Grice e Vacca: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’ala del silenzio -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo italiano.
Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo”
-- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature. Gruppo parlamentare Collegio
Bari Partito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito
Democratico Laurea in giurisprudenza e filosofia del diritto. Docente
universitario. Si laurea in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia
politica e giuridica di CROCE. Svolge una intensa attività di organizzatore di
cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro
del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella
direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in storia
delle dottrine politiche, vince la cattedra di tale disciplina a Bari. -- è
stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX
e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle
elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di
centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di
partito in Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla
storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma,
diventandone poi Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia
italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI.
Professore di Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in
particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda
metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in
Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs
o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza,
Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica
e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI,
Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari,
De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio
meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia.
Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e trasformazione.
Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di sinistra e la
crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia, curatela,
Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali.
Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra
compromesso e solidarietà. La politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv
e la sinistra europea, Roma, Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e
cultura dell'alternativa (Milano, Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori
Riuniti); Dal PCI al PDS. Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto,
Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo,
San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni
dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo
all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti
con GRAMSCI: Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee
per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo
vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari,
Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo,
sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano,
L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari,
Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Il dilemma euroatlantico. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova
iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,
I dilemmi dell'integrazione. Il futuro
del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna,
Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide
future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci,
Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi
gramsciani nel mondo. e con Schirru,
Bologna, Il mulino, Perché l'Europa?
Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi
gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il
mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari
e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi,
e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel
mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e
pensieri di Gramsci. Collana Storia,
Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La
questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il
FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione
del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci.
Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di
Gramsci, Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione,
Scritti e discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano Quel che resta di Marx, Salerno Editore,
Roma, L'Italia contesa. Comunisti e
democristiani nel lungo dopoguerra, Marsilio, Venezia. V., su storia.camera,
Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà conversazionale, fascismo.
Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vaccarino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’errore del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pace del Mela). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’
la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake
(“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di
un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma.
Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa
prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli
sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in
filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si
dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della
filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della
scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non
ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di
Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la
sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme
con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti
rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia
nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano,
presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti,
ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla
tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo
scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa
in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza",
in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza.
Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente
scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi
sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e
riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i
suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa.
Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve
puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece
sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna
occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i
significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia
analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa
parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in
quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo
alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue
ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla
definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente.
La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti
ripensamenti e revisioni. Pubblica “La chimica della mente” (Carbone,
Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il
premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta
ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando,
Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria
Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti
vedute professate da filosofi della scienza. I suoi interessi si rivolgeno
anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i
criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento
alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione
della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle
operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume
Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera
l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna,
Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e
semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti
edizioni. Repubblica Semantica Filosofia
della scienza Centro Internazionale Di
Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino.
Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vaccaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura
come eteropia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite
of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Si laurea a Palermo, inizia
l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a
contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare del corso
di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze
della formazione dell'ateneo palermitano. -- è pro-rettore a Palermo per
la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre
è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano,
membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro interdisciplinare
in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente
dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti
di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin
della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese
(principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da
mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei
diritti umani. Saggi: “Decostruzione di una realtà macchinica”, in Il
camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma); “Il capitalismo regolato
statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano, Angeli); “Oltre la pace”
-- saggi di critica al complesso politico militare, curatela con Magno (Milano,
Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il
pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo deleuziano” (Milano,
Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera); “Anarchismo e modernità”
(Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari” (Milano); “Zero in condotta,
Globalizzazione e diritti umani” (Milano, Mimesis); “Biopolitica e disciplina”
(Milano, Mimesis); “Lo sguardo di Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e
democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro. Prof. Salvatore delegato alle politiche
di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo, su Università degli
Studi di Palermo. Mimesis Edizioni:
collane. Archiviato Palermo: scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca
nazionale di Firenze: catalogo autore., su opac. bncf.firenze.. Foucault: scheda autore., su
portail-michel-foucault.org. Vaccaro. Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Vailati: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica
filosofica di Peano– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced
by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver lavorato
come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario e così puo
proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere
insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di
discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa fornisse
una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione,
e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni,
e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio tecnico
specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in
cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare
qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere
problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che sostituite con qualche
nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla verità e sul significato e
influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela, distinse fra SIGNIFICATO
e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo
una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di
decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole
dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. V. ha una
filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai pragmatisti in questa
loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste nel
proporre che, anche nelle questioni filosofiche si esiga, da chiunque avanzi
una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso
che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere o esser successi, e in
che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero
succedere o essere successi, nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze
e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato come
"l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno dei
primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di Platone e Berkeley
-- che egli vide come precursori importanti del pragmatism -- Leibniz, V. Welby-Gregory,
Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose con molti dei suoi
contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende scritti sulla logica
matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia
e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia. La dottrina recente
pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria storiografica del
pragmatismo analitico italiano. I suoi principali interessi storici riguardarono
la meccanica, la logica e la geometria. Egli da un importante contributo in
molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica, dei
predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di definizione e del suo ruolo
nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica e
sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di SACCHERI. S’interessa particolarmente ai modi in cui quelli che potrebbero essere
visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi
differenti. Il suo lavoro di storico della scienza e strettamente connesso con
quello filosofico. Per le due attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e
metodologie di fondo. Vede lo studio storico e lo studio filosofico come
differenti nell'approccio ma non nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse
esserci cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi
storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in
conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie
scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione,
perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni
errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una
via da seguire. La posizione di V. sulla storia della scienza ricalca quella di
una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo
ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza,
come mostrano anche le vicende di CALDERONI (Pozzoni, Il pragmatismo analitico
italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO, il quale vanta certe
affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo, V., Storia e
metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova
Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, Pozzoni,
Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In Memoriam, Bolletino
di matematica, Pozzoni, Cent'anni di V.”
(Liminamentis, Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava,
La psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo
della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano
di V., Liminamentis Editore, Villasanta,
Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti
filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana;
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net.
Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni
Vailati, Vailati. Keywords: Peano. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Valent: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della lingua –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo italiano. “Some like Vitters, but Valent’s my
man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s
thought!” Essential Italian
philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di
ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi
categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla
filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare
attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla
base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei
presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme
con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi
cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello
della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale,
dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora
con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi
filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI).
Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da
un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO
(vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica
(BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del
negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica
di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata
dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e
pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e
rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di
Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come
esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una
filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della
negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale
nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla
novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato
investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto
destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria
modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione
frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del
reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V.,
che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il
plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo
dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria
della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di
contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia
intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che
non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità
di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia
anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile,
dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella
capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva
sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come
principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione
inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto
al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità
assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua
imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e
dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di
totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton,
ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile
relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo
differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande,
forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e
malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti
manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi:
“Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus
logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein,
Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande
Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda,
Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo);
“Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a
c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici
su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali,
Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus
logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a.
c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La
filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In
ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici,
Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent.
Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The
Swimming-Pool Library.
Grice e Valentino:
la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale di Romolo
divino -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo
italiano. He moves from elsewhere to Rome where he created a sect called ‘The
Valentinians’, who Valentino described as being the only ones who would save
themselves. Ippolito di Roma did not like him. Valentino. Keywords: Roma
antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza.
Grice e Valeri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello spazio tra sè
e sè – l’antropologia filosofica come ricerca dell’inter-soggetivo – filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Somma Lombardo). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of
anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della scuola normale
superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore BARONE
(vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca
a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi
politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia
sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che
condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gl’è stato
assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il
premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali. Fra i molti suoi saggi,
cura pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi. Tra le
sue molte saggi, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca
del soggetto” (Roma) può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni,
"Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in
Studi e materiali di storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto,
Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“,
Studi e materiali di storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione
alla teoria dello scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie
biografiche più esaustive, riferirsi alle
xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e
ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Valeri” per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Valerio: la ragione
conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale della morale togata – il
gentiluomo romano-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of little originality, and a notorious
flatterer of TIBERIO (vedi). He is best known for producing his IX books of
memorable doings and sayings – the work is designed primarily as a resource for
moral education by means of examples – showing how virtue is rewarded and vice
punished. It preserves many otherwise lost snippets taken from a variety of
sources – including newspapers. His ‘saggi’ are not much regarded today, but
they were bestsellers throughout the dark ages and the Italian renaissance,
“and I do find them incredibly amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale
pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore, “Practical ethics for Roman
Gentlemen”. Valerio Massimo. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valerio: la ragione
conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He has a statue erected in his honour in his own
villa (‘Ain’t that cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per
il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valla:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della volutta –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il
padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma
e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani,
un giurista funzionario in Curia. Il suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS
Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando
contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto
per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella
Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi
ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di
Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia,
succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per
lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo
approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del
procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con
rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel
quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo
la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con
l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di
LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia
fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo
dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della
volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca
spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una
tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia
romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione
del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia. Da allora passa da
un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse
città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo
segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire
una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla
falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini
donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra
la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i
cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo
questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede
dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il
restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo
scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius,
capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una
patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs
nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est triduo, quam CONSTANTINUS
esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un
falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo
in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche
l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte
gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al
tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie
all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e
potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli.
Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”. Il saggio raccoglie una serie straordinaria di
passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo
studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici
della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento
umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE. In le
"Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di
scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad
altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non
avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua
fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò
V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde
nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo
confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO
(vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto
Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario
apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e
di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in
contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di
testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e
irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante
umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta
polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di
eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo.
Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO,
ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa
su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse
stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del
linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e
l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e
comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono
a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa
formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle
parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e
sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il
profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due
filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali
doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile
nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando
d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano
inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze
politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e
soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e
l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un
lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno
eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone
la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono
i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per
svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia
ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il
posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.
Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle
traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di
demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo
dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione,
decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di
sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano,
ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal
romano. Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il
suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua
annosa avversione alla cultura scolastica. È indicativa ad esempio la sua
tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non
avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale
consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non
precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso.
Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di
Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o
consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro
significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes
in Novum Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per
provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo
Testamento a causare incomprensioni ed eresie. È a lui dedicata una fondazione
che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui
vengono proposte edizioni critiche di testi classici. L'arte della
grammatica, Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”,
Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti,
Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio
dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La
letteratura degl’umanisti", in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano,
Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da
Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale,
Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e
Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma
della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato);
Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla
storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La
falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago,
Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio,
Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.:
Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Vallauri: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione giuridica
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher.
“Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi
Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll
go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario
italiano. È stato Professore di filosofia del
diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e
all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara
fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del
direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio
Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea
in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo
la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il
concorso per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del
diritto a Firenze, dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia
del diritto. Ottiene la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il
collocamento a riposo insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di
teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la
documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di
filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con
il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto
un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e
della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica
serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi
recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È
vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le
possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo
libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto
dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che
prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico
occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie
orientali. Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia
del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza
a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso
l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su
una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso
dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso
rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici
secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno,
da lui definito: incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave
può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del
diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena
che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il
professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno
cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed
io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito
negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei
diritti dell'uomo. La corte si è pronunciata a favore del ricorrente,
ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione
(per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un
equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi
giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli
articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali. Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di
varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia
della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli
animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente
formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] +
(I.P.)] La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere
è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di
due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo
tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria
baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del
dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo
sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio
angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del
soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del
processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione
di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene
occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni sono
ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta filosofica
al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue pretese.
L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi: “Saggio
sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano);
Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e
diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra
dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos
della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di
filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione
animale, Milano, Meditare in Occidente.
Corso di mistica laica, Firenze, Scritti
animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo, Note. Magister, L'inferno? Una vergogna,
L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi
universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo,
Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo
scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima,
algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società
italiana di neuroscienze, Guadagnucci,
Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di
giustizia, Milano, Terre di mezzo, Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di
mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in
occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3
Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un
tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato
da Progetto Vivere Vegan, Interviste Sì agli interventi che aiutano i
nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul
"Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con
V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi
Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Valletta: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali, libertari e libertinisti
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. Eessential Italian philosopher. Grice:
“He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia dapprima
letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a Andrea, e
fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande rinnovamento
culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche
filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA,
CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti. Istituì a sue spese la cattedra di lingua
greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE
(vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in
Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di
libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie
all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei
Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori
di essa”, “Historia filosofica”. Lombardi,
Storia della letteratura italiana, Tipografia camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi,
V.,, nipote di V. Breve scheda biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte
dei Medici. Lettera di V., napoletano
fn difetta della moderna Filofòfia , e de' coltivatori di eflà,
INDIRIZZATA ALLA SANTITÀ’ DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine
un'ojf umazioni fopra ' la medefima . IN ROVERETO
Nella Stamperia di Pierantonio Berno Libr. ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB.
’f FRANCESCO PARTINI • • * è ;DE N
AJOF, • f + • - Nobile Provinciale del Tirolo, ec.ec, ,
l ♦ « » »# » , » • * * », » *
• » • Olto tempo è, Jlluflriffmo Signor Abate , che per
darvi qualche piccio- lo contraffegno della divo - Zioa mia verfo
di voi , io vado tra me ftejjo meditando , qual co/ a , non del tut-
to di] pregevole , e di . voi indegna , do - vejft offerirvi . Ed ora
ufcendo da’ miei * 5 tor- / ' « '
*- .4 . * * ' p t * •# /« •. è . * » .•
* •* . • * . - j» % ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r
.! *orri&; la prima volta una dotta * ed erudita Opera
del Sig. Giufeppe Val* tetra , la quale manofcritta lungamen- te
era andata per le mani de* virtuofi; quefta appunto ho . difegnato d'
indiriz- zare a voi , sì 5 per darvi un picciolo faggio del de
fiderio ardentìjfimo > eh' io bo d' incontrare con e fio voi ferviti ,
sì ancora per fare un pubblico attediato al mondo della /lima
grande , ch'io con- fervo della voftra ragguardevole Perfo- ra . E
nel vero fé , com * a tutt' altri è in ufo di fare , io voleffi
raccoglier qui le glorie de * trapaffati , teffendo un lunoo
catalogo di tanti e tanti glorio fi Antenati della vofira nobile Famiglia
, i quali e nell' armi , e nelle . lettere rif- plendendo , non
meno il vofiro Ceppo , che tutta cotejìa Patria ili ufi r areno ;
certo de non ■; uno > ma ben mille moti- osi io avrei per indurmi a
ciò fare . . Concioffiachè allora egli . mi fi farebbe .
tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar- mi di PIETRO , illu (Ire, e
.antico ger- irne della vofira onorati fiima Prof apia , *
il Digitized by Google il quale da Galeazzo Vìfconte
Duca di Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere delle fue. armi
> Mi . fi prefent crebbe fitto gli occhi il valore di quell*
altro PIET RO d' età ma ? non di merito inferiore , a cui i
eccellenza nel mefiier te ftmil mente della guerra , acqutfiò l*
uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj • fimifiano J. i , e di
ALESSANDRO altresì , che in qualità pur di Capita • no fi morì in
Ungheria . Ma molti , e molti ì anche fiudiof amente, trapalan- do
y come potrebbe . poi .fuggirmi dalla vijìa la , decantata dottrina . ,
fingolar- mente nell* arte Medica > e la probità 9 e integrità
de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI , il quale in quel feli- ce fecola del
cinquecento cotanto s* avan- zò > e ft difiinfe , che meritò le lodi ,
e gli applaufi d'uno de' maggiori letterati di quell'età , che fu
Andrea Mattioli > (i) • e d'ef- (i) Nell* Epiftola
dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u
Aria . Ve- nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4- di
Diofcoride capitolo 80. e d' e ([ere fatto Prot omedico dì
due Ce- fali , cioè Ferdinando I . , e - Maffimilia- no li.'? Cèrto
che i pregi di co fiat , i quali di molto accrebbero lo fplendore
del- la vofira Stirpe -, io non potrei per mo- do alcuno non
Jommamente celebrare: e tanto meno que' di MELCHIORE fuo figlio i
il quale dalla matura pru- denza pur di Maffimiliano li. Impera -
dorè » di cui era ' Configliero , > fu' (celta a far efeguire
^Imperiai comandamento di por giù /’ armi, fattola'- judditì del
Finale in Italia '.(*) Ma io non ne verrei sì toflo a' capo , : quando
'a’ me- riti degli Avi'-vojìrì i.'com' -bó det- to piuttofiò chea
voi mede fimo va- le jft riguardare . " I pregj degli ante-
nati' apportano più (limolo >3 -che lode a' ■ (uccefiori \ , ed è
molto ' mifer, abile la condizione di colui -, ' il quale noti
po((a in altro . mod o diftinguerft , che col! aprire i (epolcri de’ fuoi
maggio- ri » . \ • r t • r i n* •* a
(2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II. a io4«
ri , e temendo nn lungo panegirico del- le loro gloriofe azioni , far fi
corona al capo di meriti non fuoi . ■ Per la qual cofa , ponendo da
/’ • un de' lati quelle lodi , le quali non fono sì pro- prie dì
voi , che comuni non fieno an- cora a tutta la Famìglia , ed alle
fole voftre t in cui gli altri non v* hanno parte alcuna
rifiringendomi ; dico > che quello , che principalmente rn ha
invogliato a procacciarmi luogo nel no- vero de' vofìri fervidori t e che
non pojfo fe non grandemente ammirare , fi è quella incredibile
gentilezza , ■ e foavità di coftumi.y e di maniere , per mezzo
della quale ben fate chia- ramente apparire da qual . forgente
traete t origine , e i natali . h non fo per cagion di quefla con
qual fronte poffano riguardare in voi cer- te anime t le quali non
riflettendo > che • /’ e (fere nate nobili è fiato un accidente
, cui altro loro non appor- ta , che impegno di ben imitare gli
antecejfori ; di tanta rufiicìtà , e fai - ...
V3&7' falvatkhe^za ripiene comparirono folamente nell *
afpre , ed altiere fembr ano .avere ripofia la loro gloria .
Poi fiete certamente di un amaro rim- provero a tutti cofioro % e C
umanità vofìra , quando attentamente vi riguar- da Q ero , non
potrebbe che riufcir loro di jomma vergogna , e confo fione . Ma
fic- come y nè alterigia , o di / prezzo altrùi la nobiltà della
Famìglia , per chiara , eh' ella fi fa , è fiata giammai baftan- te
ad infpirarvi , . Così nè al fafio y o al- la. libertà le •comodità » e
gli agj > che dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo- ria * o
alla prefunzione le nobili quali- tà. dell’ animo voflro , hanno
giammai potuto aprirvi la firada , Tanti rari pregi- finalmente ,
tutti infieme uniti , non fono -fiati valevoli a feemar punto di
quella vofira naturale affabilità , e dolcezza di tratto , la quale
quanto in altri è più rara > altrettanto in voi ab-
bondantemente appari fee t e campeggia . Qttefta vi eccita la maraviglia
di tut- ti coloro , che di voi hanno alcuna co. no-
• >. . / * 't d - *
*• 'V. •4 ami. * - ' difienpì
guefia concilia ì* amore , e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito
adì* . niy^ 0?quefia finalmente induce , an- zi con una dolce
violenta quaft rapi* ffce , e sforzai cìafcbeduno a farvi un
volontario tributo de* fuoi affetti , e del fuo cuore . Ma che dirò di
quel - i* bontà j ingoiare , con cui prendete a protteggere qualche
perfona ingiù • fiamente oppreffa , e oltraggiata > fa- cendo
vedere , non altrimenti effervi fenfibili- i torti > che fi fanno
alla ragione , e alla gtufiìzia , che fe a voi me de fimo f off ero
fatti ? Voi con quel rincrefcimento fiete folito fentìre i colpi t
che la fortuna vibra con - tra /’ onefie infelici perfine > col
qua- le gli fentirefie , fi contra voi me- ' de (imo foffero
fcagltati ; e con queir occhio riguardate gl * infortuni » e mi-
ferie altrui , con cui riguarderefie quel- le de* vojìri più cari
congiunti . Di qui è y che e col configlio , e con /’ opera non mai
vi mofìrate fianco di fivvenire > e beneficare coloro >
i qua- Digitized by Google * quali per la loro
innocenza fi ren- dono meritevoli della vofira protezio- ne ; ; ed
avendo avvertito , che il ve- ro carattere degli animi nobili , an-
zi quello , che piu .all' Al tifiimo ld- dio viene ad accodarci , è * il
f al- levamento delle per fine \o dalla ma- lignità degli uomini,
>o dall' .avver- ata della fortuna inìquamente fir ac-' date ;
voi perciò, avete creduto im - prefa degna di voi lo fendere a que-
> fie benignamente il braccio , acciò la Patria vofira potefse
andare altiera ; e dar fi vanto -, d'. avere >■ d mercè di voi
maifempre aperto un a filo all ' innocenza , re .fempremai pronta
una fpada cantra la malvagità , e la co* lunnia . Con tal- mezzo
voi rifiorate - i danni , che la me de [una '.per /’ im. matura
morte dì MELCHIOR PAR- TINI vofiro . degnifsìmo , Fratello ha que
fi* anni addietro, fifferti # e quello ~ fplendore le ritornate ,%che
allora per efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi ■ più cofpicui
, e qualificati Cittadini , ave- aveva pèrduto l ; A che
fero molto t molto contriluifcono ancora gli altri due vofìri
meritevoli (fimi Fratelli , di - co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI- NI
> Abate della Reai Badìa di San Pietro di Loreto nell ’ Abruz-
zo , e il Padre CARLO PARTINI , Definitor Perpetuo Carmelita- no t la
prudenza , e pietà di cui è così nota , e pale/e in quefìa Cit- tà.
.y che. inut il cofa farebbe il farne per me qui parole . Ma troppo
chiaro io m’aveggio d* avere già foverchiamen- te la modejìia
vofira offefa , non ri- flettendo f che una delle maggiori lo- di
> che vi fi debbono , è appunto il franco rifiuto , anzi difpregio ,
che voi fate delle medefime , Solo mi re- fia adunque di fupplicare
il generofo animo voflro a ricevere in buon grado ia piccolezza del
dono , che umilmen- te vi offro , non alla qualità di ejfo , ma al
de fiderio dei donatore riguardan- do \ e pregandovi in fine a non
difdir- mi la fofpirata grazia d’effere anch' io al-
A >** » * * allogato
tra i voflri ~ fso v • y i , , , •
Di V.S ♦ . / f . *
* i l Rovereto; V
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• 1 J VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo Pierantonio
Berno. lo Digitized by Google LO
STAMPATORE A CHI LEGGE. NON poco tempo e (Tendo , che va
per le mani degli ftudiofi una Lee* tera manoferitta di V., Letterato
Napoletano in difefa della Filofofia moderna , e d’ alquan- ti Tuoi
concittadini profeflori della medefi» ma , .fino dal 1700. dirtela : ed
avendo rav. v ifato , com’ ella è molto avidamente ricer. cata , e
letta dagl’intendenti ; ho (limato di far colà grata al pubblico , ed
alle per* Ione letterate , dandola fuori per mezzo delle (lampe, sì
per renderla più comune, e sì ancora per levare la briga a chi
deli* dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*, là parendomi
, che un così utile lavoro ve* nirte tuttavia contaminato, e guado
dalla trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a» vrei per verità
molto caro avuto di abbatter* mi (e non all’ Originai medelimo dell’
Auto- re , almeno a qualche copia elàtta , e fedele; il che per
diligenza ufata non m* è venuta pienamente fatto di conlèguire. Spero
però,' che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle buo- ne lettere
amanti predatami > le quali lì fono validamente adoperate in
correggerla , rive- dendo poco men che tutti i palli nel proprio
fonte, e togliendovi que* moiri , e quali in- finiti errori incorfivi
nelle copie ; il cottele Lettore non avrà molto che deliberare . V*
ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la medefi ma, affai tortele
mente dal Sig. Gir ola- 7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami ,
la quale fono più che certo , o Lettore , che non t’ increfcerà
d’aver Ietta. Vivi felice , e - favorirci col tuo aggradimento la buona
incli- nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo van- taggio . La
fegùente notizia , polla per più contezza dell* Autore dell’Opera , è
tratta dal Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo Men. thenio . •
’ '• '■ » • V. Giureconfulto Italiano , na. Io in Napoli a* 6
. d' Ottobre V anno 1 666. fece la pratica nella fua Patria , e ranno una
copio, ftffimd libreria , injìeme con un gabinetto prezio fo di
monete antiche , in frizioni ecì Corrifponde . va co ’ più infigni
Letterati d’ Europa . Traduf- fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano
. Scriffe un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-
teria di religione , come pure un ’ opera toccante V impresone di monete
move . Morì a' $. di Marzo Vanno 17.14. '
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Ntichìflìmo coftumefu Beatissimo Pad re ,o dir il vogliamo
naturai genio, ovvero inclina- zione, o qual egli fi .fia
avvenimento degli uomini, i quali a’pofteri hanno avuto in penfiero
di lafciar qualche me- moria per mezzo delle lettere, di muo-
A * verfi Digltized by Google %
verfi a tal opra da picciola e lieve oc- cafione , ed. alle voi ce
incominciare da balle , e aHai deboli fondamenta , ed indi poi pian
piano p a dare più olcre fin- ché al defiato fine fi aggiunga ; e
quali Tempre digiuni , e non mai fazj di di- vorare fulle carte il
tempo , e l’ore. Quindi è , che veggiamo , che una fa- - tica, la
quale fui principio fu ftimara opra di pochi fogli , tratto tratto
li avanzi » e fi accresca in tanta gran- dezza , e mole , che a
gran pena fe ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av- ' venuto a me
io già divido; ma non fo com’egli avvenuto fia . Perocché aven- do
già per foddisfare al gènio de* Depu- tati » incominciato a fcrivere una
lette- ra indirizzata alla Santità' Vostr a intorno al procedimento
del Santo Uf- fìzio nella noftra città di Napoli ; cer- to è, che
io non ebbi altra intenzione^ che di raccorre breve e femplicemente
le ragioni) ch’ella ne tiene. ..Indi po>i crefcendo da giorno in
giorno , o ciò folfe per l’ampiezza della materia > o per
la moltitudine delle ragioni , e va» rietà degli argumenti, e delle
autorità che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- . tre la fcrittura
avanzata. , eh* è -per comporre un volume intero .. Così io mentre
penfava di avere già compita tutta la fatica , volli ancora
inveftiga- r e la cagione , el’ origine de* movimen- ti > e
tumulti della noftra città, acca» * » duti per tal
procedimento nel tribunale del Santo Uffizio ; quand’ecco che io
conobbi-, Ae vidi chiaramente, che la cagione-di tai tumulti altro non
fia fra- ta c che una tal gelofia, per così dire, di Scuole coll*
occafione d' una . cer* ta Filofpfia , nomata- comunemente Moderna
, avvegnaché dia fia anct» chiffima , e profetata dagli uomini mi-
gliori, e più fa vj della noli r a città. £ perchè la cofa o non è pur
ben intefa , ovvero fe intefa , per ambizione, por aftio, o per
altra cofa , è contrafiata a campo aperto , fono forzato , come av«
vifai nella fuddetta altra fcrittura > con quell* altra lettera ,
indirizzata pari- A 2 racn- f i
Digitized by Google mente alla Santità* Vostra ,
dimoi Ararne apertiflinumente la verità. ( per ordine ancora datomi
da’ medefimi De- putati ) acciocché niente li taccia per quello ,
che convenevolmente appar- tiene alla difefa così della vita » come
della fama de’ noftri cittadini ; e difen- dere un lungo ragionamento
> per far palefe una volta > e più chiara teliimo- nianzaal
mondo dell* empietà della Fi- iofolia Ariftotelica * « dell*
innocenza di quell* altra che chiaman Moderna; al di cui
manifeflamento ben poteano dare opera gli altri , e non ftarfene sì
lentamente a ripofo in una caufa pub- blica, e di tanta, importanza ,•
perla quale ne lìamo malignamente tacciati , echi per Eretico» e
chi per Ateo» fe- condo il livore» e l’ignoranza di quelli
banditori del Periparo; mentre vene fono pur molti intendentilììmi di
que- lla novella Filofofta , che meglio di me» e più profondamente
l’appararono» il che loro eforco a fare ugualmente , per non cadere
almeno nel bialìmo» che Ci- .cerone diede a coloro , che appretto
di fefolirengon na 'corti i tefori delle let- tere!,, fenza farne
partecipi gli altri ; così dicendo nell’orazione a favore di Archia
. Pudeat , ft qui ita fe litteris abdiderunt , ut nibil po fjìnt ex bis ,
ne - que ad communem adferre fruSìum , ncque in : adfpeSìum ,
lucemque proferì re . Ma non con animo , che pubbli- candoli quella
fcrittura » vi lìa taluno, che fcrivcndo full’ifteffa materia ,
del- le medelìme co fe li avvagha , facen- done un’ altro edificio
, in cui non vi ila di nuovo che una deferente figu- ra, e
dimenfione. . . Laonde tralafciando la parte difpu- tabile,
dalla quale fempremai la veri- tà fugge , e ne va lontana ,
opponen- doli ragioni a ragioni , . argomenti ad argomenri , e
fpette volte iofifmi co* fofifini pugnando » con aliai delibera- to
conliglio ho, fcelta la-parte idonea, in qua ponete, argumenta licei ,
non argument ari . , La quale ettendo màe- fira della vita , e de’
tempi , e de’co- A 3 ftu- « « _ _
fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j potrà affai bene
acconciamente com- parire più fchietta, e più finceramen- te
difenderli avanti la Santità* Vo- stra la caufa oneftilfima, e il
diritto di quella Filofofia iniquilfimamente oltraggiata dalla
turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima lo- da tanti
fcrittori , e Greci , e Latini ; i- quali all* i fioria fi appigliarono ,
po- nendo perpetuo filenzio alle difpute , tormento degl* ingegni
delle Scuole li- cenziofiflime delle feienze : così anco- ra fu
degnilfimamente commendato an- che dagli eretici fiefii il
dottilfimoCar- dinal Baronio , il quale dovendo fcri- vere delle
colè appartenenti alla noftra Chiefa cattolica » lafciando a’ chioftri
le controverfie , e le quefiioni , elefie con affai maturo , e più fano
avvedi- mento la parte ifiorica > per trarne le confeguenze- più
vere , e reali . Plus enim Annate s Baranti > quam Contro -
verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt . • .£ qui io avrei già finito ,
nè bifb. gne- ; . 7 gnerebbe più dilungarmi : ma
perchè 1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha palefe ,
prima di paflare più oltre , e affine , ,-cbe niente fi taccia per
quello, che appartiene alla difeia , così della vita , come della
fama de’noftri citta- dini; egli è neceflario far noto ancora alla
Santità' Vostra, che 1 * origine di quelli nuovi rigori dell'
Inquifizio- ne ella è data , che vedendoli pur trop- po fuora
de’chioftri dilattate le lette-, re, e propagata nella noQra patria la
Filofofia , la quale o fia. propria fata- lità / portando fempremai feco
defla difagj , e fyenture , come dice Boe- zio , Atque boe ipfo
affine s fuiffe vtde- mur maleficio , quod tua imbuti dìfcU pìtnis
o Pbìlofopbia :o-fia per propria- gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-,
fanti ; perchè Nibil volunt inter borni' nes credi jmlius , quam quod
ipfi te w, nent / ha cagionato a’ medefimi fai movimenti,. che fi
fon lafciati a dire, .che quella fpffe di pregiudizio aliano* Ara
fede , perchè da’ principi d’ A-ri-, A4. fio- .
/•» » Itotele lontana fia, come per la tanta
autorità data ad Arinotele , diede mo* tivo a taluno di dire fcherzando:
Se»* %a Ariftotele noi mancavamo di molti articoli dì fede : come
fe quelli fof- fero (tati cavati dalla dottrina d' Ari- notele , e
non dalla facra Scrittura , e da altro ; che tanto dir non fi po-
trebbe di S. Paolo , quanto alcuni han detto d’ un autore gentile ,
quando, come fcrifle un altro autore , e con fenno : Sanila fanliorum
non babet _ bete Pbilofopbia . Ma prima di venire allo
fcioglinaen- to di quelle vaniflìme oppofizioni , egli è di bifogno
ricordare alla Santità* Vostra , quanto fia (tata commenda, ta la
Filofofia non meno da' Gentili, che da* fanti Padri medefimi . Ecco
quel > che se diffe Tullio . Pbilofopbia am vita parentem , & hoc
parricidio fe ( quifquam ) inquinare audet y & tam impie
ingratus effe , ut e am accufct , quam vereri de ber et etiamfi minus per
- cipere potuijfet ? S. Giuftino così : Pbi- lo m
I ! 9 lofopbìa efl revfrà maximum lonutn
t & poffeffio i & apud Deum verter abili fi qua" ducit
ad eum > & fi flit fola > & fanti i , beatique Htì, qui
mentem et do- nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo- pbia reti am
rationem intelligit ; quare omnes homines pbilofopbari % &
barre pracipuam fanti ione m ducere (de. San Clemente 1*
Aleflandrino n* avvifa lo fteflò, e Sant* Agortino parimente co- sì
: Qui Pbilofopbiam fugiendam putat % nibil vult aliud , quarti noi non amara
fapientiam . E 1’ A portolo quando dif» fe , Videte ne quii vos decipìat
per Pbi- lofopbiam t egli intefe di quella Filofo- fia , la quale
con folli argomenti da Sofirti > e fecondo lemalfime del mon- do
6 produce ; il che chiarirtimo fi feor- ge dalle parole che feguono , a
ut ina • nem fallati am % fecundum traditionem bomìnum , fecundum
dementa mundi . 11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk no medefimo,
detto luogo fpiegando: Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft con-
fiderete rem magnam , totoque animo ap- Digitized by
Google *° appetendam ffgnifieat ( fiquìdem
Pbiìoì fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), . cautifftme
Apcfialus h ne ab amore fapie a*, ti* deterrere videretur , fubjeeit
fecun - d*m dementa bujus mundi . . Egli è dunque affai ben
chiaro, che nè Satv Paolo , nè Sant* Agoftino , o niun altro fanto
Padre , Greco, o La- tino , abbia giammai pretefo , che quel» la
apparare non fi doveffe ; anzi che leggiamo tutto il contrario , come
s’è detto. Al che aggiugner u può - l’av- vertimento di S. Clemente
l’ Aleffan- drino fopral lodato; Pbilofopbiam ante Domini adventùm
, Crucis ad jufiitiam fui (fé neeeffariami nunc autem ad pei caltum
t & pietatem utilem effe (*j La m* * » i j C|tt3e l •
». ■ • » » ... " « » « ...(*) Quello non fi
vuol in terpefrar In modo, che S* Clemente Aimafle , che I Greci fi
giufti6catfe- ro per mezzo della Filofofia .» Egli credeva , che la
Filofofia remotamente gli difndnetfe alla cogni- zione di Crifio , dando
lor notizia del vero Dio, c fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli
er- rori . Per altro fenza la Divina grazia , la fede, la carità
&c. non credette, che uom fi giuftificaf- • fe. Vedi Naral Alefiàndro
Dijfert. Vllh in Hijior . , E cc kf. f*c. IL Digltlzed by
Google qual co fa ugualmente avverti il Cardi* nal Palla
vicino : La Fibfofia nelle dot- trine Teologiche è utile come i
foldati frante ri negli eferciti; cioè in maniera che fervano >
ma non comandino . Im- perocché a tutti fi permette la liber- tà di
fìlofofare. Bona mene ( dice Se- neca ) omnibat patet , omnes admittit
, omnes ad hoc fumus nobile r , nec rejicit quemquam Pbilofopbia ,
nec digit > omni- bus lue et . Tanto maggiormente che la natuta
invidiofà per così dire a li- vellare i fuoi Segreti
avarifiimaraen- te permette , che ora una cola , ora un* altra fi
fveli , come s’ è finora fperimentato per tante ofiervazioni fatte
e che fi fanno in molte cele- bri Accademie dell* Europa , (copren-
doli fempremai novelli arcani » non che nuove, e plausibili opinioni
nel- le Filosofie . Jn Pbilofopbia ( lafciò fcritto Seneca fcefio )
re maxima , & involai iffima , cum etìam multum atìum fuerit ,
omnis tamen atas , quod agat , inveniet . Quindi Atenagora , che
det- tò k* tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani
agl* Imperatori Antonino , e Commodo ambeduo filofofi , dille :
Nulìum in Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più oltre così : Profeto
autem bac crimine vacat . Tutto ciò però intender fi dee per la
cognizione di quelle cole > che dipendono da caufe naturali, non
al* tri menti foprannaturali. Il che fu con- fiderà to dal medefimo
Seneca , ancorch* ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~ nam
mentem , quam fiultum ejì opta - re, cum pojfis a te impetrare. Non
fune ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri- ma di lui avvisò
Simplicio , Eos folum de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «
ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa « fra naturam exifiebant . r :
Ora fia lecito d* efaminare più efpref- famente, fela Filofofia, che
chiama» Moderna fia d* alcun pregiudicio alla noftra fede cattolica
. . Primieramente è neceflario, ch'io rinnovi alla mente
della Santità* Vo- stra quei tempi più frefchi , in cui
sì Digitized by Google sì felicemente apparò le
feienze tut- te , e con ciò : io rinnovèlli , e rallegri infìeme .
1* idee della prima fua età ; perchè non v'è co fa (come ditte il
Cardinal Bentivoglio ) che maggior- mente I’ animo ricrei , che la
memo- ria degli anni fcolarefchi , perchè ciò egli non è altro ,
che un tornare a vi- vere quella vita innocente , e piò lieta dell’
uomo. Si ricorderà dunque Vostra Santità» , che malamente quefta
Filofofìa fia nomata moder- na , perocch* ella è più antica , anzi
la primiera d’ Bardefane, ed altri difenfori della Religione, furono
tutti Platonici • Ed a chi non è palefe l’A- leffandrina fcuola in
Oriente , ripiena di tanti fanti Padri, e tutti Platonici? Origene,
Clemente, Cirillo, Eraclio, Dionifio , Atanafio , ed altri , io modo
che Aleflandria , non meno per lofplen» dorè della difciplina
Ecclefiaftica , che della domina, fu dimata un’altra Ro- i ma, e la
feconda fedia Patriarcale do» po quella di S. Pietro .
Sant’Agoftino nel libro delle Confefttoni di fe fteffo , e \ d*
altri rettifica eflere flati Platonici , quando e’ narra la vilìta
, che fece a Si m> pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,
raccontandogli i libri eh' egli aveva letto de’ Platonici , da' Vittorino
Ora- tore Romano tradotti in Latino , che morì poco dopo d’elferfi
fatto Criftia- no . Sopra la qual cofa fè palefe anco- ra il
piacere, che ricevette Simplicia- no in fentire , che non era caduto
nel- la lezione d'altri libri di Filofofia , pie- ni di menzogne, e
d* inganni; ma lo- lamente in quei de' Platonici , che in*
fegnavàno la conofcenza di 'Dìo, e del Verbo Divino , le di cui parole
fono qu ette: Gratulatiti eft ntìbi , quod non in aliorum
Pbilofopborum f cripta incidi f- fem , piena faltaciarum , &
deceptionum , fecundum dementa bujus mundi : in illh autem omnibus
in ftn aari Deum ' % & ejus Verbum . Indi Agostino ileflo poi gli
1 chiamò i Filofofi di Dìo amatori ; ed Eufebio nel libro XI. della
Demolirà- zione Evangelica , narra , commendan- do tanto le contemplazioui
di Plato- ne, averle tratte da’facri libri degli E-' B x brei
, IO *, * brei, cioè dell’Ente primiero
ndelPI- dee , deli*, immortalità dell’ Anima , della produzione
dell’ Univerfo ,;del bruciamento del Mondo , del R i forgi - mento
de’ morti , della Terra cele (le* e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti
ri- portato ancora da Teofilo Galeo in di- fefa della Filofofia
Platonica; ed Eu- febio. (lefib la difugualianza tra la Fi- lofofia
Platonica ,.e T Ariftotelica in quella maniera divisò : Mofes ,
Hebra't- que Pro.pheta beate Divendi finem tn P r ih mòdo • che
fecondo la jua dottrina il Mondo * non è già - una monarchia , ma
poliarchia y o piuttòflo anarchia p. ciò che -San 'Gregorio Na%i.
anzeno ha' affai ben ■ condannato . * II, Platone chiama 'Dio
nofìro fovra - no Padre:' Arinotele non conofce ver fin Dio' per
padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. -> III. Platone nel primo-
libro della fua Repubblica affìcura , - che Dio fia > una
fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah duo- decimo della fua 'Me taf
(tea , lo pone nelC ordine degli animali > e dell' effe n^e
compone. B 3 IV- il . ; IV. Platone nel [e fio della
fua Re- pubblica , che Dio fta nofro fommo be- ne : Arinotele al
duodecimo, della fua Metafiftca , che' Dio fta un bene , che
conviene folamente al primo Cielo > del quale egli è Motore. >
, . V. Platone nel quinto della ' fua Repub- blica y che Dìo
fta la fovraha Sapienza: . Arinotele y che. fta un' intelligenza ,
che conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a le. particolari
. • •**..« VI. Platone nel Timeo y che Dio fta
onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue , che, non abbia ' altra
potenza. > che di far muovere il Cielo. , . VII. Platone
nel.Filebo , , nel Soffia* e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea-
to le foftanze incorporee: Ari fatele che tati . ? X;
Piatone , che il Mondo offendo' un corpo , abbia . una potenza finita:
Ari-, (tot eie , che il Cielo , e il Mondo abbia- no una potenza
infinita dì muover fi . XI. Platone y che il Cielo , e il
Mon- do^ come corporei ftano corruttìbili • A* tintotele
incorruttibili « - = XII. Platone , che- Dìo [taf opra ogn\ e
fiere , J opra ogni foftaitzai Arifioteic-y. cbe’fìa falò foftanza
. ^ X /. . Platone che hi fogna pregare D.io .a
fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote - le , , che Dio. -non .poffa-
fentire, le no fi re preghiere , non conofcendo le cofe parti» eoi
ari . XXllvPlaton* i/ebe p uomo di buo- na vita. i:. fta
gradevole' a Dio: Art fia- te le , che non .io gradifc4-\ t % 'non
cono» fcendolò\ «'■Vi (. ^ viv ■.XXIII, Platone , che dopo
morte , 7* ani- «* *5
anime de * malfattori fatto gafligate : ' A- ri flot eie-, ube /’
anime e fendo corrotte Col corpo i non -patif canti- più altro . f
■ XX^fV.- Piatone y^ thè, i' morti rifer- gerantio' 1 Arijìotele , che
dalla privanti* otte all'abito non vi fia "rif òr pimento .
XXK Piatone , che V anirne derub- ili faratino collocate in luogo y
dove fa- ranno molto' felici i' Arinotele non cono- fce alcun-
luogo di quefia fori a . • '■ ' Quindi il Sidonio-difle,
Explicatut Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e il Pei trarca del
difcorfo dell* ignoranza di fe ftefloy e d’altri, attéfta , che
Pia* toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta Grati nuncupabant ; e
però nel Trioni» fo della Fama, così di lui. degnamene te
canto: A • \ \ • t I n it .
V'olfimi dà man manca , e vidi . Plato, ....... Cfo n quella
fcbiera andò più prefr , . fo al fegno, . s «* 4 / ?«*/ aggiunge ,
a chi dal cielo ...... ^ dat o • .. '*■ ... E fi-
*, £ finalmente tutti concordano, che la Filofofia di Platone fia
fiata la più favorevole > ed acconcia , e quella d* «Ariftotele
la più contraria , e pregiu- diciale alla dottrina della nofira
Chie- fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla. Platonica f amili*
Pbilofopbos facillìme omnium , paucifque mutatiti r fieri poffe
Cbrifiianos , Anzi un Autore, che fé* ce una Diftertazione del modo
di ftu- « \ 1 diare la Teologia , impreca
coll’altre di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis , vituperando
aifatto la Filofofia Ari» fio te lica , e ragionando egli degli
anti- chi Filofofi Crifiiani , così dice \ \Qm quis effet Arifiot
elicti s , eo minus • Còri- flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge :
Olir» multi viri pii , (S doElì % Origene: t Clemens Alexandrinut ,
Jufiinus , Augu - jlinu ! , & alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-
clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul- li y aut certe pattei ex
fcbola Ariftotelis , qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn , &
arguti is inferii erant . E il medefimo Autore dice f che Pietro £amo
era -fi d’opi* Digitized by Google d’ opinione
, che fi dovefle bandire da T tutte le Scuole , ed Accademie la
Me-t tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi I (
fono parole dello fleflò Autore ) stiri do fi us , & perfpicacis in
Philofopbia ju- dici't ( luet Ariftotelici contra fentiant )
Tbeologiam illam , quam ? Arinotele s in Metapbyjica docet » impietatem
omnium impie tatum maxime execrabìlem , & de-> tefiabilem
effe confirmat , adeoque ex A- cadem'ùs exterminanàam , ut a multi s
fa- flit atum efi . Avendo egli ancora propo- fto> fecondò l'ufo
dell’ Uni ver (Ita di Pa* rigi , primach’ ei fofle creato Maeftro ,
e primachè caduto fofle nell’erefla, pub* bliche Conclufioni,per le quali
foftenne, Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a funt^falfa 4 &
commentiti a effer , e perciò ifuoi fcrit- ti in Francia in grandiflimo
pregio fono tenuti . £ di Guftavolte di Svezia rap* porta il
medeflmo Autore > che Omnes Metapbyficas a regno fuo expulit t &
exfu- Idrejuffit . Come primamente Antonino Caracalla, conofcendo
ancor egli quefra verità , vietò affatto l’ Accademie de’ ‘
Pe- / Peripatetici , 'facendo bruciare ancora
tutti i Iibrrd’ Arinotele . E Pietro Poi- ret nel libro de Deo , le diede
più. che bando dalle fcuole con quella ’ defini- zione: Pbilofopbia
e fi contemplatiti , vel cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -
fiotelicarutii t vel fimiVtum , ad oblivi] ce n- dum Dettm , mentemque
tumidi s tenebri! t & inquieta - pet ulani ta implendam ; In
modo che da’ mèdefimi Eretici fi con- feda edere la Filosofia
Ariftotelica dan- nofilfima al Criftianefitrio. : £ chi
potrà giammai dubitare , che la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata
l’uni- ca e fola cagione, anzi l’origine ftefta di tutte 1* creile,
eflendo ciò mani fe- llo per l’autorità di tutti gl’lftorici, e di
tutti i fanti Padri , ' che in quei tempi fiorirono, i quali erano
preden- ti alle difpute , e ne’ Concili ftefti per confutarle ?
Aezio Vefcovo d* Antio- chia ne’ primi tempi appunto della no- ftra
Chiefa , non fu egli Eretico, e poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe-
usì non peraltro, fe non perchè trop- *9 po
addetto alle Categorie d* Arinote- le egli era , come nota Svida; ed
Epi- fanio , e Gregorio Nifi'eno lo ftefio afr fermano.. De Chrijìo
magis Academico t quant Eccleftaftico more f ape differebat . E
fattoli pertai fofifmi Eretico , e poi Ateo, coro’ è detto,; fu. privato
della Chiefa, e la fua fetta, ,ch’è la ftefla, che l’Eunomiana ,
detta da Eunomio fuo, difcepolo , e compagno nell’erefia; fu fino
alla morte perieguitata dagl* Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te-
miftio Ariftotelico , come nota Svida ftefio , chefcriffe fopra il
trattato del- la Fifica ». dell*. Animai» e d’altri libri d’
Arinotele , fu Eretico, come Gio- vanni Filopono. ; N ice foro così
d’eflb loro dicendo : Johannes ifte Philopone - us Alexandrìnus , .
ita ut diximus T rithei- tarum i hdereticorum pr afe Bus fuit ,
prò- inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut jub .Valènte Agnoetarum
feft & , qua conventi» lucis ad Be- Hai? £ S. Gregorio Nazianzeno
ugual- mente ne fa molta doglianza, dicendo : In Ecclefiam
irrepftffe captiones fopbiflicas , ac pravum art if cium Arinotele# artìs
, & bujus generis alia , veìut ALgyptiacas quafdam piagar . E
altrove così . Abjice Ariflotelis minutiloquium , Jagacitatem ,
& art ifi cium: abjice mortale s illos fuper Anima fermones,&
human a illa dogmata. Ed in altro luogo deteftando in tutto e per
tutto Ariftotele il chiama Struggit »• re della provi de n^a Divina .
Ireneo in in quefto modo ne parla: Minutiloquium, &
fubtilitatem circa quajìiones , cum ftt Ariflotelicum , fidei inferre
conantur : Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo ìpfum fecum
dtfftdere , & repugnantia di- cere t & Jentire immo Deum nec
colu- ti, % nec curavit « San Girolamo ad Eu- ftochio feri vendo :
Attende & tu fa - tuorum fapientum princeps Ariftoteles . In
altro luogo . Omnium b*reticorum do- ppiata fedem fthi & requiem
inter Art - fiotelif , 0 Cbryfippi [pineta reponunt , & Ut fub
diem cunfia concludam fer mo- ne , de illis fontibus univerfa dogmata ar
- gumentationum fuarum rivulis . trabunt . E femprcmai.con aperto
vocabolo Gi- rolamo fteflb verfutiet chiama gli ar- gomenti di lui.
Origene ne* libri ch’ha fatto contro Celfo , grida in più luo- ghi
contro d’ A ri Itotele come nocivo al Criftianefimo > e la maggior
parte degli altri fanti Padri fono del mede- limo fentimento, come
Sàn Giuftino nel Dialogo per la verità della religio- ne Criftiana-
con Trifone Giudeo : S. Clemente PAleflandrino nelfuo avver-
timento , . che fa a’ Gentili ; Eufebio in più luoghi delle fue Opere:
Sant’Ata- nalio contra Macedonia no : San Gre- Digitized by
Google gorio Ni fieno eontra Cunomio : San Gregorio
Nazianzeno più voice nelle fue Orazioni ; Sant* Epifanio ne* libri
contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo- vo ne* libri degli Uffizi : S
Gio. Grifo- ftomo fall* Epistola a* Romani ; e fo- pra tutto, quel»
che ne feri fie Tertul» liano in più d’un luogo nel libro delle
Prefcrìzioni , e dichiarando egli quel di San Paolo , Ne quii tot
decipiat per Pbilofopbiam , intende egli quella d’A« riftorele vana
, e fallace per fentenza di tutti. Quindi Cirillo l’ A leflandrU no
gridava.* Heeretici- nìbil aìiud , quarti Arifiotelem ruSlant . E Sant’
Ambrogio con ugual fentimento, e colle lagrime agli occhi dicea ,
Reliquerunt Apofiolunt » fequuntur Arifiotelem . E fra Moderni
Melchior Cano così ; Habent Arifiote- lem prò Cbrtfto , Averroem prò
Retro , & Alexandrum prò Paulo . E tant' ab tri, i quali
l'hanno riprovato, e con* futato , foto per timore, che non s’irn-
primefle al Criftiano un carattere deb fa fua dialettica » per efler
tutta con» *• C tra- traria alla femplicità della fede
> la qua» le altro non richiede , che una umile fommiffione» e
totale credenza, fenza veruno ragionamento , e difcorfo uma- no . E
finalmente lafciar non fi dee ciò , che ne fcrifle S. Vincenzo
Ferre-- rio » che fremeva contro un tanto abu- fo nelle Scuole .
Quel Predicatore io dico tanto zelante , che introduce la vigilanza
dell’ Inquifizione .per man- tenere la purità della fede, non
appel- la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e quella d‘ Averroe
fuo feguace, Pbia ìas ir che nell’ anno MCCIV. fotto Filip-
po ;1* Augufto , per pubblico confi- gli©,' come dannevoli alla noftra
fe- de i libri della Metafilica , che al- lora folamente veduti
s’erano, e tut- ti gli altri ancorché, non veduti , e foflcro per
^comparire , fu ordinato > che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec-
co le : parole . , dell’ Iflorico riporta- .te dal medefimo Padre Petavio
> in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li- belli quidam ab
Arinotele > ut dice ? » C i ban- bamur, compo fiti t luì
aocebdnt Meta - pbyftcatn , éf 4 Graco in Latinum translati;
qui quoniam non folum pre- dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto
* **0» prabebant , ò»/»o 6 * 4/»/ sondane investii pr abere poter
ant , jufi funt 0- mnes comburi t & fub paena excommuni-
eationis cautum eft in eodem Concilio , ne quìi de cetero eoi fcribere ,
legere fra fumerete vel quocumque modo b abe- re. Esfei anni dopo
che fu condanna- ta ia Metafilica dei medeiimo , il Car- dinal di
S. Stefano mandato in Fran- cia da Innocenzio III. in qualità di
Le- gato , proibì a* Profeffori dell* Oniver- fità di Parigi d’
infegnare più la Fifica del medefimo Arifrotele , il che fu con-
fermato poi per una Bolla di Gregorio IX. come ancor prima per lo
Concilio •Tu rose fe fotto Aleflandro IIL fu pa- rimente vietato
leggerli più la Fifica a’Religiofi ; quindi dall* Università del-
la Facultà Teologica di Parigi , c da Francefco primo fu fcabilito >
Che s* r Digitized 37
infognale la f 'anta Scrittura , i fanti Canoni > i fanti Padri
, la Teologia an- tica con tutta la purità e femplicità pofjtbile ,
e che fe ne sbandi (fero tutte le vane fattigliele , come riferifce
coll* autorità di molti , M. Baillet . Alma* rico ( narra il
medefimo Ifrorico , ri* portato dal P. Petavio (tetto ) non fu egli
eretico , come feguace de* princi* pj d* Arifrotele? Simone de Turne
ce* iebre Profettòre di Teologia della me- defima Univerfità di Parigi,
e David Dedinant, poco tempo dopo , non fu- rono acculati per
eretici , come trop- po attaccati, a* fentimcnti d* Arinote- le ?
Gli Abailardi t i Lombardi , i Poi- * tierfi, i Porretatii» come
Iettatori del medefimo , non furon eglino eretici ? Quefte fono le
parole del prologo del libro contro le fentenze de* medefimi
condannate « Quii quii hoc legerit , non dubitabit quatuor labyrintbos
Francia , id efl Abaelardum , & Lombardata , Pe- trum
PìEìavìnum , & Cilbertum Porre* tanum uno fpiritu Arijìotelico
affiatos , C j dum 3 * . dum ineffabtìia
Trmitatis , & Incarna- tionìs fcholaflica levitate t raffi
arcnt , multai barefet olim vomuiffe , & adbuc errore s
pullulare. I Luteri, i Calvini , iMelantoni , i Buceri, i Zuinglj , e
' gli altri loro feguaci , ancorché apparen- temente fi
dimoftraflfero nemici. d’Ari- ftotele, gettarono, e coltivarono i
loro velenofi Temi , non con altri ^principi fe non 'con quelli
d’Ariftotele ftefio . I Pomponazj , i Porzj , ed altri traligna-
rono da’ veri fentimenti deirimmorta- lità dell’anima, non con altro
errore , fe non con quello d* Ariftotele medefi- mo . I Serveti , i
Socini , i Poftelli , non con altra direzione che di lui ftefio
divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati ; e fceleratifiìme innovazioni
alla noftra Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è lo ftefio che
l’Ateifmo Exiit ( dice il Campanella , col fentimento ancora di
Melchior Cano , dottifiimo Spagnuolo, ed uno de’ più facondi Scola dici
del Tuo tempo, ed il maggior ornamento della famiglia Domenicana ,
degnifiimo Vef- , co- Digltized by Google
J9 covo nell* Ifole Canariè, e fu eziandio uno de'Padri , che
intervennero ahCon- cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex
Pcripateticifmo - Il quale aggiunge anco- ra : Ex Arinotele nata
funt in Italia pe* fiifera illa dogmata de mori alitate animi ,
& divina circa res bumanat improvi dea- tia. £ Seneca ancorché Stoico
, perchè la Filofofia Stoica alla Criftiana li ag- guaglia,' come
dice Girolamo il Santo nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar
cancellare dal cuore di Nerone Aio di- fcepolo que*
peftilènriflìmi. fentimenti, che imprefli. gli *avea. Alèflandro
d\E- gea Aio primiero maeftra f efilofófo Pe- ripatetico. Come
Peripatetico fu ancor ' Sergio , il maeftrcnperfidilfimodi Mau-
mety il che* vien -riferitò da Pico della Mirandola ; avendo ancoi egli (
Arido* tele io dico) d’ una maniera- infegnato la fua Fitofofìa ad
Alèflandro , e d’ um al- tra in Atene, quafi che varia , ediver- fà
la.lnat ural Filofofìa infegnar fi dovef» fe ad un Principe ciré al
popolo ; del che molto-de me. querelò «Alèflandro • cor» 4 ®
. . „ Arinotele fteflb , il quale fu atnbiziofó nel
dominio delle lettere , come fa di più mondi . £ il Carpentario ,
an- corché eretico, nel principio del libro della fua
JFilofofìa libera , non dice li- • \ bera mente così
tjQuis enim ita ferver fi genti e fi , qui mecum nitro non fatea*
tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino- tele ei parla )) ut bomini multa
falja » & erronea ; : ut etbnico, & pagano mul* ta impia , &
profana ; ut primo in* fìauratori multa . manca , & $mperfe *
fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef- fo , torno a dire , il genio
veramente della Teologia * e delle feienze , il qua- le degnamente
appellare fi dee il fior degl’ ingegni , e ’1 primiero letterato
tra i Padri Gefui ti , allegando l’auto* rità. d’Anaftafio Sinai ra, non
dice egli così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro quem Via: Ducem
nominavif, tefiit e fi , ha* reticos omnet , qui vel contra
Incarna* tionit dogma nefarium movere belìum , ex ilio Ari fìat
elico fonte fuxiffe . Indi egli è , che 1\ Autore fiefib della
Filo- Digitized by Google 4 * . fofia
volgare re fatata ; così contro i fetrarj del medefimo grida : Et adbuà
Arifiotelem leghi s t interpretamini , de- fenditi ! , &
exornatis. Quindi egli è , che da’fan ti filmi Pa- dri
medefnni , e da molti favillimi , e dotti (fimi Autori è (lato ancora
nota- to di gravifiimi errori . S Giuftino fcrif- fe tutto un
Trattato contro i dogmi a e le fentcnze d* Arifiotele , nel princi-
pio del quale così ragiona : It nibil dà rebus , quas definiendas ftbi
commenta - tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li- bro contro
a Giuliano fra i Filofofi » eh’ hanno errato , principalmente ri-
pone Arinotele . E' perciò molto deri- fo da Bafilio , e particolarmente
per quello , eh’ egliafierì intorno alla Ma- teria prima , e che la
materia abbia una limpatia naturale d* unirli i e per- fezionarti
colla forma - Eufebio nel li- ti ro della Preparazione dell’ Evangelio*
e in quello contro i Filofofi detefia non (blamente la vita» i cofiumi,
la Filo- fofia morale > e naturale ; ma la fua Me-
4 ** Metafifica, come una pelle delle Re-
pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan- na come Sofilla ., ed a fe fteflo
contra- rio . Ambrolio ugualmente come va- rio, e incollante.- Come
menzognero, efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo- , doreto, S.
Bernardo, e il .Beato Sera- fino da Fermo . San Tommafo allegane do
Agoftino medefimo coll’autorità del Gcllio, prova, che fia un impoflore
> come rapporta il Campanella.. Scoio, e Francefco Mairone ,
come un igno- rante affatto della Metafifica, e che le cofe tra
effo loro repugnanti a-yefle ap- provato . Gio. Pico della 'Mirandola ,
e Francefco Patrizio il riprendono nel- la Geografia , e nell’ Agronomia,
nel- le Meteore , nejl’jftorie degl’ animali; e eh* egli abbia !
malamente creduto , che la terra fia più elevata verfo il
Settentrione, che altrove.* che’l Da- nubio prenda l’origine da’ Pirenei
. Pie- tro Gaflcndp lo biafima nell’errore in- torno alla Galaflìa
, all’ origine' delle Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol- . . •> te s V
N te altre fimili cofe . Telefio,
Duran- do , Baccone , Baffone ,. l’ Harveo >• Cherneo , Galilei
, Maurneo , e Pie- tro Alliacenfe , e Niccola di Cufa Car-, dinali
, ed ultimamente il P. Valeria- no Magno , piiffimo , e dottiamo
au- tore Cappuccino , che fu Miffionario al Nord, il confutano» l’
acculano, e lo tacciano di molte altre limili fcioc- chezze . La
fomma , e la foffanza fia, dice il medefimo Gaffendo ,che non v’è
per fona, che fenza roffore diffen- der lo poffa , nè fenza tema , e nota
ef- preffa d’infamia, e di vituperio , che l'eguire lo voglia nell’
impoffibilità del- la creazione per lo ftabilimento del fuo
principio , che noii fi faccia niente dal niente: che il Mondo fia
eterno» e l’a- nima mortale : che la previdenza di Dio fia talmente
limitata nelle cofe ce- letti , che non fi eftenda più di queir lo,
ch’è fopra la Luna , negando an- corai’ idee, e confeguentemente il
Ver- bo di Dio , non che Dio fteffo auto- re di tutte le cofe :
l’efiftenza degli . An- ^ ^ ' - Angeli, de*
Diavoli! , l’Inferno , eia gloria beata,, e con ciò le pene adat-
tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni , & Supere s , effe fabulas
Legislatori! e' dif- fe nel libro II. e XII. della fua Meta-
filica. £ tutto ciò o fia propria difav- vedutezza , o fi a perchè fi ano
fiate trafilate , e guade le fue opere , co- llie vogliono alcuni ,
perocché egli fa uno de’ maggiori Filofofi della Grecia» di cui
molto n* hanno celebrata la fa- ma , e la dottrina, come dice
Macro- bio : Nibil tantus vir ignorare potuit * Certo egli è
nondimeno , che leggia- mo predo Diogene Laerzio , antichif- fimo
autore , che Cleante Stoico fin da’fuoi tempi dir folea ,
Peripateticit idem uccidere , quod litteris , qua cum bene fonent ,
fé ipfas tamen non nudi*- unt * £ che il medefimo Arifiotele fof.
fe fiato chiamato in giudicio a pena capitale dagli Ateniefi, per non
poter (offrire anche nella loro politica , e falfa religione quei
bugiardi , e corrot- ti principi d’ Arifiotele, diruttori per
così Digitized by Google così dire dell* uomo ,
e di Dio freffo } la qual pena egli fchifò colla fuga . Per la qual
cofa in quella maniera fcla- mò il Campanella di fdpra lodato; Et
nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma - gijlrum , ne àum tontra Patres
> & Con- cilia / aera jubentia , quod jubebant A *>
tbenienfes ; & quod jus : naturar damnat in illis, fciolonm
au£lori%abit in nobisì Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu* dendo. O
Ecelefia prudente r paftores , & o prudente s priucipes , vefirum eft
banc domenicani perni eiem agnofeert » & prodigate . : i .
£ quel , che maggiormente reca maraviglia egli è , che quei
medefimi, che 1* hanno comentato , difendono Platone , dove
Aratotele lo danna , e quei > che 1* hanno feguifato in molte
cofe , non folamente 1* hanno contrad* detto y ma 1* hanno quali infamato
. Alberto Magno l’arguifce , Quod ani- mai Coeli mot or e m facit .
San Tomma* fo lo beffa , Quod bine Mundi eterni- tatem adferuit
> illine animarum immor • 4 « . . t alitatevi fili
contradixerit . Scoto il fot- tiliffimo Io. fchernifce , Quod tam
in - conflanter de anima fenferit . E quel , che fommamente notar
fi dee egli è , che il mentovato Alberto Magno, tan- to feguace d’
A ri (lo te le, per lo dubbio, ch’egli aveva» fe bene, o male avef-
fe ragionato , in quello modo prote- •ftandofi ne’ Tuoi comentarj ,
conchiu- fe : In bis nibil.dixi fecundum opimo- nem me am propriam
; fed juxta pofitio - nes Peripateticorum ; & ideo illos l.au-
det , vel reprebendat , non me . Quindi S. Tommafo fteflò,
difcepo- lo d’Alberto Magno, fi avvalfe nella fua Teologia di
quella Filofofìa , e di .quella morale d’ Ariftotele , che più.
purgatamente fu difcefa in compendio ! da S- Gio. Damafceno , avendo da
ef- • & * % « , v - ^ * W fo prefo un modo, più
particolare, e (incero ; e il Campanella afferma , che S. Tommafo .
Nullo palio putandum efl Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote- lem
expofuiffe , ut occurreret malis per I Arifìotelem illatis. E S. Tommafo
me- Digltized by Google 47 defìmé^iì
lamentò molto con altri Fi- lofofi più giudiciofi del fuo tempo
, che gli Arabi, e i Mori colà nell' Àfri- ca avevan contaminata
laFilofofia, e T Opere tutte d’ Ariftotele , per non faper eglino
molto bene di Greco; per la quai cofa Giovanni Lomejero nel fuo
libro della Biblioteca n* avvisò ; Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue
- runt , quid de bis putandum e fi , qua in Lattnum.converfa funt ?
Sed melius cum eo a Slum efi, qtsam cum aliis , . quo* rum opera
funditus perierunt , & ipfe c auffa cxtitit cur multa per irent ,
qui aliar um gloriam adfetraxit .. Indi Monfignor Ciampoli
chiamolla Filo- fofia Morefca t Monfignor Minturno Barbarica , e
tutti Pagana-. E ben- ché in «tempo poi dello /cadimento dell*
Imperio , e dell; Imperatore Pa- leologo > venuti alla noftra Italia
i Greci filosofanti , e, fcienziati, forte ri- fiorita; la nobiltà
dell’ idioma Greco 9 delle filofofie , e delhaltrd Scienze, ap-
prettano! già eStinte* e tamraerfc coll* ♦*
innondatone de* Barberi ; eglino parò fi manifeftarono gagliardi
difenfori del* la Filosofia Platonica » e particolar. mente il
Cardinal BeiTarione Arcivef* covo di Nicea , e il più dotto tra
elfi fai merito di cui tolfe il Papato laru* fiicità dell*
Arcivefcovo Perotti Tuo fa* migliare » e concia viftaj dicendo in
pri* mo luogo contro i Peripatetici , eh* e* glino .malamente .
Conantur Ariftote • lem ex gentili) & infitteli Apoflolum
f& sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum Feripatcticorum
dottrina no» convenite Ne formò molte E pi (loie ; il quale fu poi
feguitato da' maggiori ingegni Italiani» cioè da Marfilio Ficino ,
Gio. Pico della Mirandola , e da altri cat- tolici , e
particolarmente da Niccola di Cufa , e da Pietro Bembo ambe* due
Cardinali ; il quale contro d* Ari* itatele così fclamò: Fovemus
ferpentem inter vifeera noftra . Di maniera che vedeli per lo più
Tempre ofiervata là Platonica t la Democritica , e 1' Epi- curea
Filofofia « e (fendo che fono tut- to \
Digitlzed by Google z. . 49 te uniformi in concedendo
, che gli Ato- mi foflero i primi principi di tutte le co fé
corporee , e che il fovrano bene del piacere non confìtta ne’ diletti
in- degni , e brutali ; ma (blamente nell» animo , e nella
vitaonetta, e tranquil- la della virtù : non come altrimenti voleva
Arittotele , conti* è detto . .Fu notato bensì Epicuro per così dire
pla- giario > avendo pubblicati per fuoi i li- bri degli Atomi
di Democrito, «dan- nata in lui l' opinione della mortalità
dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti, per la fua moderazione, e
moralità , fembrarono così giutti , e ragionevoli a Girolamo il
Santo , che propofe a* Crittiani di fuo tempo la lezione de* fuoi
libri ; e da molti fanti Padri eì fu commendato . E San Gregorio
Naziao- zeno, così ne ragiona: jQuis crederete Mode rat us , &
cafìus dum vixit fuìt fi- le , dogma moribui probans. E Sant’Am-.
brogio ancorché più fevero d'ognaltro fanto Padre, e nelle Filofofie più
ri- gido» pur egli ftimò effere più cpmpa* * . D ti*
59 tìbili gli orti d’ Epicuro , che d’ Ari- notele i
portici , come affatto danne- voli non che pericolofì ; perocché
ne* libri degli uffizj al Cri diano apparte- nenti » così n’ avvisò
; Epicuri Hortot tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; . Il che rien
confettato ancora da Lattan- zio » e da Origene contra Cello . Ari*
Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que- lla Filofofia adunque d’
Epicuro , o fe altrimenti chiamar fi voglia Democri. tica » vien
molto largamente di vi fata, e comprovata dall* incomparabile Pier
Gattendi > Canonico , e poi Propoflo nella Chiefa di Digne fua patria
, Teo- logo , e profeffore delle Matematiche feienze in Parigi» il
quale fu di pura* e cadiflìma vita , e uno de* più illuftri
ornamenti della Francia» o quali l’ora- colo detto delle lettere del
fecol no- Uro» di cui giudamente dir li potreb- be , eh* egli
intorno alle cofe filofofi- che » e feienze Matematiche ne diede il
giudicio cóme Pittagora , e fpiegol- le come Platone . Indi il volere qui
ri- pe. 5 1 petere , anche in menoma parte
quel* 10 , eh* egli medefimo n’ ha fcritto , farebbe un
ridire miferamente ciò » eh’ egli felicemente ne diffe ; e tanto mag-
giormente , quantochè noi richiede la prefente fcrittura, per edere il
tutto notiflìmo alla Santità' Vostra. An- zi in qualunque altra
occalione che fofle , farebbe un cimentar la propria ftima , ed
acquetarli certamente la rota di temerario , e d’arrogante. Ma da
lecito farne qualche parola , e dir folo > che il Galìendi avendo
apprefo nelle, fcuole la Filofofia d’ Ariftotcle, e da eflo poi
tutti i varj fiftemi degli antichi Filofofanti , per quanto gli fu
permeilo dalla condizione umana » e dal fuo proprio intendimento » e
abi- lità ; volle dopo feguitare , e perfe- zionare quella d’
Epicuro , come piti acconcia , e proporzionata Filofofia d’
ognaltra , ammettendo gli Atomi principi di tutte le cole corporee
; come fende di fe Giacomo) Colonna 11 Vefcovo al
Petrarca: Da Se 5 * Se le
parti del corpo mio diflrutte , E ritornate in atomi > e faville
. Softenendo però , che Dio gli abbia creati , e che Dio
averte lor dato il movimento) e il dirtendimeato , e la
figura. E che il corpo umano, fia di minu- ti ffime
particelle coni porto, leggefine* libri del diritto Civile, e
propriamen- te nel Titolo de judiciis , nella Lege ' Proponebatur ,
così dicendo A 1 fono Var- rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-
to, e Confole di Roma, Quod fi quis pittar et , partibut commutati s ,
aliam rem feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non idem eflemus
, qui abbine anno fuiffemur, fropterea quod , ut pbilofopbi dicerent ,
ex quibus particul'ti mìnimts confliteremus , bue quoti die ex
noflro corpore dee e dere nt, aliaque extrinfecus in earum locum
acce* derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a-
dem confifieret , rem quoque eandem ef- fe exifìimari &c.
Quelta Filofofia è (lata feguitata / v in
io molte i e quali innumerabili carte- dre dell’ Europa, e
ballerebbe fol di- re, eh* ella non è altrimenti proibita da verun
Pontefice voftro predeceflb- ; re; anziché quali in tutti i luoghi
cat- tolici pubblicamente s* infegna , ù. ap- para , e li profèta .
Sia ancor lecito aggiungere a tante dottrine che li ad- ducono dal
mede fimo G a flcndi , e da altri, per corroboramento di tal Filo-:
fofia, un’ altra autorità di S. Grego.: rio Vefcovo di Nilfa, la primiera
«fé-: dia della Cappadocia, il quale viveva nel quarto fecolo,
fecondiamo di tan- ti e tanti fanti Padri , e Dottori della noftra
Chiefa , fratello di S. Balilio il grande , e di S» Pietro Vefcovo di Se
perocché egli diffe: Fuit fuhita , urgebat , nova rei fui fa - bat
aures . £ finalmente foggiunfe, Che Veritas placet , & vincit . Carte
- fius bene intelleflut, nibsl cont'met ma- li . Onde ravvedutili
gli altri , fi di- chiararono ugualmente Cartefiani . ^Soggiungendo
ancora altriTeologi , che fentimenti di Renato intorno all’efi»
ftenza di Dio fi conformavano con quei medefimi di Sant* Agostino ,
diftefi nel librò X. della Trinità > e -propria-
merv 5 * mente nel capitolo X. Ed un dotti
f- fiimo Padre , di cui ne lafcia il no- me lo fcrittore della vita
di Rena- to , vi aggiunfe molte altre limili dot- trine > eh’
egli aveva ritrovato in pro- va delle opinioni di Renato ; in mo-
do che ciò fu di gran gioja.a Rena- to fteflò, in fentire, che i fuoi
penile- ri erano uniformi con quei di Sant’A- goftino , e di
Sant'Anfelmo nel libro, detto Profologio , e d’altri fanti Padri. E
per li fentimenti dell' anima io vi aggiungo Glaudiano Mamerto ,
uno de’ più celebri fonti Padri, . che fiori nel quarto fecolo
ftefiò della noli ra Chiefa , che compofc un divinilfimo Trattato
dell’anima t in confutando quell’ enormilfimo errore di Faufto , Ve
f covo di Rems nella Francia, che tenea quella falfiffima opinione
>xhe nelle creature non vi fia niente d’ in- corporeo; ma
Solamente in Dio . Que- llo Trattato fu dedicato. a Sidonio
Apollinare, amiciflimo di Mamerto; .ed egli è molto elegantemente, e
con foni- 59 fommo giudicio , e finimmo •
ingegno dirtelo , in cui trattanfi le queftioni metafifi che con
ogni chiarezza , e fa- cilità poflibile in prova dell’immorta- lità
dell’ anima in modo che non vi è fiato chi migliore, di lui ciò
abbia comprovato . Fondando egli con ro« bufiifiitne ragioni, che
l’anima operi tutta intera ne’ Tuoi movimenti: che non fi mova nè
verfo l’alto, .-nè ver- fo il baffo , o altrove ; eh* ella non fia
nè lunga» nè, larga, nè più alta r eh’ ella non abbia parti interne ,
nè efierne ; e eh* ella penfi , ella fenta, ella immagini , e
penetri tutta in tutte le fofianze : eh* ella fia tutta
intendimento , tutta fentimento , tut- ta immaginazione , tutta di.
qualità» e non altrimenti di quantità; e final- mente , che fia
immagine di Dio » e confeguentemente incorporea , e im- mortale. Et
quia imago Dei efi , non e fi corpus . E che però cerchi Tempre Dio
, e defideri conofcerlo , non con al- tra immagine di Divinità, chedelia
/ua 6o propria ; e che fola mente il corpo fi
tnifuri per lo fuo di (tendi mento in lunghezza» larghezza, e profondità
, e con altri fomiglianti principi , de* quali fe la maggior parte
fi veggono nelle Meditazioni , e negli altri libri di Renato » dir
fi potrebbe , o che Renato gli abbia stolti da Mamerto , ò ch’egli
abbia avuto un ingegno geo» metrico » giudo » e uguale a quello di
Mamerto . Da tutto ciò adunque fi vede » che quelli principi di
Rena» to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre , che fu Mamerto » gran
Filofofo , e gr.and* Oratore , il quale fu giudicato uno
de’migliori, e favillimi Padri del- la Chiefa: che meritò la dima d’ ef-
fere tenuto dotto , quanto Girolamo; dedruttore degli errori , quanto
Lat- tanzio ; provatore della verità » quan- to Agodino; e che fia
levato in alto t quanto Uario ; che abbia ancora fa- vellato , come
Grifodomo ; riprefo , come Bafilio ; confortato» come Gre- gorio/ e
che fia dato fertile » come Orofio; robufto, come Ruffino; nar-
ratore, come Eufebio; dettatore, co* me Eucherio ; declamatore ,
come Paolino ; e foavitfimo , come Ambro- gio . Quella
adunque nuova Filofofia , o rinnovellata per dir meglio Filofofia
di Renato, è fiata feguitata, e dife- fa dalle migliori Uniycrfità, e
proviti- eie dell'Europa, ed infegnata pubbli- camente nelle
cattedre più rinomate del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo- no
difenfori , non che gli autori , e fer- rar] ancora , così attefiando il
dottif- fimo Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza universale . La
dottrina di Momìt Defi cartes oggigiorno è feguitata in molte ,
Accademie , e conferenze . V* ha de* Prof e (fori di Filofofia , che /*
infegnano. Molti fe ri appagano piu , che del - la Filofofia antica
. La quale vien con- fermata con pubbliche (lampe da mol- ti
Religiofi , che n’han divifato tanti e tanti libri che nulla più,
approvati da’ loro Superiori , e fpeciali/fimamen- te
Digitized by Google te ne fono Seguaci nelle cofe più
prin- cipali i dottiifimi Padri Merfenni , e Detei , e Niceron
Minimi . IIP. Mai- gnani, e il P. Barde : T incomparabi- le P.
Nicolle , e il P. Malebranche , che nel fuo libro de inquirenda Verità
- te vi pofe tutti i principi , e tutti le parti della fua
Filofofia Opera , che fi potrebbe appellare ' 1’ ultimo sforzo
dell’ ingegno umano ; ed altri Padri dell* Oratorio di Parigi , i quali
furo- no ancora amiciffimi di Renato, e fo- pra ognaltro
affezionati (fimo , e mol- to famigliare di lui , e della fua
JFilo- _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de» maggiori
Teologi della Sorbona , e che M per la fublimità del fuo ingegno ,
ed eccellenza della fua dottrina , fi può - £ /giustamente chiamare
l’Aquila degl* ingegni, lo Splendore dell’età noftra, e il più
gagliardo foftenitore della fe- ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale
col __ . , , ~fuo libro della perpetuità della fede, in ~ *
cui con robufte ragioni , e con eloquen- za veramente Grifciana ha
fondata 1* eli* J e fi (lenza
reale di Cri (lo nella fantini** ma Eucaristia , e poi con altri
volu- mi , autorizzando colle fentenze de* fanti Padri e Greci, e
Latini di feco- lo in fecolo, e della Chiefa Orientale ancora , che
fervirono di ri fpofta al li- bro di Monsù Claudio , Minirtro di
Charenton , approvati da tutti gli Ar- ci vefcovi , Vefcovi * e Curati
della Francia > e da altri Teologi , e Dotto- ri della Sorbona ;
ha dato tal confu- sone a'Calvinirti , colla lezione di quel* lo ,
che molti d’elfi illuminati , fi fo- no uniti alla nortra Chiefa , come
il Vefcovo della Roccella , uno degli ap- provatoti fuddetti
l’attefta: e per tan- ti altri libri , che quali ogn’ anno di fua
vita ha dato alle (lampe , fe ne va carco di gloria , e d* anni con
quella folitudine , propria d* un let- terato in Olanda , dove gran
tem- po menò la fua vita ugualmente Renato , con rifiuto
magnanimo delle cofe del Mondo . Parimen- te furono di Renato
amorevoli il Car- I «4 ,
Cardinal de Bagne , e il Cardinal di Ecrè, e il Cardinal Berul , e
il Car- dinal Barberino* quando ei fu Lega» to alla Francia * il
quale tanto fu a- mantiflìmo delle cofe dell’anima > che non per
altro . pare * eh* egli avelie trasportato dall’ idioma Greco al
no* Uro Italiano la vita di Marco Aure* lio Antonino Imperadore ,
eh* ei def* crifle di fe fteflb a fa fteffo * fé non per dedicarlo
all’ anima fua , come Specchio veramente, e dottrina , quel libro*
delle cofe morali * che ponde- rar fi debbono dall* uomo ; perciocché
tutte le cofe di quaggiù, anche in ai- tiamo grado confiderate *
fvampano in nulla . Fu protetta » e difefa anco* ra quefta
Filofofia da tutti i Principi* e potentati ftelfi d* Europa } e
partico- larmente dal Re di Francia* che grati- ficò di due
penfioni Renato* e dalla Re- gina di Svezia * in cafa di cui egli
mo- ri * ed ella in grembo della Chiefa ; coftà venuta , e fatta
cattolica per o- pera fola d’un folo Renato * com’ el- la
65 la fteffa afferma in fua lettera , che fi
legge nella vira del medefimo; l’auto- re della quale narra ancora , che
la iua maniera di parlare della Religio- ne fece convertire alla
noftra. Chiefa il Marefciallo di Torrena , un Ateo , e due
Proiettanti; e dalla Principcfla Ehfabetta r fu nomato il refugio
de’ cattolici di Olanda , ed al medefimo furono celebrati i
funerali con aflìften- za di molti Prelati, e delì’Ambafcia. tore
di Francia -, e d* altri perfonaggi illuftri t ed Ecclefiattici , e fu
compian- to con funeftiffime Orazioni, e lugu- bri apparati dalle
migliori Accademie, a cui ugualmente furono rizzati più e. pitafj e
maufolei, ed impreffe medaglie in memoria della fua pietà , e dottrina
. - Ed ancorché i Padri Gefuiti , i quali poffono dar norma, ed
efemplo per la loro dottrina , e - fantità di coftumi , abbiano,
particolare infti- tuto , e regola di feguitare affolu- tamente .la
. Filofofia d’ Ariftotele ; il che vien riferito ancora da uno
E fcrit- 66 fcrittore , così dicendo : Apud
Jefuitas ie gibus fauci curii e fi , neminem in Pbilo - fopbia
prater Ariftotehm [equi , qua caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non
alia de c auffa Pbilofopbiam rimentur , quam qmd abfque ea non
poffe cum Jefuitis rette difputari ; nulladimeno vedefi , che molti
d’ elfi di celebre .fama , e d’ una vita efemplare , non fedamente
la FUofofia.Ariftotelica hanno trala. fciata, ma quella novella forma
difi- lofofare hanno abbracciata , come fo- no il P. Fabbri , • il
P. Cafati , ' il P. Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies » e il P.
Bartoli . La qual cofa li olTer- va per lo modo di filofofare ,
fpiegan- do gli effetti della natura per mezzo delle particelle,
eh’ eglino -han tenu- to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-
pe , le quali non altrimenti permettonli fe non coll’ approvazioni
d’altri Padri, , a ciò deflinati dal medefitno lor P. Generale, o
Provinciale . Il P. Char- let , ugualmente Gefuita , che fu affi-
ttente Francefe del P. Generale della Compagnia, e milfionario
nell’Attjefi* ca, non fu egli amico , protettoref^é direttore di
Renato? 1} rJ*>j Giacomo* Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*
conf flore di Lodovico XIII. e di Lo-: dovico XI V. non fu affezionato di
Re-- nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j mente Gefuita, benché
una volta, gli? avelie contraddetto » e riprovate lo, Meditazioni ,
non fu egli medefimo £> che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»
nato IfelTo per mezzo del medefimo P.; Dinet ? Il P. Atanafio Kircher
preoc-' cupato una volta dall’odio contro Re-» nato, non procacciò
poi la fua amici» zia, e corrifpondenza èri! P. Miland ugualmente
Gefuita, non fu feguace della Filofofia. di Renato, riducendo; in
compendio le di lui Meditazioni , ed in metodo Scolallico per infegnarle
a’ fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo Padre prima di partire per
1* America, volle oflequiofamente , e con particó* lar fentimento
dar. 1* ultimo addio: a Renato fuo amiciflìmc , quali che in
£ 2 tal 68 ' tal dipartenza non fendile altro
cor- doglio, che di lafciar Renato , non già i Tuoi compagni , i
parenti , e la patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non fu egli
parziali (fimo di Renato, e fat- to Rettore del Collegio di
Chiaramon-' te a Parigi , non dedicò i due fuoi li- bri di Filìca a
Renato , conformandoli co’ fentimenti del medefimo ? Pren- dendo
ancor egli la difefa contro Paf- cale per l’opinione toccante il
Vacuo. IlP.Vatier, parimente Gefuita , non fu egli fettario di
Renato , ed appro- vante delle maniere di fpiegare il fa- crofanto
mifterio della Santilfima Eu- cariftia, fecondo i fuoi principi, e
ra- gioni? Il P.Grandamy gli fu finalmen- te amiciflirao i II P.
Francò , il P# Fournier furono tanto amici di lui , che gli
dedicarono i loro libri-. Il P. Fonfeca, benché Portoghefe , e il
P. Ciermans Fiamingo , ma ugualmente Gefuiti, fecero un elogio alla
Metafi- lica del medefimo . In fomma tutti i ' Padri-Gefuiti de’
Collegi della Fran- i eia Digltized by Google
69 eia furonoapprovatori , e fettatori della filofòfia di
Renato, co’ quali egli ebbe una continua corrifpondenza , e vicen-
devoi commercio di lettere ; e della Tua vita ne' due libri ultimamente
pubbli- cati. Ed ancorché pochi anni fono ilP. Rapini , Umilmente
Gefuita fi fia al- quanto allontanato da’fentimenti di Re- nato ,
dicendo egli molte cofe contra lui, ie quali quanto fian meritevoli di
rifpo- ila lo dican gli altri , noi comportando la prefente Scrittura
; nulladimeno il xnedefimoP Rapini, parlando egli pri- 3
fiieramente del Cavalier Digby,eflerfi egli tròppo attratto nel fuo
Trattato dell* immortalità dell'anima , così di .Renato favella :
Le Meditazioni Meta « .fifiche del Defcartes hanno avuto della re.
f> ut azione j perch'egli s'interna più che al - .trinci midollo di
quefte materie. Soggiun- gendo a quefte parole l’autor della vita
di Renato . Senza eccettuarne t Gefuiti Suarez , e Fonfeca , de* quali
prima egli aveva parlato, e che p affano per i migliori, e più
profondi Met affici delle Scuole . • E 3 Ag-
Aggiungendoli ancora , che-veden* do le Univerlìtà Protettami di
Bafilea e d* Olanda effer pur troppo pregi udi- ziale la Filofofia
di Renato al Calvi* nifmo, Il concitarono tanto contro Re* .
nato , che non contenti di fori vere con- tro la fua dottrinargli
ordirono anco- ra contro la per fona molte calunnie, in modo che
GisbertoVoezio Miniftro d* Utrecht , per avergli oppofto con
malignità il Ir r»
V * { t >
t ì | * *
t .ì r • — 74 tìamo le vivande
fenza penfarci , dice il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo dormendo
fenza ciò considerare, e tan- to meno faper fi, pofTono 1* altre
cofe naturali , e celefti . Jacent ( ne laSciò fcritto Cicerone )
ita omnia crajjts oc» calta , & circumfufa tenebris , ut nul-
la acies bumani ingenti tanta fit , qua penetrare . in coelum , &
terram intrare pofjit i Corpora noftra non novimus , qui fit fitus
partium , quam vim unaquaque pars , babeat ignoramus . L’Angelo
del- le Scuole manifestandone la ragione nella fua Somma, così
favella : Quia ratio bumana in rebus bumani s ejl multum defciens , cujus
fignum ejl , quia Pbilo/o- pbi de rebus bumanis naturali invejìi-
gatione perfcrutantes in multis errave • runt , & / ibi ipftt
contraria \fenferunt .. Il che Similmente avea detto Crifo. Homo ;
Hi ipji , qui ad omnem pom- pam de Pbilofopbia gloriantur, multos ,
& plurimos de eifdem cauffts fcribentes libros , non modo fimpliciter
difcepta- rmt t fed ttiam ftbi contraria pleraque ' di »
X 1S dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino
fteflb, delle cole Metafifiche ragionando, con* figliò : Noli
qu^rere quid fit Veritas % fiatim entra fé' oppone nt calìgine! imagi
• num corporalium , & " nubila ■ pban t af- ta at a ,
& pertutbabunt ferenitatem t qua primo iftu diluxit tìbi , ut dìce-
rem Veritas . • Non perchè quella non vi lìa ; ma perchè di quella capaci
non fu- mo , dille il medelimo ! Cicerone . Ve- ri effe al'tquìd
non negamut , pertipi pof- fe negamus : E altrove : Non enim fu-
mar ii , quibus nihil verum effe videtur ; fed qui omnibus veris fai fa
quidam a- djunSla effe dicamus tanta fimilitudi - ne y ut nulla
inftt certa judicandi , & difcernendi nota . £ quella è la
cagio- ne , per ria- quale tanto fi lamentava A gofiinò medelimo
dell* ignoranza u- •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid fit tempus
nefcioì-An forte ne feto que- madmodum- die am quod fcio ? Hei mi-
bi , qui nefcio faltem '-quod nefeiam ! Come Plinio parimente
compaifionan* do tutto l’uomo , ftimollo in ciò piò mi*
L 9
f » ' 1 $ i
an incredibili celeritate vol- vatur : quanta fit terra crajjitudo
, aut qtitbus fundamentis librata > & ( ufpen - fit . £'
volere ciò difputare, e con- ghietturare Lattanzio il medefimo di-
ce , non e (Ter altro , che difeorrere , e giudicare di cofe fatte in
remotifiime parti non mai da noi vedute , o fapu- te . Quindi il
medefimo Lattanzio- , così ragionando , il fuo difcorfo con- chiude
: Si nobis in ea re feientiam vendicemus , qua non potejl feirì ,
non- ne infanire videamur , qui id affirmare audeamus , *» quo
revinci po/Jimus ? Quanto, magis , qui natura Ha , qua jet* ri ab
bomine non poQunt , /city />«- , furìofi , dementefque funt ju
di- cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/ incerta r fuf- penfa ;
magìfque omnia verifimilia , quam vera , Minuzio Felice dille , Indi
il Poeta .j In- 8 $ Incerta bac ft
tu poflules ' Battone certa facere nihilo plus ■ 1 agas
> Quam ft des operata , ut cum ra- • tione infantai
. £d in confermamento di ciò , fs noi riguardar vogliamo a
quel, che n’han giudicato i medelimi , e i primi fetta- tori delle
Filofofie, ritroveremo , eh’ eglino fteffi han detto > aver
fondato il filofofare fu i principi dell’ ignoran- za medefima,
comen’avvifà Arnobio fteflo . Ipft denique principe t & feti a-
rum patres , nonne ipfa e a , qua dicunt , fuit eredita fufpicionibus
dicunt* Zeno- ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi- nazioni
ftefle .• Opinar i entra , te feire , quod nefeias , non ejl fapientis ,
fed te- mer a rii potius , ac fluiti . Socrate , Quod neque feiri
quicquam poteft, nec opinati oportet . Adunque Tota Pbilo- fophia
fublata efl , difle Lattanzio. Ariftotele fteffo ne’ libri della
Metafi- sica così ; De bis- enìm omnibus non mo- ** ’ Fi do
\ 84 do invenire veritatem difficile ejl ,
verune ncque bene ratione dubitare facile ejl . Gli Accademici
contro a’ Filici, Nul- la m effe fcientiam , ed ogni cola proba-
bile . Democrito , che la verità delle fcienze ftia nell’- abiflò
nafcolta . Arce- fila ( narra Epifanio ) nomato il mae- ftro
dell’ignoranza da Lattanzio ftef- fo , niente doverli affermare di certo
, negando all’ uomo la fcienza , riponen- dola lolo in Dio , e Dio
ftelfo Non nifi ignorando fcire pojftmus Là onde Cice- rone così
tutto il fuo detto fiabililce : Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit
, non pertinacia , aut fludìo vincendi , ut mihì quidem videtur ,
fed earum tettine ohfcuritate , qtu ad confejjionem ignora- tionif
adduxerant Socra tem , & velutì a- mantes Socratem, Democrìtum ,
Anaxa- goram , Empedoclem , orane s pane vele- rei ; qui nìbil
cognofci , nihil per dpi , ni- hil fciri pofje dixerunt : angttjlos
fenfus , imbecillos animoiy brevia curricula vita t & y ut Democritus
, in profundo verita- tem effe demerfam; opinicnibus , & injìi
- tu- S J Digitized by Google
8 5 tutìs ornata teneri : . nìhil ■ ventati reità* qui
: deinceps omnia tenebri! circttmf ti- fa effe dixerunt . £ della varietà
di tan- te opinioni , dell* incertezza delle fa- enze y e della
moltitudine di tanti Fi- losofi giudiciofiffi ma pirico così ne
ragiona : Ita etiam in' hunc mundum , velati in quamdamma - i gnam
domum , accefjìt multitudo Pbi - lofophorum t ad quarendam veritatem
, quam qui acceperit e fi veriftmile e am non credere , quod reEìe
conjecerit . li quidem certe non dicit ejse \aliquid , quod
judicetur verità! , propterea quod 4 in eorum ,r qua funt natura , nìhil
pef- ftt comprebendi . Il che vien confermato ancora da Galeno,
così dicendo: Scien- tiam neque apud Pbilofophoi , prafertim dum
rerum naturam perfcrutantur , in- ventai . Ammonio tanto fettario d’
A- riftotele fteffo n’allega la ragione: Quia diverfitate
opinionum, diverfo modo rei ef- fe verni velf alfa! : quoniam autem
opinio- ne ihominum varine funt ,& incerta , ideo fcientiat
quoque e] se variai , & incerta!, ac F l prò -
86 proinde nuìlam effe rerum eertam f, eie ». tiam , &
veritatem. Avendo ciafcuno il fuo fenfo , e la fua fantafia a
parte, perchè , come fi dice , quanti uomini, tanti pareri:
m Mille homìnum fpecies , & rerum difcolor ufus
. Per la qual cofa è egli moltd virifimi- le, che ognuno
dipenda dalle fue fan- tafìe, ed opinioni , Cum fit ftngulis o-
pinio affluxus diffe Empirico fletto; di qui viene , che Eraclito
nominava O- pìnìonem facrum morbum . Quella è quella , dalla quale
fìam tocchi , e non dalle co fe medefìme, la quale di. - pende dalle
prevenzioni , ed anticipa- zioni della mente , Sua cuique cum (tt
animi cogitatio , colorque prior . Come ancora per la flima fuperiore al
meri- to , eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio- natagli dall’ amor
proprio, eh’ è il più cieco, ed il più violento d’ognalero,, a
niuno ceder volendo : Pbilautia enim ejl omnium amorum violentiffìmus ,
cete- .. * ToJ- i *7 rofque fuperat ; vien fempremai
a darli cieco , ed imperfetto il giudicio . A - mor , ftcut odium ,
ventati! judicium nefcit , ditte Bernardo il Santo. E 1* uomo non
ha altro di proprio, che il mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v
het de fuo y nifi mendacium , & pecca - tum . Per la qual cola ,
torno a dire con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi- lofofia? O
coll'autore de’ cinque Dia- loghi , della Filofofia fletta parlando
: Non e fi enìm de terminisi fed de tota profefftone coment io . Cioè,
che non vi fia affatto certa , e determinata Filo- fotta, anche
Propter natuv alerti borni - num ad difjentiendum facilitatem . Re-
nato medefimo per primo principio nelle fue Meditazioni non pone
egli 1’ averli Tempre a dubitare nelle co- fe filofofiche? In modo
eh’ e’ con mo* deftiflima protefiazione la Tua Filo- fotta dirtele
, confettando egli . dì fe fletto nella IV. Meditazione così . Cum
enìm jam feiam naturam me am effe vai - di tnfirmam , & limitatam .
Ed etten* F 4 do- 88 dogli (lato una volta
afpra, ed acerba- mente jfcritto contro da un Padre Ge- fuita , di
cui virtuofameate non volle palefare il nome alle (lampe , fé ne
la- mentò benignamente in una lettera , che fcriffe al P. Dinet Tuo
amico , ri- chiedendogli , ch’ei tro valle il modo, acciò gli fi
notificaflero gli errori , per emendargli , così dicendo-; Nibil
enim inibì cptatius efl , cjuam vel opinionum mearum certitudinem
experiri , fi forte a magni! viris ex aminata nulla ex parte falfa
rsperiantur , vel faltem errorum admoneri , ut ìpfos emendem . Come
di (e (teffo Agoftioo il Santo : Si ahquid vel incautius , vel
tndoSìius a me pofitum , ab aliis merito reprebenderetur , necm't-
randum e fi , nec dolendum ; fed pottus ì- gnofcendum , atque gratulandum
, non quia errai um eft ; fed quia improbatum. E pure quello Padre
non aveva lette, nè vedute l’opere di Renato ; così egli fcrivendo
nella medefi ma lettera: Etfi enim mibi valde indignum videretur ,
hominem Rtligìofum , cum quo nulla n *9
mibt unquam inìmìcitia , nee quidem notitia intercejjerat , tam .
publice t tam aperte , tam infolenter de me ma • le dixìfje ,
nibilque aìiud balere excu « f atlanti , . quota quod diceret , fe
Dif* fertationem meam de Metbodo non le* gip-- \ •
£ tutto quello perchè ben Sapeva non eflervi certo filtema di
Filofofia, che l’uomo Scuramente Seguitar do* vede ; elfendo ella
in tante fette di- vifa j che Varrone fin da* Suoi tem- pi ducento
ottantotto ne conta , e Temiftio trecento: onde Sant’Ambro- gio
gridò: lnter bas diffenfiones , qu& veri potejl effe affina t io ? £
Lattanzio ugualmente così : In qua ponimus ve* ritatem ? In omnibus
certe non potejl Or che direbbero Ambrogio, e Lat- tanzio Hello fe
foffero a* tempi no- ftri , ; vedendoli in maggior numero
Sopraggiunte , ecrelciute ? E quella fra Religiofi (ledi , dalla Chiefa
non con- traddetta , quella io dico sì fiera , e da non mai
rappattumarli , e quietarli tra Tom- 9 . „ .
. Tommifti» e Scotifti , Nominali , Re- alifti, ed altri, e
tutti Ariftotelici , a fembianza degli Arabi , de* Greci , e Latini
, i quali eran difcordi in fegui- re , ed interpetrare 1’ opinioni del
me> delimo Arinotele, come rapporta Pi- to della Mirandola . Per
la qual .cola Teodoreto fin da* Tuoi tempi fciamò : In litibus omne
fiuditim , ornai s nibiì denique de quo univerfi una men- te
, ac voce confentiant . £ San Bafilio di quei , che furon tenuti i primi
Savj della Grecia, dice non efiervi nè an- che una fola ragione
ferma, e collan- te . Nee fola quidem ratio , apud Gr ita ut eos
refel- lere nibil fit negotii , cum illi propria dogmatibus
evertendo fujficiant. E Teo- > doreto (ledo in quella maniera
favel» la : Et Ht fiorici, & Pbilofopbi , & Po~ età tum de
anima , tum de corpore , tum de bominis genitura , & confiit ut
io- ne inter fe litem exercent , dum olii qttidem bac » alti vero
illa pr a ferunt , alti rurfus & bis & - illis contrariam o-
pinionem adducunt , neque enim verità- tìs dicentes fiudio , &
defiderio teneban- tur ; fed inani gloriola » & ambitioni
fervientes, ex quo fané faBum efi, ut in errores multo: inciderint . Per
la qual cofa in quella maniera n’avvisò Minu- zzo Felice : Itaque
indignandum omni- bus y indolofcendumque efi , audere quof- dam
certum aliquid de fumma rerum , ac majeftate decernere » de qua ab
o- mnibus faculis feftarum plurimarum uf- que adbuc ipfa
Pbilofopbia deliberat * Ed i t Ed allora
» che le Filofofie de’Greci in* cominciarono a comparire al cielo Romano,
i Romani ftelfi non s’appiglia* rono a veruna d’cfle, foggi ungendo
Ci- cerone , perchè non eran sì balli gl’ in- gegni Romani , che
avelfero a foggia* cere alle altrui difcipline ; perocché Ro- ma t
che aveva trionfato nell* armi , non comportava farli fervile alle
lette* re : anzi i Romani ftelfi non fi manife* fìarono giammai
fettatori d* alcuna Fi- losofia, ed i Nobili li guardavano, co* me
da una pelle , di non efl'er tenuti tali ; perchè certi , che avevano
prò* felfato la fetta Stoica , come Bruto , e Caffio ; Aruleno , e
Sorano ; Sene* ca, e Trafea , ed altri erano tutti mal capitati ,
come macchinatori di congiu- re > quantunque Seneca flelTo
avelie altrimente prote flato in una delle fue .Epi Itole , dicendo
: Non me cu'tquam mancipavi , nttllius nomen fero , multum magnorum
ingenio virorum tribuo , ali - quid et fi meo vindico . Onde lubito
che alcuno attendeva alla Filofofia, ca- , 93
deva nell* ifteflo fofpetto , come di (Te Tacito di Agricola
fuo focero . E a 'tem- pi notòri dal Re di Francia con un fuo
arrefio delli d’Ottobre 1668. fu proibito a tutti i fuoi fudditi di
chia- marli l’un l’ altro fettario > e fpecial* mente
Gianfenitòa. I fanti Padri me- defimi avvertirono non dover elfere
fettario 1 * uomo , e fra gli altri Cle- mente 1’ Aleffandrino > così
dicendo : Praterea non particularìs fefia efi eli- genda , [ed
quidquìd omnes reile dixe - runt Stoici , Platonici , Epicurei > Ariflo-
telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo- pbiam. E Sant’Agoftino nel
libro deh le Confezioni, diffe, Non iftam , a ut illam feti am ,
[ed ipfam , quacumque ef- jet , fapientiam diligebam > q vare barn
, & ampie Sì ebar , Quindi San Tommalo ne’ fuoi Opufcoli
infegnò con Agotòino medefimo , Non effe adfentiendum alieni
Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana , [ed ex omnibus decerpendum^quodreiìe
dixerint. E fra moderni filofofanti Pietro Petito afferma nelle
Differtazioni , che fece in- Digitized by Google
f »♦ incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò
, doverli notare d’arroganza colui, che* preflumcr voglia d’
alfentire più ad u- na fetta, che ad un’altra , la ragione egli
rendendo : Ne uni precipue inba- rentes , in alias fotte me Hot e s ,
iniqui, & contumeliofi viderentur . Ed ancora quell’ altra»
perchè non puote perfo- na veruna, benché a tutt’ uomo vi s*
applicale , apparare , e farli capace di tutte; conciolfiecofachè non
potreb- be darne retto giudicio , lodando più una , che un’ altra
Filofofia . Omnium ( die’ egli ) fetta rum fieri perfette pe- ritum
, humanum piane captum exce- dit . E a fen lenza d’ Euripide .*
Unus non omnia vìdet . E Galeno così : Dif- ficile effe , ut qui
homo fit , non in multis peccet , quadam videlìcet peni- tus ignorando
, quadam vero male in- dicando , & quadam tandem negligen- tius
fcriptis tradendo . E quando vo- glia alcuno vantarli di fapere ,
appet- to di quel , che non fa , egli è nul- la , dille Temiltio .
Ea , qua novimuty por- I i
Digitized by Google 9 $ por t ione minima contìnentur
, fi .colla* ta, & comparata bis fuerint , qua igne* ramus. E
Paganino Gaudenzio Teolo- go , e Protonotario A poftolico nel Li-
bro degli errori delle Sette , parlando egli delle Scuole di Zenone) di
Plato- ne , di Democrito , e d’ Arinotele , così n* avvisò : Illusi
quoque colligendum, in iis , in quibus nobis Cbnfiianis diffi- derà
licet > non effe exploratam verità * tem. Magna nobis fas e fi uti
liberiate extra illa , qua arcem Re ligio ni s non refpidunt , ut
defendamus , quod nobis probabilius videretur. , Ora egli è
vero , com’ è verini- mo, che quei medefimi tanto fegua- ci d’
Arinotele fono gli autori , oppu- re gli approvatoti neflì dell*
opinione probabile nelle cofe Morali , ammet- tendola per lo parere
di due , ed an- che alle volte d’un folo Teologo, dot- to , e
dabbene ; perchè nella Èilofofia non ammettono ugualmente la proba-
bilità per tanti, e tanti gravifiimi au- - tori, e Teologi , e fanti
Padri medeli- mi. 9 t mi , dove
ancora vi è la libertà di file* fofare , fecondo Ariftotele fteffo ?
Per- chè concedere la probabilità nelle co- fe Morali, e poi nelle
Fifiche negarla? Perchè amettere la probabilità in quel- le co fe,
che riguardano i precetti del Decalogo, e di Cri Ilo, e poi
contrad- dirla nelle Filofofie , così incerte , e dubbiofe? Perchè
approvar , per co- sì dire, la libertà di teologare, e poi
oppugnare la libertà nel filofofare ? In- trodurre il probabile nelle cofe
fpiri- tuali, l’improbabile nelle feienze uma- ne : magnifiche
opinioni nel mefiiere dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope-
razioni dell’intelletto, argomenti nel- la Morale, freno agl’ingegni :
fetenza nelle confcienze, confidenza nelle fet- enze : ed in un
motto , Accademici nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo- fofie :
Filofofi nella Teologia , e nella Filosofia Teologi? Di qui
neceffariamente nefegueper forza de’ loro argomenti medefimi , o
che neghino affatto la probabilità nel- le 97 '
le co fé Morali , o feguitandola , la con- fe(fino .lunga
certamente s’ in- gannerebbe , perocché eflendo.fi dopo tante fette
fcòvérro, -nuove' delle, nuo- vi pianeti , ed altri fenomeni,: e
tane* altre cofe, e quali :un nuovo Mondo * par eh’ egli era d’uopo
di nuova Filo- fofia per inveli igarle , non badando 1* antiche,
per le quali torno 3 dire con Seneca dedo , Multum adhuc re fìat 0-
- perii, multumque refìabit ; nec ulti noi to pofl mille facula
pracludetur oc c a fio aliquid adbuc adjiciendi . E altrove c
Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+ perta noi nefcìffe mirentur .
Plotino predo Teodoreto così : Multa , qua nobis 'ohm latebant ,
ipfa die i invenie tJ Ed il Poeta: • v . * •
Multa dies 9 tabilii avi f 4 k • • t *
Rettulit in melius • 4 * # « * • 0 t • • » • * '
,» * » t E noi fopravanzando in due mila anni d’ efperienza ,
fiam piuttofto fuperio- ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi
tempi vantava d* efferfi la fua etàl.u- gualmente fatta fuperiore nell’
arti, e nelle» feienze , perchè più finamente refe migliori , e
perfette , come ugual- mente de’fuoi tempi affermò Tacito .• Nec
omnia apud priores meliora , fed nojira quoque atas multa laudit > .
& art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo- derni abbiano
trapaflato , e fopraftat- to gli Antichi > egli è chiaro per
tanti G 3 fpe- variufque lai or ma-
I 102 . fperimenti , e. nuovi inftrumenti per
elfi fatti nelle celebri Accademie di Firenze, della Fraocia , della
Germa- nia, dell’Inghilterra , di Lipfia , ed al- trove ; come
ancora per molti libri ciò fi comprova ,• e particolarmente per
quelli delPerhault nel paragone tragli Antichi, e i Moderni; e del.P.
Rapi- ni nella comparazione de’ medefimi % , * * i « V * * '
* . | * * dottilfimi in vero , ed eloquenti Ili mi fcrittori
. Quelle fono le parole del me* defimo P’ Malebranche : Si quis
Ari- jìoteiem , & Platonem taf allibite s fui ([e crederet ,
tum ih folis dumtaxat intei « ligendis merito • forte incumberet ,
[ed quii id credat , cui faltem mens jana fuerit ? quin ratio noe
monet ìpfos no- vi s Pbilofopbis inferiore s effe , quippe bis
mille annorum , quo tempori s fpatio silos Pbilofophos fuperamus ,
experien- ti a nos efficere debuit pe/tticres . E più nobilmente da
Renato {ledo in quella maniera : Non eft quod anti- quis multum.
tribuamus propter antiqui- tatem , (ed nos potius jis antìquiores .... di-
Digitized by Google 10 $ dìcendi ; jam en'rn
fenior e fi mundus t quatti tutte » major emque babemus rerum
experientiam . Il che fu detto fi foll- mente prima dal P. Antonio
Pofle- vini dottillimo , ed eruditismo Ge« fuita - \Quamobrem fi
diutius vtxijjet Anftotekt , vel fi jam revwifceret pofl tot
fxcttla » quibtts ali £ res innumera t ac propemodum alter orbis emerfit
, mul- ta effet correSìurus , quia contraria not experimur . Ed
anche fulle feene dal latiniStno Comico . • r- I
Res y tetas , ufus » aliqtiid adpor- ' ; tet novi y
Aliquid admoneat , ut qu quos varia de parte Ventai éff anditi- non
cernant , propte>ea quod uni fefe Arinoteli non dediderunt fnodo
y fed adeo devoverunt , ut fi fue - rit opus , prò dogmatibus ejus
tuendit in fierrum , fiammamque ruaUt;' in cu - jus Pbilofopbia fi
quafdam opinione s pra- va! conce perù ut $ ut iffum , fi furgeret
e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn confermato ancora dal medesimo
So- rel , così dicendo .* Noi ci' prete jìia- mo di voler men male
ad Arinote- le , che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi fono guelfi ,
che ofiinatamente #* oppongono a cofe > ch’egli , fe vive (fé
riceverebbe con piacere , per far profitto de' nuovi lumi ,
che ai .Mondo comparir vedreb- be. Lamentandoli ancora il medefimo
P. Malebranche , che li ut piar imam, qui adverfus quafdam Pbilofopbia
veri - ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob- firepunt ,
quibufdam innovatìonibus in Tbeologia detefiandis, pertinacia! a db
at- tere 1 & indulgere videntur-. Quando i fe-
Digltized by Google iò 5 i feguaci fteflì d”
Ariftotel® , Ammo- nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au- tori,
avvertirono non dover effere gl» Interpetri ^cogì attaccati
a’fentimenti delmedefimò» cornei ex tripode pro- nunziati, e tanto
meno , come fetta- rj fcguirgti . Ammonio così: Horum . vero
explanatcr debet ; neque per bene - volentiam afiruere conari ea , qua
per - per am funt ditta , ac velati a tripode ea recipere t fed
fuum ìpftus adferre dicium . Simplicio in quell’ altra ma- niera :
Dignum autem Ariftotelicorum fcriptorum expofetorem oportet , non
ef- fe vacuum undequaque magnitudine il- lius mentis . Oportet
quoque judicium babere fwcerum^ jut neque ea , que re- tte ditta
funt , malo more fufcipiendo , invalida ofiendat , neque ft quid
ani- madverftone indigeat , omni contentane inculpabilia moneret ,
velati in Pbilofo- pbi fettam fe fe infcripfe/tt • Anzi infra
i Giureconfulti ancora , i quali a guifa di Filofofanti fi divife-
ro ugualmente in fette , chiamandole Tul- v
ioS Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi,
ch’eglino non erano cosi pertinaci in feguire le loro fette , che
liberamen- te non dicefiero i loro proprj lenti- menti , ed alle
volte a quei della con- traria fcuola non aderifiero , come fi vede
praticato tra Capitone , e La- beone > i quali furono i primi
fetta- tori affatto contrari fotto Auguflo ,* e fotto Vefpafiano ,
ancorché vi folle quella de' Proculejani , e Pegafiani , e l’altra
de’Sabiniani, e Caffiani, af- fai più contrarie fra efiò loro ,
perchè quei 1’ Aritmetica proporzione, e quc- fti la Geometrica
feguitavano, gli uni Stoici , e gli altri Accademici elfendo; nulladimeno
fu riguardevole la loro modeflia in non aderire tanto fervil-
jnente alle loro famiglie , che volle la loro modejflia avellerò
apportato freno alla libertà delle loro opinioni. Matiifejia futi ,
& confpicua vtterum Jurifconfultorum mode fi a y quod non ita
nec certa alicujus feSìa opinionibus, nec futi quoque peculiaribus
fententiis inh il quale ragionando di Cello; contrario alla
fetta di Jabo* leno , fotto Adriano > e Antonino Pio f così
loggiunge : Et fané videtur bh Celfus non adeo partium fiudiis
addiSlut fuiffe ; • quintino Uberrima voluntate in utraque verfatut
barefi , & qua ( ibi ad palatum fuere , nullo babito feSìa fua
refpetlu [elegiffe . E in ritornando al medefimo Arinotele , leggeli
nell’ O- pere di effo lui, ch’egli non prelume- va tanto di fe ,
che altri onninamen- tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif- fe un
autore ) noi docet Arìftoteles * quam quod etiam docuerat Plato :
ni» mirum fe ipfum refutare. Dicendo dife quello medelimo autore.
Omne equidem genus Pbilofopbia peragravi , nulli acqui e f- co,
& quamvis ex pr : mis fludkrum rudimen- ti! , Peripatetici , Stoici ,
aut Ac aderitici audivimus, pofiremotamen fapientijjimum
quem- IO? f uemque Scepticam faSlum ,
tanquam ffanum aliquem in fetenti* campii in - gredientem video . E
chi fece la nota al libro del fuddetto autore, foggiun- fe : Plato
docuit Veritatem omnibus re* bus effe anteponendam . Male ergo fibi
confulunt , qui veterum , a ut Arijlote - ìis placitis ita ob finate
inbarent , ut tnalint cum illis . Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi
Pare * '■ r», e nelle Mofetc , e di Francesco Re- di . Il
nobilissimo ritrovamento dell* argento vivo ne* cannelli per la
prova del vuoto del Torricelli , efaminata alla lunga dal P.
Bartoli Gefuita : de* Vortici del gran Renato ; e di tanti , e
tant* altri ritrovati del Verulamio , del Sorelli , del Keplero , del
Gil- berto, dello Steiliola, del Campanel- la , del Digby , del
GaSTendi , del Boy- le , ed’ altri. Neil’ Algebra il Cardi- nal Slulio
, che non ha rinvenuto col fuo libro Mefolabium , e il Cardinal
Ricci in quello De maximis , & mini- mii ? Nell’ Agronomia che non
hanno fcoverto i moderni ? dimostrando i Cieli edere fluidi, e non
più orbi So- lidi, come vollero gli antichi : i pia- neti Stimati
prima fare i loro giri in- ili >» torno
alla terra , muoverli intorno al Sole; Venere mutar le lue fall , o
figure a gutfa di Luna : Mercurio , e Marte ancora far lo' Hello :
Giove • « t edere circondato da quattro delle ,
chiamate Medicee, e Saturno da cin- que altre , come ditte il Cattini .*
ef- fer la Lunà un corpo di fùperficie di- fuguale , e montuofa :
ritrovarli nel-- la faccia del Sole molte macchie di' difuguale
grandezza , e di varia dura* zione, agli antichi affatto ignote;
eia qualità, e difpolizione delle Comete» e d’altri corpi celelti
non intefe da A- riftotele , ed ; inveftigàte da Ticone ; e
dal" Galilei : la Zòna torrida ere- duta inabitabile, etter
abitabile, Antì- pode! , qui imaginarìì dicelantur , nunc rt- vera
effe t & alia f excent a , ditte il noftro Luca Tozzi nella fua
Lezione: e final- mente l’agghiacciamento de* liquori non etter
condenfazione.ma rarefazione con- tra Ariftotele:ne’gravi cadenti accelerar-
fi il moto fecondo i numeri fpari , ed ef- fer il tempo radice quadrata
dello fpazio de- r I «
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V I 1:i r 11.
' avverandófi quello, che dagli antichi (ledi fu pre- detto
, e fi confeda da Cicerone anc'o^ ra : O pintori um commenta delet dies
't natura judicia confrmat . E però egli è vero , che quella
Filofofia d’ Ari- notele dagli Àriftotelici (ledi non è altrimenti
commendata , così dicendo 1 il ; medefimo P. • Podevini i' Deiride
monjìrandum ( id quod etiam tritura ejì apud omnet Ariflotelicos )
nidiata- e!}e in Arifìotelis libris fcientificam de- fnonftrationem
qua ' perfedìiffma fit y & omnibus numeris abfoluta' it agite
nàti effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La quale ha avuto- tanta
varietà , ed incodanza di fortuna , óra 5 abbrac- ciandofi , ora
rifiutandoli > che nul- la più , dome fi può- leggere Irt quel
libro di Giovanni Launoi ^ quin- di in fimil calo ebbe a dire un
au- tore Francefe : In effetto fi vede 1 '; che la fortuna
ugualmente efercita il fuo capricciofo impero . fopra 1‘ opinio- ni
, che jopr a /’ altre coje umane ; . H ma ma. non già
fopra ìe mentì purìffime , e tétte de’ Tanti Padri, da* quali lem*
pre è (lata bìafi mata, come nociva al* la noftra religione , e proibita
da’ Sommi Pontefici , e da* Concili ltefli, com* è detto, e da
quello Lateran eTe nella Seflìone ottava affatto vietato da
infegnarfi piu nelle Scuole, come rap- porta il Campanella , e Neri nel
libro, detto Setta Pbilo - fopbica , dicendo quefti ; Pracepit Con-
ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo- telila non immorari ,
quoniam babet ra- dica infetta!. ' J ' ' * * i .
, Ma Te, come poco dianzi io dilli , fra tanti Filofofì , i
prìncipi di Rena* to fono piìi conformi alla nollra reli- gione,
chi non dirà, che colf ui, più che Ariftoteie .feguìr li debba ?
Perocché chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri- lliani co* medelimi
principi di Renato, li uniformerebbe Co’ fentimenti d’A- goftino
il. Santo , da cui o avvertito Renato , o Renato col proprio
fpirito Criftiano, e filofofico meditandogli ,
Digltized US gli ha pubblicati , e dirteli. Parole
del Santo , nella Città di Dio , fecondo i documenti -del quale
compofe il fuo Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi- lofophi de
-Dea fummo > & vero ifìa jen- jerunt y quod & rerum creatarum
fit ejfefior y & lumen cognofcendarum , & borni m agendarum
» quod ab ilio nobis ftt & princtpium'- natura meritar
doZìrin# * & felicita s vitee , five Pla- tonici accomoda tius
numupentur ? fi ve quodlibet aliud fu a feti a. nomea impo * nani ;
five itant ammodo J onici generiti- qui in eit precipui -fuerunt , ifìa
jenfe - rinty ficut idem Plato , & qui eum be- ne intellexerunt
: five etiam Italici prò- pter Pytbagoram , &• Pytbagoreos , &
fi qui -forte alii: ejufdem Pententi# in ìd idem fuerunt : -.five
-. aliar um quoque gen- tium , qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba
li , Hi f pani. , alìique reperiuntur , qui boQ viderint. , ac docuerint
; eos amnes. ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò -tV* H 2
fin - x 1 6 pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f
vo- lt fle co’principj diRenatofi unifor- merebbe con S. Gregorio
Nifleno, di- cendo egli nella narrazione della vira di Moisè : Si
immortalerà effe animarti Pbilofopbus perbibet tic, & Deum effe
non negat , - creatoremque omnium , d quo curiti a depende nt , &
vere adfeve - rat , ac rationibus quantum fieri potè fi ,
demonftrat ; propìtius nobis Dei angelus fiet. Quella adunque è la
Filofofia ve- ramente Criftiana , e non altrimente Pagana , come
quella d’ .Arinotele Quella è la '. Filofofia veramente cat- '
tolica , fecondo gli avvertimenti de’ fanti Padri-.»..... .
Quella è quella Filofofia di Rena- to, il quale fdegnando di vedere
piò- involte , e deturpate le fcuole Criftia- ne nelle Filofofiede’
gentili, meditò, e diltefe una Filofofia affatto lontana dal
Paganefimo , conformandola, alla, noffra fanta religione, alla quale
pa- reagli , che folo mancafle ,* per laper • egli molto bene , che
Definitisi! erat - - i Pia - » r
«7 Plato J & Arinotele } , po/l mortem Cbri - fii , &
eo rum I afte atta in Ecclefta pro> nibilo' babetur , come il
dottiflìmo Re- my l’Arcirefcovo di Lione , re l’ avea infegnato
colla fentenza fuddetta; de- liri dimando le Filosofie d’ ambedue
il piiflimo. Prudenzio , in quella ma-: niera dicendo . ,t
Confale barbati delir amenta Pia - >tonis .« Confale »
& birce fot Cynicos > quos • fomniat , Ó* quos Texit Arijloteles torta vertigine , -nv-
nervotv • Quella .è quella Filofofìa di Re- nato il quale
confederando , che tutta la Filofofìa Agoflino il Santo
diftinfe in due foli principi , che fo- no 1* immortalità
dell’anima , accioc- ché noi ftelfi riconofciamo ; e 1’ efi- lienza
diDio» acciocché riconofciamo la noftra origine . Pbilojopbi#
duplex guaflio e fi , una de Anima > altera de Deo . Prima
ejficit y ut'nofmet ipfot nove rimas : altera originerà noflram ;
H 3 fon- ri8 fondò i principi dei fuo
fi'lofo/are fu quefte eterne,. ed infallibili verità., v ;
.Quella è; quella Filofofia di Rena*, to, la quale non folo , come
didi, fu > lodata da tanti e tanti Relig'tofi , ed uomini di
fantiffima vira,. -ma fpecial- mente dal P. Merfcnni ,
intendentifli- xno delle Matematiche, e 'Teologiche fcienze , così
dicendo in un' Epiflola : Son refiato forprefo , che .un -uomo , il
quale non ha fluitato in Teologia , ab - ha rifpofio sì fondatamente /
opra punti import antijfimi della noftra religione . lo l'ho
trovato così uniforme- collo, fpirito , e dottrina dì Sant' Ago fino.,
che. offerì vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti dell'uno ,
e dell altro . E più oltre così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes
infptra Soavemente l' amor di Dio , di modo che non pojfo perfuadermi ,
che la Filofofia di lui non fta , per Aornare in bene , e in
ornamento dell a.. ver a re - ligione . Ed in un’ altra Lettera. ,
che fi legge registrata nel primo Tomo della Geometria . del
medefimo P. Mer- Merferini, cosi feri ve à Retiatd
fteffiò:' Quibus omnibus , cum a udì am Pbyfii cam illam 'ab
eruditi: viri: adeo exo- ptatam , prope dieta edìturum , qud longe
perfeSfius cum dofir# fdei myftfr riis conveniat > omnium
catbolicoriim nomine iibì maxima: ,qua: poffum , gratids b’abtó
> qui non folum Pbilofp- pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV
bus tam feliciter patrocinarli V ’ ' , . Quella è quella Fflofófia
di Ruba- to , alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù Parlier Antiqua'
fide:, Tbeologia no? va perchè Vincenzo Lirinefe dicea, Ecclefiam
non dovere nova , fed nove \ Sòltenendó egli , che i principi di
Re- nato fono più acconci > ed oppdrtuni di quelli , onde fi
fervono' volgarmén- te gli altri , in ifpiegando ì mifteij della
nolfra religióne - , ‘ e :che non "vi fia cofa nella fua
Filófofià > che non s’accord» co* principi della hofira Chie- fa
cattolica , così il detto Parlier at- teftando ; Ma egli ba fatto altresì
ve- dere t non avervi altra Filo fifa ,~che d H 4 me-
1 t V ! , .1 b*
‘H*’ •h »• .t no
meglio della fu a j* accordi co’.prinìcpj della fede della Cbiefa .
: .. ... Quella è quella Filofofia di Rena* to , della quale
il profondo , ed acu- tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu* .cle ne
diede il giudizio . , e prefagio infieme , dicendo., che 1' opinioni
di Renato faranno un giorno comuni . ed univerfalmente ricevuta ,
toltene però alcune pochiflìme cofe, copie ri* ferifle llaut I pj;e
G della vita del medefi- mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto ,
che l opinioni del • DejcarW,. diverrei * ** » « Li V. • • » »* A'i
. * * botto un.', giorno affatto comuni t e fareb» fono
univer/aìmente ricevute . , rr»r alcune poche . E con ciò
verifican- doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf- fone, intorno
ad Arinotele Iteflò , di- cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile ,
le quali innanzi (e vittorie di Siila non erano introdotte , nè
conofciute in Italia , potrebbe venir tempo , che non oftante /’ ofiin
anione degl ’ idolatri di quel Filofofo , fi vedranno f cartate , *
. / r Quella è quella Filofofia di Renatola * V '
Cattolica religioni* profefftone perfeverans y me prafente , &
exbortante , mortem cum vita commu- tanti , Cbrifti Salvator»
redemtionem petit ur us . In ipforum fidem coram Dee tejìimonium
perbibens , prafentem Aflum fubftgnavi in Conventu SanEìi Augufli -
ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667. Que- o pur
per geiofia di gloria» da cui vien tócca, e facilmente turbata la
Repubblica de’ Letterati . E fe in alcune cofc la Tan- ta .Sede-ha
voluto , che refii donec cpYrigatur , potrebbe alla fine la San-
tità' Vostra purgandola , fedare tan- te liti, e difpute , ancorché il
contra-, rio malamente pretenda, e con danna- bile temerità la
famiglia d’ alcuni Re. ligiofi , Solo per mantenere odi nata- mente
le loro opinioni nelle loro Filo- fofie , come vien riferito dal P.
Gre- gorio di Valenza , dal Vefcovo Fra Melchior Cano , e da altri
. . Ma refiino pur nelle , fcuole que- lli , e sì fatti
argomenti , e ragioni intorno alla varietà delle Filofofie, e
Vostra Santità* a cui s’appartie- ne di fiabilirne la verità./
perocché non **$ non ceffan mai tali
contefe ; concor. dandoci piuttofto , come Seneca ditte» la
divertirà degli orologi ne’ momenti» che de’filofofànti le fcuole,e
partico- larmente tanto più fiere , quantochè fono d’ ingegno ;
ond’ ebbe a dire uni certo autore: Citiut in gratiam , pojt mutuai
cladei ingerita redeunt 'regei- »' quam partium fìudio infiammati
pkilo- fopbi . Vnaqueque enim feda ( Lat-' tanzio ditte-) omnei
aitai- evertit , ut fe j fitaque confrmet , nec ulti - alteri
fapere conce dit , ne fe dèfipere fatea - tur . Ita ut ( foggiunfe
Eufebio non lingua , & calamo foltim , verum etiam manibui
pralium -geratur . E sì fiottili ? e facili in rifutando beifando
1* una 1’ altra , com’; egli’ è più agevole il riprendere , .che 1*
insegnare ■; il convincere la bugia , che ritrovare la verità E. in
ve-- ro che ha che fare la Filofofia u— mana colla - ' celefte ,
eh’ è • la reli- gione , così appellandola Crifnftomo in più luoghi
? Religio Cbrijìiana ve- Digitized by Google
I.i6 9 0 • vera » & caelejlìs Pbilofopbia eft . Che
hi che fare la Filofofia umana > o fia l’an- tica , o fia la
moderna colla fede , quan- do non v,’è altra Filofofia più vera,
che la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam folata comperi efse ver
am , atque utilem Pbilofopbiam .» di/Te Giudino . C fe al- cuna
cofa di vero avellerò detto i Fi- Iqfofi , come ingiudi pofleflòri di
quel- la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi- lofopbi vera dix/rqnt
, ab eis effe tan- quam injufiis poffefforibus vindicanda . E però
1* Apodolo delle genti , fopra ognaltra cofa efprelfamente comandò:
Captare intelleRum in obfequium jidei noe debere qua rat ione demon
- firari nequeunt . Conciolfiecofachè la nodra fede derivi da
principi altiflìmi, e fopraqnaturali . Che ha che fare la ragione
umana colla Teologia ftelfa ? Qjtemadmodum enim ( dice il Ver u la-
mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua* rere per inde e fi , ac fi viver
quarat inter mortuos , ita contra Pbilofopbiam in Tbeologia quarert
aliud non e fi V quarti mortuos quarere inter v'tvos . Ol- treché
la Filofofia egli è ancella , e ferva della Teologia medefìma la
quale , come regina , delle fcienze , tragge dietro di fe incatenate
tutte 1* altre facoltà > e difcipline umane ; la. qual cofa in
piìi luoghi vien detta da S. Gio Grifo domo. Ex Pbilofopbia res
divinar intelligere velie , e fi candent. ferrant i , non forcipe yf ed
digito contee Slare . Lo fteffo in quelF altro modo .* Nibil
commune babet bumana ratio collata in divinis ; ideoque *
blafpbemia I \ 1 '
4 *# . | f ■' condan- nata per
comune parere de’ mede li mi Arillotelici , • a tellimonianza del,
!*. PolTevini di fopra lodato ; ardirono di dire quella eflere la
vera -, quella elTere la più certa, quando mon effer- vi niente di
vero , e di certo nelle Fi* lofofie , Porfirio dilTe : Nulium effe
in Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo Hello altrove : De rebus
Pbilofopbia multa diSla effe a Gradi , veruni ex conjeSìura .
Quindi è, che.Adexerci- t attorie m ingenti Pbilofopbias > effe
inven- tar ,-Seneca manifellò . £d altrove co- sì : Pbilofopbias ft
elegantias , & argu- tias dixero , reSìe cenfeam appella fj e .
Anzi dalle ciance , e favole de’ Poeti } efler quelle originate arrelìa
PlutarcOi Omnes videlicet P biìofopborum feSlas ab fìomero
originerà fumfiffe . lpfeque Art - fioteles fatetur Pbilefopbos natura
Pbi - lotnytbos , hoc efi fabularum fludtojos ■ ' '/•
.--J Digltized by Google li*
effe. De’ quali per li loro fogni , e fe- gni dati alle delle ,
diffe Manilio Fit totum fabula Coslum — • '• . Vuole
però Macrobio-» che Nec omni- bus f abititi Pb lo jopbia repugnai , nec
o- mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio fpezialmenre chiamò' la
Filofofia d’A- ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg- gendoli
preìfo Varrone' ancora : Porre- mo nemo agrotus quidquam (orrtniat
tam ìnfandum , quod non alìquis dìcat Pbi - Jofopbus . E predo
Cicerone lo (ledo: Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici potelì ,
quod non dicatur ab aliquo Pbi - lofopbo . E parlando della
barbarica Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi ne lafciò fcrirto:
Quod hi novi Pbilo • fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti ,
diconfot- tigliezze , e noviradi , e varie Filofo- fie con parole
miftiche , e figurate , che nulla conchiudono , come di Por. firio
l’Ariftotelico , tanto nemico de* Crittiani , e della Criftiana
dottrina cantò il Petrarca: Pot firio y .cbe d'acuti,
fillogifmi Empiè la dialettica faretra , Facendo contea s / vero
arme i fo- fifmi . Dicendo fimilmente il Petito , eh’
e- glino (ledi non intendono quello, che dicono, e tantomeno gli
uditori. Non ìntellìgunt neque , qua loquuntur , ne- que de quibus
affirmant . Il ,he fece dire al Verularmo : Habet hoc ìnge -
nìum bumanum , ut cum ad folida non fuffeccrìt , in futihbus
atteratur . Po- co o nulla badando, quando fentono altrimeore
parlare nella Teologia dell' Evangelio , de’ Padri , de’ Concilj
Aedi, come n’avvifa il P. Malebran- che . Nejcio tamen qua mentis
per- turbatione nonnulli eferantur , fi ali- ter quam Arijìoteles ,
pbilofopbari a si- de as , dum parum curant , an in re- bus T
beolcgicis ab Evangelio Patribus t & Concilìis non difeedas . Il che
fu detto primamente da Monlignor Ciam- poli , chiamandogli in primo
luogo ambizioni di parere più Peripateti- ci , che Cattolici , poi
fclamò; Che perversione di gìudicio è quefia , volere
f ...Il f f !
i fk • « ,j t|
Sì * Ir 134 introdurre una
religione più fedele ad Arijlotele , che a Dio ? E quel eh’ è di
maraviglia, proccurano coltoro ('dice l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di
jof- fogare tutte l' altre fette nella maniera dagli Ottomani ujata
, i quali non la- j ciano vivere alcuno de’ fuoi fratelli , per
ijlabilire sì magi fralmente i loro do- gmi in tutte le fctiole Crìfiane
. Come riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula- mio. Arifìoteles
more Otbomanorum re- gnare jebaud tutopoffe putaret , nifi fra -
tres fuos omnes trucidaret . Credendo ancora di ritrovar in quello loro
mae* Aro la falute , e di Ilare con elfo lui sì llrettamente
attaccati , come ad un fallo, ad uno fccglio , qualìchè foffe- ro
buttati da una tempella per fuggi, re il naufragio . E così appiccati ,
ed ubbidienti , dice un altro autore alla Filofofia del medefimo ,
che fembra lor commettere un delitto di fellonia il partirli un
menomo punto da lui , in modo che non dicefi Peripatetico chiunque
in tutto non s’ abbandona a’ fen. Digitized by
Google H5 feriti menti del medefimo. Eaàem men-
te ( dice il medefimo P. Malebranche in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta
di- scenda eji , qua leguntur bì fiori* ; fi enìm eo licentia
deveniat ut ratióne & mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-
res te evafurum effe in magnum Philo- fopbum : oportet enim difcipulum
ere. dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo- pra lodato , in
quell’ altra maniera .* Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-
no di pubblicare , che non bi fogna Sof- frire alcuna innovazione nè'
riformazione nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo piezzo
per. renderle perfette . • Ma. a chi creder affi; piuttofio , a degli f
chiavi , e mercenari* che non. fanno jemplicemente, che. difiribuire
per gli feriti i t e per le loro lezioni la dottrina , ch'eglino hanno
tro- fvata negli ,.fcr itti degli altri} E pi fi oltre il medefimo
Sorel così : Ci fino delle perfine così f empiici , che credono,
che non fi debba ; rivocar pili in dubbio quello , eh' è in Arjfiotele ,
che quello » eh' è nell' Evangelio . , ■ . .. I 4 ' Non
■ i ¥ ' »
I l‘ " .vjfl :
l*V « / !> 4
1 Non mancandovi ancora degli altri, ì quali per difendere
cotefta lor Filo-, fofia fi danno alle maldicenze , ed alle fatire
, poco avvertendo non ef- fervi fatira maggiore > che quella
della ragione llefla , la quale rende bugiardo , ed ignorante colui ,
che vien convinto da fbrtifiimi argomenti , facendo ingiuria ancora
a tanti uomi- ni dabbene , e a tanti Religiofi, co- me fono i Padri
de’ Minimi , e i Padri dell’ Oratorio , ed i migliori Gefuiti , eh*
han feguitato la Filo- fofia moderna , e foraftieri , e Ita- liani
, e in Bologna particolarmente , dov* è Campata la Filofofia moder-
na , fotto nome Burgundi a , infegna- ta pubblicamente a tempo ,
che Vostra Santità’ era ivi Legaro . E perciò coftui in quella
maniera vien riprefo da Sant* Agoftino : Illius [cri- pta fumma
funt , & au fioritale dignif- ftma , qui nuìlum verbum , quod
revo- care deber et omifit . Hoc quifquis non efi adjequutus
fecundas babeat partes *37 modeftU , quia primas non
potuti ba- lere Capti nti & catbedrar primas ambiente s ; in
quello modo con in- crepazione favella : A deo nimirum
altercando • non modo verità f arnitti- tur , jed caritas
exjìinguitur , & dif- pntandi modum majorum exemplo tan- tum
agreffos , nulla modeftia repagu- la cohibent ; ; Onde Luca
Holftenio eruditilfimo Bibliotecario , -dolendoli della difunione
della Chiefa Orien- tale , ed Occidentale ebbe a- di- re :
LuEluofum fcbtfma Orienti! , & Occidenti s Ecclefias divìdens
induxit dijput aridi pruritus , omnia in quafito- nem , &
controverfiam > • poftb abita cantate , adducens ; nulla venta »
' tis cura , fed uno vincendi ftudio ; .e a confuet udine , vel
opinione aliis legern fr^jcribens » & quod • mife- ra
, Digitized by Google * 3 $ ra j ó*
afflìtta fortuna duri (firn atto ha- hjet , é? iniquijfmum efi, qttod ir,
fugati- ti um ludibriis impune pateat -, Dicendo un altro autore :
Jd nec Pbìkfophum , multo minus Cbrijlianum decuiffe videtur. Nè
qui termina la loro baldanza, ar- rogandoli , ]a medelìma poteftà
della SENTITA'- Vostra in condannare quel- lo., che non mai ha
condannato nè Vostra Santità’ , nè altro Pontefi- ce , dico, 1’,
opinare nelle Filofofie, for- zando gl’ ingegni umani a feguir folo
ifentimenti d’un gentile. Peripatetico, e con noyp giogo privarli di
quella li- bertà, ch’.abbiamo per diritto di na- tura , e per legge
d’ Iddio , che ci ha Jafciato il liberamente penfarc e medi- tare
:> il che è quali l’ unica, e fola ra. gione , colla quale provali ,
che l’uo- mo lia ragionevole, e l’anima immor- tale . Quindi è ,
che prefe giufta oc- cafione Tommafo Moro ( alle di cui lodi ogni
penna è ..vile per elTer egli chiari (fimo non meno nelle lettere ,
che nella pietà Criftiana, per la quale *39 facrifìcò
fa vita , c i beni , e la fami- glia della ) di formare
appodatamen- te una DilTertazione intorno a que* Teologi di fuo
tempo » dandole que- llo titolo : Differtatio Epiftolica de a- lìquot
fui tempori s Tbeologaftrorum ine • pt'jis ; non per altro , fe non perchè
quedi co* principi d’ Aridotele difen- dere voleano , o piuttodo
offen- dere la Teologia , • in quella ma- niera fgridandogli :
Quamobrem piane non video qu qui in fuo fterquilinio fuperbit >
ac. extra illa fepta fi panilo producatur longius » illico ignota
rerum omnium facies , tene- bras > ac vertiginem offundit . E più
ol- tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi- rum in modum verfa rerum
vice contin- gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in
argumentoja loquacitate pofuerat > jam I fenex infantijfimus omnibus rifui foret
~ nifi fluititi^ fu* fuperciliofum fuentium t fapientia loco
pratexeret ; imo potute hoc ipfo ridìculus , quod qui fuerat
Stentore 'damo fior , taciturnior pj[ce reddatur , & inter loquentes
fedeat , v" * ' % Per fon* muta > truncoque
ftmìlli- tnus Herma. • . * ' E Umilmente
Gio. Gerfone il gran Cancelliere della Chiefa , e dell’U* niverfità
di Parigi , non potè atte- nerli di non- querelarli ancor egli de*
Teologi di fuo tempo , in que- lla maniera dicendo : Cur appellati-
tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl* , ut verbofi , imo &
pbantafiici , nifi quia r elidi is utilibus , intelligibilibus prò
auditorum qualìtate > transferunt fe ad nudam Logicam , vel Metaphy
• ficam , etz/nw Mathematica™ > ubi t & , quando non oportet
, i». ten fionc formarum , nunc de div'tfione continui , nunc
detegendo fopbifmata The- ologicis termini s adumbrata , pri-
ori- Digltized oritates quafdam.in Divini! , menfuraf
% ' durationes , injìantias » ftgna natura , éf ftmilia in medium
adducentes , vera r & foli da effent , ficut non funt ,
ad fubverfiotiem tamen magie . audientium • , vel irriftonem , quam
re Sì am fidei adipe ationem proficiunt . •• Come eziandio de’
filofofanti diiuO tempo il giudiciofiflimo Niccola Le- oni co ,
{limato il più dotto delia fua età , nel Dialogo , a cui diede il
titolo di Peripatetico , così lafciò fcritto : An non ego decem integro s
annos , borum auditori a , ne die am ìufira , ad fidu a contrivi
opera ? om - nefque illorum ineptiat , . &
futile s co- ptionum tricas , ficcis , ut ajunt , an* ribus ebibi ?
anxie femper quteritans fi quid inde excerpere poffem , ne va- cui
s , quod dicunt , manibus & ofei- tans domum rtdirem . Verum
, Dii immortale s , quam rerum inanità - tem ■ apud silos ,
quantam ? ■ u ? r
I y i r4.it:
mìb't magis fapere vifus fum , f »» quod cum Ulti de fi pere
aliquando de (li- ti ; » così egli' ragiona ? Quofdàm
pbilofopbantium avibus fimiles vide ri, qui levitate quadam , &
ambi- tione ingenti e lati , alta petunt , & Phiftca fcrutantur
tantum : aliot cani- bit t , qui laniare , & vellicare avidi *
foli Logica adbarefcunt ut pelli , & in ea rixantur , & mentem ad
ulteriora non mittunt . Indi leggiamo predo La* erzio , che
da Euclide fofle fiata no- mata la Logica Rabiem difputandi : e
leggiamo ancora che Arifione antichif- firno Filofofò quelli tali Cum iis
compa - rabat , quicancros comedunt . Nam prò- pter exiguum
alimentum circa crujìas , & teftat diu occupantur .
Quindi Mario Nizolio, che fece un Trattato de' veri principi , e
del vero modo di filofofare, fi lamentò non po- co di Leonico
parimente , e di Pico , com’ eglino s’aveflero folamente
rifen- tiro degl’ Intepetri e non d' Arino- tele , origine, e
caufadi tutti. i mali* così dicendo: Hac quoque Jo Pieus Mi-
randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter- prete* conqueritur , &
vere Me quidem t Jed quemadmodum Leonicus , non cami- no jujìe ,
quia pratermittit eum , qui tan- forum illis errorym. c auffa fuerat ,
boa eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì e faci* , cum de foli s
Ini erpretibus Arifto- teli $ quereris , ipfum autem Ariflotelem ,
qui omnium malorum cauffq , & origo f it- iti. » omittis ; dìcen* te
perdidiffe meliores anno* , tantafque vigilia* apud Interpre- te*
Arinoteli * , & nollens illud dicere quod erat verius , eadem ■ illa
omnia te multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ; Per la qual cofa
pareagli , che miglio- re d’ ognaltro avefle fatto il Valla , che
lafciando gl’ Interpetri fi prele la briga in dar la colpa ad Ariftotele,
co- me vero autore, e primo fonte di tan- ti errori , e fallita ,
riprendendolo a- pertilfimamente dov* egli andò errato. Maravigliandoli
grandemente il mede- fimo Nizolio ancora della barbarie del
, . lor favellare , Qui 5 e fi enim in fcbolit ijiorum
pbilofopbaflrorum tam parum ver* fatti s , qui non centies audierit ,
potentia - Ut atei, quidditates . entitates , ecceitates ,
univerfalitates , formalitates , materiali - tates , & alia Jexcenta
hujufmodi verbo - rum monfira , qua qui pattilo frequentiut
ufurpant , ufquc adeo l^duntur , & per • vert untar , ut neceffe ftt
eos , non folum valde falli, & errare in pbilojophando , fed
etiam in loquendo , & fcrìbendo ve - hementer fadari , &
confpurcari . Co- me ugualmente molto fé ne querelò Apulejo per
alcune novità di parole a fuo tempo introdotte , le quali difle egli
non fervire che all’ofcurità delle cole. Datar venia novitati ve ri or um
, rerum obfcuritatibus fervientibm . E fi- nalmente cosi il
medefimo Nizolio tutto il fuo difcorfo conchiufe: Qui- bus ita
monftratìs , ut tandem aliquan- do & Caput hoc pofìremum , &
totum bttnc Librum abfolvamus , ita concludi - K mus
, X4$ tnuf , ut reììnquamus duo memoria man»
danda , & adfidtte diligenter cogitanda omnibus , r^iìte pbilofopbari
cupiunt , quorum unum e fi , Ubicumque, & quot» Cumque
Dialettici, Metaphyfìcique funt , ibidem , & totidem effe capitales .
veri i latti bofìes : alterum vero » Quandiu in fcboiii
pbilofopborum regnabit, Ari fio - rrtex 7/te Dialetticus , Ó*
Metapbyftcus, fonditi in eis & falfitatem & barbari - fi» „
fi non lingua & orit , at perocché la Pitagorica >
nomavafi Italiana } ila Platonica per efler egualmente Pitta*
gorica non potea (limarli , anzi piut- tolto dottrina , e Capienza >
tche •Filo* fofia, come dipendente da quella de* gli Ebrei. La
Stoica poi , Epicurea , o (ìa Democritica riguarda più la Mo* tale
, e il regolamento de’coltumi .che altro. E quella d* Arinotele io 'fon
per dire edere la medeiima con quella d* A ree fila, (limata la più
enorme ; per- chè quelli malamente (i ferviva della Platonica ,
infegnatagli da Crantore Platonico t imbrattandola co* (odimi di
Diodorot (ottilifiuno dialettico , e col mutabile» e fuggitivo di
Pirrone* acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che dicealì di lui »
come narra Plato > 'ex pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo •
rui ; E (eguitando Eufebio (ledo » cosi parla di lui : H/c autem
fubtìlìtch tibus-. Diodori , qui actttui dìalefttcus erat , . &
Pirrbonis ratiocinationibus Pia* tonte am eloquentiam feedavit ■ , &
modo K a toc y / I
I > «I * qua ! pria ! aflruxerat
, confutare . Erat igitur Hydra capita fap proprio enfe amputanti
nec aliquìd habem utile » , nifi quod libenter > & audiretur
, & videretur . E dell’ of- curità , e ftrepiro di parole , di
cui fon pieni i libri d’ Arinotele con ter- mini vaghi , e generali
, in modo che appena rinvenire fi poflan due , an- corché fuoi
feguaci , e Tettar j , che convenir fappiano in un medefimo
fen- Digltized by Google fentimento ;
ecco il P. Malebranche come ne fa chiari/lima testimonianza: Quamvii
cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am fc docere adfeverent & autument ,
vìx tamen duo reperientur , qui circa ejat fententiam inter fe
conjentiant ; quanti, am revera /iriflotelis libri adeo objcurl
funt , totque fcatent termini t vagit & generalibui , ut eorum
opinione s , qunC ipft maxime adverfantut non fine verift-
milìtudine pojfìnt ipft trtbuì . In non- nulla illìus operibus quidlibet
ipft adfcri- bere lìcet , quia in ijs ntbil pene dicìt t quamvts
multa magno (Irepitu deblate- ret : quemadmodum pueri campwnas fo-
ndu fuo quidlibet dicere fingunt , quia campana ingentem edunt fonum ,
nec quicquam dicunt . ' \ Quindi non fenza roSTóre de’
me- desimi Ariftotelici Gio. Sculero nell* Orazione per cosi dire
inaugurale , eh’ ei fece intorno al riftauramer- to della Filofofia
con quel princi-’ pio-: . ‘ i diffe : Quid magli
noxiura Cbrijlìanre }uventuti Cógitarì fot e fi , a tenerti
audire ? Quid periculoftus quarti tene* riniti eofum animiti > qui ad
majo » ra defìinantut , & qu bui > juo tempo • re > fine
ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad L tninìfiratio committenda , talia , in fi
ahi» lire , aperte Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t
inftitu- tì \ five ex adfeSlu erga praceptores. certi! opinionibui
adharent , omnia fe- cundum illos dtjudicanl , quacumque auEìor
ìtale y & demonflratione po fi b abi- ta , ad eafdem trahentes
quidqutd au- diunt i qmdquid ìegunt . Il che fo al- mamente difpiacque
ancora a Rodol- fo Agricola , uno de’ primi - letterati del fecolo
pattato, (*) che di tanti FU lofofi 'dell’ antica età era folamente
- • * ■ * ■ * * 4 ri- • * • » • m 1 , -»«.
% • * • * »• » •> * , (*} Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il
Signor Valletta { criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun- tò : ma
veramente Agricola non toccò plinto il decin*ofefto fecolo , pbiché
nacque Tan- no *44 x.e mori l’anno 1485, come notò il Trite- mio •
* v Ci u *
ir tì ì 1 • f
y v» A' r
(■ ’i I \ t
I 'I Jil f
:n ; -ib, pra coftui muore T ultimo Audio
de*, vecchi . ... Ecco le Aie parole ? Quid de Ari ftotele die am ?
hic gnìm prope* modum [ohi omnium prife a alati! Pbi- ìojopborum
permanfit in manibui : hunc [ohm , -, qui \ Pbilojopbite , defìinantur
, attìngunt : hunc .primum pueri difeunt buie ultimum jenum jl
uditi m immori - tur : hunc artet omnei , omnia fiu* diorum genera
terunt , trahunt,, dif* cerptmt . Ma non già dopo che il Cartello
aprì, il vero fentiero al mi- gliore , e più certo modo di filofo*
fare;, che ad un Criftiano convenga*. Come ugualmente tutto ciò fu
con» fiderato dal dottilfimo Vanhelmon- zio , dicendo ; Jndignor
& merito » quod ScboU •• Pbilofopbia ethnica ado » lefcentet
male ìmbuant . Lamentan- doli egli fra 1* altre cofe , non ben convenire
la definizione pi che Ari* Itotele diede all* uomo chiamando- lo
Animai ' Rat tonale ; , ■ • non avendo egli conofciuto la Tua creazione
> nè T effetto d’ ella ; e perciò 1 , dice il fud« detto
autore malamente fervirfène le * • fcuole Criftiane
Vituperai am ìtaqttc definitìonem exìfiimo t qua homo Ani *
mal rat tonale , vel e a effenti ee defcrì- ptione depìngitur . Siquidem
ex ulti • mato fine dejìinationum . proprietatibus in creando -
dejiniendut erat , fi .finii fit cauffarum prima ex Arinotele .
Qua- propter nec hominii de fini fio e fonte Pagani f mi mendicanda
erat ì qui ere* ationem , ejufque fines piane ignora* vit , Così
egli defìniendolo ; Homo ergo eft creatura vivent in corpore • per.
a rum am immortalem oh honorem Dei * fecundum lumen » &: ad tmaginem
Ver- bi . Quando Arinotele -diede una definizione all* uomo che
nulla va-» le » - non 'Vedendoli in quella nè crea* tura di Dio ,
nè immortalità dell* anima , da ‘ effo lui affatto negata *
Digitized by Google *54 come Cerna verun dubbio l’
affettano Ciucino nella Parerteli , Teodoreto nel Libro della
natura dell* uomo , Gregorio Nifleno nel Libro dell* Ani- ma
Origene in più luoghi delle Tue Opere, Gregorio Nazianzeno nella
dif- puta contro Eunomio , il Cardinal Gaetano nel Trattato deli’
Anima , Plutarco y Galeno , ed infiniti altri fcrittori profani .
Per lo che non fen* za ragione chia mai Io Tertu]]iano«?//é- to f
dicendo nel Libro delle Ptefcrizio- ni Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo,
J Qui illis Diale Che am inHituit , artifi - eem (Intendi , &
defiruendi verfipellem t in fententiìs co a Cium , in conjeCìurit
nec t allietate Panos - , oec ar* tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu
- jus' sentii , & terra domenica > . nativo • que - fenftt
Jtalos iffoi > & Latìnot $ fed pktate , ac religione , atque
naiionel ’• que [uperavìmus . •• ’• • :i E finalmente
eonofeendofi ancora dagli Ebrei , la Filofofia d’ Arinotele
ef- li •* * è 1 >
: » f r f
Ì-1 h È i l -
i Ir À , • I
f ./■» t •1 a #
• i li I t5* eflere in pregiu diciò della
religione , fa. pubblicato decreto nel Sinedrio de- gli Afrnonei (
come fi legge nell* irto- ria de’ loro tempi ) così dicendo .• Ma-
le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo- pbiam G rac am . : Il che vien
riferito ancora da Arrigo Enefiio nel fuo Li- bro Vir fapiens .
Quindi, non fia ma- raviglia , quando leggiamo preffoCle- mente 1’
Aleflandrino , Grata itaque • Pbilofopbia , ut alti volunt , a
Diabo- lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo la venuta del noftro Salvatore,
ancorché * empj , pur dannarono la Filofofìa d’A- riftotele ;
perocché avendo pubblicato il Re Moisè un Libro» a cui diede il
titolo 1 Mereh Nevekim , fu acculato, dagli altri Dottori d’aver corrotta
la loro religione » per aver in effo pur troppo mefcolata la
Metafilica d’ Ari- flotele , come narra il P. Si mone nel
fupplemcnto al Libro delle cerimonie/ e de’coftumi de’ Giudei di Leone
Mo- dena .. Ed io in finendo dirò di lui con il gran Pico della
Mirandola ; Mali prtnctpiì finis masut . Da
turco ciò , che fi è fin qui rap* portato , potrà la Santità 1 V
ostra pienamente avvifare quànto fian da ri- prenderti co fi oro ,
ì quali ardi (cono di biafimare quefta Filofofia , che mala- mente
chiaman moderna , e nuova , e dannarla come fcandalofa , e mala - r
quando finora nè la Santità’ Vostra* nè gli altri fantiflìmi Pontefici
antecefi» fori * hannola giammai penfiata con- dannare . Anzi il
contrario leggiamo riabilito dalla Santità d’Innocenzio XI» in una
Bolla ; ciò egli è * . che niuna. cola tra filofofanti , ed altri , che
fico- lafiicamente fi contende, giammai fi' danni o in difiputando*
o fcrivendo , o in pubblicando , che pria dalla Santa Romana
Chiefia condannata non fia ; Ma quando anche ciò non fofie , qual
furore , o fpinto dii zelo ijpinge tant* oltre, cofioro ad incagionar
coma- rea * e mala una Filofofia * che ha per au- tori uomini
cattolici , • dabbene , e di integrifiìma vita ; avendo per lo con*
x$8 trario la lor Filofofia per autori fio. mini
gentili , e tra gentili i più per- vertì, e federati ? Qual ila (iato già
il lor Padre Arinotele, e di che coftumi l’iftorie de* Greci, e
de’. Latini ne fan piena , ed affai- ampia tedimonianza ; Quai
fentimenti , e quanto perniziofi sì alle Repubbliche , sì alla j
religione, che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci , egli lanciato
abbia a’ poderi la San- tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a quello
, che per 1* autorità d’ infiniti fanti Padri , e di molti altri autori
pro- fani fi è riportato, porrà benignamen- te giudicarlo., Non
evvi Tanto Padre, che per otto e più - fecoli riprefo - , e
biafimato non l’abbia , nè mai leggia- mo , che alcuno l’abbia feguito, o
fia dato così dettamente legato alla di lui dottrina , come
tuttavia fon codo- ro. Dottrina veramente tre volte per-
niziofiflìma , madre, e fonte di tante e tante erefie + che per tanto
tempo didurbarono. ed affliflero la Chiefa , e di Crido la vede
lacerarono . E fe .. : rifor- 159 riforgefle il
gran Bafilio, quanti equa-' li de’ noftri tempi riprenderebbe più
fortemente, che non fece ad Eunomio^ ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j
t - quali giuravano Tulle parole d* Arino- tele, come full*
Evangelo > e pofero in ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che
diremo degli Atanasj, e degli A leffa n* dri Vefcovi d\ Aleffandria ? .
Quanti Crilìiani taccierebbono d’ Arianifmo, yeggendogli così
attaccati ad Arinotele, onde Tempio Ario prefe Tarmi , e le faettc
contro del Verbo ? Non farei per mai finirla , fe voleffi addurre
par* titamente tutte Terefie , • che da’fegua* ci d’ Arinotele fono
fiate indotte nell» Romana Chiefa per tanti fecoli , e di giorno.
in giorno van riforgendo. Baffi fol dire , che da fei , o più. fecoli
tut- ti gli errori fian venuti da oriondi per così dire , e
figliuoli del grande Aride* tele ... i ' « • Ma fliafì pur
colla fua pace Arido* tele , con quella pace , che nel più cu- po
dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar > fi può i6o
fi può- Siali ' flato Arinotele non tan- to federato ; anzi dirò
più , fiati (tato uomo dabbene, avvegnaché gentile ei lì (offe .
Sianli Santi tutti gli Arifto- telici, i quali hanno avuto , ed
hanno il nome di Criltiano . Siali la lor dot- trina ottima-, e di
niun pregiudicio j non però avrà che far nulla colla no- Itra
l’anta' religione nè di buono , nè di malo . Siali io dico , e ridico la
lor dottrina profittevole in ifpiegare gli ar- cani della natura ,
la natura delle pian- te » degli animali , e che lo io ; non dovran
perciò biafimare tutte 1’ altre Filofofie , eh’ eglino non profèlTano
, quando quelle niuna cola infegnano , che contraria lia a’ buoni
collumi , al- le leggi naturali, ed alle leggi di Cri- Ho , e della
Chiefa . Coloro, che rin- novate l’hanno tutti fon già morti cat-
tolici , ed in feno della Chiefa , lenza veruno fofpetto , quantunque
minimo d’ erefia . E* conceduto , che in qual- che Libro d’ alcun
Filofofo Criltiano vi folle qualche opinione » chiaramente
con- rii 'contraria alla verità della religione
, fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla Chiefa di condannarla .
Potrebbe!! pe- rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo, con quella
riverenza ed ubbidienza , che lì dee alla Santità* Vostra , ed alla
Santa Chiefa ) dìdimamente con- dannare quella opinione eretica ,
ovve- ro fcandalofa > come fece per molte dichiarazioni
AlelTandro VII. ed altri Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor-
po d’un libro , il quale lì compone d* infinite, e varie opinioni , delle
quali la maggior parte niuno attaccamento ha , ovvero dipendenza
colla verità del- la fede. Così leggiamo Origene , e Tertulliano
lìcuramente , avvegnaché ambedue in molte co fe lian traviati ,
come poco ollervanti della nollra reli. gione . Così leggiamo ancora '
San Ci-' priano Martire , quantunque folle fia- to d'opinione , che
i battezzati dagli eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua- le
poi fu dannata dalla Santa Chiefa' per mezzo d’ un Concilio > come
an« L co. 3 * 6 » cora tanti altri errori di
Lattanzio >d* Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia lecir- to nelle
cofe di tanta importanza » cioè nella Teologia , potrà ancora efler-Te-
/ cito nelle Filosofie , le quali van de- correndo femplicemente
degli arcani della natura. Il filosofare , Beatissimo Padre
, fu Tempre mai , conforme s* è dimo- ftrato , libero , e permefiò
a chi che fia , purché contrario egli non fia alla religione >
alle leggi umane > ed a’ buo- ni coftumi. Non han cofa gli
uomini» che fia più lontana > e men foggetta al- le poteftà
terrene, che il loro Spirito. Nè v’ è cofa più intollerabile , cl}e
quando fi veggono rapire la libertà de* loro penfieri ; perocché tanto è
toglie- re la libertà del filosofare ,■ quanto è togliere la
libertà dell’ opinare ftefTo, non effendo altro le Filofofie che
opi- nazioni * Quindi è, che coloro, i qua- li per dura legge delle
genti fono fchia- vi delle altrui volontà > pur fi riman- gono
liberi nelle loro opinioni , ed i lor pa- e
Digitized by Google padroni > i quali han poteftà della
lor vita, non poflòno difporre de’ loro li* beri fentimenti .
Solamente lo fpirita dell’ uomo a Dio è tenuto renderli av- vinto ,
elfendo egli folo la prima veri- tà per elfenza , la quale non può
giam- mai nè ingannarli , nè ingannare ; ed iòdi poi ancora la fua
Chiefa > la qua- le ci favella da fua parte , toccando a lei
d’interpetrare gli oracoli , ed arca- ni di Dio . Indi quella ubbidienza
del- la nollra ragione libera all* autorità Divina fu fempre
giudicata da tutti la prima , e più grata vittima , che noi
dobbiamo offerire a Dio. Il facrifizio certamente non è egli fanguinofo ,
è ben però il più pregiato , e caro ; pe- rocché conduce gli
fpiriti nollri , na- turalmente di ripofo impazienti a sì felice
fervi tù , principio » e mezzo d* ogni nollro bene, e falute • Perchè
li dee in ciò ufare grandilfima diligenza, nè legare sì
llrettamente quello nollro libero arbitrio in cofe , le quali poco
, o nulla montano ; perocché potreb- Lz beli
befi temere di qualche rivolgimento , o per così dire temerità dal
vederli sì ftretto , e incatenato . Oltreché po- trebbeli da ciò
dar luogo di penfar malamente , che la noftra fede dipcn- deffe da’
principi delle Filofofie, e che la noftra religione » ed Arinotele
fot fero sì Erettamente uniti , e me (cola- ti , che 1' una fenza
l’altro non polla da noi crederli. Sarebbe ben tre volte incollante
la noftra fede , fe ftabilita folle fopra così balle , e poco (labili
fondamenta , ed andalfe dietro a’fogni, ed alle frafche de’ Filofofanti .
La ve- rità vien ricercata si dalla Filofofia ,• ed è Hata
ricercata già per migliaia d* anni ; ma non giammai però è Hata
ella ritrovata ; perocché Iddio ha vo- luto lafciare il Mondo
all’efercizio in- nocente delle Filofolie , ed all’incerto
inveftigamento delle cole naturali , e però alle difpute . Mundum
tradidit difputation'tbus eorum. Conforme anco- ra va dimoftrando
San Gregorio Nazianzeno in un difeorfo, ch’egli detta delle
/ . *65 delle dìfpute. La Teologia fola ha
ri- trovata la verità, perch’ella fola s’ ag- gira intorno alla
vera luce , e prima 1 ferità , eh’ è Iddio , principio d’ ogni
j noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo- flolo di non fapere
altra cofe, cheCri- tto crocifitto. Quefla verità ritrovata nella
Teologia altri non poffede , che 1 la noftra fanta religione , la
quale quan- tunque contrattata , ed afflitta da tan- ti e tanti
tiranni , pur fempre mai • vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli
ha trionferò , e trionferà per fempre più gloriofa . Veritatem (
ditte un autore ) Pbilofopbia quper ciò fare ha volu- to
fervirfi ; perocché verfando quefte intorno ad una caufa , la quale al
prefente fi può dir prelfochè comune, di comune , ed univerlal
difefa ancora elleno pedono molto acconcia- mente fervire . .
. Recando adunque le molte parole fue m una , quella nella foftanza
fembra edere fia- ta T idea di lui . Egli ha come in due parti
divifa tutta la Lettera , in una delle quali s* è ingegnato di biafimare,
e deprimere il pia che ha potuto Ariftotile; e nell’altra lodare, e
portare alle ftelle Renato Defeartes. Egli ha depredo Ariftotile ,
comparandolo prima- mente con Platone , e inoltrando , che il
principato tra i filolòfi è di quello fecondo; L 4 chc
*6$ che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*
brato: che la fua filofofìa è la più favorevo- le, ed acconcia alla
Chiefà cattolica ; e che quella d’ Ariftotile è la più contraria, e
pre- giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare , che Ariftotile
è flato 1* origine di tutte l’ere- fie.* eh’ è flato biafimato da tutti i
fanti Pa- dri , e finalmente tutto quello ha raccolto , che può
fèrvire di biafimo , e di vitupero di quello filolofo • Di qui è pallato
a glorifica- re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e quali uomini
e fiata la lita filofofìa appro- vata , e ricevuta : com’ ella s’
uniforma a’fen- timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per difi
reggere l’erefie , e così fatte altre cofe af- fai. Onde porta
l’incertezza di tutte le filo- fofie per cagione del corto intendimento
u* mano , e porta Umilmente la libertà di giu- dicare , eh’ hanno
gl’ intelletti nelle materie fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da
ri- provare Tattaccarfi fidamente ad Ariftotile . C jntra il quale
molte colè di nuovo adducen* do, e moltiflime altresì a favore di
Renato, della filofofìa di cui teffe un lungo panegiri- co ;
finalmente conclude , effere forte da ri- prendere coloro , che ardifeono
biafimare la filofofìa moderna , la quale non fido al paro coll’
Ariftotelica può andare; ma in oltre ad erta dee ellère antiporta , come
quella , che dalla Platonica fi deriva , e per più altre lo*
4 i6$ di, ch’egli affai minutamente, e a lungo ya
numerando. Ora volendo (opra cosi fatta argomentazio- ne col
medefimo fine dell* autor fuo , cioè a prò della moderna filofòfia ,
alcuna colà of* fervare; dico in prima, non effere molto da
commendare Io ftabilire la difefa di effe mo- derna filofòfia fopra la
depreffione d’Arifto- tile, e fopra la deificazione, per dir così,
di Renato delle Carte . Quantunque volte un eccellente fcrittore ha
occupato un poftocon- fiderabile nella repubblica delle lettere,
non manca mai la fazione di quelli, che Pefàlta- no , e di coloro ,
che lo deprimono fuori del dovere . Vero è , che ci fono ancora
difcreti eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo feparando
, quel prudente mezzo eleggono nel dar giudicio , che fecondo dirittura
di ra* gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei addurre per
confermazione di ciò: ma perchè fopra Ariflotile procede ilnoftro
ragionamen- to , volentieri io non mi partirò da eflo. Per efempio
adunque de’ glorificatori affettati di quello filofofo fia Averroe , il
quale in que- llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *
Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei* lelhts fuit finis bumani
intclleftus ; quare bene dicitur de ilio , quod ipfe fnit creatus , &
da* tus nobis Divina providentia , ut non ignori mus
Doffibilia feiri . E nella Prefazione alla .. Fifica;
Complevii ( Ix>gicam , Ethicam -, óc Metaphyficam ) quia nullus eorum
, qui fecu * ti funt eum ufque ad hoc tcmpus , quod efl mille &
. quingentorum annorum , quidquam ad* didit , nec invenies in ejus verbi
s errorem ali* cujus quantitatis , # ta/ew £// per quan- to egli
raedefimo ne dice , venti anni interi fpefi avendo iti Squadernare i
libri d* Ariflo- tile , anzi oracolo , che giudicio è da repu-
tarli . Così adunque egli fcrive nel Prolago al libro JY. del fuo Examen
vanitati* dottrir Tue gentium : Multa apud Ariflotelem erudì . f
> tio , multa eleganti a fcribendi , inulta etiam ,
fcrtajfe verità* : fed certe non parva vanita* * - JLo
fcrutinio fin qui da noi fatto di varj , c oppofti giudicj intorno al
medefimo fog- getto formati, può fervir di regola nel giudi- 1
care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq bifir gna nè alla
bellezza della virtù, nè alia brut- tezza de’vizj lafciarfi cosi rollo
ingannare , nè ' 2 1 - I 7 i * ■ .
. fafcinare in modo la vi (la , che fi travegga e fi
finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui Tempre colla (corta della
ragione dobbiamo proccurare d* incamminarci . Ma egli fi ritro-
vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar- da e forte , che poiché hanno
fidato la men- te nella qualità d’ un oggetto , non (anno tanto o
quanto fidarla per dominarne le al- tre - Conoro confederano ' le colè
(blamente per quel verfo, a cui dal moto de* (oro fpi- riti fono
portati , e di qui è, che o il bene folo , o il male precifamente
contemplano » Quello predominio dell’ immaginazione in nelfun’
altra opera per mio avvilo meglio fi fcorge , quanto in quella de veris
principiis , & vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo- iio.
Quello fcrietore avendo al principio con- ceputo della (lima verfo
Cicerone, e vdeldifi credito per • Ari dotile ,‘a poco a poco s* è
lafeiato condurre a tale , che nuli*- altro che il lodevole in quello , e
in quello nuli* altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-
nalmente» paruto , eh’ ogni cofa , anche 1’ imperfezioni del primo roderò
divinità , e le cole anche buone del fecondo fodero vizj , e
magagne . Di qui è , che negli accennati li- bri , egli conculca ogni
opinione, e lèntenzia d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di
Cice- rone ; per qualunque definizione anche de- bole , e
imperfetta del quale, egli s’ ingegna di *
di ritrovare principi , da cui fi deduce com* ella è giuftiflima ,
e vera. Quella lòrta di li- bri può efler utile per quelli , che all*
oppo- fla parte fono dalla palfione portati / perchè fcorgendo
nella lettura di elfi il rovescio, co- me fi dice , della medaglia , può
avvenire , che s* inducano a dubitare di quello, che fi- no allora
aveano tenuto per fermo . Per al- tro e T uno e 1* altro di quelli
eflremi me- rita grandilfimo biafimo , nè v’ ha colà ,che più i
retti giudici impedifca quanto quello fv la- mento della ragione, a cui
la fantafia ha tolto la briglia di mano,. Intanto la vanità, e
lafu- perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat- to cibo ,
perchè o colla deificazione, o colla deprelfione altrui o coll’uno e
l’altro inlìeme, fi fpera di potere llabilire la propria fama «
Egli avviene nonpertanto , che la colà il più delle volte va tutt* all’
oppollo . Nulla è che minor imprelfione faccia nelle menti de- gli
uomini, e che più agevolmente dimenti- chino , quanto quelli sforzi
violenti : degl’ intelletti da troppo gagliarda immaginazione
trafportati : non altrimenti appunto , che 1* azioni llravaganti , e
inufitate de’ pazzi , ap- pena s’oflèrvano . E chi è egli , che
fìlolò- fando fi Ila giammai attenuto a’ principj di- Mario
Nizolio? lo non ritrovo appena regi- flrato il filo nome tra i nemici
d’Àrillotile . . Ma ritornando in via, dico, che l’autore
di Digitized by Google ! di quella
Lettera fembra effere (lato alquan* to tocco dal prurito y di cui abbiamo
fin qui favellato , mentre con tutto lo sforzo dello fpirito s y è
ingegnato di raccogliere il polfibL. le con tra Ariftotile, e dall* altro
canto por- tare fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova facendo
> e nulla intentato lalciando per ap- pannare, e far violenza agl*
intelletti de’luoi leggitori . Per contraflegno della fila palilo*
ne , anche dentro a* cancelli di puro racco* glitore degli altrui
giudicj, offervifi il modo , eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere
vio- lentemente contra Ariftotile alcune parole del P. Petavio,
dette ad altro intendimento, anzi in propofito tutto conti ario. Quello
Pa- dre nel capitolo III. numero V. dei Prolago alla fua Opera de*
Dogmi Teologici , dopo avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio ,
nel quale lèmbra , eh* e* rigetti in tutto la filolòfia Ariftotelica ,
foggiunge al fine cobi: Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius
in totum abdicale , ac rejecijje ab fidei , Theo* hgiécque
conjortio univerfam Ariflotelis philofo* phiam tanquam Cbriflo irrvifam ,
& inimicami atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam
uonmllorum opinionem refellit Clemens Ale*an- drinus in primo Stromateon
> ut alibi memini - mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium
paullo pofl purgabimus . Ora il nollro autore prende da quello palio
quelle lòie parole ; Ari m Ari flotti is j>hilofophiam
tanquam Chriflo invi, fam , & inimicam i atque ab hofle illitis
Dia. bolo profeti am ; e le porta come un detto del P. Petavio
contra la fìlolòfia d’ Ariftotile. E chi non vede però che il prurito di
conculcare quello filofofo ha fuggerito all’autore della let- tera
una sì aperta , e abominevole ftorpiatura? E pure y fe per 1* altro
verfo vogliamo ri- guardare e Arillotile , e il Delcartes , non ci
mancherà motivo , nè fcrittori , i quali ci a- prirànno la ftrada a deificare
il primo , ed a deprimere , e conculcare ancora il fecondo , lènza
nè pure aver bifogno di ricorrere a tali artificj . Ogni volta che uno
fcrittore s’ha a. cquiftato un gran nome nella repubblica del- le
lettere , e mafTìme per lungo tratto di tem- po , ’è pazzia l’immaginarli
, che tutte le co- fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi-
fto col men buono , come di tutte l’ umane cofe , che perfette giammai
non li videro j fiiole avvenire ; e però quelli , eh’ amano dì
cogliere negli eftremi , troveranno in amen. - due le parti da
làttollarli . Il punto Uà , che non lì lufinghino d’innalzare una
fabbrica , che non polla eflère da alcun altro colle ilei* fe forze
diftrutta , per non ritrovarli contra la loro efpettazione ingannati. Un
altro, che riguardi lo fteflò oggetto dal lato oppofto a quello ,
che 1’ hanno riguardato efli , ritro- verà tolto gli liromenti da
dilhuggere in quel* ! I 176
quella fletta fucina dov’eglinò gli avevano ri. trovati per
fabbricare - Di quella difputa d’ Ugone da Siena, al tempo del Concilio ,
che fi cominciò in Ferrara , riferita dall* autor della Letteta,
come cola inftituitaperefalta- re Platone, e deprimere Ariftotile, così
nel., la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber- gamo : Cumque
Nicolaus Marchio , & multi in Synodo congregati pbilofophi
excellentes ad - venijfent , cuniios in medium philofophia jocos
adduxit ( Ugo ) de quibus inter fe Plato ± Arifloteles fuis in Operibus
contendere , ac magnopere dijfentire videntur , cdocens eamfe
partem defenfurum y quamGraci oppugnandam ducer ent , five Platone m y fi
ve alium je fequen - dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea
Silvio nel capitolo LI I. della Dedizione delF Europa , e Andrea. Tiraquello
nel capìtolo XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan- to , che
il fine d’ Ugone non fu V efaltazion di Platone , e Pabbaflàmento d*
Ariftotile , come vien fuppofta : ma fi profefsò di voler difputare
problematicamente , che vai a dire, difendere la parte impugnata , e per
confe- guenza difendere o l’uno, o l’altro di quelli due fUofofì .
Cosi il Concilio Lateranefe V. a torto vien portato alla facciuola 114.
come difàpprovatore , e condannatore della filofo- fia Peripatetica
nella Scffione Vili. Bafta fo- to leggere P accennato luogo per chiarirli
, che quello Concilio non condannò nè Anda- tile, nè Platone, nè
alcun altro filofofo in particolare : ma generalmente della
filofòfia ragionando , proibì primamente I* abufo a que’ tempi
introdotto di difendere nelle pub- bliche Tefi, che circa lo dello punto,
quel- lo era da dire fecondo la filofofia , e quefto fecondo la
verità : ovvero tal colà fecondo la filosofia e r a vera, che fecondo la
fede erafal- fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori
pubblici delle Univerfità , chefpiegando i fìlofòfi, avvertilfero la
gioventù degli errori loro , alla fede noftra contrari ,
-confutando* gli, e riprovandogli . E finalmente (labili , che
niunCherico doveffe dopo io ftudio della Grammatica appigliarli a
quelloodeilaPoefia, o della Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo-
gia , e Canoni, acciocché, foggiugne, In bis Janlìif , & utilibus
profijfionibus Sacerdotes Domini inveniant , unde infili a s Pbilofopbia
, & Poe fi s r adice s purgare, & fanare valeant. E tanto è
lontano , che i Padri di quefto Concilio abbiano avuto in animo
d’oltraggia- re Ariftotile, eh’ anzi lette le poco fa accen- nate
cofe , e ricercato , fe alcuno avelTè pun- to che dire in contrario, fi
levò fufo Niccolò Lippomano Vefcovo di Bergamo, e sì difle^ Quod
non pìacebat fìbi , quod Tbeoìogi impo - nerent Pbilofopbis difputantibus
de veritate in - ielle fi us tanquam de materia po/ita de mente
M - Ari» Digitized by Google 178 ...
.Ariflotelis y quam [ibi imponti Averroes : lieti fecundum verità
rem tali* opimo e fi fai fa . Si- milmente di queir Aezio Vefcovo * che
dall* autor deir Epiftola è rapportato come uno * che per troppo
ftarfi attaccato alle Categorie cT Ariftotile , cadeffe in erefia * e
diventaflTe Ateifta , Socrate nel libro II. capitolo XXXV- della
Tua fteria Ecclefiafticacosl ragion a: Hoc aiitem facit Cat egorii s
Ariflotelis ( fic liber iU le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex
quibus difputando * ac fe ipfum fallendo y non int clie- nti y
ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari fio - telis feopus . Ille namque
propter fopbifias phi* lofoph'ue lum illudentes id genus exerctiii con
- fcripfit y & Di al etite en per fophifmata novis fopbiflis
dicavti. Itaque Academici * qui Pia- toni* y ac Plotini fcripta e L 9
immaginazioni belle piut- rollo ad udirli , che fiifliftenti e fode
, le quali fono fparfe per tutto il corpo del- la fua filolòfia y e
che tinta di fanatifmo T hanno fatta comparire . I Vortici , che da
fonti torbidi Italiani , come fono quel- li di Giordano Bruno Nolano , ha
prefi il . Defcartes per far girare la fila tripli- ce materia ;
fono colori , che poffono fer- vire a fare un ritratto di lui tutto
diver. fo da quello , che ha fatto V autor del- la Lettera * Il
Padre Malebranche mede, fimo 5 uno de* più acerrimi difenfòri , e
approvatori della dottrina di Renato , co- sì lafciò fcritto nel libro
ili. patte L capitolo» IV. della ricerca della Verità . Mortsù
Defcartes era anch'egli uomo y fog - getto all 9 errore , e all 9
illufione , come gli altri . Non v 9 ha alcuna delle fue Ope- re y
non eccettuando nè pure la fua Geome* * tri a y in cui non fi a . qualche
fegno della debolezza dello fpirito umano . Non bifo- gna adunque
fi are alla fua parola ; ma leggerlo cautamente , com 9 egli ftejfo ci
av~ vertijfe . Non fono anche mancati uomi- ni dotti , i quali
hanno fatto vedere , che Ja fua filofofia è di pregiudicio alla fede
, i8i cd è contrarla a molti dogmi cattolici - AI-
cuno ha pretefo , eh * ella rinnovi V ere- fie di Pelagio , e di Neftorio
: ed altri , eh* ella fia la firada allo Spinofifmo , e all*
Ateifmo * Io fò , eh 5 è flato rifpo- fto a quefli tali , e che vi fi
rifponde. rà : ^ma quello appunto è quello , che il di fopra da noi
detto conferma , e che moftra quanto agevol colà fia o, ecceder
nella lode , o ecceder nel biafimo , quan- do non s 9 ami di fidar V
occhio che o ne* fòli vizj , o nelle fole virtù . Non fem- bra
adunque , com > ho detto , degno di molta lode il difegno di ftabilire
la difefa della filofofia moderna fopra le lodi , el* efaltazione
di Renato Defcartes , e fopra i biafimi , e depreflione d * Ariftotile ,
fic- oome fopra un fondamento , che fi può di- ftruggere con quella
fteflà facilità , con cui s è innalzato : e per mezzo del quale ,
fermo e inconcuflò renando , fi verrebbe a flabilire quello , che V autor
filo medesi- mo in alcun luogo con molte parole s 9 e ingegnato di
diftruggere , cioè il farli fè- guace indivifibile d* alcun filofbfo
partico- lare . Ora diciamo alcuna cofa della principal
ra- gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian- tato la difefa
della filofofia modèrna ; la qua- le fi è , che derivando ella dal fonte
di Pia- rvi 3 «o* iS z tone, fìlofcfo fupcrioread
Ariftotile, appro- vato dagli antichi Padri, e riconofciuto come
molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol eflere riprovata ,
maflimamente in confronto dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J
}a* fa V unica , e fola cagione , anzi l y orìgine JìcJfa di tutte
V erefie. E quanto al primo , cioè quanto al prin- cipato
,tra Platone, ed Ariftotile ; molto dif- ficile, molto dibattuta, e da
niiino per anche decite quiftione ha prefo a diterminare il no- Aro
autore , augnandolo al primo • La dif- ficoltà di tal decisione procede ,
che molti ef- ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo ,
amendue ancora hanno le loro imperfezioni. Secondcchè pertanto fi
vogliono riguardare sì nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques-
te, fi ha campo ancora di antiporre , o pote porre V uno all*
altro. Ma per quello , che riguarda il fecondo y cioè quanto
al far ufo dell* uno, o delP altro nella Teologia , e nelle cole della
religione , non fono pure ben d* accordo tra loro gli uo- mini
dotti qual fia da preferirli . Se per Pla- tone fta P ufo , che moftrano
averne fatto i primi Padri della Chiete: nè anche Ariftotile va
privo in tutto di fimi! pregio , mentre al riferire d’Eufebio nel libro
VII. cap. XXXIL della Storia Ecclefiaftica , in Aleftàndria , an-
che al tempo , che i Dottori Apoftolici rif- pJea«
plendevano , l’Ariflotelica (cuoia fioriva. Gle- mente Aleffandrino
lib.V. Stromatam, riferita, che Ariltobolo con molti libri provò, la
(liofoba Peripatetica dalla legge di Mosè,e dagli altri Profeti
derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp* pìonem , infieme col
mentovato Eufebio nel lib. IX. cap. V. de preparatane Evangelica ,
recano un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da cui fi fcorge,
come quello filofofo, eliendo m A- fia, tenne lunghi, e fciendfici
ragionamenti con un dotto , e favio Ebreo , da cui apparo mol. te
belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con* tenute . Anzi fu opinione
d’alcuni , che lo «el- fo filofofo , avendo avuti per mezzo d
Alelìan. dro i libri di Salamone , molte cofe da quelli rac-
coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono fra moderni ( lafciando
per ora da parteltare i libri de vietate Arijlotelis , de f alate
Anflotchs , ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra la
Scrittura facra , ed Ariftotile facendo , s in- segnarono a tutta lor
polla di moftrarc, eh e- alino pattano d’accordo , come Giorgio
Trape- zonzio, Giovanni Zeifoldo , AgofiinoSteuco, ed altri . Sopra
così fatta lite pertanto a muno , s’ io non vado errato , difpiacerà il
prudente giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen- te
dall’autor del la Lettera il maggior ornamen- to della famiglia
Domenicana. Divo Augufli , wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de
loets Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom Enea Gazeo ,
di Teofìlo Patriarca d’ Antio- chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio
Ce- fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze- [ no , di Girolamo
, di Crifoftomo , e di Teodo- reto, ne’quali, tutti concordemente
biafima- no , e {gridano Platone , e la fua fìlofòfia , co- me
quella, ch’era fiata l’origine , ed aveva dato palcolo, e fomento ad
infiniti errori , ed erefie. Ecco adunque , che Ariflotile non è
fiata la fola pietra dello fcandalo : ecco eh* egli non
i f 188 non è l’unica
cagione di tutte V erefie : ma Platone fenz’alcun dubbio, in quella parte
lo fupera, ed è flato guardato di malocchio da* Padri; e l’
accollarli , ch’egli fa in qualche modo più a noi , è ridondato in nollro
mag- gior pregiudicio . Di qui fu però , che negìi ultimi tempi ,
quando Giorgio Gemillo , il Cardinal BelTarione , il Cardinal Gufano ,
e Marlilio Ficino illullrarono , e fecero rifiori- re la Platonica
limola, quali tutti nonpertan- to {limarono miglior avvifo, o almeno
minor pericolo, attenerli tuttavia ad Ariflotile. Sen. tali lòpra
ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran- celco Pico Mirandolano , il quale nel
libro 1 V. capitolo IL del fuo Ex amen vanìtatis dotivi, ttee
gentium , in quello modo lafciò Icritto. Alti nihilominus , Platone
poflhabito , haferunt Arifloteli , exiflimantes illum noflr &
exatìe, fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci - lius po/fit ,
quam Arifloteles , qui rationibus , non fide , foleat plurìmum & fere
femper inni - ti . Ma il talento di avvallare Ariflotile , e
cacciamelo del mondo , e della memoria de- gli uomini; non ha lalciato
Icorgere all’ au- tor della Lettera, non dico le lodi fue ; ma
nè Digltized by Google nè pure i biafimi,
«Squali i medefimi Padri ne’medefimi luoghi, in cui nello
ripigliano, » anche il fuo maedro fogliono non punto di-
verfamente trattare . Per cagion d y efempio nel capitolo XJ. del Libro
intitolato Regala Monacharum , a S. Girolamo già attribuito , fi
leggono quelle parole ; Attende , & tu fa- tuorum fapientum princeps
Arifloteles . Elleno però fono Hate tolto notate dal nodro auto, re
, e nella lettera aliai avidamente inferite : ma queir altre: Verum non
fine labore didicu ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente
due verfi lontane,* e quelle ancora aliai vicine; Non banv fatuitatem
doéìijjimam Athenis Plato didicit , non Arifloteles y non Anaxagoras >
non cete - rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita non fono
Hate avvertite da lui , nè notate , non altrimenti, che feo non iforitte,
o rafe, e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo, che dopo quel
detto da lui in difcredito d* A- f rillotilc recato , immediatamente al
medefimo . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil- mente,
non fo come, c tolto agli occhi del nollro autore? Et fi fueris abfque
dubitano, ne prfdigium , grandeque miraculum in tota na+ tura y cui
pene videtur infufum , quicquid naturai iter efl capax humanum genus ,
43c. Le quali parole anzi della foiocca abbjezio- > ne , e viltà
del Chiofatore Arabo, che del- la gravità Geronimiana tenere mi
fcmbra- no r
190 no (*) Vero è però, che da tutti i Critici efl
fendo coiai opera da quelle di Girolamo fe pa- rata , e come lavoro di
più baili tempi , non fu* (*) Averroe nella Prefazione
alla Fifica 4 parlan- do d’ Afiftotile difTe : Talem ejfe virtutem in
indi- viduo uno tniraculofum & extra neum exifiit . A che pa-
re , che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab - fque dubitation e
prodigi um 3 grand eque mìraculurn in tota natura . Averroe ancora fopra
il libro JL della generazione degli animali , così lafciò fcrirto :
Lau* demur Deum , qui feparavit lune virum ab a li ir in perfezione
5 appropriavitque ei vltimam dignità tem bumanam ò quam non omnis homo
pottft in quacum - que £tote attingere . Alle quali parole s }
accofta- no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu - fum ,
quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut . Di qui fi può formar
conghiettura , che cotal Li- bro non fia flato feri ero prima del 1150 ,
in cui fio- rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi , e
parecchj veftigj di fcolaftico , e Parigino idioma , che vi s* incontrano
y e che pofTono fervire per confermazione di quello 3 maggiormente
ancora tutto ciò fi ftabilifce dalle parole , che fi leggo* Do nel
capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo - pborum videretur in eis
verificavi opinio , qui unam ponunt in bominibur univerfir animar» folam
. La qual è opinione venuta fu ne* tempi baffi ,dai rappor- tato
Averroe mefTa fuori e difefa , impugni 3 da S. Tommafo,e finalmente
condannata nel V. Con- cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè
per . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del
pranfodo- po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella Chiefa
confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5 perciò potrebbe
argomentarli 3 che il Libro non fof- f Digitized by
Google . *9i fna giudicata * (**) non era da farfi
arma fuor di ragione contra lo Stajprita del nome d’un tanto Padre
. Ben piu vantag- giofo e per V autore della Lettera , e per la verità
flato farebbe , eh’ egli nelle vere ope- re i veri '(entimemi di sì gran
Santo intorno a ciò rintracciato , e quafi fpigolato avefle ,
mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto- tile dal glorificato
Platone non mai guari lon- tano ritrovato avrebbe - Come (opra il
capi- tolo X. v. XV. deir Ecclefiade . Lege Plato- ne m :
Arifloìdis revolve verfutias y & proba - bis verum effe quod dicitar
: labor flaltoram affliget eos . Sopra il Salmo CXL v. Vi. al-
tresì. Nane ipji hareticì licet per Arìftotelern y & Platonem
videantar fimplicitatern Ecdefi e fin dove fi debba fèguitargli •
Poflòno è vero accodarli f chi piu , e chi meno a* dogmi della noftra
re- ligione , fecondo i fonti da* quali attinie* ro le loro
cognizioni ; ' ma non è però giammai da fperare , che ferifcano il
fe. gno , perchè le tenebre , nelle quali vi- veano , loro non
permettevano d y arrivare tant* alto . Altro dunque non fi può in
/quella parte , che com piagnere la mifèria, e infelicità loro : per
altro il biafimo , e la lode non ha propriamente luogo fòpra elfi
,?fe non quando fi confiderano • da fe, come puri filofòfi , e
fèparatamente da* do- gmi de* Criftiani. T Ora palliamo a
dilcorrere brevemente dell* idea generale , che P amore della
prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha divifato > che la difefà di
Renato Defcar- tes fia la difefa della filofofia moderna , e la
condannagione d* Ariftotiie fia la con. dannagione cella volgare.
Incorno a ciò è da avvertire , che la mo- derna filcfòfia non è in
modoconftituita dal- la filofofia del Defcartes, che Cartellano, e
N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben vero, che non fi
può eflère Cartellano lènza eflère ancora Moderno; ma non è vero, che
non fi pofla eflère Moderno fenza eflère Cartefia- no , Per la qual
cofa la filolòfia Cartefiana fi ha alla Moderna , come la fpezie al
gene- re. Ancora è da notare, che avvegnacchè la volgare fiJtfofia
abbia voluto unicamente ac. taccarfi ad Ariftotile , tuttavia eflèndofi
ella lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni de- gli Arabi , i
quali per l’ignoranza delle lirt^ gue, e per mancanza d’erudizione,
peflima- mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo gli Scolaflici
quefte interpetrazioni nell’idioma , .in cui da’ loro autori erano fiate
fcritte ; ma dall’Arabico trafportate in Latino , o come alcun dice
, in Ebreo dall’ Arabico , e po. fcia dall’Ebreo in Latino trafvafate ;
può et fere per ciò aflai facilmente avvenuto , che la mente d’
AriflotiJe per lo diritto intendi- mento prefo , fia del. tutto oppofta a
quella degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola. Ilici a
quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé- gue, che come vituperandoli, e
condannan- doli i modei ni , per avventura nè fi vitupe- rerebbe ,
.nè fi condannerebbe il Defcartes ; ' così per l’oppoflo lodandoli, e
difendendoli il Defcartes, può eflère , che nè fi lodino , nè fi
difendano i moderni . Similmente fi c- come vituperandoli , e
condannandoli gli Sco- la- Digitized by Google
lattici, è facil cotti, che nè fi vituperi, nè fi condanni Arittotile •
cosi potrebbe dare il calo, che vituperandoli, e condannandoli
Ariftotele , nè fi vituperaflèro , nè li con- dannaflèro gli Scolatici ,
eh’ è quanto dire la filolòfia volgare. E* ben vero però, che
quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima , e preffochè imponibile ;
perchè non è da cre- dere, eh’ elfi Scolatoci perverlàmente inten-
dendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma piuttotto piggiorato affai ;
cosi il vituperare, e il condannare Arittotile pare , che provi
molto quanto al vituperare , e condannare la filolòfia volgare . Ma per
1’ oppofta {ra- gione il lodare, e il difendere Renato Dett cartes
non pare, che provi tanto per quello^ che fpetta al lodare , e difendere
la filcfofia moderna;.. . Perbene adunque, e acconcia diente
difen- dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di me* ftieri
cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon- tà ^.o difetto del quale, la
lode , e il bia* fimo ad eflà Umilmente fe ne derivi. Ora quello ,
che fembra la filofofìa moderna conttituire , e alla volgare degli
Scolali ici immediatamente oppofta; renderla , fi è lo lcotimento
del giogo Peripatetico , e di qualunque altro particolar filolòfo ; e
la pura ricerca della verità. dove , e in qua- lunque luogo ella fi
fia . La ichiavitù nel. N * la 196 . . la
quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani* ino baffo , e fervile , avevano
pollo il loro intelletto gli Scolaftici , per ellere dapper- tutto
fparfi , e difufi, s’era ancora dapper^ tutto difufa , e inoltrata , ed
avevano cbbli* gato tutto il mondo a non filofofare con al- tra
mente , che con quella ' d* Ariflotile • Avvegnaché fopra infinite
quiflioni di filo- lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo-
fo, non fi fappia per anche nulla y tuttavia eglino s* erano immaginati
di làper tutto ♦ Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Gio- va n
Francefco Pico ) fed Pbìlofopbi* legem pkrique omnès arbitrobantur .
Quella però è la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui.
ftionepiù libri, deflinati ad eliminar la men- te d’ Ariflotile,' che a
ricercare la lidia veri, tà della colà . Molti hanno incominciato a
riflettere , che quello era un travaglio molto penofò , e che il frutto
non -iftance era aliai tenue. Hanno offervato, che per quella via,
al più non fi’ poteva venire in cognizione che di quanto fapeva
Ariflotile , che vuol dire di pochiflìme cofe , rifpetto a quelle, che
s* avrebbono potute fcoprire . Dove 1* altre ar- ti al tempo de*
primi ritrovatori • fono Tem- pre comparlè rozze , 19
7 tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone , di Demo- erito, e
d’ Ippocrate , molto fi làpeva per squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del
tempo era venuto anzi perdendo che no, e le fet- enze s* erano
piuttolìo abballate , e o Taira te, ^he illuflrate, e innalzateli ,
com’era di ra- gione - Conchifero adunque , che quello modo di filofofare
degli Scolatici èra irragione- vole , e barbaro , e non tendeva ad altro
, che a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i- gnoranza,
mentre , come avvertì anche Sene» .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi ,
imo ne* que quarti.. Lorenzo Valla Romano fu il pri- , che a’
adpprò a trarre la filofofia del mi. fero fervaggio , in cui li giaceva ,
inoltrando èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co* duci tre
Libri Diale Elie arum difputatwmm , che fcriflfe a ^quello fine . Anche
.Giovati Francei- co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del fuo
E* amen vanitati s dottrina gentium , molte colè difputò contra lo lìdio
filofofo ; e mol- te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de
cauffts corrupanrm artium , per non dir nulla delTelefio, del Patrizio i
e d’altri fomiglian. ti ,ii quali pure tennero la ll'eflà via .
Die* tro le velìigie di coltoro Galileo Galilei in Italia, e
Prancefeo Barcone, in Inghilter- ra inftituirono Un modo di frlólòfare
libero, e del tutto oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e gittarono
le prime fondamenta di quella ft- r«o n ? • io. t98 lotcfia che
fi chiama Moderna/ non perchè fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari
po. Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli uomini
ragionevoli altra via non hanno mai tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo
? in. fezione orribile , e univerfale degii Scolaftick iqtiali
amava n meglio di fcioccheggiare coti Ariftotile, che con altri
tàggiameme'iditcop* rere , come alcun diffe j q netti ottimi pria,
eipj fono fiati felicemente richiamati , e pa. fti in ufo da moderni .
Aperta cosi Ja fi rada da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «
primo de* quali fu il primo ancora , che chia. mo in ajuto della
filofofia le Matematiche, e che con profpero avvenimento Je v’
intro- dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali , do ?r, r
£ na . altri ec. celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì
diverte ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono , e cosi
fatto utile recarono a tutte I» altre arti , e fpecialmente alla Medicina
, che ben fece, ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e
miterevole fia la condizione di qpefti aridi , f d, g' 1 ™ d*
Ariftotifc ; e quanta fia la necetfita di battere altra via per ben
fìioi babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur
libere quo* cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen - ta in
oppofitum defunty pracipue quantum ad pbilofopbiam . ^Ecce quanam plus
minufve . /. Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla- tim ac
auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque aliter fentiendi , aut fcribendi pr
aclu fa facuh tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum fruflra
tranfigitur , germanum vefligando prò* prii auttoris fenfum >
fpeciatim in aliquibus con- troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit :
III Hinc ea penitus non declinari y qua timentur abfitrda , hoc efl
circa opinandi libcrtatem ; Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem
quem- piam ad proprhtm fenfum jugiter potè fi expo - . i ntn
- Digltized by Google tot tendo trabere ,
ita ut in eunlfis fihi patroci. nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis
libe . rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re. .rum natura
fentire , & quod fcrutanda veri, tati plurimum obefl ita jur are in
verba dolio, rum, ut borum auHoritatì , baudquaquam li. eeat
refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco Divi Atfguftinì norma m fequi
cportet , adferen. tis , quantavis auiloritate , ac
fanlìitate fulge. fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum , fir.
tnumque affenfum co folum effe prabendum , ? to rationes ejus illum
a nobis extorqent . VI. andem Deum onice. effe ,
cujus auHoritati , nipote maino infallibili , fit tace fidendum. «
I 3 4 t 1 » i INE. 0 •*
• ) :t \ 2O3
; u • * * • M s i Delle cofe notabili ,
contenute nella preferite Lettera , . e -nell’; ; ; Offer vazione
.■ M * * • » si pone in Dio.
84. gran fbfifta. 147. 148 AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J
AriflotUe rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8 . * 1 ?4- condanna
Platone, e n*è riprefo. 1 j.fiioi * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9.
pròBaMJifti venerato còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda > fanti Padri ..
da altri . 40. 41. 45. fuoi libri condannati . 35. 36. notato di gravi
errori da’ Padri , ed r , altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori
filo- . lòfi delia Grècia 44. fu chiamato in giu- *5 ^icio . 44.
fuoi principi bugiardi . 44.; infa- mato da 1 fuoi feguaci lteffi .,
45-46. fe ve- nifle ora al mondo fi difdirebbe. 103. 104 c
noniftimò di dover eflère norma univerfà- le . 107. e 1 origine di tutti
gli errori de interpetri. i^.fwacrfcurità. 148. 149. è li ìóJò tra
tanti filofofi,(:he fia ftudiatq, fxid ila V n izio ne deIL*iTOii\c>
biajtj ma|? - 1* - immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica T
fofìftica . 154. lodato affettatamente .169 flrabocchevolmente
biafimato> 170.. 172 giudici retti fopra il medefimo . 171. non
•%• • C Ano ( Melchior ) ; Tuo elogio •: 38. giu- ì dicio del
medefimo intorno a Piatone , . ; e jAnilotile. ; !.. 183
Capitone : fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno
al- , la filofofìa Cartefiana. . {, 120 Cartefto ( Renato ):
lii che fondamenti pian- « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi
giu* ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57 «‘ fo*! fuoi
protettori converte la Regina di Svezia . 64. e . altri . 65. lupi
fentimenti fi conformano v «> n que , de y Padri. n8. chiamato il refu gio de J cartoli- .
• 65* onori fattigli. 65. calunniato dalle univerfità Protettami .
70. fuoi nemici - fiioi difenlòri . 71. 72. pone per primo
principio il dubitare . 87-fua prote- it azione , $7. a ma d’effère
corretto. 88. per- chè fine meditate una nuova, fflofofìa. 116
lodato dal P. .Merlènni . 118.119. s’uniforma fo’ftntimenti di Platone.
121. fuoi coltami. iiz. giudicio fòpra il medefi. ino
del Malebranche . 180. fua filofofia -difefa dalle migliori univerfità
d’Europa. 61. ù »Ojr 61. fi dee
antiporte a quella d* Ariftolile. 114. è veramente Criltiana lodata. prefagio del Caramuele intorno
al* la medefima- 120. è tratta dalla Genefi perchè contraddetta da alcuni
ha dato motivo a molti di dar in pazzie . ed empietà. 179. fuoi difetti U
ha alla Moderna come la fpecie al genere Cartellano , e Moderno non è lo
fteflq. 19+ P. C a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna.
66 Caffi ni: fila oflervazione . ili Celfo: contrario a J a
bolero. 107 CeJ alpini ( Andrea ) .* fua. (coperta. Charlet : amico
del Cartello.. • . 66 Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia .
è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve- di Teologia . P.
Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici- zia del Cartello Clemente (
AlefTandrino ): non iftimò, che i Greci fi giuftificafièro per mezzo
della fìlo- lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal Nizo-
Ito. 172 Cielo : (ita grandezza , materia , e moti igno-
ti. • . . .• '• '>'••• ' Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1
P.Ciermans : loda il Cartello. Concilio Latermefe V. : filo luogo alla
Seflìo- ne to8 Tie 8. fplegato
. D Daniel ( Niccola ) : impugna il Carte- bracciata fua
opinione intorno alla i . . • P- Detei: Cartellano . Defcartes
. Vedi Carte fio. Digiuno : fin quanto abbia durato nella
Chie- *'• là il pranlò dopo Nona. p. Di net ( Giacomo )ì amico del
Cartello . > Dio: è la prima verità. . 163 Difpute :
la verità fogge da eflè . 5. fono un tormento degl’ingegni . 6 .
hanno diftrut. * to la filolofìa . altro lor pelfi- mo effètto. 137. Vedi Filofofi i
Perìpate. E Berardo ( Gio. ) difende il Cartello. 71 Epicuro
: plagiario. 49- commendato da’ Padri . 49. 50. 53. fua filofofìa
abbracciata. 48. 51. 53. anche da’ Padri meri. •• tò della medesima
. 49. 53. illultrata dal tiri) Sette. E
Gal' . ; 209 v ; G^irenaiv T " - ; ' 5
° Erbe : non fi fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) :
Cartellano. . 7 O Euclide: fuo detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano
4 filile parole d’Ariftotile. - ^ 59 . , Etintìniicr:
compagno d’ Aezio nell’erefia . 29 ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r .
7 6 : è riprefo da ’ Bafilio. ' ’ " : i ! ' , 7*
Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi- ■ ' • 81
no*. « , . • .op * u:- t \ r r *jLvì r r f
r *• » /i # ' »IA «4 • al * ,1 *l*v* • 1 I • # 5 "
Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna. p. Farvagtie : difertfore
del Cartefio. • 5^ Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.
• *'/», ‘ : v>- ! v . Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore
dell In. '• cfuifizione. * * .. . .. . 34 Fìlopono X
Giovanni ) .* eretico . ^ ' ■ 2.9 Filo fof are : è permeilo à tutti
. -ir. liberta di •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb-
: bà avere.' • ^ ^ — ^*54 Filofofi'r contrari a fe medefimi
.' 74. ton- ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno. •'
... .-L 'i. a_ . 1 14 fri- • I • « » » « t “ «
•. ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole . • i-! o
*J°» 1 ZIO 330. dicono le maggiori
pazzie. *3 1. fé. ne - può trar bene, e male per la religione , 19^
non poflòno eflère biafimati di queftó *191. • non bilbgna fperare
, che parlino da Cri- tìiani. 193. biasimo 1 e lode quando
abbia, luogo lopra euì. ' Filofopa: commendata’ da’ Gentili ) $
da^Pa- dii. 8. 9. io. 11. ip. non è fapienza..rV7^ : non è altro
che opi nazione non . ve n'ha al
mondo. divife in mille fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91
130. non abborrifce Je novità * 98. fogget- ta a nuove (coperte. 100.
101. ancella del. . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata
per efercitazion dell’ ingegno Jia avuto t. origine dajle fàvole
de’ Poeti . 130. . non è . contraria a tutte le. favole.
131.nan.haan. cor trovato la verità. .,-y '^64
Filofofia Antica : fua / debolezza . j Hj-è up • giuoco
fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y . 'Peripatetici t Scelffiiai •
Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v - . 198 ‘ "
j; - :l ;;;;i 51 Gtfitttr:' hanno partkolar irtftituto di
feguita* c re Ariftotile. 65. molti hanno abbracciato la fìlofofìa
Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in Francia. 93 G indie io : norma
.da tenerli nel. dar gfridició. .cr 171. noti bifògna dar negli cftremi Giureconsulti
: non fono così pertinaci , come v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j .
vui !;; .1,06.107 Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo
-ideila fìlofofìa Platonica i \ :U iV *7 f. Grandamy : amico del Cartello
. 68 O 2 Gran* i 212 .
Grandini: non fi fa cóme s’ingenerino. 8r S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo
elogio. 53. Epi- _ laureo. . .. 53- 54 P. Grimaldi :
abbraccia la filofofia Moderna. • L ^ • ^ ' t
\ * ; , M • - » . • ■ \ • «•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V
• * ' i »»•' #..*•> « y i » ♦ •
f . r I * * % 4 \ * • I
Gnoranz* ì & uo panegirico. 1 -- : % V« % ’ Incendy: ne* monti , non
fi fa come fi i-ì facciano. . • *:,. ' \ r . . » .
^ . »... » ir f-.' % » “ 1 . «ili i • » r - • r »
M ' • « 1 » t : ♦: io5 i Lampi : non n fa come s’ ingenerino.
. ci. ; P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè.
57 , ? . S . • Stoici : negano 1 *
opinarionì . 83. lofpetti ap- po i Romani. - * '
T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO prefagio in- torno ad Ariftotilc
verificato a 120 ■Temiflio: eretico. ’ *9 Teologi:
loro> difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 ° Teologia : le novità in eflà
fimo pericolofe . 98 ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina
delle fcienze. 127. non ha che fare colla fi- , lofofia.127. 128. ha
ritrovato la verità. 165 Icolallica non fi dee riprovareperchè fa
ufo . • d* Arittotile." . » 7 ? Terremoti : non fi là
come fi facciano . 81 Terra : ignoto fu qual baie fi libri , e
quanto Ila grande. "8* Tejt pubbliche : loro abufo al
tempo del V. Concilio Lateranelè . *77 Ticcùne: file
{coperte: • ” ^ S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come , e a che
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vato dalNizolio. 144. Fu il primo a li. re: nega Topinazioni. 83. fua
fetta fofpetta appo i Romani. Giuseppe Valletta.
Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Valore: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del mondo –
filosofia italiana- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher.
Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!”
Si occupa di metafisica, di ontologia
generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa
anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea
in filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio
su riferimento, rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia
della filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a
studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di
una prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al
gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è
stato caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico
di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della
corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più
teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia
analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di
storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con
corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali
(ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj,
rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi
artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research
finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del
progetto per il programma Euro Scholars
USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto
di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione
Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista
di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali
di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e
società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata
(editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea
(editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione.
Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione,
riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo
studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la
verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone.
Lezioni, (Valore), Milano, Unicopli, Forma
dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars
experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un
punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per
lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano,
Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato
anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come
numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue
InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La categoria
di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito sulla
distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia (Milano,
Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio
di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano,
Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate
Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme, "Idealizzazione della verità e
coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in
Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il
giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti inesistenti",
in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione
in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in
Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune
note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più
recente", in V., Forma dat esse
rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del
mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei..., "Il mestiere antico e nuovo del filosofo",
in la Repubblica, (Milano). "Fisica
e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del
metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di PRETI a BANFI", Ad BANFI
cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune
considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La
filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va
nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo
e Società, "Nothing is part of
everything", in Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito
da Utri sulla rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on
line. Scienze, saperi, forme di cultura,
e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito
da Gesner sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito
da Bianchetti, Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica,
Volume recensito da Giardino sulla
Rivista di filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà"
– cf. H. P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani
su SWIF Volume recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”,
recensito da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si
tratta di un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica
all'articolo di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica,
sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo
delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords:
Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Grice e
Vanini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici
del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “If you speak Italian,
you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra
i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce al casale di
Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre, uomo d'affari originario di
Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a
una famiglia appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra
d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto
nell'srchivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di
nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale
della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan
Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan
Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio
Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata
ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di
Gabriele e si trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre
della repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima
dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno
padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da SARPI che, con
l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue
a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli
consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica.
Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla
assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po'
magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole
ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della
capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili
redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla
morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi
chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi
dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli
vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due
fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti
delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali,
e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori
sanzioni disciplinari, al provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del
generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO, ma fugge in Inghilterra, insieme con
il confratello genovese GENOCCHI. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni
svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del mare del nord,
attraversando la Germania, i paesi bassi, il canale della Manica e giungendo
infine a Londra e a Lambeth -- sede arcivescovile del Primato d'Inghilterra.
Qui i due frati rimarranno per quasi II anni, nascondendo la loro reale
identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso
arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un nome diverso da quello
reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o degl’italiani, alla
presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo compagno fanno una
pubblica sconfessione della loro fede cattolica, abbracciando la religione
anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti
di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto da una lettera molto
amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A loro volta, le
autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è il nunzio a
Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati veneziani non
meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che
un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto il doge e
privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, è sul
punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia, arricchita
di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale BORGHESE
a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e dell'esatta
identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI, e di un
non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione
in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già operante nella repubblica
veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da Parigi continua a
inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra,
sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità
religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La segreteria
di stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in
Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a
rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura alla segreteria di stato
tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso
dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il
cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto del papa e della congregazione
del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la
successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell'inquisizione
romana. Un'altra lettera del cardinale BORGHESE invita il nunzio in
Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra
e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per «farlo
ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito». In
dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al cardinale BORGHESE notizie
dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati,
attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia
che possano presto essere recuperati alla chiesa di Roma. Questa lettera viene
poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana che nei primi giorni del
gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro V.. Nei
mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e
lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a
Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro nel cattolicesimo. Le
autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono
un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati. Tra la fine dele
l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e poi ad OXFORD (cf. H. P.
GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga
dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati vengono arrestati dalla
guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa degli
Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un
grande scandalo e dell'episodio vengono informati il re e le massime autorità
dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente
coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra.
Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono
con grande calore. GENOCCHI, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di
agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra. In conseguenza di
ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella carzel publica,
ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia di Westminster. Dilaga lo
scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga
dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del
cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO, e dell'ambasciatore spagnolo
quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia romana si continua a seguire
la vicenda e a favorirla in ogni modo. A Londra viene intanto istruito il
processo a V. Il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri
della fede -- come il carmelitano scrive con enfasi poi nelle sue opera --, ma
una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l'arcivescovo ABBOT
suggerisce al re. Anche V. riesce a evadere di prigione e a fuggire
dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore
spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità romane e del cappellano
dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale anche dell'opera di
alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di questi. II anni
dopo, durante il processo della repubblica veneta contro l'ambasciatore FOSCARINI
per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di sottoporre ad interrogatorio
il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità
della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano a Bruxelles e si
presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende da tempo. Vengono
iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in
Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e di
vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso, ma
con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni,
alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono
presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso
periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI.
Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità
cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI,
V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio
di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del
clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede,
scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende
avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la
sincerità del suo ritorno nella fede cattolica. Riprende quindi la strada
per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali
del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova,
dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai
figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati
non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente arrestato dall'inquisitore
di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro frate "recuperato", MARCHETTI.
V. teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige
a Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello
ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e
restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse V. esagera il
pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'inquisizione. A
Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle
autorità romane, come si legge in un dispaccio di UBALDINI alle autorità
romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore spagnolo presso la santa sede,
già collegato con la famiglia V., da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto
nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità
romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi
ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, V. ritorna a Parigi e
si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli di intervenire in suo favore
presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al cardinale BORGHESE, chiedendo
chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta
del segretario di stato. V., comunque, non ritorna più in Italia e riesce
invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi
della nobiltà francese. V. completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis
Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della
Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo
vigenti in Francia. Il saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è
dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è
stampata da Perier, tipografo notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce
in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che
provocano pesanti condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso
certi ambienti della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse
alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo
senso il “De Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e
brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di
questo settore della nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di
questi esprits forts e rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza
negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la
pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che espressano la loro
approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia
in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi
scritti da V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo;
di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la
condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di
essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo
pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola
invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni
errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la
supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale
richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La
Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di
circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del
saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne,
come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il
suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE,
a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione
dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato
con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca
V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum
de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in
Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e
vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà
che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De
Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..
Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali
specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né
religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo
proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna
del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano
giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da
V. non costituivano una novità. Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra,
impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici
francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le
possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura
che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla
capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon,
è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono
anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito di
Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio,
seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo
odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un
vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a
corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso
italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto
passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca
ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca
di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la
duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter
accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi
prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio,
di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di
grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni
non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i
sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo. Dopo averlo ricercato
per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo
sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano
le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano
angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma
non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso
personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo.
Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato
travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici
rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua
difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole
del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla
base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena
cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND
e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine
arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno
esplicitamente il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato
viene riconosciuto V., l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di
alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET,
che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due
citati canards. RUDELE, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di
Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY
e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e
assertrici dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e
proibendone la stampa e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto
sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La Sorbona non ha comunicato di aver
adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ
divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus
veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il
saggio si compone di esercitazioni, che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio,
a definirne l'essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le
opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE (vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi),
l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i peripatetici dei LIZIO, il PORTICO,
ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium
Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide in IV
libri: un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de Aqua et Terra; un Liber
III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un Liber IV de Religione Ethnicorum;
in forma di dialogo -- che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del
sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e
divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po'
complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere
di cui l'amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare
gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all'interno
dell'uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del
pensiero degli filosofi antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche
e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore,
forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul
sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla
folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria;
sull'impulsione delle bombarde e delle balestre; sull'aria soffiata e
ventilata; sull'aria corrotta; sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei
fiumi; sull'incremento del Nilo; sull'eternità e la salsedine del mare; sul
fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione
delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice
e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento
e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla
sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare
ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla
generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla
generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione
dell'uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione
del MASCHIO e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini
coperta da una larva; sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita
umana; sulla vista; sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico;
sugli affetti dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli;
sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli
àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al
tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria;
sui sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti
legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in
fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur
colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire
dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione
naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V.
magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps
da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis
naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a
CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti. Dio agisce sugli esseri sub-lunari
(cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine
naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal
momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo,
quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai
sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei
presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a
volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle
religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che
impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti,
interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe,
come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose
religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe
affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo
ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici,
mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima.
Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente
a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo
celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia
corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la
dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO,
elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico.
Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo
universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità
del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi,
afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in
favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e
lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia
semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse,
ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica
la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli
ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla
critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche,
biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che
nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo
tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche
costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne,
nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del
suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della
filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo
(il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede
costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei
padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio
di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al
retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con
prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo
platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi
panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più
materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia,
sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che
la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine
spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel
titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae
providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum
adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos
dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti
elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre
impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni
monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In
“De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato
a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e
sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene
negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura
come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo
sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare
e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della
natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia
è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione.
E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un
mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose
originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria
dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie
animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo
pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle
altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il
macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V.
ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le
Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I
due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un
ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la
validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato
all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene
celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore
generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui
interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana,
cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V.,
analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et
Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons
tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio
concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del
libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo
e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas
qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de
chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas
d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît
personne -- Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda
nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al passare del tempo, si
espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne
tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse
per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT che V.entra nella
filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando
diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo. Un manoscritto inedito
della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle Observations sur
Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul
filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una
copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la
trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente
essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra
copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di
Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe
a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo
“The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract
of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia
vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito
ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce
qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo
pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae
divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus
veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio
Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud
Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii
Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris,
De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae,
Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti,
Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna
Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei
mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna
Vasta, Catania, De Martinis & C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini,
Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia
per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a
Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il
libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina, Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al
Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini,
“Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto”
Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola,
“Documenti per una lettura di V., in «Bruniana & Campanelliana», Raimondi,
Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia
della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno
vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in
«Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi,
“La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una
appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa
documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano,
Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.”
in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del
Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le
Theophrastus redivivus et V., in «Kairos», Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino,
"V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della
Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De
tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei
libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip.
Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine,
articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in
La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V.,
in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo
processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der
Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni
documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano
a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi
documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e
in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi.
Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla
Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari
sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani,
V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati
in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di
Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli
hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni
dai loro superiori. London Public
Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V.
manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Lambeth e la
buona stima di cui gode lì. London
Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John
Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza
tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse
accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at
Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull.
Londra. Albery, un mercante inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese
a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di V. e le sue esperienze a
Venezia. London Historical
Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire,
Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una
copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers
Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton.
Londra London Public Record
OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess
of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull
the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London
Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of
Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull.
Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac.
Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers
Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic
Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton
a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George
Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report
of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth London Public Record OfficeState Papers Carleton
a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a
Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers
Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State
Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton.
Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley
Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report
Hastings, Notes of speeches and
proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings,
Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record
Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia
London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park
Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical
Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo
di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di
Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori di Stato
all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar
of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries
of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori
di Stato a Gregorio Barbarigo, London Calendar
of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries
of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations
for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio
di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di
Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio
Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio
General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni.
Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa
l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi
dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento.
Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che
Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato
a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei
documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di
Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la
delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve
essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot. LondonForeign
State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James
I. Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton
all'Arcivescovo di Canterbury. London
State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State
Papers Domestic. James I. 7 Chamberlain
a Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State
Papers Domestic. James I. Carleton a
Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo
di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState
Papers Domestic. James I. Giulio Cesare
Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Carleton. da
Londra. London State Papers Domestic. James I.
Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James
I. Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign
State Papers. Venice. Carleton a Abbot. London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State
Papers Domestic. James I. Abbot al vescovo
di Bath Da Lambeth. London State
Papers Domestic. James I. Lake a Carleton.
Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da
Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State
Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James
I. Abbot
a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. Archivio de Simancas,
Estado, Cardinale Millino a Alonso de
Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Millino a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de
Simancas, Estado, Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e
l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza
tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile
trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto
dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e
le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e
lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi),
Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente
della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e
Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla
sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo
cattolico. RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di
Francia, Ubaldini, Nunzio papale in Francia,
al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi. RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra, il Nuntio
alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese.
(Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,
lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse,
Francia, 293A, lettere scritte al Nuntio
in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato
Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese
Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini
a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Registro
di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano
Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio
in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,
Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia,
Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia
Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura
di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature
diverse, Francia, lettere scritte al
Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di
Parigi. RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro
Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card.
Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des
Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini
dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di
Stato Nunziature diverse, Francia, Lettere
del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini.
Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,”
Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza,
“Il medaglione di Vanini a Roma.”
Grice e Vanni: la ragione
conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione conversazionale
– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Inizia la carriera a Perugia e successivamente insegna a Parma, Bologna, e
Roma. Tra i fondatori del positivismo
soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo.
A lui si deve anche una originale lettura positivista della dottrina
storicistica di VICO. Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole
distinguere cioè tra la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo,
contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la
morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la
quale V. ha un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico
differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale
l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti
storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia,
come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’
(métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione
criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti
ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi
rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla
teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un
programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del
diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona);
“La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata
in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca
positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca
oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e
l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna);
“Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale
superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo,
La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del
disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana
(Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in
I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu,
La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere u open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere. I. Vanni. Vanni.
Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo,
positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vannini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola di mistica
-- di ‘Vitters’ – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain
Vanini!” -- Grice. Dopo gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze,
si laurea in filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico
e mistico”! Ha vissuto nel convento agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite
di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia
nei licei. Per un triennio storia della filosofia a Firenze e storia della mistica
all'Istituto di scienze religiose a Trento. Ha tenuto seminari e
conferenze in università ed accademie italiane e straniere: Genova, Trento,
Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo,
Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso
di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della
mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart,
nonché quelle di altri autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon,
Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel,
ecc. Lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e
curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un
punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei
suoi rapporti con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in
maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma
ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza
diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità
e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose. Per V., la
mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che
è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il
vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in
senso mistico della religione cristiana. La filosofia di V. si basa su
una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto
concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis
theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra
distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è
fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo
recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso
stesso luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una
pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed
inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di
mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La
“salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata
nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa
perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo
è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di
pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello
spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno,
libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha
suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama
culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari
infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi
critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI,
CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO,
VATTIMO, e VOLPI. La particolare
rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle
seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti
illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico
estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto
edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche
il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la
mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro
“la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica
dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che
la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V..
Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può
oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart.
MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia,
fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza
mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato
nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi
giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale
e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale
nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel
cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle
opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato
difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo
delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica
e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico
e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e
filosofia in V. ” Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La
Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart.
Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale
Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus,
Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI
-- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica
dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori,
Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia);
“La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La
mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Tesi
per una riforma religiosa (Lettere, Firenze);
“La religione della ragione” (Mondadori, Milano); “Sulla grazia” (Lettere,
Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la religione come verità e come
menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le parole della saggezza” (Le
Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’; “Il santo spirito
fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il cristianesimo: da
Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la storia vera
della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine sulla vita eterna”
(Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e testi” (Lettere,
Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano); “All'ultimo papa:
lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore, Milano); “VIO contro
Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il muro del paradisoL dialoghi
sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica, psicologia, teologia” (Lettere,
Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze. Mancuso, Lutero è vivo e lotta
con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su Materialismo Storico Bio-
Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto
Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Mucci, Il
pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il misticismo vive in tutte
le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su corriere. Torno, Alla
ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere della Sera», Cultura, Forte,
Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin, Mistica e filosofia in
V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister
Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das
mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vario: la
ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy of Life
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo italiano.
L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was
doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi).
His tutor was SIRO (vedi). Lucio
Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Grice e Varisco: la ragione
conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Chiari). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We
all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full
tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you
need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique
is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi
del positivismo. Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente
scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia
essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante
componente fideistica di ogni affermazione di verità. Questo ricorso alla
fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la
preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi
della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia
per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni
teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani). Altre saggi: “Scienza ed
opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te
stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee
di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti);
“Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona
d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme
ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della
Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords:
know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers,
BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia
critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Varrone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica filosofica – filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo italiano. Grice: “I count Varrone as the
first language philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking
‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’
has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as
in “Lazio, -- the calcio team from
Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice:
“The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin
always reminded me: ‘We should be like Varro, analysing our tongue as a ‘fluid’
semiotic system!’”. Academic, Roman polymath, author of essays on language,
agriculture, history and philosophy, as
well as satires, and principal conversationalist in CICERONE’s
"Academica.” Questore della repubblica
romana. Gens: Terentia. Questura in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai
fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle
norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e
militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi,
su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani -- CICERONE,
Academica Posteriora. Detto reatino, attributo che lo distingue da “Varrone
Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini,
ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e
severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e
fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe studi avanzati presso i
migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO (vedi) lo fa appassionare
anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio ACCIO
(vedi), a cui dedica “De antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand
tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e
Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo
eclettico. A differenza di molti altri filosofi del tempo, non si ritira
dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agl’optimates,
forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso
le prime tappe del cursus honorum – trium-viro capitale, questore, e legato -- e
vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e
pro-questore, combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale
tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In
una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un’incerta difesa del suo
territorio che si concluse in una resa che GIULIO (vedi) CESARE (vedi), nei
Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei
pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO CESARE, che apprezza il reatino
soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca.
Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e inserito nelle liste di
proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati più alle sue
ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie all'intervento
di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui dedica il “De vita
populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO CESARE. Ha una
produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Saggi: “De
re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta produzione è suddivisa
da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono verosimilmente 74, suddivise
in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver scritto 490 saggi. I suoi
saggi possono essere suddivise in vari
gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o
semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di
filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle
opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben
15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è
pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De lingua
Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi
completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte
della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i filosofi
successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività
filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a
partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”,
in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21
vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette
"pseudo-varroniane”); le restanti, spurie.
Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo
capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua
di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione
di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni,
pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia
naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De
bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario
affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano
essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri,
composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui
ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il
personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de
liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli
espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di
CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte
lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae
Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica
-- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa
e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di
argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con
rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente.
Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con
allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide”
contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il
mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era
caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile
tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De
lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone,
De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum
Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi
nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V.
logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il
Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga,
calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero
di rado, una tinozza". Horsfall, V.,
in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro, Le Menippee di V.: contributi
esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana, cfr. Alfonsi,
Le Menippee di V., in "ANRW". Atti del Congresso di studi varroniani.
Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e
terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano, Giuffrè); Dahlmann, “V. e la
teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V., il terzo gran lume romano”
(Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione
e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi Romani”. Fonti, esegesi, edizione
critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo”
(Roma Istituto di studi romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA),
Zucchelli, “V. logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e
letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum
humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt:
cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli
scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis,
excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in
aedibus Teubneri. “M. Terenti
Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. Riese, Lipsiae, in aedibus
Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different world. One
rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified civilisation
around the Mediterranean area, but the respective roles of the Italotes and the
Romns are dissimilar, if complementary. Without the other, the
contribution of either would have been less significant and less
productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and
Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek
settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to
write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively
within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The
expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is,
achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale
changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of
serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's
encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the
world during which the condition of the human race is most happy and
prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the
death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic
world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual
background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of
intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman
Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe
the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From
their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior
pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically,
this is reflected in the different languages of the eastern and the western
provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had
been made with a recognised civilization, Latin
-- which subsists in Italian – becomes he language of administration,
business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin
displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in
the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages
of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS
Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration
since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already
reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in
the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its
eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in
the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires,
with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the
head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the
beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation
between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in
Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks)
excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During
the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been
contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all
levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and
the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek
-- must have been a concern for all manner
of persons both in private households and in organized
schools. Translations are numerous. Greek literature is
systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek
writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed
during the classical period and after in metres learned from the Greek
poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in
the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It
is surprising that we know so little of the details of all this linguistic
activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic
contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are
aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the
remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his
subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In
linguistic science, the Roman experience is no exception to the general
condition of their relations with Greek intellectual work. Roman
linguistics is largely the application of Greek philosophy, Greek
controversies, and Greek categories to the Latin language. The relatively
similar basic structures of the two languages, together with the unity of
civilization achieved in the Greco-Roman world, facilitate this meta-linguistic
transfer. The introduction of linguistic studies into Rome is credited to
one of those picturesque anecdotes that lighten the historian's
narrative. CRATES, a philosopher of the Porch and grammarian, comes to
Rome on a political delegation, and while sightseeing, falls on an open drain
and is detained in bed with a broken leg. CRATES passes the time while
recovering in giving lectures on literary themes to an appreciative
audience. It is probable that Crates as a philosopher of the PORCH
introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and
Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the
time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and
discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic
questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his
interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman
antiquities. The number of his writings is celebrated by his
contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his
linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some
fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy
is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the
analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of
Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the
main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it
as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the
more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style
is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the
most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the
philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is
equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to
preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of
the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct
copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek
predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum
of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument
and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the
Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers,
though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does
not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more
derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe
Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the
syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language
we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua
Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies,
into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and
second.V. envisages language developing from an original set of primal words,
imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source
of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in
phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These
changes take place in the course of years. An earlier forms, such as
"duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At
the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”,
once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic
statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology
suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic
work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,”
from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s
philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental
ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A
similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious.
Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of
historical loans at various periods once the two communities made indirect and
then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier
common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some
extent be reconstructed by the methods of comparative and historical
linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no
conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan
from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is
misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their
cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and
their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his
conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal
words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the
synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical
members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all
the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational
prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to
distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic
philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much
more informative and perceptive than his attempts at historical
etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one
may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and
"eques" -- stem "equit-" – may be associated with and
descriptively referred back to "equus". But that no further
explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’
is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic
research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms
in languages other than Latin. In the field of word form variations from a
single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for
and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of
irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of
analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the
word formations of a language and in the meanings associated with them. In
discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices
the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in
culturally important areas than in others. Thus "equus" and
"equa" have separate forms for the male and female animal, because
the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not,
because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of
"columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since
"columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form
"columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open
to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies
beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception
not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of
V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between
derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in
antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very
great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly
the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard
language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’,
because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By
contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to
person and from one word root to another. From "ovis" and
"sus" are formed "ovile" and "suile.” But "bovile"
is *not* acceptable to V. from "bos" -- although rustic CATONE is
said to have used the form as opposed to the more standard "bubile.” The
facultative and less ordered state of this part of morphology, which gives a
language much of its flexibility, is distinguished by V. in what he dubs ‘declinatio
VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original in his proposed morphological
classification of Latin words. His use in this of the morphological
categories shows how V. understands and makes use of Greek sources without
deliberately copying their conclusions. V. recognises, as the Greeks do,
case and tense as the primary distinguishing categories of inflected words, and
sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally contrasting classes. Those
with case inflexion. Those with tense inflexion. Those with case and tense
inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective). Verbs. Participle. Adverb. These
IV classes are further categorised as a forms which, respectively, names, makes
a statement, joins (i.e. shared in the syntax of nouns and verbs), and supports
(constructed with verbs as their subordinate members). In the passages dealing
with these IV classes, the adverbial examples are all morphologically derived
forms -- like "docte" and "lecte". V.’s definition would
apply equally well to the un-derived and mono-morphemic adverbs of Latin -- like
"mox" and "eras". But these are referred to elsewhere among
the uninflected, invariable or 'barren,’ sterile, words. A full
classification of the invariable words of Latin would require the distinction
of syntactically defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later
Latin grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear
that what was of prime interest to V. is the range of grammatically different
words that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB
– CLASS II) , "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" –
PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his
treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the
doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within
the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis
of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division,
incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly
shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect
tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most
people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present
future Aspect incomplete DISCIBAM I
was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM
I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned
Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR I shall be loved loved loved complete AMTITUS
I had AMTITUS I have AMIITUS I
shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future
perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future
perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive*
place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we
have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the
major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in
the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I
did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek
aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both*
completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later
by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal
tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin
perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast
between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces
itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin
formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is
the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and
syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes
the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from
which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues
across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning
or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a
Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike
ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably
the most independent and original philosopher on linguistic topics among the
Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers
with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the
well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned
his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter,
the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean
the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’
appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the
classification of Latin words have been noticed. But the word class system that
is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and
the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica
filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The
number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words
corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist
in Latin. The definite article of Italian
develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and
‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the
article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the
relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the
interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either
with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin
grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’,
instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN
regards the separate status of the interjection as common practice among Latin
scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this
way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the
interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural
meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha
ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic
independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a
Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on
education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions,
he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts -- ,
regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of
literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax
at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses
the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of
Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO
suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii"
-- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has
nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate
‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit,
and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans
knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by
reference to one of their meanings – DATIVUS, 'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but
their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning,
or more generally, their meanings, and their syntactic functions being
associated with a morphologically distinct form in at least some of the members
of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in
view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental
use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly
reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant –
or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows
the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and
categories, in their application to the Latin language. But Latin
linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin
grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the
traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the
present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin
grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones
grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and
running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their
work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different
parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are
the best known. Though they differ on several points of detail, on the
whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system
of grammatical description. For the most part, Roman philosophical
grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology
and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek
technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin
word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’ ‘PRO-NOMEN’
‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO, a voluminous scholar, who states that every
feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class
system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the
personal pronouns in one class, so that the absence of a word form
corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among
the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the
'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted
to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating
investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The
succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted
grammatical description of the language is brought to completion and handed on
to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This
period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the
Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the
imperial peace in the third century, and the final shattering of the western
provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of
the empire. Historically these centuries witness two events of permanent
significance in the life of the civilized world. In the first place,
Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular
standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots,
spread and extended its influence through the length and breadth of the empire,
until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and
attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the
state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except
Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now
assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an
emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity
gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of
the period shows the struggle between the old declining pagan standards of
classical antiquity and the rising generations of Christian apologists,
philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the
past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is
a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and
west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases
under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later
successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old
Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the
end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern
and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak
to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division
roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by
Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from
barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from
the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the
Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the
break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman
Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to
become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on
from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual
exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save
only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking,
taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past.
This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin
grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars,
like them directed their attention to the language of classical literature, for
the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The
changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around
them arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are
liberally exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of
classical Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How
different accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the
grammar and style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate),
wherein several grammatical features of the Romance languages are anticipated,
with the Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO,
second only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and
learned from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and
the achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated
through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO,
who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much
from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he
could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to
Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his
dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest
authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and
throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the
description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and
syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as
the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”,
the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its
phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic
descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable
structures carry little of linguistic interest except for their partial
evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO
passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms
that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression
of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s
grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic
significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below*
the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents
the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus”
-- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“,
negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”,
which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two
meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of
Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes
laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the
separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and
described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence
the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously
illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII
books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY)
to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and
comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages
are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two
languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a
Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city
was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of
Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of
speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in
Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s
expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are
substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class
is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property
of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common
or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is
to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is
not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally
referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and
cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the
Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its
substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first,
second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third
person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO
repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to
indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of lexical
restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a PRONOMEN.
The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM, to
which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO
is to be used as a separate word before case inflected words and in composition
before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax,
identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO.
INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and
indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to
join syntactically two or more members of any other word class, indicating a
relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one
notices that in the context in which he is writing and in the form in which he
casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found
necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no
more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne.
It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in
education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and
summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the
long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these
centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of
nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or
basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person
singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms
by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of
western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological
unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic
analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive
linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat
similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories
in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected
or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following
the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important
insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory
of the establishment of categories and of the use of semantic labels to
identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But
PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET
-- such a definition would require
considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from
just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the
particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than
the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic
functions associated with each single set of morphologically identified case
forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the
actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but
on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences
in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun
class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses
and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In
describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set
out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with
a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist
-- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect
and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the recognition
of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s
analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one
set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between
incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on
which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the
morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely,
PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future
perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular
form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which
differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim”
-- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first
person termination in -im. This seems all the more surprising because the
corresponding forms in Greek -- “tetypsomai”
-- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek
predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the
tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism.
A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to
recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood
(independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike
Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN
in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status
of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due
primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's
and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's
morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment
of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing
features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account.
They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology.
Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his
assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or
pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance
(“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of
philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic
description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been
worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive),
passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs,
passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax
and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those
colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis”
-- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is
noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as
grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical
subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative
absolute construction, though the actual name of this construction is a later
invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the
ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire
Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic
structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is
recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui,
quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a
whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is
employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs
from all other words, in that these latter were generally used only in
syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of
word being able by themselves to constitute complete sentences of the
favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin
conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and
coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being
classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as
subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise
hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It
is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s
achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description
of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis
of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up
to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field
of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the
frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of
linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a
misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and
attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history.
But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO.
In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and
analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed
intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their
notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in
intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her
uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is
more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the
Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s
“Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and
forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval
linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar
is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been
broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is
to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the
philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been
identified as one of the main defences of the classical heritage in the
darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer
Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical
heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin,
Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der
Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP,
The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient
and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical
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Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire
(ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3:
Tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacisque
imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The
interpreters of foreign languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING,
FUNAIOLI, Grammaticorum Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars grammatica scientia est eorum quae a poetis
historicis oratoribusque dicuntur ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus,
Ars grammaticae I (KEIL, Grammatici, Leipzig). On Varro's linguistic theory in relation to modern
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Foundations of language 2, SUETONIUS, Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae PRISCIANO, Institutio de nomine pronomine et
verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS, Instituta artium (H. KEIL,
Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER, Anecdota Graeca, Berlin,
APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as pronoun,- PROBUS, Instituta
(KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER, Anecdota Graeca , CHARISIUS,
Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile habent, significant tamen
adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their works are published in
KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris numerorum PRISCIAN De differentiis et societatibus
Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis grammaticae maximi
auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima orationis constructae;
Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans.
Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars
orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam
qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate;
Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel
patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus
habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos
habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba
accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad
similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et
modorum. The problems arising from the peculiar position of the participle
among the word classes, under the classification system prevailing in
antiquity, are discussed there. Proprium
est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen
est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque
finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium
est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse
habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis
adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem
casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus
quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae
praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40:
Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem,
etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa
nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia
coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum
partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so.
cp. MATTHEWS, 'The
inflectional component of a word-and-paradigm grammar', :Journal of linguistics
HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum victorem cepit et artes Intulit
agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et le debut
du moyen age, Paris. Marco Terenzio
Varrone. He led an active
and sometimes risky political life. Although he backed the wrong side in the
civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was influenced
by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have since been
lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical dialgoues,
the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of toipics,
illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano calls him
the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is highly
unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in
Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter. Marco
Terenzio Varrone. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom,
lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio, Varrone,
Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Varzi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti,
e degl’eventi – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Some Italians do not
consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned
elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s
essays belong in English literature. He has written on ‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses
‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have
been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some
Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his
maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian
– plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente
della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica
e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e
ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato
insignito della Targa Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per
l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio
dell'immagine del mondo propria del senso comune, si è indirizzato
progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista,
nella convinzione che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire
alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre
pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che
sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di
rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività divulgativa, spesso
in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo cui la filosofia è
una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne
mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente diaboliche”
(Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza
elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la
quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo
messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di
immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità
insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri
argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia, Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi:
Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla
filosofia di V., Isonomia Epistemologica,
Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo
messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili,
Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable
Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company
all'edizione del New York International
Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista
ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords:
‘universal’. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Varzi:
semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Vasa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA LIBERTÀ –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Aggius). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società
Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura
di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli
studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel
liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa
della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri.
Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico
Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente
volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a
cattedre di filosofia teoretica, chiamato a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente
legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria. Negli anni di formazione, si trova a
partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di
superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e
assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo
indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona
l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per
quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia
in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini
sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo
all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte
trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V.
l’opposizione di immanenza e trascendenza.
Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA
(vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della
storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che
rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo
critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco
della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni
struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non
ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della
possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo
della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne
difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA,
sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo
scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della
prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di
tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore,
cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole
essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che
riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la
responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è
immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti
gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra,
sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto
con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro
Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi
metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia
trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo,
caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar
oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari.
La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a
mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona.
Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti
in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella
prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra
parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la
realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove,
risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità
proprie. Per influenza dell’amico GEYMONAT,
e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo
l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella
comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno
formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario)
di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva
nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso
svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi
sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono
tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole
chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a
variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e
cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è
anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore
della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche
sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi”
(Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica,
scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius.
Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e
note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale
Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della
Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In
memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione
e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su
metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e
Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia:
Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia
italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare
di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni
della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia
italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo
della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale
di Filosofia (Bologna, promosso dalla
SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl,
L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano, Logica e religione di fronte al compito di una
possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di
Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le
lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V.,
Logica, scienze della natura e mondo della vita. La frase (di V.) compare nella presentazione
editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra,
Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale,
Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra
filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica,
Milano. Marinotti, Handjaras, “Ragione e
libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi
del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V.
(Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista
di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e
scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo
(Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità
vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili
di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana.
Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi,
Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi
inediti, Minazzi e Sandrini, in «Il
Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti,
Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e
di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il
partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V.,
in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca,
Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo
in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia».
Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice
e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura conversazionale della
setta di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE,
who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a
Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his
dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vattimo: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o impiegato come
comunicatvm debole -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what
Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper,
‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at
least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza
conversazionale; massima della forza conversazionale” – Filosofo italiano. --
not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionaries.
Vattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone
familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on
Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the
maskanother on reality. There is a volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación
y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente. Laurea
in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra i massimi
esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia debole. Il
padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno e mezzo. La
madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si
trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e ritornando a
Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù
Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del
movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante,
influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos,
portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico,
l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi)
assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in
filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la
specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la
filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino,
nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di
filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che
non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta
università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La
clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto
seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica,
membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani
La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista
Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice.
Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e
Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività
politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici
di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei
Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina
calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione
intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo
turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste
dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini
comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno
dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al
Partito Comunista. Il suo ideale politico-religioso si riassume in una
forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale
anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira
alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone
alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in
genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore
di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato
di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di
banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild.
Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di
anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che
non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione
squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in
Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia
un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele
«bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La
dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha
suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di
posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con
l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha
espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una
montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del
male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una
statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una
propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le
diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua
dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo.
Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni
filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore
consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore
consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono
essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il
peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e
umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non
viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società,
la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della
tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva
importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette
all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani
(dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla
teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi
come “Credere di credere” rivendica alla
proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la
postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON
e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale,
così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON e Quinzio, però, non condivide la visione
religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come
rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett.
svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana. Le posizioni
di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica
dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona
il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone
positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un
ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli
sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare
dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le
precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il
processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di
"molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un
"Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare
la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni
tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una
tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una
prospettiva politica concreta. V. ha anche espresso posizioni
ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca
in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari
possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la
nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più
immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro,
contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali
negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa
una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non
necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia
sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non
riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva,
porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.
Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai
polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per
effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso
V. Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il
Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di
attualità, politica e cultura. Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele”
(Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino);
“Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia,
Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione
ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano);
“Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli,
Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La
fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza,
Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica
dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente”
(Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di
credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo”
(Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed
esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per
un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed
emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il
socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala,
Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e
relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio.
Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu.
Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione
all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della
realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a
carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio
Brancati. V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo",
Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V..
Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V..
Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V..
L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli,
Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare
l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il
nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa L'apertura del presente. Sull'ontologia
ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez,
Leiro, Rivera. Fondazione verano centini/images/
allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su
movi100.azione Gallo, V. Interview, su
public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo
con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al
Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus,
Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian
philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno. 'Shoot those bastard Zionists': Italian
scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su
archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo
anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.:
«Per fargli male doveva sparare» Il
Giornale, In questo senso Cfr, tra
molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e
diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro,
libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo. Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali,
Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul
riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale
nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul
benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma
io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere. «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì
in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro
premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni
vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. V. su europarl. europa.eu,
Parlamento europeo. Registrazioni su Radio
Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero
Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento:
dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di
credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia
della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni
Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Veca: la ragione
conversazional e l’implicatura conversazionale della massima dell’altruismo
conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has
contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito
culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato
dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della
sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo
analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia
del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico
politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua
riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della
metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e
politica. V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a
temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche
e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si
laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario,
borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica
a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore
incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà
di filosofia di Bologna. Professore incaricato, professore incaricato
stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze
politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso
la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà
di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia.
Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato
direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio
Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale
di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica
dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione
Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training
and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio
d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore
dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi
ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore
vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore
di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di
Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze
sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne
seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas,
Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa
attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di
Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente
della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza
politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna
l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e
pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che
perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale
con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva
della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia
politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi
Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il
progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è
direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è
direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore
di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per
l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la
saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente
della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana
Theoria. Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste
quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica",
"Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica
degli affari", "Iride", "European Journal of
Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche",
"Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il
Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore
de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione
civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del
Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione
in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato
etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico
dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli
di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la
ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo
nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale
presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente
dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività
dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato
generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente
della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica
dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La
voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della
Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola
Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente
della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere
della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente
non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti;
presidente della Casa della Cultura di Milano. Socio corrispondente non
residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo
dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei
Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio
“Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della
Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti
della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per
il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa”
per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura”
della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro
di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono
individuabili tre fasi distinte. La prima fase della sua ricerca è stata
dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica
“Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della
logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine.
Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in
rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda
fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica”
e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un
programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla
prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della
ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed
elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una
filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase
della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca,
orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva
della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come
valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una
prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in
particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di
emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a
questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi
interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni
di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti
in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica
un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella
bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della
teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima
parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni
esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della
relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il
bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di
base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva
filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della
filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e
approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a
fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le
circostanze e i soggetti di politica. “Le cose della vita: congetture,
conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita,
inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità
intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il
“Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni
temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita
democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica.
“Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita
dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni
sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca
filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di
applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della
dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche
filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con
l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del
contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle
principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità”
propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte
sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del
fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in
una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica
strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In
“La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva
globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta
questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza
e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca,
raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la
Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la
l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni
metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi
possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong)
costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni
normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica
esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la
distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla
compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura,
può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di
stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le
modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e
modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia”
(Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore);
“Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti
per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO”
(Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e
competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano,
Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano,
Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza.
Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni
di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale
Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino,
Einaudi, Europa Universitas. Tre saggi
sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica,
società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli, L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma,
Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia,
Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia.
Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La
filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di
giustizia. Milano, Feltrinelli, Il
giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano,
Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori", La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano,
Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni
personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole
della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro
lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e
verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e
studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli, Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce
sola. Milano, Feltrinelli, Kant. Milano,
Book Time, Tolleranza. Le virtù civili.
Milano, ASMEPA, L'immaginazione
filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il
Mulino, Ragione, giustizia, filosofia, scritti
scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia
Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,.
Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano,
Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio
Expo. Milano, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,.
Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il
futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli);
“Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma,
Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,.
Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra.
Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma,
Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel,
Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore,
Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin,
Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate
al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti
Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia RAI Filosofia Presentazione del volume
Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione
conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica
conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords:
altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere, – ragione – virtu capitali, le mosse della
ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale”
– The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vecchio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del criticismo trascendentale
contro il positivismo di neo-Trasimaco – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto,
filosofia politica. Influenzato a BOBBIO. Eminente filosofo italiano del
diritto. Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso per il suo saggio “Giustizia.”
Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Aderito al
FASCISMO, come molti filosofi del diritto in Italia -- anche se lui stesso
rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale. Perde la sua cattedra per
due volte e per ragioni opposte. Per mano dei fascisti, perché e un ebreo. Per
mano di anti-fascisti, perché è accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio
della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra
mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione
regia di Panucci. Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di
ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista,
la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e
direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra
i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il
concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni
giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza
che si svolge in Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale
che sembra di ridefinire la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha
attribuito questi tre compiti: compito
logico: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio
del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’
-- o l'essenza del diritto come – dovere
-- dovrebbe essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge,
Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui
principi generali della legge, Giurisprudenza, Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della
scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed
Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del
diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.”
SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022 Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In
anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere
di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto
(1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio
del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici
italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano
la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che
si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in
Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento
dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo
osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero
passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto. 1. Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre
legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel
1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il
trasferimento a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a
laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e
sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica
a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla
Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla
Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel
1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti
dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese[1] . Nel frattempo avvia alcune delle relazioni
internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando
l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906
viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in
quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di
Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti
filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel
1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte
successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto,
denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo
unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921
nella The modern legal philosophy series.
Presupposti, concetto e principio del dirittorappresenta a pieno titolo
il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il
diritto come «la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più
soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone
l’impedimento». Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di
proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani,
che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in
realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di
un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare
alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a
criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello
giuridico. 2. Alla filosofia del diritto
Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della
determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche
proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del
diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica. Alla ricerca logica devono accompagnarsi
secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca
fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di
sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero:
essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello
svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli
ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della
giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute,
e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona
umana[3]. Questo fine che Del Vecchio
riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso –
indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia
di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della
giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via
via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione
di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di
persona. Del Vecchio dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare
«non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo,
avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo
phaenomenon), determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale
(homo noumenon), indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa
terminologia, sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito. 3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia
del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza)
dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad
accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria
determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il «principio, o
idea-limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa
e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza»[5]. Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto
«diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni applicazione e ad ogni
rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed indipendentemente dal
rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne
sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a
quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti
naturali dell’individuo (o della «persona»).
Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia» la cui ragione
prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato
al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima
ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua
missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che agisca in
contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di «Stato
delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed efficace
anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo
contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono
le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del
diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9]. Daniele Onori
[1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902;
L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana, 1904; I presupposti
filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale,
1906; Il concetto del diritto, 1906; Il concetto della natura e i principio del
diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908;
Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come
carattere del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla
statualità del diritto, 1929; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della
scienza del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti
del diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica, diritto
e Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e l’insufficienza
del diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel diritto, 1938;
Sul fondamento della giustizia penale, 1945; Verità e inganno nella morale e
nel diritto, 1945; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, 1948. [2] R. Orecchia, Bibliografia di Giorgio Del
Vecchio, p. 11 [3] Del Vecchio, Lezioni
di filosofia del diritto, pp. 350-351 della 13 a ediz., Milano, 1965 [4] Del Vecchio, Il concetto della natura e
il principio del diritto, p. 72, Torino, 1908
[5] Ivi, p.85 [6] Ivi, p. 86 [7] Del Vecchio, Etica, diritto e Stato, nel
vol. Saggi intorno allo Stato, Roma, 1935, pp. 168-169. Nello stesso volume,
nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di fare rientrare
nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista (p. 134
ss.). [8] Del Vecchio, Lo Stato
delinquente (1962) [9] Del Vecchio, La
giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959. Ma le idee di Del Vecchio
circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi scritti: fra quelli
dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e conclusioni sul diritto
naturale (1948), Essenza del diritto naturale (1952), e Mutabilità ed eternità
del diritto naturale (1952), gli ultimi due ora in Studi sul diritto, I e II.Giorgio
Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo,
positivism, giustizia, il giusto, fascismo, Bobbio. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo
dell’ ‘ius.’”
Grice e Vedovelli: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale di una furtiva lagrima -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Rettore a Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in
filosofia a Roma. Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca
e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca
si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e
la linguistica acquisizionale. Introduce il concetto di lingua immigrata. Le
sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in
contesto migratorio. È autore di un commento al quadro comune europeo di
riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca italiano,
indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore
della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza
della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e
delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza
dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),
Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra
stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del
quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano
degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in
giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera,
Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma,
Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica
Semiotica Registrazioni di V. su Radio
Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vegetti: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale dell’accademia di Pater – vadum boum -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna
a Pavia. Si laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno
del collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato
in storia della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove
ricopre più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente
presso la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati
dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium
Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e
dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro
intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia
greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi
sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a
impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in
considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in
ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia,
segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V.
consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in
particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il
PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura
greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla
legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo
ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo
poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi
su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno
e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra
Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma);
“La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis);
“Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed.
Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un
paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e società
antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri,
Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa
antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica,
Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli,
Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi",
Sankt Augustio. Traduce Ippocrate,
Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA,
Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica,
Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone,
Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di
Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia,
Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica”
in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del
bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni
antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza,
Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su
Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi,
Celli, Fare società, ed. Einaudi
Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino.
Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo
studioso di Platone, su corriere. Curci,
Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia
Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il
Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere
della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Registrazioni su Radio Radicale.
L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La
medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone
e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords:
ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi
Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Velino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Italian philosopher Grice: “”A = A,”
Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian
neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian philosophers, if only
because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice. -- Parmenide Parmènide di Velia.
Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla
natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha
influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo
dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo
il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica
– o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica
più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è
stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della
fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della
sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e
chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è
discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente
discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta,
insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce
di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce
Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il
poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio
in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da
altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad
oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che
comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la
via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi. Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν
ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν
ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ
- , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω
παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε
φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu
ascolta accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono
da pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo
è il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che
"non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un
sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò
che non è -- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo
stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del
mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere:
immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile,
eterno. La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del
filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la
quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in quanto
tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante
dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via
dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità
che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι. Pur non specificando
cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il
concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica
testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il
non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
… ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che
non sia … non è, ed è necessario che non sia» -- Simplicio, Phys., Proclo,
Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal
niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i
primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni
in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi
il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura,
tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente
motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero
essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge
promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato
non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale,
servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si
traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse
sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è
uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non
sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è
l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non
può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un
momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo
periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere
è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non
essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La
morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere
è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come
elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη),
che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La
dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto
intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo
Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera
paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio
e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è
infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è
uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria
della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello
spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni
dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti
l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su
se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere,
secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai
sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che
appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma
nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia
stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a
Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere.
Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai
il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è
difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di
conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di
qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di
essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi
concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero,
accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche
orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che
l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse
l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini
tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere.
Parmenide si limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare
dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base
all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una
semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una
ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità
dell'essere nascosta sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da
Platone che cerca una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per
sciogliere il dramma umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si
scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a
negarlo, Platone conceve il non-essere non più alla maniera di Parmenide
staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso
dall'essere in maniera relativa, nel tentativo di dare una spiegazione
razionale anche al tempo e al molteplice. Il rigore logico di Parmenide
gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte
di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla
ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una
conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.
Parmenide e la scuola di Veli. Parmenide ne "La scuola di Atene",
affresco di Sanzio. Parmenide è il fondatore della scuola o setta di Velia,
dove ha vari discepoli, il più importante dei quali è Zenone. Il metodo usato
dagli velini è la dimostrazione per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario
giungendo a dimostrare la verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e
delle impressioni dei sensi, per una impossibilità logica di pensare
altrimenti. Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla
radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del
principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in
seguito da Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla
ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza
necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione. Parmenide e i
velini si contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro
contemporaneo, filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui
sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a
concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide. Anche
l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che
cerca una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento
originario al divenire -- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso
dagl’atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera
una convivenza di essere e non-essere. In seguito furono i sofisti a
cercare di confutare il pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e
indubitabile (επιστήμη) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di
Gorgia di Leonzio. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava
in particolare l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato,
di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra
contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada
che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle
idee. L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato
le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato
dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le
vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia,
secondo cui l'opinione (δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione
assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si
tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori,
ma di una TERZA possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità
pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del
fondamento occulto e autentico dell'essere. Nelle parole della dea, infatti,
Parmenide è chiamato a conoscere anche le opinioni dei mortali, in cui non è
certezza verace. Eppure anche questo imparerai. Come l'esistenza delle
apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga. Si
tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Schwabl, Untersteiner,
COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene respinta da altri, che fa di Parmenide un
anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli invece
mantenneno una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente
attribuita ai velini. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico
in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi
di Heidegger e di BONTADINI, l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale
ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo.
In particolare nel suo saggio “Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende
proporre un'originale re-interpretazione delle categorie fondamentali del
pensiero alla luce della rigorosa logica del velino. Secondo Platone in “Parmenide”.
Dopo che è scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione
Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός -- Parmenide figlio di Pirete medico
degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola
medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con
barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in
un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata.
Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo
epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte
antica Treccani). Logos: rivista
internazionale di filosofia, Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro
il movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica
di Parmenide. Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo
Platone in Parmenide, Diogene Laerzio. Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi
Aristotele, (Metafisica) e Platone (Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite
dei filosofi. I presocratici, a cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide,
Simplicio, De cœlo. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. Sesto
Empirico, Adversus mathematicos. Finito non da intendersi come imperfetto
perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il
finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa
quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a
Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Dalla raccolta I
presocratici di Diels e Kranz. Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia
da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della giustizia è interpretata
da Parmenide in una maniera nuova, filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen
Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien,
München, Beck -- per il quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o
esattezza (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla dike
"filosofica" cfr. anche Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin
des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, Magonza. La
nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha
diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col
suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?,
Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso
il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un
filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il
sapere" propende per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione
è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in latino
da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in un fragmento di Parmenide
(cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede & Cultura. Il principio
di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere stesso, la
verità essenziale, è successivamente impiegato come strumento del pensiero
logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la logica e
la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano). Della raccolta
Diels e Kranz. Einstein si espresse tra l'altro in maniera sorprendentemente
simile a Parmenide, in quanto anch'egli tende a negare la discontinuità del
divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper, grandi scienziati come
Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e, soprattutto, Einstein hanno
concepito le cose in modo similare a Parmenide e si sono espressi in termini
singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si curverebbe su se stessa,
per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è
illimitatamente percorribile anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non ha
senso chiedersi che cosa esista fuori dell'universo (Riva, Manuale di filosofia).
Meinong, proprio come Parmenide, difese
ad esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può
parlare. Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le
filosofie dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni,
su filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr,
Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso
esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale,
Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque,
Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a
suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica,
Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides,
Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze
e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed.
dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in
Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette,
Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre
che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine
indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile
(sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del
"velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del filosofo
al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo, ricorderebbe i
viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente
(Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma dapprima di aver
compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di Platone. Parmenide
svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono, quindi esistono e, se
esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo luogo, SEVERINO usa
la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio. Poiché il divenire
non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un
creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Diogene Laerzio, Vite
e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Reale con la collaborazione di
Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli, Gli Eleati: testimonianze e
frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione
del Poema (Faenza, Lega); Reale, Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura (Milano,
Rusconi); Cerri, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti, Che
cos'è l'essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo, La
Nuova Editrice); I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali
a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura di Reale
(Milano, Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso.
Testimonianze E Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide
in Essenza del nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi
e saggi di filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da
Anassimandro agli Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia,
Marsilio); Capizzi, Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi),
La porta di Parmenid: saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO,
Studi sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici,
Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra
filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la
scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla
scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger,
“Parmenide”, a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su
Parmenide, a cura di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide.
Lezioni (Adelphi, Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides,
Parmenides Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo.
Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide.
Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici.
Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro,
L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il
migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne,
Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano);
Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere
di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni,
su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato
in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi
dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in
Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e
delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,”
“Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords:
Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo
italiano,” Luigi Speranza, "Grice e
Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Grice e Velia: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei velini – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Filosofo italiano. Cf. senofane, parmenide -- Velia
-- (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone
*loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's
arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup
(Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of
Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large
tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the
Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” --
that is the question!” -- Grice. Italian
philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes.
“Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic
puzzles, in nature.” H. P. Grice. four
paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track,
Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to
us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox.
If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an
infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the
point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between
this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to
complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the
end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the
track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if
sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an
infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be
completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster
than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a
lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter
how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing
Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But
the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making
up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing
Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles
is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the
gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the
tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the
tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium
paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l,
arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of
line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same
rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to
l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A
to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its
double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a
space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for
motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point,
not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every
instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing
moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show.
There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One
view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity*
-- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a
seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow
that reality can be successively divided into parts, you find yourself with
these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single
indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e
problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di
Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il
taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano
costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una
volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide
e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”).
Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per
difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per
amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone
fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di
darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione,
probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a
Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che
Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui
sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad
Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad
Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia.
Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte
le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende
attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto
combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non
parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra
che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica,
e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive
e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere
indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se,
nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto
che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare
l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé
l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di
Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non
interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere
come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si
rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su
cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È
tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e
delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando
che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare
che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici,
quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica
di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia
fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità -
abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in
certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di
metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro
a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo
mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la
pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi
dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole
andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima
affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per
giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di
Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che
Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma che
corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti
contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone
il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico"
(Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto
di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio
sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica
dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei
molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse
contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone
nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano,
confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto
definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel
piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti
reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di
tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni
punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande.
Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi
grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza
grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è.
Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in
numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito,
perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito
perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra
un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per
sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla
nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti
punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni
cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno
spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi
all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele,
Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto
argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di
miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione,
vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa
rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma
ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei
primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto
impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà.
Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una
relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati
come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può
rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come
realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non
in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto
inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del
passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B
posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi
vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della
divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è
allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto
ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la
tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né
l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr.
Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita
d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si
annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere
l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della
freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica;
Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone
dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la
definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo
l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che
va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà,
ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro
punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso
mobile va a XX chilometri all'ora. Il argomento IV - dice Aristotele - è quello
delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio,
lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le
altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è
uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro
il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea
consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico,
contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto,
Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto
dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del
confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di
Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio
di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere
solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo
gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla
pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini
logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a
rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano,
definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano
rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua
polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di
CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte
dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro
l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla
sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa
vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti
certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da
parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad
alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano
potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in
termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di
definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza
che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che
altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si
determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della
problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul
continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come
determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo
stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano
puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il
pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che
nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi
fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo
divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé
tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto
tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti,
proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro
all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di
limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un
altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e
Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare
l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale
stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella
consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità,
a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello
stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di
Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di
Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P.
Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza,
"Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Velleio:
la ragione converazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Used by Cicerone as a
representative of L’orto -- on the topic of the divine in “De natura deorum.”
Although a senator, his philosophical views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics.
Gaio Velleio. Velleio. Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.
Grice e Venanzio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’estetica -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Portogruaro). Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e
nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici
anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a
pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e
cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno
che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi
apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era
debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta
lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto
pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un
cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo
scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella
prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più
smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI
LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene
intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali
dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime
proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio
filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e
con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu
addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero
prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua
famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non
vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami
sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La
natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al
letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la
filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità
degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche
cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la
lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano
romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia
rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte
le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume
d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di
sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non
tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di
poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli
studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e
filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e
pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse
Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que'
giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili
investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e
amenità di stile vestite. Divide la
materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la
bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in
tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato
dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in
movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti
naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove,
tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita
degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne
fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e
assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà
sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che
hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare
proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e
sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il
vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia
il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima
nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed
essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto
spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che
si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio
della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa
manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola
de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci
degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da'
bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue
ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla
natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual
cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le
stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche
all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della
morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente
discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi
d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa
analisi pon fine al secondo libro.
Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera.
Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue
impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e
per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si
creatori e le determinazioni della volontà.
Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la
commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere
dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta
poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della
bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono. Senza che, varie son le maniere di presentare
le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a
splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in
luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua
l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando
in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella
presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella
imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la
esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e
lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette
l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli
ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii
autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione,
punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende
manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il
bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle
dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro
dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza
morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle
pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a
ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente
e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello
argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo
della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono
le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica;
perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa
segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e
la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità
dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella
Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i
cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura
propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda
vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che
nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere.
Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla
italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo,
ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato
riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle
opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei
prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia
volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle
altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai
progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché,
mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la
nostra può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di
patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora
della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero
i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e
tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che
sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e
Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca,
dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui
scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare. E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed
alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua
patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli
pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che
quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate
in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e
scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il
vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran
parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le
leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse,
e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla
pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato
speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del
sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide
di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via
moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a
seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si
mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse
di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il
solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo
con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non
feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile
acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità
distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua
italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide
pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo
acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio
animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute
de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla
istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria
favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si
distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza
renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge,
pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce,
esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui
nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare. Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei
prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola,
Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello,
l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,
“Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vera: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo italiano –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo
italiano. Grice: “One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which
took its inspiration from a little tract by Vera which was especially
influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it
was a boojum, you see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe i suoi studi alla Sapienza di Roma,
terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra subito un immenso talento per
l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito
filosofico, reggendo svariate cattedre in città importanti della Francia e
della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone III lo costrinse a
rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la
stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna in
Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della
filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di
Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere
scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani
tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei. E
suo fedelissimo allievo MARIANO. E durante i suoi studi con Cousin a
Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente
dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si
deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia
idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna
all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello
esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti,
che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne sostanzialmente
fedele al dettato ortodosso della dottrina. Nei suoi saggi, che esaltano
la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un sistema
organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta l'idea
logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo per
questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene una
tale lettura possa apparire una forzatura. Centrale è il primato dell'idea,
che si articola nella storia come organismo spirituale, e per attingere la
quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e
neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di Prussia in maniera
consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a pensarsi come
idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il progresso
delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché
una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si
muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova
sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera,
la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono
adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto
è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio
determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier,
Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert
nella stesura di Bouvard e Pécuchet. In Italia invece è stato
determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo
con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema
dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour
con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di
rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di
una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis,
Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi:
“Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia
(Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia
e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e
sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera
Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e
l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani.
La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in
proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui
in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta
osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane, de "Le filosofie contemporanee",
Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli,
su eleaml. altervista.o. Lezioni di V.,
raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier,
Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale,
su rito simbolico. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano,
Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate
con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e
l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia, Messina, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e Vera, Torino, Edizioni
di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente ortodossa” (Milano,
Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V.,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica. Vita e opere di V., su malerba. Introduzione
alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con
l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze Monnier). Gatti, per far
meglio conoscere ai lettori della sua Rivista napoletana Augusto Vera, il
pensatore illustre che insegnava già da due anni nell'Università di Napoli, ma
non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di altri professori aderenti
alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori d'Italia, pubblicava due
inediti frammenti di filosofia hegeliana del Vera: e si accingeva quindi
a voltare in italiano e a divulgare in elegante o puscolo una discussione
dell'empirismo inglese, dall'autore già pubblicata a Londra nel 1856 %.
Gli pareva che le questioni toccatevi fossero cosi fondamentali e riguardassero
cosi da vicino l'essenza stessa del sapere filosofico da poter giovare
all'Italia non meno che all'Inghilterra, aiutando gli studi nostri ad
orientarsi verso un concetto esatto della filosofia come scienza dell'assoluto,
da conseguire con un metodo adeguato al suo oggetto, ossia parimenti assoluto:
che era la tesi propugnata dal Vera dal punto di vista dello hegelismo, che è a
come a dire l'ultima parola della scienza». Giac-ché la reazione sorta in
Germania, in quegli anni, contro questa filosofia, era, agli occhi del nostro
Gatti, fallita, non essendo riuscita ad opporre allo hegelismo e un altro
sistema della medesima comprensione, il quale abbia potuto come quello
impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le parti». E intanto il Gatti
vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero hegeliano non avesse
fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le istoriche son tutte
piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema rappresenta la
general maniera di pensare e le esigenze del pensiero contemporaneo e che ha le
sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute, nelle intime condizioni
dello spirito stesso del secolo», Le proteste individuali erano state
sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della filosofia combattuta
aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi stessi avver-sari, «
riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera, a respirarne l'aria,
a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro relazioni e
trasformazioni ». Questa filosofia con sforzi perseveranti e con
ricchezza non comune di sapere il Vera s'era studiato di diffondere, di
renderla accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue
genuine fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa
vasta filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più
ardente propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva
l'elogio con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della
stessa filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al
Vera, e che molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero
atteggiamento verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del
Vera. « Con una conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una
persuasione intima che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, il
Vera è lontano da quella pedan-teria che fa consistere la profondità o la
sostanza di un sistema in certe astruserie di formole, le quali spesso perdono
il significato passando di una lingua in un'altra. Né meno è lontano da
quella affettazione d' indipendenza per la quale i discepoli più pedissequi si
credono talora ambiziosamente obbligati a cercare un punto in cui si possano
mostrare in disaccordo col maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi
privati dello stesso Vera, che, come vedremo, fu di proposito e per forza il
più ortodosso degli hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto
accordo col Gatti, fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per
nulla a scapito della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano
ha invece tutta quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di
una dottrina divenuta propria x 1. 2. — Pure questo franco e compiuto
hegeliano, questo geniale e originale espositore di Hegel in un paese cosi ben
preparato a ricevere un insegnamento di filosofia hegeliana, come forse nessun
altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un quarto di secolo senza quasi
lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome, se vivo ancora in Francia e
altrove come quello del traduttore francese dell' Enciclopedia e di parte della
Filosofia della religione di Hegel, è presso che dimenticato in Italia, dove
Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane migliori e s'è spenta la
fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico discepolo del Vera, fu
Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse elucubrazioni quei
profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere alla scuoladel suo
maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1. E anche lui non mancò
mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità del maestro,
sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera logica. La mente
dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio del Vera, «appunto
per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed organica, era apparsa
pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania, ma quivi stesso la
forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo agli stessi discepoli
immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più essenziali, non
giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare gli scolari
immediati, l'afferrò, miracolosamente, il Vera, che mai non vide l' Hegel; e con
sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. * A
renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne
il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime
e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui il Vera ha mirato». Egli non
riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la
spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere
alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle
cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla
sua volta, la metafora del viluppo formalistico che il Vera spezzò, per
assicurarci che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto,
rinnovato, compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i
suoi nuovi e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte
incomprensibile; ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è
ritornato suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo,
vi ha acquistato consapevolezza perspicua e piena ». L'originalità non
consiste « nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina
del Vera è quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità
consiste, a giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola
ed allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa
tradizione): consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero
e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e
dell'universo». O che volete che il Vera inventasse? L'invenzione non è affar
della filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne
o che Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha
che fare con la filosofia). « Più dell'escogitare e porre nuove
questioni, vale a gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni
più adeguate, più determinate e concrete che penetrino più addentro nella
natura di quelle»* In- somma, il Vera fu più originale di Hegel! 3.
- Ma se l'originalità è stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece,
agl' insegnamenti dell' Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da
lui professato sono state sempre riconosciute universalmente; e perfino
hegeliani tedeschi come il Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e
felici interpreti della dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è
accaduto che detti e modi del Vera passassero per detti e modi di Hegel, e che
i più trovassero comodo di cercare l'immagine del filosofo tedesco nel
suo traduttore e manipolatore italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il
privilegiato maestro del suo verbot. Hegel e Vera furono per molti anni due
nomi inseparabili. Lo stesso Vera, rinato nello spirito hegeliano, non serbò
quasi più nessuna memoria della sua vita precedente e dovette finire col
persuadersi di non essere mai stato altro che illuminato da quella su-periore
luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare che il suo scolaro e intimo amico,
che se ne fece biografo, cono- scesse direttamente i primi scritti di
lui; né si può spie-gare se non come un'eco di conversazioni dello stesso Vera
quel che racconta dell'esame pel dottorato sostenuto dal Vera alla Sorbona:
dove gia egli si sarebbe presentato, nel 1845, paladino
dell'idealismo assoluto. Fu questo il momento, racconta il Mariano, in
cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si fecero mani-festi. L'appoggio
da costui prestatogli non era valso a far velo alla mente del Vera. Le dottrine
e un po' anche il carattere, tutt'altro che schietto e sincero, dell'uomo
gli avevano ispirato sin dal principio forte ripugnanza. Ora che nella
filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva misurato davvero l'intimo e
profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la guerra sleale da colui
mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe fatto tremare un candidato
meno del Vera coraggiosamente risoluto a scendere in campo per le proprie idee.
Questi invece, irremovibile nelle sue convinzioni, deciso ad affermate a viso
aperto, facendo tacere considerazioni e rispetti umani e mondani, quella che
egli reputava la verità, non esitò un istante a presentare due tesi pel
dottorato, il Problème de la certitude e il Pla-tonis, Aristotelis et Hegeli de
medio termino doctrina, delle quali il Cousin non voleva affatto sentir
parlare.. Fortuna che, se il Cousin fu fieramente avverso (argo-mentando,
ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a in modo poco degno, nonché per un
filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli altri membri della commissione
furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla Sorbona non s'era avuto un esame
si splendido»; e uno di essi, il Saint-Marc-Girardin, « discutendo sull'essere
e non essere, fece una specie di professione di fede hegeliana i con grande
sorpresa del Saisset che lo sapeva solito ad andare a messa tutte le domeniche.
Ma il Mariano lascia credere che dopo quell'esame si sarebbe voltata in Francia
pel Vera la ruota della Fortuna, che vi aveva percorso piuttosto rapidamente la
carriera dell'insegnamento. Sicché il filosofo italiano avrebbe
incominciato fin d'al-lora, a proprie spese, il suo apostolato, durato fin
presso alla morte, incoltagli nella solitudine e nell'abbandono, a Napoli, in
mezzo alla quasi indifferenza d'una nazione incapace d'apprezzare l'alto valore
scientifico e morale della dottrina e dell'uomo che se n'era fatto
campione.imparare da giovinetto l'inglese. Compiuti gli studi letterari nei
seminari di Amelia, Spello, Todi, era passato a studiar leggi nella Università
di Roma; ma non pare venisse a capo di nulla. E nell'inverno 1835 cedé agl'
inviti d'un suo parente, archeologo e antiquario, che dimorava in Francia; e si
recò a Parigi. Dove conobbe alcuni scrittori illustri; frequentò la Sorbona; e
il 1837 poté ottenere il posto d'insegnante di latino e letteratura francese
nell'Istituto di Hofwyl, presso Berna, diretto dal Fellenberg, discepolo del
Pestalozzi. Vi rimase un anno, e vi studio il tedesco e la filosofia germanica,
specialmente Kant; ma alla fine di quell'anno gli convenne dimettersi a causa
delle sue opinioni religiose non cosi rigidamente cristiane come le avrebbe
volute il direttore dell'Istituto, quantunque il Vera allora riconoscesse la
divinità di Cristo. Passò in un altro istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1;
e vi comincio a insegnareanche filosofia. A Champel un suo collega hegeliano
l'introdusse nella conoscenza della filosofia di Hegel. Ma nel 1839 era
tornato a Parigi, dove il Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio
intorno alle condizioni degli studi filosofici, gli avrebbe chiesto:
Voules-vous vous enrôler sous ma bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe
recato a casa egli stesso il diploma (Io settembre 1839) di professore di filosofia
nel collegio comunale di Mont-de-Marsan, L'anno dopo il Cousin, ministro
dell'istruzione, lo promoveva a Tolone. Donde il Vera, che intanto s'era
fornito dei necessari gradi accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui
nel novembre 1845 a Limoges: dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli
il Franck in un liceo di Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e
quindi nel settembre 1850 a Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo
insegnamento in Francia. Dopo il colpo di Stato, non si sa perché, lasciò
questa sua seconda patria; e si recò in Inghilterra. Dove sperò da principio di
ottenere una cattedra filosofica nell'Università di Londra; ma dovette
contentarsi di vivere de' magri proventi di conferenze private e lavori
letterari. Torno in Italia, e Mamiani lo nomina alla cattedra di Storia della
filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria di Milano; donde il
ministro Sanctis lo tramuta, insieme con Spaventa, a Napoli. E qui rimase
tutto il resto della vita. Quandera a Tolone nel maggio 1843, secondo il
Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon- nais «il suo primo
scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che dovette
essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e' informa lo
stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad Hegel »: e
continua: Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza degli
studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo: pure,
er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda maniera
della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che essa
propriamente fosse, il Vera non mostra saperlo in modo chiaro e preciso; e,
nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al
pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto
di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling. lungi
di accrescersi gloria, se la sarebbe diminuita 1 Checché ne sia di
questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del
sistema di Hegel il Vera faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che
questo sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di
svolgimento della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo
scritto di carattere filosofico pubblicato dal Vera. Nel Museo scientifico,
letterario ed artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del
poeta estemporaneo Luigi Cicconi (che il Vera conobbe in Francia e fu da lui
presentato a Mme Louise Colet, presso la quale ebbe frequente occasione
d'incontrarsi col Cousin) 3, egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un
articolo sulla Filosofia della storiadel Ballanche, annunziando il proposito di
« scrivere alcun cenno sui più famosi sistemi che governano il movimento delle
idee de tempi nostri, in Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in
Italia alcun soffio della vita intellettuale che si vive», egli diceva, al di
qua de' monti». Egli avrebbe fatto soltanto la parte dell'espo-sitore,
lasciando al lettore quella del critico e riserbandosi intatta la propria
opinione. Ma non cela le sue idee a tal punto da non lasciare scorgere che il
Ballanche, che fu uno dei primi scrittori francesi che egli personalmente conobbe
e coi quali strinse relazioni amichevoli, un forte influsso aveva esercitato
sulla sua mente giovanile, Per spiegare infatti il vivo interesse cosi
largamente diffuso nel periodo della restaurazione per gli studi di filosofia
della storia, il Vera rappresenta coi colori proprii dei tradizionalisti
cattolici del tempo il senso di sgomento onde fu presa la società in seguito
all'opera demolitrice delle dottrine del sec. XVIII. Le quali avevano
distrutto, anche secondo il giovane scrittore umbro, « l'edificio sociale,
senza poterlo ristorare. e abbandonata «l'umanità come perduta in una
vasta solitudine senza religione, senza costumi, senza leggi ». Il
turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo di Francia e dell'Europa,
dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari, e offerto dappertutto
olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a spegnersi sulle
spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette allora sui suoi
travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul passato e sul
terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro travaglio,
credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso, dimentico di
sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo trambusto d'opinioni....
vi furono degli uomini generosi e santi, che custodirono puro ed intatto il
sacro deposito della verità e della scienza, e lo condussero a salvamento a
traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono qual segno di salute all'
Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio adempirono l'illustre autore
del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre, De Bonald e Ballanche.
Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al proprio avvenire per
rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno sarebbe sorta questa
profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento delle cose umane e sulle
leggi che governano il corso della storia. *Noi rigettiamo a tutta possa
le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne sono derivati. Saremmo però
ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il beneficio di aver risvegliato
una novella energia nella società ». Anche nel 1839 dunque dopo la prima
conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera, egli era dominato dallo
spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla ristaurazione nella
religione; e se inneggiava alla novella energia della ragione risvegliatasi in
Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che intanto, più profondamente,
aveva fatto in Italia il Rosmini, e già s'apprestava a fare con maggior forza
il Gioberti), questa energia non gli appariva ancora nella forma più possente
dell'idealismo assoluto; quantunque gli studi che in quel torno continuava
sugli scrittori tedeschi gli facessero intravvedere di là dal Reno una gran luce
nuova. Caratteristico, sotto questo riguardo, l'esordio di un articolo su
Koerner pubblicato nello stesso giornale, nell'aprile dell'anno dopo. In esso,
ricordata la Germania di Tacito, scritta con la speranza che al paragone i
concittadini avrebbero provato onta della propria degradazione e si sarebbero
indotti a ristorare le vecchie e cadenti istituzioni della patria,
protestava:Io non ho né la forte penna, né l'autorità dell'austero patrizio di
Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese, ugual sentimento della grandezza e
dignità dell'uomo, e mi stimerei ben fortunato se questi scritti invogliassero
i miei concittadini a comprendere e studiar il movimento della scienza e
letteratura tedesca. Allorché Tacito scrivea, era ben lungi dal prevedere
ciò che segui. Il settentrione fece irruzione sul mezzodi, e il giovin
sangue germano scese a rinvigorire le razze vecchie e spossate degl'
itali. Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e di previsione; e chi può
e sa esaminare lo stato della società e della scienza, vede chiaramente che
avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si rinnovellano per dir
cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi catastrofi, ma
spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della scienza. E questa si e
una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra il vecchio e il nuovo
mondo. Idea non mantenuta poi interamente, dopo che ebbe meglio
conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente del
romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio
determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel,
segnatamente nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi
del credo di V.. Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite
scrivendo in vari giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci
aiuterebbero forse a illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e
a determinare quindi meglio il carattere del suo posteriore sviluppo. Ma
siamo costretti a saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo
stesso Vera citò sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti
dottrine hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata
scoperta di un Vera (del più vecchio Vera, non destinato presumibilmente a
sparire del tutto nel nuovo !) antihegeliano. Vera antihegeliano! Si
direbbe una contradictio in adiecto. Eppure in questi due scritti il Vera non
solo combatte Hegel, dandogli battaglia sul terreno stesso della sua logica, e
come nella piazza forte della sua dot-trina; ma si inspira a tutta una
concezione recisamente avversa allo spirito hegeliano. Ci sia permesso di
studiare con qualche cura questo Vera antihegeliano, nella speranza che
la conoscenza di esso ci giovi ad intendere meglio il Vera di dopo, e fors'anco
a darci la soluzione di quel problema storico, in cui ci siamo di sopra
incontrati: di un cosi poderoso hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse
liberamente con l'autorità di un ufficio universalmente tenuto in grande
estimazione e reverenza, e in un paese già pregno di spirito hegeliano, senza
lasciar quasi nessuna traccia dell'opera propria. Sedici
pagine della tesi francese 1 contengono una rapida esposizione e una critica
dei principii fondamentali della logica hegeliana; ma delle sedici,
l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si dice che, secondo Hegel, l'essere e
la conoscenza, l'esistenza e la verità fanno uno: sono due forme d'una stessa
unità, percorrono gli stessi gradi, si sviluppano e finiscono simultaneamente.
L'essenza delle cose è la ragione, e la ragione è il pensiero puro, perché il
pensiero non ha altro oggetto che se stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre
con un processo d'analisi ciò che è essenzialmente contenuto nell'idea,
sviluppare L'idea sotto tutte le sue forme, seguirla e, per cosi
dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza, questo il compito della
filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello hegelismo, che si può
certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che può anche condurre a una
radicale falsificazione del significato storico di questa filosofia. Giacché
altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e l'idea sono uno, altro
che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro perfettamente
parallele. Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo assoluto; e nel
secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura nel platonismo
accentuando, come fa il Vera, l'organismo dell'idea come unico oggetto della
filosofia. L'idea, secondo il Vera, è da prima, nel suo stato astratto e
assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto. Come tale si
sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la logica. Questo
sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla stessa Idea,
prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità inerente a questa,
per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla quindi
l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione dei due
primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche fino
all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è «l' Idea
allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una realtà, una
forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua infinità,
deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi a se
medesima, ponendo un oggetto alla propria attività .. Evidentemente, qui
il Vera concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto,
com'egli dice, all'esi- stenza, come un'aggiunta anzi che come uno
sviluppo. L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo
concepisca come la stessa Idea. E vero, che chiarendo poi l'antinomia di Logica
e Natura, dice: «l'Idée, DEVENUE NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle
même»; ma, poco dopo, definisce lo Spirito (il tetzo termine in cui concilia
Logica e Natura) «un idéal où l'Idée a acquis la conscience d'elle même, où,
APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ SON OBJET el s'être retrouvée en lui,
elle rentre dans son absolue antén. Ma, e questo è più notevole, pel
Vera, lo Spirito, come mediatore dell'Idea logica e della Natura, non è,
logi-camente, dopo la Natura; bensi nella stessa Natura, quantunque non vi si
possa realizzare. V' è dentro, ed esso (come finalità) la muove da dentro. Onde
la triade vien capovolta. Non è la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La
dialettica dell'Idea hegeliana, al pari della pigra dialettica delle idee
platoniche, non genera nulla, non vive, non si muove. « L'Idée ne devient pas,
à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E lo Spirito farebbe
proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire
descendre l'Idée dans la Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un
acte pur et simple de la pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea
spiegherebbe tutta la ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed
entrando in possesso della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la
Logica potrebbe restare un arsenale di armi arrugginite. Ma non è
meraviglia se qui il Vera non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano,
poiché protestava che esso «donne lieu à des graves objections», pur
giudicandolo una delle più vaste e profonde concezioni della filosofia moderna.
I due elementi, egli notava, di questo sistema, sono 1' Idea e il movimento
dialettico, Gravi difficoltà s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da
principio essere puro, che trova la sua negazione nel puro niente, e la
conciliazione con questo nel divenire. Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio
vero che l'essere puro contiene il niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama
[appelle)il niente, perché non c'è in esso nessun segno, nessun carattere, e
niente si può pensare né affermare di esso ». Questa spiegazione
dell'identità essere - niente più tardi apparirà anche a lui ineccepibile: qui
invece non riesce a rendersene conto. L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non
è, allora tanto vale cominciare dal niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà
soltanto l'essere, e non si vedrà il suo contrario. Così, in due parole,
la prima proposizione della Logica è bella e spacciata. Non monta che Hegel
inviti a considerare che proprio lo stesso concetto dell'essere che è, puramente
e semplicemente, s' identifica col non-essere, da se medesimo (e che insomma
richiami l'attenzione sulla impossibilità di tener separati i due concetti di
essere e non-essere). Il Vera non sa vedere altro essere che l'essere di
Parmenide (l'idea stessa platonica): e però sentenzia che «l'idea del niente è
qui aggiunta all'essere da un pensiero finito, anzi che esser dedotta
dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere». E così anche il Vera, almeno
qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in cui si impiglio, come
vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non riesce quindi a
capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo termine non si
può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due. Infatti, se di
fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere, e non
ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o che non
è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è realmente a un
dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non che ¿, e
il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si concepisce ciò che
diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non sia, tutto quello
che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora: da quale dei due
termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente divisi, o
dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal niente, perché
il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché l'essere è, e
non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché, quel che non
possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi li
congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro
combinazione. Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si
vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire. Sofismi dello stesso
genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un
grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che
non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si
fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova
conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del Vera
trentaduenne, indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione
dialettica hegeliana. Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al
passaggio dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si
dice che l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito.
Dunque, nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e
ignara di sé può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto
in cui conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza
appunto dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da
questa Idea logica la natura e lo spirito. Ma, quantunque sia difficile
vedere come si possa, con una deduzione pura l'intervento
dell'esperienza, cavare l'idea della natura dall'idea logica, ad
ogni modo non si potrà tirare altro da un essere logico che un essete
egualmente logico: e cosi non si avrà più una natura reale, ma una natura
ideale: non si avrà esseri organizzati, qualità e una materia concrete,
ma esseri organizzati, qualità e una materia astratte. E in fine sarà sempre
l'Idea logica. Solamente, I'Idea-natura espri- merá altra cosa
dell'Idea-logica, ma, in quanto Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E
lo stesso si dica dello spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno
spirito ideale e non uno spirito reale e personale. Obbiezioni, senza
dubbio, tutt'altro che lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la
dottrina di Hegel come una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta
della platonica: l'Idea fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno
e assoluto del mondo. La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è
astratta, pel Vera, e cioè non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà.
Onde lo sforzo maggiore che egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e
quasi la breccia che gli dovrà aprire il varco per introdursi in questa
filosofia, consisterà proprio in questo punto: d'intendere l'idea come realtà,
e fin da principio l'es-sere, non come l'idea dell'essere, ma l'essere
dell'Idea. 8. - Quanto allo Spirito, ci sono altre gravi ripu-gnanze, O
l'Idea, egli dice, pensa fin da principio, nello stato d'Idea logica, o pensa
quando diviene Spirito. Ma nel primo caso l'edifizio hegeliano crolla; ed
Hegel infatti esclude questa alternativa. Per pensare, adunque, deve farsi
Spirito. E allora o la facoltà di pensare c'era nell'Idea fin da principio, o
le si viene ad aggiungere quando si trasforma in Spirito, Ma, se l'Idea come
tale avesse già la facoltà di pensare, non potrebbe non pensarsi, almeno come
Idea. Se questo pensiero le si aggiunge, allora il pensiero sarà altra cosa
dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E poiché il pensiero, non derivando
dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la rea-lizzerebbe, sarebbe un principio
superiore all'Idea, la quale non si potrebbe più dire essenza di tutte le cose.
- Obbiezione anche questa assai grave, ma fondata sulla falsa concezione
dell'Idea hegeliana come contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma
assoluta e cioèassoluto soggetto, sich wissende Wahrheit, come dice
Hegel: onde, se si distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è
pensiero. Se si nega, insiste il Vera, la successione di Idea, Natura e
Spirito, facendone tre termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la
pienezza dell'esistenza e la vita del mondo, viene a mancare il movimento:
tutto è, e nulla diviene. Il divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in
sé. « Si elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste, c'est par l'action
successive de l'esprit qui la pense». Bisogna dunque ammettere una
successività, che importa nello spirito qualche cosa che non è nell'Idea:
bisogna concepire questo Spirito non come l'idea dello Spirito, bensi come
pensiero di un soggetto uno e indivisibile, che genera le idee e comunica loro
attività e vita. Cosi a questa unità dell'essere e del conoscere, che si
pretende realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la molteplicità degli
elementi riapparisce ». Anche ammesso che il pensiero possa ricavarsi dall'
Idea, esso penserebbe bensi insieme i due contrari, ma distinguendoli, non
unificandoli. Essere e non-essere, idea e natura, bene e male, giustizia e
crimine restano nel pensiero opposti. E del resto « lors même que la
pensée pourrait effacer l'op-position des contraires, il ne suivrait pas de là
nécessai-rement que l'opposition aurait disparu dans la réalité », Ora che
l'opposizione non possa esser cancellata dal pensiero, si è visto per le due
categorie di essere e non- essere: ma si può dimostrare in un modo più
generale «en signalant un vice qui atteint el ruine, suivant nous, tout
le système d' Hégel. Quest'ultima
critica è il suggello dell'incapacità del Vera a superare, con tutto l'aiuto di
Hegel, la posizione platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e
l'essere non sono principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono
mossi da un principio posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza
dell'essere e della verità. L'essere da sé non si muove, né muove. Il
non- essere piuttosto sollecita l'essere; e come essere e non-
essere si uniscono nel divenire, il principio non è l'essere ma il divenire. E
lo stesso si dica della triade maggiore Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé
è morta, e non si moverebbe mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia
luogo la vita dello Spirito. Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi
come principio dello Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole
con la sua negazione una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in
cui si concilia l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del
suo divenire l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura. E
insomma: o nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come
Idea-natura e di uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della
logica; o tutto diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe
il partito dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili,
e non si ha il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi
della Natura e della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e
lo stesso spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una
generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti. In conclusione,
la principale esigenza della critica del Vera è il concetto dell'assoluto
estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto
d'identità. 10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana
confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è
appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra
tesi e antitesi) il Vera ripete in parte la critica che abbiamoesposta della
sua tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più
schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione
mentale. Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas
rerum causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore,
oppone il Vera, si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è
storicamente esatto, ma serve a dirci in che modo il Vera intendesse il
platonismo da cui era do-minato. E accumula contro le prime categorie
altre difficoltà. Hegel vede il niente nell'essere come una sua
determinazione (o nota), perché dell'essere non si può dire se non che è. Ma
questo è piuttosto una ragione perché l'essere respinga da sé il nulla.
Affinché infatti si possa dire che l'essere è, non occorre che in esso ci sia
determinazione di sorta: e il niente vi sarebbe se l'essere fosse in qualche
modo determinato: - Poi, se tutto deve cominciare con l'essere e niente ci
dev'esser prima del- l'essere, nec vor, nec res, nec cognitio, allora
prima dell'essere non ci sarà altro che il niente; e dal niente si dovrebbe
cominciare piuttosto che dall'essere. Ancora: per Hegel l'essere diviene; e niente
è. Ma, affinché qualche cosa divenga, bisogna che qualcosa sia, e non
divenga. Giacché se a prima vista pare che quel che diviene sia e non sia
insieme, in realtà, chi consideri con più diligenza, esso non è, solamente.
Giacché quel che ora diviene,dev'essere stato e non divenuto; e poiché era,
diviene. - Inoltre, essere e niente son cose; il divenire, invece, è stato o
proprietà d'una cosa; e non può quindi congiungere l'essere e il niente. Hae
enim verum proprietatibus virtus inesse nequit. - La verità e la potenza che e
è nel divenire, deve ricavarsi da quel che era e che è. Sicché l'essere
dovrebbe essere alcunché di più perfetto di quel che ne deriva, realtà o
cognizione. Laddove Hegel muove da un essere, che non è il primo essere, ma un
essere, per così dire, passato attraverso il niente. Onde il processo va dal
meno al più, dall' imperfetto al per- fetto; il divenire invece è
incremento di perfezione. Verum haec rationi repugnant. E c'è
altro. O c'è un principio delle cose, o no. Se c'è, qualunque sia, o una forza
(vis quaedam), o solo una idea (ens logicum), deve preceder tutto, rispetto
alla forza, al tempo, al moto, al vero. Hegel muove dall'essere: ebbene da
quest'essere, se forza, dovrà ricavarsi la forza di tutto; se idea, tutte le
idee. E non si uscirà mai quindi dall'essere; il principio sarà sempre
l'essere. - Che se la conclusione dovesse essere il divenire, il divenire non
cessa mai, non è mai un atto esaurito: e il processo del reale e del conoscere
andrebbe all'infinito. - E guardando ai rapporti non più intelligibili
dell'Idea con la Natura e con lo Spirito, la tesi latina, con qualche variante
dalla tesi francese, trae questo colpo finale contro la dottrina di Hegel: «
Infine, se lo spirito sta di mezzo tra la natura e la idea e per ciò stesso va
innanzi alle idee, le idee non sono i principii. E ammesso che siano principii,
poiché lo spirito diviene, e le idee sono inerenti allo spirito, è necessario
che divengano anch'esse. Se non che quel che diviene, non è, ma
sarà; né intende, ma intenderà; sicché né spirito né idea avranno coscienza di
sé, né ci sarà un fine nel mondo, ma il tutto andrà soggetto alla cieca
necessità delle idee».11. - Dei quali errori tutti il Vera trova la prima
origine in due cause principali. L'una, che Hegel torse la dialettica dal suo
vero ufficio, che è di respingere il falso, alla scoperta e dimostrazione del
vero: pretendendo di edificare con uno strumento di demolizione. L'altra, che
ben vide doversi cercare nell'infinito la ragione del suo rapporto col finito,
ma errò presumendo di rendersi conto del modo di questo rapporto, onde fu
costretto a cercare il finito nella stessa natura necessaria dell' in-
finito: ponendo un infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam
necessario impetu nelle cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di
tornare a sé e ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel
per altro non riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle
cose finite, non può più tornare infinito. Egli è, insomma, che Hegel
vide il vero problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno
(sed ob ipsum forsan longius a vero provectum). Perché il Vera è convinto che
tale problema è troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale.
Funzione del termine medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con
l'infinito. Ma come questa unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso
Platone, quantunque la sua dottrina sia la più soddisfacente, han potuto
ad-ditare, perché il rapporto muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla
mente umana. Si enim intelligeremus (dice il Vera riecheggiando un motivo della
filosofia ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De
antiquissima Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti
naturam], non solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis
innotesceret, neque id tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere
nobisconcessum esset. Qui enim verum vim naturamque pentus
agnoscit, his recte uti ad res ipsas conficiendas valebit. Isque
absolute demonstrat qui non modo res intelligit, sed et intelligendo conficit.
Quemadmodum summus is est artifex qui opus non modo in mente revolvit, sed et
conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem suam patejacit et demonstrat
1. 12. - Di questo scetticismo teistico il Vera tratto di proposito nel
Problème de la certitude. Dove, è superfluo dirlo, non solo Hegel, ma anche
Kant è assai bistrattato. Basti per un esempio la prima obbiezione che il
Vera muove contro la Critica; ed è che la distinzione di senso, intelletto e
ragione è più artificiale che reale; perché né la sensazione è altro che un
giudizio, né la categoria ha caratteri diversi dalle idee. « Che l'atto
intellettuale non venga ad aggiungersi [sic] all'impressione esterna, e la
sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un giudizio sollecitato da una causa
esterna, ma che, come ogni altro giudizio, non può aver luogo senza
l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e intelletto non sono due facoltà
distinte; ciò che Kant stesso confessa implicitamente, allorché attribuisce
certe categorie al senso non meno che all'intelletto. Infatti, il tempo e lo
spazio sono concetti puri dell'intelligenza, né più né meno della causa, della
sostanza, ecc., e quelli non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni
pensiero. Non si vede dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché
sono sede di nozioni della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa
forza continua a dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le
categorie dalle idee, fino a far sospettare che il Vera non avesse mai letto la
Critica (per la quale infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la
storia della filosofia non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo;
e il suo lavoro vuol essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni
conoscenza riguarda i fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità
fenomeniche; principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un
fenomeno non è il fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura
dell'essere che si manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza,
sostrato o soggetto delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della
stessa sostanza. Ed è chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza
alla sostanza; perché di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La
vera cognizione, che non si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza.
Ma l'essenza non è conoscibile, per ragioni derivanti in parte dalla natura
sua, in parte dalla costituzione della nostra intelligenza. L'essenza è
una; e intanto è uopo che si moltiplichi negl' individui. Che è il problema
della creazione, inespli-cabile, Si ammetterà un'essenza per le cose periture e
una per le eterne? Ma quale sarà il loro rapporto? e quale la loro differenza
se, come essenze, saranno pure entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno
soltanto essenze individuali (atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una
semplice astrazione. - O si ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli
individui diverranno fenomeni transitori e apparenze. - E poi è necessario
ridurre tutte le essenze a un solo principio, e che questo esista; perché
quando ve ne fossero molte, dovrebbero sempre essere tra loro in un rapporto; e
questo importerebbe un principio superiore, il quale sarebbe perciò il vero
principio e unico. E che sarà questo principio? Gli si possono attribuire, come
s'è fatto in tutti i sistemi, tanti caratteri; ma questi caratteri non ci
faranno mai vedere l'intimo del principio e la sua propria natura.La natura poi
della nostra mente ci toglie la possibilità di montare all'unità assoluta;
perché niente possiamo pensare che non si presenti alla nostra coscienza come
suo oggetto e che, sia esso Io o non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser
pensato come non-lo di contro al nostro Io. Né giova la pretesa intuizione
intellettuale di Schelling. Perché o in essa il pensiero conserva la coscienza
di sé, e allora permane la dualità: o smarrisce questa coscienza, e assorbendosi
nell'oggetto, non sarà più pensiero, ma il niente del pensiero. Ignorando
l'essenza, non si possono spiegare i rapporti. Si conoscono le esistenze
e si conoscono i rapporti degli esseri; ma dal che non si passa al come. Non si
può contestare che io sia, e che siano i prodotti della mia attività interna e
del mio pensiero e gli oggetti e fenomeni del mondo esterno. Saranno tutti
fenomeni, apparenze fugaci; ma non si potrà negar loro un certo essere e dire
che non siano, almeno nel momento in cui sono. Chi si provasse a farlo, si
contraddirebbe. Ma se vi sono esistenze che cominciano, che sono e non erano,
e, insomma, effetti, questi effetti devono avere una causa. La quale causa o
bisognerà cercarla tra le cose finite, o sarà la collezione delle cose finite,
o la sostanza infinita di cui le sostanze finite siano emanazioni, o infine un
principio separato dal mondo e avente esistenza propria e indivi- duale.
Le prime tre ipotesi sono da escludere. a) E evidente che non può esser
causa del finito un fini-to, che come tale è effetto, e richiede esso stesso
una causa. 6) La collezione dei finiti non aggiunge ai finiti se non una
unità artificiale ed astratta, esistente solo nel soggetto che la pensa. Quindi
non può contenere più dei finiti, né essere altro che finita: cioè un effetto,
anch'essa. Senza dire che la collezione è risultato e non principio, e
suppone una causa radunatrice degli elementi e quindi costitutiva di essa
collezione.c) La sostanza che producesse eternamente le cose, effondendosi in
esse senza potersene distinguere, anzi facendone parte, potrebbe essere o un
Io, o una causa meccanica. Un lo, di cui le coscienze individuali fossero parti
integranti, sarebbe tanto causa di queste, quanto queste di esso. Giacché in un
tutto essenziale alle parti come le parti al tutto, non ci può essere
efficienza o causalità vera, ma solo una causalitá logica. Che se l'Io assoluto
si concepisca come una forza infinita manifestantesi negli individui, si potrà
chiedere: e perché si manifesta o sviluppa? per darsi così una coscienza più
chiara e più larga? ovvero per passare dalla potenza all'atto? In un caso e
nell'altro l'effetto conterrebbe qualche cosa di più che la causa, e questo di
più resterebbe senza causa. - O sarà la sostanza una causa cieca e meccanica?
Ma la sola vera causa è la libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto
un altro, noi diciamo impropriamente il primo causa del movimento del secondo;
laddove ne è solo la condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e
non può non muoverlo con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non
è esso stesso la causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha
comunicato. La vera causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da
sé: esser libera. Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal
finito, libera, persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo
effetto; ma legata bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il
Vera: che la necessità interna non è incompatibile con la libertà, almeno
quando si tratti della causa assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il
suo essere, il Vera crede bene che la necessità interna sia anche esterna;
quantunque anche l'uomo che fa il bene, se fare il bene si concepisce come
legge della sua natura, debba dirsi libero. La necessità, invece, della causa
assoluta le è, per dir così, più intimamente interna.Il Vera, in questa tesi,
non ammette nessuna reciprocità tra la causa e l'effetto. Questo richiama
quella: ma «l'idea di causa, lungi dal contenere quella dell'effetto, l'esclude
pel fatto stesso che è causa», Insomma, dualismo assoluto. La causa
assoluta, essendo libera, è intelligente, perché non è libertà senza
intelligenza. E semplice e indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e
si risolvesse p. e. in due parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa
non sarebbe causa, e le due azioni causali, esercitandosi successivamente,
darebbero luogo ad effetti a un dato istante sottratti alla causa, che
cesserebbe perciò di essere assoluta causa. E l'atto uno suppone la sostanza
una. E già una sostanza composta sarebbe materiale, e non sarebbe più
libera. Né occorre dire che, per essere asso-luta, la causa dev'essere
universale. La causalità conferisce realtà all'idea di sostanza,
concepita come principio del finito, e conferisce realtà ugualmente a tutte le
idee effettrici delle esistenze finite: al bene assoluto, causa del bene
relativo, alla verità assoluta, alla bellezza assoluta, e via discorrendo. Con
la sola categoria di sostanza potremo avere l'idea di Hegel, l'essere puro,
come una « concezione logica ». La causa ci fa fermare il piede nel
reale; e la certezza del fenomeno si fonda sull'intuizione della causalità
reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non comincia con l'affermazione
d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale. Il sentimento della mia
finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo sentimento della vita si
produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un principio che mi ha
fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di causa che si manifesta
a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa astratta e possibile, ma
una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è una causa che deduco da
un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione semplice e imme-diata,
con un atto analogo a quello col quale affermo me stesso». Nel libro non è
citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a capello con quella della
formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti aveva propugnata
nell'Introduzione allo studio della f-losofia. Immediatezza della
cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi misticismo scettico;
opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio estramondano e quindi negazione
della libertà e della verità dello spirito come della spiritualità del vero;
concezione conseguente della verità o idea come contenuto trascendente del
pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e della dialettica come
funzione meramente negativa del pensiero soggettivo: tutta la somma delle
dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del mondo, contro le
quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e che furono
definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo nella mente
del Vera all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle
difficoltà che egli vi in- contrava, attesta chiaramente la refrattarietà
del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi
rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta
la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in
opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito
conscio della sua vita assoluta. Come fece il Vera negli anni seguenti a
liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco
vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo
spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero
speculativo da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del Vera sono
quattro articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser,
fondata a Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori,
come il Simon, il Saisset, il Jacques e lo stesso Vera. E in essi il
demolitore della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste
di hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero;
e bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo atteggiamento
nel nuovo indirizzo. Il primo (La Religion et l'Etat) fu scritto a
proposito delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i rapporti
tra Stato e Chiesa; e combatte l'idea della se- parazione. Sarà più
tardi, come vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il pensiero
del Vera, senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del pro-blema. In
questo primo saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora tutta la
difficoltà della questione, il suo pensiero tocca il massimo della chiarezza,
che abbia mai raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra Chiesa e
Stato indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma
protestante, malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a
cotesto principio, per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela
dell'autorità sacerdotale; perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione
delle religioni di Stato. E religione di Stato significa autorità che è
compressione della li-bertà, in quanto non è l'autorità della ragione
invisibile e universale, conciliatrice della regola con la libertà, della
disciplina col movimento, ma quell'autorità visibile e materiale, che, come
imprigionata nel fatto e nella lettera della legge, colpisce d'immobilità
il pensiero, contrasta ogni espansione nuova dello spirito e riesce alla
violenza e all'asservimento delle coscienze. La Rivoluzione francese ha
compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un principio superiore: il
principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la libertà nuova da lei
proclamata non è più quella di una società particolare, ma del mondo. E
abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione ideale e
assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed erede -
la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei popoli,
domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia nella
propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione, in-
somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran preparate alla
riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente applicati, avrebbero
richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare le basi della nuova
carta religiosa. In un articolo successivo, ma dello stesso anno, il
Vera, accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel, giudicherà
con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo prevalso nel sec.
XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e filosofica, che
giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure appigliandosi per
qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo nella convinzione che
basti svolgere razionalmente il principio posto dalla rivoluzione francese,
fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione naturale. Segno che
egli non era ancor giunto a possedere un concetto determinato della religione,
né, comunque, a impadronirsi di quello di Hegel. Svolgere il
principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza, non era ciò che dal Lamennais
in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici, e avevano finito con invocare
gli stessi gesuiti? Ecco, dice il Vera: « nellapresente questione, come nella
maggior parte delle questioni sociali, la difficoltà consiste nel conciliare
l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di queste due condizioni, s'
incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare all'autorità e alle
religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale ed efficace sugli
spiriti ", Temeva il Vera. che se l'Impero, la Ristaurazione e la
Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della tradizione e del-l'autorità,
ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il principio della libertà. Si
preoccupava degli effetti di una libertà assoluta, che avrebbe portato
all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni governo morale e quindi
d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa espressione di libertà
illimitata, che non può essere, diceva, se non una figura rettorica
lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non potendosi concepire
potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è ammissibile la
separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la società come una
sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci: laddove la
storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in cui tutto è
concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del tutto, e
un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le rivoluzioni
politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una e non fa
l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo, che dovrà
rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al Vera per concludere
che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile vedere che
il suo argomento supponga provato quel che è da provare: l'imma-nenza
dell'elemento religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello Stato.
La separazione è voluta da coloro che dividono con un taglio netto la sfera
religiosa da quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito umano si
solleva all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane stretto
ai suoi bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli interessi, nelle
passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la religione. In questo
argomento V. riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di verità. Ma gli studi
che in quel torno ei doveva fare della filosofia hegeliana, gliene additano il
difetto. « Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse,
et il se rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans
les êtres, el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des
abstractions ou à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca,
trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine
solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le
sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso
nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per iscopo
l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere, conservarsi e
svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne, insegnamento orale
e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari ecc.: tutte cose
che rannodano la Chiesa con lo Stato, Ebbene, esclusa la separazione (lo
stesso Vera si pro-pone, come sarà sempre suo costume, l'obbiezione), come
sfuggire all'alternativa dell'oppressione della Chiesa sullo Stato, o dello
Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo costume) se n'esce pel rotto
della cuffia, perché non si spinge fino a una rigorosa definizione dei concetti
che adopera. La soluzione qui la trova in quella astratta filosofia della
religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e che è pure quella dottrina
eclettica della verità relativa di tutte le religioni positive
nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei nostri filosofi della
Rinascenza (Bruno e sopra tutto Campanella, che ne è il vero fondatore, a lui,
molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di Cherbury) ' portava
logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel Vera, deve sanzionare la
libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è implicata l'attribuzione
allo Stato di legiferare in materia religiosa, riconoscendo a tutte le
religioni positive quella legittimità che è loro conferita dalla religione
ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non s'incontrasse nella
religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne la libertà. Lo Stato
s' investe in questo suo atto di un principio filosofico, e la filosofia gli
conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in re-ligione. La filosofia
che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola proclama ed assicura
quell'alta libertà dello spirito che è il principio di ogni libertà, e perché
essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se medesima, e delle cose
periture e finite, alla regione dell'eterno e dell'infinito». E però
nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il fondamento di ogni libertà: alleanza
tutt'altro che facile, di certo, anzi, sotto certi aspetti. né possibile né
desiderabile: ma perciò appunto fornita del carattere di ogni ideale, che
genera il progresso in quanto meta inattingibile. «Tout progrès possible
repose sur un principe impossiblen 3. E un altro punto, in cui il
Vera non si solleva fino allo hegelismo, restando al dover essere (Sollen)
kantiano, messo in derisione dal pensatore di Stoccarda. E la coscienza dell'
irrealità dell'ideale limita l'astrattezza, tutta platonica, di questo Stato
filosofico, in cui si rifugia ilVera, assai imbarazzato poi quando si tratta di
tornare fuori, per rimettersi in rapporto con la realtà storica. Se Stato
e Chiesa sono inseparabili, il prete è, pel Vera, un funzionario dello
Stato. Dacché un culto è legalmente ammesso, esso diventa una funzione di
Stato. Funzione varia, diversa, molteplice, perché lo Stato ammette tutti
i culti, quantunque non s' immedesimi con nessuna religione. E lo Stato perciò
retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma proprio tutti? - Sì certamente,
perché « tutti i culti, quali che siano le dottrine che professano e la parte
di verità che contengono, devon o incontrarsi in un pensiero e in un'opera
comune, dovendo tutti, sotto una forma o un'altra, per vie e gradi differenti,
disciplinare le anime non soltanto a salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri
civili». Devono in - contrarsi: ma s'incontrano realmente? Lo Stato solo può
giudicare se e in quel misura una dottrina religiosa soddisfi questa
condizione. Che se si contesta allo Stato questa facoltà, bisognerà
contestargli anche quella di concedere la libertà dei culti: poiché la libertà
dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone che lo Stato abbia saputo
riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo culto, e che saprà anche
distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che bisognerà ammettere o rigettare
». Ossia, in conclusione, saranno ammessi tutti i culti, che lo Stato con
la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne possano anche essere di quelli
che non siano compatibili coi fini essenziali dello Stato. E allora? Noi
crediamo, conchiude il Vera, che « nello stato presente del mondo, appartenga
ai poteri civili e alla civiltà laica l'iniziativa della riforma religiosa, e
che questa riforma debba essere imposta alla Chiesa nell'interesse della
libertà e della Chiesa stessa ». Ma allora abbiamo lo Stato teologo e la
religione di Stato! - Parola più speciosa che vera», risponde l'au-tore. « Noi
pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo definito, quale l'han reso la
filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente competente nella questione
religiosa. Lo Stato, bensì, non fa della teologia scolastica, non
disserta sulla grazia, il peccato originale e la trinità. Lascia queste
dispute ai teologi e ai filosofi. Ma può dire fino a che punto una religione
risponda ai bisogni della società, e studiando seriamente questi bisogni,
giovandosi dei lumi della filosofia e della libera discussione, ha il diritto e
il potere di imprendere la riforma delle istituzioni religiose, modificarle e
ringiovanirle, facendovi penetrare i germi di verità nuova na 14. - Come
possa lo Stato riformare una religione senza entrare nella teologia; come
giovarsi della filosofia, senza intendere la filosofia stessa, e quindi filosofare:
come proclamare la libertà dei culti e riconoscere a tutti i culti un valore,
dovendone pure eventualmente respingere qualcuno con un criterio suo; come
imporre una riforma alla Chiesa, rispettando il principio della libertà: sono
tutti certamente punti molto oscuri, e non i soli, della soluzione caldeggiata
dal Vera. Ma qui giova soltanto fermare l'attenzione sul carattere permanente
di questa filosofia del Vera, malgrado il giudizio sulla Rivoluzione francese,
cosi diverso da quello enunciato otto anni prima, e malgrado gli spunti
hegeliani contro le astrazioni dell'intelletto. Essa evidentemente è ancora una
filosofia non compenetrata dal concetto della razionalità del reale e della
realtà del razionale: una filosofia di una ragione concepita come sovrapposta
alla vita, alla storia, al reale. L'infinito si vuole congiunto essenzialmente
col finito (e però la Chiesa con lo Stato). Ma l'infinito è infinito, e il
finito è finito. Lo Stato non hainfinità (non ha valore), se non gli viene
comunicata dalla Chiesa; né esso può acquistarsela da sé, incorpo-
randosi e risolvendo in sé la Chiesa: a fine di stabilire i suoi rapporti con
la Chiesa deve ricorrere alla filosofia, che non è nello Stato, e non è perciò
lo Stato. Tutta la storia, come progresso compiuto in virtù d'un principio
impossibile, ha il proprio valore fuori di sé: ossia, non ha valore. Questo non
era il nuovo mondo di Hegel. Segui la prima parte dello studio sulla
Philo-sophie de la religion de Hégel, non continuato, perché la Liberté de
penser cessò di pubblicarsi. E in questo scritto il Vera espose il punto di
vista di Hegel in questa parte del suo sistema e il suo concetto in generale
della filosofia con manifesti segni di adesione, sebbene qui ancora non
s'incontrino quell' iperbolici elogi della filosofia hegeliana che poi
diverranno frequentissimi nei suoi libri. Tornò ad esporre brevemente il
concetto della filosofia hegeliana col metodo stesso adoperato nelle tesi di
tre anni prima, quantunque le difficoltà formidabili intorno ai punti
fondamentali e preliminari che tre anni prima gli sbarravano l'adito al
sistema, pare siano già come per incanto sparite: quel metodo, il quale
consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo averla distaccata dal
complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel muovervisi dentro come
altri può percorrere una galleria di quadri che non sappia come e donde
raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi ora, così sempre:
anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più fervido
propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, per V., tutto chiuso
in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la
filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche
riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli
antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri
filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro
terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed
incerto. La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in
tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione,
che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito,
può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. «
Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche
questo è troppo poco. E tutto quello che segue non giova a differenziare
1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si
specifica in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo
della Idea, nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa
serie di idee non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed
esteriori, ma sono legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un
organismo interno, e come una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità
e la vita del mondo»2. Lo stesso Vera sa che così c' è una profonda differenza
tra l'idealismo « ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di
quello è astratta, e l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo
sono poste meccanicamente l'una accanto all'altra: quelle del secondo
hanno un concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle generali,
ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri appunto a
questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le idee di tutti
gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non consiste
tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono essere
nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del concatenamento,
per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra; è, e non è se
stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra idea. Sicché
non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non si guarda a
questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua fiso-nomia, e si
confonde con l'antico idealismo. 17. - Il Vera nota che l'idea concreta è
una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e infine la loro unità»;
dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar luogo ad equivoci
grossi. « Cosi il vero non è né nel- Tessere, nénel non-essere, né nella
causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio ecc. L'essere e il
non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio sono elementi essenziali
del vero, ma questo non è se non nella loro identificazione in un terzo
termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi attingono la loro completa
realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le critiche di tre anni prima
contro le prime categorie della logica hegeliana sono cose dimenticate.
Capi l'autore che egli mal si era apposto, cercando come il non-essere possa
uscire dall'essere, ed essere e non-essere, messi insieme, produrre il
divenire? Intende egli ora il processo logico come superamento dell'astrattezza
nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua interpre-tazione. Ma anche qui
può risorgere il malinteso, assai più pericoloso, perché chi non se n'accorga,
crederà d'essere già dentro l' hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a
Platone. Se l'essere e il non-essere sono elementi del vero, e il vero
completo, la realtà è nel dive-nire, unità concreta dei due elementi, il
passaggio del-l'astratto al concreto si può intendere in doppio modo:come
passaggio dello stesso astratto alla propria con- cretezza; ovvero come
passaggio del pensiero che pensa la realtà e che, dopo averla pensata
astrattamente ne' suoi elementi, si sforza di pensarla in concreto nella sua
unità. Nel primo caso si tratta di un passaggio oggettivo, che è in fondo un
passaggio soggettivo; nel secondo, di un semplice passaggio soggettivo, che
importa un oggettivo non-passaggio. Giacché nel primo caso si muove, realizza
od invera l'oggetto, la stessa realtà; che in tanto si muove, realizza od
invera in quanto la stessa realtà è pensiero, Nel secondo invece è il pensiero,
postosi di fronte alla realtà, o foggiatasi una realtà opposta a sé, che si
muove nello sforzo di adeguarsi alla realtà stessa: segno che, se vi si adegua
o quando vi si adegua, non avrà più bisogno di muoversi perché la realtà è
immobile. La strada eraclitea che è la stessa strada nelle opposte
direzioni in su e in giù (ádóc ava váTo pía xai duTi) dà luogo a una
contrarietà e a un movimento appartenenti soltanto al soggetto: ma in sé è una,
immutabile e immobile, come l'essere eleatico. L'idea (dell'essere elea-tico o
del divenire eracliteo) si può concepire in due modi: o come una cogitatio
(modus cogitandi, ipsum intelligere) come profondamente voleva Spinoza, o come
un quid mutum instar picturae in tabula. Anche il fiume eracliteo infatti può
esser dipinto! E allora non scorre, quantunque noi vi scorriamo sopra con la
fantasia. Questo è stato il problema secolare del concetto del divenire, che
non poteva risolversi se non nella filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum)
di Cartesio, e quell'idea che è l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo
concetto leib-niziano della monade, e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e
l'Identità di Schelling- Se lo stesso divenire è visto come esterno al
pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire
del reale quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (movendosi
lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso
pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è. Qui è
il punto. E la costruzione difficile dell' hegelismo è cosiffatta, che molti
han potuto, prima e dopo il Vera, scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea
platonica, oggetto del pensiero solo considerando la posizione di essa di
fronte alla na- importante ed essenziale, che si la natura come lo
spirito (fin allo spirito assoluto, e alla stessa filosofia del filosofo
che sta filosofando) sono la realizzazione dell' Idea stessa, e cioe la stessa
Idea nel processo autonomo del suo svolgimento. 18. - Come
l'intende il Vera in questo suo primo saggio di filosofia hegeliana?
Dice: Tout le travail de la pensée consiste à poser un élément de l'idée,
- moment immédiat, — à saisir dans cet élément un élément contraire, — moment
de médiation, analyse — et à trouver un troisième terme qui concilie et unit
les deux pre-miers, - synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une
nouvelle détermination qui enveloppe les précédentes, et qui, à son tour,
engendre une détermination opposée, laquelle se trouve conciliée avec la
première dans une troisième, et ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence,
à une idée suprême qui efface et absorbe tous les moments, toutes les
contradictions précédentes dans son unité. C'est là la vie et le mouvement
éternels de la pensée, et, partant, la vie et le mouvement éternels de la
réalité ! 1. Il pensiero, di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero
in sé, lo stesso reale, o il pensiero che intende il reale, il pensiero del
filosofo che tesse la faticosa tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero
sarebbe la stessa idea;e la maniera in cui il Vera si esprime, facendo del
pensiero l'artefice e dell'idea la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno
molto fantastica e metaforica. Non che queste espressioni siano illegittime; ma
qui dan luogo al ragionevole sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto
del pensiero con l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione
(c'est là la vie et le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et
le mouvement étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di
una dommatica inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo.
Giacché quel partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi:
o dire che il processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è
pensiero (identita); o dire che il processo logico è anche il processo della
realtà, perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il
pensie-ro si attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa
concezione) ordo et connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo,
e, in fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é
confortata dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è
evidente che l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente
l'attenzione sul vero e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne
fosse stato nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo
in cui il Vera passa ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli
dice, è da prima in uno stato « d' indeterminazione e semplice virtualità»,
quando è idea logica, e contiene le determinazioni più generali degli esseri.
Giunta al limite estremo della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa
esistenza formale e indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta
da una necessità interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura
n. L'Idea infatti genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua
forma logica, generale ed assoluta, nella purezza perfetta delle sue
determinazioni: diviene esterna a se stessa, si spezza in prodotti particolari
esposti alla contingenza e al caso. Questa contraddizione è superata in una
terza forma dell'esistenza, superiore alle due prime e che le involge nella sua
unità: lo Spirito, il pensiero, dove l'idea concreta e determinata, risolleva
la natura all'unità ed universalità ed acquista coscienza di sé nella libertà.
- Orbene: il processo nello stesso Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo
a suo tempo; ma ha un carattere determinato, che a chi sia penetrato, secondo le
osservazioni già fatte, nello spirito dello hegelismo, non può sfuggire.
Dev'essere tutto un processo logico: una via che il pensiero pensando deve
necessariamente percorrere. Ora il Vera non si mette per questa via. Egli è
appunto come lo spettatore della pictura in tabula: vede uscire dall'Idea la
Natura, o l'Idea generare o farsi la Natura, e non sa né può sapere per quale
interna necessità: non si prova nemmeno a fare (egli che è pen-siero, quella
stessa idea) quel medesimo che vede fare all'idea: non si prova a pensarlo. E
come potrebbe pen-sarlo, dopo aver definito il logo una semplice vir-tualità?
Posta l'assolutezza del logo, se s'intende la virtualità al modo di Leibniz
(ossia nel modo più fa-vorevole), donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso
di questa virtualità della idea logica ci può essere svelato da scritti
posteriori del Vera, il quale, sia detto qui subito, rimase fermo a questo
con-cetto. Apriamo l'Introduction à la philosophie de Hégel (1855), che è
il suo lavoro più organico su Hegel, ed ebbe molta fortuna in Francia e in
Italia come autorevole esposizione della filosofia hegeliana: che i più si
contentarono di non conoscere altrimenti 1. In questo libro si legge che nella
sfera della logica, Dio è la possibilità e la forma assoluta; è l'essere
anteriore a ogni cosa creata, e che contiene perciò stesso, virtualmente, tutte
le cose » 3: dove possibilità non significa altro che pensabilità, Infatti
l'autore è stato trascinato innanzi a svelare e confessare quel suo segreto
concetto della logica, come non la storia eterna, la gesta eterna, dell'idea,
ma come la semplice scienza dell'idea, poiché intanto era germogliato il seme
da noi sospettato nel saggio del 1848. Qual è, ora egli si chiede, l'oggetto
della logica? La logica è « la scienza delle forme universali e assolute del
pensiero e dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non sono semplici forme, perché
queste forme si compenetrano col con- tenuto, sono le forme del
contenuto, che è l'idea stessa nella serie delle sue determinazioni. Come tale,
la logica è il fondamento di tutte le scienze. La Nature et 1 Esprit
costituent, il est vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles
de l'Idée, et, a cet égard la Logique peut être considérée comme une science
formelleou comme la science de la méthode, mais comme la science de la forme et
de la méthode absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la
Nature et l'Esprit doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un
mot, sous laquelle l'être et la vérité existent 5. Dove si può bensi
distinguere tra logica e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che
quel che il Vera dice tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la
logica e non l'idea. Non già che egli finisca nel concetto della categoria
kantianamente intesa come condizione soggettiva della costituzione
dell'esperienza, e però della natura fenomenica, quale si trova nella nostra
esperienza. Il Vera rimane molto più indietro di Kant. Oscillando tra la
sua ingenua interpretazione soggetti-vistica e la lettera degli scritti di
Hegel, dove l'Idea é lo stesso assoluto, egli, se da una parte non sa concepire
la logica se non come una elaborazione scientifica della mente contemplatrice
della verità e della mente che pensa di fatto questa verità per le idee
dell'essere, della qualità, della quantità, della causa ecc., dall'altra non
riesce a conferire altrimenti valore oggettivo a siffatte
condizioni della pensabilità del reale se non ipostatiz-zandole platonicamente
come tipo e modello della natura e dello spirito: ai quali l'Idea fornisce -
egli dice esplicito - una parte del loro contenuto: (e chi darà il resto ?). Su
questo punto il Vera si spiega chiaramente, notando che si potrebbe dire la
Logica, cosi concepita, la scienza delle possibilità assolute, non nel senso
che le idee logiche siano possibilitàe non realtà, ma in questo senso che
niente non e possibile né può esser pensato se non per queste idee .1. E
ricorda Kant, che aveva riconosciuto le idee logiche come « condizione
necessaria di ogni esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni
negative, indotto in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1'
idea ¿ condizione come elemento integrante e costitutivo
delle cose. La possibilità insomma, di cui parla V., ¿ possibilità
rispetto alla natura e allo spirito: in sé e reale e principio di realtà. La
possibilità, egli dice in fine, non può toccare i principii; perché i principii
o sono o non sono. Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non l'essenza
dell' individuo e del triangolo. I concetti universali, realizzati; ecco la
logica di Hegel, per V.: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo ideale
di Platone, con la sua impossibilità di risolversi nel mondo
dell'esperienza :. Ma nel saggio hegeliano del 1848 la conchiusione è che
« la logica, la natura e lo spirito formano una triade indivisibile; sono tre
termini consustanziali di cui l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca
e la fusione eterna di queste tre sostanze che fanno l'unità e la vita del
mondo«3. Dove quel che si vede è la tri-plicità delle sostanze, e quel che si
dice di vedere l'unità dell' idea. Insomma, abbiamo fin qui un
hegeliano che vuol esser tale, perché ha studiato Hegel e ha creduto
d'intravve-dere il vasto mondo della sua filosofia, assai più sícuro rifugio
dallo scetticismo del Problème de la certitude, chenon fosse quella ragnatela
di teismo intuizionistico in cui dapprima gli parve di poter riparare. Ma il
segreto di quella filosofia rimane ancora per lui un segreto; e il suo spirito
continua a gravitare verso la trascendenza platonica. 20. - Nel terzo
articolo Un mot sur la philosophie el la Revolation française, il Vera,
prendendo le mosse dal giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia
sulla Rivoluzione, come opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto,
sulla libertà di coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla
filosofia. Ma veniamo all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il Vera
ci fa sapere, la direzione della Liberté de penser, all'in-domani della
rivoluzione di febbraio, non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait
trop heurté les opinions du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del
popolo e il suffragio universale, sostenendo che la vera autorità è l'autorità
della ragione; che la ragione non raggiunge lo stesso grado di forza, di
chiarezza in tutte le intelligenze, qui restando latente e oscura, li
ma-nifestandosi in una maniera incompleta, e in pochi rag- giungendo il
maggiore sviluppo; e che pertanto l'autorità spetta alla minoranza. E guardando
questo lato solo della verità che egli vedeva, difende la sua tesi con quel
calore d'entusiasmo, che fu con la facilità della forma una delle cause più
efficaci della riputazione conquista-tasi dallo scrittore: Si toute
vérité a son origine dans l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et
idéal avant de revêtir une forme matérielle et de passer dans les faits. Dans
cet état, elle se trouve en face de la réalité matérielle, il faut qu'elle
lutte contre des intéréts et des croyances séculaires, contre des habitudes
invétérées; contre les préjugés et l'ignorance. C'est cette vue antérieure et
prophétique de la vérité, c'est ce combat pour le triomphe d'une idée, qui
constitue l'héroisme et le génie. Or les massesne sauraient s'élever à la
conception de l'idéal; car l'idéal ne se révéle qu'à la contemplation solitaire
et réfléchie, il demande une culture speciale, une organisation d'élite, et
cette inspira- tion, qui a sa source dans les profondeurs cachées
de l'ame, et qui ne s'éveille que sous l'action paisible et soutenue de l'intelligence
et de la volonté. Les masses sont comme emprisonnées dans la réalité visible,
et par le gente de leurs travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la
nécessité où elles sont de pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent
franchir les limites du fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le
vrai et le faux, le possibile et l'impossibile 1. Il vero uomo di Stato
non si confonde infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe
interdirsi ogni azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria
individualità, ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella
società e perciò l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita
sociale ci sono tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre:
la politica la religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità
suprema? Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il Vera rinvia la
ricerca a un altro studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel
primo di questi articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende
voce e norma dal filosofo. - Con tutto l' hegelismo del Vera, siamo ancora,
almeno fino a questo punto, al concetto della repubblica di Platone! 21.
- L' hegelismo tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel
Vera; e la storia della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo
certo Coup d'oeil sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il
Vera passasse in Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de
Hégel non ci resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito
di una Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood
(contro Hamilton) e delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che
parvero notevoli al Vera perché questi autori si sollevavano al di
sopra del solito empi- rismo inglese e della filosofia del senso comune.
Il giudizio del Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa
avrebbe stretto nelle spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti
gli errori correnti) dava qui occasione al Vera di dichiarare che « ci ha
nella filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi
determinati e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque
vi si sia accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma
direttiva di ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti
fondamentali della filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si
condensa l' hegelismo del Vera. In primo luogo: la filosofia è la
scienza dell'assoluto: postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o
presuppone, non essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto.
Quindi l'assurdità di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in
dubbio il valore della conoscenza. In secondo luogo: chi dice scienza
dell'assoluto, dice scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle
idee», né possiamo conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde,
se diciamo che l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza,
che è semplice, immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo
delle idee, e descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi
che abbiamo respinti sotto un'altra forma ». In terzo luogo: il metodo
filosofico è il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee:
metodo as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la
forma in cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento
dialettico. In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la
molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o
speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari,
onde gli elementi discordi si compongono in armonia. Con questi concetti
Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai
vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere,
la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica,
la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente
parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero
sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno
avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme
i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti
principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte
speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e
una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente,
cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1, E il
primo inno cantato dal Vera al suo autore, che tornerà a dire nella sua prolusione
napoletana (16 dicembre 1861): « quella mente prodigiosa e sovrana, che i
nostri tempi hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la
profondità, per la vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente
speculativa e sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé
riepilogandolee concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont
s'honore l'humanité»=; colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il
doit y être, par là qu' il y est dans SON existence systématique»3; e la
cui Enciclopedia si compiacerà di considerare come una nuova
Bibbia, « la Bibbia dell' hegelismo • 4, Ed è altresì la prima volta che egli
enuncia come titolo singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua
prerogativa, che poi non si stancherà mai di esibire: la sua sistematicità,
parendogli pregio altissimo questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte
le parti del sistema della sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i
rami del sapere, legandoli fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non
considerando che non c'è filosofia, né pensiero mai, che non abbia la sua
perfetta sistematicità; e che il sistema non consiste nella configurazione
esteriore delle parti (al qual patto Wolff è più sistematico assai di Leibniz,
e ogni pedante espositore dell'autore esposto), sibbene nella universalità del
principio e nella profondità dell'intuizione originaria. Egli superficialmente
si contentava della forma estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi
sfuggire i titoli più autentici del genio di Hegel.22. -— Ma, tornando ai
quattro punti essenziali che gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua
Intro-duzione, nella filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare
che il suo hegelismo era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e
platonico di quel platonismo della decadenza della filosofia greca, in cui,
sorto già lo scetticismo contro la primitiva posizione platonica, la fede nelle
idee era ristaurata con nuova e peggior forma di dommatismo. Che sono infatti
quelle idee, in cui si risolvono tutte le categorie della realtà, così come il
Vera ce le presenta, se non le stesse idee vuote della vecchia metafisica
wolfiana, riduzione ideale evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza
nulla fare? quella specie d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del
povero re, esposto alla dura sorte di morirsi di fame e di sete ? Questa
concezione rimase fitta nella mente del Vera. Il quale, nella sua
prolusione di Milano Amore e filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti,
di cui più egli si compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la
scienza dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e
unificano la molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia
e la scienza delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che
tutte le scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che
lo sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola
filosofia»: o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza
saperlo. Poiché pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è
altra filosofia o scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista,
che non pensa « la materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di materia
e di natura», è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e non se
n'accorge. E come il materialista, lo scienziato, il fisico e il matematico
sono idealisti senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non potrebbero
fare altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello stesso anno
ripeté le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole dualismo e
il conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. « Nella
stessa guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la giustizia, o
la luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza l'idea che ad
essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea dell'assoluto
» 1. Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo assoluto, il
quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione dell'essere, non si sa
d'altra parte concepire se non come l'obbietto della mente, in sé, perciò,
estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro dall'assoluto a cui
deve corrispondere. E come corrispondere ? 23. - Il Vera non ebbe mai un
orientamento storico degno di una filosofia come la hegeliana, che concepisce
tutte le filosofie precedenti come suoi momenti. Chiusosi nello hegelismo, ei
fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo genio a tagliare i ponti con
tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di cui avrebbe invece dovuto
cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche sulla scienza speculativa
e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si rifà dalla dottrina
baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito Bacone. E lo giudica
cercando se nel Novum Organum ci sia un principio nuovo. L'induzione? Ma
negli Analitici di Aristotele la natura di questo metodo, le sue leggi, i suoi
limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza oggettiva Sono State
descritte con quella maniera concisa ma sostanziale che è propria del
filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta essenziale. Peggio: Bacone
non aveva un concetto esatto della natura della scienza e delle sue esigenze, e
però né anche della stessa induzione, come è dimostrato dalla sua pretesa che
la scienza non si possa ottenere se non induttivamente. Bacone, troppo poco
versato nella flo-soha greca, non vide che le sue novità erano vecchie: i suoi
contemporanei « non meglio istruiti di lui sulle fonti originali e sul vero
valore delle teoriche aristoteliche, accettarono leggermente le sue opinioni.,
Insomma, tutta la fama di Bacone è una fama scroccata, fondata su errori di
fatto, cui basterebbe a correggere il solo voltare la pagina di un
libro». E con questi profondi criteri storici scrisse in inglese nel 57
uno studio su Bacone, in certo giornale, Emporio italiano, che egli stesso
dirigeva:: dove le stesse considerazioni delle Ricerche sono svolte e
confortate dall'analisi di alcune dottrine baconiane per conchiudere
egualmente, che si può cancellare dalla storia del pensiero speculativo un così
importante momento qual è, per chi l'intenda, questa prima affermazione,
nell'età moderna, della storicità del sapere o del momento della
certezza. Il saggio finisce con una sentenza che potrebbe esser profonda,
ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché essere la esatta
riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in certo senso
l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla esperienza
è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il saggio nel
1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con autocorrection.cancel
lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una volta che c'è il mondo
dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale debb'avere anch'esso la
sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché esagera negando alla
cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si scusava adducendo che il
suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi s'era proposto di mettere
sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile del-l'empirismo, e che infine la
verità della cognizione empirica è una « verità subordinata, una verità, cioè,
che non rinchiude in se stessa la ragione del suo essere, e suppone quindi una
più alta verità; e che perciò quando l'empirismo pretende di essere il solo e
vero organo della verità, «esso sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega
ogni verità e cognizione. Scuse troppo magre, perché queste ragioni potevano
limitare, non negare il valore di Bacone. 24. - E in realtà quale sia la
verità dell'empirismo né allora né poi il Vera volle mai dire 1. Nelle
Ricerche, postosi sullo stesso terreno dell'empirista, l'esperienza la
concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di chi ne fa l'unica fonte della
conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una realtà esterna. E contro Locke
sostiene che tutte le idee sono innate, perché non c'è sensazione che possa essere
avvertita, e cioè pensata, come una sensazionesenza un idea corrispondente; che
il non esserne mai consapevoli non prova, come credette il Locke, che non
esistano, come non si può dire « che non vi siano leggi che regolano le
operazioni organiche del corpo perché da prima camminiamo, mangiamo,
digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole». L'empirista, intento ad
osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di adoperare una quantità di
principii, che pur « debbono preesistere nella sua mente, e dee la sua mente
concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta e confusa luce.. - Dove
parrebbe di scorgere una prova che ancora il Vera non si fosse dato la pena di
studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi sull' intelletto umano.
Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica col Saisset e col Janet
‹, poiché il primo di questi, parlando insieme di Leibniz e di Hegel,
aveva accennato a met-tere il filosofo della Teodicea al di sopra di quello
della Fenomenologia: e il nome del Leibniz, grazie all' interesse per gli studi
storici suscitato e nudrito dall' impulso del Cousin, era salito in auge in
Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due volumi del carteggio di Leibniz
con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a concorso un tema sulla filosofia
leibniziana, ottenendo due lavori degni del premio, uno dello stesso Foucher de
Careil e l'altro del Nourrisson. Il Vera, che gia insegnava storia della
filosofia, e si professava hegeliano, dice a questo pro-posito in tono tra
l'ironico e lo stizzito: J'ai moi aussi le culte des morts, qui est une
religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme toute religion, est utile aux
vivants. Aussi l'Acadentie mettrait-elle au concours la vie et les gestes
de Confucius, ou de Menou qu'il faudrait lui en savoir gré. A plus forte
raison, faut-il lui en savoir, lorsqu'elle fait de son mieux pour entourer
d'une nouvelle auréole un nom comme celui deLeibriz. Jusque là c'est très-bien.
Mais ce qui est moins bien, ce que du moins je ne puis approuver, et ce qui
pourrait même au besoin m'indigner et me révolter, c'est qu'on fasse du bruit
autour d'un mort pour étouffer la voix des vivants, c'est qu'on veuille donner
à une ombre des proportions gigantesques pour couvrir et effacer un véritable
géant. E alzando sempre più il tono: Voilà ce que je ne veux point,
et ce que je combattrai de toutes mes forces, eusse-je devant moi l'ombre de
Platon ou d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai combattre, non
sculement pour la vérité et la justice, mais pour la dignité de mon siècle, et
de la nature humaine. E pare credesse sul serio che si « esumasse »
Leibniz, e si « facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che l'epoca
dei giganti è passata e siamo a quella dei pigmei; sicché oggi « per colpire
Hegel» ci serviamo di Leibniz; domani si potrà esumare Plotino,
Giamblico, per mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di Hegel è
quella del vecchio panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut, jusqu'au
paradis terrestre1 Onde ridu-ceva la questione a questi termini: Ainsi
donc, vous nous dites, Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est pas un
grand personnage, car c'est là, au fond, la pensée qui domine dans l'écrit de
M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si
Leibniz est grand, Hégel est plus grand encore. passi.
Ma il Vera, per rendere, com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio
pensiero, aggiunge che «se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza
non sarebbe punto spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto
lasciato da Leibniz», che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un
diplomatico: diplomatico non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa
filosofia. « La sua filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e
delle apparenze. Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto;
quando una difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e
di fronte, ma per l'uscio di dietro ». E della sua critica concreta basti
un esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni
essere o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi
componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che
metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva
prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente
niente di giustificarsi. Perché si decompone? a qual fine? che si cerca?
Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti
in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è
distruggerli. Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia
prestabilita e delle fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per
ricostruire alla meglio quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera
certamente ed hegeliana: ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che
hegeliano!) di essere soltanto negativa, e non saper vedere il pregio
grandissimo della monade leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia
del pensiero umano, dell'autonomia assoluta dello spirito. Né più
penetrazione e simpatia storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E.
Kant, malgrado la sua capitale importanza nella genesi dell' hegelismo.
Ogni volta che ne scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo
al lato negativo della filosofia critica,e sconvolgendo co' suoi giudizi
tutta la storia che la pre- para. Non può intendere Kant, chi non intenda
Cartesio. E che è Cartesio pel Vera? Uno scettico, da dar dei punti a
Carneade. E vero che la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il
risultato della scienza; e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di
partenza e il mezzo di purificare la mente che deve accingersi alla ricerca
della verità. « Tuttavia, questa differenza fra le sue dottrine è più apparente
che reale. Imperocché ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un
elemento essenziale della cognizione, ch'egli si mostri al punto
d'arrivo... o al punto di partenza.... il risultato è lo stesso: si
colpi-sce, cioè, la scienza nella sua essenza, che è l'affermazione, e la si
rende impossibile »1. E non riesce a scorgere mai né la ragione metodica del
dubbio cartesiano, dimostrazione di quel carattere essenziale della conoscenza,
che è la certezza, o presenza del soggetto nella verità; né della necessità di
quel dubbio, per giungere all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il
significato di questo cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico
Kant. Contro il quale il Vera non si stancò mai di ripetere la critica
hegeliana (che in Hegel ha un valore affatto in-cidentale) della assurdità di
una ricerca sul valore della cognizione come necessario preliminare all'uso
della cognizione stessa. Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro
Kant, che dal bisogno di una preliminare teorica della conoscenza non parte per
giungere allo scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva
filo-sofia; essendo questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della
filosofia, di essere un circolo, in cui non si può muovere da un punto senza volgere
le spalle a tutto il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a parte
questo punto, che non fu chiaro nemmeno a Hegel, del Vera è tutta la scoperta
(in un suo articolo del '60) che uno dei risultati» dell'analisi kantiana
dell'intelligenza « fu, com' è noto, la discoperta di un doppio elemento in
ogni atto o operazione del pensiero, di un elemento estrinseco, cioè
contingente e variabile, il feno-meno, e d'un elemento intrinseco, necessario e
inva-riabile, il noumeno: il quale venne da Kant suddiviso in categorie e
idee:!. Confusione tra noumeno e categorie o idee (ossia di ciò che vi ha di
più opposto per Kant), che non impedisce al Vera di identificare poi il noumeno
con la cosa in sé, mediante l'equazione del noumeno con « Dio, l'idea, l'assoluto».
Onde la sua critica di Kant culmina in quest'accusa, che in realtà, la
sensazione costituisce il criterio della filosofia critica, e tutti i suoi
ragionamenti vertono intorno a questo principio: l'assoluto, il noumeno, la
cosa in sé (Ding an sich), come Kant la chiama, non possono esser conosciuti ed
affermati, perché non possono essere sentiti e imaginati ». Così non v'ha
dubbio che Kant stesso (quellosopra tutto dalla seconda edizione della Critica)
si sarebbe visto camuffato da scettico! Il Vera dovette più tardi, io
credo, leggere l'opera maggiore di Kant, e della sua dottrina tornò a
discorrere un po' distesamente all'Accademia delle scienze morali e politiche
di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di scetticismo larvato, prese ad esporte
umoristicamente la teoria kantiana dell'esperienza, accennando la
decomposizione dell'atto dell' intendimento in forma a priori e contenuto a
posteriori, o categoria e dato sensibile. Due elementi, che non sono separati,
ma uniti indivisibil-mente. Come, adunque, S'incontrano e si uniscono?
Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la natura, viene col concorso
della sensibilità a bussare alla porta della intelligenza, questa sorge dal suo
letargo, trae fuori dal suo arsenale le categorie, e risponde alla chiamata
battezzando e imponendo un nome al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa
una esistenza e una realtà obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in
cui il neonato, l'obbietto esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo
trasforma in un qualché d' intelligibile 1. E dopo questa caricatura,
eccolo a far la voce seria e a rimproverare Kant di aver diviso i due elementi
del-l'esperienza: chiudendo gli occhi, malgrado i magistrali lavori dello
Spaventa, che c'erano stati in Italia, e malgrado le profonde interpretazioni
di Schultze e di Beck prima, e poi di Fichte (che il Vera non avrebbe dovuto
ignorare), su tutta l'attività creatrice dello spirito, che plasma e governa
l'esperienza di Kant. Qui, se non confonde più categorie e noumeni,
continua a ritenere sinonimi nel linguaggio kantiano noumeni, cosa in sé e
idee, e la ragione chiama • facoltà dei nou- meni, cioè delle idee
propriamente detten e dalla semi-passività delle categorie, la cui funzione è
subordinata al concorso dell'oggetto esterno, argomenta: Se gli elementi,
o principii che costituiscono l'esperienza, sono limitati, subordinati e
passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un principio attivo che li domina, che
è il loro comune prin-cipio, la loro unità, e di cui sono le differenze, i
momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di Kant altro non può essere che
siffatto principio. Il noumeno è principio del fenomeno, vale a dire della
categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del loro rapporto, della loro unione,
cioé, nell'atto sperimentale, nel fe- nomeno. E cosi, per intendere
la sintesi a priori guarda all'estremo opposto di quello, a cui la storia della
filosofia già, continuando Kant, aveva guardato. Eppure, nell'
Introduction à la philosophie de Hégel il Vera riconobbe che accanto ai
risultati negativi della critica, vi son pure in quella filosofia « des germes
si fé-conds, des vues si larges et si riches, et une intuition si profonde de
la science, qu'elle était destinée à susciter un grand et nouveau monvement» t.
Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca, in cui si proponeva di sbozzare
in qualche modo il risorgimento dell'idealismo fino al suo culminare in Hegel,
era stimolato a cercare in Kant l'addentellato della filosotia posteriore. Ma
anche li, quali sono pel Vera i meriti di Kant? Tutto si riduce a questo: che
Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto l'idealismo sul terreno
dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una nuova ricerca sulla natura
delle idee. Infatti, « movendo dal principio che ogni conoscenza si fonda
su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a seguire il pensiero in tutte
le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua attività, e a fissare per
ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e determina. Dondenumerose
ricerche concernenti la cerchia intera delle cognizioni, la metafisica, la
morale, la natura, la religione, il diritto, l'arte, . dove Kant si sforza
sempre di cogliere le leggi invariabili e assolute dell'intelligenza ». Sicché
il pregio dell'idealismo kantiano consisterebbe nell'esempio dato di una
indagine universale governata da unità di principii: l'unità della scienza e
del metodo: « voilà le côté posilij el vraiment fécond de la philosophie de
Kant, et c'est par ce côté qu'elle se rattache au monvement ulté-rieur de la
philosophie allemande». Concetto che non gli potrebbe servire a una qualunque
ricostruzione di questa filosofia; se egli (messo, forse, sulla strada dalla
fonte di cui si doveva servire) non passasse poi a determinarlo altrimenti,
facendo consistere l'unità di principio, portata da Kant in tutta la scienza,
nell'idea considerata come condizione assoluta della conoscenza, e il processo
speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio dell'idea stessa da condizione della
conoscenza a principio assoluto delle cose. Quel che segue infatti, dove passa
a mostrare che i germi di questa trasformazione erano già in Kant, non può
essere pensiero del Vera, il quale non se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi
giudizi sul criticismo. Il passaggio da Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi
sa donde è attinta questa giustissima osservazione, dove per altro talune
espressioni incerte e poco esatte tradiscono una conoscenza indiretta: che «
nella filosofia kantiana, quantunque essa faccia una larga parte
all'esperienza, considerata come condizione all'esercizio dell'intelletto e il
solo mezzo di verificare il valore oggettivo delle sue leggi, il pensiero
conserva la sua superiorità sull'esperienza, e, anzi che ricevere da essa le
sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia (jaçonne] e si assimila i
fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non attraverso le sue forme e
le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che «l'atto trascendente e
sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come la condizione
essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e costituente
l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue appercezioni
interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali forniti dall'esperienza.
Anche il passaggio da Kant a Fichte (il Vera pare non sappia nulla dei minori
kantiani che spianano la via a Fichte) è bene rappresentato, almeno in
appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non sono poi elementi vuoti
e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e che il loro centro è in
quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata è l'atto sintetico del
pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività dell'intelletto, e quindi
questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto si esercita. Donde
Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche pagine dedicate al
pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano la scarsa
familiarità del Vera con quel pensiero in relazione ai principii più profondi
della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi punti
capitali della preparazione allo hegelismo. Tutto il progresso di Fichte
è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee: 1) che
Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con la sua
divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con metodo
rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così sentire
sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di organizzare la
scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo dell'Io il
principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più profonde sulla
natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e preparava la
via alla filosofia dello spirito di Hegel ». Ma la parte negativa, al
solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si accumulano l'una
sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche esempio. Le
deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle cose, di modo che
non si vede né perché né come si producano le opposizioni e come si passi da un
termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io (anzi, dice il Vera,
dans la notion même du moi) ma questo punto non è dimostrato; perché Fichte non
s'era elevato a quel metodo che ricava dal concetto di una cosa la sua
differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora accidentale ed estrinseco;
e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di lo e non-Io, laddove la
contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente (bel gusto, invero, a
prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un concetto o una forza?
(domanda, che è una rivelazione o una confessione rispetto alla posizione del
Vera nell'intendere la natura del movimento del pensiero nella logica
hegeliana). - Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo relativo, contingente e
finito, si lascia sfuggire l'assoluto e l'infinito della scienza; se è l'Io
assoluto, allora la sua tendenza, il suo sforzo infinito per attingere
l'assoluto è inesplicabile. E via di questo passo, o con questi salti. Ma il
più curioso è che il Vera infine dice: «Telles (0 sont les lacunes que présent
la doctri-ne de Fichle et que Schelling s'efforça de faire dispa- raitre
". 28. - E sorte non migliore, per iscarsa o nessuna conoscenza
diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a Schelling, di cui
il Vera, non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale motivo speculativo e
il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a un tratto, come «
plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,.. plutôt le produit
de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et riche imagi-nation
que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le résultat des procédés
sevères de la sciencent. 29. - Se cosi giudicava i maggiori filosofi
tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non tenesse in nessun
conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di dottrina spiegava
il suo collega napoletano B. Spaventa a mettere, come si dice, in valore
la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti investigazioni i
tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto più il Vera, la cui
cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in Francia, aveva finito
col non dire più 'i francesi ' ma 'noi'=; e imbevutosi dell' hegelismo,
non aveva più saputo guardare all'Italia con altri occhi, che quelli onde, in
generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono commiserando 3; tanto più,
il Vera, per cuidunque non esisteva il problema dello Spaventa, di edificare
sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano, movendosi dentro di
esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco hegelianamente, ad
asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che bisognava rifarsi da
capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno, celebrato da Hegel come »
nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello spirito e intende l'unità
della sua essenza e dell'essenza universale come tutta la vita del pensiero. Nella
sua prolusione a Napoli, la occasione stessa l'obbligò quasi a ricordare i due
grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il primo mise al di sopra del secondo,
quantunque manchi a quello « sopratutto il punto di vista, o concetto istorico,
concetto importantissimo e che è il segno caratteristico, e dirò come il
trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia invece il Vico, e sia anzi la sua
originalità. Pure, «Bruno è un profondo me-tafisico, a tal segno ch' è come
l'eco dell'antica filosofia e il precursore della moderna». Ma non andò (né
credo potesse con la cognizione che doveva averne) oltre tali e simili
generalità. A cui si attenne anche lo scolaro Raffaele Mariano in quel
suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana, in cui si fece, come già
in altri scritti, organo del pensiero del Vera. Tra Bruno e Vico il Vera non
vedeva che tenebre. Di Campanella mai una parola, che io sappia. Vico è lodato
caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in Inghilterra, nel 1857% con
qualche accento di italianità: lodato come « genio profondo e originale», « uno
dei primi, per non dire il primo, ad entrar nella carrieran in cui andarono poi
tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e della filologia: come quegli
che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha poste le basi della critica
filosofica delle lingue», nel De unico principio et fine tris (sic) « ha poste
le basi della critica del diritto e nella Scienza nuova ha fondato la filosofia
della storia, e quindi i principii della critica storica. e con la sua teoria
sul « vero Omero » va considerato «come il punto di partenza e il motore di
tutte le ricerche posteriori sulla questione omerica.. Giudizio molto
modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò che concerne il De
antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e ravvolto in un
apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un mediocre me-tafisico.
Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della repubblica di Platone
nella storia comprese che avervi una storia ideale. Questo intese, ma mal
comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e altezza del concetto
non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non seppe addentrarsi nella
cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo delle dottrine platoniche e
aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente originali». Avrebbe dovuto
costruire prima l'idea della storia, e indi desumere il fatto o storia reale
delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di Roma, e però non poté
intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le nazioni e la storia
moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della Filosofia della Storia di
Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana, oltre la storia romana). Più
tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera idea della storia!.
Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione alla filosofia
della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di Vico, che niuno
potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto che l'idea è il
principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole confusione,
accettava l'inter- pretazione platonica che il Vico stesso fa delle sue
idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica delle idee,
comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea dell'universo, si
giunge naturalmente al punto di vista di Vico». E d'altra parte, guardando poi
all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua dottrina alla scoperta del
vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che l'idea non si manifesta se non
incarnandosi in certi individui, non dubitava di arguirne che *Vico non
intese la vera natura dell'idea, né quella del suo rapporto con la storia e con
l'individuo ». E dopo Vico? «Vico», risponde per lui il Mariano, « è
un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia tradizione »3. E poiché Vico
non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal suo concetto storico della
scienza, si può dire che « il pensiero italiano chiuda il suo ciclo storico con
Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo rogo». Doloroso a dirsi:
l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere nella storia significa
rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato. Dall'alto di questo
giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un Galluppi, di un Rosmini,
di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa? Il Mariano
risponde: « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi tempi non
hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al movimento e allo
sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire quando tutto lo
sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono in punti di
vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono siste-matiche, nascono
non si potrebbe dire donde né come, senza aver nemmeno una coscienza
chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e infine segnano un
regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello Spa-venta, che non
intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la quale non avesse
nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che andava orgoglioso di
aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da Bruno a Campanella
al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno pensiero europeo,
pareva al Mariano e al Vera « falsasse il concetto della filosofia, del suo
oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force intellettuali, che
non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni, e consistono nel
mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero e nel pensiero
d'un altro». Bella testa davvero quello Spaventa, che veniva a dire 'a
questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la filosofia di Hegel non
era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non si doveva ripetere e
commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante formole sacramentali. «
Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere quelle deduzioni e quelle
formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo Spaventa le intende
? Par di no, dacché identifica [e non era vero] Gioberti e Hegel. Poi che
il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente svolto e compiuto entro certi
limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo
Spaventa avesse inteso la storia della filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto
che non sono possibili svolgimenti ulteriori deviando o uscendo dal pensiero hegeliano,
e in questo senso può dirsi che la filosofia di Hegel sia per l'appunto
l'ultima parola dello spirito speculativo ... Che poteva essere magari la
convinzione dello Spaventa, ove si dia a questa frase un significato rigoroso,
che non era disposto di certo a darle né il Mariano né il Vera, quando questi
scriveva p. e, che « la filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti
costitutive, il ciclo storico della filosofia; quantunque non vogliamo negar
con ciò la possibilità di altri svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare
e subordinato, che il pensiero filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso
quello Spaventa, infido hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati
a pubblicare nel 1867! Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les
mêmes allures contournées et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio,
quell' hegelismo che non è punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà
delle arie di non sappiamo qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma
stranamente nuova, prima perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo
Hegel alcuni de suoi discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato,
e poi, sopra tutto, perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove
va, e perché non può avere altro risultato che di creare o perpetuare
l'equivoco, la confusione e l'indisciplina degli spiriti». Cosi dal Vera
aveva imparato a giudicare dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per
accreditare la filosofia hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e tenendosi
sempre sulle generali, senza analisi di testi, né discussione di punti
controversi, la storia della filosofia italiana della prima metà del sec. XIX,
e sentenziava che quella specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno
isolato e accidentale, che non s'era accorto di venire al mondo quando il
movimento filosofico tedesco con Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail
une doctrine constituée» (povero Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più
vasto e completo, ma è un vano sforzo • di risuscitare la filosofia scolastica,
e, per questo rispetto, un regresso. Gioberti poi « non soltanto un'apparizione
inutile nell'ordine del pensiero come in quello della storia, ma la negazione
della storia e della scienza " 5 Lo Spaventa ne aveva fatto la
satira anticipata. A proposito di costoro che non vedevano nulla di nulla in
Italia, e la filosofia morta da due o trecento anni, e si scalmanavano a
raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea, e sopra tutto a far come loro (e
guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite come diciamo noi: uno, due, tre;
e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete felici ») aveva ricordato « un
tale, bravomo del resto; il quale un giorno, di pien meriggio, nel mese di
luglio, non sapendo che fare e avendo accolto in casa, nel suo gabi-netto,
numerosi amici, chiuse ermeticamente le impostedelle finestre e l'uscio, e
all'oscuro accese subitamente un suo lumicino, e fattosi in mezzo, non per
gioco, ma col maggior senno del mondo, esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto
la luce!* E la satira conchiudeva: « Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i
suoi giorni al mani-comio, e non parlava d'altro che del lume spento e del suo
lumicino. Quando imprese la sua volgarizzazione della filosofia hegeliana, V.
non s'era proposto se non di tradurre in francese la piccola Enciclopedia di
Hegel, come già erano state tradotte le opere principali di Kant, Fichte,
Schelling, l' Estetica dello stesso Hegel e una parte della Logica. Ma
estremamente prolisso com'era, e com'è degli scrittori che non approfondiscono
il pensiero e scivolano sulle difficoltà, postosi a scrivere un proemio
introduttivo alla traduzione, la materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad
imporgli la necessità di pubblicare questo scritto a parte, come formante da
solo un tutto « indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le
cui tre parti pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che quando
poté cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta
l'Enciclopedia aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale
per la Logica, ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare,
sarebbe stata pure opportuna. E cosi per la sola Logica occorsero già due
volumi 3;come tre gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5
infarcita di lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine
per la F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di
distanza dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una
nuova speciale introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e
avertissements premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici, pole-miche,
si esauri tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre il testo.
Tutta, o quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione originale,
come il Cavour (1871) e il Problema dell'Assoluto (1872-82), in fatto continuò
egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina
hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala
pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco,
che non s'attenta D'abbandonar lo nido, e giù la cala. E
lasciava interrotto il lavoro. L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1,
che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu
degli scritti più noti, più letti e discussi del Vera 3, è anch'esso un commento
a un'opinione dell' Hegel. L'Introduzione alla filosofia della storia
(1869) sono corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno
nessuna pretesa d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la
nouvelle foi (1873) si propone di chiarire e confermare la filosofia della
religione di Hegel contro il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire
pertanto che tutta l'opera del Vera si riduca alla traduzione e al commento
dell' Enciclopedia di Hegel con speciale insistenza sulla parte che riguarda la
filosofia della religione. Opera certamente assai benemerita pei vantaggi
arrecati alla cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e
dell'Italia, in un tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito,
le sue opere apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non
siano, e facevano torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse
letto nulla di lui, se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel
volgare (come avrebbero dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile
nello sciolto francese in cui il Vera lo dilavò, e cosi largamente illustrato
da chi non dubitava di parlare come l'autentico interprete dello hegelismo.
Soltanto in questi ultimi anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato
studio di Hegel, riscontrate accuratamente con l'originale; e trovate malfide.
Se nella prima traduzione della Logica gli errori d'interpretazione erano
frequenti, i lettori non lo seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso
Vera quando li corresse nella seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e
senza nervi, del traduttore non somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se
n'accorgeva ? I punti più delicati ed essenziali dello hegelismo nelle
interpretazioni veriane andavano alterati. Il colorito generale e il carattere
fondamentale di questa filosofia attraverso quelle interpretazioni eran
cancellati o apparivano troppo sbiaditi. E questo era certamente difetto
ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e il progresso speculativo. Ma
non è per altro da credere che una più schietta traduzione e una
interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe bastato in quel
ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del Vera, a dare una
direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama dei fatti
e dal disgusto d'ogni speculazione. E d'altra parte, c'è in ogni grande
filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità particolari, frammenti
e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure arricchire ed accade sempre
provvidenzialmente che venga arricchito il patrimonio generale della cultura, e
impinguato quello che si può dire il terreno spirituale, da cui germogliano,
maturate che siano le stagioni opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur
continuamente traggono il loro succo vitale tutte le forme dell'attività
umana. Chi potrebbe dire, da questo aspetto, quanto sia il benefizio
arrecato alla cultura dalle fatiche di V.? 3L. - Questa fu la sua parte:
la parte del commen-tatore, che si chiude nel pensiero del suo autore, quasi in
un cerchio di Orbilio, e non vede come sia più possibile uscirne. Il «
Commentatore» per antonomasia del medio evo disse di Aristotele, che egli era
stato la regola della natura e come un modello in cui essa aveva cercato di
esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al più alto grado
dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo pervenire: disse la sua
dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto è stato il limite
dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi esserci stato dalla
Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile sapere»; e che insomma
egli « è il principio di ogni filosofia: non si può differire se non
nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da ricavarne». E le
stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte abbiamo visto, V.,
lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à outrance n3; pronto a
protestare che gli anni e la riflessione non facevano che fortificare la sua
convinzione che la philosophie de Hégel est la sente philosophie véritable, la
philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison contre tous4, perché egli è
non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più potente forse che sia mai
esistito s. Nella Introduction del 1855 riconosceva ancora un qualche valore al
concetto (hegelianeggiante) *di Leibniz della philosophia perennis; ma nel
1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia » teneva a
dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento parlare
di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri sulle sue
tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli occhi e gli
orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere mercé d'una
tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza dubbio, che la
filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma continuava,
distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa filosofia non
mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo, è la filosofia
hegeliana » *; laddove una delle determinazioni essenziali della filosofia
hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia o, se si
vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate filosofie sono
la filosofia veramente determinata. E da quest'angusta e in certo senso
materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta chiusa in una
individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di certi libri e
di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e luoghi, il Vera
era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui disarmato e
consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi avversari. Poiché,
una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé, senza rapporti con
gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del mondo, che non ha che
fare con gli altri possibili punti di vista, quasi spettacolo che si goda in
una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi non vi entri, cotesto
sistema non si può più dimostrare a chi non sia già persuaso della sua verità;
perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo valore di pensiero, che
non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde la vita del pensiero che
è espansione e forza invadente, conquistatrice e trionfatrice; per diventare
una cosa, che sta dove la mettete, in eterno, ignara di sé, inerte, esposta al
libito di chi vi si abbatta! Concezione strana, umiliante, ad accettar la
quale, coraggiosamente, il Vera fu anche spinto da un profondo concetto
hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un sistema sta dentro il
sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava subito incontro al
pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di questa proposizione,
per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra un'altura inacces-sibile,
concependo dapprima come una prima parte del sistema una Fenomenologia
dello spirito come autoaf- fermazione della propria filosofia attraverso
tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero, e premettendo poi all'
Enciclopedia un'introduzione critica e polemica destinata a giustificare il
proprio punto di vista di fronte a quelli inferiori. Talché, se pure era nella
sua dottrina, quale si venne scolasticamente consolidando attraverso le
varie redazioni dell' Enciclopedia (nata per la scuola), la tendenza a fare del
sistema un dato circolo chiuso, nel quale bisognasse penetrare per non so quale
grazia sovrannaturale o luce illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa
tendenza era spontaneamente frenata e corretta dalla possente vita del genio
investito dalla forza della verità. Ed era intanto punto capitale della sua
dottrina, che la critica di un sistema filosofico - e quindi il passaggio a un
sistema superiore - non è critica soggettiva che altri possa fare movendo da
principii di sistemi diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle
viscere dello stesso sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per
aggrapparsi con la punta delle dita alla proda delle balze superiori, ma
fermando bene ilpiede sul grado già raggiunto, e di li sforzandosi di salire,
costretti dallo stesso disagio della via erta ed arta, - per tornare ancora una
volta alle immagini dantesche. Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità
della sua filosofia, se, come sistema, vive nel circolo del suo pensiero
siste-matico, si conquista attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per
motivi di verità che giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude
gli occhi e gli orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder,
non sentir, non è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio
sereno, certo che tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano,
alquanto adulterato. E cosi accadeva al Vera, malgrado tutta la forza
del suo hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori
la lingua, abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche
un interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella
introdu-zione alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei gravi
obbiezioni contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano, dovendo
ribatterle, si ricordò della sua teoria dell'hegelismo chiuso, gia
spiattellata tre anni prima nella nuova prefazione all' Introduction à la
philosophie de Hégel, a proposito delle critiche del Foucher de Careil e del
Trendelenburg; e si senti in dovere di fare questa confessione: Nous
commencerons par avouer que ces objections nOuS embarassent
très-fort, et que nous ne voyons pas comment nous pourrions y répondre d'une
manière satisfaisante, d'une manière, voulons-nous dire, qui satisfasse
complètement celui qui nous les adresse. Car ce
n'est pas nous autres hégéliens, bien entendu [l]. qui nous faisons ces
objections, ou si nous nous les faisons, nous en trouvons aussi la solution.
Seulement cette solution est valable pour nous, mais elle ne l'est pas, len
général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les non-hégéliens (!).Et la raison
en est bien simple. C'est que la solution est dans le système, et que par suite
elle ne saurait être entendue et acceptée qu'autant qu'on est dans le système.
Par conséquent, celui qui fait des objections, qui les fait hors du système,
c'est-à-dire en se plaçant au point de vue de l'opinion, de la conscience
vulgaire et irréfléchie du sens commun comme on l'appelle, et même de la
philosophie de l'entendement, et qui, avant d'entrer dans le système, demande
qu'on lui réponde d'une façon qui leve complètement ses doutes, demande ce
qu'en réalité il n'est pas raisonnable de nous demander. Car ces doutes
viennent précisément de ce qu'il demeure hors du système, et que sa pensée est
impuissante à saisir la vérité systématique. Par con-séquent, tant qu'il n'aura
pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas entré dans le système, toutes
nos réponses et toutes nos explications devront nécessairement lui paraitre
insuffisantes, par la même que sa pensée et notre pensée ne sont pas la même
pensée 1. Non era questo un disarmare Hegel e consegnarlo agli
avversari? Tommaso d'Aquino, convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano
anche i preambula ad articulos, aveva potuto scrivere una somma de veritate
catholicae fidei contra gentiles; ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo
apostolis gentium non vedeva come un povero diavolo d'apostolo se la potesse
cavare: e badava a ri-petere il motto di Anselmo: fides quaerens
intellectum, ma senza ottemperare troppo alacremente al maggior detto
dello stesso Anselmo (Cur Deus homo, c. 2): « Ne- gligentiae mihi esse
videtur, si postquam confirmali sumus in fide, non studemus, quod credimus
intelligere! ». Il mo-mento della fede, come vedremo più chiaramente, era
l'essenziale per lui. Questo infatti gli bastava a reggere l'opera sua di
paladino di Hegel. Non confessó quel tale, che moriva in duello pel Tasso
contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due ?I libri di Hegel il Vera
certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti, forse, quando scese in campo
per lui con l'Introduction, né tutti poi con la stessa attenzione e diligenza.
Il Janet • notò che in quella Introduzione manca ogni menzione della
Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata contro lo Schelling
autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la prefazione di quell'opera di
Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e, in parte, la Filosofia della
religione: in parte anche la Scienza della logica; ma così male, da non essersi
ancora reso conto ben chiaro della redazione di queste opere. Cosi allora
dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze) ai singoli paragrafi dell'
Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso, bensi dagli scolari (Henning,
Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione postuma e si giovarono di
appunti del maestro e di quaderni di scuola: Anzi, confondendo con tali
appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse per la prima volta nel
1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il testo della prima
edizione, - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione credette di aggiungere
co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno astratto e più
accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza premessa alla
Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far credere non aver
egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia postuma (detta
ordinariamente Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola, cui mancano
quelle appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col primo contenente
la Logica: perché dice che nel 1827 Hegel non diede propriamente una seconda
edizione di tutta l'Enciclopedia accresciuta delle appendici, ma della sola
Logica: « Par les deux autres parties de la Grande Encyclopédie n'ont paru
qu'après la mort de Hégel dans Védition complète de ses oeuvres qui a été
publiée par le soin de ses disciples et de ses amis » 1. Apparse dopo la
morte di Hegel: ma già redatte da lui stesso, comprese le appendici, come il
Vera tornò a dire chiaramente nell'avvertenza al primo volume della Filosofia
della natura *. Confusionis che potrebbero anche ascriversi a
sbadataggine di studioso inesperto d'ogni buona usanza filologica: ma che, se
in parte son pure indizio di scarsa familiarità coi testi hegeliani, in questo
caso son pure da riportarsi all'indole del suo spirito, di cui abbiamo già
cominciato a intendere alcuni tratti essenziali. Il Vera era cominciato
mistico: scettico verso i metodi razionalisti, aveva asserito l'
inconoscibilità delle essenze, e certa intuitiva rivelazione originaria di Dio,
alla Jacobi. Il mistico non può essere idealista che a mo' di Platone:
per cui la verità non è processo, ma conoscenza immediata e miracolosa,
presenza dell'oggetto, in cui si prescinde dal soggetto o in cui perciò il
pensiero tende a risolvere e seppellire la propria soggettività. L'idea a chi
cerchi una tale verità si presenta e impone da sé; è se stessa; e non può
farsi, ancorché definita come processo (diventa allora idea del processo, e,
come idea, immobile). In quanto sistema, diventa sistema in sé, che non forma
la mente, ma è innanzi alla mente; e non è svolgimento;ma un tutto perfetto, in
sé, senza passaggio da altro a esso, né da esso ad altro. E filosofia che non è
la filosofia, ma una filosofia, che ha fuori di sé le altre, il pensiero
volgare, l'opinione, la filosofia intellettualistica, senza un ponte da queste
forme mentali a essa. - O tutto, o niente; o scetticismo, o cognizione assoluta
(idest, il sistema di Hegel), come badava a ripetere V.. E che cosa era per lui
la mente fuori dell' hegelismo? Se la verità era tutta dall'altra parte, di qua
non ci restava nulla. La sua pertanto era una concezione mistica del- 1'
hegelismo, per cui il rapporto dello spirito con la vera filosofia, o illuminazione
mentale, veniva concepito come una unione soprarazionale, di là dalla quale si
sarebbe instaurata la razionalità dello spirito. E questa tendenza mistica del
Vera, se io non m' inganno, gli faceva prendere in mano i libri di Hegel e non
guardare attentamente alle prefazioni, non cercare le varie edizioni, non
studiare la storia dei testi: giacché in ogni tempo la misticità è stata nimica
mortale di tutte le questioni concernenti la lettera, come ad esse piace di
dire, e non lo spirito, quali son quelle di filologia. Pericolosissima china;
giacché se questa tendenza nel Vera col dispregio della filologia portò
l'impossibilità di una vera dottrina storico-filosofica, nel discepolo Mariano,
che avrebbe dovuto essere di professione uno storico del cristianesimo, frutto
tutta una boriosa e vuota teorica di metodo storico, che è una delle più
solenni e funeste falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè della prima
filosofia venuta in luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna fatica, a
giustificare non solo, ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella scuola del
Vera, tra i suoi insegnamenti di storia della filosofia e di filosofia della
storia, fu piegata goffamente a significare un pensiero rispettoso bensi a
parole della storia, dello svolgimento, della determinatezza, ma, nei fatti, di
una tracotante svalutazione d'ogni sincera ricerca dellastoria, ossia dei
particolari più determinati, in cui pur consiste il concreto svolgimento del
reale. 32. — Della quale tendenza, mistica e però antisto-rica, della
mente del Vera si potrebbero raccogliere ne' suoi scritti molte manifestazioni.
Il Janet, in un suo articolo sul primo volume della Filosofia della religione
notava finemente che il Vera, nella lunghissima introduzione che mise di suo in
quel volume per ragionare dei rapporti tra filosofia e religione, «est encore
ici fort dans la discussion, vague et obscur dans la conclusion. Il ré-sume
très-bien toutes les manières de se rapresenter le rap-port de la religion et
de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle est la vaie». E nel '73 lo
stesso V. contro Strauss osservava che la posizione da costui assunta era
très-nette. E, soggiungeva «les positions très-nettes
sont souvent, surtout dans la science, très-fausses, par la raison même
qu'elles sont très-nettes, par la raison, veux-je dire, qu'elles mutilent les
problèmes, et qu'en les simplifiant les faussent». Ragione
hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel Vera, e conforto a non trarsi
fuori da quel- l'oscuro, da quel vago che il Janet gli rimproverava, e a
restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe invero assai volgare
insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso assertore della dialettica
del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua dalle soluzioni très-nettes!
Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui, le soluzioni semplicistiche
dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per suo conto, quelle della
ragione. E non era il Vera che potesse in nome della dialettica accamparsi
contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori; egli chenon sapeva
entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni; e si scalmanava
contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e commisti ai loro
contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato: la Chiesa essere
e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere esercito; e cosi ogni
cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile, a cui egli
platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco gusto (a
quel che pare), era pur costretto a vivere. Egli è piuttosto che, com'è
proprio dei mistici, il Vera, da una parte, doveva dilettarsi di cotesto mondo
di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla vita
dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera affermazione
immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più nella critica
e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione. Giacché questo
è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla filosofia, ma
si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com' è facile
scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum scio. Così
nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della speculazione
veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un timido e
vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio, conosciuto come
che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente conosciuto. Quella stessa
menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno superficiale dello
hegelismo, presa di ammirazione per quella vasta sistemazione del mondo
contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non sostanza; e sotto il nuovo
abito rimase presso che immutato il vecchio Vera. L'oggetto del suo mistico
intuito (conoscenza immediata, senza processo) era prima quel Dio inconoscibile
e indi- mostrabile, di cui non si poteva fare a meno; ora è il sistema
hegeliano, cioè, non propriamente una filosolia,ma un xóguo vontós, e insomma
Dio stesso, quello di prima, egualmente indimostrabile e irraggiungibile con un
processo di pensiero. E pure nell' Introduction volle scrivere anche lui,
come già tanti altri mistici, il suo itinerario della mente a Dio: o come egli
disse, mettere sotto gli occhi del lettore «les recherches qui nous ont conduit
nous-mêmes à l'intelligence de la philosophie hégélienne»t, Ma, posto quel
concetto del sistema chiuso, che per allora covava nel profondo della sua
mente, che itinerario poteva essere il suo? Sarebbe facile dimostrare che
questa specie di itinerario procede, non altrimenti da tutti gli scritti consimili,
per presupposizione, fin da principio, del punto d'arrivo, e per conseguente
critica e negazione delle posizioni diverse: non muove da queste, e non
dimostra realmente il punto a cui vuol pervenire; non è insomma un
processo. E già noi vedemmo a che si riduca pel Vera il movimento da Kant
a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di tre pagine) sulla « fisonomia generale
della filosofia di Hegel», in cui si coglie, ma assai estrinsecamente, un
tratto senza dubbio essenziale di essa, qual è quello della storicità sua,
oggettiva e soggettiva, in quanto essa concepisce il suo oggetto come
manifestantesi attraverso il movimento storico e sé stessa in intima e
necessaria relazione con la propria storia 1, il Vera passa subito a dimostrare
quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere idealisti senza
saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti, compresi i
materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai ha potuto
fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta pel Vera
esser metafisico per CS- sere idealista; e in questo senso egli
pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e
compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi
che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva
che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone,
quantunque ora si possa fare un po' meglio. Sicché l'oggetto della
filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato
vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul
tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della
sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana
che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il
concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che
all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1'
itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da
principio, e difenderla contro gli errori. Ma se la filosofia per Platone
e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il Vera ne avesse un
concetto assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una
spiegazione della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto
di tutto il reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una crea -
zione": e una creazione, com'egli dice, nel solo e vero senso
del termine»!. Ma dal detto al fatto corre8ran tratto; e quando deve
realmente concepire questa creazione che dice di concepire, la cosa non gli
riesce; perché tutto si riduce a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono
eterne, e che di creato e generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze
particolari e finite; le quali sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la
ragion d'essere; e che la filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non
solo sapere come l'assoluto genera le esistenze particolari e finite, ma deve
in certo modo (d'une certaine façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si
vuol negare la scienza, bisogna ammettere «qu' il y a un point où la
connaissance et l'être, la pensée et son objet coincident et se confondenti.
Bisogna ammettere; ma è questo il punto: hoc opus! E il Vera si sente tanto
poco di superate questo punto, che passa subito a intendere la creazione in un
altro modo: nel senso cioè che la scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo
la natura intima degli esseri, elle refait et dédouble en quelque sorte leur
existence». Sicché, «d'une certaine façon » prima, e «en quelque sorte »
poi: e la creazione vera e propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede
e non si tocca mai. Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al
relativo e il processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del
relativo, il due non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose
per tenersi soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una
certa voglia di tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere,
senza di cui pur s'intravvede non essere vero sapere. Conchiusione
innanzi alla quale si ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli
infatti, a questo punto, per garentire il carattere creativo della cognizione
assoluta sottraendola a quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e
trae a un significato improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura
con lo spi-rito. La vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto
va al particolare delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se
stessa e indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di
coscienza e di pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e
isolate, che non hanno in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro
fine; e lo spirito stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della
natura, in quella sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e
confonde tutto, e si lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e
delle sensazioni, ha un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea
della scienza, né a quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per
opera della scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e
dello spirito, elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro
principio, dando loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la
ragione. 1. Se non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto,
dalla natura allo spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori,
in Hegel è, e non può essere altro che un processo ontologico, il processo
dall'assoluto alla coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito
as-soluto. Ma, per intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi
dovremmo ritornare sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione
del Vera. Chi gli garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva
anch'esso a creare qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse
davvero, non dovrebbe rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro
da esso, ma fare, semplicemente, continuando quell'identico processo; e la
scienza non dovrebbe guardarsi indietro. V. non ha quest'orientamento. Il
suo assoluto è dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la
scienza si corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione
continua, « per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per
imprimervi una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a
sua immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée
et le fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours
distinels, et même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima
del mondo, che deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia,
al di sopra della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine
ideale. E la vecchia posizione platonica. L'essenza, inconoscibile
nel Problème de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un
progresso questo? Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel
bisogno e quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della
filosofia greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la
realtà non si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare
benissimo senza che perciò esistano. Che cosa manca loro? Cartesio aveva
trovata la via: cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da
idee, da quegli universali, in cui ancora V. faceva consistere l'assoluto. E si domandava:
se di ogni essere c'è un'idea corrispondente, ne segue che quella idea sia la
sua essenza? O c'è, oltre l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui
l'idea non sarebbe se non la forma, una forza di cui la natura intima ci
sfugge, e che avrebbe la sua radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio,
non sarebbe altro che quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua del
1845. - Ora la sua risposta suona il contrario; e la ragione che gliha fatto cangiare
avviso è questa: che ove si ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro
quid non è pensabile se non per mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo
egli prima approfondito, attraverso Kant (che non aveva letto), il significato
della esigenza a cui obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile
contenta-tura; togliendosi per essenza appunto quello che come mera idea gli
appariva una volta ben altra cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto
all'essenza più preziosa, che allora desiderava. E che? dice ora per
consolarsi, facendo il verso al Socrate di Platone: « quando studiamo l'anima,
non tale anima in particolare, ma l'anima in generale noi vogliamo conoscere,
né crediamo di possedere la scienza dell'anima se non quando possediamo cotesta
conoscenza»*: come se con l'anima in generale ci fosse, o ci potesse essere
un'anima! Giacché il destino curioso di questo hegelismo veriano, come del
platonismo, è proprio questo: che queste idee che son tutto, poi non sono
niente: e pel Vera rimangono come abbiamo visto assolute possibilità o
virtualità. Ma come con un tal concetto dell'idea, che non è Thathandlung
dell' Io (per usare la gran parola di Fichte), ma termine esterno o eterno
presupposto del pensiero, può egli ammettere una dialettica nel senso
hegeliano? Sorvoliamo sui rapporti che il Vera vede tra la dialettica di
Hegel e quella di Platone; e tocchiamo brevissimamente del suo modo d'
intendere la prima nell'Introduction e nelle opere posteriori. Qui è il centro
del suo hegelismo. In tutti i suoi seritti, se si paragonano a
quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta analizzato, non c'è pro-gresso,
ma sempre un medesimo concetto che torna su se stesso, si rafferma sempre
maggiormente e si ribadisce. Li egli saltò il fosso, sembratogli già
abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la posizione, innanzi al
pensiero, non dei contrari singolarmente presi in astratto, ma della loro
unità. Nella Introduction dice che, se i membri della contraddizione presi
separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in quanto sono in
rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno di essi presi
sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se stesso e i due
termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere si trovano
identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in generale
tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci può
essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c' è
la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea
logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene
nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade
non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume
dipinto, la cui acqua non scorre. Tutto il congegno del movimento è
arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo. Quasi
tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza
del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto
a Bertrando Spaventa. A V., quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno
uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così
semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!). A
proposito delle critiche del Janet: « Il fant voir », diceva tutto
meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M. Janet
s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du point
d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto del 1845).
L'essere, che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non
è se non l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche
dicendo questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità; perché
il pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che
gli sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio
poi se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure
il pensiero, come ha fatto Kuno Fischera. Qui noi siamo nella sfera della
scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto.
L'essere è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel
suo vero concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché,
pensandolo come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che
esso, in quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la
dimostrazione, ma non si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che
l'es-sere, l'essere assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche
che esso è, e per ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è,
o che è il non- essere, è anche il non-essere che è, ossia è il
divenire. * E la dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del
passaggio dall'essere al non essere nella loro unità, il divenire »3.
Dimostrazione, la cui ingenuità salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice
che all'essere non si deve aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere
mettendoci dentro questo pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia,
- Nella introduzione alla Logica * (1859) aveva detto: « L'essere puro è
l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che
non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o,
se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di
essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e
quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto,
e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del
divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come
l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in
rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra
forma ripete lo stesso. « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere
assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la
possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di
tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il
niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà;
ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo
luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che
è il niente. Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione;
la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il Vera non intende la cosa con
tutto questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente
assolutamente astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire
l'es-sere non è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il
niente. Il che non è vero, evidentemente. L'assolu- tamente astratto, il
niente, di cui si parla qui, è il non - determinato, non già il
non-indetermi-nato!. - In secondo luogo: questo niente, questa negazione prima
e assolutamente astratta non Viene qui ad aggiungersi all'essere,
dal di fuori? - E anche qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se
non il niente dell'essere: il non essere. E l'essere che si nega egli stesso
». La risposta può avere un significato solo a un patto: che s'intenda il
non-essere come non-essere dell'essere, in quanto il concetto dell'essere non
può prescindere (come fu detto nell' Introduction) dal concetto del non-
essere; e che cioè il divenire è prima dell'essere e del non-essere. L'essere,
insisteva contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere perché non è altro che
essere, per la sua assoluta indeterminatezza e astrattezza: e nella massima
astrattezza dell'essere e della sua negazione sta la difficoltà del passaggio.
« Via via che si procede nell'evoluzione dell'idea, si coglie più facilmente il
passaggio reciproco dei termini, perché si hanno termini più concreti, come lo
stesso e l'altro, l'uno e il più, la causa e l'effetto, ecc., tra i quali si
trova più facilmente un rapporto, laddove al principio non si ha se non
l'essere ». Questa è certamente la via da battere per afferrare il senso
segreto della dialettica hegeliana: la quale, ormai è chiaro, malgrado le
proteste dei semplicisti alla maniera del Vera 3, non pervenne in Hegel alla
chiaracoscienza della propria natura, come è dimostrato dal ginepraio, in cui
si son trovati involti i suoi seguaci. Ma quella è una via che non spunta, o
meglio riconduce alla vecchia filosofia da cui si crede di allontanarsi, se non
si bada bene a considerare che non è via già bella e fatta innanzi al pensiero,
e che al pensiero non resti se non di percorrere, ma è la via del pensiero, la
via che esso si apre e che prolunga in eterno. Essere e non-essere sono
identici (e differenti) nel divenire; ma il divenire non è niente più
dell'essere che si pretende di superare, se esso stesso rimane di fronte al
pensiero, e non è appunto esso il pensiero che ha negato l'essere. Perché il
divenire non ha da essere giustapposizione de due momenti, ma compenetrazione e
unità intima: la quale non è cosa, ma atto: non è termine di pensiero, ma
pensiero; non è punto a cui il pensiero pervenga e da cui poi debba muovere, ma
lo stesso movimento del pensiero; non è limite, ma posizione di limite, e opera
dell' illimitato. Se il divenire si vuol concepire come l'organismo, di cui
essere e non-es-sere siano le membra indivisibili, ebbene, si badi che
l'organismo non è il corpo che la vita debba investire o con cui debba
accoppiarsi: l'organismo in tale astrattezza esanime non vale né più né meno di
un membro avulso dal resto: è la morte. L'organismo è organizzazione continua e
attualità, è anima, che crea gli organi. E così il divenire, se dev'essere la
risoluzione vera degli opposti, dev'essere pure l'energia creatrice di essi:
cioè, come di- cevo, il pensiero.Non basta perciò dire rapporto,
anteriore ai termini: bisogna concepire questo rapporto come rapporto
vivo. E dalla logica movendo, come fa il Vera, per la natura allo
spirito, non basta dire, com'egli dice, coerentemente alla sua intuizione del
mondo hegeliano che a c'est l'esprit lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui
pose la logique et la nature»t; e che «la pensée (= l'esprit) est l' idée
active et creatrice»; e che questa attività non è l'activité qui crée
accidentellement, ni l'activité qui crée hors d'elle-même un monde antre
qu'elle-même, mais L'activité qui crée au dedans d'elle-même, qui crée un monde
qui n'est pas autre qu'elle-même, mais l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi
s'exprimer, et qui crée pour être elle-même, c'est-á-dire pour être dans la
plénitude de sa nature et de sa réalité»: bisogna che questo non sia soltanto
il pensiero in sé, il pensiero che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il
pensiero divino: ma appunto il nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto
più nostro, colto nella realtà massima della nostra intima soggettività e
indivi-dualità, dove più vibra l'attualità del mondo. E perché questo pensiero
sia davvero il pensiero vivo, esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e
viva insomma, e vibri, e in esso vibri il mondo: e che non rappresenti il
termine fisso d'ogni desio, la morta gora ove precipiti ogni acqua corrente
dell'universo. Che se col Vera si dice "tout devient hormis la
pensée, et tout devient parce qu' il n'est pas la pensée, et pour devenir
pensée, el exister en tant que pensée»3, questo pensiero diventa qualche cosa
di trascendente il pensiero storico e il mondo, e però assolutamente
trascendente; e quindi il suo stesso processo ideale (posizione e negazione del
logo e della naturaper la posizione di se medesimo) diventa tutto un processo
trascendente, come la processione dello spirito nella teologia cristiana; e
tutto l' immanentismo di Hegel sfuma, e la sua dialettica s'irrigidisce nel
mondo ideale, di là da ogni reale accadimento, e concepito ancora una volta,
alla maniera del vecchio Platone, come natura (ancorché ideale) e non più come
spirito. Il Vera vi dirà in tanti modi diversi, perché messo sull'avviso da
tante esigenze interne dell' hegelismo, che «ce qui devient n'est pas étranger
à la pensée» e che « il faut même dire que c'est la pensée qui pose son
devenir, et que, s' il devient, c'est précisément que la pensée est en lui». Ma
distinguerà allora tra pensiero in potenza e pensiero in attor e il pensiero
immanente nel mondo lo portà come pensiero virtuale («sculement la pensée n'est
en lui que virtuellements). Tal quale è concepito il pensiero da
Aristotele. « Tout se ment en vue de la pensée, et tout est má par la pensée».
Il pensiero è il motore immoto. Perché il pensiero « atto assoluto» è unità
d'intelligenza e intelligibile, come totalità dell'idea una e
sistematica. Due, dunque, i difetti capitalissimi di questa dialet-tica,
a cui si solleva V.: 1) che il pensiero, e nel pensiero tutto il processo del
reale nelle sue forme ideali o intelligibili che aristotelicamente il Vera è
costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è un pensiero trascendente, il cui
processo pertanto è egualmente trascendente; 2) che, come trascendente,
cotesto processo è un processo ideale senza essere un processo reale; non è un
vero processo. Due difetti che sono un solo: la negazione pura e semplice della
dialettica hegeliana, sfuggita dal mondo, di sopra alla testa del filosofo.38.
- Situazione disperante per una filosofia che avesse mirato alla comprensione
della realtà determinata, attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il
soggetto artefice della filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso
soggetto; ma il più comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un
temperamento mistico, portato perciò stesso alla negazione di ogni
determinatezza e della propria concreta individualità. E allora s' intende da
una parte il vuoto di tutte le discussioni di Augusto Vera intorno ai
problemi storici e concreti: esempi solenni le sue lezioni di filosofia della
storia, uno dei libri più flosci e vacui, che si siano mai pubblicati, pur
essendovi gettati dentro, come in un sacco, taluni dei più forti pensieri che
siano stati mai pensati, ma tolti dal sistema e dall'anima che li regge nella
mente poderosa di Hegel; nonché quella lunga filatessa che reca il titolo di
Cavour e libera Chiesa in libero Stato, con annessa prefazione, apparsa la
prima volta nella traduzione francese, la più strana discussione che si possa
immagi-nare: rivolta a combattere il pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema
e tutta la storia d'un popolo, il tutto speculato dentro una formola (libera
Chiesa ecc.), quando il più elementare buon senso richiedeva che si
cercasse com'era nata quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle
circostanze e dottrine che all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi,
dentro quali limiti, essa mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio
e genuino e determinato significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza
del Vera era la più antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E
s'intende d'altra parte il segreto motivo della preminente importanza da lui
attribuita alla questione religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da
essa, quantunque la filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di
ottenerne una soluzione per lui molto soddisfacente.Egli è che al Vera, come a tutti
i mistici, il mondo restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo,
e (ahimé!) era tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume
della Filosofia della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti,
sentiva che gli si sarebbe potuto opporre: - Voi dite che il pensiero è
l'assoluto, e che come tale è il principio supremo e ge-neratore delle cose.
Sicché, tutte le cose saranno pensieri. Intanto, riconoscete anche voi
che c'è qualche altra cosa oltre i pensieri, poiché parlate di
rappresentazione, fenomeno, natura e spirito finito. Questa qualche altra cosa,
avrà essa un altro principio? E com' è che l'asso-luto non basta a se stesso? E
come conciliate l'idea o il pensiero con la storia? « La storia è moto,
sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il pensiero, l'assoluto è l'assoluto
precisamente perché esclude ogni trasformazione ogni cangiamento, ogni
divenire. Infine voi dite che l'idea è insieme forma e contenuto. E sta bene.
Ma l'idea sarà sempre un contenuto ideale, laddove il contenuto che la storia
sviluppa e aggiunge incessantemente a se stessa è un contenuto sensibile,
fenomenico, reale. Cosi ci sono due mondi....». Obbiezioni che colpivano
in pieno petto. Ebbene, risponde il Vera, noi in parte abbiamo
risposto a queste obbiezioni; ma le ripiglieremo e le esamineremo nei
volumi seguenti, che trattano più specialmente delle questioni a cui queste
obbiezioni si riferiscono, e che si possono in generale designare come il
problema storico. - Ma nel secondo volume il problema è appena accennato; gli
altri volumi non vennero più; e li dove il problema è accennato, la soluzione
non è una soluzione, e lascia intatto il problema. Nous disons que si
l'absolu est le devenir, il n'y a ni histoire ni absolu, si l'histoire n'est
pas un moment de l'absolu lui-même. Par consequent notre thèse est que
l'histoire est un moment de l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et
qu'ainsi pendant que d'un côté, l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il
est lui-même dans la création et l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus
de l'histoire, la nie, il est la negativité absolue...... Dove l'unico
senso possibile è quello aristotelico già indicato, che è in realtà la
negazione della storia: per cui cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla
storia. E però ogni volta che risorgeva questo problema storico, che il
Vera pur sapeva essere il segreto dell' hegelismo, era un tormento pel suo
povero cervello, rimasto in pre-senza di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a
divo-rate le sue creature. Suo vero problema non era quello storico,
bensi il religioso. Il suo hegelismo era cominciato, come s'e visto, con uno
studio sulla Filosofia della religione di Hegel, quando non gli pareva
possibile concepire altri-menti lo Stato che subordinato al divino della
religione professata nella Chiesa 3, E quando con la Filosofia dello spirito
ebbe condotta a termine la versione dell' Enci-clopedia, le ultime pagine di
questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare il problema religioso secondo la
filo-sofia hegeliana. E allora scrisse il Cavour, lo Strauss, e la prefazione
all'edizione francese del Cavour; e si accinse a lavorare attorno alla
Filosofia della religione di Hegel, che, pubblicandone il primo volume,
annunziava di voler accompagnare de plusieures introductions. Poiché qui si
imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse di veder chiaro, ma di cui
parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi tutta quellachiarezza che
diceva: il problema dei rapporti tra religione e filosofia: «un des problèmes
les plus difficiles », come protesto una volta con tutta franchezza, «
peut-être même le problème le plus difficile que l'intelligence trouve devant
elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans les profondeurs de sa nature
». La soluzione hegeliana, infatti, si presenta tutt'altro che facile.
Dire che la religione e la filosofia hanno lo stesso contenuto (conoscenza
dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo l'una per rappresentazioni,
miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi che risolvere un problema
per una filosofia che non concepisce forma separabile dal contenuto, e non può
porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi non è un problema speciale
in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso problema che s'incontra già
sulla soglia, dell'unità di identità e differenza implicita nel concetto del
dive-nire. La forma della religione hegeliana non è una veste soggettiva, onde
nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una forma dello stesso Dio. Il
Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene il Dio dello spirito
assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e filosofia è il rapporto
tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto. Come si passa da un
momento all'altro ? O, in generale, come si passa? Ecco il problema. E il
povero Vera che non era venuto a capo di questo pro-blema, se lo ritrovava
avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a sobbarcarsi a
svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte, déterminer, saisir
l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même, et dans son rapport
avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus ardu peut-être qui
s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese attorno a questa
difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione, passandosi una
mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis appliqué à
lever.... L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli si
affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si può
ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma
soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut
même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement
dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite. C'est plus ou moins
la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un livre a toujours besoin d'être complété et
vivifié.... 1. Osservazione, che è forse anche una reminiscenza dell'immortale
discorso di Socrate nel Fedros ma è pure la sincera confessione del personal
sentimento dello autore analogo a quello del poeta: Ahi, fu una nota del
poema eterno Quel ch'io sentiva, e picciol verso or e: quel
sentimento appunto del mistico che non vede proporzione tra il picciol verso e
il poema eterno, e questo gli suona dentro come ineffabile; e se gli apparisce
sotto forma di problema, è un problema senza soluzione. Se la filosofia,
infatti, è pensiero assoluto, se questo è di là dal divenire, qual uomo mortale
che ad ora ad ora viene imparando a meglio pensare avrà la tracotanza di
pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro il quale sarebbe la soluzione?
Ora è chiaro che in questa situazione di spirito la filosofia, in quanto
filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità di raggiungere l'assoluta
cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del problema religioso che a
quella direttamente opposta professata da Hegel. Di tale soluzione, non occorre
dirlo, il Vera non farà mai esplicita asserzione, non essendo tale il suo
atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda permettergli di questi
aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di tutti i suoi
ragionamenti intorno alla questione religiosa, e il centro della sua vita
spirituale. Particolarmente significativa in questo proposito l'ultima
lettera da lui scritta al suo diletto Mariano, prima di morire: Se al
vostro ritorno [gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della mia
vita, io me ne sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú della
mia immagine, il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra memoria.
Perché credo che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione della
dottrina hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia; e lo è
anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso profondo
della dottrina cristiana. Ed è questo tratto saliente che la distingue da
tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi della mia
carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben ricordo, nella Liberté de penser. Ed anche il Cavour
non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre stato, e per indole e per
riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho sempre considerata come
uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza di essa l'uomo è un
essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana insegna ad amare ed
adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una anima bene
equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da questa via,
caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e la forza per
traversare questa vita si ripiena di disinganni e di amarezze. Perché
Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore e con la mente e con
tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo partecipi delle sue eterne ed
immortali perfezioni 3. Ora la filosofia hegeliana è sì una filosofia
essenzialmente religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé la religione, ed è
religione: si concepisce come la rivela-zione, anzi realizzazione di Dio; e
nella unità sua di sapere e saputo, concepisce tutto il suo mondo, in tutti
isuoi gradi, come rivelazione o realizzazione di Dio: onde, mediando Dio,
supera l'immediatezza propria della religione come tale (insufficiente
coscienza che lo spirito, secondo la dottrina hegeliana, avrebbe della propria
natura, e però del reale assoluto), e non lascia posto per lei, in quanto
religione pura (in quanto non fi-losofia) in nessuna parte del suo mondo. Il
mondo hegeliano, d'altra parte, non è soltanto il mondo della filosofia, in cui
tutti i gradi anteriori siano già risoluti. Una tale filosofia sarebbe
astratta e trascendente. La sua concretezza importa, quel che il Vera non poté
vedere, il suo eterno divenire, ossia l'eterno risolversi degli altri gradi in
questo grado supremo del processo dialettico della realtà. Di guisa che la
filosofia hegeliana è portata a concepire tutto ciò che non è filosofia e la
stessa religione come momento necessario di se medesima: e in questo senso, a
concepire razionale tutto il reale. La religione come tale è conservata dallo
hegelismo, ma dichiarata momento della filosofia, e quindi subordinata, nella
filo-sofia, a questa. Sit viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo
hegeliano: 1) ha la sua religione nella sua filosofia; 2) riconosce che
ognuno, di qua dallo hegelismo, ha la propria religione nella sua filosofia, o
la filosofia nella propria religione. Le questioni adunque in cui si
travagliò il Vera, se nella vita delle nazioni ci sia nulla che possa
sostituire la religione (ed egli era d'avviso che non ci fosse nulla, né la
scienza, né la filosofia) *: se la Chiesa debba essere subordinata allo Stato,
o lo Stato alla Chiesa, o se debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda
ipotesi, benché non sapesse poi concepire il come della subordi-nazione, né
determinare la Chiesa a cui lo Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e
simili questioni sono questioni suscettibili, nello hegelismo, di una sola
solu-zione, che è quella derivante dal concetto filosofico hegeliano della
manifestazione mediata di Dio in tutto il reale e in sommo grado nella
filosofia; ma anche di infinite soluzioni per tutti coloro, che non essendo
hegeliani aspirano soltanto, secondo l'hegelismo, a esser tali, quantunque non
lo sappiano. Ma è pur chiaro che se la verità dell' hegelismo deve valere per
lui come la sola verità, egli non potrà non combattere le soluzioni diverse dalla
sua, ossia tutte le altre filosofie in quanto vogliano passare per filosofia, e
dominare. Il filosofo hegeliano non solo rispetterà tutte le credenze
religiose, ma avrà interesse ad alimentarle come quel terreno da cui soltanto
essa potrà germogliare; così come entra negli interessi dello spirito, secondo
la sua filosofia, la cura della salute fisica. Le soluzioni del Vera
erano invece non per il dominio od autonomia della filosofia e di tutte le
forme spirituali che entrano nel mondo della filosofia, ma per la soggezione di
tutto alla religione: come di chi non ha la propria religione nella filosofia,
ma la propria filosofia nella religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio
hegeliano, non si sollevò mai veramente dalla sfera della rappresentazione a
quella del concetto nello spirito assoluto. 4I. - Non si poteva
sollevare, pel suo radicale misti- cismo. Al quale non mi pare contrasti
la tesi presa a sostenere nella Introduction contro l'immortalità
dell'anima: onde la sua autorità d'interprete consumato dello hege-lismo
era opposta poi alla Florenzi Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a
propugnare il concetto dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello
che Kant e tutti i filosofi della religione naturale sosten-gono, che la credenza
nella immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso. Che anzi
la più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo, è
riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade
cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico,
nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se
non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza
riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il
cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella
incertezza del Vera nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto
di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani=, la sua pro-pensione verso
la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza
generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito
individuale nel divino. Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse
da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non
si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della
dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare
virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle
parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque
considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come
un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello Stato insieme e
dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della
pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte
inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di
far guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai
popoli quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei
propri diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà
e di progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e
per l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti
fini della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non
ai fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale,
sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per
l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo
colpisce nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né
per lui né per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva
nello stesso istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra
tutto per l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù,
la bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte:
dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si
rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le sue
facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati;
ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla
vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma
s'abbandona egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di
eterno nel suo pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e
d'impotenza. E quel che è vero per l'individuo, è vero altresi per i popoli.
Cosi la Grecia e Roma, dopo aver elevato il mondo antico alla più alta civiltà,
diventano un ostacolo alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la morte,
affrancando lo Spirito dai lacci della Natura, gli permetta di vivere una vita
sempre giovane e sempre nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito nuovo.
Cosi si spiega perché l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza
dell'u-manità, e perché la morte è considerata come la consacrazione dell'amore
e il segno della riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che
viene dopo la guerra e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di
tutte le potenze della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace
artificiale che snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando
lo spirito dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era
l'organo d'un più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la
propaga e la fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura »
1. Quest'argomento faceva il Vera eloquente, come corda che risuonava dal
profondo del suo animo. E altrove, cantando l'amore, a mo' di Platone, come
l'aspirazione allo Assoluto o filosofia, si riscaldava all' ispirazione
leo-pardiana di Amore e morte, facendo della morte « il segno, la consacrazione
e il trionfo dell'amore.:. E nella morte inflitta dallo Stato, vindice
dell'eterna giustizia dello Spirito, egli vedeva pertanto l'olocausto
dell'individuo sull'altare dello Spirito: poiché nell'individuo vedeva, come
testé ci ha detto, l'organo dello Spirito, ma non lo Spirito stesso, che come
tale non è individualità finita. 43. - Non era questa l'interpretazione
della filosofia hegeliana, che potesse concorrere al progresso del pensiero
speculativo. Ma è indubitabile che essa pure traeva alimento da uno di
quei forti amori dell'eterno e del divino, senza i quali lo spirito umano non
sarebbe a volta a volta distratto dagl' interessi mondani e spinto alla ricerca
filosofica. E per questo verso il Vera fu uno degli scrittori più vigorosi, più
sinceri, più alacri che ci siano stati in Italia negli ultimi tempi; e non
possiamo passare innanzi a lui senza inchinarci. Il suo fu un vano sforzo
di impadronirsi di quell'ideale di sistema, unità di religione e di filosofia,
che Hegel gli fece balenare alla mente: vano sopra tutto per mancato
orientamento nella storia della filosofia, dacui l' hegelismo aveva con stretta
possente voluto spremere il succo vitale. Perciò una costante meditazione di
trent'anni non valse a fargli superare definitivamente il punto di vista, da
cui nelle sue tesi di dottorato aveva
cominciato a combattere Hegel. Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone,
Aristotele ed Hegel sentiva egli stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi
amori, poiché l'argomento» che vi esaminava « non differisce in fondo da quello
trattato nell'opuscolo Platonis, Aristotelis el Hegeli de medio termino
doctrina», e prendeva di nuovo a studiarlo e svolgendo ed allargando la prima
tratta-zione, chiarendone e correggendone alcuni punti, e in tal senso
compiendola». Ma le correzioni non toccavano, in verità, la sostanza delle sue
giovanili speculazioni. Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a
difendere la tesi che la filosofia muove da una fede; dalla fede
dell'intelligenza in se stessa; dalla fede nella conoscenza; nella conoscenza
della verità; cioè dell'Assoluto o di Dio: dalla fede dell' Efesio: ady pi huntoy auniatow oin EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi
aopov. E se ora bensi diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la
sola possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva. Lo
scritto, condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo
stanco si ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e
filosofia, si arre- stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Vercellone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello e l’estetico –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino). Essentail Italian philosopher. Filosofo italiano. La
sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di
‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il
nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza. Continuando a muoversi intorno al rapporto tra
estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti
decisivi: il rapporto tra temporalità
storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del
‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino);
e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue
ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore
del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia
dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente
della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità
dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier);
“Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati); “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione”
del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma
poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il
Mulino); “Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno”
(Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte”
(Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano,
Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte
dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il
Mulino); “Simboli della fine” (Bologna,
Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma,
Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica
italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli,
Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne. Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è
"dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita
dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più
differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei,
Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo.
Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle
torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università
degli Studi di Torino. La filologia, il tragico, lo spazio
letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica», Oriente
e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, L'Oriente
romantico, in «Rivista di estetica», 1Scheda di "The British Journal of
Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di
Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21,
n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Revue
d'Esthétique", Musique présente, in "Rivista di Estetica", Scheda
di "The British Journal of Aesthetics", "Rivista di
Estetica", Scheda di "Revista de estética","Rivista di
Estetica", Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di
estetica», La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli
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Givone, Firenze, La Nuova Italia. Einführung
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trad. it. di B. Antonielli, Torino. Instar Libri, 1998 su «Iride», Recensione a
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cofirmata con : G.Bettini, "Taine, Hyppolite- Adolphe, cofirmata con:
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pabaigai. Pastabos apie meno mirti siandien (Art
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Enrica Lisciani-Petrini (con M. Garda e S. Forti), in Iride - Filosofia e
Discussione Pubblica, Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream - L'arte
incontra i sogni - catalogo. Skira, Roma, In uscita o da
verificare: en el siglo XIX Universidad Internacional Menéndez
Pelayo; traduzi lituana in corso; L'educazione estetica nella civiltà
dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del
con vegno Schiller a Madrid La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di
Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten,
Wissen». Gedächtnissymposium zur Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena. Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello,
estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Verdiglione: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della congiura degl’idioti –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice:
“I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used
the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on
implicature. The first time to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised
idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but
more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred
to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a
‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and
I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore di una borsa di studio nel collegio
Augustinianum, studia a Milano, dove si laurea con una tesi sulla filosofia
semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi con Lacan, pubblica con le case
editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per
quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi
Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa
editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum,
Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe,
e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di BRUNO,
come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per
Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come
il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella
traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni, Educazione impossibile. Introduce
in Italia Kristeva. Incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della
clinica La borde, di cui pubblica “Creazione e schizophrenia”, “Psicosi e
logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la
scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli
l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il
Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con Spirali, pubblica autori
come Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter,
Arrabal, Grillet. Esce in edicola il primo numero del mensile “Spirali: giornale
di cultura”, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento.
V. e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi
differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica"
seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il
Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che
si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della
scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi.
Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola.
Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica come dottrina
della parabola intesa come cifra -- dottrina elaborata da V. e utilizzata
all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifre-matica,
ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr.
Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’
C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della
operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture': struttura sintattica, struttura
frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo cui ogni expression –
idioma -- può essere 'de-cifrata.’ E a
Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori,
c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e
della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.
La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla
famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per anni in uno stato
di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo
importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si
è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di
ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato,
insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali ed architettonici
di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si
indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica
libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per
la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori
russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex
ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori,
pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono
stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che
propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà,
politica. Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo
Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e
trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede
dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice
Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari,
di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo
permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI
mesi di carcere per reati vari. È stato condannato a IV anni e due mesi per
truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento
è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo
grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode
fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V
anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3
sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa,
tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di
vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione
e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione
per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa
in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal,
Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann
-- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e
sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai
giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle
streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di
diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel
Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.",
rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro
internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche
importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso
da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive
che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso
giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al
grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista
santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al
disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo
del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si
conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in
occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento
a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex
allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla
Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in
relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito
della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche
riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per
ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la
disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di
Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM
Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste
l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto
l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del
giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra
società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti
finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà
fasulle. La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a
delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a
IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale,
truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse
condanne anche a carico della moglie
Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la
confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10
milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo
Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado
conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria,
abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta
indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V
anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie,
l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta
infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa
associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un
quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari
da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra
del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi
italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il
magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come
relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo
Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei
retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo
che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione
di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che
erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva
all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico
e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione
della parola, Associazione Amici di Spirali,
Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La
grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore,
Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di
Spirali, L'Operazione guru, Associazione
Amici di Spirali, La rivoluzione
dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali, Il bilancio di guerra, Associazione Amici di
Spirali, In nome del nulla. L'accusa di
blasfemia, Associazione Amici di Spirali,
Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di
Spirali, Parola mia, Spirali, La realtà intellettuale, Spirali, L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del
tempo, Spirali, Scrittori, artisti,
Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”,
Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali, Master dell'art ambassador, Spirali, Master
del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali, “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di
cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il
brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La
ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga,
Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale,
Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI,
Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice,
“L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera
all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo
alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo
rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali, Dio, Spirali, La peste, Spirali, La
psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana,
Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris:
Le Seuil (réédition Fayard ) dal sito web italiano per la filosofia. il domenicale arretrati n. Domenicale miei libri
Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura
Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V.,
Feltrinelli, Milano, Lacan, Il seminario,
in «Ornicar? Venezia. Institor (Krämer), Sprenger, V., Il martello delle
streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori,
Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO,
Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Mannoni, Educazione
impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali pubblica le opere La rivoluzione
del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri
dell'orrore. Saggio sull'abiezione
Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php Goux, Freud, Marx: economia e simbolico,
introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e
politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi
con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil,
"A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun,
"A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire, Descamps, "A Milan au congrès de
psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine
littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet
Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation, Italianistica, Cifrematica: di che cosa
parliamo? Enciclopedia Universale
Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria
perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi
sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. "Pour V.", Le Monde, "Difendo
Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da
la Repubblica, Caso v.: , all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire
dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.".
marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica,
in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano,
18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa
lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la
Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo
sponsor e viver felici Corriere della
Sera, su milano.corriere. Archivio
Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su
archivio storico.corriere. Frode
fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo
psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere. sito dell'associazione diretta da Foti, 'V.
fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V.
, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi
laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La
battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non
si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti
omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è
un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via
della cura. È la cura, che li ammazza."».
Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V. Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando
Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata,
implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” –
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vernia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chieti). Filosofo
italiano. Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when
learning that Saint Thomas (Aquino) would have made such a fuss about him!” -- Essential
Italian philosopher. Allievo
a Padova di PERGOLA e Thiese e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI
(il Pomponaccio). Tra i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo
imperante a Padova, cura un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne
l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna
inflittagli dal vescovo di Padova --, l'autonomia della fisica rispetto alla
meta-fisica, e la superiorità della scienza della natura sulle scienze
dell'uomo. Saggi: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus
et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio
in posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in posteriorum librum
priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus
seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima. Bellis,
“L’aristotelismo” – del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Esaminiamo
in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si
perché si trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri
molto fitti, danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione
più conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è
vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla
chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è
precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei
dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile
sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul
de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e
di Alberto di Sassonia. La seconda é collegata colla terza, e tratta
della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno
intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit
nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella
fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario,
censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui
famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di
Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed
addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia,
Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che
essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di
Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la
divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui
trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta;
almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla
medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta
dissertazione è sul de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio
filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano
da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova
nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente
segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dis-sertazione, e non nelle
altre prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é:
questio an denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di
Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una
prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente
culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il
manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni
Marcanova, ovvero Ur-bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo
esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui
senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi
averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica.
Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta,
mandandogli la dissertazione sugli uni-versali, perché la legga e gli dica se
può essere stanpata. La lettera di accompagnamento porta la data del
giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio
1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei
suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e
rarissima a quei tempi. Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla
• pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il
libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva
emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano
pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto. Il
Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che
essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata
alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta. Cio non
basto a salvarlo: una più severa minaccia di seo-munica direttamente al Vernia
dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare
diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta
dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo
averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La
lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio
Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità
dell'intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192. Non
dustrente ophtelmia quae me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una
circostanza tuti'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il
Vernia la dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione
sesta sia un po' affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte
evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l' averroismo
perfettamente, e evidentissimo; ed il Barozi se n'era già accorto. Epperò non
possiamo noi accettare come veridica la sua confessione, cioé, che solo per
disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argonenti
l'opinione di Averroe intorno all'unico intelletto. Contro tale
dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente dello stesso anno sugh
universali, in cui si professa pu-ru averroista, ma anche un'altra che è
sparita, intorno al-1180 nella prina questione preliminare intorno al soggetto
della fisica ('). Ma la vita di insegnante per 33 anni nell' università
di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si
fosse limitato a queste sole sei dissertil-zioni. Giá abbiamo visto che egli
emendo la fisica di Bur-leo. Anche ai tempi di Pomponazzi il Burleo godeva
all-cora grande autoritá nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate
perdute (°). Un altro lavoro di cur-rezione di edizione lo fece intorno al de
caelo et murulo del Gianduno. Il Pellenegra di Troja che insegno filosofia
morale a Padova, ci da notizia di avere più accuratamente stampate le questioni
del Giandono che furono emendate dal Vernia ('). Noto questa notizia molto
rilevan-Imperocché sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del
Vernia, non originali però, ma intorno ai commenti di Aristotele,
appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del filosofo chietino. Che il
Vernia non abbia perduto il tempo sulla cattedra, si rileva dalle sue stesse
parole nelle quali dice che essendo stato professore per 33 anni a Padova,
credeva essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ció che avea raccolto
con diligenza per tanti anni dagli autori greci e latini. Egli non cessava
tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva fatto su tutti i
libri di Aristotele, perché potessero meritare di essere pubblicati ('). Ma
mandava alla stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità secondo la fede
cattolica, aí-finché fosse esso come il conduttiero delle altre opere.
Prega inoltre Domenico Grimani di accettare questo dono durante il tempo, che
egli da un'aitra mano ai coinmenti di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è
scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti questi commenti,
ma non li pubblica perché hanno bisogno di essere ricor-secondo il tenore del
suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era stato per tanti anni
fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia pubblicati prima per
la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi messo a ritrattare
tutti i commenti in senso anti-averroistico, e che non li abbia finiti per gli
acciacchi della sua età. Pochissimo é stato anche il tempo dalla pubblicazione
dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i suoi scritti sieno
andati nelle mani degli altri. Una caratteristica quasi costante si può
notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice, materiale e formale.
Il Vernia è molto ordinato nel suo scrivere: quasi tutte le sue dissertazioni
sono divise in tre parti: la prima espone tutti coloro che hanno deviato da
Aristotele e dal suo commentatore, Averroe; la seconda, che cosi al buno
sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza contuta le opposizioni
addotte dagli avversari. Questo tenore di dividere in tre parti l'argomento era
però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò riguarda la materia dei suoi
argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioé, dei filosofi più si accostava,
è da dire in genere, che egli sebbene averroista, era piu veramente un
albertista. Tomista non mai periettanente. Il suo storzo è di mostrare che l'opinione
di Averroe poco differisce da quella di Al-berto. Lo dice finanche nella sua
sesta questione contro l'unità dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia
stato costretto ad essere tonista, per avvalorare la sua ritratta-zione.
Il Vernia insegnava propriamente li tisica nell'Università di Padova ('), e non
poteva sottrarsi all'esameseguace, di S. Tommaso, o di Alberto ('). Tale
questione era, se l'oggetto della filosofia naturale era l'ens mobile, come
disse S. Tommaso, ovvero il corpres mobile, come opinó Alberto. Osserva che
Egidio Romano combatté l'o-pinione di S. Tommaso, perché la scienza naturale
non è subalterna della metafisica; poiché tre sono gli abiti speculativi, il
metafisico, il matematico, ed il naturale. E se la mobilità è un' accidentalità,
questa non deriva punto dall' essere, in quanto questo è obbietto della
metafisica. La scienza naturale non é parte della metafisica, ma que-sta
e quelle sono diverse parti della filosofia. Di S. Tom-maso la la più buona
opinione, dicendolo il migliore espo-sitore tra i latini; ma pure non solo in
questa, ma in altre questioni gli é spesso contrario. Lo Scoto volevi invece
clie l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza naturale, che é soggetto del moto
e di altre aflezioni. Ma se per naturale s' intende il sensibile, soggiunge il
Vernia, esso è il soggetto che é principio di moto e di quiete.
Sostiene perció che il corpo mobile sia il soggetto della fisica (°). Otto sono
le condizioni requisite per un subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno
per unitá analogica, universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion
formale, che abbia parti, che abbia affe-zioni, che abbia principii. Ora
l'errore di Antonio Andrea è di aver posto l'essere come comune a Dio ed alla
crea-tura. Queste otto condizioni si trovano nel corpo mobile,l'ammettere il
noto come soggetto di scienza, risponde che quell'accidente solo non entra
nella scienza, il quale non ha causa. Due difficoltá considerevoli
s'incontravano in tale de-finizione della fisica. Se il corjo mobile é il
subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il
cielo non é composto di materia e forma, e quindi cone può essere l'obbietto
della fisica? La questione dell'an- gelo intorbidava la liberta di
filosofare nella scienza na-turale. Intorno alle specie ci era quella della
plurabilita, o moltiplicabilità dell'angelo, che non era ammessa da
S. Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta. Per l'anima
umana invece si doveva sostenere la plu- rabilita, altrimenti si cadeva
nell'averroismo, e si ri-conosceva l'unita dell'intelletto umano. Il Vernia
confessa che egli intende di parlare secondo la ragion na-turale in tale
questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocita
infinita, perché la ve-locita dura un certo tempo: il loro moto locale, se
fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locché non
conviene all'angelo. Esso é dunque una so-stanza semplice ricettiva di luogo, e
quindi di moto. Era giá il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle
veritá di fede e della teologia ('). I teologi invero volevano con-cedere
all'angelo il moto infinitamente veloce, ovrero l'ubiquità, negandogli il
luogo. Locché e contraddittorrio per il Vernia (3). E se con S. Tommaso
ammetteva che l'angelo rappresentando tutta la specie, era impluri-ficabile, lo
stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano ('). Ma si riserva di
trattare tale questione in quella dell'in-telletto. Se questo scritto sia
stato pubblicato, non si sa: forse dovette sparire dietro la persecuzione del
Barozzi; non credo però che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo
accenni. Imperocché e chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla
dottrina che espone e che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l'
unità dell'in-telletto, disse un nuoro espositore, che una stessa forma
spirituale informa subbiettivamente la fantasia e l'intel-letto. Imperocché la
forma spirituale può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore
nell'acqua e nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro
intelletto, ed é la specie intelligibile; informa an-clie la fantasia, ed è il
fantasma (*). La seconda difficolta era: se Averroe aveva
ammes- so che il cielo non è coinposto di materia e foria, perché é
ingenerabile e pur tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l'idea del
corpo mobile il cielo e le cose terre-stri? Il Vernia risponde che la sostanza
mobile è cio che è soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò
all'opinione di Egidio romano che poneva identici natura nel cielo e nella
terra. Ma pure non é veramente cosi; perché confessa altrove che il cielo è
atto, e non si da in esso passaggio dall' essere al non essere. Il punto
di vista interessante per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è
questo nel primo suo lavoro, di-chiarare, cioè, la fisica indipendente della
metafisica: sottrarre la natura, per quanto poteva, dall'influenza della
teologia. Fin di ora i fisici non stunno in accordo coi metafisici. E una linea
di condotta che è troppo costante nel Vernia. La seconda
dissertazione intorno alla partizione delli filosofia è una prolusione che fece
in un anno del suo insegnamento; nel quale dovendo esporre la filosofia
na-turale, esamina quali sieno le relazioni delle varie parti del sapere al
tutto. La filosofia, dice il Vernia, è la perfezione del sapere; essa è
prattica, speculativa e razionale; e riducendo, è reale e razionale. Questa
ultima è la logca; dando a questa il solo valore razionale e non reale, il
Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, né scotista. In tal guisa
seguiva la tradizione patavina cirça la logi-ca, la quale, non solo di
Nicoletto Veneto e da Nicola della Pergola era stata ritenuta come speculativa
secondo Alberto, il differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma
anche di valore nominale; e cio era la massima distinzione degli occanisti
moderni dai logici antichi che erano o tomisti, o scotisti ('). Siccome tre
sono gli atti di ragione in eni jo siano errare, tre sono le parti della logica
che servono a dirigerci alla verita. Le Categorie che Aristotele e
Platone ricevettero da Archita Tarentino, servono a non attribuire id una cosa
uni qualitá che conviene ad un'altra. Il libro de interpretalione tratta delle
enunciazioni singole, in cui vi è la composizione, o la divisione
dell'intelletto. Il terzo atto é il sillogino pertetto: ed è questa l'arte
nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte é divisa nell'inventiva e
nella giudicativa: quindi la topica e la sofistica. Lia giudicativa è
l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo comune in cui si risolve la
conclusione nella preinessa;la seconda é quella che riduce gli elletti alle
loro cause. La risolucione prima é relativa alla seconda ; perché quella
é comune ad ogni sillogismo, questa é speciale al sillogismo che versa intorno
alle cose necessarie. Al libro dei primi analitici viene quello dei
topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello degli elen-chi.
Doyo, la rettorica e la pratica. La scienza reale poi é divisa in
prattica e speculativa. Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva
clie com-prende l'etica, l'economica e la politica. Questa com-pren Je la
naturale, la matematica e la divina. La consi-derazione intorno al mobile in se
è della fisica, che è pri-una tra le parti della filosofia naturale: se si
considera il solo moto locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la
forina, ecco il libro della generazione; se verso il mi-sto, si la il libro dei
meteorologici, e quello dei minerali : se é animato, questo o è in genere ed
ecco il libro de parcis naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et
de animalibus. La scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il
trattato deila vita e della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute
et seneclule, de causis lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et
acgrie-dine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La
seconda ciò che riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse
animalium. La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense
et sensat), de memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai
sinili si procede al dissimile, per-ció dopo il libro dell'anima in genere, vien
quello del senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo
concretez/a nel corjo, é delle sostance separate che ap-partengono alla
metatisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il
corpo animato e che l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo ani-mato
secondo le operazioni comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro
perenni animalinm: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il
soggetto dei libri de animalibus et plantis. Il Vernia è nella dottrina
dell'anima in armonia colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente
l'intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza
separata; eppero non appartiene veramente alle cose né celesti, né umane.
L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e
la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del
1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita del 1491, se il cielo é
animato. Di qui è chiaro l'ordine delle arti liberali: cioé, prima
apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia
naturale e la matenatica: da ultimo la divina sapienza. Da questa seconda
dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente
abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si
può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato per l'unità dell'intelletto
fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non avere concreteria nel corpo,
essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la
mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non solo la sensazione, ma
anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una
specie dell'anima. L'intelletto come unico appartiene alla metafisica.
Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo traltato de unitute
intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella
che si trova nella prima dis-sertazione, per dichiararlo rigido
averroista. La terza dissertazione, se sia jiù nobile la professione
della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di spiritoso.
Nissuno si deve meravigliare che il Ver-nia abbia preso a trattare
quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in
questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte,
la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la
nostra medicina, dice lui: e dovrebbero essere espulsi dalle città
('). Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il
fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel
suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana
l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione
dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si
appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza
dimostrativa. Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia
na-turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la
felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo
la felicità consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più
lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre
avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata. Qui non gli mancano vari
esempi dalla storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere
davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile
dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare
l'opposto di una legge (°). I forestieri che entrano nella cittá, sono
puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi
premio. Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum
hominum. Leges enim Ju-stiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V
dell'etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi-liter non
naturalia et lumana justa non eadem ubi-que. Dopo aver distinto la inedicina
come scienza da quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo
fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se
ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio Musso i Romani per avere sanato
Ottavio Augusto ere:-sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a
Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni medici? (').
Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza,
perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono
gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella
scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena,
in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova
aperta la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel
codice giustinianeo (*). Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella
prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile
alla vita nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita
turpe, perché è più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel
genere della natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere
alla virtú. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume,
è meglio vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine
della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più
originale tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma
scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di
osservazioni punto, sprezzabili ('). Né si dica che era usuale a quei tempi
l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano
decaduti nella stima jer l'aridità delle loro dottrine (*). Imperocchè il
Vernia si mostra jiuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero :
cioè, che la scienza della natura è la sola che ci procaccia una felicita per
le verità conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane.
Comprendo che da essa risulta pure evidente lo stato di decadimento della
giuri-sprudenza a quei tempi. Ma il Vernia indica pure il modo come rinsanguare
quegli studi coll' estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui puó fluire la
vita del pensiero che era rimasta assiderata nella forma e nella parola.
La questione de paritus et lecilus è di poca impor-tanza: tratta se i gravi e
leggieri inanimati, rimosso l'impedimento, si muovono localmente da se, o da
altro. Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le
confuta, quella di Averroe che é la stessa di Ari-stotele, e finalmente
risponde alle obbiezioni. Platone che pose l'anima e le cose inanimate muoversi
da se, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se stessa.
Alberto disse muoversi per accidente; e che non ci è bisogno del movente nel
moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma osserva che ogni
moto ricerca per se il movente, e tali sono i gravi. Contro S. Tommaso che
disse i gravi fin-maliter si muovono da se, ed effectire dal movente, dice che
per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto. Neppure l'opinione
di Gianduno che disse il movente essere la forma, e la materia la cosa mossa,
sta benc, perché allora la forma sarebbe movente e mossi, perché il moto in
atto è distinto dal motore. Alcuni teologi separarono la gravità dalla
sostanza; e dissero clie l'ostia consacrata cade in giù come gravità, non come
sostanza. Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla perciò (').
Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge-nerati, si muovono da se,
rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali propri, e fuori di essi sono mossi
dall'aria per l'impeto dato dal morente violento. I proiettili sono mossi
dall'aria secondo Averroe, la quale è causa della velocita. Imperocché il
mobile in fine è più veloce, perché maggiore quantità d'aria lo segue nel fine,
che nel principio.Lo stesso succede per l'acqua, perché aria ed acqua sono
corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi
si spiega, perché la balista percuote più a certa distanza che vicino, perché i
raggi si uniscono nello specchio a certa distanza. E curioso che si mantiene
più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale secondo lui non ha detto bene
che i gravi sono mossi dal-l'impeto ad essi dato e non dall'aria e dall'acqua,
perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio-lenze.
Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza una piuma che un pezzo di
ferro; locché è contro l'e-sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che
avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a may-giore
distanza, gli osserva il Vernia che, data una pietra ed un pezzo di ferro della
stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza. Cio proviene
perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma ('). Questa
dissertazione fa troppo desiderare la venuta di Galileo per isciogliere questo
quesito della fisica che arri-luppo nel buio le povere menti aristoteliche
(*). Nella quinta dissertazione, un dentur unirersalia vea-lia, il Vernia
è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno del 1492. Espone secondo il
solito le opinioni devianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di
questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli
universali o sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo
nel prologo della fisica; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella
cosa singolare e formali nell'intenzione. Il Vernia prende lo stato della
questione non dai primordi della discussione, ma dalle ultine forme che aveva
assunte nella scienza ('). Perché il Burleo discepolo di Occam stando alla pura
questione filosofica, aseva guardato più alla parte fisica dei generi e delle
specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede
dover fare lunga discussione sugli universali ante rem, parendogli fuori
proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice
lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè
in se, e nella materia, in quanto è quell'aptitudo realis che nou è
particolare, perche è una essenza non di unitá di numero, ma l'unità secondo
l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma. Ed
é appunto questa inchoulio formae che é reale. Cosi nello sperma non cessa mai
la forma umana, fin tanto chie l'nomo si perfeziona. Altrimenti la forma
sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, e non può trattare la
questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire
che si identiticacon quella dei germi della vita, sino ad un certo punto.
Occam aveva sciolto la questione degli universali negando ogni esistenza
astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha
valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella specie : il
Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per negare la
creazione temporanea della specie. La difficoltà era per l'anima intellettiva,
ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo. Sebbene ciò, dice
il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però secondo la mente di
Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della metafisica non può uno
stesso effelto essere prodotto da due agenti che non sono subordinati
nell'operare, e che non concorrono aggiustata-mente allo stesso effetto. Cosi
sarebbe di Dio e di un particolare agente nella generazione di Socrate. Epperó
egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a questo punto poco differisca
da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed emanate dalla
potenza della materia e non per creazione, la quale credette essere impossibile
(°). Quindi l'anima intellettiva non è creata, maché la volle creata. Ma cio
che ha esistenza preesistente, è al aeterno. Il Vernia nella questione
dell'anima vede la cosa secondo il fatto. L'uomo genera l'uomo per l'apretito
naturale clie non può essere indarno. L'agente fa la mil- tazione,
trasmutando la materia dalla potenza all'atto, non congregando due cose jer
fare l'unità di un effetto: cosi si approssima alla creazione. La forma non si
crei, ma si produce per generazione. La creazione de noco non gli va. La
generazione non é per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo
Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si
completa: la forma è il termine di essa. La forma particolare è distinta dalla
essenza che la include; jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice
che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è jer accidente ge-nerata. E
se soggiunge che incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal
niente di se stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è
l'incoazio-ne ed il seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste
cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare
secondo i principi di Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi.
La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano na-turalmente. Ottima
confessione ! Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta
da quella dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si
dice l'anima cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono
le parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si
perfeziona la forma umana. L'incoa-tivo sene non è una potenza subbiettiva, ma
potenza formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali
reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti
tutto sarebbe corrutti-bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il
concetto di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens
rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende
dall'anima nostra. L'incoazio- ne è reale, dice più prima, é nella
materia, non è nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di
obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con
questa teoria in ogni uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in
potenza vi é questa indifferenza della specie, in atto no. (3) Essendo questi
universali separati dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto
agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile
mediante i fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto
che questi universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come
la quantità indetermi-nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella
mente, altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi
sarebbero principi primi della scienza, rispon-de, che il concetto dell'
essenza in ratione entis è singo-lare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo
e un uomo sono lo stesso rutione signi, ma differiscono mate-rialiter. Per
questa dottrina egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista;
ritiene con lui gli universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo
clie li negó nella mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come
enti obbiettivi, che nego l'Occan. In questa dissertazione vi è del
buono, vi è del fal-so. Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo
averroismo. Il Vernia nega la creazione perché riconosce in natura la sola
generazione: ed arriva sino a toccare la questione nebulosa della generazione
spontanea colla dottrina della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per
l'uomo e neinmeno per l'anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo,
un' accidentalità della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de
noco. Nega l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso,
reputando sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo.
Questo è il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene
gli universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia
che sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo
la cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra
la scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina
della realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se
altro scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa
quinta dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi
filosofici. Con questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo
èanimato, inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti
che è una dissertazione pubblicata dopo il 1479 in cui fu minacciato della
scomunica; cioé nel giugno del 1402 ovvero tre mesi prima della sua
ritrattazione, due mesi prima del trattato de intellecte del Nifo, che ne era
il preludio. Nel 26 ¡gosto (') e nel 18 settembre (°) dello stesso anno,
1492, arviene, che discepolo e maestro, cioe il Nifo prima e poi il Vernia
scrivono due trattatelli contro l'unità dell'intelletto di Averroe. Il
trattato de intellectu del Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io
iu pablicato nel 1503, cosi quello del Vernia vidde la luce nel 1499. Il Naude
ha detto che il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle del Vernia
(3). É vero, perché nella dedica del libro a Sebastiano Baduario, patrizio
Veneto, dice che gli avevabe procurato di stamparla, se non ci fossero stati
gli invidiosi che lo accusavano di eresia. Da ció si è argomentato che nel 1491
il Nifo aveva giá fatto il trattato; e che avendo diteso il Vernia, si attirò
sopra di lui accuse di eresia; epperò fu costretto a pubblicarlo nell'anno
dopo, avendolo prima del tutto emendato ('). E questo ha potuto essere
sino al Giugno del 1492, quando il Vernia era ancora averroista. Ma mutatosi
d'opinione il maestro, si muto anche lo scolaro (%). Ki-mane la difficoltà rispetto
al Vernia, che è maggiore di quella del Nifo, come dopo più di due mesi
soltanto cambio opinione, cive da averroista addivenne antiaveroista col
trattato de unitute intellectus contro Averroe. Di cosi subitanea mutazione la
causa dovette essere la scomunica del Barozzi fattasi sentire un po' più
efficacemente. Che il Nifo ricerette dal Vernia l'indirizzo fondamentale
dalla sua ritrattazione, risulta non solo dall'andamento del libro de
intellecte nel tutto insieme, ma anche da un'al-tra circostanza che c' induce a
credere cosi. Il Nifo confessa nella dedica del commento de anima (') al Giulio
cardinale dei Medici, che tutte le cose raccolte sul de anima da lui fin da
quasi fanciullo gli furono rubate e stampate a sua insaputa e col suo nome,
acciocché la cosa fosse più verosimile (). Si capisce che queste cose raccolte
furono sotto scuola del Vernia. E se il de intellectu a confessione del Nifo si
intende per il commento de anima, e deve succedere a questo, ed è giudicato il
primo parto suo giovanile, è ragionevole supporre che l'un e l'altro libro
sieno stati inspirati dal suo maestro nei punti principali della
ritrat-tazione. Percorriamo ora brevemente la sesta dissertazione, per
vederne il contenuto. Dice che Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso e
Parmenide convengono nel porre che sia lo stesso Dio e l'anima intellettiva:
unico Dio, unico intelletto. Di qui nacque l'errore di Averroe e di altri
peripatetici che dicono uno essere l'intelletto in tutti. Democrito e
Leucippo non facendo differenza tra senso ed intelletto, ammisero l'anima fatta
di atomi. Empedocle volle l'anima composta degli stessi principii delle cose,
perché conosce queste cose. Costoro dunque ammettono l'anima generabile.
Riferisce l'opinione di Pitagora che pose l'anima immortale per la
metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio creata, infusa nei corpi.
Ma Ori-gene secondo S. Tommaso volle l'anima creata de noronon eterna,
rinchiusa nel corpo pel peccato originale. Avicenna che ammise
l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente
intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a ricevere le specie. Dopo ciò,
magna discordia inter peripateticos, perché in Aristotele non si trova sciolta
né la prima ne la seconda questione, cioe an anima intellection sit forina
substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo felicitabilis.
Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto
agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il horo
dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese
per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è
anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla
libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unita
dell'intelletto; perché è impossibile l'infinita moltitudine d'intelletti,
perché non non vi è moltitudine nella stessa specie se non per la materia,
perché è impossibile la creazione. E subito dopo una imprecazione ad Arerroe.
Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è
discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse
forinaliter corpori hurano, moltiplicata in singulis hominibus, ab acteï-no
creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam
et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose non solo
bisogna credere ex fide, sei philosoplice, non dicendo nulla di contrario ai
principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione:
locché é la cosa più strana per il Vernia, che a questo profosito si era cosi
decisanente espresso cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene
perciò che all'anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per
l'unione ai fantasmi è l'universale co- nosciuto. Ma il singolare non può
essere conosciuto prima dall'intelletto, ma solo dal senso in cui vi è
mutazione. Nega quindi al Gianduno che l'intelletto per conoscere
l'universale abbia prima bisogno della conoscenza del par-ticolare; altrimenti
vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell'intelletto. Cosi
spiega che l'inten-dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità
dell'anima, il cui opposto ammise Averroe, Osserva che se l'anima non fosse
tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come
l'anima intellettiva dá l'essere al corpo umano. Crede una stoltezza
l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non jer miracolo, che una
forma inestesa dia l'estensione. Qui intanto anche lui si rifugia alla
fede, ut fideles po-nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità: ciò che é
indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è immortale. L'intelletto è
tale: è eterno, come gli universali, non è organico, jerché la sua operazione
non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo : non
si va da un estremo all'altro senza un mezzo. Tri la forma astratta e la
nateriale ci è la media che dá l'essere alla materiale: e jer questo conviene
colla be-stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante
difficoltà che tratta, egli è però convinto che lasoluzione si trova nella
fede: e e Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sei
soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati ceritatem attingere
complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi- tis in his
difficultatibies. Da questa dissertazione si vede che il Vernia mostra di
aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di pensare.
Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi che come
una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza era S. Tommaso, od un
Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che aveva dato il Bessarione
venendo in Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E
nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva
coin-modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché
desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via
con tale pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare
quelle idee che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche
qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di
fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle
dottrine della chiesa. Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui
la fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché
la sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con- vertito; ma
pure il sospetto sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la
sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo
testamento. Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella
tarda etá colla sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi
gli osservò bene nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che
mentre ora segue l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe,
prima l'ha condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il
Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de
Anima egli professa col Bessarione (') che né Platone ne Aristotele arrivarono
perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della
nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio
rivelò più manife-stamente. Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si
debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e
tale il Nifo nella gioventi. Il sistema era molto commodo non solo a non
avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli
onori che la chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede
anche larvata ci voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze.
Noi non ci meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua
ritrattazione, perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che
gli argomenti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo
trattato de immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo
libro non puù esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo
meravigliare del suo discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu
un tratto di deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le
sue 44 opere un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa.Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i
parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino,
method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.
Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – l’implicatura
conversazionale del fratello d’Antonino -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. Like Antonino,
he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including Erode Attico, Frontone,
Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when their adoptive father
dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman people. Quando Marco Aurelio , gia’ Cesare
di Antonino Pio , divenne Augusto alla morte del padre adottivo , si verifico’
un fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua
storia due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala
circostanza ? L' Imperatore Adriano
aveva stabilito che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare ,
Lucio Ceionio Commodo , meglio conosciuto come Lucio Elio Vero , non tutti i
consiglieri di Adriano approvarono questa scelta , ma cosi’ fu ; Lucio Elio
dopo una breve permanenza lungo la frontiera del Danubio , tipiche di questo
periodo sono le monete emesse con al rovescio Pannonia , tornò a Roma per
pronunciarvi il primo giorno del 138 , un discorso innanzi al Senato riunito .
La notte prima del discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della
giornata . Il 24 gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio
Antonino , che assunse poi l’ appellativo di Pio , obbligandolo a sua volta di
adottare il futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio
Cesare . Marco Aurelio , nato come Marco
Annio Catilio Severo , divenne Marco Annio Vero , che era il nome di suo padre
, al momento del matrimonio con sua cugina Faustina , figlia di Antonino ,
assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare , figlio dell' Augusto , durante
l'impero di Antonino Pio . Marco Aurelio
Antonino fu dunque , su espressa indicazione di Adriano , adottato nel 138 dal
futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero .
Alla morte di Antonino Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò
di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori , alla fine il
Senato fu costretto ad accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di
Augustus . Marco divenne nella titolatura ufficiale , Imperatore Cesare Marco
Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio
Vero Augusto . Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori
contemporaneamente . Marco conservò una
preminenza , dovuta al fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore
Antonino Pio , fatto che Vero non contestò mai sebbene la sua elezione ad
Augusto fosse stata voluta da Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio
adottandone il figlio e al tempo stesso lasciare l' Impero anche a Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi
qualità . A dispetto della loro uguaglianza nominale , Marco ebbe maggior
autorita' di Lucio Vero e fu Console una volta di più avendo condiviso la
carica già con Antonino Pio ; fu anche il solo tra i due a divenire Pontifice
Massimo . In pratica l' Imperatore più anziano , Marco Aurelio aveva circa 10
anni piu' di Lucio Vero , deteneva un comando superiore al fratello più giovane
. Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto
in fratellanza con Lucio Vero ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo
sopravvisse , il futuro Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due
Imperatori regnassero in armonia con l’ unica informazione certa che Marco
Aurelio non approvasse lo stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui
ritenuta troppo libertina per un Imperatore , come dimostro’ Lucio nella campagna
partica nella quale affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi generali
mentre lui si divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora nel
seguire Marco nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’ Oriente
. A questo punto della storia sorge la
domanda del titolo , la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a causa di
un colpo apoplettico , fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa ? La
domanda nasce spontanea per due motivi principali , il primo , forse meno
importante , si riferisce al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di
questa epoca , tace completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’
alquanto strano aver taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la
serieta’ , scrupolisita’ e precisione dello storico greco , una dimenticanza ?
Forse , ma rimane comunque un fatto strano .
Secondo motivo , piu’ importante , e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10
anni in piu’ di Lucio vero e sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco
Aurelio era di costituzione fisica non perfetta anzi cagionevole , in teoria
sarebbe forse morto con molta probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca
avere 10 anni in piu’ rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna
a morire prima . Cio’ avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe
rimasto un giorno unico Imperatore legittimo in carica , alla barba di Commodo
figlio di Marco , oppure se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se ,
si sarebbe verificato il rischio di una guerra civile , come in seguito avvenne
tra Marco e Avidio Cassio . Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano
seri , a Marco non piaceva il suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle
scelte di politica imperiale , inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio
Dione sulla morte di Lucio lascia quanto meno perplessi essendo stato questi un
Imperatore . Occorre anche aggiungere
che Giulio Capitolino nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo
secondo cui Marco Aurelio , nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti
riconosciutegli , “sapesse anche abilmente fingere o almeno di essere meno
leale di quanto sembrava” Al termine di
questo discorso si puo’ affermare che non esiste nulla di concreto , si
ipotizza soltanto , ma le basi per avere dei blandi sospetti esistono ;
naturalmente se di omicidio si tratto’ , non e’ detto che sia avvenuto per
volonta' di Marco Aurelio , contrasterebbe troppo con la sua natura umana ,
potrebbe essere stato deciso da altra persona della cerchia imperiale , i
pettegolezzi circa la sua morte , inseriti nella Vita di Lucio Vero , in questo
senso non mancano . In foto un cammeo
antico in sardonice con Marco e Lucio , due busti al Museo di Londra , una
moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di Lucio Elio con la
Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo. Luigi Speranza,
“Grice e Vero”. Vero.
Grice e Veronelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sadismo italiano
– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo italiano Essential Italian philosopher.
Figura centrale nella valorizzazione e diffusione del
patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che
poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la
preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare,
attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le battaglie a fianco
delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. V. assieme
ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere Isola di Milano, dopo
il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando
assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di fede anarchica,
rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano. Inizia l'esperienza
di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,” “Il
pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e “Historiettes,
contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene condannato, insieme a MANFREDI
(autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di reclusione per il reato di
pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel cortile della procura
di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di detenzione per aver
istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l'occupazione della stazione
di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro l'indifferenza della politica
per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Diventa collaboratore de
Il Giorno. L'attività giornalistica lo impegna, e i suoi articoli, di
stile aulico e provocatorio, ricchi di neologismi e arcaismi, faranno scuola
nel giornalismo eno-gastronomico e no. Tra le testate cui collabora vanno
ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, V. EV,
Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni
TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed
Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta
notevolmente la fama, in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il
programma prima a fianco di Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio
Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio
e di denuncia, della viti-coltura italiana, con inchieste, interviste, proposte
che hanno scosso quel mondo. La sua attività di ricerca e di
approfondimento nel campo eno-gastronomico lo porta alla pubblicazione di
alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: “I
Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”, dei “Vini del Mondo”, “Degli
Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e degli Oli extra-vergine”, “Alla
ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e la collana Guide V. all'Italia
piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo
celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier. Ne nascono, ad esempio, “La cucina
italiana” e “Il Carnacina.” Fonda la seconda V. Editore col puntuale
obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio
gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la conoscenza dell’attrattive
turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo Platone. La casa editrice cessa
l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad
alcuni libri di carattere storico, politico e gastronomico. L'intenso
rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren costituisce un forte
stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e alla qualità della
vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme ad alcuni
centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, al
movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le denominazioni
comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente,
cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per
rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al
consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il
monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della legislazione per i
piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di
questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e
saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi
libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline di de
Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli
ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di Pagliarani, la
rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante per
qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO.
In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su
quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si
definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada
inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.
Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più
propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico",
a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La
Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice
dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso
Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato
considerato un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza
ipocrisie, in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro,
Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro. Rassegna stampa. A-Rivista,
Lettera i giovani estremi Proudhon: La
questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre
migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della
Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico.
Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli.
Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza,
“Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library,
Liguria.
Grice e Verrecchia:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della falena dello
spirito -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Vallerotonda). Filosofo italiano
Essential Italian philosopher. Studia a Torino. Trascorse un certo periodo nel
parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua
vita. Lì contempla in modo disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre
università -- e solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla
o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi
ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine
l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso
a contatto con la natura. Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la
sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più
tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi
tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a Berlino ed e per addetto
culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora alle pagine culturali di
giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Collabora
stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla volentieri della sua vita privata
perché, dice, di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le
vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di BRUNO
e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è
senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gl’effetti un
maestro da tradurre e continuare. Elementi caratteristici dei suoi saggi sono
l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche
per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di CERONETTI, SGALAMBRO
e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa filosofica. Saggi: “L'eretico
dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino”
(Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del
filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani);
“Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spiral); “Diario
del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO: la falena dello spirito” (Roma:
Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale
danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le
donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi culturali” (Torino:
Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi culturali” (Torino:
Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani; Padova: il
prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze, Clinamen);
“Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi
introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di
consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,).
Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica
dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla
filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia”
(Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo
scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA).
A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un
rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in
giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia
viennese. Verrecchia, su digilander libero.
Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il
caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica
Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro,
Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri,
di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su
poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto
Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino,
Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Viano:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del va’ pensiero –
il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aosta). Esential
Italian philosopher. Filosofo italiano. Si laurea in filosofia
a Torino sotto ABBAGNANO. Insegna a Milano e Cagliari. Fa ritorno, in qualità
di ordinario fuori ruolo di storia della filosofia, a Torino. Fa parte del
Comitato Nazionale per la bio-etica, ed è stato membro del direttivo della “Rivista
di filosofia” e socio nazionale dell'accademia delle scienze di Torino. Insignito
del premio Feltrinelli per la storia dela filosofia. Di formazione illuminista,
V. si occupa di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi
su Aristotele (“La logica di Aristotele” (Torino, Taylor) e l’empirismo (“Dal
razionalismo all'illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico”
(Laterza, Roma). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici -- “L'etica” (Mondatori,
Milano), “Teorie etiche” (Boringhieri, Torino) -- si dedica a promuovere la
costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte
alle ingerenze del cristianesimo. Da Mistretta, direttore editoriale
della Laterza di Roma, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della
filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico”
(Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana”
(Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopo-guerra” (Bologna, Mulino);
“Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia
della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degl’antichi
e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari,
Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia”
(Bologna, Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi
usi” (Torino, Boringhieri). Profilo biografico sull’accademia delle scienze. Mori,
Torino ricorda V., su Torino. Cerimonia nell'accademia nazionale dei lincei, su
presidenza della repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su Radio Radicale,
Radio Radicale. Biografia e testi
sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa
sul Sito Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città
filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Il lizio. Il punto di vista da cui
intendiamo prendere le mosse e che ci pare adatto a permettere un proficuo
studio della logica del LIZIO – tanto celelbrato a Roma -- può essere
sufficientemente precisato se messo in rapporto con la tradizione storiografica
concernente questo argomento. Le non molte pagine che compongono l’ “Organon”
hanno suscitato interessi per secoli intieri dal tempo dei commenti romani fino
ai rinnovati studi aristotelici del '500, attraverso gli studi medioevali, e
fino alla logica classica dell'800. Ma una vera e propria indagine
storiografica volta non a sviluppare una tecnica logica i cui principi si
considerassero posti da Aristotele, bensì a comprendere il significato delle
dottrine dello Stagirita e nei rapporti con gli atteggiamenti di pensiero dei
suoi contemporanei e nei rapporti con gli interessi dello Stagirita stesso,
sorse solo all'inizio del secolo scorso e tramontò abbastanza rapidamente:
tanto che da cinquant'anni a questa parte poche e non molto significative sono
le opere dedicate alla logica aristotelica.
Le ragioni di ciò si possono forse trovare nella impostazione che nella
filosofia contemporanea viene data al problema logico. Infatti, nell'800 da un
lato la critica kantiana presenta un' interpretazione della scienza classica
servendosi proprio delle categorie della logica tradizionale come categorie
proprie dell'intelletto umano, categorie di cui si serve ancora la logica
hegeliana che pretende addirittura di assurgere a logica di tutta la realtà;
d'altra parte il positivismo, soprattutto in Inghilterra, tenta di elaborare
una logica empirica servendosi degli schemi che la logica tradizionale aveva
mutuato da Aristotele; e la stessa logica formale ottocentesca finisce con il
favorire lo studio di quello che i suoi cultori conside ravano come il
fondatore della loro disciplina. Invece nel 'goo l'ideali-smo neo-hegeliano
abbandona l' esigenza panlogistica, almeno quale si configura nello Hegel,
preferendo parlare di una Coscienza assoluta più che di un'Idea che si svolga
secondo una necessità logica, scoprendo perciò negli schemi cui ancora la
Wissenschaft der Logik si era attenuta contraddizioni insanabili, come il
Bradley, o vedendo nella logica che si attiene agli schemi aristotelici una
indebita infiltrazione di schemi verbali irrigiditi nel campo del pensiero
puro, come CROCE, o l' irrigidirsi del pensiero pensante nell'astratto pensiero
pensato, come GENTILE. D'altra parte anche la logica della scienza tentava di
liberarsi degli schemi tradizionali diventati incapaci di intendere i metodi
nuovi di cui l' indagine scientifica si serviva o avvicinandosi sempre di più
alla tecnica della ma- tematica, con la
logistica, o configurandosi come rigorosa analisi sintat-tica del linguaggio o
servendosi delle nuove categorie che il pragmatismo offriva per
l'interpretazione della scienza. In questo orizzonte gli studi sulla logica
aristotelica non trovavano terreno propizio per germogliare. Infatti gli interpreti idealisti, tra i quali
il più significativo è forse CALOGERO, accettavano ben volentieri la
qualificazione della logica aristotelica come logica formale, come
solidificazione astratta ed artificiosa dell'opera vivente del pensiero e
perciò tentavano di mostrare come essa non fosse essenziale per la comprensione
del vero pensiero aristotelico in quanto costituisce un' intrusione del
dianoetico nella noesi, cioè nell'atto di pensiero puro che determina i suoi
contenuti immediatamente e senza ricorrere allo schema verbale del giudizio,
come dimostrerebbe nel modo più lampante il libro della Metaphysica ed il
frequente affiorare di questa esigenza anche nelle pagine dell'Organon,
additate con molto acume e con molta perizia nella succitata opera del CALOGERO.
La logistica, per bocca del Russell, prendeva un netto atteggiamento polemico
nei riguardi della logica aristotelica vedendo in essa un insieme di schemi
verbali non rispondenti però ad un'autentica tecnica logica, perché inficiati
dal presupposto sostanzialistico, di carattere metafisico, che, riducendo tutte
le enunciazioni a proposizioni della forma soggetto-predicato, preclude ogni
considerazione delle relazioni. Tuttavia proprio nell'ambito della logistica
doveva sorgere un altro atteggiamento verso la logica ari-stotelica, meno
polemico, rappresentato soprattutto dallo Scholz, dal Becker e dal Bochénski.
Comune a questi interpreti è il presupposto che la logica di Aristotele sia
logica formale, cioè volta ad elaborare schemi linguistici aventi rapporti noti
ed indipendenti dal valore dato alle incognite che in essi possono comparire.
In questo modo, pur accettando l'osservazione del Russell che la logica
aristotelica non va accettata così com'è perché deve essere integrata e
sviluppata soprattutto con l'aggiunta della logica delle relazioni, essi non
polemizzano più contro di essa, ma anzi la considerano come il precedente
storico della logica formale contemporanea che si presenta appunto come un
progresso rispetto a quella. Di conseguenza questi interpreti non mettono in
problema le dottrine aristoteliche e l'impostazione da esse data al problema
della logica; ma anzi accettano che quella dello Stagirita sia la vera
impostazione del problema logico, la soluzione del quale consiste nello
sviluppo diretto delle dottrine dell'Organon. Infatti secondo lo Scholz
Aristotele avrebbe formulato un'as-siomatica che permetteva alla scienza del
suo tempo di organizzarsi come un sistema di proposizioni necessariamente
connesse; su questa base, da un lato, il Becker ha intrapreso una trascrizione
in simboli della dottrina aristotelica della possibilità senza dare ragione
delle diverse interpretazioni che di questa categoria lo Stagirita veniva
dando, mentre dall'altro il Bochénski ha svolto un esame particolareggiato dell'assio-matica
di cui parlava lo Scholz e della dottrina linguistica da questa pre-supposta,
senza però vedere i rapporti tra questa e quella. Contro questo rapporto di
derivazione diretta della logica formale contemporanea da quella aristotelica
protestava il Veatch facendo però uso di argomenti non molto persuasivi. Fuori
della logistica, frattanto, le difficoltà sorgenti dal tentativo di
interpretare la scienza contemporanea con la logica aristotelica venivano messe
in luce dal Reiser in alcuni articoli assai superficiali e disordinati, ma
contenenti alcune buone osservazioni, e soprattutto dal Dewey che, con un
atteggiamento ben più equilibrato, notava come la logica aristotelica
presupponesse l'ontologia della sostanza alla quale era legata. Ma, facendo
occasionalmente queste osservazioni in un'opera teorica, egli lasciava aperto
proprio il problema di trovare i modi precisi di questo rapporto tra ontologia
e logica e di determinare come l'ontologia si modelli attraverso la
logica. Dall'esame delle interpretazioni
surriferite si possono trarre alcune importanti considerazioni che permettono
subito di orientarsi di fronte alla logica aristotelica. Infatti lo studio
della logica propria della scienza contemporanea ci fa subito avvertiti che ad
essa 101 sono più applicabili gli schemi dell'Organon distruggendo così la
pretesa di vedere in esso le tavole eterne, sebbene magari ancora incomplete,
su cui sono segnate le leggi del pensiero umano e scoprendo le quali Aristotele
avrebbe fatto l'uomo razionale, dopo che Dio lo aveva fatto semplice creatura a
due gambe, come disse il Locke. Ciò posto, risulta impossibile giustificare
storicamente la logica aristotelica vedendo in essa la scoperta del
procedimento del pensiero in quanto tale, che è in fondo l'interpretazione del
Barthélemy Saint-Hilaire, o anche solo dell’intelletto che sarà poi superato
dialetticamente dalla Ragione, come sostiene lo Hegel. Ma allora il problema
della logica aristotelica si presenta in tutta la sua gravità. Infatti essa non
potrà più essere giustificata come insieme di regole che reggano il corso del
pensiero stesso in quanto tale, ma bisognerà esaminare l'effettivo valore che essa
ha per noi, i problemi che essa ci pone, gli eventuali mezzi per risolverli che
essa ci offre. Ma queste sono prospettive di ricerca che ci si offrono solo in
quanto alla logica aristotelica non si attribuisca una validità metastorica e
si riconosca in essa un insieme di dottrine storicamente condizionate che
storicamente vanno studiate. Da ciò consegue che la logica di Aristotele non
potrà essere studiata come logica in quanto tale, ma dovrà essere studiata come
logica aristotelica: cioè svolgere una ricerca su di essa vorrà dire
giustificare il suo posto nell'insieme delle opere aristoteliche, mettere in
luce quali problemi il suo autore si proponeva di risolvere e quali riusciva a
risolvere con essa. Perciò le interpretazioni idealistiche e lo- gistiche, che sopra abbiamo esaminato, non
conducono a fondo l'interpretazione storica della logica aristotelica in quanto
lasciano sussistere dei termini - logica formale, schema verbale - il cui
significato non viene determinato nel corso dell'indagine stessa, ma
presupposto ad essa. È vero che la logica di Aristotele è costruita di schemi
verbali; ma l'osservare che quegli schemi verbali sono troppo limitati o che
essi oggi non servono più e rimproverare ad essi di soffocare la vera vita del
pensiero non serve a comprendere storicamente il pensiero dello Stagirita;
piuttosto giova vedere che cosa potesse significare per Aristotele stesso «
schema verbale», quale uso di esso egli giustificasse, di quali dimensioni
tenesse conto e quali eliminasse per costruire proprio quella nozione. Ed altrettanto dicasi per la qualificazione
della sua logica come logica formale: in un certo senso questa attribuzione può
essere sostenuta in quanto almeno gli Analytica priora si occupano di pure
forme verbali in cui i termini sono rappresentati con lettere che prescindono
da ogni eventuale contenuto. Ma il problema che subito si presenta è quello di
determinare che significato abbia per Aristotele la « forma» e l'aggettivo «
verbale» che ad essa viene attribuito. Perciò la comprensione storica della
logica aristotelica ha come sua condizione la connessione delle dottrine
logiche con le altre dottrine filosofiche dello Stagirita: a questo modo la
logica non verrà considerata come la scienza del pensiero in quanto tale, ma
come la logica resa possibile da una ben determinata posizione filosofica,
presupponente una ben determinata metafisica, mentre, d'altra parte, sarà
aperta la via a considerare con quali mezzi logico-lin-guistici sia stato
possibile costruire quella metafisica.
La connessione delle dottrine logiche con quelle metafisiche nell'
interpretazione di Aristotele non è nuova e, anzi, costituisce il tema
dominante di alcuni studi assai celebri. Essa è riscontrabile nelle opere appartenenti
alla storiografia francese di ispirazione spiritualistica facente capo al
Ravaisson, all' Hamelin ed al Bergson. Carattere comune di questi studi è la
presupposizione di una certa interpretazione della metafisica aristotelica,
nella quale si cerca un posto per la logica o partendo dalla quale si discutono
questioni pertinenti propriamente alla logica. E anche l'interpretazione della
metafisica è caratterizzabile in modo assai tipico: essa infatti viene spiegata
con schemi in prevalenza neoplatonici in base ai quali si vuole vedere teorizzata
l'opera di un universale che darebbe vita agli individuali senza tuttavia
risolversi totalmente in essi, lasciando così sussistere quelle aporie che.
secondo questi interpreti, sarebbero riscontrabili nel xoprouós delle idec
platoniche. Di conseguenza le interpretazioni della logica appartenenti a
questa corrente, comc quelle dello Chevalier, dell'Aslan, del Badareu, del
Robin, di S. Mansion rivelano un unico schema nel quale la logica appare come
la dottrina dell'universale puro ed assolutamente necessario che lascia fuori
di sé il particolare esistente, nel quale la nocessità si attenua fino a
diventare soltanto il per lo più: anche qui cioè spunta la difficoltà della
metafisica per cui da un lato l'universale è il solo oggetto veramente
conoscibile, dall'altro il particolare è il solo oggetto veramente esistente. A
questa interpretazione si potrebbe obbiettare che lascia insoluto proprio il
problema della logica come logica, ossia come ricerca sulla possibilità di un
discorso rigoroso, in quanto in questi studi non si vede come lo stesso
discorso rigoroso, per potersi costituire come tale, richieda per Aristotele
una certa metafisica. Del resto è assai significativo che questi interpreti si
siano cimentati ben poco con gli Analytica priora esponendone semmai la
dottrina, ma accettando implicitamente la tesi che in essi è svolta una
trattazione di logica formale. Lo stesso Chevalier, che più degli altri si
addentra nell'analisi di questo trattato, dichiara che esso rappresenta un
tentativo di costruire una logica formale -- tentativo fallito perché il
sillogismo richiede come fondamento una necessità reale che è concepibile solo
se le premesse sono immediatamente intuibili, perché in caso contrario la pura
necessità logica diventerebbe una mera necessità ipotetica. Ma la difficoltà
sta proprio qui, cioè nell'assunzione che il sillogismo sia un mero mezzo di
svolgere cocrente-mente un'ipotesi, il cui unico contatto con la realta
consista in un' intui-zione intellettuale.
Ben più significativo è il modo in cui il Prantl tenta di connettere la
logica con la metafisica nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Il
fondamento della mediazione logica è un Realprincip immanente alle cose stesse
e costituente l'equivalente ontologico delle categorie linguistiche di cui fa
uso la logica. Il merito del Prantl consiste appunto nel tentare di definire
per quel che gli è possibile il principio ontologico con categorie logiche,
mettendo in luce la stretta connessione che per Aristotele sussiste tra questi
due aspetti. Senonché anche qui non si vede poi come non solo il Realprincip
sia definibile con categorie logiche, ma come le stesse categorie logiche
determinino il Realprincip costituendosi pro-prio come categorie logiche.
Mentre il Prantl pone al centro della inter-pretazione il concetto che è
definibile contemporaneamente con catego-rie ontologiche e con categorie
logiche, il Trendelenburg preferisce par-tire dalla considerazione del giudizio
nel quale prendono senso lc cate-gorie che deriverebbero dalle varie parti del
discorso distinte dalla gram-matica. Da questa interpretazione prendeva l'avvio
una lunga discus-sione sulla dottrina delle categorie aristoteliche condotta
dal Bonitz, dall'Apelt, dal Gercke, dal Witte, dal Geyser, dal Gillespie, dal
von Fritz, nel corso della quale si tenta di penetrare sei-pre meglio i
precedenti academici della dottrina aristotelica e si abban-dona anche
l'analogia con le categorie kantiane che in un primo tempo erano state il
termine del confronto che tutte le trattazioni si sentivano in dovere di fare
impedendosi cosi la comprensione del significato propria-mente aristotelico di
quella dottrina. Ma il motivo della centralità del giudizio nella logica
aristotelica veniva ripreso ed ampliato dal Maier che intitolava un'amplissima
opera sulla logica aristotelica Die Syllogi-stik des Aristoteles, mostrando
appunto di voler imperniare tutte le sue indagini sul sillogismo considerato
come la base di tutte le dottrine del-l'Organon. Il Maier rifiuta nettamente
l'interpretazione formalistica della logica aristotelica sostenendo che per lo
Stagirita giudizio e sillogismo hanno sempre un valore logico ed un valore
ontologico. Ma poi distingue il significato ontologico da quello metafisico
considerando l'intrusione del metafisico nella logica come un passaggio
indebito compiuto in più punti dallo stesso Aristotele. Di conseguenza la
logica, anziché essere interpretata in connessione con le dottrine metafisiche
di Aristotele, viene disgiunta da esse ed irrigidita in una struttura formale
che a quelle è estranea: perciò solo apparentemente il Maier respinge
l'interpretazione formale della logica aristotelica, in quanto la sua
interpretazione si distingue da quella formalistica solo perché non riconosce
valore meramente linguistico agli schemi logici, ma li trasporta nel reale
stesso pur senza alterare la loro natura. Appunto perciò l'interprete non è poi
in grado di mettere in luce la connessione di quegli schemi con le altre
dottrine filosofiche dello Stagirita, dalle quali, anzi, pretende di prescindere.
Il Maier mette iu luce una esigenza che si fa veramente valere nell'indagine
sull' Organon - cioè il bisogno di precisare il valore ontologico degli schemi
logici —, ma non è in grado di soddi-sfarla, in quanto la distinzione
dell'ontologia dalla mctafisica non regge, almeno nell'ambito delle dottrine
aristoteliche, perché 1°) per Aristotele la metafisica si configura appunto
come ontologia, in quanto pretende di essere la teoria dell'essere in quanto
tale; 2°) l'eliminazione della metafisica dalla pura ontologia costituita dalle
dottrine dell'Organon ha costretto il Maier ad espungere idealmente dalla
logica aristotelica sviluppi non irrilevanti.
Poiché abbiamo visto che l'autentica comprensione storica delle dottrine
logiche dello Stagirita ha come condizione la loro connessione con le dottrine
metafisiche, ci pare di poter affermare che gli interpreti che si sono messi su
questa via e che sopra abbiamo citato, non hanno realizzato appieno il loro
proposito in quanto non hanno del tutto realizzato proprio quella condizione.
Infatti o, come il Maier, hanno irrigidito la logica in una struttura che ha
impedito ogni suo ulteriore collegamento
son le errin pietarite oraco, i Pro e su pisto mone nageione, poi la logica si sarebbe dovuta adeguare. Per
stabilire un più stretto legame tra logica e metafisica aristoteliche bisogna
esaminare la logica con l'intento di cercarvi gli strumenti con cui Aristotele
ha potuto costruire la metafisica: cioè non si deve studiare la logica
presupponendo la meta-fisica, ma considerando la metafisica come punto di
arrivo della logica. Ciò tuttavia non
implica che la logica si svolga senza presupposti metafisici; ché anzi le
dottrine logiche si vengono precisando via via con il precisarsi delle dottrine
metafisiche e presuppongono posizioni metafisiche dalle quali sono
indisgiungibili. La metafisica, perciò, si costituisce come punto di arrivo
della logica non perché sia separata da questa, ma perché queste stesse
categoric della metafisica si configurano in modo tale da determinare anche gli
strumenti con cui esse sono usabili; d'altra parte dallo studio della logica si
vedrà appunto come l'uso di certi determinati strumenti logici, l'impostazione
della ricerca su certe determinate dimensioni e l'eliminazione di altre, porti
all'elaborazione di una certa determinata metafisica che, a sua volta,
giustifica quegli strumenti ed è il loro presupposto. A questo modo è possibile
trarre dallo studio della logica l'orizzonte categoriale della metafisica, vale
a dire l'unità delle dottrine metafisiche stabilite in base all'uso degli
strumenti ad esse ap-propriati. Solo dalla indagine delle effettive categorie
di cui Aristotele fa uso e del loro modo di operare potrà così emergere l'unità
della filosofia aristotelica. Ma per far
ciò non sarà più possibile considerare la logica aristotelica come dottrina del
procedere naturale dell'intelligenza o dottrina della conoscenza in generale,
ma bisognerà fare concreto rifcrimento al modo preciso in cui Aristotele pensò
che l'intelligenza lavorasse, cioè alla sua concezione della scienza. Infatti
la stretta connessione della logica con la metafisica, nel modo che sopra
abbiamo illustrato, diventa la stretta connessione della logica con la scienza,
in quanto la metafisica di Aristotele si presenta appunto come una scienza che
ha la medesima struttura delle altre scienze. Perciò dire che l'oggetto della
logica aristotelica è il discorso comune, come fa il Kapp, non è interamente
vero, in quanto il discorso comune può si costituire il punto di partenza ed il
materiale delle considerazioni di Aristotele il cui oggetto, però, è la
costruzione di un discorso scientifico fondato sul reale. Perciò se da un lato
la metafisica esige la logica come quella che può determinare gli strumenti con
cui le categorie metafisiche sono usabili, d'altra parte la logica tende alla
metafisica come quella che, dando un fondamento nell' essere alle categorie
logiche, legittima l'uso degli strumenti che quelle presuppongono. Ed appunto
perciò la logica non sarà, come la tradizione con il nome di organon ha
tramandato e come lo Zeller interpreta, uno strumento essa stessa, anche se
mette in luce gli strumenti con cui certe categorie possono essere usate: essa,
infatti, è una struttura che è necessaria all'essere perché possa esserci un
discorso che lo enunci e al discorso per potersi costituire come discorso,
anche sbagliato. Perciò presentandosi come logica della scienza quella di
Aristotele non si configura come inetodologia, in quanto quest'ultima è
possibile solo là dove non si presupponga l'esistenza di una struttura
dell'essere già costituita e gli strumenti per conoscere la quale sono
stabiliti una volta per tutte e stanno originariamente nelle nostre mani. Di
conseguenza l'unico precetto metodologico che dalla logica aristotelica deriva
è quello di non falsare gli strumenti che possediamo e di riconoscere l'essere
in quello che veramente è. Ma tutto ciò potrà veramente venire alla luce solo
attraverso lo studio dei fondamenti linguistici della logica aristotelica: infatti
per Aristotele, come per Eraclito, la ragione è essenzialmente lóyos, discorso,
cioè capacità di cogliere e di indicare con parole l'essenza stessa
dell'essere. Il linguaggio, perciò, è lo strumento essenziale con il quale le
categorie aristoteliche hanno da essere usate; e la posizione che ad esso
Aristotele conferisce e le possibilità che ad esso apre costituiscono i
fondamenti di tutta la costruzione logica e metafisica dello Stagirita. Del
resto questo lato dell'indagine risponde pienamente agli interessi cui la
filosofia odierna dedica la sua attenzione. Infatti, mentre da un lato la
logica e la metodologia delle scienze dedicano sempre maggiore cura all'esame
delle scienze in quanto fanno uso di certi determinati linguaggi e alle
possibilità e ai limiti di questi linguaggi, dall'altro la considerazione
dell'elemento linguistico della ricerca filosofica ha assai contribuito ad
aumentare la cautela critica di quest'ultima e l'interesse per l'indagine sulle
sue reali possibilità. Dalla tendenza volta a limitare la filosofia ad
un'attività critica sull'uso delle parole ad altre più propense a dare ad essa
un più vasto significato, le correnti più significative della filosofia
con-temporanca si rendono conto dell'importanza che ha la determinazione del tipo
di discorso che la filosofia deve adottare e delle possibilità che ne può
trarre; e nella stessa tecnica dell'indagine filosofia l'analisi linguistica
dei termini è praticata con sempre maggior frequenza nel tentativo di eliminare
quelle parole o quei significati la cui determinazione non è possibile fare con
mezzi il cui comportamento sia noto e, in qualche modo, controllabile. Il
linguaggio cioè non è un insieme di segni assolutamente trasparenti, capaci di
riprodurre fedelmente il puro pensiero o l'essere senza nulla pregiudicare di
quella ricerca che nelle parole troverebbe solo la sede adatta alle sue
conclusioni, ma interviene attivamente nella ricerca rischiando di deviarla su
direzioni del tutto illusorie. Questo problema è particolarmente importante per
la filosofia aristotelica che pretende di rintracciare, proprio avvalendosi del
discorso, una struttura dell'essere universalmente valida e che nella logica si
preoccupa di mettere in luce la posizione che il linguaggio ha come mezzo per
enunciare quella strut-tura. Dalla soluzione data al problema del linguaggio
come mezzo per enunciare l'essere dipende la configurazione della logica come
struttura necessaria e non come disciplina possibile del discorso; nel senso
che i mezzi semantici di cui il discorso è costituito sono sempre adatti a
mettere capo ad un insieme in cui le categorie dell'essere sono adeguatamente
aggravata dal fatto che sull'autenticità di due opere del corpus logicum si
sono sollevati dubbi. È nostro preciso intento trattare questo problema nella
misura richiesta dall'indagine che intendiamo condurre ed esclusivamente in
vista di essa. Ora, del trattato delle Categoriae ci siamo serviti solo in
quanto conteneva dottrine del tutto confermate da altri scritti di sicura
attribuzione, mentre più largo uso abbiamo fatto del De interpretatione. Contro
le difficoltà di natura oggettiva sollevate fin dall'antichità contro il
trattatello ha svolto considerazioni probanti il Maier. Quanto a noi ce ne
siamo serviti per studiare dottrine che trovano sicuro riscontro negli
Analytica priora (qualità e quantità dei giudizi e dottrina della modalità),
salvo differenze trascurabili per il punto di vista da cui ci siamo collocati
(p. es. la comparsa dei giudizi individuali non considerati dagli Analytica).
La dottrina della convenzionalità non trova invece riscontro letterale in altri
testi aristotelici; senonché si può osservare: 1°) la nozione di inópavas come
avíleois di arópiois e xatápaois compare anche negli Analytica posteriora e la
costituzione di un discorso apofantico presuppone appunto l'eliminazione del
problema della semanticità, che è proprio il senso in cui abbiamo interpretato
la nozione aristotelica di convenzionalità del linguaggio; 2°) la dottrina del
giudizio in tutte le sue enunciazioni presuppone la convenzionalità nel senso
sopra specificato; 3") la Poetica che parairasa passi del “De interpretatione”
eliminando la tesi della convenzionalità è stato dimostrato dal Maier essere
un'in-terpolazione tendenziosa. Perciò mentre mancano criteri oggettivi sicuri
capaci di sostenere la tesi dell' inautenticità, neppure l'esito dell'esame
condotto sulla concordanza dottrinale può indurrc a pronunciare l'atetesi del
De interpretatione, o almeno delle parti che ci interessano. Assai più difficile si presenta la questione
della collocazione cronologica degli scritti logici. Essa fu affrontata
dapprima dal Brandis che sostenne la precedenza dei Topica rispetto alle altre
opere aristote-liche, tesi ripresa e completata dal Maier che ritenne di poter
dividere i Topica in parti che non presuppongono la conoscenza del sillogismo e
parti che la presuppongono. Altre a ciò il Maier ritenne di poter considerare
il De interpreta-tiene posteriore agli Analytica, dando così un piano completo
della successione delle opere logiche aristoteliche, dai più accettato e
confer-mato recentemente, con uno studio sui rinvii reciproci delle singole
opere, dal Tielscher. Mentre la considerazione dei libri B e H (nei ca-pitoli
sopra citati) come le parti più antiche dell' Organon sembra del tutto
pacifica, maggiori riserve si potrebbero sollevare di fronte alla col-locazione
nello stesso periodo dei libri che eseguono un progetto tracciato all' inizio
del A, sì da costituire un corpo ab-bastanza unitario nel quale si trova un
rinvio ben netto alla dottrina della dimostrazione di Analytica posteriora. Se
questo indizio nonè affatto sufficiente per posticipare i libri in questione,
esso rivela tuttavia il tentativo di trovare, attraverso un' interpolazione, un
inserimento della dialettica dei Topica nella sillogistica degli Analytica.
Quanto alla posticipazione del “De interpretatione”, le ragioni più importanti
addotte dal Maier - la mancanza di citazioni in altri scritti e la
giustificazione del cap. go come polemica contro Diodoro Crono - non sono del
tutto probanti. L'opera iniziata dal
Maier portava innanzi il Solmsen che, partendo dagli studi del Jäger, suo
maestro, dava un ordinamento del tutto nuovo al corpus logicum accettando quasi
integralmente le tesi del Maier per i Topica ma facendo precedere gli Analytica
posteriora ai priora; ordinamento che, accettato dallo Stocks, veniva criticato
con consi-derazioni ragionevoli del Ross. D'altra parte il Gohlke, prendendo in
esame le dottrine della quantità e della modalità dei giudizi tentava di
individuare strati diversi di composizione delle opere dell' Organon;
ten-tativo parzialmente condotto anche dal Becker. In realtà nessuno di questi
tentativi ha dato finora un ordine cronologico fornito di un grado apprezzabile
di probabilità e stabilito su basi puramente oggettive, cioè tale da non
implicare un' interpretazione filosofica della logica aristotelica. Vista l'estrema difficoltà di stabilire un
ordine cronologico filologi-camente fondato in maniera soddisfacente, abbiamo preferito
rinunciare all'ordine cronologico (che sarebbe stato ben malsicuro), pur
tenendo conto, dove ciò ci è parso indispensabile, dei nessi di priorità che ci
sono sembrati indiscutibili. Ma, d'altra parte, abbiamo cercato di non
irrigidire le dottrine di Aristotele in un sistema che non fosse il sistema
stesso di Aristotele, tentando piuttosto di mettere in luce l'orizzonte in cui
tutte quelle dottrine si impostano e sforzandoci di non impacciare le loro
movenze pur cercando la loro unità: unità consistente appunto nel problema di
rintracciare una struttura linguistica universalmente necessaria. Se essa
precisa i suoi tratti con particolare evidenza nel De interpretatione e negli
Analytica priora, tuttavia sta già alla base della dottrina del giudizio e del
ragionamento rintracciabile nei Topica e costituisce uno dei tratti tipici
dell'aristotelismo; quell'aristotelismo che è già riscontrabile nel platonisino
del Aristotele dell’Accademia e non del Lizio! Viano. Keywords: la filosofia
romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia
romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice
e Viazzi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della bellezza della vita – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Gavi). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano.
Apprezzato teorico e studioso di filosofia. Fra critici e interpreti di VICO,
vuol esser ricordato con speciale considerazione, V.; il quale cura un'edizione
della Scienza Nuova, facendola precedere d'una sua lunga prefazione, “La
modernità e il positivismo di V.”, e accompagnandola con note che vorrebbero
essere interpretative del testo. Comte e Spencer, Vogt e LOMBROSO, Büchner
Haeckel, Ribot e Morselli, son questi i nomi cari a V. E accanto ad essi, egli
pone quello del VICO, come di un sicuro e diretto loro antenato. Gli è che
l'opera del VICO, fuori l'indirizze genuino dei metodi naturalistici, non può
affatto intendersi, com non l'hanno intesa appunto - afferma esplicitarente il
nostre nuovo interprete vichiano - tutti i metafisici, dai concettualisti pur
ai neo-critici. Nè, altresì, conviene altrimenti giudicare il metod‹ vichiano,
nell'idea e nell'attuazione, se non come empirico, in duttivo e psicologico, in
forza del quale, è chiaro come il pen siero del filosofo, fortemente temprato
dell'empiria del Bacone traesse decisamente a un sistema di sociologia o di
demopsicologia. Il vero si è che VICO, accanto a Comte e Spencer, deve esser
considerato come uno dei fondatori della scienza sociale; e nel modo suo di
ricerca, negl'indirizzi degli studi nel loro stesso risultato, ci si rivela
come il più genuino forse dei precursori dell'odierno positivismo critico, o
filosofia scientifica che altri la voglia chiamare. Se è cosi, la nota
dell'irreligiosità, nel sistema di dottrine di VICO, deve risonare con aperta e
larga intonazione, non come un semplice motivo, chiuso chiuso, di preludio. Non
si tratta più, dunque, di germi ideali ancora immaturi per il loro tempo, ma
destinati poi alla fecondazione, dopo circa due se! coli d' inosservata
incubazione; a spandere i loro effluvi inebbrianti sul campo rinnovellato del
pensiero, che reca la piena iberta dello spirito, la suprema indipendenza della
ragione. Contrariamente a ciò che opina il CROCE con i suoi, le conclusioni
antireligiose dei principi vichiani sono apparse limpidamente delineate nel
libero pensiero del filosofo; e inoltre sono state, esplicitamente, già dedotte
dall'autore medesimo con una certa sufficienza, a chi ben osserva, e insieme
con meditata parsi-monia, e, secondo l'importanza che esse hanno nell'organismo
del sistema, messe nella loro vera luce, sebbene non piena e sfolgorante e a
tutti accessibile. Sicché, da ogni pagina della Scienza Nuova emerge spontaneo,
per una critica evoluta, il pensiero tutto vibrante di naturalità scientifica,
tutto saturo di positivismo, che s'effonde con facile corso, attraverso il modo
suo di ricerca, nell'indirizzo degli studi, nel loro stesso rieultato. Che se
il VICO, per tal modo, ebbe a bandire estremamente, con matura persuasione e
con coscienza, dall'opera sua di pensiero ogni genuina idea del divino e di
religione, non poté conservare alcuna fede in fondo al suo cuore. Questo è
ovvio. Nè deve fare impressione di sorta
il parlare, talvolta coperto, dell'autore, talvolta, ancora, irto di reticenze
e concessioni, che sembra voglian salvare la forma d'una certa professione
religiosa. Tale professione di fede (ci si fa notare) soverchiamente ripetuta,
ha quasi sempre tutta la forma di un voler parere, più che altro si rifletta
all'epoca ed al luogo in cui scrisse il nostro autore, e si comprenderà tutta
la ragionevolezza pratica di talune concessioni'». Siamo, dunque, intesi: era
una pura finzione di religiosità; una professione di fede, che doveva servire
soltanto per il libero scambio nello smercio delle idee. E V. viene alle corte.
A carico del VICO (s' intende, dall'aspetto del positivismo) fu quasi
unanimemente posta la importanza, reputata eccessiva, non solo, ma intaccante
alla base tutto il suo sistema, ch'egli dà ad una provvidenza divina
regolatrice di questo mondo delle nazioni che egli prese a studiare. Ma quei
che in tal guisa obbiettano, s'arrestano alla corteccia, e non penetrano con lo
sguardo al midollo sottostante. Non s'è
detto, insomma, che VICO, non amante delle noie, cercava sempre, con insistente
ostentazione, di allontanare il pericolo che s'addensassero, intorno alla sua
opera, i sospetti e le avversioni dell'ortodossia dominante? Vico lo sente,
quest'odioso freno all'espressione della sua idea, ma vi si trova costretto, e
lo subisce. E incredulo qual'era nel pensiero e nel sentimento, tuttavia volle
adoperare un ripiego formale che, senza dubbio, poteva giovargli di passaporto
nell'epoca e nel luogo di pubblicazione del suo libro.? Si rifletta poi, in
fine, che egli non era punto di apostolo.Se avesse avuto l'animo di BRUNO, si
sa che le cose sarebbero procedute ben altrimenti. Cosi il nostro animoso
interprete vichiano va difilato alla conclusione della sua fatica, per quel che
concerne l'idea (della provvidenza divina) che domina e vivifica tutta
l'esposizione dottrinale della Scienza Nuova. È chiaro, secondo lui, che anche
qui la parola e l'espressione metempirica adoperate segnano un concetto
prettamente positivo. Ricordiamo anzitutto come con singolare ostinazione VICO
si richiami assai spesso a questo suo concetto, che il mondo delle gentili
nazioni è pur certamente opera degli uomini. Questo nel campo delle idee. Nel
campo ristretto della sua operosità di uomo, bisogna tener conto del fatto che
VICO era obbligato a mettere i suoi libri sotto la protezione di cardinali; che
scriveva prolusioni le quali non dovevano soverchiamente urtare il Corpo
accademico dell'Università. Poichè in Italia si faceva professione di
cattolicismo. quanto più superficiale tanto più generalmente ostentato; era
utile e, più che utile, necessario, per un uomo che si trovava nelle umilissime
condizioni del nostro autore dimostrare l'importanza del sentimento religioso
nella vita sociale? Pio Viazzi. Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il
Vico di Viazzi” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria
Grice e Vico: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’antichissima sapienza degl'italici -- da rintracciare
nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano. “The best philosopher, but that’s Hampshire’s
judgement!” – Grice. “Si potrebbe presentare la storia
ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (CROCE, La
filosofia di V., Laterza, Bari). – cf. Whitehead on metaphysics as footnotes to
Plato. Molte delle notizie riguardanti la vita di V. sono tratte dalla sua “Autobiografia”,
scritta sul modello letterario delle “Confessioni” d’AGOSTINO.
Dall’autobiografia V. cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per
le dottrine atomistiche e per la filosofia di Cartesio, che hanno cominciato a
diffondersi a NAPOLI, ma venneno subito repressi dalla censura delle autorità
civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'indice
dei libri proibiti. Nato da una famiglia di modesta estrazione sociale – il
padre e un libraio – V. e un bambino molto vivace. A causa di una caduta, si
procura una frattura al cranio che gli impede di frequentare la scuola per III
anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico
ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,”
contribusce a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi
di grammatica presso il collegio massimo dei gesuiti, li abbandona per
dedicarsi al privato approfondimento dei testi di NICOLETTI [vide], il quale,
tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento
dall'attività intellettuale per I anno e mezzo. Ripresa la via degli
studi, V. si reca nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di RICCI. Rimasto
ancora una volta insoddisfatto, si apparta nuovamente a vita privata per
affrontare la meta-fisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno,
V. e “applicato agli studi legali.” Frequenta per II mesi le lezioni di VERDE,
s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si
cimenta, come di consueto, in studi di diritto. Conseguita la laurea a SALERNO,
si appassiona subito ai problemi filosofici, segno “di tutto lo studio che ha
egli da porre all'indagamento de’ princìpi del diritto universal.” Lapide nella
casa natale di via San Biagio dei Librai che recita: In questa cameretta nasce V..
Nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usa passare le notti nello
studio. Vigilia della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo
di tempo intercorrente e denominato dell' “auto-perfezionamento.” Difatti,
nonostante l' “Auto-biografia” riporti indietro la data d'inizio del suo
magistero, svolge attività di precettore dei figli del marchese ROCCA presso il
castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca, ha modo
di studiare l’Accademia di FICINO e PICO. Approfondisce gli studi del Lizio,
nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la scolastica. Legge i
saggi di di BOTERO e di BODIN, scoprendo al contempo TACITO (che divenne un
maestro cui s'ispira la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile
con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di
geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione
lucreziana (vide LUCREZIO). Erma del V. Ritornato a Napoli, affetto dalla tisi,
rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà
economiche, V. è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Pubblica
un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di
Benavides, vice-ré e conte di S. Stefano. Compone un'orazione funebre in
memoria di Cardona, madre del nuovo vice-ré. Tenta vanamente di ottenere un
posto di lavoro come segretario al municipio di Napoli. Vince, con striminzita
maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica a Napoli, da
cui non riusce, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è
aggregato all'accademia palatina fondata dal vice-ré Aragón, duca di
Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei
fratelli, totalmente dipendenti da lui, apre uno studio dove dà lezioni di
retorica e di grammatica e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di
poesie, epigrafi, orazioni funebri, e panegirici. Può finalmente prendere in
affitto in vicolo dei Giganti una casa di tre camere, sala, cucina, loggia e
altre comodità, come rimessa e cantina e sposar e avere VIII figli. Da quel
momento non ha più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma prosegue
ugualmente le sue meditazioni tra lo strepitio de' suoi figlioli. A questo
periodo risale, inoltre, la conoscenza con DORIA (vide) e l'incontro con la
filosofia di Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del “Principum
neapolitanorum coniuratio” e in una cena a casa di DORIA, espone le sue idee
sulla filosofia della natura che lo conduceno alla composizione del “Liber
physicus.” Pronunzia in latino le VI orazioni inaugurali, ossia le prolusioni
all'anno accademico e, se ne aggiunge una VII, più ampia e importante, “De
nostri temporis studiorum ratione,” la quale si concentra molto sul metodo
degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università
nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti. Nel “De
ratione”, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo di Cartesio e
l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell’ingegno produttore
della META-FORA. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate
per essere raccolte in “De studiorum finibus naturae humanae convenientibus”. È
aggregato all'accademia dell'Arcadia e pubblica il primo libro dell'opera
dedicata a DORIA, “De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae
originibus eruenda,” recante il sottotitolo “Liber primus sive metaphysicus.” Accanto
al “Liber Meta-Physicus,” l'opera comprender anche il “Liber Physicus” e un mai
compost, “Liber Moralis.” Un anonimo recensisce l'opera nel “Giornale de'
letterati d'Italia”, cui segue la risposta del V., accompagnata dal ristretto o
ri-assunto del “Liber Meta-Physicus”. Aseguito di nuove obiezioni prodotte
dall'anonimo recensore, replica con una Risposta II. Pubblica un trattatello
sulle febbri ispirato alle bozze del “Liber Physicus”, recante il titolo di “De
aequilibrio corporis animantis.” Inoltre, si dedica alla stesura del “De rebus
gestis Antonii Caraphaei,” una biografia del maresciallo Carafa. Durante i lavori
di questa opera biografica, V. si dedica alla ri-lettura del suo quarto
«auttore», Grozio, cui dedicha un commento al “De iure belli ac pacis”.
L'incontro di V. con la filosofia di «Ugon capo» ha un'importanza decisiva per
il suo sviluppo filosofico. Da quel momento, il suo interesse e completamente
assorbito dai problemi storici e giuridici. L'idea dell'esistenza di un'umanità
ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui
si producono gl’ordini civili divenne centrale in tutta la sua filosofia. Vide
la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata “De uno universi iuris
principio et fine uno”, seguita dallo saggio “De constantia iurisprudentis,” diviso
in II parti, “De constantia philosophiae” e “De constantia philologiae,” e che,
nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato
sull'argomento rispetto al “De uno”. Benché le due opere si differenzino, segno
di un rapido sviluppo della sua filosofia, è d'uso considerarli, come invero
fece anche Vico, insieme alle notae aggiunte e le sinopsi premesse al saggio,
sotto l'unico titolo di “Diritto universale”. S'iscrive al concorso per
ottenere la cattedra di diritto civile a Napoli e commenta un passo delle “Quaestiones
di Papiniano “davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il
posto e assegnato a GENTILE. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della “Scienza
Nuova”, ottenne da Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova e la
sua dottrina che la cultura del tempo non puo apprezzarla. Così che V. rimanda appartato
e quasi del tutto sconosciuto negl’ambienti filosofici, dovendosi accontentare
di una cattedra di secondaria importanza a Napoli che lo mantene inoltre in
tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la “Scienza
Nuova”, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per
la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera
sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'accademia partenopea, s’accompagna
una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della “Scienza
Nuova” V. scrive la prolusione inaugurale “De nostri temporis studiorum
ratione,” il “De antiquissima italorum sapientia, EX LINGUAE LATINAE originibus
eruenda” a cui si devono aggiungere le II risposte al “Giornale dei letterati
di Venezia” che critica la sua filosofia, il “De uno universi iuris principio
et fine uno” e il “De costantia iurisprudentis”. Afflitto da difficoltà e
disgrazie familiari, V. incomincia a scrivere la sua “Autobiografia” pubblicata
a Venezia. Vengono pubblicati i “Principii di una scienza nuova intorno alla
natura delle nazioni.” Alla “Scienza nuova” lavora per tutto il corso della sua
vita, con un’edizione integralmente ri-scritta anche a seguito delle critiche
ricevute (cui aveva risposto nelle “Vici Vindiciae”) e, infine, rivista
completamente, senza grandi modifiche, per la edizione III, pubblicata pochi
mesi dopo la sua morte da suo figlio che lo aveva sostituito nell'insegnamento
accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi
più floridi anni l’avevano debilitato. Comincia adunque ad essere indebolito in
tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più
lo affligea, e di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza. Il fiaccato
corpo anda in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che perde quasi
interamente la memoria fino a dimenticare gl’oggetti a sé più vicini ed a
scambiare i nomi delle cose più usuali. Affetto probabilmente dalla malattia di
Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negl’ultimi anni
non riconosceva più i suoi stessi figli e e costretto ad allettarsi. Solo in
punto di morte ri-acquista la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno. Chiese
i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide muore. Per la celebrazione
delle esequie nasce un contrasto tra i confratelli della congregazione di S. Sofia,
alla quale V. era iscritto, e i professori di Napoli su chi dovesse tenere i
fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era
stato calato nel cortile, e abbandonato dei membri della congregazione e e riportato
in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'università, e sepolto
nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali.
Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine
filosofiche, V. ha modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio,
Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento
risalivano piuttosto alle dottrine neo-platoniche dell’accademia, rielaborate
dalla filosofia rinascimentale di FICINO e PICO, aggiornate dalle moderne
concezioni scientifiche di Bacone e GALILEI e del pensiero giusnaturalistico
moderno di Grozio e Selden. Dal Portico di MALVEZZI riprende l'intuizione che
il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di
interessi fa pensare alla formazione di un pensiero eclettico in V. che invece
giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità
sperimentatrice e la tradizione platonica, accademica, e religiosa. “De
antiquissima Italorum sapientia” consta di tre parti: il “Liber Meta-Physicus”,
che usce senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione,
avrebbe dovuto avere; il “Liber Physicus”, che pubblica sotto forma di opuscolo
col titolo “De aequilibrio corporis animantis”, che anda smarrito, ma
ampiamente riassunto nella Vita; e infine il “Liber moralis”, di cui non abbozza
nemmeno il testo. Nel “De antiquissima” V., considerando il linguaggio come
oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune
parole si possano rintracciare originarie forme del pensiero. Applicando questo
metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle popolazioni italiche. Il
fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima
che “Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus
loquitur, convertuntur” -- che cioè il criterio e la regola del vero consiste
nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le
proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati,
definizioni. Ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura, perché
non siamo noi ad averla creata. Conoscere una cosa significa
rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento del
Lizio, veramente la scienza è “scire per causas.” Ma questi elementi primi li
possiede realmente solo chi li produce, “provare per cause una cosa equivale a
farla”. Il principio del “verum ipsum factum” non e una nuova e originale
scoperta di V. E già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che
richiede l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico
che, tramite la tradizione scotista, e presente nella cultura filosofica
napoletana del tempo di V. La tesi fondamentale di queste concezioni
filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che
tale cosa produce. Il principio del verum-factum, proponendo la dimensione
fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo di
Cartesio che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della
storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha
sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio
per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia di Cartesio trionfante in quel periodo. Il cogito di
Cartesio infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol
dire conoscenza della natura del mio essere. Coscienza non è conoscenza. Avrò
coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho
solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e
infine in senso assoluto, se sia. A sostegno della sua argomentazione escogita
un certo genio ingannatore e maligno. Ma è assolutamente impossibile che uno
non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza
che egli è. Pertanto Cartesio svela che il primo vero è questo, Penso dunque
sono. --“De antiquissima Italorum sapiential” in “Opere filosofiche,” a cura di
Cristofolini (Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo di Cartesio dell'evidenza
procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è scienza se non
è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano
e della natura solo il divino, creatore di entrambi, possiede la verità.
Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni,
come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene,
essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la
stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può
costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica,
la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della
fisica. Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se
potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare. I latini diceno
che la mente è data, immessa negl’uomini dagli dei. È dunque ragionevole
congetturare che gl’autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee
negl’animi umani siano create e risvegliate dal divino. La mente umana si
manifesta pensando, ma è il divino che in me pensa, dunque nel divino conosco
la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e
dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente
umana, pur nella sua inferiorità, esplica un’attività che appartiene in primo
luogo al divino. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui
imita la mente, le idee, del divino, partecipando metafisicamente ad
esse. Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di
quella facoltà che V. chiama “ingegno” che è la facoltà propria del conoscere per
cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose. L'ingegno è lo
strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo di Cartesio,
per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso
gl’esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del
fatto. L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la
contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso
l'errore. Il divino mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando
erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto
l'apparenza dei beni. Vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti,
ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro la Scessi sostiene
che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il
chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo
soltanto in relazione ai corpi opachi. Tale è lo splendore del vero metafisico
non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio
infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè
formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere
metafisico non è il sapere in assoluto. Esso è superato dalla matematica e
dalle scienze ma, d'altro canto, la metafisica è la fonte di ogni verità, che
da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero,
comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli
effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i
corpi e che quindi si identifica con divino. Nel divino sono presenti le forme,
simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina. Il primo
vero è nel divino, perché il divino è il primo facitore (primus factor);
codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è
compiutissimo, poiché mette dinanzi al divino, in quanto li contiene, gli
elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi
creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che
rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia
un'attività creatrice che gli appartiene questo mondo civile egli
certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne
debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima
mente umana. L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà
umana. Nella storia, l'uomo verifica il principio del “verum ipsum factum” creando
così una scienza nuova che ha un valore di verità come la matematica. Una
scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e,
rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la
scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa
mente umana che ha fatto quelle cose. La definizione dell'uomo, della sua mente
non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a
un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola
al suo divenire storico. È assurdo credere, come fa Cartesio o i ne-oplatonici,
che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni
condizionamento storico. La filosofia contempla la ragione, onde viene la
scienza del vero. La filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde
viene la coscienza del certo. Questa medesima degnità o assioma dimostra aver
mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con
l'autorità de’ filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro
autorità con la ragion dei filosofi. Ma la filologia da sola non basta, si
ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla
filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di
complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito
della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei
principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante,
fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di una legge che ne sia a
fondamento com'è per tutte le altre scienze. Poiché questo mondo di nazioni
egli è stato fatto dagl’uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità
convenuto e tuttavia vi convengono tutti gl’uomini; poiché tali cose ne
potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni
scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La
storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali,
di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo
stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il
mantenimento delle nazioni. Rifarsi alla mente umana per comprendere la
storia non è sufficiente. Si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti
storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad
essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano
con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre
l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali,
si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio
della eterogenesi dei fini. Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo
di nazioni, ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso
diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini
particolari ch'essi uomini si avevan proposti. La storia umana in quanto opera
creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli
eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla provvidenza
che prepone alla storia divina. Secondo V. il metodo storico dove
procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi poiché i parlari
volgari debono essere i testimoni più gravi degl’antichi costumi de' popoli che
si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue, e quindi tramite lo
studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni
civili. Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale
del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età: l'età degli dei,
nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni
cosa esser loro comandata con gl’auspici e gli oracoli; l'età degl’eroi dove si
costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degl’uomini nella quale tutti
si riconobbero esser uguali in natura umana. La storia umana, secondo V.,
inizia con il diluvio universale, quando gl’uomini, giganti simili a primitivi
"bestioni", vivevno vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia.
Questa condizione bestiale e conseguenza del peccato originale, attenuata
dall'intervento benevolo della provvidenza divina che immise, attraverso la
paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che scosse e destate da un
terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di
Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove
fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con
congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero
certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga
stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e
divisi i primi domini della terra. L'uscita dallo stato di ferinità quindi
avviene: per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base
della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per
l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione
della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede
nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età
sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi. Infatti
quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si esprimevano
a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio dall'accomunarsi
di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza.
Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gl’eroi
che con la forza e in nome della ragion di stato, conosciuta solo da loro,
comandano su i servi che, quando rivendicano i propri diritti, si ritrovarono
contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari, danno vita allo stato
aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della storia umana. In
questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri
mitici e poetici. Infine, la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà
luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato
sul diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato
non necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché
l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge
delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in
tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a
questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che
necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla
fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini
prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e
commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le
violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione
della provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che
si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero
si presenta come certo gl’uomini che non sanno il vero delle cose procurano
d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la
scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene
all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso
comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione,
comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una
nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e
dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che V.
define poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale
ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è
proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e,
trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa
degnità filologica-filosofica ne appruova che gl’uomini del mondo fanciullo,
per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del
antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro
cultura. Il mito o la leggenda infatti non è solo una favola e neppure una
verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé
elaborata dagl’antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di
universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali
universali. I antichi romani non definano razionalmente la prudenza ma
raccontarono di ENEA, modello universale fantastico dell'uomo prudente. V.
si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma
espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la
metafora, la metonimia, e la sineddoche, sono stati erroneamente ritenuti
strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la
poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari
modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione
rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua
romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso
tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il
linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il
popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio
culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la
interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di
una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è
certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né
da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella
truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose
battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie
d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana.
La sapienza antica ha per contenuto principi di giustizia e ordine necessari
per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi
diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione.
Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse
storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di
volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella
storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello
divino: nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si
realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della
storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo
non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero
che la provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e
primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani
dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come
sostengono gli stoici e gl’epicurei che niegano la provvedenza, quelli
facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa
tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi,
possono anche farla regredire. Gl’uomini prima sentono il necessario; dipoi
badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel
piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar
di sostanze. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento
della provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da
cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello
superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la
strada precedente. Paradossalmente la criticità del progresso storico appare
proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare
e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della provvidenza che
si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il
consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così
ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di
religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la
filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia,
custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può
tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui si diedero gli
stolti dotti a calunniare la verità. La ragione non crea la verità,
poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare
astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione
ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è
ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la
mente umana da sola non basta poiché occorre la provvidenza che indichi la
verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi
essa deve custodirla. Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da
finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo
studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio.
Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce
del genere umano. Gl’uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono CAPUA,
DORIA, e CALOPRESO, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui
e un re-trivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la
coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra
ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a
Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a
Puffendorfio, a Locke, il cui saggio e la metafisica del senso. Resiste, ma li
studia più che facessero i novatori. Resiste come chi sente la sua forza e non
si lascia sopraffare. Accetta i problemi, combattea le soluzioni, e le cerca
per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. E la resistenza della coltura
italiana, che non si lascia assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma
resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. E il
re-trivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in
prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa e la resistenza di
V. E un moderno e si sente e si crede antico, e resistendo allo spirito nuovo,
riceveva quello entro di sé. SANCTIS. Fintanto che e in vita la portata e la
ricezione critica del suo pensiero sono circoscritte quasi unicamente agl’ambienti
intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito. Affermatasi
la fama del pensiero vichiano, esso e conteso dalle più disparate correnti
filosofiche: dal pensiero cristiano -- nonostante l'iniziale rifiuto --, dagl’idealisti
-- dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano --, dai
positivisti, e persino da diversi marxisti. V. è ben più di un semplice
filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama e
apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri
momenti e celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o
come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre venne
ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto
d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più
vari campi dell'operare umano. Il pensiero vichiano, le cui prime fonti
s'ispirano alla tradizione filosofica che permea l'ambiente partenopeo della
sua epoca, rappresenta un ponte. Nonostante V. non sia caratterizzato
dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota ABBAGNANO
– alcuni risultati fondamentali che lo connettono a pieno titolo alla riforma.
Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia
politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, assistendo alla fine di un
mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è
dimostrato dalla giustapposizione del certo – ossia, il peso dell'autorità
della tradizione -- al vero – ossia, lo sforzo innovatore della ragione -- che
è il segno di una ricerca di equilibrio estranea all’illuminismo. A tali
conclusioni il pensiero vichiano e condotto dalla limitatezza della sua
gnoseologia e dalla polemica contro Cartesio, il quale professa, al contrario,
l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Altri saggi: “VI Orazioni
Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale”;
“Proemium”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda
risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris
uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De
constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in II libros, alterum De uno
universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”;
“Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di V. scritta da se medesimo,
(l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroica,
Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, V., Scienza nuova, Scrittori
d'Italia, Bari, Laterza, V., Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza, V., Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, V.,
Opere a cura di Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum
rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei
letterati; Diritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia,
Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse;
Poesie, Institutiones oratoriae. V., Opere filosofiche a cura di Cristofolini,
Firenze, Sansoni. V., Opere giuridiche a cura di Cristofolini, Firenze, Sansoni.
V., Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di
Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Il pensiero vichiano rimase
quasi del tutto ignorato dalla cultura europea con una diffusione limitata
nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica V. e poco conosciuto anche se
filosofi tedeschi come Herder, chiamato il V. tedesco, e Hegel presentano delle
somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia
nello sviluppo della filosofia. La filosofia di V. comincia ad essere
conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano:
Chateaubriand e Maistre ma, soprattutto Michelet, “Principes de la
philosophie de l'histoire” (Parigi) diffonde il pensiero di V. di cui apprezza
la concezione della storia come sintesi di umano e divino. Comte e Marx
stimarono la filosofia della storia di V. Ma furono i filosofi italiani, come SERBATTI,
e soprattutto GIOBERTI, che videro in lui un maestro. Tommaseo, V. e il
suo secolo, rist. Torino mette in evidenza la grande affinità del pensiero
vichiano con quello di GIOBERTI. Carlo, “Istituzione Filosofica secondo i
Princìpj di V.” (Napoli, Cirillo). Nuove interpretazioni basate sul principio
vichiano del verum ipsum factum considerano V. un anticipatore del positivismo.
FERRARI, Il genio di V., rist. Carabba, CATTANEO, Sulla 'scienza nuova' di V.”
(Milano); CANTONI, “V.” (Torino); Siciliani, “Sul rinnovamento della filosofia
positiva in Italia” (Civelli Firenze). Viene rivalutato il legame stringente
fra il filosofo e l’illuminismo. Donati, “V., filosofo dell'Illuminismo” (Aracne).
Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano
come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ha in Italia a cominciare dagli
studi di SPAVENTA e SANCTIS iniziatori di quella corrente dottrinale
interpretativa che si ritrova soprattutto in CROCE e GENTILE, Studi
vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neo-platoniche
e rinascimentali, rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista, e
interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura
questa, secondo alcuni critici, ripresa da CROCE, “La filosofia di Vico”
(Laterza, Bari) che ha soprattutto il merito di aver intuito in V. una
definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione
storicistica dello sviluppo dello spirito da cui CROCE elimina ogni riferimento
alla trascendenza della provvidenza vichiana. Un'accurata ricerca storica
su V. e operata dal crociano Nicolini, “V.” (Laterza, Bari); Nicolini, “La
religiosità di V.” (Laterza, Bari); Nicolini, Commento storico alla seconda
'Scienza Nuova (Roma); Nicolini, Saggi vichiani (Giannini, Napoli); Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli,
la casa” (Osanna Venosa). Contrari all'interpretazione immanentistica della provvidenza
vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la
trascendenza: Chiocchietti, La filosofia di V., Vita e Pensiero, Milano,
Amerio, Introduzione allo studio di V., SEI, Torino, Bellafiore, “La dottrina
della provvidenza in V., Milani, Bologna, A. Mano, “Lo storicismo di V.” (Napoli);
Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le
interpretazioni laiche e cattoliche su V. si è attenuato in periodi recenti
dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della
sua dottrina: Fassò, I «quattro auttori» del V.. Saggio sulla genesi
della Scienza nuova” (Milano, Giuffrè), non esistente. Fassò, Vico e Grozio,
Napoli, Guida, Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio"
cristiana negli scritti autobiografici di V., in Sapientia, sulla concezione
della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e
trascendenza del pensiero vichiano:
Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli
studi più notevoli sono quelli di Bianca, Il concetto di poesia in V., D'Anna, Messina, Prestipino, "La teoria
del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugl’aspetti
giuridici e sociologici: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in V. e
Malebranche, Firenze, Donati, Nuovi
studi sulla filosofia civile (Firenze); Bellafiore, Il diritto naturale (Milano);
Pasini, Diritto, società e stato in V., Jovene, Napoli, Giannantonio,
"Oltre V. - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano);
Leone, [rec. al vol. di] Giannantonio, "Oltre V. - L'identità del passato
a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure critiche, La Fenice, Salerno,
e in "Forum Italicum", Wehle, Sulle vette di una ragione abissale: V.
e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini e Guaragnella, V. e
l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). Croce, La
filosofia di Vico, Bari, Laterza, Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e
censura ecclesiastica a Napoli, in Rao, Editoria e cultura a Napoli, Napoli:
Liguori, Adorno, Gregory, Verra, Storia della filosofia, Laterza, V., La
scienza nuova (a cura di Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, V., Ferrari, La
scienza nuova (a cura di Rossi), Tip. de' Classici Italiani, Cioffi ed altri, I filosofi e le idee,
Mondadori, Armando, Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero –
Politica, Enciclopedia Italiana Treccani, Adorno, Gregory, Verra, Storia della
filosofia (Laterza); Fassò, Storia della filosofia del diritto (Laterza); Abbagnano,
Storia della filosofia (L'Espresso); V., La scienza nuova (Rizzoli); V.,
Principj di scienza nuova, di V.: d'intorno alla comune natura delle nazioni,
Amico, Nicolini, V. nella vita domestica. La moglie, i figli, la
casa, Osanna Venosa, V. Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani, Milano); V., La
scienza nuova (a cura di Rossi), Rizzoli, Grozio, Prolegomeni al diritto della
guerra e della pace (a cura di Fassò), Morano, V., La scienza nuova (Rizzoli); Liccardo,
Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli. V. che si era
rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale
Orsini, poi a Papa Clemente XII, e costretto a vendere un anello per farla
pubblicare. V. scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene
poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. Cfr.
Fubini, V. Autobiografia (Torino Einaudi). La prima redazione dell'opera,
andata perduta, ha il titolo di Scienza nuova in forma negative. L'Autobiografia
e pubblicata postuma ampliata con una modifica
di V.. RIVISTA DI STUDI CROCIANI, a cura della Società napoletana di
storia patria, La fondazione V. voluta da Marotta, presidente dell'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di S. Biagio Maggiore,
Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della gestione di
alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e la Chiesa
di S. Gennaro all'Olmo in Napoli. V., Principi di una scienza nuova d'intorno
alla comune natura delle nazioni, a cura di Ferrari, Società tipografica de'
Classici italiani, Milano. Candela, L'unità e la religiosità del pensiero di V.,
Serafico, Inesatto è altresì che V. terminasse di vivere a più di settantasei
anni. Per contrario, manca ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette
mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, V., Ricciardi. La
storia di V., su napolit oday. Secondo notizie di stampa diffuse resti della
salma di V. sarebbero stati recuperati nei sotterranei della chiesa napoletana.
(Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di V.? I ricercatori vanno cauti
Archiviato in Internet Archive. La notizia è stata comunque commentata con
prudenza dagl’esperti. La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. Nicolini,
V.: saggio biografico (Il Mulino), CROCE, Nuovi saggi. Per una silloge di
pensieri di MALVEZZI, Politici e moralisti, ediz. CROCE-CARAMELLA, Bari,
Laterza. V. nel perduto De equilibrio corporis animantis espone una concezione
secondo cui riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se
fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso
il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza
contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose
vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole. Secondo un'ipotesi di Croce e
Nicolini l'opera e stata concepita come appendice al “Liber Physicus” ed e
donata in forma manoscritta al suo grande amico, Aulisio. La trattazione di
quella teoria di ispirazione cartesiana e pre-socratica venne poi inserita più
ampiamente nella Vita. Toma, Ecco l'origine delle scienze umane:
aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti,
Bollettino del CENTRO DI STUDI VICHIANI (Roma: Edizioni di storia e
letteratura). Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni
interpreti della sua filosofia come il primo ‘costruttivista’. Infatti, V.
sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi
che in effetti solo il divino conosce veramente il mondo, avendolo creato lui
stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gl’uomini
alcuna pretesa di verità ontologica. Watzlawick, La realtà inventata (Milano,
Feltrinelli) Per V. la filologia non è solo la scienza del
linguaggio ma anche storia, usi e costumi, e religioni dei popoli antichi.
L'età degli dei nella quale gl’uomini gentili credettero vivere sotto divini
governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che
sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale
dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi
rifiutata differenza di superior natura a quella de’ lor plebei. Finalmente,
l'età degl’uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura
umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le
monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane. V., Scienza Nuova,
Idea dell'Opera. La RAGION DI STATO non è naturalmente conosciuta da ogni uomo
ma da pochi pratici di governo. Degnità. Sull'immaginazione nei primitivi
secondo la filosofia vichiana si veda: Fabiani, La filosofia dell'immaginazione
in V. e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e
della poesia nei confronti delle altre attività spirituali e uno dei meriti che
CROCE riconosce al pensiero vichiano. V. critica tutt'insieme le tre dottrine
della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa
di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno
fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica
intellettuale, non contiene filosofemi. I filosofi che ritrovano queste cose
nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia
non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è
superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima
operazione della mente umana. CROCE, La filosofia di V. -- qual era quello dei
tempi d'Omero. V., Scienza Nuova, Conclusione Nel senso di pietas,
sentimento religioso. V., La scienza nuova (Biblioteca Universale
Rizzoli). CROCE NICOLINI Storicismo Filosofia della storia Filologia. su
Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., su sapere, De Agostini. V., su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Battistini, V., in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere, su biblioteca italiana
integrali in più volumi dalla collana
"Scrittori d'Italia" Laterza, Fabiani, La filosofia
dell'immaginazione in V., su academia, Firenze, Pellegrino, 'La concezione
della storia di V., su centro studi LA RUNA it. CENTRO DI STUDI VICHIANI, su
Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione V., su Fondazione gbvico Portale
Vico, su giambattist avico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V.,
Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle
nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher.
Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their
stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” Vico: He is so beloved by the Italians “that
they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of
language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of
culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or
near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples
throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the
concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice,
it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal
historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza
nuova” completely revised in a second, definitive version. He
published three connected works on jurisprudence, under the title Universal
Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the
historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the
Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding
human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the
Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the
conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is
his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is
true is convertible with what is made. This principle is central in his
conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those
subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of
mathematics, since mathematical truths are such because we make them.
Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life
of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us
to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the
maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per
caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only
conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature
are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles
whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has
wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e
ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the
Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a
pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every
nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age
of heroes when all virtues and institutions are formed through the
personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is
lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and
ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life
and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and
the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of
“imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by
“poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history,
society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the
human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the
true and the made are converted to create the myths and gods that are at the
basis of any cycle of history. MICHELET was the primary supporter of V.’s ideas.
He made them the basis of his own philosophy of history. COLERIDGE is the
principal disseminator of V.’s views in England. Joyce uses the New Science as
a substructure for Finnegans Wake, making plays on V.’s name, beginning with
one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” CROCE
revives V.’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as
the Hegel. V.’s ideas have been the subject of analysis by such
prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists
such a Leach, and by literary critics such as Wellek and Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza,
“Vico alla Villa Grice.” H. P.
Grice, “Vico and language.” Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists
will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A
provocative, well-researched argument which might find re-application in
philosophy. Theological Book Review. DANESI
returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and
development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. V.’s
reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of
Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: Vico e la filosofia romana, Vico, VARRONE,
storia della linguistica, storia della rhetorica, glotto-genesi, la
ricostruzione di V., The New Science Basic Notions. Language and the
Imagination: V.’s Glottogenetic Scenario; V.’s Approach; Reconstructing the
Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi,
hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic
Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The
Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation,
Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian
Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Giovanni Battista Vico. Giambattista Vico. Keywords: Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice, for H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vieri: la ragione
conversazionale della filiale fiorentina dell’accademia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze) Essential Italian
philosopher. Filosofo italiano. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Dell’ACCADEMIA,
molto attivo. E contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo
dei filosofi dell’Accademia, improntato su PICO. Suo principale avversario e BORRI. Saggi:
“Liber in quo a calumniis detractorum PHILOSOPHIA defenditur et eius
praestantia demonstrator” (Roma). Grice:
“The term ‘accademia’ is mostly misused, as in The British Accademy – strictly,
it is Hekademos, and so, anything connected with Plato, as in V.’s case! But V.
is what I call a co-philosopher. Without BORRI, or PICO, no V. – and his essay
on his ‘demonstration’ of the excellence of philosophy against her detractors
is hardly a best-seller!” Crusca. LEZZIOne DI M. FRANCESCO DE'
VIERI FIORENTINO, detto
il Verino Secondo
Per recitarla netf ^4 ce ademi a Fiorentina
, nel Confo! afe
di M. Federigo
StxoYz} l'anno 1580.
DOVE SI RAGIONA
DELLE IDEE, Et
Delle Bellezze. Dedicdtd
all' illu fri (? ty Eccellenti^,
signor Conte V L
1 s
S E Bcntitiogli . IN FIORENZA, Appretto
Giorgio Marcfcottt 1 5 8
1. Con licenzi
di* ì»*trÌ4ri . ALL'ILLVSTRISSIMO, ET
ECCELLENTISS. Signore,
llSì?. [onte OLISSE
Hmmglì Mto Sig.oJJeruandifìmo •
L desiderio mio
era in quella
itate con leg-
gere di nuouo all'Ac-
cademia di Firenze fa
tisfare in qualche
par- te a molti
& molti obIighi,che
io ten- go con
il Magnifico &
prudentifTimo Signor Confblo ,
& con il
letteratifli- mo, &
graziofiflìmo fuo fratello
M. Giouambatilfca Strozzi
; & in
oltre fé il
mio difeorfo era
da querti,& da
mol ti altri
così intendenti , come
gentili {piriti approuato ,
& giudicato degno
di cflere vdito
& Ietto da
grandi, & da
A 2 no- nobili ,
mandarlo in luce
Cotto il pre-
giato nome di V.Ecc.Ill.
la quale (per
quello , che mi
ha riferito M.Aleffan-
dro Catani , huomo
così amatore del
vero, come eccellenti^,
nell'arte della Medicina)
non meno è
fèmpre difpo- ila
a difendere^ fauorire
le lettere,& le
virtù, & i
loro profeflbri , che
ella fi fia
nata nobiIe,Sc con
nobiliffime per- fbnedi
nuouo congiunta, quello
dico era tutto
il difideno mio
Uluftrifs. &c Eccellentifs.
mio Signore :
ma l'infer- miti mia,
& alcuni negozi]
di grandif lima
importanza, m'hanno in
guifa impedito , che
non (blamente io
non ho potuta
leggere quella mia
Lezzio- ne,ma ne
pure
nuederla,&ripulirla,&
nondimeno io non
poffo, ne debbo
mancare di tetitiare
m qualche modo
a eentiliffimi Strozzi,
& alli altri
gen- cihfii'mi fpintij&
quella mia fatica
di* fiderà fiderà
la protezzione di
V.Ecc.III.ElIa dunque l'accetti
con pronto , &c
grato animo, come
io prontamente, &
con ardentifsimo difìderio
gnene offero, e
raccomando,& come io
fpero, cKe el- la
fia per
fare . Le bacio
le mani , &c
le difidero da
Dio non meno
ogni felice contento ,
che io mi
difideri , che ella
tenga memoria di
me, & di
chiunque rama,&: la
nuerifce delli amatori
delle virtù, &c
delle lettere, fènza
le quali il
mondo altro non
{àrebbe,che vn foi
tifsimo bofco di
tenebre per Tignoran
za,& vnafèlua (pauenteuole,
&c brut- ta ,
mercè di vna
infinita di vizij,
che ci (ì
ritrouerrebbero . Dt V*e.
I.&* molto Mag, &
gentile Senatore afFezzionatifsimo Francesco de Vieri detti
il ferino Secondo
% 1]V qual
parte del del,
in qualided Lra
l e f empio , onde
natura tot fé
Quel bel Info
leggiadra : in
ch'ella ^rolfe Afoffrar
quaggiù , quanto
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Qual Ninfa in
fonti , mfelue mai
qual Dee chiome
d'oro fi fino
jc Laura fctolfe :
Quand'^n cor tante
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lafomma e di
mia morte rea ? Per
diurna bellezza m damo mira
f chi gli
occhi di cosieigiamai
non ~>tde. Come foauemente ellagligira
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come ^morfana, cr
come ancide ;
chi non sa
come dolce ella
filtra 0 M
orni dolce farla
, e dolce
ride* LEZZIONE DI
M. FRANCESCO DE'
VIERI» detto il
Verino Secondo: Votte
fi ragiona delle
Idee , & delle
'Bellezza . IL PROEMIÒ. É
quefto sì honorato
luogo,nel qua le
lòno ftati per
tanti & tanti
anni infiniti [piriti
gentili , & vi
hanno Magnifico Sig.Confolo,& nobili^
fimi Accademici, &
Vditori, con i
loro leggiadriflìmi dilcorfi
con no minore
contentezza, che con
iftu- pore trattenuti. Se quefto
luogo di co
è ordinato prima
dalla feliciflì- ma
memoria del prudentiflìmo, &
magnanimo Gran Du
cail G.D.Cofimo de'
Medici , & poi
mantenuto dal Se-
rcniflìmo G.D. Francefco
luo figliuolo a
quefto fine lòia
mente,che molti con
la diligenza del
dire bene,& co
or- namento di parole
diuenghino ottimi ambafeiadori , &
gentilifiìmi poeti, a
vtilita, grandezza, &
diletto di que-
fìi ftati &
di loro S.
A. come alcuni
fi penfano ;
al Filolo- go dunque,
il quale più
della verità delle
cole fpecolabi- li ,
&deli'az7Ìonihumanetien
conto , che
del graziolo ragionamento,
non apparterrà falire
in quefto fteflb
luo- go : ma
fi bene à
quelli,i quali fanno
profeflìone di Ora-
tori , & di
Poeti . Se più
oltre l'Accademia fia
ancora inftituitai fine
che in quefta
lingua fi eiprima
da ogni perfona
letterata ogni maniera
di concetto^ onde
fi gioui A
4 à
8 Lezzione
a quelli, i
quali non hanno
potuto con altra
lingua intcB dere
£liarnhzij degli Oratori,
& de Poeti,
& gli alti
co certi Filolòfici .
quelli Ioli deono
qui l'altre de
letterari, & de
Filoiolantiji quali da
ogni altro penfiero
hf.no l'ani mo
libero, & nonio,prudemiflìir:i,& giudiziofìrTimi Ac
cademici Se Vditori ,
il quale negli
ftudij di Ariitotele,
& di Platone
iòno tutto occupato
à publica vtilità
& nel la
cura ditanta mia
famiglia, ricercandoli alla
fpècola- zione delle
cole , &
al dire acconciamente
ozio, & tran-
quillità d'animo, con tutto
ciò io fon
tanto obliato al
Magnifico Sig. Confolo ,
& à M.
Giouambatiitaiuo fratello,
che io
non ho potuto
mancare di non
nlalire dopo molti
& molti anni
in quello cosi
degno luogo per
fatis- fare per
quanto io potrò
a loro Signorie, & a
voi altri no-
rbili:ìimi,&
gentikiliiru Accademici,
& Vditori>& perche
io non pollo
piacerai con la
grazia del dire
per non ne
fa re io
proiezione, ne con
la fufHzienza della
dottrina per le
molte Se molte
occupa/ ioni, &
perturbazioni, ho pen-
iamo di compiacerui con
la nobiltà, & grandezza
del log- getto,
del quale io
ragionerò,che tiranno l'Idee
delle co le,
che (I contengono
nella mente di
Dio, & le
grazie, & le
bellezze di M.
Laura : onde infìeme s'harà
più prò fon
da, & più
chiara intelligenza di
quel dottiiìirno ,
& gra- 2 iofilfimo Sonetto del
noiiro M .
Francefco Petrarca, il
cui principio e
queito . „
in qualparte del Cielo,
in qual idea
0J Era l'esempio
, onde natura
tolfe 0, Quel
bel yifo leggiadro
: in cWella
x>lfe 3J Mostrar
quaggiù , quanto lifiùpotea
t Preconi Magnanimo
Sig. Cordolo , &
voi nobili/Timi Accademici
& Vditori , che
vi degnate predarmi
grata ydienza più
perche cosi conuiene
alla dignità del
iogget to,che ènobilifiìmo,&:alloiplendore dell
animo volito, che
è di gradire
le cole alte
& diuine, che
per alcuna mia
iurfizienza di dottrina,
& che per
alcuna mia grazia
di parole. Per precedere
con più facilità, & con
più ordinc,io «Huiderò
tutto quello mio
ragionamento in tre
parti; nel la
nrima delle quali
fi disputerà ,
& determinerà delle
Idee, poiché in quello
Sonetto il Poeta
cene dà occafio-
nemeila feconda per
la medefima ragione
decorrerò del le
bellerze di M.
Laura ; quanto
pero fa all'intelligenza di
quello Sonetto ;
nella terza &
vltima ( urline
che tut- to quello,
che da me
fi farà detto
delle Idee,& deila
bel- lezza di queib
donna fi conofea
elfere, non folo
di pare- re de'
più gran Filolòfi,
quali fono flati
Platone , &
Ari- stotile : ma
ancora di eiYo
M.Francefco Petrarcaa del
qua le voi
fiate cotanto ftudiofi,
& il quale
cotanto vi e
grato quanto ei
merita per il
ilio graziofiiìimo poema
di eifere letto
& vdito )
10 efporrò alcune
parole deltcfìo,& mo-
flrerrò l'arti^ io,
che quefto Poetatiene
in ragionare deH'Ic[ee,& della
bellezza della (uà
donna, & muouerò,
& feiorrò alcune
dubita'/ ioni . col faucre
dunque di co-
lui; il quale è
la vera iàpicn:?a,& la
prima verità darò
ho- ra mai
principio à quanto
io ho propoflo
di dire .
Intorno al primo
punto deiridee,toccheròbre* «ementc
tre capi, il
primo farà lo
efporre con efempi
quello, che fi unifichino
qtieiìe voci Idee,
efempi, fpezie, &
vnmerfali , che precedono
la moltitudine de
partico- lari . il
fiondo le lì
danno l'Idee, ò
nò; poiché Arifloti-
le in tanti
luoghi cerca di
leuarle via ,
& Platone le
con- cerìe quafi in
ogni libro delle
lue opere, &
queito noiiro Poeca.
lMtimo capo farà
di quante &
quali cole fi
ritro- uinoi'jdee: da
quali tre punti
farà facil cola
raccorrc quelle ch'elle
fi Mano. Quanto
al ^r imo la cognizione
d'vna cofa in
quanto ella Terne
per immagine e
farne vn'altra, ò
à giudicare fé
è ben tarta;&
ad intenderla à
punto, fi domanda
elèmpio & modello
& Idea,come quel
ritratto, che ha nella
men- te vn'irtcfice d'vno
artihzioio, e mirabile
palagio glifer ne
à Hrne cosi
bene vno, &
molti & molti
: & à
giudica- re i hUXi
ic iòno con
tutte le regole
dell' arte fabbricati
ò nò, io
Lezzione nò , &
quanto e' vi
fi accollino :
quefti medcfimi efèmpl
in quanto e1
rapprefentono le forme,
che danno lo
effcre fpeziale al
foggetto,nel quale le
fi riceuono, come
le for me
nella materia fenfibile
& corporale fi
chiamano fpe* zie
& forme .
quefti fteiTì modelli ,
& quefte fteffe
noti* zie delle
colè in quato
le Tono vniuerfàli
di più cofe
par ticolari,& di
nature vniuerfàli, che
ne particolari fi
ritro nano, &
fono come cagioni
di quefte precedédole
di pre cedenza
di natura,come dell'eterne
fecondo i Filofofi,
ò ancora di
tempo , come delle
cofe temporali , &
nuoue» anzi l'Idee
, & di
precedenza di natura ,
& di tempo
fon prima di
qua! fi voglia
creatura, attefo che
quelle fon sé-
piterne,& ciò che
è fuori della
diuina effenza di
buono è flato
creato di nuouo
quado cominciò iltempo,&
in que ila
maniera le fi
domadono da Greci uniuerfàli innanzi
a molti particolari ,
come il modello
nell'animo dello Scultore
d' vna ftatua, ad
efempio del qual
ritratto molte &
molte fimiglianti ftatue
fi poflbn fare .
E ben vero,che
il modello delh artefici, ò
vero Idea , &
quello , che da
Platone,& da Ariftotile
fi concede in
Dio, & in
vn certo modo
ancora nel Cielo,
fono tra loro
differenti; perche l'Idea
dello artefice è
prima prela dalle
cofe ben fatte
da altri, come
ancoraridea,&
l'immagine, che riluce
nello specchio ,
mercè della cofa ,
che glie dauanti .
ma l'ldea> che è in
Dio & nel
Ciclo precede alle
cofe,& è caulà
del le cofe,che
d fanno: dipoi
l'ldea,che è nello
arteficemon è fempiterna
non durando fempre
l'artefice , ma
fi bene quella ,
che é in
Dio & nel
Cielo foftanze incorrottibili éc
eterne . finalmente l'Idea,
ò notizia ,
che ha l'artefice
«Iella cofa ha due modi
d'eflère,vno vniuerfale nell'ime!
letto poffibile , &
l'altro particolare nel
fènfo di dentro
: il Pittore
efempigrazia ha nell'intelletto l'Idea
in vni- uerlàle
di donna graziofiflima , &
nella fantafia di
riele- tta , di
Laura , ò di
qualche altra limile
: il Filofofo
natu- rale ha qucfto
concetto dell'Intorno nell'intelletto ,
che fa animale
ragioneuole & mortale
quanto al corpo,
& lo info
Inferiori potenze, &
immortale quanto alta
mente,© ve- ro ragione
, & nel
fenfo di dentro
, quando epji
applica quefto concetto
à Socrate,ò a
Platone , ò à
qualcun'uitro particolare :
come (ì caua
da Ariftotile nel
terzo dell'ani ma ,
& nel principio
del primo libro
dell'aite del dimo-
ftrare. fecondo l'ordine di
natura le notme
vniueriàli precedono le
particolarità fecondo l'ordine
dei noftro imparare
fi fono ritrouate
l'arti, Se le
fcicn7C dalla cogni-
zione de' particolari di
qui peruenendo alla
cognizione vniuerfale :
come c'infegna il
Filolòfo nel primo
libro della Metafifica,
ò vero lì
può dire,che i
concetti vniuer- Tali
precedono i particolari
in chi impara
l'artì,& le feien
re da altri, che
di elfe è
perito,& f ciéziato: &
poi gli efpe
rimenta nelle cofe
particolari , le quali
formano di loro
fteife ne' (enfi
i particolari concetti
: Ma rifpcrto
àgli in- uentori dell'arti ,
& delle feienze
, prima nafeono
i con* certi
particolari ne' fenfi ,
che gli apprendono
dalle cole come
particolari , poi fene
fanno gli vniuerfali
per opera dell'intelletto agente,
i quali rapprefentano
le nature vni
uerlali, che ne*
particolari fono nafeofte.
Ma ritornando alla
terza differenza, che
ètra l'Idee,che lono in
Dio, & quelle,
che fono nell'animo
delli artefici , &
de* Filofofi, &
delli feienziati :
quelle hanno in Dio
vn modo di
effe- re,che non
è ne vniuerfale
ne (ingoiare, come
in noi, non vniuerfale,perche con
la notizia vniuerlale
delle colè ftà
l'ignoranza de' particolari .
può efempigrazia {tare
ch'io fappia vniuerlàlmente, che
ognuno degli huomini
è atto a
ridere, & infierire
non fappia di
quelli, che fono
lonta- ni come in
Francia, ò in
Ilpagna , ò al
Perù , ò
altroue fé fono
atti à ridere,
perche io non
so fé fonohuomini
non gli hauendo
mai veduti , ne
vditi , come bene
dice ancora Ariftotile
nel primo capo
dell'arte del moftrare;
ma in Dio
non é lecito
porre ignoranza , ò
imperfezzio- tie alcuna,
non vi fono
ancora i concetti
particolari : per-
che quefti fono del
Iònio , che e
virtù materiale , &
cor- ruttibile , &
egli è immateriale
& eterno j
come confck sono
1 nolln Theologi ,
& come fi
di morirà dal
Filofofo nell'ottauo de"
principi) . reità dunque
cheridec,& con certi
delle colè (lana
in Dio in
vn terzo modo
più perret to,
& tanto eccellente,
che in noi,che
dall'intelletto no- terò non
fi può comprendere
, ne con
voce alcuna efpli-
care ad altri:
(è noi potcffimo
intendere come Dio intenda
le cole,
l'intelletto noftro farebbe
di tanta perfez-
ione di quanta è
l'intelletto di Dio,
come beniflìmo dif
fé il gran
Comentatore Auerroe nelle
lue difputazioni contro
ad Algazcle :
(blamente fi può
dare ad intendere
ofciramente con alcuni
efempi , vno de
quali è queilojfe
il fuoco ,
che è caldo
fecondo i Filolorì
naturali in otto
gradi i\ intenderle ,
intenderebbe inficine iè
clfere parti- cipato
fecondo tutti quelli
otto gradi da
chi fecondo vn
grado folojcomc l'acqua
tiepida, da chi
fecondo due gra
di,& cosi decorrendo
: Cosi Dio
intendendo fé, intende
ancora che la
(ùa natura è
partecipata da tutte
le creatu- re^ più
& meno, come
confeflbno le cole
ftelfe, & Ari-
stotile nel prime del
Cielo al 1. 1 00.&
Dante Aldighieri nel
principio del primo
canto del Paradifo
cosi dicédo •
„ La gloria
di colu'h che
tutto mttoue, „
Ver l\nit*erfo penetra
& njhlende it
In >na parte
più, armeno altrove.
Et quefto è Tefempio
del gran Comentatore
Auerroe. Tn'altro efempio
e de' Greci .
quelli volendo farci
com» prendere , come
Dio , il
quale e vna natura intellettuale
indiuifibile intenda infieme
le cofe fimilmente
indiuifi- bili,come lòn
gli Angioli, Si
le diuilìbili &
corporali, co- me fono
1 corpi celeih
, & tutte
l'altre di quaggiù
, fuori che
l'huomo > Se
cflò huomo ancora
che delfvna, &
del- l'altra natura participa,
per vn mei/.o
iòio, che e' la
ileifo natura lua
impartitale , ci danno
lo elèni pio
del punto di
mezzo del cerchio,
il quale è
vaio & indiuifibile,
& da ef
io denuano infinite
linee, & infiniti
punti , che le
termi- nano . Se
quello punto ò
vero centro fulfc
vna natura in*
tcUcuuaie,& fi ia:eiideiTe,mtcadereubc fimUmente
le ef ter caufà di
tutte le lince,
che da elio
deriuano,& de pun
ti che le
terminano: cosi Dio
a guifa di
quello punto in-
tendendo fc ftefio, donde
deriuano tutte le
creature così diuifibili
come indiuifibili,& noi
iteflì, che partici
piamo della condizione
& di quefre
& di quelle,tutte
le inten- de &
conolce , &
cosi noi fteiTì
; è ben
vero, che il
punto è con
la quantità, &
hi fito, ma
Dio è foftanza
& lepara- to
dal (ito &
da luogo,(e bene
e per tutto
come fino a
più eccellenti Filoiòh"
confeflono come prima
vnità , donde
è nata ogni
moltitudine, & quefto
fi caua da
Platone nel Par.
come prima forma,
vltimo fine ,
& primo principio
produmuo del tutto, e
tutto quello ancora
ccnfefta il me
defimo Fiìofofo, parte
nel Timeo ,
& parte nelle
lue let- cere,&
A riftotelc ancora nel
primo del Cielo,
nell'otta- 110 de'
principij,S: nel 1 2
della Metafifìca j
ancora Dio è
per tutto come
ottimo Rè dell'Vnii.erfo ,
il quale regge
& gouerna col marauielioio ordine
, che egli
ha di tutte
le cole dentro
di fé .
Et qui èdaauuertire,
che le bene
Dio fi aììbmiglia
al punto del
circulo , donde
deriuano tutte le
creature vgualmenre &
immediatamente: non pero
tutte lono di
vguaie bontà, & perfettione
dotate, ma quali più
& quali meno
ne participano ,
affine che fra
lo- ro fufle cosi
marauigliolo ordine, che fa allo
ctfere,& al- la bellezza
dell' Vniuer(o,&
iteftimonianza dellaDiui- na Sapienza, l'vfizio
della quale è dare ordine,
& mifura a
tutte le cole ,
& ferue per
il cala ad
alzare con la
cognizione il noftro intelletto
di grado in
grado fino a
quelli, il quale
e l'alta cagion
prima, & cosi co
l'amore . dal qual
amore , ne
furge in noi ogni atto
piufto & retto
concor- rendoci però la
Diuina grazia infieme
con la fede
con la Speranza
& con la
carità, & con l'altre
virtù, & doni : cosi
ancora non efiendo tutte
le creature vgualmente
buone, non fono
ancora con vguaie
amore in vn
certo modo a-
mate, & dico
in vn certo
modo : perche
quanto allo atto
dell'amare. cosi come Dio
èin£nito,così co infinito
amo» re tutte
l'ama: ma quato
a beni che
vuole & che
dà à eia-
fami 14 Lezzione fcuna
non già ;
ma à qual
più , &
a qual meno
ò men de-
gni : fecondo che
le cóuiene loro,&
parlando degli huo-
mini giufti,& che
(ì faluano,qucfti nell'altra
vita tutti faranno felici &
beati in Dio,
tra gli Angioli ,
& in sempiterno ,
ma non con
vgtial mifura intenderanno , &
gode- ranno la Diuina
Verità, & Bontà, ma
quegli più ,
che più di
qua haranno offeruato
ifuoi fanti comandamenti
con fauore della
grazia & quegli
meno,che meno,come fi
co uiene alla
Diuina giuftitia, &
quefte fono quei
molti luo ghi
ò> molte manfìoni ,
che fono nella
cafa del celcfte
pa- 3re,come dirle
il vero Maeftro
della verità Chrifto
Gie- «ù infìeme
Dio & huomo
, & quello
ci lignificò Paulo
Apoftolo quando ei
diflc , che fi
come le ftelle
in cielo fon
differenti di chiarezza,
& di fplendore,
cosi faranno i
giufti in cielo .
Più oltre ancora
è da fàpere,che
tutte le creature
qua- tto furon prodotte
per creatione di
niente , furon
fatte da Dio
folo , & immediate
: ma poi
quelle di quaggiù si
conferuano per fuccefTione
di nuoui particolari,
concor- rendoci ancora i
cieli,& le cagioni
di quaggiù, perche
la D.Bontà,come ha
farte partecipi le
creature del bene,
& dello edere,
così ha volfuto,
che ancora elle
habbmo vir- tù di
dare lo eflere,&
qualche perfezzione ad
altri , per- che ci
feopriffe il suo amore
& i fuoi
tanti benefizij,6^fuf fimo
tanto più tenuti
di amarlo, &
di riuerirlo fòpra
ogni altra poteftà
: potrebbe Dio
egli folo produrre
ogni di delle
creature , & conlèruar
le fpezie lènza
l'aiuto delle caule
feconde , come
ci le creò
; ma per
le cagioni dette
non volle: ne per quefto
alcuna mutazione ònouitàfì
pone in Dio:
perche egli le
creò quando ab
eterno ei propofè
di crearle,c cosiauuerrebbe fè'ne
creafle di nuo uo,& come
accade dell'anime humane.
Platonc,& Ari- stotile pongano la
creazione deH'Vniueriò , ma
ab eter- no, come
Simplicio & San
Tommafò attribuirono loro;
& come è
forza di dire
volendo parlare conforme
ad al- luce loro
autorità, come altrouc
io ho dimoftro.il
terz» & vltìmo
efempio è de*
Latini, i quali
hano voluto efpor
ci l'vnità dell'Idea
, & la
fomma Tua eccellenza
inficme, & il
loro efempio è
d'vno feudo d'oro
, & di vna gioia
di grà valutarquefto
fcudo,poniamo per cafò,
vale cèto era
zie , &
la ^ioia vn
milione di feudi,
fé quefto feudo
s'intenderle intenderebbe
infìeme fé valere
cento crazic :
& così le
intenderebbe per mezzo
della fua natura ,
& non per
concetti di argento, & di
crazie: così fé la gioia
fé co- nofcefle,conof cerebbe
quel milione di
feudi: ma non
per la natura
dell'oro,ò dell'argéto,ne per
la figura delli
leu* di,ò delle
crazie,ò d'altra moneta
. Iddio è
vno feudo ò
vna gioia* che
racchiude in fé
lo eflere,& la
perfezzione di tutte
le creature ,
& più in
infinito , ma
fotto natura di
Deità, & così
le intende ,
& cosi in
vn modo quanto
allo effere di
infinità , quanto allo
intelletto creato è
incom- prenfibile ,
& quanto al
fignificarlo ad altri
è ineffabile: perche
come fi può
dare ad intédere
ad altri quello
, che per
noi non polliamo
capire, & quello,
che è infinito
co- me infinito è
incomprenfibile
dall'intelletto creato,
& fi- nito,&
Dio poiché produce
ogni cofa di
niente ( cosi
co me infinita
è la proporzione
tra il niente,
& quello ,
ch« è attualmente
) cosi è
d'infinita poteftà , non
folo quanto al
durar fempre :
ma ancora in
vigore . Sino
a qui penfcrò
, che da
voi gentiliflìmi (piriti
fi fia intelo
benifs. quello, che fignifìchino
qfte voci Idea,
vniucrfale innanzi a
molti particolari, & eséplari,fegue hora
che io vi
proui breuemente, che
l'Idee, & efemplari
del le cofe
fiano nella mente
di Dio; la
qual verità non
io- lamente è
confefTata da noftri
Theologi,che non poflbno
errare cauandola dalle
diurne fcritture, doue
fi dice, che
Dio è {àpientiiTimo,ottimo,omnipotentiffimo, &
che in- tende fino
i lègreti del
cuore : ma
ancora fi concede
da Platone, &
da Ariftotile Principi
dellhumana fapienza* Platone
nel Parmenide pone
nell'vno,& nel primo
ente l'Idee, le
quali participate &
imitate, fono cagioni
dello cflerc y
& delia moltitudine
delle cole :
nel Timeo pon*
due mondi , il mondo
efèmplare , che iòlo
con la mente
fi comprende da
noi : &
poi il ienfibile,
che fi conofee
an cora col
fenfò.Nel Conuito due
Venere vna intellettua-
le,che é ?ordine,&
la grazia,che refulta
dalla moltitudi- ne delle
Idee , l'altra
celefte , che confitte
nell'ordine di tutte
le creature del
Cielo , &
deirVniuerìo . Cosi
Ari- ftotile nel
primo della Metafifica
dice , che
la fapienzaé vna
cognizione di tutte
le cofe per le
prime cagioni , la
quale principalmente è
in Dio ,
& di Dio
: adunque lè-
condo il maeftro
ancora di coloro,chc
fanno, & che lòno
dotti nellhumana Filofòfia
le Idee , ò
notizie cji tutte
le cofe fono
in efio Dio
Principe deirVniuerib ;
nel deci- mo delfEthica
dimoftra come à
Dio ci aflò migliamo
propriamente nell'atto dell'intendere le
cole diuine , &
ipecolabilii come ancora
quefto medefimo ci
proua Alef fandro
Tuo eipofitore nel proemio Jbpra
il primo libro
della Priora,ò vero
de Sillogi (mi; e
nel duodecimo della Metafifica ci
infognano Ariftotile,& AleiTandro,cheil bene
defl'vniuerio è di
due maniere ,
come ancora il
be- ne dell'elercito de' foldati ,
l'vno e elio
Capitano degli eferciti,
nel quale ftà
principalmente il fine,
che è la
vit- toria, l'altro è
l'ordine fenfibile delle
file de' foldati,
che pende dall'ordine, che quel
Generale hi nell'animo:
co- ki Dio è
bene dell'Vniuerfo in
quato è quel
ente, & quel
bene, che è
amato & desiderato
(òpra ogni coià,&
di più l'ordine
intelligibile,che è nella
mente di Dio
di tutte le
creami e,dal quale pende
l'ordine ienfibile di
elle : Ecco
che fecondo Ariftotiie
ancora fa di
biiògno concedere l'Idee:
come ancora con
ragione fi può
dimoflrarc,e pri- ma fé
a Dio fi
niega l'atto dell'intendere atto
nobilifli- mo, che
operazione più nobile
le gli può
attribuire? cer- to ninna
& così fari
in tutto oziolo:
come bene argo-
mentò quello gran Filoiòfo
nel decimo libro
dell'Etni- ca^ vero de'
coltami, & fé
egli non intende
tutte le codina folo
le ilcifojò le
più nobili,adunque egli
làprà me *«
di noi, che
se incendiamo di
molte & moke ,
come argomenta Ariitotile
contro ad Empedocle
di Girgenti, che voleua
che Dio non
intendere la difcordia,
& le cole
diicordan ti :
ma folo l'amicizia,
& le colè
concordi , oltre che
le fi concede ,
che Dio intenda
fc ftcflb, fa di bilògno
ancora che egli
intenda ih eflère
caufa dogri altra
cola da elfo
caufata,& dipendente, &
la curia, &
cioche pende da
eim fa , è
oppofto per relazione
; in guila
che chi ne
intende vno, intende ancora
l'altro . Adunque Dio
intendendo le fteflò
( come confeflbno
Annotile, & il fuo gran
Ce- mentatore Auerroe nel
duodecimo della iuaMetafifica
altefto ?i )
s'intende come caufa
vniuerlàle di tutte
le, cofe,che da
eflò procedono :
& cosi intende
ancor quel- le, &quefte notizie
ibno l'iftefle Idee ,
& ritratti delle
cofe . Finalmente fé
le cofe delTvniuerfo
Iòn ben goucr-
nate , &
per i debiti
mezzi al loro
debito fine condotte
, come fi
vede , & la
natura non intende
; adunque e
retta eia chi
le intédc,& quelli
ò è Dio,ò
colà fuperiore à
Dio, il che
non fi può
pure con l'animo
fingere, & penfàrc.
La D. M.
dunque intendendo le
cofe,& il bene
di ciafeu na,&
d quello indinzzandolc,come il
làettatore la làetta
alberzaglio non conofeiuto
da lei, le intende
ancora , & le
conofee benifiimo; di
qui portiamo intendere,comc (b
no molto più
arroganti quei Filolòfi
; i quali
con le loro
fofifliche argomentazioni , &
perche e' non
iànno rilòl- uere
alcune obiezioni,ardifcano didire,cheDio
non in- tende (è
non fé ltefib,
& che ei
regge, & gouerna
tutte le altre
colè come la
natura lènza intenderle
: di qui
dico polliamo conofeere ,
che quefti tali
fono molto più
arro- gacene non furono
quelli huomini così
grandi & di
cor pò &
d'animo, che ardirono
mettendo monte (opra
mon te di
prendere il Cielo:
però che quefti
così facendo fi
penfàuano arriuare à
celefti corpi :
ma quelli più
su pen- landò
di peruenire fino à Dio,
lo priuono dell'intelligen la
delle colè .
Chi dunque bene
& fottilmcnte confide-
rà le autorità,& le
ragioni non folo
di Platone, ma
anco- ra quclle,che fi
cauano da AriAoulc,è
forzato di confcf-
B fare, u 8 Lezzione Tare,
che le Idee
& notizie delle
cofe fiano veramente
in Dio :
& ie bene
cucilo filofofo in
tanti & tanti
luoghi, Se della
Logica, & dell'Ethica, & della
Filosbfia naturale, &
della Metafisica s'ingegna
di leuarle via ,
inoltrando che le
non fanno ne
alla produzione delle
cole in alcun
ge- nere di caule,ne
alla cognizione, & nel
duodecimo della Metafifica
fi dice , che
Dio non intende
fé non le
itefTò : perche
la liia faenza
farebbe vile ,
(e ancora fi
cftendeife all'altre cole,
le quali rilpetto
a lui fon
molto vili, &
im- perfette : oltre
che fé tante,
& tante notizie
follerò nel ilio
intelletto, come le
fono nel noftro,e
non farebbe firn
pliciffuno atto ne
pura foftanza, ma
vn comporto d'intel-
letto, & di forme
intelligibili, & cosi
non farebbe vgual-
mente perfettiflìmo ,
perche la natura
intellettuale in lui
harebbe ragione-di potenza,
& le forme
di atti,& perfez.
7Ìoni : accioche
non legnino cotah
incouenienti per non
dire impietà, & à
fine (ì parli
conforme ad Arili
otele,chc -vuole 3
che in Dio
fia laiapienza , &
feienza del tutto,
fi dee dire,chc
quando egli niega
l'Idee, le mega
nel fen Co
cattino & fallo
: nel quale
l'erano intelc da
molti : co- me
bene di
ciò ciauuertilcono i
Greci efpofitori : ma quelli
dunque i quali
penlano , che
l'Idee fiano agenti
immediati urincipali,& fuori
delFeifenza diuina,s'ingan nono
non eifendo congiunte
con materia , nella
quale lì fondano
le qualità fenfibili ,
con le quali
gli agenti natu-
rali alterano 1 pazienti:
ma bene l'Idee
in Dio fono
agen ti , che
indirizzono le cagioni
naturali al bene-,
& retta- mente adoperare; cosi
chi penfa , che
l'Idee eiìendo for-
me ieparate fiano Felfenza
formale intrinseca delle
colè> che fono
fuori di Dio
prende grande errore
: ma non
già quelli , il
quale crede ,
che quelle forme,
che hanno vno
efiere formale diftinto,
& multiplice, dipenda
da quelle, che
hanno l'eHerc vnito
nella diuina Eifenza,
& che fia-
no multiplicate folo virtualmente
, come di
fopra da me fi
è efpoito . E'
ancora falfo il
penfare , che l'Idee
fiano cagioni finali ,
che terminino le
generazioni delle colè
: attefo 1,9
attefò che cotali
fini s'acquiftono di
nuouo, & no
prece- dono la generazione, ma fon
fini per cóformità
in quan- to i
fini , à quali
terminano le generazioni
fi confermano con
quelli del mondo
ideale , & intelligibile
. in vltimo
quando fi diccua,che
Videe non feruono
a conolcerc , &
intendere le cofe,
perche noi le
intendiamo,apprenden- do le
fimilitudini da effe
per via de'ièntimcnti , &
dello intelletto .
fi dee dire ,
che quefto argomento
folo con- chiude/che nel noftro
intelletto porTibile nò
fiano le no-
tizie delle cole ,
dì maniera ,
che il noftro
fàpere fia vn
ricordarfi come penfauano
i Platonici , percioche
l'ani- me noftre fono
come tauole non
iicritte, & libri
no ilcrit ti,doue'ii
può fcriuere ogni
cognizione , perche fiamo
nello flato doue
fi va dalla
imperfezzione alla perfez-
zione , come dal
non potere generare
al potere, dal
non làpere al
fapere : ma
il primo huomo
Adamo cosi come
ei fu creato
perfetto quanto al
corpo , che
poteua lubito generare
delh altri, così
fu creato perfetto
quanto all'ani ma,
& gli furono
infufe da Dio
le notizie , &
le fpetie di
tutte le colè
quanto baftaua , acciò
potetfe ammaestrare gli
altri,& perciò potette
porre il nome
conueniente an- cora à
tutte , come fi
dice da Mosé
nel Genefi ,
& tutto quefto
conlèntono i Theologi,come
SanTommafo nel* la
prima parte delia
Somma alla dift.^.art^ .
Non lì nie ga dunque,
che le Idee
non fiano in
qualche modo in Dio :
anzi è neceifario
che le vi
fiano : come
da me fi
è dimoftro , &
fé in Dio
è la làpienza ,
& cognizione delle
colè per la
notizia di fé
fteifo,che è la
prima cagionc,co- me
Ariftotile confeifa nel
primo della Metafifica,
&altroue Platone nel
Timeo,& in molti
altri luoghi. Et
qua do i
Peripatetici opponendoli à
quefta fermiiììma &
im- portatiilìma verità
dicono, che Dio
fi auuilirebbe fé
egli ìntendelie altro,
che le ftcilo.
fi dee rifponderc,chc Ari-
ftotile per quefto argomento
nò niega in
tutto & per
tut- to la cognizione
dell'altre cole da
Dio, come li
è proua- to,
ma la niega
in quel modo,
che ella è
in noi , &
che la h
z pòtrebbe concernere
in Dio qualche
imperfezzionCjCO* me auuerrebbe
feUio nello intendere
dipcndelfc dalle cof. ,
che fono fuori
di lui, &
da effe apprenderle
le noti- zie ci
oselle , à guifa
che facciamo noi
3 anzi la
Icienza di Dio,
tra Faltrc differenze
ha ancora quella
per la qua-
le ella fi diftingue
dalla noìtra :
perche la iiia
è caufa del-
le cofe, & la
noitra da elle
è cagionata come
beniifimo ci in'ccnail
gran Comentatorc nel
duodecimo libro della
Mctarifica j ci
quella altiflìma verità
non meno è
confor- me alla condizione
dell'intelletto diuino ,
che ella (I
fìa ad Àriftptile ,
& à Piatene
, i quali
tra tutti i
filosofanti tengono il
preircìpatò: e dico
conforme alla condizione
di Dio l'intendere
per vn mezzo
interno,che è la
fua di- luna efTenza,
perche al primo, &
diuino intelletto, come
atto puriffimo, &
mafTimamcnte non (è
gli conuicne rice
i-er le fpcv-ìc
da akri,ne hauerle
in fé fteife
multiplicate : ma
all'intelletto noftro come
pura potenza, &
come con giunto
à materia corporale
a ragione conaicne
l'inten- dei per
le fpezie &
fimiglianze, riceuute da
diuerfe co- le ,
& riformate dall'intelletto agente
. cosi ancora
l'in— tendono quégli
due gran Fìiofofì ,
come di (opra
fi è di-
pioftrato di Dio,&
come del modo
del noftro intendere
£ d.J chiara
e fi tocca
da Platone nel
Filebo, doue ei dice,
che l'anima npfìra
è come vn
libro non ifcritto,& che
gli fcrittori fono i fenfì,&
nel fettimo della
republica con lo
elèmpio di collii,
che è legato
in vna fpelonca
in guiia che
non vede (è
non le fimilitudini , &
l'ombre delle co-
lè, & noi fiiiolto
le feorge chiariiTimamente, ci
monVa co ipe
1 miprrip dalla
notivia delle colè
di quaggiù s'alzi
al- la cognizione delie
cofe diuine ,
& da Ariitotile
nel ter- io
dell'anima: deueper
viade'fenfi , &
rer virtù dello intellètto
agente li efpone
come noi intendiamo
tutte le cofe,
& nel icttimo
della Metallica fi
rende ragione, per
rodotte,come determinano beniflìmo i
Theolo-- i,& tré' B
j ° gli
21 Lezzione tefo
che per quello,
che è diritto,
& retto ,
fi giudica del
torto,&nóalcótrario,comedice
Arift.nel 1. dell'anima. Più
oltre molti &
molti affermano che
in Dio ncn
fo- no i ritratti
degli effetti carnali
& fortuiti :
perche cfuefti non
procedono le non
da cagioni indcterminate,& di ra «lo,
& la feienza
è di quelle
cole, che dipendono
dalle lo ro
proprie cagioni &
tèmpre; & fé
ciò è vero
della faen- za noftra
quanto più della
feienza diuina . Ma
quefti fi ingannano
prefupponendo in pnma,cherifpetto a
Dio G. dia
la fortuna &
il cafo , &
gli effetti fortuiti
: attefo che
Pio intende ogni
colà, & rilpetto
a lui quefti
effetti pro- cedono da
cagioni certe, ma
R bene a
noi incerte, &
oc- culte, $c fon
«épre nelle loro
caufe,come Jccliffe del
So» . le, Del
Verino. 2$ le;&
della Luna nelle
loro . Si
penlàno ancora molti
de* Platonici, che nella
D.Sapiéza nò (ìano
i modelli di
quel le colè,
che naicono di
putrcfaz.ione,comc
efèmpiprazia de' vermi,
si perch'eglino no
pelano che in
Dio {ìano i
ri tratti delle
colè vili, si ancora
perche e'fi dano
ad intéde- re, che
cosi fatte cole
nò fi riduchino
fotto l'ordine elsé-
tiale delle creature
: & nódimeno
più dalla produzzione
di cosi fatte
cole per virtù
de' lumi, &
del calore celefte
proporzionato ììamo indotti
à venire in
quella credè? a, che
in Dio fiano
Y Idee ,
che per l'altre
cole , perche
elio folo sa
quitti gradi di
calore bilògna alla
loro generazio- ne^ formazione, nò
altramente che l'eccellente
fabbro sàquato caldo
dee elfere il
ferro per introdurui
qualche forma,& per
farne qualche colà,
come confella il
grà Co mét.Auerroe:& pili
oltre participàdo quelle
colè di qual
che forma, &
la forma è
vn certo bene
& certa perfezzio
ne della materia,con1e
C\ dice nel
i.lib.de'princ.all'Si.t.
& mercè di
lei la materia
diuenta qualche cola
lpeziale ; per
qfte cagioni io
mi pélo, che le bene
le lìano vili
qua- to alla
materia, che le
siano però di
qualche perfezzionc quato
alla forma, &
pche fon buone
a qualche colà, no
ci' sedo da
Dio,e dalla natura
fatta colà alcuna
i damo, ma
à qualche fine,&
a qualche vtilità:
Et fé pur
alcun voglia te
nerc,che ciò che
fi genera p
putrefazione non fia dell'or dine
efséziale delle colè
deH'vniuerib, ne di
elle fiano le
Idee in Dio, nò
perciò legue, che
nò l'intenda per
l'Idee di'qlle fpezie
più rimili, & che
fono dell'ordine elséziale
del Modo, quale
di quefte due
rifpoile fia nò
lòio più co
forme alla dottrina
de' più eccell.
Filoforanti, ma ancora
(& qfto impòrta
all'honore della D.M.&
alla làlute nra)
io mene rimetto
in quello, &
in ogni altra
cola da me
pé fata,detta,ò fcntta,à
più giudiziofi,e lbpra
tutto à quello,
che netiene,e determina
la S.M.Chiela Cat.Ap.&
Rom. Più oltre
della materia prima
non e dicono
alcuni Idea» non
eiìèndo ella forma,ne
di lùa natura
colà formata, mi
; Dio intendédo
le forine, infieme
intéde il loro
foggetto; . B 4 t'iwls
24 Lezziome finalmente
de* generi delle
cofe non fi
pone diftinta Idea
> confiderata come
elèmpio dall'Idea delle
fpczie : non
fi ritrouando mai
i generi fuori
delle lorofpezie. Da
tutto cjuello , che
da me C\
è ragionato dell'Idee
fi può raccorre
quello , che le
fiano , dicendo , che
le non iòno
altro, che la
ilella divina efienza
non alfolutamett- te, ma in
quanto le fono
fimilitudini , ò ragioni
delie Tue creature ,
& come quella ,
che è partecipata
da efle lotto
diuerfi gradi di
più , ò
meno perfezione , mercè
ancora delle quali
di tutte le
cole ne ha
ottima prouidenza. Puoflì
ancora quella dirHnizione
dell'Idee con quella
ra gione procedente
per diu ifione
cosi ritronare,& confer-
mare, argomentando in quella
maniera . O Dio
intende le cole,
che fono fuori
della lua diuina
eilen7a,ò nò. non
fi può dire,
che non l'intenda,
perche egli intende
le ilef lo,
& cosi fc
eifere caula d'ogni
cola,adunquc egli inten-
de ancora ciò che
è fuori di lui
. il
dire, che non
intenda aflblutamente,
farebbe non folo
fomma impietà , ma
an- cora vna delle
maggiori bugie,che fi
poteife dire, perche
qual più eccellente
operazione Te gli
può attribuire, che
lo intendere ?
più oltre le
Dio produce le cofe bene ,
Se bene le
regge,& gouerna; adunque
ancora l'intende , al-
tramente da vn'intelletto liiperiore
iàrebbe retto &
gui- dato, come gli
linimenti dallo artefice,
che sà,& incende
quello ch'ei fa
con eifi,& eglino
nò : e
dunque colà chia»
ra & fermiilìma
verità,che Dio intende,
& non lolamuc
le fteflb,ma ancora
l'altre cofe,ch'egh produce,
& gouer na,e
di più quelle,che
nò ha prodotte,& polche
Dio l'in fède,
e conofce,ò e'
fa quello p
vn mezzo chefia
fuori di le
fteflo,ò che fia in lui .
fé fuori di
le follò, ò
le fono for me co
la materia, parlando
delle cole matenali,ò
le lòno fpezie,&
fimilitudini attratte dalla
materia, no è
ragione noie dire ,
che in alcuno
di qfti modi
Dio le intéda
si per che'I
Tuo lapere dipéderebbe
dalle cole come
il noflro,6c no
farebbe in tutto
perfetto, si ancora
poi in particolare
, perche le
egli incédeife le
forme, come difterici
nella ma «cri*
2f tenia
ad ette voltandola,
no farebbe proportione
tra il fuo
irttelletto,che è atto
puro,& le forme
materiali . noi an-
cora non conofciamo le
cole fé non
per mezzo delle
fpe zie attratte
dalla materia &
fpiritali, come fono
i Icnfi,& molto
piti l'intelletto, fi. vilmente
non lì dee
credercene Dio intenda
le forme materiali
per le fpczie
attratte dal- la materia,
& dalle fiic
condizioni , perche ò le lòno
tali per opera
dell'intelletto adente, &
cosi lopraDiobiìò- gnerebbe
porre vn piu
nobile intelletto, che
lo reduceffe dalla
potenza dello intendere ,
& del lapere
allo atto , &
la dia fcicn7a
non farebbe fempiterna,
ma nuoua, ò
vera- mente quefte forme
aitratte,5: fuori di
Dio,fòno di loro
natura tari, *: cosi
Dio nello intendere
dependerebbe da altri ,
& non farebbe
perfetti/fimo : in
niun modo adun-
que Dio intende le
cole per il
mezzo che fia
fuori di lui.
Kefta che lì
vegga come ei
le conofea per
vn mezzo, che
fia dentro di
lui ; dico
adunque che ò
que^e ìono le
for- me,& le
fyezie delle cole,ò
elfa diuina elfcnza,
fé le fpc-
zie delle colè,
ò con la
materia , & cosi
egli farebbe ma-
teriale, Se non in
tu ito ottimo,
& pur: filmo
atto ,ò lènza
materia come le
immagini fono nello
fpecchio , il quale
fé fulfe natura
intelligente per effe
intenderebbe le cole,
che iono fuori
di lui;m quello
modo ancora non
è da di-
re,che Dio intenda
le creature :
però che egli
non fareb- be atto
purilTimo , ma vn
comporto della natura
intellet- tuale,come potenza
& di effe
forme,come atti, fìmilmen
te non farebbe
in tutto ottimo,
& perfettiilìmo :
perciò fi dee
conchiudere, che Dio
intenda tutte ie
cofè,che lbno fuori
di lui per
la fùa diuina
clfenza,& non per
effa come infmìta:perche cosi
intende le iìefio,
il quale è
inrmito,fic le creature
fono finite; &
quale più &
quai1 meno parti-
cipa dello efferc,
& della perfezzione:
adunque l'Idee in
Dio non fono
altro, che eflà
diuina ellènza,come rap-
prefentatrici al D.
intelletto delle creature,
& fecondo che
ne partecipano più
ò meno. AgoiHno
Santo nelli- %ro
dcÙ'otcStatre ouiitioni alla
quiitione 46 le
dirHnifcf CQH LEZZIONE cosi
dicendo,che le fono
certe fornicò rigioni
ftabili,& v
fempiterne,& no fono
formate,& fi contengono
nella di .
ulna intelligenza, & che
le h di
ino lo prona
cosi, perche .
il Creatore con
retta ragione fa
le cofe,& co
altra l'huo- mo,&
con altra il
cauallo : &
che le non
pollino effer fuo
ri del Creatore
è manifefto , dice ,
perche fuori di
lui ei . non
cótéplaua cofa alcuna. L'Angelico Dottore
S.Tom- mafo d'Aquino,
la cui dottrina
è cotanto reale,
ficura, & fanta,
ancor egli nella
prima parte della
Soma alla q. 1
5. tiene,che glie
ncceflario porre l'Idee
nella méte diuina
: che le
fono più, &
che le non
fono altro, che
ella Diuina cifenz.a
non allolutamente confiderata :
ma in quanto
è efempio , &
ragione delle cole
create da Dio
> 6 che pòtrebbe creare .
Speditomi nella prima
parte, dal ragionamento
dell'Idee, leguita hora,che
in quella feconda
io difeorra alquanto
delle bellezze di M. Laura,
quanto però appar-
tiene all'intelligenza di quefto
Sonetto , doue
fa di bifo-
gno primieramente intendere,quello che
fi fia la
bellez- , fca,
dipoi di quante
fpezie,& terzo in
quello, che le
con- uenghino tra
loro , & in
quello che le
fiano differenti . Quanto
al primo punto
la bellezza non
è altro ,
che vna certa
proporzione & grazia, che
reliilta da più
cofe,onde per il
contrario le colè
brutte fon tutte
quelle , che fono
fproporzionate nelle loro
parti,& condizioni,& fenza
al cunagrazia.-quetta difHnizione
è più prelto
pre(a da prin
cipij interni iolamente,
de quali ella
è compofta, che
al- tramente, come fono
in cambio di
forma proporzione &
grazia,& in cabio
di materia più
parti, ò più
condizioni : legno di
ciò che vna
colà fola ,
come vn'elemento non
fi domanda bello .
Puollì ancora difKnire
la bellezza più
perfettamente dicendo,che ella
è vn fiore,
& vna grazia,
ò fplendpre.di più
bontà,& perfezzioni vnite,
che è arde
tifììmaméte difiderata. dicefi
fiore,grazia,& (plédore per
4i^inguerl4 dal iuo
eontiario,,chc. e la
bruttezza composta di
più perfezzioni defettiuc
vnitc , ma {proporziona-
te, & difcordanti . Più
oltre fi aggiugnc
in più bontà
, perche come
fi é detto
vna colà in
tutto femplice,& come
fcmplice confi- derata
non fi domanda
bella, ancora che
come partecipe della
forma Tua iemplice
fia buona,come fi
è'dato l'efem- pio
d'vno elemento. Terzo
ho detto ardentiflìmamente difidcrata,
perche cosi ancora
la bellezza Ci
diilingue dal bene
come bene, che
none cotanto amato
& difiderato, &
quando pure alcuna
forte di bene
fia troppo amato,
co . roc
dagli auari fono
le ricchezze, dagli
ambiziofi gli ho-
nori , dal vulgo
i piaceri del
fenfo, & che
Ci dice e'
ne fo- no innamorati , quefto
auuiene per certa
fimilitudine di ecceiliuo
amore . di
qui fi poflbn
cauare le ragioni di
al- cune òccultilìime verità
. Tvnaè, che
la materia prima
perche e lòftanza
femplice , &
non è buona,
non eflendo •
forma,ma lbggetto atto à riccuere
le forme non
è bella, ne
brutta, & fi dee
dire propriamente non
bella,& nò buo
na,& quella medefima
cófideratacome informata di
tut- te le forme
séza ordine, & proporzione
è buona: ma
bruì ta, &
come informata delle
forme con ordine
& propor. 7ione
é beila &
buona . l'altra
nafeoià verità è
, che Dio perche è
Comma bontà, &
perche con iòmma ,
& infinita proporzione
& graziale contiene
tutte in vn
modo per- fettiflimo
, perciò è
la fomma, & infinita
bellezza,& me- rita di
eflere amato con
ardentifììmo , & infinito
amore, 6 Ce
gli amanti delle
terrene & create
bellezze fentono marauigliofi
diletti lenza alcuno
difpiacere quando le
ri mirano come
e3 vogliono :
quanto più lenza
coinpara- 7 ione
ne fentono delimcreata,& diurna
bellezza gli An
gipli sii in
Cielo , & l'anime
beate in eflètto ,
& quaggiù ì
giufti & gli
eletti per ifperanza .
In vltimo fi
può aggiugnere alla
predetta difhnizione &
dire della bellezza
veduta : perciochc
fino à tanto
che la cofà
bella no è
veduta, ò con
l'occhio corporale, ò
eoo quello dell'anima,
eh e la
mente, niuno iène
innamora. OndeilnoftroM.
Francefco Petrarca quando
le bellez- ze della
ina donna gli
dauano di!piacere,fi doleua
d'ha- uerla guardata
dicendo . j, Occhi
pianate accompagnate il
core , Jt
Che divoftiofalltr morte
foftiene . E Cavalcanti
nella lua così
dotta,come ofeura Canzone
dell'amore dice, che
viene da veduta
forma, che s'intende.
Quanto al fecondo
punto, che era
delle fpezie dell'ai
more quante &
quali le fìano .
fé vogliamo feguire
il pa- rere di
M. Marsilio Ficini ,
il quale più
copioiamente, & più
fottilmente, chealcun'altro de'
Platonici , ha ragio-
nato d'Amore fopra Famorofo
Cóuito di Platone
fi dee dire,
che le fono
di tre maniere ,
vna dell'animo , qhe
fi conoicc con
la mente , l'altra
del corpo,che fi
feorge cori la
villa, & vna
delle voci, la
quale fi comprende
co l'vdi- to,ma
fé fi riguarda
à quello , che
fi è detto
dell'Idee , &
della bellezza con
Platone, & con Ariftotele di
fopra, & alle
parti principali dell'huomo,pare che
le bellezze fie-
ro folo di due
maniere, vna del
corpo, che fi
conofee col lenfo
della vifta>& con
l'occhio corporale; & l'altra
dello animOjche fi
contempla con l'occhio
dell'anima, che è la
méte.Ét volendo difendere
il noterò M. Marfilio
{pudo- re apprellb di
noi Latini della
Platonica Filofofia fi
può dire, che
la diuifione di
Platone nelle due
Venere, cioè nella
intelligibile,& nella lènfibile,
& le quali
in quanto (ì
confiderono
ncll'Vniuerfò,iòno da Ariitot'ile
chiamate ordine delle cofe
intelligibili in Dio,
& ordine ienfibi
le nelle ipezie
del mondo fuori
di Dio, fi
può dico dire*
che quclta diuifione
è prefa dalle
oppoite bellézze, atte-
(o che vna
è immateriale &
in Dio, raltrafcnfib;1e,& tuo
ri della diiiina
eiìenza,cos'i è preia
da due diuerie
poten- te, che fono
in noi, &
queite (òno l'intelletto
& il (enfo.
MailFicino via la
diuifione, & ibeto
diuifione infieme volendo dire
cosi che iàbellezza,
& mafiìmamente con-
Édérata neU'iiuomo>ò nella
donna, è ò
dell'animo folo, del
corpo lòlo, ò
dciranimo,& del corpo
infìeme : quale
è la bellezza,
& la grazia
delle voci, &
de1 gentili ragionamenti ; perciochc
in quanto concionano
all'orecchio &all'vdito corporale,
&con moto corporale
dell'aria, é bellezza
corporale, ma in
quanto a' gentili
concetti,c nobili affezzioni, Se disij, che
le fignifìcano,che fono
nell'animo, e bellezza interna
& dell'animo .
Puofli ancora dire,
che le bellezze
eflenziah del mondo
grande, & del
piccolo, che e
lhuomo, fono di
due maniere vna
intelli- gibile^ l'altra iènfibile
5 delle quali
quefta cosi è
fcala, & mezzo
à quella, come
il séfo ierue
nelle cófiderazioni all'intelletto . ma
per accidente poi,
perche all'intelletto in
noi non iolo
ièruc la vifta,ma
ancora rvdito,perciò an
cora ci fu
di bilbgno della
bellezza & grazia
delle voci 5
Et le alcuno
dicerie fefonoeuenzialmente di
due forti di
bellezze, ò di
Venere vna intclligibile,& l'altra
iènfi- bile : donde
nafce,che alcuni de*
maggiori Platonici pon
gono tre forti
d'Amori, vno beftiale,
che è il
defiderio grande, che moki
hanno di goder
la bellezza fenfibile
co diletto carnale
del tatto ;
l'altro humano col
quale dama la
medefima bellezza con
honeftà , ò per
dir meglio con
minore errore fermandoli
in efla; &
il terzo amore
è in- tellettuale & diuino
& perfetto , perche
termina alle di-
urne bellezze, le quali
iole co le
tre diuine perfòne
fono il vero
oggetto fruibile, parea
ragioneuole,che quanti io
no gli amori
tante fiano le
Venere,ò vero le
bellezze ei- iendo
queite cagioni dell'amore
. più oltre
fi può cerca-
re da qualche bello
ipirito , perche la
bellezza fi chiami
madre dell'amore ,
& non padre
? & perche
la fi chiami
col nome di
femmina, fendo cola
perfetta, & l'amore
col nome di
maftio, che è
imperfetto,& cógiunto con
la po- uertà,
ò mancamento. Al
primo dubbio fi
dee riipondcre,chc fecondo
i duoi oggetti
dell'amore eflenziali, che
fono la bellezza
f enfi- bile
& l'intelligibile, fono
ancora due amori
foli il ienfi-
biie,& l'intelligibile; ma
per accidente poi;perche
alcune ni hanno
dell'animale, & del
bruto feguédo i
piaceri del Ieri
lo : diquìé che
l'amor loro è
lènlùale , &
brutale in- fieme
. Al (econdo
dico ( rimettendomene a
più lottili, •&
à più intelligenti
) che la
bellezza fi domanda
madre & non
padre, & con
nome di femmina,&
non di maftio,
perche la bellezza
lenza l'amante atto
a innamorarli , &
lenza il dilcorrerui
intorno è cagione
imperfetta dell'amore, come la
femmina senza il maftio
non può ancor
el la generare,
ne le ftelle
fenza il Iole ,
Venendo hora al
terzo capo dico, che
la bellezza intelligibile, &
la fenfibi le
conuengono primieramente in
più condizioni, poiché tutte
e due lbn
grazie, fiori , &
fplendori, tutte e
due fo- no di
più perfezzioni,& in
pili forme, ò
beni fi fondano
, &noninvnfolo. Terzo
tutte e due
iòno oggetti di potenze
cognoicitrici, & quarto
fono difiderate di
amoro- {b, &
vehementilfimo difiderio .
Sono lecondariamente uuette
due Venere ò
bellezze tra loro
differenti primie- ramente perche vna
è di cofe
Ipiritali , l'altra corporali
: dipoi vna
fi comprende con
l'intelletto, Faitra col
fènfo . Terzo
vna ne guida
Tempre al bene
operare,che è l'intel
Iettuale bellezza, l'altra
talhora ne fa
cadere in rei
diade rij,& in
più fozzi fatti
per difetto però
di noi, &
queita è lalènfibile.
quarto l'intelligibile non
fi conofee da
noi per fé
fterTa,& chiaramente, che
le fi vedelfe
chiaramen- te, molto più ci accenderebbe
di amorolò defiderio,
che ella non
fi, il vederli
chiaraméte tocca folo
alla bellezza del
corpose però ella
lòia ardentimmaméte da
noi è ama
ta : come
ne moitral'eiperienza in
ogni fecolo, come
ne fanno ampiflìma
tede i'Iftorie,& il
Petrarca nel Trionfo
d'Amore , & come
bene dice il Diuino Platone
nel Fe- dro .&
la cagione perche
la bellezza fia
lommamente amata, & difiderata
e perche il
bene è colà
amabile, & di- fidcrabilc
, più beni
molto più , &
le vi è
la grazia ancora
in fommo,& ardentifiìmamentc . In
quella vltinia parte
di quclto mio
difeorfo fi dee
da me lpiegare
il raara-iglielò ordine ,
che uenc in questo
Sonetto M .
Francesco Petrarca in
celebrare le bellezze
della dia Madonna
Laura , &
'fi dcono efporre
alcu- ne voci deltefro
: accioche &
l'artifizio , &
tutto quel- io
, che qui
dal Poeta è
detto della Tua
donna, s'inten- da chiariflimamente ,
& fi deono
muouere Se iicior-
re alcune dubitazioni
per difefa di
quello , che fi farà detto.
Quanto all'artifizio, ò vero
ordine io ci
auuertifco tre -cole
la prima che
il Poeta primieramente
nel primo qua
dernario ragiona delle
cagioni delle bellezze
della tua M. Laura
& poi nell'altro
quadernario.^ ne due
terzetti -parla delle
bellezz e ,
ieguendo in ciò
l'ordine di natura,
fecondo il quale
le cagioni precedono
i loro effetti .
La seconda cola che
io ci noto è
, che
queflo Poeta lo-
dando le gmzie di
lei compitamente dalle
loro più pre-
diate cagionile celebra prima
dalle cagioni anteceden-
ti, che fono l'ideale
bellezza , il cielo, &
la natura, dipoi
dalla ca^ione,che accompagna
quella f uà
donna, che è
il iiio viiòcon
legge & maeftria
fatto dalla natura
: & ter-
zo da quella, che
fegue, che è
il fine, che
fegue all'opera beila,&
e per moitrar
quaggiù in terra quàto lafsù
potea. Vedete,vedete vi
prego giudiziofiflimi Accademici, co- me compitamente ,
& con ordine
efàlti le bellezze
della lui amata
: conforme al
compimento di ciafcuna
cofa , il
quale ftà nello
hauer tre parti
il principio , il mezzo
, & il
fine, come con tre
prcue ci dimoftra
Ariftotile nel pri-
mo del Cielo, cioè
dell'autorità di grandinimi
Filofo» fanti, quali
furono i Pitagorici ,
dai numero che
fi via in
ogni religione di honorare Dio
, che é
il numero ternario
, & dal
perfetto modo di
parlare de' Greci
al quale gli
induceua la natura
delle cofe .
La terza &
vltima cola , che
fi dee auuertire
intorno all'ordine , che tiene
M.Francefco in quelto
& leggia- dria.&
aitifìziofifs. Sonetto in
celebrare le marauiglioiè
bellezze della fu
a donna è,
che egli procede
nel fecon- do quadernario > &
ne* due ternari;
in quefta maniera
te- ff Lezzione
facendofi in prima
dalla bellezza del
corpo più alta,qua-
le e quella
deile chiome corrilpondenti a
quella del So- le
di Cielo
, dipoi fegue
di dire della
occulta, conforme in
qualche parte à
quella del Sole
diurno, & mutàbile,
& terzo diicende
alle bellezze delle
parti più bafle,&
pri ma alla
bellezza, & leggiadria
delli occhi, che
con la villa fi
comprende , &
poi della bocca
diuidendola in tre
: vna , che
ancide per pietadc ,
& confitte nel
dolce lòfpi- rare
: l'altra nel
dolce efprimcre de*
concetti : l'altra
nel ridere dolcemente
: & tutte
e tre appartengono
alla bocca polla;
di lòtto a
gli occhi, &
quelli Iorio nel
mez mezzo tra
quella, & il
capo, donde efeono
i capelli. Da
tutto quello , che
io ho detto,
potete ingegnofiflìmi Accademici
conoscere, chc quello noilro
Poeta non con
minore ordine,
&artifìzio,che con grazia,
Sgmaeflà cele bra,&
ammira le bellezze,
& le grazie
del bel vifo
di M. Laura,
& infieme di
qui fi può
da voi fapere
come cosi le
bellezze, come ogn'altro
bene, s'ha da
Dio fonte d'ogni
bontà , & d'ogni
bellezza per mezzo
de* celefli lumi ,
& della diuina,&
ideale bellezza . Quanto
all'elpofizione delle voci
più ofeurc la
prima fia quella
qllo,che il Poeta
nitida [ per
parte del Cielo;]
alcuni dellielpofitori del
Petrarca per parte
del Cielo dicono,che
egli intefe le
flelle parti più
denfe de' celefli
corpi, come i
nocchi in vn
legno , & che
egli parla come
Platonico,tenendo, che l'anime
noftre follerò tutte
crea te ad
vn tratto , &
ciaf cuna furie
alìegnata alla Tua
ftella ; come
racconta Platone nel
Timeo: ma a
me piace di
cfporre per parte
del Cielo , tutta
quella parte ò
flellata, ò non
iftellata , la quale
con debito modo
riguardaua il luogo
doue fu ingenerata,
& doue nacque
quella fi bella
donna j attelb
che dalla debita
fituazionc delle flelle
in cotal parte ,
come da caufe
vniucrfàli nacquero le
grazie di lei
: come vogliono
gli Astrologi , &
cosi piace anco-
ra à quello noflro
Poeta , come fi
può vedere in
quella £iuzone, il
cui principio è
queilo . MJ Tdctr
D£L VERTNO. j|
0> Tacer nonpcffo,
e temo non
adopre 0, Contrario
effetto la mia
Imgua al core
l doue nella
quinta itanza ei
dice . „
1/ dì che
coftei nacque eran
UJlelle, Che prodvcon fra voi
feliii effetti j,
1/7 luoghi altt
er eletti „
Vvna -ver l'altra
con amor conuerfe .
In quefta parte
del Cielo :
come in cagione
efficiente, mediante il
lume & il
moto era il
bel viio di
M. Laura , &
nell'Idea come in
eiempio [ onde
natura tolfe. ]
Puoi" fi per
natura intendere la
forma delli agenti
naturali : i
quali prendono il
modello dell'operare bene
da Dio,in quanto
da elfo fono
bene indirizzati fé
bene non inten-
dono; O vero per
natura fi dee
elporre Dio itelfo,donde
dipende tutta la
natura , nel
qual lignificato ancora
Tin- tele Ariitotile quando
nel primo del
Cielo ei dice
, che fa
natura fece bene
a lpogliare il
corpo celeite da
ogni contrarietà, da
che douea elìere
eterno,fecondo che e^lì
lì pensò, piìi
pretto guidato da
ragioni humane,che dalle
infallibili verità , che
altramente ci moitrano .
Più oltre leguitando
[ per vn
cuore doue fono
unte virtudi accolte
] il Petrarca
intende non il
cuore , che
è parte corporale
prima dell'altre : ma o
Tanimo,che rifie- cie
nel cuore,nel qual
ientimento vfìamo di
dire io ho
in bocca cioche
io ho nel
cuore, ò vero
per l'vno &
l'altro : anelò
che formalmente il
cuore èl'iiteifo appetito
ienfi- tiuo :
del quale la
virtù é moderatrice,
& delle parti
ma- teriali gli fpiriti
fono il foggetto
delle fpezie di
effe virtà come
conofeiute, come d'ogni
altra cola, che
fi conofee. Quanto
alle dubitazioni qui
dirà qualche ingegnolb
fpirito come può
cilere, che il
leggiadro vilo di
M. Lau» ra
fulfe in qualche
parte del Cielo ,
& in qualche
Idea ì attefo
che il bel
vilo di lei
era cola particolare,
& il Cic-
lo, & l'Idea lòn
cagioni vniuerfaii . Dipoi
come celebrali Petrarca
la bellezza della
fu» donna, &
dice , che la
fomma e di
fua morte rea ; attclà
C cht LEZZION
E che fé
le grazie dell'animo, & quelle
del corpo di lei fon
congiurate contro di luì
, &
afpirano à darli
morte , fon
crudeli, & unto più
fi deono biafimare,chc
lodare quan- to la
morte è cola
rea,& la vita
cola buona . Et
finalmen- te come può
Ilare , che il
dolce rifò di
lei,i dolci foipiri,
& il dolce
parlare, fiano cagioni,
che amori iani,&
anci- da, che
iòno effetti contranj
, e douerrebbero
nafcere da contrarie
cagioni, di maniera
che fé i
dolci fofpiri, il
dol ce parlare ,
& il dolce
rilo 3 danno
all'amante la fanità
& la vita
; Tamaro iòlpirare ,
ragionare t &
ridere lo faran-
no infermare, & lo
condurranno à morte .
Al primo dubbio
& primieramente quanto
al Ciclo di co,
che egli
fi può confiderare
in due modi,in
uno da per
le lenza le
cagioni particolari di
quaggiù, & fenza la
par- ticolare materia, & in
vn'altro inficine con
quelli agenti, &
con quella materia
jnel primo modo
è vero, che il
Cie- lo no può
eiTerc cauta delle
cole particolari, come di particolari
leoni, cani , &
huomini , altramente in
damo fa- rebbe data
da Dio la
virtù del generare
à quefti inferio-
ri agenti , nel fecondo
modo è ben
vero : attefo
che ogni mouimento
di quaggiù fino
all'alterazione, perlaquale lì
diipone la materia,&
fi generano le
cole pende dal
mo uimento &
da lumi deJ
celefti corpi, come
ne inoltra co- si
l'clperienza, come Aristotile
ancora nel lècondo
della generazione, & della
ccrruzzione,& nel primo
della Me theora,oltre
che la ragione
il medefimo ci
confermale - ro
che fé i
Cieli con il
loro moto,& con
il loro lume
non cor correderò
gli agéti di
quaggiù alla produzzione
del- le cole generali, non
conosceremo come Dio
fia la prima
& vniuerf ale
cagione di tutte
le colè , &
al Cielo che
in- terne con l'intelligenze participa
molto più della
bontà, che le
creature di quello
mondo inferiore, farebbe nega-
ta la virtù di
comunicarla ad altri,
& all'altre creature
mcn buone conceduta,& l'vno
& l'altro farebbe
non me no
inconueniente che fal(o
. Secondariamente quanto
all'Idee , le quali
fono in Dio
» dico che
fé bene le
fono cagioni vniuerfali delli
effetti in if
pezic da per
loro con- fidente ,
nondimeno con gli
agenti particolari, &
con la particolare
materia , fono
ancora cagioni particolari .
Puoflì ancora dire
che l'Idee, fé fi
considerano come for«
me in Dio
che è caufa vniuerfale, in
quefta maniera, ioti
caule delli effetti
Ipeciali , & vniuerfali .
ma fé le
fi con- templano in
Dio come cofa
che è maftimamente
in atto come
ancora i particolarità
quella maniera Dio
intende più prefto
in particolare, che
in vniuerfale, & cosi
ancora ne è
cagione . più
oltre che cofà
non iòlo fallà,&
empia, ma ancora
ridicola farebbe quella
de* Fiiofòfanti, fé
cre- deflero,che Dio
ch'e l'ottima,
Scleccellentifs. cagione, e che
le foftanze particolari, fono più
pertette,che Tvniuer (ali,
come fi dimoftra
da Ariftotile nel
capitolo della fo-
ftanza > &
nondimeno più prefto
fi penlàifero che
Dio producefTe rvniuerfali,cheleparticolaii,& che
più pre- fto di
quelle,che di quefteteneffe
cura,perciò vfizio è
di huomo fàuio,
pio, & amatore
del vero ,
tenere , che Dio
& in vniuerfale,
& in particolare
fìa autore delle
cole, & tanto
più in particolare ,
che in vniuerfale
: quanto così
fono più perfette,che
in quel modo,&
cosi deono crede-
re dello intendere di
Dio : &
chi non sa
rifoluere le argomentazioni più forti, che
in contrario fono
itate ritrovate da
fottili ingegni, dee
più prefto in
ciò confeffare lz
fiia ignoranza, che
per non fare
quefro , che farebbe
fe- gno di
modeftia incorrere in
quelli tre grandiflìmi
vizij di stoltizia ,
di menzogna, &
d'impietà . Alla
terza & vkima
difficultà fi può
rifpódere, che gli
effetti contrarij poifon
nafeere da vn
medefìmo agente,ò da due agenti
contrarij'. da vn
medefìmo in più
modi, ò perche
egli fìa diversamente
dispotto, ò i
fuoi finimenti, ola
materia, ò perche
in diuerfitépiafpiriàdiuerfìfini. può
vn medefìmo agente
effere diuerfamente difpofto,& così
cagionare diuerfì eftetti,come
il gouernatore &
mae ftro di
naue con la
f uà pref enza ,
& con 1
arte fùa faiua
la iauc dalle
fortune del mare,
& de' corlali ,
& con la
(uà C a alfe*
;£ Le 2
z ione fllTcn?! ,
ò non fapendo
ben farti , è
caufa del contrario
• umilmente fé
vn medelìmo agente
fi lèrua di
linimenti diuerfi, farà
diuerfe operazioni &
contrarie, con le tana-
glie esépi grazia vn legnaiuolo
caua gli aguti
d'vn legno, e
col martello ve
gii ficca ,
vn'eccell. pittore le
ha buon pennellij& buon
colori fa vna
bella figura, le
altramente brutta . Che
più oltre vn'iftelfo
agente , mercè
della di- vertita della
materia faccia contrarij
effetti , è chiaro
di qui perche
il Sole indurifee
la terra, che e tenera
per ef- iere mefcolata con
l'acqua, & intenerire
la cera. aelFaz.
zioni humane vn'iftelfo
Capitano delli elèrciti
Ce ha per
fine la vittoria
per quella Rcpubl. per
la quale e5
combatte la può conlèguire
. fé la
perdita & la rovina ancora
di cotanto male
può eifere caufa
; & cosi
la diuerfità de'
fini è caufa
ancora , che da
vna medemna cagione
effettrice nafehino diuerfi
effetti, in vltimo,che
duoi contrarij,có- trarij
effetti preduchino è
chiaro, il bene
accende in noi
desiderio di le il
eifo,& di qui
è che ci
muouiamo per ac-
quiftarlo, il male cagiona
l'odio, & il fuggirlo. dalla fanità
procedono le operazioni
naturali Se buone,dairinfermi- tà
fono impediti, & fatte
imperfette, da queita
diftinzio- ne è
manifefto come il
dolce lòfpirare, parlare, &
ridere dell'amata dia
la làmta all'amante,
fendo li ella
con que- fte
gra7ie prefente, e
l'infermi, e dia morte
con la fua
ai- lènza, poi
come contrarie cagioni
il dolce lòfpirare,par-» lare
& ridere, el
fare tutto que
:o con afprezza
& sgar- batamente, ne
lègue ò la
lanità & la
vita, o la
malattia, 8c la
morte nello amante ,
effetti contrarij da
contrarie ca- gioni procedenti. Da
tutto quefto mio
ragionamento può ciafeuno
di voi gentiliduni , &
accortitììrni Accademici , &
Vditori haucrecomprelò, chcilnoltro
M. Francesco Petrarca
non con minore
altezza ni concetti ,
ne con manco
beilo ordine hi
celebrate le bellezze
& le gra?
ie delia t
uà M. Laura,che
con maeità &
grazia di parole,
ateeiò che egli
«el primo quadernario di
quello Sonetto l'eiàlta
da tut- Del
Verino.%f te le
principali^ più degne
cagioni,come tra le
irrumen tali è
il Cielo con
1 fuoi più
benigni lumi , i
quali in luo*
ghi alci &
eletti fi ridonarono
il di che
cortei nacque , tra
l'elemplari l'Idea d'vna
graviofilTima Donna, tra le agenti
la natura prima, ò
vero eifa prima
, & iuprema
ca- gione d'ogni colà
buona , & d'ogni
rara bellezza , tra
le formali più
notabilità grazia &
la Ieggiadna,& tra
le ma renali
il vifo di
queita iva donna
. Confederando più
ol- tre, che quello
& dotto &
gentil Poeta nel
lecondo qua- dernario lèguita, ma
più particolarmente ài
renderci ma rauigliofele
bellezze di M.Laura, celebrandole fuechio
me, con agguagliarle
al finiiììmo ore
nel colore, &
nello fplendore , &
preponendole alle chiome
fparie all'aura di
qual lì voglia
Ninfa , che (ì
ritroui ne' fonti,&
di qual fi
voglia Dea habitatrice
delle lelue ,
& credo io
, che à
più eleuati ingegni
intenia di lodarla
di carità attribuì»
ta alle Ninfe
, le quali
l'ardore delle carnali
dilettazioni eitinguono con
queita angelica virtù,
non altraméte,che il
fuoco iìa eitinto
dall'acqua . cosi
voglia Ibpra modo
li- gnificarci , che
ella ha in
se raccolte le
virtù in eccellen-
za , il che
e colà rara
& folitaria come
quelli , che per
attendere alle diuine
fpecolazioni , fuggono le
conucr- fazioni, Se
li riducono ad
habitare ne' dolchi, &
nel- le felue. nelmedefimo
quadernario magnifica le
virtù di queita
dia donna dal
gran numero ,
che ella n'ha
rac- colte nel fuo
animo , quafi volendo
dire , che
doue nel- l'altre belle
ne è vna ,
e óuq, ò
poche più in
lei iòn tutte .
cosi dalleilremo poterebbe
l'hanno in lui,che
è di condurlo à
morte per l'infinite ,
& grandiilune pailìoni ,
eoa le quali
tutta la f
uà vita è mole-Hata, e
quello perche egli
non teneua modo
, ne anfora
in amarle, onde
el- la molte volte
le gli moitraua
disdegnofa , e adirata;
& quefto li
recaua infiniti tormenti ,
come per il
contra- rio le benigne
accoglierne vq contento,^
vn allegrézza lenza
termine » Tcn#
$8 Lezzione Terzo
& vltimo più
in particolare ci
efprimc le gra-
fie & la forza
di alcune parti
di queftabelliiTima, &
le?- giadriflìmà Donna:
le quali grazie
dico iono di
alcune parti del corpo ,
come degli occhi, del
cuore, e della bocca,
e ci annunziano
vna maggiore grazia ,
che è quella
del Tuo bell'animo,
quella degli occhi
è di- vina, &
confifbepiù che in
altro nel girargli
con suavità, e perche
per gli occhi
molto si lcuoprono
altrui , le qualità
dell'animo: come i
più dotti de
Fifìonomi ci dimoftrano,& refperienzaftefla : di quìè,che
dalmo- uimento fòaue
& gentile degli
occhi , fi può
prendere fpedito argomento
del fuo bell'animo
dal lòfpirare similmente
con soavità, fi conofee
vn'animo appaflìona- tOi
ma con certa
moderanza comeauuicne in
chi modera gli affetti
col freno , e
con la legge
della retta ragione.
Le grazie finalmente
della bocca Tono
il dolce parlare ,
che ci dinota
vna moderanza nell'appetito
ira- labile, che
ci ìùole per
la bellezza, ò
per qualche bene^
che è m
noi più che
in altri inluperbire ,
& il dolce
riio dolcezza &
piaceuolezza nel conuerfàre ,
O Dio immortale
con quanta arte
ci fai tu
quaggiù in terra
& inquefta materia
vedere la tua bontà, &
le tue bellezze,
& con quanto
ftupore cosi dottamente ,
& con tanta
leggiadria di parole
quefto Poeta ce
le ha cfprefTe
& cantate in
quefto Sonetto :
perche non ho
io potuto con
quell'altezza di concetti,
con quel maraui-
gliofo ordine, &
con quella maeftà
di parole, che
fi conueniua , &
che io più
defidcrauo difeorrerne digniil
fimi Accademici , &
Vditori ? perche
dico non ho
io potuto così
celebrarle alla prelènza
vostra? mercè credo
io della debolezza
del mio intelletto,
& della rozzez-
za del mio dire ,
con le quali
imperfezzioni è piaciuto alla
DiuinaProuidenza cheiofia, acciò
più illuftre &
chiare apparifehino leperfezzioni, &
le grazie di
molti altri, &atfine
che io comprenda,
che tanto più
fi Del Verino. 0
ri fono obbligato
della grata vdienza ,
che come corte*
fiiTimi mi hauete
data , quanto meno
mi II conuc-
niua , & perciò
con tutto lo
affetto del cuore
ve ne ringrazio
• IO
HO DETTO» Il
Fini, Francesco Vieri. Keywords: Pico, Accademia. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Vieri: la dialettica fiorentina”, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vigellio: la ragione
conversazionale al portico romano – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano.
Amico ed allievo di Panezio. Stoic philosopher. A riend and pupil of Panaetius,
with whom he also lives. He is noted by CICERONE in “De Oratore” to have also
been a friend of Lucio Licinio CRASSIO (vide), the greatest Roman orator prior
to CICERONE. All other information has been lost. See also List of Stoic
philosophers. References: Blits, “The Heart of Rome: Ancient Rome’s Political
Culture”; CICERONE. The first Stoic philosopher in Rome is the famous Panezio,
who joins The Scipionic Circle, lives for a while in SCIPIONE’s home and travels
with him for more than a year on a public embassy to the East. Besides SCIPIONE,
consul, and censor, at least six *other*
consuls study under Panaetius. They include LELIO and L. FURIO, both of whom,
along with SCIPIONE and Polibio, hear the three Greek philosophers at Rome; FANNIO;
Q. Elio TUBERONE, suffect consul, Q. Mucio SCEVOLA, and Rutilio RUFO. In
addition, Spurio Mummio, one of the legates sent to settle Greek affairs is
trained in the doctrine of il PORTICO (Cicero, “Bruto”). V., friend of CRASSIO,
consul, is Panezio’s friend and pupil, and lives with him (CICERONE, “De
oratore”); and Sesto POMPEO, son of the governor of Macedonia, brother of a
consul, and uncle of POMPEO maggiore, withdraws from politics in order to
devote himself to the philosophy of the Portico (CICERONE, Bruto, De oratore). Portico.
Pupil of Panezio. Marco Vigellio. Marcus Vigellius. Luigi Speranza for H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Vigna: la ragione
conversazionale e la regola d’oro conversazionale – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rosolini). Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia filosofia
a Milano, legandosi in special modo all'insegnamento di BONTADINI (vide) e SEVERINO
(vide). Con SEVERINO si laurea con la tesi, ‘La logica dell'astratto – generale
-- e la logica del concreto – particolare’”. Insegna filosofia a Milano e Venezia.
Presidente della Società italiana di filosofia morale. Si occupa della
filosofia del lizio, o peripato, e di neo-idealismo italiano. Si concentra in
maniera speciale sull'ontologia, proponendo una ‘semantizzazione’ del concetto
di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del “parmenidismo” (vide VELIA) di SEVERINO,
che in qualche modo grava anche sulla speculazione di BONTADINI. Questa
‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (“x divenne y”), non
l'annullamento dell'ESSERE (“x e y”), ma piuttosto l’annullamento di UN ENTE.
La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l’essere ‘assoluto’
che *non* diviene, e UN ente finito che comincia e cessa di essere – cfr.
Grice, relative identity in Geach and Myro, and his schema on becoming after
von Wrigt in “Actions and events.” Questa impostazione ha consentito di
raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che sfrutta e
compone la posizione necessaria della totalità di un essere con la posizione
della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza. Insieme all’analisi
di ontologia, si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica è intesa
fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a sua
volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (“meta-desiderio”),
cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci
desideri e ci riconosca. L'etica e così ri-condotta alle dinamiche di una
relazione inter-soggettiva, che si puo descrivere secondo tre modelli basilari.
Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello regolativo per
l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono reciprocamente come
delle soggettività, e cioè come delle persone o degl’esseri che pensano e
desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello, piu primitive, è quello
trasgressivo della ragione istrumentale. Quello in cui le soggettività
confliggono e cercano di dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo
come un oggetto o istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il
terzo modello, che si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è
quello che V. definisce come modello griceiano ‘oblativo,’ in cui, mentre una
delle due soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra
secondo la cura e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre
nessun riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come
soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per
il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice
su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità
della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di
rapporto inter-soggettivo ri-conducibili agl’altri due modelli (razionalita
istrumentale – Modelo II --, e razionalita di oppression – Modelo III). L’indagini
di antropologia trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi
come il termine medio che stringe e salda l'ontologia all'etica. Il concetto di
‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di
‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di
Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’. Sostanza (ousia,
sub-stantia, essential) è classicamente quello che permane e sta in
sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La
persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se
stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una
intenzionalità trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione
all'altro da sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi:
“La dialettica di GENTILE” in “Giornale critico della filosofia italiana”, “La
religione nella filosofia di GENTILE”, “Giornale critico della filosofia
italiana”, “GENTILE, interprete di Marx”, in Enciclopedia. La
filosofia di GENTILE, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Ragione e
religione”(CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini
del marxismo teorico in Italia: il dibattito tra LABRIOLA, CROCE, GENTILE, e
Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “GRAMSCI: il
pensiero teorico e politico e la questione leninista” (Città Nuova, Roma);
“Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano), “Sostanza e relazione: una
aporetica della persona,” in L'idea di persona, Melchiorre (Vita e Pensiero,
Milano); “L'enigma del desiderio” (San Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica
e la speranza” (Lavoro, Roma); “Il frammento e l'intero: -- il toto e la parte
-- indagini sul concetto di essere e sulla stabilità del sapere” (Orthotes, Napoli);
“Sul trascendentale come inter-soggettività originaria”, in “Le avventure del
trascendentale,” Rigobello (Rosenberg, Torino); “Sulla verità e sul bene”
(Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del
riconoscimento” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: indagini di
struttura sull'umano che ci è comune” (Napoli); “Studi su GENTILE” (Orthotes,
Napoli); “Studi su Marx” (Orthotes, Napoli); “Studi su Aristotele” (Orthotes,
Napoli); “La ragione e la dialettica: studi su Marx e VOLPE” (Marsilio,
Venezia); “Teorie della felicità” (Francisci, Abano Terme); “La qualità
dell'uomo: filosofi e psicologi a confronto” (Angeli, Milano); “Dio e la
ragione” (Marietti, Genova); “L'etica e il suo altro” (Angeli, Milano);
“Strutture del sapere filosofico” (Cardo, Venezia); “La libertà del bene” (Vita
e Pensiero, Milano); “Essere giusti con l'altro” (Rosenberg, Torino); ‘Introduzione
all'etica” (Vita e Pensiero, Milano); “Etica trascendentale e intersoggettività”
(Vita e Pensiero, Milano); “Multi-culturalismo e identità” (Vita e Pensiero,
Milano); “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in onore di MELCHIORRE”
(Vita e Pensiero, Milano); “Libertà, giustizia e bene in una società plurale” (Vita
e Pensiero, Milano); “Etiche e politiche della post-modernità” (Milano, Vita e
Pensiero); “Etica del plurale: giustizia, riconoscimento, responsabilità” (Vita
e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita e Pensiero, Milano); “La REGOLA
D’ORO come etica universale (Vita e Pensiero, Milano); “BONTADINI e la
metafisica” (Vita e Pensiero, Milano); “Metafisica e violenza” (Vita e
Pensiero, Milano); “Etica di frontiera: nuove forme del bene e del male” (Vita
e Pensiero, Milano); “Di un altro genere: etica al femminile” (Vita e Pensiero,
Milano); Pira. Un san Francesco nel Novecento (AVE, Roma); “Multi-culturalismo
e inter-culturalità: l'etica in questione” (Vita e Pensiero, Milano); “La vita
spettacolare: questioni di etica” (Orthotes, Napoli); “Etica dell'economia: idee
per una critica del riduzionismo economico (Orthotes, Napoli); “Differenza di
genere e differenza sessuale: un problema di etica di frontiera” (Orthotes,
Napoli); “Il dovere dell'ospitalità (Orthotes, Napoli). Dell'interpretazione di
GENTILE offerta da V. discutono, fra gl’altri, Berlanda, “GENTILE e l'ipoteca
kantiana. Linee di formazione del primo attualismo” (Vita e Pensiero, Milano); Bettineschi,
“Critica della prassi assoluta: analisi dell'idealismo di GENTILE” (Orthotes,
Napoli). Si vedano anche “Studi GENTILIANI” (Orthotes, Napoli). Cfr. “Studi
marxiani” (Orthotes, Napoli). Cfr. gli scritti raccolti in V., Studi
aristotelici” (Orthotes, Napoli); Saccardi, Semantizzazione dell'essere e
inferenza metempirica, in Pagani, “Debili postille. Lettere a V.” (Orthotes,
Napoli). Cfr. anche Messinese, “L'apparire del mondo: dialogo con SEVERINO
sulla ‘struttura originaria’ del sapere” (Mimesis, Milano). “V., invece, che
pur si è formato alla scuola di BONTADINI e di SEVERINO, non segue più i suoi
maestri, perché ormai ritiene che, se si accetta la “semantizzazione
parmenidea” (vide VELIA) dell’essere, non si può evitare di estendere gl’attributi
dell'essere assoluto all’ente, come precisamente è avvenuto nello svolgimento
della filosofia di SEVERINO. L'errore, però, prosegue V., sta proprio in questo
“aver trattato la questione dell'essere come una questione di ESSENZA.” L'errore
viene eliminato convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con
la relazione d’essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gl’enti". Cfr.
V., “Il frammento e l'intero, Sulla semantizzazione dell'essere.
L'eredità speculativa di BONTADINI, in “BONTADINI e la metafisica.” Si veda
inoltre SOLLIANI, “Dell'essere come essenza: per una rivisitazione del problema
a partire d'AQUINO” in Debili postille, Il frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani,
“Una rivisitazione della via del divenire e Peratoner, Intorno alla
conoscibilità di Dio, la ragione, la fede, in Debili postille, Si veda
poi Barzaghi, Percorsi di rigorizzazione della teologia naturale nella
filosofia neo-classica milanese”, “Rivista di filosofia neo-scolastica”. Cfr.
Vigna, Etica del desiderio umano (in nuce), in Introduzione all'etica,
Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua risoluzione, in Etica
trascendentale e inter-soggettività, Si veda anche il saggio di
Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del riconoscimento, in Debili
postille, Cfr. V., Sul trascendentale come inter-soggettività originaria. Venuti,
La cura dell’altro come REGOLA D’ORO. Lettera aperta a V., e Zanardo, Sul dono
della differenza, in Debili postille, Per una discussione complessiva del
pensiero di V. si vedano i saggi contenuti in Pagani Debili
postille. Lettere a V.” (Orthotes, Napoli); “Sostanza e relazione: una
aporetica della persona.” Si può vedere anche Bettineschi, Finità e infinità
della soggettività. Lettera aperta a V., in Bettineschi, “Intenzionalità e
riconoscimento: scritti di etica e antropologia trascendentale” (Orthotes,
Napoli). Bergamo festival: l'intuizione, su you tube. Malato o persona?, su you
tube. L'etica, you tube.com. Treccani. Intervista a V.: la filosofia morale,
you tube. Tugnoli, V.: il desiderio come orizzonte trascendentale, su mondo-domani.
Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana, Centro di etica
generale ed applicata, su centro di etica. Centro inter-universitario per gli studi
sull’etica, su venus unive. Società italiana di filosofia morale, Intervento su
La Pira, su avvenire. Attualismo, problematicismo, metafisica, su filosofia. La
politica e il sacro, su in schibboleth. Bisognerebbe
oggi parlare piuttosto di metafisica del male comune… Siamo infatti dinanzi
ad un certo tramonto del politico, almeno nell’Occidente post-industriale: lo
siamo nel senso che la società civile, negli ultimi decenni, ha assorbito
in sé ciò che una volta era, almeno in parte, contenuto della sfera
politica; ma lo siamo soprattutto nel senso che il compito politico
sembra troppo difficile da eseguire ed è in effetti non di rado tradito
da coloro che ne sono in prima battuta responsabili. Ad una sorta di
processo di disseminazio- ne di progettualità creativa in seno alla
società civile sembra corrispondere una sorta di di- scredito e di
scetticismo quanto alla sfera politica. La sfera politica sembra non riuscire
più ad occuparsi della cosa comune ed essere diventata, piuttosto, il
luogo di una distribuzione corporativa delle risorse. Quando non si
giunge, come ad esempio in Italia (ma certo non soltanto in Italia), a
forme molto gravi di corruzione e di spreco. Il cittadino medio tende
perciò a ritrarsi dalla politica o semplicemente cerca di profittarne. Di
fronte all’ingestibilità della progettualità politica, e pure di fronte al
discredito del- la politica, si capisce perché vi sia un generale
movimento di conversione dai fini ai fondamenti della comune convivenza.
Ma questa conversione a me pare, in realtà, non tanto una con- versione
dalla progettualità politica all’amministrazione della società civile, quanto
una qualche conversione dalla politica all’etica. Ci si è
convertiti all’etica, quasi per esaurimento della sfera politica: questo ho
appena suggerito. Ma l’etica non pare offrire uno spettacolo diverso
dalla politica, nonostante oggi la si chiami fuori, l’etica, per
dirimere, quasi giudice supremo, i conflitti tra il politico, il so-
ciale e il privato; anche l’etica, infatti, ha i suoi problemi, né suscita
consensi facili, quando si va a determinare caso per caso che cosa può
dirsi garantito dall’etica. Sono note ad es. le polemiche sulla bioetica,
tanto per citare uno dei temi oggi forse più rilevanti, anche per le sue
immediate ripercussioni in ambito politico. Dobbiamo dunque mettere sul conto
della nostra quotidianità una eclisse anche dell’accordo sulle
convinzioni etiche? Così pare. E il multiculturalismo spinge nello stesso
senso. Fino a qualche decennio fa la trasgressione prendeva di mira la
legge politica (si ricordi la temperie sessantottina); oggi quel tipo
di trasgressione sembra rientrata e sembra, appunto, presa di mira anche
l’etica. Cito solo un sintomo, ma vistoso: ciò che si discute con sempre
maggiore frequenza è la possibilità di stabilire regole per tutti che
siano regole puramente convenzionali o formalistiche, anche sul piano
“etico”. L’area anglosassone, più sperimentata in fatto di multiculturalismo,
ha avanzato non poche proposte in tal senso. Ma bisogna pur dire che ogni
formalismo con- venzionalistico contiene in sé il difetto radicale di
valere tanto per le cose buone quanto per quelle malvagie (anche una
organizzazione mafiosa rispetta una serie di convenzioni...), sicché
serve solo a scansare il problema fondamentale, anzi che a risolverlo. Ed è qui
che il bisogno di stare al sostanziale tende alla compensazione dell’etica,
lmeno nel senso di ricorrere ad elementi o frammenti di rimandi
all’etica, per ottenere coesione e consenso. Una certa fiducia
nell’universale rispetto dell’essere umano e un certo rimando ad una fede
paiono non di rado un collante più potente di qualsiasi considerazione
ideologica, visto anche il discredito su larga scala patito dalle
ideologie novecentesche. 4. Eppure, dell’etica e della politica, in
realtà, nessuno può fare a meno. L’etica e la politica, come tutte le
cose “necessarie” per la vita degli uomini, si raccomandano da sole. Come
tutte le cose “necessarie”, l’etica e la politica ricompaiono e persino
dominano anche là dove le si vuole a tutti i costi esorcizzare. Solo che
tutte queste cose prendono vesti di- verse da quelle di una volta:
tendono a frantumarsi in molti rivoli o assumono andamenti carsici. Per
esempio, l’etica e la politica diventano oggi cura del mondo della natura
o riscatto del femminile, lotta per l’integrazione delle etnie o sostegno
per gli emigranti e gli emarginati. Comunque, quando e a misura che
appaiono onorate, queste dimensioni del senso della vita umana sembrano
rendere possibile la convivenza, perché esse si presenta- no come custodi
di ciò che accomuna gli esseri umani nel profondo. Più di quanto accada
alla semplice fattualità dell’ethos. L’etica e la politica sembrano qualcosa di
infinitamente più prezioso dell’ethos. Sono in effetti il giudizio
sull’ethos a partire dalla verità del desi- derio umano, se intendiamo
per ethos ciò che appare come la realizzazione storico-fattuale di tale
desiderio. 5. Abbiamo evocato la “verità” a proposito del desiderio
umano. In realtà, l’etica e la politica, sono solitamente intese come il
luogo del riferimento all’”oggettività” normativa. Ma l’”oggettività” qui
che cos’è, se non la “verità” di quel che il desiderio del singolo o
della collettività desidera? Una certa eclisse dell’etica e della politica, in
particolare, sem- bra l’eclisse della consapevolezza di questo legame
originario con la verità dell’esistenza. E allora? Come far fronte a
questa “sfida” paradossale del nostro tempo, che vorrebbe fare a meno
dell’universale verità, proprio mentre la invoca per governare la
frammentazione delle esperienze dei singoli e dei molti? Semplificando
non poco, io azzarderei questo tipo di risposta. Un codice universale di
natura semplicemente teorica, cioè veritativa, sembra diventato di fatto
improponibile. Questo non significa che sia impossibile. Significa
sempli- cemente che la cultura dominante, incline al relativismo e allo
scetticismo, non lo cerca e non lo vuole. In fondo, ne dispera. Eppure,
tenta di rimediare a questo fallimento epocale mediante la ricerca di un
codice pratico. È degna di rilievo la circostanza che gli “ultimi fuo-
chi” della “fondazione” di qualcosa siano, nel pensiero filosofico occidentale,
di tipo etico- pratico (cfr. ad es. le proposte di Apel). Ma anche la
fondazione dell’eticità, purtroppo, è… un che di teorico. Perciò non
funziona più di tanto. Ossia: anche l’etica e la filosofia della politica
dividono. Sembra che unisca, piuttosto, la pratica tout court, forse perché
nella pratica ci si deve necessariamente determinare così e così. La
pratica è “reale”, si pensa, o è almeno la riconduzione del pensiero alla
realtà (laddove la teoria è la riconduzione della realtà al pensiero e
quindi sembra offrire un margine maggiore alla variazione soggettiva). Per
una metafisica del bene comune Ma non ci si illude anche da questa parte?
È possibile. E tuttavia la pratica, come alter- nativo terreno di intesa,
sembra più efficace della teoria, perché si orienta al reale, e il reale
tendenzialmente unifica, se e quando ci è dinanzi (almeno in qualche modo), più
di quanto non accada alla teoria, che soffre degli equivoci insuperabili
della comunicazione. 6. Ma una maggiore approssimazione al nostro
obbiettivo richiede una manovra ag- giuntiva. Noi dobbiamo cercare ciò in
cui gli esseri umani possono praticamente convenire, ossia ciò che li può
praticamente accomunare. Orbene, ciò che tutti desideriamo è almeno
questo: d’essere riconosciuti e onorati nella nostra umana soggettività. Detto
in altri ter- mini, ogni soggettività umana chiede d’essere riconosciuta
come un orizzonte di senso inoltrepassabile, cioè intenzionalmente
infinito, perché tale essa è per via del logos che la informa. Ma le
soggettività sono molte. E come è possibile che più orizzonti intenzional-
mente infiniti coesistano? Non si riesce facilmente a capire proprio questo.
Sulle prime, più infinità, per quanto semplicemente intenzionali,
sembrano incompossibili. L’una sembra togliere all’altra proprio tale
carattere (Sartre). Di qui l’impulso al conflitto e quindi alla po-
tenziale esterminazione dell’altro. E in effetti l’esito è inevitabile, se ogni
soggettività viene innanzi esigendo, anzitutto, dall’altra il
riconoscimento della propria trascendentalità. Cioè imponendolo. L’altra,
per lo più, farà lo stesso con la prima. Così entrambe le soggettività
finiranno per lottare per la vita e per la morte. Non così, se ogni soggetto,
anziché esigere d’essere riconosciuto nella sua trascendentalità, viene
innanzi offrendo, anzitutto, il proprio riconoscimento della
trascendentalità dell’altro. Non così, se l’altro, riconosciuto, viene
in- nanzi riconoscendo a sua volta la trascendentalità del primo. Poiché
la trascendentalità in tal caso non è predata, ma reciprocamente offerta,
accade che ognuna delle due coscienze sia riconosciuta dall’altra. E
poiché ognuna liberamente riconosce, resta nella propria tra-
scendentalità anche quando lascia essere l’altra allo ste4sso modo. Due
trascendentalità, così chiasmaticamente incrociate, non sono più
incompossibili, anzi si sostengono e si ali- mentano a vicenda.
L’inciampo dell’ostilità reciproca è qui tolto in via di principio. Il
primo codice universale e il più efficace è dunque il principio del reciproco
riconoscimento. In effetti, il principio del reciproco riconoscimento è il
codice universale più praticabile: un gesto di riconoscimento può esser
fatto da chiunque lo voglia. La sequenza che ho sinora esposto si può
riassumere così: possiamo tornare alla po- litica solo se transitiamo per
un’etica del riconoscimento reciproco. Ma il riconoscimento reciproco
implica inevitabilmente trattare ogni essere umano come fine in sé. Cioè
come qualcosa di inoltrepassabile. Cioè come libero dall’ambiguità delle
relazioni di dominio. La vita umana non può che abitare questo luogo, se
andiamo alla sua regola secondo verità. Ma come in concreto si struttura la
salvaguardia della vita umana nella società civile? Credo che si possa
agevolmente rispondere a questa domanda riproponendo nel giusto ordine
tre grandi convinzioni che da tempo immemorabile gli esseri umani hanno
tentato in un modo o nell’altro di onorare: la libertà del gesto, che fa
dell’azione una azione umana nella sua dignità, la mira del bene, che
riscatta la libertà da possibili ambiguità, la giustizia del gesto che fa
della mira del bene una questione non solo della vita del singolo, ma anche
della vita di tutti. Vediamo partitamente queste tre convinzioni, che rendono
possibile l’umana convivenza come società civile e che devono essere
protette dall’umana convivenza come società politica. Il primo breve
discorso che vorrei fare è quello sul bene1, perché sono convinto del
fatto che dal bene cominci propriamente la possibilità di una determinazione
equilibrata delle altre due parole: la libertà e la giustizia e perché il
bene custodisce in sommo grado la natura sacro-santa della vita umana. La
vulgata precedenza della libertà sul bene e sulla giustizia è in realtà
un capovolgimento della vera sequenza teorica. Dobbiamo tale errata
precedenza alla modernità. Essa compare con solennità epocale per la prima
volta nelle parole d’ordine della rivoluzione francese: libertà,
eguaglianza, fraternità. Da allora in poi ha fatto, purtroppo, molta
strada. Dico “purtroppo”, perché sono dell’avviso che, comin- ciando
dalla libertà si onora un essere umano, ma solo cominciando dal bene lo si
orienta in modo conveniente nei suoi propositi di vita, singolare o
collettiva. E un essere umano è libero soprattutto per questo, per
confrontarsi col bene. Il bene è infatti il fine d’ogni azione e nella
vita pratica tutto prende senso dal fine. Ma lasciamo i discorsi formali
e veniamo a qualche considerazione un po’ più con- tenutistica.
Chiediamoci, anzitutto, perché nel corso della modernità il bene è stato
gra- dualmente messo da parte (il grande discrimine è il Kant della
Critica della ragion pratica). La risposta a questo interrogativo è nota
ai metafisici – solo la richiamo – ed è duplice. Prima parte: il tema del
bene è stato accantonato, perché strettamente legato all’ontologia
metafisica, da Kant in poi (v. Critica della ragion pura), per comune
convinzione, considerata impossibile. L’ontologia metafisica, veicolata,
specialmente da Wolff in avanti, come un sapere sistematico, con l’aura
dell’assolutezza, era simbolicamente accostata, in termini politici, a
qualcosa come la monarchia assoluta e/o il papato. Ma questo, in molti
spiriti liberi, significava inevitabilmente dispotismo, autoritarismo,
inquisizione e simili. La mo- dernità è rappresentabile, da questo punto
di vista, come la rivolta della soggettività contro un simile apparato,
in nome d’un nuovo fondamento di senso: la soggettività medesima, cui
appartiene essenzialmente l’attributo trascendentale della libertà. Il cogito
cartesiano inaugura questa stagione, anche se l’emergenza della figura
della libertà è da addebitare alla stagione illuministica. 11. Ma
vediamo l’altra parte. Nella modernità il riferimento al divino, cui il bene
era da molti secoli, in ultima istanza, rapportato, si attenua fortemente
e gradualmente; dall’Uma- nesimo in avanti, viene innanzi, e anche occupa
per intero lo scenario, l’essere umano con il suo mondo. Il contenuto del
bene diventa proprio questo. Non è, il bene, sparito dalla circolazione
delle idee: ha solo mutato nome. E del resto non poteva sparire, perché fa
parte del modo in cui necessariamente viviamo. Dunque, il bene della
soggettività moderna in rivol- ta è la soggettività medesima: in versione
singolare o in versione comunitaria. Troviamo l’espres- sione più netta
della rotazione di senso nella prima e nella terza parola della sequenza
della 1 Mi permetto rimandare al vol. da me curato, AA. Vari, La libertà
del bene, Vita e Pensiero, Milano 1998 e spec. al mio saggio su Bene e
male. Una riconsiderazione, ivi, pp. 55-80. 45 Per una metafisica
del bene comune rivoluzione francese: la “libertà” e la “fraternità”. A
seconda che si propenda per il primato dell’una o dell’altra parola, si
avrà nel seguito il liberalismo o il collettivismo. Da allora, a mio
avviso, non è cambiato molto su questo terreno. Tutti i pensatori etico-politici
moderni e molti dei pensatori contemporanei si schierano tendenzialmente
da una parte o dall’altra. 12. Direi che questa “vulgata” ha per ora
pochi avversari. Ma a breve le cose potrebbero cambiare. Timidamente si
fa innanzi presso alcuni post-moderni (ad es. Foucault) e presso alcuni
esponenti radicali del pensiero verde (v. Bateson, ad es.) l’oltrepassamento
della centralità del soggetto e dei soggetti, in direzione di un paganesimo
cosmicizzante. Nietzsche è il piccolo padre anche di questa nuova ondata.
La cosa era forse in certo modo prevedibile. Una volta eliminato il Dio
della metafisica e della religione, il piccone della critica si è anda-
to esercitando, anzi si è andato accanendo sulla portata trascendentale della
soggettività, e ne ha decretato la fine. E allora, cosa può diventare
riferimento ultimo del senso, messo da parte Dio e l’uomo, se non il
cosmo, che è poi la terza della grandi parole della metafisica, ancora
presenti nella critica kantiana come indicazioni sistematiche ideali? Questa
recente direzione di marcia lavora sulla fine della soggettività
trascendentale forse anche a partire da un certo fascino indotto dalla
vita materiale: la durezza delle di- namiche economiche, apparentemente
incontrollabili; il trionfo della tecnologia, dilatabile, si opina, senza
limiti; il fascino della biosfera, che fa sognare una sorta di unità
mistica quanto alle forme di vita, compresa la vita umana; la rete
mediatica che influisce poten- temente sui costumi e produce condotte
eteronome di massa, l’enorme flusso migratorio, che relativizza tutto ciò
che la soggettività singola ha costruito come propria storia. La
soggettività moderna, insomma, ne sembra schiacciata. Marx pensava ancora di
mettere innanzi la grandezza della specie umana per governare la storia.
I contemporanei si sono arresi, quando anche questa variante consolatoria
è fallita. Le voci che fanno dell’umanità un giocattolo in balia di mani
più forti, come sono quelle della tecnologia o quelle delle forze
naturali, sono sempre più ascoltate. 14. Personalmente, resto scettico di
fronte ai tentativi di oltrepassamento dell’orizzon- te della
soggettività in una neutra oggettività. Neutra, poi, non proprio, perché si
colora subito di irrazionalità, arbitrarietà, crudeltà e cinismo.
Nietzsche ancora una volta ha già predetto l’essenziale, cioè ha visto in
anticipo la deriva di ciò che segue alla “morte di Dio”. Egli voleva
reagire a questa deriva, con un rinnovato umanesimo. E noi siamo forse ancora
al punto in cui egli si era fermato; dobbiamo, cioè, capire che fare quanto al
nostro destino di umani, ora che cominciamo a nutrire seri dubbi sulla
capacità nostra di governare la terra. 15. Chiedersi da che parte
andare è lo stesso che chiedersi qual è il nostro bene, il bene per noi
post-moderni. S’intende: trattandosi del nostro bene, si tratta del bene non
solo di un singolo, ma anche dei molti e in una società pluralistica. Si
tratta del bene comune dell’intera umanità. A guardare le cose un po’
dall’alto, vien da dire che oggi bisognerebbe decidere quale delle tre
grandi parole della metafisica prima citate può interessare una so-
46 Carmelo Vigna cietà pluralistica come riferimento di senso. Dico
“può interessare”. Faccio, in altri termini, un discorso di
“persuasività”, non un discorso di stretta “verità”. Se dovessi fare un
discor- so di stretta verità, dovrei molto semplicemente affermare che il
primo e, in certo senso, l’unico oggetto degno dell’attenzione originaria
di un essere umano è l’Assoluto. Cioè, solo Dio è degno, in ultima
istanza, dei nostri desideri e dei nostri pensieri. Nessun altro e
nient’altro. La stragrande parte degli uomini, in modo più o meno rozzo o più o
meno sofisticato, pensa spontaneamente così e in qualche modo cerca di
onorare questo modo di pensare. L’enorme impatto sulla faccia della terra
delle convinzioni religiose è lì a testimo- niarlo. Solo una sparuta
minoranza, in realtà, per lo più abitante dell’Occidente opulento e
post-industriale, si permette, a questo riguardo, forme insistite o incistate
di scetticismo a trecentosessanta gradi. Se si vuol fare, tuttavia, un
discorso di persuasività etico-politica, cioè un discorso che si fonda su
una serie di evidenze abbastanza facili da percepire per i più, allora il
discorso sul bene in una società pluralistica non può che essere centrato
sugli esseri umani. Non certo sulla natura, la quale deve essere, sì,
oggetto di cura, perché è il no- stro “grande corpo organico”, ma,
appunto, di una cura subordinata alla cura degli umani; non, purtroppo,
su un Dio trascendente, perché non tutti lo riconoscono, perché di Lui,
comunque, nulla possiamo sapere in linea puri intellectus, eccetto l’esistenza
sua, e quel che ne diciamo quanto alla sua essenza, ci divide più di
qualsiasi altra cosa. Insomma, resta l’uomo come fine. In termini
etico-politici, cioè di pragmatica possibilità di stringere accordi
potenzialmente universali, una impostazione come quella ad es. di Hans Jonas
potrebbe essere accettabile. Ma studiosi come Rawls o Habermas propongono
strategie simili. Del resto, se questo primato antropologico venisse
perseguito a fondo, sarebbe più facile per molti sentire in cuor proprio
il bisogno di volgersi all’origine ontologico-metafisica della buo- na qualità
dei rapporti tra noi, anche perché una parte, almeno, dell’umanità
sicuramente continuerà a testimoniare il nesso tra la pratica della
fraternità e il rimando inevitabile ad una suprema e universale
Paternità. Lì abita in ultima istanza il sacro-santo della vita. Ma qui
devo lasciare in sospeso il tema, perché andrebbe nel senso della teologia
politica, su cui è bene che sia altri a dire. 16. Ora andiamo al
tema della giustizia. Come è noto, l’etica pubblica si divide tra i so-
stenitori del primato della giustizia come elemento procedurale e formale
dell’architettura della convivenza umana e i sostenitori del primato del
bene o dei beni come acquisizione “sostantiva”. Lo abbiamo accennato
prima. Io credo, invece, che si tratti di due “cifre”, la giustizia e il
bene, per nulla alternative, anche perché entrambe “originarie”. Se ben si
riflette, appare sufficientemente chiaro che il giusto è un certo rapporto,
men- tre il bene è il termine di un rapporto. Giusto, poi è il rapporto
buono, mentre il bene non si risolve semplicemente nel rapporto giusto.
Il rapporto giusto è solo uno dei beni possibili. I due significati,
dunque, non sono propriamente equivalenti (il bene, ad evidentiam, ha una
estensione maggiore), anche se l’uso linguistico tende a trattarli quasi in
modo sinonimico2. È vero, piuttosto, che essi in qualche modo si
determinano a vicenda, perché il bene non 2 È anche evidente che
l’oggetto cui ci si rapporta è più importante del rapporto. Il rapporto è una
realtà inten- zionale, mentre il bene è una realtà ontologica.
Naturalmente, anche la realtà intenzionale è in qualche modo 47 Per
una metafisica del bene comune può prescindere da un certo rapporto e il
giusto non può fare a meno del riferimento al bene. E tuttavia, se è vero
che il bene non può fare a meno d’essere un rapporto, ciò che nel
determinare il bene importa è, in primo luogo, la natura dell’oggetto cui ci si
rapporta; parimenti, se il giusto non può fare a meno di una relazione ai
beni (questo è specialmente evidente nella giustizia di tipo
distributivo, ma poi appare anche in quella di tipo commu- tativo), la
natura del bene è per il giusto relativamente indifferente. Si può stare nel
giusto con beni piccoli o con grandi beni. Conta, appunto la natura del
rapporto, cioè che si tratti di un rapporto in cui non manchi
l’uguaglianza (commutativa o distributiva che sia). 18. Che ne è della
giustizia in una società veramente civile? La domanda importa che si
trovi un rapporto giusto per tutti, indipendentemente da una certa identità
culturale. Ora, che cosa è anzitutto giusto per qualsiasi essere umano?
Ossia: quale rapporto un essere umano giudica come tale che non viola le
proprie attese originarie di giustizia? La risposta obbligata mi par
questa: per un essere umano è anzitutto giusto o ingiusto ciò che
concerne l’immediato rapporto suo con gli altri esseri umani. E il
rapporto giusto è il rapporto che rispetta, anzi onora e quindi si prende
cura della soggettività nella sua trascendentalità; è il rapporto che
lascia essere gli esseri umani come tali, cioè non li riduce a oggetti
manipo- labili; è il rapporto, per dirla kantianamente, che tratta un
essere umano sempre anche come fine e mai come semplice mezzo. Abbiamo
già detto che questo, universalmente praticato, è proprio solo del rapporto
di riconoscimento reciproco, perché solo nel riconoscimento reci- proco
le due (o più) soggettività si lasciano essere come tali. Bene e giustizia,
dunque, qui convengono. Soltanto qui. E questo per il fatto che l’essenza
di un essere umano è d’essere un rapporto. Egli è, dunque il bene del
rapporto e, nel contempo, il rapporto del bene, se si rapporta
riconoscendo. S’intende, secondo le forme della finitudine. Non ho inteso,
con ciò, dimenticare la complessità e la difficoltà di trovare criteri appropriati
per la giusta di- stribuzione dei beni della terra. Non v’è dubbio che il
concetto di giustizia passa, innanzi tutto e per lo più, per questa
pratica quotidiana. Ma la giusta distribuzione dei beni non è che
l’effetto, in parte, e in parte l’individuazione simbolica del giusto rapporto
tra noi, che è, appunto, il rapporto di riconoscimento reciproco.
19. Giustizia dunque come riconoscimento della dignità di un essere umano,
delle sue opportunità d’ingresso alla vita e del suo onesto disegno di
fioritura. È a questo punto che può cominciare l’istruzione del tema
della libertà. La libertà non può che essere l’ultima delle tre parole, e
non la prima. Questo non significa che essa non sia altrettanto
originaria delle altre due. Significa solo che è ordinata alle altre due,
mentre non è vera l’affermazione reciproca. Lo smarrimento di
quest’ordine, che direi onto-etico, è forse una delle più grandi sciagura
della modernità. E noi viviamo ancora sull’onda di quella deriva. I moderni
han- no fatto della libertà una magica parola, cui tutto dovrebbe essere
sottomesso; ma la libertà, come prima ho ricordato, fa la dignità del
gesto di un essere umano, non ne fa, da sola, la bontà, anche per il
fatto incontestabile che esistono, e come!, gesti di libertà cattivi.
qualcosa e quindi ha una valenza ontologica, ma l’ha di seconda battuta. Un po’
come accade alla verità rispetto all’essere. 48 Carmelo
Vigna 20. Una società veramente civile è possibile pensarla, solo se si
oltrepassa la convinzione moderna del primato assoluto e incondizionato
della libertà e si accede al primato assoluto e incondizionato del bene
di e per ogni essere umano (che comprende di certo anche la sua
condizione di libero, ma non si riduce a quella). Né basta dire che la mia
libertà finisce, quando comincia la libertà dell’altro, che è lo slogan
più noto della tradizione liberale. Non basta, anzitutto, perché questo
slogan confligge teoricamente con l’idea del primato incondizionato della
libertà. La libertà dell’altro invocata come limitante è, infatti, un
bene dell’altro; quindi la libertà è limitata, come dev’essere, dal bene
e non è affatto incondizio- nata. Solo il bene lo è. Non basta poi
perché, riducendo il bene dell’altro alla libertà dell’al- tro, si tace
di tanti altri beni dell’altro che devono costituire, anch’essi, un limite alla
mia libertà. Non è sufficiente, infatti, che l’altro sia libero. Se
l’altro è libero di morire di fame, e io sono libero di mangiare a
crepapelle, la mia libertà è la maschera penosa e vigliacca di un
delitto. Io mi approprio in esclusiva dei beni della terra che sono comuni e di
fatto escludo l’altro che ne ha gli stessi diritti. Così lo lascio
morire. 21. C’è un senso, tuttavia, secondo cui la libertà può esser
concepita come incondiziona- ta, ma non è il senso difeso dalla
tradizione teorica liberale: io la chiamo: la libertà del bene, cioè la
libertà di fare il bene3. Qui la libertà è incondizionata, perché gode, per una
sorta di simbiosi, dell’incondizionatezza del bene. Poiché in una società
veramente civile, la libertà come arbitrio non può avere solo l’altrui
libertà come limite, ma deve avere come limite tutti i diritti
dell’altro, compreso certo anche quello della sua libertà, per questo l’umana
libertà deve farsi carico di tutto ciò che la giustizia invoca per l’altro. È
questa la ragione per cui le società liberali sono incapaci di essere
veramente civili, nonostante l’abbondanza delle dichiarazioni in
contrario. Esse dimenticano facilmente, o meglio, occultano il lato della
cura e della giusta promozione dell’altro e così proteggono di fatto le
situazioni di- scriminanti, che sono poi la radice permanente della
conflittualità endemica. La situazione nordamericana è un esempio per
molti versi eclatante. Sotto il manto della libertà, mes- sicani,
asiatici e neri praticano in massa gli umili mestieri che consentono ai bianchi
una vita agiata. Sono liberi d’esser poveri… Più o meno come accade in
Italia per la fascia degli immigrati extracomunitari. 22. Se la
libertà del bene guida l’azione, allora la mira è il bene dell’altro, cioè
l’altro come bene. È anche il mio bene, ma di me come l’altro di un
altro. Solo così io posso conseguire, storicamente parlando, il massimo
bene. Sulle prime, questa affermazione può parere per- sino patetica:
l’invocazione del “buon cuore” come regola di condotta in un mondo che il
pluralismo tende piuttosto ad indurire. Una riflessione accorta però è in grado
di far vede- re che il mio bene, cioè poi la mia fioritura di vita, può
avere senso solo se il movimento del desiderio verso l’oggetto a lui
conveniente, il bene, appunto, compie il giro della referenza immediata
all’alterità e di quella all’identità in modo mediato. Mediato, appunto
dall’alterità. 3 Rimando di nuovo al vol. La libertà del bene, cit., e
stavolta spec. alla mia Introduzione, pp. 3-18. 49 Per una
metafisica del bene comune 23. Provo a tirare in breve le fila del mio
discorso. Posso anche far presto, perché tutte le fila conducono, come si
è di certo inteso, allo stesso punto: alla cifra del riconoscimento come
forma regolativa dell’esistenza degli esseri umani. Una società veramente
civile infatti è possibile, se i molti si onorano reciprocamente, cioè
appunto, reciprocamente si riconoscono. È questo il senso primo (primo
per noi) del bene comune. Nel reciproco riconoscimento, ognuno è signore
dell’altro (in quanto riconosciuto nella propria trascendentalità, quindi come
oriz- zonte inoltrepassabile di senso) e ognuno è servo dell’altro (in
quanto riconosce nell’altro la signoria del senso). Le forme democratiche
di vita politica tendono ad approssimarsi a queste dinamiche più d’ogni
altra forma. Nella democrazia infatti l’autorità del cittadi- no su un
altro cittadino è o dovrebbe essere semplicemente di tipo funzionale. Tutti
sono eguali, cioè tutti sono signori, ma fatti signori gli uni dagli
altri, mai da se stessi. 24. All’interno della cifra del riconoscimento,
come regola universale, prendono un sen- so determinato, come si è detto,
tanto il bene, quanto la giustizia e la libertà come realiz- zazione e,
insieme, protezione del bene comune. Bene significa voler ciò che consente
la mia fioritura di vita; bene è dunque volermi bene, volendo bene altri
come quegli che tale fioritura in me rende possibile. Altri,
naturalmente, solo che lo si voglia o, meglio, solo che lo si creda, può
essere scritto – dovrebbe anche essere scritto – con la maiuscola (la dinamica
relazionale è la stessa). Il bene comune in una società veramente civile
è questo, essenzialmente. Giustizia significa rendere ad ognuno ciò che
gli spetta (unicuique suum). Ma ciò che spetta ad ognu- no è anzitutto
d’essere trattato come una soggettività (trascendentale). Cioè come un
essere umano in totalità. La reciprocità riconoscente è dunque il luogo
della massima giustizia per ognuno di noi. Libertà significa non arbitrio
incondizionato, bensì libertà di fare il bene. E poiché il primo bene,
storicamente parlando, è l’esserci d’altri per me, libertà del bene vuol
dire di nuovo libertà di riconoscere l’altro come il mio bene. Come il bene che
tutti accomuna. Carmelo Vigna. Keywords: bein, essence, essenza, essere,
intersoggetivo, tre tipi di intersoggetivo: trascendentale, oppressivo,
istrumentale, being and becoming. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi
Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vignoli: la ragione conversazionale della etologia
filosofica – della legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Rosignano
Marittimo). Essential Italian
philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I spent quite some time observing a
species of pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls
‘la legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he
says, is in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might just as well
refer to is as being one in ‘philosophical ethology’!” -- Si trasfere a Milano.
Insegna antropologia presso la Reale
Accademia di Scienze e Lettere. Direttore del Museo di storia naturale. I suoi saggi apparvero su “Il Politecnico” e
sulla “Rivista di filosofia scientifica”. Due sue saggi hanno risonanza: “Della
legge fondamentale dell'intelligenza nel regno animale: saggio di psicologia
comparata” -- e “Mito e scienza”. Nel
1863 io terminava il mio saggio in-
iiorno ad una Dottrina razionale del Progresso, inserito con una serie di articoli nel Poli- tecnico a Milano , diretto già da Carlo
Cat- taneo , e poi ristampato a parte ,
con queste parole e in queste sentenze,
risultato di tutti gli studi e argomenti
anteriori: « Quésta libertà del
pensiero cresce ^*B 9 terello, soqo antiche e> costanti nella
mia mente. Onde due anni or sono
terminava la mia prolusione ad un corso
di Antropologia generale gratuito nella
R. Accademia scien- tifico-letteraria di
Milano, al quale venni in- vitato dall'
illustre professore Ascoli , gloria
della glottologia italiana — allora Preside di • quel chiaro istituto. « Siamo nuovi ancora si può dire nei
mo- «• derni studi, se volgiamo lo
sguardo alle « altre nazioni che ci
superarono , ma i ri- « sultati ottenuti
e che si vanno conqui- « stando, sono
augurio che sapremo perve- « nire a
quella gloria che un giorno sì chia- \
ramente ci segnalò tra le genti. Ma molti
RBPAZioini e per rispetto del
pubblico ; e che infine fui sempre
consentaneo con i miei principi, come
tutti possono toccare con mano dalla lettura dei brani sopra trascritti, e stesi a
lunghi intervalli e dal presente mio
opùscolo stesso. Che se V ingegno è
tapino , e il sapere non così vasto come
vorrei, e come dovrebbe es- sere, la
colpa non è mia, né della mia vo- lontà
: poiché tra i tanti difetti , che in me
possono annidare, l'ozio certo, e l'ignavia non vi si trovano:, perchè li sfuggii sempre,
come la peste più oscena, brut a e nefanda
di tutte, e la più dannosa ai privati ed
alle nazioni. Milano. Sitixa;25Ìoiie« Posta la nostra società odierna tra due
sette te- merarie e procaccianti)
diverse d'origine, ma identi- che di
propositi nefandi e distruttori, i retrivi cleri- cali, e i demagoghi incendiarli, non mai
soverchia riuscirà la solerzia, la
virtù, la virilità di atti e di concetti
ad allontanare e vincere i mali, sociali, mo-
rali e materiali a cui esse mirano con tenacità for- midabile. Che se Tuna vorrebbe ridotto il
mondo a un cenobio e a una triste
tebaide, l'altra procaccia che gli
uomini ritornino alla selvatichezza preistorica, e alla squisitezza sociale delle caverne.
Certamente le magnanime speranze di
questi tristi non si avve- reranno,
poiché la mentalità umana, la libertà civile
e le suppellettili industriali tanto cresciute e potenti non lo concedono, e in Italia specialmente,
ove l'in- dole, gl'istinti, il senno
proprio della razza, e le necessità storielle assolutamente vi si oppongono ;
ma tuttavìa è d'uopo avvisare ai
pericoli^ e alle sciagure parziali^
addottrinati dall'esempio miserando di altre
nazioni. I retrìvi e demagoghi sono gli estremi fa- ziosi e a cosi dire l'oscena e perversa
caricatura dei due legittimi fattori
della vita civile dei popoli, e del loro
intrinseco progresso, i conservatori cioè e gl'in- novatori, necessarii entrambi al perfetto e
mobile equi- librio delle forze, e al
loro dinamico esplicamento : in quella
guisa che nella compagine oi^anica, e nel-
l'esercizio delle sue funzioni, trovansi nervi modera- tori, e stimolanti, onde resulti quella
armonia di ef- fetti che vita si
appella. Imperocché come in questa si
arresterebbe immoto il circolo animatore se l'ener- gia del freno prevalesse, e tanto si
accelererebbe da distruggere sé medésimo
quando quella contraria ec- cedesse :
parimente una nazione perirebbe, se V uno
l'altro dei fattori accennati rimanesse vincitore nella lotta, che l'uno la renderebbe mummia o
cristallo^ mentre il secondo la
dileguerebbe in vapore. La sa^ pienza e
la scienza civile consistono quindi nel prov-
vedere che un equo temperamento intervenga fra le due forze rivali, o a disporre le cose in
guisa che l'una a vicenda con l'altra
serva all'incremento del bene sociale, e
al sempre più largo, e sincero eser-
cizio della libertà civile e politica
Ma a raggiungere questo arduo e nobile scopo l'in- tenzione e il desiderio non bastano: vuoisi
non solò perizia grande d'uomini e di
negozj, animo pronto, profonda
conoscenza dei fatti e leggi "Bociali, risolu- tezza impavida nelle difficili prove, onestà
costante di mezzi, magnanimo sprezzo
d'insulti e guerre volgari; ma rìohiedesi altresì vasta e chiara dottrina
sto* rica, e quel senso sicuro dei
bisogni^ dell'indole^ delle ^piraadoni
legittime. del popolo^ e limpida intuizione
Clelia legge che regola i moti delle genti europee in generale; e di quella italiana in
particolare* Or qui in Italia ì, caduti
principati lasciarono copiosa eredità di
elementi conservatori e retrivi, fatti più rabbiosi •dal prevalere delle istituzioni ed istinti
democratici^ a^vviticchiàntisi con
disperato amplesso al papato, che i loro
rammarichi, ire, convinzioni, speranze rese dom- ina religioso, ultimo strumento alla assoluta
sua si- gnoria vacillante ; méntre d'altra
parte le inveterate abitudini
cospiratrici, l'intempestive brame di utopie
facilmente nascenti in popoli non assuefati a libertà, gli antagonismi regionali superstiti alla
unificazione dei varii Stati, le bieche
e torbide imitazioni demagogi- che
d'altri paesi, e l'arruffio anche di tristi, tengono la nazione incerta, rinfocolano odii di
parte, e la spin- gono soverchiamente
nelle avventure : e quindi tanto più
difficile riesce l'impemare stabilmente lo Stato, e condurlo sapientemente. Tra queste due forze rivali, ostacolo al
retto an- damento della cosa pubblica,
rimane poderósa za- vorra, la
maggioranza della nazione, la quale, aliena
in parte dai mutamenti radicali, intenta alle private faccende, e guidata dal senso positivo delle
cose, e dagli interessi domestici,
mantiene a cosi dire un mec- canico
equilibrio nelle loro lotte, e fece si che sino
ad ora né l'una, ne l'altra prevalesse : e la nazione perciò stette, e vinse prove che sbalordirono
il mondo, e procacciò ai reggitori una
gloria, che in fondo e in parte derivava
dalla sua consapevole inerzia. Né si creda che io voglia, concludere non aver
ben meritato della patria coloro^ che
per vari v anni stet- tero al timone
della Bua nave.^ e che questa se noa
pericolò e. si sommerse nelle tempeste ove fu più di lina fiata travolta^ debba soltanto la
propria salute alla indifferenza^ o agli
istinti conservatori delle mol- titudini
: imperocché i fatti mi sbugiarderebbero, e
non conoscerei affatto, o confusamente la nostra sto- ria contemporanea. Certamente Emilio
Visconti- Ve- nosta che a più riprese
diresse e in condizioni so- vente ardue
e perigliose i nostri rapporti con gli stra-
nieri, seppe schivare con tatto fino, e con squisitezza^ di modi, non disgiunti da dignitosa fermezza,
i rischi che ci minacciarono, sia di
lusinghe subdole, di al- tere brame, o
di tenebrose cospirazioni del Vaticano.
E potrei pure ricordare con encomio altri, che con zelo ed onestà, si adoperarono a prò della
nazione. Né si vuole poi dimenticare il
grande partito libe- rale, erede degli
intendimenti di Camillo CavQur, il quale
nei giornali, dalle cattedre, nelle concioni, nel parlamento con costanza segui in parte quelle
caute e forti norme, che ci condussero
sino ai tempi pre- senti. Ma tutti
questi saggi consigli e propositi, edi
fatti che vi corrisposero, non avrebbero certamente salvato dai perigli la nazione, se la
maggioranza de- gli italiani col suo
contegno fermo, l'indole non ec-
citabile, e col veto, a cosi dire, della passività, non avesse resi vani i proponimenti, sventate le
trame sotterranee, e lasciati in secco
gli apostoli del di- sordine e del
dispotismo : che anzi il più delle volte
scossa da evidente rischio, segnò col desiderio espresso virilmente in mille guise, la via da tenersi
dai reggitoli, e si può dire in un certo modo, che Ella fu che governò il paese, con senno suo proprio,
e con quegli spiriti liberali che
seppero infonderle molti va- lenti
predecessori, e il grande intelletto del più grande ministro del secolo. E Cavour potè essere concreatore di un popolo,, perchè nella vasta mente raunò a
cosi dire tutti i pensieri, le idee, i
concetti, e nell'animo i de- siderii, i
sentimenti, gl'istinti magnanimi di tutta la
nazione che in lui si confidò : associandosi senza tema, o gelosa inquietudine, in momenti solenni,
nell'impresa unificatrice a Garibaldi,
che, quale soldato della libertà, fu a
cosi dire la popolare poesia del nostro
riscatto : egli fu grande perchè conscio dell'in- dole moderna dei popoli non si argomentò di
rendere libera e indipendente la patria
con mezzi termini, con sussidii di una o
altra casta e fazione esclu- siva, ma si
armonizzando in un solo pensiero, e ad
un solo e generoso scopo tutti i ceti, tutti i par- titi, tutte le forze vive della nazione, non
pauroso di sette, o queste trasformando
in leve poderose ad inalzare dal
servaggio l' Italia : insomma ei fu grande
e riusci, perchè senti tutti gl'influssi, vasti e potenti di un popolo intero: che sarà sempre, come
per il passato r«/n hoc signo mnces!^ di
coloro, che fecero e faranno opere
generose ed immortali nel mondo. Morto
Cavour rimase al governo il partito che avevalo
ajutato in gran parte nell'opra santissima della reden- zione della patria, il quale si propose e si
argomentò di seguire quella via, che
dischiuse la mente e l'o- perosità del
grande uomo, onde si compissero i fati
della nazione, e si raggiungesse il fine desiderato. Ma se il concetto
politico e Tindìrizzo del maestro fu com-
preso, e seguito all'ingrosso dai successori, e la na- zione si dispose ad effettuare i suoi
disegni, nessuno però dei reggitori ebbe
l'ingegno l'animo e lo spirito del sommo
cittadino, e comecché mandassimo ad ef-
fetto difficili imprese, e si conseguisse il massimo scopo della indipendenza e unità della patria, pure
alla lunga si manifestò a poco a poco
nel governo, e nel vasto partito, d'onde
visceralmente egli usciva, il difetto di
comprensione potente ed intera, e di quel senso ge- neroso di libertà piena ed operosa, ove si
mostrò l'ec- cellenza del primo. Ne io*
offendo l'amor proprio di alcuno di
quelli che mano mano vennero impugnando
le redini dello Stato, con l'asserire che non raggiunse l'ingegno, la perizia e l'animo suo, poiché è
cosa evi- dente di per sé stessa, e
l'esemplare troppo noto e cospicuo. Ed
in vero uno degli uomini che maggior-
mente fecero parlare di sé più frequentemente e sedette in scranna al governo dello Stato, e si
segnalò per varie vicende, fu Marco
Minghetti, conosciuto moltissimo
eziandio dagli stranieri. Or bene, chi non scorge a prima vista quanto ei sia inferiore per molti
versi al Cavour? Per quanto io possa
avere dei contraddittori non mi perito
dire che il Minghetti è un mediocre uomo
di Stato, in quanto gli manca ogni nota che
distingue coloro che nacquero a tanto ufficio. Mente lucida e simmetrica, ma non acuta e profonda;
bel parlatore, ma più facondo che
eloquente, animo più ostinato, che
tenace, scrittore sensato e forbito, ma
privo di nerbo e di vena inventrice ; ambizioso, certo nobilmente, d'aura popolare, ma incapace a
raggiun- gerla : ondeggiante tra le
diverse parti, non abile 3f dominarle:
non q;ristocraticp per proposito o arte
di governo, ma inclinato a riceverne di riverbero \^ fosforescenza : e non facile a sentire i
fecondi in? flussi del popolo. Che se
per ora pronunziò raggiun^iQ il
pareggio, e gli fu attribuito come cosa sua, quando non una legge di finanza gli è propria, e la
longa- nimità e sofferenza invece del
popolo italiano ne è il più grande
fattore, la freddezza e indifferenza con
che accolse il paese questa notizia, che pure doveva riempirlo di fervida letizia, è la miglior
prova di quanto riserbo si senta per le
cose sue nell'animo degli italiani, e
come egli non abbia veramente radici nella
fede delle moltitudini. Si badi però che io parlando si schiettamente del Minghetti, come Ministro
e scrit- tore, solo sindacabili in paese
libero e dalla stampa onesta, faccio e
rendo omaggio alla sua vita priv^)t^,
a.lla nobiltà dell'animo e delFingegno — e in altra oc- casione ne feci testimonianza — e al
disinteresse per- sonale, che spiccò
sempre anche posto al governo della
cratica, osservata e giudicata con occhio scevro da prevenzioni, e con animo non travolto da
passioni o dA interessi parziali. Né
facciano illusione all^ intel- letto
alcune singole pretese, o desiderii in paesi ove da poco la legge livellatrice
civile tolse i privilegi d'ordini
vecchi: imperocché tali avanzi archeologici
di tempi irremissibilmente passati^ sono a cosi dire piante morte, alle quali s' inaridiscono le
radici, e che fra i nuovi còlti, e
rampolli rimangono in piedi senza vita e
finitti, sinché cadano per intrinseco e na-
turale sfacelo. Nella sola Inghilterra, e meno altrove, alcuni privilegi territoriaU o ereditarii
mantengono un ordine nello Stato, ma già
ne vennero scrollate le basi, e tra non
molto anche colà, se ne sono veduti i
sintomi, e i desiderii legalmente espressi testé, si dilegueranno del tutto. Quando nelle nazioni
Tegua- lità civile dei ceti si ottenne,
e tutti vengono rappre- sentati in
parlamenti elettivi, e la stampa è libera,
la necessità della democrazia è già posta, e non può tardare a vincere in un avvenire più o meno
pros- simo, a seconda dell'indole, dei
costumi, e delle ra- gioni storiche
delle nazioni. GHi ordini nelle società
una volta spenti, o trasformati non si restaurano, e mal si oppongono coloro che carezzano Tidea
di un ritorno al passato in ogni genere
di istituzioni privi- legiate ; solo
provano che non sanno la storia, né com-
prendono i itempi che corrono, né antivedono quelli avvenire. Che se nella caduta del romano
imperio e per le invasioni delleif.orde
settentrionali, il sorgere poi del
feudalismo si considera come un ritorno ad
un patriziato ereditario, oltreché il paragone non regge, poiché nella storia non si ripetono mai
esattamente le vicende e gli istituti
d'altra età, or sarebbe anche quel fatto
assolutamente impossibile, dacché mancano
inteme ed esteme condizioni ad awerarlo^E chi sup- ponesse che a ciò potesse bastare Tinflìisso
in^retto^ o la invasipne dei Russi; solo
popolo che si accampi formidabile di
fronte all'Europa mediana e occiden-
tale, non conoscerebbe affatto le condizioni civili in cui versa la Russia. Imperocché per
l'autocrazia di per sé stessa sempre
livellatrice, lo Czar attuale anche per
intendimenti di civiltà tolse in gran parte i resti di privilegi con Temancipazione, e la franchigia
dei servi, eguagliando) le persone
dinanzi alla legge, e quindi rese
impossibili una aristocrazia dominatrice. I Russi se invadesserc una
parte d'Europa limitrofa al vasto impero,
recherebbero per costumi e idee piuttosto principj comu- nistici, propri in alcune parti del loro
organamento municipale, ampliati e resi
più forti per le sette che formiolano
nel suo seno, e che la rodono con mani-
festo danno. Onde é vano sperare anche stando ai calcili meramente empirici, e
all'osservazione super- ficiae, che in
Europa possa avvenire una restaura-
zioiB del patriziato, come ordine distinto per dritti dal resto della nazione. E ducimi che qua e
là in Itala ed altrove in special modo
tra giovani ram- poli dejle vecchie, o
più moderne famiglie gentilizie, riesca
in alcuni un certo spasimo e languore perle
anicaglie, e si tenti quasi con amminìl^i araldici, dJricostituire un ceto a parte, separandosi
con ridi- cio anacronismo dal resto del
popolo. La quale ubbia aguisce una
ignoranza profonda della epoca nostra,
ci una nullità prodigiosa nei nuovi, cxdtori dei ca- selli in rovina : Ut nomine Toagnifieo segne
otium tlaret! per dirla con Tacito.
Lungi da me il pen- iero di menomare il
lustro, il decoro, la fama di tÉinte
famiglie storiche nostre : sono anzi il primo a
riverire un lungo ordine di discendenti che ai segnalarono con la mente,
o con le armi: questo è pa- trimonio
privato inviolabile } quanto altra mai prò*
prietà, e fanno bene a tenersi care e onorate le memorie d'avi illustri, quando furono
veramente il- lustri, e vorrei che un
tal culto fosse sprone ad emu- larli
nella eccellenza delle opere. Né la querela può
venire oramai da invidia, e da astio, quatdo ordini distinti non esistono più, e tanto vale di
&ccia alla legge e alla nazione
rispetto ai diritti, un ciabat- tino che
un principe. Onde la gara tra patrizj e ple-
bei non può più rinascere, in quanto > tutti aono po- polo: e se si parla di volgo, il volgo adesso
può tro- varsi in tutti i ceti, unica
norma alla stima sociale, essendo, la
Dio mercè, il valore personale. Parlo sol-
tanto di quelli, e certamente son pochi, che invece di adoperare le loro forze, i loro ozj, le
loro ricclezze ad egregio scopo sia
nelle arti, nella scienza, ielle armi,
in ogni argomento di progresso civile, si tra-
stullano con le ferraglie del medio-evo, sciupano tenpo e decoro, e si preparano una vita squallida,
vana fu- nerea di mezzo a quella fervida
che già erompe dslle viscere della nazione,
che farà cerna dei forti e nu)vi
rampolli, disperdendo, non col ferro, col sangue, o al- tre nequizie, come gridano a squarciagola i
pusila- nimi gli astuti, ma con la
ferrea necessità di la- tura e della sua
legge di selezione, i neghittosi, e ca-
boU di mente e di volontà. E tanto più desta meur viglia questa vanagloria di festuche
blasoniche in 4- cuni, in quanto la
eletta parte del patriziato italian die
largo tributo di sussidj, di sapere, di sangue A, nostro risorgimento, e si segnalò per
generosa cariti di patria: ed anche oggi
molti tra essi onorano TI- t^a e gli avi loro con operose virtù
cittadine, e qual*- cheduno con gU
scritti e l'ingegno. Si ricordi che i
tre più grandi poeti della nostra epoca, animati da fieri e virili spiriti di libertà, Alfieri,
Niccolini e Leo- pardi uscirono dalle
loro fila; e del loro ceto fu pure il
più grande, e liberale Ministro della età nostra (!)• Altri s'immagina che la democrazia sia
irrazionale mente livellatrice, e la confondono
con le utopie co- munistiche,
impossibili ad effettuarsi, e non mai ef-
fettuate : onde rimpiangono i tempi passati, ove tutto era ordine e casta distinta, e già mirano le
genti* eu- ropee in un non lontano
avvenire, o mummificate ed immote in una
sterile eguaglianza assoluta; ovverà
scatenate in passioni furibonde spargere dappertutto fiamme, mine, stragi, ed avverarsi il
finimondo. Tali piagnoai, o gufi di
cattivo augurio, provano una cosa sola,
ehe non intendono nulla; prendono l'accidente
per li legge, il particolare pel generale, il deviare di una jetta pel costume dell'universale, e i
loro sogni per i&altà. Certamente se
questi conservatori dirigessero le sirti
dei popoli, le tristi scene e nefarie che non a (1)11 patrizio Piola, seguendo Tesempio
della egr^ia e chiara famiglia, dio alla
luce neirannò scorso un libro di
eeoDmia, che certamente merita di essere segnalato. Che se al- cuil non potrà condividere tutte le idee, o
ascriversi assolutamente ai luoi
principj, trovansi nel suo trattato cose ottime, e ricerche fate con lungo studio ed amore : e fanno
onore a chi le scrisse. Or be^e nessuno
intraprese a parlarne, eziandio criticandolo. Questo si- bilo non é buon segno : V esempio era
eccellente anche per Tori- fiée e il
ceto dello scrittore: nò doveva trascurarsene ropportunità^ .nche civile. guari inorriditi vedemmo in
altri paesi; inevitabil- mente
accadrebbero, e con sempre più frequente ri-
petizione; ma governandoci con altri intendimenti e con più larghi e generosi propositi, quei
mali diver- ranno sempre più rari, e
impossibili. Del resto a nessuno che
abbia fior di senno verrà in mente mai, o cre-
derà, che nelle cose umane possa affatto il male evi- tarsi, quando lo scopo a cui deve intendere
ognuno, si è il procacciare di sminuirlo
con costante operosità. L'età d'oro e di
ogni bene, i miti e i poeti la posero al
principio, o alla fine del mondo; e ragionevol-
mente, perchè dell'una non ci ricordiamo,^ all'altra non siamo ancora pervenuti. La democrazia, intesa come vedremo, tra
poco, mentre suscita tutte le forze vive
della nazione, pone in moto tutti i
valori, fa con rapidità ricircolare nel
corpo sociale i beni avvivatori, e tiene desta la mente di tutti nella universale concorrenza a
vantag^o poi di tutti, non livella
matematicamente le rjmsse, come con
eleganza di eloquio, e con dignità cristiana chia- mano il popolo : poiché nella libera attività
di i cia- scuno, sorge una
disuguaglianza proporzionale, 6 l'a-
ristocrazia legittima, cioè dell'ingegno e del valor per- sonale ; ed appunto perchè personale non la
perpetua con violenza alla verità e alla
giustizia, nei succes- sori. Onde i
timidi del livello si rassicurino ; se lunno
mente, vigore, volontà possono saUre nelle società de- mocratiche, con più decoro, al sommo della
glorii, o del legittimo potere, quanto
ai tempi dei paladin: di Carlo Magno. Se
una cosa hanno da temere, temtno di
quelle dottrine, che frapponendo violenti ostacoU alla libera esplicazione delle potenze e
attività uman^^ raccolgono legna agli incendii futuri, e preparano le bufere sanguinose delle rivoluzioni delle
plebi maneg- giate allora dagli
arruffoni e dai demagoghi. La vittoria
della democrazia, e il suo regno du-
raturo nelle nazioni civili, dipende dalla natura me- desima del principio che la informa, che è un
por- tato necessario della evoluzione
sociale, e la distingue dalle democrazie
antiche , e da quelle che sussegui- rono
al rinascimento dei comuni nella età media di
Europa. La democrazia moderna è l'effetto di leggi non solamente sociali, morali, economiche
ìiella signi- ficazione loro ordinaria ,
ma di leggi antropologiche, che s'innestano,
e s'immedesimano a quelle naturali, che
governano l'evoluzione intera delle cose che sono. £ questo nesso, questa identità analogica
della espli- cazione delle razze e
istituzioni umane, con le leggi che
signoreggiano la dinamica universale degU esseri fii da tempo avvertita, e nella Grran
Bretagna, Ger- mania, Francia, Bussia
stessa ed America ha validi campioni che
la sostengono, e sarà certo la scienza
sociale avvenire. Coloro, che adesso sequestrano e di- vidono i fatti sociali, morali, storici dalla
generale forma evolutiva dei varii
fenomeni, nei quali, a dirla col grande
Poeta, si squaderna la vita dell'Universo,
come se consistessero impomati in sé medesimi, e se- parati dal mondo, non se ne intendono; e mal
com- prendono l'alto e nuovo valore
della scienza attuale, e vìvono ancora
della vita postuma dei nostri arca-
voli^ E si badi che io non ripongo tra i cultori dei nuovi metodi storici, e della nuova scuola
dinamica, i vaporosi filosofi egeliani,
od affini, che sbalordi- rono per poco
il mondo con le loro teoriche sperticaie e temerarie^ e lo stomacarono poi
negli stessi paesi ove nacque : teoriche
si disformi dall'indole delle menti
italiane^ e piuttosto delirii,. che scienza; ma si bene io intendo parlare di quelli, che
mediante norme osservatrici e
sperimentali, e con la sovrana leva del-
l'induzione, virilmente applicati (secondo gli esempii ed i canoni del divino Galileo, che primo nei
moderni tempi ruppe non solo nelle
scienze fisiche, ma per analogia in
quelle organiche e morali stesse, i clau-
stri e i ceppi scolastici del pensiero, e le arbitrarie quisquilie a priori) seppero, io dissi,
ricondurre la mente alla realtà delle
cose in ogni ordine della scienza, e
dare base solida alla enciclopedia, che deve essere l'interprete, e lo specchio sincero, e
intellettivo della jiatura. E certo alcuno non sarà si tracotante da
negare gli splendidi effetti e le
portentose applicazioni che tali me-
todi in ogni ramo d'arte, di industrie, di scienze produs- sero, e quanto se ne avvantaggiarono eziandio
quelle di- scipline che sembrano agli
uomini superficiali maggior- mente
aliene à^ quei procedimenti : poiché tutto il bene materiale e morale e la stessa vittoria della
libertà ci- vile e politica nei presenti
tempi, è dovuta per chi ha fior di
senno, a questo sovrano e indipendente indi-
rizzo della ragione. Io so che molti, che si dicono con sorridente compiacenza di sé medesimi ,
positivi , e fanno professione di arguto
realismo, e canzonano co- loro che non
partecipano alla loro innata divinazione,
trattano quasi da allucinati , e di spiriti perduti nel vano delle sottili astrazioni, quelli che dai
fatti ri- salgono alle leggi, dalla
norma sensata degli atti so- ciali ai
principii che ne governano l'esplicamento ,
daUa esperienza giomaUera dei negozii privati e pub^ blici, alle profonde ragioni che li rendono
inevitabili. Ma di tali Tersiti della
scienza^ la scienza ha fatto giustizia^
e non ne possono certamente arrestare il
corso trionfale. Quando ci mostreranno che la scienza^ qualunque sia il proprio obbietto, è una
raccolta inor- ganica di fatterelli, e
di qualche regoluccia metodica : che le
varie discipline non abbiano tra loro alcun
rapporto, e sieno disposte una dopo Taltra, senza in- trinseco legame, come le pietre migliari,
avranno ra- gione : e allora confesserò
contrito che il manuale che accatasta,
equilibrandoli, sciolti materiali, ne sa più
di Archimede e di Newton. Ma
ritornando al nostro argomento della natura
della democrazia moderna, ripeto che ella si disforma da quelle che con tal nome si ebbero pel
passato. Nell'antichità stavano in
generale di fronte due or- dini di
cittadini, ordini più o meno distinti, gli ottimati e le plebi: e il valore di
queste si argomen- tava nella lotta
contro i primi, che resistevano ad una
eguaglianza di diritti in parte civili, in parte pub- blici, ereditarli nella loro classe per lungo
corso di tempo: e, condizione sociale
rilevantissima, viveva al di sotto di
esse, un immane numero di schiavi, i
quali attendevano, mere macchine animah, alla pro- duzione delle cose necessarie, utili e
superflue, ed an- che alle arti, e agli
uffici indispensabili alla civile
convivenza. Nella età media le lotte dei borghesi e dei castellani sotto altra forma è vero, ma
lotte di potenza, eguaglianza e
sopreminenza politica si rin.- novarono,
e se schiavi nel significato antico non c'e-
rano, rimanevano però i vassalU e i servi della gleba : ed U lavoro stesso nelle città libere veniva
in ogni maniera vincolato dalle
maestranze e dalle corpora- zioni
artificiali dei travagliatori. In tali società cer- tamente non esisteva esplicito un principio
che in- volgesse la necessità di una
vittoria definitiva della democrazia^ e
dì una forma civile di evoluzione della
operosità di tutti^ e dello Stato medesimo. Non vi ha dubbio che fin da quelle epoche lontane il
principio generatore della democrazia
moderna non operasse ; e le condizioni
intermedie non fossero per cosi dire
anelli e spire per le quali andasse svolgendosi con irresistibile moto. Or quasi dappertutto in
Europa quelle condizioni cambiarono: gli
ordini distinti si ruppero, e si fusero
in quello unico dello Stato: le arti, le
professioni divennero libere e comuni: il pa-
triziato perdette i suoi privilegi, come fu costretto a svestirsene il clero, ed una uguaglianza
perfetta e vir- tuale dinanzi alla legge
si estese dai sommi agli imi, dal ricco
al povero, dal dotto all'ignorante, dal ma-
nuale sino ai maggiori uffizii di Stato. Quindi nessun ordine di cittadini potendo consistere e
perpetuarsi per via di privilegi, e
tutti dovendo personalmente bastare a se
stessi, privi di appoggio artificiale che in
qualunque evento ne garantisse il possesso, rimane che runico principio che informa e mantiene
la so- cietà moderna nella eguaglianza
legale assoluta dei cittadini, è il
lavoro nella indefinita molteplicità delle
sue forme: il lavoro, etemo generatore di tutte le cose, spirito vivificatore del mondo, arte
divina che tutte le cose produce, e
produsse, e le spinge, le evolve a
sempre nuovi e splendidi effetti: il lavoro,
il quale elevò alla loro altezza morale e intellettuale Tuomo e la società, e li redense: conforto e
premio nel tempo stesso; causa ed
effetto della democrazia moderna, e
garanzia perpetua della sua durata, e dei
suoi progressi. Le lotte contro
gli ordini- privilegiati, del popolo, e
delle plebi serve con Teguaglianza civile cessate, a poter vivere e durare rimane a tutti e inevitabile
il lavoro : e poiché questo è libero,
chi non vede , che per la inesorabile
legge della selezione naturale, il neghit-
toso dee alla lunga scomparire, anche per la radicale divisione dei beni tra i figli, e lasciare il
posto agli operosi : provvidenziale
magisterio del mondo, che una legge
fisica e organica, si trasmuti socialmente in una giustizia morale! La democrazia moderna è
invinci- bile per* questo appunto che
tutta quanta s' impema e vive nel
lavoro, reso formidabile e irresistibile nei
suoi effetti dalla eguaglianza di tutte le classi; onde ogni specifica distinzione anteriore delle
diverse forme di Stati nel loro interno
componimento sparisce, e ri- mane
splendida per tutti, chiara e nobilissima quella di popolo, che tutti comprende, tutti inalza,
tutti re- dime in un alto e dignitoso
nome : in quella guisa. che uno pure ne
resta il principio vivificatore, premio ai
buoni, minaccia ai tristi e agli ignavi che lo dispre- giano, il lavoro. A questa conclusione di
fatti e di ragioni storiche e sociali
provenne la razza nostra per una lenta
evoluzione delle sue potenze, governata
da leggi fisse organiche e morali, che poi tutte in una si convertono, nella costante esplicazione
delle forze in ogni ordine di fenomeni
dalla genesi siderale sino alla
costituzione della città moderna. Or vedasi quanto fanno mostra di avvedimento, di senno, di
sapere coloro che si argomentano e sperano di ricondurre le società presenti alla forma di quelle
passate, sia va- gheggiando le antiche
repubbliche, o più tristi le mi- serande
anticaglie del medio evo. Arrestare il corso
dei firmamenti, la produttività della natura, mutar le sue leggi, sembra a tutti impossibile, e concetto
di mente stravolta: orbene, altrettanto
impossibile ò il far re- trócedere la
umana società, e rifare il cammino per-
corso, e ritornare don^de partimQio. La legge del moto sociale è invitta ed etema ; Tonda
trasformatrice della vita passa e non
rinverte — Spingete, o retrogradi, pure
rocchio d'intorno : nessuna orda selva^a, o po-
polo rozzo, che possa, invadendo, ripristinare le squi- sitezze feudali: all'interno con F
eguaglianza assoluta e col lavoro che la
nutre e la difende, nessun modo di
elevarsi a casta dominatrice : poichà se > lo tentassero, sarebbero dispersi in pochi giorni dal genio
libero e insofferente di privilegi
moderno : genio non sorto da condizioni
speciali o da particolari necessità in un
breve giro di mura, di provincia, di popolo, ma ef- fetto e compimento di una legge eterna, in
tutta la razza nostra. Quindi sono vaghe
lusinghe, sperpero di fanta- sia, sogno
sterile, e che uccide miseramente il sogna-
tore ; poiché mentre ei si travaglia in un lavoro impro- duttivo e chimerico, altri si inalza con
quello maschio e fecondo, e rovescia chi
perdeva il tempo a insidiarlo. Alcuno
potrà credere forse che in altri paesi d'Eu-
ropa la legge che noi abbiamo formulato non valga, o sia lontana ancora dal compimento come da
noi latine nazioni, avvenne più o meno
perfettamente. S'inganna! Della più
lontana jRussia parlammo, e vedemmo che
ivi pure oramai l'eguaglianza si effettuava, e con la eman■ \U 4à'"fe. iSX
I Ideet dello Stato. Definita liella sua natura^ nel suo valore
storico y e per la sua genesi la moderna
demoera^a^ e fatti certi ohe ella
consiste e si fonda sulla eguaglianza
assoluta dei diritti ciyili « politici di tuttì^ e sul la- voro libero, indipendente e affatto personde,
vedia- mo quale sia la forma genkulna e
necessaria dello stato che visceralmente
ne germo^a, e quale l'idea che del
medesimo se ne svolga, e si disegni. Trala
pevsonate egualmente. Quindi il diritto di proprietà è ìmplicitameiite
contenuto, e identificato a cosi dire
nel diritto al libero esercizio delle personali potenze, poiché il lavoro, che è la condizione
assoluta della vita e della libertà
delle società moderne, non si con- suma
soltanto nel suo atto presente, ma si continua
negli effetti suoi, giacché in essi restarono scolpiti inerenti, consustanziati gli atti successivi
via via delle potenze che li produssero.
Imperocché se prodotto un oggetto, od
attuato un fatto qualunque economico ,
materiale o intellettivo, cessa il lavoro della facoltà, e dell'arte nostra a produrlo, egli è perciò
ancora una emanazione della nostra
persona, fa parte della me- desima, nò
potrebbe essermi tolto gratuitamente, e di
forza, senza che venga io stesso violato in una apparte- nenza della mia propria persona : ed è
appunto per questo che TeguagUanza vera,
e la condizione sua, il lavoro, fattori
della libertà privata e pubblica, presuppongono
la proprietà, e la proprietà dei prodotti: onde nel la- voro libero, abbiamo non solo un principio
economico, ma giuridico. Ed in vero se
la proprietà, prodotto del lavoro, o la
possibilità di possedere stabilmente
secondo i canoni della legge di eguaglianza, non fosse un fatto, un diritto d'ogni singolo,
eguaglianza e la- voro sarebbero nomi
vani, e la proprietà come fu du- rante
secoli molti un privilegio di pochi, e di caste. Quindi i comunisti e socialisti che
distruggono o vio- lano per arbitrarie
teoriche il diritto pieno di pro-
prietà, distruggono a un tempo eguaglianza, libertà e lavoro, annichilando gU effetti della
evoluzione ge- nerale della società
umana, *e spegnerebbero ogni progresso. Ma
l'uomo vive di libertà, e a libertà si
muovono le genti, e con la libertà alla dignità morale e intellettiva:
senza eguaglianza di diritto^ che
piresuppone lavoro, e virtualmente proprietà, libertà e benessere non sussistono: il principio loro
quindi riinane sempre economico, in cui
implicitamente è contenuto e connaturato
il giuridico. Le attitudini umane sono
svariatissime e molte> plici:'le
indoli diverse, dissimiU i desiderii, le aspi-
razioni, gli scopi, come distinte le condizioni econo- miclie di ciascheduno ; onde nasce e pullula
una infi*- nita varietà di lavori, di
atti, di esercizio, di prodòtti, di gara
che avvivano, rimutano, conunovono e corro-
borano la società, ove lìberamente possono effettuarsi. Ma per la ragione appunto per cui tutte
queste atti- tudini e facoltà debbono
pel libero lavoro esplicarsi^ ed operare
in una società d'uomini eguali virtual-
mente in ogni diritto fra loro, sorge la necessità di rispettare reciprocamente il lavoro, e il suo
prodotto in ciascheduno: il che implica
nel diritto il dovere^ e la ragione
reciproca loro. Imperocché sarebbe af-
fatto vana illusione l'eguaglianza^ e con essa la libertà del lavoro, e la proprietà dei
prodotti, che indi risultano, se a tutti
vicendevolmente si conce- desse di
violare Tesercizio degli ^ altri ; ed- illusione sarebbe pure l'effetto della legge di
evoluzione sto- rica, che in quella
eguaglianza di diritti si conchiu- deva,
e sciaguratamente inutili tanti sacrificj, tanto sangue, tante violenze sofferte € superate
dai dere- litti lungo i secoli, per
conquistarla. Quindi come nel fette
economico del lavoro, era implicito, inchiuso,
consustanziato quello giuridico, cosi c'è pure involuto fu la forza, 3 l'utilità immediata
reciproca. E si badi che io sono lontano
dall'affermare — e come npl sa- rei, se
il sipposto è ridicolo? — che questa forza,
questa utiltà, causa e tutela delle prime aggregazioni, foss3 voluta per
deliberato proposito e cosciente degli
sciani rozzi a selvatichi : che nulla nelle ori- gini umaae avviene per esplicito divisamente
, ma tutto pet spontanea evoluzione
delle potenze nostre nella coitorrenza e
operosità loro, secondo ragioni di
luogo, di tempo, di razza. Verità che non dee mai dimenticarsi, e canone storico da non mai
trascurare da tutti,!che desiderano
raggiungere con certezza le reali ori(ini
d'ogni umana istituzione e credenza.
Quandoinvero le intelligenze dei singoli uomini pri- mitivi fano si umili, e sì nel senso
implicate, e le volontèrsì poco
esplicite per razionale valutazione di
motivi e mentre le necessità di natura, d'altra parte, appar^nen ti tutte alla conservazione
individuale gli spingv^a ad aggregarsi,
nessun altro stimolo, oltre la legg
legame che quello della forza sia di uno o di più a norma dei varii modi di
ordinarsi valeva a te- nerne stretta la
convivenza. In quel primo stadio, in
quella prima forma se possa cosi chiamarsi, di
stato, nessun principio teocratico, mitico, simbolico era sorto , dappoiché le intelligeme erano
ancora troppo chiuse, e involute e non pote-^ano
sollevarsi a quelle idee, proprie
d'altre età, e coniizioni psicolo- giche
successive. In questo stadio gF Stinti animali
prevalevano, e la mente sordamente
in quando tra essi sorgono ingegni che o per senso di umanità^ o per ambizione personale, o sete
di glo- ria si fanno campioni di più
giuste leggi^ e preparano i rirolgimenti
sociali. Al di sotto di questi ordini su-
periori^ altri minori stanno sinché si giunga alle plebi, le quaU benché non serve, pure non
usufruiscono di tutti i diritti dei
primi, e per ultimo vive una mol-
titudine di servi, cose e non uomini. Or tutto questo immenso numero di meno privilegiati, e di
servi, men- tre è materia infiammabile
per chi nacque in alto, e vuole per
buono o malvagio fine adoprarla, essa stessa
é spontanea artefice d' insurrezioni o rivoluzioni so- ciali, che conducono in ultimo alla
eguaglianza delle persone e dei cet^. E
ciascuno sa, come sempre in un modo
nell' altro , continuamente ciò avvenne , per
lungo corso di Secoli : fatti che predispongono ed av- viano lo Stato alla terza sua forma, la
simbolica. In questa novella forma in
cui si risolve l'idea dello Stato
antecedente, i diversi ordini e poteri, co-
mecché permangano ancora nominalmente, cangiono però d'origine e d'indole propria per la
comune egua- glianza che quasi si
raggiunse, sancita dai nuovi co- dici e
dagli Statuti. L'investitura divina del supremo
potere, la quale a sua volta istituiva ordini, e dele- gava uffici in virtù di questa sublime
prerogativa cessò quasi, rimanendo
ancora, qualunque sia il nome del
governo, soltanto come fede pubblica, nella ele- zione continua ed ereditaria delle famiglie
regnanti non solo per volontà nazionale
, ma si per la divina grazia. Il quale
presupposto teologico però per l'in-
cremento della mentalità, ed il progresso intellettivo della cittadinanza , ed un sentimento
implicito nelle classi inferiori della ' eguaglianza civilei anche quando e dove non si rese universale , divenne
piuttosto un simbolo sociale^ . che una
fede positiva ad un fatto re- ligioso^
come per il passato. In qualunque confessione
religiosa tra i popoli civili , l'adagio che ogni potere viene da Dio, come ogni evento è
signoreggiato dal medesimo, resta nella
fede e nella abitudine generale degli
spiriti eziandio allora che il pensiero tanto si aflfòrzò, ed emancipò da dileguare ogni
mitica rappre- sentazione, -e valutare
più razionalmente le leggi della natura
e quelle che reggono i moti del mondo sociale,
dove veracemente il principio etemo si matdfesta. Onde Tidea di un influsso divino , e di un
regime provvidenziale immediato negli
ordini politici perdura nel nuovo
concetto della vita dei popoli, e cinge per
cosi dire di una aureola religiosa le persone che eser- citano le più alte funzioni dello Stato:
benché a que- ste non presiedano più ,
tranne la famiglia domina- trice, classi
privilegiate, che ne ereditano gli ufficii.
La quale discrepanza tra le idee e le cose , tra gU ufficii e le persone , tra la costituzione
razionale , a dir così, dello Stato , e
le abitùdini degli spiriti nel supporlo
preordinazioni divine, dà vita appunto alla
forma simbolica, di cui discorriamo. Le leggi razio- nalmente sono discusse e ordinate, i poteri
dello Stato si esercitano in forza di
queste leggi, le persone che gli
rappresentano non sono più identificate con I me- desimi, il sentimento della libertà umana è
profondo, e quello della eguaglianza dei
cittadini dinanzi alla legge, diviene
una verità sempre più chiara, amata e
voluta; ma pure ogni grado pel quale sì ascende
dalle funzioni infime alle supreme, è vivificato da una rappresentazione
simbolica ^ ove continua sotto una certa
forma fantastica e incoscente, la mitica e teecratica natura dei poteri della
fase anteriore. Cosi la grazia divina
pei principi, Temanazione della giustizia persoi^ale, la permanenza legale, se
non privile- giato, dell'ordine
patrizio, e la facoltà di aggiungere
membri al medesimo con titoli vecchi, la costituzione dei diversi poteri come entità sostanziali, e
via discor- rendo, sono tutti simboli
sociali a cui si attribuisce un valore
pubblico, mentre in sostanza le* condizioni
civili e intellettuali del popolo ripugnano a queste credenze.
Questa forma simbolica della idea dello Stato per- chè si effettui e si manifesti, è d'uopo che
l'egua- glianza dei cittadini nel giure
civile, se non in quello politico, sia
raggiunta: poiché il simbolo sottentra ap-
punto alla personificazióne effettiva di una emana- zione o delegazione divina neUe famiglie, o
ceti pre- posti al potere, e con esso
quindi identificate : perchè il
sentimento della eguaglianza comune già esplicito nelle moltitudini, e legittimamente stabilito
nei rispetti civili, scassina, abbatte,
ruina l'idolo teocratico che dianzi
regnava: onde la forma simbolica dello Stato
è propria di quelle nazioni civili che avanzarono nella democrazia, e preposero agli ordini e ai moti
sociali del medesimo un principio
affatto razionale: come si vede , a modo
di esempio , in quasi tutti gli odierni
Stati d'Europa. E quindi mentre gl'intendimenti più esplicitamente manifesti, verso
l'eguaglianza, là libertà^ la
rappresentanza nazionale prevalgono nel governo
della cosa pubblica, e nella formazione delle leggi, contemporaneamente perdurano formolo, fatti,
istituti che con quelli intendimenti sono in contraddizione^ e che solo hanno ragione transitoria di vita,
in quanto sono meri simboli di più
antiche credenze , dommi , costumi. Cosi
molte formule di diritto e di procedura,
d'investitura agli ufficii, e via discorrendo, come crea- zione di nobiltà nuova, distribuzione di
titoli, ordini cavallereschi, le quali
cose tutte non avendo oramai alcun
valore reale e positivo, restano come meri sim-
boli nella costituzione dello Stato. Se, come dimo- streremo, cagione e fonte di questa terza
forma, fu il principio di eguaglianza
civile, ed un sentimento più esplicito
della libertà morale e giuridica, che di-
struggevano gli antichi idoli, egli è un vero progresso di fronte alle forme antecedenti, ed una
ultima pre- parazione alla forma pura e
razionale deUa democra- zia futura, o a
quella che i^oi appellammo funzione: e
già ne delineammo per sommi capi la natura, e
l'organamento. In questa ultima forma che è quella verso cui corrono le società moderne, per adagiarvisi completamente, effettuandone in ogni singola
parte il principio generatore, i simboli
cadono, come cadde la forza, ed il mito,
e la saldezza dello Stato dipende e
rampolla da una legge naturale di esplicamento ne- cessario delle società umane, intrecciantesi
con tutte le altre che armonicamente
compongono e reggono r ordine
universale. La quale legge riassumendo in
sé stessa tutto il valore morale, giuridico, economico della operosità singolare dell'uomo
consociato in politico e civile ordinaùiento, possiede di fronte alla ra- gione particolare e sociale quella assoluta
autorità, che per l'innanzi fondavasi in
finzioni legali, o nella forza.
Imperocché nella democrazia moderna ogni potere emana legittimamente dal
popolo, chiamato nei suoi liberi comizi,
come ogni delegazione di nfficii deriva
da lui direttamente o indirettamente: quindi
nella quarta forma dello Stato, ogni potere rampol- lando dal fette concreto del suflfragio
comune, ed ogni delegazione agli ufficii
per essere legittima ed auto- revole per
diretto o indiretto fecendosi dal medesimo ;
e i varii ufficii costituendo le funzioni che via via s'in- gradano a sempre più alto valore, a comporre
nell'in- sieme loro il vivo organamento
della nazione, non vi ha più luogo a
qualsiasi finzione, e cade pure la pe-
ricolosa nozione dello Stato , come astrazione legale : la quale fu più volte cagione d'errori , di
sventure , di tirannide mostruosa.
Imperocché rese possibile Tin- camazione
dello Stato in una persona, secondo la vana
e stolta sentenza del più fastoso e pernicioso dei de- spoti francesi; e die e dà occasione alle
teoriche e conati impossibili e
micidiali della civiltà, dei comu- nisti
e socialisti di tutte le epoche storiche.
Or se riflettasi e s'indaghi quale sia stato il prin- cipio trasformatore della costituzione dello
Stato per il lungo corso della storia in
queste quattro forme che assunse ,
vedremo di nuovo mostrarsi il senti-
mento, il concetto, la vittoria mano mano della egua- glianza morale, civile e politica tra gli
uomini, che a poco a poco ridussero e
spensero la prevalenza della forza,
distrussero gli ordini e i poteri privilegiati, dis- sipano i simboli che ancor rimangono ad offuscare
la pura razionalità civile, e preparano
la vittoria della libertà e della legge
in tutte le classi dei cittadini. Onde,
abbattuta ogni finzione, autorità arbitraria, mito, simbolo, privilegio, resta a sussidio unico
di esistenza. IDBA. DELLO STATO di
progresso economico, intellettivo, e di libertà, il la- voro libero, che come provammo fin da
principio, è il cardine e lo spirito
creatore delle società moderne: e quindi
seguendo il corso della evoluaione storica
dello Stato in Europa, e nelle razze che la popolano,* e che via via si allargano a vivificare le
altre parti del mondo, si pervenne alla
medesima conclusione , cioè che il
sentimento del^a eguaglianza che ha per
strumento il lavoro fisico-intellettuale, e la sua estrin- secazione in un fatto giuridico , è il
resultato, come è il fattore di tutta la
storia antecedente: e la de- mocrazia,
forma attuale e necessaria delle società mo-
derne, è l'effetto per una parte , e il principio per l'altra, del generale incivilimento. Noi
dicemmo che le nazioni moderne riposano
tutte sopra un fatto e un principio
economico , poiché riposano inevitabil-
mente e s'impemano nel lavoro , ed in questo si ri- solve tutto quanto il valore e l'ordine della
attuale iTOLo ni metterebbe Fatto della più violenta
tirannide, e la democrazia civile non
sarebbe phe una turpe copia di quei
sistemi d'intolleranza, cui ella combatte da
secoli. Quindi ove l'eguaglianza giuridica del cit- tadino è un fatto, e la democrazia prevalse,
la li- bertà di coscienza, o la
inviolabilità del foro inte- riore, è
una condizione della sua legge, è la sua es-
senza medesima. Noi abbiamo
adunque in Italia nemico alla unità
nostra, alla indipendenza, alla libertà, il Papato, che da pertutto d'altronde si pone come tale di
fronte alle nazioni, e al pensiero : e
poiché il Papato è una istituzione
rehgiosa, la forma di un sistema spirituale
di credenze, una fede, così per lo Stato importa, come sentimento individuale, una inviolabilità
assoluta pel principio della libertà di
coscienza, condizione impre- teribile
della vera democrazia. Quindi a combatterlo
abbisognano armi adeguate alla smisurata potenza, e che non oflFendano i diritti dei cittadini.
L'unico stru- mento, l'unico modo di
lottare, e di vincere, è la.di- visione
assoluta, ma veramente assoluta dello Stato
dalla Chiesa: non ce n'è altro, né vi può essere, che tutti si romperebbero dinanzi alla sua forza.
Le per- secuzioni, le minaccie,
l'intromettersi ad ogni ora nelle cose
attinenti strettamente alla Chiesa, non lo
debilita, lo invigorisce, perchè la fede della maggio- ranza ingigantisce nella fantasia il castigo,
e lo tra- sforma in martirio, e tronca i
nervi allo Stato. Ogni ingerenza di
questo sia a favorire una parte del clero,
per abbatterne un' altra , è seme di futuro danno, è un intricarsi in un dedalo senza uscita, è
un ap- poggio indiretto alla istituzione
che vuoisi conibattere. Lo Stato^ nella democrazia moderna, appunto perchè sorto e informato da questa, dovendo
tutelare con forza e scrupolo la libertà
di coscienza, dee es- sere indifferente
alle varie forme di fede, di culto:
tutte sono eguali dinanzi a lui: e la sua operosità e ingerenza in queste materie dee solo
versare nel- r impedire che i varii
culti con fatti si cozzino, e si
osteggino, ed offendano cosi la generale libertà di co- scienza. GHi ordini e gli atti religiosi e
civili pos- sono nello Stato moderno
vivere insieme, ma assolu- tamente
distinti, senza mai confondersi, senza mai ,
come erroneamente si crede, a vicenda rafforzarsi; essi sono indipendenti l'uno dall'altro. La
vita civile è una cosa, quella religiosa
un'altra: la loro confu- sione è
dispotismo inevitabile,, e il più tristo e il più feroce. H matrimonio civile, i riti funebri
estrinseci, r insegnamento,
l'educazione, la libera espressione del
pensiero, la costituzione delle leggi, il governo della cosa pubbKca, sono diritti propri dello Stato
e della società laicale: né si dee
permettere che tra queste facoltà, e le
correlative religiose vi sia mischianza, e
confusione mai: quantunque sia lecito alla diverse confessioni religiose risguardare quegl'atti
dal proprio e spirituale punto di vista,
ed ai cittadini il confor- marvisi,
quando non ledano l'ordine pubblico. La
Chiesa nell'esercizio dei suoi riti, del suo culto, nel- r insegnamento religioso, in tutto ciò, in
una parola, che spetta alla sua indole
interna spirituale, è libera, e deve
essere, dall'intromissione dello Stato, quando
non assalga apertamente le sue istituzioni, e non of- fenda i suoi diritti: ma l'insegnamento
pubbKco dei cittadini, popolare,
secondario, superiore, tutto, dee ni
essere esclusivamente per quanto concerne i gradi^ i diplomi, i diritti che ne provengono di
pertinenza as- soluta dello Stato, e sotto
la di lai unica e sola di- rezione. Come
tutti i cittadini sono eguali dinanzi
alla legge, tutte le istituzioni civili dallo Stato di- pendono: e quindi il clero in quanto alle
persone fa parte del diritto comune:
nessun privilegio sostenen- dolo ove
egli infranga le leggi : il codice e la proce-
dura penale colpiscono il sacerdote, come il laico sia nelle transazioni civili, come in quelle
d'ordine pub- blico. La giustizia
perfetta richiederebbe che lo Stato non
s' ingerisse affatto nelle rendite dei diversi culti, ne spendesse una lira a mantenerli : poiché
in un po- polo essendo diverse le
confessioni , se lo Stato ne sussidii
una sola, ne sc'ende la mostruosa consegueìiza
che taluni, come contribuenti, paghino pel culto non proprio, e che anzi ripudiano. Ogni culto
dovrebbe sostenersi "dalla libera
concorrenza e cooperazione dei propri
credenti, e lo Stato non avrebbe sulla pro-
prietà di ciascuno altro sindacato che la tutela delle medesime, sciolte da qualunque vincolo
arbitrario , sottoposte alle medesime
leggi, e agli stessi tributi. Questa
condizione civile dei culti è V unica giusta ,
e lo Stato dee intendere ad affrettarne il compimento. La divisione
della Chiesa dallo Stato nei termini
accennati è necessaria al vercJ progresso delle nazioni, ed è l'unico modo della sconfitta del Papato,
come ostacolo alla libertà civile dei
popoli. H fondamento alla
secolarizzazione dello Stato consiste principal- mente nella direzione esclusiva delle scuole
, nelle quali non dovrebbero
immischiarsi legalmente i chie- rici, né
compartirvi nelle medesime alcun insegnamento positivo delle religioni, essendo
tutte queste fuori della cerchia delle
attribuzioni dirette del go- verno.
Poiché se fosse concessa l'istruzione intomo ad
una sola nelle scuole, sia pure la più prevalente, i cittadini che appartengono ad altre religioni
verreb- bero lesi nei loro diritti, in
quanto e difetterebbero di uno speciale
insegnamento, pel quale pure pagano il
loro tributo, o sarebbero costretti ad assistere a definizioni dommatiche che non approvano ;
onde ver- rebbe in parte lesa quella
eguaglianza che è l'anima d'ogni Stato
che voglia essere civile. L'insegnamento
religioso poi affidato a laici non può riuscire che vano, e incompleto, destituito pel fatto stesso
delle persone, di autorità, e di
competenza: quindi si rischia, tenuto
conto delle varie opinioni dei docenti, che riesca più di danno che di profitto. La dottrina
elementare dom- matìca meglio si imparte
nel seno delle famiglie , l'autorità
patema e* materna essendo più viva e sen-
tita che quella di estranei ; e più propriamente nella Chiesa, per bocca di coloro che a ciò sono
superior- mente ordinati; ove Uberamente
e con efficacia si professa. Nelle
scuole dovrebbesi diffondere, rinforzare
ad ogni occasione quel sentimento di civile onestà , ove consiste ogni dignità morale, comune a
tutti gli nomini, a qualunque fede
appartengano. Che se, come altri notò,
il rimuovere dalle scuole l'insegnamento
religioso per mezzo dei chierici, o il toglierlo affatto, temesi occasione di allontanamento dalle
medesime di grande copia di alunni, è
questo uno dei soliti timori, prodotti
da fatti particolari innalzati dalle fantasie e
dagli interessi di vario genere, a legge, e che produ- cono inevitabilmente questo effetto solo,
cioè di non osare mai avanzare, avendo paura della propria om- bra. Quando a nessuna professione, a nessun
tiroci- nio, a nessuno utile esercizio
sociale non si potesse pervenire, od
essere legalmente abilitato a goderne i
vantaggi, se non frequentando le scuole dello Stato, sottomesso ai loro esami, e ai diritti che ne
ram- pollano , Tallontanamento non
sarebbe di lunga du- rata, e dopo
qualche oscillazione, o ricalcitranza ,
tutti volentieri e senza ombra di scrupolo vi inter- veprrebbero. Ben poco conosce gli uomini e.i
tempi nostri colui che dubiterebbe di
una tal verità: gli esempi che la
testimoniano in altri ordini di fajtti,
non m^cano tutti i giorni. Certamente, e questa è la condizione assoluta della riuscita, il
governo dee curare con assidua e
scrupolosa attenzione, e ferma volontà
che le scuole dello Stato sieno le migliori di
tutte quelle che sotto altro nome possano sorgere, e quindi i maestri dai gradi infimi ai supremi
sieno degi^ dell'alto magisterio a cui
si consacrano senza cerna partigiana, e
che gli stipendi si accrescano, onde
onestamente possano vivere e con quejla dignità
e decoro atti ad infondere eziandio per sé stessi nelle giovani menti il sentimento di autorità:
poiché pur troppo lo squallore, la
miseria, gli stenti palesi , de- gni di
altissimo rispetto, quando sieno virtuosamente
sopportati , non sempre accrescono per la fralezza e vanità umana, merito in chi ne è vittima
immerite- vole. Finché risolutamente non
si porrà mano ad un tale riordinamento
radicale dell'insegnamento, e non verrà
divisa la Chiesa dallo Stato nelle pertinenze
civili, vano é lo sperare di vincere grinflussi faziosi clericali, e la continua intromittenza loro
nelle facende laicali* Non oso sperare^ tanta e la nostra fiac- chezza^ un si gran bene^ e si necessario^
prontamente, benché sia Tunieo modo di
vincere. Ma quello di cbe sono
certissimo; si è che dovrà farsi^ quando che sia, perchè è Funico argomento per combattere il
pertinace iiiimico. Alcuni sottilmente sillogizzando potrebbero
opporre a queste nostre dottrine
l'obiezione, dimandando il perchè lo
Stato solo e nella democrazia prevalente,
può foggiare la forma interna di sé medesimo, secondo il canone del giure civile esclusivamente ,
negando questa facoltà a quello
ecclesiastico, che si radica pa- rimente
nella inviolabilità personale dei cittadini. Alla quale speciosa obiezione facile è la risposta
: poiché Fattuazione organica delle
funzioni e delle leggi onde risulta poi
la nazione legalmente costituita, dipende
e si evolve da quelle facoltà e potenze individuali che spettano all'esercizio d'atti esteriori,
di fatti eco- nonùci, di procedure
eflfettive, riguardano fini essen-
zialmente terreni ed eudemonici, i di cui profitti e uti- Utà sono per sé medesimi così definiti e
certi che acquistano spontaneamente
l'assenso dell'universale : mentre il
sentimento religioso, e le formolo onde obiet-
tivamente si veste, variando da persona a persona, e riguardando interessi, e speranze che
effettivamente qui BuUa terra non hanno
compimento, se dovessero dar forma a
così dire civile, ed estrinsecarsi in un
ordine pubblico di popolo, recherebbero confusione e anarchia , o prevalendo il più forte,
ritornerebbe a galla lo stato
teocratico, che è la più bieca e turpe
tirannide. Quindi mentre il sentimento religioso che nella democrazia vera dee risolversi nella
assoluta liberta di coscienza^ viene tutelato come diritto inalie- nabile dallo Stato, non può^ come il fatto
meramente giuridico, assumersi a
principio organatore della so- cietà
medesima, come qualunque altro sentimento del-
l'animo umano. Ma alcuno , e ce ne sono molti , più appassionato amatore,, che fidente nei
benefici effetti della libertà ,
insorgerà a ripetere ciò , che si andò
ripetendo dai dottori in politica soventi volte , che^ concessa questa separazione dello Stato in
tutti i suoi ordini dalla Chiesa,
basterà poi a contrapporsi vitto-
riosamente al gigante che ci sovrasta, e agli influssi perniciosi del medesimo verso la civiltà in
generale, e la libertà della nazione in
particolare? Una potenza cosi
formidabile verrà poi sconfitta, in quanto agli
effetti civili, con un tale metodo, e non userà invece della libertà sconfinata che le concediamo, a
schiac- ciarci più prontamente? Vane
paure! Se il papato conta una vita di
diciotto secoli , se la sua efficacia
penetra da per tutto, se sotto gli ordini suoi milita una moltiforme schiera di sudditi operosi e
ubbidienti, e formolo adesso nel sillabo
la teorica^ del dispotismo teocratico,
l'umanità e la razza nostra europea nu-
mera d'altra parte, ben più secoli di vita: crebbe e si emancipò con lotte continue e pertinaci
d'onde uscivano più vive scintille di
luce intellettiva, pro- rompevano più
fervidi desiderii di libertà ; si raffor-
zarono propositi più civili di vittorie futurp, che an- davano animando mille e mille e poi milioni di
adepti, che poi si dilatavano baldi e
procaci su tutta la terra^ recandovi non
solo germi di verità e libertà, ma isti-
tuzioni imperiture, Ed ora non solamente nel suo va- sto e onnipotente pensiero agita tutte le
genti euro- PROPOSTE 85 ^eO; ma ravviva metà del nuovo mondo j
fascia le bollenti terre dell'Africa,
signoreggia l'Asia, ripopola l'Oceania,
e stende la mano minacciosa già sul Giap-
pone e la China, che eccita a nuovi fati, o li tras- forma a sua immagine :£ già nell'animo e nell'intel- ligenza sua stanno indelebili,
consustanziati, e immor- iali
l'eguaglianza civile, politica e la libertà del pensiero : tre libertà che non
si spengono , tre soli che non vedranno
tramonto, e che bastano di per sé col
tempo a sconfiggere qualunque potenza. Al sillabo noi opponiamo il codice del libero esame, e
l'immenso jcumulo delle conquiste della
natura , che sono stru- menti poderosi
non di servitù, ma di libertà, ed eman-
jcipazione: al servaggio delle menti, la vittoria vivi- £catrice della scienza moderna, al mito il
vero, alle jsquallide e lugubri letane
dei mistici, lo splendido e stridente
carro dell'incivilimento. Chi dubita della
finale vittoria, chi crede di fronte alla civiltà moderna ultrapotente il Papato, non intese la storia,
o non comprese la legge indefettibile
della nostra intrinseca evoluzione, e
non sentì nell'anima quella voce divina
che grida alla nostra umanità. Sorgi e cammina ! Che se vuoisi opporre all'esito favorevole della
lotta, anche la enorme virtù della unità del Papato, come forza direttrice, tenacemente nelle sue
compagini co- stituita, e presente per
tutto, si pensi che adèsso la nostra
razza omogenea e identica nei tratti suoi prin-
cipali, e animata degli stessi sentimenti, è parimente diffusa e organizzata nel mondo, e che la sua
unità morale si va compiendo ogni
giorno. Perchè per i tro- vati
meravigliosi della scienza e dell'arte, che assog- gettarono alla volontà umana le potenti
energie della natura^ il pensiero che da prima esemplò sé stesso e^ scolpì nelle pietre; nei bronzi^ nelle
pergamene dei popoli separati^ o
inimici^ or non solo con la stampa si
moltiplicò con la velocità quasi del concepimento in innumerevoli copie, ma identificandosi con
l'immane rapidità deirelettrico in un istante,
e in un punto raccoglie tutto ciò che
avviene su tutta la superficie del mondo
: e le merci, gli uomini , le dottrine , travalicano con l'impeto della
ijieteora nejla espansione del vapore,
immensi spazi di terre, perforano mon-
tagne, e sorvolano^- emulando i venti, gli oceani, ae- oumunando prodotti materiali e intellettivi
in breve giro di giorni: onde, per la
originaria parentela e indole della
stirpe or dominatrice, tutte insieme le
forze domate della natura, van componendo l'unità di pensiero^ di scopo, di istituzioni per ogni
dove : contrapponendo ai concili! jeratici, le splendide e prov- vide mostre dell'industria e del sapere
universale. La quale unità, perchè
effetto della spontanea e nativa
evoluzione della specie, non meccanico sistema di ar- tificiale organismo, è assai più potente di
quella pon- tificale: ed ha nella legge
che la governa, e negli effetti che
naturalmente ne rampollano , la necessità
d'infuturarsi, e la inevitabilità della vittoria. ' Di fronte alla cattolicità dommatica e ufficiale, la
cattolicità delia- stirpe, del pensiero,
delle istituzioni, della Civiltà va
costituendosi, e poderosa si accampa, libera signora di sé medesima. Pongasi mente a questo fatto
inne- gabile, e veggasi se le paure
soverchie di chi nulla osa tentare,
sieno giustificate dalle condizioni generali
del mondo. Ma si rassicurino i timorati e i timorosi,, il sentimento ingenuo e nobile religioso non
verrk Spento^ ma non verrà spenta
neppure quella luce pu- rìssima di
verità, quel calore di bene, quel fuoco di
libertà che crebbero, e trionfarono a costo di lacriimè, di sangue, di stragi, di roghi infami e
scellerati. Sia libera la Chiesa, ma
libero lo Stato e autonomo in ogni
ordine di sé medesimo , e sieno libere tutte le
religioni che in esso convivono : non temete, il resul- tato finale non è dubbio, trionfo della
libertà da una parte, ed epurazione daJU
altra. Altri forse può dubitare, pur
riconoscendo l'impos- sibilità della
vittoria del sillabo nel mondo, che parzial-
mente i popoli rischino secondo le proprie condizioni civili diverse, soccombere, ed in ispecie Y
Italia ove il Papato ha la visibile
sede, e regna il Pontefice. Vero è che
non tutte le nazioni avanzarono siffatta-
mente da superare e non temere gl'influssi perniciosi del Papato, e sarebbe follia il negarlo. Ma
oltre gli aiuti che vengono loro dal di
fuori per la continua efficacia del
generale incivilimento, che da per tutto
penetra e si diffonde, ciascuno di questi popoli, ap- punto perchè affine alla comune razza
europea, ha in sé medesimo la necessità
della emancipazione, la quale può
parzialmente ritardare ad effettuarsi, ma deve in ultimo avverarsi per le ragioni discorse. In
quanto poi all' Italia in particolare,
non conosce l' indole del popolo nostro
chi crede alla sua etema e congenita
servilità religiosa tramutantesi in quella civile; chi crede che a questa posponga i suoi affetti e
i suoi interessi; che rinunzi alla terra
ed ai suoi leciti go- dimenti; voglia,
parlo dell'universale, porre in non cale
la nazione , rinunziare all' indipendenza ed alla libertà per vivere una squallida vita di
chiostro, e salire per lugubre scala al paradiso. L'italiano è con- servativo, non retrivo, per indole, e non
inerte nel pensiero; e altrettanto
rapido' ad afferrare il lato giu- sto,
positivo delle dottrine, valutare con abilità in- genita gli avvenimenti e considerare ed
estimare le sue condizioni; aperta una
via, sorto un barlume di vero alla sua
mente, vi s'innoltra con prudenza si^ ma
virilmente, e con tenacità la segue. Conosco, gra- zie al cielo, il mio paese, e a palmo a palmo
io posso dire; conversai con tutti i
ceti, in tutte le parti della penisola,
ed ho una chiara idea delle loro condizioni
morali; e certamente in alcune provincie tali condi- zioni non sono liete e normali, e richiedono
tutta la sollecitudine provvida e saggia
dei governanti; ma non si illuda
l'osservatore superficiale, anche fra loro,
come dappertutto, l'agitazione operosa nazionale sotto mille forme si propagò; l'idea del riscatto
politico, il sentimento di libertà, una
forma migliore e più degna di vita,
traversarono, mossero quelle menti e quegli
animi, ed all'occorrenza saprebbe deludere le cieche mene dei retrogradi e dei demagoghi. Cosi dunque non temasi in Italia della
libertà con- cessa alla chiesa e alle
chiese, e si proceda con riso- lutezza;
si armi dei suoi diritti naturali lo Stato, e
si lasci il clero esercitare il suo ufficio, e di fare e disfare in casa propria in quelle cose che
strettamente si attengono al suo
ministerio. Contro la fazione cle-
ricale, non v'ha altra politica possibile; ogni aggres- sione è vana, ogni minaccia non rintuzza ma
fortifica l'avversario, ed ogni
ingerenza dello Stato nelle cose interne
delle chiese, riesce poi di danno a sé stesso.
I clericali, e parlo della fazione politica loro, ben sanno del resto^ (gli abili e che hanno il
mestolo in mano) che senza lo Stato e il
suo appoggio , le loro forze sono monche
e sfatate ; imperocché il giorno nel
quale in Italia^ per una ipotesi impossibile^ avessimo un parlamento del loro colore e spirito, e
quindi un governo uscito dalle loro viscere,
sarebbe l'ultima ora * della loro
fazione , poiché nessun popolo di Europa
vorrebbe e potrebbe mantenere rapporti col nero e ' funesto governo, mentre una riscossa di
tutte le gra- dazioni dei partiti
liberali della penisola fora inevitabile o spaventosa. Questa i clericali
sanno, e quindi non tentano, né
tenteranno l'ultima prova, e solo pro-
cacceranno di tenere Ymo zampino ed un addentellato nel giure pubblico della nazione, perché lo
Stato da sé medesimo, per gli errori
servili o erroneamente aggressivi, si
procuri una certa rovina. Quindi, qualunque sia il governo che resti al timone
della no- stra patria, non devii dalle
norme che ora tracciammo ; ogni altra
politica sarebbe funesta; con l'apparenza
• della forza e della libertà troncherebbe i nervi a sé stesso. Adoperandoci di questa guisa, noi
renderemo a Cesare quel che è di Cesare,
a Dio quel che é di Pia, secondo il
detto profonda del Nazzareno ; e men-
tre daremo saldi fondamenti alla libertà ed al suo incrementa, faremo un bene eziandio alla
chiesa, poi- ché, toltole ogni speranza
d' ingerenza nelle cose civili, e
richiamata al suo morale ministerio, abbraccerà nella carità religiosa anche la patria ; come sanno
molti buoni fra loro, i quali sentono
che per conquistare, secondo la loro
fede, la'^patria celeste, bisogna amare
e difendere quella terrena.
L'altra fazione che tenta* e vorrebbe sconvolgere m
Fattuale ordine di cose civili, quali vennero prodotte dal lento moto della evoluzione sociale, è la
dema- gogia anarchica e selva^ia, avente
gradazioni diverse, come diversi
propositi, diffusa da per tutto,^e stretta
da vincoli, patti, associazioni, e guidate da uomini risoluti. E da prima è d'uopo , per giusta ed
equa estimazione d'uomini e di cose,
distinguere ed asso- lutamente separare
da una tale fazione il partito re-
pubblicano che si agita anch'esso da per tutto, e che in varie parti del mondo ha vita effettiva e
legale riconoscimento. Vero è che una
tale distinzione sa- rebbe superflua e
stolta, se pur troppo lo zelo im-
provvido o l'ignoranza, non spingesse molti a con- fondere cose insociabili, e a far tutto un
mazzo, sieno buoni o rei, di quelli che
a puntino non partecipano al grado
presente del loro liberalismo. Il partito re-
pubblicano, quando come in generale si mostra, segue la legge sana della democrazia moderna,
riposa sui medesimi fondamenti giuridici
e éivili dei popoli retti a monarchia
rappresentativa; mantiene saldi i principj *
• di proprietà, di famiglia, d'ordine, senza cui convi- venza umana non è possibile, ed è una
naturale e necessaria evoluzione
sociale. Quindi è d'uopo non
fraintendersi, né recare violentemente e con palese in- giustizia le colpe, i danni, i pericoli alla
forma repubbli- cana, che sono propri
esclusivamente della demagogia.
Dispregiare con puerile sussiego questa torbida fa- zione, è follia; la fidanza di sterminarla
con le sole armi, è concetto che non può
capire che in un cer- vello da Don
Chisciotte ; combatterFa con palliativi o
discorsi, è troppo ingenua bredulità. A mali morali, profondi, tenaci, universali come quelli di
cui trattìatnO; si può ovviare soltanto con serii e virili pro- positi, e Còli rimedi adeguati alla forza che
li produce* IEj prima condizione a
sapersi schermire da un tale nemico, è
quella al solito di non farsi illusione alcuna
intorno alla sua potenza, indagarne l'origine, e non attenuarne il pericolo. E questo si farà per
noi il più brevemente possibile, onde
premunirsi in Italia anti- cipatamente
dagli influssi e danni di questo malanno,
perchè la libertà sana e la civiltà non ne soffrano detrimento.
La demagogia o l'insurrezione anarchica delle classi povere e proletarie non è nuova, e si può
dire che i germi sbocciarono col costituirsi
delle società pri- mitive; imperocché di
fronte ai più potenti, ai più agiati e
felici, stettero sempre i derelitti dalla for-
tuna, i deboli, i miseri, qualunque ne fossero le ca- gioni. Ma se il sentimento , il mobile , lo
scopo si mantenne identico di mezzo alle
trasformazioni sociali, la forma della
demagogia cambiò, e i suoi seguaci e
proseliti crebbero spaventosamente di numero. Quindi nell'età nostra, per quanto si estende la
civiltà eu- ropea sopra la terra,
assunse una forma consuonante con quella
naturale del progresso sociale, delle con-
dizioni economiche presenti, e con l'immenso accre- scimento della popolazione. Or noi si vide
che il fon- damento, il fatto che
costituiva l'indole propria della
società moderna e dell'incivilimento stesso, è un fatto economico, il lavoro, reso libero, scevro di
qualsiasi privilegio od ostacolo, e
sostegno unico dei singoli associati,
nella moltiforme sua natura, e nella immensa
varietà dei suoi atti, dal rozzo manuale al più alto intelletto, H sentimento di questa feconda e
santa m
T-erità, pel naturale svolgimento che in tutti lo pro- dusse e lo suscitò; nacque nell'animo di
tutte le classi^ vagamente le eccitò,
spingendole di un salto con Tim-
maginativa agli effetti ultimi e salutari di questo principio, valicandone i necessari intervalli
per igno- ranza da una parte , e per
impeto di bisogno dal- l'altra. Indi la
foga pertinace, perseverante, ma più
calma, o Torrido assalto ^subitaneo di selvaggie ire contro quei medesimi sostegni, quelle
istituzioni che Bono anzi i mezzi di
giungete gradatamente ad una condizione
migliore di tutti. Cosi nacquero per un
verso le associazioni della cosi detta intemazionale, o le improvvise ruine della comune. Ma nel
tempo stesso che noi dobbiamo combattere
le funeste teo- riche di queste sette, e
soffocarne con pronta energia i delirii
nefandi, non bisogna, lo ripeto, fanciullesca-
mente cullarsi nella idea, che fatti cosi universali, e che in un modo o nell'altro si mostrano per
quanto fii stende il campo civile delle
nazioni, sia un mero capriccio
momentaneo d' ebbre moltitudini, vapore di
idioti, e fenomeno che non abbia fondamento di sorta nella storia; né in se, in mezzo al profondo
errore che l'offusca, e lo insozza, un
raggio e un filo di vero. E noi vedemmo
già che la demagogia ha la sua sto- ria,
antica quanto il mondo , e svolgentesi e sgomi-
tolandosi con i secoli parallela alla trasformazione fiociale della nostra stirpe. Ed il vero, che
questa fa- zione nelle sue teòriche
micidiali racchiude è questo: che ad
ogni uomo, ad ogni cittadino, sia qualunque
la nascita, l'economica condizione, incombe egualmente l'obbligo salutare del lavoro, ed è
compartecipe di tutti i doveri che
stringono autorevolmente tutti i consociati a prò di tatti con reoiprocft
operosità; im- perocché l'ozio infecondo
, e soltanto consumatore &
cormttore, è oramai agli occhi di tutti il più tristo, squallido e vituperevole vizio sociale, la
causa e il fomite di ogni disordine e ,
d' (^ni ruina. Ma questo vero, che or
comincia, rispetto al suo valore sociale,
a risplendere alle menti di tutti, e che mano mano che la società progredisce, sempre più palese
si farà, e che dee divenire la fede
comune , nelle sette de- magogiche si
trasformò in ribellione ad ogni sano
principio, e divenne piuttosto sorgente di miserie e di lutti, che fonte di prosperità per gli
stessi che si Intano in suo nome. Quindi
la fallacia nella cre- denza di poter
sterminare ogni sentimento religioso^
come quello che secondo essi sostiene i perni della . società attuale; la puerile fidanza del
condividere i beni fra tutti, e
ritornare, per essere felici e mirabili,
alle delizie animalesche delle prime orde umane. II sentimento religioso in sé , astraendo dalle
forme dommatiche che può rivestire , è
in quella vece sì connaturato all'uomo,
appena gli balenò un ra^io di
intelligente attività nella mente, è un. bisogno cosi profondo, che il supporlo nell'universale
temporario periturio, riesce un errore
sì madornale, quanto il credere che
possa miù cessare il sentimento del bello,
del buono, dell'utile, e così via discorrendo. Un tal sentimento muterà forma, materia, simbolo, a
sempre più puro e razionale aere
s'innalzerà, ma rimarrà^ e quando anche
in tutti si trasmutasse in effettiva
intellezione dell'ordine infinito del mondo, e dell'e- terna energia che lo vivifica, e continua,
avrà sempre una efficacia potente negli
animi umani , e una autorità suprema nei loro atti. Quindi, sicc^ome è
vano l'assunto, è assurdo il crederlo
effettuabile ; e di questo si persuadano
coloro che eccitano a simili fantaami le
moltitudini. In quanto poi alla proprietà e alla fami- glia, sarebbe con esse distrutto l'ordine
civile, ogni spe- ranza di miglioramento,
ogni libertà. Poiché l'ultimo fatto
sociale a cui" pervenne il moto evolutivo umano è Tuniversale libero lavoro, questo senza la
proprietà non può sussistere, in quanto
mancherebbe di sussidi, e dei giusti
stimoli ad esercitarsi. Che se il lavoro è
un dovere, un godimento, una dignità, la sola nobiltà possibile oramai nel mondo, oltre avere un
effetto che giova alla generale
convivenza nella reciprocanza di ragioni
e d'influssi che l'anima, è pure un modo di
rendere più lieta, agiata e amabile la vita; poiché colui che vuole rendere l'uomo misticamente
perfetto, e che tutto versi e si
travagli nella carità, e non senta e non
provi gli onesti piaceri, e rinunzi ai co-
modi, agli agi, agli utili personali, non solo disconosce la umana natura, ma annienta la storia.
Laonde la proprietà ed in conseguenza la
famiglia, sono condi- zioni
indispensabili del lavoro, e con esso della civiltà tutta quanta, e della libertà che a tutti è
si cara, e desiderata. Questi sono i
veri contro cui infuriano i propositi
dell'intemazionale, i quali se venissero ad
effetto, ogni bene sarebbe distrutto; sono errori in cui cadono e caddero non una sola volta, quelli
che, vi- vificati da un sentimento
giusto e da un vero che balena incerto e
confuso nelle loro menti, credono
raggiungere la meta sterminando gli argomenti che vi conducono.
Egli è certo però che tali sette sono or formidabili e sparse da per
tutto: hanno associazioni, pecu- nia,
giornali, conventicole e cattedre: e gl'iniziati si mescolano in tutti gli ordini della vita, e
gli arruf- foni ne sfruttano la
credulità, o ne inveleniscono, rin-
fuocano le ire: pericolo tanto più tremendo, quanto più è avvalorato da un sentimento giusto di
una ve- rità male intesa. Or che
contrapporrete a questa fiu- mana? — La
Forza? — fu tentato, ma l'idra rina-
sce: oltre, che la forza contro il sentimento e il nu- mero non prevale, e senza un principio che la
sostenga, è vano amminicolo. Combatterlo
con principii con- trarii? — si
sperimentò, risorse, e sempre più sì estende.
Con gl'influssi" religiosi? — Ma ella imper- versò maggiormente ove le genti erano guidate
e ispirate dal clero, e si agita nei
paesi, ove la fede è più viva, poniamo
che non sia la cattolica, tralasciando
anche che alcune tendenze, ire, dispetti clericali sono fomite a queste sette, e piuttosto che
attutarle, le attizzano. Forse pej:
mezzo delle esortazioni, le per«
suasioni, i libri, e i giornali? — Certamente questi modi, e argomenii quando sieno bene
appropriati e condotti, hanno un grande
valore, e maggior della forza, e degli
influssi religiosi, perchè vanno a poco
a poco componendo una opinione favorevole ai suoi principj, e l'opinione oggi è regina, e può
molto: ma la sua efficacia è in parte
frustrata dai giornali, dalle
associazioni della setta, onde è lento e stentato il be- nefico risultamento. Dunque non hawi rimedio?
— I rimedii opportuni, i soli efficaci,
e che, spero, sa- ranno riconosciuti
tali a poco a poco da tutti, se vo-
gliamo salvare la civiltà, sono di due sorta, privati e pubblici: e ne discorreremo partitamente le
loro ragioni. Odesi tutto giorno
dalle persone di ogni ordine e d'ogni
ceto, tra quelli più agiati^ lamenti e querimonie rispetto ai pericoli che ci sovrastano da
parte della demagogia universale^ e si
paventa^ si trema^ s'im- preca^ o si
pronostica il finimondo. Ma sciaguratamente
tutto questo tumulto dì sgomenti^ predizioni^ spasimi si risolve in parole, in chiacchere, in
vaniloquio ef- fervescente, e nessuno,
parlo in generale, fa nulla, o aspetta
da un arcangelo la spada salvatrice, o grida
contro il governo e i governi che non uccidono a soffocano nella culla il mostro divoratore. E
mi fanno la figura di chi, appreso
lentamente il fuoco in un canto della
propria casa, corra in piazza a gemere^
a piangere la imminente ruina delle sue mura, im- precando perchè il sindaco non distrugga i
zolfanelli, causa immediata del danno,
invece di provvedere to- sto e
virilmente al pericolo, tenue da principio, con
la propria persona, o con gli ajuti che ai forti e volonterosi non
mancano mai. Cosi presso a poco va la
faccenda per tutti coloro, e sono innumerevoli, che presentendo l'avvento della cosi detta
questione so- ciale, credono rimediare
al male col vociferare ai quattro venti
il prossimo diluvio, o volendo che altri
gli soccorra con modi, che neppure essi sanno in che veramente consistono. Ma in tale maniera
l'acqua arriva alla gola, e senza
rimedio, perchè il neghittoso è spia- cevole
a tutti, utile a nessuno. Egli è oramai tempo
di mutare registro, e se veramente stanno a cuore gli averi, i diritti, la giustizia, non fosse
che rispetta ai privati vantaggi,
bisogna persuadersi, perdio! che il
tempo è venuto, ove chi non opera, e fortemente
vuole e lavora, verrà travolto non solo dalla fiumana impura ch^ paventano^ ma dalla indole della
civiltà presìHite, nella quale il
volontarìp infingardo nozi può trovare
modo durevole di vita. E innanzi tutto la so- *
cietà è solidale d'ogni bene^ d'ogni male, e chi non sente q^uesto alto dovere, è indegno di
chiamarsi uomo civile: e quindi ognuno è
strettamente tenuto a coo- perare al
maggior benessere possibile della nazione.
E si badi che questa, di cui parlo, non è mica una carità estrinseca e contingente, che possa a
volontà con minore o maggiore zelo
esercitarsi, come avviene in altri fatti
di pubblica o privata beneficenza, ma è
una necessità intrinseca, senza la quale la società minerebbe. La quale cosa si fa a tutti palese
anche materialmente, se riflettono ajla
solidarietà, sempre più stretta e
generale che nasce fra tutti gì' interessi,
sia per associazioni a scopi diversi di utilità perso- nale, o di prodotti, sia per la dipendenza
d'ogni or- dine di fatti economici fra
loro, sia nel più vasto e universale
credito dello Stsito, da cui dipendono una
immensa varietà di fortune particolari. Quindi il lavoro libero, ma
cooperativo dei singoli, onde si con-
servino intatte e abbondanti le fonti .di ricchezza e di sussistenza nazionale, anche per questo
lato, è la- voro necessario: che se egli
allentasse, svigorisse., o venisse meno,
il popolo perirebbe senza rimedio.
Adunque tra i rimedii privati che possono contra- stare all' ampliarsi delle sette demagogiche
a danno di tutti, è l'operosità di
tutti, e in specie di quelli che più avrebbero
a perdere, e nei quali quanto è più
grande la ricchezza e l'agio, tanto più cresce e ingigantisce il dovere dell'opera. Si
persuadano che nelle moltitudini adesso
il prestigio solo delle ricchezze, o del nome; o del fasto è scemato, e va
sce- mando, grazie al cielo,
rapidamente, e invano si at- * teggerk a
pavone , chi sotto le splendide penne , e
r iridiscente folgore delle piume , cela miseramente una cornacchia. D popolo non dispregia- né
nomi , né fasto, quando coloro che li portano,
o V esercitano senza jattanza , sono
degni della civiltà nostra , la quale
consiste tutta nel lavoro, utile e generoso. Bi- sogna adunque che coloro a là
crescente onda delle mene demagogidie , è una ne- cessità delle stesse condizioni civili deUe
nazioni moderne, un diritto e un dovere. '
Dichiarati brevemente i rimedi privati, conside- riamo quali sieno ,o possano essere quelU
pubblici, o di pertinenza dello Stato, e
del suo governo. Questi a divisarli
compiutamente si disbrancano in lare or-
dini, e possono essere quindi di tre specie: mo^?ali, amministrativi e poUtìci. . Un grande rimedio
aU'er- rore, al vizio e alle miserie, è
certamente V istruzione diffusa, e più
tra quelle classi che di per sé mal sa-
prebbero provvedervi, e alle quali manc^ lo stimolo proprio ad avanzare, vale a dire alle plebi
della città e delle campagne. Che questo
sia precipuo ed asso- luto dovere di
ogni governo civile, è chiaro, e sarebbe
anche più chiaro, se non fossero ancora alcuni, e non. son pochi, nei quali si mantiene la dignitosa
e gene- rosa ctedenza, che T ignoranza
delle moltitudini la- voratrici, è un
ingrediente e un sussidio nòbilissimo di
governo, e si affidano nella loro maraVigliosa atti- tudine, di contrastare ad ogni male,
puntellati all'arte provvida di pochi, e
all'uni vergfale e servile asinag- gine.
E tatLto più stupore arreca una tale saggia sen- tenza, in qitanto di preferenza è sostenuta
da quelli — non parlo certamente di
tutti — che bazzicano frequentemente per
le chiese, e fanno pompa di cri- stiana
pietà. Brutta e ridicola contraddizione, la quale se ingenuamente* professata, indica in essi
una igno- 105
ranza proporzionata al grottesco proposito; se ad afte pensata, è iniqua e degna deff universale
dispregia. Jn ciasctm uomo come sono
eguali potenzialmente i diritti e i
doveri, sono eguali i bisogni e la necessità
deiihi dignità della vita; ora in tutti in quella guisa dello stato, e migliorare le loro condizioni
economiche; ma parlandosi di suffragio
fermarsi alle porte del sal- terio e
dell'abbaco, è tale stravaganza che la maggiore
non si può immaginare; si crede d'essere' del nostro' secolo, e viviamo delle idee dei
bisarcavoli! ^P 12T Cicerone assennatamente dicera essere gF
ignoranti capaci di verità^ poiché T
ignoranza ^ cioè la mente primitiva^ non
ingombra da sfumature; e il più delle
volte arruffata da un sapere rachitico, entrato a spruzzi anarchici nel celabro, è tutt'altro che
chiusa alle ve- rità pratiche della vita
; che anzi quando queste ver- tono
intomo a positive questioni d' interessi generali, ma consuonanti o influenti con e su quelli
particolari della famiglia, del comune,
della provincia, sono pronte a colpirne
il nocciolo principale, e a scegliere le per-
sone più idonee a risolverle secondo le necessità del momento. Se non fosse così, se noi
attendessimo ad allargare il diritto di
suff'ragio che virtualmente è di tutti,
quando tutti fossero dotti, ed uomini di stato
almeno in cacchioni, io credo che si aspetterebbe in- darno quel giorno, e si aprirebbero le
universali urne dei trapassati allo
squillo finale dell'arcangelo, più
presto che quelle generali del popolo pel comune sufeagio.
Ma ribadiscono gli oppositori : voi desiderate esten- dere il diritto di suffragio mentre ^
nessuno, o da pochi si chiede :
attendete che il desiderio nasca, si
diffonda, giunga legalmente al parlamento, e allora si aprirà la mano, ma sempre con prudente
riserva. E cosi, soggiungerò io, noi
liberi cittadini di libero Stato, e un
governo che dalla libertà è sorto, e a que-
sta deve intendere con tenaci propositi, saremo meno generosi, meno magnanimi dei governi
dispotici ? In questi sovente, e la
storia anche contemporanea è piena di
esempj, il governo costringe spontaneamente
le moltitudini riluttanti a incivilirsi, e con violenta mano le sforza ad accettare .riforme civili,
ammini- ni stratìve, economiofae : noi BEtremo il
contrario: in nome delia libertà,
teleremo lontani dalle riforme utili e ne-
cessarie quelle moltitudini chC; secondo il ^iblime concetto, persistono nella ignoranza, o nella
indiffe- renza politica. Un governo
onesto di libero popola dee spingere al
meglio di proprio impulso le genti
confidate al suo senno : nò dee nelle leggi fondamen- tali attendere che altri domandi, ma
generosamente anticipare opportune
riforme. Ma se del resto tuUi non
chiedono o vogliono il diritto di suffi*agio, questi è sorto nella coscienza dei più, emana
spontanear- mente dal nostro giure
pubblico, è una necessità dei tempi, è
un dovere civile. Che se un tale dovere, per
ipotesi impossibile, non* si sentisse, o si dissimulasse, p^r durare in un certo grado matematicamente
mi- surato, e fisso di libertà, a prò di
minoranze qua quando anche, per ipotesi,
ciò avvenisse, Teffetto sólo che produr-
rebbe, fora certamente una'^pìù grande e viva ope- rosità nei partiti liberali, e una agitazione
legale più intensa, le quali
riuscirebbero in fine a risolvere più
presto e ricisamente una tale questione interna, e scongiurare più virilmente i pericoli, onde è
gravida per la nazione. Altro benefizio
che recherebbe seco la partecipazione,
larga del popolo al Suffragio, sa- rebbe
quello di stimolare, (essendo più vasto il sin-
dacato, e le possibili peripezie del voto), e costrin- gere i- deputati ad intervenire
scrupolosamente al par- lamento^ e
smettere il brutto sciopero in cui sono ca-
duti molti ripetutamente, e in modo da far credere cronico il morbo pernicioso, che gl'infesta,
e li rende colpevoli dinanzi alla
nazione. Più e più volte gli atti e le
discussioni del parlamento, d'importanza ca-
pitale per la prosperità e ordine del paese, non po- terono aver termine necessario, o sanzione
legale, per Io scarso numero degli
intervenuti, e ancKe quando giungevano
alla cifra prestabilita, di fronte alla to-
talità dei rappresentanti, erano si può dire al disotto del decoro del parlamento.' Se coloro che pur
brigano, e fauno chiasso per essei'c
assunti al grave incarico, V IdS m
e rappresentano ciò che v'ha di più vivo nella na* ssioney e la funzione più eccelsa di un
popolo, che è quella 4'essere il legislatore
di sa medesimo^ danno un si tristo
esempio di trascuranza agli alti doveri, e
di abbandono alla alacrità civile della vita pubblica, B0^ è da atupire, se gli aitai alla base
imitano nel laìiguote, nella cascarne,
nella dimenticanza dei di- ritti e
doveri civili, i loro rappresentanti ; e «'ingeneri nella na2doDe quell'ozio
politico, che è la lue più deleteria, e
corruttrice delle viscere della medesima; sintomo, se i rimedii non
intervengono pronti ed energici, di
inevitabile morte. O non cercare, de-
siderare r^lezioùe e intromettersi in ogni maniera per ottenerla, o ottenuta, attendere con lealtà e
perseveranza al proprio mandato, ^d esercitarlo costantemente, risparmiando cosi un malo esempio al popolò \
intero, un acerbo e giusto rimprovero a
sé medesimi; la- sciando aperto il corso
ai più degni, e più operosi, e non
ocisasionando cosi la morale decadenza dell'auto- rità del parlamento, come pur troppo fra noi
già per moltissimi accadeva : e che io
dica il vero faccio ap- pello alla
stampa quotidiana di tutti i colori piena so-
vente di acuti, e meritati riinbrotti ai neghittosi le- gislatori.
Bispetto al pericolo del cesarismo, che secondo altri sarebbe il mostro che uscirebbe dal voto
generale, come quei fantocci deformi e
strani, che scattano al* Timprowiso
dalla scatola magica, a stupose e terrore
dei nostri fanciulli, temerlo da senno in Italia, è cosa che non Val la pena di confutare. Il
cesarismo è solo possibile in un paese,
sconvolto ^à , sconquas' fiato,
disordinato a più riprese, e dove la furia delle fazioni anaik^hicbe^ o le gare
di pretendenti più meno apocrifi, tanto
scrollarono le fondamenta d'o* gni
ordine, e tanto impaurirono le maggiorante, che, conservatrici sempre, si appigliano di
iiecessità all'u- nico modo di salvezza
che si presenta, sia pute Tau- tonta
irra:dónaie della sciabola, o la potenza moi'ale di un nome: poiché ove è questione di
anarchia di forze brute tenzonanti , il
popolo si rivolge a quella che ha
maggiore probabilità di vittoria, e di ristabi-
lire quindi la pace, e la cancordia nel caos informe sociale. Ma un tal voto," quando è
generale, se ma- nifestasi sostenitore
di una forma dittatoriale in un dato
momento^ ove egli è necessario, apparisce anche
come fondatore di repubblica, quando una tal forma di reggimento ad un dato momento, sia Tunica
arra di durevole ordine, come intervenne
in Francia : nella quale, nonostante la
lunga cospirazione della caduta
assemblea, e del suo governo, retrogrado e monar- chico, e tutto rìmmienso arrabbattarsi dei
clericali, e dei funzionari governativi,
sorse testé la repubblica da quelle Urne
rurali^ che secondo i giusti estimatori del
senno delle moltitudiiii, dovevano imporre alla Francia il -^èsaitfismo na^Kileonico^ o il lugubre
spettro della rameica tirannide
legittimista. Che se invece avvenne il
contrario della comune aspettativa, si deve solo a ciò, che tra i varii e funesti pretendenti al
trono francese, e delle loro ingenerose
e tristi fazioni, il popolo senti, che
runico governo d'ordine, era il rejpubblicano, che ta- gliava a tutti la cresta, e li poneva fuori
dell'astioso e cupido combattimento, e
per la repubblica votò. In Italia non vi
sono affatto elementi per un cesarismo possi-
bile, e mancano condizioni antecedenti per un tal ri- ni
Bultato; qui non sfacelo, qui non anarchia^ qui non odii; rancori^ ambizioni^ rafforzati dal
sangue sparso^ da vendette nefande, da
rappresaglie inique ; qui nes- sun
bisogno di salvatore, o d'incoronare col servag- gio del popolo, un fortunato vincitore di
eroiche bat- taglie. Da noi le
istituzioni, grazie al cielo, possono
per poco affievolirsi , o venire in meglio modificate, ma legalmente operano , e sono fisse nella
coscienza pubblica, né alcuno anche dei
partiti possibili più risoluti, e
accentuati, pensa a rovesciarle, perchè in
Italia c'è senso in tutti della realtà, né ci si sca- priccia in utopie senza pratico costrutto: in
Italia la dinastia regnante è
politicamente insigne pel ri- spetto
alle leggi, né vi attenta, né vi corrìe rischio, (quando esercita il suo mandato, come ora fa)
di v^e- nire rejetta, e inimicata dalla
nazione^ e F esercito nostro, quanto
valoroso, fedele^ onesto, e nel quale in
bella armonia si fusero tutti gli elementi fortf della nazione, sia patrizi, sia popolani, se
è tutela delle leggi, dell'ordine, della
integrità della patria , non è una
accolta di pretoriani, e conosce a prova quali sieno i suoi doveri di soldato leale e devoto e
quelli di cittadino. Indi il timore e lo
spauracchio di Cesari possibili in
Italia è affatto chimerico, e non conosce
certo il popolo nostro, né le nostre condizioni civili interno in tutti i loro elementi , chi
paventa di un tale babau, E dico adunque che si dee proporre
legalmente e stabilire una tal forma di
suffragio, senza indugio^ poiché la
libertà lo richiede, la dignità della nazione
lo esige, la prudenza Io consiglia. Le moltitudini eleg- gono, non governano; immenso ' divario ; ed
esse in media secondo tempi, luoghi, e
coadisiom sociali soel- gono' seeipmi
pia opportuni ai bisogni presenti. Io 80
a rn^AA dito tatto quello che poseono rispondere , e obiettAi^é coloro ohe sono di contrario
avviso : e m'in- vitératino ad inchieste
del come si fanno e si fecero le
elezioni' in varie provincie della penisola, sia per brogli, tàsir per persone e mi sopraffaranno
di una quai^tità enorme di fatti , e' di
aneddoti ; ma queste cose^ e questi
riposti archivi! ,li conosciamo: ed è ap-
punto perchè U conosciamo, che invochiamo la ri- forma del voto. Poiché il ragionamento dì
alcuni fra gli awersarii consiste a
dire: il voto, nella guisa che ora si
esercita, è vero, non dà buoni restdtati,
dunque.... Voi* attendete una conclusione necessaria: ohibò! la logica loro è più stupènda: dunque
conser- viamolo! Altri potrebbe opporre : concesso che la
moltitudine, la gt»nde maggioranza delle
nazioni sieno di fatto e sempre
conservatrici, perchè allora prevalsero via via, e vinsero le rivoluzioni , effettuando ad
onta di quel freno costante, mutamenti
radicali nel costume e nelle idee dei
popoli? La ragione e la spiegazione di un
tale fette è ovvia a trovarsi; poiché per una parte le moltitudini, perchè conservatrici, e
lontane e abor- renti per le loro
faccende, dal moto e dall'agitazione
delle minoranze, che vivono in special modo di pen- sieiV)^ e di abitudini innovatrici, nulla
iniziano spon- taneamente, e rimangono
estranee agli influssi delle novelle
idee; e dall'altra non chiamate a manifestare
legalmente i loro sentimenti, non possono arrestare, moderare o piegare il corso degli
avvenimenti, o mo^- dificame i resultamenti
sociali. Le moltitudini vivono m sciolte
y guardando ciascuno ai propri negozii^ e non
possono congregarsi facilmente in assemblee, in comitati, in
conventicole, come è facile alle minoranze ap-
punto perchè minoranze. Ma una tale inerzia, una tale paziente annegazione, non rimane senza
effetto col tempo; inquanto se le
minoranze si spinsero oltre certi
confini morali e civili e vollero trionfanti prin- cipii che offendono il sentimento ereditario
della mol- titudine, cadono poi in
seguito le loro esagerazioni stesse, non
nutrite e sostenute dall'universale, e solo
resta il progresso possibile, pratico, buono, il quale, comechè nuovo, pure non perturbando le
coscienze e abitudini della maggioranza
nazionale, viene a poco a poco a
consustanziarsi con le medesime: e cosi i po-
poli camminano e vanno perfezionandosi. E che ciò sia vero, oltre la testimonianza palese di
tutte le sto- rie, basta fermarsi a
considerare il corso delle rivo- luzioni
moderne di tutti gli Stati, perchè la realità
della dottrina nostra salti agli occhi ai più miopi. Affine dunque che
le moltitudini non per lunga e sempre
faticosa efficacia, come freni conservativi, operanti spontaneamente e fuori
del giure positivo, riescano immediatamente salutari all'equabile e
fruttuoso progresso dei popoli civili, è
d'uopo renderle partecipi della vita
pubblica, chiamandole alla elezione di co-
loro che sono poi i legislatori della nazione, è debbono guidarla alla
libertà e ai beni che essa racchiude^
con ordine e operosità. Così facendo, con quei tem- peramenti richiesti dalla moralità e dignità
stessa del voto, si otterrà una maggiore
attività politica ; la na- zione non
sonnecchierà mai, né ristagnerà; i partiti
che pervengono al governo dello Stato, nella vicenda continua di nuovi
biefogni^ non crìstalUzzeranno^ e ri-
poseranno in una beata e grassa quiete^ ringipvaniti e stimolati sempre dal voto popolare^ donde
tutto nelle democrazie fluisce e sorge ^
e viene legittimato; si avrà sempre una
benefica remora alle intemperanze delle
fazioni, e quello che più importa , un ostacolo, e, si radichi bene nella mente , V unico
ostacolo all' imperversare della furibonda demagogia. Io non aspiro alla divina prerogativa della
infallibilità, e lascio ad altri senza
rammarico questa modesta ed umile virtù
; ma per quello che io valgo a discernere
dopo lungo studio e lungo amore pel pubblico bene, crèdo fermamente alla efficacia, necessità,
utilità delle mie proposte, come sono
certo che quadrano a capello con le
norme positive di una scienza sociale, vera-
mente degna di questo nome. '
Tali sono le proposte, che coscienziosamente e dopo maturo e scrupoloso esame, e modestia, venni
svol- gendo in questo mio scritto ; tali
le riforme che credo indispensabili per
la durata, la esplicazione naturale e la
salute delle nostre istituzioni, e pel decoro e la prosperità della patria. Certamente non si
possono tutte e subito attuare , e Roma
non fii fatta in un giorno; ma
necessario è che gli uomini a qualunque
partito nazionale appartengano, proposti al governo della cosa pubblica, vi si accingano con
tenace pro- posito, e vi aspirino costantemente.
Un sentimento di malessere indefinito
occasionò la crisi presente, e la
nazione sta raccolta attendendo che i diversi ordini dello Stato meglio rispondano all'indole loro
e dei tempi, e si ritemperi a vita più
robusta e libera la fibra dei cittadini;
e tale è il compito di coloro che m
/ ora salirono; è giudicheremo
dai fatti se sono da tanto. Quelli che
caddero ^ il partito cioè che fino ad o^
resse i destini d' Italia^ operò cèrto molte cose buotie^ e condusse a termine, stimolato però dalla
piÙL viva ' e impaziente parte della
nazione e laicamente eoa;* diuvato da
questa, Tunità territoriale e politica della
patria^ protetto da fortuna propizia e da eventi in- sperati, trasmutanti in vittoria eziandio la
sconfitta; ma a poco a poco, ritirandosi
in sé medesimo e chiuso troppo forse
agli influssi sempre salutari della maggioranza del popolo, si aflSevoll ed
obbliò le origini sue, e la natura
essenzialmente democratica degli Stati
moderni. L'Italia oramai è giunta a quel tem-
peramento civile ehe esclude la violenza e T illegale intromissione di fazioni perturbatrici, ma
vuole ed esige che si avanzi e che si cammini
di pari alle na- zioni più civili; che
gli uomini che la capitaneggiano si
governino con le idee nuove, e si lascino i metodi troppo curialeschi e scolastici nell'
indirizzo della cosa pubblica. Or non è
più tempo, e tra poco lo vedranno anche
i più restii e ostinati, di grette abilità e di pic- coli e scuciti mezzi, giorno per giorno, di
reggere gli Stati ; tutte le questioni
sono larghe e grandi, e non si risolvono
che con intendimenti e principj larghi e
generosi; in ogni vertenza è conflata, a cosi dire, la vita di tutto un popolo, anche per i rapporti
che essa ha o può avere con tutte le
nazioni civili. Iso- larsi, fetcendo i
suoi affari alla guisa di un agente di
fattoria, è impossibile, dannoso e indecoroso; la ne- cessità presente spinge i popoli europa
all'unità mo- rale della razza loro, ed
all'equilibrio econoiiiicO civile e
politico di tutte le membra ; ciò che non importa ima yi^ota cosmopQlitia alla
maniera dei politici mi- stici: m ogoji
inombro e nazione vive della sua vita
particolare; ma in conserto di vincoli si stretti, e una reciprocità di r^oni che costringono tutti ad
avan- z^ure perire ; poiché la selezione
naturale governa anche 1^* vita dei
pppoli. Né valga il dire, come da molti
si ripete^ che il governo è, od era assai più
liberale della na:pione, e quindi ogni spinta o riforma riuscire inutile , o inopportuna; poiché,
oltre essere questo in generale vero per
tutti i governi, in quanto sono al di
sopra del sapere e del civile temperamento
delle moltitudini, suscita spontaneamente questo dilemma: o il governo,
in uno Stato libero, possiede minori
spiriti liberi del popolo, e quindi dee, in virtù della legge fondamentale di un libero Stato,
ritirarsi, perchè violatore moralmente
della medesima; o si confessa più
liberale del paese, e allora piuttosto che
ristarsi e mantenere il grado fisso del valore civile del medesimo, dee spingerlo innanzi e
trasformarlo alla sua immagine; che se
sta, non procacciando di eccitarlo alla
riforma, è indegno dell'alto loco che occupa. Queste teoriche di accomodamenti
pratici non sono più d'uso, e solo
argomentano una profonda imperizia del come si dirigano le società moderne, e
dei doveri effettivi dei governanti. Sciolto
da qualunque legame di disciplina, come di-
cesi, di partiti, perchè uomo affatto privato ed oscuro, e al di sopra di questi, come debbo essere lo
scrittore im- parziale, non
consigliandomi con altre norme che con
quella che io credo il giusto , scevro da qualunque am- bizione personale, né stimolato da ire o
passioni di parte, liberamente dissi ,
comecché sempre con rispetto in olle
persone, ciò che stimava opportuno ed utile, devoto in tutta la mia vita ad una cosa sola, ma
quella grandissima e santa, la verità. Se altri mi provi che io mi ingannai, sarò ancora felice quando il
contrario di ciò che credetti, profitti
alla mia patria. In ogni modo, nel
piccolo giro delle mie facoltà, avrò soddisfatto al- l'obbligo di cittadino ; ciascuno dovendo
servire la pa- tria in quel modo che gli
è concesso. Solo una cosa detesto in
questo ordine di fatti: la petulante vanità
dei neghittosi. Altri saggi:
S^Uo ai ierehi: DELLK CONDIZIONI INTELLETTUALI D.' ITALIA ITm preparmziùHe ì SELLA LEGGE FONDAMENTALE
DELLA INTELLIGENZA ffCL RC6II0 ANIMALC S
t'Udii di Psicologia compartita. Se- ■
rv;.■ft- Tito Vignoli. Vignoli. Keywords: squirrel, squarrel, psicologia
comparata, etologica filosofica, una legge della intelligenza degl’animali –
mito e scienza – mitos e logos – animale, legge, legge della psicologia,
psicologia comparata, etologia comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia
filosofica di Grice e Vignoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria.
Grice e Vinadio: la ragione conversazionale della
prassi e del valore – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo italiano. Grice: “Of course, Vinadio is bound
to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik –
or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most
Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) -- Grice: “I like Vinadio; but then I’m English
and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica
which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di Venadio,
conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Considerato una delle voci più significative della
filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione
della filosofia politica nell'immediato secondo dopoguerra. Figlio di Enrico
Balbo di V., naque in via Bogino 8, nel palazzo che e del conte Cesare Balbo,
ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale,
prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come
consulente d’Einaudi cura una collana di filosofia. Insegna filosofia a Roma. Si
raccolge attorno a lui un gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei
valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo
impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste “Cultura e
realtà” e “Terza generazione”. Vicino all’organizzazioni della sinistra e al partito
comunista, comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel
rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio
problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Direttore del
Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo
senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di SOLARI [vide] dei
discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al cristianesimo
e le sue conseguenze filosofiche” (Mulino); “Idee per una filosofia dello
sviluppo umano” (Torino, Boringhieri); “Opere” (Torino, Boringhieri)’ “Essere e
progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Boringhieri,
“Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino,
Einaudi); Cavalieri, “Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della
ragione economica” (Milano, Angeli); Tassani, “La Terza Generazione: tra stato
e rivoluzione” (Roma, Lavoro); Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); Invitto,
“Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Mulino, Bologna); Invitto, “Di
fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Salentina, Lecce); Invitto, “Una
questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del
movimento cattolico in Italia: i protagonisti” (Marietti, Torino); Grotti (Boringhieri,
Torino); Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); Possenti, “La filosofia
dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); “Tra filosofia e società” (Angeli,
Milano); Invitto, “Il superamento delle ideologie” (Roma, Studium); Ricci, “Cattolici
e marxismo: filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana”
(Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore: la filosofia dell'essere” (Roma,
Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” --
Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Filosofi italiani del XX secolo Insegnanti italiani Professore. IOVANNI
INVITTO Le idee di V. Una filosofia pragmatica dello sviluppo IL MULINO L'istanza
manageriale L'uscita dal PCI non determina l'ingresso di Balbo in schieramenti
alternativi, ma lo porta ad assumere una azione di fiancheggiamento, di «
compagno di strada » per alcune forze interne allo schieramento cattolico, in
chiara antitesi alla linea degasperiana 1. Nel '51 è Dossetti ad avvicinarsi a
Balbo e a subire la sua in fluenza e nel senso della visione della « catastrofe
» del sistema e nel rifiuto delle tesi maritainiane, fino ad allora costante
ideologica degli intellettuali cattolici di sinistra 2. L'accostamento Dos-
setti-Balbo è stato importante in quanto, nel momento della dissoluzione del
gruppo dossettiano, il suo leader, ma solo per una breve stagione, ha pensato
di poter avere nel pensiero balbiano una integrazione teorica 3. Ben presto t
Non ritengo di condividere nella sostanza quanto afferma Giura Longo. V.,
invece di Rodano, segui altre strade, giungendo a farsi ispiratore di un gruppo
di intellettuali democristiani, attraverso la rivista ` Terza generazione ' che
ha dato qualche contributo (si pensi ad un Morlino) sul piano dell'impegno
politico dell'attuale gruppo diri- gente democristiano » (La sinistra cattolica
in Italia. Dal dopoguerra al Referendum - Storia documentaria, a cura di R.
Giura Longo, Bari, 1975, p. 31). teli sembra che sia, piuttosto, un gruppo di
intellettuali cat- tolici, anche impegnati nella D.C., ad interessarsi al
pensiero di Balbo (che allora era ad una chiara svolta) ed a tentare di
annetterlo e di mu- tuarlo. 2 Cfr. G. Baget-Bozzo. Nel convegno di Merano
(agosto 1951) dei giovani democristiani, la mediazione del pen- siero di Balbo,
portata da Baget-Bozzo, « consenti di ristabilire alla diri- genza giovanile DC
quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del dossettismo aveva posto in
crisi. La presenza in politica dei cattolici ` in quanto tali ' era
giustificata dal fatto che la Chiesa aveva conservato la filosofia perenne e,
quindi, il principio della ripresa culturale e civile ». Si ebbe, cosí, il
superamento del maritainismo portato da Lazzati (Ibidem, p. 369). 3 Se «
Cronache Sociali » si era interessata a Balbo (cfr. A. Romanò, op. cit.; S.
Lombardini scrive che Dossetti « personalmente ancora nel 1945 ebbe occasione
di esprimere [a Padre Stefano Bianchi] simpatie per la sinistra cristiana » op.
cit., p. 37) anche i cattolici-comunisti si erano 139 Dalla rivoluzione
alla collaborazione inventiva Dossetti si accorge che il tentativo di filtrare
i suoi motivi attraverso quelli balbiani non può avvenire per una na- interessati
alla rivista di Dossetti (dr. P. Pombeni, Le « Cronache So- ciali » di
Dossetti, cit., pp. 161, 225, 231). Anzi possiamo dire che, soprattutto con La
Pira, c'erano stati accostamenti già dal '38 (A. Os- sicini, a nome del gruppo
Roma-Sud di Azione Cattolica, aveva eviden- ziato a La Pira « l'urgenza di un
impegno diretto nell'azione politica, e La Pira ammise che questo era
necessario, anche se le forme di esso era difficile prevederle e prospettarle.
Rispose esplicitamente: ` Fate; comunque, qualcosa uscirà ' »; A. Cuccchiari,
op. cit., pp. 25-26). Il fu- turo sindaco di Firenze prenderà le distanze «
ideologiche » necessarie, criticando i cattolici-comunisti, perché, secondo
lui, il materialismo dia- lettico è « causa » del materialismo storico: « Ora
l'effetto non è mai separabile dalla causa » (G. La Pira, Premesse della
politica, Firenze, 1945, pp. 62-63; riportato da L. Fiorillo, Il fondamenti
teorici dell'im- pegno politico di Giorgio La Pira (1926- 1945), in Novecento
minore, cit., p. 209). Anche su « Cultura e realtà » era stato un dibattito sul
dossettismo, attraverso un intervento di F. Rodano (l'articolo, Laicismo e
Azione cattolica in Italia, n. 2, luglio-agosto 1950, era però firmato da Nino
N o- vacco) e una risposta di Baget-Bonzo (cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p.
364). Secondo Possenti la diversità fra V. e Dossetti è costituita dal fatto
che, mentre il torinese « manteneva aperta la possibilità di una azione civile
sulla base di una cultura rinnovata », Dossetti si stava volgendo verso la tesi
della estraneità del cristiano al civile e verso una visione « panmonastica »
(op. cit., p. 216). Mi sembra, invece, che anche la concezione di Dossetti
monaco recuperi il civile in una sfera più alta. Infine, ricordo a titolo di
testimonianza che Giuseppe Dossetti, in uno scambio di battute avute con me a
Bologna il 5 febbraio 1978, mi diceva che a V. era stato legato da profondo
affetto e che V. « era stato molto importante in un certo periodo de lla sua
vita ». Ciò non toglie la differenza di temperamento, di cultura, di
problematica tra i due; differenze che sembrano determinanti a chi ha avuto
lunga consuetudine con entrambi (mi riferisco a quanto mi dicevano Mar- cella e
Giuseppe Glisenti). 4 Due storici della sinistra cattolica italiana, pur
partendo da pre- supposti storiografici diversissimi, hanno notato che
l'accostamento fra Dossetti e Balbo (che avrebbero avuto come comune « preoccupazione
apologetica » quella di inserire la Chiesa fra le masse operaie, anche se
proponendo vie alternative; cfr. L. Bedeschi, La sinistra cristiana ecc.) non è
casuale nelle motivazioni, né nel tempo in cui é avvenuto. Scrive Campanini: «
Nel 1951, infatti, sembra consu- marsi l'illusione, comune e insieme diversa,
di Balbo e di Dossetti. La prima, quella di condizionare dall'interno il
partito comunista italia- no e di potere operare in esso come cattolici; la
seconda, quella di con- dizionare dall'interno la Democrazia Cristiana e di
spostarla nel suo com- plesso a sinistra. L'uscita di Balbo dal PC e di
Dossetti dalla DC appaiono cosí in un certo senso il segno emblematico de lla
conclusione di questa vi- cenda » (G. Campanini, Fede e politica, cit., pp.
14-15). Lo stesso Campanini ricorda che nel '51 (al congresso dell'UCIIM tenuto
a Camaldoli nel-140 tura diversa dei due pensieri: da una parte Balbo
ribadisce il primato della tecnica filosofica, dall'altra Dossetti è fer- mo al
primato della prassi, mistica o politica 5.In questa forma di gramscismo
balbiano (gli intellet- tuali forza trainante nella prassi politica) è da
ritrovare una chiara eredità della « corrente Politecnico », relativa al con-
cetto di « eccedenza » della cultura sulla politica 6. All'in- terno della
cultura cattolica la posizione di Balbo era di assoluta novità non tanto perché
si contrapponeva ai due integralismi in auge: quello di destra geddiano, quello
di sinistra, dossettiano, come è stato molto « schematicamen- te » definito '.
La novità è costituita da lla pregnanza filo-l'agosto), Dossetti svolse una
relazione che « si può considerare il suo testamento politico ». In essa, parlò
del fascismo come « autobiografia della nazione » e « sbocco inevitabile del
liberalismo », evidenziando l'accostamento ad alcune tesi portate avanti in
quegli stessi anni da Felice Balbo » (Ibidem, p. 90).Da testimonianze
indirette, si sa che l'ultimo Dossetti, per intender- ci il.monaco che vive a
Gerico, insiste nelle sue prediche sulla situazione di « catastrofe » della
civiltà occidentale. Anche questo concetto, tipica- mente balbiano, può essere
stato acquisito da Dossetti nel periodo del loro avvicinamento. È utile
aggiungere, però, che già nel gruppo dos- settiano era presente il tema dell'«
apocalittica dell'ora decisiva » (che P. Pombeni riconduce a un clima generale
nell'Europa post-bellica; cfr. Il « dossettismo », cit., p. 131).5 Il tentativo
di Dossetti avvenne nell'agosto del '52. Sul fallimento di questa mossa, scrive
Baget-Bozzo: « Probabilmente le tesi di V. gli [a Dossetti] apparvero troppo
esclusivamente filosofiche ed intellettua- li: una causalità assoluta e
primaria della filosofia sullo sviluppo storico non era facile da accettarsi
per una persona cosí legata alla concretezza dell'agire » (Op. cit., p. 356).6
Aveva scritto vittorini a Togliatti che la cultura che si adegua alle masse è
politica, ed è cultura quella che si impegna nella ricerca: « Ma se tutta la
cultura diventa politica, e si ferma su tutta la linea, e non vi è pii ricerca
da nessuna parte, addio » (Politica e cultura, cit.).7 L'accusa di «
integralismo » di sinistra a Dossetti è di A. Del Noce (Genesi e significato
ecc., cit., p. 458) ed è confutata da G. Baget-Bozzo con argomenti definitivi
(op. cit., pp. 361-62). Anche Pombeni prende chiara posizione contro
l'ipotetico integralismo di Dossetti, aggiungendo che quasi sempre il termine
si usa in maniera imprecisa e generica (Il « dossettismo », cit., pp. 128-29).
A proposito del termine « integra- lismo », spesso usato phi per evitare un giudizio
che non per esprimer- lo in concreto, mi viene in mente ciò che Bobbio ha
scritto sul termine « borghese » e sul suo uso: « Oggi si chiama da alcuni `
borghese ' tutto quello che si vuol respingere. ` Borghese' ha soltanto piú un
significato negativo, è un segno ` non ' posto di fronte a un qualunque
sostantivo, e quindi privo totalmente di contenuto » (N. Bobbio, Politica e
cultura, Torino. L'istanza manageriale141 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivasofica della proposta di V., che non si limita ad ope-
rare all'interno delle masse cattoliche organizzate, ma, de- lineando un
profilo della crisi umana del Novecento, ripro- pone un ribaltamento anzitutto
del progetto filosofico, co- me ritorno al senso comune e, quindi, l'opzione
per una via pragmatica ed anti-utopica allo sviluppo.In questa rifondazione
filosofica ci si è chiesto quale sia stata la prospettiva dominante: se quella
di Maritain o quella di Mounier. Del Noce dice che la sinistra cristia- na
dimostra la sua simpatia prima per Maritain, poi per Teilhard de Chardin, ma
aggiunge che il vero iniziatore della sinistra cristiana è stato Mounier (che
sta a Mari- tain, come Gobetti sta a Croce) s. Ora bisogna dire che per Del
Noce, Mounier è di molto inferiore a Maritain, e V. avrebbe di fatto
incoraggiato la diffusione del suo pensiero in Italia 9. Questo è vero solo in
parte in quanto il pensiero di Mounier, assolutamente assente dagli scritti di
Balbo, è invece reperibile in esperienze culturali diverse sin dal '46, da « Il
Politecnico » a « Cronache sociali » 10.Comunque l'accostamento alla
cattolicità ufficiale vede da parte di questa un tentativo di « catturare » V.
e di aiutarlo finanziariamente per un programma di elabo- razione di una «
scienza dello sviluppo » 1. Il programma, che impegnerà Balbo fino al '54, sarà
basato su un gruppo di ricercatori di filosofia e di scienze sociali 1`. La
suddi-8 Cfr. A. Del Noce, Pensiero cristiano e comunismo ecc., cit., p. 976.9 «
L'interesse [fu] portato sul tanto inferiore Mounier, in cui tut- to c`,
veramente esplicito, senza germe alcuno che abbia bisogno di ma- turare; col
che non intendo dire che Balbo abbia incoraggiato volontariamente la fortuna
italiana di Mounier, ma che contribuí, per l'abban- dono dell'aspetto
filosofico-politico del pensiero di Maritain, allo spo- stamento di interesse
verso la sua opera » (A. Del Noce, Genesi e signi- ficato ecc., cit., p.
483).10 Su « Il Politecnico » (n. 31-32, luglio-agosto 1946, pp. 7-8) appare un
articolo di E. Mounier, Agonia del Cristianesimo (il termine « ago- nia » è
preso da M. de Unamuno), con presentazione di F. Fortini (Fr. F.). Su «
Cronache Sociali » nel '49 (n. 10) c'è una intervista a Mou- nier; nel 1951
appaiono due articoli di P. Scoppola, uno sul filosofo francese (n. 6) ed uno
su « Esprit » (n. 9). Questa linea si affianca a quella maritainiana di
Lazzati.11 C. Leonarcli dice che tramite per il finanziamento fu L. Gedda La
suddivisione fatta da V. era in cinque settori che corrispon- 142 visione
rappresenta i settori nei quali la crisi è avvenuta in maniera globale, e
attraverso i quali una ripresa « ri- voluzionaria » può avvenire. Non è, però,
assolutamente il caso di gonfiare l'espediente dei gruppi (che era piú una
metodologia) a sistema. Il pensiero, l'impegno di V. negli anni '51-'54 non si
risolvono nei « quintetti ». La crisi è per lui caduta di un rapporto di
funzioni nel- l'ambito del sistema sociale globale: il sistema teoretico deve
svolgere funzione di rinnovamento, il sistema etico ha funzione di sviluppo,
quello economico la funzione di innovazione, quello politico la funzione di
movimento, í1 sistema giuridico-statuale la funzione di conservazione 13. Sulla
base di questi schemi ideali (che qualcuno definirà utopici) si svilupperà una
nuova iniziativa-esperienza-ten- tativo cui partecipa V.: « Terza generazione
». Il grup- po balbiano cerca di conservare una « propria rilevanza pubblica »
inserendosi nell'ideazione di questa rivista men- sile 14. Si è parlato molto,
ma si è scritto un po' di meno su « Terza generazione ». Anzitutto c'è da definire
il rapporto con il degasperismo nell'indirizzo della rivista. Sappiamo già come
il distacco tra Balbo e il PCI non colmi la diffidenza e il rifiuto di Balbo
nei confronti de lle tesi degasperiane. D'altra parte è appurato l'aiuto finan-
ziario dato da De Gasperi a lla rivista, ma meno noto è il disinteresse pratico
dello statista per « Terza genera- zione » 15. La nascita della rivista non fu
ritenuta underebbero a cinque scienze autonome: diritto, economia, sociologia,
morale e politica. Responsabili dei gruppi erano: C. Napoleoni, M. Motta, G.
Sebregondi, U. Scassellati, N. Novacco (cfr. C. Leonardi, op. cit., pp. 377 e
segg. e le Note biografiche in V., Opere).13 Cfr. G. Baget-Bozzo, op. cit., p.
516. Confrontando lo schema proposto da Leonardi e quello proposto da
Baget-Bozzo, troviamo l'as- similazione tra momento sociologico e momento
teoretico (cfr. C. Leonar- di, op. cit., p. 377).14 Cfr. anche G. Baget-Bozzo Leonardi,
che fu redattore nella rivista nella seconda fase, in una conversazione con chi
scrive, nel novembre 1975, diceva che De Gasperi finanziò la rivista, ma che
probabilmente non l'ha mai letta. L'interesse di De Gasperi per l'iniziativa
era stato sollecitato da padre Delbono (cfr. C. Leonardi, op. cit., p. 398;
l'autore riprende L. Garruccio (pseud. di L. Incisa di Camcrana), La politica
era tuttoL'istanza manageriale143 Dalla rivoluzione collaborazione
inventivafatte r, strutturale » ma una iniziativa « congiunturale », derivata
dalle elezioni dei '53, per lo meno a quanto dice uno dei suoi responsabili ',
ma ebbe ambizioni « struttu- rali » e di rifondazione ideologica. Ciccardini,
nel rico- struirsi le fonti, integra le nutrici balbiane de « Il Poli- tecnico
» con alcuni autori cattolici i-`, ma riafferma la congiuntura catastrofica
della realtà 's. Balbo, nell'unico suo scritto sulla rivista, puntualizza il
senso della crisi come crisi del modello di autosufficienza dell'individuo che
andava dalla Grecia a Mara ', e il riconoscimento del fallimento di tutta la
storia 0. La via che Balbo e « Terza generazione » cercano di perseguire e però
una via asso- lutamente nuova rispetto a quelle tentate da lle altre
forzepolitiche, culturali, economiche: la proposta di una diver- sa classe
manageriale.La nuova dirigenza, scrive Balbo a Ciccardini, deve reggersi sul
piano dell'invenzione e non su quello dello sfruttamento delle doti naturali; «
dirigenze sociali » di nuovo tipo faranno salvi gli indici intellettuali ,
morali e tecnici dell'intera soviet ì 2t. La dirigenza sociale
proposta(Cronache della generazione del '45), in « L'Europa », VII, 1973, n.
8-9, p. 90).to Cfr. C. Lelnardi, op. cit., p. 37S.17 « Eleggemmo a nostri
maestri Maritain e Ferrero, Mounier, Dor- so, Sturzo, Giobetti e Gramsci «: Ciccardini,
L.: politica: era tutto, in « Terza generazione », num. di presentazione,
agosto 1953, pp. 1-3. Balbo aveva scritto: « Dobbiamo rifarci essenzialmente ai
nomi di Go- betti e di Dorso e di Gramsci » (Cultura antifascista, cit., p.
14).is « Se non appare unsi soluzione. 1a nostri so ìer ì si :ivvi:i :alla
disgregazione ed alla catastrofe » (B. Ci ecirdini, op. cit., p. 3).t^ Cfr. F.
Balbo, Le soluzioni stanno ogi davanti a noi, in « Terza ge- nerazione », num.
di presentazione, agosto 1953; ora in Opere. pp. 533-42, il concetto richiamato
è a p.p. S36.20 V. scrivcral in seguito: «Comprendendo la verit:t di Mari si
viene a riconoscere la fine dell'epoca moderna e il fallimento di tutta la
storia fino ad oggi se non si origini uno nuovi storta a livello supe- riore »;
in Per la rilevazione e l,: critica delle: scoperta essenziale d MMfart, in
Studi in memoria di G. Solari, Torino, 1974, pp. 375-9t; orsin Opere, pp.
318-31; il passo cit. ` a p. 330.21 Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a
noi, cit., p. 541. Questi originale identificazione trai imprenditore cd
intellettualeun° degli spunti pití interessanti della proposta bailbiana.
intatti, an- che questo il periodo in cui Balbo tentava a Torino il « Centro dì
rela- zionc » c sperimentava in Irpinia. assieme ad altri ricercatori, tipi cui
Achille Ardigò, un nuovo modo di impostare l'iniziativa agri olai.
Quel144 da V. è qualcosa di diverso dall'operatore privato e
dall'operatore pubblico, in tal senso è qualcosa di pii dell'imprenditore di
tipo gobettiano, che è sempre l'ope- ratore privato anche . se aperto all'uso
sociale dei suoi beni 2. Ciò che sollecita questa proposta ultimativa è, ancora
una volta, la coscienza di una « crisi finale » del sistema storico-sociale
dominante, cioè quello illuministico- democratico o individualistico che ha
incluso e raggiunto ogni altro sistema. E come sistema individualistico, Balbo
pone anche quello comunista per la sua « originaria e íne- liminabile
ispirazione anarchica » 23. In questo senso, « Ter-za generazione » nasce dal
crollo della generazione prece- dente, quella resistenziale e antifascista. C'è
l'illusione nei giovani redattori de lla rivista di superare la genera- zione
che « aveva dato vita al Politecnico a Cronache So- ciali ad Iniziativa
Socialista » 2'. Invece, per certi versi, esiste una palese continuità tra
questi fatti culturali e, ad- dirittura, alcune impostazioni redazionali di «
Terza ge- nerazione » ricordano esplicitamente la rivista vittorinia- na.
L'ambiguità unanimistica del nuovo tentativo è chia-periodo é ricordato come
quello dei « pomodori ».Tutto ciò ci dice la fondatezza delle motivazioni di
chi ha respintoun appiattimento teoreticistico del pensiero balbiano (P.
Pratesi, Lafilosofia di F. Balbo, in « L'Avvenire d'Italia », 22-XI-1966,
contro l'in-terpretazione di Del Noce).È anche questo il caso di Penati che,
però, critica il ridimensiona-mento balbiano della teoresi (cfr. Penati, rec.
Idee, in « Rivista di Fil. neoscolastica Gobetti parla di imprenditori nuovi («
i soli che abbiano diritto a chiamarsi borghesi nel senso economico della
parola ») all'interno di un sistema capitalistico del quale però sia possibile
un esito socialista (« Il socialismo è conquista da parte del proletariato di
una relativa indispensabile autonomia economica e l'aspirazione delle masse ad
af- fermarsi nella storia [...]. Anche il nostro liberalismo è socialista se si
accetta il bilancio del marxismo e del socialismo da noi offerto pii volte. Basta
che si accetti il principio che tutte le libertà sono solidali »). I brani sono
presi, rispettivamente, da Storia dei comunisti torinesi scritta da un
liberale, in « La Rivoluzione Liberale », I, n. 7, 2 aprile 1922, pp. 24-26;
ora in P. Gobetti, Scritti politici, cit., p. 279; e da Liberali- smo
socialista, in « La Rivoluzione Liberale », III, n. 29, 15 luglio 1924, p. 114,
nota non firmata a un articolo di C. Rosselli; ora in Scritti poli- tici, cit.,
p. 761. Sull'ultimo brano, v. pure L. Valiani, Gobetti, uno dei nostri, in «
L'Espresso », XXII, n. 7, 15 febbraio 1976, p. 112.23 Le soluzioni stanno oggi
davanti a noi, cit., p. 356. u B. Ciccardini, op. cit., p. 2.L'istanza
manageriale145 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaramente enunciato
da Leonardi quando parla di richiami per la sinistra e per la destra (per la
prima era determi- nante il carattere « utopico » della proposta di V., per la
seconda il superamento di fascismo e antifascismoriba- dito da Scassellati) 25.
Naturalmente la critica successiva ha privilegiato una categoria o l'altra 26.
Comunque non do- vrebbe esser messa più in discussione la « leadersbip » di
Balbo sul gruppo 27, anche se si tratta di un primato p1625 Cfr. Leonardi, op.
cit., p. 378. Alla discussione intorno alla ipotesi di una sostanziale utopia
del pensiero balbiano è dedicato il quinto capitolo di questa seconda parte.26
Leonardi ci presenta la storia delle interpretazioni di «Terza generazione»
come« fatto» di destra. Ricorda gli articoli di «Panora- ma» (Cinque per
cinque, X, n. 298, 30 dicembre 1971, pp. 68·73; J profeti armati, XI, n. 299,
13 gennaio 1972, pp. 48-54) dove si parla del gruppo di «Terza generazione»
come di un gruppo che stava prepa- rando una «svolta totalitaria di destra in
Italia ». Ricorda pure un ar- ticolo su «Astrolabio », a cui risponde A. Paci,
con la lettera Un disce- polo di Balbo, ioi, 15 febbraio 1972, pp. 9-10. Anche
F. Parri rispose su « Astrolabio ». Se «Lotta Continua» ha definito Balbo «un
cretino» (iI 16 dicembre 1971; cfr. C. Leonardi), Giura Longa ba visto nella
rivista «inquinamenti di carattere reazionario»Giura Longo, op. cit., p. 73).
Pregiudizi partitici? Autosuggestioni? di si, se un intellettuale come N.
Bobbio ha parlato di «Terza generazione» come «di un gruppo avanzato che ha gli
occhi sulle cose del nostro paese » (Cultura ueccbia e politica nuova, in «II
Mulino », IV, 1955, n. 45; ora in Bobbio, Politica e cultura, p. 205). un
giornalista-scrittore, che ha la destra politica ineccess,ivJ 'lU!]'alla, ha
scritto di V.:« in Francia o in o anche income un rivoluzionario culturale in
sensoNonscrittodoveconosce(G.F.in alcunesociali e dice che le Einaudi).ifosse
vissuto, poniamo, sarebbe oggi riconosciuto un paese cattolico. odierno che
Balbo non abbia affrontato: chiunque abbiaultimi trent'anni, pertra la società
politica, se non ri- o improvvisa» fa cadere l'autore i cattolici comunisti con
i cristiano- di V. sono state pubblicate dastoriche:27 È sempre Leonardi a
riportare la criticap. 366). Lo stesso Ciugni, che dala prospettiva umanistica
che costituiscebalbiano (Giugnì dice che deveduttivo «ma l'iniziativaun ordine
capace di garantiresioni »; in J m i t i in cui abbiamone », num. di present.,
cit., p. Il). Inè presentata in maniera piti scopertaper l'organizzazione della
cultura, in « Terza generazione », I, n. 2, no-146delpunto (op. cit.,
socialista, assume nodale del discorso non solo il lavoro pro- I'invcnzione
creativa [ ...] umana in tutte le sue dimen- ii Terza generazio-l'Ipotesi
balbiana immediata (cfr A. Paci, Appunti di fatto, che non per decisione
esplicita,L'ipotesi chiave è la situazione di «zero alla partenza », a cui
esser fedeli senza guardare il passato, sicuri che non tutto è politica, come
afferma Balbo 28, e come di- ce Cìccardini nell'editoriale di presentazione 29,
Ma la si- tuazione di « zero alla partenza» e il rifiuto del totus po- liticus
erano già de « Il Politecnico », sulla linea, anche in ciò, di un involontario
crocianesimo 30,La rivista entra, però, in serie contraddizioni. La esperienza
di Scassellati alla direzione mette in crisi lo stesso Balbo perché, secondo
Leonardi, aveva dimostrato il carattere utopico di fondo del suo pensiero «che
era in grado di mobilitare delle forze, ma non di soddisfar- le» 31, Con
l'avvento della linea di Claudio Leonardi, ab- biamo una ulteriore
contraddizione «formale ed espli- cita» con lo schema balbiano, in quanto il
neo responsa- bile privilegia il momento morale, rispetto alle altre tec- niche
32, Se Balbo non accetta la posizione politica divernbre 1952, pp. 33-34).Chi,
tra gli altri, ha sostenuto la tesi della egemonia culturale diBalbo su «Terza
generazione» è stata la Buongiorno Veroi che affer- ma essere stato V. il «vero
animatore» della rivista (cfr. T. Buongiorno Veroi, «Terza generazione », in
«Il Veltro », La stessa fa dipendere la fine della rivista da una autonoma
decisione di Balbo, dopo una riunione ristretta in cui il filosofo avreb- be
fatto l'autocritica per l'errore pelagiano in cui si era caduti (p. 683).28
Cfr. Le soluzioni stanno oggi davanti a noi, Ciccardini, op. cit., tra l'altro
dice: «Ma nel '45 [...] la poli- tica era tutto: morale e rivoluzione, speranze
e novità d'esperienze, con- servazione e poesia. Era un fatto molto vitale in
cui ciascuno cercava la sua parte e vi si trovava a suo agio ».30 La polemica
di Vittorini con Togliatti era basata, come si è già ricordato, sul rifiuto di
una concezione della cultura come realtà totale. Poco prima della polemica in
questione, Croce aveva scritto a Togliatti: «lo ripugno a diventare toius
politicus come (e non la invidio perché talvolta penso che debba soffrirne) è
Lei in ogni Suo gesto e parola» (la lettera è pubblicata in «Rinascita» Garin,
nel commentare il brano, aggiunge che, però, Croce fu semper politicus (cfr.
Intellettuali italiani del XIX secolo, cit., p. 66).31 C. Leonardi. È dunque il
fatto stesso di porci il problema dello sviluppo che ci obbliga immediatamente
a porre il problema della moralità »; C. Leonardi, La questione prcgiudiziale,
in «Terza generazione » Dalla rivoluzione alla collaborazione
inventivaScassellati, non accetta neanche quella di Baget o di nardi, che vede
legati a prospettive integralistiche 33. Cosi muore questo tentativo culturale,
lasciando però, anche qui, qualche eredità balbiana 34.L'uomo cerca una sua
collocazione precisa, degli stru- menti adeguati alla realizzazione delle sue
intuizioni spe- culative, un modo nuovo di essere intellettuale, o meglio, di
essere un filosofo non intellettuale. Il 1956 presenta, su questa linea, due avvenimenti-svolta
nell'esistenza di Balbo: gli ultimi significativi fatti che, rappresentando dei
momenti di professionalità, sono anche due nuovi modi di dimostrare una nuova
figura di filosofo. Mi riferisco alla assunzione di Balbo presso l'IRI, per il
settore « Problemi del lavoro» e all'incarico di Filosofia Morale avuto al
Magistero di Roma. Comincia cosi a lavorare come « l'al- tra gente» 35. Se
l'insegnamento universitario gli permet-33 « P e r il filosofo torinese,
infatti, la dimensione ecclesiale era una condizione personale del ricercatore,
che non poteva mai intervenire direttamente nel discorso storico »; Baget-Bozzo,
op. cit., p. 531.34 Se l'inizio di «Terza generazione» era stato possibile
anche gra- zie al sostegno economico di De Gasperi, la fine della rivista si
ebbe un mese dopo la morte dello statista (con il n. 12, del settembre 1954).
Ma neanche qui esiste un rapporto di causalità fra i due fatti. La rivista fu
chiusa dopo varie riunioni indette da Balbo e dal suo gruppo «rivo- luzionario»
(cfr. Leonardi, «Terza generazione» ecc., cit., p. 433); il filosofo torinese
accusò il gruppo redazionale di eresia « semi-pelagia- na » (con un termine
dossettiano); Lconardi, invece, vede nel falli- mento della rivista il limite
dell'esperienza pluri-idcologica di V.; la velleità di partire «da zero»
ingenerava componenti «moralistiche e attivistiche [Leonardi intuisce, senza il
nucleo pragmatico del pensiero di Balbo?], e dunque nuove » (Ibidem, pp.
432-33).Una eredità di questa esperienza rimane anche in Baget-Bozzo, che in
essa rappresentava di fatto l'alternativa teorica all'impostazione di V.. Dice
il teologo genovese che nel periodo della rivista « L'Ordine civile» egli
risente delle posizioni culturali che lo hanno in- fluenzato: il dossettisrno,
«Terza generazione» V.(« la no- zione della crisi della civiltà e della
necessità di nuove forme di pensiero e di azione autonome dallo Stato come
condizione per la stessa ripresa dell'azione dello Stato »; G. Baget-Bozzo, I l
partito cristiano e l'apertura a sinistra - La DC di Fanfani e di Moro
.19.54/1962, Firenze Scrive Ginzburg: «V. andò a vivere a Roma, e lasciò la
casa editrice. Poi annaspò per anni fra progetti assurdi ed errori. Infine ebbe
un vero lavoro. Imparò a lavorare come l'altra gente» te di approfondire alcune
tematiche interne ai suoi inte- ressi etico-politici36, l'impegno all'IRI,
accettato per ne- cessità 37, lo porta a non considerarsi un intellettuale in
senso classico in quanto rifiuta, come nota Baget, un com- pito legato solo
alla parola, che è strumento di mistifica- zione 38,Nel frattempo il suo
discorso tende a mettere in luce, ancora una volta, sotto prospettive diverse,
la novità di Marx, ma anche i suoi sotismi. La premessa metodologica che Balbo
ritiene indispensabile è riconoscere come im- prescindibile «necessità teorica
e pratica» quella di un « integrale ricominciamento storico dalla filosofia
alle isti- tuzioni » 3 9 , Sempre sulla linea di un marxismo italiano che
privilegia i Manoscritti (vedi Della Volpe) 40, il pen-36 Argomenti dei corsi
universitari di Balbo sono quelli della urna- nizzazione dell'uomo nella
moderna civiltà industriale, della proprietà privata e del bene comune, del
problema dell'utopia di K. Mannheim e S. Weil, il problema del diritto naturale
in L. Strauss, la crisi dei valo- ri in M. Scheler (cfr. Note biografiche). Il
metodo d'insegnamento seguito da Balbo consisteva nel prendere spunto da fatti
realmente accaduti e da questi risalire a considerazioni teoriche.37 Il dover
lavorare alle dipendenze dello Stato non fu una scelta di comodo per Balbo, ma,
come testimoniano le persone a lui più vicine, gli fu imposto dalla necessità
di «dover vivere» (problema che prima non si era mai posto in termini
concreti). Pertanto ci sembrano OlLllJLLUX:, su tale argomento, le critiche «
teoreticistiche » di Lconardi a intoppo esistenziale del filosofo (« Il sistema
obiettivamente mo- ralmente più forte [00']' Ci pare che la presenza di Balbo
nell'Llc.L, che iniziò poco dopo, come la sua ultima produzione siano lemeno
significative della sua attività, e rappresentinovistoso del suo limite
laicistico »; «Terza generazione » ecc"). Più aderente alla realtà, nei
suoi toni l'intuizionechi afferma che Balbo «spari nel gorgo, e diversi anni
pni tardi morf, ingoiato da una professione di prestigio certote accettato con
la rassegnazione implicita in casi» (G.F,op, cit.). Mi piace ripetere ora una
affermazione di Pombeni: «l~ malsano tentare interpretazioni del dossetìisrno
traendo spunto dalle tuali vicende dei suoi personaggi» (Il «dossettismo» ecc.,
cit., p. 118), È un invito a non mescolare le carte e i piani del discorso ed è
premessa indispensabile per ogni metodologia corretta,38 Cfr. G. Baget-Bozzo,
Il partito cristiano al potere, Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p.
330,40 Cfr. su'questo tema G. Duso, Il nodo Hegel-Marx nel dibattitodel '48, in
Gli intellettuali in trincea, cit., pp. 101-06.Pavese ci parla di «orrore» di
Balbo e del gruppo romano, quandoin una riunione della Einaudi, egli aveva
proposto la pubblicazione delL'istanza manaueriaie149 Dalla rivoluzione
alla collaborazione inventivasatore torinese coglie la verità filosofica
fondamentale del marxismo-leninismo nel vedere come le idee, i comporta- menti
e le manifestazioni dell'uomo, in quanto prodotti,41.Mediando certi temi del
marxismo con le istanze della43,Il limite del marxismo, limite teorico-pratico,
è indi- viduabile nel concetto di sintesi, come fine o soppressione semplice
della proprietà privata. In questo modo non si arriva, secondo Balbo, al
superamento ma alla disgregazio- ne; un reale processo dialettico non dovrebbe
comportare una oppressione positiva della proprietà privata, ma una forma
superiore del sistema di appropriazione, « deve es- sere la nascita di
istituzioni superanti (ossia superiori si- stematicamente) il nostro attuale
sistema istituzionale » 45.Capitale, « estravagante », in una collana assieme
alla Bibbia e a Mille Volevano linciarmi » (lettera a G. Einaudi del 7 settem-
eunanote:«bre 1945, in Lettere, cit., pp. 499-500).41 Cfr. Per la rilevazione e
la critica ecc., cit., p. 319. Balbo affermache la contraddizione del marxismo
è stata centrata da Della Volpe, Del Noce e Löwith (Ibidem, p. 318 e n.).
Aggiunge che si rimane nell'apolo- gia del marxismo anche in casi di «
altissimo livello culturale », come in Gramsci e Lukàcs (Ibidem, p. 319). É
evidente che V. sta rivedendo il suo giudizio su Gramsci.42 « La forza-lavoro o
pratica attività sensibile è indubbiamente il presupposto reale attivo (causa
efficiente) della produzione come tale cosí come la natura ne è il presupposto
reale passivo (causa materiale). Ma altrettanto indubbiamente non sono e non
possono essere i presup- posti reali di ogni ` modo particolare ' della
produzione » , escludendo cosí la peculiarità dell'uomo, cioè la produzione
razionale come specifica (Ibidem, p. 323). Si ricorda su ciò una polemica con
Rodano.43 Balbo sarebbe, invece, piú vicino alla visione dell'antropologia
culturale, secondo la quale ogni forma storico-culturale è un prodotto umano.
Cfr. S. Moravia, La ragione nascosta ecc., cit., pp. 327-37.44 Per la
rilevazione e la critica ecc., sottostanno alle leggi della produzioneper Balbo
costituisce il sofisma marxiano è il far coinci- dere ogni forma di produzione
(anche quella razionale) con la attività pratica-sensibile, cadendo nel
materialismo dia- lettico 42.antropologia culturalesuo complesso ciò che
include tutta la storia umana, e ciò che misura la realizzazione della natura
umana: « Dove c'è produzione c'è storia e realizzazione umana, dove non c'è
produzione non c'è storia né realizzazione umana » 44.150Balbo vede nella
produzione nelCiò che, invece, Infatti, l'eliminazione di uno dei termini
dialettici non risolve la contraddizione e rappresenta, invece, elemento di
corruzione della storia esistente, in quanto conserva all'infinito la
contraddizione invece di superarla ` 6. Non si tratta piú di sopprimere
istituzioni, ma di crearne altre nel quadro di una espansione organica totale.
Quindi non si parla di fine dello Stato, ma « della nascita di nuove dirigenze
dello sviluppo continuo della società » (l'istanza manageriale), non di fine
della filosofia nella rivoluzione, ma di definitiva acquisizione della
indispensabilità della47.filosofia come funzione socialequesta fase del suo
pensiero, Balbo ha ormai raggiunto alcune linee abbastanza precise e nei
confronti del marxi- smo (che non si tratta piú di integrare, ma di
correggere), e anche nei confronti di un quadro globale delle istitu- zioni
sociali: riaffermazione della proprietà privata, tra- sferita su un piano di
solidarietà umana non adeguatamente definita, ripresa della proposta
manageriale, corroborata da una nuova figura di filosofo. L'errore essenziale
di Marx sarebbe di aver voluto impostare una problematica48,« aristotelica » (o
realistica) in termini hegelianirore che si accompagna alla verità delle
domande poste da Marx, domande per le quali non esiste ancora, a livello
storico, una filosofia adeguata. Balbo comunque dice che la via per rispondere
esiste ed è l'assumere la posizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso
(non la loro filosofia, ma il loro punto di vista sul reale).In sostanza « da
Marx in avanti, resta tutto da fare in teoria e in pratica » 49. Marx,
affossatore e vittima della dialettica hegeliana 50, annulla la dimensione
creativa del-46 Cfr. Ibidem, p. 330.47 Cfr. Ibidem, pp. 329-30.48 Cfr. Ibidem, p.
322n.49 Ibidem, p. 331.3o Balbo afferma che Marx demistifica la dialettica
hegeliana, manon la rifiuta; perciò il rovesciamento della prassi riduce il
marxismo a « empirismo praticistico collettivistico ». Sotto questo aspetto,
gli ul- timi scritti di Stalin (probabilmente il filosofo si riferisce alle
trad. it. apparsc in quegli anni di Questioni di leninismo, Roma, 1952 e di
Pro- blemi economici del socialismo nell'URSS, Roma, 1953) rappresentereb- bero
« il tentativo di una specie di ' revisionismo pratico ' interno alL'istanza
managerialeCome si può notare, inun er-151 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventival'uomo; anche a certe interpretazioni pii disponibili
per l'uomo non si può dar credito perché non sono conformi alla « norma base »
della verità del sistema S 1. Una ri- presa delle tesi umanistiche non può
avvenire che come ripresa filosofica: una storia priva di filosofia « a livello
storico » è quella storia disumana e catastrofica, dice Bal- bo, che il
marxismo ci ha svelato. Se prima la filosofia ha solo conosciuto o solo mutato
la storia, ora si deve con- temporaneamente conoscerla e mutarla S2.Il filosofo
che deve conoscere e mutare il mondo non è in questo autosufficiente, ma deve
strumentare i suoi interventi attraverso organismi intermedi. Quello su cui la
riflessione e la funzione organizzativa di Balbo si ap- puntano maggiormente è
il « gruppo di lavoro ». Ogni elaborazione specifica è sempre inquadrata in una
visione pití ampia e piú fondata teoricamente. V. afferma che il problema
primario dell'ontogenesi sociale non è quello dello Stato o dell'assetto
giuridico-economico della proprie- tà (come dice Marx), ma è quello della
giusta forma so-ciale dei lavoro, cioè « il trascendimento effettivo del si-
stema sociale da parte della persona, senza evasione », cosa che Marx
addirittura nega, sostanzializzando la real- tà collettiva S3. Alla istanza
etica di recupero dell'uomo va, pertanto, affiancata una tecnica adeguata , al
pari di quan-marxismo e tendente ad impedire, o almeno a ritardare, le
conseguenze ultime, tecnocratico-burocratiche, dell'essere teoretico tipico del
marxi- smo »; (Per la rilevazione e la critica ecc., cit., p. 327).51 V. si
riferisce a Lenin e a Gramsci come elaboratori delle tesi « sull'umanità
dell'uomo » all'interno del marxismo. Cfr. Il piccolo gruppo di lavoro e la sua
funzione nella grande or- ganizzazione, in Termine e concetto di Costume, Atti
del II Convegno- laboratorio del Centro Intern. delle Arti e dei Costume,
Venezia, 27-29 settembre 1956 (B rescia, 1957); ripubblicato con alcune
varianti in « Rivista di Organizzazione aziendale », III, n. 4, 1958; ora in F.
Balbo, Opere, pp. 543-64; i concetti citati sono a p. 547. G. Petrilli ha
ricor- dato alcuni passi di Balbo relativi a lla pianificazione e al lavoro
come« ritrovamento dell'ordine » (G. Petrilli, Dal progresso alla crescita, in
« Civiltà delle macchine).St « L'etica senza tecnica adeguata non vive,
infatti, nella societ ì umana. Vive in alcuni momenti della vita degli
individui, può risorgere continuamente e come intenzione pura. Ma, poichi. gli
uomini non sono152 to è avvenuto in America (come fenomeno secondario e
non primario). Infatti 11 vi è stata la scoperta « dell'uma- nità dell'uomo »
da parte della società industriale: è stata una scoperta empirica e
sperimentale della non riducibi- lità dell'uomo a « fattore economico »,
attraverso nuovi modi di gestione del lavoro nell'industria S5. In questo
orizzonte, ci deve essere una chiara collaborazione fra me- todo sperimentale e
metodo filosofico: ciò che si ottiene con l'uno, non si ottiene con l'altro, e
viceversa 56. Il pic- colo gruppo di lavoro diventa quindi il risultato di
unaconvergenza tra istanze filosofiche, morali, manageriali: « Il piccolo
gruppo umano e in particolare il piccolo grup- po di lavoro viene considerato
oggi dagli scienziati, tec- nologi ed educatori come una unità sociale primaria,
aven- te realtà, proprietà e caratteri distinti da quelli dei singoli
individui, che lo compongono » S'. Se il tecnicismo può es- sere liberato dai
suoi vizi e dai suoi mali, questo, affermaangeli, non può esistere socialmente
senza tecnica corrispondente e a livello tecnico dell'ambiente. Peggio,
l'intenzione etica retta pub con- giungersi con una porzione di ambiente
tecnico opposto e determinare delle vere e proprie mostruosità sociali di cui
la nostra epoca è ricca » (Ibidem, p. 560).55 Balbo si riferisce
all'esperimento di Elton Mayo alla Western Electric (Ibidem, p. 548).
L'esperimento in questione va con il nome di « Hawthorne », perché ebbe luogo
dal 1927 al 1932, negli stabilimenti Hawthorne della Western Electric C., che
si trovano a Cicero, alla peri- feria di Chicago. La sostanza dell'esperimento
consiste nel tentativo di scoprire il rapporto tra il rendimento dell'operaio e
le condizioni « uma- ne » del lavoro. Il resoconto phi ampio di questo
esperimento è nel vol. dei diretti esecutori F. J. Roethlisberger e W. J.
Dickson, Manage- ment and the Worker, Boston, 1934; Cambridge, Mass., 1939. Si leggano pure E. Mayo, The
human problems of an industrial civilization, New York, 1933; una sec. ed. è
The social problems of an industrial civiliza- tion, Boston, 1946. Una buona esposizione è in J. Madge, Lo sviluppo dei
metodi di ricerca empirica in sociologia, [1962], trad. it., Bologna,19692, pp.
221-83; a p. 279 è una bibliografia de lla critica alla scuola di Elton Mayo.
Sugli stessi temi, ritornano gli scritti di A. Zaleznik, C. P. Christensen, F.
J. Roethisberger, Motivazioni, produttività e soddi- sfazione nel lavoro, [
1958], trad. it., Bologna, 1964. Per un rifiuto glo- bale delle human
relations, e delle « comunità » di fabbrica come « trap- pola ormai logora »,
cfr. A. Illuminati, Lavoro e rivoluzione, Milano,1974; in particolare, dove
l'autore vede E. Mayo inglobato nel taylorismo (p. 29).56 Cfr. 11 piccolo
gruppo di lavoro ecc., cit., p. 552. S7 l bick,,,, p. 550.L'istanza
manageriale153 Dalla rivoluzione alla collaborazione inventivaBalbo, può
avvenire attraverso il piccolo gruppo di lavoro, diventato generatore delle
norme etiche e tecniche della grande organizzazione, che può soltanto
applicarle ".È un po' la critica allo Stato etico, ribaltata a livello di
impresa industriale: a Balbo interessa tanto la umanità del lavoro, quanto la
produttività dello stesso 59, privile- giando il primo momento rispetto al
secondo che, invece, poteva essere pii presente nell'esperimento di Hawthorne.Quella
balbiana è una ricerca di soluzione all'interno delle strutture malate: si
tratta non di modificare il si- stema, ma di giungere a forme pii umane di
lavoro e quindi a una maggiore produttività. V. sembra essersi rassegnato al
sistema capitalistico, non prospetta alter- native strutturali, ma solo terapie
per l'individuo e vede nel piccolo gruppo la nuova cellula in cui ogni realtà,
ogni fatto della vita del gruppo, ogni elemento del suo lavoro può essere a
portata diretta dei sensi, dell'intelligenza e del fare di ogni singolo
componente E 0.In questo quadro si colloca il riemergere, nel pen- siero di
Balbo, delle istanze antropologiche, il riesame delle possibilità storiche
dell'uomo e una definizione ot- timistica della vita terrena 61. Se si è
parlato di pessimismo cristiano è stato per l'esperienza dello scarto tra la
con- dizione umana di peccato .e il presentimento del possibile essere, mentre
il pessimismo pagano è irreversibile in quanto parte dallo stato di decadenza e
dalle perdite de- finitive dell'età dell'oro 62. II discorso di Balbo sembra
rie- cheggiare il clima de « Il Politecnico », quando nota una« reciproca
universale necessità di ogni uomo per ogni uomo, in quanto in ogni uomo si sostanzia
l'essere urna-58 Cfr. Ibidem, p. 559.59 Cfr. Ibidem, p. 557.60 Cfr. Ibidem, p.
552.6t Balbo afferma che la vita terrena è incoativa, quella ultraterrenaé
perfettiva; ma aggiunge che questo non comporta una concezione « at- tesista »
e una svalutazione della vita terrena (cfr. Il futuro e l'« al di là » - Note
di ricerca metafisica sull'uomo, in « Archivio di Filosofia », Metafisica ed
esperienza religiosa, 1956, pp. 235-55; poi in Idee per una filosofia dello
sviluppo umano, I1 motivo dell'io umano « onni-esistenziale » è unodei pii
complessi all'interno del pensiero di V., inquanto ha matrici non bene definite
o, al limite, può es-sere il minimo comune denominatore di fonti
diverse,talvolta opposte. « Analizzando la mia esistenza intendodunque
analizzare l'essere umano che è in me come inogni altro che ha la mia stessa natura
» 64: dalle letterepaoline, a Croce e Gentile, si trova tutto in questa
defi-nizione, ma l'ancoraggio è costituito da una solida filosofia65.ritrovata
mediante la ricerca e la dimostrazione razionale, mentre la nozione religiosa è
dogmatica 6. Alla fine non possono, però, divergere e V. definisce l'uomo come
o il poter essere sussistente » dal punto di vista dinami- co, dell'azione
pratica, della produttività 67. Una ripresa, ancora una volta puramente
lessicale, di termini marce- liani troviamo quando il pensatore torinese
enuclea le categorie antropologiche e dice che l'uomo ha bisogno di essere, di
avere e di dare; ma la categoria dell'avere è quella maggiormente rilevante,
per una continuità ed in- tegrazione anche a livello ontico 63. Direttamente
legato I1 riferimento a lla rivista è, in questo caso, molto mediato. Infatti
su « Il Politecnico » (n. 1 del 29 settembre 1945, p. 3) appare il brano di J.
Donne, premesso ai romanzo di E. Hemingway, Per chi suona la campana, [ 1940],
trad. it., Milano, 1945 (l'ultima è del 1977). Sulla rivista di Vittorini è
pubblicata la trad. a puntate, a cura di L. Foà e B. Zevi, con il titolo Per
chi suonano le campane. Il brano di J. Donne è questo: « Nessun uomo è un'Isola
in sé compiuta; ogni uomo è un frammento del Continente, una parte del tutto;
se il Mare inghiotte una zolla di terra, l'Europa ne è diminuita, come se
quella zolla fosse un Promontorio, o la Casa dei tuoi amici o la tua propria;
la morte di ogni uomo diminuisce me, perché io sono parte dell'Umanità. E cosí
non mandar mai a chiedere per chi suonano le campane: suo- nano per te » (trad.
de « Il Politecnico »).64 Idee per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p.
400.65 F. Ferrarotti scrive: « V. passa dall'io trascendentale de lla filo-
sofia moderna all'io umano onni-esistenziale de lla filosofia dell'essere che
in assoluta libertà di spirito, al di là degli schemi consueti del tomismo e
della neo-scolastica, si apprestava ad elaborare: una filosofia come attività »
(Op. cit., p. 16).Cfr. Il futuro e l'« al di la», cit., p. 446.67 L'uomo « ha
bisogno di avere per affermare ed espandere l'esseredell'essereL'antropologia
di Balbo, a questo punto, è critica eL'istanza manageriale155 Dalla
rivoluzione alla collaborazione inventivaa questa categoria antropologica è il
lavoro, fatto metafi- sicamente costitutivo dell'uomo, tanto nella fase terrena
« incoativa » quanto nella fase ultraterrena « perfettiva »; ma del « lavoro »
necessario pure nella vita ultraterrena non possiamo dire niente se non per
rivelazione divina 69. Attraverso il lavoro si attua quella integrazione con
gli altri che è sintesi nuova e non somma di elementi; perciò Balbo dice che
questa sintesi nuova è un dato reale cherende essenziale l'integrazione nella
ricerca dell'umanità 70. È facile riscontrare in queste affermazioni, accanto
alla teorizzazione dei molteplici gruppi costituiti nelle varie esperienze
culturali di Balbo, la sua nuova ipotesi di una filosofia costruibile in
gruppo; cosí come, dal punto di vi- sta manageriale, si può vedere una
riproposta del piccologruppo come cellula nuova dell'organismo industriale da
ristrutturare.Alla base di questa speculazione è oramai chiara- mente
individuabile l'impronta di una ontologia « leggi- bile » in termini
aristotelico-tornisti, ma Balbo ricorda che i termini non glieli suggerisce la
tradizione filosofica bensí « la fortissima vergine evidenza della verità » cui
cerca di corrispondere Aveva detto la stessa cosa san Tom- maso a proposito de
lle sue fonti Nell'ammettere un im- porsi della verità attraverso la evidenza
dei principi è ilche è secondo le potenze ad esso proprie. Ha bisogno di avere
per con- tinuare ad essere ciò che è e non morire. Ha anche bisogno di avere
per essere ciò che non è ancora, ma che può essere La ripresa filosofica di F.
Balbo è citata in questo senso anche da C. Napoleoni (cfr. L'enigma del valore,
in « Rinascita », Tommaso aveva pii volte ripetuto che l'argomento dell'auto-
rità è il pii debole (Summa Theol., I, I, a.8; In VIII Phys., 1.III); che la
sapienza non procede « propter auctoritatem dicentium », bensí « propter
rationem dictorum » (Sup. I3oët. de Trinit., p. II, a.3). Infine aveva scritto:
« Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid hornines senserint,
sect qualiter se habeat veritas rerum » (In I De Coelo, 1.22), Erroneamente il
Sertillanges (La filosofia di s. Tommaso d'Aquino,[1910, n.e. 1940] trad. it.,
Roma, 1957, p. 22) traduce il qualiter ... con « di sapere quello che han detto
di vero », inquinando le intenzio- ni e il testo tomistici che eliminano la
mediazione dei filosofi e dicono che occorre conoscere in che modo si abbia la
veritil.156 tomismo di Balbo, o, come preferisce dire il filosofo del
Novecento, il punto dove anche san Tommaso ha toccato la verità. Quindi tale
tomismo consiste, ora, nel tema della evidenza dei principi primi pratici, «
incorruttibile garanzia morale » del potere dell'uomo sul futuro. Anzi Balbo
rilegge la sua prima produzione proprio sotto il tema della sinderesi 73.Lo
sguardo appuntato sulla funzione dell'uomo di cul- tura ci mostra ancora un
Balbo in parte legato all'im- magine dell'intellettuale che esce da lla
Resistenza. Parla, infatti, di un intellettuale che « non deve appartenere a
coloro che decidono, o che muovono le masse, ma a coloro che propongono, che
sollecitano, che ideano e aprono nuove vie, che portano a verità l'opinione
confusa e con- traddittoria, che scoprono ed enunciano nuovi bisogni, nuovi
doveri, che determinano, in una parola, il primo atto in ogni processo di
umanizzazione degli uomini » 74.L'autonomia, o « distinzione »
dell'intellettuale nei confronti del politico, comporta un eroismo di preveg-
genza 7S, una priorità di mansioni (che nello sviluppo della speculazione
balbiana si riaccostano sempre piú a tema- tiche crociane a livello di «
autocoscienza ») 76, e rischia di isolarlo in una casta, quando Balbo parla
della neces- sità della vocazione, aggiungendo, però, che con questo7a Cfr. Il
futuro e l'« al di là », cit., p. 470. Nella nota Balbo af- ferma che L'uomo
senza miti, «malgrado le insufficienze e le oscillazioni, verte, in fondo,
tutto sulla tematica della sinderesi ». Come ho già chia- rito prima, non è
corretto parlare, a proposito del primo libro di Balbo, di tomismo, inteso come
ripresa diretta di teorie torniste, quanto piut- tosto di una confluenza
teorica tra la visione balbiana di un ripristino della evidenza e quella
tomistica della sinderesi, cui solo dopo Balbo si avvicinerà chiaramente.74 La
funzione dell'intellettuale L'intellettuale, per Balbo, non deve avere il
coraggio fisico delle armi, ma l'eroismo dei momenti non eroici: « La vedetta
ha il suo mo- mento eroico nel resistere al sonno delI'alba, quando gli altri
dormono, e non nel darsi da fare con gli altri quando la nave è finita tra gli
scogli » (Ibidem, p. 568).76 a Intellettuale [non è uno status sociologico], mi
pare, è chi espri- me con la parola, o manifesta con l'esempio dei valori
universali nel tno- mento storico, e cioè chi produce l'autocoscienza storica
del suo tempo » (Ibidem, p. 565).L'istanza managcriale Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivatermine non vuole indicare altro che una particolare
capa- cità alla funzione, al compito intellettuale n. E che l'in- tellettuale
abbia un primato nei confronti del politico è, per Balbo, evidenziato dal fatto
che non è mai una strut- tura organizzativa a dare la giustizia sociale, ma
l'ethos trasformato e sviluppato n.Il nodo che gli intellettuali italiani, ed
europei in ge- nerale, si trovano a dover affrontare e risolvere alla metà
degli anni Cinquanta, dopo la destalinizzazione in Russia, è quello di un
possibile dilemma tra le istanze dell'indi- vidualismo liberale e que lle di un
collettivismo che ha an- nullato tutta la sua potenzialità positiva nelle forme
radi- cali del regime sovietico. Balbo afferma che il dilemma tra
individualismo e collettivismo non si risolve scegliendo uno dei termini, ma
superando la contraddizione « in una nuova realtà che include ciò che tutti i
contrari includono e ciò che la loro contrarietà esclude »". Questo tema del
superamento e del rifiuto di una logica dicotomica, inteso come somma dei
valori positivi inclusi nelle tesi, ridimen- siona il tema marxiano della lotta
di classe che, se è vista come principio, può dare origine a una evasione
perma- nente, o a una centralizzazione di tutto il potere in una classe, o in
un gruppo, o in un individuo B0. Il rifiuto della lotta rivela nelle tesi del
Balbo una sfiducia progressiva verso la dialettica politico-economica,
ridefinisce la lotta come mezzo e non come principio perché in tal caso non dà
origine « ad altra realtà che la lotta stessa » 81. Questa Cfr. Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale, conf. te- nuta a lla Fac. di
Magistero di Roma, in u Atti della Società filosofica romana », 1957; poi in
Tesi filosofiche per lo sviluppo sociale, dispense redatte da F. Balbo sul
corso tenuto da lui alla Fac. di Magistero di Roma, nell'a.a. 1959-60; ora in
Opere, pp. 577-627 (pub- blicazione parziale); il concetto ricordato nel testo
è alle pp. 596-97.79 Il futuro e l'« al di là », cit., p. 469.sa Cfr. Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale Ibidem. La teoria statuale di
Balbo fu ripresa in un convegno or- ganizzato a Lucca dalla Democrazia
Cristiana, nel 1967. In quella sede, G. De Rosa ricordò Balbo, come un «
profondo filosofo cristiano della nostra età » (cfr. Orfci, L'occupazione del
potere, Milano, e G. Galli, Storia della Democrazia Cristiana, Bari polemica «
strisciante » con le teorizzazioni marxiste del- la società borghese, come
società essenzialmente conflittua- le, è interna a tutta la revisione che Balbo
ha operato della sua lettura del marxismo; revisione il cui punto centrale è
costituito dallo spostamento di giudizio sulla ateologicit à che diventa «
ateismo » e « antireligione mar- xista » s`. Il pensatore torinese non
rinunzia, però, ancora a rintracciare, oltre l'ateismo dichiarato, « un'orma di
Dio » nel desiderio di giustizia presente nel marxismo s3Da una angolazione piú
chiaramente po litica, l'ideo- logo della Sinistra Cristiana, che aveva fondato
la scelta di classe anche per i cattolici, ora propone la collabora- zione di
classe come risultato di una certa lotta « che miri appunto all'equilibrio per
integrazione di soggetti auten- tici di interessi e di poteri: si può
considerare cioè che esista una lotta di classe che non cerca di sopprimere uno
dei termini della lotta, che cerca anzi l'equilibrio effettivo dei termini e
che quindi coincide con la collaborazione di classe » s4. L'interclassismo era
stato uno dei motivi teo- rici per cui non si era realizzata la fusione tra la
« Sini- stra giovanile cattolica » e il partito degasperiano nel '43Galli
critica come « ovvietà tardoilluministiche » il concetto balbiano di Stato
rappresentativo, gestito dai piú forti o dall'equilibrio dei gruppi phi forti:
è questa, chiaramente, una banalizzazione del pensiero di Balbo sul superamento
della lotta di classe). La stampa vedrà proprio nella riscoperta di Balbo
l'aspetto phi interessante di quel convegno (cfr. M. Scarano, Affrontare la
sfida degli anni '70, in « Il giorno », 30- IV- 67).82 Cfr. Il futuro e l'« al
di la », cit., p. 458n.83 « Chiamo il ` desiderio di giustizia ' presupposto
reale e non prin- cipale del marxismo, perché, mentre il marxismo non lo
riconosce come elemento del proprio sistema teorico e pratico [...], esso è
d'altra parte la forza senza la quale il marxismo stesso non avrebbe corso
storico. Il marxismo a mio avviso ricava la sua forza storica piú profonda dal
fatto di apparire come il realizzatore della desiderata giustizia, vera ed
effet- tiva, e come il giustiziere della morale e del diritto ` astratti ' »
(Ibidem).84 Note filosofiche sul problema della giustizia sociale Cfr. C. F.
Casula, Il Movimento dei cattolici comunisti e la Resi- stenza a- Roma, in « I1
Movimento di liberazione in Italia », ottobre- dicembre 1973, pp. 48 e segg.;
poi in C. F. Casula, Cattolici- comunisti ecc., cit., pp. 63-64. Per il
programma interclassista della DC i documen- ti fondamentali sono Il programma
di Milano e le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, che possono
essere letti nella stesura origi- naria in E. Aga Rossi, Dal Partito Popolare
alla Democrazia Cristiana,L'istanza manageriale159 Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivaemerge ora una proposta interclassista avanzata da un
Balbo che ha abbandonato i programmi massimalistici per un riformismo non
ipocrita, ma comunque ambiguo ed eterogeneo al quadro della sua speculazione
anteriore 86.Infatti ora il filosofo teorizza la tesi per cui è necessa- rio
che « gli interessi e le classi sussistano e non si sop- primano con violenza
diretta o indiretta » 87. Né riteniamo di poter accostare questo interclassismo
ai temi di Gobetti nei quali il termine di « classe » era pura astrazione:
quindi ci poteva essere annullamento delle classi, ma non loro collaborazione
S8. Invece, per Balbo si deve instaurare un equilibrio dinamico fra le classi,
« ossia un equilibrio che si fondi su di un'autonoma, effettiva e adeguata
(so-stanzialmente e non solo quantitativamente) partecipazio- ne al potere in
tutte le sue forme da parte di ogni classe, di ogni interesse, singolo e
collettivo. Il che sarebbe ap- punto la giustizia sociale » 89. Questo
interclassismo ha motivazioni antropologiche ed etiche che per certi versi
richiamano temi dell'anarco-marxismo di Sartre, ma solo perché convergono
nell'identificare la libertà nella libera- zione, e la integrazione creativa
nel movimento 90.Bologna, Scoppola parla, pure, delle difficoltà in- terne alla
DC, che non riusciva ad esprimere compiutamente la propo- sta interclassista «
di cui la società italiana aveva bisogno » (cfr. P. Scoppola, La proposta
politica di De Gasperi, Bologna; da p. 124 esamina acutamente e attraverso
documenti spesso inediti l'atteg- giamento di De Gasperi nei confronti della
Sinistra Cristiana e il suo incunearsi tra essa e la Santa Sede).36 « Una
collaborazione di classe che non riconosca i termini dei contrasti fondamentali
e particolari di classe (nel senso assunto da que- sto termine dopo Marx), che
non riconosca la esistenza, la natura e le ragioni dei contrastanti interessi
sociali e delle lotte aperte o nascoste che conseguono a tali contrasti, non è
una collaborazione di classe, ma la maschera ipocrita del dispotico dominio (o
tentativo di dominio) di una classe sull'altra, di un interesse sull'altro »
(Note filosofiche sul problema della giustizia sociale). Ha scritto Gobetti: «
Nella concreta realtà dell'atto spirituale glischemi perdono la validità loro:
le classi diventano meri fantasmi » (Definizioni: la Borghesia, in « La
Rivoluzione Liberale », I, n. 4, 5 marzo 1922, ora in Scritti politici, Note
filosofiche sul problema della giustizia sociale. Gli uomini non sono liberi cd
eguali in senso rigoroso se non nella loro integrazione creativa per lo
sviluppo umano, per la giustizia160 prospettiva riformistica, in chiave
interclassista, non può che realizzarsi tornando agli incroci tra privato e
pubblico, tra momento di analisi e momento di sintesi deliberativa.Cosi Balbo,
che ha cercato di correggere la struttura industriale intervenendo sui piccoli
gruppi di lavoro, ri- tiene che il problema centrale della democrazia sia nelle
« erme ï collettive », dove di tatto è il potere e il con- trollo delle masse;
quelle entità erano diventate, dopo oltre un decennio dalla Resistenza, delle «
macchine » V', senza spazi reali per le decisioni di base. Il filosofo scrive
che solo con un'azione individuale e collettiva, teorica e pratica, centrale
(non centralistica) e periferica di inven- zione si può realizzare un
equilibrio dinamico di interessi e si può realizzare l giustizia sociale, cioè
un crescente influsso di collettività di persone « sulla proprietà, sull'uso,
sulla destinazione dei mezzi di produzione » y=.L'ipotesi balbiana è quella di
intervenire sugli orga- nismi intermedi come strutture portanti di un regime
de- mocratico; il discorso dei rapporti economici diventa, quin- di, un tema
consequenziale e derivato. t un ridare il pri- mato alla politica, ma, come
tiene a specificare il pensa- tore, non il primato al pensiero politico. I.l
pensiero è solo « la premessa statica » dei partiti, una premessa ge- nerica e
spesso mistificatrice « presa in prestito e non creata dalla loro attività »,
strumento di persuasione o « momento subordinato dell'organizzazione » ".
Ciò chesociale » (Ibidem, p. 597). Sartre dirà che il superamento della
dialettica tra soggetto e oggetto è il gruppo, .< per la sua impresa e per
quel suo movimento costante d'integrazione che tende a farne una praxis pura e
a sopprimere in esso tutte le forme d'inerzia » (Critica; della ragione lettica
- I - Teoria degli insiemi pratici, [1960], trad. it., Milano, Cfr. Note
filosofiche sui problema della giustizia sociale, R. De Vita cita e illustra la
teoria balbiana del « piccolo grup- po », nel suo scritto Piccoli gruppi e
società in trasformazione, Milano, 1978, pp. 112- 13.92 Note filosofiche sul
problema della giustizia sociale, La sfida storica del comunismo al
Cristianesimo e le sue couse- gueuze filosofico - sociali, in a Il M ulino »,
a.V II, n. 3, 1958; unito a Ancora su Cristianesimo, comunismo e azione
politica, ivi, a.VII, n. 12,L'istanza manageriale161Dalla rivoluzione alla
collaborazione inventivacostituisce realmente i partiti (clic Balbo ritiene le
arterie della democrazia) è l'essere strumenti di organizzazione della volontà
e degli interessi politici 94.L-`rilevante sottolineare che questo tema del
partito politico come struttura portante è una ulteriore caratte- rizzazione
ciel pensiero filosofico di Balbo che lo pone a metà strada tra la concezione
del materialismo storico e quelle, estranee ma parallele, dello storicismo
crociano e della storia cone storia filosofica di Del Noce 95C'è quindi,
nell'autore di L'uomo senza miti, questa esigenza esasperata di sceverare nelle
sue esperienze teo- riche una linea di unificazione, anche se la sua «
filosofia della storia » propende verso una accentuazione dei mo- tivi di « materialità
» (o nel senso delle istituzioni, o nel senso del bisogno economico), rispetto
alle urgenze puramente ideali.L'operare dall'interno del sistema, pid che
rassegnazione alla sconfitta, è caparbietà pragmatica e machiavelli- ca nel
voler trasformare le cose e frenare la « catastrofe ». Non sempre la proposta
speculativa di Balbo è, però, ade- guata alle sue istanze.1958, è ora in Opere,
con il titolo Comunismo e Cristianesimo; il brano cit. 6 a p, 339.w Cfr.
ibidem.as Riguardo a questo dissenso, Del Noce afferma che fu tra le cause clic
gli vietarono di aderire alle trii di Balbo, nel periodo della Sinistra
Cristiana. Da ciò il sorgere tra lui e Balbo a di una discussione, che per
l'uno e per l'altro era piuttosto un monologo che un dialoga; non certosensodl
una sordia, ma anzi in quello di una fusione masatma,nel ,per cui ognuno
combatteva nell'altro una posizione che ritenevadl aver Avissuto '(e non
soltanto obiettivam ente pensato) e oltrepas - atrt^ r (Ge netlesignificatoecc).162
Felice Balbo Venadio, conte di Venadio. Felice Balbo Vinadio. Keywords. Refs.: H.
P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vinadio: being, value –
and colloquenza!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vio:
la ragione conversazionale e le categorie del lizio – un senso, un’analogia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Gaeta). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Grice: “While the typical Englishman
is more interested in the fact that Vio never thought that Henry VIII did divorce
Aragon, I prefer his commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via
‘Porfirio’!” -- Grice was irritated that when ‘Vio’ became a saint, the
Italians list him under ‘c’. O. P. cardinale di Santa
Romana Chiesa. V. riceve Lutero, Template-Cardinal. Incarichi ricoperti. Maestro
generale dell'ordine dei predicatori, cardinale presbitero di San Sisto, arcivescovo
metropolita di Palermo, arcivescovo-vescovo di Gaeta, cardinale presbitero di
Santa Prassede. Ordinato presbitero, nominato arcivescovo da Leone X, consacrato
arci-vescovo da Fieschi, creato cardinale da Leone X. Religioso
domenicano, generale dell'ordine: filosofo, teologo e diplomatico pontificio. Incontro
tra V. e Lutero in una stampa d'epoca. Entra tra i frati domenicani del
monastero di Gaeta, e prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e
Padova. Insegna filosofia a Pavia e Roma. Acquisce una considerevole fama
in seguito ad un pubblico dibattito con PICO a Ferrara. Generale dell'ordine e consigliere
dei papi, dimostra grande zelo nel difendere il diritto del papa contro il concilio
di Pisa, polemizzando contro Almain in una serie di articoli messe al bando
dalla Sorbona e bruciati per ordine di Luigi XII. Leone X crea V. cardinale, e fatto
arci-vescovo di Palermo. Arci-vescovo di Gaeta, inviato in Germania come legato
apostolico per partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per
l'elezione di Carlo V d'Asburgo ad imperatore del sacro romano impero -- prevalendo
sull'altro concorrente Francesco I -- e lì cerca di arginare la nascente riforma
protestante di Lutero. Fa rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero
ad abbandonare i suoi propositi di riforma. Aiuta il papa nell'estensione della
bolla “Exsurge domine” rivolta a contrastare il dilagare della riforma di
Lutero. Oganizza la resistenza contro i turchi. Venne fatto prigioniero
durante il sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire
Clemente VII per il tradimento della parola datagli. Pronuncia la sentenza
definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona,
rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla produzione filosofica
e di teologia filosofica, secondo la linee della scuola d’AQUINO, V. si distinque
come esegeta. Ignora attamente l’ebraico, ma consulta esperti rabbinici e
grazie alla sua familiarità con il testo greco, ubblica un commentario dei
libri sacri di giuidei e galilei. L’enfasi alla Grice di V. sulla ricerca del SIGNIFICATO
letterario o LITERALE dell’Eneide o altri testi pone V. alle origini della tradizione
esegetica del cattolicismo contro le sette delle differenti nazioni. Saggi:
“Summula Caietani”; “Opuscula omnia” (Giunta); “Commentaria super tractatum de
ente et essentia [di Aquino]”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III
libros Aristotelis de anima”; “Auctoritas pape et concilii sive ecclesie
comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione concilii lateranensis” (Berlin);
“Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione pontificatus
romani pontificis”; “Jentacula Nuovo Testamento, expositio LITERALIS sexaginta
quatuor notabilium sententiarum Novi Testamenti” (Roma). Francesco senese De
Franceschi; “In Porphyrii Isagogen ad Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”;
“Scripta philosophica”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis
papae”; “Apologia”. Allaria, V.: cardinale -- Roma; Treccani, Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Conferenza
Episcopale Italiana. ALCUIN,
Università di Ratisbona. V. philosophised extensively on free will, and had a
colourful dispute with, of all people, Luther, well represented in a painting that
Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the
soul from V. Prelate and theologian. Born in Gaeta from which he take his name,
he enters the Dominican order and studies philosophy at Naples, Bologna, and
Padua. He becomes a cardinal, and travels to Germany, where he engages in a
theological controversy with Luther. His major work is a Commentary Aquino’s Summa
Theologiae, which promotes a renewal of interest in scholastic and ‘Thomistic’
philosophy. In agreement with Aquino, V. places the source of knowledge in
sense perception. In contrast with Aquino, V. *denies* that the immortality of
the soul and the existence of the divine as our creator may be proved. V.’s work
in logic is based on the traditional syllogistic logic that he called ‘dal
Lizio,’ but is original in its discussion of the notion of “analogy”. V. distinguishes
*three* types of analogy: analogy of inequality, analogy of attribution, and
analogy of proportion. Whereas he rejects “analogy of inequality” and “analogy
of attribution” as improper, fallacious, and invalid, V. regards the analogy of
proportion as valid and basic and appeals to it in explaining how humans may come to
know propositions about the divine and
how analogical reasoning, applied to both the divine, and the divine’s creatures,
may avoid being aequi-vocal. DE NOMINUM ANALOGIA. QUOTUPLEX
SIT ANALOGIA, CUM DECLARATIONE PRIMI MODI
Invitatus et ab ipsius rei obscuritate, et a nostri aeui flebili
profundarum litterarum penuria, de nominuin analogia in his uacationibus
tractatum edere intendo. Est siquidem eius notitia necessaria adeo, ut sine
illa non possit metaphysicam quispiam discere, et multi in aliis scientiis ex
eius ignorantia errores procedant. Quod si ullo usquam tempore accidit, hac
aetate id euenire clara luce uidemus, dum analogiam, uel indisiunctionis, uel
ordinis, uel conceptus praecisi unitate, cum inaequalis participatione
constituunt. Ex dicendis namque patebit, opiniones huiusmodi a ueritate, quae
ultro se offerebat, per abrupta deuiasse.
2. Analogiae igitur uocabulum proportionem siue proportionalitatem (ut a
Graecis accepimus) in proposito sonat. Adeo tamen extensum distinctumque est,
ut multa nomina analoga abusiue dicamus; et multarum distinctionum adunatio si
fieret, confusionem pareret. Ne tamen rectum obliqui iudicio priuetur, et
singularitas in loquendo accusetur, unica distinctione trimembri omnia
comprehendemus, et a minus proprie analogis ad uere analoga procedemus. 3. Ad tres ergo modos analogiae omnia analoga
reducuntur: scilicet ad analogiam inaequalitatis, et analogiam attributionis,
et analogiam proportionalitatis. Quamuis secundum ueram uocabuli proprietatem
et usum Aristotelis, ultimus modus tantum analogiam constituat, primus autem
alienus ab analogia omnino sit. 4. Analoga
secundum inaequalitatem uocantur, quorum nomen est commune, et ratio secundum
illud nomen est omnino eadem, inaequaliter tamen participata. Et loquimur de
inaequalitate perfectionis: ut corpus nomen commune est corporibus inferioribus
et superioribus, et ratio omnium corporum (in quantum corpora sunt) eadem est.
Quaerenti enim quid est ignis in quantum corpus, dicetur: substantia trinae
dimensioni subiecta. Et similiter quaerenti: quid est caelum in quantum corpus,
etc. Non tamen secundum aequalem perfectionem ratio corporeitatis est in inferioribus
et superioribus corporibus. 5. Huiusmodi
autem analoga Logicus uniuoca appellat, Philosophus uero aequiuoca, eo quod
ille intentiones considerat nominum, iste autem naturas. Unde et in X Metaph., text. ultim. Aristoteles
dicit quod corruptibili et incorruptibili nihil est commune uniuocum,
despiciens unitatem rationis seu conceptus tantum. Et in VII Physic., text. 13
dicitur iuxta genus latere aequiuocationes; quia huiusmodi analogia cum unitate
conceptus non dicit unam naturam simpliciter, sed multas compatitur sub se
naturas, ordinem inter se habentes, ut patet inter species cuiuslibet generis,
specialissimas et subalternas magis. Omne enim genus
analogum hoc modo appellari potest, (licet non multum consueuerint nisi
generalissima et his propinqua sic uocari), ut patet de quantitate et qualitate
in praedicamentis, et corpore, etc. 6.
Hanc analogiam S. Thomas, in I Sent., dist. 19 uocat analogiam secundum esse
tantum, eo quod analogata parificantur in ratione significata per illud nomen
commune, sed non parificantur in esse illius rationis. Perfectius enim esse
habet in uno, quam in alio, cuiuscumque generis ratio, ut in Metaphysica
pluries patet. Non solum enim planta est nobilior minera; sed corporeitas in
planta est nobilior corporeitate in minera: et sic de aliis. 7.
Perhibet quoque huic analogiae testimonium Auerroes in XII Metaph., text. 2 dicens, cum unitate generis stare prioritatem et posterioritatem
eorum, quae sub genere sunt. Haec pro tanto analoga uocantur, quia considerata
inaequali perfectione inferiorum, per prius et posterius ordine perfectionis de
illis dicitur illud nomen commune. Et iam in usum uenit, ut quasi synonime
dicamus aliquid dici analogice et dici per prius et posterius. Abusio tamen
uocabulorum haec est; quoniam dici per prius et posterius, superius est ad dici
analogice. In huius modi autem analogis, quomodo inueniantur unitas,
abstractio, praedicatio, comparatio, demonstratio et alia huiusmodi, non
oportet determinare; quoniam uniuoca sunt secundum ueritatem, et uniuocorum
canones in eis seruandi sunt. ANALOGIA
ATTRIBUTIONIS QUID SIT, ET QUOT MODIS FIAT, ET QUAE EIUS CONDITIONES. Analoga
autem secundum attributionem sunt, quorum nomen commune est, ratio autem
secundum illud nomen est eadem secundum terminum, et diuersa secundum
habitudines ad illum: ut sanum commune nomen est medicinae, urinae et animali;
et ratio omnium in quantum sana sunt, ad unum terminum (sanitatem scilicet),
diuersas dicit habitudines. Si quis enim assignet quid est animal in quantum
sanum, subiectum dicet sanitatis; urinam uero in quantum sanam, signum
sanitatis; medicinam autem in quantum sanam, causam sanitatis proferet. Ubi
clare patet, rationem sani esse nec omnino eamdem, nec omnino diuersam; sed
eamdem secundum quid, et diuersam secundum quid. Est enim diuersitas
habitudinum, et identitas termini illarum habitudinum. 9. Quadrupliciter autem fieri potest
huiusmodi analogia, secundum quatuor genera causarum (uocando pro nunc causam
exemplarem causam formalem). Contingit siquidem multa ad unum finem, et ad unum
efficiens, et ad unum exemplar, et ad unum subiectum, secundum aliquam unam
denominationem et attributionem diuersimode habere: ut patet ex exemplis
Aristotelis, IV Metaph., text. 2.
Ad causam enim finalem pertinet exemplum de sano in III Metaph., text. 2, ad efficientem uero exemplum de medicinali ibidem positum; ad
materialem autem analogia entis ibidem subiuncta; ad exemplarem demum analogia
boni, posita in I Ethic., cap. 7. 10.
Attribuuntur autem huic analogiae multae conditiones, ordinate se consequentes:
scilicet quod analogia ista sit secundum denominationem extrinsecam tantum; ita
quod primum analogatorum tantum est tale formaliter, caetera autem denominantur
talia extrinsece. Sanum enim ipsum animal formaliter est; urina uero, medicina
et alia huiusmodi, sana denominantur, non a sanitate eis inhaerente, sed
extrinsece, ab illa animalis sanitate, significatiue uel causaliter, uel alio
modo. Et similiter idem est de medicatiuo et de substantia, quae sunt
formaliter in primo; in caeteris uero denominatiua significatione denominantur
et extrinsece. Boni quoque ratio in bono per essentiam saluata, quo
exemplariter caetera denominantur bona, in solo primo bono formaliter
inuenitur; reliqua uero extrinseca denominatione, secundum illud bonum, bona
dicuntur. 11. Sed diligenter aduertendum
est, quod haec huiusmodi analogiae conditio, scilicet quod non sit secundum
genus causae formalis inhaerentis, sed semper secundum aliquid extrinsecum, est
formaliter intelligenda et non materialiter: idest non est intelligendum per
hoc, quod omne nomen quod est analogum per attributionem, sit commune
analogatis sic, quod primo tantum conueniat formaliter, caeteris autem
extrinseca denominatione, ut de sano et medicinali accidit; ista enim
uniuersalis est falsa, ut patet de ente et bono; nec potest haberi ex dictis,
nisi materialiter intellectis. Sed est ex hoc intelligendum, quod omne nomen
analogum per attributionem ut sic, uel in quantum sic analogum, commune est
analogatis sic, quod primo conuenit formaliter, reliquis autem extrinseca
denominatione. Hoc siquidem uerum est, ex formali intellectu praecedentium; ex eisque
manifeste sequitur. Ens enim quamuis formaliter conueniat omnibus substantiis
et accidentibus etc., in quantum tamen entia, omnia dicuntur ab ente subiectiue
ut sic, sola substantia est ens formaliter; caetera autem entia dicuntur, quia
entis passiones uel generationes etc. sunt; licet entia formaliter alia ratione
dici possint. Et simile est de bono. Licet enim omnia entia bona sint,
bonitatibus sibi formaliter inhaerentibus, in quantum tamen bona dicuntur,
bonitate prima effectiue aut finaliter aut exemplariter, omnia alia nonnisi
extrinseca denominatione bona dicuntur: illamet bonitate, qua Deus ipse bonus
formaliter in se est. Et ex hac
conditione statim infertur alia: scilicet quod illud unum, ad quod diuersae
habitudines terminantur in huiusmodi analogis, est unum non solum ratione, sed
numero. Quod dupliciter intelligi potest, secundum quod analogata dupliciter
sumi possunt: scilicet uniuersaliter et particulariter. Si enim sumantur analogata particulariter,
illud unum necessario est unum numero uere et positiue. Si autem sumantur
uniuersaliter, illud unum necessario est unum numero negatiue, idest non
numeratur in illis analogatis ut sic, quamuis in se sit uniuersale quoddam, et
non unum numero. Verbi gratia, si sumantur haec urina sana, haec medicina sana,
et hoc animal sanum: haec omnia dicuntur sana a sanitate quae est in hoc
animali, quam constat unam numero uere esse. Sortes enim dicitur sanus, quia
habet hanc sanitatem; medicina, quia illam facit; urina, quia eamdem
significat, etc. Si uero sumantur animal sanum in communi, et urina sana in
communi et medicina sana in communi: sic, formaliter loquendo, sanitas a qua huiusmodi
sana dicuntur, non est una numero in se: eo quod causae uniuersales effectibus
uniuersalibus comparandae sunt, ut II Phys., text. 39 dicitur. Et simile est de
signis, et instrumentis, et conseruatiuis, et aliis huiusmodi; sed est una
numero in istis analogatis negatiue. Non enim numeratur sanitas in animali,
urina et diaeta; quoniam non est alia sanitas in urina, et alia in animali, et
alia in diaeta. 13. Et sequitur conditio
ista ex praecedenti: quoniam commune secundum denominationem extrinsecam non
numerat id a quo denominatio sumitur in denominatis, sicut uniuocum
multiplicatur in suis uniuocatis; et propter hoc dicitur unum ratione tantum,
et non unum numero in suis uniuocatis. Alia est enim animalitas hominis, et
alia equi, et alia bouis, animalis nomine adunatae in una ratione. 14. Ex hac autem conditione infertur alia,
quod scilicet primum analogatum ponitur in definitione caeterorum, secundum
illud nomen analogum; quoniam caetera non suscipiunt illud nomen, nisi per
attributionem ad primum, in quo formaliter saluatur eius ratio. Cadit siquidem
in ratione medicinae, et diaetae, et urinae etc., in quantum sanae sunt,
animalis sanitas: sine qua intelligi caetera sana non possunt. Et simile est de
aliis iudicium. 15. Ex hoc autem
sequitur ulterius, quod nomen sic analogum, unum certum significatum commune
omnibus partialibus eius modis, seu omnibus analogatis, non habet. Et
consequenter, quod nec conceptum obiectiuum, nec conceptum formalem
abstrahentem a conceptibus analogatorum habet; sed sola uox cum identitate
termini diuersimode respecti communis est: ita quod cum in hac analogia sint
tria: uox scilicet, terminus et respectus diuersi ad illum; nomen analogum
terminum quidem distincte significat, ut sanum sanitatem; respectus autem
diuersos ita indeterminate et confuse importat, ut primum distincte uel quasi
distincte ostendat, caeteros autem confuse, et per reductionem ad primum. Sanum
enim respectus multos ad sanitatem, puta habentis, significantis, causantis,
etc., sic in una uoce sanitatem distincte importante confundit, ut respectum
primum scilicet habentis seu subiecti, distincte significet (Sanum enim
absolute dicimus sanitatem habentem, ut subiectum); caeteros autem respectus
indeterminate importat et per attributionem ad primum, sicut patet ex
dictis. 16. Et propter hoc tria de
huiusmodi analogo dicuntur: scilicet quod commune est omnibus analogatis non
secundum uocem tantum; - et quod simpliciter prolatum stat pro primo; - et quod
non est prius primo analogato, in quo tota sua ratio formaliter saluatur.
Primum quidem peculiarius significat, et super omnia analogata superius
significatum non habet. 17. Diuiditur
autem a sancto Thoma analogia haec in analogiam duorum ad tertium, ut urinae et
medicinae ad animal sanum; et in analogiam unius ad alterum, ut urinae uel
medicinae ad animal sanum 18. Nec habet
ista diuisio alia membra a supradictis: quoniam haec circuit analogiam secundum
omnia genera causarum. Sed ad hoc facta est, ut ostendatur differenter suscipi
nomen analogum, quando ponitur primum analogatum ex una parte, et caetera ex
altera parte; et quando secundorum analogatorum unum hinc et alterum inde
ponitur, secundum quodcumque genus causae analogia fiat. Primo enim et caeteris
sic commune est analogum, ut nihil eis prius ponat aut significet: et propterea
uocatur analogia unius ad alterum, ponendo omnia alia a primo, loco unius. Secundis autem analogatis sic commune est nomen
analogum, ut aliquid omnibus eis prius ponat: primum scilicet ad quod omnia
secunda attribuuntur. Et uocatur analogia duorum ad
tertium, uel multorum ad unum: quia non inter se est attributio, sed ad
primum. Appellantur autem haec analoga a
Logico aequiuoca, ut in principio Praedicamentorum patet, ubi animal aequiuocum
dicitur ad animal uerum et animal pictum. Animal enim pictum non pure
aequiuoce, sed per attributionem ad animal uerum, animal dicitur; et in ratione
eius in quantum animal manifeste patet animal uerum accipi. Quaerenti enim:
quid est animal pictum in eo quod animal? respondebitur: imago animalis
ueri. 20. A philosophis uero Graecis,
nomina ex uno, uel ad unum, aut in uno, et media inter aequiuoca et uniuoca
dicuntur, ut pluries in Metaphysica patet; et expresse in I Ethic. huiusmodi
nomina contra analoga distinguuntur, ut infra amplius dicetur. A Latinis autem
uocantur analoga uel aequiuoca a consilio.
21. Hanc analogiam S. Thomas in I Sent., dist. 19, q. 5 a. 2 ad 1 uocat
analogiam secundum intentionem, et non secundum esse: eo quod, nomen analogum
non sit hic commune secundum esse, idest formaliter; sed secundum intentionem,
idest secundum denominationem. Ut enim ex dictis patet, in hac analogia nomen
commune non saluatur formaliter nisi in primo; de caeteris autem extrinseca
denominatione dicitur. Haec ideo apud Latinos analoga dicuntur: quia
proportiones diuersas ad unum dicunt, extenso proportionis nomine ad omnem
habitudinem. Abusiua tamen locutio haec est, quamuis longe minor quam
prima. 22. Quomodo autem de huiusmodi
analogis sit scientia, et contradictiones et demonstrationes, et consequentiae
et alia huiusmodi de eis fiant, ex dictis, et consuetudine Aristotelis patet.
Oportet enim significationes diuersas prius distinguere (propter quod ambigua
apud Arabes haec dicuntur), et deinde a primo ad alia procedere, sicut a centro
ad circumferentiam diuersis proceditur uiis. DE ANALOGIA PROPORTIONALITATIS:
QUID SIT ET QUOTUPLEX SIT, ET QUOD SOLA PROPRIE ANALOGIA VOCETUR 23. Ex abusiue igitur analogis ad proprie
analogiam ascendendo, dicimus: analoga secundum proportionalitatem dici, quorum
nomen est commune, et ratio secundum illud nomen est proportionaliter eadem.
Vel sic: Analoga secundum proportionalitatem dicuntur, quorum nomen commune
est, et ratio secundum illud nomen est similis secundum proportionem: ut uidere
corporali uisione, et uidere intellectualiter, communi nomine uocantur uidere;
quia sicut intelligere, rem animae offert, ita uidere corpori animato. Quamuis
autem proportio uocetur certa habitudo unius quantitatis ad aliam, secundum
quod dicimus quatuor duplam proportionem habere ad duo; et proportionalitas
dicatur similitudo duarum proportionum, secundum quod dicimus ita se habere
octo ad quatuor quemadmodum sex ad tria: utrobique enim dupla proportio est,
etc.; transtulerunt tamen Philosophi proportionis nomen ad omnem habitudinem
conformitatis, commensurationis, capacitatis, etc. Et consequenter proportionalitatem extenderunt
ad omnem similitudinem habitudinum. Et sic in proposito uocabulis istis
utimur. 25. Fit autem duobus modis
analogia haec: scilicet metaphorice et proprie. Metaphorice quidem, quando
nomen illud commune absolute unam habet rationem formalem, quae in uno
analogatorum saluatur, et per metaphoram de alio dicitur: ut ridere unam
secundum se rationem habet, analogum tamen metaphorice est uero risui, et prato
uirenti, aut fortunae successui; sic enim significamus haec se habere,
quemadmodum homo ridens. Et huiusmodi analogia sacra Scriptura
plena est, de Deo metaphorice notitiam tradens. Proprie uero fit, quando nomen
illud commune in utroque analogatorum absque metaphoris dicitur: ut principium
in corde respectu animalis, et in fundamento respectu domus saluatur. Quod, ut Auerroes in comm. septimo I Ethic.
ait, proportionaliter de eis dicitur.
27. Praeponitur autem analogia haec caeteris antedictis dignitate et
nomine. Dignitate quidem, quia haec fit secundum genus causae formalis
inhaerentis: quoniam praedicat ea, quae singulis inhaerent. Altera uero secundum extrinsecam denominationem fit. 28. Nomine autem, quia analoga nomina apud
Graecos (a quibus uocabulum habuimus) haec tantum dicuntur; ut ex Aristotele
etiam colligitur, qui in Metaphysica nomina quae dicimus analoga per
attributionem, ex uno, uel ad unum, uel in uno uocat: ut patet in principio IV
et in VII, text. 15. In V autem Metaphysicae, cap. de uno, text. 12, definiens
unum secundum analogiam, ut synonimis utitur unum analogia et unum proportione;
et definit ea esse, « quaecumque se habent ut aliud ad aliud »: aperte
insinuans illam esse proprie analogatorum definitionem, quam diximus. Quod
tamen clarius habetur in Arabica translatione, ubi dicitur: « Illa quae sunt
unum secundum aequalitatem, scilicet proportionalem, sunt quorum proportio est
una, sicut proportio alicuius rei ad aliam rem ». Ubi Auerroes exponens ait: « Et illa dicuntur
unum, quae sunt unum secundum proportionalitatem; sicut dicitur, quod proportio
rectoris ad ciuitatem et gubernatoris ad nauem, est una ». In secundo quoque Posteriorum, cap. XIII huiusmodi nomina
proportionalia, analoga uocat. Et quod plus est, in I Ethic., cap. 7 distinguit
supradicta nomina ad unum aut ex uno, contra analoga; dum, loquens de
communitate boni ad ea quae bona dicuntur, ait: « Non assimilantur a casu
aequiuocis; sed certe ei, quod est ab uno esse, uel ad unum omnia contendere,
uel magis secundum analogiam ». Et
subdens exemplum analogiae dicit: « Sicut enim in corpore uisus, in anima
intellectus ». In quibus uerbis diligenti lectori, non solum nomen analogiae
hoc, quod diximus, sonare docuit; sed praeferendam esse in praedicationibus
metaphysicis hanc insinuauit analogiam (in ly magis), ut S. Thomas ibidem
propter supradictam rationem optime exponit.
29. Scimus quidem secundum hanc analogiam rerum
intrinsecas entitates, bonitates, ueritates etc., quod ex priori analogia non
scitur. Unde sine huius analogiae notitia, processus metaphysicales absque arte
dicuntur. Acciditque huiusmodi ignorantibus, quod antiquis nescientibus
logicam, ut in II Elenchorum dicitur. Nec fuit forte ab Aristotelis tempore tam
periculosus casus iste, sicut modo apud nos est; quoniam blasphemare fere
uidetur, qui metaphysicales terminos analogos dicens, secundum
proportionalitatem communes exponit. Cum tamen Auerroes dicat super praedicto textu: « Et dignius his tribus
modis est, ut sit nomen boni dictum de eis secundum uiam, quae dicitur de
proportionalibus ». Vocatur quoque a
Sancto Thoma in I Sent., dist. 19, ubi supra, analogia secundum esse et
secundum intentionem; eo quod analogata ista, nec in ratione communis nominis,
nec in esse illius rationis parificantur, et tamen tam in ratione illius
nominis, quam in esse eiusdem, proportionaliter, conueniunt. Sed quoniam, ut dictum est, obscura et necessaria ualde res haec est,
accurate distincteque dilucidanda est per plura capitula. QUOMODO ANALOGUM AB ANALOGATIS DISTINGUATUR. Quoniam
autem analogia media est inter aequiuocationem puram et uniuocationem, ex
extremis natura medii declaranda est. Et quia in nominibus tria inueniuntur,
scilicet uox, conceptus in anima, et res extra, seu conceptus obiectiuus: ideo
singula perlustrando, dicendum est, quomodo analogum ab analogatis
distinguatur 32. Et a rebus incipiendo,
quia priores conceptibus et nominibus sunt, dicimus quod, nomine aequiuoco ita
diuersae res significantur, quod ut sic non nisi uoce adunantur. Uniuoco uero
diuersae res ita significantur, quod, ut sic, ad rem in se simpliciter unam
abstractam et praecisam in esse cognito ab eis, adunantur. Analogo autem nomine
res diuersae ita significantur, quod ut sic ad res diuersas secundum
proportionem unam uniuntur. Vocatur autem in proposito res, non solum natura
aliqua, sed quicumque gradus, quaecumque realitas, et quodcumque reale in rebus
inuentum. Unde inter uniuocationem et analogiam haec est differentia: quod res
fundantes uniuocationem sunt sic ad inuicem similes, quod fundamentum
similitudinis in una est eiusdem rationis omnino cum fundamento similitudinis
in alia: ita quod nihil claudit in se unius ratio, quod non claudat alterius
ratio. Ac per hoc fundamentum
uniuocae similitudinis, in utroque extremorum aeque abstrahit ab ipsis
extremis. Res autem fundantes analogiam, sic sunt similes, quod fundamentum
similitudinis in una, diuersae est rationis simpliciter a fundamento illius in
alia: ita quod unius ratio non claudit id quod claudit ratio alterius. Ac per
hoc fundamentum analogae similitudinis, in neutro extremorum oportet esse
abstractum ab ipsis extremis; sed remanent fundamenta distincta, similia tamen
secundum proportionem; propter quod eadem proportionaliter uel analogice
dicuntur. 34. Et ut possint omnibus
praedicta patere, declarantur exemplariter in uniuocatione huius nominis
animal, et analogia huius nominis ens. Homo, bos, leo et caetera animalia, quia
habent in se singulas naturas sensitiuas, seu proprias animalitates, quas
constat diuersas secundum rem esse, et mutuo similes: sic quod in quocumque
extremo, puta homine aut leone, consideretur secundum se animalitas, quae est
similitudinis fundamentum, inuenitur aequaliter abstrahens ab eo in quo est, et
nihil includens in uno quod non in alio. Ideo et in rerum
natura fundant secundum suas animalitates similitudinem uniuocam, quae
identitas generica uocatur; et in esse cognito adunantur non ad duas uel tres
animalitates, sed unam tantum, quae animalis nomine in concreto per se primo
significatur, et uniuoce uocatur communi nomine animal. Omnium siquidem eorum,
secundum quod naturas sensitiuas habent, indistincta omnino est ratio ab omnibus
abstracta, quae illius rei, quam animalitatem uocauimus, adaequata est
definitio. Substantia autem quantitas, qualitas etc., quia non habent in suis
quidditatibus aliquid praedicto modo abstrahibile, puta entitatem, (quoniam
supra substantialitatem nihil amplius restat), ideo nullam substantialem
uniuocationem inter se compatiuntur. 35.
Et quia cum hoc, quod non solum eorum quidditates sunt diuersae, sed etiam
primo diuersae; retinent similitudinem in hoc, quod unumquodque eorum secundum
suam proportionem habet esse; ideo et in rerum natura non secundum aliquam
eiusdem rationis in extremis sed secundum proprias quidditates, ut
commensuratas his propriis esse fundant analogam idest proportionalem
similitudinem. Et in intellectu adunantur ad tot res, quot sunt fundamenta,
proportionis similitudine unitas, significatas (propter illam similitudinem)
entis nomine, et analogice communi nomine uocantur ens. Differenter ergo res
adunantur sub nomine Analogo et Uniuoco.
36. Conceptus quoque mentalis non eodem modo inuenitur in uniuocis et
analogis: quoniam nomen uniuocum et omnia uniuocata ut sic, unum tantum
conceptum in mente habent perfecte et adaequate eis correspondentem; quia
fundamentum uniuocae similitudinis (quod significatum formale est nominis
uniuoci), unius omnino rationis est in omnibus uniuocatis; ac per hoc in uno
repraesentato, omnia repraesentari necesse est. In analogis uero, quoniam
fundamenta analogae similitudinis diuersarum rationum sunt simpliciter, et
eiusdem secundum quid, idest secundum proportionem: oportet duplicem analogi
mentalem conceptum distinguere, perfectum et imperfectum; et dicere quod
analogo et suis analogatis respondet unus conceptus mentalis imperfectus, et
tot perfecti, quot sunt analogata. Quia enim unum analogatorum ut sic, simile
est alteri: consequens est, quod conceptus repraesentans unum, repraesentet
alterum, iuxta illam maximam: Quidquid assimilatur simili ut sic, assimilatur
etiam illi, cui illud tale est simile. Quia
uero talis similitudo secundum proportionem tantum est, quae diuersam rationem
in altero fundamento habet: conceptus perfecte repraesentans unum analogatorum,
a perfecta repraesentatione alterius deficit; et per consequens oportet
alterius analogati alterum adaequatum conceptum esse. Unde et analogum unum
habere mentalem conceptum, et plures habere conceptus mentales: uerum est
diuersimode; quamuis simpliciter loquendo, magis debeat dici, analogi esse
plures conceptus; nisi loquendi occasio aliud exigat. Dico autem hoc: quoniam
cum secundum dicentes, analoga omnino carere uno conceptu mentali, sermo est;
unum eorum conceptum absolute dicere non est reprehendendum. Propter quod
oportet solerti discretione lectorem uti quando inuenitur scriptum, quod analogata
conueniunt in una ratione, et quando inuenitur dictum alibi, quod analogata non
conueniunt in una ratione. Est ergo differentia inter analogiam et
uniuocationem quoad conceptum mentalem, ita quod uniuoci et uniuocatorum ut
sic, unus est conceptus perfecte et adaequate eis respondens, ut de conceptu
animalis patet. Analogi uero et
analogatorum ut sic, plures necessario sunt conceptus perfecte ea
repraesentantes, et unus est conceptus imperfecte repraesentans. Non tamen ita
quod sit unus conceptus adaequate respondens nomini analogo, et inadaequate
analogatis: quoniam secundum ueritatem nomen illud uniuocum esset; sed ita quod
conceptus unus repraesentans perfecte alterurn analogatum ut sic, imperfecte
repraesentat reliquum. Quoad uocem autem, non est inter
analoga et uniuoca differentia. 39. His
autem praelibatis, intentum facile patere potest: quomodo scilicet disfinguitur
analogum, puta ens, ab analogatis, puta substantia, quantitate et qualitate. Uniuocum enim, puta animal, distinguitur ab
uniuocatis, puta homine et leone, quoad rem significatam seu conceptum
obiectiuum, et quoad conceptum mentalem, sicut unum simpliciter abstractum
etc., a multis simpliciter etc. Analogum uero, quoad rem, seu conceptum
obiectiuum, distinguitur sicut unum proportione a multis simpliciter; uel (et
idem est) sicut multa ut similia secundum proportiones a multis absolute. Verbi
gratia, ens distinguitur a substantia et quantitate, non quia significat rem
quamdam eis communem; sed quia substantia quidditatem tantum substantiae
importat, et similiter quantitas quidditatem quantitatis absolute significat;
ens autem significat ambas quidditates, ut similes secundum proportiones ad sua
esse; et hoc est dicere ut easdem proportionaliter. 40. Quoad conceptum autem mentalem
adaequatum, hoc quoque eodem omnino modo distinguitur. Secundum uero conceptum mentalem
imperfectum, quamuis distinguatur sicut unum simpliciter a multis simpliciter;
non tamen sicut unum abstrahens in repraesentando ab illis multis, quemadmodum
in uniuocis contingit. Quoniam, ut ex dictis patet, conceptus ille, puta
qualitatis, in quantum ens, alterius analogati, idest ipsius qualitatis,
secundum quod se habet ad suum esse, est adaequate repraesentatiuus, et a
qualitatis quidditate non abstrahens; caeterorum uero, puta quantitatis et
substantiae, imperfecte tantum est repraesentatiuus, in quantum eis similis est
proportionaliter. QUALIS SIT ABSTRACTIO ANALOGI AB ANALOGATIS. Oportet autem ex
praemissis ostendere, qualiter analogum abstrahat ab his, quibus commune
secundum analogiam dicitur, puta qualiter ens abstrahat a substantia et
quantitate. Insurgit siquidem difficultas quaedam in re
hac, et ex parte rerum, et ex parte conceptus. Ex parte siquidem rerum, quia
uidetur analogi nominis res significata, eodem abstrahibilis et abstracta modo,
quo res uniuoco nomine significata. Quoniam cum, ut in V Metaph. dicitur, unum
in qualitate faciat simile, nulla apparet ratio, cur a quibusdam similibus sit
una res abstrahibilis, et a quibusdam non; licet euidens ratio sit, cur ab his
similibus, puta Sorte et Platone, abstrahibilis sit res magis una, et ab illis,
puta homine et lapide, minus una. Unde si substantia et quantitas assimilantur
in hoc, quod utraque est ens, et consequenter in eis est aliquid unum, quod est
fundamentum illius similitudinis: quid uetat ab eis abstrahi rem unam utrique
communem? Ex parte uero conceptus, quia
uidetur eodem modo conceptus analogi abstrahere ab analogatis, sicut uniuocum
ab uniuocatis: eo quod analogum nomen importat in confuso singulas proportiones
analogatorum, et distincte non significat nisi proportionem in communi. Verbi
gratia, ens non significat habens se ad esse sic uel sic, puta ut substantia,
aut ut quantitas; sed si proportionale nomen est, significare uidetur, habens
se ad esse secundum aliquam proportionem, quaecumque illa sit. Hoc autem
constat esse aeque abstractum a substantia et a quantitate; et consequenter per
modum uniuoci in analogis abstractio conceptus apparet. 43. Ut autem euidens fiat huius ambiguitatis
determinatio, sciendum est, quod licet abstrahere diuersa significet, cum
dicimus intellectum abstrahere animal ab homine et equo, et cum dicimus animal
abstrahere ab homine et equo: eo quod tunc significat ipsam intellectus
operationem attingentem in eis unum et non alia; nunc uero significat
extrinsecam denominationem ab illa intellectus operatione, qua res cognita
abstracta denominatur: in unum tamen et idem semper tendit, quoniam semper
sonat intelligi unum, non intellecto altero.
44. Ideoque nihil aliud est agere de abstractione analogi ab analogatis quam
inquirere et determinare, quomodo res significata analogo nomine intelligi
possit, non cointellectis analogatis; et quomodo conceptus illius habeatur,
absque conceptibus istorum. 45. Cum
igitur ex supradictis, et ex ipso analogiae uocabulo pateat, quod analogo
nomine non simpliciter una res, sed res proportione una significatur, talis
autem idem est quod res diuersae, ut similes proportionaliter: facile deduci
potest, quod res analoga potest quidem intelligi, non cointellectis analogatis,
et consequenter abstrahere ab eis. 46.
Sed non sicut in uniuocis res una, (puta natura sensitiua, seu animal
intelligitur, non cointellectis omnino natura humana et equina ut sic), sed
sicut duae res ut proportionaliter similes intelliguntur, non cointellectis
ipsismet duabus rebus secundum suas proprias naturas absolute. Ita quod analogi
abstractio non consistit in cognitione unius et non cognitione alterius; sed in
unius et eiusdem intellectione ut sic, et non intellectione absolute. Verbi
gratia, entis abstractio non consistit in hoc, quod entitas apprehenditur, et
substantia aut quantitas non; sed in hoc: quod substantia aut quantitas
apprehenditur ut sic se habens ad proprium esse; (in hoc enim similitudo
proportionalis attenditur) et non apprehenditur substantia, aut quantitas
absolute. Et simile est de aliis
rebus analogis, quales sunt fere omnes metaphysicales. 47. Unde concedi potest, rem analogam
abstrahere, et non abstrahere ab analogatis diuersimode. Abstrahit quidem, pro
quanto abstrahit ab eis, quemadmodum res ut sic, idest ut res similis alteri
proportionaliter abstrahit a se absolute sumpta. Non
abstrahit uero, pro quanto res ut sic accepta seipsam necessario includit, et
absque seipsa intelligi non potest. Quod de uniuocis dici non potest: quia res
uniuoca, absque aliis quibus est uniuoce communis, intelligitur sic, quod res
in suo intellectu nullo modo actualiter includit ea quibus est comm unis, ut
patet de animali 48. Obiectioni autem in
oppositum adductae, ex analogae similitudinis natura facile satisfit, dicendo,
quod cum unum multipliciter dicatur, non oportet omnem similitudinem attendi
secundum unum simpliciter; sed quandoque sufficit, quod unum secundum
proportionem faciat simile. Unum autem proportionaliter non est simpliciter
unum; sed multa similia secundum proportiones, a quibus ideo non potest
abstrahi res una simpliciter: quia similitudo ipsa proportionalis tantum est,
et fundamentum non est unum nisi proportionaliter 49. De ratione siquidem unius
proportionaliter est habere quatuor terminos (ut in V Ethicorum dicitur).
Quoniam proportionalitas qua similitudo proportionum fit, inter quatuor ad
minus, (quae duarum proportionum extrema sunt), necessario est; et consequenter
unum proportione non unificatur simpliciter, sed distinctionem retinens, unum
pro tanto est et dicitur, pro quanto proportionibus dissimilibus diuisum non
est. Unde sicut non est alia ratio quare unum proportionaliter non est unum
absolute, nisi quia ista est eius ratio formalis; ita non est quaerenda alia
ratio, cur a similibus proportionaliter non potest abstrahi res una; hoc enim
ideo est, quia similitudo proportionalis talem in sua ratione diuersitatem
includit. Et accidit ulterius procedentibus, ut quaerant id, quod sub
quaestione non cadit: ut quare homo est animal rationale, etc. De abstractione quoque conceptus, eodem modo
est dicendum: abstrahit enim conceptus analogi nominis non sicut unum
simpliciter, sed sicut unum proportione, seu simile secundum proportiones a
multis absolute. Sed quia in obiciendo
tangitur de abstractione conceptus analogi a specialibus conceptibus illius
analogiae, et abusiue analogata ibidem uocantur partiales analogi rationes;
ideo diligenter cauendum est, ne apparentia in obiectione tacta in illum
errorem ducat, qui ibi tangitur. Sciendum siquidem est, quod licet in analogis
secundum attributionem in hoc omnia analogata conueniant, quod eamdem formam
omnino respiciunt, ita quod non solum conueniunt in uno termino, sed in hoc,
quod est respicere illum: erroneum tamen est, analogo per attributionem
conceptum unum respectus in communi ad illum terminum, per abstractionem a tali
et tali respectu, attribuere. Verbi gratia: animal in quantum sanum, urina in
quantum sana, et medicina in quantum sana, licet conueniant et in sanitate
tamquam termino: cuius animal est subiectum, urina signum, et medicina causa;
et conueniant in hoc, quod est respicere sanitatem (quodlibet enim eorum
sanitatem respicit, licet diuersimode); ab his tamen specialibus respectibus
non abstrahitur respectus in communi ad sanitatem, importatus nomine sani, in
cuius conceptu omnes speciales respectus ad sanitatem, confuse et in potentia
clauduntur. 52. Falsum enim est, quod
sanum significet hoc quod dico, respiciens uel aliqualiter se habens ad
sanitatem. Tum quia sic sani nomen uniuocum uere esset ad urinam et animal
etc., ut patet ex uniuocorum definitione. Tum quia hoc est contra intentionem
dicentium, urinam aut diaetam sanam. Percunctantibus siquidem, quid est urina
in quantum sana, non respondetur: respiciens sanitatem; sed omnes respectum
illum specificant respondentes: signum sanitatis; et similiter de diaeta
respondetur, quod est conseruatiua sanitatis, etc. Tum quia contra omnes Philosophos et Logicos
(hucusque a me uisos) hoc est. Sicut
autem in praedictis analogis praedictus cauendus est error, ita in analogis
secundum proportionem (quae sola simpliciter analoga sunt) similis cauendus est
error, ex simili causa apparentiae firmitatem trahens. Quia enim analogata
conueniunt in hoc, quod unumquodque eorum commensuratum seu proportionatum est
(licet diuersimode), credi potest quod ab his specialibus proportionibus
abstrahatur proportionatum in communi, et nomine analogo significetur. Ac per
hoc analogum habeat conceptum unum, in quo confuse et in potentia claudantur
omnes speciales proportiones analogatorum; uerbi gratia, ut quia substantia
proportionata est suo esse, et similiter quantitas et qualitas (licet
diuersimode) ideo a substantia et quantitate et qualitate etc., diuersimode proportionatis
suis esse, abstrahatur res seu quidditas proportionem habens ad esse,
qualiscumque sit illa proportio, et hoc sit entis primarium significatum, in
quo omnes speciales proportiones substantiae quantitatis et qualitatis etc., ad
sua esse confuse claudantur et in potentia.
54. Sed hoc falsissimum est. Tum quia hoc quod dicitur, scilicet res
proportionata ad hoc quod sit, non est res una simpliciter etiam in esse
obiectiuo, nisi chimerice. Tum quia proportionalia nomina
uniuoca essent (ut patet ex uniuocorum definitione), et consequenter periret
proportionalitatis ratio, quae extrema unum simpliciter esse non compatitur; et
sic essent proportionalia et non proportionalia: quod intellectus capere nullo
modo potest. Tum quia contra Aristotelis auctoritatem, in II Poster. inferius
adducendam, et adductam ex I Ethic., et S. Doctorem et Auerroem et Albertum
expresse est. Unde confusio, qua analogum tam secundum attributionem quam
secundum proportionem, importat speciales habitudines aut proportiones: non est
confusio plurium conceptuum in uno communi conceptu; sed est confusio
significationum in una uoce, licet difformiter. Quoniam in analogia
attributionis uox analoga primum distincte significat, caetera autem confuse.
In analogia uero proportionis, nomen analogum ad omnes suas significationes
indistincte se habere permittitur. Cautum tamen et attentum oportet hic esse;
quia cum analogi rationes dupliciter sumi possint: scilicet secundum se, et ut
eaedem et ipsae ut eaedem propter identitatis proportionalis naturam non
abstrahant a seipsis, et tamen aliquid conuenit eis ratione identitatis, seu in
quantum eaedem sunt, quod non conuenit eis ratione diuersitatis, ut patet de
communibus eis: uidetur quod duo incompossibilia secundum apparentiam, analogi
rationibus conueniant; scilicet quod ipsae ut eaedem non abstrahant a seipsis,
et quod ipsae ut eaedem aliquid causent et habeant, quod non ut diuersae;
reduplicarique possint ut eaedem, non reduplicatis ut diuersae sunt. Haec enim
non solum compossibiliter, sed necessario sibi simul uindicat identitas
proportionalis; quoniam et extrema uniri omnino non patiens, ab eis abstrahi
omnino non permittit; et extrema aliqualiter indiuisa et eadem ponens, ut eadem
ea considerabilia et reduplicabilia exigit.
56. Sicque fit, ut in analogo secundum identitatem in se clausam, ad
diuersitatem rationum in se quoque clausam comparato, abstractio quaedam, quae
non tam abstractio quam quidam abstractionis modus est inueniatur; propter quam
non solum ab analogatis (puta substantia et quantitate), analogum (puta ens),
abstrahere dicitur, ut supra diximus; sed ab ipsis eius rationibus, seu a
diuersitate ipsarum rationum eius: puta rationis entis in substantia, et
rationis entis in quantitate. Non quia quamdam rationem eis communem dicat:
quia hoc est fatuum; nec quia illae rationes sint omnino eaedem, aut eas omnino
uniat: quia sic non esset analogum, sed uniuocum; sed quia eas proportionaliter
adunans, et ut easdem proportionaliter significans, ut easdem considerandas
offert: annexa inseparabiliter, diuersitate quasi seclusa; et identitate
proportionali unit, et confundit quodammodo diuersitatem rationum. Sicque non
sola significationum in uoce confusio, analogo conuenit, sed confusio quaedam
conceptuum, seu rationum fit in identitate eorum proportionali, sic tamen ut
non tam conceptus, quam eorum diuersitas confundatur. Et quoniam analogum talem
identitatem praecipue importat, et tali confusione frequenter utimur; analoga
nomina ab omni rationum eius diuersitate abstrahere dicentes, dum confuse pro
omnibus supponere ipsum pluries exponimus, ideo non mediocri opus est
uigilantia, ne in uniuocationem labi contingat.
Abstrahit ergo analogum a suis analogatis, puta ens a substantia et
quantitate, sicut unum proportione a multis; seu sicut similia proportionaliter
a seipsis absolute, tam quoad conceptum obiectiuum, quam mentalem, siue sit
sermo de abstractione totali siue de formali. Hae enim abstractiones non
differunt in eodem, nisi secundum praecisionem et non praecisionem, ut alibi
declarauimus. Unde nihil aliud est dicere ens abstractum a naturis
praedicamentorum abstractione formali, quam dicere naturas praedicamentales
proportionales ad sua esse ut sic praecise; a specialibus autem seu singulis
analogiae rationibus extremis, non tertio conceptu simplici, sed uoce communi
et identitate proportionali earumdem, quodammodo abstrahit. QUALIS SIT PRAEDICATIO ANALOGI DE SUIS
ANALOGATIS 59. Videbitur autem forte
alicui ex his, quod praedicatio analogi de suis analogatis, puta entis de
substantia et quantitate, aut formae de anima et albedine etc., sit sicut
praedicatio aequiuoci de suis aequiuocatis; ita quod non sit praedicatio
superioris de suis inferioribus, nec communioris de minus communi, nisi sola
uoce; sed eiusdem de seipso. Non est enim analogo una res significata, quae in
utroque analogatorum saluetur; absque hoc autem praedicatio communioris aut
superioris non inuenitur secundum intrinsecam denominationem, seu
inexsistentiam. Sic enim analogum secundum proportionalitatem commune esse
dictum est. 60. Fouere quoque potest non
parum opinionem hanc processus iuxta I Topicorum. Aut scilicet analogum est
praedicatum conuertibile, aut inconuertibile, seclusa uocis communitate. Et cum
constet non esse inconuertibile, - quoniam substantia ut sic se habens ad suum
esse, quod ens de substantia dictum praedicat, conuertitur cum substantia: et
similiter quantitas sic commensurata suo esse, cum quantitate conuertitur, et
sic de aliis, - consequens est, quod analogum tamquam superius, de analogatis
praedicari non possit. Superioris enim intentionem suscipere non potest, quod
conuertibile esse comprobatur. 61. Et
quoniam secundum ueritatem analogum ut superius praedicatur de analogatis, et
non sola uoce commune est eis, sed conceptu unico proportionaliter: cuius
unitas ad hoc, quod praedicatum aliquod superioris rationem habeat, sufficit:
quia superius nihil aliud sonat, quam unum praedicatum ad plura se extendens;
unum autem non per accidens, neque aggregatione, sicut aceruum lapidum; sed per
se, constat esse etiam unum proportione: ideo ad huius ueritatis claritatem ex
extremis procedendo, sciendum est, quod quia analogum medium est inter uniuocum
et pure aequiuocum: consequens est, quod analogum aliquo modo idem, et non idem
aliquo modo de suis praedicet analogatis. Et quia praedicat aliquid abstrahens
aliquo modo a suis analogatis, ut ex praemisso patet capite; consequens est,
quod comparetur ad sua analogata ut maius ad minora, seu ut superius ad
inferiora; licet non omnino unum secundum rationem sit, quod imponit. Quod ut clarius pateat, figuraliter
declaratur sic: Tam in uniuocis, quam in aequiuocis, quam in analogis quatuor
inueniuntur, scilicet duae res ad minus, aequiuocatae, uniuocatae, aut
analogatae; et duae res, seu rerum rationes, aequiuocationem, uniuocationem aut
analogiam fundantes. Verbi gratia: In aequiuocatione canis inueniuntur haec
quatuor: scilicet canis marinus, et canis terrestris, et ratio illius, et ratio
istius secundum canis nomen. In uniuocatione quoque animalis inueniuntur
quatuor: scilicet homo, et bos, et natura sensitiua hominis et natura sensitiua
bouis, quae animalis uniuocationem fundant. In analogia similiter entis quatuor
sunt: scilicet substantia et quantitas, et substantia in quantum commensurata
suo esse, et quantitas secundum quod suo esse proportionatur. Et licet prima
duo, scilicet aequiuocata et analogata, eodem modo quantum ad propositum
spectat in omnibus his distinguantur, quia ubilibet ex opposito condistincta
sunt; altera tamen duo uniuocationem, aequiuocationem et analogiam fundantia,
diuersimode unita aut distincta sunt. In aequiuocis namque rationes illae, puta
canis marini et terrestris, sunt omnino diuersae secundum rationem; et propter
hoc id quod praedicat canis de marino cane, nullo modo praedicat de terrestri,
et e conuerso; et ideo sola uoce communius aut maius aequiuocatis dicitur et
est. 64. In uniuocis uero res illae,
puta animalitatis in boue et animalitatis in leone, licet et numero et specie
diuersae sint, ratione tamen omnino eaedem sunt; ratio enim unius est omnino
eadem quod ratio alterius, et, e conuerso; et propter hoc id quidem quod
praedicat animal de homine, idem praedicat omnino de boue, et uniuocum dicitur
et superius homine, leone boueque. In analogis autem res analogiam fundantes
(puta quantitas ut sic se habens ad esse, et substantia ut sic se habens ad
esse), licet diuersae sint et numero et specie et genere; ratione tamen eaedem
sunt non omnino, sed proportionaliter; quoniam unius ratio proportionaliter
eadem est alteri. 66. Et propterea, id
quod praedicat analogum, puta ens de quantitate, illud idem proportionaliter
praedicat de substantia, et e conuerso; est enim illudmet proportionaliter id
quod in substantia ponit, et e conuerso. Et propter hoc analogum, puta ens, non
sola uoce communius, maius aut superius analogatis est; sed conceptu, ut dictum
est, proportionaliter uno. Ita
quod analogum et uniuocum conueniunt in hoc, quod utrumque communioris et
superioris rationem habet. Differunt autem in hoc, quod illud est superius
analogice seu proportionaliter, hoc uero uniuoce. 67. Et merito, quia fundamentum
superioritatis utrobique saluatur, uniuocationis autem non. Fundatur enim
superioritas super identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod
res significata inuenitur non in hoc tantum, sed illamet non numero sed ratione
inuenitur in alio. Uniuocatio autem supra modo identitatis
omnimodae scilicet identitate rationis rei significatae, idest super hoc quod
ratio rei significatae in illo et in isto est eadem omnino. 68.
Quamuis enim in analogis hic identitatis modus non inueniatur, quem in uniuocis
inueniri pluries dictum est, identitas tamen ipsa rationum inuenitur. Est namque identitas proportionalis, identitas quaedam. Et ideo non
minus analogum (puta ens) est praedicatum superius, quam uniuocum (puta
animal), sed alio modo: analogum enim est superius proportionaliter, quia
fundatur supra identitate proportionali rationis rei significatae; uniuocum
autem praecise et simpliciter, quia supra omnimoda identitate rationis rei
significatae eius superioritas fundatur. Propter quod S. Thomas, superioritatis fundamentum aspiciens, in V
Metaph. dicit, quod ens est superius ad omnia, sicut animal ad hominem et
bouem. 69. Unde obiectiones ad oppositum
adductae in hoc peccant, quod inter identitatem et modum identitatis non
distinguunt. Fatendum enim est, quod ad hoc, quod aliquis terminus denominetur
superior aut communior, oportet ut rem unam et eamdem in utroque ponat; sed
sophisma consequentis committitur inferendo ex hoc: ergo oportet quod dicat rem
unam et eamdem omnino. Et est semper sermo de identitate
secundum rationem, seu definitionem. Identitas enim et unitas continent sub se
non solum unitatem et identitatem omnimodam, sed proportionalem, quae in
analogi nominis ratione saluatur. Negandum est igitur quod in analogis non
praedicetur idem de uno et de alio analogato: quoniam unum et idem
proportionaliter de omnibus analogatis dicitur; et propterea inter praedicata
non conuertibilia numerandum est. Quantitas enim licet adaequet ens de
quantitate uerificatum secundum rationem omnino eamdem, non tamen secundum
rationem illam proportionaliter: quoniam entis ratio non alia proportionaliter
ad substantiam et quantitatem se extendit. Verum quia analogum sonat
identitatem proportionalem, ideo huiusmodi rationibus formaliter respondendo,
nullo pacto concedendum est conuerti analogum cum analogato aliquo. Ad materiam
tamen descendendo, potest intrepide dici, quod quia analogum rationem unam
tantum proportionaliter praedicat, et unum proportionaliter plura esse
proportionibus similia manifestum est; dupliciter potest secundum singulas
rationes ad analogata comparari. Uno modo absolute: et sic secundum singulas
rationes cum singulis analogatis conuertitur; quia nulla omnino una analogi
ratio in duobus analogatis inuenitur. Alio modo secundum identitatem
proportionalem, quam habet una cum altera: et sic cum nullo analogato
conuertitur, quoniam omnes analogi rationes indiuisae sunt proportionaliter, et
una est altera proportionaliter. Et quia, ut dictum est, analogum hanc sonat
identitatem, ideo formaliter et simpliciter loquendo, analogum inconuertibile
et communius praedicatum, concedendum est esse. Non tamen genus, aut species,
aut proprium, aut definitio, aut differentia, aut accidens uniuersaliter est.
Nec propterea Aristoteles diminutus fuit aut Porphyrius, quoniam praedicabile,
quod unum est simpliciter, edocebant; ac per hoc inter aequiuoca, analoga
numerarunt. Ex prædictis autem manifeste patet, quod analogum non conceptum
disiunctum, nec unum praecisum inaequaliter participatum, nec unum ordine; sed
conceptum unum proportione dicit et praedicat. De ordine tamen in analogis
incluso inferius tractabitur. Unde cum dicitur de homine, aut albedine, aut
quocumque alio, quod est ens: non est sensus, quod sit substantia, uel
accidens; sed sic se habens ad esse. 72.
Utor autem ly sic, quoniam de propriis nominibus proportionum ad esse in actu
exercito eas importantibus, disputare nolo ad praesens; quoniam Metaphysici
negotii opus hoc est, et exemplariter hic de ente loquimur. Simile siquidem est
de actu, potentia, forma, materia, principio, causa, et aliis huiusmodi,
indicium. QUALIS SIT ANALOGATORUM
SECUNDUM ANALOGI NOMEN DEFINITIO. Apparere quoque alicui poterit, quod in
ratione unius analogati, (puta qualitatis) secundum analogi (puta entis) nomen,
alterius analogati, puta substantiae, uel quantitatis ratio secundum idem nomen
analogi cadere debeat, sicut in analogia attributionis contingere dictum est.
Fundamentum autem inde apparentia haec sumit: quia ratio unius analogati ut
eadem proportionaliter est alteri, absque illa altera exprimi nequit complete.
Dictum est autem, quod analogo nomine rationes hae importantur, ut eadem proportionaliter
sunt. 74. Et confirmat hoc expositio
ipsa analogiae ab Aristotele, Auerroe et S. Thoma in I Ethic. posita. Exponunt
enim quod bonum, seu perfectio, analogice dicitur de uisu et intellectu, quia
sicut uisus in corpore, ita intellectus in anima perfectio est. Constat autem,
quod non est intelligibile hoc se habere sicut illud, nisi utrumque extremorum
percipiatur. Necessario igitur uidetur, unum analogatorum secundum analogi
nomen per aliud definiendum esse. 75. Ut
autem liqueat huius ambiguitatis solutio, recolendum est analoga haec
dupliciter inueniri, scilicet proprie et metaphorice. Diuersimode enim haec se
habent ad propositam quaestionem. In analogia siquidem secundum metaphoram,
oportet unum in alterius ratione poni, non indifferenter; sed proprie sumptum,
in ratione sui metaphorice sumpti claudi necesse est; quoniam impossibile est
intelligere quid sit aliquid secundum metaphoricum nomen, nisi cognito illo, ad
cuius metaphoram dicitur. Neque enim fieri potest, ut intelligam quid sit pratum
in eo quod ridens, nisi sciam quid significet risus nomen proprie sumptum, ad
cuius similitudinem dicitur pratum ridere.
76. Est autem huius ratio radicalis, quia analogum metaphorice sumptum,
nihil aliud praedicat, quam hoc se habere ad similitudinem illius, quod absque
altero extremo intelligi nequit. Et
propter hoc huiusmodi analoga prius dicuntur de his, in quibus proprie
saluantur, et posterius de his, in quibus metaphorice inueniuntur et habent in
hoc affinitatem cum analogis secundum attributionem, ut patet. 77. In analogia uero, in
qua nominis saluatur proprietas, nullum analogi membrum per alterum definiri
oportet, nisi forte gratia materiae, ut S. Thomas in qq. de Verit., q. 2, a. 11
docuit. Sunt enim analogatorum rationes secundum analogi nomen quodammodo
mediae inter analoga secundum attributionem, et uniuoca. In analogis enim
secundum attributionem, primum definit reliqua. In uniuocis uero neutrum
alterum definit, sed unius definitio est completa alterius definitio, et e
conuerso. In analogis autem neutrum alterum definit; sed unius definitio est
proportionaliter alterius definitio. Et loquimur semper de ratione secundum
nomen commune. Verbi gratia, in definitione cordis, secundum quod principium
animalis, non ponitur fundamentum secundum quod principium domus, nec e
conuerso; sed eadem proportionaliter est principii ratio utrobique, ut
Commentator ubi supra dicit. Duabus autem opus est distinctionibus uti in hac
re: ea scilicet, quae in logica, traditur de actu signato et exercito; et ea
quae a metaphysico ut plurimum tractatur, de ordine rerum sub uno nomine ex
parte rei, et ex parte impositionis nominis.
79. Ex prima siquidem distinctione scimus duo. Primo, quod sicut animal
dictum de homine et de equo importans uniuocationem in actu exercito, non
praedicat de homine totum hoc, scilicet naturam sensitiuam eamdem omnino
secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, sed naturam sensitiuam
simpliciter; quam tamen ad hoc, quod uniuoca sit praedicatio, oportet omnino
esse eamdem secundum rationem naturae sensitiuae equi et bouis, - ita ens
importans proportionalitatem in actu exercito, non praedicat de quantitate
totum hoc, scilicet habens se ad esse sic proportionaliter sicut substantia,
aut qualitas ad suum esse; sed habens se ad esse sic absque alia additione;
quod tamen oportet, ad hoc quod analoga sit praedicatio, idem proportionaliter
esse cum altero, sic se habere ad esse quod de substantia aut qualitate ens
praedicat. 80. Secundo, quod sicut ex
declaratione, qua manifestatur animal esse uniuocum, quia dicit unam et eamdem
omnino rationem in omnibus, non fallimur, nec confundimur, nec uagamur circa
hominis et bouis secundum animalis nomen rationem; sed quiescimus, intuentes
quod animal exercet, quod uniuocorum definitio et expositio significat: - ita
ex hoc, quod declaratur ens aut bonum, aut quodcumque aliud esse analogum, quia
dicit rationes plures easdem proportionaliter, et importat hoc se habere
quemadmodum proportionaliter illud se habet ad esse uel appetitum etc., non
debemus turbari et inquirere in analogi nominis (puta boni) ratione
significationem istam; sed sat sit, distinguendo inter actum signatum et
exercitum, inspicere quod analogi nominis ratio id exercet, quod analogi ratio
et declaratio significat. 81. Ex his
autem duobus patere iam potest intentum, quod scilicet non oportet unum
analogiae membrum per alterum definire, ex eo quod analogum significat ea esse
eadem proportionaliter, quoniam haec in actu exercito significat. 82. Ex secunda uero distinctione scimus, non
solum - quod praeposterus est ordo rerum et significationum quandoque sub
nomine analogo, ita quod prior secundum rem ratio, posterior interdum
significatione est (ut de ente et bono et aliis huiusmodi communibus Deo et
creaturis accidit: ratio enim quam in Deo quodlibet horum ponit, significatione
quidem posterior, re autem prior est); et quod propter alterum horum dicitur
analogum praedicari de suis analogatis secundum prius et posterius ipsam
analogi rationem. - Sed etiam scimus, quod quando ratio, quam ponit analogum in
uno, ex ratione quam in altero ponit, exponitur: non ideo fit, quia unum in
alterius ratione cadat; sed quia unius ratio posterior altera est
significatione; et per priorem, utpote notiorem declaratur: ut S. Thomas in I
p., q. XIII, art. 2 fecit: declarans quod, dicendo: Deus est bonus: sensus est,
id quod bonitatem in creaturis dicimus, praeexsistit in Deo proportionaliter
etc. Et eadem intelligendum est ratione fieri, si posterior secundum rem per
priorem declaretur. Non definit ergo analogum secundum unam rationem, seipsum
secundum alteram, licet exponat et declaret.
83. Obiectionibus autem in oppositum, quamuis ex dictis satisfactum sit,
formaliter responderi potest, quod cognosci aliqua ut eadem proportionaliter,
seu hoc se habere sicut illud, dupliciter contingit. Uno modo formaliter, idest
quoad relationem identitatis et similitudinis, et sic absque extremis cognitio
haec haberi non potest. Alio modo fundamentaliter, et sic in ratione unius non
cadit reliquum; sed ratio unius est ratio alterius omnino, uel
proportionaliter. Constat autem quod analogum nomen, puta ens aut bonum, non
relationem identitatis aut similitudinis significat, sed fundamentum; et ideo
obiectiones quae iuxta primum sensum procedunt, nihil concludunt contra
intentum. Patet autem facillime, haec esse uera exempla de uniuocis, ponendo et
applicando ad identitatem uniuocationis. Significat namque nomen uniuocum
plura, in quantum eadem sunt uniuoce, seu secundum rationem omnino. Et
identitatis relatio in nullo extremorum absque altero intelligibilis est. QUALIS
SIT IN ANALOGO COMPARATIO. Difficultas etiam non parua, quae multos inuasit ac
superauit, de comparatione in analogo, dilucidanda est. Creditum enim est a
quibusdam, quod non posset, analogia posita, sermo ille nisi extorte exponi,
quo unum analogatum magis aut perfectius tale secundum analogi nomen diceretur.
Verbi gratia: substantia est magis, aut perfectius ens quam quantitas. Moti
sunt autem ex eo, quod comparatio in uno communi, utrinque facienda est, etiam
secundum grammaticos; quod in analogo non inueniri uidetur. Et potest formari
ratio pro eis talis: Aut comparantur analogata in una communi eis ratione, aut
in suis rationibus. Non in ratione communi: quia illa analogum caret; nec in
rationibus propriis: quia tunc falsum est, substantiam magis esse ens quam
quantitatem. Non enim minus aut imperfectius quantitas est sua ratio, quam ens
in ea ponit, quam substantia sua etc. Nullo igitur modo uidetur comparationem
cum analogia saluari posse. 86.
Succumbitur autem difficultati huic, quia proprium comparationis fundamentum
non consideratur. Fundatur enim super identitate seu unitate rei, in qua fit
comparatio, et non super modo identitatis aut unitatis; sicut de intentione
superioritatis praedictum est. Unde cum analogum ex dictis constet rem unam,
licet proportionaliter, dicere; nihil prohibet in ipso comparari analogata,
licet non eo modo, quo uniuoca fit comparatio. Ad comparationem siquidem cum
requirantur et sufficiant haec tria: scilicet distinctio extremorum, et
identitas eius, in quo fit comparatio, et modus essendi illius in extremis,
scilicet eaque, uel magis aut minus perfecte; sub identitate autem seu unitate,
proportionalis unitas seu identitas contineatur, consequens est, quod si in
diuersis idem proportionaliter eaque uel magis aut minus perfecte esse habet,
comparatio secundum illud proportionale fieri possit, comparatione non uniuoca,
sed analoga. 88. Sicut enim, quia natura
sensitiua est in boue, et illamet omnino secundum rationem est in homine, et
perfectius esse habet in homine quam in boue: homo perfectius animal boue
dicitur, uniuoca comparatione; sic quia sic se habere ad esse est in
substantia, et hoc idem proportionaliter est in quantitate, et imperfectius
esse habet in quantitate quam in substantia: dicitur substantia magis seu
perfectius ens, quam quantitas, analoga comparatione. Unde S. Thomas in art. 7,
quaest. VII de Potentia Dei, tripliciter comparationem fieri docens, duos modos
analogicae comparationis ponit: aperte ex hoc insinuans, comparationem non
solum super identitate numerali, specifica aut generica fundari, sed etiam
proportionali. 89. Modi autem
comparationis ibidem traditi sunt, hi scilicet secundum solam quantitatem rei
participatae: et sic unum album dicitur altero albius. Vel extendendo, propter
praesens propositum, hunc modum ad omnem comparationem uniuocam, dicatur quod
primus attenditur secundum quantitatem rei participatae, eiusdem omnino
secundum rationem, siue illa ratio sit specifica, siue generica: ut calidum
magis calidum altero dicitur, et homo perfectius animal leone est. 90. Secundus uero modus attenditur secundum
quod res aliqua in uno inuenitur participatiue, in altero uero est per
essentiam: quemadmodum homo Platonicus longe perfectior homo esset nobis. Et
abstractione intellectus utendo, quemadmodum bonitas longe melior est quocumque
bono, quod participatiue bonum dicitur.
91. Tertius autem modus attenditur secundum quod res aliqua in uno
inuenitur formaliter et secundum se, in altero autem uirtualiter et eleuatum ad
rem superioris ordinis. Quemadmodum dicitur quod sol est magis calidus quam
ignis; uel quod calor perfectius esse habet in sole, quam in igne. Nec est dubium hos duos modos uniuocam
comparationem impedire, ut S. Thomas ibidem dicit, et Aristoteles in I Ethic.
de primo modo testatur: ubi bonum commune non uniuoce, sed secundum
proportionalitatem dicendum docet, bonitati separatae et bonis caeteris per
participationem. Patet igitur ex his, eadem proportionaliter ut sic esse
comparabilia; quamuis, physice loquendo, in sola specie aut genere comparatio
fiat. 93. Ad obiectionem autem in
oppositum, dicitur quod utroque modo in analogis comparatio fit. Comparantur
siquidem analogata, puta substantia et quantitas, in ratione una et communi
proportionaliter, quam analogi nomen, puta ens, dicit, et addit supra
analogata, ut ex dictis patet. Et comparantur secundum suas rationes, secundum
tamen analogi nomen, quae earum sit perfectior, secundum quod dicimus
substantiam esse perfectius ens quantitate; quia ratio entis in substantia
perfectior est ratione entis in quantitate. Ita quod iuxta istam comparationem
est sensus: Substantia habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem quam
quantitas; et non quod substantia est magis aut perfectius substantia quam
quantitas sit quantitas, ut quidam somniare uidentur. 94. Unde comparatio ista extenditur usque ad
analoga secundum attributionem, licet in tali analogia non nisi abusiue
comparatio fieri possit. Dicimus
enim quod ens reale est magis et perfectius ens ente rationis, quod per
attributionem ad illud ens dicitur in IV Metaph. text. com. II; quia ens reale
habet, secundum entis nomen, perfectiorem rationem. Iuxta quem modum, si usus
admitteret, diceremus: animal est magis sanum urina; quia perfectiorem secundum
sani nomen rationem habet. QUALIS SIT
ANALOGI DIVISIO ET RESOLUTIO 95. Qualiter autem analogum diuidendum sit, ex dicendis manifestum est.
Potest siquidem trifariam analogi diuisio intelligi. Primo, ut diuidatur uox in
suas significationes. Dictum est enim, quod analogum plures rationes significat
immediate, et haec diuisio conuenit sibi, in quantum aequiuocum quoddam
est. 96. Secundo, ut diuidatur
significatum eius in quasi membra eius: eo modo quo eius, quod proportionaliter
unum est, sic et sic proportionatum, membra dici possunt. Dictum est enim, quod analogum non ita diuersas
rationes significat, quin significet unam rationem proportionaliter. Omnes
namque rationes analogo nomine immediate significatae eaedem proportionaliter
sunt. Ratio autem una proportionaliter, cum constituatur ex pluribus rationibus
proportionalibus, in eas secari potest. Haec autem non est
diuisio analogi in sua analogata: quoniam rationes hae in ipsius analogi
ratione intrinsece clauduntur, et analogata ea sunt, in quibus rationes illae
saluantur, et non ipsae rationes. Entis enim analogata sunt substantia et
quantitas, et non rationes entis in substantia et quantitate. Rationes enim ut
dictum est, analogae sunt. 97. Unde
tertio modo potest diuidi analogum, diuidendo significatum eius in sua
analogata per diuersos modos, quibus analogi rationem proportionalem analogata
ipsa diuersimode suscipiunt: ita quod diuisum est significatum unum
proportionaliter, diuidentia sunt modi fundantes et facientes in analogatis
proprias proportiones, secundum quas fit analogia; constituta autem per
diuisionem, ut partes subiectiuae, sunt analogata ipsa. Verbi gratia: quando
ens diuiditur in substantiam et quantitatem, diuisum est ratio entis nomine
significata, quae omnes in se entis nomine significatas rationes claudit, utpote
una proportionaliter; diuidentia sunt substantiuum et mensuratiuum, seu per se
et in alio, sicut ex quibus substantia et quantitas habent quod diuersas entis
rationes subintrent; partes autem subiectiuae sunt substantia et quantitas,
quae in entis ratione analogantur. Et quia haec est propria analogi diuisio,
idcirco distincte explicandum est, quomodo differat diuisio haec ad uniuoca.
Tripliciter siquidem differunt. Primo ex parte diuisi: quia diuisione uniuoca
unum omnino secundum rationem secatur; hic autem unum proportionaliter. 99. Secundo ex parte diuidentium: quia
differentiae secantes genus, extra genus sunt; modi autem secantes analogum, in
ipsius analogi ratione clauduntur, quemadmodum ipsa analogata (ut in capitulo
de abstractione declaratum est); propter quod in III Metaph. text. comm. X ens
genus esse negatur. 100. Tertio ex parte
ipsarum partium subiectiuarum, quae per diuisionem fiunt: quia partes
diuisionis uniuocae, licet ordinem habeant secundum se, et originis: ut
dualitas est prior trinitate; et perfectionis: ut albedo est perfectior
nigredine; tamen secundum diuisi rationem, puta numeri, aut coloris, neutra
altera prior, aut posterior est; sed omnes aequaliter in diuisi ratione
communicant. Analogata uero, quae analoga diuisione constituuntur, non solum
secundum se, sed etiam in ipsius analogi quod diuiditur ratione ordinem habent;
et aliud prius aliud posterius est; adeo ut in uno eorum, tota ratio diuisi
saluari dicatur; in alio autem imperfecte et secundum quid. Quod non est sic
intelligendum quasi analogum habeat unam rationem, quae tota saluetur in uno,
et pars eius saluetur in alio. Sed cum totum idem sit quod perfectum, et
analogo nomine multae importentur rationes, quarum una simpliciter et perfecte
constituit tale secundum illud nomen, et aliae imperfecte et secundum quid:
ideo dicitur, quod analogum sic diuiditur, quod non tota ratio eius in omnibus
analogatis saluatur, nec aequaliter participant analogi rationem, sed secundum
prius et posterius. 101. Cum grano tamen
salis accipiendum est, analogum simpliciter saluari in uno et secundum quid in
alio. Sufficit enim hoc uerificari: uel absolute, ut patet in diuisione entis
in substantiam et accidens; (illa enim absolute loquendo dicitur ens
simpliciter, hoc autem secundum quid); uel in respectu, ut patet in diuisione
entis in Deum et creaturam. Utrumque enim licet ens simpliciter sit et dicatur,
absolute loquendo; creatura tamen in respectu ad Deum, ens secundum quid, et
quasi non ens est et dicitur. 102. Circa
resolutionem autem analogatorum, sciendum est: quod cum uniuersaliter, primum
in compositione sit ultimum in resolutione, et per diuisionem in ea, quae actu
in aliquo sunt resolutio fiat: eodem modo resoluenda sunt analogata in suum
analogum, quo caetera resoluuntur, scilicet utendo diuisione praedicta (quae
uocatur diuisio in partes essentiae uel rationis), et a posterioribus secundum
consequentiam ad priora procedendo, si longa esset resolutio facienda. Ad
rationem autem analogi cum deuentum fuerit, singulis analogatis in suas
rationes secundum analogi nomen resolutis: cum illa analogi ratio ex multis
constituatur rationibus, ordinem inter se et proportionalem similitudinem
habentibus: uel ordinate ad primam resolutio fiat, ueniendo semper ad similius
et propinquius primae, et id, in quo dissimilitudo est, relinquendo. Vel si non
sic ordinatas inter se contingit esse rationes illas, ad primam omnes modo
praedicto reducendae sunt. Ordinem enim ad primam nulla subterfugere potest.
Nec refert in proposito, an fiat resolutio ad rationem primam, significatione,
uel secundum rem. Intelligenda enim sunt haec in suo ordine, scilicet,
significationum aut rerum. CAPUT X QUALITER DE ANALOGO SIT SCIENTIA 104. Visum est autem quibusdam de analogo
scientiam esse non posse, nisi quemadmodum de aequiuocis scientia habetur: eo
quod plures rationes dicit licet similes. Imo fallaciam aequiuocationis
committi in syllogismis, in quibus, analogo pro medio sumpto, certum analogatum
subsumitur, (nisi forte gratia materiae bonus esset processus) astruunt ex
eadem ratione. Nec posse ex unius analogati ratione, secundum analogi nomen,
concludi alterum analogatum tale formaliter esse; sed semper praedictum
incidere uitium, ratione praedicta, confirmant. Verbi gratia: si ponamus
sapientiam esse analogice communem Deo et homini, ex hoc quod sapientia, in
homine inuenta, secundum formalem rationem praecise sumpta, dicit perfectionem
simpliciter: non potest concludi: ergo Deus est formaliter sapiens, sic arguendo:
Omnis perfectio simpliciter est in Deo; sapientia est perfectio simpliciter;
ergo etc. Minor enim distinguenda est: et si ly sapientia pro ratione
sapientiae, quae est in homine stat, argumentum est ex quatuor terminis: quia
in conclusione, sapientia stat pro ratione sapientiae quam ponit in Deo, cum
concluditur: ergo sapientia est in Deo. Si autem pro ratione sapientiae in Deo,
stat in minore; non concluditur, ex perfectione sapientiae creatae, Deum esse
sapientem; cuius oppositum et philosophi et theologi omnes clamant. 106.
Decipiuntur autem isti, Scotum (cuius est ratio haec I Sent., dist. 3, q. I)
sequentes: quia in analogo diuersitatem rationum inspicientes, id quod in eo
unitatis et identitatis latet, non considerant. Rationes enim analogi (ut superius
etiam diximus) possunt dupliciter accipi: Uno modo secundum se, in quantum ab
inuicem distinguuntur, et ea quae conueniunt eis ut sic, seu ex hoc. Alio modo
in quantum eadem sunt proportional iter. Primo modo acceptae, uitium
aequiuocationis inducerent, si quis eis uteretur, ut patet. Secundo autem modo eis utendo, peccatum nullum incurritur: eo quod
quidquid conuenit uni, conuenit et alteri proportionaliter; et quidquid negatur
de una, et de altera negatur proportionaliter: quia quidquid conuenit simili,
in eo quod simile, conuenit etiam illi, cui est simile, proportionalitate
semper seruata. Unde si ex
immaterialitate animae, concluditur eam esse intellectualem; ex immaterialitate
proportionaliter posita in Deo optime concluderetur, Deum esse intellectualem
proportionaliter: ut quantum immaterialitas illa excedit istam, tantum
intellectualitas illa excedit istam etc. Propter quod S. Thomas in quaestione
II De Potentia Dei, art. 5, analogata omnia sub una analogi distributione
cadere dixit. Et merito, quia unitas analogiae non esset in coordinatione
unitatum numeranda, nisi unum proportionaliter, unum esset affirmabile et
negabile, et consequenter distribuibile et scibile, ut subiectum, et medium, et
passio. Unde ad obiecta in oppositum
dicitur, quod quia, ut in II Elenchorum cap. X dicitur, aequiuocatio latens in
huiusmodi proportionalibus peritissimos etiam latet: ideo oportet, huiusmodi
analogis nominibus utendo ex parte unitatis, semper modum proportionalitatis
subintelligi; aliter in uniuocationem lapsus fieret. Nisi enim prae oculis
haberetur proportionalitas, cum dicitur immateriale omne esse intellectuale,
tamquam uniuoce dictum acciperetur, et latens aequiuocatio non uisa obreperet. 109. Proportionalitate autem seruata, de
analogis scientiam esse: et diui Thomae processus de bono et uero et aliis
huiusmodi, et quotidianum conuincit exercitium. Testatur quoque demonstratiuae
artis pater Aristoteles, in II Poster., cap. XIII incipiente: Ut habeamus autem
proposita (uel problemata) analogum causam adaequatam esse alicuius passionis,
et in medium oportere quandoque a demonstratore assumi, dum uenationem propter
quid docens, inquit: « Amplius alius modus est secundum analogiam eligere. Unum
enim idem non est accipere quod oportet uocare sepion, et spinam, et os. Sunt
autem quae sequuntur et hoc, tamquam natura una huiusmodi exsistente ». Et
sequenti cap. ait: « Secundum autem analogiam eiusdem, et medium se habet
secundum analogiam ». In quibus uerbis non solum docuit, analogum ut medium
assumi quandoque in demonstrationibus; sed etiam ipsum non esse unum in se
expressit, et cum hoc habere passionem adaequatam, ac si unius esset
naturae. 110. Nec impedit analogia haec
processum formalem ad concludendum de Deo et creaturis praedicatum aliquod eis
commune: quoniam accepta sapientiae ratione, et segregatis ab ea per
intellectum eis, quae sunt imperfectionis, ex hoc quod id, quod est sibi
proprium formaliter sumptum, perfectionem absque imperfectione claudit, concluditur
ergo sapientiae ratio non omnino alia, nec omnino haec, sed haec
proportionaliter est in Deo: quia similitudo inter Deum et creaturam non est
uniuoca, sed analoga. Nec pari ratione
potest concludi, Deum esse lapidem proportionaliter: quia ratio lapidis
formaliter sumpta, quantumcumque expoliata, imperfectionem aliquam claudit,
quae prohibet tam ipsam secundum se, quam ipsam proportionaliter in Deo
reperiri, nisi metaphorice: quemadmodum dictum est: Petra autem erat Christus.
Unde, cum fit huiusmodi processus: Omnis perfectio simpliciter est in Deo;
sapientia est perfectio simpliciter; ergo etc.; in minore ly sapientia non stat
pro hac uel illa ratione sapientiae, sed pro sapientia una proportionaliter,
idest, pro utraque ratione sapientiae non coniunctim uel disiunctim; sed in
quantum sunt indiuisae proportionaliter, et una est altera proportionaliter, et
ambae unam proportionaliter constituunt rationem Significantur enim analogo nomine in quantum
eaedem sunt; unde non oportet analogum distinguere, ad hoc quod contradictionem
fundet, et enuntiationis subiectum, aut praedicatum fiat; sed ratione
identitatis preportionalis in se clausae, et quam principaliter dicit, ex se ad
hoc sufficit. Contradictio enim dicitur consistere in affirmatione et negatione
eiusdem de eodem etc., et non in affirmatione et negatione uniuoci de eodem
uniuoco. Identitas siquidem tam
rerum quam rationum, ut pluries replicatum est, ad identitatem proportionalem
se extendit. Ex hoc autem apparet,
Scotum in I Sent., dist. 3, q. I, uel male exposuisse conceptum uniuocum uel
sibi ipsi contradicere: dum, uolens uniuocationem entis fingere, alt: «
Conceptum uniuocum uoco, qui ita est unus, quod eius unitas sufficit ad
contradictionem, affirmando et negando ipsum de eodem ». Et sic uniuocum uult
esse ens. Si enim identitas sufficiens ad contradictionem, uniuocatio dicitur;
constat quod, ponendo ens esse analogum, et secundum proportionalitatem tantum
unum, satisfiet uniuocationi: quod scoticae doctrinae aduersatur, tenenti ens
habere conceptum unum simpliciter, et omnino indiuisum, (ut de uniuocis
diximus). Si autem non omnis talis identitas sufficit ad
uniuocationem, non recte igitur uniuocatio conceptus declarata est esse eam,
quae ad contradictionem sufficit, quasi proportionalis identitas ad hoc non
sufficiat. DE CAUTELIS NECESSARIIS CIRCA ANALOGORUM NOMINUM INTELLECTUM ET USUM.
Quia uero Aristoteles in praedicta ex Elenchis auctoritate, doctissimos uiros
circa horum nominum conceptus errare dicit, ob latentem eorum unitatis modum:
idcirco necessarium fore duximus, in fine huius tractatus cautelas quasdam
tradere, quibus possit se quis ab errore multiplici in re hac praeseruare. Cauendum est igitur in primis, ne ex
uniuocatione ipsius nominis analogi respectu quorumdam, credamus simpliciter
ipsum esse uniuocum: omnia enim fere analoga proprie, prius fuerunt uniuoca, et
deinde extensione, analoga communia proportionaliter illis quibus sunt uniuoca
et aliis uel alii, facta sunt. Sapientiae enim nomen primo impositum est
humanae sapientiae, et uniuocum omnium hominum sapientiis erat. Deinde, ad
diuinae naturae cognitionem ascendentes, proportionalemque similitudinem inter
nos ut sapientes et Deum contemplantes, sapientiae nomen extenderunt ad id in
Deo significandum, cui nostra sapientia proportionalis est; sicque uniuocum
nobis, analogum factum est nobis et Deo. Et similiter de aliis accidit. Falli autem contingit faciliter ex hoc, quia
illa ratio prior, utpote notior et familiarior et prior quoad nos, semper
profertur ab illustribus uiris, et ab eorum sequacibus, cum analogi
significatio quaeritur; et dicitur esse tota analogi ratio, pro qua simpliciter
prolatum stat, et omnia analogata illam participare: ut patet cum sapientiae
ratio redditur. Assignatur enim
differentialis eius conceptus pro ratione, secundum quam communis ponitur Deo
et creaturis. Et similiter est in aliis. Creditur enim ex hoc,
quod illa sit ipsa analogi ratio, et incaute uniuocatio acceptatur: non enim
illa ratio est ratio analogi, sed eius origo quoad nos; quoniam non illa, sed
illa proportionaliter in altero analogato inuenitur, ut ex dictis patet. Cauendum
secundo est, ne nominis unitas, aut diuersitas rationum, analogam unitatem
obnubilet; hoc enim tamquam quoddam accidens, in re hac suscipiendum est. Nihil
enim minus analogice idem sunt sepion, os, et spina, unum non habentia nomen,
quam si unum nomen haberent. Nec magis idem essent, si unum nomen haberent, et
tamen si communi nomine ossa uocarentur, ita quod defectu uocabulorum, uel
rerum proportionali similitudine ossis nomen ad caetera extensum esset,
crederemus eiusdem esse naturae et rationis, ossa, sepion, et spinas.
Praesertim quia, ut dictum fuit, ad ea quae sunt proportionaliter eadem,
consequuntur passiones tamquam si eorum esset natura una. Cauendum tertio est,
ne uocalis unitas rationis analogi nominis mentem inuoluat. Ex eo namque uerbi
gratia, quod principium dicitur esse id ex quo res fit, aut est, aut
cognoscitur; et haec ratio in omnibus quae principia dicuntur, saluatur:
principii nomen uniuocum creditur. Erratur autem, quia ratio ipsa non est una
simpliciter, sed proportione et uoce. Vocabula enim, ex quibus integratur,
analoga sunt, ut patet; neque enim fieri, neque esse, neque cognosci, neque ly
ex unius omnino est rationis, sed proportionalis saluatur. Et propterea ratio
illa in omnibus utpote proportionalis saluatur: sicut et principii nomen
proportionaliter commune dicitur. 119.
Cauendum demum est, ne diuersa doctorum dicta de analogis nos perturbent.
Considerandum quippe est quod, quia analogum medium inter uniuocum et
aequiuocum est, et medium extremorum naturam sapiens: ad alterum comparatum,
alterum induit; adeo ut quando medio, secundum id quod de uno extremo habet,
utimur, illius extremi conditiones ei attribuamus, ut in V Physic., text. comm.
6 et 52 patet. Ideo plerumque doctores utentes analogo ex parte unitatis, quam
ex uniuocis participat, uniuocorum non solum conditiones, puta abstractionem,
indistinctionem, etc. sed etiam nomen ei attribuunt. Utentes uero analogo ex parte
diuersitatis, quam ex aequiuocis trahit, conditiones quoque supradictis
oppositas, et nomen illi imponunt aequiuoci.
120. Et ut de multis pauca
dicantur, Aristoteles in II Metaph., text. comm. 4, ens et
uerum uniuoca uocat; quia ex parte identitatis illis utitur, ut processus suus
aperte ostendit. S. Thomas quoque pluries dicit, in ratione alicuius analogi,
puta paternitatis communis diuinae et humanae paternitati, omnia contenta esse
indiuisa et indistincta; et quod paternitas, uerbi gratia, abstrahit a
paternitate humana et diuina: quia utitur analogo ex parte identitatis. 121.
Nec tamen falsae sunt aut abusiuae praedictae utriusque locutiones et similes;
sed amplae potius et largae, quemadmodum pallidum nigro contrarium est et
dicitur. Saluatur siquidem in analogis identitas nominis et rationis, in qua
(ut ex dictis patet) non solum analogata, sed etiam singulae analogi rationes
uniuntur, et quodammodo confunduntur, utpote abstrahentes aliqualiter ab earum
diuersitate. 122. Rursus pater
Aristoteles in I Physic., ex parte diuersitatis ente utens contra Parmenidem et
Melissum, multiplex seu aequiuocum, (ut ipsemet illum textum sic exponendum
specialiter in II Elenchorum tradit) uocauit. Unde et
Porphyrius, Aristotelem dicere ens esse aequiuocum accepisse uidetur, utens
ente ex parte diuersitatis. Quod tamen Scotus, in I Sent., dist. 3, q. 3, in
Logica Aristotelis non inueniri ideo dixit: quia praedictos textus non
coniugauit. Propter quod, ibidem
quoque contra textum, glossauit principium Aristotelis contra Parmenidem in I
Physic., text. comm. 13, ut in Elenchis (ut dictum est) clare patet. Thomas etiam, ens prius non esse primo analogato, nihilque Deo prius
secundum intellectum esse, dicit pluries: utens analogo ex parte diuersitatis
rationum eius. Quaelibet siquidem eius ratio secundum se, quia proprium
analogatum in se claudit, et in sui abstractione illud secum trahens, cum illo
conuertitur, ut supra diximus: ideo prior secundum consequentiam, aut
abstractior suo analogato negatur. Ac per hoc, primo analogato et Deo nihil est
prius: quia eius ratio secundum analogi nomen, quae ipso prior secundum se non
est, sed conuertitur, caeteris prior est rationibus. Cum his tamen stat, quod
ratio illa in Deo ut eadem est proportionaliter alteri rationi, secundum idem
nomen superior, et secundum consequentiam prior logice loquendo sit, ut ex
dictis patet. Dico autem logice: quia physice loquendo, analogum nec est prius
secundum consequentiam omnibus analogatis (quia ab eorum propriis abstrahere
non potest, quamuis ut saluatur in uno sit prius altero), nec potest esse sine
primo analogato, ubi analogata consequenter se habent. 125. Unde si quis falli non uult, solerter
sermonis causam coniectet, et extremorum conditiones medio applicaturum se
recolat; sic enim facile erit omnia sane exponere, et ueritatem assequi, quae a
prima est Veritate. Cuius cognitio ex hoc exaltetur et firmetur Opusculo. Completo in conuentu S. Apollinaris, Papiae
suburbio, die primo Septembris MCCCCXCVIII.
EXPLICIT TRACTATUS DE NOMINUM ANALOGIA. Gaetano. Cajetanus. Caietanus
Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De Vio. Jacopo
De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso De Vio da
Gaeta, detto il Gaetano. Vio.
Keywords: analogia, commentary on Porphyry on Aristotle’s categories, the
example of ‘healthy’[sanus, corpore, medicina, excrementum], analogy in
philosophical eschatology, analogy of proportion, aequivocality, Grice, “focal
unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is
healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on
his, the saint’s, fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de
Vio” – Luigi Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Virgilio: la ragione
conversazionale e la leggenda d’Enea a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Andes). Influssi lucreziani, e, quindi, della filosofia dell’orto. Nato
presso Mantova, muore a Brindisi. Studia la filosofia dell’orto sotto SIRONE. In
“Catal.” prende congedo dalle muse per volgersi verso la scuola di SIRONE
affinchè la filosofia gl’insegni a liberare la sua vita dalle passioni. Esprime
il proponimento di dedicare alla filosofia il resto dell’esistenza. Nel “Ciris,”
esaltando di nuovo l'insegnamento dei filosofi dell’ORTO, manifesta l'intenzione
di filosofare sui fenomeni celesti. L’influsso dell’orto è esplicito nelle “Georgiche.”
L' “Eneide", invece, nella escatologia, dipende dalle correnti orfica e pitagorica
– di CROTONE --, mediata, si erede, da Posidonio, dal quale si fa derivare
le rappresentazioni dell’età dell'oro e dello sviluppo della civiltà umana e
alcune teorie d’impronta del PORTICO. Agl'interessi di psicologia
filosofica si collegano quelli naturalistici. In una ecloga, Sileno espone
una cosmogonia. Nelle "Georgiche" prega le muse d’interpretargli una
serie di fenomeni naturali. Nell’ “Eneide” Iopas tratta di problemi
naturalistici. Fa parte dell' “Appendix Vergiliana” il poemetto
"Aetna" sullo cause e gl’effetti di queso volcano -- del quale sono
incerte la paternità e la data. Fra i filosofi ai quali è stato attribuito
il "Aetna", trovano adesioni soprattutto V. e LUCILIO, l’amico di SENECA. Per
le teorie scientifiche particolari, l’autore dell'"Aetna" si serve
principalmente di Posidonio e ciò spiega l’affinità dell'"Aetna" con
le "Questioni Naturali" di Seneca che provengono dalla stessa
fonte. Per la filosofia, V. mescola ecletticamente elementi svariati e non
fusi, perchè espone dottrine del portico, dell’orto-lucreziane e inoltre
eraclitei, democritei, ecc. Grice: “It is interesting to study Virgil as the
author of what at Oxford we call “Beowulf,” an heroic narrative of origin. But in the history of philosophy, -- and the
history of Roman philosophy under the principate, specifically, it was the exegesis
of “Eneide” that we only have with Beowulf when it comes to Tolkien and the
monsters! On the other hand, the Roman
aristocrats find in “Eneide” a fabulous source for their even more fabulous
philosophisings! My favourite is Macrobio’s “Saturnalia” – it fits a
gentleman’s pocket – but there are others. The idea is to produce a didaskalia,
i. e. a way to deal with conceptual notions or philosophical concepts as we
study one line or other from “Eneide” as we did at Clifton! However false, the
philosophy behind Virgilio comprises not only a physical theory (natural
philosophy) – the theory of the three ages – but a full moral theory – and one
of philosophical psychology. The Eurialo/Niso episode is an interesting one as
a re-creation of the old Achilles-Patroclus topos that has fascinated even
Plato and the author of “Maurice,” i. e. E. M. Forster. Usually, you won’t find
Virgil listed in any manual on Roman philosophy, but you should. It is
fascinating also to trace the influence, via Alighieri in “Commedia” down to
Mussolini, where there were few exhibitions of the Mostra della Revoluzione
Fascista that would fail to quote from Enea. Note that the iconography – and I
don’t mix the effeminate one by Flaxman, but the fascist one – helped!”. Publio
Virgilio Marone – He spent some time in fellowship with a Garden community in
Naples headed by Siro. He appears to have been a particular favourite of Siro,
inheriting the villa upon his death. The extent to which the Garden influenced
his poetry has long been debated. Approdato a Cuma, Enca
consulta la Sibilla nell'antro presso il tempio di Apollo e la prega di
guidarlo negli Inferi. La Sibilla accetta, ma l'eroe deve prima procurarsi il
ramo d'oro da offrire in dono a Proserpina e dare sepoltura a un compagno morto
durante la sua assenza dalle nasi. Dunque, Enea porta alla Sibilla il ramo
d'oro, trovato nel bosco grazie all'aiuto di Venere, e celebra i funerali di
Miseno. Giunta la notte, e compiuto il sacrificio propiziatorio alle divinità
infernali, inizia il viaggio verso gli Inferi, e l'eroe varca, con la Sibilla,
la soglia dell'Averno. Essi attraversano il vestibolo, pieno di mostri e
simulacri di mali e malattie, e arrivano alla riva del fiume Acheronte, dove
appare Caronte, il traghettatore infernale.tra i quali spicca la figura di
Marcello. Infine, Enea e la Sibilla varcano la porta d'avorio e ritornano alla
luce.libro 6 dell'Encide: la Sibilla cumana e la discesa agli inferiEneide:
analisi Libro 6 Cuma e la Sibilla nel Libro 6 dell'Eneide Lapio po de i praga
da pala, le da di ad ge di and in al pre fite di Oli, nd e alce e esca cabr sua
discendenza. In questa parte si distinguono le fasi di un vero e proprio
percorso iniziatico: rispettare gli ordini di un sacerdote, la Sibilla dare
prova della pietas celebrando i riti trovare il ramo d'oro da donare a
Proserpina, per poter entrare negli Inferi. Enea viene assistito dalla madre
nel recupero del ramo, mentre la Sibilla lo aiuta nel viaggio verso gli Inferi.
La catabasi è preceduta da due rituali: le esequie di Miseno, e il rito
propiziatorio agli dei inferi. Questi riti sottolineano la sacralità
dell'impresa. La differenza fra la catabasi di Odisseo e quella di Enca sta nel
fatto che quella di Odisseo non è altro che l'ennesima avventura ai confini
della realtà, mentre l'eroe virgiliano intraprende un viaggio religioso per
assecondare i voleri del Fato.Gli Inferi nel Libro 6 dell'Eneide Celebrati i
rituali, Enea e la Sibilla entrano nel regno dei morti. Predominano le
descrizioni dell'Aldilà, ma l'attenzione si sposta sull'eroe nel momento in cui
entrano in scena personaggi a lui collegati. Per esempio, gli incontri con
Palinuro e Didone permettono al poeta di dare spazio ad Enca e alla sua
umanità. Il passo delinea la concezione virgilianadell'Oltretomba: un luogo in
cui le ombre si aggirano rimpiangendo la vita perduta, e in cui i giudici
infernali, Minosse e Radamanto, assegnano la dimora definitiva nel Tartaro alle
anime malvagie, nei Campi Elisi ai beati.Dal Tartaro ai Campi Elisi nel Libro 6
dell'Encide un bivio: a sinistra la Sibilla mostra ad Enca il Tartaro, dove
sono puniti gli empi, e poi lo conduce a destra, verso la città di Dite. Dopo
essersi purificato, Enea afligge sulla porta delle case di Plutone il ramo
d'oro, come dono a Proserpina. Poi prosegue con la Sibilla verso i Campi Elisi.
giovane Marcello, il giovane adottato da Augusto ma morto precocemente,
rappresenta un omaggio alla casa di Augusto, ma nello stesso tempo sfuma in
immagini di morte la visione trionfalistica del destino di Roma. pitagorismo,
l'orfismo, lo stoicismo. Nella parte finale del libro, in ogni caso, domina
l'esaltazione delle glorie romane, del periodo augusteo e della missione
civilizzatrice e ordinatrice di Roma. L'orgoglio di appartenere a un popolo
vincitore non impedisce a Virgilio di condannare la guerra e di celebrare i
valori della pace della concordia. Completata l'analisi e il riassunto del
libro 6 dell'Eneide, ti potrebbero interessare altri approfondimenti dei poemi
epici di Virgilio e Omero: Publio Virgilio Marone. Virgilio. Keywords:
catabasi. Luigi Speranza, per il Play Group di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Virno: la ragione conversazionale di un popolo di due -- filosofia
ed azione – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo italiano.
Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a semiotician.” D’orientamento
operaista, insegna filosofia a Roma. Tra i principali esponenti
dell'organizzazione della sinistra extra-parlamentare, Potere Operaio, il suo
nome ricorse nelle cronache dei cosiddetti anni di piombo in Italia. Arrestato
e detenuto in prigione. Nel corso della detenzione elabora la sua filosofia che
trova espressione in Luogo comune. Democrazia è il fucile in spalla agl’operai
-- slogan attribuito a Potere Operaio. “Mi sono formato politicamente a Genova,
dove la mia famiglia vive e io faccio liceo. Genova e esposta all’influenza di
Torino, dove vi sono le prime occupazioni. Quindi, si mobilitarono gli studenti
del liceo – molto vivaci e in contatto con le organizzazioni tradizionai dei
partiti, UGI e via dicendo. Come studente del liceo fondo dunque il sindacato
degli studenti, che fa i primi scioperi sulla lotta all’autoritarismo,
solidarietà con Grecia dopo il golpe dei colonnelli e quant’altro. Per un
trasferimento di famiglia, vengo ad abitare a Roma, e di lì a non molto prendo
contatti e rapporti con il gruppo che divenne Potere Operaio, che allora
sostanzialmente a Roma e il gruppo delle facoltà. Entra in Potere operaio dopo
gl’episodi cruciali della primavera a Torino. Lavora a Milano come insegnante
all'Alfa Romeo di Arese e all'Innocenti, organizzando anche azioni collettive
nelle fabbriche sino alla dissoluzione di Potere operaio. Si laurea con la tesi,
Lavoro e coscienza –su Adorno, non Francesco. Partecipa attivamente alle
manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri emarginati. Fonda
Metropoli, organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito
dell'inchiesta giudiziaria nota come 7 aprile, la redazione di Metropoli viene
accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva costituita in più
bande armate variamente denominate. “Siamo arrestati io, CASTELLANO, MAESANO,
e PACE -- che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia. Noi siamo
arrestati, poi ci fanno confluire, ritroviamo
gl’altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’di mesi
lì, poi c’è la diaspora, cioè il ministero ordina di mandare ognuno di questi
detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati,
visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello e diventato una
specie di luogo in cui si elaborano documenti, lettere a giornali, si fa
campagna politica, c’e state delle lotte interne. Quindi, c’è la diaspora,
io vado a Novara. Oreste va a Cuneo; quell’altro va a Favignana. Quell’altro
ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo
non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli politici o per
detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di “Kesh”. Là dentro c’e
una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano
assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o
con Alunni o quelli dei NAP, si pensa anche di approfittare di questa
situazione per avviare una discussione larga, di carattere costituente. Però,
il problema è che anche lì c’è il fatto che i più spregiudicati di loro, come CURCIO,
sono d’accordo, hanno capito di aver perso l’essenziale, cioè il cambio di
paradigma, cioè il fatto che gl’operai sono non più riconducibili, altri invece
no. Riassumendo in breve, la mia detenzione e un anno, poi due anni liberi in
cui curai la serie continua di Metropoli, due anni ancora di carcere, condanna
a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliario e l’assoluzione, insieme
a tanti altri imputati, du la conferma. La travagliata esperienza politica e
esistenziale di questi anni e trasfusa nella pubblicazione di “Luogo Comune,”
una rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del
"postfordismo". Lascia il lavoro di editore della rivista per
insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica
della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della
necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni
economiche, sociali e culturali che caratterizzano le società occidentali,
introduce nella “Grammatica della moltitudine” una riflessione sul contrasto
tra i termini di “popolo” – il “popolo” di Cicerone, S. P. Q. R -- e
moltitudine che generano una accesa polemica filosofica. Quando avvenne la
formazione dello stato nazionale e l’espressione “popolo” a prevalere. V. si
domanda se non sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della “moltitudine”.
La multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella
economica, pur agendo collettivamente, non perdono il senso della propria
individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel
termine di "popolo". La “moltitudine” è dunque la base della libertà
civile – l’uno e i molti dei veliani. Una “moltitudine” e una dualita o
una pluralità che non si sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per
l'autorità di uno stato che esercita il supremo imperio. Dopo i secoli
del “popolo” e quindi dello stato -- stato-nazione, stato centralizzato, ecc. -
torna infine a manifestarsi la polarità contrapposta. . La moltitudine come
ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Grice: “Peacocke popularized ‘population’ in
the Oxford seminar organized by Evans and McDowell. Thus, I cannot claim to
have meant that p, unless ‘p’ means that p for a population – of say, me and
myself!” Forse.” Saggi: “L'idea di mondo: intelletto
pubblico e uso della vita” (Quodlibet); “Saggio sulla negazione: per una antropologia
linguistica” (Bollati); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia”
(Boringhieri), “Motto di spirito e azione innovative: per una logica del
cambiamento” (Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura
umana” (Boringhieri); “Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio,
invariante biologico, rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della
moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee” (Derive Approdi);
“Esercizi di esodo: linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo
del presente: saggio sul tempo storico” (Bollati); “Parole con parole: poteri e
limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità: l'idea di “mondo” tra esperienza
sensibile e sfera pubblica” (Manifesto libri); “Convenzione e materialismo” (Theoria).
Roma Tre Intervista, Hecceitas. Questo
termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di
caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente,
avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro
recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e
postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti;
“Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista: dizionario di idee
della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico net". Virno. Keywords: populus, res publica res
populi, Cicerone, multus, unus e multi, due e moltitudine, linguaggio e azione,
linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori di produzioni, natura
umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi
Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione: una popolazione di
due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Viroli: la ragione conversazionale della res pvblica – Cicerone
e la filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Forlì). Filosofo italiano. Essential Italian
philosopher. Actually “Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.”
“The loyalty for one’s country is not based on evidence.” Durante
il settennato di Ciampi serve la presidenza della repubblica italiana. Insegna a
Lugano. I suoi campi di ricerca sono la filosofia politica e la storia della
filosofia politica. I suoi autori di riferimento sono MACHIAVELLI, Rousseau, MAZZINI,
CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. La sua ricerca si basa sul metodo contestualista
di Skinner, a cui apporta alcune innovazioni. Il suoi riferimenti
politico-ideali sono il repubblicanesimo e l'azionismo del partito dell’azione.
Collabora ad alcune testate giornalistiche, tra cui La stampa, il Sole 24 ORE e
Il fatto quotidiano. Si laurea dal liceo Calbol di Forlì. Come egli stesso
racconta in L'autunno della Repubblic”, per mantenersi agli studi, lavora come garzone di bottega, cameriere
d'albergo e operaio presso lo zuccherificio. Abitavo a Forlì con i miei
genitori, in via Mellini, in un appartamento angusto e freddissimo, riscaldato
soltanto da una stufa a gas tenuta, per la nostra povertà, sempre con la
fiammella azzurrognola al minimo. Al termine degli studi liceali si iscribe a Bologna.
Si laurea con la tesi su Engels. Svolge il servizio di leva a Casarsa in
Venezia Giulia. Il ritorno alla vita civile è stato all'insegna del
precariato. Perceve un piccolo salario organizzando convegni e lavorando come
redattore alla rivista Problemi della transizione all’istituto Gramsci di
Bologna. Studia Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer,
Skinner, BOBBIO, Cranston, e Moulakisha, discute la tesi sulla società bene
ordinata, Mulino. Perfeziona la sua formazione svolgendo attività di ricerca. Insegna
comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi civili, Svizzera
italiana. Finanzato dal Fondo Svizzero per la Ricerca Scientifica con un progetto
di ricerca che prevede l'impegno di un folto gruppo di ricercatori. I
suoi interessi di studio ruotano intorno alla filosofia politica e alla sua
storia. Studia il repubblicanesimo nella sua accezione classica da MACHIAVELLI
a Rousseau e in quella contemporanea. Si occupa di culto uffiziale e politica,
di retorica classica, libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di
etica civile, di diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti
della convivenza civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il rinascimento
con MACHIAVELLI, il risorgimento con MAZZINI e il FASCISMO – con sui opponenti:
CROCE, ROSSELLI, e ROSSELLI. I suoi filosofi di riferimento sono Machiavelli,
Rousseau, Mazzini, Croce, Rosselli e Rosselli. Come impegno civile si
occupa d'educazione civica e della difesa e dell'attuazione della costituzione
della repubblica italiana. Collabora colla direzione generale dell'Ufficio
Scolastico Regionale per le Marche a progetti di educazione alla cittadinanza. Fonda
il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica di Asti. Coordina e
diregge progetti di Educazione civica per la Fondazione per la scuola della
Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino. Dirige il progetto
Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa Cervi. Prende parte
attivamente alle campagne referendarie svoltesi in occasione del referendum
costituzionale, contro la riforma proposta dal centro-destra, e del referendum
costituzionale contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Colleziona
inviti e incarichi di insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna
a Pisa, Trento, Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la
Scuola Superiore della pubblica amministrazione, Scuola superiore di polizia,
Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo
Alberto e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi
presso Casa Cervi. Spiega la le sua posizione politica. Non sono soltanto
uno studioso del repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della
reppublica e cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e
sociali. Più oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che
incontro CIAMPI provo la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di
straordinaria energia morale, l’esempio vero della migliore cultura del risorgimento
e dell’azionismo. Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con
attenzione la mia considerazione sul significato del concetto di amor di patria.
Quello che Ciampi dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. E
allora che realizzai che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi
un repubblicano. Ciampi è repubblicano nell’intimo della coscienza:
repubblicano e azionista. Anzi, credo, repubblicano perché azionista. Anche la
lotta contro il fascismo é rilevante nel patrimonio ideale. Trovo in Croce,
Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei -- per citare soltanto i nomi più noti -- non
solo idee e argomenti in perfetta sintonia con il mio anti-fascismo assoluto e
intransigente, ma anche e soprattutto le più convincenti riflessioni sulle
ragioni della fragilità della libertà. Il patriottismo si oppone al
nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto. Ancora ne L'Autunno della Repubblica si
legge a proposito del Per amore della patria. In Italia abbiamo una tradizione
di patriottismo di straordinario valore morale e politico, la migliore che io
conosca. Mi riferisco in primo luogo al patriottismo di MAZZINI, fondato sul
principio che la patria non è il territorio -- bensì un principio di libertà, e
al patriottismo degl’anti-fascisti di Giustizia e Libertà, concordi
nell’affermare che la nostra patria coincide con il mondo morale delle persone
libere non e poi idea tanto peregrina sostenere che il patriottismo
repubblicano e il mezzo più efficace per combattere la marea del nazionalismo
che comincia a montare. Credo sia troppo tardi. Infine, ci spiega il suo
relativismo. Sulle questioni etiche sono stato sempre un convinto relativista,
con comprensibile scandalo di molti. Se il dovere esiste soltanto là dove la coscienza
morale personale lo riconosce come tale, segue necessariamente che ci sono
persone che riconoscono quali loro doveri determinati princìpi, altre che
riconoscono quali loro doveri princìpi diversi, se non del tutto opposti. Il
pluralismo e il contrasto dei doveri sono sotto gl’occhi di tutti. Ad alcuni il
dovere indica il servizio e la pratica della carità, ad altri la pura e
semplice affermazione di sé stessi, anche a costo di usare altri esseri umani
come mezzi. La ragione, tante volte invocata quale guida sicura all’agire
umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega in modo esemplare JUVALTA
(si veda). La ragione per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo --
né la giustizia. La ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono
a conservar la vita a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol
distruggere. La ragione addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie
della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agl’uomini senza scrupoli. Ma
l’egoismo non è per sé più razionale dell’altruismo, né il regresso più
razionale del progresso. Né la conservazione dell’individuo più razionale di
quella della specie. Né l’utile proprio più razionale che l’utile della
collettività. Razionale non e il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è
così ragionevole che dia la vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita,
come che taccia la verità per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità.
Consulente della Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali
durante il settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei
Deputati durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale
per la valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero dell'Interno.
Presidente dell'ASSOCIAZIONE MAZZINIANA. Ufficiale dell'Ordine al merito della
Repubblica italianana strino per uniforme ordinaria; Ufficiale dell'ordine al
merito della repubblica italiana di iniziativa del presidente della repubblica.
Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma, Laterza); “Etica del servizio e etica
del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno della repubblica” (Roma, Laterza);
“La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli”
(Roma, Laterza); “Scegliere il principe: i consigli di MACHIAVELLI al cittadino
elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente” (Roma, Laterza); “Le parole del cittadino”
(Roma, Laterza); “La libertà dei servi” (Roma, Laterza); “Lo scrittore di
ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come se Dio ci fosse: religione e libertà
nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi); “MACHIAVELLI, filosofo della libertà”
(Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri” (Milano, Rizzoli); “Il dio di
Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma, Laterza); “Dialogo intorno
alla repubblica” (Roma, Laterza); “Per amor alla patria: patriottismo e
nazionalismo nella storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla RAGION DI
STATO” (Roma, Donzelli); “L’etica laica di JUVALTA” (Milano, Angeli); “La
civiltà statuale’, in “Cultura civica e civiltà statuale” (Bologna, Mulino); “Libertà
e profezia in MACHIAVELLI’, MACHIAVELLI e i confini del potere” (Milano,
Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di Sartori’, Protagonisti
sempre. Un secolo di storia visto con gl’occhi dei ragazzi, Reggio Emilia,
Imprimatur ‘Prefazione’, in Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, Napoli,
Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and ‘Macaulay’, Enciclopedia
machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita di MACHIAVELLI”
(Roma, Castelvecchi); “La tradizione del Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se
è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità
del principe”; “Il principe e il suo tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano,
Salone centrale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); “La moralità
della resistenza: l’esperienza del partigiano Bosco” (Benevento, Terre dei
Gambacorta); “Dalla patria allo stato: una biografia intellettuale di SPAVENTA”
(Roma, Laterza); “‘La costituzione repubblicana: un manuale di educazione
civica’, in Lessico civico: teorie e pratiche della cittadinanza (Reggio
Emilia, Diabasis); “Le origini meridiane del repubblicanesimo, Ethos
repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio Emilia, Diabasis); “La dimensione
religiosa del risorgimento -- Cristiani d’Italia. chiese, società, stato” (Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana); “La libertà politica è un bene fragile’,
Lettera internazionale. Rivista europea;
“Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni civiche. Forme, simboli
e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis); “La costituzione: il
pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); “MACHIAVELLI, il carcere, Il
Principe”, in Gl’anni di Firenze, Roma-Bari, in La Costituzione ieri e oggi.
Roma, Atti dei Convegni Lincei (Roma, Bardi); “Etica e diritto: la forza
intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione Piemonte, Piano regionale
per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle
vittime; “Religione e libertà nella Democratie en Amérique’, Fra libertà e
democrazia: l’eredità di Tocqueville e Mill” (Milano, Angeli); “Una nuova
utopia della libertà’, Quaderni del Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’,
Constellations, ‘Religione”; “Tutte le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger
sbaglia”; “MACHIAVELLI oratore”; “Machiavelli senza i Medici, scrittura del
potere, potere della scrittura,” Atti del convegno di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due
concetti di religione civile’, in “Rituali civili: storie nazionali e memorie
pubbliche in Europa” (Roma, Gangemi); “Patriottismo e rinascita civile’,
Aspenia, in MAZZINI, Scritti politici” (Torino,
POMBA); “Che cos’è l’uomo? Raccolta di pensieri” (Senigallia, MIUR, Le Marche);
“Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà
democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo, democrazia,
socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura politica” (Milano,
Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile di cultura
sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di etica” (Reggio
Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e costituzione della repubblica’ Almanacco
della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le
simbologie repubblicane (Milano, Mondadori); ‘Europa contro America?’, Il
pensiero mazziniano, ‘Dio nella costituzione’, Il pensiero mazziniano, con BOBBIO,
‘Sul rientro dei Savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone.
L’esempio della storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il
tiranno si sono fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di
Machiavelli”; ‘Le ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle
repubbliche italiane dal medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca,
Siena, Venezia. Atti del convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per
l’età moderna e contemporanea. ‘Giù le mani da CATTANEO’, Il pensiero
mazziniano, ‘Questioni attorno al repubblicanesimo”; “Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalism.
e comunitarismo”; Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero
politico. Idee, teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica
romana’, Il pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’, ‘La sinistra non scordi la Patria’, Il
pensiero mazziniano, ‘I guerrieri di
Dio: chi sono i theo-conservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia
e gay’, “La Stampa”, ‘L’arcipelago
progressista: l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze,
ambientalismo e progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione
americana e caso italiano”; “Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il
significato storico della nascita del concetto di RAGION DI STATO’, Aristotelismo
politico e RAGION DI STATOr. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti
o traditori?”; “L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici,
‘L’etica politica di CICERONE e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà
delle Macchine, ‘La cattiva retorica dell’autonomia della politica’, (Mulino); ‘Nazionalismo
e patriottismo’ (Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni
Critiche, ‘Introduction’, in Skinner, “Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna,
Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica
republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia
delle idee politiche”, Rivista di filosofia; “Dovere morale e pluralismo etico
in JUVALTA’, Rivista di Storia della Filosofia; “La “Morale dei Positivisti” e
l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Mulino); “Il Marxismo
e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’, Transizione, JUVALTA
e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia, ‘LABRIOLA, filosofo del socialismo”, Giornale
critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia:
tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione
e deformazione del marxismo? Annale della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli);
“Il problema dell’etica razionale in JUVALTA’, “Studi sulla cultura filosofica
italiana” (Bologna, CLUEB); Etica e marxismo: a proposito di una recente
discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”;
“Il dialogo fra Engels e LABRIOLA”; “Critica marxista”; “Nella crisi del
positivismo: la ricerca teorica del divenire sociale,” “Giornale critico della
filosofia italiana”; “Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero
antico e pensiero moderno” (Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e
cultura del vivere bene” (Milano, Sperling & Kupfer); “Libertà politica e
virtù [andreia] civile”; “Significati e percorsi del repubblicanesimo classico”
(Torino, Agnelli); “Lezioni per la repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio
Emilia, Diabasis); “Ascesa e declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti);
“L'Autunno della Repubblica” (Laterza); “Per amore della patria. Patriottismo e
nazionalismo nella storia” (Laterza); Quirinale. blogspot
issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche della RAI profilo
biografico da Ethica Forum profilo dall'Università della Svizzera italiana
Nello Ajello, Quanti servi in giro per l'Italia, recensione a La libertà dei
servi, la Repubblica, La libertà dei servi, Associazione Labini; “La libertà
dei servi; L'intransigente, da Fahrenheit del Radio Tre. Grice: “At Oxford, we
don’t have a republic!” -- Il repubblicanesimo è una lunga e variegata
tradizione del pensiero politico che si ispira all'ideale della repubblica
intesa quale comunità di cittadini sovrani fondata sul diritto e sul bene
comune. Il punto di riferimento ideale più rilevante del repubblicanesimo è il
concetto ciceroniano di res publica. Repubblica per CICERONE vuol dite «ciò che
appartiene al popolo» (respublica respopuli), e aggiunge che non è popolo ogni
moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società organizzata
che ha per fondamento l'osservanza della giustizia e la comunanza di interessi
(De re publica, 1. 25). Agli albori dell'età contemporanea un altro esponente
del repubblicanesimo, Rousseau, ribadisce la medesima interpretazione del
concetto di repubblica. Chiamo repubblica, scrive, «ogni Stato retto dalle
leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione, poiché solo allora
l'interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa » (Contrat Social.
Per i teorici repubblicani la repubblica è l'opposto del potere senza freno e
senza regola, chiunque lo eserciti, e della tirannide, ovvero il dominio di un
uomo (o di una fazione o di molti) contro l'interesse comune. La repubblica si
contrappone anche alla monarchia perché la libertà sotto il re è sempre dipendente
dalla volontà arbitraria di un uomo. Il re, anche nelle monarchie
costituzionali, assume in virtù della nascita prerogative e poteri che sono
negati agli altri cittadini e dunque viola il principio dell'uguaglianza
repubblicana. Il concetto di repubblica è connesso al principio che la vera
libertà politica consiste nel non essere dipendenti dalla volontà arbitraria di
un uomo o di alcuni uomini ed esige l'uguaglianza dei diritti civili e
politici. La vera libertà, spiega Cicerone, esiste «solo in quella repubblica
in cui il popolo ha il sommo potere» e comporta «una assoluta uguaglianza di
diritti», in quanto «la libertà non
consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto» (De re publica).
Questo concetto di libertà vale sia per l'individuo sia per lo stato. Uno stato
può dirsi libero se non dipende dalla volontà di un altro stato e non deve
ricevere da altri gli statuti e leggi o richiedere approvazione per i suoi
atti.Come recitano le formule di Bartolo da Sassoferrato, le città che vivono
in libertà si governano da sole («proprio regimine»). Esse non riconoscono
alcun potere superiore («civitas quem superiorem non recognoscit»), e per
questo il loro popolo è un popolo libero. Rousseau, ma altri esempi si
potrebbero citare, racchiude in una formula precisa il concetto di libertà
repubblicana: «un popolo libero obbedisce ma non serve; ha dei capi, ma non dei
padroni; obbedisce alle leggi, ma solo alle leggi; ed è in virtù delle leggi
che non diventa servo degli uomini» (Jean-Jacques Rousseau, Lettres écrites de
la montagne, VIII). Per i filosofi politici repubblicani la libertà politica ha
quale condizione necessaria il governo della legge. Essi hanno sempre
sottolineato che la vera legge è un comando pubblico e universale che vale
ugualmente per tutti i cittadini, o per tutti i membri del gruppo rilevante. La
limitazione o l'interferenza che la legge impone sulle scelte degli individui
non è dunque una restrizione della libertà ma come un freno essenziale e
benefico. Se il governo della legge è scrupolosamente rispettato, nessun
individuo può impone la sua volontà arbitraria ad altri individui in virtù del
fatto che egli può compiere con impunità azioni che ad altri sono proibite
sotto pena di sanzione. Se invece sono gli uomini e non la legge a governare,
alcuni individui possono imporre la loro volontà arbitraria ad altri ed
impedire ad essi di perseguire i fini che essi vorrebbero perseguire, e quindi
privarli della libertà (questo vale anche nel caso in cui è la maggioranza
degli uomini a governare, ovvero una democrazia). Questa interpretazione della
libertà politica è descritta in modo eloquente in testi classici che
diventarono il nucleo centrale del repubblicanesimo moderno, in particolare un
passo in cui Livio afferma che la libertà dei romani consiste in primo luogo
nel fatto che le leggi sono più potenti degli uomini (Ab urbe condita) e un
passo di Cicerone, citato infinite volte dagli scrittori politici repubblicani:
«Legum idcirco omnes servi sumus ut Liberi esse possimus» (Pro Cluentio, 146).
Anche Machiavelli identifica la libertà politica con le restrizioni che il
diritto impone ugualmente a tutti i cit-tadini. Se in una città vi è un
cittadino che i magistrati temono, e che può rompere i vincoli delle leggi,
egli scrive, la città non è libera (Discorsi). Nelle Istorie fiorentine (Proemio)
osserva che «si può chiamar libera» solo quella città in cui le leggi e gli
ordinamenti costituzionali restringono in modo efficacie i «cattivi umori »
della nobiltà e del popolo. Per contro, tutti gli esempi di oppressione che i
repubblicani classici offrono nei loro scritti sono violazioni del principio
del governo della legge: il tiranno che si pone al di sopra delle leggi civili
e delle leggi costituzionali e quindi comanda ad arbitrio; il cittadino potente
che ha ottenuto per se un privilegio che è negato ad altri cittadini; i
governanti che hanno poteri discrezionali. Le restrizioni che la legge impone
sulle azioni dei governanti e dei cittadini sono dunque, per i repubblicani,
l'unica valida difesa contro la coercizione imposta da individui: essere liberi
vuol dire vivere sotto leggi eque. L'argomento repubblicano che il governo
della legge è la condizione necessaria affinché i cittadini non siano
assoggettati alla volontà arbitraria di alcuni individui (o di un solo
individuo), e possano pertanto vivere liberi, è il tema di fondo di uno dei più
significativi dibattiti nella storia del repubblicanesimo, ovvero la risposta
di James Harrington a Hobbes, che nel Leviatano aveva sostenuto che non è
affatto vero che i cittadini di una repubblica come Lucca sono più liberi dei
sudditi di un sovrano assoluto come il sultano di Constantinopoli perché tanto
i primi quanto i secondi sono sottomessi alle leggi. Ciò che rende i cittadini
di Lucca più liberi dei sudditi di Costantinopoli, spiega Harrington, è il
fatto che a Lucca tanto i governanti quanto i cittadini sono sottoposti alle
leggi civili e costituzionali, mentre a Constantinopoli il sultano è al di
sopra delle leggi e può disporre arbitrariamente delle proprietà e della vita
dei sudditi, costringendoli in tal modo a vivere in una condizione di completa
dipendenza, e dunque di mancanza di libertà. I cittadini di Lucca sono liberi
«per le leggi di Lucca» («by the laws of Lucca»), perché essi sono controllati
solo dalle leggi (James Harrington, The Commonwealth of Oceana and A System of
Politics, a cura di J.G.A. Pocock, Cambridge, Cambridge University Press, 1992,
Preliminaries). Nella sua lunga storia, il repubblicanesimo si è caratterizzato
non solo per gli ideali della repubblica e della libertà ma anche per
l'insistenza sull'idea che l'una e l'altra hanno bisogno della virtù civile dei
cittadini. Per virtù essi intendono la saggezza che fa capire ai cittadini che
il loro interesse individuale è parte del bene comune, la generosità dell'animo
che spinge a partecipare alla vita pubblica, la forza interiore che dà la
determinazione di resistere contro i potenti e gli arroganti che vogliono
opprimere. Nonostante l'autorevole opinione di Montesquieu che considerava la
virtù politica una forma di rinuncia e di sacrificio, gli scrittori politici
repubblicani dei secoli precedenti interpretavano la virtù come una passione
che non si contrapponeva né all'interesse né alla ricchezza, ma solo
all'avarizia e all'ambizione sfrenata di dominio. Il repubblicanesimo è stato
il linguaggio politico dominante delle élites politiche e sociali delle
repubbliche commerciali d'Europa. Anche se non mancarono, come nel caso di
Girolamo Savonarola, pensatori repubblicani che teorizzarono la repubblica come
una Nuova Gerusalemme abitata da uomini dediti alla virtù cristiana, il
pensiero politico repubblicano, con i suoi pensatori più influenti, ha
teorizzato un ideale mondano e realistico di virtù. Accanto all'ideale della
virtù civile, un altro concetto fondamentale della tradizione repubblicana è il
patriottismo. Per il repubblicanesimo classico l'amore della patria è una
passione, e più precisamente un amore caritatevole per la repubblica (caritas
reipublicae) e per i concittadini (caritas civium). Anche se rispetta i
principi della giustizia e della ragione, e può quindi essere chiamato «amore
razionale», l'amore della patria è un affetto particolare per una particolare
repubblica e per i suoi cittadini che nasce fra i cittadini delle libere
repubbliche perché essi condividono molti e importanti beni, quali le leggi, la
libertà, i consigli pubblici, le pubbliche piazze, gli amici e i nemici, le
memorie delle vittorie e delle sconfitte, le speranze, le paure. Essa
presuppone l'eguaglianza civile e politica e si traduce in atti di servizio
(officium) e di cura (cultus) per il bene comune. Infine, la caritas
reipublicae è una passione che irrobustisce l'animo, dà ai cittadini la forza
per compiere i loro doveri civici e ai governanti il coraggio di assolvere gli
obblighi, spesso onerosi, che la difesa della libertà comune richiede. Il
principio fondamentale del patriottismo repubblicano è che vera patria è solo
la libera 2 repubblica in cui vivono solo cittadini liberi ed eguali. La parola
patria si legge ad es. nell'Encyclopédie, non significa il luogo in cui siamo
nati, come vuole la concezione volgare, bensí uno stato libero (état libre) di
cui siamo membri e le cui leggi proteggono le nostre libertà e la nostra
felicità (D'Alembert, Diderot, Encyclopédie, Neuchatel, Bouloiseau 1765, vol.
XII, p. 178). Gli scrittori repubblicani dell'età dell'Illuminismo usavano la
parola «patria» come sinonimo di «repubblica». Questa identificazione non era
solo un motivo polemico; riassumeva la considerazione che sotto il giogo del
despota i cittadini sono senza protezione e non possono partecipare alla vita
pubblica, come se fossero stranieri, e dunque non hanno patria. Il concetto di
patria è dunque strettamente connesso alla libertà e alla virtù, come scrive
Jean Jacques Rousseau: «La patria non può sussistere senza la libertà, né la
libertà senza la virtù, ne la virtù senza i cittadini» (Economie politique, in
Oeuvres Complètes, III, p. 258). Anche MAZZINI sottolinea che la vera patria è
quella che assicura a tutti i cittadini non solo i diritti civili e politici,
ma anche il diritto al lavoro e all'educazione. Per Mazzini e per i
repubblicani dell'Ottocento la patria è la casa comune dove viviamo con persone
che capiamo e che abbiamo care perché le sentiamo simili e vicine. Ma è anche
una patria accanto ad altre patrie di ugual pregio.Quando siamo nella nostra
casa dobbiamo assolvere i nostri obblighi in quanto cittadini; quando siamo in
casa di altri dobbiamo assolvere i doveri verso l'umanità. La difesa della
libertà è l'obbligo supremo di ognuno, anche se viviamo in suolo straniero e
anche se il popolo oppresso è un popolo straniero. Gli obblighi morali verso
l'umanità vengono prima degli obblighi verso la patria. Prima di essere
cittadini di una patria particolare, siamo esseri umani.Nonostante l'accordo
sui principi della repubblica, della libertà, e del patriottismo, il
repubblicanesimo non è mai diventato un corpo dottrinario sistematico e ha
assunto molteplici accentuazioni legate ai diversi contesti storici e culturali
nei quali si è sviluppato dall'antichità classica all'età contemporanea. Il
repubblicanesimo è dunque una tradizione del pensiero politico solo nel senso
che i teorici repubblicani hanno spesso elaborato le proprie analisi
riprendendo concetti di scrittori politici di epoche precedenti. Ma è del pari
vero che i teorici repubblicani hanno spesso rielaborato in maniera anche
radicale idee di altri scrittori politici appartenenti alla medesima tradizione.Le
divergenze più significative riguardano la forma di governo considerata più
atta a realizzare l'ideale della repubblica. Quasi tutti i teorici repubblicani
furono sostenitori del governo misto inteso quale forma di governo che
contempera gli aspetti positivi delle tre forme rette: il governo di
uno(monarchia), ilgoverno del pochi (aristocrazia) e il governo dei molti
(governo popolare o democratico). Mentre alcuni ritenevano che nell'ambito del
governo misto il popolo (il consiglio grande) dovesse avere un ruolo
preponderante, altri erano favorevoli ad assegnare tale ruolo all'elemento
aristocratico rappresentato da un senato, o da un consiglio ristretto. Un'altra
differenza è quella fra i sostenitori della repubblica che garantisce i diritti
politici alla maggioranza degli abitanti (repubblica democratica) e i
sostenitori di una repubblica che garantisce i diritti politici solo ad una
minoranza degli abitanti (repubblica aristocratica). Inoltre, alcuni teorici
repubblicani, come Machiavelli, sostenevano la necessità dell'espansione
territoriale sulla base del modello della repubblica romana (o del modello
federativo etrusco); altri, ad es. Rousseau, erano convinti che la repubblica,
per conservarsi incorrotta, doveva rimanere confinata entro un piccolo
territorio. Vi furono pensatori repubblicani che propugnarono l'ideale di una
repubblica unitaria, e pensatori che propugnarono l'ideale di una repubblica
fondata sul decentramento amministrativo e sull'autogoverno, come Carlo
Cattaneo. Infine, la storia del pensiero politico repubblicano presenta
pensatori favorevoli ad usare la religione per rafforzare la lealtà dei
cittadini verso la repubblica (Machiavelli) accanto ad altri che raccomandarono
la creazione di una vera e propria religione civile (Rousseau) e altri ancora
che si fecero banditori dell'idea religiosa come principio morale interiore
(Mazzini). Anche a causa della molteplicità di concezioni politiche che si
raccolgono all'interno del pensiero repubblicano, gli studiosi contemporanei
hanno opinioni diverse su importanti problemi storici e teorici. Mentre John
Pocock sostiene che il repubblicanesimo è una forma di aristotelismo politico 3
fondato sull'idea che la vita politica è la massima realizzazione
dell'individuo, altri studiosi, in particolare Quentin Skinner, sottolineano il
ruolo prevalente del pensiero politico e giuridico ROMANO. Anche
l'interpretazione del concetto di libertà è materia di divergenze
interpretative. Philip Pettit sostiene che la mancanza di libertà consiste solo
nella dipendenza dalla volontà arbitraria di altri uomini; per Quentin Skinner
la mancanza di libertà può essere causata sia dalla dipendenza che
dall'interferenza. Vi sono inoltre autori che interpretano il repubblicanesimo
come una dottrina democratica, lontana dal liberalismo, che insiste sulla
partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche; altri avvicinano il
repubblicanesimo al comunitarismo, altri ancora sottolineano piuttosto
l'affinità fra repubblicanesimo e liberalismo radicale; altri infine ritengono
che tanto il liberalismo quanto la democrazia siano derivazioni del
repubblicanesimo. Nonostante le divergenze interpretative gli studiosi di
storia del pensiero politico e di filosofia politica sono in larga maggioranza
concordi nel riconoscere che il repubblicanesimo rappresenta un'autonoma e
distinta tradizione di pensiero politico che ha svolto un ruolo di primo piano
nella nascita e nella formazione delle moderne democrazie. BIBLIOGRAFIA. - BARON, In Search of Fiorentine
Civic Humanism: Essays on the Transition from Medieval io Modern Thought, 2
voll., Princeton, Princeton University Press, BOCK, Q. SKINNER,VIROLI,
Machiavelli and Republicanism, Cambridge University Press, Cambridge POCOCK, Il
momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e
la tradizione repubblicana anglosassone Il Mulino, Bologna; SANDEL, Democracy's
Discontent: America in Search of a Public Philosophy, Harvard University Press,
Cambridge (Mass.) PETTIT, Repubblicanesimo, a cura di M. GEUNA, Feltrinelli,
Milano; Q. SKINNER, The Foundations of Modem Political Thought, 2 voll. Cambridge
University Press, Cambridge; Le origini del pensiero politico moderno, a cura
di M. VIROLI, Il Mulino, Bologna 1989; ID., Libertà prima del liberalismo, a
cura di M. GEUNA, Einaudi, Torino, SMITH, Civic Ideals: Conflicting Visions of
Citizenship in U.S. History, Yale University Press, New Haven, Conn. V.,
Repubblicanesimo, Laterza, RomaBari 1999. V.] Da N.Bobbio, N. Matteucci, G.
Pasquino, Il dizionario di Politica, UTET, Torino. Maurizio Viroli. Keywords: Cicerone,
ragion di stato, repubblica, repubblicanismo, la repubblica romana, la morte, il
crollo, il fine, la caduta della repubblica romana, l’assassinio di Giulio
Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re Romo alla repubblica
romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato, storia della
repubblica di Genova, la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto,
il sorriso di Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi
Speranza, “Grice e Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi
Speranza: “Il sorriso di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vitielo: la ragione conversazionale e il segno infranto nel
Vico topologico – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli).
Filosofo italiano. “Come la lingua dell’eroe separa l’eroe dall’uomo, così la
lingua volgare separa il filologo dal filosofo. La lingua italiana volgare,
comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la natura e le proprietà delle cose.
Sorge la scissione tra un filosofo – come Paul Grice -- che si dettero ad
investigare sulla natura delle cose, e un filologo – come H. P. Grice -- che, invece
investiga sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono
nate tutte e due dalla lingua dell’eroe, vennero ad essere divise dalla lingua
volgare o commone. Essential Italian philosopher. Insegna a
Salerno. Studia VICO, l'idealismo, Nietzsche e Heidegger in rapporto con la
filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica. La sua topo-logia si fonda su
una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale
dell'operare umano. Gli sviluppi della sua topologia riguardano in particolare
la genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di
vista laico. Fonda Paradosso. Collabora a Filosofia di Laterza e a numerose
altre riviste filosofiche, tra cui “aut aut.” Dirige Il pensiero. Collabora
all'annuario Filosofia e all'annuario sulla Religione. Pubblica in Teoria ed
altre ancora. Svolge un’intensa attività pubblicistica su quotidiani e
periodici. Tenne cicli di conferenze e seminari. Saggi: Filosofia della pratica
e dottrina politica liberale in CROCE, Napoli; Etica e liberalismo in CROCE,
Napoli; Il carattere DISCORSIVO del conoscere, Napoli; ANTONI, interprete di CROCE,
Napoli; Storia e storiografia nella filosofia di CROCE, Scientifica, Napoli; Sentimento
e relazione nell’ESPERIENZA, Napoli; Il nulla e la fondazione dello storico, Argalia,
Urbino; Dialettica ed ermeneutica, Guida, Napoli; Utopia del nichilismo, Guida,
Napoli; Studi heideggeriani, Roma; Ethos ed eros, ESI, Napoli; Logica e storia
in Hegel, Napoli; Il problema del cominciamento, Guida, Napoli; Hegel e la comprensione;Topologia,
Marietti, Genova; La voce riflessa, Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi,
Milano; Elogio dello spazio: ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano; Cristianesimo
senza redenzione, Laterza, Roma; Non dividere il sì dal no: tra filosofia e
letteratura (Laterza, Roma); Filosofia teoretica: le domande fondamentali:
percorsi e interpretazioni (Milano); La favola di Cadmo (Laterza, Roma); “VICO (si
veda) e la topologia” (Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte”
(Roma); “Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel
in Italia, Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); “Cristianesimo e nichilismo:
Dostoevskij-Heidegger” (Morcelliana, Brescia); “Estetica e ascesi” (Modena); E
pose la tenda in mezzo a noi,” Albo Versorio, Il Decalogo. Ricordati di
Santificare le feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere
Dio” (Albo Versorio); “VICO: storia, LINGUAGGIO, natura, Storia e Letteratura,
Roma); “Ri-pensare il cristianesimo” (De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del
sacro” (Moretti, Bergamo); “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla
logica della seconda persona, ETS, Celan; Heidegger” (Mimesis); “I
comandamenti. Non dire falsa testimonianza” (Il Mulino); “L'ethos della
topologia. Un itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); “Paolo e l'Europa: cristianesimo
e filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta: linguaggio e mondo in VICO”
(Bompiani, Milano); “VICO: tra storia e natura,” aut aut; “Complessità e aporie
del moderno”, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia”,“aut aut”;
“Goethe, interprete della modernità” aut aut; “Per amicizia: Epochè e metafora”;
“aut aut”, “Sentire le Radici, la Terra stessa”, i“aut aut”; “Zanzotto, ovvero:
la poesia come genealogia della parola”, in “aut aut”; “Redaelli, Il nodo dei
nodi; L'esercizio del pensiero in VATTIMO”, V. (Sini, ETS, Pisa); “Luoghi del
pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
di RAI Educational; "Filosofia". Appare la "seconda"
Scienza Nuova. Non è propriamente una seconda edizione dei Principj di una
Scienza Nuova intorno alla Natura delle Nazioni, apparsi cinque anni innanzi.
La revisione, a cui Vico ha sottoposto il testo del 1725, è tale da farne
un'altra opera: basterebbe ricordare l'inserimento della "discoverta del
vero Omero", argomento affatto nuovo e fondamentale che occupa un intero
libro, il terzo; invero è mutata la struttura stessa del lavoro, come anche una
rapida scorsa degli indici delle due edizioni mostra. Se, ciononostante, Vico
ha mantenuto anche nella successiva edizione il medesimo titolo, salvo piccole
varianti,2 è perché l'ampliamento e la diversa distribuzione della materia,
nonché la correzione dell'"errore" d'aver egli separato, nella prima
redazione, i "principi delle idee" da quelli "delle
lingue", che sono "per natura tra loro uniti", non solo non
hanno mutato l'orientamento di fondo dell'opera, l'hanno bensì approfondito e
sviluppato, specialmente riguardo al tema del linguaggio. Tra le
"novità" della seconda Scienza Nuova spicca l'immagine posta sul
frontespizio dell'opera: una "dipintura allegorica" commissionata dal
filosofo a Domenico Antonio Vaccaro, noto pittore napoletano, che l'aveva
eseguita secondo precise indicazioni e sotto il controllo del committente. Che
l'uso di accompagnare un testo filosofico o letterario con un'immagine fosse
frequente al tempo di Vico è cosa nota: si citano come esempi illustri
l'Organon di Francesco Bacone, il Leviathan di Hobbes, i Second Characters di
Shaftesbury e da ultimo la Istoria universale provata con monumenti e figurata
con simboli degli antichi di Francesco Bianchini. Che il filosofo napoletano ne
sia stato influenzato, ben si ricava da quanto egli stesso dice nel primo
capoverso dell'Introduzione, dove spiega che l'immagine sul frontespizio
dell'opera serve a"ridurla più facilmente a memoria [...] dopo di averla
letta".Ma che la funzione mnemonica di questa Tavola delle cose civili sia
affatto secondaria, è del tutto chiaro, premurandosi Vico di dire per prima
cosa che la dipintura "serv(e) al Leggitore per concepir l'idea di
quest'Opera avanti di leggerla" (SN). Prima di chiarire questo punto che è
essenziale comprendere l'esigenza filosofica cui risponde la
"dipintura", è opportuno darle uno sguardo veloce. In alto, a
sinistra dell'osservatore, è dipinto un sole, al cui interno è un triangolo con
dentro un occhio, dal quale parte un raggio di luce che giunge al petto della
fanciulla dalle tempie alate, allegoria della Metafisica, che ha lo sguardo
fisso al sole. Dal petto della fanciulla, i cui piedi poggiano sul globo
terrestre, il raggio si riflette sulla statua collocata in basso a sinistra. Ai
piedi della statua, che raffigura Omero, vari arnesi: та оно, un timone, un
aratro, una borsa; poi una tavola con su scritte alcune lettere alfabetiche,
quindi un fascio di verghe. Al lato opposto della statua un altare, su cui
scorgiamo un lituo, una fiaccola, un orciuolo contenente acqua, quindi il fuoco
accanto al globo su cui poggia la fanciulla alata. La fascia che cinge il globo
è quella dello zodiaco, con i segni delle costellazioni della Vergine e del
Leone in evidenza. In basso, a destra, un'urna cineraria, ai margini di una
gran selva. Vico concepì il dipinto come "Idea dell'opera" - così
nell'Introduzione dedicata alla "spiegazione della dipintura proposta al
frontespizio" - e cioè come figura o immagine della Scienza Nuova, ovvero
della storia: della storia ideale eterna e delle storie che "corron' in
tempo". L'ampiezza e la meticolosità della "spiegazione"5
attestano l'importanza ch'egli attribuiva alla "traduzione" dei suoi
argomenti in "immagine". L'immagine doveva, infatti, integrare la
voce, facendo cogliere uno actu - e non in successione - i due aspetti che
caratterizzano la storia: 1) la cornice stabile e permanente dell'eterna
provvedenza, esemplata nel raggio di luce che parte dall'occhio divino e, toccando
la metafisica, illumina e regge il mondo degli uomini, e 2) l'operare umano nel
tempo, volto, anche inconsciamente, a Dio, testimoniato dallo sguardo della
fanciulla alata, eternamente fisso sul triangolo solare. E, pertanto, come
l'immagine serviva ad integrare la voce, così questa doveva a sua volta
completare l'immagine, dacché soltanto la voce dà in successione quello che in
successione accade entro l'ordine necessario della storia ideale eterna: il
"correre in tempo" delle storie di tutte le nazioni "ne' loro
sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini" (SN44, p. 903). Vico non
intese questa congiunzione di voce e immagine - phonè kai schêma, per dirla con
le parole del Cratilo di Platone, di cui il filosofo napoletano resta
insuperato "interprete"6 - come una "novità" da lui
introdotta in filosofia. Al contrario la presentava come un'operazione di
restauro. Per comprenderne le ragioni, dobbiamo fare alcuni passi indietro nel
tempo e leggere quella nota che lui aggiunse al Il Libro del Diritto
Universale, il De constantia jurisprudentis:[...] Come prima la lingua eroica
aveva diviso gli eroi dagli uomini, così dopo la lingua volgare divise i
filologi dai filosofi. Il motivo di questa seconda osservazione è che, poiché
la lingua volgare, in quanto comune, non riusciva a descrivere la natura e le
proprietà delle cose, sorse la scissione tra i filosofi che si dettero a
investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece investigavano
sulle origini delle parole; e così la filosofia e la filologia, che erano nate
tutte e due dalla lingua eroica, vennero ad essere divise dalla lingua
volgare.? La lingua volgare, così detta perché lingua della comunicazione - in
seguito Vico la chiamerà "pistolare" (SN, Degnità) -, rende solo i
caratteri "comuni", "generici", delle cose, non la loro
"natura", ciò che ad esse è proprio, la loro concreta, reale,
determinatezza. Questo ha portato alla divisione della filologia, che
s'interroga sull'origine delle parole - quindi su come siano sorte le parole
generiche, vuote di determinatezza, della lingua "comune" -, dalla
filosofia che, invece, investiga direttamente la natura delle cose. Ma in che
modo? Non è anche la filosofia legata al linguaggio? Vico s'avvide del
cul-de-sac in cui s'era cacciato. Ne uscì, con due mosse geniali. La prima fu
l'abbandono del latino delle scuole, lingua di pura comunicazione di concetti,
priva di vero rapporto con la vita quotidiana del popolo, fatta di eventi reali
e cose concrete; scelse di scrivere in volgare - ma bisogna aver confidenza con
la lingua di Vico, con il "barocco napoletano" della Scienza Nuova,
per capire la portata di questo mutamento.La seconda mossa strategica fu
"l'idea dell'opera": la "dipintura allegorica", con cui
egli volle ricongiungere voce e immagine, o, per dirla con Nietzsche, il mondo
dell'ascolto, della parola (Hörwelt), e quello della visione, dell'immagine
(Schauwelt). 8 Vico operava, consapevolemente, in controtendenza rispetto
all'intera tradizione occidentale e in particolare al suo tempo, che spingeva
la lingua all'astrazione, secondo il modello"matematico". Vico - ho
detto; ma debbo subito precisare: il filologo più che non il filosofo. Ché come
filosofo non fu meno attratto dal mos geometricum di quanto lo furono Cartesio
e Spinoza, se volle estendere alla storia quella mathesis universalis già da
Grozio applicata al diritto. Come filologo, invece, seppe risalire alle origini
lontane, remote del linguaggio, alle fonti antiche della poesia greca, con la
"discoverta" del vero Omero o dei molti Omeri, e della latina,
leggendo insieme con Virgilio e Lucrezio, e Orazio, Stazio, Plauto, gli
"storici" e gli"eruditi", interpretando anche l'antico
diritto romano qual"serioso poema" e l'antica giurisprudenza
come"severa poesia". Né si fermò qui, ma piegandosi sulla lingua dei
contadini, sulle loro metafore e i loro gesti, vide con l'occhio di una fervida
immaginazione i primi abitanti della Terra, i forti ed empiamente pii Polifemi,
atterriti dalla luce del lampo che squarcia le notti e dal cupo rimbombo del
tuono che fa tremare la Terra, emettere i primi suoni inarticolati di un
linguaggio "naturale", inintenzionale, prima fonte della lingua
articolata dell'uomo. Scorse, talora come da dietro un vetro opaco, la nascita
dell'uomo dall'animale, della mente dal corpo, della storia dall'ingens sylva,
e ne descrisse lo sviluppo, non senza "salti" e
"confusioni" di tempi e forme linguistiche. Philologia contra
philosophia? In certo senso sì, se la filologia lo convinse non solo a trattare
dei miti, ma in qualche modo a "mimarne" il gesto narrativo.10 Tentò
una nuova lingua, logica e mitica ad un tempo, capace di tenere insieme
narrazione e logica, la contingenza della storia e la necessità della mathesis.
Anticipava con le sue folgoranti intuizioni, l'idea della Mythologie der
Vernunft,11 che nacque all'incirca mezzo secolo dopo in terra germanica, ma che
presto fu abbandonata, e proprio dal suo massimo rappresentante, Hegel, che,
anni dopo, avrebbe esaltato il linguaggio alfabetico sulla lingua geroglifica,
per essere quello costituito di nomi, che sono bildlose Vorstellungen,
rappresentazioni senza immagini. Ed "è nei nomi che noi pensiamo", La
"dipintura" serviva a Vico per ricostruire nella composizione di parola
e immagine quella unità di voce e gesto che l'uomo storico aveva già perduto
molto prima che sorgesse la lingua della comunicazione - la lingua
"pistolare" della ragione riflessa -, già con la lingua eroica. Ma
era, Vico, in ritardo sul suo tempo. La frattura parola/immagine era solo
l'aspetto "in superficie" di una più profonda scissione.Vincenzo Vitielo.
Vitielo. Keywords: la lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini, italiano,
volgare, Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua eroica di
Vico, Vico, semiotica, Croce, Vico topologico, linguaggio in Vico. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi
Speranza, “Grice e Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di
Vittielo” – Vico e il segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria.
Grice e Volpe: la ragione conversazionale e la logica come scienza
storica – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Imola). Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia a Bologna laureandosi
in filosofia sotto Mondolfo. Insegna al Galvani di Bologna, l’Alighieri di
Ravenna, e a Messina. Legato alla tradizione di GENTILE (si veda), si dedica
a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine
su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione
dell’ESPERIENZA dell’empirismo e dell’UMANO dell’umanesimo, mantenendo
un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante
confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e
l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica,
e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso
sull'ineguaglianza, conduce a V. a un
sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica,
considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non
abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello
che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio
della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani
teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” sul
concetto di libertà (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la
dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i
teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società
parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali
preconizzatori di una società egualitaria. Un altro dei punti nodali della
sua filosofia è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente
materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del
processo sociale di produzione dell’espressione nella formazione del giudizio
estetico, in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di CROCE -- da lui
considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora
il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta
nella filosofia una posizione contro-corrente. Altri saggi: L'idealismo
dell'atto e il problema delle categorie, Bologna, Zanichelli, Le origini e la
formazione della dialettica hegeliana; Hegel, romantico e mistico, Firenze,
Monnier; Il misticismo speculativo di Eckhart, Bologna, Cappelli, La filosofia
dell'ESPERIENZA, Firenze, Sansoni, Espressione, Bologna, Meridiani, Il
principio di contraddizione e la sostanza prima nel Lizio: contributo a una
critica dei pensieri logici” Bologna, Azzoguidi; Crisi dell'estetica romantica,
Messina, Anna; Critica dei principi logici, Messina, D'Anna; Discorso
sull'ineguaglianza, con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo, Roma, Ciuni;
Emancipazione e tras-mutazione dei valori, Messina, Ferrara; Libertà: saggio di
una critica della ragion pura pratica, Messina, Ferrara; Studi sulla dialettica
mistificata; “Lo STATO RAPPRESENTATIVO, Bologna, UPEB; Umanesimo; Studi e
documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi; Logica come scienza
positiva, Messina, D'Anna; Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Storia e
letteratura; La poetica del Lizio nei commenti essenziali degl’umanisti, Bari,
Laterza; Il verosimile filmico e altri scritti di estetica, Roma, Film; La
nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma,
Riuniti; Critica del gusto, Milano, Feltrinelli; Chiave della dialettica storica,
Roma, Samonà; Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar; Critica dell'ideologia:
saggi di teoria dialettica, Roma, Riuniti; Schizzo di una storia del gusto, Roma,
Riuniti; Opere; Ambrogio, Roma, Riuniti; Violi, La Libra, Messina; Dizionario biografico
degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpe.
Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi,
chiave della dialettica storica, la logica come storia, espressione. Refs.: H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft;
Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library,
Liguria.
Grice e Volpi: la ragione conversazionale dell’essere univoco – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Vicenza). Essential Italian philosopher. Filosofo
italiano. “Wild clarity” in Heidegger! Insegna a Padova. Borsista della Humboldt
di Bonn, dell'Institut International de Philosophie, Parigi, dell'Istituto
veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Insignito
dei premi Montecchio e Nietzsche. Altri saggi: Heidegger e Brentano; La filosofia
pratica, Francisci, Albano, Padova – Filosofia pratica e scienza politica, Francisci,
Albano, Padova; Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova, Il nichilismo, Laterza,
Roma, Guida a Heidegger, Laterza, Roma; I titani: una conversazione con Jünger e
Gnoli; Dizionario delle opere filosofiche, Il dio degl’acidi, conversazioni con
Hofmann e Gnoli;L'ultimo sciamano, conversazioni heideggeriane con Gnoli, Storia
della filosofia dall'antichità a oggi con Berti. Per Adelphi cura opere
di Schopenhauer, Heidegger e Schmitt. Collabora alla Repubblica. Mentre e in
sella alla sua bicicletta a Berici, e investito da un'auto e cadde in coma
irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside assieme a
tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed
arti, Parolin, Commozione al Bo per l'addio a V., Giornale di Vicenza. Altri saggi: L'aristotelismo e il problema
dell'univocità dell'essere in Heidegger (Milani, Padova) – cf. Grice,
‘multiplicity of ‘being’ --; Il concetto di decadenza divina; Filosofia
politica; Hegel e i suoi critici, Laterza, Roma; Interprete del pensiero
contemporaneo, Incontro di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti
dell'incontro, comune di Lavarone; Il pudore, Brescia, Morcelliana, Opere su
Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza,
Associazione Asia, Sul valore e la funzione della filosofia; Sul significato e
lo statuto di ‘Essere e tempo’ di Heidegger”, Capurro, Rezension von V.
Heidegger e Aristotele, Daphne Editrice, Padova Zuerst erschienen in: W.
Schirmacher Hrsg.: Schopenhauers Aktualität. Ein Philosoph wird neu gelesen. Schopenhauer-Studien 1/2. Passagen
Verlag, Wien. In seinem 1967 in der Akademie der Wissenschaften und Künste in
Athen gehaltenen Vortrag schreibt Heidegger:
"Die Kunst entspricht das physis und ist gleichwohl kein Nach- und
Abbild des schon Anwesenden. Physisund téchne gehören auf eine geheimnisvolle
Weise zusammen. Aber das Element, worin physis und téchne zusammengehören, und
der Bereich, auf den sich die Kunst einlassen muß, um als Kunst das zu werden,
was sie ist, bleiben verborgen." (M. Heidegger: Denkerfahrungen, Frankfurt
a.M. 1983, S. 139)Für wen bleibt dieser Bereich "verborgen"? Zumal
für unsere technische Zivilisation, die sich mehr und mehr, über alle Grenzen
hinweg, ausbreitet und somit sich jeder Möglichkeit einer selbstkritischen
Distanz beraubt. Und dennoch: wir sind dem nicht ausgeliefert. Heidegger wird
öfter bekanntlich vorgeworfen, er verfalle mit seiner Auffassung des
"Seinsgeschickes" im pessimistischen Mystizismus und ergreife die
Flucht in die Antike durch seinen "Schritt zurück". Nichts von
alledem. Wir lesen im selben Vortrag:
"Schritt zurück heißt: Zurücktreten des Denkens vor der
Weltzivilisation, im Abstand von ihr, keineswegs in ihrer Verleugnung, sich auf
das einlassen, was im Anfang des abendländischen Denkens noch ungedacht bleiben
müßte, aber dort gleichwohl schon genannt und so unserem Denken vorgesagt
ist." (ebda.)Das Thema Heidegger scheint indessen im deutschsprachigen
Raum und insbesondere in der Bundesrepublik weiterhin von aller Art von
Vorurteilen belastet zu sein. Man braucht nur an die klischeeartigen
Ausführungen von Jürgen Habermas in seinen Vorlesungen "Der
philosoophische Diskurs der Moderne" (Frankfurt a.M. 1985) zu denken, um
das Groteske dieses Mißverständnisses (falls der Versuch eines Verständnisses
unterstellt wird) zu exemplifizieren. Und Aristoteles? Er gilt inzwischen für
viele als "Urvater" bzw. "Urheber" der heute herrschenden
Technologie, nämlich der Informationstechnologie Die Bestrebungen der
"Künstlichen-Intelligenz-Forschung", etwa in der Herstellung von
"Expertensystemen", haben in der aristotelischen Logik ihr Rezeptbuch
gefunden. V. lädt uns mit seinem schlicht betitelten Buch Heidegger und
Aristoteles zu einer Begegnung dieser Denker ein, die, ganz außerhalb von
diesen Klischees, zur Sache selbst führt. Der Dialog Heideggers mit Aristoteles
ist zwar ein lebenslanger Dialog gewesen, aber der Verfasser betont mit Recht
drei Höhepunkte, nämlich die frühe
Anwesenheit des Aristoteles in Heideggers Seinsfrage, indem diese durch den
scholastischen Filter Brentanos und Braigs zu ihm drängt und zu Aristoteles
führt;die (etwa zehnjährige) Periode des Ausbrütens von Sein und Zeit, als die
entscheidende Zeit des Dialogs, die sich in den Marburger Vorlesungen sowie in
Sein und Zeit selbst niederschlägt;und schließlich die Anwesenheit Aristoteles'
nach der "Kehre".Dementsprechend fällt der Schwerpunkt von Volpis Ausführungen auf
den zweiten Höhepunkt, der mit der Überschrift "Wahrheit, Subjekt,
Zeitlichkeit" gekennzeichnet ist. Heidegger begegnet Aristoteles ausgehend
von den in der Husserlschen Phänomenologie offen gelassene Frage nach der
ontologischen Konstitution des menschlichen Lebens (bzw. der
"Lebenswelt"). In dieser Begegnung, die auf eine kategoriale
Differenzierung hinausläuft, öffnet sich der Blick für die Kantische Frage nach
der Einheit des Kategorialen, die, sofern sie auf ein endliches Subjekt
zurückgeführt wird, den Zusammenhang zwischen Subjektivität (bzw.
"Dasein") und Zeitlichkeit offenbart. Damit kündigt sich zugleich die
zentrale "These" Heideggers bezüglich des metaphysischen
Seinsverständnisses im Sinne von Anwesenheit, mit der dazugehörigen
Privilegierung der zeitlichen Dimension der Gegenwart an. Gegenüber einer
kategorialen (bzw. "gnoseologischen") Wahrheitsauffassung sucht
Heidegger (Husserl folgend) in Aristoteles die Spuren einer präkategorialen
"fundierenden" Wahrheit, wobei solange man den Bereich eines
endlichen Subjektes nicht verläßt, eine solche "Fundierung" auf die
Einheit von sinnlicher Wahrnehmung und Verstand bezogen bleibt. Der Verfasser
erläutert in klaren Umrissen die Kernpunkte der Heideggerschen Analysen aus De
interpretatione sowie aus ausgewählten Stellen der Metaphysik. Es geht dabei
u.a. darum zu zeigen, inwiefern die Struktur des prädikativen logos nicht nur
in die Frage nach der "Wahrheit", sondern vor allem in die nach dem
"Wahr-sein", also noch einem ontologischen vorprädikativen Sinne von
Wahrheit mündet. Die psyche ist "in" der Wahrheit, d.h. sie ist in
der Weise des "Entbergens" (aletheuein). Während es bei den
prädikativen Wahrheit um die Wahrheit bzw. Falschheit der Aussage geht, geht es
bei der ontologischen Ebene um das "Vernehmen" bzw. "nicht
Vernehmen" (noein / agnoein) des Sich-Entbergenden. Mit anderen Worten,
das Sein, temporal vorverstanden als "Anwesenheit", ermöglicht erst
die Prädikation des "Wahren" und "Falschen". Dieses
temporale Vorverständnis des Seins bildet, wie der Verfasser richtig bemerkt,
die eigentliche "Entdeckung" Heideggers, die ihn zu einem kritischen
Durchgang durch die Geschichte der Metaphysik führt. In einem zweiten Schritt
erläutert Volpi die gewissen Parallelität zwischen den ontologischen
Bestimmungen von "Dasein", "Zuhandenheit" und
"Vorhandenheit" (als die drei Seinsmodi, die Heidegger in Sein und
Zeit eingehend erörtert) und den aristotelischen Unterscheidungen zwischen
praxis, poiesis und theoria, wobei, nach Ansicht Volpis, die Korrespondez
praxis / "Dasein" zunächst ungewöhnlich erscheint. Hier zeigt der
Verfasser, wie mir scheint, den entscheidenden Durchbruch Heideggers in seiner
Kritik der bisherigen Vorherrschaft einer kognitiv-theoretisch orientierten
Bestimmung des Menschen. Hier liegt auch der Anknüpfungspunkt Heideggers am
"praktischen" Denken Aristoteles' in der Nikomachischen Ethik (bes.
im VI. Buch), wobei man erneut die erstaunliche produktive (!) Parallelität,
die aus diesem Dialog hervorgeht, feststellen kann, z.B. in Bestimmungen wie
"Gewissen" / phronesis, "Sorge" / orexis, "Entschlossenheit" / prohairesis,
"Befindlichkeit" / pathe bis
hin zur Deuttung des "Verstehens" im Sinne des nous praktikós. Im
Hinblick auf die Frage nach der Zeit, den dritten Schwerpunkt von Volpis
Analysen dieses zweiten Höhepunktes in der Begegnung zwischen Heidegger und
Aristoteles, ist die (christlich-) kairologische gegenüber der
"chronologischen" Erfahrung der Zeitlichkeit für Heidegger
bedeutsam. Heidegger reift schrittweise,
so Volpi, zu seiner Auffassung, daß die Zeitlichkeit die Struktur menschlichen
Lebens darstellt. In diesem Reifungsprozeß setzt sich Heidegger kritisch mit
der naturalistischen Auffassung der Zeit bei Aristoteles auseinander, indem er,
aufgrund einer Analyse der Bestimmung der Zeit in der Physik, die
aristotelische Definition als die Frage nach dem Zusammenhang zwischen der Zeit
und der (zählenden) "psyche", d.h. also als die Frage nach der
ontologischen Bestimmung der "psyche" nachweist. Der Rezensent kann
hier nur auf den analytisch "glasklaren" Text des Verfassers
hinweisen, der diese schwierige Aus-einander-setzung zwischen Heidegger und
Aristoteles in einer so zentralen Frage meisterhaft bewältigt. von der
aristotelischen ("vulgären") Auffassung der Zeit führt dann der Weg
zur Analyse der "Zeitlichkeit" sowie der "Temporalität",
von wo aus erst das primus und posterius der Bewegung in ihrer Dimensionalität
(wozu auch das nunc gehört) erfaßt werden können. So gelangt Heidegger, von
Aristoteles ausgehend, zur Zeitlichkeitsstruktur des "Daseins" (in
Sein und Zeit). Die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre", so der
Titel des letzten Teils des Buches, weist zunächst auf die Heideggersche
Radikalisierung der Metaphysik (etwa in der "Physis"-Schrift), indem
das (metaphysische) Projekt einer "Fundamentalontologie" verlassen
wird, hin. Der Verfasser vertieft aber die Anwesenheit Aristoteles' in den
Jahren 1929 bis 1931, in denen die Fragen nach dem "Ort" des 'logos'
im Ereignis der Wahrheit (seine weltbildende Kraft), nach dem Sein als
Anwesenheit und als Wahrheit (Sein als "energeia") bis hin zur
entscheidenden Entdeckung des Seins als physis (wie es die
"Vorsokratiker", vermutlich erfahren haben) und seines
"Einfangens" in der techne im Vordergrund stehen. Das Phänomen der
Technik wird vom 'späten' Heidegger insofern radikal in Frage gestellt, als es
die (anfänglich positiv bewertete) Operationalität des "Zuhandenen"
beinahe monströsen bzw. zerstörerischen Dimensionen erreicht. Demgegenüber
betont aber Heidegger, daß techne bei den Griechen das eigentliche
"Gegenüber" der physis darstellt, d.h. das, wodurch die physis in ihrer
Offenheit und "Verborgenheit" aufgenommen wird, sowie das, wodurch
die physei onta so in ihren "Formen" (eidos, idea) erkannt werden,
daß man etwas Entsprechendes gegenüberstellt. Dieses "Gegenüber" von
techne und physisbedeutet aber (noch) nicht den Verlust der physis in ihrer
"überwältigenden" Dimension. Was Heidegger in der
"Physis"-Schrift leistet, so mit Recht der Verfasser, ist eine (im
doppelten Sinne des Wortes) "epochale" Auslegung des Aristoteles,
nämlich eine "Über-Setzung" von Fragen, die längst überholt schienen,
während sie in Wahrheit unserer modernen Auffassung von Natur und Technik
buchstäblich zugrundeliegen. Darauf weist Volpi ausdrücklich im Schlußkapitel
hin. Gerade für eine Analyse der "Moderne" bietet der Dialog
Heidegger-Aristoteles entscheidende Anhaltspunkte. Zwei kritische Bemerkungen
schließen diese Arbeit: Vollzieht tatsächlich das Wesen der modernen Technik
den originären impetus des griechischen logos? Und inwiefern ist dem
"Finitismus" Heideggers zuzustimmen, daß die Zeit den logos formt
(und nicht umgekehrt, wie für die Griechen? V. deutet an, beide Fragen
gewissermaßen vereinigend, daß es einen "polyvalenten logos" gibt,
den es gegenüber einem "eindimensionalen logos" wiederzugewinnen
gilt. Müßte man nicht auch von einer 'polyvalenten techne' (bzw. Technik!)
sprechen? Wie steht es aber dann mit der Frage nach der Kunst? Ist nicht Eros
ein großer Dämon, der zu verdolmetschen weiß? Heidegger in
Dialog mit Platon? Franco Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico:
Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of being in Aristotele, univocita dell’essere;
equivocita dell’essere, essere univoco, energeia, einheit, sein, als energeia,
l’unita dell’essere come energeia. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS.
Luigi Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Volpicelli: la ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi
fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia
fascista -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiaano. Grice: “While Volpicelli
does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a
naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with
interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much
of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come
sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide).
Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore
di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione
politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo
e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di
Filosofia Franchi, Per una teoria dell'auto-governo,
ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente,
ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio
del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e
le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel
suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti
speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una
Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto
di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA
del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in primis
la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente, seppur da
un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si veda), con
il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi studi
di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi e, in
particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento di
GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso rapporto
con una FILOSOFIA unificatrice ed
escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento
speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di
Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce
per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di
analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele
trascrittore della lezione di GENTILE, V. separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA
è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come
individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione
operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e
astratta della realtà. Se dunque l'UNIVERSALITA
FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che
l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma
sul fondamento e nell'ambito della conoscenza
filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo
invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare,
si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA,
dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo
materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il
sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e
quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori
della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un
determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla
consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene
per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo
'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente
già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il manifesto
dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G. Franchi, Araldo Volpicelli.
Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema pure cfr. Losano, Prefazione
a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo, democrazia e corporatirismno, Torino. Sul
punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, Milano. Cfr. Volpicelli,
Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul punto cfr.
Riccobono, Intervento, in La filosofia del diritto IN ITALIA; Alti del Congresso
nazionale di filosofia giuridica e politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La
scienza - sentenzia altrove V. - è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr.
Corporativismo e scienza del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e
politica. Sul binomio realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce
così: "La realtà è una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue
distinzioni - innegabili e imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio,
della realtà come mondo - non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute,
eterogenee; non possono cioè importare una contraddittoria moltiplicazione
reale dell'unità. Le distinzioni sono e debbono essere per definizione
omogenee, e non sostanziali. Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è
vero che la storia è il processo di differenziamento dell'uno: sì
differenziamento e processo unitario, e cioe tale da importare l’omogeneita]
[processo unitario il cui svolgimento, a sua volta, è contrassegnato da una
dialettica intesa come «ritmo della realtà nella sua spirituale natura», ovvero
non come essere ma come farsi. Ciò che V.
tenta di raggiungere, nell'ambito della riflessione giuridica, è la
formulazione di un concetto del diritto che sia capace di incarnare l'intima e
l'immediata attuazione 'scientifica' della teoria 'filosofica' dell'identità di
individuo e Stato», e, al tempo stesso, di schivare il pericolo di una
«arbitraria traduzione di essa nei disparati termini empirici della scienza
giuridica..Dimensione ontologica della filosofia, funzione gnoseologica della
scienza: sono questi i postulati da cui occorre muoversi per intraprendere la
costruzione tanto di una filosofia quanto di una scienza del dintto. La
realizzazione della prima passa per un confronto-scontro con CROCE (si veda),
più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia con i due autori che
con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico di fine secolo, ma
da posizioni differenti: idealista quella crociana, neo-kan-tiana quella del
filosofo romano. La formazione della seconda, viceversa, parte da una revisione
critica della dottrina dei due protagonisti, maestro e allievo, della
pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema di fondo che V. intende
affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia del diritto come
scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un fenomeno
particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La particolarità
del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la possibilità di
essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi subordinata alla
filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla
universalità.Secondo Volpicelli, infatti, un difetto ricorrente delle filosofie
del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di
considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come
entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della
deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione
naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la
filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale
dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma
statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. A. V. Corporativismo e
scienza del diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e Stato, in
Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del
diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia
e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra
una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella
del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in
grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro
canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo»
di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e
necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente
giusfilosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove
si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta
dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del
diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma
giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le
altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto
«non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e
nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un
lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello
spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista,
«concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed
organica. All'interno di questo quadro, V. riconosce - in aperto contrasto col formalismo
neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver
ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la
concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo
«di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione
crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti
speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei
distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della
legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e
Stato.Procediamo per gradi. Per Volpicelli, l'ipotesi di una dialettica tra i
distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che
accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in
Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema
'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto
"come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. Volpicelli, Recenti
indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce,
cL'errore del giusnaturalismo "non consiste nel fatto della sua «fissità»,
nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi (...) ma nel carattere
trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo
conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua
formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di
auto-oggettivazione dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua
manifestazione fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui
l'autoco-scienza - del soggetto agente - «nell'atto stesso in cui costituisce
la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto
valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale
dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto
che consente a Volpicelli di attaccare frontalmente «l'assurdità della
distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è
possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà
individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci
appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali
assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello
spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel
suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività
dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di
una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di
svolgimento dello spirito come eticità»?.Rispetto dunque al primo punto, la
critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità
diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i
vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui
l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli
costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La
teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei
distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana,
sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello
spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic
et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della
filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo
tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di
formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel
sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando
l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale
identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V.
La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei
distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana,
sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello
spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic
et nune in virtù della libertà" (cfr. G. Gentile, I fondamenti della
filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo
tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di
formazione della volontà (sul punto cfr. G. Maggiore, L'unità del mondo nel
sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando
l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale
identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale,
Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile allontanamento
dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli anni
successivi. Più in ge-nerale, sull'evoluzione del pensiero di Giuseppe Maggiore
si rimanda a F. D'Urso, L'emersione del giuridico' nella filosofia di Giuseppe
Maggiore: da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale, in Annali
dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.] [Il vero problema
filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra volontà e
legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente come uno
pseudo-concetto della sfera pratica, Volpicelli considera la legge «regola
imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e irriducibile
dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione arbitraria»,
bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della concreta
volontà»28Se ad una prima lettura la legge appare, perciò, come «l'oggetto in
cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la voluntas «se ne
stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale ragionamento, si
può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la condizione perché
l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non può non
identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e
rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica
«pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà
giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo
per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi -
gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, Volpicelli intravede e
contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica:
concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello
spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per
oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e
unità del va-lore33.A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce,
cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.A. Volpicelli, La teoria del diritto di
Benedetto Croce, cit., p. 273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare
l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare,
nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia
del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea
che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la
scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema
gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il
deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di
filosofia del diritto, cit., p. 28) . Questo approccio ricorda la distinzione
gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno
momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello
spirito come atto puro (1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria
considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID.,
I fondamenti della filosofia del diritto, cit., p. 15).V., La filosofia della
politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V.
La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p. 269.Ivi, p. 272.Ibidem.3° A.
Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, cit., p.
273.Ibidem.Volpicelli considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da
quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le
conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto
nella filosofia, nella scienza e nella vita (1890) - ovvero l'idea che la
filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una
mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include
quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr.
A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, cit., p.
28) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in
sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello
spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro
(1913), Firenze 2003, pp. 220-221), e la categoria considerata come
"contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti
della filosofia del diritto, cit., p. 15).A. Volpicelli, La filosofia della
politica di Benedetto Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica,
VI, 1928, p. 322.479 Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [Volpicelli
riconosce al formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante
merito ma, di contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva
responsa-bilità: il suo pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità
e l'universalità del diritto», il suo difetto nello «essersi arrestato a un
concetto astratto e antistorico della categoria del diritto», 34.Il formalismo
neo-kantiano, in altre parole, riaffermando «l'apriorità e categori-cità del
diritto», rivendicava «legittimità ed autonomia della rispettiva indagine
filo-sofica»35. Un'autonomia che, in Volpicelli, va sempre però concepita entro
il perimetro della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di
essa36. L'insuperabile limite del neo-kantismo, allora, appare quello di
inseguire un'illusione, ossia di poter sostenere «l'autonomia dottrinale di
quella particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia
generale e della giurisprudenza»37.E arriviamo, così, all'analisi del maggiore
e più influente esponente del neo-kan-tismo italiano, ovvero Giorgio Del
Vecchio38. Volpicelli contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la
distinzione tra concetto e idea del diritto - che ripro-pone, sotto mentite
spoglie, quella tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la
filosofia che studia il diritto universale3; la riproposizione,
consequen-ziale, dei tre 'compiti' (gnoseologico, fenomenologico, deontologico)
del diritto *".A. Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce,
cit., p. 241.Ivi, p. 212.Volpicelli, nel ritenere che la filosofia del diritto
come "un'autonoma scienza filosofica" nasce con Thomasius, interpreta
la sua distinzione tra diritto e morale come specchio della distinzione tra
diritto naturale e diritto positivo (cfr. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani
di filosofia del diritto, cit., p. 25).A. Volpicelli, La teoria del diritto di
Benedetto Croce, cit., p. 243. Per comprendere meglio la prospettiva
volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di Igino Petrone. Sebbene
consideri la sua filosofia come "unico sforzo compiuto dal filosofismo
accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti
speculativi", in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori kantiano
diviene "una statica e trascendente idea innata" e, di conseguenza,
la realtà fenomenica come una"bruta empiria avente fuori di sé il suo
principio" (cfr. Id., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto,
I, cit., 30-31). Pertanto, nel suo idealismo critico "permaneva, in fondo,
tenace la concezione positivistica" (cfr. ivi, p. 29).Quando ci riferiamo
al neo-kantismo italiano, come sostiene nella sua ricostruzione
storico-filosofica Nicola Tabaroni, possiamo individuare tre autori 'per
antonomasia', ovvero Igino Petrone,Adolfo Ravà e, per l'appunto, Giorgio del
Vecchio; in merito cfr. N. Tabaroni, La terza via neo-kantiana. Della
gius-hlosofia in Italia, Napoli 1987, pp. 5-6.Una problematica, questa, che
viene approfondita da altri studiosi prossimi alla filosofia attuale, tra i
quali certamente spicca Angelo Ermanno Cammarata. Si ricordi, a riguardo,
soprattutto il Contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza
(1925), in cui emerge, come scrive Teresa Serra, la necessità di "ridare
legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della
realtà del diritto" (cfr. T. Serra, Angelo Ermanno Cammarata: la critica
gnoseologica della giurispru-denza, Napoli 1988, p. 61) V. Recenti indirizzi
italiani di filosofia del diritto] [In primo luogo, egli ritiene che «la
fenomenologia del diritto» coincida con «la storia stessa del concetto di
diritto»4: tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del
concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale
identità. Un'identità che consente a Volpicelli di accentuare quell'avvi-cinamento
tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile nell'opera gentiliana e
già intrapreso da Maggiore, che, pur riprendendo nozioni kantiane, le plasma e
le adatta all'interno della sua speculazione a consolidamento e sostegno della
posizione attualista43.La forma, per Volpicelli, è sempre «forma viva», ossia
«concreta, processuale e differenziantesi»: una forma che, così intesa, può
essere perfino definita come «il contenuto medesimo nella sua spiritualità»*.
Una forma che non può mai identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di
derivazione neo-kantiana, dell'«univer-sale logico»*. Da qui, la seconda
fondamentale critica a Del Vecchio, ossia la sua fatua distinzione tra essere e
conoscere. Il fenomeno giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura,
come un qualcosa «che non cade fuori dall'atto che la pro-duce», ma piuttosto
come una realtà «in cui si individua, e cioè si converte e rifonde senza
residuo, l'universale attività concepente»*.La riconduzione dell'elemento fenomenico
nell'ambito formativo del processo spirituale determina, altresì,
l'identificazione della conoscenza con il valore, o meglio, dell'attività
conoscitiva con quella valutativa. Lungi dall'accogliere la separazione
weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di valore, Volpicelli perviene al
rifiuto dell'altra importante dicotomia nella filosofia delvecchiana, ossia
quella tra idea logica e idea valutativa, da cui derivano rispettivamente il
«giudizio storico-positivo» e il «giudizio deontologico-razionale»47. Per
l'allievo di Gentile, «conoscere è, indi-stinguibilmente, e in sé medesimo,
valutare» perché ogni valutazione avviene sempre in re, e non extra o post rem,
e pertanto «è possibile e giustificabile solo nell'attoUn concetto di diritto
che "non è nulla di diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è
proprio, assolutamente, quest'ultima" (cfr. ibidem).Il Kant 'attualista' è
quello che apre all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il
ribaltamento del rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della
preesistenza della realtà al pensiero."Una tale conquista - osserva
Franchi - che capovolge il tradizionale rapporto tra il pensiero e l'es-sere,
si sarebbe però arrestata, secondo Volpicelli, con il riconoscimento di un dato
che trascende il pensiero, cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare
una forma, e che avrebbe obbligato Kant a introdurre nel suo sistema il
concetto di «noumeno», elemento non conoscibile dall'intelletto, a fondamento
della stessa realtà naturale" (cfr. G. Franchi, Amaldo Volpicelli, cit.,
p. 19).A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I,
cit., pp. 42-43.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del
diritto, II, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1931, II, p.
108.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, I,
cit., pp. 44 e 47.A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del
diritto] conoscitivo, e non fuori o dopo di esso»48. Il valore, dunque, finisce
per identificarsi con l'essere in maniera ancora più netta rispetto al
fenomeno, essendo non altro che «la stessa formale ed infinita creatività dello
spirito»: un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero
«l'autoposizione e l'infinità»49Il valore così definito svolge, all'interno
della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia
quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione
giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua «spirituale natura e
immanenza», alla sua indole «interiore e cosciente» e alla sua«inesauribile
dialettica», il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare
espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'«essere
doveroso e continuo»: un diritto che «è sempre giusto»°. Alla luce di ciò,
appare assolutamente inutile ipotizzare un diritto naturale a priori, eterno,
immutabile, espressione di un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il
giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere
filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e
'procedurale' all'interno della realtà dello spi-rito: idealità e realtà, in
definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre
nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante della scienza del
diritto, Volpicelli legge con interesse critico tanto l'opera di Vittorio
Emanuele Orlando quanto quella di Santi Romano. Il confronto con entrambi
scaturisce dall'interesse per lo Stato, in particolar modo per la sua
definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In
sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto
pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due
giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi
apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e
legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi
Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto
rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione
dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo
con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano
della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e
caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di
determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto
giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa
interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da
Volpicelli in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi
"secondo le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce
"già per ipotesi il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. Volpicelli,
Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per
tutti i possibili fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a
questo formalismo che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza
«nell'assurda pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi
scientifici»52.Per Volpicelli la scienza, in generale, «non astrae dalla
realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è
in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è
l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non
possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della
realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza
dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé
stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal
di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può
scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica
non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i
fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza
giuridica» perché essi hanno una «vera e genuina natura metagiuridica»56.La
scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non
dalla politica e dalla storia»57. Il grande torto di Orlando, come si vedrà,
sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla
politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. Volpicelli,
in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e
antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di
cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse
storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre,
egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (@, in Nuovi studi
di diritto, economia e politica, Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III),
in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927, I, р. 200.54 Ivi, p.
201.SS Ivi, pp. 205-206.Ivi, p. 206.Ibidem. VITTORIO EMANUELE ORLANDO Volpicelli,
in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e
antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di
cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse
storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre,
egli sottolinea positivamente51 A. Volpicelli, Santi Romano (I), in Nuovi studi
di diritto, economia e politica, I, 1929, p. 17.52Ivi, p. 18.53A. Volpicelli,
Vittorio Emanuele Orlando (III), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,1927,
I, р. 200.Ivi, p. 201.Ivi, pp. 205-20636 Ivi, p. 206.Ibidem.A. Volpicelli,
Vittorio Emanuele Orlando (D), in Nuovi studi di diritto, economia e politica,
1927, L, p. 14. In verità, come osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta
affinità con l'impostazione orlandiana, si può riscontrare quel più generale
consenso verso "quella pregiudiziale antropologica (di ispirazione
anti-individualistica e organicistica) che collega Volpicelli non solo ad
Orlando, ma all'intera tradizione giuspubblicistica" (cfr. P. Costa, Lo
Stato immaginario. Metafore e paradigmi della cultura giuridica italiana fra
Ottocento e Novecento, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del
giurista palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del
giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno
strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la
distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione
che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto
naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge)
dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò
non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno
sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra
Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore -
nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che
rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto
che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua
formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in
quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso
tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il
terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica,
delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica
rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e
contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere
pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della
politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono
agevolmente identificabili: la scienza del59 Orlando, infatti, da un lato
considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica
della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che
"ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come
immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. Volpicelli, Vittorio
Emanuele Orlando (1),cit., p. 16).Volpicelli scorge in questa separazione un
retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene
riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma
l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto;
contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo"
(cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella
scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e
alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica)"
(ibidem). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello
Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una
realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà
"immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. Volpicelli,Vittorio
Emanuele Orlando (D), 1927, I, cit., p. 17).Cfr. A. Volpicelli, Vittorio
Emanuele Orlando (1), 1927, I, cit., p. 17.Il confronto di gentile con la
filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema
triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi
che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul
punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la
filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema
triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi
che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul
punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana (1913),
Firenze 2003. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa
organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore,
Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo
e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento
istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare
alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno
rapporto con la progressiva e piena volontàumana» 64.In sintesi, diritto e
politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non
del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte
della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo
Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto"s.L'approccio orlandiano,
in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il
valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il
fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue
correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si
enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite
della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e conciliare
in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma inadeguati ed
erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto pubblico del sec.
XIX»: la scuola 'francese', che continua a dare forma «alle premesse
politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che al
contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo tradizionale»67Se,
dunque, il legame con la scuola storica lo conduce all'inaccettabile
divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato), l'attenzione al
modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente abbandono proprio
della dimensione storica (rectius: politica) della realtà giuridica in quanto
realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque, sarebbe quella di
non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di non aver costruito
una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare «l'autonomia e
l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato giu-ridico» e
«della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal vano sforzo
di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà statuale con
l'esigenza64Ivi, pp. 20-22.6Ivi, p. 21. Sul rapporto tra diritto e politica,
come suggerisce Irene Stolzi, Volpicelli - insieme ad Ugo Spirito con il quale
condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi studi,
rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello
giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse
l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo
totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius
(www.historiaetius.eu), 2/2012, paper 14, p. 6).6Ivi, p. 23.6 A. Volpicelli,
Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p. 183.68 In verità, rileva Aldo
Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione
della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune
culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal
quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti
approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e,
infine, soprattutto Jellinek (cfr. A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza
del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A.
Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando] di riconoscimento della libertà politica
ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile
giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità
statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a
coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e
determinatosistema di norme giuridiche»70.La libertà civile, intesa in senso
volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i
presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita
nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente
dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo
fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra
connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica
pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due
formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra
ius - in quanto materializzazione dello70 Ibidem. Il problema
dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento
teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il
giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale.Se la
dottrina di Jellinek ha il merito di mirare alla "organica
coesistenza" di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano
Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria
dei diritti pubblici Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato
spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando
e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per
un ulteriore chiarimento concettuale.Se la dottrina di Jellinek ha il merito di
mirare alla "organica coesistenza" di sovranità e libertà, sulla
limitazione del potere sovrano Volpicelli esprime chiaramente la sua posizione
differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi: secondo
quest'ultima, infatti, "limitazione giuridica del sovrano vuol dir
soltanto relazione giuridica di esso col suddito: relazione insidente nell'atto
stesso onde lo Stato legifera o pone il proprio comando nella forma di
legge" (cfr. A. Volpicelli, Vittorio EmanueleOrlando (III), cit., pp.
193-194).In Volpicelli, dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso
del limite. Essa, infatti, non è mai e solo "un unilaterale comando al
suddito", ma è sempre "un comando a se stesso", ossia "un
continuo organizzarsi e procedere giuridicamente" (cfr. ivi, p. 194). Del
resto, se 'filosoficamente'Stato e individuo si identificano, in ambito
giuridico la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché
presuppone l'auto-poiesi di uno Stato, che si astrattizza nella fictio iuris
della persona giuridica. Una fictio che poi si 'sdoppia' attraverso il
riconoscimento della personalità giuridica del cittadino.La teoria dei diritti
pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti ontologicamente
diversi; l'attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti
di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, Stato-individuo, è sempre
'interno' e mai 'esterno'. Perciò, su un piano speculativo è inaccettabile; ma
da un punto di vista della scienza, nel senso astratto datogli da Volpicelli,
potrebbe anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in
tutte le sue conclusioni.Rispetto ad Orlando, dunque, Volpicelli cerca una
sorta di interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e
della dottrina dell'autolimitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello di
essere partito "dal puro atto legislativo ut sic, senza pretesa alcuna di
assegnare e imporre allo Stato un determinato atto legislativo iniziale",
evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo (cfr. ivi,
p.196)."Ivi, p. 190. "Legiferare è limitarsi": pertanto,
"Stato legislatore e Stato giuridico non sono, in-somma, due Stati o parti
staccate ed eterogenee di un unico Stato - una originaria e sottratta al
diritto (autocratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e
vincolata da esso", bensì "i due momenti ideali e inscindibili
dell'unico Stato nel suo eterno processo di posizione e costituzione di
sé" (efr. ivi,p. 195).Lo Stato legislatore, in definitiva, "è
continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato Stato
giuridico", cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo
di produzione della giuridicità] [Stato - e lex - in quanto astrazione
individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata
da Orlando, in cui rimane impossibile «conciliare la sta-tualità del diritto
con la sua preesistenza allo Stato». In definitiva, attraverso tale duplice articolazione,
Volpicelli finisce, volente o nolente, per assecondare - tramite il diritto -
quella indispensabile identità gentiliana di libertà e autorità -- sovranità. Il
percolo di una separazione tra Stato e società, già paventatosi in Orlando,
trova, secondo Volpicelli, con l'affermarsi dell'istituzionalismo romaniano,
un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità di
sviluppo. Per far sì che «la società sia l'immanente sostanza dello Stato» e
che quest'ultimo si trasformi nella «coestensiva e interiore organizzazione
autorevole» della societas me-desima, occorre che il diritto pubblico, lungi
dal ridursi alla «figura del rapporto politico tradizionale atopicamente
concepito», incominci a «svolgersi e articolarsi in un compatto sistema
d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale»74.In questo senso,
Volpicelli può ben richiamarsi a L'ordinamento giuridico nel sostenere che «il
diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici», bensì una
«compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come
particolari e subordinati momenti». Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una
«organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in
un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono»76. In
sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile,
l'inscindibile connubio tra ius e societas. Un connubio che trova la sua
primigenia unità nell'individuum72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III),
cit., p. 199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De
Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile,
I fondamenti della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra
autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto,
Nichilismo e Stato totalitario, Napoli2007. 74A. Volpicelli, Santi Romano (I),
cit., p. 10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra
le azioni umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana
• openstarts.units.it72A. Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando (III), cit., p.
199. Sul rapporto tra individuo e Stato inVolpicelli cfr. A. De Gennaro,
Crocianesimo e cultura giuridica, cit. pp. 365-366.73 Cfr. G. Gentile, I fondamenti
della filosofia del diritto, cit., pp. 65-88. Sul rapporto tra autorità e
libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. G. M. Barbuto, Nichilismo e
Stato totalitario, Napoli2007. 14A. Volpicelli, Santi Romano (I), cit., p.
10.75 Ibidem. Per Volpicelli la norma "è una linea divisoria tra le azioni
umane", una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che
costituisce "un limite oggettivo" con "due facce assolutamente
congrue" (cfr. A. Volpicelli, Santi Romano (continuo e fine), in Nuovi
studi di diritto, economia e politica, 1929, VI, p. 363). Più in generale,
l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici
appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o
vicini alla filosofia attualista. Oltre a Volpicelli, come ricorda Irene
Stolzi, anche Maggiore e Panunzio riconobbero a Santi Romano "il merito di
aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di
aver chiarito come tale identità non potesse in alcun modo esser ricavata dalla
mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto positivo"
(cfr. I. Stolzi, L'ordine corporativo.Poteri organizzati e organizzazione del
potere nella riflessione giuridica dell'Italia fascista, Milano2007, р. 105).76д.
Volpicelli, Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, «nel senso più
genuino e completo», sono, infatti, presenti già «nell'individuo isolato», il
quale, malgrado rimanga «chiuso della sua vita interiore», in quanto
espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce «un solido e
articolato sistema di volizioni e mezzi di vita, di poteri e istituti, di
garanzie e di norme, di facoltà e obblighi»; e quindi una forma di «redenzione
essenziale di sé con sé», motivo per il quale va considerato, senza ombra di
dubbio, come una «società formalmente piena e perfetta»"?.Tuttavia, ciò
che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un
diritto oltre lo Stato8. Il diritto, infatti, «è l'obiettivazione positiva
della volontà dello Stato», ossia «l'organizzazione statica e obiettiva in cui,
di momento in mo-mento, si configura e conchiude il vivente processo politico
dello Stato». Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Santi Romano -
ma soltanto quella che si incarna nella forma', ma soprattutto nella
'sostanza', dello Stato. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire
quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione
dello Stato e, di conseguenza, della società tout court.In definitiva, se, da
un lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-for-malista e
anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è
possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero
- da una lettura accentuatamente 'progressista' e 'innovatrice' del saggio di
Santi Romano8:l'istituzione, in ultima analisi, secondo Volpicelli, non può che
essere lo Stato, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla
sua ipostatizzazione moderna,V., del resto, legge in chiave assai personale
anche la crisi dello Stato moderno: nella sua ottica, il superamento dello
statualismo ottocentesco rappresenta "il passaggio dalla concezione
nor-mativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e
pubblicistica del diritto", ovvero"dalla concezione atomistica e
formalistica a quella socialitaria ed organica dello Stato" (cfr. A.
Vol-picelli, Santi Romano (continuo e fine), cit., p. 363).79 Ivi, p. 351.8 In
realtà, la teoria di Santi Romano andrebbe letta come un tentativo di
conservazione. attraverso l'adozione di un modello organicistico e
anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia,
avrebbe dovuto definitivamente accantonare le forme giuridiche ottocentesche.
In tal senso, come scrive Sabino Cassese, la visione di Santi Romano
rappresenta "il contrario del plurali-smo" (cfr. S. Cassese, Lo
Stato, «stupenda creazione del diritto» e «vero principio e vita», nei primi
anni della Rivista di diritto pubblico (1909-1911), in Quaderni fiorentini,
Milano 1987, p. 507). Pertanto, seguendo le parole di Alfonso Catania, si può
ulteriormente concludere che Romano "elabora una concezione giuridica che,
lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la
possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà
stessa, in questo senso la forma-lizza, in questo senso depotenzia il
conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua
struttura ordinamentale-organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in
cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa
dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla
reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti
sulla scena storico-politica" (cfr. A. Catania, Formalismo e realismo nel
pensiero di Santi Romano, inId., Teoria e filosofia del diritto. Temi,
problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora
cfr. A. Sandulli, Costruire lo stato.] [cideve assumere l'attributo
dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi «teoria della pluralità
degli ordinamenti giuridici» rappresenterebbe «il logico corollario» di una
concezione formalistica del diritto e, a un tempo, «la negazione flagrante della
istituzionalità del diritto»8'. Il diritto, in altre parole, «è istituzione»
solamente «se e perché il mondo dei rapporti giuridici» si origina, si sviluppa
e si conserva come «una compatta unità» 82.Ciò che, dunque, finisce sotto la lente
critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da parte
della scienza giuridica, di una teoria che consideri «il diritto o
l'istituzione ut sic, nella sua purità e generalità», e che risponda così, in
maniera fatua ma pericolosa, «al più tormentoso ed insistente problema della
moderna giuspubblicistica», ovvero quello di «legare o subordinare lo Stato al
diritto»83Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una
surrettizia e apparente identificazione tra Stato e ordinamento, si traduce in
un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus
'istituzione'.Nel rigettare contestualmente l'identità Stato-diritto e
l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di
istituzione, Volpicelli ravvede il verificarsi di una fallacia analoga a quella
naturalista. Sebbene, infatti, lo 'statualismo' sia, storicamente e
filosoficamente, antitetico al giusnaturalismo perché dà al diritto «una'fonte'
immanente e positiva», ovvero un «istituto», esso finisce per cadere nella
stessa fallacia, ossia di «subordinare al diritto lo Stato, che da tale
subordinazione trarrebbe la propria esistenza e legittimazione giuridica, 84.
L'unica legittima identificazione - su un piano filosofico - di Stato e diritto
è quella che vede il secondo come «l'incessante organizzazione obiettiva del
concreto processo politico», laddove 'politico' corrisponde con
'etico'85.Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (Stato),
tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile,
in Volpicelli viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del
diritto internazionale. Se lo Stato è, dunque, quella «concreta realtà politica
che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o
istituzione giuridica»8, si pone il problema di definire, in maniera coerente
con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e il resto
del mondo, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior
ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra
l’Italia e il resto del mondo (no una corporazione) trascende e comprende bensì
il singolo stato italiano come soggetto giuridico -- rectius: i singoli
ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo lo stato italiano
come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore. Volpicelli, Santi Romano] [dell'organizzazione
giuridica internazionale. Solo in questo senso l'ordinamento internazionale può
delinearsi come «unica istituzione o organizzazione giuridica» all'interno
della quale sussistano molteplici «relazioni giuridiche» che sono appunto«di
ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento
della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico
come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia 'attuale':
lo Stato si identifica col diritto astratta-mente, ma non concretamente. Sia
nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui
Volpicelli continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi
scientifica), non quella politica (e quindi filosofica). Lo Stato, come realtà
concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a
identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato fascista italiano politicamente, o
meglio, eticamente, inteso, un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione
giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo,
corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura
fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo
Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione.
H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il
naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.
Grice e Voltaggio: all’isola, la scienza della fantasia di Vico -- la
ragione conversazionale del ‘vel’: p v ~p – fondamenti della logica – filosofia
italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually
said and not just implicated.” “Voltaggio also clarified
Husserl to me.” Filosofo italiano. Si
laurea a Roma sotto ANTONI. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Cappo ridattore
di Sapere, collabora con Il manifesto, Lettera, di cui è socio fondatore, Apeiron,
Janus, e Medical. Consulente di Sigma Tau di Roma e dell'istituto psico-nanalitico
per le ricerche sociali, membro del seminario di filosofia di Senigallia. Altri
saggi: Fondamenti di logica, Milano, Comunità; La funzione critica, Roma; Che
cosa ha veramente detto Leibniz, Roma, Ubaldini; Scienza, Milano, Comunità; I
filosofi e la storia, Milano, Principato; L'arte della guarigione, Torino,
Bollati; Il filosofo nel bosco, Roma, Di Renzo; Scienza filosofica, Roma,
Laterza; Italia mediterranea: I flussi migratori nelle principali città
rivierasche, Roma, Edup; Antigone tradita: una contraddizione: libertà e STATO
nazionale Roma, Internazionali; Il paradosso dell'infinito, Milano, Feltrinelli;
Epistemologia e politica della ricerca, Roma, Armando; L'evoluzione di un
evoluzionista, Roma, Armando; La conoscenza inespressa, Roma, Armando -- ‘a bit
like my ‘tacit knowledge’ – Grice. --; L'ora della socio-biologia, Roma,
Armando; L'arte della ricerca scientifica, Roma, Armando; Il potere: processi e
strutture: un'analisi dall'interno, Roma, Armando; Progresso e razionalita
della scienza, Radnitzky, Andersson, Armando, Roma); Verene: “VICO: La Scienza
della fantasia” Armando, Roma; L'intelligenza scientifica: un'indagine
sull'immaginazione creatrice dello scienziato; Roma, Armando; Filosofi per la pace,
Roma, Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords:
Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della
logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz
implicated, as explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,”
BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria
Grice e Vopisco: La ragione
conversazionale all’orto di Roma– filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Roma). Filosofo
italiano. L’Orto. Patron of STAZIO (si veda). Grice: “When I say ‘Garden’ I
mean: ‘filosofo che segue la dottrina dell’Orto” – i. e. Marius, the Epicurean!
The category of ‘patron’ is more
or less publicly unknown in Oxonian philosophy. The term is applied to what the
stereotypical patron was applied, as when we say ‘Mecenas’ without meaning
‘Mecenas.’ Inglobati nel parco di Villa Gregoriana sono i
resti di una antica villa romana. Essendo consoli a Roma Quinto Ninio Asta e
V., dal genitore di V. e infatti edificata a Tivoli una villa di cui il STAZIO
(si veda) ci dà conferma nelle sue “Sylvae.” Questa lussuosa villa e tanto
spaziosa che si estende dall'attuale ingresso di Villa Gregoriana fino all'ex
albergo Sirene. Le fonti antiche infatti ci dicono che la dimora e abbastanza
articolata ed estesa. Il terreno e attraversato da un canale di acqua,
proveniente dal vicino Aniene, che la divide in due parti: una era posta
all'interno di Villa Gregoriana mentre l'altra e situata appunto vicino all'ex
hotel Sirene. La scelta del luogo ove edificarla e influenzata dal fatto che
qui si estende il bosco sacro di Tiburno, qui c'e la grotta della Sibilla, qui
si ergevano i templi magnifici ed imponenti dell'acropoli. Dagli studi compiuti
alcuni sostengono però che la villa Vopisco non sarebbe stata costituita da due
ma da tre aree, attraversate dai canali Stipa e Chiavicone o V. i quali sono
una specie di valvola di sfogo quando l'Aniene e in piena. Stipa dà luogo alla cascata
del Bernini, dal Bernini che ri-struttura il canale di origine romana. STAZIO
(si veda), nella sua opera, Sylvae, considera un'attrattiva della villa V. il
fatto di essere fornita di acqua potabile dall'Acqua Marcia. Interessante a tal
proposito è la fistola trovata in piombo. Nella villa infatti, nel corso delle
esplorazioni, è stato rintracciato un acquedotto così come è documentata la
presenza di una piscina utilizzata per l'allevamento ittico. Attualmente della
villa rimangono solo 13 ambienti aperti e finalizzati ad essere delle
sostruzioni su cui poggiare le varie parti edili della villa sovrastante.
L'idea dell'architetto e che essi, guardandoli, dessero l'impressione di
trovarsi davanti a delle grotte naturali e per questo motivo dove e possibile
si lascia intatto il terreno roccioso. Tuttavia si suppone, basandoci sulla
testimonianza di fonti, che la dimora e costituita da vari padiglioni isolati.
Non è semplice oggi però la lettura di ciò che resta del complesso anche se
Canina tenta di ricostruire come la villa doveva essere.Publio Manlio Vopisco. Keywords:
la villa del filosofo.
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