quello del valore umano della realtà fisica esteriore. La filosofia che ora abbiamo considerata era insufficiente a risolvere l’uno e l’altro problema. G. DE Ruggiero. La fllosofla contemporanea. 29 450 CONSIDERAZIONI FINALI Il positivismo aveva meccanizzato lo sviluppo della storia, creando un naturalismo, e cioè una tra¬ scendenza, nel seno stesso deH’umanità, col suo con¬ cetto della massa cieca e brutale; e la stessa nuova lìlosofìa intuizionistica ed empiristica era incapace di comprendere il valore della storia; la coscienza, della storicità del reale è in aperta antitesi con una concezione immediata della vita. E d’altra parte il riconoscimento dell’umanità del cosi detto mondo fìsico non poteva esser dato da nessuna delle due dottrine: né dal positivismo, che non aveva neppure coscienza del problema, né dalla filosofìa deirimmediato, che si mostrava, già nella sua premessa, come dualistica, e per cui la realtà esteriore, sia come mondo fìsico, sia come scienza naturale, costituiva alcunché di trascendente. Tutta¬ via già' in questo campo si preparavano i germi di un rinnovamento. Con la critica delle scienze co¬ mincia infatti, nel seno stesso della filosofìa empi¬ ristica, un rapido processo di dissoluzione di quel naturalismo, che aveva solidificato i concetti delle scienze empiriche, rendendoli quasi materia opaca di fronte al pensiero, mentre sono pur opera sua. Noi abbiamo confutato questo indirizzo, mostrando che esso idealmente non rappresenta alcunché di nuovo di fronte alla soluzione kantiana del problema della scienza, e che anzi è soltanto a mezza via tra il puro dommatisino e Kant, ciò che rende equivoca la sua posizione e paradossali taluni dei suoi assunti, che invece, svolti lino alla line, conterrebbero dei motivi profondi di verità. Ma il valore storico di questa critica delle scienze è assai grande, quando si pensi che essa aveva di fronte da combattere, non già Kant, bensì quel naturalismo e positivismo che avevano reso la scienza impenetrabile al pensiero. CONSIDERAZIONI FINALI 451 Così, avere riscoperta l’azione immanente dello spi¬ rito in quel campo che gli si era reso del tutto estra¬ neo. e mostrato che il mondo della scienza — che è il mondo stesso della natura — rientra nella sfera del- Tarbitrio umano; e avere perciò annullata quella concezione rigidamente meccanica del mondo che non solo i positivisti, ma (pare incredibile!) perfino i kantiani avevano instaurata: tutti questi sono me¬ riti veramente grandi di quel vasto movimento di critica delle scienze, che si svolse sullo scorcio del secolo passato e sul principio del nostro. Oosi s’è andato via via dissolvendo quel concetto del mondo come una realtà solidificata di fronte al pensiero, e s'è compreso sempre meglio il valore im¬ manente dell'esperienza, che non è meramente ripro¬ duttiva di una cosa in sé, ma produttiva di realtà e <li valori umani. Ma il complemento più efficace della critica è stata la storia delle scienze: questa, assai meglio del prammatismo semplicistico delle teorie, è riuscita a sfatare quel fantoccio deirinlellettua- lismo, di una realtà fatta ab aeterno nelle leggi im¬ mobili della natura. La storia delle scienze difatti insegna che il vero centro della realtà naturale non è già la legge, ma il pensiero umano che nel suo svolgimento la pone e la nega: cosi l’esigenza più profonda del kantismo risorge da quelle stesse dot¬ trine che all’apparenza sembrano negarla. Nell’urto dei concetti nuovi, anche la cultura kan¬ tiana si rinnova; e quel Kant che per lungo tempo era sembrato non volesse fare altro che ribadire il naturalismo puro e semplice, rivela ora un aspetto nuovo del suo pensiero, e con la sua sintesi a priori, che appena s’incomincia a riscoprire, sposta il centro dei problemi della scienza, includendoli nel dina¬ mismo stesso dello spirito. Lachelier, Weber, Royce, 452 CONSIDERAZIONI FINALI Baillie ed altri ancora, forti della loro cultura kan¬ tiana. prospettano in un modo nuovo la lilosolla delle scienze: essi vogliono evitare ogni trascendenza, com’è quella che può darsi con l’anticipare la realtà fìsica sul pensiero, e, nell’assoluta attualità della ri¬ cerca scientifica, trovare l’unità del soggetto e del¬ l’oggetto. È un tema che potrà dimostrarsi fecondo: si tratta di vincere due astrattezze; da un lato, quella del puro empirismo della critica della scienza che non conosce che il semplice arbitrio dello scienziato, e per cui la scienza è un problema senza soluzione; e dall’altro, quella del naturalismo per cui la realtà naturale è fatta ab aeterno nella legge, e per cui la scienza è una soluzione senza problema. Bisogna concepire l’unità di entrambe nel concetto dell’atti¬ vità mentale come eterno problema die è eterna so¬ luzione, ed eterna soluzione che è eterno problema. Il principio fecondo dei nuovi studi è la sintesi a [iriori, l’iinmortale scoperta di Kant. Ma lo svolgimento di essa nella sua più grande pienezza, non è 'dato da Kant, bensì da Hegel, che spiega qual’è la vera vita di quella sintesi, da Kant non compresa nel suo motivo più profondo. E ri¬ torna così Hegel, il proscritto, ed occupa il posto d’onore nella giovane filosofìa. In Francia, in Inghil¬ terra, in Italia, la cultura neo-hegeliana rappresenta l’esponente più alto della cultura nazionale. Noi ab¬ biamo visto in che consiste l’attualità del problema hegeliano: è riiumanenza, la negazione di ogni dua¬ lismo, la visione concreta del reale. Per il Lachelier si tratta d'includere nel processo autogenetico del pensiero la genesi del tutto; per il Weber di concre¬ tizzare la scienza in un positivismo assoluto; per il Blondel di risolvere il problema della vita con la dialettica stessa della vita; per il Royce di superare CONSIDERAZIONI FINALI 453 l’astraltezza kantiana della « esperienza possibile » e d'individuare la realtà del pensiero attuale; per il Baillie, di unificare forma e contenuto dell’espe¬ rienza; per il Croce di negare la doppia astrattezza di un processo aH’infinito e di un processo finito della realtà e di dare una concezione della storia in cui entrambe le esigenze siano inverate; per il Gen¬ tile, di dare il colpo di grazia al dualismo aristotelico della potenza e dell’atto, risolvendo tutta la potenza nell’atto del pensiero, inteso come « pensiero nostro ». In (pieste dottrine si va lentamente attuando l’esi¬ genza della cultura contemporanea di un immanen¬ tismo assoluto, che neghi la vuota cosa in sé, che si guardi dall'anticipare il pensiero sul mondo e il mondo sul pensiero — l’ideologia e il naturalismo — e che non chiuda la realtà in una cappa di piombo col negare nelle soluzioni la necessità dei problemi, ma al contrario dimostri che in tutte le forme del¬ l’attività umana dalle soluzioni germinano i nuovi problemi, e che questo movimento dalle ime agli altri non è un gioco vano, ma uno sviluppo spirituale. Cosi quell’Hegcl che oggi torna in onore non è l’Hegel degli antichi hegeliani, che aveva detto l’ul- lima parola in filosofìa, ma semplicemente colui che, col dare un significato nuovo alla sintesi a priori kantiana, aveva aperto un orizzonte nuovo alle menti, e nondimeno, per l’oscura coscienza della sua sco¬ perta. aveva chiuso quell’orizzonte proprio sul suo stesso capo. Con la rinascita dell’hegelismo — o per meglio dire, deU’idealisrao che ha sentito cosciente¬ mente o no l’esigenza del problema hegeliano — s’in¬ staura veramente il concetto copernicano del mondo, che in Kant era ancora contaminato dal tolemaico. Nella teoria si lotta contro la cosa in sé, e nella pratica contro l’eteronomia del «dover essere» e di 454 CONSIDEBAZIONI FINALI tutte le astratte idealità. Il mondo del pensiero è at¬ tualità, è concretezza, è ricerca e conquista, tendenza e possesso; questo concetto nuovo dei mondo che è il mondo della nostra opera, del nostro lavoro, deve soppiantare il vecchio concetto del mondo come un tutto naturale, fantoccio dcH’immaginazione, sorto dai sedimenti di esperienze passate e dall’attesa di e.sperienze nuove. Ma passato e futuro, raccolti in¬ sieme in questa massa inerte e stupida, sono un niente, un doppio vuoto, e non ricevono un senso vero e iirofondo se non in questo mondo nuovo del pensiero, dove il passato è l’esperienza che fu nostra e che vive per noi, nella nostra esperienza attuale; e il futuro non è il vuoto sconfinato innanzi a noi, ma è lo stesso problema nuovo che sorge dall'attualità del nostro pensiero. Quest’attualità che si prospetta nel nuovo problema è la scienza, come creazione di esperienze nuove, di nuova vita; quel passato che si concentra in questa medesima attualità è la storia, come creazione di noi per noi, come crea¬ zione di una umanità che è da una umanità che fu, e come nuova creazione di una umanità che fu da una umanità che è. Questo è il senso dell’eterno che è nella storia. E nella nuova cultura viene in onore la storia, che ne forma tutta la sostanza. Il naturalismo aveva fatto della storia un vano gioco di masse incoscienti: noi eravamo posseduti «falla storia, non la possede¬ vamo. Ma neH’idealismo essa assume tutto un nuovo significato; noi incominciamo a comprendere il vero senso della continuità umana nel corso della storia, e possedendo il nostro passato, impariamo a posseder noi medesimi. È questo un movimento di cultura che appena ricomincia: già dalle stesse scuole neo¬ kantiane sorgono degli accenni di storicismo, per cui CONSIDERAZIONI FINALI 4S5 la mentalità neo-kantiana supera sé stessa. Ma, come abbiamo visto, manca a queste scuole l’idea dello sviluppo, della sintesi a priori. Ci danno le metodo¬ logie della storia, non ancora la dottrina della scienza. Ma la cultura hegeliana comincia a dare in questo campo dei risultati di gran lunga migliori. Già la convinzione dell’identità profonda della filosofia e della sua storia determina un’intensificazione degli studi sulle grandi filosofie del passato: si esce a poco a poco da quel confusionismo del secolo XIX per cui si univano in un ibrido miscuglio i più disparati concetti, e si equivocava Kant con Aristotele, Hegel con Platone. Ormai l’idea dello sviluppo del pen¬ siero filosofico comincia a entrare nelle menti, e si determinano con più rigore le posizioni di quelle pietre angolari della filosofia che portano incisi i nomi di Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel, vere cate¬ gorie del pensiero filosofico. Ma la .storiografia civile e politica è ancora nei voti. Ci siamo liberati dalle grossolane sociologie; tuttavia non riusciamo ad elevarci alla storia. È un’esigenza vitale per noi, perché solo con una forte cultura storica possiamo dare un orientamento de¬ ciso alla nostra vita e al nostro pensiero : nella vita sociale, superare l’astrattismo dominante, che ritarda di più d’un secolo sulla cultura d’oggi, ed è tutto impastoiato nei concetti della rivoluzione francese; nel pensiero speculativo, concepire l’unità più pro¬ fonda del reale, che è un’unità umana, spirituale e dinamica. La storia della mentalità umana deve ri¬ velarci la storia del tutto, una volta che col concetto nuovo dello spirito, anche la realtà naturale, fisica, è inclusa nel processo spirituale, perché non è qual¬ cosa di estraneo a noi, ma è la stessa nostra scienza; è la nostra ricerca e la nostra conquista. Vico e Kant 456 CONSIDERAZIONI FINALI debbono trovare ancora la loro unità; e questa sarà il coronamento della nuova cultura storica. Questa coscienza della storia ci dà un duplice im¬ pulso al lavoro; prima, perché la storia del passato si conquista faticosamente, e non per subitanee rive¬ lazioni, e poi perché la storia c’insegna che con l’in¬ staurarsi del concetto della realtà umana del mondo, ogni ragione di pigrizia, di fatalismo, di comodo ailidamento a una benevola provvidenza vien meno, e noi dobbiamo attingere da noi soli la nostra forza, perché noi siamo quel che ci facciamo, e la realtà nostra è lo stesso nostro lavoro. In questa coscienza, quella storia medesima che ci toglie la speranza in un provvido sussidio di potenze estranee, ci è fonte di conforto e di nuove energie: essa ci dice che noi non siamo soli, sperduti nel mondo, ma che in noi si concentra e s’individua lutto il nostro passato, e quel che noi crediamo di fare come singoli facciamo invece come ministri del tutto; la contingenza del nostro fare non è fuori dell’eterno, ma è l’alto stesso dell’eterno. Questa considerazione ci dà il senso della nostra elevatezza morale, e nello stesso tempo la coscienza della nostra libertà. Infatti quel passato che in noi si concentra e s’individua non agisce su di noi come per una forza fatale, per un impulso meccanico, si che noi siamo lo strumento incosciente di un potere che ci trascende; esso non è insomma soltanto una paternità non voluta, ma è anche nello stesso tempo la no.stra tìliàzione, in quanto vive in noi nel grado in cui lo facciamo vivere, e perciò, lungi dal meno¬ mare la nostra libertà, la potenzia, perché la libertà con cui vogliamo il nostro sviluppo spirituale è quella stessa che fa vivere in noi il passato e deter¬ mina la continuità spirituale della vita storica. CONSIDERAZIONI FINALI 457 L’uo dei campi più fecondi della cultura storica è quello delle scienze particolari. Spetterà forse allo storicismo di vincere l’apparente disgregamento del¬ l’empiria scientifica, e di costruire una più salda unità del tutto. Il problema delle scienze è un pro¬ blema sorto nel secolo XIX. Nella filosofìa hegeliana non esistono le scienze, ma la scienza; donde una tecnofagia del pensiero filosofico, che tutto vuol dis¬ solvere e includere in sé. Il progresso del secolo XIX sta in ciò che l’attività scientilìca quivi si divide in mille rami, e sorgono le scienze speciali, e si svol¬ gono ciascuna indipendentemente dall’altra. Donde il nuovo problema che si è imposto al pensiero filo¬ sofico di tentare una coordinazione del sapere di¬ sperso nell’unità dello spirito. Il positivismo ha dato i primi abbozzi di una rozza classificazione delle scienze, inquinata di formalismo, perché anticipa il metodo sulla ricerca scientifica e dispone le scienze lungo la scala delle generalizzazioni. Quasi che fosse possibile che le astrazioni esistessero come funghi, via via più grossi e più insipidi! Ma per giungere al problema filosofico delle scienze bisogna liberarsi del tutto dal formalismo: convincersi di una verità elementare della filosofia: che l’astratto, come tale, non esiste, cosa che del resto la stessa esperienza scientifica suggerisce, perché, come attualità di pro¬ cedimento, essa è sempre concreta, anche quando par che si muova tra le più vuote astrazioni. L’astratto come tale è un posterius di fronte al procedimento del pensiero, è il mero pensato, che per un’illusione ottica si anticipa sul pensare; ond’è che la scienza, nell’attualità del suo vivere e del suo fare, lo nega continuamente. Questa considerazi'^ne della concretezza del sa¬ pere scientifico è la piena confutazione di quei vuoti 458 CONSIDERAZIONI FINALI sistemi positivistici, che pretendono di integrare le astrazioni delle scienze nelle astrazioni della tìlosolìa, perdendo di vista ciò che è attualità della ricerca; perdendo la scienza, e non conquistando la lìlosofìa. In questa sua pretesa il positivismo era per altro assai più vicino che non si creda, almeno quanto al suo punto di partenza, alla filosofia di Hegel, per cui l’unico sapere autonomo era il sapere filosofico, in cui dovevano perciò risolversi i gradi più bassi, come l’arte e la religione. Ma l’esperienza del secolo XIX Ila dimostrato che le scienze hanno tutto il loro buon diritto a rivendicare una completa autonomia. È ancora un preconcetto naturalistico quello della divisione del lavoro tra le scienze, meccanicamente intesa, quasi che esistesse una realtà bell’e fatta, al di sopra del pensiero scientifico, da dividere in pezzi, e da ricomporre, poi, cucendo le scienze l’una all’altra. Ma ogni scienza, in quanto è attualità di pensiero, concentra in sé tutto il reale, che non è già qualcosa fuori di essa, ma è la sua stessa vita interiore. In questo campo, l’esperienza storica potrà darci dei fecondi insegnamenti. E sembra che in conformità delle nuove esigenze immanentistiche del pensiero, il còmpito della filoso¬ fia di fronte alla scienza debba essere profondamente trasformato: debba consacrare la loro libertà e auto¬ nomia, e non già tendere al loro assorbimento. Cosi le scienze, lungi dall’essere ostili al pensiero filoso¬ fico, si dimostrano esse medesime come filosofia, nel senso che la loro vita è attualità, è concretezza di pensiero; è, in altri termini, assoluta immanenza. Cosi dal seno stesso della cultura hegeliana, di quella cultura che parve un tempo la più lontana dalla vita, sorgono, per vie diverse, accenni nuovi e CONSIDERAZIONI FINALI 459 profondi, per cui la filosolia ritorna alla vita e s’im- inedesinia con essa. Il concetto dell’immanenza as¬ soluta del pensiero, in cui culmina questa nuova nietalisica, è in fondo l’espressione purificata di ogni trascendenza, dell’intimità e concretezza della vita. Ma per giungere a questo culmine, la filosofia ha dovuto e deve compiere un lungo giro nel do¬ minio della trascendenza, di ciò che spregiativa¬ mente si chiama metafisica : questo giro è neces¬ sario, perché solo attraverso di esso il concetto della realtà viva e attuale dello spirito si purifica di ogni astrattismo e si agguerrisce contro tutti gli assalti dei problemi, che nelle posizioni insufficienti restano insoluti, e urgono con la loro stessa pretesa insod- disfalta. Vano è l’assunto di quelli che vogliono fer¬ marsi a metà di questo lungo giro; la dialettica stessa del pensiero li annulla. APPENDICE A otto anni di distanzi^ dalla 1‘ edizione ho cre¬ duto di poter ristampare integralmente questa storia, poiché m’è parso che, nei suoi particolari giudizi e nella linea generale dei suo svolgimento, risponda ancora alle presenti esigenze dei nostri studi. Nel propormi di metterla, come suol dirsi, al corrente, accrescendola di notizie sul più recente movimento lilosolìco, ho dovuto .senz’altro escludere ogni esame sulla produzione lilosolìca straniera; troppo scarse e incomplete sono le informazioni che ancora si possono raccogliere*. V’é motivo tuttavia di ritenere che il contributo mentale degli ulliini anni sia stato molto esiguo e che esso non sposti le conclusioni del mio saggio storico. U’altra parte, non intendo, anche di proposito, parlare della cosi detta lilosolìa della guerra: troppo facile sarebbe l’iinpresa di sbrigarsene leggermente con un sommario esame di opuscoli e di raccolte, come, p. es,. lo scritto del Wundt, Die Nalionen limi ilire Philosophit (Leipzig, 19L5), del Bergson, La significntion de la guerre (Paris, Btoud, 1916) del De Wulf, Guerre et philosophìe (ivi, 1916), del Del- bos, L’espril plìilosophique de l’Allemagne (ivi, 1915), ^ Questa appendice ò stata scritta nel 1920. 3 Questa ulteriore ricerca è stata da me compiuta più turili, nel volume: FUosoli dei Soitecento. Bari. Laterza. 464 APPENDICE del Croce, Pagine sparse (Serie 2% Napoli, Ricciardi, 1919), del Gentile, Guerra e fede (ivi, 1919), e di molti altri ancora. Ma la lìlosotìa della guerra non è in questi scritti sporadici e occasionali, bensì in tutto il complesso del pensiero fllosollco contempo¬ raneo, dove il conllitto delle idee s’individua assai meglio che non dalle affrettate polemiche o dai con¬ citati ammonimenti che la gravità dell’ora suggeriva. Ho circoscritto pertanto il mio compito a dare un’integrazione del quadro storico sullo svolgimento del pensiero italiano, parlando, a) della Neo-scola¬ stica, che negli ultimi anni ha rivelato una fisonomia ideale propria, degna di esame; b) degli studi sto¬ rici e sociali, strettamente connessi al movimento della mentalità lìlosofica; c) di alcune più impor¬ tanti manifestazioni del nostro pensiero speculativo, (iosi, il piano di questa appendice è tracciato. 1. La Neo-scolastica. — Nella 1‘ edizione non feci alcun cenno di questa scuola, non già per superbo disdegno, come mi fu rimproverato, ma perché man¬ cava affatto un materiale suscettibile di esame. La Neo-scolastica italiana tentava appena i suoi primi passi, e la scuola di Lovanio, da cui essa comin¬ ciava lentamente a distaccarsi, aveva al suo attivo numerosi e pregevoli studi storici, come quelli del De Wulf, del Mercier, del Deploige, del Thicry, del Uefourni, del Noci, del Michette, e di altri ancora; ma era priva di una fìlosolìa propria, con caratteri storici ben definiti. Il L'orso del Mercier *, del quale si faceva gran caso negli ambienti neo-scolastici, I Divìso in 6 parti; 1) logica; 2) metafisica; 3) psicologia; 4) criteriologia generale; 5) storia della filosofia (scritta dal De Wulf; 6) cosmologia (scritta dal Nys). APPENDICE 465 mi sembrava tutt’al più buono a servir di testo in qualche seminario di provincia. Da quel tempo, non ho mutato opinione; ma lo sviluppo sempre maggiore assunto dalla Neo-sco¬ lastica italiana, l’importanza del suo sforzo per liberarsi dalla fiacca ideologia merceriana, che al principio mostrava di accogliere integralmente, at¬ traggono nell'orbita della storia non solo il nuovo movimento, ma, per ragione di contrari, anche l’antico, come per misurare il distacco dell’uno dal¬ l’altro. L’origine della scuola di Lovanio ‘ risale al prin¬ cipio del pontilicalo di Leone Xlll. L’enciclica Aeterni Palris, che idealmente la costituiva, era stata suggerita al papa dalla diretta conoscenza degli am¬ bienti intellettuali e cattolici del Belgio, acquistata durante la sua permanenza in quella regione, nella qualità ili nunzio apostolico. La Aeterni Patris è la magna charta degl’intel¬ lettuali cattolici, come la Hertirn ^ovarum quella dei politici. L’una e l’altra son concepite in un identico spirito: promuovere direttamente la formazione di una mentalità cattolica o di una politica cattolica, senza tuttavia legare stabilmente ad esse il pensiero o l’azione «Iella Santa Sede, in modo che questa possa in qualunque momento ripudiarle, come espres¬ sioni monche ed imperfette della sua trascendente e infallibile mentalità. Sono frutti di un’abile politica, che riduce a zero tutti i rischi, dando alla Chiesa tutto da guadagnare e nulla da perdere nella partecipazione alle lotte della vita moderna, e ponendola nella privilegiata condizione di giudice insieme e di parte. I L. \o^L. Louvain, Oxford, 1916. G. DE Ruggiero, La filosofia contemporanea. 30 466 APPENDICE L'università di Lovanio sorse, come centro di studi puramente cattolici, fuori di ogni ingerenza dello stato, direttamente sottoposta ai vescovi del Belgio, Nel 1894, essa ebbe per organo e interprete la Heinie Sèo-scolastiqne, modello di rivista erudita, che ha raccolto scritti storici di gran pregio e si è resa particolarmente benemerita degli studi con la¬ vori bibliografici accuratissimi. Costretta a interrom¬ pere le sue pubblicazioni, durante l’invasione tede¬ sca. le ha riprese poco dopo l’armistizio : grave ammonimento ai pigri, che hanno tratto dalla guerra soltanto il pretesto per dare un benservito agli studi. E, sotto gli auspici della Rivista e la direzione del De Wulf, è sorta un’importante collezione storica Les philosophes belges, che si propone di ristam¬ pare in edizioni critiche, corredate di ampi com¬ menti, gli scritti dei principali filosofi belgi del Medio Evo. Ad essa appartiene il Siger de Hruhunl, di Pietro Mandonnet *, la più profonda indagine e ricostruzione storica della scuola, in tema di filo¬ sofia medievale. La scuola di Lovanio sarebbe già, da questi suoi lavori, abbastanza ben caratterizzata ed avrebbe il suo posto nella filosofia contemporanea, come note¬ vole esponente di quelle tendenze storiche, che si fanno sempre più largamente strada e individuano la fisonomia mentale dell’età presente, in contrasto con la mentalità antistorica del naturalismo che l’ha preceduta. Ma Lovanio ha voluto avere una filosofia propria, in conformità dell’indirizzo in certo modo imposto dall’enciclica Aeterni Patris, una filosofia dommatica e antiquata, che profondamente ripugna > Louvain, 1911 (in 2 voli., l’uno contenente i testi, l’altro una ricostruzione storica delle lotte tra tomisti e averroisti nel sec. Xlll). appendice 4U7 con le sue esigenze storiografiche, e assai spesso le falsilica e le perverte. Non contenta di promuo¬ vere la conoscenza dei lìlosofi medievali, essa ha voluto copiarli, reintegrando una pretesa sintesi sco¬ lastica, creata dalfimmaginazione pseudo-storica di uno storico di valore, uscito dalle sue file, Maurizio de Wulf. Di fronte al preesistente neo-tomismo, la neo- scolastica ha voluto assumersi il compito più ampio di ricalcare non solamente le orme di san Tommaso, ma anche quelle di altri dottori, agostiniani e sen¬ tisti, che, un tempo nemici deH’.’^ngelico, vengono ora dal De Wulf scoperti come suoi collaboratori, nell’opera (da veri certosini!) di comporre uno smi¬ surato mo.saico scolastico, al quale è dato l’impro¬ prio nome di sintesi. Collaboratori sono in certo c profondo signillcato tutti i filosofi, quale che sia la loro divisa; ma la collaborazione de wulfìana tende a sopprimere 1 in¬ dividualità d’ogni singolo pensatore e d’inserirne le dottrine, come materiale amorfo, in una costruzione anonima, avulsa dalla storia, perché non più parte¬ cipe della mobilità del divenire, ma statica e inerte, atta soltanto ad accrescersi per successive sovrappo¬ sizioni. antiche o nuove che siano. Scolastica sarebbe quindi non più una tisonomia storica che si trasfor¬ ma, ma un masso immobile di pietra, che il De Wulf si dà cura di sottrarre ad ogni movimento, anche esterno, col separare nettamente la scolastica dal- l’anti scolastica, cioè col sostantivare, in un’altra unità separata e rigida, tutti quei moti divergenti e disgregatori, che pur appartengono allo stesso pen¬ siero medievale e che, inclusi con sano criterio sto¬ rico nella scolastica, le conferirebbero quella mobi¬ lità viva che appartiene a un vero organismo. 468 APPENDICE Questo pregiudizio più che scolastico falsifica la Storia della filosofia medievale del De Wulf, opera immeritainente celebrata, perché non può non susci¬ tare, nei critici meglio disposti ad apprezzare il la¬ voro altrui, che un senso di dispetto o di deplora¬ zione, al constatare come una cosi vasta e profonda conoscenza del pensiero medievale si falsifichi e si annulli, per colpa di un testardo proposito di voler trattare la storia con un criterio decisamente anti¬ storico. Pereant historiae, purché sia salva la neo-scola¬ stica: par che il De Wulf ragioni cosi. E in effetti, separando scolastica e anti-scolastica, papa e anti¬ papa, nel cuore stesso della storia medievale, dove la separazione degli elementi organici è più aspra e, diciamo pure, ripugnante, è tanto più facile per¬ petuare la separazione in seguito, quando Tanti-sco¬ lastica diviene a sua volta un’età storica, e accre¬ scere la scolastica dei magri doni dello Spirito, che le piovono addosso di tanto in tanto. È sorta cosi la neo-scolastica, quella scuola che, pur avendo di fronte al neo-tomismo l’incontestabile vantaggio di spaziare in un cielo storico incomparabilmente più vasto e di non accontentarsi di un san Tommaso ischeletrito, mutilo, custodito nella solitudine e quasi nel deserto dei secoli, ha poi sùbito voluto rinun¬ ziare ai suoi privilegi storici, facendo della storia una pesante cappa di piombo. Confesso che la lettura del corso del Mercier m’è costata assai più fatica che non quella delle Somme di Alessandro o di Tommaso o dell’Opus Oxoniense di Duns. La ragione è che si trattava di una fatica senza premio, che inaridiva progressivamente e senza recupero le proprie fonti e l’energia della resistenza. In fondo, non c’è che la struttura esterna massic- APPENDICK 469 eia, pesante, del tomismo, senza lo spirito di Tom¬ maso, tormentato dal problema insolubile di costrin¬ gere nelle forme aristoteliche una materia ribelle. Il Mercier ha raccattato nella storia quel poco che era compatibile con le sue premesse dommatiche: il criterio cartesiano dell’evidenza, il problema della criteriologia, inteso come un’attenuazione della cri¬ tica gnoseologica, il pseudo-empirismo dei positi¬ visti, e sopra tutto il formalismo della vecchia e nuova logica analitica. I..a criteriologia forma il se¬ greto della composizione di tutto il mosaico: essa ri- pristina (dopo Kant) il dubbio cartesiano, limitato ai soli oggetti della conoscenza, dichiarando illegit¬ timo il problema del valore delle facoltà conoscitive: un valore che viene dommaticamente presupposto. E del primo dubbio si sbriga facilmente col rico¬ noscere l’evidenza immediata di alcuni principi d’ordine ideale, ai quali si dà cura di negare ogni carattere sintetico e attribuisce invece un valore meramente analitico, che avvalora la loro intatta og¬ gettività. Ma tra i princìpi in questo modo sottratti al dubbio, v’è il principio di causa, il cui valore oggettivo consente di passare, senza salti, dalla sfera dei giudizi ideali a quella dei giudizi empirici; il mondo della natura e della scienza viene agevolmente rimorchiato dal principio d’identità. L’ontologia e la cosmologia del corso merceriano procedono di pari passo dalle premesse criteriologiche testé enun¬ ciate; idealismo e positivismo sono insieme saldati dal concetto di causa, che vanta titoli eguali presso l’uno e presso l’altro. E l’idealismo salva la trascen¬ denza di Dio, l’immortalità deU’aninia, la rivela¬ zione, con tutto il pesante bagaglio della domma- tica cristiana; il positivismo consente alla neo-scola¬ stica di modernizzarsi, di koketlieren (direbbero i 470 APPENDICE tedeschi) con le scienze della natura e 'l’indulgere il più ch’è possibile al gusto dei tempi. Una tale filosofìa è criticata in quanto è esposta; non si saprebbe se più deplorare l’ignoranza che vi si dispiega di tutta la storia del pensiero moderno o l’ingenuità di certi passaggi me'ntali, quello p. es., mediato dal principio di causa. Io rispetto assai più il dommatismo puro, lo schietto tomismo, che nega la storia del pensiero e si chiude nelle vecchie e ve¬ nerande formule; ma almeno non si lascia cosi fa¬ cilmente misurare dalla mentalità moderna come questa filo.sofia che le si accosta troppo da presso, e si trastulla ingenuamente coi suoi problemi. Il neo, anteposto al suo nome, vale a designare nul- l’altro che l’infantilità. Il movimento neo-scolastico italiano sorge come una copia fedele della scuola di Lovanio. Nel 1909 il Gemelli e il Canella fondano una Rivista di filo¬ sofia neo-scolastica sul modello della rivista belga ed accettano, nel programma, l’ideologia merceriana: < In generale, l’errore fondamentale della critica mo¬ derna sta nel confondere il carattere di relatività della conoscenza considerata come uno stato psico¬ logico con la relatività della conoscenza in sé stessa errore che si deve principalmente al fatto di essersi i moderni pensatori abbattuti nella muraglia insor¬ montabile della prova del valore dei nostri mezzi conoscitivi, considerata come base prima e neces¬ saria di ogni ricerca sul valore oggettivo della cono¬ scenza. La neo-scolastica invece, mettendo in seconda linea il problema del valore dei mezzi conoscitivi, affronta la ricerca del criterio primo della certezza, e questo criterio non riconosce legittimo se non quando trova che per suo mezzo la necessità e funi- APPENDICE 471 versalità <Ielle nostre conoscenze può avere una ori¬ gine sperimentale. In tal modo l’oggettività dei prin- cipii d’ordine ideale viene a imporsi come un fatto d’evidenza, e su questi solidissimi fondamenti si può costruire l’edilìzio delle scienze e legittimare il valore stesso delta ragione » Nella divisione del lavoro tra i due direttori, il Gemelli assumeva la parte scientifica, il Canella la parte criteriologica e metafisica, conforme alla di¬ stinzione ideale del Mercier, pronti a darsi la mano sul ponte del principio di causalità. Le prime annate della rivista furono un po’ grame, almeno per ciò che riguarda le costruzioni originali, atte a legitti¬ mare il titolo di neo-scolastica: mentre la parte reda¬ zionale era condotta non senza maestria e rivelava un interessamento vivo ed inquieto verso il pensiero tilosolico contemporaneo. Il suo pensiero era però ondeggiante. Il semi- dommatismo (o semi- criticismo) merceriano, come generalmente tutte le posizioni fiaccamente ecletti¬ che, non poteva essere un punto di sosta, ma spin¬ geva gli spiriti più conseguenti ad avanzare o ad indietreggiare, ad affiatarsi col movimento del pen¬ siero contemporaneo, oppure a chiudersi nel puro dommatismo. Già nel 1909 abbiamo le prime battute d’aspetto contro il Mercier: deboli battute, del resto, svolte neH’àmbìto stesso della mentalità semi-dommatica, semi- critica, dal Masnovo, che ripudiava il cosi detto subordinatismo idealista merceriano, per abbracciare una forma di mitigato empirismo, che muove dal¬ l’esperienza e subordina ad essa i principi ideali, in luogo di muovere da questi per farne dipendere 1 Rivista di fìlos. neo-scoL^ I, pp. 10-11. 472 APPENDICE quelli *. Il Canella, invece, il Tredici e altri sostene¬ vano il Mercier e promovevano iliscussioni gnoseo¬ logiche scarsamente conclusive. Ma il problema era più arduo e complesso di quel che vedessero i contendenti. Si trattava non tanto di discutere singole dottrine del Mercier, quanto di valutare tutta intera la sua posizione mentale. È lecita la ricerca gnoseologica? E allora la crite¬ riologia merceriana è insuflìciente, perché non riesce a confutare Kant e tanto meno Hegel. Non è lecita? E allora bisogna tornare al puro realismo scolastico, negando anche l’aborto criteriologico. Dommatismo puro o superamento dell’idealismo: padre Mattiussi o un X da creare. Questo vedeva chiaramente, fin dal 1912, Francesco Olgiati, una delle personalità più aperte e simpatiche della neo-scolastica italiana; temperamento meno filosofico del Chiocchetti, ma, perché nel tempo stesso meno vincolato da pregiu¬ diziali dommatiche e da esigenze sistematiche, più libero e disinvolto nel muoversi tra i sistemi con¬ temporanei, più pronto ed entusiasta nell’accoglierne le esigenze, anche se contrastanti col tomismo. Nel formulare il suo dilemma egli aveva due punti di riferimento non egualmente stabili : il dommati- srao del Mattiussi e l’appena incipiente tentativo fatto dal Chiocchetti per giungere, attraverso la cri¬ tica della filosofìa crociana, a una concezione scola¬ stica molto modernizzata. E, pur simpatizzando con quest’ultimo, egli temeva di arrischiarsi per una via irta di pericoli e d’incognite; onde tornava poco dopo alla vecchia tesi che < per opporsi a Kant, < Amato M.asnovo. l.’na questione di Ontoìogiu nella scuola di Lovanto, I, p. 2.S3 sgg. “ Rtv. di fìlos. neo-scol., IV, 3-4: \ote sul problema della conoscenza. APPENDICE 473 bisogna presupporre e non già porre in discussione il valore della ragione > 11 Mattiussi lo spaventava col suo libro: Il veleno kantiano (1914 “), dove gli lasciava intravvedere il rischio di rinnovare la miseria di Abelardo, non più per amore di una bella Eloisa, ma... della filosofia kantiana: «Noi pretendiamo, diceva l’apocalittico Mattiussi, che nell’opera del filosofo di Koenigsberg dal principio alla fine ogni cosa è impossibile e il disegno n’è contradittorio, che tutto è rovina e che qualunque asserzione si ammetta di quello ( sic) che egli da sé nuovamente disse, ne rimane tronco alla radice dell'essere conoscitivo (??); ed è veleno, del quale basta una goccia per dare la morte alla scienza e all’intelletto (!!)>. E in un altro suo scritto. Il Problema della conoscenza, il Mattiussi mostrava di porre allo stesso livello la critica kantiana della ragione e il dubbio merceriano sull’oggettività della conoscenza additando, nel dommatismo puro, la via della salvezza dell’anima e del corpo. Questa recrudescenza di animosità da parte dei dommatici derivava in gran parte dalla scandalosa impressione che sul loro animo aveva fatto il tenta¬ tivo del padre Chiocchetti, animoso e ardente pensa¬ tore trentino, il quale s’era proposto di acclimatare negli ambienti scolastici il sistema del Croce. Tra il 1912 e il 1914 egli aveva infatti pubblicato una serie di articoli su quella filosofìa, nella Rivista del Gemelli, facendo precedere all’esame del pensiero crociano un lungo excursus storico sulla specula¬ zione tedesca che ne costituiva il fondamento. Il piano storico del lavoro era sbagliato, in quanto I Op. eli., VI, p. 317. > Ibid., VII, p. 29. 474 APPENDICE che la genesi del pensiero del Croce si spiega rimon¬ tando non la corrente centrale, metafisica (il Croce direbbe teologica) Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Spa- venta; ma una corrente laterale che ha per suoi estremi Vico e De Sanctis. L’interessamento del Croce per le grandi filosofìe tedesche interviene in un secondo momento, come per meglio intonare, storicamente, un pensiero già in gran parte formato per via diversa. A ogni modo, lo sforzo di volere attribuire un interesse centrale a una filosofia che ripudia ogni centro fisso dell’interesse speculativo, costituiva pel Chiocchetti una propizia opportunità per poter superare, insieme col Croce, tutta la spe¬ culazione classica, e per liberarsi, cosi, del pesante fardello della storia. Alla filosofia crociana egli faceva larghe e impor¬ tanti concessioni: la teoria dell’arte, dell’ateoreticità dell’errore, e principalmente quella del concetto con¬ creto, che culmina nella circolarità creatrice dello spirito. Faceva naturalmente le sue riserve: «Am¬ mettiamo anche noi un divenire, un progresso, ma non possiamo concepirlo senza ricorrere a un prin¬ cipio che non sia principiato, perché personale nel senso più alto della parola ; un principio fine a sé stesso e fine del tutto, un (ictus parus personale, dal quale e per il quale il progresso esiste, un centro di riferimento di tutta l’attività ». Moveva alcune critiche in parte calzanti: «Il concetto di persona, il valore della persona: ecco quello che manca, so¬ prattutto nella dottrina del Croce, e rende vano e senza significato il divenire della realtà attraverso le forme... Anche il concetto dello spirito come cir¬ colo o come ininterrotto e ordinato arricchimento di attività, per avere un senso, dev’essere concetto e deve inchiudere in sé come elemento essenziale il appendice 475 fine deU’attività progressiva, la persona; se no ab¬ biamo l’assurdo del progresso in infìnitum, checché opponga il Croce » *. Ma il vizio più grave che svaluta le adesioni non meno delle critiche, sta in un fraintendimento, che non saprei spiegarmi con motivi puramente mentali (ateoreticità dell’errore, padre Chiocchetti!) : quello del concetto puro del Croce con Vunìversale in re di san Tommaso. In fondo, accettando l’universale con¬ creto della filosofia moderna, il Chiocchetti non vi riconosce che il progenitore scolastico, dimenticando, 0 mostrando di dimenticare, che in esso c’è l’apper¬ cezione pura di Kant, la risoluzione dell’oggettività naturale, in una parola, lo Spirito. Affermare che < il vero reale è l’individuale penetrato di raziona¬ lità, di concetto », non significa che si sia compreso il razionalismo moderno, perché l’affermazione è co¬ mune anche ad .Aristotele e a Tommaso. Ma svolgere, poi, questo concetto col solito dualismo del soggetto e deH’oggello nella conoscenza, del soggetto cono¬ scente finito e del soggetto creante infinito, nel rap¬ porto dell’essere, significa, non che superare il kan¬ tismo, battere una ritirata precipitosa tra le trincee del dommatismo scolastico. 11 Chiocchetti è in fondo un dommatico non meno del Matliussi. Egli dice, p. es. : «che il nostro spirito, conoscendo, crei il reale, cioè il razionale oggettivo, con quella porten¬ tosa sintesi a priori dell’idealismo post-kantiano le perché non di Kant?], è contraddetto dalla coscienza umana, che è atteggiata, naturalmente, di fronte alla realtà, come spettatrice di oggetto che deve conqui¬ stare faticosamente, comprendendone la razionalità al lume della propria ragione ». A che prò, mi chiedo. i Op. cit., V, p. 62. 476 APPENDICE paludarsi, e quasi, infarinarsi di terminologia mo¬ derna, quando resta, nel fondo, l’antico uomo? Ma se il risultato del tentativo del Chiocchetti è nullo, non è tuttavia negativo il valore del suo sforzo. Il fatto stesso del cimentarsi col pensiero moderno, del seguirne lo sviluppo con interesse e spesso con penetrazione è nuovo negli ambienti cat¬ tolici. Sotto questo aspetto tra un Mattiqssi e un Chiocchetti corre un abisso profondo. Anche il tomi¬ smo, che è comune all’uno e all’altro, ha in essi una diversa presenza: nel Chiocchetti, esso è rinfrescato e come ringiovanito, al contatto di una mentalità nuova, ansiosa di riadattarlo all’ambiente storico. Si legga lo scritto : Il Pensiero *. Ivi la mentalità dell’autore si muove tra i limiti della massima to¬ mista : cognitum est in cognoscente ad modum co- gnoscentis; ma qui, dove un vecchio dommatico si darebbe pena di mostrare che Vobiectum in sé non è allatto messo in pericolo, il Chiocchetti invece accen¬ tua il valore di queU’innoyafio, di quella trasforma¬ zione profonda che l’oggetto riceve dal soggetto, e che, se non è un vero creare, è, almeno, un « ricreare trasformando ». Ma dov’è che preesiste l’oggetto se il soggetto presente non lo crea? In una qualche nostra attività che non sia pensiero, mà che sia spi¬ rituale: nell'intuizione. Qui veramente mi par d’in- Iravvedere un Chiocchetti molto diverso dal prece¬ dente; ma lo spunto mentale è troppo tenue perché si possa fondare su di esso alcuna conclusione. L’unica conclusione plausibile è che il pensiero del Chiocchetti, nella preoccupazione di voler trac¬ ciare precisamente i suoi confini nell’àmhito del dommatismo, rivela facilmente di averli superati. i Op. cit., VII, p. 47 sgg. appendice 477 Ma volendo stare ai dati, come storici, dobbiamo a nostra volta limitarci a constatare che il supera¬ mento (mi si permetta una volta l’ormai odiosa e antiquata espressione) sta più neH’atteggiamento, nello sforzo, verso un'intuizione penetrala di pen¬ siero medievale e motlerno, anziché nel sicuro pos¬ sesso della vagheggiata dottrina. Il tentativo del Chiocchctti sollevò non poche opposizioni negli ambienti scolastici e neo-scolastici. Più che una vera e propria apostasia dal tomismo (sotto il quale riguardo era impeccabile), la nuova teoria del « concetto concreto » appariva una peri¬ colosa antitesi del metodo astrattivo seguito dagli scolastici, e perciò capace di turbare la continuità della tradizione. Ma, pur non accettato generalmente (neppure dall’Olgiati). il pensiero del Chiocchetti non poteva non esercitare un’influenza sull’anda¬ mento delle solite discussioni della scuola e non dare alle vecchie dispute un insolito sapore di modernità. Noi osserviamo infatti, fin dal 1914, un più deciso atteggiamento dei neo-scolastici verso la filosofia del Mercier e una maggior libertà e spregiudica¬ tezza nelle critiche: indizi di più larga prepara¬ zione e di crescente consenso per la mentalità mo¬ derna. In Una discussione intorno alla criterio¬ logia di Lovanio la debole difesa che il Tredici faceva della dottrina del Mercier era efiìcacemente oppugnata dall’Olgiati. che dimostrava contradit- toria la posizione di Lovanio, «in quanto, combat¬ tendo a parole il dogmatismo assoluto, non viene a conclusioni oggettivistiche, se non pre.supponendo sempre' la legittimità del procedimento proprio al dogmatismo assoluto stesso ». Anche ammesso, egli « Op. CI/., VI, p. 335 5gg. 478 APPENDICE soggiungeva, che l’evidenza ci dica che il predicato conviene al soggetto; tale evidenza chi la scorge? La ragione! Guai perciò se il Mercier non presup¬ pone che la ragione ragioni bene. E anche quando egli parla di giudizi di ordine reale, in tanto arriva aU’airermazione del mondo esterno, in quanto lo presuppone dommaticamente; perché chi altro, fuori del dommalico, è sicuro deH’oggettività del princi¬ pio di causa, nel mediare il passaggio dall’ordine ideale a quello reale? E concludeva, dichiarando espressamente che la criteriologia del Mercier do¬ vesse essere abbandonala. Il male era (e gli stessi neo-scolastici lealmente riconoscevano) che mancava il modo di sostituire il Mercier; né, fino ad oggi il vuoto è stato ancora col¬ mato. Donde un procedere alquanto sbandato e a tentoni, senza un preciso indirizzo, e perciò confon¬ dendo insieme intuizioni vecchie e nuove, predicozzi e teorie originali. Queste ultime appaiono scisse da ogni concezione organica ed esprimono piuttosto adesioni simpatiche alle conquiste del pensiero mo¬ derno che frutti di una conquista propria. Cosi, quando l’Olgiati scrive nel suo libro su La filosofìa di H. Bergson (Torino, 1914) che scienza e fìlosolìa marciano in due direzioni ben diverse; questa verso la storicità della vita e della coscienza; quella verso Tanti-storicità degli elementi della psicofisica e della psicofisiologia; Tuna verso il movimento composto d’immobilità e di simultaneità, l’altra verso il mo¬ vimento reale: — o quando egli critica acutamente la filosofia dei valori, mostrando falsa e artificiosa la separazione del fatto dal valore; — le categorie del suo giudizio non sono più offerte dalla scola¬ stica, ma dalla logica immanente del pensiero mo¬ derno. La neo-scolastica, in altri termini, si lascia APPENDICE 479 inconsapevolmente rimorchiare dalla (ilosolia con¬ temporanea. alla quale appartiene, malgrado le pre¬ messe scolastiche e non in virtù di esse. Si spiegano quindi le perplessità che suscita nei più rigidi conservatori la tendenza dei giovani filo¬ sofi a modernizzarsi : privi di un definito indirizzo proprio, corrono il pericolo di venire facilmente as¬ sorbiti. Essi sono pronti a fare le più ampie conces¬ sioni al pensiero moderno e non chiedono che un posticino per il trascendente e per l’immortalità dell’anima. Ma questi concetti non formano che il residuo delle nostre filosofie; un residuo magari non risoluto, ma che tuttavia non può mai essere assunto come centro della ricerca. Nello spirito della filosofia moderna, trascendenza vuol dire — soggettivamen¬ te — pigrizia, stanchezza, insoddisfazione: momenti spirituali che tutti attraversiamo continuamente, ma con l’ansia di liberarcene, e che ad ogni modo non oseremmo elevare a simbolo della nostra operosità. Il distacco tra gli scolastici e noi sta quindi non tanto nell’affermazione e nella negazione (che potreb¬ bero anche essere equivalenti) di un dato oggetto, quanto nell'indirizzo, nel significato del rispettivo lavoro. Ma, preso appunto in questo senso, l’imma¬ nentismo è invincibile, perché assume come propria forza la forza stessa dell’uomo, e non indulge alla sua miseria e alla sua pigrizia, o almeno le considera come pause necessarie e transitorie, nello spiega¬ mento della personalità umana. La neo-scolastica, pretendendo di rimontare questa corrente, finirà con Tesserne travolta. L’operosità della Rivista di filosofia neo-scola¬ stica si è svolta ininterrottamente durante la guerra con quella serietà e con quel decoro che era lecito attendersi da studiosi severi. Recensioni accurate. 480 APPENDICE ampie discussioni, aperte al pubblico con spirito veramente liberale, e che, anche quando si svolgono sopra temi oltrepassati, rivelano sempre un amore sincero della verità; utili informazioni sul movimento generale della cultura, formano il pregio, mai smen¬ tito, della rivista. Ultimamente essa ha voluto anche cimentarsi con la fdosofìa del Gentile; ma il La Rosa e il Borrello che hanno assunto un tal compito erano meno agguerriti del Chiocchetti ed hanno appena sfiorato il tema senza imprimervi nessuna nota perso¬ nale. La lizza è tutt’ora aperta; e non può sottrarsi al rischio qualche spirito battagliero, perché la filo¬ sofìa del Gentile rivela, assai più di quella del Croce, un’ispirazione teologica, e quindi più direttamente è alle prese con l’intuizione scolastica del mondo. Segno molto notevole dell’orientamento della neo scolastica verso i problemi dell’idealismo con¬ temporaneo, è il programma con cui il Gemelli ha aperto l’annata del 1919. Quivi si dividono netta¬ mente due periodi : « Quando la neo-scolastica si è alfermata a Lovanio, nel periodo d’oro dell’attività del card. Mercier, essa si trovò di fronte ad un com¬ pito ben differente dal compito che attende noi. Era quello il periodo del trionfo del monismo materia- lista, positivista; i progressi della scienza avevano fatto nascere lo scientismo; la fdosofìa negava tutto ciò che non era fatto, per ridurre tutto alla materia o all’energia. E la neo-scolastica ebbe il merito di aver combattuto efficacemente il positivismo, rivendi¬ cando la discontinuità del reale e la concezione dua¬ listica del mondo... Ma le esigenze dei nuovi tempi hanno creato nuovi problemi. Non è più il monismo positivista che impera, bensì l’idealismo; non sono i problemi della scienza che preoccupano, bensì quelli dello spirito. Non si tratta più di discutere l’origine APPENDICE 481 del mondo, deH’uomo, della natura dell’uomo, ecc., bensì di rivendicare alla mente umana la capacità di conoscere ia realtà, di ricercare e determinare l’orga¬ nicità del reale in un tutto e di illustrare come la mente umana lo conosce; si tratta di rivendicare la capacità della mente umana a risalire a Dio, ecc. ecc.; in una parola, si tratta di difendere il nostro duali¬ smo contro il monismo idealista ». E nel numero seguente della rivista, l’Olgiati in¬ tegra il programma del Gemelli, spiegando che il compito nuovo della scuola sta non soltanto nel com¬ battere l’idealismo contemporaneo, in quel che con¬ trasta alle aspirazioni della vita retigiosa, ma anche di accoglierne quanto è possibile lo spirito, comple¬ tando il vecchio metodo dell’astrazione con un pro- ce.sso sintetico, aderente all’organicità del reale. In una parola, a differenza di altri paesi, la neo-scola¬ stica italiana afferma vivo e profondo il senso della storicità. Siamo dunque all’inizio di un rinnovamento che già si preannunzia movimentato e pieno di contrasti. Pur non nutrendo liducia in una innovazione della scolastica come tale, abbiamo fiducia negli uomini e nella forza rinnovatrice del pensiero. 2. Gli studi stoiuci e soci.ali. — La storia della storiografìa in Itaiia nei secolo XIX, che il Croce va pubblicando nella Critica dal 1915, offre allo sto¬ rico della filosofia contemporanea un nuovo e ricco materiale d’indagine. Quell’identità di filosofia e di storia, che l’idealismo afferma come la sua più alta conquista mentale (o che almeno è la sua più intensa aspirazione) si traduce in pratica in una concezione dello sviluppo della storiografia che coin- G. DE Rugoiebo, La filosofia contemporanea. 31 482 APPENDICE cide perfettamente con quello della filosofia, ed anzi si svela un momento inseparabile di essa. All’opera del Croce io attingerò, dunque, i pochi dati neces¬ sari per integrare il mio sommario storico *. L’avvento del positivismo in Italia, nella seconda metà del secolo XIX, significò uno strano miscuglio di storia e d’antistoria, di esaltazione dei fatti e di passiva accettazione di residui teologici. L’ultima storiografia idealistica —■ la scuola neo-guelfa — si era spenta, coinvolta nella generale catastrofe del pensiero nazionale del ’48; ma la consuetudine stessa dei suoi problemi e delle sue idealità si tramandava agli araldi dei nuovi indirizzi. Il Ferrari, che sotto molti aspetti è un precursore del positivismo storico, o almeno un anello di congiunzione tra il guelflsmo e il positivismo, nella Histoire des révolutions d’Italie, svolgeva, sul piano stesso della mentalità cattolica, le sue negazioni e le sue antitesi. Al concetto della Provvidenza come forza dinamica della storia, egli sostituiva il concetto della fatalità e si raffigurava il corso degli avvenimenti umani come sospinto da < fatali antipatie », naturali e invincibili come tutte le diadi dei sistemi teologici. Ma la divinità era as¬ sente, all’inizio e alla fine del processo, il quale si svolgeva, cosi, come una deduzione senza significato e senza meta di due sistemi politici, il guelfo e il ghibellino, nelle loro innumerevoli sottoforme, che si rincorrevano e s’incalzavano perennemente lungo la storia d'Italia. E al guelflsmo egli toglieva l’idea federalistica per contrapporvi l’idea unitaria e fon¬ derle insieme in un dialettismo che aveva come pre- 1 Per cortese concessione del C.. ho potuto leggere in ma¬ noscritto le puntate ancora inedite della sua Storia, che sono le più importanti, perché da esse sUndividuano Tintero piano deli’opera e la linea di sviluppo della storiografia italiana. APPENDICE 483 gio maggiore l’attualità dell’ispirazione, in un tempo (1857) io cui il pensiero storico-politico gravita\a tutto intorno a quelle idee. Compiutasi l’unità italiana e spentasi la passione politica, la storia si andò gradatamente distaccando anch’essa dalla vita, per divenire una scienza nel significato cattedratico e impersonale della parola. I/età del positivismo è caratterizzata, negli studi storici come generalmente in quelli lìlosofici, da due tendenze oppo.ste, e tuttavia identiche nella stessa opposizione. Da una parte si volle iniziare l’esame particolareggiato, minuto, dei nudi fatti, ripudiando ogni soccorso delle idee ed ogni contatto degl’inte¬ ressi immediati della politica; dall’altra il pensiero, invano mortilicato e disconosciuto, si sbizzarrì in co¬ struzioni fantastiche, creando la teologia e l’idolatria dei fatti, e scambiando con questi le più vuote e astratte chimere. Il Marselli, nella sua Scienza della storia (1873), ricalcava le orme comtiane distin¬ guendo una fase teologica, una fase metafisica e una ultima fase scientifica della storia, e, armato di que¬ sta triade, a .sua volta poco scientifica e positiva, costruiva a priori le varie fasi della storiografia. Altri scrittori, invece, pure rifuggendo da siflatti assunti troppo palesemente teologici, insinuavano timida¬ mente la loro rillessioiie tra gli avvenimenti, e per incapacità di compenetrarla in essi, astrattamente giudicavano, condannavano o assolvevano, in nome di principi umanitari, morali e cattolici, sventolati a guisa di bandiera sulla grigia trama delle loro nude narrazioni. I temi storici che nell’età precedente della passio¬ nalità politica, neoguelfa o neoghibellina, unitaria o federalista, erano nettamente scelti e circoscritti nel- l'àmbito degl’interessi immediati, furono qui invece 484 APPENDICE i i)iù disparati e caotici. Null’altro infatti spingeva i nuovi ricercatori alle loro indagini, fuori della cu¬ riosità letteraria ed inedita, del gusto di sperimen¬ tare e di mettere in mostra le abitudini e le virtuo¬ sità fdologiche, elevate a criterio e a misura della valutazione mentale. Dissodare quanti più campi fosse possibile, a preferenza i più incolti, anche se promettenti un rendimento assai scarso, era l’ideale di quei manovali del pensiero. Eppure, malgrado le molte aberrazioni ed inconcludenze, cui dava luogo il puro fllologismo, una esigenza ben solida era pre¬ sente al lavoro della nuova generazione di storici; quella stessa che faceva del positivismo filosofico, malgrado la sua patente inferiorità di cultura e di preparazione rispetto ad altri indirizzi contempo¬ ranei, qualcosa di nuovo ed originale, un elemento di rinnovazione e di progresso degli studi fìlosolìci. E cioè l’esigenza immanentistica del pensiero, la tendenza a non trascendere il dato, ma a spiegarlo coi suoi .stessi mezzi; un’esigenza e una tendenza, che, liberate dalla grossolana scorie positivistica, get¬ tavano all’avvenire il germe di una più alta filosotia, e che ad ogni modo, pur con quella veste, rappre¬ sentavano già una decisiva istanza contro l’astrat¬ tismo e l’arbitrio delle costruzioni metafìsiche del tempo. Come bene osserva il Croce, le minute re¬ gole della filologia, i divieti di accostarsi a un tema storico senza conoscere la « letteratura dell’argo¬ mento », nient’altro erano che « la traduzione in ca¬ none empirico della storicità del pensiero e di ogni forma di attività, che, tanto più è veramente origi¬ nale, libera ed individuale, quanto più si congiunge con l’opera altrui e con l’opera del passato ». I fautori del fllologismo, i cosi detti « puri storici » vengono dal Croce distinti in due generazioni, con appendice 486 un criterio non solamente cronologico, ma anche ideale. La prima generazione è quella dei convertiti al metodo filologico: scrittori cioè che avevano già militato sotto altre bandiere e che importavano, spesso loro malgrado, nella nuova scuola il senso dei grandi problemi sorti dall’educazione filosofica precedente. Cosi il Villari, il Malfatti, il De Leva, il Compa- retti. riuscivano a mitigare l’aridità del puro positi¬ vismo storico, agguerriti com’erano di una cultura più ricca e complessa, alla quale il professato reali¬ smo filologico dava un senso nuovo di concretezza e di attualità. Ma la seconda generazione dei puri storici nasce in un ambiente diverso, e precisamente in quello delle scuole filologiche fondate dalla gene¬ razione precedente. Più epurata di ogni estraneo in¬ flusso, essa è anche più arida e incolore e svela nella sua grama nudità i vizi del mero fìlologismo isolato da ogni concezione organica della vita. Cosi dal De Leva al suo scolaro Cipolla, dal Comparetti al Graf, dal Malfatti al Crivellucci, si discende per una china sempre più precipitosa; e, spogliandosi la sto¬ ria di ogni criterio immanente di valutazione, ven¬ gono a disporsi da un lato i nudi fatti, dall’altro, sovrapposti e quasi incollati, i comenti. Il grigio moralismo e cattolicismo del Cipolla, l’atteggiamento letterario e accademico del Crivellucci e del Graf, la riduzione della storia a sterili negazioni del Pais, messi in rapporto con la dotta e minuta preparazione filologica di quegli autori, rappresentano i distaccati e sparsi elementi di una morta analisi che lavora in senso inverso al procedimento sintetico del vero storicismo. Una reazione viva, animosa, contro l’incolore fl- lologismo è costituita, negli ultimi decenni del secolo 486 APPENDICE scorso, dall’opera di Alfredo Oriani. Questi, nel campo delle scienze storiche, e generalmente morali e politiche, assume un atteggiamento che ha qualche af¬ finità (fatta la debita proporzione degl’ingegni e della preparazione scientifica) con quello di Bertrando Spaventa in filosofia, di fronte aH’imperante positi¬ vismo, e di Francesco De Sanctis nell’estetica e nella critica letteraria, al cospetto dello stesso nemico. E, come i due grandi meridionali, anche lo scrittore ro¬ magnolo è passato quasi inosservato alla sua genera¬ zione mal <lisposta a comprenderlo; con danno non solamente della sua fama, ma dello stesso sviluppo organico del suo pensiero, sul quale l’estraneità e rindilTerenza deH’ambiente hanno gravato come un peso morto, soll'ocante. Di qui quella continua involu¬ zione, quella diseguaglianza, quel procedere ansante ed enfatico, che generalmente si osservano nei precur¬ sori, in tutti coloro cioè, che non potendo trovare in uno scambio simpatico e intelligente col proprio am¬ biente il loro interno equilibrio, sono costretti a un logorante lavoro di auto-critica e a un eccessivo di¬ spendio di energie mentali per uno scopo negativo di resistenza. 11 pensiero di Oriani, sparso in molti romanzi e in libri di varia letteratura, tutti di forte accentua¬ zione filosofica, è particolarmente sviluppato in due opere di maggior lena: La lotta politica in Italia e La rivolta ideale. La prima, contrariamente al titolo, non è una descrizione della lotta politica contemporanea, ma una larga introduzione storica, troppo larga, forse, come semplice introduzione, poiché s’inizia dalle origini medievali dell’Italia moderna. Ma, poi¬ ché l’esame, promesso dall’Oriani, della lotta vera e propria non venne mai alla luce, l’introduzione è ri¬ masta come un tutto a sé, come una storia d’Italia. Il APPENDICE 487 lavoro è nettamente distinto in due parti, molto di¬ verse per originalità di vedute e per solidità di prepa¬ razione. La prima, che va dal medio evo al principio del secolo XJX, è allrettata e, in gran parte, foggiata sullo stampo di modelli precedenti, in particolar modo sulla Storia delle rivoluzioni d’Italia del Ferrari, che le fornisce le categorie dell’unità e del federalismo, sulle quali tutta la narrazione è arbitrariamente tra¬ mata. Si sente che l’Oriani si muove a disagio tra quei temi non bene assimilati, la cui trattazione gli viene tuttavia imi^osta dal pregiudizio naturalistico che le origini di gn movimento storico debbano affondare nella preistoria e che quindi una storia d’Italia non sia possibile se non attraversando il medio evo, Roma, e forse anche la remotissima età preromana, tanto fa¬ voleggiata dagli scrittori del Settecento. Ma non ap¬ pena passa dalla preistoria alla vera storia d’Italia, che s’inizia coi primi fermenti rivoluzionari suscitati dai giacobini di Francia, l’Oriani acquista maggiore padronanza del suo tema, e in due volumi, ci dà un quadro abbastanza vasto del nostro Risorgimento. Qui le idee direttive dell’unità e del federalismo appaiono meglio appropriate al materiale storico da esaminare, mentre nella narrazione precedente, applicate ester¬ namente a una materia ribelle, si rincorrevano con un gioco monotono e meccanico di antitesi. Le esperienze storiografiche della Lolla politica sono dall’Oriani raccolte e tipizzate nella Rivolta ideale, libro dell’età più matura, che di fronte al precedente spazia in un orizzonte più vasto; ma, non tramato sopra un racconto storico particolareg¬ giato, riesce più astratto e monotono. Quivi la storia è afl'ermata come la biografia dell’umanità, ancora giovane dopo tanti millenni, ma non ancora arrivata alla pienezza di una coscienza mondiale. Il primo 488 APPENDICE Si-colo che più si avvicina a questa meta è il XIX, che « fu il secolo dcH’indiviiiualità e diventò quindi il più mondiale di tutti, quello che doveva davvero ini^^iare la grande epoca della storia universale > *. Individualismo e universalismo fanno centro in Eu¬ ropa, donde s’irradia la nuova storia del mondo; tutte le conquiste della civiltà estraeuropea sono in¬ fatti europee nello spirito e nell’impulso; l’Africa particolarmente è il supremo sforzo e il massimo rispltato della storia europea nel secolo XIX. Questo non porterà nome di uomo o di popolo, perché le massime creazioni sono anonime: « il genio può rias¬ sumere l’incoscienza di un popolo, non dare la pro¬ pria fisonomia alla sua coscienza ». Il suo carattere ideale è chiuso tra due fdosofle, che rappresentano il suo trionfo e la sua degrada¬ zione: «Dopo Tenorrae abbacinante filosofia di He¬ gel, che riassunse tutta l’antichità e aperse l’era mo¬ derna, la degradazione fu precipitosa; Hegel aveva sollevato il mondo nelle idee, i positivisti distrus¬ sero le idee nei fatti; la loro filosofia era la sola con¬ veniente a una fase industriale, che isolava gl’indi¬ vidui livellandoli invece di unificarli; l’inconoscibile, del quale l’interpretazione istintiva è ideale e pregio della vita, venne dichiarato inutile, la storia cessò di chiedere le rivelazioni del passato ai grandi pen¬ sieri per impararle dalla parzialità dei piccoli docu¬ menti, le leggi non furono che disposizioni nelle apparenze fenomeniche, la morale un mutare di co¬ stumi, le idee una metamorfosi delle sensazioni. La superlicialità rese tutto facile, e la volgarità parve la sicurezza del reale. L’uomo, senza lo spasimo del¬ l’infinito nel cuore e la luce divina nel pensiero. I La Hiuolta ideale^ ed. Laterza, p. 19. appendice 489 ritliscese neiranimalità, ultimogenito di una serie, anziché primogenito della creazione > ‘ Contro questa degradazione positivistica o indu¬ striale, che annulla le grandi conquiste ideali dello spirito, e si riassume nell’individualità nuda e ato¬ mistica e neH'umanità identica e vuota, e abbassa la coscienza all’inconscio, la responsabilità all’eredità del passato, la creazione all’associazione, l’Oriani, echeggiando alcuni concetti dell’idealismo, si affer- ina fautore di un superiore individualismo, in cui fa consistere l’originalità del pensiero nio-derno. Ed enuncia il principio che l’individuo non è tale che nell’unità delle proprie antitesi: sopprimete in lui il temperamento della razza, il carattere della nazio¬ ne, la lìsonomia della famiglia, e la sua originalità si annebbia. Ma l’individualità vera non è quella che si allerma nell’isolamento ; la grandezza del- rindivi'duo si misura dalla quantità delle anime che può assorbire e significare: nessun individuo ha niente da dire finché parla di sé stesso. E l’inclu¬ sione, in esso, di un più vasto mondo, crea la sua responsabilità storica, momento negativo essenziale di quella liberazione e sublimazione del mondo, che si compie nell’alTermazione piena di sé stesso. L’in¬ dividuo è la storicità vivente: «bisogna affermare, esclama l’Oriani, che tutto quanto forma il nostro spirito è un legato della storia per le generazioni future, quindi il nostro interesse nel presente sol¬ tanto un’eco del passato, che ridiventerà voce ncl- l’avvenire. Ogni cooperazione umana aumenta di re¬ sponsabilità crescendo d’importanza, giacché la su¬ periorità non è che il diritto di soffrire più in alto, pensando per quelli che non pensano, amando per > Op. cit., p. 59. 490 APPENDICE quelli che non amano, lavorando per quelli che non possono» E questa sublimazione deH’uinanità nel- rindividuo, forma la sua libertà concreta, libera¬ trice, che non discorda dalla necessità, ma ne è la coscienza immanente. L’affermazione di essa si compie attraverso i gradi necessari della progressiva complicazione della vita umana; la famiglia, la nazione, lo stato, l’umanità; cioè attraverso le successive negazioni della sogget¬ tività, che si riconquista, integra, solo al termine del laborioso pellegrinaggio. Quindi nella famiglia gli sposi debbono sparire nei genitori sacrificandosi alla devozione dei figli; quindi nella società gl’inte- re.ssi individuali saranno sempre subordinati a quelli <li gruppo: il progresso spirituale si affermerà ac¬ cettando tale necessità invece di subirla. Giova tut¬ tavia sperare che le scienze possano mutare i modi ilell’industrialismo, rendendo la personalità all’ope¬ raio nel lavoro: fino a quel giorno l’irreggimenta- zione dovrà durare, e la coscienza della libertà sof¬ frire in tale contradizione. E di fronte allo Stato, la libertà dovrà assumere l’autorità come sua legge; » e di fronte al governo, le moltitudini, emancipate ^ prima di essere libere, hanno bisogno di vedere in un’aristocrazia morale ed intellettuale la figurazione della propria vita per intenderla: non più certa¬ mente nelle vecchie aristocrazie di casta, per sempre tramontate, ma in quelle che traggono vita dall’ec- a cedenza degl'individui. Solamente in queste nega- % zioni, l'individualità, vaga al principio, acquista una fìsonomia distinta e si libera trasfigurando nella .spontaneità della coscienza la necessità delle leggi che regolano la vita umana. 1 Op. cil., p. 86. APPENDICE 491 Questo criterio filosofico guida l’Oriani nel suo lungo ercursiis aitraverso le forine e le figurazioni principali della realtà storica contemporanea; spesso egli trova accenti profondi e propri, chiedendo alla rivelazione della poesia quei che la sua ondeg¬ giante filosofia non sa spiegargli; ma talvolta, pur¬ troppo, dove la poesia non lo soccorre, egli sup¬ plisce con l’enfasi oratoria, che guasta molte, troppe pagine dei suoi libri. .\ suscitare una crisi nella mentalità positivistica della storiografia del suo tempo, le forze dell’Oriani erano inadeguate; e del resto bisognava che la crisi del positivismo comin¬ ciasse a maturare da sé. Nell’esaminare il pensiero contemporaneo ab¬ biamo già mostrato che i nuovi spunti idealistici procedono dalle prime discussioni critiche sui dati immediati della coscienza, cioè dal positivismo stesso in quanto si converte gradualmente in una forma ipercritica di empirismo. Solo attraverso questa im¬ manente e spontanea esigenza spirituale ha potuto innestarsi la nuova speculazione idealistica. Un identico processo noi osserviamo nel campo delle scienze storiche. Anche qui una coscienza veramente filosofica non poteva maturare che nella crisi del niologismo vuoto di pensiero e del positivismo so¬ ciologico, dalla rivendicazione spirituale dei dati immediati dell’esperienza storica: i fattori econo¬ mici. La cosi detta scuola del materialismo storico, assumendo l’economia come criterio immanente della interpretazione dei fatti, ha esercitato una funzione affine a quella delle scuole empiristiche e intuizio¬ nistiche, rinnovatrici della nostra cultura filosofica. L’economia non è stata per essa una bruta mate¬ rialità negatrice di ogni autonomia spirituale, ma le si è svelata come una forma elementare e primaria 492 APPENDICE di vita psichica, capace d’imprimere il proprio ca¬ rattere in tutte le altre forme. Noi già abbiamo os¬ servato, nell’esame del marxismo, il potente ac¬ cento d’idealità con cui esso eleva il significato della lotta sociale; lo stesso marxismo, come canone storiografico, vivifica la storiografia mo<lerna. sot¬ traendola alle influenze della letteratura e chiaman¬ dola all’attualità degl’interessi più vitali della so¬ cietà contemporanea. Tutti i fautori del materialismo storico, dal La¬ briola che e il teorico <lella scuola, al Ciccotti, al Salvemini, ul Volpe, hanno un accento reali.stico, un senso della concretezza dell’intuizione storica, che molto contrastano con l’astrattismo dei sociologi e con la minuta e vuota pedanteria dei filologi; gli ul¬ timi scrittori citati sono i rappresentanti migliori di una più moderna scuola che col nome di economico- giuridica si distacca alquanto dal materialismo sto¬ rico in cerca di una visione .storica più comprensiva. Il campo dove più particolarmente convergono le indagini <lel nuovo indirizzo è la vita dei comuni, còlta alle sue origini. Ma. come osserva il Volpe, l’interesse della ricerca è molto diverso da quello che moveva i ricercatori del secolo XJX, che nel mu¬ nicipio antico vedevano la prima pietra del comune italiano: teorie che però hanno valore per la storia di quel secolo, costituendo documenti preziosi di quelle borghesie nazionali, che allora lottavano per rivendicare a sé stesse il proprio passato, per crearsi una patria e animarla col soffio delle memorie *. Oggi invece nel comune si guarda il primo fermento di una vita economica che si rinnova e che già pre¬ para il rinascimento e il mondo moderno; e nelle » G. Volpe, Questioni fondnmeniaii sulVorigine e svolgi- mento dei comuni italiani, Pisa, 1904, p. 13. APPENDICE 493 lolle Ira guelfi e ghibellini si rifugge ‘ dal ricono¬ scere un episodio slereolipo del secolare duello Ira l’iiiipero e il papalo, cercandosi invece d’individuare i veri inleressi in conllillo. Per il Volpe, la sloria dei comuni è sloria del progressivo dilferenziamenlo del primilivo embrione comunale; differenziamento che è insieme coordinazione e allacciamento delle singole unità ^ In contrasto con l’individualismo feudale, l’età del Comune, età del progresso sociale, deH’organaraento serrato, delle alleanze continue tra città e città, comincia a darci l’c uomo », che ha valore in sé e per sé, nella teoria filbsofica e nella pratica, l’c uomo », come coscienza e come artefice di storia, quello che è soggetto e oggetto della cul¬ tura del Rinascimento, nell’Umanesimo Questi son primi tentativi di un ripensamento della storia secondo categorie mentali, in contrasto con le collezioni di fatti ed arguzie erudite di cui si appagava la generazione precedente. Certo, ad elTet- tuare un rinnovamento profondo degli studi storici, la preparazione filosofica dei nostri storiografi è an¬ cora inadeguata; ma sopravviene opportuno, in loro soccorso, l’odierno indirizzo storicistico della filoso¬ fia italiana e l’esempio vivo della più recente operosità del Croce. Cosi comincia a entrare nello spirito del¬ l’educazione moderna il convincimento che una seria cultura storica non è dissociabile da una seria pre¬ parazione filosofica e che gli elementi della sintesi vichiana di filosofia e filologia non possono, senza reciproco sterilimento, vivere isolali. Gli storici, memori delle loro più alte tradizioni, sono naturai- 1 Salvemini. Magnati e popolani in Firenze, ecc., Firenze. 1899. 3 G. Volpe. Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Pisa, 1902, p. 423. * G. Volpe, Questioni, ecc., p. 35. 494 APPENDICE mente i primi a riconoscere la necessità di formare filosoficamente la propria mentalità; ma questa esi¬ genza non tocca essi Esclusivamente, bensì vale, in genere, per i cultori di tutte le discipline, ciascuna delle quali lavora sopra un contenuto profondamente storicizzato, ed è in contatto coi fatti, solo in quanto è in contatto con la mentalità storica che li possiede e li realizza. L’educazione filosofica che oggi si ri¬ chiede in ogni studioso, non è più quella che, se¬ condo il costume positivistico, doveva amalgamare i risultati ultimi delle diverse scienze, ma quella che invece si atlua, in profondità, anche neH’àmbito di ciascuna scienza particolare, compenetrando di pen¬ siero l’oggetto della ricerca e vincendone la resi¬ stenza e la passività nella luce della coscienza. Noi osserveremo tra breve come questa esigenza si vada gradualmente appagando nelle singole disci¬ pline; ma v’è un’opposta tendenza che vi contrasta, e che fa capo all’indirizzo sociologico ancora rigo- glio.so. Le scienze sociali, quelle che meglio di tutte si presterebbero ad una elaborazione storico-filoso¬ fica — - se non altro perché ad esse, prima che alle scienze ilella natura, il pensiero ha applicato la grande massima che l’uomo conosce ciò ch’è opera sua — ^ sono ancora alla loro fase astrattamente socio¬ logica e positivistica. Senza fermarmi alla pleiade degli scrittori minori, io mi limito a richiamare l’at- lenzione suH’esempio più cospicuo e recente di un uomo che generalmente si apprezza in Italia come un grande maestro, voglio dire di Vilfredo Pareto, lo ho letto il suo Trattalo di Socioloffia generale ‘ con un senso di grande mestizia, osservando come uno scrittore di cosi grande erudizione storica, di- » Due volumi in 4o, di quasi 1700 pagine (Firenze, 1916). APPENDICE 495 cosi acuto senso politico e <Ii cosi simpatica austerità scientilica, sia riuscito a vanificare le sue eminenti qualità in un'opera astrattamente e meccanicamente congegnata. La fobia filosofica che traspare in ogni linea (e diventa quasi una mania di persecuzione), il pregiudizio che le azioni umane possano tagliarsi a fette e catalogarsi come qualunque merce, la cieca (iducia nella capacità delle matematiche alle più ete¬ rogenee applicazioni, hanno prodotto la Sociologia del Pareto. L’atteggiamento dell’autore è multo analogo a quello dei critici ilella scienza (Poincaré, Mach, ecc.), aborrenti da ogni ricerca delle essenze e usi a con¬ siderare il procedimento scientifico come un com¬ plesso di finzioni utili. Egli va anche più oltre: « Ricerchiamo, dice, le uniformità che presentano i fatti, alle quali uniformità diamo altresì il nome di leggi; ma i fatti non sono sottomessi alle leggi, bensì le leggi ai fatti > '. £ il solito pregiudizio lo¬ gico-formale, che svaluta il pensiero nell’atto stesso in cui intraprende la sua ricerca, abbassando le leggi al di sotto della massa caotica dei fatti. E il Pareto, non certamente a sua lode, ci dà un’applicazione esatta del suo principio, con l’addensare prodigiose masse di esempi e con lo svuotarle in pretese leggi ed insignificanti uniformità, che rappresentano il residuo di una morta astrazione. Egli vuole classifi¬ care le azioni umane secondo i principi della clas¬ sificazione detta naturale in botanica e in zoologia; anzi, neppure le azioni concrete formano oggetto della sua elaborazione, ma gli elementi di quelle azioni; «Del pari (sic) il chimico classifica i corpi semplici e le loro combinazioni, e in natura si tro- > Op. et'/., p. 64. 496 APPENDICE « vano mescolanze di tali combinazioni. Le azioni concrete sono sintetiche; esse hanno origine da me¬ scolanze (!), in proporzioni variabili (!!), <legli ele¬ menti che dobbiamo classiTicare » Ecco la mode¬ stia del botanico sociologico: prima ci afferma che le sue scomposizioni sono artificiali e fittizie, poi a forza di operarle, finisce per convincersi che real¬ mente le azioni umane sono complessi atomistici dei suoi ingredienti da laboratorio. Grattate un po’ il suo pomposo criticismo, e vi troverete sotto il più ingenuo e fanciullesco materialismo! Continuando, egli ci presenta la prima partizione generale delle azioni, in azioni logiche, « che uni¬ scono logicamente le azioni al fine, non solo rispetto al soggetto che compie le azioni, ma anche rispetto a coloro che hanno cognizioni più estese», e in azioni non logiche, nelle quali il nesso è soltanto immaginato ma è privo di valore aggettivo. E giù, in base a una distinzione tanto impalpabile, quadri sinottici, grallci, complicazioni di sottoclassi e sotto¬ specie; giù caterve di esempi, per centinaia di pa¬ gine filate. Una ulteriore classificazione che s’intrec¬ cia con la precedente è quella che distingue, al seguito delle azioni, le teorie e le opinioni in residui, che compendiano sentimenti e istinti meno soggetti a variazioni, e in derivazioni, che rappresentano le elaborazioni logiche, le spiegazioni e deduzioni degli elementi primordiali Noi non c’indugeremo a lungo su quest’arte tulliana; ci basti dire che il costrutto che il Pareto vuol ricavare da questo ar¬ meggio di formule è una teoria generale deH’equili- brio sociale in base alle proprietà dei residm e delle ' Pabeto, Trattato di sociologia generale. I, p, 27. 2 Ibid., p. 416. APPENDICE 497 (ierivazioni. E il risultato ultimo, conseguibile anche senza il mastodontico apparato matematico-bota¬ nico-zoologico, è il principio ■della circolazione delle « èlites », deiravvicendamento storico delle aristo¬ crazie Io non voglio dire che tutta l’opera del Pareto sia un insieme di siffatte vuotaggini; non sarebbero bastate anche all’autore le forze per una cosi lunga fatica. L’opera è ricchissima di riferimenti storici che conferiscono interesse a dispetto delle astrazioni e delle formule; ma è un interesse slegato, frammen¬ tario, come quello che può suscitare una rivista eb- «lomadaria o un dizionario tipo Larousse. Un’erudi¬ zione storica che non sia penetrata da un pensiero centrale animatore, che non abbia una prospettiva veramente storica, ma che avvicini i fatti nel più ibrido miscuglio, non può certamente avere pregio scientifico. Ma è caratteristico notare nel Pareto l’esempio tipico di una indiff erentia oppositorum, per cui egli passa naturalmente dal più astratto sche¬ matismo matematico al più minuto particolarismo storico: l’uno e l’altro traenti origine dalla stessa incapacità di assumere una posizione centrale e di possedere concretamente i fatti nel pensièro. Mentre nelle scienze sociali si è formato un « pa¬ retaio », secondo l’immagine di un arguto econo¬ mista, altrove invece si possono notare segni di un grande raccoglimento spirituale, di una compren¬ sione filosofica approfondita dei problemi delle varie scienze. La storia della filosofìa, per evidente affinità, è la disciplina che prima di tutte s’è illuminata alla luce della rinnovata coscienza filosofica: un tempo ^ Op. cit.f voIm n, p. 476 Hgg. G. DE Ruggiero. La filosofìa contemporanea. 32 I 498 APPENDICE matcrin di aride ricerche erudite, diviene oggi un quadro sempre più vivo della mentalità umana nel suo sviluppo. L’esempio del Croce e del Gentile co¬ mincia a portare i suoi frutti; un numero sempre crescente di studiosi lavora a tradurre, a illustrare, a ricostruire i sistemi classici della filosofìa antica e moderna e a tracciare la storia dei grandi periodi della speculazione tilosofica. Le scienze pedagogiche anch’esse si rinnovano: il concetto dell’educazione del Gentile, espresso dall’unificazione e compenetra¬ zione tra maestro e scolaro nella soggettività supe¬ riore dell’identico spirito che dovendo discit e di¬ scendo dovei, anima il lavoro del Lombardo Radice e di altri, e prepara quel risveglio della scuola e quella fusione di e.ssa con la vita che formano una viva esi¬ genza del nostro tempo. Anche la critica letteraria e artistica si rinnova, iniziatore il Croce, e, moventisi nell’orbita dei suoi problemi, con animo di prosecu¬ tori o di oppositori, il Uorgese, il Cecchi, il Gar- giulo, il Momigliano, il Rus.so, il Flora ed altri an¬ cora (la guerra ha portato via alcuni dei meglio dotati, il Serra, il Petraccone). La storia delle reli¬ gioni, dopo una lunga sonnolenza che aveva tagliato l’Italia fuori- del grande movimento storiografico europeo, comincia a risvegliarsi, compresa del nuovo spirito filosofico, col Bonaiuti, col Salvatorelli, con rOmodeo. Ricorderò di quest’ultimo il libro su Gesù e le origini del Cristianesimo, primo anello di una serie in cui l’autore si propone di ricostituire il lungo e laborioso periodo delle origini cristiane, da un punto di vista filosofico e filologico insieme, cioè schiettamente storico. Conforme al principio critico della reciproca conversione tra le res gesl'ae e Vhisto- ria rerum, egli considera le fonti insieme come testi¬ monianze e come materiale di storia, integrando le APPENDICE 499 negazioni critiche sulla loro attendibilità col valore positivo die ad esse compete come res gestite. L’iper¬ critica negativa del puro lìlologismo viene cosi sor¬ passala coi suoi stessi mezzi e la storia assume (luella positività che costituisce il suo intrinseco si¬ gnificalo. Accennerò solo di sfuggita a due scrittori molto caratteristici dell’Italia contemporanea: il Papini e il Prezzolini, non legati a nessun interesse scienti¬ fico particolare, ma che tuttavia hanno il loro posto in un’età di grande fermento spirituale. Il primo esordi giovanissimo con un curioso libro dal titolo H crepuscolo dei filosofi, in cui pretendeva di am¬ mazzare, filosoficamente, tutte le filosofie: libro molto liiseguale e ingenuo per la foga con cui sfondava usci aperti o colpiva muri scambiandoli per usci. Attorniatosi degli ingegni giovanili più rivoluzio¬ nari, il Papini fondò nel 1903 una battagliera rivista, il Ijeonardo, che più d’una buona campagna so.stenne contro il costume accademico degli studi e la pigrizia mentale della terza Italia; e, se non seppe imprimere un indirizzo proprio alla cultura, pure riuscì a vivi¬ ficarla, ponendola a contatto della letteratura e della filosofìa straniera. Il pragmatismo e l’intuizionismo, che tanta inlluenza hanno esercitato sul pensiero ita¬ liano, si sono acclimatati tra noi particolarmente per merito del Papini e del suo circolo. Finito il Leonardo per la dispersione degl’impazienti redat¬ tori, e fallito il tentativo d’intraprendere, in colla¬ borazione con l’Amendola, un lavoro più stretta- mente fìlosolìco (nella rivista L’.\nima, che durò poco), il Papini ha seguitato da solo la sua rapsodica via. Scrittore fecondissimo e letterariamente eflicace, è passato attraverso lutti i sistemi filosofici, come sospinto da un demone anti-filosofico, che gl’ispirava 500 APPENDICE la più mordace ironia verso ogni sistema irrigidito di pensiero. E tuttavia egli non è uno scettico, ma la sua recente conversione al cattolicismo, nelle appa- renze più ortodosse ed edilicanti, ha rivelato, in fondo alle sue insofferenze ed agitazioni, il bisogno, a lungo inespresso e deviato, di un ijuietum servitium. Il suo amico Giuseppe Prezzolini, compagno di lavoro del Leonardo, crociano più per entusiasmo di adesione giovanile a un grande movimento fdosofico che per affinità mentale, ha fondato e diretto per vari anni un giornale fìlosofico-letterario La Voce, che ha degnamente proseguito la tradizione leonar¬ desca. Egli si è assunto per un certo tempo il com¬ pito <Ii spirituale informatore del pensiero italiano e l’ha adempito con scritti propagandistici sulla fdo- sofia del Croce, sul modernismo, sul pragmatismo, sul sindacalismo, ecc. 3. OniENTAMENTi FILOSOFICI. — E torniamo ora alla tìlosolia propriamente detta. Quella tendenza testé notata, secondo la quale il pensiero filosofico mira a esorbitare dagli angusti quadri assegnatigli dalla tradizione, e ad informare di sé le scienze par¬ ticolari, o più geneialmente ad erigersi in categoria immanente della pensabilità e quindi della realtà di tutte le cose, quella stessa tendenza si esercita an¬ che neH’àmbito delle scuole tìlosoflche e spezza le rigide linee dei loro sistemi. Col farsi più aderente alla realta, la filosofia necessariamente abbandona il fantastico compito di fissare e d’isolare tutto in una volta il proprio mondo dei concetti, e, come la vita stessa, parziale sempre e insieme totale nel suo procedere per continue determinazioni, continua- mente trascese dalla forza interna che le pone, cosi APPENDICE 501 anche la filosofia tende a svolgersi nel ritmo dei suoi problemi particolari, elevando a un valore univer¬ sale, cioè spirituale, le parziali sistemazioni che l’esperienza della vita esige. Se il mondo non è dato in una volta nell’esperienza degli uomini, ma si dà in essa gradualmente con l’originalità di una crea¬ zione a cui null’altro preesiste se non il vuoto delle forme mentali (testimonianza di un’apriorità che si dimostra anche nella desolazione dell’isolamento e del silenzio), la fdosolla non può a sua volta esser data come un tutto statico, come un sistema, ma si dà come un graduale possedersi nel pensiero di quel che gradualmente si fa nell’esperienza. vecchie Somme tramontano e sono sostituite dal Saggio; vale, lilo.soficamente, l’autocoscienza del lavoro uma¬ no, l’atto cioè con cui il pensiero rivendica a sé un’opera propria naturata nelle cose, e cosi la svolge, svolgendo insieme sé stesso. Non altro che questo è la lilosofia: cosa altrettanto facile ad enunciarsi, quanto diflicile a praticarsi. Ecco perché noi, oggi, possiamo segnalare nuovi ingegni, nuovi temperamenti filosofici (alcuni ne ab¬ biamo citati nelle pagine precedenti), più che nuove filosofie nel significato classico della parola; quelle stesse, anzi, che (nella IV parte di questa opera) ab¬ biamo veduto formarsi negli ultimi anni, tendono a spogliarsi della loro struttura sistematica. Per parlar di queste ultime, nelle fasi più recenti del loro svi¬ luppo, siani costretti a fermarci su pochissimi nomi: il Ooce, il Gentile, e, come sintomo di una tendenza mentale che mira a costituire una opposizione al¬ l’idealismo, ma non ha ancora la pienezza di unél fisonomia ben fissata, aggiungeremo il nome del Varisco. Di quest’ultimo abbiamo già esaminato i Massimi 502 APPENDICE l'rohlemi, l'opera che segna il passaggio da una concezione positivislica, professata per l’addietro, a una forma di mitigato realismo idealistico. Ad essa ha tenuto dietro un’altra opera dal titolo Conosci te stesso (.Milano, li)l‘2), che meglio precisa alcuni punti della nuova Tdosotìa del Varisco, e che perciò vo¬ gliamo brevemente analizzare. L’autore insiste sul carattere policentrico della realtà, che forma la nota differenziale del suo sistema rispetto all’idealismo che pone l’unità «lei soggetto assoluto. Il Varisco, invece, mentre accetta il principio idealistico che, senza il soggetto, l’universo fenomenico è non sol¬ tanto inintelligibile, ma totalmente nullo, ritiene, poi, che ci sia una pluralità di soggetti in atto, a guisa di monadi, ciascuno dei quali < unifìca e in¬ centra » dal suo punto di vista il mondo dei feno¬ meni. La giustificazione di questo pluralismo è data da un’inferenza sensibile: le resistenze, che ogni processo soggettivo incontra alla propria esplica¬ zione, si organizzano e si fondono in un altro centro, che l’analogia lascia supporre simile al precedente. Ciò vale anche per i cosi detti oggetti esterni : « La ragione delle ragioni, egli dice, per cui non credo svanito lo specchio, quando io me ne vado, sta nella testimonianza dell’altro soggetto, il quale mentre io sono assente lo vede » Questo processo inframonadico, considerato da un punto di vista superiore, può essere raiipresentato come un complesso d'interferenze tra i vari soggetti, in modo che Tesserci di ciascuno di essi ha per sua condizione Tesserci degli altri, e che, in ultima istanza, la molteplicità dei soggetti è riducibile al¬ l’unità. In altri termini, ciascun soggetto, csplican- Varisco. Conosci te stesso. 1912, introd., p. xvii. APPENDICE 503 dosi, implica tutti gli altri, per il fatto che « il suo esplicarsi, vincendo le resistenze opposte del- l’esplicarsi di altri soggetti, è appunto un impli¬ care gli altri soggetti ». Questa implicazione-espli¬ cazione forma l’unità più alta, il sistema dei centri soggettivi. Il Varisco tenta cosi di costituire un realismo che, accogliendo alcune esigenze innegabili dell’idea- lismo, si sottragga poi alle diilicoltà contro le quali urta il soggetto unico: impenetrabilità delle monadi, solipsismo, ecc. Ma a parte il fatto che queste dillì- coltà sono immaginarie, e derivanti in gran parte dall’inadeguata cognizione di quel che sia il .soggetto asso’uto deirkiealismo, la tesi realistica è incapace di legittimare la propria posizione, cioè quel punto di vista superiore, dal quale soltanto è possibile scor¬ gere la compresenza e la coimplicazione dei soggetti. Per fare ciò, essa deve necessariamente trascendere la sfera soggettiva — ^mentre ha riconosciuto che al di là del soggetto non v’è nulla: difTicoltà di non poco momento per una filosofia della conoscenza, perché pone in quistione non soltanto l’unità ultima del reale, ma l’unificazione stessa dei reali, che co¬ stituisce il conoscere. L’unità dei soggetti, della co¬ scienza o dell’appercezione che dir si voglia, non si può relegare, come fa il 'Varisco, tra le ipotesi ul¬ time e più vaghe, ma è la condizione a priori della conoscenza empirica; ora, se la si pone come una esigenza che trascende i soggetti singolarmente presi, e dati come coesistenti, il conoscere è reso impossibile. A che si riduce infatti quella unità, secondo il Varisco? Giunto alla fine del suo libro, egli dice: « L’accadere, se implica le molte spontaneità [i sog¬ getti], implica insieme la loro unità. Se no, non ci 504 APPENDICE sarebbe neanche l’interferire, cioè l’accadere, non ci sarebbero neanche le singole spontaneità. E que¬ sto comune a tutti è l’essere indeterminatissimo, queU’essere che un soggetto non può non pensare, senza cessar di esserci, e del quale ogni soggetto e ogni fatto è una determinazione >. E lascia impre¬ giudicato l’ulteriore problema se siffatto essere sia impersonale (panteismo) o personale (teismo). Trop¬ po a buon mercato! Il compito di una metalisica del conoscere comincia proprio qui, dove il Varisco si arresta perplesso: ma egli è arrivato esaurito, con un « essere indeterminatissimo », proprio dove l’idealismo concentra la massima concretezza dello spirito. Il suo errore è comune a tutta la «metafisica dell’essere », che vuota progressivamente, lungo la scala degli esseri, i suoi concetti, e cerca infine <ii battezzare con numi altisonanti i magri residui e di legittimare per mezzo di essi le sue costruzioni pre¬ cedenti. Cosi facendo, non conquista Dio e non fonda la conoscenza, cioè non legittima sé stesso: il suo pluralismo degli esseri resta una realtà campata tra cielo e terra, perché non si giustifica né di fronte a Dio, né di fronte alla conoscenza umana; resta — per dirla benevolmente — nella regione angelica, tra eteree figure senza sesso. Tutto sommato, questi ultimi decenni di attività filosofica italiana si compendiano, ancora, quasi to¬ talmente nell’opera del Croce e del Gentile, che ha creato le tesi e le antitesi della nuova filosofia. Ab¬ biamo infatti osservato che i tentativi, ancora deboli del resto, di creare un’opposizione, si svolgono dalle stesse premesse filosofiche di quei pensatori. Nella 1' edizione di questa Storia, io ponevo il Croce e il Gentile in un ordine di successione ideale. APPENDICE 505 considerando l’opera del secondo come la prosecu¬ zione e la critica di quella del primo. Era un errore di prospettiva, perché le due mentalità, malgrado i notevoli punti di contatto, si svolgono indipen¬ dentemente runa dall’altra, ciascuna riassumendo una particolare tradizione di pensiero. Nel piccolo libro che ha per titolo: Contributo alla critica di me stesso ‘, il Croce fa alcune preziose confessioni in¬ torno alla sua genesi mentale, mostrandoci com’egli si sia filosoficamente formato attraverso l’herbarti- smo del Labriola e l’estetica desanctisiana, indipen¬ dentemente da Hegel e da Spaventa. Hegeliano, egli ci dice che non è mai stato; il suo ell'ettivo interes¬ samento per Hegel è sopraggiunto in una fase già matura dello sviluppo intellettuale (1905); in modo che egli, pur attingendo copiosamente alle dottrine particolari del filosofo tedesco, ha potuto in breve prender posizione di fronte a quel sistema nel suo complesso, senza le tormentate crisi dello Spaventa e del dentile. Quanto ai rapporti con lo Spaventa, poi, il Croce afferma che sono stati assai scarsi, per la profonda diversità d’indole che da lui lo divi¬ deva : < Perché lo Spaventa proveniva dalla chiesa e dalla teologia; e problema sommo e quasi unico fu sempre per lui quello del rapporto tra l’Essere e il Conoscere, il problema della trascendenza e della immanenza, il problema più specialmente teologico- filosofico; laddove io, vinte le angosce sentimentali del distacco dalla religione, mi acquietai presto in una sorta d’inconsapevole immanentismo, non inte¬ ressandomi ad altro mondo che a quello in cui effet¬ tivamente vivevo, e non sentendo direttamente e in • Opuscolo fuori commercio, scritto nel 1915 e pubblicato a Napoli, 1918, tradotto poi nella Keuue ile Mèlaiihiisìque et de Morale del gennaio 1919. 506 APPENDICE primo luogo il problema della trascendenza, e per¬ ciò non incontrando dilRcoltà nel concepire la re¬ lazione tra pensiero ed essere, perché, se mai, la difficoltà sarebbe stata per me il contrario: conce¬ pire un essere staccato dal pensiero o un pensiero staccalo dall’essere > Cosicché, mentre il Gentile è venuto fuori dalla tradizione propriamente hegeliana, che ha avuto nello Spaventa uno dei suoi esponenti maggiori, il Croce ha subito solo rinilusso indiretto <li essa, essendosi più direttamente formato sul Vico e sul De Sanctis. La posizione reciproca dei due pensatori contemporanei è molto analoga perciò a quella dei due grandi predecessori. Spaventa e De Sanctis, che essi sorpassano però di gran lunga per ampiezza di preparazione lilosolica e sviluppo di pensiero spe¬ culativo. Questa diversa genesi vale a spiegarci come, ne¬ gli ultimi anni, l’opera dei due pensatori si sia an¬ data svolgendo per vie affatto divergenti; il Croce tendendo a sorpassare la fase costruttiva e sistema¬ tica del suo pensiero speculativo, per risolvere la filosofìa nella storia; il Gentile invece tendendo ad organizzare e ad accentrare gli elementi della sua filosofìa, che prima erano sparsi e diffusi nei suoi scritti di storia della filosofìa. Inoperosità <iel Croce, notevolissima anche in questi ultimi anni, si è principalmente manifestata nella metodologia storica e nella filosofia dell’arte. In quest’ultima, egli non ha mutato il piano gene¬ rale della sua Estetica, ma ha approfondito e meglio determinato, secondo le esigenze che gli suggeriva la pratica della critica letteraria, molti problemi ' Oli. di., pp. fi2-63. •\PPEND1CE 507 particolari, che nei precedenti lavori rivelavano qual¬ che incertezza. Cosi, ne La riforma della storia lette¬ raria e artistica [Critica, 1918), è giunto alla conclu¬ sione che « la vera forma logica della storiografia letterario-artistica è la caratteristica del singolo ar¬ tista e dell’opera sua, e la corri.spondente forma di¬ dascalica, il saggio e la monografia ». In questo modo egli ha nettamente differenziato la sua posizione da quella del De .Sanctis, che, sotto Tinflusso hegeliano, ammetteva la possibilità di concepire una storia della letteratura come progresso immanente alla forma artistica in quanto tale. In un altro saggio: Il carattere di totalità dell'espressione artistica {Cri¬ tica, 1918), il Croce ha svolto la tesi che: «dare al contenuto sentimentale la forma artistica è dar¬ gli insieme l’impronta della totalità, l’afllatto co¬ smico; e in questo senso, universalità e forma arti¬ stica sono tutt’uno » — , integrando cosi la tesi già da lui affermata dell’individualità dell’espressione. Finalmente, in un terzo saggio: L’arte come crea¬ zione e la creazione come fare (Aiti dell’Acc. Pon- taniana, 1918), egli ha mostrato entro quali limiti e con qual significato può aderire, dal suo punto di vista, alle recenti concezioni dell’idealismo del Gen¬ tile *. Il carattere di questi saggi teoretici s’illumina più vivamente nella pratica esplicazione che il Croce ne dà nella sua critica letteraria, la quale negli ul¬ timi anni va assumendo un’importanza maggiore che nei precedenti, avendo ogni nuova monografia il compito di chiarificare e di svolgere una tesi spe¬ culativa. Cosi, per esempio, il saggio sull’Ariosto 1 Questi ed altri scritti sono raccolti nel voi. ora pubbli¬ cato di Snooi saggi di esieiica (Bari, 1920). 508 appendice forma il necessario complemento della enunciata ri¬ forma della storia letteraria e artistica, in quanto che il Croce, dimostrando, contro il De Sanctis, che l’arte dell’Ariosto non è nella forma indifferente al suo contenuto, ed anzi è aderente, come un velame di sentimento, a quel contenuto, tende cosi a spezzare la costruzione della storia letteraria desanctisiana e a risolverla nei suoi elementi monogralìci. CjOsi an¬ che il saggio sullo Shakespeare — che è finora il maggior cimento critico del Croce ribadisce 1 al¬ tra tesi su) carattere di totalità dell’espressione arti¬ stica, mostrando immanenti all’arte, come pura arte, quei molteplici interessi etico-psicologici della vita umana che altri vorrebbe insinuare in essa dal¬ l’esterno, e realizzando, nella sfera Stessa della pura liricità, una genesi ideale <lello spirilo che nulla lascia fuori di sé e annulla i vani problemi che la curiosità cronologica avrebbe posti alla storia. D’interesse anche maggiore sono le indagini che il Croce ha dedicato alla metodologia storica: la sua opera: Teoria e storia della storiografìa (Bari. 11)17), che forma il 4’ volume della Filosofìa dello Spirito, nelfappareiiza di compiere con una conclusione le tre parti precedenti, costituisce invece la correzione di esse, almeno nella loro struttura sistematica. Quivi il Croce, non appagato dal formalismo che presiedeva aH’unilìcazione da lui precedentemente tentata della lilosolia e della .storia nel giudizio lo¬ gico, lavora per una unificazione meno simbolica e pili concreta. Egli intende la storia, antica o recente che sia, in rapporto all’oggetto, sempre come .storia contemporanea, relativamente al soggetto presente che la suscita e la crea, dando a questa presenza un valore decisivo, che sovrasta e condiziona l’empirico presente e l’empirico pa.ssato temporale. appendice 509 Dalla teoria della storia come storia contempo¬ ranea— nella quale bisogna riconoscere grinllussi di altre correnti lilosolìche italiane, che tuttavia non di¬ minuiscono la sua originalità ‘-il Croce trae gran copia d’importanti corollari, dei quali possiamo far cenno solo in iscorcio. Così, il rapporto tra storia e cronaca è inteso nel senso che quella come sintesi viva del sapere, precede la morta analisi in cui la seconda si compendia -; cosi, la concezione della storia come procedente dall’universalità del soggetto, dello spirito, annulla la pretesa di una storia universale (che trae origine dal pregiudizio fìsico della cosa in sé) e della filosofia della s ona intesa come un corpo di dottrine. Ancora, contro il mero progresso all’inlinito o al finito, e «nccnmh' la finalità interna del processo storico, che fa tut- t’uno con esso, corapenetrante di sé gli opposti ter¬ mini Ed è mostrata fumanità della stona, nel piu largo senso, inclusivo anche della storia della cosi .letta natura: come deiruomo si può fare una s orm naturale, cosi della natura si può fare una stona umana, cioè spirituale, « sebbene a noi che 1 abbiamo così gran tratto distanziata, sembra, a riguardarla sommariamente e dairesterno e con occhio quasi di stranieri, mummificata e meccanica » Intesa la storia come realtà piena dello spinto, che quindi appaga l’esigenza del pensiero filosofico di possedere il reale nella sua concretezza, la filoso la stessa, come figurazione spirituale distinta ed auto¬ noma, non ha più ragione d’essere; essa diviene un semplice momento trascendentale della conoscenza . SI veda, del resto. l'addentellato di essa del capitolo sulla storia, nella Logica (1909). parte 11, c. , J^rcoria e storia della storiografia cit.. p. 119- 510 APPENDICE storica, alla quale appresta le categorie della pensa- bililà del reale. (), come il Croce si esprime: «La filosofìa non può essere altro che il momento meto¬ dologico della storiografìa, dilucidazione delle cate¬ gorie costitutive dei giudizi storici... E poiché la storiografìa ha per contenuto la vita concreta dello spirito, e questa vita è vita di fantasia e di pensiero, di azione e di moralità (o di altro, se altro si riesce a escogitare) e in questa varietà delle sue forme è pur una, la dilucidazione si muove nelle distinzioni dell’Estetica e della Logica, dell’Economia e del¬ l’Etica, e tutte le congiunge nella Filosofia dello Spirito » *. In questa concezione, per chi ben guardi, v’è più che l’antica identità alferinata dal Croce tra la filosofìa e la storia; la prima infatti, considerata come un momento ideale, come categoria della storia, trova in quest’ultima il suo inveramento e la sua sanzione. Come pura filosofìa, essa rappresenta qual¬ cosa di più semplice, che sta al di qua del processo storico. Quindi, via via che si afTerma, nel pensiero del Croce, sempre più viva l’esigenza storiografica, y egli si viene atteggiando a liquidatore della filosofìa 1 come per sé stante. «Annullare l’idea della filosofia > ‘generale’ — egli dice nella prefazione alla .3' edi¬ zione della Logica (Ifllfi) — è insieme annullare il ^ concetto ' statico ’ del sistema fìlosolìco, surrogan- dolo col concetto dinamico delle semplici ‘ sistema- 'J zioni’ storiche dei gruppi «li problemi, delle quali ciò che persiste e sopravvive sono i singoli problemi T e le loro soluzioni e non già l’aggregato e l’ordina- 1 mento esterno, che ubbidisce ai bisogni dei tempi e degli autori e passa con questi, o si serba e si am- 1 O/ì. cit., p. 136. APPENDICE 511 mira solo per ragioni estetiche, quando pur abbia tal pregio >. In questa più recente fase, il Croce ha finito col capovolgere la posizione iniziale del suo pensiero di fronte al problema storico: passando via via dalia considerazione della storia come arte, a quella che ne fa una forma di realtà autonoma, inferiore alla filosofìa, a quella deH’identità e reciprocità piena con la filosofia, finalmente a quella della sopravva¬ lutazione della storia rispetto alla pura filosofìa, il Croce ha, come si vede, descritto un ciclo, nel quale dobbiamo riconoscere che il suo pensiero si è molto arricchito ed ha sempre meglio appagato quell esi¬ genza verso la concretezza, che lo spronava. Nella sua citata autobiografia mentale egli ci dice cl^e la esigenza immanentistica è ormai cosi viva in lui, che gli fa immaginare «non senza diletto > che abbandonerà un giorno la filosofìa nel significato comune, per narrare la « storia pensata ». Ormai egli ha là preparazione necessaria per il nuovo cimento: la Storia della storiografia italiana nel secolo deci- inonono, che egli va pubblicando a puntate nella 2' serie della Critica può significare già un avvia¬ mento a questo indirizzo *. Ma per un filosofo l’abbandono della filosofia non può avere che un significato, a sua volta, filosofico o dialettico; non certamente quello di un mero pas¬ saggio da una sfera di attività ad un altra. E per ora, quell’abbandono ci viene spiegato nel suo più vero senso dall’ultima monografìa filosofica che il Croce ha pubblicato da qualche mese : Sulla filosofia » Per la blbllografla e le discussioni intorno al pensiero del Croce, rimando al voi. G. Casteli.aso, Introduzione allo studio dette opere di B. Croce, note bibllograDche e critiche. Bari, 1920. 512 APPENDICE teologizzante e le sue sopravvivenze (Napoli, 1919), (love i lilosofì stessi vengono incitati ad abbandonare una folla di problemi insolubili, eufemisticamente chiamati problemi massimi ed eterni. Per il Croce, conforme al suo coerente immanentismo, vale il principio deirunità del problema con la soluzione, secondo il quale un problema acquista carattere di problema solo nel punto in cui viene risoluto. Quindi 1 pretesi problemi insolubili, che formano il tor¬ mento di tutte le filosofie, sono in realtà non-pro- blemi, ma miscugli ibridi di rappresentazioni e di concetti, adeguati piuttosto ad alcune forme di espe¬ rienza religiosa anziché alle esigenze razionali dello spirito. Tra questi primeggia il problema della co¬ noscibilità del reale, del rapporto tra il pensiero e l’essere, in cui il Croce ci mostra la presenza di un interesse meramente teologico, e cioè compatibile soltanto con una intuizione dualistica del reale. La lilosofia del Gentile ha seguito, in quest’ulti¬ mo periodo, un inverso processo di sistemazione e di accentramento. Nel 1912, quando io chiudevo, con una sommaria esposizione dei suoi capisaldi, la r edizione della presente Storia, il pensiero di que¬ sto filosofo era in gran parte disseminato nei suoi lavori storici; e soltanto una breve monografìa. L’alto del pensiero come atto puro, lasciava presen¬ tire la peculiarità di un atteggiamento mentale del tutto nuovo. Da quel tempo in poi, il Gentile ha lavorato a sviluppare la sua dottrina dell’idealismo attuale, le cui tappe più importanti sono costituite dal Sommario di pedagogia come scienza filosofica 2 v(}ll., Laterza, 1913); La riforma della dialettica hegeliana (Messina, 1913); Teoria generale dello spi¬ rilo come alto puro (Pisa, 1916); Sistema di logica come teoria del conoscere (Parte I, Pisa, 1917). appendice 513 Per ragioni di spazio, sono costretto a sorvolare sulla fase preparatoria e formativa di questa fìlo- solìa, che ha le sue tappe nettamente segnate dalla informa della dialettica e dal Sommario di peda¬ gogia. Il primo libro ci spiega in che modo il Gen¬ tile sia riuscito — affatto indipendentemente dal Croce — a rompere lo schematismo hegeliano, utiliz¬ zando le importanti indagini dello Spaventa sulle tre prime categorie della Logica di Hegel. Una volta inteso l’essere, il non-essere e il divenire, non più come posizioni logiche oggettive del reale, ma come momenti della coscienza, dove il divenire, sintesi dei termini precedenti, esprime il processo stesso del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti e rig di in cui l’analisi lo decompone ', tutta la sopra-struttura della logica hegeliana viene ine¬ vitabilmente sconvolta. Il Sommario di Pedagogia, nella sua introduzione, compie, in rapporto alla Fenomenologia, la stessa istanza critica che la Riforma della dialettica compie in rapporto alla Logica di Hegel. Il pensiero puro, come non ha bisogno di percorrere i gradi catego¬ rici dell’essere (del conosciuto, secondo gli schemi della logica formale) per giungere alla piena co¬ scienza di sé, perché si afferma a priori come pen¬ siero consapevole e attuale; così non ha neppur bisogno di attraversare i gradi psicologici della co¬ noscenza, cioè la sensazione, l’intuizione, ecc., perché 1« 1,’csscre che Hegel dovrebbe mostrare identico ai non- essere nei divenire che solo è reuie, non è i essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato (TassoUito indetermi¬ nato non può essere che l’assoluto indeterminato!); ma l’essere del pensiero che deHniscc e, in generale, pensa: ed è, come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perché, se fosse, ii pensiero non sarchile iiueiio che è, ossia un atto), e perciò ponendosi, divenendo» [Teoria generale della spirito come atto puro, sez. VII, p. 53). G. DE Huggieho. T.a tllosotla contemporanea. 33 514 APPENDICE non può mutuare da altri che da sé, non solamente la sua forma, ma anche il suo contenuto. Cosi il Gentile ha portato al suo estremo l’idea implicita in ogni fllosoiìa idealistica, che il pensiero non può originarsi che da sé, mostrando che qualunque dato o presupjpostc che si voglia anticipare alla sua attività- ha il valore di cosa posta da quella stessa attività. Di fronte *al comune psicologismo, tale istanza critica culmina con l’identificazione del pensiero e della sensazione, nel senso che qualunque esigenza ideale si attribuisca alla sensazione — fuori di ciò che ne costituisce un dato irriducibile, dove si rivela una falsa posizione fdosofica — è un’esigenza mentale, inclusa cioè nell’attualità del pensiero. Con l’efl'ettuata identificazione, vien negata una fenomenologia dello spirito nel significato hegeliano, cioè come una progressiva deduzione ed implicazione di gradi spirituali; ma viene nel tempo stesso affer¬ mata una nuova fenomenologia del sapere e della realtà come consapevolezza, che coincide con la sto¬ ria stessa, nella concretezza del suo divenire. L’asso¬ luto psicologismo ha il valore di un assoluto stori¬ cismo. Posto infatti che il pensiero non deriva che da sé la realtà propria, e che questa derivazione è la sua efl'ettiva e pratica esplicazione, il corso ideale del pensiero non è che la storia reale del peìisiero stesso e quindi del mondo. Qui l’idealismo gentiliano si pone come la nega¬ zione recisa di ogni realtà che si opponga al pensiero come suo presupposto e del pensiero stesso concepito come realtà già costituita fuori del suo svolgimento, come sostanza indipendente dalla sua reale manife¬ stazione. La realtà dello spirito o delle cose, posta fuori della soggettività pensante, forma la così detta natura, distinta dal pensiero non come oggetto da APPENDICE 515 Oggetto, ma come oggetto da soggetto, ossia inclusa e risoluta nel pensiero, nell’atto stesso in cui questo la riconosce distinta da sé, e cioè, pensandola, la pone, e ponendola la nega come già posta o presup¬ posta. La natura si svela cosi una realtà pensata, un processo logico esaurito e pietrificato, capace tutta¬ via di risollevarsi all’attualità spirituale, in quanto 10 spirito lo pensa e l’include nel suo processo, che ha un cominciaraento spontaneo, assoluto, in quel pensare. Nulla dunque è fuori dello spirito, « se Tesser fuori è un riconoscimento, cioè un porre fuori me¬ diante l’attività del pensiero. Né vale appellarsi al¬ l’ignoranza, come documento delTirriducihile este¬ riorità di taluni fatti alla coscienza; perché la stessa ignoranza non è un fatto senza essere insieme una cognizione: cioè ignoranti siamo solo in quanto o noi stessi ci accorgiamo di non sapere, o se n’accor¬ gono altri; sicché l’ignoranza è un fatto, a cui l’esperienza può appellarsi solo poiché è conosciuto » (p. 28). La coscienza si pone pertanto come una sfera 11 cui raggio è infinito: come centro assoluto e im¬ moltiplicabile nella cui unità converge la moltepli¬ cità degli oggetti, che esiste solo in virtù del suo riconoscimento. L’unità della coscienza, del sog¬ getto, è la pietra angolare di questa filosofia : essa include non soltanto i cosi detti fatti dell’espe¬ rienza esterna, incomprensibili nella loro struttura fuori della sintesi mentale; ma anche gli atti del¬ l’esperienza interna e dei soggetti empirici umani o sub-umani, la cui pluralità è del tutto identica a quella degli oggetti naturali e si risolve quindi nel¬ l’unità dello spirito che attualmente la pensa. Un mondo ideale policentrico, monadistico, rappresenta per il Gentile un residuo di naturalismo ingiustifica- 516 APPENDICE bile, poiché non c’è esperienza umana che coltra il mutuo trascendersi delle monadi e raccolga la loro sparsa idealità in un principio unico, il quale ver¬ rebbe perciò spostato all’infinito. Mentre invece, l’esperienza nella sua concretezza esige l’assoluta immanenza di quel principio, fuori del quale anche la pluralità svanisce. Il rapporto tra me e un altro soggetto empirico non può esistere fuori della mia coscienza che lo pone; se mai trascendesse la sfera della coscienza, ogni mutua intelligenza sarebbe pre¬ clusa; ma, appunto perciò l’atto di coscienza che include l’altro in me e nel tempo stesso lo distingue da me, costituisce la soggettività più profonda in cui si risolvono le soggettività empiriche (l’io e l’altro) e che forma la comune radice di esse. Quel¬ l’atto dunque non è mio, perché tale appartenenza significherebbe già la sua riduzione al soggetto em¬ pirico, ma è l’Io, è ratTermarsi concreto di un rapporto nella forma della soggettività mentale. Gentile dà a questo Io il nome di soggetto asso¬ luto o trascendentale; ad esso, a differenza dal¬ l’io empirico, attribuisce l’identità universale e immoltiplicabile, che vince la sparsa attualità del monadismo. Con questo concetto, egli è in grado di risolvere le varie antinomie che hanno travagliato il pensiero di molti filosofi, come quelle del realismo e del nomi¬ nalismo, dell’universale e dell’individuale, ecc. fino alla recente vexata quaestio della distinzione tra l’attività teoretica e l’attività pratica e del primato dell’una o dell’altra. Nell’attualità dell’Io assoluto v’è la ragione unitaria di ciò che nelle antinomie si polarizza, e insieme la spiegazione del modo con cui la polarizzazione avviene, quando lo spirito, affiorando alla superficie, perde l’intimo contatto APPENDICE 517 con sé stessa e converte in determinazioni statiche e rigide gli astratti momenti della sua sintesi ori¬ ginaria. Cosi il rapporto del teoretico e del pratico è dal Gentile compreso nell’unità a priori dello spi¬ rito, che è atto intelligente o riflessione attiva, cioè unità dinamica di teoria e prassi; mentre la difTe- renza nasce nella sfera superficiale della coscienza, dove i 'due momenti si solidificano in entità distinte. Tale unificazione spirituale, per il Gentile, non vuol essere assorbimento del molteplice nell’uno ed esta¬ tica contemplazione dell’uno, ma realizzazione e comprensione dell’uno nel molteplice, e insieme dif¬ ferenziamento e moltiplicazione dell’uno; insomma quello spiegamento dello spirito, che riconduce a sé, alla propria identità, gli atti della sua reale esplica¬ zione. In questo principio è riposto il criterio dello storicismo del Gentile. Vi sono due modi di conce¬ pire la storia: < uno è quello dei relativisti, stori¬ cisti, scettici, che non vedono altro che il fatto sto¬ rico, nella sua molteplicità; e ci dà la storia in cui lo spirito non può cadere senza degradarsi e natura¬ lizzarsi. E l’altro è il nostro, il quale pone il fatto come atto, e quindi, ponendosi nel tempo, non lascia mai efl'ettivamente nulla dietro a sé. La storia dello storicista è la storia ipostatizzata e privata della sua dialettica; perché la dialetticità consiste per l’ap¬ punto nell’attualità della molteplicità come unità, e soltanto come unità, che si trascende, trascendendo l’attualità > (p. 196). In questa posizione si risolve l’antinomia storica, secondo la quale lo spirito è affermato come storia, perché è svolgimento dialet¬ tico, ed è negato come storia, perché è atto eterno fuori del tempo. E si risolve nel concetto del pro¬ cesso che è unità, la quale si moltiplica restando una; di una storia, perciò, hleale ed eterna, che 518 appendice non è (la confondere con quella del Vico, che ne lascia fuori di sé una che si svolge nel tempo; lad¬ dove reterno, nella concezione del Gentile, è lo stesso tempo considerato nella sua attualità. Ma di fronte a questa molteplicità vera e attuale che si esplica nella storia, e la cui concretezza sta nel suo svolgersi dall’unità e nell’unità dello spirito, v’è un’altra e diversa molteplicità, astrattamente fissata nell’oggetto del pensiero ed esistente indi¬ pendentemente dall’atto mentale *. Mentre la pri¬ ma appartiene alla logica del pensiero puro, 1 altra rientra nella logica astratta del pensato. La diffe¬ renza nasce dalla dialettica stessa del pensiero; che, in quanto è atto, è dillerenziamento ed esplicazione di sé; ma l’atto, una volta compiuto e isolato dalla soggettività creatrice, si converte in un fatto, cioè si naturalizza e diviene una realtà intelligibile e non più intelligente. A questo pensato si appro¬ priano non le categorie della dialettica, che concer¬ nono il pensiero in fieri, ma quelle della logica for¬ male, le quali determinano la struttura dell’oggetto mentale come puro oggetto. Tuttavia la peculiarità del processo spirituale sta in ciò che in esso l’astrattezza di quella posi¬ zione oggettivistica è non solo negata, ma anche allcrmata. 11 pensiero concreto, nell’atto in cui nega il pensato come tale, lo afferma come momento in¬ separabile del suo sviluppo. La dialettica viva dello spirito sta in questo continuo naturalizzarsi e stra¬ niarsi del pensiero, del soggetto, nell’oggetto; e in questo riaff ermarsi di sé, attraverso la stessa ogget¬ tivazione, che è risoluzione dell’oggetto come tale e sua inclusione nel proprio ciclo. I Gentii.e, Sistema di logica come teoria dei conoscere, Pisa, 1917, p. 129. appendice 519 Conforme a queste premesse, il Gentile ammette due logiche, runa che è grado all’altra ; «Se dialet¬ tica diciamo la logica del concreto, ossia del jjuro conoscere, che è riinità del soggetto e dell’oggetto, oltre la dialettica bisogna pure ammettere, come grado alla stessa dialettica, una logica dell astratto, ossia del pensiero in quanto oggetto, nel momento dell’opposizione, senza di cui non è attuabile l’unità in cui il concreto risiede » *. Nel Sistema di logica come teoria del conoscere (Parte I) il Gentile finora ci ha dato una logica del pensato; ad essa terrà dietro la Dialettica, cioè il sistema detl’attività pen¬ sante, di cui non possediamo che i capisaldi, già esposti nelle pagine precedenti. La diflerenza del pensiero e del pensato e della molteplicità immanente all’uno e all’altro vale anche a determinare il rapporto tra le forme assolute <lello spirito, cioè quella monatriade in cui, hegeliana¬ mente, il Gentile fa culminare la sua dialettica e che rappresenta l’istanza teologica del suo pensiero lìlosofìco. «C’è una distinzione, egli dice, che ci dà il molteplice, il numero, in cui l’unità vien meno, perché, secondo che s’è già osservato, quell elemento stesso che si ripete nella molteplicità, è qualitati¬ vamente molteplice. E c’è un’altra distinzione che ci dà appunto l’unità nel suo interno svolgimento, i cui momenti son tre, se astrattamente presi (ma non più di tre); e se intesi nella loro concretezza, non sono né tre, né due, ma costituiscono una mo¬ natriade » Cioè a dire, poiché le posizioni dialet¬ tiche dell’attività spirituale sono quelle del sog¬ getto, dell’oggetto e della loro sintesi soggettiva, non tre numericamente, ma unità trina, le forme 1 Op. cit.f p. 148. * Op. CI/., p. 131. 520 APPENDICE assolute del sapere debbono corrispondersi piintual- uiente. Cosi l’arte rappresenta la soggettività, la liricità dello spirito; la religione, l’oggettività, cioè l’esaltazione dell’oggetto, come trascendente e di¬ vino; ma runa e l’altra, prese per sé, sono momenti astratti, statici, insuscettivi di uno sviluppo storico, e si risolvono nella concretezza della tìlosolìa, dove 10 spirito supera il momento dell’arte e quello della religiosità. Una posizione peculiare è quella della scienza della natura, che in un suo scritto prece¬ dente il Gentile identificava con l’arte, accentuando 11 momento soggettivo della costruzione scientifica; ora invece (nella Teoria Generale dello Spirito) è portato ad assimilare alla religione, accentuando il momento oggettivo, naturalistico delle leggi. È una oscillazione che ci rende dubbiosi della solidità di tutto il sopramondo della concezione gentiliana, dove sembra che i momenti spirituali vengano ipo- statizzatj entro forme già rigide e la dialettica si esplichi tra concetti fatti. A ogni modo non è qui il caso di sbrigarsi leg¬ germente e con pochi cenni critici <li questa filo¬ sofìa. Abbiamo esposto, con la maggiore fedeltà che ci era consentita in una breve analisi, le dottrine del Croce e del Gentile, come per additare i più ma¬ turi frutti della mentalità contemporanea. 11 nuovo lavoro speculativo s'inizia di qui; ed è ragionevole pertanto che qui la narrazione storica sia sospesa; non già troncata, ma aperta a quella integrazione che ciascun lettore è preparato a compiere nel suo pensiero, dove la storia dell’ieri e la vita dell’oggi si fondono indissolubilmente. NOTA Non è inopportuno che, dopo di avere in questo lilìro criticato tauti sistemi filosofici, io chiuda la mia rassegna con qualche cenno autocritico. Nelle Considerazioni fina¬ li è abbozzata una specie di pan-filosofismo, che pre¬ tende di ridurre tutte le attività dello spirito, arte, reli- zione, scienza, storia ecc., all*attività del pensiero puro, quindi della filosofia che n’è l’interprete. Ciò che mi rendeva plausibile questa dottrina quando la meditavo, intorno al 1911, era innanzi tutto l’esigenza di affermare il valore mentale e autocoscientc delle attività dello spi¬ rito. contro quelle filosofie che, in nome della volontà o dell’intuizione, cancellavano o attenuavano, a mio av¬ viso, siffatto valore. La differenza della mia posizione mentale da quella che si andò poi delincando sotto il nome di idealismo attuale od attualismo, stava in ciò, che io mi rifiutavo di ammettere rassorbiniento delle sin¬ gole forme, e di fatto, il loro annullamento, nella filoso¬ fia; e volevo piuttosto intrinsecare e rendere immanente a ciascuna di esse l’esigenza filosofica. Cosi, p. es., mentre il Gentile identifica la scienza naturale col momento astratto dcU'oggettività, della natura, che si risolve nel¬ l’attualità della conoscenza filosofica, io pensavo che la scienza, come attività spirituale autonoma e sufficiente a sé stessa, realizza nel suo medesimo procedimento quel¬ l’istanza superiore: essa infatti non è natura, ma espe¬ rienza della natura; non pensiero astratto, ma pensiero astraente; quindi attività mentale che si svolge, e nel suo sviluppo risolve continuamente il momento del¬ l’astratta oggettività. .Analoghe considerazioni io facevo per la religione e per l’arte. E per questa via giungevo alla conseguenza che la filosofia non dovesse più considerarsi come una forma distinta e differenziata di esperienza, ma come lo 522 NOTA spirilo iuiiinalore di tutte le esperienze: il che non con- Irusta col « pan-filusorismo » testé accennato, perché, dove tutto è filosofìa, nulla è più filosofìa in un senso proprio e particolare. Cosi facendo, io non iniKlioravo gran che la mia po¬ sizione in confronto della filosofìa attualistica : se questa cade in una specie di nirvanico acosmico, io, per sal¬ varmi, cadevo nell’errore opposto, di ammettere una pluralità disgregata di esperienze, solo apparentemente unificata dalla presenza di un comune spirito filosofico circolante in tutte. Che. se l’arte, la scienza, la religione, sono filosofia, in quanto attività concrete dello spirilo, unità sintetiche di soggetto e oggetto, in che cosa poi si distingue (|ucll.i concretezza che chiamiamo arte, da quella che chiamiamo scienza, ecc.? L’errore in fondo era identico nei due casi, benché in apparenza opposti; e stava nel ridurre tutta la vita dello spirito a un astratto schema logico (soggetto, og¬ getto, sintesi) elevato a principio metafìsico, e nel cre¬ dere che col risolvere ogni contenuto di pensiero nell’atlo che lo pensa, si spiritualizzi tutta la realtà, mentre in¬ vece non si fa che affermare una mistica indifferenza dell’atto di fronte a quel contenuto. Col tempo, seguendo rapparente sviluppo, che però in sostanza è una pro¬ gressiva involuzione, deiridealismo attuale, mi sono an¬ dato convincendo di molte cose: che rimmediata tradu¬ zione dei termini della critica kantiana da un significato gnoseologico a un significato metafìsico lascia intatta la € cosa in sé » e la « filosofìa della natura », almeno come espressioni dì problemi non risolti; che !’« oggetto » della conoscenza s’identifica con l’atto conoscitivo solo a con¬ dizione che lo si spogli di ogni contenuto, in modo che la dottrina dell’atto puro si rende tanto più rigorosa e coerente quanto più vuota, fino al punto-limite in cui il contenuto mentale coincide con la pura formula mono¬ triadica; che il processo per cui l’esperienza mentale si organizza non può senz’altro confondersi con quello in virtù del quale la realtà stessa si costituisce >, e che > Donde la necessità di porre su due plani ben distinti le relazioni interne del pensato e le relazioni nelt’atto del cono¬ scere, la relatività delle determinazioni del reale e quella del momenti del processo conoscitivo, l’/o penso della logica kan¬ tiana e il soggetto assoluto della metalisica. NOTA 523 quindi una metafisica della mente deve seguire una via multo più indiretta e faticosa per fondare la spiritualità del reale. Dalla Critica del Giudizio di Kant, alla filosofia della natura di Schelling e di Hegel, via via fino al con¬ tingentismo del Boutroux, all’evoluzione creatrice del Bergson, al realismo dcH’Alexander, al neo-hegelismo del- rHamelin. è tutta una serie di sforzi per questa via più ardua; essi valgono almeno a segnalare la presenza di un problema di cui l'attualismo s’é sbrigato troppo a cuor leggero. Tutto ciò che formava oggetto della me¬ tafisica dell’essere non s’illumina in un fiat col porre l’equazione tra l’essere e Tesser conosciuto; cosi non si fa che porlo semplicemente a foco; ma si tratta poi di conoscerlo clTettivainentc; se no, si trasferisce il mi¬ stero da una posizione all’altra, senza accrescere di un sul iota la nostra conoscenza della realtà. Pretendere di aggiogare il mondo all’atto del pensiero, senza che questo si faccia concretamente coscienza, autorivelazione, atto del mondo, è un faticare per trascinarsi dietro la propria ombra: agendo nihil agere. Questi cenni critici preludono a un esame particola¬ reggiato della filosofia del Gentile, che io mi propongo di pubblicare nell’appendice al presente libro, e ad una revisione della mia posizione idealistica, di cui ho co¬ minciato a dare qualche sporadico saggio negli scritti pubblicati in questi ultimi anni. Dicembre 1928. NOTA BIHLIOGRAFICA In questa nota si fa cenno unicamente dei libri che hanno attinenza col testo. Per una bibliografia più estesa, cfr. F. rKBKBWEG. Gniiulriss der Gescliichle der Pliito- xoiìhie (IV : die Pliil. seit lieginn des neiinzehnten Jahr- hitiiderls); 10'» ediz. ed. da M. Heinze. Berlino, litoti. INTRODUZIONE. — Sulla filosofia contemporanea in generale, ampi ragguagli si trovano nelle riviste, come La critica, la Riuista di lilosofia, la Cultura filosofica, la Zeitschrift fiir Phitosophie und phitosophische Kritik, la lievue de Métaphysique et de Morale, il Mind. Ufr. inol¬ tre W. Wi.NDELBANU, Lehrbuch der Geschichte der Philo- sophie, Strassburg, 1889 (1910*. Tùbingenl; H. Hoffdino. Moderne Philosophen, Leipz., 1905; P. Mabtinetti, Introdu¬ zione alla metafisica, Torino, 1904; F. de Sablo, Studi sulla filosofia contemporanea, Roma, 1900; G. V'illa. La psico¬ logia contemporanea, Torino, 1899; L’idealismo moderno, Torino, 1905; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, Palermo, 1912; su di essa, v. la mia recensione in Critica (X, 1912, fase. 1). Il concetto della nazionalità della filosofia, da cui prende le mosse la nostra Introduzione, si trova svilup¬ pato nelle opere di B. Spaventa. Cfr. specialmente: La filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia europea, Bari, 1909. Pabte I. LA FILOSOFIA TEDESCA. — O. KOlfe. Die Philosophie der Gegenwart in Deutschland, Leipzig, 1911 *. 526 NOTA BIBLIOGRAFICA Cahitolo I: intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn, Gniiulriss der Gesrhichle der l‘hilosophie, i-(l. da B. Erdinann, Berlin, 189(1*. Per la scuola di Tu- binga: F. G. Baur, Die Tiibinger Schiile vnd ihre Stelliiny zur Geyenioart, Tiibingen, 1859; E. Zkller, C. tiaur et fècole de Tiibitmue. Ir. fr., Paris, 189.1; K. Strauss, Dos l.ebeit Jesii. Tùb., 1898’; Der alte iind tiene GItinbe, Leip¬ zig., 1903“. Un parallelo tra lo .Strauss e il Renan si trova nei Vorlrdge und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello Zeller. — Sul materialismo storico: K. Marx. Dos Kapital, Krilìb der itolitischeii Oekoiwmie, ed. dalVEngels (Hamburg. 1883-85); ifisère de la pbilosopltie, Paris. 1896; F. Encels, llerrn Kngen Dùhrings Gmaitilzang der Wisiseiischnft, Stuttgart, 1894. In proposito A. I.abriula, Saggi intorno ulta concezione mnlerialislictt della,, storia (3 v(dunii. Roma, 1895-1902); (!. Gentile. La /i/osoflo di Murjc, Pisa, 1899; B. Croce. Materialismo storico ed eco¬ nomia marxista, Bari. 1919*. — Sulla psicologia dei po- pedi: Xeilschrift far Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed. da .\1 Lazahls e H. Steinthal dal 1860 al 1890. — Sul naturalismo: L. BCchneh, KrafI and Staff, Frankfurt a M.. 1855. (1904*'); E. nu Bois Reymond, Die sieben Weltrdihsel, la:ipzig, 1882 (1903*): sono le opere più significative. Inoltre: E. Duhkixg, Cursus der PliUoso- phie, 1875 e 1894 e sgg.; Logik und ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz., 1878; Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta, Leipzig, 1851; E. Hartmann, Philosophie des Vnbeaaissten, Berlin. 1869 (1904"); Kalegorienlehre, Leipzig, 1897; A. Drews, Das Ich als Grand-problem der Metaphgsik, Freiburg, 1897. Sul na¬ turalismo in genere, cfr. .4. Lance, Histoire da matèria- lisme, tr. fr., Paris, 1877, 2“ voli. — Di Ermanno Lotze: Mikrokosmos, Leipzig, 1858-1864, in tre vedi. (1896*); Lo¬ gik, Leipzig, 1874 (1881*); Metaphgsik, Leipz., 1879. Sul Lotze: O. Caspari, //. L. in seiner Slellang za der durch Kant begriindeten neaesten geschichte der Pbilosophie Breslau, 1883; H. Schoen, La métaphgsigue de H. L., Paris, 1902; W. Wallace, Lectures and Essags, Oxford, 1898, (vi si parla del Lotze in appendice, pp. 841-510); G. de Ruggiero, La filosofia dei valori in Germania, Trani, 1911 (estr. dalla Critica). Capitolo 11. — E. Laas, Idealismas und Positivismus, Berlin, in 3 voli.: 1, 1879; 11, 1882; HI, 1884. W. Schlppe, NOTA BIBLIOGRAFICA 5:27 Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, 1878; (inindriss der Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik, Berlin. J. Rehmke, l.ehrhiich der itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. 18!U (190.5’, Leipzig); Pliilosopbie ah Griindiuhseiisfbafl, Leip¬ zig. 1910: organo della cosi della illosolia del dalo è la Xeitschrift fiir immanente Philoxophie, fondala nel 189.5. Sulla teoria degli oggelti. efr. gli art. di A. Meinono nella Xeitschrift fiir Phil. tt. pliit. Kritik; in particolare: Veber die Stellung der Geuenstandtheorie im Stistem der IVi.s- senschaften (1906-07). Cfr. inoltre le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind Psr/chologie, ed. dallo stesso Mei- nong. Circa roricnlanienlo generale della dottrina, v. la relazione delTHoFLER al Congresso inlernazionale di Psicologia, Roma. 1905: Sind wir Psiicholoìiisten?. — Per l’empirio-criticismo: R. .Ave.narius, l’hitosuphie ids Den- ken der Welt gerndss dem Prinzip der kleinsten Kraft- masse. Prolegomenu zìi einer Kritik der reinen Erfahriing. Leipzig, 1876 (1903’, Berlin); Kritik der reinen Erfahriing, 2 voli., Berlin, 1888-1890; Der menschiirhe Wetthegriff, Leipzig. 1891 (1905’). SiiirAvenarius v. il saggio del Wundt in Philosophische Stiidien (13) 1896; un articolo assai limpido è quello del Delacroix. A., in Renne de métaph. et de mor., 1897 (pp. 764-779), 1898 (pp. 61-102); ,1. Petzoi.dt, Einfiihrnng in die Philosaphie der reinen Erfahriing, 2 voli., Leipzig, 1900-1904; E. .Mach. Die Prin- zipien der Mechanik in ihrer Entinickeliing hislorisch- kritisch dargestellt, Leipzig, 1904“; Die Prinzipien der Wàrnilehre historisch-kritisch entinickelt, Leipzig, 1900’; Die Anaigse der Empfìndiingen, Jena, 1906“; Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig. 1905;» II. Cornelius, Einleiinng in die Philosophie, Leipzig, 1903. Di tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff, è IL Hertz: v. l’interessante introduzione ai suoi Prinzipien der .Mechanik, Leipzig, 1894. — Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et realité, tr. fr.. Lille, 1896; Esqiiisses de philosophie cri- tiqiie, Paris, 1887. Recentemente H. Vaihinokr, Die Phi¬ losophie des Als Oh, Berlin, 1911. Capitolo IH. — F. .Alb. Lance, Geschichle des Mnte- rialismiis nnd Kritik seiner Bedeiitnng in der Gegenwart, Iserlohn, 1866 (1902’, Leipzig); O. Liebmann, Kant nnd die Epigonen, Stuttgart, 1865; Znr Analysis der Wirklichkeil, Strassburg, 1879 (1900“); A. Riehl, Der philosophische 528 NOTA BIBLIOGRAFICA Kriticismiis und seine liedeutung fiir die positive Wis- senschdft, 3 voli.. Leipzig, 187(>-1887 (1° voi. 1908^). Sul k.TnIismo inatemalico-platonizzunte, H. Cohen, Knnts Theorie der Erfahrung, Berlin, 1871 (1883*); System der Phiiosophie: 1 parie: Logik der reineii Erkennlniss. Ber¬ lin. 1902; 11 parte: EtUik des reinen Willens, Berlin, 1904; recentemente, Aesthetik des reinen Gefùhls, Ber¬ lin, 1912. Sul Cohen v. il recente fase, dei Kantstudien, 1912. P. Natorp, Platos Ideenlehre, Leipzig, 1903; Die logischen Grundlayen der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, 1910. E. Cassirer, SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin, 1910. — Sulla lllosofla dei valori, oltre le opere del Lotze cit.: C. Siuwart, l.ogik, Tiibingen, 1873- 1878; K. Bergmann, Reine Logik, Berlin, 1879. W. Win- DEi.BANn, Reitrdge zur Lehre vom negntiven Vrteil (Slniss- hiirger Abhundliinyen zur Philopophie E. Zellers 70 Ge- burtstag, Kreib. i. Br., 1884); Prdiudien, Aufsatze und Heden zur Einleituny in die Phiiosophie, Frei¬ burg i-Br., 1884 (1911-*); Vgm System der Kategorien (Phitos, Abhandl. C. Siywurt zu seinem 70 Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen, 1900); Veber Willensfreiheit, Tii- bingen, 190.5; 7,um Regriff des Gesetzes (Rerirht iiber den III Intern. Congress fiir Phit., Heidelberg, 1908). H. Rickert, Der Gegenslund der Erkennlniss, ein Hei- triig zum Problem der philos. Transsrendenz, Freiburg, 1894 (1904*, Tiibingen); Zwei Wege der Erkenninistheorie, 1910. In proposito, v. il cit. mio scritto: L(t filos. dei va¬ lori in Gemi, — Sullo storicismo, oltre i saggi del Win- delbaiid: \\'. Dilthey, Einleitung in die Geistesuiissen- srhaflen, Leipzig, 1883; P. Barth, Die Phiiosophie der Geschichte als Sociologie, Leipzig, 1897; G. Simmel, Die Probleme der Geschichtsphilosophie, Leipzig, 190.5*; IL Rickert, Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine logische Einleitung in die hislori- schen Wissenschaften, Freiburg i-Br., 1896-1902; S. Hbs- SEN, Individuelle Kausalitàt, Berlin, 1909. — Sulle scienze sociali: C. Bolglé, Les Sciences sociales en Allemagne, Paris, 1896; G. Simmel, Einleitung in die Moralwissen- schaften, 2 voli., Berlin, 1892-93; Phiiosophie des Geldes, 1900; R. Stammleh, WirtschafI und Rechi nach der ma- terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle, 1896 (1906*, Leipzig); Die Lehre von dem richtigen Rechte, Berlin,- 1902. — Sul movimento teologico: \. Ritschl, Die christ- NOTA BIBLIOGRAFICA 529 liche Lehre oon der Rechfifertigung und Versdhnung, 3 voli., Bonn, 1870-74 (1895^); W. Hermann, Die Religion In Verhàltnis zum Welferkennen und zur Sitllichkeit, Halle, 1879; sul Ritschl e il ritschlìanisnio, v. le impor¬ tanti osservazioni del Boutroux, Science et religion, Paris, 1908. A. Harnack, L’essenza del Cristianesimo, tr. it., Torino, 1903. — Sul neo-kantismo in genere, v. la ri¬ vista Kantstudien, che si va pubblicando dal 1896 sotto la direzione del Vaihinger e ora anche del Bauch. Capitolo IV. — Sulla psicofisica, cfr. Th. Ribot, La psgchologie allemande conlemporaine, Paris, 1879. Sul psicologismo cfr.; Husserl, Logische l'ntersucliungen, 2 voli., Halle, 1900-1901; F. Brentano, Psgchologie vcm empirischen Standpunkte, I, Leipz., 1874 (il secondo volu¬ me, preannunziato dal 1874 non è stato poi pubblicato). Th Lipps, Grundtatsacben des Seelenlehens, Bonn, 1889; Leitfaden der Psgchologie, Leipzig, 1903; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz, 1894; Ch. Ehrenfels, Sgstem der Wertlheorie, I: Allgemeine Wert- Iheorie. Psgchologie des Begehrens; II: Grttndzilge einer Ethik, Leipzig, 1897. Intorno a questa dottrina, cfr. Ore- stano, Valori umani, Torino, 1907. Capitolo V. — W. Wundt, Sgstem der Phitosophie, Leipzig, 1889 (1897»); Einleitung in die Phitosophie, Leip¬ zig, 1901 (1904»); F. Paulsen, Einleitung in die Philo- sophie, Berlin, 1892 (1905*»); Sgstem der Ethik, Berlin, 1889 (1903*); J. Bergmann, .Sgstem des objectioen Idea- lismus, Marburg, 1903. — Sul naturalismo: E. Haeckel, A'aturliche .Schopfungsgeschichte, Berlin, 1868 (1902"*); Die Weltràthsel, Bonn, 1899 (1901'); VV. Ostwald, Vorle- sungen ilber Naturphilosophie, Leipzig, 1901, (1905»), L. Busse. Geist und Kórper, Seele und Leib, Leipzig, 1903. — F. Nietzsche, Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Mgstik, Leipzig. 1872; Als sprach Zarathustra, Chem- nitz, 1883-1884, Leipz., 1891; Jenseits uon Gut und Róse, Leipzig, 1886. Sul Nietzsche cfr. il saggio del Berthelot, pubblicato nel volume: Éuolutionnisme et Platonisme, Paris, 1908. — Sulla metafisica del Irasccndentc: R. Eucken, Geschichte und Kritik der Grundbegri/fe der Ge- genwart, Leipzig, 1878, pubblicato per la terza volta uel 1904 col nuovo titolo: Geistige Stromungen der Geyen- G. DE Ruggiero. La filosofia contemporanea. 34 530 NOTA BIBLIOGRAFICA wart, Leipzig; Der Kampf um einen geisligen Lebensinhalt, Leipz., 1896; Ln visione della vita nei grandi pensatori. Ir. il., Torino, 1909; J. Volkelt, Erfahrung and DenUen, Hamburg iind l.eipzig, 1886; Th, Lippe, Naturphilosophie (in; Die Philosophie in Beginn des zwanzigsten Jahrhun- dert. ed. dal Windelband, Heidelberg, 1907* : manca nella 1* ediz.); J. Cohn, Allgemeine Aesthetik, Leipzig, 1901; Vo- raussetzungen and Ziele des Erkennens, Leipzig, 1908, H. MCnsterbero, Philosophie der Werle, Leipzig, 1908. Parte IL LA FILOSOFIA FRANCESE.— Ph. Damiroji, Essai sur la philosophie en France au A/X' siècle, Paris, 1834*; H. Taine, Les philosophes frangais da XIX’ siicle, Paris' 1856 (1895*): F- Ravaisson, La philosophie en France aa XIX’ siècle, Paris, 1868 (1904*); E. Boutroux La philosophie en France depuis 1867 (3° Congresso in- ternaz. di flios., Heidelberg). Cfr. inoltre VAnnée philo- sophique. ed. dal Pillon, e la Revue de métaphsique et de morale, ed. dal Léon. Capitolo L— Sull’eclettismo: V. CousiN, Fragments philosophiques, Paris, 1826 (18660: del Joifproy il la¬ voro più importante e significativo è la Préface à la tra- duction des esqttisses de phil. morale de Dugald Stewart, Paris, 1826; Ad. Garnier, Traité des facultés de Vàme, 3 voli., Paris, 1852; Ch. de Rémusat, Essai de philosophie 2 voli.! Paris, 1842. Sulle dottrine biologiche della scuola eclettica c’è un’ampia rassegna del Saisset, L àme et le corps (in Revue des deux Mondes del 15 agosto 1862). Cfr. intorno all’eclettismo in generale il mio scrilterello: L’eclettismo francese {Rivista di filosofia, 1910, fase. II). — Sul positivismo: A. Coiute, Cours de philosophie. po¬ sitive, 6 voli., Paris, 1830-1840; E. LittrA. A. Comte et SI. Miti, Paris, 1866; La Science au point de ime phiio- sophique, Paris, 1873; A. Cournot, Essai sur les fonde- menls jfe nos connaissances, 2 voli., Paris, 1851; I raité de i’enchainement des idées fondamentales dans les Sciences et dans l’histoire, nuova ediz. a cura di L. Lévy-Bruhl, Paris, 1911; H. Taire, De V Intelligence, Paris 1878*. Sulla metafisica positiveggiante. E. Vache- ROT, La métaphysique et la Science, 2 voli., Paris, 1858. — Sui nuovo spiritualismo: F. Ravaisson, La phil. en NOTA BIBLIOGRAFICA 531 Frutice oìt.; P. .Ianet, l.es cuiises fìnales, Paris. 1876; Princiiies de métaphysiqtie et de psycologie, in 2 voli., Paris. 1897: c una raccolta di lezioni universitarie, inte¬ ressante per valutare la mentalità di questo indirizzo. E. Vacherot, Le nouveau spiritiialisnie, Paris. 1888. Cfr in proposito il mio articolo; Il nuovo spiritualismo fran¬ cese iliivista di filosofìa, 1910. fase. 111). Per la filosofia della libertà: Ch. SéCBETAX. La philosophie de la liberlé, in 2 voli.. Paris. 1809. L’articolo di P. Janct sul Sé- cretan, a cui si allude nel testo, fu pubblicato nella Renile des deux Mondes del 15 aprile 1877 e ristampato, con una risposta del Séeretan, nel voi. cit. del J.: Psych. et inétaph. Capitolo IL — Sul fenomenismo: Cn. Renoi'VIEH. Es- sais de crilique générale: 1. Logiqiie, Paris. 1854 (2* ediz., in 3 voli., 1875); li. Psgchotogie rationelle, Paris, 1859 (2» ediz., in 3 voli., 1875); IH. Princ.ipes de la nature, Paris, 1864 (1875*); IV. Inlroduclion à la philosophie ana- lytique de l'histoire, Paris, 1864 (1896*); La nouvelle mo¬ nadologie (in collaboraz. con L. Prat), Paris, 1899; Le personalisme, Paris, 1912. Cfr. inoltre VAnnée philoso- phiqiie, ed. dal Pillon. dove sono raccolti molti articoli del Renouvier e dei suoi seguaci.- — J. .1. (ìolrd. Le phé- nomène, Paris, 1888; Les trois dialectiques IReniie de mét. et de mor., 1897, pp. 1-34, 129-161, 285-319); Philosophie de la religion, Paris, 1911. E. Boirac, L'idée dii phénoméne, Paris, 1894. Capitolo HI. — J. Lachelieb, Dii fondement de l'in- diiclion. Illùse de doctorat, Paris. 1871; Psychologie et métaphysique, in Rev. pliilos., 1885: questo saggio è stato poi ristampato in appendice alla 2“ ediz. del Fon- deni. de l'induct., (1902<). Sul Lachelier cfr. l’articolo del Noel, La phil. de L., in Rev. de métaph. et de mor., 1898. Per gli studi hegeliani: (J. Noel, La logique de Hegel, Paris, 1897 (già pubblicato in varie puntate nella Rev. de métaph.); R. Bebthelot, Évolutiqnnisme et plalonisme cit. (dove è riportata una conferenza su Hegel e una interessante discussione a cui questa diede luogo). Dei kantiani: L. Liabd, La Science positive et la méliiphysi- qiie, Paris, 1879; F. Evellin, La raison pure et les an- tinomies, Paris, 1907; (dell’Evellin è molto noto anche il 532 NOTA BIBLIOGRAFICA libro: Infini et quantité, Paris, 1880): L. Bbunschvicg, Spinoza, Paris. Alcan. 1906^; La nwdalité da juuemeni, Paris, 1897. L. VVbbeb, Vers le positivisme absolu par l'idéalisme, Paris, 1903. Capitolo IV. — Sulla filosofia della contingenza: E. UotiTBOux. De la contingence des loie de la nature, Paris, 1874 (ristampalo, poi, più volte, immutato); De Vìdee de la loi naturelle, Paris, 1895; G. Milhaud, Essai sur les condilions et les limites de la certitude logique, Paris, 1898»; Le rationnel, Paris, 1898; A. Mannequin. Essai cri- tique sur Vhgpothèse des atomes, Paris, 1899»; J. Payot, La crogance, Paris, 1896; H. Poincaré, La Science et l'hgpothèse, Paris; La naleur de la Science, Paris, 1909; P. Duhem, La théorie phpsique, Paris, 1906. — H. Beboson, Essai sur les données immédiates de la canscience, Paris, 1889 (1911'»); Matière et mémoire, Paris, 1896 (1911*); l,e rire. Essai sur la signification du comique, Paris, 1900; Introduclion (i la métaphysique (in liev. de métaph. et de mor., 1903); L’éuolution créatrice, Paris, 1906 (1911*). Sul Bergson, cfr. il mio saggio: Lo svolgimento della filo¬ sofia di H. Bergson, in Cultura (15 febbraio 1912). Le Boy, Science et philosophie (Bev. de métaph., 1899, pp. 375- 425, .503-562. 708-731; 1900, pp. 37-72); Un nouveau positi¬ visme (Hev. de métaph., 1901); Rémacle. La valeur posi¬ tive de la psgchologie (Rev. de métaph., 1894). Capitolo V. — Sulle scienze sociali: A. Espinas, Les societés animales, Paris, 1878»; G. Tarde, Les lois de l’imitation, Paris, 1890 (1904*); E. Durkeim, direttore dellMnnée sociologique: La division du travati social, Paris, 1893 (1901»); Les règles de la mélhode sociologique, Paris, 1895 (1904»), — Sulla storia: P. Lacombe. De l'hi- sloire considerée comme Science, Paris, 1894; .\. D. Xéno- POL, Les principes fondamentaux de l'histoire, Paris 1899, ristampato, con notevoli ampliamenti, Paris, 1908, col ti¬ tolo: La théorie de l’histoire. — Sul positivismo plato- nizzanle; A. Fouillée. L'auenir de la métuphgsique fon- dée sur l'experience, Paris, 1889 (1895»); La psgchologie des idées forces, 2 voli., Paris, 1893 (1896»); Le mouve- menl idéaliste et la réaction cantre la Science positive, Paris, 1896 (1904»); R. Bebthelot, Évolutionn. et Plato- nisme cit.; Ch, Dunan, Les deux idéalismes, Paris. 1911. NOTA BIBLIOGRAFICA 633 Sniretica del platonismo: A. Fouillée, Critique des s;/- sfèmes de morale contemporaine, 'Paris, 1883 (1894*); J. M. Guyau, Ésquisse d'une morale sane obligation ni sanction, Paris. 1885 (1903’); Irreligion de iavenir, Pa¬ ris, 1887 (1904'). Capitolo VI. — L’opera del Gratry a cui si fa allu¬ sione nel lesto è: De la connaissance de l’dme, in 2 voli., Paris, 1898’; L. Ollé-Laprune, De la certitude morale, Paris, 1881; Le prix de la aie, Paris. 1895’; La raison et te rationalisme (postuma), Paris, 1906; V. Brochard. De t'erreiir, Paris, 1897; M. Blondel, l/aetion. Essai d’une critique de la vie et d’une Science de la pratique, Paris, 1893. Cfr. ancora l’importante relazione del Blondel al II Congresso internazionale di filosofia, tenutosi a Parigi: La logique de Vaction; e gli articoli che egli va pubbli¬ cando sotto lo pseudonimo di Testis negli Annales de Philosophie chrétienne. — Sul modernismo: L. Labert- HONNIÈRE, Le réalisme chrétien et ridéalisme grec, Paris, 1904’; Essnis de philosophie religieuse, Paris, 1903’; Le Boy, Dogme et critique, Paris, 1907; A. Loisy, L’Éuangile et l'Église, Paris, 1902; Autour d’un petit livre, Paris, 1903; G. Fonseorive, Morale et societé, Paris, 1907; E. Botthoux, Science et philosophie, Paris, 1908. Sul mo¬ dernismo è fondamentale l’opera del Gentile: Il mo¬ dernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari, 1909. Una ricca bibliografia è data dal Prezzolini, nel vo¬ lume: Il cattolicismo rosso, Napoli, 1908. — Del Sohel cfr. Les illusions du progrès, Paris, 1908; Réflexions sur la oiolence, Paris, 1908. Parte III. LA FILOSOFIA A.NGLO-AMERICANA. — Ch. Renouvier, De l’esprit de la philosophie anglaise con¬ temporaine (in La critique philosophique, 1872); F. Bren¬ tano, Les sophistes grecs et les sophistes contemporains, Paris, 1879. Capitolo L — Sulla filosofia degli scozzesi: H. Sid- wiCK, The philosophg of Common ,Sense. (,Mind. N. S., voi. IV, 1895); W. Hamilton, Lectures on Metaphgsiks and Logic edited bg Mansel and Weitch, 4 voli., London, 1859-1860; A. L. Mansel, The limits of Religious Thought, Bumpton Lectures; London, 1858 (1867’); J. Stuart Mill, 534 NOTA BIBLIOGRAFICA An Kxaminatìon of Sir n'illiam Hnmilton's Philosopni/, Lond., 1865. — Sulla logica: J. S. Mill, A Sgstem of Logik, Raliocinatioe and Inductiae. beino a conneried Vieni of thè Principles and thè Methods of Scienlific Investiga- tions, London, 2 voli., 1843 (1875>); Kssngs on some un- settled Questions of Politicai Economo, Lond., 1844 (1874’): importante il saggio V, dove si parla della dottrina della definizione. F. H. Brabley, The Principles of Logik, Lond., 1883; B. Bosanquet, Logik or thè Morphologg of Know- ledge, 2 voli., Oxford, 1888; J. M. Baldwtn, Thought and Things. (A stiidg of thè deiielopment and meaning of thought or Genetic Logik), London, e New-York, 2 voli.; I, 1906; 11, 1908. — Sulla psicologia delFempirismo: Tu. Ribot. La psgchologie anglaise contemporaine. Paris, 1881. _ SuU’etica: J. St. Mill. Utilitarianism, Lond., 1863 (dal Frasers Magazine del 1861); H. Spencer, Data of Ethics, 1879. Cfr. G. M. Guyau, La morate anglaise contemporaine, Paris, 1885’. — H. Spencer, First Principles, Lond., 1862. Sullo Spencer cfr. O. Gaupp, Herbert Spencer, Stuttgart. 1897. Sulla dottrina della scienza: .1.0. Maxwell, Discourse on moleculs (in Scientiflc Papers, ed., dal Niven, 1890): Matter and motion, London, 1872; \V. K. Clifforb, Lectu- res and Essags, 2 voli., London, 1902. — Sul pramina- tismo: 0. S. Peyrcb, How lo moke our ideas clear (thè Popular Science Monthly, gennaio 1878); W. James, Prin¬ ciples of Psychologu, 2 voli., Boston, 1890; Will lo be- lieue, New-York, 1897; The narieties of Religious Expe¬ ri enee, New-ork and London, 1902; Pragmatismi A new nome for some old ways of thinking, New-York, 1907; J. Dewey, Studies in logicai Theory, Chicago, 1909. Per la letteratura sul prammatismo, cfr. il Journal of Phi- losophy, Psycology and Scientiflc Methods, ed. da F. J. E. Woodbridge. — Per l’umanismo, cfr. F. C. S. Schiller, Études sur l humanisme, trad. fr., Paris, 1909. — Sulla logistica: B. Russell, The principles of mathematics, Cambridge, 1903; L. Couturat, Les principes des mafhé- matiques, Paris, 1905. — S. H. Hodgson, Time and Space, Lond., 1865; The Methaphysic of Experience, 4 volumi, Lond.-New-York, 1898. (Quest’opera non è a nostra cono¬ scenza diretta, ma ne abbiamo avuto notizia da due arti¬ coli, l’uno di F. de Sarlo, La metafìsica dell'esperienza delTHodgson, in Riuista fllosoflca, 1900; l’altro di L. Dauriac, in L’année philosophique, 1901). NOTA BIBLIOGRAFICA 535 Capitolo II. — SulThegelismo inglese: .1. H. Stirling, The secret of Hegel, 2 voli., Lond., 1865 (1898=, Edinburgh); W. Wallace, Introduction to thè sludy of Hegel's Hhiloso- phy Oxford, 1894»; E. Caibd, Hegel (Blackwood’s Phil. Clas- sic,) Edinb.-Lond., 1888; J. B. Baillie. The oriyin and significance of Hegel’s Logik, London, 1901; J. Mac Taooart, Studies in thè hegelian dialfclic, Cambridge, 1896; Studies in hegelian cosmology, Cambridge, 1904. Di J. H. Green, cfr. Introduction to Hume's Treatise on Human Nature (nell’ediz. delle opere di Hume. a cura del Green e del Grose, Lond., 1874-75); Prolegomena to ethics, ed. dal Bradley, Oxford, 1883 (1884»). Sul Green, D. Parodi: Vidéalisme de J. H. G., in lìev. de métaph. et de mor., 1896. — F. H. Bradley, Appearance and Realily. d Methaphysical Essay, London, 1893 (1902»), — Intorno alla fìlosofla della religione cfr. .1. H. .Newman, Ari essay in nid of a Grommar of assent, Lond., 1870; l.e dèueloppement du dogme chrétien (par H. Breinond), Pa¬ ris, 1905. L’autobiografla del N. è stata tradotta in ita¬ liano col titolo: Il cardinale Newman, Piacenza, 1909; G. Tyrrel, La religion exterieure, tr. fr., Paris, 1902. E. Cairo, The euolution of Religion, in 2 voli. (Gifford Lec- tures degli anni 1891-92, Glasgow, 1899»; W. Wallace, ' Lectures and Essays on Naturai Theology and Ethics edito postumo dal Caird, con una biografia), Oxford, 1898. — J. B. Baillie, An outline of thè idealistic con- struction of Experience, London, 1906. ,1. Wabd, Natura- lism and agnosticism, 2 voli., London, 1899 (1903»); The renlm of ends, or Pluralism and Theism, Cambridge, 1911. — J. Rovce, The spirit of Modem Philosophy, Bo¬ ston. 1892; The world and thè indinidual, New-York, 1901, in 2 voli. Parte IV. LA FILOSOFIA ITALIANA. — B. Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari, 1909; F. Fiorentino, La filosofia contem¬ poranea in Italia, Napoli, 1876; G. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850 (pubblicata uella l» serie della Critica). Un ricco materiale di recensioni, varietà, do¬ cumenti si trova ne La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia, diretta da B. Croce (si pubblica dal 1903). 536 NOTA BIBLIOGRAFICA Capitolo I. — Sul Rinascimento: B. Spaventa, Saqgi di crilica, Napoli, 1886’ G. Gentile, B. Telesio, Bari, 1912, e Storia della filosofia italiana (in corso di pubbl, presso il Vallardi di Milano); V. Fazio Allmaybh, Galileo Galilei (nella collezione del Sandron: / grandi Pensa¬ tori), Palermo, 1912. — Sulla posizione storica di Machia¬ velli non è stata aggiunta ancora una sola linea a quanto ha detto il De Sanctis nella sua Storia della letteratura italfana. — Del Bruno v. la recente edizione dei Dialoghi italiani a cura del Gentile: I. Dialoghi metafisici, Bari, 1907; 11. Dialoghi morali, Bari, 1908 (nella Collana di Classici della filosofia moderna, a cura di B. Croce e G. Gentile). Sul Bruno, v. B. Spaventa, Saggi di critica, cit.; inoltre La fìlos. ital. nelle sue relaz. ecc., e G. Gentile, G. fì. nella storia della cultura, Palermo, 1907. — Intorno al Campanella, v. le due opere testé ci¬ tale dello Spaventa. Fondamentale è il libro dell’.A ma- bile, La congiura, il processo e la follia di T. Campa¬ nella (Napoli, Morano, 1883) e Campanella nei castelli di Napoli, in Roma e in Parigi (ivi, 1887). — Sul Galileo, cfr. il volume cit. del Fazio. — ^ Di G. B. Vico si va cu¬ rando una nuova edizione completa delle opere nella collezione del Laterza Scrittori d'Italia. Nei Classici della Filosofia moderna è stata testé pubblicata, a cura di F. Nicolini, una edizione della Scienza Nuova, con ampie annotazioni e un’importante prefazione. Sul Vico cfr. B. Spaventa, La filos. ital. cit.; F. De Sanctis, St. della letter. it.] recentemente, B. Croce, La filosofia di G. lì. Vico, Bari, 1912 e G. Gentile, La prima fase della filosofia di Vico (nella Miscellanea di studi in onore di F. Torraca), Napoli, 1912. — Del Galluppi, cfr.: Saggio filosofico sulla critiou della conoscenza, Napoli, 1819-32. Vari accenni al Galluppi si trovano nelle opere di B. Spaventa; v. inoltre: G. Gentile, Dal Genovesi al Gal¬ luppi, Napoli, 1903. — A. Rosmini-Sbrbati, Nuovo Saggio suH'origine delle idee, Roma, 1830. Intorno a R.: V. Gio¬ berti, Degli errori filosofici di .Antonio Rosmini, 3 voli., Bruxelles, 1841-44; B. Spaventa, Scritti filosofici, ed. dal Gentile, Napoli, 1900; G. Gentile, Rosmini e Gio¬ berti, Pisa, 1898. — Del Gioberti si può vedere La Nuova Protologia, curata dal Gentile, in 2 voli., Bari, 1912 (nella Collana di Classici della filos., ecc.). Cfr. inoltre: B. Spa¬ venta, Im filosofia di Gioberti, Napoli, 1863; La filos. ital. ecc.; inoltre il saggio cit. del Gentile, R. e G. NOTA BIBLIOGRAFICA 537 Capitolo II. — T. Mamiani, Del Rinnovamento della fi¬ losofia in Italia, Parigi, 1834; Confessioni di un metafisico, ip 2 voli., Firenze, 1865. L. Ferri, Essai sur l'histoire de la philosophie en Italie au X/X« siècie, in 2 tomi, Paris, 1869; Il fenomeno sensibile e la percezione esteriore, ossia i fondamenti del realismo (Acc. dei Lincei, 1887-88). G. M. Bf.htini, Idea di una filosofia della vita, in 2 voli., To¬ rino, 1850. F. Ferrari, La filosofia della rivoluzione, Lon¬ dra, 1851 (in 2 volumi). — Sul positivismo: C. Cattaneo, Opere edite e inedite, Firenze, 1892; P. Villari, Arte, Storia, Filosofia, Firenze, 1884; A. Gabelli, L’uomo e le scienze morali, Milano, 1869; A. Angiulli, La filosofia e la ricerca positiva, Napoli, 1868; La filosofia e la scuola, Napoli. 1888; R. Ardigò, Opere filosofiche (sono stali pubblicati finora XI voli.). — SuIl’A. cfr.: G. Marche¬ sini, La vita e il pensiero di R. Ardigò, Milano, 1907. Organo del positivismo, dal 1881 al 1891 è stata la Ri¬ vista di filosofia scientifica, edita da E. Morselli. Cfr. inoltre la Rivista di filosofia e scienze affini, editV da uno scolaro dell’Ardigò, il Marchesini. (Questa rivista s’è fusa dal 1909 con la Rivista filosofica del Cantoni in una Rivista di Filosofia ed ha assunto un indirizzo eclet¬ tico). — -Intorno alla filosofia dualistica: F. Bonatelli, Fensiero e conoscenza, Bologna, 1864; Percezione e Pen¬ siero (.Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, tomo III, serie VII, 1892). C. Cantoni. E. Kant, voi. I.: La filosofia teoretica-, voi. II: La filosofìa pratica; voi. Ili: La filosofia religiosa, la critica del giudizio e le dottrine minori, .Milano, 1879-1884. F. Acri, Videmus in aenig- mate, Bologna, 1907. F. de Sarlo, Studi sulla filosofia contemporanea, Roma, 1901; / dati dell’esperienza psi¬ chica, Firenze, 1903; inoltre vari articoli pubblicati nella Cultura filosofica da lui diretta. B. Vahisco, Scienza e opinioni, Roma, 1901; / massimi problemi, Milano, 1910. Recentemente il V'arisco ha pubblicato un al-tro volume: Conosci te stesso, Milano, 1912, di cui abbiamo parlato neH’Appendice. — Sul neo-kantismo: F. Fiorentino, Ele¬ menti di Filosofia (ad uso dei licei) ed. dal Gentile, Napoli, 1907; F. Masci, Una polemica su Kant, l’Estetica trascendentale, e le Antinomie, Napoli, 1872; Le forme dell’intuizione, Chieti, 1881; Il materialismo psicofisico e la dottrina del parallelismo in psicologia, Napoli, 1901; P. .Martinetti, Introduzione alla metafisica, Torino, 1904. 538 NOTA BIBLIOGRAFICA Capitolo 111. — Suirhegelismo: A. Vera. Iniroduction à la philosophie de Hegel. Paris, 1855 (1864=); La logique de Hegel, Paris, 1859. B. Spaventa, La filosofia di Gio¬ berti. Napoli, 1863: Saggi di critica filosofica, politica, re¬ ligiosa, voi. I, Napoli, 1867 (1883=); Esperienza e meta¬ fisica. opera postuma a cura di D. Jaia, Torino-Roma, 1888; Scritti filosofici, con note e un discorso sulla vita e sulle opere dell’Autore, a cura di G. Gentile, Napoli, 1900; Principi di etica, a cura di G. Gentile, Napoli, 1904; Da Socrate a Hegel, nuovi saggi, a cura di G. Gen¬ tile, Bari, 1905; La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di G. Gentile, Bari, 1908; Logica e metafisica, a cura di G. Gentile, Bari, 1911. _ Della Storia della letteratura italiana di K. de Sanctis è stata fatta testé una nuova edizione a cura di B. Croce (nella Collana Scrittori d'Italia). — Sul marxismo: A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia. 1: In memoria del manifesto dei comunisti, Roma, 1895 (1902=); li: Del materialismo storico. Dilu¬ cidazione preliminare, Roma, 1896; III: Discorrendo di socialismo e di filosofia. Roma, 1902=; B. Croce. .Materia¬ lismo storico ed economia marxistica, Palermo, 1900 (19072). _ Di B. Croce cfr.: La filosofia dello Spirito. 1: Estetica, come scienza dell’espressione e linguistica ge¬ nerale, Palermo, 1902 (1912‘, Bari); li: Logica come scienza del concetto puro, Bari, 1908=; 111; l'ilosofia della Pratica. Economica ed etica, Bari, 1908; Saggi filosofici. 1: Problemi di estetica e contributi alla storia dell’este¬ tica italiana, Bari, 1911; II: La filosofia di G. B. Vico, Bari, 1912; v. inoltre la Critica, cit. Intorno a questa ri¬ vista sono sorte due collane di testi: Classici della filo¬ sofia moderna, e Scrittori d’Italia, per l’editore G. La- terza di Bari. — Di G. Gentile, oltre gli articoli che va pubblicando in Critica, cfr.: Rosmini e Gioberti, Pisa, 1898; Il concetto scientifico della pedagogia, Roma, 1900; Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903; Il concetto della Storia della filosofia, Pavia, 1908 (dalla Rivista filosofica); Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari, 1909; L’atto del pensare come atto puro, Palermo, 1912 {.Annuario della biblioteca filosofica, voi. 1). Rimando all’Appendice per la rassegna bibliografica degli scritti pubblicati posteriormente al 1912. NOTA BIBLIOGRAFICA 539 Avvertenza. — Nel testo abbiamo generalmente ri¬ spettato la cronologia: ma evidentemente, dove si parla di scrittori contemporanei, è il criterio dell’esigenza di pensiero che essi rappresentano quello che decide del posto che spetta a ciascuno. Lo stesso criterio vale per ciò che concerne i vari periodi dell’attività fllosoflca di uno stesso pensatore.
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