Luigi Speranza --
Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il
potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente
aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere
romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che
egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di
Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè
partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di
Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di
Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più
sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla
protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi
frammenti dei scritti del M. in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel
Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto
coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi
filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori
filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come
down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the
testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and
affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who
speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one
entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of
Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were
introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected
and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii
Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a
Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and
Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever
dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum:
physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet,
id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius
interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor
ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit
bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N
unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL
ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn,
"EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the
list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//» ftt.y. !f
'8 )>: 9 .éffsuz^ncsÉ OtjJ A, «a
k.Sm i STORIA DI CAJO CILNIO M.
CAVALIERE ROMANO SCRITTA, X DEDICATA A S. A. S. il Signor
Principe FEDERICO DI SAXE-GOTH A DaU’Avv. Sante Viola
P. T. ROMA i8£Ó.
Presso Francesco Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9 A spese degli
Eredi Raggi Libra] al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA Allorché io
mi occupava a raccogliere le Memorie Istoriche della Vita di Cajo Cilnio M. 9
pensai ocacciare al mio Libro un Protettore nella Persona dell’ A. V.
S. sapendo quanto sia benemerita della Letteratura, delle Arti, e
de’ loro Coltivatori ; e sebbene la piccolezza della mia Offerta dovesse
sgomentarmi, tuttavia fatto coraggioso dalla grandezza del suo magnanimo
cuore, restai fermo nel mio pensiero, persuaso, che la Storia delle
geste civili, politiche, e morali di quell’ esimio Cavalier Romano,
doveva presentarsi ad un Principe i nel quale si ammiravano per singoiar
modo trasfuse le doti più belle \ di cui era quello fregiato. E come
non dovrà celebrarsi P A. V. S. nel vederla animata dal genio
istesso del gran Cibilo riguardo al progresso, ed al miglioramento delle Arti
> e delle Scienze? In Roma, Capitale di un vasto Impero, M.
avvalorava i talenti, proteggeva i Dotti, e dava così un impulso potente alla
Civilizzazione del Genere umano ; e F A. V. 5. nell* istessa
Capitale, ora Sede, e Maestra del buon Gusto, e delle Arti, accoglie con
amorevolezza, onora con discernimento, protegge con costanza tutti gli
Artisti, e Letterati, de’ quali la stima, la venerazione, e T amore
sono ben dovuti all’A. V. per quella soavità di maniere, ed
eminenti virtù, che in tanta copia brillano i n tutte le di Lei azioni. Se l’A. Y. S. si degna di
accogliere sotto la benefica, e valevole sua Protezione questo mio
qualunque siasi lavoro, andrà esso fastoso vedendosi onorato di qùelNome
illustre, che ridesta la dolce memoria de TI grandi Avi dell’ A. V. S. i
quali in ogni epoca recarono decoro alla Patria, onore, e gloria alle
Contrade Alemanne. Supplico PA.V.S. di aggradire i sentimenti di
quella profonda venerazione, ed invariabile ossequio, con cui ho, l’onore
di rassegnarmi. Di V.A.S. Vino Dmo
Obbmo Servo SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio
Cilnio M. ebbi di mira soltanto la riconoscenza dovuta alla memoria
di questo grand' Uomo, che fù il più zelante promotore delle belle Letter
e, l'Amico sincero, il Protettore liberale di tutti li Letterati suoi
contemporanei. Per lo spazio di circa tredici, o quattordici
Secoli il nome di M. fu sepolto, per dir cosi, nel seno dell' oblio ;
effetto della barborie de' tempi. Giovanni Meibomio fù il pririio a
raccogliere tutte le notizie relative alla Vita di questo esimio
Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro avente per
titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus gestis. Prima del
Meibomio ne aveva scritta una Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua
Ca stigliarla. Ma quest’Opera non potè procacciarsi un incontro felice per le
stravaganze, di cui era ripiena, portando l' impronta piuttosto di un
Romanzo, che di una Storia, conforme osserva il lodato Meibomio. Praeloq. ad
Lect. : Historia Vitae Maecenatis a Jo. Paulo Martire Rizzo Lingua Cast igliana
de script a. . Tantum enimabest, ut illa sit historia, ut parum absit ad
fabulas abeat. Circa treni' anni dopo l’Opera di questo, cioè,
Cernii diede alla luce in Roma con le stampe di Lazzari una Vita di Cajo M.
Ma questa operetta per lo stile inelegante, ed uniforme al gusto di
quel secolo, sembra che non riportasse tutta l’approvazione de’letterati,
essendo caduta in una quasi totale dimenticanza ; ciò non ostante l' Autore,
con la scorta del sudetto Meibomio, non omise di riunire molte
notizie sulla Storia di M., estratte dagli Autpri antichi. Altri ancora posteriormente hanno
parlato, e scritto sul medesimo soggetto. Nel 1 j 46. fu publicata
in Parigi da M Riclier una Vita di M., e successivamente V Abb.
Souchay fece una raccolta di notizie in una Dissertazione inserita nelle
Memorie dell'Accademia dell’Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno M.
Avendo profittato de' lumi, che questi Autori diffusero nelle loro Opere, e non
avendo omesso di esaminare li Scritti di Livio, Dione Cassio,
Appiano, Tanfo, e Vellejo Patercolo fra li Scorici antichi, non che quelli
dì Seneca, Macrobio, ORAZIO (vedasi) Flocco, Virgilio, Properzio,
ed altri, ho tessuto questo qualunque siasi lavoro, con aver procurato di
non CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal.. ... r j deviare
nella narrazione de' fatti dà un ordine regolare, e cronologico. Fra li
moderni ho fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo Echard
(1), e degli eruditi Catrou, e Rovillè (2 ), nelle quali oltre a non poche
notizie relative al mio assunto, ho toltili materiali sulla Storia
contemporanea, con aver però ri-* scontrati li fonti, in cui quelli
avevano ati tinto, Lapresente Operetta è divisa in IV Libri. N
el primo si sono rintracciate le Notizie sull’ origine, e sulle qualità
della Famiglia de' Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro M. può
essere entrato nella CorQe di Ottavio Augusto, e si nota tutto ciò che vi
ha di più rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al
Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra detta di Perugia, cagionata
dagl intrighi di Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio. Contiene ancora le operazioni del
medesimo M., e prima, e dopo la disfatta di Bru-> to, e Cassio
nelle Campagne di Filippi, (1) Storia Romana dalla Fondazione di
Roma sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Costantino scritta in idioma
Francese dall’ Abb. delle
Fontane sopra l’Originale Inglese. Venezia 1751. (*) Histoire
Romaine depuis laFondation de Rome par les RR. PP. Catron,
et Rovillè. Paris. Il secondo Libro
comprende la serie de folti relativi alla Storia di M. dalla
indetta disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato
Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epoca, in cui Ottavio rimase il solo
Dominatore della Romana Gran dezza. N el terzo Libro si vedrà il Congresso
tenuto da questo con Agrippa, e M. per deliberare, se, stante V
estinzione del Triumvirato, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo
il sistema Republicano, o se dovessero gettarsi le basi di una Monarchia
Universale, e qui si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi,
recitati l’uno da Agrippa, che perorò per la Repuhlica, e l’altro da M.,
il quale fa di opposte sentimento, ed opinò per lo stabilimento della
Monarchia ; e come Ottavio antepose le ragioni di questo alle riflessioni
di quello. N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse l influenza
di M. sullo spirito di Ottavio, divenuto Imperadore, e quale la deferenza di
questo verso di quello. Si ravviserà inoltre quanto grahde fosse la
protezione, c la liberalità di M. verso i Letterati, e quale
impegno avesse per il progresso dèlia Letteratura, e delle Scienze. In
fine sipario della Morte. Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia, Appendice
divisa in tre Discussioni, che sonuninistrano de' schiarimenti, ai altre-
memorie, che in quella, q erano state omesse, o appena accennate. Le prime
due Discussioni abbracciano Le notizie relative ai celebri Giardini, ed
Abitazione, che M. possedeva in Roma, ed alla magnifica sua Villa
situata sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli. La terza si
aggirerà sulla pretesa Febre perpetua, e Veglia Triennale, che Plinio il
Naturalista attribuisce a M. Tutte le volte, che questo grand’Uomo
trovò degl' imitatori nella protezione, e nel favore delle Lettere,
e dei Coltivatori delle medesime si viddero comparire degl ' ingegni
prodigiosi, e la Letteratura fece mirabili progressi, In fatti a
questa imitazione siamo debitori di tante utili scoperte, e di quelle
venuste produzioni dello spirito umano, che viddero la luce sotto i
Leoni, sotto gli Alfonsi, e in tutte le altre epoche, nelle quali le
fatiche de' Dotti furono r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti. Se
pertanto questa imitazione non sarà posta in oblìo, e se il nome di Cajo
Cilnio M. non sarà dimenticato, li Secoli successivi saranno sempre più
migliorati, ed illuminati dallo sviluppo delle umane cognizioni. LI Poeta Marziale, che vivgpa in un
epoca, in cui la Letteratura inclinava alla sua decadenza, si lagna, e fa
conoscere, che allora non esistevano dei Mecenati, che non erano le
scienze protette, e che perciò non si vedevano comparire ingegni sublimi. Ti
meravi gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri. .. manchino ingegni
simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno sappia cantare le mi-,,
litari imprese con una tromba eguale alla sua. Io ti rispondo, che se vi
fossero de * Mecenati, come quelli, che vissero sotto I Impero di
Ottavio Augusto, vedresti svilapparsi altri Genj niente inferiori a quello,,
del Poeta Mantovano. Era stata a questo rapita la sua piccola Possessione
presso Crcmona, implorò la protezione di M.,,, pianse, e sotto il nome diT
itiro cantò in,, stile boschereccio le perdute pecorelle. Rise al suo
flebile, ma dilettevole canto il Toscavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,,
maligna povertà. .. Allora Virgilio concopi la grandiosa idea dell ’ Eneide . Se
tu dunque, o Fiacco, sarai benefico come M., e mi ricolmerai di doni, ti,,
assicuro, che anche io diverrò Virgilio (l). ( i) Martini. Lib. 8.
Epigr. 55. ad Flaccnm. Temporibus nostris ìngenium
sacri miraris abesse Maronis; Nec quemquam tanta bella sonare tuba.
$int M. s, non deerunt, Flacce, Marones.
Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae, y Flebat et adductas T
ityrus aeger opes. Jìisit Tuscus
Eques, paupertatemque malignarti Rcpulit, et celeri jussit abire
fuga, Digitized t XIII Nello scrivere la
presente Storia non pretendo di aver fatto un lavoro completo, nè di aver
raccolto tutte le Memorie sulle avventure politiche, morali, e civili di
questo esimio Cavaliere Romano. Se non vi sono riuscito, non fu colpa
della mia volontà, o effetto di trascuratezza. Qualunque mancanza si deve
attribuire alla ristrettezza delle mie cognizioni, e de’ miei talenti. Può
essere però, che all' impulso di quésto mio travaglio altri si scuotano
in seguito, che forniti di migliori materiali, ed ingegno più elevato,
sappiano supplire alli miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore,
e leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte intorno alle geste
del mio Eroe, sarò ben contento di apprendere da altri, ciocchi io aveva
tentato di conoscere colle mie fatiche. Protinus
Italiam concepii, et arma virumque. Ergo ero Virgilius si munera
Maecenatis E>es wihi. . v w. v i y* N
A STORIA DI CAIO CILNIO M. _| ràle famigli» le più
antiche, e doviziose di Arezzo nell’Etruria meritamente è annoverata quella de’
Cilnj. Circa la metà del quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e
duecento novant’ anni puma dell’Era volgare la medesima figurava
luminosamente non solo nella propria Città:, ma eziandio sopra
tutta la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze avendola resa
troppo orgogliosa, e prepotente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle
altre famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu sottoposta a disgustiose
vicende. Nell’ epoca succenuata, e
precisamente nell’ anno 4S0. di Roma, fu ordita nel seno stesso
della sua Patria contro di quella una terribile congiura # e quantunque,
per mezzo de’ suoi rapporti, ne giungesse al discoprimento,, non potè però
impedirne l’esplosione. Gli Aretini presero le armi risoluti di
discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto disimpegnarsi dalla
pericolosa situazione, se non avesse trovato un appoggio nelle
forze della Romana Republica., Questa aveva già sperimentato
più volte la A Digitized by Google
* potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in quel tempo
costituivano una nazione popolosa, formidabile; e guerrierafi) e se aveva
su di questa riportate delle vittorie, TEtruria non faceva ancora
parte delle provincie Romane ad essa confinanti. In questa occasione, o
fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o più probabilmente per
profittare delle interne dissensioni, Roma vi spedi il Dittatore
Marco Valerio Massimo con un’ armata. Sebbene lo Storico Livio narri il
principio, il progresso, ed il termine di questa insurrezione degli
Etrusci, nutladimeno, secondo il medesimo, sembra, che riuscisse al
Generale Romano di calmare li sediziosi movimenti degli Aretini, e di
riconciliare la Plebe, con la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun
fatto d’armi rimarchevole, e sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio
) cbe l’Etruria avesse inalberato lo stendardo della rivolta, e che
erasidato principio! alla medesima dalle sofnmosse degli abitanti di
Arezzo, nella qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj,
invidiata perle ricchezze, voleva scacciarsi colle armi Alcuni Autori,
che (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samnitium bello ;. .. Etrusci
belli fama exorta èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus . .,.
arma terribiliora esscnt cum propinqui tate agri, tum muli ita din è
hom&nutn, y tengo presso eli me, affermano, che per iopera del
Dittatore, calmati li sediziosi movimenti degli Aretini, e ricpnciliata
Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ricondotta la quiete nell’Etruria, senza
alcun fatto d’ armi memorabile (i). Dopo due anni però, cioè
nell’anno 453, si accese nuova guerra fra questa, e laRepublica Romana. Sene
ignora la, cagione, e non si conosce qual parte vi prendessero i
Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse costretta a chiedere la pace, tuttavia
dopo breve tempo fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti. Questi popoli guerrieri sempre inquieti
> benché sempre vinti dai Romani, nell anno 557. tornarono all’
armi, e fecero tptti li sforzi per stringere un'alleanza offensiva
con le popolazioni Toscane Etrusci ( cosi parlarono li Deputati de’
Sanniti ) piu d’nna volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte con
le Coorti Romane ; abbiamo dimandata Lib. io. num. 3. e 5. Multiplex de
inde exortus terror. Etruriam rebellare ab Aretinorum scditionibus, mota
orto, nuntiabatur, ubi Cilriiurn genus praepotens, divi tiarum invidia
pelli armis ceptum Ha* beo Auctores, sine allo praolto pacatam a
Dittatore Etruriam esse, seditionibus tantum, Aretinorum compositis,
ctCilnio genere cuoi plebe in gratiam redacto. . L. . v ) la pace,
quando non potevamo sostenere più lungamente il peso della guerra. Siamo
tornati ora a' prendere nuovamente le armi, perchè la pace ci era più dura
degli orrori di quella L’unica nostra speranza però, la sola nostra risorsa
risiede nella nazione Toscana, nazione ricca, bellicosa, e fertile di
guerrieri. Se noi avremo il vostro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri
petti quel coraggio,. con cui Porsena, e i ^vostri Maggiori spaventarono
Roma istessa, nulla avremo a desiderare (i). Li Sanniti ottennero ciò, che bramavano.
Gli Etrusci accedettero alla lega, e la
guerra cominciò con furore. Ma non era ornai più tempo di resistete
alle forze delle Republica Romana già divenuta invincibile .'Eglino
furono superati, e la sorte, che incontrarono in questa, incontrarono
ancora nelle altre guerre posteriori, finché furono costretti a
sottoporsi alle leggi, ed all' impero di quella. Quantunque la Storia ci abbia occultato
le avventure de’ Cilnj, dopo che l’Etruria fu da’ Romani soggiogata,
pure sembra potersi credere, che continuassero sempre ad occupare un
rango distinto fra le famigliedella Nazione. Imperciocché se deve -prestarsi fede al
Poeta Silio Italico, nella seconda guerra Punica un individuo di
essa famiglia militò contro Anni • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w.
•. baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché restasse
prigioniero, diede argomenti di coraggio, e di valore. Avendo Annibaie superato le Alpi,
incontrò nelle vicinanze della Liguria il Consolo Cornelio Scipione, che
con un’ armata Romana voleva contrastargli la marcia ; ma impaziente il
Generale Africano di dare esecuzione al già meditato progetto di
conquistare l’Italia* e impadronirsi ancora del Campidoglio,
attaccò l’esercito nemico. La battaglia fn incominciata, e sostenuta con
accanimento dalla Cavalleria Numida, e le truppe di Scipione furono
completamente disfatte. Egli stesso rimase ferito, e sarebbe caduto frà le mani
de’Cartaginesi, se non avesse combattuto al sno fianco Scipione di
lui figlio denominato posteriormente Africano. Questo giovane guerriero, benché
in età di soli diciotto anni, salvò il padre con il suo coraggio, e
diede in tale occasione li primi saggi de’ suoi talenti militari. Questa
terribile battaglia, e questo disastro dai Romani sofferto accadde tra il Pò,
ed il Ticino nell'anno di Roma 536. (i). (i) Dion. Cas. lib. 14. Eutrop. lib.3.
Florus lib.a. Cap. 6. Ac primi quidem impetus turbo inter Padum ac Ticinum
valido statim fragore delonuit. Tunc Scipione Duce,fusus Exercicus, saucius et
ipse venisset in hostium ma nus Imperator,niii protectum patrem praetex
«I 6 Frà li molti prigionieri di distinzione
fatti da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Città di Arezzo nell’
Etruria. Giovanetto anch' esso, come il figlio del suo Generale,
combatteva nella Cavalleria Romana. Il suo Cavallo ferito cadde nella pugna, ed
egli restò prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che narrò in
versi tutte le azioni di questa guerra formidabile, cosi si esprime Cilnio d’
il-,, lustre prosapia, e nato nella Città di Arezzo, situata nelle contrade
Toscane, da un destino crudele era stato spinto sulle rive del Ticino,
benché giovanetto; quivi nel furor della mischia, balzato al suolo,, dal
suo Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato costretto a
sottoporre il collo alle Libiche catene „(i). Annibaie
bramando di conoscere le geste, e l’origine di Fabio Massimo Dittatore
Roma tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset. Sii. Italie, lib.7. de
Bell.Punic. ver.ao. At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto
Dìctatore vigent ....• Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit
Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores; Cilnius Arreti Tyrrhenis
ortus in orit Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora Ticini
juvenem ripis, fususque ruentis V ulnere equi, Libycit praebebat colla
catenu. Cop ale i no» di cui tante cosq narrava la
fama, ne interroga il sudetto Cilnio suo prigioniero. Questo appaga il Generale Africano, ma
gli parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa Conoscere in fine,
che piu della schiavitù, cui era stato per disavventura sottoposto,
amala morte. Offeso .quello dall’ardita risposta di Cilnio, cosi lo
rampogna. Indarno, q folle, cerchi di accendere il mio sdegno, è di
schivare con morte, che desideri, », la schiavitù. Viyrrai tuo malgrado,
e il tuo collo sarà riservato al peso di catena più pesanti .,,(1).
« Dopo la battaglia del Ticino i
Annibaie continuò a trascorrere l’Italia, riportando segnalate
vittorie. La più strepitosa, e memorabile fu quella presso Canne piccolo,
ed ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma $ 38. La perdita
della Romana Republica in questa fatale giornata fu immensa. Tutte
le famiglie furono ricoperte di lutto, perchè ognuna vi ebbe delle
vittime da compiangere (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma
(1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq. Qnem ( Cilnium )
cernens avidurn leti post talia Pocnus Nequidguam
nostras, demens, ait, elicis iras, Et captiva paras moriendo evadere
vincla ; yivendurn est, arefa servàntur colla catena. Lucius Fior. Lib.
a. Capi 6. Ultimwn 8 soltanto; essa aveva fatttf leva
di frappe dar tntte le Provincie o conquistate, o collegate, onde sù di
qneste si diffuse non meno l’or- 1 rore prodottoda quella battaglia
sanguinosa * Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’ suoi
guerrieri estinti nelle campagne della Paglia, e frà gli altri di un
illustre Pcrsonagf. gio chiamato M., e dell' iste.ssa famiglia de’
Cilnj. Il sndetto Siliò Italico dettagliando li soggetti di distinzione, che
erano periti a Canne, fa menzione particolare di questo èon tali
espressioni Te'ancora trafitto nelL* inguine da Tiri© strale Veggio
cadere estinto, o M., nomeMllustre per li scettri Toscani, e venerato per
la patria, che ti diede i Natali (i). Se fosse
incontrastabile l’autorità di questo Poeta potrebbero farsi alcune
riflessioni, relativamente all* oggetto della Storia, che si descrive ;
Nella battaglia del Ticino è fatto prigioniero un Cilnio cittadino di
Arezzo, di prosapia illustre ; in quella presso Canne, cioè dne
anni dopo, cade estinto altro sogetto chiamato M., parimenteToscano, mà
bulnus Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae V icus, sed magnitudine
c/adii, emersit ; et quadraginta millium eacdr parta nobilitai ;
Ibi in exitium infelicis exercitus dux, terra, coelum, dia, tota denique
rerum natura contentiti ( i) Lib. io. vers. 39. Digitized by
Google li antenati del quale erano stati Monarchi :
Et sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora l'uno, e l'altro
discendevano dalla stessa famiglia de’Cilnj, o erano di due separate famiglie
? Come poi, e quando, e chi delle medesime venne a stabilirsi in
Roma ? La notte del tempo, e la mancanza di memorie ci toglie tuttU lumi
necessari, onde ravvisare la verità senza incertezza, e giungere allo
scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno 538. epoca della ìsudetta
battaglia presso Canne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un vuoto
penoso, che nulla ci fa scorgere sull' oggetto ricercato; in quest’anno
però sembra, che comincino a diradarsi le tenebre, ea presentarcisi
un qualche raggio rischiaratore per conoscere, che allora la famigliar M.
già erasi stabilita in Roma, leggeudo, che un Cajo M., aggregato al corpo
de’ Cavalieri, figurava luminosamente in quella. Capitale. In tal epoca, e precisamente nel
detto anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Livio Druso. Questo
cittadino Romano fornito di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attaccò
le prerogative esistenti nell’antico, e no Oppetis, et Tyrio super
inguina fixe veruto, Maecenat, cui maeonia venerabile terra,
Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis. IO
bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/ diante una Legge,'
venissero; questi.' spogliati dei-diritto sulla Giudicatura, dritto
annesso, óna volta, al Senato iifi) j -, Per riuscire nel suo
progetto Druso fece ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»
vimento tutte le risorse della politica, dell' eloquenza, e della
saviezza ± mà oltre ad ave? re incontrato delle forti opposizioni fra li
stessi Senatori, -Cajo M.,• Flavio Pugione, e Gneo Titinmo, Cavalieri di
specchiata probità si opposero energicamente alle di lui potenti manovre, e con
lai loto fermezza, ed influenza* mandarono a. vuoto il progetto di
Legge > che già quello aveva modellato (2). ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone
nell’Orazione a favor di Cluenzio, presentandogli I * • i •• 1; i - Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f inter jectis
paucis annis, TriburuUum iniiejtf. Livius Drusus, vir nobilissimus,
eloguentis simus, sanctissimus, qui cum Senatui priscum restituire
cuperet dccus, et judicia ab Equi ti bus ad eum transfer re Ordinem. .. in
its tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum habuit adversarium,
Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeoque Cajus Flavius
Pus io, Gn.Titinius, Cajus Maecenas Principes Equestri s Ordinis
Curiata hit le gibus ingredi aperte ree usar unt. re
l'occasione di rammentare questo avvenimento de’ fasti Romani, fa
un’elogio, e di Cajo M., e degli altri due Cavalieri ne’ termini seguenti
Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,, Titinnio, e Cajo M., que’ potenti
sostegni del popolo Romano non agirono, come ha ora agito Clueuzio, quasi
che ri* >, cnsando pensassero di far ricadere sopra di essi un
qualche principio di colpa, ma ricusando apertamente, energicamente,
ed onestamente fecero conoscere, che eglino avrebbero potuto
sollevarsi per giudizio del Popolo a cariche sublimi, se avessero
>, direttele loro cure a richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine
Equestre, incui si trovavano, in cui erano vi» suti ancora li loro
Maggiori, avevano stimato di seguire una vita quieta, e tran* qui Ha
lungi dalle procelle, che sogliono suscitare l’invidia, e gl’intrighi de*
giudi»> zj, simili a quello, di cui.si tratta Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0
Virot fortes, Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris simo, oc potentissimo
M. DrusoTribuno pie bis restiterunt Tane C. Flavius Pusio, Cn.
Titinius, Cajus Maecenas, illa robora papali Romani, ceterigue
hujusmodi Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen tius, ut aliquid
culpae susci pere se putarent recusando, *ed apertissime r spugnar unt,
cunt Qigilized by Goo jle i iDa questo Caio M., di
dui parla Cu cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra
CajoCtlnio' M. non trascorsero, .che soli anni ventiquattro-, essendo egli n3to,
come fra poco si vedrà /udranno di Roma, cosi che se, quando quello
si oppose all’ intrapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663. non era in età
provetta, poteva vivere: ancora quando ebbe principio resistenza di
questo. i E sebbene sia sembrato
irreperibile il suo preciso anuo Natalizio,, tuttavia riflettendosi
sull ’ annoi della nascita * e sù quello della morte del Poeta Orazio
Fiacco, si potrà conoscere, e forse con qualche sicurezza, che il nostro
Cajo Cilnio M. fu messo al mondo nell indicato anno 686. dopo la
fondazione di Roma, ed anni sessantotto prima dell'Era volgarp. et Lucio Asinio Gallo Consulibus. Fast. Cons. loc. cit. pag. 107.
Digitized by Google i5 quantasette, qual
periodo’ di vita appunto gli assegnano Eusebio di Cesarea (i )
Pietro Crinto ( oc) ed altri ., Sembra anche certo egualmente,
che il nostro Cajo Cilnio M. morisse di anni sessanta, è nell* anno istesso, in
cui cessò di. vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che il primo mori
verso il mese di Settembre, ed il secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[
Dunque M. aveva preceduto di tre anni, resistenza di Orazio, che visse
cinquantasette an. ni conforme si è detto, ed essendostata fissata
; 1 ;!/ InChronich. Horatius quinquagesimo septimo
aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo ratius anno aetatis suae
septimo, et quinquagesimo. (i ) Dion. Gas. lib. 55. Morery Gran. Diction. Histor.
art. Maecen. Briet. Ann. Mund. Tom. j. part. 3. ad ann. 746. Consulibus
Cajo Mario Censorino, et C. Asinio Gallo fnensi Sestili indìtum est
Augusti nomea .... Obiìt etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesidium,
et decus Nequc diti suo Mae cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta
Lyricus. Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j,
hisque Consu li bus. v ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19.
16 la nascita di questa all’ anno 689. il Natale di quello
deve rimontare all’ anno 686. dopo la fondazione di Roma, ed. all' anno
68. prima dell’Era volgare » Con maggior certezza poi si
conosce il giorno preciso, in cui il sudetto Cilnio fu registrato nel
numero de mortai}, che fu il giorno i3. Aprile. La verità di questo punto
istorico risulta dalle Odi del surriferito Orazio Fiacco. Volendo quest»
Poeta celebrare la ricorrenza del sudetto giorno Natalizio del suo amico M.,
invita Fillide alla Festa, e cosi si esprime Ed affinchè conosca, o Filli
de, a quali esultanze io ti chiami, sappi, che dovrai celebrare con ime
il dì, che in due divide il mese di Aprile, sacro a Ciprigna; giorno per
me giustamente solenne, e più sacro ancora dj quello, nel qua., le io nacqui;
giacché in esso incomincia a,, numerare gli anni della sua vita il mio M. Od.i
1. Vi tanica noris, quibus advoceris Gaudiis ; Idus tibi sunt
agendac, Qui die* mcnsem Veneri s marinai Findit-Aprilem. J are sole mais mihi, sanctiorque
Paene Natali proprio, quod ex hac Luce Maecenas meus
ajfluehtes Ordinai annoi, Avendo procurato di rintracciare alla meglio
l'anno, ed il giorno della nascita del nostro Cilnio,, stimo pregio dell'opera
di fare alcune osservazioni relativamente al suo Padre, ed alla sua
Stirpe. Quel Cajo M., che nell' anno 66a. faceva in Roma una
comparsa brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cavalieri ; ciò si è
dimostrato coll' autentica testimonianza di Cicerone, ed anche con le autorità
di Livio testé riferite. Inoltre
l’ istesso Cicerone ci fa conoscere, che il Cajo M., di cui fa egli
gloriosa menzione, non aveva alcuna ambizione, nè curava di
sollevarsi ad impieghi luminosi, ai quali pur troppo avrebbe potuto
giungere per la buona opinione, che godeva presso il Popolo ; ma che
contento del semplice titolo di Cavaliere, amava di passare una vita
lieta, e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori. Se potuisse (
sono parole di Tullio sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in amplissimum
locum pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent
sed Ordine suo, Patrumque suorum contentos fuisse, et vitam illarn
tranqnillam, et quietam .... sequi ma-,, luisse. Ora il carattere, che forma Cicerone
di questo Cajo M., non è similissimo a quello del nostro Cilnio ? Tal
circostanza si conoscerà nel decorso della sua Storia, ma intan B
j8 to possiamo accennare, che questo aveva tutti li mezzi
per inalzarsi a cariche le più eminenti, e decorose, stante la grande
amicizia, di cui era onorato da Augusto, ma che pago del suo stato,
e del semplice titolo di Cavaliere, mai volle, ne dimandò altri onori, e
nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere l'epoca del tempo, in cui quello
viveva, ed era celebrato per uno de’ sostegni del popolo Romano, ed
in cui sono fissati i natali di questo, e dal tutto insieme ne risulterà un
grado di probabilità non del tutto dispregevole, per credere, che
il sudetto Cajo M. potè essere l’Autore del nostro Cilnio. Potrebbe la nostra assertiva essere
smentita da una antica Iscrizione riportata da Dionisio Lambino
nella quale si parla di M. figlio di Lucio ; poiché se questa avesse
rela - ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat. £ 7 ni us
praeterea Marnioris antiqui testimo— nium producala, quod Romae visitur
in Aedibus Fusco aura e regione aediurn Farnesiarum, in quo haec sunt incisa. Lieertorvm et Libertarvm C.
Maecenatis. R. F. Pontif.
Posterisq. eorvm Et qvi ad xd tvendvm CONTVLERVNT CONTVLEIUUT zione al nostro M.,
sarebbe stato figlio di Lucio M., non di quel Cajo da Cicerone accennato.
Ciò non ostante pare che un tal documento non Taiga, nè a
somministrare schiarimento sull'oggetto, di cui si parla, uè a
distruggere la detta nostra assertiva, i. peri hè non costa, che quella
Iscrizione seco porti un carattere di sicura autenticità ; a.
perchè non si conosce dal contesto della medesima l’epoca del tempo, in cui fa
incisa, né a qual Cajo M. debba riferirsi. Veniamo ora alla Stirpe del
nostro Cilnio. Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Commentatori
di Virgilio, di Orazio, di Properzio, ed altri si sono divisi di opinione nel
fissare la nobiltà della discendenza di questo grand’Uomo. Orazio ('i)
Properzio (a) ed anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto,
Od.j.Lib.i. Maecetias atavis
edite Regibus, O et praesidium, et dolce decus rneum!
Maecenas eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse
tuam. Lib. la. Epigr. 4. Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque
Maroni M. atavis Regibus ortus eques. B a Od. ug. lib.
3. Tyrrliena Regum prò genies,
(2) Lib.3.Eìeg. che egli era di stirpe reale. IlTorrenzio Commentatore di
Orazio, descrive una linea genealogica degli Antenati reali di quello,
e crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli Etrusci. Acrone ('a)
altro Commentatore antico di Orazio è dallo stesso sentimento, « fa
seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’ Albinovano ^ 3 ), e dal
Beroaldo Commentato' re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone,
che discendesse dal famoso Porsena parimente Re de’ Toscani.
Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo ( 1 ) Comment. ad
Od. 1. lib. 1. Horat. Antiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater,
Menippus Avus, Cecinna li ex Etruscorum fuit A t avus. (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat.
Edite Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab
Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam dignitatem. Eleg. in obit. M.. Rcgis
eros genus Etrusci, tu Caesaris olim Dcxtera, Romanae tu
vigli Urbis eros, Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de sanguine
Regum : quia fuit oriundus a Porsena Rege Etruscorum. Lib. 19. pag. 534.
Reliquas res non Ro mae modo, sed per totani Italiam Co*
Patircelo (t), benché spesso parlino del medesimo non gli attribuiscono un
origine reale, ma lo caratterizzano soltanto per un indivivuo di
ragguardevole e splendida famiglia. Dacier poi, e Pallavicini sono
d’avviso $ che dalle indicate espressioni di Orazio, di Properzio, e di
Marziale non può con certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio
scorresse un regio sangue ; giacché è noto altronde, che le parole Re, e Regina,
nel senso de’ migliori Autori, segnatamente Poeti, spesso significano Signori
potenti, Uomini, e Donne di qualità, e distinzione ; e cosi aveva ancora in
sostanza pensato il Porfirione prima de'
sudetti Dacier, e Pallavicini. Riguardo ai Poeti contemporanei però non
tutti han parlato sull'oggetto ip questione, come. Properzio, ed Orazio. li
Poeta di Mantova più d’una volta si volge col discorso a M. nelle sue
Georgiche, ep jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi nistravit. (1) Lib. 2. art. 83. Tum Urbis
custodiis praepositus Cajus M. equestri, sed splendido genere
natus. (2) Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5
i. (4) Comment. ad Od.i Horat. M., ait, atavis Regibus editus,
quia Nobilibus Etruscorum ortus sic. lì pure non Io ha mai
decorato di nna reai prò-» sapia• La diversità di queste
opinioni potrebbe ini qualche guisa conciliarsi, se, come si è sopra
accennato, sussistesse realmente ciò che abbiamo veduto asserirsi dal
Poeta Silio Italico nella seconda guerra Punica. Imperciocché si è in quel
luogo rimarcato, che quel Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del
Ticino non è chiamata di stirpe Regia; e che quel M., che mori
posteriormente presso Canne era celebrato per li Scettri Toscani. Nella
verità di questi fatti potrebbe Georg lib. i.vers.i. e seq.
Quid faciat laetas segete s, quo sidere terram V ertere, Maecenas,
ulmisq. ad/ ungere vites Conveniat Hinc cane re incip iam. Lib.
a. vers. 40. Tuque ades inceptumque una decurre laborem
Maecenas pelago que volens da vela petenti Lib. 3. vers. 40.
IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur Intactos, tua, M., haud
rnolliajussa Lib. 4 vers. i Protinus aerii melili, coelestia
dona Exequar, hanc etiam, Maecenas, excipe partem. aà dirsi, che
Orazio, Properzio, Marziale, e gli altri, che danno al nostro Cilnio una
Regia discendenza, lo abbiano fatto derivare dal secondo ; e che Virgilio,
Dione, Vellejo, e gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian
fissato per Capo della sua famiglia, o per uno de’ snoi Antenati il primo.
Si è disputato ancora in
qnal’epoca, a quale degli Antenati del nostro Cilnio, e per qual motivo
venisse aggiunto il nome di M.. Riguardo all’ epoca, nell’ anno 450. di
Roma la famiglia de’ Cilnj ancora non portava questo nome, conforme si è
osservato da Livio. Ottantotto anni dopo,
cioè si comincia a vedere in quel M., che mori presso Canne, sempre però
sull’autorità poetica del surriferito Silio Italico * Nell’anno
66atrovasi in Roma già celebre, e rinomato in quel Cajo M. encomiato da CICERONE
(vedasi). MeibomiO riporta un frammento del Libro terzo delle Storie di
Sallustio, estratto da Servio Commentatore di Virgilio, in cui si
fà menzione del famoso Sertorio, e di un M. Segretario del medesimo. Sertorio
morì Jn Vit. M.. Praeloqi adlect. Ex-^ tot Sallustii fragmentum apud
Servium adLib. X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g Igitur,
inquit, discubuere Sertorius inferior in medio, tuper eum Lucia s F alias
Hispaniennt S* notar 34,
nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone, che viveva, e
scriveva nell’ epoca istessa, in cui mori Sertorio, fa uso ancora esso
nelle sue opere della parola M. e di cui si tornerà in appresso a
parlare. Da tuttociò sembra chiaro, che nel settimo Secolo di Roma già
fosse commune alla sudetta famiglia il nome di M.. Ma
riguardo a conoscere a quale degli Antenati di Cilnio, e per qual motivo fosse
aggiunto quel nome, il Martini ingenuamente confessa, e si protesta, che il
tutto è involto nelle tenebre, e nella incertezza, (a) Aggiunge però che
se fosse lecito di promuovere sn questa sconosciuta materia qualche
riflessione, che possa aver luogo, non già sul vero, o sul verisimile, ma sul
possibile, si po sa: Proscriptis ; in summo Antonini, et infra
Scriba Sertorii Versius, et alter Scriba Maecenas in imo. (i) De
Ling. Latin.Lib.7. in fin. (a) Lexic. Philolog. art. M.. De origine nominis nihil certi, et *'ix aliquid
probabile dici potest ; quia certum est, esse nomea proprium,nec vcrum
satis certum mihi qui dem est, cujus linguae vox sit, et historia de stituor
cui, et ex qua causa primum juerit imposi tum. Addo,
quod ctiam de vera scriptum dubitai ur. Digiti?ed iS
trebbe dire, che la voce M. è un vocabolo Etrusco derivante dall’ idioma
de’ Caldei, dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la loro
origine ; primieramente, perchè la flessione di detta voce seco porta un non so
che di straniero ; in secondo luogo, perchè li nomi de’ Caldei si
solevano ordinariamente prendere dalle forze naturali degli oggetti
morali, dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle passioni. Il Catrou è d’avviso (a) che con
Tantorità di Varrone, e di Plinio possa trovarsi nn qualche
schiarimento per sapere, come fosse dato un tal nome alla famiglia de’
Cilnj. Secondo quello, si rileva dal succennato Terenzio Varrone, li nomi degl’
individui, che finivano in as, significavano qualche luogo. Si licei
aliquid de hujusmodì prorsus incognitis dicere, quod ncque inter
vera, neque inter verisimilia, sed tantum inter possibilia ponantur, sit nomen
Etruscum, ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) praesertim, quia
forma flexionis peregrinitatem sapit. Nomina autem fere a naturalibus
viribus, a ut a moralibus objectis, facultatibus, actionibus, aut
passionibus imponi consueverunt, tamquam monumenta quaedam de iis, quae
rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt. particolare dell' individuo medesimo
(i\ Plinio poi ci avverte, che fra li vini scelti dell* Italia erano
celebrati quelli ancora, che si raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a)
: perciò conclude il detto Storico, che il nome di M. provenisse a quella
famiglia da qualche terra, o possessione alla medesima spettante. Ma,
ad onta di tali dilucidazioni, sembrando la cosa tuttora incertissima,
secondo il sullodato Martini, dobbiamo soffrire una tale ignoranza senza
sgomentarci, e con quella docilità, e rassegnazione j con cui
soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante altre materie più
interessanti. Potrebbe qui aggiungersi ancora una qualche
riflessione sulla formamateriale della parola Maceenas, ed esaminare se debba
scriversi Hinc quoque dia nomina Le* nas, Ufcnas, Lavinas, M.,
quae cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen Urbi nas ab his debuerunt
dici ad nostrorum nomi num similitudincm. In Mediterraneo vera Caesenatia, ac M. (
vina ) ; In Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a
Virgilio. (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora patte nter
ignorarmi!, edam et hoc, et similia, •ine pudore possumus nescire. con il
dittongo nella prima, o nella seconda sillaba, se in ambedue, o se debba
leggersi senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo potendo
presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al
citato Lambino, il quale ne’Commenti alla prima Ode di Orazio ne ha parlato con
precisione, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la parola M., che
leggesi nell’Ode i.del i.lib. di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi
succcnnato, In omnibus fere manuscriptis Codicibus, quibus usus sum, nomea
Moecenas scriptum reperi et in prima, et in.secunda syllaba sine diphthongo ;
quam scripturam tametsi non probe m omni ex parte, sequor in eo ta men,
quod secunda per e vocalem, non ut vulgo per oe diphthongum scribitur. Adjuvat
me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo exaratus in Cluentiana, quo
loco scriptum etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque
syllaba. J am vero quod ad primam attinet Graecorum auctoritate moveor,
apud quos M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in va syllaba,
ut in secunda per v quae vocalis Ver ti tur in e longum. Quia JElianus, qui cum Romanus esset graece
scripsit. «/ «f hanc scripturam retinet. Praeterea
apud Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia» Dopo di
aver raccolto le descritte notizie ; e prodotto quelle poche riflessioni
finora accennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ autore del nostro Cilnio, e
su tutt’altro relativo al suo nome, sembra, che ornai dobbiamo
occuparci sulla relazione delle sue geste, e de’ suoi costumi, e sulla
Storia della sua vita ; ed in primo luogo dovremmo parlare della
sua educazione, sotto quali maestri, ed in quali Accademie venisse
istruito ; ma su di ciò mancando notizie sicure, qual vantaggio potrebbe
ricavarsi da congetture vaghe, ed inconcludenti, da riflessioni possibili, o
estratte dal fondo di un immaginario probabilismo ? Ciò non
ostante si pnò dire, che l’educazione di M. fu proporzionata, ed uniforme al
rango, che li suoi Maggiori occupavano nella società, e nella classe de’
cittadini Romani. Fornito dalla natura di non ordinarli talenti,
ebbe tutta la cura di svilupparli, allorquando fu adulto, perchè non erano
stati oziosi, ed incolti nella sua adolescenza. Ma se egli venisse
istruito in Roma, o altrove, e quali fussero li Dotti, cui venne affidata
la sua letteraria educazione, s’ ignora pienamente. Crede il Cenni, che M. fosse manna»! de
Accent. in Exemplaribus Aldinis, sine ulta varietale perpetuo ita
scriptum, est hoc nomen. dato in Apollonia, allora Città
ragguardevole della Macedonia ; suppone inoltre * che mentre quivi
attendeva alle scienze, vi si trovassero ancora per lo stesso oggetto Marco At
grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc casione si stringessero con i
dolci legami dell’ amicizia, o almeno facessero unà reciproca
conoscenza. Sembra però, che questa circostanza non sia stata accennata da
verunAutore antico ; nè il Meibomio, ed il capriccioso Caporali,
ne’ scritti de quali attinse il Cenni la sua supposizione, sono forniti
di qualche autorità valevole, e concludente. Quello, che può asserirsi con qualche
certezza, e che risulta dalle opere di Dione, di Appiano, di Orazio, e di
Properzio, si è che il nostro C. Cilnio M., se non divenne amico di
Ottavio nell’ epoca de’ loro studj, di buon’ ora cominciò la
carriera de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi* Bistrati
fino all’ ultimo respiro della sna vita. Ottavio venne in Roma,
dopoché Giulio Cesare suo padre adottivo fu dai Republicani pugnalato Egli
seppe la disgustosa notizia nella sudetta Città di Apollonia. Aveva
allora appena oltrepassato il quarto lustro di sna vita, e correva l’anno
di Roma. Giunto in » quella Capitale, diede subito saggi manifesti
Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler. Chronog. ad au. 7*0 3o
di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché in età giovanile, di
nn senno maturo • Cominciò a procacciarsi la puhlica opinione, la stima de’
Grandi, l'affetto della Plebe, e dei Soldati. In tale occasione, ed in
tale epoca sembra potersi stabilire, che M. entrasse nella Corte di
Ottavio, e che questo lo prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti,
e delle sue future intraprese. Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco
Antonio governava, per dir cosi, dispoticamente la Republica Romana,
conciosiachè egli aveva tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul
Popolo, e snU’Armata. Ottavio fece istanza presso di esso, affinchè, come
Erede Testamentario di quello, gli venissero consegnati quegli effetti,
che gli erano stati nel Testamento lasciati. f Antonio, poco curando la tenera età
del medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la di lui giusta, e
regolare dimanda. M., che allora già trovavasi al fianco di Ottavio,
non maucò di consigliarlo a sopportare con calma, e rassegnazione P ingiustizia,
e T insulto del prepotente Romano, e nel tempo stesso gli fece conoscere,
che bisognava momentaneamente abbracciare la causa del Senato, stantechè
da tutte le circostanze scorgevasi imminente una guerra Civile. Il Senato
proteggeva l’attentato commesso dagli uccisori di Giulio Cesare, ed
Antonio aveva inalberato lo stendardo guerriero contro di questi. Ottavio,
come figlio adottivo del famoso Dittatore pareva, che dovesse unirsi ad
Antonio, e secondare le mire del medesimo, ma M. da previdente, ed accorto
Politico credette, che dovesse per allora uniformarsi ai voleri del primo.
In fatti il Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto Antonio,
cominciò a fargli mille buoni uflìcj, ed a colmarlo di onori, e di
carezze. Intanto questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno degli
assassini di Giulio Cesare, che assediò in Modena. Allora il Senato
incaricò li Consoli Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata contro il
nemico del sudetto Decimo Bruto, ed Ottavio fu ad essi associato in tale
spedizione. Questa guerra fu fatta
con differente successo, nè l’impresa di Antonio potè cosi sollecitamente
reprimersi; ma lilialmente in una battaglia campale fu egli completamente
disfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bruto liberato, mercè li talenti
militari di Ottavio, al quale fu attribuita la maggior gloria di quella
giornata ; in essa vi morì il Consolo Irzio, e Vibio Panza mortalmente
ferito ebbe tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli salutevoli
istruzzioni, e consigliandolo segnatamente ad unirsi con Antonio. Questo fatto storico si pone all’anno di
Roma. epoca, in cui Oitavio correva nell’anno vi^esimo primo della sua vita, e M.
3a parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in età
di circa venticinque anni, già stava al sho servizio. Abbiamo di ciò ne’scritti
di Properzio un argomento di certezza, che pare non possa incontrare
eccezzione. Imperciocché il sndetto Poeta, uno de’più cari amici di M.,
scrivendogli una robusta, ed elegante Elegia, gli dice, che se avesse
talenti da poter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Titani, e la loro
guerra contro Giove, allorquando ammonticchiarono le montagne di Pelio, ed Ossa,
non canterebbe neppure le battaglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio di
Troja, il primo Regno di Romolo, l’ardimento della superba Cartagine, le
minaccie de’ Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei (
soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece», nate, le guerre, e le azzioni illustri
del », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le sue imprese, tu
occupi il posto secondo, Canterei la guerra di Modena, le tombe degli
estinti presso la Città de’Filippi, la guerra di Perugia, la battaglia di
Azio, e », la conquista dell’Egitto (i). ( t) Lib. a Eleg. i.
Quod mihi si tantum, M., fata
dedissent, V t possem Heroas ducere in arma manus ; Non
ego Titanas canerem, non Ossan Olympo hnpositum, ut Coeli Pelion
esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di
Ottavio nella guerra ‘di Modena, il Poeta non avrebbe detto, che
quello nelle imprese di questo occnpavadl pò* sto secondo, e facendo la
serie di tali imprese, non avrebbe descritta per la prima la sudetta battaglia
di Modena. Properzio voleva fare un elogio al suo Protettore, al suo
Amico, al suo Benefattore, ma questo elogio non sarebbe stato giusto, e
veritiero, se realmente M. non avesse avuto il posto secondo, ossia, se non
fosse stato il Consiglierò di Ottavio fin dall’epoca sudetta della
liberazione di Modena. Dal che sembra potersi dedurre altra
valevole congettura, onde credere, che quello entrasse nella Corte di
questo nell’anno Non veteresThebas,necP er gama nontenHomcri
; Xersiset imperio bina coiste vada ; Regnane prima
Remi, auC animos Carthaginis altae, Cymbrorumque minas, et
benejacta mari. Bellaque, resque fui
memorarem Caesaris, et tu Caesare sub magno cura secunda jòres. Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta
Phi lippos, A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut
canerem Aegyptum, et Nilum cum tractus in Urbem Septem captivi!
debilis ibat aquis. precedente.
conforme abbiamo accennato pocanzi. Ad onta della perdita dei due
Consoli Ir* sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata contro
Marco Antonio ricolmò di gioja Roma, ed il Senato. Allora fn, che
Cicerone si sca* tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo della
sua maschia, ed inimitabile eloquenza. Quc* Senatori, e quella porzione di Popolo,
che nutrivano ancora un qualche sentimento per il Governo Rcpnblicano,
ascoltavano con estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di
quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai suoi voleri. Infatti Antonio
fu proscritto > fu risoluto di continuare la guerra fino al di
lui esterminio, furono destinate le Armate, scelti li Generali ; eppure
questa volta, nelle nuove disposizioni marziali, non si fece menzione di
Ottavio, benché ad esso fosse dovuto tutto l’esito vantaggioso della passata
Campagna. Il Senato era già
divenuto geloso della gloria di quello, col non curarlo voleva umiliarlo, ed
abbassare l’orgoglio, che le già eseguite favorevoli Imprese avevano potuto
inspirargli. Ottavio, e M. conobbero in tal .congiuri tura la condotta
poco lodevole, e disobbligante del Senato. Allora memore il primo delle
istruzioni ricevute dal moribondo Consolo Panza, e penetrando il
secondo nell’artificiosa politica di quello ± determina*
Digitized by Google H rono di procurare una
riconciliazione cqn, il detto Marco Antonio. Il progetto
esigeva una somma precauzio* ne, ed ima impenetrabile segretezza,
ma ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-* te di M., che,
fra le altre sue virti» politiche, possedeva in particolar maniera
quella del segreto, conforme narrano Sesto Aurelio Vittore, ed
Eutropio. Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto ad Antonio
molti prigionieri * Per dare principio alla riconciliazione, gli rimandò li
pii distinti, e ragguardevoli. Fra gli altri vi era Decio, brava
persona, e molto affezionata al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la
libertà. Decio separandosi da Ottavio, gli richiesi, che cosa doveva dire ad
Antonio “ Dite ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,. vio ) che io
credo aver egli tanta penetrazione per interpetrare la mia condotta. Se,, nulla
ha compreso, sarei imprudente 4 » spiegarmi più diffusamente „. Intanto Ottavio, e M. fissarono la
loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci l (1) In Epit.
de Vit. et Morib.Imper.Romao, Cap. 1. In amicai fidai extitit ( Augustus
), quorum praecipui erant ob taciturnitatem M., ob patientiam laborit,
modestiamque, 4grippa .. Lib. 7 in Augusto. C a cerone,
penetrando con la loro previdenza, che bisognava cattivarsi l’animo di
quell'Oratore. Imperciocché egli aveva in quell’epoca un dominio
irresistibile e sullo spirito del Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori.
Ottavio dunque onde ottenere l’intento gli scrisse una lettera in tali termini
concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza negli affari ;
sarò occupato tutto il resto £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro
nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma coll’autorità,
che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occasione di ristabilire
lo Stato Republicano, ed uguaglierete la gloria del vostro secondo
con quella del primo Consolato ( i ),,. Tullio benché avesse tutti i lumi del
più grande Letterato del suo Secolo, non aveva quella finezza di
politica, di cui era feconda la testa di M.. Egli cadde nella rete;
credè sincera la deferenza, e la dichiarazione di Ottavio, e cominciò ad
encomiarlo, e proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe anche
il coraggio, o piuttosto la debolezza di proporre, che gli venisse
conferito il Consolato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o Padri
Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e», rede del nome, e de'beni di Giulio
Cesa*•, Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou Tom. 17IU). 4,
£ j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni, noi non
cessiamo d’irritarlo senza riflettere, che egli comanda a Legioni vittoriose.
Perchè non procuriamo di calmarlo? Sebbene giovanetto aspira al Consolato,
e potrà ottenerlo malgrado la nostra ripugnanza. Contentate le sue brame
per gli onori. Nell’età, in cui sì trova, questa brama è più vivace,
che in tempo della >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di
ottenerlo prima del tempo dalla Legge prescritto. In ciò però è necessaria una
limisi fazione. Date al giovane Ottavio un Colle» ga di età matura, che gli sia
di guida, e maestro. Questo reprimerà il fuoco di quel* lo, e
l’amministrazione della Republica sal à al sicuro sotto il primo, mediante i
consigli dell'altro. Non ostante la potente influenza di Cicero* ne, le
sue premure per Ottavio non ebbero alcun effetto vantaggioso, mercè
l’inalterabile fermezza del Senato. Li Padri Coscritti conoscendo, che una tale
richiesta trovavasi in opposizione con le Leggi fondamentali dello
Stato, stante l’età di Ottavio, non potevano realmente secondarla ; ma
questa ragione pian* sibile poco forse avrebbe operato in un tempo, in
cui le Leggi Repnblicane erano inoperose, e senza vigore, ed in coi l’antica
Co (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit. ÌLxìob. «api > a. in,ln
'' ”f "V La ma^eior parte de’Membn componenti il Se“no allora,
o compiici de» aa.amo.0 ai celare, o aderenti ai medesimi. Temeva.
*0 pertanto, che, sollevando ad un grado di potenza coli eminente l’Erede
di qnelk,, | P£ irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato di
vendicarne la morte •, j Ottavio adunque, vedendo, che con
le buone non poteva ottenere il Consolato, cercó altre risorse più
efficaci ; scrisse diretta mente ad intorno. preveneodolo dell,
neonciliazione. Questo, che aveva avuto già qualche sentore di una tale
disposizione di animo di quello, e mediante il rinvio de pronteri e le
parole dette a Decio, accolse con trasporto le lettere del suo rivale, ed
il progetto, che gli faceva ; Incontanente si diè tutta la premura di
dargli esecuzione. 11 primo passo che fece, fu quello di riunirsi con
Marco Lepido, Soggetto anche esso poco beQuesto allorquando ebbe la notizia
dell unione di Antonio con Lepido, fremè di rat bia, e deliberò di
disfarsi di ambedue. Per lo che, supponendo che Ottavio fosse reai,
mente nemico dell'uno, e dell’altro, lo incaricò di marciare all' istante con
le sue Leeoni contro qne’due ribelli. Ottavio mostrò, o piuttosto
finse di uhM*. re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog'
Digitize in Roma, e con una Armata bellicosa, non ebbero più vigore,
costanza, e coraggio di prò* seguirla. Bruto, Cassio, e tutti i
complici degassassimo di Giulio furono condannati, e proscritti con
decreto solenne di quello stesso Senato, che pocanzi aveva spedite
Legioni, Armate, Consoli, ed il medesimo Ottavio in «)nto di essi. Intanto Antonio, che era già in una
piena corrispondenza con Ottavio, si dxè premura di prevenirlo, che
il partito de’Republicani si andava ingrossando nelle Provincie della
Gre» eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò era tempo di
abbandonare Rema,ed unitamente marciare contro di quelli. Ottavio profittò di questo avviso per
poter prendere le necessarie precauzioni. Egli doveva ancora occultare al
Senato la seguita riconciliazione, e corrispondenza con Antonio, e perciò
ebbe ancora bisogno di circospezione, e di quel segreto impenetrabile, di
cui era capace il solo M.. Per secondare il Collega, e per
imbrogliare al tempo istesso la testa de’Senatori fece spargere la
.notizia allarmante, che M. Antonio, e Lepido^meditavano di marciare alla
volta di Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava cosa
urgentissima di uscir contro di essi, e combatterli ; Il Senato credulo,
ed ingannato prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostranze di
Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par» 4 * tire
da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j ed alle supposte minacele di
quelli. Non bastava però tuttociò alla penetrante politica di M., e del
suo Padrone Volevano, che il Senato rivocasse, e cassasse il Decreto di
proscrizione emanato contro de’ sudetti Lepido, ed Antonio. Restò in
Roma Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio, persona totalmente consagrata
alli suoi interessi Egli fu incaricato
di ottenere la revoca sndetta, ed è probabile, che della medesima operazione
delicata fosse a parte ancora M.. Si fece riflettere al Senato, che, cassando
qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di clemenza, e di generosità
capace a spegnere nella sua origine il fuoco di una guerra civile,
ed a calmare la collera, ed il risentimento de' due Colleghi. Il Senato
si fece vincere, ed il sovraindicato Decreto di proscrizione fu annullato.
Ricevuta Ottavio questa notizia
consolante ne prevenne con la massima sollecitudine Lepido, ed Antonio;
allora questi, e quello si avvicinarono con le loro Armate respettive,
e stabilirono un Congresso. Uua Isolctta formata sul piccolo fiume Reno, che
scorre tra Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo memorabile, in
cui li tre Guerrieri dovevano unirsi a parlamentare. L’abboccamento
durò più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r to del
celebre Triumvirato, mediante il quale yenne scagliato un colpo
mortale alla Costituzione Republicana, e venne immaginata la proscrizione
troppo nota, e funesta, nel vortice e negli orrori della quale fu involto
ancora il riferito Marco Tullio Cicerone (i). Dopo qualche tempo Antonio, ed
Ottavió marciarono a grandi giornate contro Bruto, e Cassio, e si
trasferirono con le respettive Le» gioni nella Macedonia incontro all’Esercito
de’ Repnblicani. È troppo conosciuta la sorte infelice di questi nelle
Campagne di Filippi per non essere costretto a tesserne la storia dolente,
e che sarebbe fuori del mio assunto. La vittoria si dichiarò a favóre
de’Triumviri, e Bruto cadde estinto, non già da ferro nemico, ma con un
disperato suicidio si sepelli da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri
della spirante libertà Romana. In questa battaglia si trovò
ancora il Poeta Orazio Fiacco, di cui già si è fatta menzione. Piotare,
in Ant. pag. 679. Congressi tres illi in modica Insula amne circumfluo,
triduum in colloquio fuere. De celeris convenie inter eos facile, totumque
Imperium intcr se steut patrimonium suum sunt partiti, sed
disceptati dcillis, quos statuerant interficere, detinuit eos .... Tandem
fervore in eos, qui aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami c orum
benevolentiam postniittentcs, Ciceronem teseti Caesar Antonio, Amico di
Bruto, e fautore del partito Republicano, seguì quello nelle Campagne di
Filippi in qualità di Tribuno. Afferma il Porfirione (a), che Orazio
restasse prigioniero ; che in seguito non solo fosse liberato per
intercessione di M., ma ancora, che per mezzo di questo si procacciasse
il favore, e l’amicizia di Ottavio. Lo stesso si legge in una Vita
di Orazio d’incerto Autore prodotta da Giovanni Bon. Altri credono di
più, che fatto prigioniero, per opera dello stesso M., venisse
liberato immediatamente, e sul Campo di battaglia. Ma tali assertive
so ( i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major. Et tibi, F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta
Carminis est auctor, qui fuit et veniae. Sveton. in Vit. Horat. Sello
Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta Imperatore, Tribunus Militum
meruit. Presso il Mancinel. in Vit. Horat.
Porphìrion addit, Horatium captum fuisse a Cae«are, sedpostea, beneficia
Maecenatis, non solum servatus, sed etiam Caesari in amicitiam traditus. Edi*.
deli’Opere di Orazio Lug. Batav. an. i663. Coluitque adolescens Bruturn,
sub quo Tribunus militum militavit ; captusque a Caesare post
multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam in amicitiam acceptus
est, I H do smentite dalf autentica
testimonianza dellTstesso Poeta- >.'• ’-n ed in questa
occasione per mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia, e la
protezione di M.. Dopo questa epoca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio
nella Satira testé riferita ; e siccome la sudetta battaglia presso Filippi,
accaduta verso il mese di Novembre 71 a, (i)è anteriore di molti
mesi alla venuta di Virgilio in Roma, così sembra evidente, che allora M.,
che ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio, non poteva
conoscere netampoco Orazio, nè cooperare alla di lui salvezza sul Campo
di battaglia. Orazio adunque
fu in primo luogo debitore del suo futuro benessere alla tenera
amicizia di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C. Cilnio M.,
il quale mercè li buoni uffici di quelli, non solo lo mise nel numero de’
suoi amici, ma vennto in cognizione da se stesso del raro di lui ingegno
per la lirica Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò per esso
il perdono da Angusto, e successiva- De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia.
Circa Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedonia, pereuntque Cassius,
et Brutiu. mente gli procacciò eziandio
la sua amici» zia(i e meritava la di lui affezione. Ancora
giovinetta di una beltà superiore all’altre Dame Romane era vedova di C. Clodio
Marcello, che era stato Consolo. Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il
sudetto progetto, che gli presentò M., chiamò la sorella, e la persuase
ad accettare la destra di Antonio. La virtuosa Ottavia non *i ricusò
alle premure del Fratello, ed «al bene, che le sue nozze potevano recare alla
Patria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il matrimonio in fatti
segui con reciproca sodi•fazione ; e M. ebbe il contento di vedere
effettuato pienamente il suo progetto. La gioja de’Romani fu grande, ed
universale, perchè ognuno credeva, che, mediante questa alleanza di parentela,
e di sangue, anderebbero a cessare per sempre le guerre civili ; e
che li due putenti Rivali avrebbero vissuto in una pace inalterabile. Ma
li progetti dell’Uomo sono sottoposti incessantemente alli capricci, ed
alla volubilità dell’Uomo istesso, ed i matrimonj formati dalla Politica, rare
volte seco portano una seguela di felici avvenimenti. Conchiuso il sopradetto matrimonio,li
due Triumviri vivevano con una intelligenza, che giungeva alla
familiarità. Si accordavano Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae. Has
nuptias suaserunt ornncs, quod Oetaviam sperarent, quac excellentiae
formae gravitatela, et prudentiam habebat adjunctam, ubi Antonio
conjuncta csset, atque ut talis foemina, haud dubie ab eo adamata,
omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al Laturam 6 ? scambievolmente ciò
che l’uno all’altro proponeva, sempre però a discapito del Regime republicano. Imperciocché
stabili rono fra le altre cose, che iu avvenire essi nominerebbero li
Consoli, quando non vorrebbero esercitare eglino stessi il Consolato,
togliendone la elezzione alle Centurie ; e che, dopo la loro separazione,
Antonio farebbe la guerra ai Parti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nella
Sicilia, ad onta della buona fede, su cui questo si era da essi separato.
Gli amici di questo, saputo il
tradimento, ed il nuovo progetto de’Triumviri non mancarono di prevenirlo
minutamente. A tale notizia Sesto animato da un risentimento naturale, e
non ingiusto, non aspettò a farsi sorprendere, e facendo uso di una
straordinaria attività, prevenne li suoi nemici, e diede principio alle
ostilità. Ricopri delle sue Flotte li mari d’Italia, e ne bloccò tutti li
porti, affamando in tal guisa la Capitale. La carestia divenne terribile. Romalanguiva
dalla miseria, eoli Romani conoscendo, che la loro penosa situazione era
l'effetto della cattiva politica de’Triumviri, cominciarono a mormorare
apertamente, ed accadevano disordini, e sollevazioni. Antonio, ed Ottavio stretti da queste
imperiose circostanze, cercarono la maniera di calmare Pompeo, e di riconciliarsi
con esso. Sebbene quello fosse
profondamente penetrato £ a dal torto ricevuto, ed avesse
l’animo irritato contro li Triumviri, tuttavia, stante l'interesse, che
avevano preso per la pace Libonc suo Suocero, e Muzia sua Madre,
condiscese a tenere un congresso a Baja, e come altri vogliono a
Miseno (i). Le discussioni del
Congresso furono lunghe, e spinose, e più d’una volta venne
disciolto per le condizioni che promoveva Pompeo, piuttosto dure,
ed umilianti per li suoi Avversar] ; finalmente furono spianate tutte le
difficoltà, e fu sottoscritto un Trattato di pace. Secondo Appiano Alessandrino, dopo
qualche tempo dalla conclusione di questa pace, sembra, che Ottavio trovasse il
pretesto di romperla. Forse 1 ’csistenza del Successore del gran
Pompeo attraversava la vastità delle di lui mire politiche, e perciò
cercava la maniera, o di umiliarlo all’atto, o anche distruggerlo. Pompeo anche
in questa circostanza prevenne il suo nemico. Mandò subito in corso molte
navi corsare, che, scorrendoli mari d’ Italia, intercettavano li viveri
per Roma. Ottavio scrive ad Antonio, prevenendolo della guerra, che
andava ad intraprendere contro di Sesto, e facendogli conoscere,
che Appian. Dion. Appian.
vi era stato costretto l Antonio sorpreso della novità, e
più sincero questa volta nell’adempimento del sagro dovere detrattati,
nonapprovò le mosse ostili., e l’intenzione del suo Gallega, e lo
consigliò a desistere dalla meditata intrapresa. Non ostante la disapprovazione
di quello, Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti, perchè
nello stato in cui si trovavano le cose T credeva, che ne resterebbe leso
il suo decoro, e compromessa la sua gloria, se retrocedeva, e se avesse dovuto
proporre un accomodamento al. suo nemico -, ma egli restò umiliato dal valore
di questo, che disfece pienamente la sua flotta navale, e ne riportò una
completa vittoria. Roma frattanto
già sentiva gli effetti funesti del blocco, che nuovamente avevano posto
alli Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo, e già la fame
cominciava di bel nuovo a distendere la sua mano devastatrice sugli
infelici abitanti. Si mandavano al cielo imprecazioni contro
l’Autore di questi mali, e voci 9orde, e dispiacenti si diffondevano
contro del medesimo nel publico, che venivano avvalorate dagli amici, e
partitanti di Pompeo. Da questa
pericolosa, e critica situazione forse Ottavio non si sarebbe
disimpegnato con onore, e forse non avrebbe superato que pericoli, da
quali era minacciato, senza l’assistenza, li consigli, la destrezza, e la
politi Digitìzed by Google di cui quello facesse uso
presso di questo iu un affare così importante, e delicato ; nè si
sà su quali basi poggiasse la discolpa del suo Padrone nella guerra
attuale da esso continuata, nonostante la manifesta disapprovazione del
suo Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efcficace eloquenza, li talenti politici,
la destrezza, e le di lui cognizioni rapporto a materie diplomatiche prevalsero
a tutte le ragioni, che fino allora avevano reso Antonio neutrale. Che anzi Sesto Pompeo naturalmente
non aveva mancato di profondere dell’oro, e de’ presenti presso li
Ministri, e nella Corte di Antonio, non aveva trascurato d’inviargli
Deputati, ed Oratori, architettar cabale, e profittare di ogni risorsa per
indurlo ad unirsi se* co lui contro il dominatore dell’Occidente, o
almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato sistema di neutralità ; ma
l’arrivo, e la presenza di M. nella Grecia, in Atene, e nella Corte di
Antonio sconcertò tutte le precauzioni, fece andare a vuoto tutte le manovre, e
tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché persuaso Antonio, che Ottavio aveva
operato giustamente, e che il torto era dalla parte di Pompeo, fece
lega con quello, e si dichiarò eontro di questo (i). Con si
felice succèsso ultimato l’affare, M. . A Appian. a ] non tardò nn momento a
ragguagliarne con esattezza il suo Padrone, sapendo, che doveva
esser agitato da una penosa folla di cure, e di pensieri molesti. Ottavio
infatti sapeva, che la salvezza de’suoi interessi, della sua gloria, ed
anche della sua vita, dipendeva dall’impresa, che M. si era addossata, e che
tutto sarebbe perduto, se la fedeltà di questo Ministro non fosse stata
incorruttibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua missione,
de’suoi progetti, e delle sue trattative, lo stato del di lui cuore non poteva
essere il più felice, perchè scosso quindi, e quinci da tutte quelle
moltiplici impressioni, che sogliono mettere in movimento in simili
circostanze la dubbiezza, il timore, e la speranza ; ma ricevuta la notizia
consolante, primieramente in iscritto, e quiudi a viva voce dallo stesso M.,
che, tornato in Roma, gli presentò il Trattato con Antonio
conchiuso, Ottavio si consolò, bandi ogni sollecitudine affligente,
e conobbe appieno, che l’abilità, li talenti, e piu la fedeltà di un
Ministro virtuoso possono alle volte salvare uno Stato, e recare un bene
inestimabile al Principe, ed alla Nazione. In seguito diede principio a nuovi
preparativi militari, affinchè con questi, e col soccorso, che Antonio gli
avrebbe recato, potesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre
l'abbondanza nella Capitale, e misurarsi nuovamente col sua rivale. Antonio intanto, fedele alle
promesse fatte a M., ed al trattato conchiuso, parti da Atene nella
primavera, con una flotta di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi,
ove era ilquartier generale di Ottavio. Non ostante le premure, e l’impazienza
di questo in avere il bramato soccorso, sembra, che appena si
avvicinarono le due Armate, nascessero dissapori, e diffidenze fra li due
Triumviri. Il motivo di questa strana mutazione resta ascoso sotto il velo di
quegli arcani, che la politica, e l’ambizione rendono imperscrutabili,
seppure non debba dirsi, che fu effetto di gelosia di stato. '
Antonio già pensava di ritirarsi, e forse con sinistri disegni
contro il Collega ; già le reciproche contestazioni erano giunte a tal segno,
che si presagiva una manifesta rottura, se non fosse divenuta mediatrice
Ottavia sposa di Antonio, e se non si fossero trovati al campo M., ed
Agrippa, altro Favorito, e Ministrò di Ottavio. i, .b Quella donna
virtuosa non omise alcun mezzo per dileguare dall’animo del fratello qualunque
sospetto, che potesse nutrire contro del marito, ma sebbene da qdello
venisse accolta con ogni dimostrazione tutte le volte, che andò presso di
esso, tuttavia non ebbo mai alcuna risposta precisa, e consolante. Impaziente
però dell’esitck nella intrapresa mediazione, si rivolse ad Agrippa,
e a M., conoscendo la grande influenza, che aveva, segnatamente il secondo,
sullo spirito di Ottavio. Perciò essendosi portata da essi, animata
da quel vivo entusiasmo, che le veniva inspirato dal doppio amore, e zelo del
marito, e del fratello, cosi si espresse “ Ottavia, che vedete avanti di voi,
benché nel più alto rango, a cui possa giungere una donna, sarà per
ritrovarsi ben tosto nella situazione la più deplorabile, se i
vostri consigli non prevengono i mali, che essa paventa. Sorella di
Ottavio, e moglie di Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate aspettano dalla sua
mediazione il loro riposo, e credono, che da essa soltanto dipenda
di poterlo ottenere, dileguando que’dissapori che intorbidarono
l'alleanza recentemente,, fra quelli conclusa. Ah! quale sarà lamia sorte,
se non potrò disarmarli ? Senza pa^ ce tutto è a temersi per me; si
tratta di un fratello, e di uno sposo. In istato di guerra io dovrò
piangere l’uno, e l’altro per sempre. La vostra virtù, la publica
stima, e quella di Ottavio verso di voi, potranno contribuire decisamente
alle mie,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la
tùia mediazione,,, avvalorata dalla vostra, influenza, preude che
prima di due mesi non avrebbe potuto agire nuovamente. ',
Questo disastro di Ottavio risvegliò il coraggio, e le speranze degli
amici segreti di Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provincie, e
credendo, che egli volesse profittare de’vantaggi, che gli recavano
inaspettatamente gli elementi, già prevedevano la distruzzione di quello, ed il
trionfo del successore del gran Pompeo. Ottavio, prevenuto di qneste
circostanze da esso presagite per una conseguenza quasi naturale
della sofferta disgrazia, spedi contutta sollecitudine M. nella Capitale
; ove giunto non mancò in primo luogo di dissipare ogni inquietezza
dall’animo degli amici del suo padrone ; quindi seppe prendere misure
cosi giuste contro li malintenzionati, che furono costretti a rientrare
nella taciturnità, e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città. Non può non ravvisarsi, che Pompeo in
questa occasione non seppe approfittarsi delle circostanze favorevoli, che gli
somministrava la mina della Flotta del suo rivale. Egli si contentò di
vedere la sua fuga, o piuttosto la sua ritirata, credendo, che non
potesse molestarlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con tutta quella
previdenza, degna di un bravo Capitano, giusta la riflessione dello
storico 7 « Appiano. Se esso avesse assalito
Ottavio nel disordine, in cui lo aveva gettato la tempesta, avrebbe senza
meno riportata una vittoria completa, e forse decisiva, e gl’interessi del suo
partito avrebbero sicuramente migliorato. In fatti Ottavio rimase talmente
sconcertato dalla tempesta, e dai torbidi in Roma accadati, che voleva
abbandonare l’impresa, e lo avrebbe fatto, se M., che conosceva l’attuale
situazione delle cose, e prevedeva politicamente il futuro, non lo avesse
persuaso diversamente. Egli gli fece conoscere, che Roma soffriva per la
fame; che la fazione di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta,
che le mormorazioni del popolo non sarebbero cessate, finché non si fosse
quello allontanato dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia
; che se gli elementi avevano malmenata, e re» sa momentaneamente
inservibile la sua Flotta, quelle di Lepido, di Agrippa, e di
Statilio Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che perciò
bisognava con costanza proseguire la spedizione, e profittare
segnatamente dell’errore commesso dal nemico dopo la tempesta (a). In vista di tuttociò Ottavio segui li
consigli Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou del sno Ministro,
e mentre questo conteneva in Roma Io spirito de’faziosi, e sopprimeva
le scintille del malcontento, con una condotta degna del piu grande
politico, quello si occupò di rimediare ai disastri della tempesta ; risarcii!
vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri a quelli perduti ; ed in tali
operazioni agi con tanta celerità, che nella prossima estate si
trovò in istato di uscire nuovamente in mare con forze eguali, ed anche
maggiori di quelle della scorsa campagna. La sorte però non aveva ancora rivolto
le spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava benigna. Imperciocché
venuto alle mani con Ottavio, e datasi una battaglia campale, questo fu
totalmente disfatto, e non salvò la vita, che dandosi ad una fuga
precipitosa accompagnato da un solo soldato. Questo novello rovescio tornò ad
infiamma' re la testa ai partitanti di Pompeo, perchè M. si era
allontanato da Roma. Ma egli anche questa volta seppe riparare ed alla
perdita de’ vascelli, ; ed ai disordini, che accadevano per opera de’Pompejani.
Si spedirono immediatamente
degl’ordini a tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a Marco
Agrippa Ammiraglio sperimentato, perchè accorressero con le loro Flotte iuajuto.
In seguito M. volò in Roma, ove tro- Appian. So vò, che il
male era maggiore di quello, che si era creduto ; ma non per questo si
sgomentò l’anima sua intraprendente. Facendo uso di una fermezza senza
pari, e di misure con tutta la saviezza applicate, seppe sconcertare anche per
la seconda volta li progetti sediziosi de’seguaci di Pompeo, alcuni
de’quali più inquieti, « recidivi condannò all'estremo supplicio, ed in tal
guisa ricondusse il buon ordine, la quiete, e la sicurezza nella Città.
Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di Marco Agrippa, che,
obbediente agl’ordinl ricevuti, era accorso in ajuto, e più incoraggito
dalla presenza di questo fedele, ed intrepido Ammiraglio, riprese arditamente
l’offensiva, attaccando replicatamele le Armate di Pompeo ; questo non
lasciava di difendersi, e di schivare gl’incontri, che potevano
essere dubbiosi, e comprometterlo ; ma già si avvicinava 1’ estremo
periodo della sua brillante carriera, e la Parca crudele già gli
andava preparando quel destino ferale, cui fu sottoposto sulle spiagge
Africane l’iufelice suo genitore. Dopo differenti parziali combattimenti,
la Squadra di Ottavio, commandata da Marco Agrippa, si azzuffò con quella
di Pompeo. C’urto fu de'più formidabili,
e si combattè con furore da una, e dall’altra parte ; infine
però Appian. loc. cit. 8i la vittoria si dichiarò
a favore di quello, e la Flotta di questo ebbe una rotta cosi
spavento* 6a, che sarebbe restato egli stesso prigioniero, se non fosse
fuggito sù di un piccolo Brigantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena
giunto gli fu recata la dispiacevole notizia, che il resto della sua
Armata, sfuggita all'eccidio, era passata sotto le bandiere nemiche. Allora
riflettendo più seriamente alla sua salvezza, fuggi ancora da Messina con poche
navi, che gli erano restate fedeli, dopo avere imbarcato la figlia, il danaro,
gli amici, e tutte le cose preziose andò errando qua e là per l'Asia, ora con
prospera, ed ora con iufelice fortuna. Finalmente, per ordine segreto di
Marco Antonio fu messo a morte in una Città della Frigia (a^. La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo
ricolmò di gioja il giovane Ottavio, perchè si vedeva liberato da un
pericoloso, ed inquieto rivale, ma in questa istessa circostanza
ebbe 1’occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido, Collega nel
Triumvirato, e quello, che, in privato, forse più degl' altri aveva
abusate della potenza usurpata. Lepido aveva comandata una Flotta
nella Dion. lib. 49. Strab. lib. 3. Vellej. lib. a cap. 790 87. Oros.
lib. 6 cap, 19. Usser. Annal. pag. 434. i F guerra
testé riferita, ed anche egli aveva in parte contribuito all’ esito
vantaggioso dell’ impresa. Dopo qnella battaglia campale, in cui
Pompeo fu rotto, e fuggi, nacquero delle contestazioni tra quello, ed
Ottavio, o perchè Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio della
vittoria, o per altra ragione non bene nella Storia conosciuta. Tali
contestazioni avevano anche preso un aspetto serio, e pericoloso, e si
potevano temerne conseguenze disgustose. M., cui rincresceva
altamente, che, appena spento il fuoco di una guerra civile *
dovesse accendersene un' altra, cercò di prevenirla con una di quelle
politiche risorse, di cui egli era capace. Nella Flotta di Lepido vi erano già
degli amici, e partigiani di Ottavio, il cui numero si era aumentato
inseguito delle surriferite contestazioni. Si aprirono delle relazioni con
questi ; delle giudiziose istruzioni, che vennero loro comunicate, li
prevennero del progetto ., che si meditava. Lepido non era amato dai
Soldati, e perciò lo sviluppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo alcuno, e fu
sollecito, e vantaggioso. All’ improvìso l’intiera Flotta di quello
passò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di Ottavio,. IUrdasto
abbandonato, solo, ed inerme, si vide Lepido ridotto in una situazione
incapace affatto a reali zzarp qualche idea di civile discordia, che forse
andava machinando. Che anzi,
siccome egli era di nn animo de-» iole, e di carattere vile a fronte
delle disgrazie, cosi temendo maggiori sciagure, si portò supplichevole
ad implorare la clemenza di Ottavio. Alcuni avrebbero voluto la di lui
perdita, ma questo si contentò di spogliarlo di quella autorità, di cui
era rivestito, e di ridurlo ad una vita privata. In tal modo ( secondo l’espressione di,,
Appiano ) Marco Lepido, uomo di si grande impero, ed autorità, che aveva
pronunciata la Sentenza di morte contro tanti Cittadini di nobile, ed
illustre lignaggio^, fu balzato dalla volubile, e fallace fortuna ; in
guisa che con abito privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di
alcuni di quelli stessi da esso condannati, fu ridotto a vivere senza
riputazione, ed a morire ignominiosamente. Ottavio, sistemati gli affari
delle nuove Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo la fuga di
Pompeo, e la destituzione di Lepido, fece ritorno in Roma. Il suo ingresso
fu un Trionfo. Fu accolto con entusiasmo, e con applauso dal
Senato, e da tutti gli Ordini de’ Cittadini, perchè credevano, che ai
tonfi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in Octav.Art. 16.
F a I
bidi passati sarebbe snccednto l'ordine, l’ab* bondanza, ed
una pace generale ; ed erano cosi persuasi di questo novello sistema di
cose, e segnatamente della pace, che inalzarono in onore di Ottavio una
colonna con questa Iscrizione " Il Senato, ed il Popolo Row mano
hanno inalzato questo Trofeo a Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace
generale per mare, e per terra, che prima M era bandita da tutto il Mondo.
(i) Roma infatti cominciò subito a respirare. Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi,
ed una reciproca confidenza già assicurava la quiete di ognuno,
tanto in quella Città, che .nelle Provincie. Quello però, che contribui più
d’ogn’altro, mediante la sua incomparabile prudenza, alla
tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il nostro M.. Si è già veduto, che
Ottavio, allorquando era occupato nella spedizione contro Sesto Pompeo si
era più volte servito de’ talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza
di qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del «uo partito
nella Capitale. Da ciò si rileva chiaramente, che già fin d’allora lo
aveva nominato Governa tore, o Prefetto di Roma, e che di questa
carica sublime era pur auco rivestito nell’epoca, che ora si
descrive. Appian. Queste j ed altre simigliane contestazioni
reciproche diffusero le prime elettriche scintille, foriere del turbine
devastatore -, che in breve sarebbe andato a precipitarsi sull’orizzonte
politico di Roma, e formarono l’oggetto, e la materia a que' pretesti^
che aveva già M. preveduti. Non bastava però ad Antonio di aver
offeso in tante guise Ottavio, ed il Senato, e di aver commesso,
per dir cosi, in Oriente tanti delitti a disonore del nome Romano. Per colmo della sua sfacciatagine, o
piuttosto cecità, volle aggiungerne un altro. Mentre la virtuosa
Ottavia gli dava argomenti li più sinceri della sua conjugale premura,
del suo zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò
bruscamente, e la ripudiò, per immergersi pienamente negli amori
illegìttimi di Cleopatra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e degno di tutti
li rimproveri, rivoltò contro di esso la publica opinione ed in Roma, e
nel Senato, e nell' Italia, ed in tutti que’ luoghi, ove erano conosciuti
li pregi, e le virtù' della. Sorella di Ottavio. Allora si ravvisò
appieno, * (r) Plutarc, in Ant, che la condotta di Antonia
offèndeva ornai troppo manifestamente la grandezza Romana, il
decoro del Senato, eia purità della Costi» tuzione ; che in consequenza
non era più de* gno di comandare, nè doveva, nè poteva
ulteriormente tollerarsi. s La guerra adunque fu dichiarata contro
di quello, ed i Romani diedero principio ad una operazione
bellicosa, che doveva cagionare la perdita totale del sistema Republicano,
e nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi gli estremi accenti,
e l'ultimo anelito della loro spiraute IjhljrtA. b*;ù»q.**6J«swi
i»y: Ottavio prima di allontanarsi da Roma per portarsi a
combattere Antonio, raccomandò la cura di questa Capitale, e dell'Italia
al suor M., che tuttavia esercitava la Prefet» tura dell’ una, e
dell’altra. La tante volte sperimentata fedeltà di un cosi abile
Ministro rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era del tutto
persuaso, che nella sua lontananza, e durante questa nuova, e civile
discordia, gl* interessi del suo partito non avrebbero sofferto
alterazione veruna. Con questa fiducia parti da Roma, e prese il camino là
dove il supremo Direttore degli umani avvenimenti lo chiamava per
divenire il primo, ed il più potente Monarca del Mondo. Alcuni hanno creduto, che in
qtiestaspedrsione militare M. seguisse Ottavio, e che anch’ esso si
trovasse presente alla memo rablle bavaglia di Azio. Dedussero questa
credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora* zio Fiacco, nella quale il
Poeta si fa a parla** re a M. in tal guisa “Tu dunque, o ami-,, co M.,
andrai sulle agili navi Libnr-,, ne /disposto ad incontrare tutti i
pericoli di Ottavio, incontro gl’ alti bastimenti di,, Antonio? (t)
• Il Grammatico Acrone, fondato su queste parole, sostiene,
che M. non solo andasse nella battaglia di Azio, ma inoltre è d’avviso, che da
Ottavio venisse nomi-* nato Comandante delle navi Liburne \ esprimendosi,
come siegue “ Orazio parla a Mej, cenate, che va con Augusto alla battaglia,,
navale contro Antonio, e Cleopatra. Mentre Cesare Angusto sta per andare
.> alla spedizione presso Azio, affidò a Mecenate il comando delle navi
Liburne che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone •I.•
?.• ^ V Epod. Od.r. * Ibis
LiburnU inter alta naviutn, Amice, propugnacula, P
aratus orane Caesaris perìculun Subire, Maecenas, tuo. • (2)
Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M. prosequitur euntem ad bel/urn nasale cura
Augusto adversus Antonium, et Cleopatram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar
Au~ gustai, Liburnis praeposuit Muecenatem. t _ di più, che dopo la
battaglia, e la fuga di Antonio, Ottavio ordinasse a M. d’ inseguire li
fuggitivi con le sue navi Liburne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello
stesso sentimento, dicendo Anche M. segui Augusto contro Marco Antonio, e,,
Cleopatra presso Azio, Promontorio di Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e
del Mancinelli sono Stati il Turnebò, Mcibomio, Cenni e Volpi. Il Torrenzio però, sull’autorità di
Dione Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire,
dice egli, che nella celebre battaglia presso Azio, non fu pre., sente M.,
il quale in quell’ epoca era Prefetto di Roma, e dell’Italia, come
», rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di più Virgilio, che fa
menzione del solo ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae
sar misso curri Liburnis Maecenate, qui lorigius insequeretur fugientes, ad
honores Deo rum, a quibus adjutus credi volebat, se contulit. ».
fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera Augustum Maecenas est contra M.
Antonium, ef Cleopatram apud Actium Epici Promontórium. _ ( 3 ), Com. in 1. Epod. Horat. v.. Vit.C.
Cilnj M. ( 5 ) Vit. di M. lib.i. Postil.9. -, Lat.vetus
tom.io.part.x.pag.a37. Digiti; ile,> Agrippa, e che lo eguaglia
allo stesso Otta» vio, non avrebbe omesse le lodi ancora del suo M., se
anch’esso si fosse trovato in quell'azione. Laonde Orazio scria» >» se
questa Ode nel supposto della futurapartenza di quello. ( i ) Su
tale articolo sembra, che il sentimento di questo Comen tato re sia il
più giusto, ed il più fondato se si legge con qualche riflessione ciò che
narra il suceennato Dione, e prima e dopo la disfatta di Antonio, e
di Cleopatra presso Azio. Imperciocché con tntta chiarezza rilevasi
dagli scritti di questo autore che M. era Prefetto di Roma, e quando Ottavio
parti per la spedizione contro Antonio, e durante 1’ epoca della medesima,
e dopo la riportata vittoria, come si è anche accennato di sopra. Di più Velie jo Patercolo descrivendo
la ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me existimare, celebri
ad Actium pugna non interfuisse Maecenatem tane temporis Romae, et
Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod significare videtur Dion.
lib.5l. Virgilio» sane solius Agrippae Theminit, insigni laudatione
ipsum Caesari aequiparens, non omisurus Maecenatem suum, modo adfuisset. Quare
carmen hoc sola opinione futurae profcctionis tcripsit Horatius. Lib.a,
art. 85.: Dcxtrum navium } ur 9 * sudetta battaglia di
Azio * domina individùak mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subalterni
della Flotta di Ottavio > e non fa pa-» loia di M., il quale secondo Acrone, sarebbe stato il Comandante
delle navi Liburne. Ecco le parole di Vellejo L’ala,, destra delle navi
di Ottavio fu affidata a Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed
>, il centro ad Agrippa, Ammiraglio di tutta la Squadra. Ottavio f che
trovavasi per,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna
chiamato,. Torniamo in sentiero. Ottavio lasciata la direzione
degl’ affari di Roma, e dell’ Italia a M., come si è detto, si
portò in Brindisi, ove era ancora-, ta la sua Flotta. Essendosi quivi
imbarcato, fece vela verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad Antonio,
che già stava nella Città di Azio, e che aveva adunati li suoi Vascelli
nell’ ingresso del Golfo di Ambracia. Ottavio entri nello stesso Golfo, e
si disponeva a dare una battaglia; ma avendo osservato, che il suo
equipaggio non era completo, e che non era prudenza azzardare un fatto in
luogo si angusto, si tirò in alto mare, lasciando il suo nemico nella
primiera posizione. r : 4. ‘J>
i'.i lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum Aruntio,
Agrippae omne classici certamìni s arbitrium ; Caesar ci parti
destinatili, in, quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti
Intanto giunse ad Antonio con varie Legio* ni Canidio. Questo
Generale Romano, che seguiva sinceramente il partito di quello,
avendo veduto Cleopatra nel Campo, lo consigliò a doverla assolutamente
allontanare, sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in mezzo
all’Armata. Lo consigliò inoltre ad evitare una battaglia navale, ed a
portarsi nella Macedonia, ove con il soccorso del Re de’ Gesti,
avrebbe combattuto per terra, e la vittoria non sarebbe stata dubbiosa. Non
ostante la saviezza di questi consigli prevalse 1’ influenza della Regina
di Egitto, e fu risoluto di combattere sul mare. Non solo Canidio, ma ogn 'altro
sperimentato Militare conosceva, che l’ esporsi ad una battaglia navale,
era un errore. Infatti mentre Antonio trascorreva la Flotta, e dava
gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi soldati, ricoperto di
ferite gli disse ad alta voce,, Come, o Signore, andate a confidare
» la vostra gloria alla meschina, e pericolosa « risorsa di una battaglia
di Vascelli? Lasciate, lasciate il mare alli Egizj, ed ai Fenicj, che
sono nati per questo elemen*' e mettete a combattere li Romani sul
Continente. Se allora periremo, la nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà
compensata dalla vita de\nostri Nemici. Antonio nou rispose al Soldato, e
persisti per 94 sua disavventura nel Piano
stabilito. (i) Essendo stato il mare per alcuni giorni furiosamente
agitato non si fece alcun movi» mento nè da una parte, nè dall’altra:
Essendosi in fine calmato, ambedue le Flotte posero alla vela per dar principio
ad una battaglia, che doveva decidere della sorte del Mondo; Il sudetto
Vellejo accennando il giorno di questa battaglia memorabile, cosi si
esprime 6 dolore, e della sua disperazione. Lacera le proprie
vesti, si percuote il volto, ed il petto, e chiama replicate volte il suo
amante con nomi non meno teneri, che rispettosi ; Antonio, benché
prossimo ad esalare lo spirito, tuttavia non è meno occupato di Cleopatra. La
esorta a conservarsi, finché possa vivere con gloria, a non rammentarsi
tanto del suo tragico fine, quanto dello splendore di sua vita, e
degli onori, ond’ essa lo aveva veduto circondato ; Ed a riflettere, che
egli non era stato vinto, che da un Romano, dopo essere stato egli
stesso il più illustre fra i Romani ; quindi spirò, pronunciando queste ultime
parole. Antonio ( conchiude il
sudetto Storico In* glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli,
e fra i piaceri. Era posto in paragone con Cesare per il valore, e per la
capacità militare ; ma l'amore gli fece perdere il senno, il coraggio,
l’onore, la stima, l’affetto de’ Romani, e l’ Impero, e la vita. Cleopatra
con una morte egualmente spontanea seguì l'ombra di Antonio, ed nn
monumento istesso chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi)
(i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton. in Octay. art.i 7. Echard.
loc. cit. JVlentre Ottavio in tal
guisa trionfava nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con tanto
successo qnest3 guerra Civile, si attentava tacitamente alla sua vita nel
senoistesso della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la fedeltà,
Vattaccamento ? e la vigilanza di M.. Marco Lepido il giovane aveva dei
risentimenti particolari contro di Ottavio, e nutriva nel petto un odio
mortale, perchè 1’ ambizione, e prepotenza di lui avevano balzato Marco
Lepido il padre da quella superiorità, e e da quel potere, che gli dava
il Triumvirato,© lo avevano ridotto a menare una vita oscuta, e
negletta. Era questo Giovane Romano figlio di Giunia, sorella di Bruto
morto nella battaglia di Filippi : Egli voleva adunque vendicare nel tempo
stesso, e la morte dello zio, e l’avvilimento del padre. (i)
(i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum ultimam bello Actiaco,
Alexandrinoque Cae~ sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis
forma, quam mente melior, Lepidi ejus, qui T riumvir fuerat Reipublicae
constituendae, fili us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^ Formò a
tale effetto una pericolosa congiura per uccidere Ottavio, qnando
dall’Egitto avrebbe fatto ritorno in Roma. La cospirazione non focosi
segreta, che non giungesse a notizia di M. Prefetto di Roma. Egli
seppe con tanta quiete, e simulazione penetrare il nero progetto del traditore,
e con tanta celerità impedirne le consequenze funeste, che Lepido venne
arrestato, giudicato, convinto, e condannato all' ultimo supplicio,
senza che venisse punto alterata la tranquillità di Roma. In tal guisa M.,
secondo Veliero ( i ), con una sorprendente destrezza seppe spegnere le
perniciose scintille di una nuova, e rinascente guerra Civile.
Servilia moglie di Lepido, forse complice della congiura, non
volendo sopravvivere al marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed
alljt timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia inierat. Loc.
cit. Tunc Urbis custodiis praepositus Cajus Maecenas .... Hic speculatus
est per surnmam quieterà, ac dissimulai ione nt prae cip itis
consilia J uvenis, et mira celeritàte, nullaque cum perturbatione aut hominum,
a ut rerum, oppresso Lepido, immane novi, ac resurrectui i belli civilis
restinxit initium, et ille quidem male consultoruni poenas exsol
log pena dovuta, si uccise da se stessa con aver
inghiottiti de* carboni ardenti. Anche Giunia moglie del vecchio Lepido
fu accusata di complicità in questa congiura del Figlio ; ma contro
di essa non esistevano, che semplici sospetti; tuttavia M. la obligò
a dare la cauzione nel Tribunale di Balbino, Liv. in Snpplero.lib.
i 33. art. 72. Servilia Lepidi Vxor curn superesse viro non substinerct, et
diligenti familiarium custodia ni hil adipisci mortiferum posset, pruuis
arxlentibus deVoratis, vita abiit\: Vellej. loc. cit. Aequatur praedictae
Calpurniac Antistii, Servilia Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato,
praematuram mortem immortali nominis sui pensavit memoria Roberto Riqucz
nelle irate a questo articolo di Vellejo, fa le seguenti osservazioni
relativamente aCalpnrnia. Ciò che narra Vellejo di Servitia è
attribuito comuneme nte a Porzia moglie di Bruto. Infatti Valerio Massimo,
esatto Scrittore del Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto,
non ne fa menzione. Di poi la moglie di Lepido non fu Ser vilia, ma Antonia
figlia del Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa negare la
verità del fatto a Vellejo, 1. perchè Lepido, ripudiata, o morta Antonia,
potè passare alle seconde nozze con Servilia, 2. perchè Eliano Var.
Histor. annovera fra le illustri D ame Romane una Ser’» vilia .,!*•
uno de’ Consoli. Allora Lepido di lei marito si presenta a questo,
e cosigli parla" Voi sapete con certezza, o Balbino, che io
non sono stato complice del delitto di mio Figlio, e sapete egualmente,
che non ebbi parte alcuna il quell’Editto di proscrizione emanato,
quando la sorte mi faceva domi-,, naie, e nella quale foste anche voi compreso.
Se rifletterete per un moménto alla mia passata grandezza > io spero,
che alla vista di un supplichevole, di cui rispettaste altre volte li
decreti, sarete per ascoltarmi con cuore placato. Giunia mia
consorte non ha che me per adempie-re alFohbligo, che gli è stato ingiunto. Ricevetemi
adunque per la sua cauzione, o permettete, che io vada fra le prigioni
con essa,, Balbino sensibile alle preghiere di un uomo, che prima
del cambiamento della sua fortuna, la potenza aveva reso formidabile
ai Romani, e conoscendo ancora del tutto insussisteute l’accusa contro la
sudetta Gunia promossa, dichiarolla innocente. Intanto Ottavio avendo posto
fine alla guerra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten^ dell’ unico
competitore, che gli restava, fece ritorno in Roma ove fu accolto con
incompreusibile allegrezza; vi trionfò per tre giorni, e chiuse il Tempio
di Giano, che Appian. lib.4. Catrou loc. cit. per il corso
di dne secoli, era stato aperto. Benché rimasto solo padrone della vasta
dominazione Romana, tuttavia non cercò, che di farsi amare con le maniere
popolari, ed affabili, con le sue liberalità e con le più savie
disposizioni prese e per il bene publico, e per quello di ciascun
Cittadino in particolare. M., che
gli stava al fianco, e senza il consiglio del quale per cosi dire,
Ottavio non faceva passo, non mancò di fargli prendere tutte quelle
determinazioni necessarie per preparare insensibilmente l’esecuzione
di quell’ ardito progetto-, che già da gran tempo andava meditando. In fatti la condotta di quello, dacché
ritornò dall'Egitto, fu tale, che il Senato, il Popolo, e tutti gli ordini
dello Stato già sentivano gli effetti di un Governo Monarchico, benché
ognuno fosse persuaso, che la Repuhlica andasse a momenti a riprendere
l’antico suo lustro, e splendore. Ottavio però mostravasì indeterminato,
e dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se dovesse rientrare
nella classe di semplice Cittadino, ristabilendo laRepnblicà nel suo stato
primitivo. Da una parte gli si affacciavano all’ immaginazione agitata li
pericoli, a cui la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ;
richiamava al suo pensiero il crudele destino di Giulio Cesare suo padre,
e li rimproveri, che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che egli
travagliava meno per il publico bene, che per la sua propria grandezza,,
dall’altra parte si lusingava, che la Republica, stanca dai furori delle
guerre civili, preferirebbe un giogo pacifico, e salutare ad una indipendenza
funesta, bastante a richiamare tutti gli orrori passati. Credeva anche di
rimarcare, che il Popolo Romano avesse perduto lo zelo geloso, e l’amore
costante per la libertà ; che il Senato non avesse più P inflessibile
fermezza, che era scoglio alla Tirannia; e che ad ambedue mancassero
Soggetti capaci, ed intraprendenti per formate una formidabile
Fazione. ( i ) Queste riflessioni, e la sua indeterminazione era un
peso, che Ottavio portava con pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene
nel seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’abbiamo già osservato, uno
era Agrippa, Uomo tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era intrepido
nelle battaglie. Unito alla Corte di Ottavio fin dall* infanzia, crasi
acquistata la sua stima, e la sua tenerezza più ancora con l’esatta
sua probità, che per gl’importanti eervigj nelle armi ; era un guerriero
de’ tempi antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri Catrou Tom. 19.
lib. 5. Echard. 1 13 cj i fi) L'altro era M.. Dal fin
qui detto abbiamo conosciuto, che egli era un amico disinteressato
di Ottavio, fornito di uno spirito franco, e leale * il Politico
più raffinato del suo tempo, il più destro, ed il piu giudizioso
de’ Cortegiani. Agrippa adunque, e M. consultò Ottavio per fissare la sua
irrisolnzione, e per decidere sul grande oggetto. Agrippa parlò il primo con
una fermezza, conforme alla rettitudine del suo cuore, all’ amore,
che aveva sempre conservato per la sua Patria, ed alla riconoscenza, che doveva
al suo Padrone (a)., Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi
soltanto, vi esorterei a profittare all’ istante delle circostanze del tempo,
e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza ; ma, facendo
usodiquella sincerità propria del mio carattere, e fi) Catrou loc.
cit. Dion.. : Hoc autem anno vere iterum pencs unum Hominem s u
/rima rn totius Reìpublicae esse coepit, quamquam armorum deponendorum,
resque omnes Senatus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCaeSar agitaverit
; ad quam deliberationem, curi Agrippam, Maecenatemque adhibuissct,
nani cum his de omnibus suis arcanis communicara solebat, prior
inhanc sententiam Agrippa lo cutusest. * II
» già da voi altre volte sperimentata, credo, o Cesare, clic
bandito ogni privato riguardo debba parlarvi, e manifestare il mio
sentimento per il vostro, e per il publico bene .,, È principio certo in
Politica, che il sottoporre ad un governo Monarchico un popolo
geloso della sua libertà, forma un opera dilEcile ed eseguirsi. L’amore
della,, indipendenza nasce con noi, ed è un attributo quasi necessario
dell’umanità. Questa inclinazione universale in tutti gli uo5, mini aumenta, o
s’ inde.bolisce per mezzo,, dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te,
secondo i pregiudizj della Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte
eventnale di nascere. Perciò la natura, li cosfumi, l’edutazione, e la lunga
abitudine,, dovranno rendere ai Romani insopportabile il dominio di un
solo. Li popoli assuefatti al
giogo di un Padrone hanno un debole sentimento di quella generale
pendenza, che la natura ispira per la libertà ; ma quelli al contrario,
cui,, per successione è stata trasfusa la massima, vera o falsa che sia,
provarsi cioè,, minor servitù in un Governo formato da Magistrati di loro
scelta, si rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un Sovrano.
Potrà la forza tenerli per qualche tempo soggetti, ma questa forza
istessanon sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe vivifico, che
la natura v’ infuse, e che dalla educazione,, venne quindi allentato. Finora, o Cesare, le vostre
imprese sono state legittime, e la gloria da voi acquistata, non ha
in veruna guisa scemato lo splendore della vostra virtù. Imperciocché nella
guerra di Perugia opprimeste degli ambiziosi, che col pretesto di
vendicare la morte di Giulio Cesare, pretendevano d’inalzare un Trono sulle
ruine della Dittatura. A Filippi purgaste la terra di due assassini di un
Zio, che vi aveva adottato per figlio. La Sicilia, invasa da un
Tiranno, che spacciandosi per difensore della Repilblica, ne cagionava la mina,
fu liberata dalle vostre armi. De’ due Colleghi, che per mezzo del Triumvirato
sapeste con saviezza associarvi, uno vive tuttora nell’ oscurità, enei
disprezzo, e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di sonore, che
recava al nome Romano. Dopo tante vittorie, è giunto, o Cesare, l’istante
fatale, incili dovete pronunciare sulla sorte dell’ Universo .,, Quale
mai, e qaanto grande sarà la vo}J stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,,
tente per assoggettarlo da Monarca, saprete in guisa superare gl'impulsi
dell’amor proprio, che lo ridoniate a’ suoi veri Padroni ’ Allora
vedreste sollevarvi al di soli a pra de' Camilli, e
dc’Scipiorti, e consa-» orarvi Tempj,come a Divinità tutelare dal
Senato, e dal Popolo, ristabiliti nell’an>, tica loro autorità, e nel
primitivo stato di eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di,, Cittadini
appunto noi siamo debitori della conquista del Mondo, e finché li Romani,
ne furono in possesso pacifico, si viddero sortire dal seno della
Republica, e Generali scelti con riflessione, e Soldati premu-,, rosi di
rendersi degni di poter un giorno *, anch’ essi comandare. Ah, Cesare,
io >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,, blica, cessi ancora
per qualche tempo di vincere, e di conquistare,,, Quando il sistema
Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori, a quanti
incarichi laboriosi, e pesanti non j, va a sottoporsi il nuovo Monarca, e
sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi > ed il Senato
riuniti affrontarono >, immensi travagli per regolare 1’
amministrazione di tante Nazioni comprese nella vastità della Republica
Romana. Ora potrà un solo nomo supplire all’esercizio, che su di quelli
gravitava, e la salute la più robusta potrà sostenere le fatiche
inerenti al governo dell’ Universo ? Il solo Dion. lib. 5a. pag. 6i3. :
JEqualitatis et nomen est speciosum > et res j ustissima, dipartimento
delle Finanze non presenta,, una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di
pensieri, e di cure ? Io convengo, o Cesare, chele rendite- dello Stato sono
gran>, di, ma saranno sufficienti a mantenere tante Armate esposte su
tutte le frontiere dall’ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne
popolare si concorre agevolmente, e con piacere ai bisogni dello Stato, e
l'istes— sa avarizia cede alla ragione del bene comune. Allora la
liberalità de’Cittadini for>, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*,,
ri, ed agl’ impieghi (i). Al contrario in un Governo monarchico le
publiche intraprese di un Sovrano sono riguardate come suoi affari
personali. Ognuno crede, che,, da quello soltanto si debba supplire del
suo proprio tesoro a tutte le spese del Governo, Ogni nuova imposta
produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e nuove amarezze per il
medesimo, e sempre con la forza, o di mala voglia si vedrà il Cittadino
effettuare » il pagamento delle Tasse quantunque ordinarie, e regolate
dalla Legge. Quale odio poi non si
procaccia un Giudice universale, incaricato di punire da se l
( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est Imperium, multi multam
pecuniam conje rune, etiam ut liberalitatis opinionem consequnntur, ac prò Ut
ho noia mcritos adipiscantur. ti8 >, solo tatti li
colpevoli ’ In un cambiamento i t di Governo, il numero de’ malvagi si
mol-, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mali, contenti sortono, per dir
cosi, dal seno,, stesso della terra. Non potendosi tutti ridurre al buon
sentiero nè colla dolcezza, nè coiresempio del rigore usato con alcuni,
sarete dalla necessità costretto a pronuncia' i, re contro de*
medesimi, decreti o d' igno* minia, o di bando, o di morte, e sebbef, ne
sarete nel punire moderato, ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della
vo-,, stra giustizia necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un
particolare risentici mento. Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini, e
le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro
inalzamento al Trono, e perciò non pochi di essi non temeranno di
censurare primieramente la >, vostra condotta, e quindi anche formare,,
delle congiure a danno della vostra esistenza, e del sistema da voi introdotto.
Se perciò vorrete punirli, ed umiliarli, si susciterà contro di voi
la publira indignazione, e se li lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la
vostra sicurezza, sarà compro j, messa, c sarete circondato
incessantemente da mille pericoli. ( i) (r*) Dion. loc, cit. : Hos
ncque, si augeri ' Digitized by Google 99
ji 9,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò» getti, 1 ’
esecuzione de’ quali esige indi—,, spensabilmente 1 ’ opera, e la
confidenza di Generali rispettati dal Soldato per la loro nascita. Questi
riceveranno da voi il comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno
contro voi stesso quelle forze, che,, ad essi affidaste. A quale espediente
allo-,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà, che facciate uso d’ individui
di vile estrazione. Questo rimedio però potrebbe com« promettere la
tranquillità dello Stato, eia 33 vostra gloria ; imperocché, se per
caso 3, questi nomini oscuri riescono nelle imprese, diverranno insolenti,
se poi soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare,
preferite pure, preferite. le dolcezze di una vita tranquilla all’ im33
barazzo di una potenza tumultuosa. Un,, momento di piacere puro, e solido è
supc33 riore a tutto il fasto della grandezza. Che cosa pretendo
conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse 33
violentare il vostro animo a rinunciare per sempre a quella superiorità,
che avete coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io vi darei un
consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a restituire la Republica al
Popolo Romano nella situazione, in cui si pattare, tutus vivet,
neqiie si opprimere cancri},juste ages. ritrova al presente ; essa ha bisogno
di rij,, forma, prima che gli antichi Padroni ne vengano ripristinati al
possesso. Profittate pertanto di
quella Sovranità,,, di cui la vittoria vi ha rivestito per migliorare quel
campo, che avete acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,,
per tanto tempo, quanto sarà necessario per ristabilire le Leggi,
richiamare la prattica' delle antiche costumanze, corregere li », abusi
del Comiz'o, reprimere 1’ ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle
pretenzioni del Senato, moderare il potere de’ Tribuni, regolare
l’uso delle Finanze, e », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani.
Quanto glorioso allora sarà per voi di comparire da semplice Cittadino in
uno Stato, / >, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di »,
tante proscrizioni, ed il carnefice della sua », Patria, seppe dimettersi
a tempo, e mori », rispettato, e tranquillo. Giulio Cesare vostro
Padre, il meno sanguinario degl’Uomini, e il più inclinato a perdonare, fece,,
perpetua la sua Dittatura, e trovò degli », assassini frà li suoi amici
più cari. M discorso di Agrippa
fece una forte impressione sullo spirito di Ottavio. Egli forse avrebbe
abbracciato il sistema da quello proposto, sagrificando le sue vittorie al
ristabir limento della Repubbra, ma M., essendo di contrario sentimento,
entrò neH’are ~Diqitizécl TSyGoogle 121 uà, e
parlò con tale facondia, e vivacità, che ottenne nna completa vittoria
sullo spirito di Augusto. Se si trattasse ( rispose egli ) di
delineare un Campo, e di prendere del le misure per dare una battaglia, io
non oserei di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma, aggirandosi la
discussione intorno a materie politiche, credo di potere con sin-,,
cerità azzardare il mio giudizio, avendo su di quelle lungamente
riflettuto, e trat-,, tato non poehi affari dello Stato in differenti, ed anche
difficili occasioni. Comprendo la solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco
ancora, che lo scioglimento di essi non può imbarazzare un Eroe già
Padrone,, sovrano, e capace d* ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha
incominciato colla,, forza. La
Republica, o Cesare, è caduta in uno stato d’ infanzia, ha bisogno perciò
di,, esser messa in tutela. Ora non siamo piq in que’ tempi felici, in
cui la virtù soste-,, neva questo gran Corpo, ed in cui le sue forze non
erano state indebolite dal vizio;,, ma l’avarizia è succeduta all’amore
della povertà, l'ambizione agli onori, la temperanza alla frugalità, e 1’
incontinenza al,, modesto pudore ; è impossibile pertanto di,, trovare al
presente un numero diMagistrati disinteressati, sobri, casti, virtuosi, e
simili a quelli, che fecero onore ai primi f aa
secoli di Roma. Tanti mali invecchiati vi-» a chieggono una roano
capace a poterli gua>» lire. f.
Si, Cesare, voi dovrete affrontare pei, santi incarichi nel prestare la vostra
opera ad una cura cosi difficile ; e preveggo, che,, saranno assai grandi
li vostri pensieri, la vostra vigilanza, li vostri travagli ; ma
nell’attuale stato delle cose sono divenuti i, necessarj ; e sebbene
potrebbe sembrarvi spaventevole un tale prospetto, tuttavia sono
persuaso, che non avrete il coraggio di abbandonare il Governo nel
pericolo di,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa-,, Iute,
f. Non è possibile di rimediare ai mali pre*,, senti con una Dominazione
passeggierà. U ristabilimento del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle
leggi, e de’ regolamenti è un idea di speculazione, che non può aver
luogo in prattica; bisognerebbe, che quelle venissero infinitamente
moltiplicate per poter correggere li disordini, che le passioni hanno
introdotti. Come poi potrebbero trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’
quali fosse abbastanza incorruttibile, e li costumi abbastanza puri per
mantenerne l’osser-? vanza ? LaRepublica è ridotta in tali
circostanze, rt che ha bisogno di una Legge vivente, che f, ordini,
e che faccia al tempo stesso ese guire. Appena la maestà di un Padrone
perpetuo basterà per imprimere il rispetto;,, ma che cosa accaderà, se
Magistrati di un anno saranno incaricati della Riforma f Li
Cittadini indocili, e pertinaci spereranno » r impunità nel governo di
Successori più deboli, sostituiti ai più rigorosi. E’ necessa-,, ria una
Autorità permanente per distrugge-,, re inclinazioni perverse, che
rinascono incessantemente, e che non è tanto facile 99 di
estirpare. Voi, o Cesare, vi
dovete alla Patria, divenitene Padrone per sempre per sua compassione.
Fate sì, che il Senato sia composto di Soggetti di sperimentata saviezza
; confidate le vostre Armate ad abili Generali, e scegliete li vostri
Legionarj frà le,, Famiglie povere, le quali porranno som», ministrare
Cittadini eccellenti ; ma conser-,, vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin»
piegherete nelle cariche, e suiti Comandan» ti degli eserciti, e suiti soldati
medesimi. Ne con ciò pretendo, che
il peso degli affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne
#> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj delle antiche Famiglie,
che renderete i ! 1 u stri, con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo,
bisogna regolarsi con tal cautela, che sia sempre contenuto nell’
umiliazione. Finché li plebei s’
interessarono della sola cultura delle terre, Roma fu tranquilla ;
si ridderò però divenire insolenti, allorqnan», do, associati ai publici
affari col soccorso i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte la
’ Costituzione dello Stato ; c necessario per», tanto, che rientrino in quella
subardina», zione, dalla quale furono levati dalle Fazioni.
Disprezzate le publiclie voci tendenti a », denigrare la vostra
condotta. Forse si dirà, che avete vinto perii vostro solo ingrandimento ; ma
Roma parlerà con altro linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vostri
auspicj vedrassi al colmo della feli jy Cltil «,, Non dovrete temere
alcun attentato alla,, vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i
vostri giorni saranno in pericolo, y, se, spogliato del supremo potere,
rifenì, trerete nella classe di semplice Cittadino ; .chi mai in questo
caso potrà garantirvi dalla perfidia di que' scellerati, e malconten* ti,
che sopravissuti alla distruzione nelle », passate guerre civili, si aggirano
ancora e,, in Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’ turbolenti
partegiani delle Fazioui di Sesto Pompeo, e di Antonio. Que Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ristia,
qua optimus quisque servire cogitur, et acerbissima est, utiisque
cominunem pcrniciein ffert. nS A sti,
serbando contro la vostra persona odio, risentiraento, e livore,
cercheranno di vendicare l’affronto, che loro recaste per,, averli vinti,
ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima gradita
all’ s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle camf> paglie di Filippi,
o sulle spiagge dell’ Epiro. Siavi d' esempio Pompeo il grande, il,, quale,
spogliatosi spontaneamente di quella potenza, che colla vittoria si era
acquistata, fu miseramente ucciso, mentre faceva degl’ inutili sforzi per
ricuperarla :,, Alla medesima dissavventura sarebbero stati esposti
ancora Mario, ed altri potenti Cittadini, ie non l’avessero prevenuta
colla morte. (i,) • t > * Diòn. loc. cit. : Quis enim libi
parcet, ubi omnes res, uti mine ace sunt, P apuli, àlior urn que‘
Potè stati praemitlis, cu/n et pcrmulti a te sint offensi, et omnes fere
summam rerum tentaturi, quorum alteri et ulcisci te, alteri
adversarium te e medio tollera cupicnt 1 Balsac nel cap.45. del Print.
cosi su tal proposito ragiona : Si va incontro ad egual pericolo tanto nell ’
impossessarsi, che nel dis* farsi del s/lpremo potere. F aiaride era
prontissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l ma chiedeva- un Nume
per sicurezza della sua vita, se rientrava nella classe di
Cittadino privato, £’ stata sempre comune opinione Sul Trono però la
maestà, che imprime il rango supremo, e la guardia d’ ond’ è,1 circondato,
spegne ne’ cuori gl’ istessi de* siderj della vendetta. D’altronde, o
Cesare, la vostra gloria, e le vostre precauzioni sapranno preservarvi da
qualunque timore. Koma vi riguarda. come un dono,, ricevuto dai Numi, e
voi passate per una,, Divinità tutelare, che il Cielo volle serbare iniftezzo a
tanti Nemici per assicurare il loro benessere, e la loro felicità. Si è detto, che il peso dell’ Impero
è troppo grande ; ma questo è un vano terrore capace a «coraggi re tutt’
altri, che il Fi-,, glio adottivo di Giulio Cesare. La metà del,, Mondo ha già
ubbidito alle vostre Leggi; finora non foste, che Triumviro, e l’ Impero
dell’Occidentè non fu per voi un in»; carico troppo pesante. Presentemente
tut— te le Nazioni godono quella pace, che voi,, «apeste ad esse
procurare ; le nostre Fron che quelli, li quali hanno preso le armi contro
la loro patria, o contro il loro legittimo Sovrano, sono ridotti in certa
guisa nella necessità di continuare nel male, per. La poca sicurezza, che
trovano nel fare del bene. Non osano di divenire innocenti per timore di
sottoporsi alla discussione delle Leggi, che hanno offese, e persistono
ne loro errori, credendo, che il loro pentimento non trovi compassione. ja? •Nere sono difese da
Governatori di vostra scelta, e gl’ ordini non derivano, che da voi
dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’ Oceano Brittannico. Non si tratta
più di cercare, in che guisa potrete divenire il,, Padrone dell’ Impero ;
ma con quali mezzi potrete sostenere quel peso, che il Cielo ha voluto
addossarvi;. Io spero di potervi somministrare li mezfci ricercati.
», Formate Un Senato, che sia composto di », persone sagge, e
tranquille, nè la pover-,, tà deve essere un motivo, onde escluderne li
buoni Cittadini ; sarà non meno cosa vantaggiosa, se unirete ai Senatori
Romani de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri Alleati. Con
questo temperamento, potrete » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il
go-,, verno della Capitale, sia per contenere le » Provincie lontane, e
le cabale saranno meno » frequenti tra Individui di diverse Nazioni. L’ordine
de' Cavalieri è rispettabile, ma trovasi circoscritto da troppo anglisti
confini. Ammettetè ih questo ceto illustre, seni, za fissarne il numero >
tutti que’ sudditi >> delle Provincie Romane, che ne sono de», gni,
e per li natali, e per li servigj pre*,, stati, e per le ricchezze. >» Li Pretori devono scegliersi dal
Corpo de' Senatori dopo cinque anni di servizio* e dell’ età
di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome
di sotto-Censorc, che prenderà cognizione di que’ leggeri disordini
de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che sogliono cagionare
delle inquietezze nelle famiglie, e che tolgono la quiete publica, ed il
buon ordine della Città. La carica di questi due,, Magistrati potrà
essere a vita, non po* tendo concepire alcun timore di due Uomini
inermi, che eserciteranno la giustizia sotlo i vostri occhii Io non
so, o Cesare, se il mio discorso incontrerà la vostra approvazione, ma
ciò,,, che ho detto, mi sembra troppo necessario a rendere il vostio
regno pacifico. Contendete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque
Individuo, che ne sia degno * delle Città alleate, e soprattutto delle
CoIonie, e cosi avvilirete questo titolo di Cittadino Romano, che rende
il Popolo della Capitale si fiero, e affezzionandovi le Nazioni
straniere, ve le renderete fedeli * i. Crescerà poi il loro affetto, se
facendo con precauzione una scelta de’ Soggetti li più
Digitized by Google l3i,, ragguardevoli, li farete partecipi
anche y, degli onori del Senato. Che cosa importa, se il numero de’
nostri Senatori oltrepasserà li trecento ? Più saranno gl’impieghi, e le
cariche da conferirsi, e più autorità vi acquisterete, ed anche maggior
sollievo. E’ giusto, che sia
fissato uno stipendio per i Consoli, ed i Pretori, che manderete nelle
Provincie, giacché è cosa del tutto vituperevole, che per mezzo di enormi,,
concussioni, si aggiudichino da se stessi li salarj de’ loro travagli, ed
impongano tasse arbitrarie sulle Popolazioni, che governano. Se si porteranno
delle lagnanze contro l’avarizia di alcuni di quelli, dovranno
richiamarsi all’istante, benché non siano finiti li tre anni dell’esercizio
della loro carica ^ In generale poi sarà una giuyv sta misura di non
prolungare ad alcuno il tempo della sua amministrazione oltre a
cinque anni. Ho detto, che
bisognava moltiplicare il » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo
» Corpo rispettabile dovrete scegliere levostre Guardie, a cui assegnerete de’
Capitani. Allora la vostra Persona sarà più sicura, e se P uno di questi Capi
diviene so» spetto, l’altro per emulazione veglierà con y, zelo salii
vostri giorni ; qneU’autorità poi, >, che loro darete sul resto della
vostra Casa, ' « li affezzionerà maggiormente al servizio,,e
I a se si conoscerà, che le loro
incombenze fossero troppo moltiplicate, potranno in,, parte
discaricarsene su di alcuni subalterni col nome di Luogotenenti -, che
parimente potrete nominare. Dallo stesso corpo de’ Cavalieri
potrete estrarre ancora e gli Coj, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,,
te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl* Intendenti de' viveri, e li
Presidenti del pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle
Provincie, (ij Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene d’
impiegare ancora de’ Liberti per la riscossione del pnblico danaro. Questa
qnalità di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all* impiego
di Esattore. Con questo mezzo potrete
far uso, e distri— ( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il
suo stabilimento parimente da Romolo, il quale avendo fatta la
scelta di trecentpGiovani lipiù valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo
di guardia della sua Per sona. Allora erano chiamati Celeri, ma
posteriormente furono sottoposti ad altre variazioni di nome al dire di
Plinio presso il Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom. Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum est,
in his quoque, qui adequitatum trahe bantur. Celerei
sub Romulo, Regibusque appellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trottali :
Fedi il sudetto Sigonio loc. cit. Digitized by
i33 buire degl* impieghi, che serv'irannó di ri-,, compeiiza ai
vostri domestici, e popolandorOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sarete
con esattezza prevenuto della situazione delle Provincie lontane .,, Una delle
cure le più importanti di un Sovrano è di vegliare attentamente
sulla educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi siano adunque
per questa delle publiche Scuole, delle Accademie per formar-,, la nel mestiere
delle armi, e de’ Maestri ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-,,
lo spirito, e del corpo. Da questa dipende la forza dello Stato, e questi fiori
coltivati con saviezza, produrranno il frutto a suo tempo, e luogo. Procurerete
però, che non venga educata nella mollezza, e nella indolenza,
altrimenti se ne risentiranno in seguito gli effetti funesti ; Roma,, cesserà
di esser feconda di Eroi, e tntto l’obbrobrio ridonderà a carico
dell’Autore,, della Monarchia,
"t Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te summopcre
hortor insticuas, ut Putridi, Equestrisque Ordinis homines, dum adhuc
pueri tiam agunt,ludos literarios frequentent Ita e nim statini
apuero discentes, et exercentes omnia ea, qua e adultis sunt usurpanda,
ad omnia ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre gii Principi* est,
non modo ipse ut omnia e* 4 Anche le Truppe esiggono
una particola. re attenzione, come quel Corpo, che forse,, costituisce la
porzione più necessaria, e interessante dello Stato. Allorquando la
maggior parte delle vostre città godrà il diritto della Cittadinanza Romana, vi
riuscirà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini Romani • Fatene
la leva in tutte le contrade dell’ Impero ; siano puntualmente
pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non permettete, che
invecchino sotto le armi, poiché da ciò ne derivano le sedizioni militari.
Ogni Veterauo è ordinariamente ardito, e presuntuoso ; perciò è necessarlo, che
questa porzione di Truppe,,, facciali suo servizio senza interrompimento dopo
il fiore della gioventù fino al princi-,, pio della vecchiezza ; le vostre
Legioni siano sempre sul piede di guerra, ed in numero sufficiente per
difendere le Frontiere. Siano escluse dal vostro governo quelle leve
istantanee, e tumultuose, come soleva altre volte praticarsi in caso di
estremo,, bisogno. Fate si, che una porzione de' nostri Contadini
eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro rustici lavori sieno
turbati dal timore di dover ascoltare ad ogni istante il suono della
tromba guerric officio agat, verum, ut qua rat ione etiam reliqui omnes
quarn optimi fiant, prospiciat. ra, che ad essi annunzi degli arredamenti
involontari .,Le Armate saranno assai deboli, allorquando non sono
fonnate, che di sudditi forzati a servire. Si dirà, come trovare
somme considerevoli., onde mantenere tante Armate conti», imamente sul piede di
guerra, e pronte sempre a marciare a qualunque cenno del Sovrano ?
Questo è il punto decisivo, e l’oggetto di terrore, che vi è stato
presentato,,, Ogni Stato ha le sue rendite, e voi potete divenir padrone del
Tesoro publico de’,, Romani. Basterà questo per dare esecu*,, zione al progetto,
che io vi propongo ? Nò », certamente; ma con una prudente, e savia
», economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie delle Provincie
conquistate, e formatene, col prodotto, un fondo per libi7, sogni straordinarj.
Promulgate de’ sa vj re-. golainenti, affinchè le campagne siano
con impegno, e profitto coltivate dai Proprie», tarj, ed esigetene un
tributo sul loro prodotto. Non è forse giusto, che con il sagrifizio di una
tenne porzione delle loro sostanze, si acquistino la sicurezza, che voi
\, procurate ad essi, e a tutto lo Stato ? Vegliate sulle miniere
de’ metalli, che si discopriranno nelle diverse contrade dell' t,
Impero. Esiggete puntualità nella riicos rU sione delle tasse
per testa, senza permettere, che li debiti si moltiplichino.Procurate, che non
si rappresentino altri giuochi fuori della corsa de’ carri, e de’
cavalli, perchè ordinariamente le Città le più opulente, sogliono
esaurire le loro rie•chezze in futili divertimenti * Riguardo alla
«Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~ sere in essa sontuosi, è
li Spettacoli magnifìci; la Capitale è il centro di tutte le Nazioni, e
la maestà del Padrone, che gor verna, si misura con la Città, ove
risiede conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite agli abitanti 1*
eccessività delle spese, e quindi con questo provido temperamento
tutti saranno in istato di pagare li tributi. Si potranno inoltre dispensare le Provincie
a fare Deputazioni così frequenti. Li Governatoti respettivi ultimeranno gli
affari sulla faccia del luogo ; e se fosse necessario, che quelli
dovessero rimettersi al voatro Tribunale, li rimanderete al Senato. Allora voi detterete le sne risposte, e sfug-,,
girete di prendere sopra voi solo l’odio, che quelle potranno seco
portare. Fate partecipe il Senato
delle querele, che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei Re
stranieri potranno promuovere, ed a voi solo riservate la cognizione
delle grazie, » che loro vorrete accordare. Non dovrete mai più permettere al
Po polo la decisione de’ delitti capitali. Qne*> sta dovrà essere una
ispezzione esclusiva del Senato, il quale si crederà onorato di un
tale imbarazzo, e voi ne resterete con piacere discaricato. Io però non
parlo de’ delitti comuni, la di cui punizione è stata regolata
dalle Leggi. Per li attentati contro »» la vostra persona (giacché tutto
può accadere) siatene voi stesso il delatore, ma non giudicate giammai
nella vostra causa. Fate, », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,,
non dovete interessarvenc, che per mode* », rare la pena. » Non
dovete fissare la vostra attenzione, », come già ho accennato, nè alle
parole in»> considerate de’ malintenzionati, nè alle saj» tire, che si
diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in co»,
gnizione degli autori ; poiché dovete figli» rar ?i, come situato in una sfera
superiore, »• in cui siete invulnerabile, come li Dei. *» La vostra collera non deve accendersi,
che » contro li sediziosi, che, posti alla testa di una Armata,
avranno rivolte le vostre,, armi contro di voi stesso. Il giudizio di que
sti scellerati, e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta
considerazione, dev essere rimesso per commissione ai Con* >»
soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà », peso alla decisione,
che saranno per pronunciare. Vi saranno delle cause, dall’egame delle quali non
potrete dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh ciali
delle vostre Armate, e gli Appelli dai T ribunali del Prefetto di Roma, e
del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora scegliete degli Assessori fra
i Patrizio al tri Soggetti qualificati, che possano figurare con,, voi in una
Assemblea giudiziale. La grande
saviezza di un Padrone indili pendente consiste nell’ ascoltare volentieri,,
gli altrui consigli. Accogliete pertanto grati ziosamcnte tutti quegli Amici, e
Cittadini, che saranno per darvene dei salutevoli;,, ma non discacciate
con orgoglio coloro, i quali potrebbero suggerirvcne alcuni non
sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-,, li sortono consigli poco utili,
possono aver avuto retta intenzione : Accade di questi, come dei Generali
di Armata battuti,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa* bile nè
agl’ uni, nè agl’altri ; e siccome non si può sempre rispondere degli
avvenimenti della guerra, cosi non deve riguardarsi con occhio bieco quell’
Uomo, che di buona fede dà un consiglio poco sensato. Li Filosofi procureranno sovente di
gui* darvi con le loro speculazioni. E’ vero,,, che avete sperimentato,
quanto erano van*, taggiosi li consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma
generalmente parlando, le opinioni di tali Uomini sopo difettose per mancanza
di esperienza nel maneggio degli affari Le meditazioni del Gabinetto sono
spesso le meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo Stoico è
nativo della Città di Tarso. Fa maestro di Augusto, dal quale Ju
decorato di molti onori. ed anelli di Tiberio. Aveva il talento
particola) c per far apprendere con facilità le scienze a' suoi Di
scepoli. Le sue cognizioni erano cosi estese, e tanta la forza della sua
eloquenza, clic Sallustio lo assomigliava al fuoco, che accende tutto ciò,
che gli si avvicina : Athenodorus Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub
Octa vio Romanorum Imperatore omni bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab
iji genio, quam recta animi voluntate instructus erat .... idemque
dilucido discipulis suis explicabat. Hunc Sallustius oh studiuni
admiratus, igni similem esse dixit, omnia propinqua incendenti : Secondo
Strabope lib. 1 4. pag. 463- aveva l' abilità di rispondere
estemporaneamente a qualunque argomento, e fu onorato ancora da Marco Antonio
il Triumviro, ììi lode del quale scrisse un Poemetto, dopo la
battaglia presso Filippi. t fa')
Dion. loc. cit. : Neque enìm quia Areum., et Athenodorum bonos, ac honestos
viro s expertus es, omnes alias idem studium prua i4o Ecco, o
Cesare, alcune massime geuerali per il Governo, clie renderanno la vostra
amministrazione Sovrana meno difficile, e meno pericolosa di quello’, che
vi è stata,, rappresentata. • .,, Le qualità personali del Monarca, so»,
pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia, », devono eguagliare la
sublimità del rango, », al quale egli è giunto. Io credo, e so* »,
no persuaso, che quello non deve in difierentemente accettare tutti i
titoli, e tutte le distinzioni, che l’adulazione potrà deferirgli. La
realtà della Monarchia vi deve bastare sotto qualunque nome la rite*-,,
niate. Che importa di esser chiamato Cesa-* » re, o al più Imperadore,
quando voi amministrate sovranamente lo Stato Romano ? Bisogna, che
con una irreprensibile con dotta v'innalziate dei monumenti perenni
sul cuore de’ Sudditi. Che cosa servono quelle Statue d’oro, o di
argento ? Sono stati eretti nelle Provincie alcuni Templi a vostro onore,
ciò poco interessa ; ma non dovrete » giammai permettere, che ve ne sieno
con* secrati in Roma, perchè sarebbe un oggetto di disprezzo per le
persone sensate, ed una seferentes, similes eorum indicare debes,
curri hac specie usi multi infinita mala populis, privatisene
hominibus adjeraut, y, spesa inùtile, che pot là essere
meglio im i, piegata. - Fate uso voi stesso di economia nelle
vo* stre spese particolari, ed in quelle della vo~ straGasa.La buona
opinion, e,di un uomo frn» gale vi farà più onore di un grande numero
»> di tempj, di altari, e di statue. Questo culto esteriore, e
materiale diverrà comune ai buoni, ed ai malvaggi Principi. D’altronde non si recherebbe insulto
ai Numi, con eguagliare i vostri onori a quelli, che il Popolo suole ad
essi deferire ? Un Sovrano, che cerca di essere onora» to
deve sempre mostrare della pietà verso li Dei immortali, perciò nón
permetterete, che s’ introducano in Roma delle Sette religiose straniere.
Una novità in materia 5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e e
quindi ne risultano attruppamenti sediziosi, e pericolose congiure. Ammetto,
che restino frà noi degli Auguri, che consuiti, chi vuole ; ma non devono
assolutamente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ; j) imperciocché
dalle loro predizioni false, o vere, che siano » hanno principio
sempre le intraprese dei perturbatori del publico riposo,
-fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr, et ubique ita cole, ut
moribus Patriae est reccptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc * 4
* Voi avrete indiverse parti delatori -, e. spioni ; questa
razza di persone saranno necessarie, ma guardatevi di deferir cieeamenre
ai loro rapporti. Spesso l’odio, rinteresse, la vendetta, o altre
passioni sciolgono agl’ uni la lingua, e chiudono agl’altri
la bocca. Qui è dove fa dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano,
e procurar di farla inclinare piuttosto a favore degli Accasati .,, Li
vostri antichi Amici, ed i vostri Domestici li più familiari devono esser per,,
voi non meno un soggetto di precauzio-,, ne. Disprezzarli, sarebbe, un
ingratitu-,, dine, sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe
contro di voi un argoinento perenne di rimproveri, e dimormorazioni. Si
giudicherà di voi per mezzo de’ vostri Amici, e i loro difetti saranno a voi
attribuiti. Cercate adunque di disfarvi dei meno discreti, e di quelli,
che sono nelle loro brame insaziabili \ • 1 • i regrìnarum
vero Religionum auctor esodio, ac Supp liciis prosequere,. qui nova numi
na introducane, multos ad peregrinis Legibus utendum pelliciunt ;
inde conjurationet, coi- tioncs, et conciliabula existunt, minime unius
principe fui commodae res ; itaque nequeDeorum contemptorem, ncque
praestigiatorem allum tolerabi *. Governo : L’ingiusta preferenza produce
del malcontento, e quindi può ancora cagionare il rovescio totale di
quello. Siate il protettore dei Grandi fino ad un certo punto, ma
l’eterno sostegno dei deboli, ed il vendicatore degli oppressi.,,
Proteggete con energia le arte utili, clic esercita il basso Popolo, e
bandite gli oziosi. Ordinariamente le sommosse popolari incominciano da
pe rsone disoccupate, *, e sono fomentate da nomi di partito, che,, si
danno reciprocamente per farsi ingiuria; ciò forma la sorgente delle
rivolte, che Fa duopo distruggere nella nascita.
L’abuso della propria autorità è il più,, grande dei mali per un Sovrano.
Dare esecuzione a tutto ciò, che si può, è lo stes« i, so soventi volte,
che fare più di quello è >, permesso. Più utio si conosce potente,
o più bisogna > che vegli sopra se stesso per non farsi
trascinare dai proprj desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri
di? : b fatti > ma segretamente vi biasimeranno. Abbiate dunque per massima di regolare la,,
vostra condotta, non tanto su quello, di i, cui siete stato
redarguito, ma sù quello, per cui potrete essere rimproverato. Riflettete
sopra voi stesso, e non già come,, Sovrano, ma come Suddito responsabile
j, di tutti i vostri andamenti al Publico, il quale vi osserverà con
tnttà 1 attenzione,,, e vi giudicherà con rigore maggiore di quello, di
cui voi userete verso di esso. Ecco, o
Cesare, il dettaglio delle qua. liti, che voi dovete acquistare, c
de'sco-,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza, di cui il Cielo ha
voluto decorarvi, vi servi-,, rà di. guida, e 1* esperienza vi faciliterà
l’arte di governare. Entrate adunque, entrate con confidenza nella
carriera, che le vittorie vi hanno aperta ; Roma, e l’Universo vi
reclamano, come il solo Uomo capace di riparare ai disordini di una
Repnblica andata in decadenza. Quelli, che vi esortano a consumare la
Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria. Che dolcezze non gusterete
in una amministrazione tranquilla, in cui voi farete la felicita di un Mondo
intero 1 Ninna cosa è più dolce del dominio, allorquando il Dominatore è
capace di procurare la comune felicita. Non vogliate discacciare la fortuna,
che vi ha scelto fra mille per sostener Roma vicina a cadere. Regnate senza
prendere il nome di Re, e siate Sovrano senza altro titolo, che quello di
Cesare, o d'Imperadore. In una parola, la regola più sicura onde rendere
amabile il vostro Impero è quella di governare li popoli a voi,, soggetti, come
bramereste di essere gavernato voi stesso, se i Numi vi avessero,, fatto per
ubbidire (i). Il tX scorso di M. dissipò le dubbiezze di Ottavio,
gli trasfuse nell'animo maggior sicurezza, e non esitò ulteriormente
per aderire al progetto di quello. 11 bravo Agrippa non restò malcontento
al vedere posposto il suo sentimento, perchè comprese anch’es-, che il
suo Padrone rischierebbe meno di quello, che non si era creduto, sul
posto eminente > nel quale veniva consigliato a perpetuarsi > e che
l’utilità publica si troverebbe unita alla gloria del medesimo. Egli non
potè non ammirare la saviezza, e profondità delle massime politiche di M.,
proposte per rendere felice un'Amministrazione Monarchica ; e perciò
l’esperienza ci ha fatto quindi conoscere > che tutti li Re veramente degni
del Trono hanno formato il loro piano sù quello, che il sudetto M.
presentò ad Ottavio. La lettura del suo discorso > che per intero ci è stato
dallo Storico Dione trasmesso è un Capo d’opera, che anche ai nostri
giorni, ed in ogni tempo può istruire li Sovrani a divenir felici,
procurando la prosperità de’ loro Sudditi (a). Il laborioso Catrou,
da noi tante volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia Dion.
lib. 53. Catrou Catrou loc. cit. lib. 5. K t+6 delle
ragioni dettagliate da M., V à~ nimo di Ottavio restasse tuttora
perplesso, ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio determinasse qnesta
sua ir risolutezza, e lo inducesse ad ahbracciare definitivamente il prò*
getto della Monarchia. Il Catrou parla in tal guisa (i,) Osare, avendo
ripieno lo spirito di tutto ciò, che aveva ascoltato da Mecenate, non
ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i
nomo di bassi natali, nato in un villaggio da poveri genitori, ma li di cui
ta-* lenti erano sublimi Questo fu il famosò Virgilio, Poeta, la
memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli. Da lungo tem-,, po egli
era al servizio di Cesare Ottaviàno, e per mezzo di vili principj èraginnto a
meritarsi il favore delsno Padrone .,, M. lo aveva tirato dalla polvere
-, ed egli aveva già spiegato quel genio incomparabile, che faceva
presagire un altro Omero . Virgilio fissò la irrisointezza dell’ lmpefadore con
queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrbnifi del Governo non
visorio riusciti, fe perchè f Perchè po.o giusti verso degli,, altri, han
dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti
* Voi al contrario, o Signore, che il Cielò - - *1 • ( i)
loc. cit. ha fatto nascere giusto, e moderato, passerete
giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai Romani un impero amorevole. Sembra però, che il Catrou in questo
luogo siasi fatto sorprendere da quella Vita di Virgilio, che viene
attribuita a Donato Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra
menzione (i). Siccome però questo scritto, (l) Il Succennato Autore
della Vita di V irgilio si spiega nel modo seguente. Postcaquam Augustus
summa rerum omnium poti tus est, venit in mcntem, an conduceret Tyrannidem
omittere, et omnem potestatem annuii Consulibus, et Senatui Rempublicam reddere.
In qua.re diversae sententiae consu/tos habuit Mae cenai eni, et A
grippata. Agrippa enim utile sibi fare, edam si honestum non esset,
relinquere Tyrannidem longa oratione contendit, quod Maccenas dehortari
magnopere conabatur. Q tiare Augusti
animus et hinc ferebatur, et illinc. Erant enim diversae scntentiae,
variis ratiombus firmatae. Rogavit i gi tur Maro ne
m, an conferat privato homi ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre. Tum ille : Omnibus ferme, inquit, Rempublicam
aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis futi, et Civibus ; quia necesse crat
odia subditorum, aut eorum injustitiam, magna suspicione, magnoque timore
vivere. .. Q uare si jusCitiam, quod modo facis, omnibus in K
a a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di errori, e di
favole, cosi non può fissare la nostra attenzione su quanto narra di
Ottavio nel momento, in cui stava per decidersi sulla scelta o della
Monarchia, o del ristabilimento della Republica. Se sussistesse ciò, che ivi si legge,
cioè > che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio ad
uniformarsi al sentimento di M., non si sarebbe certamente omesso da
tanti valenti Biografi, « he hanno parlato diffusamente, e di Virgilio, e di
Ottavio ; e Dione segnatamente, che ha trasmesso alla posterità gli
eloquenti, e giudiziosi ragionamenti di Agrippa, c di M., e che inoltre
afferma positivamente, che Ottavio si attenne al parere del secondo,
sembra, che non avrebbe occultata una notizia cosi interessante, e
rimarchevole. De la Rue accenna appunto questa ragione per escludere la
verità di quella circostanza narrata dal sudetto Donato Se non fosse un
fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse Ottavio ad
aderì-,, re al progetto di M., e che deter-,, minasse l’animo vacillante di
quel Princi futurum, nulla hominum facta compositione, distnbues ì
dominar i te, et tibi conducet, et orbi . Ejus sentcntiam sequutus Cattar
Priaeipatum tenuit » » pc,
non si sarebbe narrato dal solo pseui, do-Donato, ma sarebbe stato ai
posteri trasmesso dalla penna ancora di Storici il
rispettabilissimi (i). V Ambrosi, che pensava come de la Rne,
nel premettere alla sua magnifica Edizione dell'Opere del sudetto
Virgilio la indicata Vita di Donato, cosi previene il Lettore infine della
medesima e in cui visse •. Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò
del gran Pounpeo, richiede il Patrimonio paterno, sconvolge, e mette sossoprali
mari d’Italia, e di Sitilia; men», tre Ottavio si vendica degli Uccisori
di Giulio Cesate ano Padre, si divellano scene sanguinose nelle
Campagne della », Tessaglia; mentre il genio incostante, e,, e volubile
di Marco Antonio, o deprezza », Ottavio, corno successo re di Cesare, o,,
acciecato dagli amori di Cleopatra, indina a divenire un assoluto padrone
del Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare il. suo seampo » che
gettandosi in brac• ciò alla schiavitù. Ma buon per noi, che «, in
cosi terrihile sconvolgimento di cose» i, le redini del comando caddero
nelle mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa », la sua sapienza,
e con la sua sagacitàsep i5a pe riordinare le membra
scomposte dell’ immensa mole dell’ Impero, che non sarebbero
tornate sicuramente al suo luo» go, se dalla meote, dal senno, e dalla
abilità di un solo non fosse stato il Governo diretto (; ). Fior. lib. 4 Cap. 3.
Populus Pomanus, Caesare, et Pompe\o trucidati, redasse in statum pristinac
libertutis videbatur ; et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut
Cassar haeredem reliquisset ; vel quod utroqua perniciosius juit, si non
collesa quoti -,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac, fax, et turbo
sequentis saeculi, superfuissec Antonius. Quippe durn Scxtus paterna
repetit, trepidatum foto mari ; dum Octavius mortevi patris ulciscitur, ite rum
fuit mo venda Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio, aut
successorem Cassar i indignai ur Octavium, aut amore Cleopatrae desciscit
in Pegem j nam aliter salvus esse non potuit, visi confugisset ad
servitutem. Gratulandum tamen in tanta perturbatione est, quod potissimum
f ad Octavium Caesarern Augustum somma rerum rediit, qui snp lentia
sua, acque soler tia, perculsum undique, et perturbatovi ordinavi Impcrii
corpus,i quod ita haud d tibie nunquam coire, et consentire potuisset,
nisi uni us Praesidis nutu, quasi anima, et mente, regcretur, Il grande
progetto della Monarchia unfc* versale da M. proposto, non era conosciuto,
che da esso, da Agrippa, e da Ottavio. Siccome il silenzio è l'anima
delle imprese delicate, cosi questo dovette esigere da Agrippa un segreto
inviolabile, dovendosi mettere in esecuzione con metodo, con
circospezione, lentamente, e senzacbe i Romani potessero avvedersene,
giusta le istruzzioni dell’Antore del medesimo. Ottavio segni in tutte le
parti li consigli di questo savio Politico, e gli fu debitore della suar
gloria, e della felicità del suo Regno. In fatti riformò subito il Senato.; ed
es» eludendo que’ Soggetti, la di cui presenza in quel Corpo
rispettabile, o non poteva recave alcun vantaggio, o cagionargli del male,
ve ne sostituì degli altri di sperimentata prudenza. Usò in questa riforma la
precauzione di far vedere, che da esso era quello in special maniera
onorato, per non cade «54 re nella stessa disavventura, alla
quale fn sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprezzo ingiurioso per un
Magistrato composto delle più illustri Famiglie di Roma, fu più veramente la
cagione della sua morte funesta, che l’interesse della publira libertà
(i). Aboli tutti li debiti dai Cittadini contratti con lo
Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti, che la necessità del tempo aveva
fatti promulgare nell’epoca del Triumvirato, Abbellì Roma di grandiosi
Monumenti, e divenne ristoratore di un grande numero di Templi, li quali o le
guerre passate avevano rovinati, o per mancanza,di denaro, erano
stati negletti. ?, Stabili, che la distribuzione gratuita del
grano, che, per costume antico j; soleva farsi .al Popolo sopra li fondi, del
publico Tesoro, fosse più frequente, e che in ogni distribuzione se ne dasse
alle povere famiglie una misura quadrupla di quella, che prima era
in usanza. Questi, ed altri regolamenti salutari gli conciliarono una
stima generale, ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti.
Allora M. si avvide con la profondità delle sue viste politiche, che il
suo Progetto era giunto alla maturità, e che il Senato, Roma, e tutti gli
Ordini dello Stato erano già disposti a riconoscere l’impero
di Echard loc. cit, un solo nella persona del sno Padrone ; perciò concepì
un secondo Progetto, per ultimare il primo, che sembrava piuttosto stravagante,
e pericoloso, ma che doveva inseguito produrre tutto il suo effetto. Consigliò pertanto ad Ottavio', che si
pre. sentasse in Senato, e con un discorso politico, ed artificioso
rinunciasse al comando assoluto, che allora riteneva, rimettendolo
nelle mani de'snoi antichi Magistrati. Gli fece riflettere, che con questo
mezzo non solo non lo perderebbe, ma anzi avrebbe ottenuto, eh’ egli, il
quale finallora era stato arbimanamente Padrone del Mondo, per consenso di
tutta la Nazione, sarebbe divenuto Monarcha legittimo ; inoltre, che,
mediante le riforme già fatte e nel Senato, e nelle altre Magistrature, erasi
procacciato una quantità di Partegiani, che per le sue liberalità, per la
sua giustizia, e per lesile maniere obbliganti era sommamente amato dal
Popolo ; che in conseguenza, allorquando questo, ed il Senato avrebbero
inteso pronunciarsi da]la bocca del loro benefattore la rinunzia alla
direzione del Governo, o per riconoscenza, o per rispetto, o per politica,
o per non perdere le dolcezze della vita, e del buon ordine, ch’esso
aveva introdotto, non solo non avrebbero accettato la proposizione, ma lo
avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero, acni finallora aveva
preseduto. Ottavio adunque
penetrato, e persuaso dalle ragioni, donde era stato dal suo Ministro
istruito, si presenta in Senato, e con un’aria d’ingenuità, e di
franchezza sorprendente, in tal gnisa si fece a parlare.La proposizione,
che io vengo a farvi, Padri t3 Coscritti, sarà da pochi approvata, e
da molti stimata incredibile. Soventi volte la j, diffidenza, con
cui sogliono riguardarsi le persone costituite in dignità, fa
rendere sospette le medesime, anche quando parlano, ed agiscono
sinceramente, Io mi esporrei immancabilmente a questo perin colo, se non
fossi determinato di dare una s pronta esecuzione a quanto sono per pròA
porvi. Voi vedete, Padri Coscritti, a qual » rango sublime mi hanno fatto
giugnere la,, sorte delle armi, ed una condotta moderata. Capo assoluto, ed
indipendente della Repnblica, io sono in istato di far uso del»» m i a
potenza, e di perpetuarmela. Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza, impugnai
la >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di un Zio, che mi
aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa carn riera,
presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia compagna. Fui coiì
stretto a combattere con nemici di diver-,, so carattere, e di qualità
differenti. Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed aprire con essi delie
relazioni per non soccombere j> sotto il peso della moltitudine. Mi
convenne in seguito perseguitare gli altri ardilaniente, e costringerli a
rivolgere contro essi stessi quel braccio, che era stato funesto a Giulio
mio Padre. Mi associai alcuni compagni delle mie vittorie, e divisi con
essi il peso del Governo. Che cosa quindi ne accadde ? Lepido in Africa
lasciò decadere con la sua negligenza gli affari di Roma ; Antonio,
esposto nell' Egitto, e nell’Asia, come su di un teatro, disonorò
con la sua turpe condotta il nome Romano, j, e lo rese abbominevole a
tutto l’Oriente. Il Cielo secondò quello
zelo, che esso stesso mi aveva trasfuso per riparare a tali disordini v Antonio
non esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo del
suo carattere. Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,, da un Vincitore,
padrone del suo, e del vostro destino? Tutte le Fazioni sono distrutte;
ogni corpo di armata sulle Frontie*,, re è comandato da Geuerali, che godono
tut-,, ta la mia confidenza. Li Re nostri Alleati,, non ricevo.no l’impulso,
che da miei cenni, ed i loro soccorsi non marciano, che agli ordini
miei. Il denaro proveniente dalle nostre rendite non è versato, che nel
mio i} tesoro, e non ne va nelle publiche casse, che quanto io ne
permetto. Fiù. Io eonosco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in
generale. Io potrei rispondere del vostro affetto verso di me, e
riposarmi sulla publica benevolenza. L’indipendenza adunque, e la
Sovranità possono andare più oltre? Ma perchè tenervi più lungamente
sospesi ? Ascoltate con attenzione le mie parole, ed il suono delle
medesime faccia passaggio alla più lontana posterità . Questo Vincitore,
Sovrano assoluto, questo Generale Supremo di tutte le forze di Roma,
questo linperadore adorato dal popolo sagrifica al bene della Patria gli
onori, di cui lo avete ricolmato, li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine
tutto il frutto delle sue vittorie. In questo istesso istante io vi
restituisco li miei diritti sulle Armate, sulle Leggi, sulle Finanze,
sul governo delle Provincie, in una parola sù tutto ciò, che voi mi
avete accordato, e che la necessità delle circostanze mi hacostretto ad
accettare. Che volete di più? Ora si dica pure, che io non ho
travagliato, che per il mio ingrandimento, quando mi esposi a tutti li
pericoli delle battaglie. ORoma,
tu fosti sempre presente agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne
di Filippi, in Sicilia, nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola
io allora immolava >, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi
1S9 if go del mio sangue, che per assicurare la liberta Romana. Ah
fos'se piaciuto ai Numi, che io non avessi impiegato il mio
Ministero in guerre civili, che ci hanno esaurito di Cittadini, e
spopolato le Provincie. O mia cara Patria, perchè non ti trovai
tranquilla, conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t tu non me lo hai
permesso ! Benché giova•netto mi scregliesti per essere il vendicato}> re
del più perfido assassinio, il riparatore degl’insulti recati alla
Nazione Romàna, il ristoratore della nostra gloria eclissata, e
finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!,, La mia opera è compita > ed
ho pienamente sodisfatto ai miei destini. Permettete > Padri Coscritti, che
iomen vada nella solitudine a bearmi di quella fe>, licità, che io
stesso ho procarata. Ora non posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,,
gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è dovuta
alla mia propria sicurezza, per mettermi al cotperto degli assassini. Che
anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li vostri antichi
privilegi, ma vi dono eziandio l’opulento mio patrimonio, e le prerogative,
che io posseggo per diritto della mia nascita(i). (i) Dion. lih.
53. Catroutom. 19. » dotta, e nelle tue operazioni, nè mire am>» biziose, nè
avarizia, nè verun’ altro di,, que vizj, che sogliono albergare ne Cortigiani,
e nelle Corti. (i) Properzio scrivendo allo stesso M., ci da
à conoscere, che quel suo disinteresse per gli onori sublimi, ai quali
avrebbe potuto pervenire, prodnceva un’ azione si gloriosa, e
commendevole, che il di lui nome sarebbe dalla fama, e dai posteri
celebrato al pari di quello de’ Camilli. (a)
(1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil. lib. a. pag.aay.
Regis eros genus Etrusci, tu Caesaris olirà D exter a, Romanac tu
vigili] ibis eras. Omnia curri posscs
tanto tam carus amico, T e sensit nemo posse nocere tamen. Eleg.
Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis
esse t narri Di più questo suo morigerato contegno, e Mobile
disinteresse serviva anche d’esempio alle famiglie le più cospicue de’
Romani Cavalieri, e ne ebbe imitatori, ed ammiratori. Crispo Sallustio,
fri gli altri, nipote di una soìclla dello Storico di questo nome,
seguì perfettamente il tenore di vita di M.. Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,,
rirono due illustri personaggi Lucio Volusio, e Sallustio Crispo. *. . Questo,
nipotè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai* lustio elegantissimo Sri
ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,,
aveva tutti li mezzi li più potenti per otte* nere qualunque dignità ;
tuttavia, emù*,, landò la condotta di M., senza il titolo di Senatore, Superò
in potenza molte famiglie,che erano state decorate delTrionfo, e
Consolari ». ». Mentre visse Metani libi romano dominas in honore sccures,
Et liceat medio ponere jura foro. >
Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni T empore tam faciles
insinuentur opes ; Parcis, et in tenues h umile m le collegi* umbras,
Velorum plerMs subtrahis ipse sinus. Crede mihi magnos
aequabunt ista Camillos Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum,
Ì76,) cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano affidati li
segreti Imperiali ; fu il primd i, però, quando quello cessò di vivere,
(i) Ciò non ostante Augusto procurava di compensare questo
commende’vole distacco dagli onori luminosi del suo Favorito colli tratti
del* la più tenera amicizia, e della più sincera confidenza. Imperciocché,
allorquando il peso, e la serie degli affari del Governo gli
lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a visitarlo anche nella
maestosa Villa, che possedeva sulle fertili sponde dell’Aniene. Quivi
Ottaviosi compiaceva di rivedere l’amico, di consultarlo, e di riceveie
sempre consigli, istruzzioni, e massime per ben g vernare, e per ben governarsi ; che anzi
vi è chi crede, che il memorabile Congresso frà (1 ) Tacit.
Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni concessere vita insignes Viri L. V
olusius, et Sallustius Crup us. . ». . Crispum equestri crtum loco,
C. Sallustius, rerum Romanarum flore ntissimus auctor, sororis nepotem in
nomea adscivit ; atque Me, quamquam prompto ad capesse ndos honores
adita, Maecenatem aemulatus, sine dignitatc Senatoria multos Triumphalium,
Consulariumque potentia anteiit . Igitur incolumi M. proximus, mox
praecipuus, cui secreta Imperaiorum inniterentur. (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M.
*77 Ottavio, M., ed Agrippa, e le deliberazioni per
rinunciare, od accettare la Sovranità fossero tenute nella tranquilla
solitudine, e nel dilettevole silenzio di questa Villa deliziosa. Ed in vero
qual luogo più opportuno per trattare con riflessione, maturità, e quiete
un oggetto cosi grande, che aveva relazione con gl’interessi dell’Universo ? (
1 ) Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche infermità,
non già restava nella Corte, in mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori.
Esso non si trovava contento, e non
sentiva sollievo alle sue fisiche indisposizioni, che nelle mura
dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?.
Cumvero bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli abdicando, et
inpristinam restituenda Reipublicae libertate, et in gravissima e
deliberatiti— nis consultationem Agrippam generum, et Maecenatem
amicissimum arbitros, et consiliarios assumpserit, quemadmodum in majoris
momenti rebus omnibus consueverat .... Agrippa ad illum longissimatn prò
abdicando ora tionem habuerit, prò retinendo ac optime in stituendo rerum
regimine M., haec in nostra Tiburti Villa M., ut potè in serhoto à
turbis, securoque odo, agitata fuisse, vehementer, ut suspicor, inclinat animus.
M del suo M. Svetonio ci dice chiaramente, che quello in tempo delle sue
malattie riposava nella casa di M.. Ma la stima, la tenera amicizia, la
fiducia, il rispetto, che dimostrava Augusto verso M., non si limitavano
soltanto a queste semplici dimostrazioni, che possono chiamarsi
materiali, e passeggere; egli amava di essere istruito incessantemente da
quello nelle vie difficoltose del Governo, e ne riceveva ancora con tutta
la rassegnazione li più umilianti rimproveri, quando conosceva, che
erano diretti contro le sue passiotai t Fra le altre istruzioni
benefiche, e salutari, che MècènAte aVevà suggerite ad Ottavio, vi era
quella, coti la quale gli veniva raccomandata la moderazione, perche aveva
conosciuto, che l’animo di questo inclinava alla severità, ed all’ira. A tale
effetto pare, che si facesse seguire da M. in tutti li suoi
andamenti, ed in particolare maniera quando doveva sedere nel Tribunale,
come Giudice supremo. Allora
M. esaminava le sue mosse la sua voce, e li suoi delineamenti, e se
rimarcava, che T lmperadore agiva con dol fi) In Octav. in Art. 77. Aeger
autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis cu.ba.bat » *79
eezza, con giastizia, a sangue freddo, e non si faceva sorprendere
dal risentimento, che porta con se la severità, lasciava, che operasse
liberamente, e se ne compiaceva ; ma se scorgeva, che nel Giudizio Voleva
far nso di nn rigore soverchio, eccessivo, e non giusto, anche sul
Tribunale»- in mezzo alla moltitudine > che lo ascoltava > e dond’
era circondato, lo redarguiva, lo faceva tornare in calma, egli faceva
rammentare la sua massima salutare, GTIstorici tutti hanno
avuta l’attenzione di trasmettere alla posterità un esempio memorabile
del dominio, che M. aveva sullo spirito di Augusto per farlo marciare con
la moderazione > e con la dolcezza al fianco in ogni sua
intrapresa. Sedeva egli una voltata qualità di Giudice alla presenza di
molti Accusati, che attendevano la loro sentenza. M. si avvide, che stava per
pronunciare contro quegl’ infelici la sentenza di morte. Siccome conosceva» che era ingiusta, e
la folla del popolo non permetteva di avvicinarsi al Tribunale, e
nel luogo, sù di cui sedeva, •crisse queste parole ardite nelle sue
tavolette incerate > e nello stesso tempo gettolle ad Ottavio Sorgi, o
carnefice, ed esci da questo luogo Ottavio conobbe la mano di chi le
aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che forse per nn momento aveva
dimenticato, si levò dal Trisanate, e dimandò assolati quegli
Accasati. Che M. ha un impero irresistibifé suH’ahimo d’Augusto, e
particolarmente ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo
fece conoscere lo stésso Angusto, quando quello aveva cessato di vivere,
e di assisterlo. Giulia sua Figlia aveva ricoperto di scandalo la Corte
con le sue dissolutezze. Il Pad re
sommamente rammaricato non poteva rimediare n questo disordine domestico.
Tr.v sportato dall’impeto della collera, rilegò la Figlia, e rese
publica la di lei disonestà. Poco dopo rientrato in se stesso, si penti
de’suoi trasporti inconsiderati, e di questa publicità, che
disonorava la sua casa. Allora ricordanti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20. Tarn
vero si cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi habuit, a quo
ab ira ad mansuetiorem animum reduceretur. Unus ejus rei documentarti
prof e-* ram. Praesetite aliquando M., Augu. stus prò Tribunali
stdens, cum multos esset morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M accenni,
cum per circumstantium coronam ad ipsum irrumperè, ac proximc assistere
ne qui rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge vero tandem, Carni fex ;
vamque Tabellam, qua* si atiud quid indicantem, in sinum Augusti
projecit, qua lecca, is statini suri exit, nomi * ne morte mulctato. i8l dosi di Agrippa, e di M.,
e della saggezza de’consigli, che da essi soleva ricevere quotidianamente,
esclamò replicate volte. « Ah, che
questo non mi sarebbe accaduto, se o M., o Agrippa fossero stati
ancora al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia, che ha parlato
di Angusto, e di M., si rileva agevolmente, come, dopoché quello si
assise, e consolidò sul Trono Imperiale, e fu messo in piena esecuzione
il sistema della Monarchia universale, questo si ritirasse affatto dalla
grande amministrazione degli affari politici. Finché il suo amico
lottava co’nemici, che si opponevano alla di lui grandezza futura, egli
compariva in mezzo alle imprese le più rilevanti, e spinose, affrontava
delle ambascerie malagevoli, contribuiva a trattati di pace li pia
vantaggiosi, diveniva Prefetto, Amministratore, ed Arbitro dell’ Italia, e di
Roma ; quando però quello non ebbe più nemici a combattere, più rivali da
distruggere, e restò cqn ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Divus Augu,
tus filiam intra pudicitiae male dictum impudicam relegavi!, et flagiti* Pi
ilicipalis domus in publicum emisit. deinde cum interposito tempore
verccundia gemens, quod non illa silcntio pressisset. ... Saepe ex
clamavit ; Horum mihi nihil accidisset, ti ani A grippa, autMaecenas
vixistet . 1 8a vinto, e persuaso a gettare la base
della sudetta Monarchia universale, e che a tale effetto gli fu
presentato il Piano, furono fissati li principj, e le più savie
istruzzioni ; in una parola, dopoché fu sistemato il nuovo Governo
politico, M., che aveva a tutto contribuito, che aveva collocato il suo Amico,
e il suo Padrone sul Trono deirUniverso, e sul rango il più
eminente, a cui potesse giungere un mortale, abbandonò, per dir cosi, le
vanità del mondo, ritirandosi fra le dolcezze di una vita privata, e
tranquilla. Continuò a prestare li suoi servigi all'Imperadore, ma
lungi dallo strepito della Corte ; consigliandolo sempre a farsi amare, e a
fare amare il suo Governo. Dopo questo ritiro però. M. non
già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’indolenza. 11 genio del grand’Uomo
non era venuto sulla terra per desistere, negli anni migliori della sua vita,
dal far del bene ai suoi simili, ed alla posterità. Coll’aver consigliato
Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca, e in quelle circostanze,
aveva reso un grande vantaggio all’ umanità, giacché con questo mezzo aveva
troncato la testa al mostro spaventoso delle fazioni, sempre famelico
di sangue umano, e di stragi ; aveva ricondotto la sicurezza, e la
concordia nelle famiglie, la pace nella Capitale, nell’ Italia, e
nelle Provincie le più remote. Egli però voleva, i83
e doveva fare di più; -una nazione già colta, doveva migliorarla,
un secolo già istruito doveva perfezionarlo. Protesse in grado eminente, e fece
proteggere da Augusto le arti, li letterati, e le scienze, e nacque subito il
secolo d’oeo del Fune, c delle altre. Si ; dobbiamo pur confessarlo, e
confessarlo con tutta giustiziala posterità è debitrice all’anima
benetica di M. di tutto ciò, che di bello,riguardo alle arti, ed alle
scienze risultò in quel secolo avventuroso, che noi riguardiamo con
ammirazione al presente, e che non meno dovranno ammirare tutte le colte
future generazioni. Amando quello, e proteggendo, facendo amare, e
proteggere dal capo dal Governo li talenti, fece si, che questi si sviluppassero
con energia, e prodigassero opere capaci ad istruire, e migliorare lo
spirito, ma incapaci ad essere eguagliate. Li Poeti migliori di quel serolo hanno
celebrato questo favore, e questa protezione di M., e ci hanno fatto
conoscere al tempo stesso, che egli era un protettore pieno di
discernimento, illuminato, che non concedeva il suo affetto, che a soggetti
veramente colti, e di talenti forniti, e che fra quelli, che esso
accoglieva, e proteggeva, regnava una concordia inalterabile Nella Casa
di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,, schiettezza ; vi sono banditi tutti
que’disordini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la 1S4,,
gelosia, e la falsa emul azione, ed ognuno indistintamente occupa il suo
posto, nè si bada a chi sia più dotto, o più ricco. M. riguardava negl’uomini il solo
me. rito. Ogni dotto veniva da esso con amorevolezza accolto, qualunque
fosse la di lui estrazione. Secondo li suoi prìncipj saggi, e fondati sulla
natura, ognuno era nobile, quando era virtuoso " Sebbene, o M., (
soggiunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre dite, fra tutti
quelli, che vennero dall’ Asia a popolare le Toscane Contrade, e e
sebbene un di li tuoi grandi Avi, comandarono vaste Regioni, tuttavia sei
Horat.Sat. .M. quomodo tecum ? Hinc repetit. Paucorum hominum, et mentis bene
sanae, Nemo dexterius fortuna est usus. Haberes Magnum
adiutorem, posset qui ferrc secundas, ffunc hominem velles si tradere ;
dispeream ni, Summosses omnes. Non isto vìvimus illic, Quo tu
rere modo i Domus hac nec purior ulla est, Nec magis hit
aliena malis ; nilmi officit um quarti, Ditior hic, aut est quia
doctior ; est locus uni Cuique suits. Magnum narras, vix
credibile ; atqul Siehabet. tanto buono, e modesto, che non sai
egomentarti, ne aggrinzare il naso, come fanno li superbi, nella società di
gente ignobile, quale, fra gli altri sono io, figlio di nn padre
libertino; Imperciocché taserbi la massima degna di tutti gli elogj, che
nulla nuoce ad nn individuo la bassezza de’ 03" tali, quando egli
sia virtuoso. Ed in fatti, che
cosa egli non fece a vantaggio di un istesso suo Liberto, chiamato Melisso,
perchè lo conobbe fornito di talenti, ed erudito? Era questi della Città
di Spoleto, e benché nascesse libero, tuttavia perla discor»* dia
de’ genitori, fu venduto, e sottoposto all’ altrui dominio ; Avendo avuto
la sorte di essere educato con ogni cura j ed attenzione, Lib. i. Sat. 6. Non, quia, M.,
Lydorum quidquid Etruscos Incoluit fines, nemo geaerosior est
te ; N ec, quod Avus tibi maternus fuit, atque pa » ternus,
Olim qui magnis regionibus imperitarunt Ut plerique solent, naso suspendis
adunco Ignotos ; ut me libertino P atre natum. Quum referrc negus,
quali sit quisque parente Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere,
Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum, Multos saepe viros, nullis
majoribus ortas, Et vixisse probo s, amplis et honoribus auctof,
fece grandi progressi nelle scienze, e fu data
in qualità di Grammatico a M., il quale avendo subito conosciuto il
merito letterario del suo Liberto, raddolci talmente la sua situazione,
che lo riguardava piuttosto, come tin amico, che come un servo. M. però
non permise, che lungo tempo continuasse a portare un tal nome ; lo
cancellò subito dal ruolo de’servi, e lo fece tornare al possesso
della sua libertà naturale, col nome di Cajo Melisso M.; quindi proseguendo
a beneficarlo, e ad avvalorare li suoi talenti, gli procacciò il favore,
la grazia, e la protezione dcH’istesso Sovrano, dal quale fu incaricato di
ordinare le Biblioteche esistenti nel Portico di Ottavia (1 ),
(i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-, jus Melissus, Spoltti
uatus, ingenuus, sedob discordiam Parentum expositus, cura et industria
Educatoris sui altiora studia percepii, ac M. prò grammatico rnunere
datus est. Cui cum se gratum, et
acceptum in modum Amici videret permansit in statu servitutis,
praeseritemquc conditionem vcrae origini ante— posuit ; quare cito
manumfssus, Augusto et insinuatus est ; quo delegante, curam ordinandarum
Eibliothccarurn in Octaviae porticu su scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist.
Poet. dialog. Arduino in Indie. Anct. Plinii La protezione pòi di M. non
era soltanto di parole, e di raccomandazioni, non era nna protezione
sterile, ed infeconda. Egli faceva parte
ai Letterati delle sue ricchezze, e de’suoi beni. Il lodato Orazio temendo,
come già si è di sopra accennato, che . il suo M. potesse allontanarsi da
Roma, e andare con Ottavio nelja guerra contro Marco Antonio, e
Cleopatra, gli scrive una Ode vaghissima, nella quale ci fa conoscere,
che egli era stato arricchito dalla generosità di quello, e glieue
mostra cop effusione di cuo* re, e con tenero canto la sua ricouoscenza
« », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro M., marcerai sulle
navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto a soggiacere a
qualunque periglio di Cesare ? Ed io intanto, che cosa farò ? Senza,, di te, le
ore del viver mio saranno affanno* se, e moleste. Dovrò forse assiso nel
doice ozio, toccare le corde della mia cetra, e tessere degl’inni ? Ma
senza la tua presetiza, senza l’amabile tua compagnia, lamia », cetra
sarà dissonante, e la mia voce roca, e spiacente .... Dovrò
coraggiosamente se-,, g, u irti, o per le alpestri balze delle Alpi, o
sulle vette dell’inaccessibile Caucaso, od anche fino alle ultime
spiaggie dell’Occiden* Art. Melissus. Catron Tirabo* schi Stor. della Lett. Itati. »
te? E vero, che essendo di debole temperamento la mia risolnzione non potrà
recare alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-,, mi a tc vicino, saranno
meno intensi li miei f, timori, e meno penosa la mia angoscia ....
Io dunque affronterò non solo questa, ma. qualunque altra militar
spedizione, a solo oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia
riconoscenza, e non già perchè divengano più numerosi li miei aratri, perchè le,,
mie agnelle prima della Canicola faccian passaggio dai pascoli della
Calabria alle tenere erbette della Lucania, o perchè giunf, ga a possedere
sulle Colline deliziose del Tuscolo una Villetta, la quale debba
estendersi fino alle muta della Città. Io, o mio v M., null’altro
desidero, e sono ap~ pieno contento della tua generosa munificenza, che
già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i. Ibis Liburnis inter alta
navium, Amice, propugnacula, Paratus orane Cacsaris
periculum Subire, Maecenas, tuo. Quid nos ? guibus te vita si superstite,
Jucunda ; si contra, gravi s ? Vtrumne jussipersequemur
otium Non dulce, ni tecum simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non
solo in questo luogo ; ma soventi volte Orazio ci avverte de’bene&cj,
e delle ricchezze, di cui era stato da M. fornito “ Se il crudo Verno (
ripete egli ) ricoprirà di neve le campagne Albane, allora il tuoPoeta
scenderà sulla Marina ; quando poi coannoieranno a vedersi le prime rondini,
ed a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora, o dolce amico M.,
tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti. Tu mi face>, sti ricco, non
già come l’ospite Cala Inhospitalem et Caucasufn, Vd
Occidenti s usque ad ultimimi sinum, Forti sequemur pectore ?
Roget, tuum labore quidjuvem meo, Imbellii, ac firmai parum
? Comes minore sum futurus in meta, Qui major aìscntes
hab:et ; è Libenter
hoc, et omne militabitur Bellum in tuae spem gratiae : Non ut
juvencit illibata pluribut Aratro nitahfur me a, Pecusve
Calabris ante iidus fervidum Lucana mutet patcuis. Nec ut tuperni Villa candens
Tusculi Circaea tangat moenia. Satis, superque me òenignitas
tua Ditavit ... }, brese, che suole apprestare allo
stanco viaggiatore frutta soltanto (i). Che anzi era tale il
di Ini zelo, ed impegno nel beneficare i Letterati, che dopo di averli
arricchiti, sarebbe stato prodigo con essi anche di beni maggiori, se li
avessero richiesti, e se ne avessero mostrato desiderio. Nell'opere dello
stesso Orazio si rinviene il testimonio di una tal circostanza, e
quantunque il Poeta parlidi se stesso, tuttavia sembra doversi credere, che lo
stesso tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le api Calabresi (
soggiunge il Poeta ) non travaglino per mio uso, e vantaggio favi dorati ;
sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della
Campania, o i pingui pascolali della Gallia non mi producano lane
squisite, tuttavia, o M., mercè la grandezza del tuo animo generoso, sta
lungi dalla mia Casa la molesta povertà ; e conosco, che più mi
da ( i) Epist. Quotisi bruma nives Albanis illinet agris
; Ad mare descendet Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset
Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima : Non quo more
pyris vesci Calaber jubet hospes Tu me fecisti locupletem »».»»••
/ I J 9* •resti, se fossi petulante
a chiederti altri beni ( x ). Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche,
opera composta ad istanza di M., dà bene a comprendere di quante cose
egli era a questo debitore, e che l’amore, e l’amicizia, di cui l’onorava
davano l’impulso alla sua mente, onde produrre idee sublimi “ O Mecena», te, (
dice Virgilio ) o tu i che sei il mio i, decoro, che con Cagione posso
chiamarti « la massima parte della mia celebrità, deh », vieni ad
avvalorarmi, e meco trascorri l’incominciato lavoro ; senza di te la mia mente
non è capace di stendere un volo subli'me.(a) Properzio quell’aureo,
ed elegante scritta re della tenera Elegia di sopra accennata, anch’csso
godeva la familiarità, e la protezione di M., anch’esso era stato beneficato^
veniva da questo mcoraggito ad impiegare, ed esercitare li suoi poetici
talenti “ O Me (i) Lib. 3. Od. 1 6. Quamquam nec C alabrae mella f erutti
ape*, N ec Laestry gonia Bacchus inamphora Languescit
mihi, necpinguia Gallicis Crcscunt veliera pascuis ;
Importuna tamen pauperies abest ; jNec, siplura velini, tu dare
dcneges. (a) Georg. Jib.i. e
lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o tu, la-d! t, cui
stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani, i) perchè vuoi, che io m’
ingolfi nel vasto pen Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose it non
sono adattate alla mia piccola navicella Ma io appresi li precetti della
vita )s da te, e perciò sulTorme tne, e col tuo }} esempio sono
spinto a superarti» «. . Tu t, generoso mio Protettore, prendi le
redini dell’ incominciata mia giovanile carrie ra. ( i )
Il Poeta Lucano, benché posteriore al secolo, in ctii vissero Orazio,
Virgilio * e Properzio, e benché non avesse partecipato delle liberalità
di M., tuttavia egli pure encomia altamente la protezione straordinaria,
di coi quello onorava li Poeti. “ Virgilio(dice y> egli ) fu quel
Poeta, che cantò fra li Po* (i) Life. 3. Eleg, y. M
aecenas, eques Etrusco de sanguine R cguitl, Intra fortunata qui cupis
esse tuatn, Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl
Non surit opta mede grandia vela rati. At tua, Maecenas, vitae pratcepta
recepì, Cogor et exemplis tc superare tuis. Molli* tu coeptae f autor cape
lorajuventae. Pig itized by
Google n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi. glio
di Anchise, e che provocò con il poetico stile romano il genio divino del
vecchio Omero. Ma quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di
quelle selve, che fu*,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua
Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono, ed esso stesso sarebbe
sconosciuto alle Na«ioni, se M. non lo avesse animato con la sua tenera
amicizia, e con le sue beneficenze. Ma questo non solo protesse, ed onorò
il Poeta di Mantova ; egli avvalorò il genio di Vario a scuotere il palco
teatrale con il tragico coturno ; mostrò ai popoli della Grecia,
che ancora le corde delle Cetre latine sapevano risuonaie dell’ augusto
nome di Giove, ed eccitò, produsse, ed arricchì 1’ italica Lira del Poeta
Venosino : 0 M., o decoro, ed onore delPar-,, naso, degno della
venerazione di tutte le generazioni, e di tutti i cuori, sotto le ali,,
benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-,, ventò le miserie della cadente,
e molesta,, vecchiezza. (1 ) CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8.,
e seq. Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis Qui
sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum, Maeoniumque senem Romano
provocai ore } Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra,
N I Questo favore prestato da M. alle lettere
traeva la sua origine dall’esserne egli stesso coltivatore. Che egli
fosse colto, ed istruito,e che producesse ancora delle Opere in
varj generi di Letteratura non mancano fondamenti per esserne persuasi. Orazio
lo chiama dotto nella lingua greca, e latina (1). Seneca ha
lasciato scritto, che egli era fornito di un ingegno grande, e robusto,
che avrebbe dato nn luminoso modello della Romana eloquenza, se non
l’avesse snervata con la soverchia nata* ralezza. Quod canit, et
sterili tantum cantasset avena, Ignotus populis, si Maeccnate carcret. Qui tàmen haud uni patefecit !im in a
Vati, Nec sua Virgilio permisit nomina soli, Maecenas, tragico
quatientem palpita gestu Evexit Varium. Maecenas alta Thoantis
Eruit, et populis ostendit nomina Grajis. Carmina Rornanis etiarn
resonantia chordis, Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s
O decus, et toto merito venerabile aevo, Pierii tutela chori ! quo
praeside futi Non umquam Vatés inopi timuere scnectae, (O
Lib.3.0d.8. Docte sermo nes utriusque linguae. ( 2)
Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit ( Maecenas ) magnum cxemplum
Romanae eloquentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici- Sappiamo ancora
dal niedesimo autore, che scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Voglio
narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Mecenate, cioè L’Uomo, che è in
supremo grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre in timori,
ed in tempèste a guisa del tempo, che tuona Se mi domandi in qnai
libro egli parlò in tal gnisa, ti rispondo, che lo ha detto in quel libro
intitolato da esso Prometeo Di più secondo lo stesso Seneca,
scrisse altra opera avente per titolo de culto suo » 11 Cenni
afferma, che queste due opere fossero scritte da M. in versi, e che il
Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre, che altra Tragedia
intitolata Ottavia è parimenti à quello attribuita. (2) tas : Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium
et grande, et virile nisi illad ipse discinxisset. Senec. Epist.i 9. ;
Volo Ubi rej erre hoc loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo attonat
summa,, Si quaeris, in quo libro dixerit, in eo, qui Promethcus
inscribitur. (a)
Cenni Vita di M. pag. 126- : In questo luogo l’autore si è dato caricò di
trascri vere tutti li frammenti delle opere, delle quali fu autore M.,
estracndoli da varj Biografi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt N
a I I delle altre in prosa, e
segnatamente dei Trattati concernenti materie di Storia naturale. Imperciocché si rileva da Plinio, che
quello fuAutoredi un libro sulle differenti specie delle pietre
preziose. (i ) e da Prisciano, che aveva scr tto una Storia in dialoghi
intorno agli Animali, citandosi da quello il dialogo decimo. Di più,
secondo Solinò scrisse ancora una Storia delle imprese di Augusto. ( 2)
In fatti si può conoscere dalle Odi di Orazio, che M. aveva tutta la
premura, onde fossero celebratele geste gloriose del suo Sovrano,
che perciò venisse quel Poeta vivamente stimolato ad occuparsene, che
questo si scusasse, dicendo, che non conveniva alla lirica Poesia
di cantare oggetti gravi, e strepitosi ; ed esortando lo stesso M. a
scri raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono consultarsi. Lib.i. Hist.
Nat. pag.49. cumNot.Harduini. (2)
Apud Harduin. in Indie. Auctor. lib.i» Plin. Art.M.: M. eques romanus,
Augusto gratissimus, cujus res gestas lietcris consignavit, ut ex Solino
discimus ejus Dialogorum lib.10. laudai Priseianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou
lib. 7. Tom. 19. nelle Note. 9 6 Oltre le snccennate
opere in versi compose vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,,
stimolarmi, o M., ( scrive Orazio ) a cantare ron le deboli corde della
mia Lira,,, oil lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar
Siciliano rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’
Giganti, li quali fecero tremare la fulgida Regia del vecchio Saturno,
debellati quindi dal valore di Ercole, giacché tu stesso potrai, meglio
di me, trasmettere alla posterità con unaStoria le battaglie di Augusto,,, li
trionfi, ed il numero dei Re dal medesirao soggiogati. Anche Servio è d’ avviso,
che M. scrivesse la Storia di Angusto, appoggiando Lib.a. Od. Nolis
longa fcrae bella Numantiae Nec dirum A anibaie m, nec Siculum mare
Poeno purpureum sanguine, mollibus Aptari Cithar ae modis : N
eo saevos Lapithas . . domitosque Hcrculea manu Telluri s
juvencs, unde periculum Fulgens contremuit domus. Saturni veteris ; tuque
pedestribus Dices historiis proeliaCaesaris Maecenas melius,
ductaque per vias Regum colla minacium i Iettato, e
molle del tutto riprova, e per ischerzo imitando deride. Macrob. Satur.
lib. a. pag. 1 58. : Idem Augustus, qui Maecenatem suurn noverai
esse stilo remisso, molli, et dissoluto, taltm se in epistolis,
quas ad eum scribebat, et contro casti gationem loquendi, quam aliis ille
seri bendo servabat, in epistola ad Maecenatem familiari plura in jocos
effusa subtexuit : Vale, inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He truria,
A da mas super nas, T iberinum margaritum, Cylniorum smaragde, hyaspis
figulorum, berylle Porsennae : Vedi il Turnebio Advers. Sveton. in Octav.
Art. : Oenus elo~ quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et temperai
uni, vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito parlando dell’ottimo, e
perfetto genere dell' eloquenza, e della forma del discorso, insegna frà le
altre cose, doversi sfuggire r impeto di Cajo Gracco, e li belletti di M.
Quintiliano ancora riprova nella di lui maniera di scrivere una certa
trasposizione di parole, che rendono il periodo lussureggiante, oscuro, e
vizioso. Se poi si dovesse dare ascolto al surriferito Seneca, M. sarebbe stato
1 * uomo il piu immorale, e il più cattivo inconcinnitate. .. pari
fastidio sprevit, et Cacozelos, et Antiquarios. Exagitabat non numquam in
primis M. suum, cujus p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque perscquitur,
et imitando per jocum, irridet. (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat. cap.
26. Ceterum si omisso opt imo ilio, et perfettissimo genere cloquentiae,
eligendo sit forma di tendi, malim hercule Caji Gracchi impetum quam M.
ealamistros. Quintil. Instit. Orat.. : Quaedam vero tranigressiones, et lon gae
sunt nimis ... et interim etiam compositione vitiosae, quae in hoc ipsum
petuiUur, ut exultent, atque lasciviant, quales iUae Maecenatis
Sole, et Aurora rubent plurima : inter sacra movit aqua fraxinos. Ne exequias quidem unus inter miserrimos viderem
meas quod inter hacc pessimum est, quia in re tristi ludit composi ciò. Scrittore frà quanti sono
itati ammessi nella Kepublica letteraria. Con qual fiele non si
scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed altrove ancora nelle sue
opere il Maestro di Nerone ? Parlando egli di M. ora scrive : » Tu
vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo •> ubriaco inviluppata, errante,
e piena di lingue Ora attaccando anche li di lui costumi soggiunge “
Quando tu leggerai li suoi scritti, e le parole cosi viziosamente ornate,
cosi negligentemente buttate, così poste fuori dello stile di tutti,
mostreremo, che non meno li suoi costumi fossero nuovi, depravati,
p singolari Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. : Quo modo M. vixerit,
notius est, qitam ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit,
quarti delicatus fuerit, quam cupierit videri, quam vitia sua latere
nolut. Quid ergo ? Non oratio ejus aequerite saluta est, quam ìpse
discine t us ? Non tam insignita illius verba sunt, quam cultus, quam
comitatus, quam domus, quam uxor. Magni ingenii vir fucrat, si
illud egisset viarectiore, si non vitasset intelligi, si non etiam
in oratione difflueret. Videbis itaque
eloquentiam ebrii hominis involutam, et crrantem, et licentiae plenam :
Maecenas in cultu suo .' Quid turpius ani ne, silvisque
ripa comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr * soque vado
remittant hortos, .Ma Seneca era troppo invidioso della fama, della
riputazione, e delle doti brillanti di M., il di cni splendore ancora
traspi* rava chiaro, e vivace nel secolo, nel quale quello viveva,
e come Ministro, e Consiglie* rodi Nerone, conoscendo, che non aveva
potuto, ne’poteva eguagliare le sublimi virtù politiche, di coi andava
nobilmente fregiato il Ministro, e Consiglierò di Augusto, ne divenne
l’nnico, e il più maligno detrattore. Ter prova di ciò invochiamo 1*
autorità di tutti li Biografi all* uno, e all’ altro contemporanei
4 Non ostante però tutto il male, che dice ne’ suoi scritti,
di M., Seneca sapeva benissimo, che questo nel tempio della gloria
Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret, hunc esse, qui,
solutis Cunicis, in Urbe seraper inccsserit ? Nani edam cum absentis
partibus Caesaris funger et ur, signum a di scindo petebatur .... Hunc esse qui
Uxorem millies duxit, cum unam habueritì Haec verba tam improbe strucca,
tam negligenter abjecta, tam extra consuetudinem omnium posila, ostendunt
mores quoque non minus novos, et pravos, et singulares fuissc. Quasi
della stesso tenore parla Seneca di Me cenate, ed in questa,
medesima lettera, e nella diecinovesima nella nonagesimaterza nella ceutoventi
e pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa il posto di un grand’ uomo di
Stato, di un eccellente Ministro, di un Consiglierò illuminato, e
di un Favorito nou infetto dai vizj abominevoli dell’ avarizia, e dell’
interesse, H quali al contrario avevano ad esso procacciato il possesso
di più milioni, estratti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi
Romani. Sapeva inoltre, che quello aveva meriti grandissimi, conforme fu
costretto a manifestare pubicamente, e in faccia allo stesso Nerone,
allorquando, decaduto dal di lui favore, aveva forse cessato di
screditarlo, Imperciocché sappiamo da Tacito, che dopo la morte diJJurro,
mori ancora, pèr dir cosi, la potenza di Seneca. Allora si accrebbero a
carico del medesimo le satire, e le mor* morazioni furono universali per
le immense ricchezze, che aveva accumulate, e segnatamente per la
grandiosità de’ snoi Giardini, che eguagliavano quasi gl* istessi
Giardini Imperiali. Seneca volendo dileguare, se fosse stato possibile,
dall’animo del suo Padrone .ogni sinistra impressione, dimandò di essere
ascoltato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo Sovrano un discorso
artificioso, o pipttosto la sua Apologia, nella quale fra }e altre cose,
ricordandosi di Augusto, di M., e di Agrippa, e dei meriti politici di
questi, disse cosi : Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a
Marco Agrippa il ritiro di Mitilene, e a Cajo M. un ozio pellegrini) nella
stessa Capitale. 11 primo, come com-,, pagno d’armi di quel Monarca, ed il
secon-,, do come quello, che seppe disimpegnarsi da molti incarichi
laboriosi anche in Roma, ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom3, pense
in vista de’ meriti grandi, di cui erano forniti. Si attribuisce ancora al
nostro M. 1 ’ invenzione di scrivere in abbreviatura. Dione afferma, che
egli trovasse alcune note Tacit. Annal. Mors Burrhi infregit Senecae
potentiam variis cr i mi nat io 1 libili Senecam adoriuntur : tamquam
ingentes, et privatum supra modum evectas opes adhuc augeret ....
hortorum quoque amoenitate, et villarum magni ficent la, quasi
Principem super greder et ur. .. At Seneca criminantium non ignarus. .. tempus
sermoni orat : et accepto, ita incipit. Atavus tuus Augustus Marco Agrippae
Mitylenense seeretum, Caio Maecenati in ipsa Urbe velut peregrinum otium
permisit ; quorum, alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~
boribus jactatus, ampia quidem, sedpro ingentibus meritis, proemia acceperant. fa). : Primusque M. ad celeritatem
scribendi notas quasdam literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae
Liberti ministerio, multos doaj.it. *o5 per scrivere con
celerità, e che insegnasse questo metodo a molti per mezzo di Aquila
suo Liberto. 11 Catrou è di sentimento, che tali note costituissero
un Trattato per poter scrivere abbreviando le parole. In fatti è
indubitato, che la maniera per scrivere con prontezza, e sollecitamente è
quella, che istruisce a scrivere col soccorso delle abbreviature, e
siccome nel caso, di cui si parla, Dione dice, che M. prirnus
cxcogitavit, così pare non possa mettersi in questione, che prima
di questo un tal metodo di scrivere era affatto sconosciuto, e che egli
ne fosse il primo inventore. Isidoro di Sicilia dice (a) che il poeta
Ennio fosse 1’ autore di mille e cento note per scrivere ; che il primo,
il quale in Roma facesse un commento di queste note, fosse Tirone Liberto di
Marco Tullio Cicerone ; che dopo di questo Persannio, Filargio, ed Aquila
Liberto di M. ne inventassero delle altre, e che Seneca finalmente ne
ordinasse un numero di cinquemila. Riguardo però ad Aquila Liberto di M.
non sembra giusta l’asserzione delEaccennato Isidoro, attribuendogli E
invenzione di alcune note per scrivere, giacché abbiamo rimarcato
da Dione, che il sudetto Liberto di
Lih.i.orig. cap.aj.' l ioó M. non ne
fu inventore, ma che fu il propagatore del ritrovato, e dell* opera
del suo Padrone, e che esso stesso, istruito da questo, ne
istruisse degli altri. Dallo
stesso Dione sappiamo (i) ancora, che M. recò ai Romani un altro
rimarchevole vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni delle acque calde. Dal
che si ravvisa, che questo specifico salutare, ed alla umana salute
profittevole, non era in Usanza in Roma prima dell’ epOcà di M. ;
cosicché questo, il qnale, secondo le osservazioni già fat* te, era
intelligente della Storia naturale, avendone in prattica sperimentato gli
effetti benefici, ne introdusse fra li Romani l’uso, e l’esercizio.
( a) Mentre M. passava nel ritiro le ore ( 1) fjOC.eit.
Idem primus (M.) RomaeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it. P linio attribuisce a M. V introduzione nelle
mense de’ figli lattanti dell'Asina, li quali in quell epoca erano preferiti
alli Onagri, o Asini selvatici. Aggiunge inoltre, che il gusto per
questa sorte di pietanze svanì con la sua morte. Ecco il testo di Plinio
lib.8. cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus, aurium referre in his
et palpebrar umpilos ajunt: Pullos earum epulari M. institu.it, multum eo
tempore praelatos Onagris. Post eum
intcriit authoritas saporis. della snà
vita m comporre delle opere io prosa, ed in versi, in presentare ai
Romani, ed alla società delle tifili invenzioni in proteggere, animare, e
arricchì re li Letterati, ed in promuovere il progresso della
Letteratura; Augusto, che in tutti li suoi bisogni non mancava di
consultarlo > gli diresse una lettera. Dal contesto di questa si rileva, che
quello era lontano da Roma, e c he se ne stava fra le delizie della
sua Villa Tihurtina con la dolce comitiva dé’ Dotti, e fra il soave
concento delie Cetre de’ m gliori Poeti. Augusto aveva bisogno di un
Segretario, e per mezzo di quella lettera richiese il Poeta Orazio,
che stava presso di M.. “Prima poteva da me stesso, dice Angusto, scrivere
delle lettere ai miei amici,ma ora.o mio M., che,, sono occupatissimo, ed
infermo, bramo, che mi mandi il nostro Orazio. Io sò qnanM to vive
contento presso di te, ma spero,,, che lasceràlesue mense squisite, e
verrà nella mia Regia per ajutarmi in qualità di »
Segretario.fi) (Sveton. in Vit. Horat. : Ante ipse sufficiebam
scribendis epistolis amicorum ; nunc occupatissima s, et infirmus,
Horatiam nostrum te cupio adduccre. Vcniet igitur ab ista parasitica
mensa ad hanc Regiam, et aos in epistolis scribendis adjuvabit. Non
sappiamo con sicurezza, sé le brame di Angusto in ciò venissero appagate.
M. non avrà mancato di rappresentare ad Orazio il grande onore, che
gli si voleva compartire con quell’impiego luminoso, ma il Poeta,
che amava la calma, che per lo più, lungi dallo strepito della
Capitale, e della Corte ^ desi» derava di ragionare con le Muse, o presso
le onde sussurranti del fonticello di Blandnsia, o sotto le ombre
taciturne del boschetto di Tiburno, avrà mostrato tutta la renitenza di
accettare un tanto onore, e per disimpegnarsi dalle richieste del suo
Sovrano. Sebbene adunque M. si fosse ritirato spontaneamente
dai grandi affari della Corte, tuttavia Augusto continuava a rispettarlo,
e a deferire in tutto, e per tutto alli suoi consigli. Ma questo rispetto,
questa amicizia, questa fiducia, questa uniformità di pensieri fu
sempre eguale fra l’uno, e l’altro ? Se dobbiamo seguire 1’
autorità di Dione sembra esserci stata un’epoca di tempo, nella
quale un adultero amore sconcertasse quella bella armonìa, che per tanti
anni era stata fra di essi inalterabile. Terenzia moglie di M. era una
donna arricchita dalla natura Sveton.Vixit plurimum in se eessururis sui
Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur circa Tiburniluculum : V edi
il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio « a9 tìi
tatti li vetti, e di tutte le grazie seducenti, che sogliono distinguere il bel
sesso. Si suppone, che Augusto, il
quale aveya occasione di vederla sovente, come sovente soleva
vedere il marito, ne divenisse amante, e che Terenzia non fosse
insensibile alli di lui teneri sentimenti. Si suppone inoltre, che
la fiamma di quello si rendesse cosi vivace, che Roma ne mormorava
; che per involarsi dalle mormorazioni, e dai rimproveri de’ Romani,
se ne andasse nelle Gallie, portando con se la detta Terenzia. Soggiunge
Dione, che da questi amori nascesse il motivo di quella freddezza, che si
ravvisò per qualche tempo tra M., ed il suo Sovrano, e che per lo
stesso motivo non fosse quello lasciato da questo Prefetto di Roma, quando
intraprese il sudetto viaggio. Sentiamo come parla lo Storico. Vedendo
Augusto, che la sua lunga permanenza nella Capitale riusciva a molti molesta ;
che se,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti altrettanti nemici ;
che se doveva passare,, sotto silenzio i loro delitti, sarebbe stato
costretto ad offendere esso stesso la nuova i. Costituzione, e a ledere
l’osservanza delle sue leggi, stabili, ad esempio di Solone, di
andare lungi dalla patria. Vi furono peio alcuni, li quali sospettavano, che
egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione di Terenzia, moglie di M., affinchè,
stanti ti le voci diverse, che si divulgavano pe Roma, de’ loro amori,
potesse in questo viaggio vivere con essa lontano da ogni ru« more.
Lasciò in qualità di Prefetto,, di Roma, e dell’ Italia Statilio Tauro,
giacché Agrippa era stato inviato nella Siria, e M. era già con esso in
qual*,, che disgusto per motivo della sua mo» glié (0 • Ad onta
però dell’autorità di qnesto Scrittore non pare abbastanza provato il fatto,
di cui si parla, e che narra riguardo agli amori di Terenzia, ed Angusto
; al viaggio nelle Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgusti di
quello con M.. Imperciocché Dion.. Cu/n enim diuturna ejus in Urbe
commoratio molesta multis esset, ac multos, qui contra leges deliquissent
plectens offender et, multis parcens, eogeretur suas ipse leges
praevaricari, pere « gre abire, Sblonis exemplo -, statuii. Fuerunt
qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem, eurn discedere suspicarentur,
ut quoniam multi Homae de ipsorum amore sermones per vulgus darentur, in
peregrinatione sua citra om nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset. Deinde Urbis, et Italiae gubernatione Tauro
injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam mite rat ; e rat autem ei M.
propter Uxorem minus j am gratus. Dione
non parla di questi pretesi amori, come di un fatto sicuro. Asserisce
semplicemente, che alcuni sospettavano, che correvano per Roma delle Voci
diverse ; ma questi sospetti, e queste voci non valgono ragionevolmente a
costituire una prova tale, che non possa, nè debba credersi altrimenti ;
tanto più, che 10 stesso Diohe, premette il motivo positivo,
per cui Augusto volle allontanarsi da Roma. D'altronde Svetonio,
Tacito, Vellejo, ed altri antichi Biografi di vaglia, hanno parlato, e
scritto chi più, e chi meno della vita publica, e privata di Augusto, e
niuno ha riferito, e neppure accennato li pretesi di lui amori con la
moglie di M. É vero, che 11 detto Svetonio non omise di narrare,
che quello non fu esente da’vizj, e che fra questi non esclude
l’adulterio, ma non ha mancato di aggiungere, e di prevenire la posterità,
che questi Vizj deturparono soltanto i giorni della sua prima giovinezza,
e che se commise degli adulterj, non già cadeva in questo disordine per
libidine, ma per discoprire, per mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li
segreti de’ suoi nemici, La sua giovinezza ( scrive Svetonio di
Augusto ) fu sottoposta all’imfamia di vari difetti . Gli stessi suoi,, amici
non negano, che fosse dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano,
dicendo, che questa sua condotta non era l’effetto di una passione
disordinata, e libidinosa, ma O 2 aia,, che lo faceva
per discoprire più facilmente l'animo de'snoi nemici per mezzo delle
loro i, mogli fi). Ora se Angusto commetteva degli adulterj,
non già per libidine, ma quasi direi, per politica, e per quel punto di
politica, che nelle testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò non
poteva aver luogo con Terenzia moglie di M.,, sulla sperimentata fedeltà
del quale non poteva quello, nè giammai aveva potuto sospettarle i
Inoltre Svetonio riferisce, che l’epoca di alcuni vizj del medesimo
Augusto fu la prima sua gioventù, inconseguenza resta escluso quel tempo, in
cui si suppone l’amorosa passione con Terenzia, ritrovandosi egli allora
in età di circa anni quarantacinque fa). Meno prova ancora, che partendo
perle Callie, non lasciasse Prefetto di Roma M., perchè era con esso
irritato a motivo degli amori 6 udctti. Imperciocché si è di già
osservato, che questo, elfettuato il novello Sistema politico della
Monarchia universale In Octav. Prima \uventa variar um dedecorum in/amiam
subiit, >. adulterio guide in exer.cuisse, ne amici guiderà negant ;
excusuntes sane, non libidine, sed ratione eommissa, guo facilius
consilia adversariorum per vujusque mulieres cxquircret. (3) Dion. loc. cit.
Digitized by Google n3 si ritirò dalla Corte, e
da’grandi affari, nè curò impiego veruno. Si è osservato altresì,
che nella nuova Costituzione dal medesimo modellata si era parlato del
rimarchevole impiego di Prefetto di Roma, e si era stabilito per massima,
che questo doveva essere di più lunga durata, e che dovesse addossarsi a
persone di specchiata probità, e consolari. Come dunque può recar
meraviglia, se Augusto allontanandosi da Roma, per andare nelle Gallie, non
nominasse Prefetto di Roma Mece*« nate ? A llora quasi tutte le leggi
della succennata novella Costituzione erano in una piena osservanza. Di più l’assertiva di Dione sù tal punto
storico, sembra, che venga del tutto smentita da Cornelio Tacito, il quale a
chiare note dichiara, Ghe Augusto per tutto il tempo dei torbidi, e delle
guerre civili, lasciò sempre Prefetto di Roma, e dell'Italia M., e che
dopo di essersi sollevato alla Sovranità impiegò soltanto
personeConsolari a coprire questa carica,, Del restai dice Tacito )
Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die, nominò alla Prefettura di Roma,
e dell’Italia CajoCilnio M. dell'Ordinò de’Cavalieri. Divenuto però
Sovrano asso-, x luto, addossò questo impiego a Soggetti Consolari . Il primo,
che venne rivestitedi questo potere, fu Messala Corvino. ài4,. . il secondo
S'tatilio Tauro quindi fu eletto
Pisone (O* Dopo ciò, che cosa può addursi di più convinceute per
conoscere, che se Augusto, partendo per le Gallie,non lasciò M. Prefet.
todi Roma, fu per tntt'altra cagione di quella immaginata da Dione ? In
quell’epoca per legge, e principio fondamentale della Costituzione, dovevano
rivestirsi di tal carica persone Consolari ; M. era semplice
Cavaliere Romano ; non poteva dunque esercitarla, senza ledere l’ordine,
e l’integrità della Costituzione medesima ; e siccome esso stesso era
sta* to Fautore della Legge, cosi quantunque Augusto lo avesse voluto
decorare della Prefettura anche in tali circostanze, T averehbe
francamente ricusata, come incapace di mettersi in contradizione co’suoi
principi, Comunque sia però, ed ammessa ancora laveria tàdel racconto di
Dione, li pretesi dissapori fra M. ed Augusto dovettero
essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gustus bellis civilibus Cilnium
Maecenatcm equestri s Ordinis, cunctis apud Romani, atque Italiani praeposuit. Mox
rerum potitus, ob magnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia, sumpsit e
Coruularibus, qui coerceret serviti a .... primusque Messala Corvinus eam
potestatem accepit .... Tum Tau rus Statili us. .. Dein Pis »* 1 et di poco momento, e passeggeri, sapendo
da Plutarco, che quello nel giorno suo natalizio offriva sempre in
dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva
ogn’anno da M. in dono una Tazza nel giorno suo natalizio. Ma
finalmente M. dopo aver veduto p ratticamente, che le sue fatiche, le sue
ve» glie, li suoi lumi, e la sua politica avevano formata la
felicità, di Koma, e dello Stato ; che il suo Padrone, o piuttosto il suo
Amico era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’ Monarchi;
che le sue liberalità, ed il suo zelo,e la protezione accordata alle
lettere, ed ai Letterati avevano dato un favorevole impulso al progresso
dello spirito umano, del genio della letteratura, e del buon gnsto, M.,
dissi, doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indispensabile tributo
alla natura. Se è vero, se è possibile ciò che Plinio il
Naturalista suppone, negli nliimi tre anni della sua vita, fu quello sottoposto
ad una malattia di tal carattere, che il sonno non chiuse mai le sue luci per
tutto quel non breve spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più
efficaci, e potenti, che furono messi in opera Apopht. Princ. et Reg.
Apopht. nltinj. Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*> tus
.... a M., cum quo vitam agebat, yuotannit in natalieiit dono acoipiebat
pateram. I ài6 per giovargli, fosse costretto a vegliar sempre,
ed a soffrire più sensibilmente li no)osi effetti di una febre continua,
dalla quale, secondo lo stesso Autore, sembra, che fosse attaccato
('i). ' Per l’esame di questo fatto da Plinio riferito, abbiam
creduto di riunire alcune riflessioni in una breve Discussione
uell’Appendice dell’Opera, alla quale rimettiamo il Lettore. Intanto, proseguendo la nostra
narrazione, possiamo asserire, che M. neH’nltimo periodo della sua
vita fu sottoposto a delle fisiche indisposizioni, delle quali si doleva
con li amici più cari, e segnatamente eoa Orazio. Questo Poeta riconoscente, e sensibile si
tapinava all’eccesso della peno6y» situazione del suo amico, del suo
benefattore, del suo tutto, e procurava di consolarlo con l’espressioni della
più tenera amicizia, animato dal dolce, e mellifluo suono della sua Lira O
Mecenate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime ornamento, e sostegno
delle mie sostanze, perchè mi rattristi con le tue querele ? Non
>, piace nè a me, nè agli Dei t che prima della mia debba distruggersi
la tua esistenza. Ah! se la Parca crudele sarà più,, sollecita a troncare lo
stame della tua vita, che è porzione della U)ia, come io potrò y,
restare superstite ? Si > o mio caro M., benché tn volessi precedermi,
pure insieme entreremo nel cammino dell*éternità; nè mai potranno
distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera, », nè le
cento braccia del mostruoso Gigante»,, se tornasse sulla terra. È scritto già
nel », libro de’destini, che io, il quale vissi eoa te, debba con
te trapassare egualmente, c i, che un istesso giorno debba segnare il
ter», mine della vita di ambedue. i. Avvicinandosi l’ultima ora della sua
mortale carriera. M. fece il suo testamento, e volendo mostrare al
Publico, ed alla posterir Od.. • ’
Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis amicum est t noe mihi, te
priut Obire, Maecenas, mearum Grande decus, columenque
rerum. Ah ! te meae sipartem
anitnae rapii Maturior vis, quid moror altera, Nee carus
aeque, nec superstes Integer ? Ille dies utramque Ducet ruinam. k. \ Utcumque
praecedes, supremum Carpere iter comites parati. Me nec Chimaerae spiritile igneae,
Nec si resurgat centimanusGyas • Divellet unquam : sic
potenti Justitiae, placitumque Parcis, r tg
là, .che tra esso > ed Angusto / vi era passata un'amicizia
sempre eguale, e costante, o che se in qualche occasione venne alterata,
non ebbe una tale alterazione, che una durata pià piomentanea di una
elettrica scintilla, lo Ì6tir lui Erede de’suoi beni con il peso
spontaneo ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Letteralir^.i _>,
Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q lo aveva cousolato, ed
assistito ne'giorni della sua infermità, cosi a questo volle consagraxe, per
dir cosi, Teatreme sue voci, e dare l’ultimo pegno della sua beneficenza,
raccommandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti raccommando, o Cesare,
Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a). ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere
cur vehementem lituani M aecenatis mors Augusto afferret,quo ea
e(iam accessit, quoti M. haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima
quaedam, in e)us pot estate reliquie, si velie! Amicis suis quaedam. dare
._ (a) Svet, in Vif. Ilorat. M. quantoper è eum. ( Horatium )
flilexerit, satis testatur ilio Epigrammate : Ni te visceri.bus
meis, Horati, Plus \am diligo, tu tuum Soclalem N inaio
videas strigosiorem, Sed multo magie extremis judiciis, tali ad
Augustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto raemor. Mori conforme
accennammo ancora nel Libro i., cinque anni prima dell’Era volgare,
ventitré dopo la battaglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce il
principio dell’Impero Romano, e nell’anno 746. della Fondazione di Roma. Egli
morì senza successori. Risulta ciò chiaramente, e dal testamento di sopra
accennato, e dall’ uniforme testimonianza di tutti li Biografi, che hanno
di esso parlato. È sebbene ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano
vissuto altri Soggetti aventi il nome diM., tuttavia non può dirsi. nè costa,
che fossero discendenti di quello, e che avessero col medesimo
relazione alcuna di parentela. Si trova sotto l’Impero di
Vespasiano un Publio M. Olimpico, di cui si conosce il solo nome,
inciso in una base grande, e quadrata disotterrata in Roma presso l’Arco
di SettimioSevero ; (a) parimente si conosce il solo nome di un M. Elio (
3). Nel Regno dell’Imperatore Gordiano il giovane si vede figurare in Roma un
per (0 Dion. Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vixit Publius M. Olimpicus
; ejus memoria super est Romae in basi marmorea grandi, et quadrata ad
Arcum Septimii Severi effossa, v Gruter. sonaggio
ragguardevole chiamalo M., conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O,
e da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è involta nelle tenebre
istesse, in cui trovansi e l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure
congetturarsi, che avesse un qualche rapporto col nostro Cajo Cilnio M.,.
J/annunzio funesto della di lui morte fu un ;l. i
Curtia.j.L. Prapis Cui pars dimidiahujus / Moni menti
concessa est ab Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante,
allora appunto, quando Ottavio divenne assoluto Monarca dell’ Universo. Che
coija non poteva pretendere, che cosa non doveva sperare, quali posti
luminosi -, quali onori, quali distinzioni ? Eppure quello, che in tutte
le sue operazioni aveva per oggetto soltanto il benèssere della
Patria, e la felicità de 5 suoi simili, nulla volle per sa nullà curò,
e quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia de’ secoli, lo
accompagnò fino alla Tomba. Amò le
Lettere, che coltivò esso stesso, protesse, animò li talenti, e fù prodigo
delle sue liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le scienze
salissero a qual grado supremo, in cui si viddero al tempo di Augusto,
fece si, che questo secondasse il suo Genio • Angusto lo secondò in
fatti con tutto il calore, e con zelo, ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj,
liTibùllMiLivj, e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la prima epoca
del gran’ Impero Romano, arricchirono il regno della Letteratura, e
ferero tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio M. fu amato
da tutto il mondo, la sua riputazione è passata fino alla più lontana
posterità, ed è qaasi estesa, quanto quella dello stesso Augusto. (O Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i. Catrou
Tom.i9.Lib.7. APPENDICE ALLA STORIA DI CAJO
CILN10 M. t GIARDINI IN ROMA AL MEDESIMO
SPETTANTI DISCUSSIONE. Insiste nella Regione Esquilina dell'antica
Roma un locale, in cui venivano sepolti li cadaveri delle genti plebee :
Essendosi riconosciuto col progresso del tempo, che da questo luogo s’
inalzavano delle putride esalazioni, nocevoli alla salubrità dell’
atmosfera, ed alla salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare,
onde depurar P aere, ed adornare insieme la Città di edifizj. >
11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o perchè per antica
costumanza le sepolture consistevano in pozzi, o perchè ivi si putrefacevano li
cadaveri, conforme nota il Pomey “ Minutae vero plebis, mancipiorumque
sepulchra extra portam Esquilinam Visebantur, quem locum. Puticulos, vel a
puteis, P ti6 inquosconjiciebantur, vel a
putore cadèveroni vulgo appellabant. (ij Lo stesso afferma l' erudito
Alessandro Donato sull’autorità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( egli dice )
extra Urbem plebs humaretur, un3, de Populus Romanus odoris, atìt coeli
gravitate laborabat,Augustus locum expnrgavit, Urbemque aedificis auxit,
ornavitque, Puticuli antea locus appellatns, quod vetustismum genus sepulturae
in pnteis fuerit, et, ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi cadavera
putrescerent. ('a) Quivi ( scrivé Orazio ) poc’anzi solevano trasportarsi
su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo esser stati
rimossi dalle loro ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva la,, tomba
comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,,,
Conservo, vili portanda locabat in Arca ; Hoc miserae plebi stabat
comune sepulchrum (3 ). Questo luogo pertanto, che formava
una specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della Città, giacché
era generalmente vietato di De Funeribus. De Urb. Rom. Vedi
il Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo Rom. Antiq. Dissert.
6. de Sepulchris, ed H detto Pomey Satir. seppellire li cadaveri dentro
le mora ; ed era destinato, come si è accennato, per la qilebe
soltanto. Le tombe de’ Re, degl’ nomini illustri, e delle doane di
nascita ragguardevole venivano collocate nel Campo Marzo .che stava
parimenti fuori della Città, secondo la testimonianza di Appiano. e di
Strabone presso il rife rito Pomey. ( a) Dopo però, che da quella
Regione furono tolte le sepolture plebee. e fu nel recinto di Roma
racchiusa, vi si inalzarono numerose abitazioni, e vi fece ritorno 1’
amenità, e Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato ) quam
amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci amoen nitatem,
tectorumque frequentiam secuta E’ nota su di ciò la Legge delle
XII. Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito, neve urito : Può
vedersi il lodato Minutolo, il quale nella cit. Dissertazione ne farla
con critica, ed erudizione. C 2 ) Loc. cit. : Locas ad
sepulturam o rnatissimus extra Urbem fuit Campus Martius, Appiano teste,
qui scribit, selos ibi Regcs, horninesque illustrissimo* sepelùi
consuevisse, non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo
confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime sacrum ac venerabile m,
ideoque pracstantissi morum virorum, ac joeminarum monumenta ili fuisse
collocata. P 2 est nova coeli
salubri'tas .( i) .Ora poi ( sogli giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es«
quiiina sono state rimossfe le tombe, hè più si osservano sii di un
infontie campagna ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,,
ameno diporto sotto un cielo salubre. m
Nunc licet Esquiliis habitare salubribus, atque Aggere in aprico
spatiari, quo modo tristes Albisinformem spectabant ossibus agrum(a
) Porzione di quel terreno fu donato da Augusto, mediante anche un
decreto del Senato, al suo M., il quale vi fece sorgere in seguito quc
deliziosi Giardini, la di cui celebrità è giunta fino a noi, secondo la
testimonianza del Marliani,del riferito Minatolo,e di Samuele
Pitisco Cum igitur ( dice questo ), tem. (a) Abbiamo osservato
nella Storia di M. ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in Roma.!’
uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo incontrastabile,che li suoi Giardini, e la
grandiosa Abitazione in essi esistente, e di cui si parlerà fra poco,
dovessero contenere tutti Art. Hort. M. Lib.4.. a3i gliagj, che sa
immaginare l'umano raffinamento, e la voluttà, cosi non sembra fuori di
probabilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi Bagni, eihequivi ne
facesse sperimentare li primi vantaggi, prima} Jamdudum apùd me est. Eripe
temorae. Fastidiosam desere copiam, et », Molem prepinquam nubibus arduis
: 0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque -
Romae. Il Palazzo, o la Tórre di M. esisteva tuttora ai tempi di Nerone. Questo
folle, ed insensato Monarca, dopo aver dato l'ordine ferale di
metter fuoco alla più bella, e vasta Città del Mondò,' alla Sede del suo
Impero, non fece in essa ritorno, se non quando, fu prevenuto, che 1*
incendio si avvicinava alla sua Regia, che era stata dal medesimo
ampliata fino al Palatino, ed alti Giardini di M.. Nero, scrive Tacito, non ante in Urbetn
regressus est, quam domiti ejus, qua Pala V Eib.3. Od.ao.» tinnii et
Maecenatis hortos continuaverat, ignis appropinqnaret. Rientrato
quel Tiranno in Roma, sen’ corre ai Giardini di M., e sale nel luogo più
eminente della Torre sopradetta. Quivi rimira con occhio insensibile, e
truce’ii vortici delle fiamme, .che distruggono la sua Capitale, ed ascolta a
sangue freddo li gemiti, e le strida degl’ infelici abitanti, che
periscono. Allora compiacendosi dello spettacolo a• C l ) Il
Pitisco, fondato su di un passo di Tacito, mette in dubbio il fatto
narrato da Svetonio, e dagli altri riferiti Autori. Egli suppone,
ebe, secondo il detto Annalista, venissero distrutte dalle fiamme e
il Palazzo di Nerone, e la Casa di M., e li Giardini, e il Palatino, e
tutt’altro, che intorno a questi luoghi esisteva, cosicché in tal c$so non
avrebbe potuto quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla Torre
Mecenaziana. Neronem ex Torri M. prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera pene
verbis repetunt P.Diaconus &c. Tacitus dubium fecitutrumque. Non Urbem
eniiq is tantum, sed domum etiam ipsam M.,, tis, et hortos, et Palatium,
et cuncta circum » l°ca eodem momento a Neronis incendiario,, igne,sed
ipso absente,hausta commemorala) Non sembra però che Tacito accenni la
di Loc.cit. Art. Turris M..
•trazione delli Giardini di M,, e suo Palazzo annesso ; racconta
semplicemente, che quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ incendio si
avvicinavano alla sua Casa fece ri-» torno in Roma ; che non ostante, la
rapidità di quelle non potè ritardarsi, e fu distrutta anche la sna
Casa, e tuttoció, che vi stava intorno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Nero
Antii agens, non aute in Urbem re» gressus est, quam domili ejus, qua
Palatium, etMaecenatis hortos contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque
tamen siati jjotuit, quin et Palatium, et Domus, et cuncta circuiti
haurirentur (i ). Qui si parla del
Palatino, e del Palazzo di Ne» rone, e con l’espressioni, cuncta circuru
haurirentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che stava intorno
all’uno, e all’altro. Ora la magnifica Abitazione, e li Giardini di M.
erano, come si è detto, nell’Esquilino, e benché confinassero con la Casa
Neroniana, tuttavia pare, che non possa con sicurezza dedursi, che
contemporaneamente all’ incendio di questa venia» serodistrntti ancorali
sudetti Giardini conTan» nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in
contradizione l’autorità rispettabile del detto Annalista con quella egualmente
rispettabile dello Scrittore delle Vite de’ primi dodici Imperadori ;
tanto più che anche quello accenna il Annal lib.i5. cap.àq. fatto
narrato da questo, come si vede nel tev sto seguente: “ Sed solatinm
Populo exturba-,, to, et profugo Campum Martis, et monuraeti-,, taAgrippae,
hortos qnin etiam suos patefecit. . pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam
popola ri a in irritino cade-,, bant, quia pervascrat rumor, ipso tempore,,
flagrantis Urbis inisse enm domesticam scenam, et cecinisse Trojanum excidium. Giacomo
Lauro ammettendo, che la Torre, cd il Palazzo di M. fosse una
stessa cosa, ne fa una elegante descrizione, dicendo, che era un
meravglioso lavoro ripartito in quattro Piani l’nnoall'altro superiore,
sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico ancora, che la sommità della
Fabbrica termina' va in un Teatro, dal quale non solo poteva
godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini, ma eziandio l’ampiezza di
tutta l'immensa Capitale del mondo. Non piace però al riferito Pitisco il
sentimento del Lauro, e degl’altri, che pensano come questo, supponendo,
che non vi siano prove confacenti “ Sunt qui, dice il Pitisco, inter quos
Jacobns Lanrus qui Domunì Maecenatis cum Tnrri uuam, eamdemque faciunt. Fuisse
enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum, V„nm Malcerti.
admirabili Vtraetorfl spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus,
^ una super alte.an. in altum ad motomTur ris excrescentibus, c«,us
fast,g ; um dearne bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«, non
tantum in hortorum amoemtatem, tonus Urbis amplitudine®. Atqne
et.am m, e am formam aLauro depingitur. Verno un’ de illi haec habeant, me
quidemlatet .( i j ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle
Romane antichità dubita della realtà d, ciò che asserisce il Lauró
relativamente alla materia struttura dell’abitazione di M., si
pi forse con esso andare d'accordo, ma se p. de che la Torre, e la detta Abitazione
fos due fabbriche diflerenti,pareche voglia opporsi alla comune Opinione,
ed ancheall autori a sopra accennata di Orazio. In fatti nói t
tede» 2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a» De di MecenUe, e
facendo uso dell espiessiom, ora di alta doma, ora di molem F c pinquam
nw*ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e conoscere, che l’altezza di
M»clla era a gntsa di Torre sublime, che si avvicinava alle nubi 1, M.
Tnrris Maecenatiana ("dièc quello) cognominata est, vel maxime
halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata. .. quaedam vestigia extare sunt
ex Antiquariis Romae, qui asserunt. Questi avanzi, secondo il Pitisco,
sono da alcuni ravvisati, in qnel monumento antico chiamato Torre Mesa, che si
trova scendendo per quella parte del Quirinale, che risguarda il
Foro di Nerva„Hoc scio, descenu3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum
Ner», vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et rudera etiam none monstrari; quam
T*>rre Meta Romani vocant, et partem domus, sive i, Turris
Maecenatianae fnisse volunt. Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui
esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi intiera, e che per sincope
era chiamata Mesa in vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in
quella contrada, in cui si vedeva, era fama costante, che quella fosse la Torre
esistente ne’ Giardini di M., e sulla quale Nerone rimirò l'
incendio di Roma ; Ecco le parole del lodato Biondo : “ Eadem in
Esquiliarum paru te, qua ex eo monte prospectU6 est in depressam Urbis partem,
Hortorum Maecenatis visuntur reliquide Extatque pene integra Tnrris, ex qua
Svetonins Tranquilla Net, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et . .o
t, in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim vulgo nnnc vèrbo. .. syncopato
Mesam prò Maecenatianàm appellant. .. Nec est,, in ea Regione foemelia,
quae quid fuerint il lae ingente* ruinae interrogata, non dicat, eam
fuisse Turrim, ex qua Nero crudelis Urbem incendio flagrantem, ridcns,
gaudensque spettavi t. Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono di
avviso, che il Biondo, e li suoi seguaci abbiano su di ciò preso un
equivoco ; giacché la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esquilino, ma
piuttosto nel Quirinale. Aggiungono inoltre, che le vestigia di quell’
antico monumento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedicato al Sole dall'
itrperarore Aureliano, o di una Curia, o piccolo Senato fabbricato
sul Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì egli fece presedere
la sua Ava chiamata Mesa, e la sua Madre Saemi ; conforme risulta
da Lampridio nella vita del detto Monarca ; dice di più il Donato, che
nello stesso luogo potevano esservi ancora, e la Curia succennata, ed il
Tempio del Sole in torta delle congetture, di cm égli fa uso, ragionando in
tal guisa In hortis Coiumnensibus marmorei ae~ dificii pars
exurgebat vulgo Maesa jam dira* ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso
nuncu>, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae (i)
Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo. dis ardens in conspectù Rotila ?
Àlii partem,, templi Solis pronunriant, qnod ab Ameliano, auctorc Flavio
Vopisco, extructum est ad eam formam, quam viderat in Oriente Quid
si aedificium illud partera Senaculi, seu Curiae dicerem, quam
Ilcliogabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad conventus habendos,
quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis praesiderent ? Quod
duplici conjectura elicitur. Alteram praebet nomen. Maesa enim dicebatur, ut
avia Heliogabali. Alteram ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus
sic eain nobis linea vit, ut domicilii piane figurara descripserit
freqnentibus scalis, aulis, peristylis, ac porticibus. •. Palladius
>, autem. .. practer alias aedificii partes, in templi quoque formam
descripsit amplissimi, magnisque columnationibus insiguis. Quare eodem
fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum. Nell’ ameno diporto de’ sudetti
Giardini, e della grandiosa Abitazione Augusto sovente soleva portarsi a
visitare il suo amico M., ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno, e
dall’ altro beneficati, e protetti facevano sentire il dolce suono
della loro Cetra Celebrati sunt dice il Giraldi j M, hortiinEsquiliis, quo
loco cum Caes.ire versari frequen / Lee. cit. lib.3. capa
5. Diaitizec I i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc
Poetae conveniebant. Lo stesso dice Pietro Crinito nella sua opera de’ Poeti
Latini al cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece»> nate ) pulcherriinos
inEsquiltis, ubi versari interdum consnevit, deque liberalibns,>
discipliiiis serriionem habere cum amicis suis. Ad hoc persaepe divertit
Caesar Octa»> vius propter loci amoenitatem, velut qui »> animarti
libertini haberet a cnris in eo quietis secessi!. Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi
un Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata da M. al Dio Priapo.
Li Poeti, che frequentavano quel luogo, come si è accenuato, solevano scrivere
sulle pareti di essó Tempietto de’ versi scherzevoli, ma poco purgati. La
raccolta di questi diede luogo a quel libro intitolato la Priapeja dato alla
luce dal Giraldi, e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi>»
fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio extructtim, et dedicatimi. Poetae, qui
Maet, cenateci suum quotrdie visebant, versicu» los aliquot jocosos in Sacelli
parietibus notarunt, et hosPriapejorum nomine in unum collegit libellum,
et vulgavit .... Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri -. Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum,
quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio adscri*» bunt ; quamquam Verosimilius est,
multorum id opus esse ob argumenti similitudinem unum in volumen conjunctum. Su
tale articolo potranno aversi maggiori schiarimenti e presso il lodato
Giraldi, e pres« 80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati.
fi) Loc. cit. (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja, VILLA
IN TIVOLI DI M.: DISCUSSIONE IL solo M.
possedeva li deliziosi Giardini, e la magnifica abitazione
sull’Esquilino, onde sollevarsi dalle cure del Governi? insieme con il
suo Cesare Angusto, e bearsi colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti,
é de’ Letterati, ma eziahdio per lo stesso oggetto egli aveva fatto
edificare sulle sponde dell' Aniene una Villa maestosa, ed elegante. La celebrità di questa è ornai nota a
tutte le colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero, perché ne
hanno parlato, e scritto infiniti Scrittori, e se ne legge la memoria in
tutti lì Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico, e pensante. Infatti
Lilio Giraldi, Francesco Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio del
Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio: Zappi, Pirro Ligorio, Atanasio
Kirker, ed a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re (2)> e
Marquez f 3 ), non che altri Autori ezian Lat. vet. Ville di Tivoli
Illustrazioni della Villa di M. ià Tivoli. et dio di materie antiquarie hanno
costantemente asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di M. in quel
luogo, che si accenna, e descrive dai sullodati Volpi, del Re, e Marquez,
e sul quale tuttora si scorgono con ammirazione le immènse reliquie della
medesima. Il primo ammirabile oggetto ( scrive il Volpi ) che si
presenta allo sguardo del Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole superba
di quel CajoCilnio M. Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fido
consigliere di Augusto, il quale superò t, molti Re in potenza, cd in
ricchezza. Que>> sta Yilla per concorde testimonianza di tutti li
Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’ inalzava presso la detta
Città sulla sponda ministra dell’Aniene. .. così costantemente hanno
asserito Lilio Giraldi e tutti gl’ altri, che descrissero le
maestose reliquie di quell’antichissimo Edifido ; ciò poi, che deve sorpassare
Lauto>, revole usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e
fama, per cui si è in ogni tempo creduto fra liTiburtini, chepresso le
mura della loro Città fp I4 Vili# d» M.
J ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omnium sete
Tybur adeuntibus admirandum, ve jtigandumque offerf ingcntis molis Villa
M., scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu omesso per rendere questa
Vili* vaga insieme, e grandiosa. L’oggetto più caro il cuore di
quel grand’Uomal, i Letterati, non fu preterito, e però vedeansi jn essa
amene passeggiate, e portici deliziosi, ove si riunivano li Dotti, che
mercè l’ illimitata protezione di M., nel seno; del silenzio, della calma, e di
tutti gl’agj, travagliavano indefessamente per il progresso dello spirito
umano nelle arti, e nelle scienze Quivi, come in un altro Parnaso, in un;altra
Accademia, in un altro Peripato, in un altro Liceo, Filosofi, Istorici,
Poeti, ed Oratori discutendo, perorando, e meditando, procuravano
di compiacere al loro munificentissimo Protetto tis Equitis Romani
Augusto Ce.es ari amicissimi, fidclissimique consiliarii, quiqìie Reges
permultos non solum aequavit, sed etiam. amecelluit opibus, et potcnìia. Haec
concordi omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S criptorum testimonio,
ad ipsum Tibur fuit in sinistra Anienis ripa. .. ‘ Ita LiPius Giraldus. ..
aliique omnes, qui ingentia Aedi fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc
fràgmenta, et rudero niemorapcrunt, a ut descripscrunt unanimitcr, atque
constantcr M. hanc V illam Tibur tem nominaverunt; quodquc ipsos etiam
Siriptóres auctoritate Vincere debet vetustissima, a majoribus per ma nus
tradita fama id nobis affirmat .yt, e cosi per impulso del genio benefico
di questo recavano servizj inesplicabili al Genere umano, e travagliavano
per la sua civilizzazione (i). Il
Cenni dopo aver parlato de’ Giardini di M. in Roma, non manca di parlare
eziandio con stupore della’ Villa del medesimo in Tivoli. “Nè solamente
in Roma ( dice quello) ebbe M. le sue delizie, ma per non goder
sempre mai la Villa negrOrti, che egli aveva, le ampliò fuori di quella
ancora, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa .,, Quivi fabbricò egli Una Città
più che una Villa, palesandola tale fin'oggi le superbe reliquie, e le rovinose
grandezze della medesima, e quivi parimenti nel ritifo, che facevano dallo
strepito cittadino, trovavano 3, il loro riposo le muse romane. Il
Patisco, benché ne parla compendiosamente, pure la chiama Villa ripiena d’ogni
sorte di de» Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque hue litteratorum
homìnum congregatas polissi mum erudita s Catervas sub M. patrocinio ac tutela
Philosophorum, inquam, Oratorum, Historicorum, ac omnium maxime Poetarum
turmas, ad dìssercndum } recitandum, fabulandum, meditandum edam, atque
otianr* dum animi ergo in Parnaso voluti quodam, auC Stoa, aut
Peripato, A ccademia, voi Lyceo. fa) Vit. di M. libra lizie, opera
meravigliosa, e che per la vastità della sua mole non cede ad alcun altra
Fab? brica de’ Romani. Ma sarebbe stato troppo poco per il
cuore magnifico di M. il rimunerare li Dotti coll’uso soltanto di
quegl’ agj, che si rinvenivano o ne’ suoi Giardini di Roma, o nella Villa di
Tivoli: la sua generosità si estendeva molto più oltre; soleva
bastantemente provederli di tutto il bisognevole (a), come è noto, e
conforme abbiamo dimostrato nel quarto libro della Storia, e perciò presso la
detta Villa di Tivoli, o nelle sue vicinanze li Poeti ad esso più cari
possedevano Casini di campagna, deliziose Villette, e possessioni
ragguardevoli ; e queste proprietà si acquistavano da quelr Lexic. Antiq. art.
Villa i Villa M. in ultimo Tyburtinae Urbis Clivio, omnium deliciarum genere
conferta, ab ilio est extructa. .. opus sane admir abile, quod sane vasta
sua mole nulli ex Romanorum fabricis cedit. Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vubgatum
est de Maeccnate quantum Litteris, ac Litteratis omnibus faverit, cum in
Urbe unus hic potissimum haberetur, ad quem Poetae omnes, atque
Oratores, ve/ut ad certam anchoram, per/ugiuni sibi haberent ; itaque
ab eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -, nf ribus
amplissimi honestati. li mercè la
liberalità del medesimo, onde avvalorare sempre piòli talenti poetici di
Orazio, di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di essi
potesse vivere contento anche quando esso non poteva trattenerli sotto
l’ombra de’ porti-t ci maestosi della sua Villa. Inoltre possedendo
que’ Poeti delle proprietà in Tivoli, mentre M. vi possedeva la Villa
grandiosa, più spesso, e più agevolmente poteva egli vederli, e più
volentieri abbandonavano lo strepito fragoroso della Capitale per passare
giorni quie-i ti, p delle ore pacifiche nella calma de’ loro
deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno perpetuo delle Muse, e di Febo. Che ORAZIO
(vedasi) ha un casino di campagna in Tivoli quasi di fronte alla Villa di
M., non può mettersi in questione, e benché Domenico de’ Sanctis ponga in
dubbio l’esistenza.in Tivoli di una Villa spettante a quel Poeta,
tuttavia conviene, che questo Vi avesse una Casa di Campagna, nella
quale egli vagheggiava l’antro muscoso della risonante Albunea, le onde
dell’Aniene, che si precipitano dall’ alto delle rupi. 1 ! ombroso Boschetto di
Tiburno, li Giardini irrigati dalla molle attività di scherzevoli ruscelletti,
nella quale desiderava arden- Dissert. sulla Villa di Orazio
Fiacco. Ode 7. lib. 1. a5a temente di finire i suoi giorni.
Essendo; pertanto dimostrato per confessione ancora delio stesso
Orazio, come si è veduto nella Storia al Libro 4° che esso era stato
arricchir to da M., sembra del totto chiaro, che la liberalità di
questo gli procacciassero il j Me nec tam patiens Lacedacmon, Ncc tam
Larìssae percussit campus opimae, Quam dora us Albuncae resonantis,
Et praeeeps Andò, et T iburni lucus, et uda Mobilibus pomaria riyis.
Od. Tybur,
A rgeo positum colono, Sit mene sedei ut in am. senectae !
Sit modus lasso marie ì et viarum, Militiaeque ! i lite
terrarum mihi praetedomnes Angulus ridet, ubi non Hymetto Mella
decedunt, viridique ccrtat Bacca Venafro j V er ubi longum,
tepidasque praebet Jupiter brumai; et amicus Aulon, Fertili s Baccho,
minimum Falernis ' InvidetUvis. t Ille te mecum locus,
et beatae Postulant arces ; ibi tu calentem Debita sparger lacryma
favillarli \ Vatis amici. possesso del surriferito Casino di Campagna
in Tivoli. Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche
una Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de’scrittori delle Antichità
Tiburtine ne ha fatto menzione ; ciò non ostante si rileva dai scritti di
questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli la sua Amorosa, dalla quale ricevè
nella mezza notte unà Ietterà, in etti lo invitava a portarsi in detta Città 1 Quando
il carro di Boote, dice Properzio, era giunto nel mezzo della sua carriera
ricevo una lettera dalla » mia Bella, che mi ordinava di portarmi
all’ istante presso di essa ; la lettera veniva daTivoli, ove le biancheggianti
vette fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda dell’Aniene
siprecipita in ampie lagtJne. In altro luogo poi il Poeta facendo la
descrizione patetica di un sogno, finge di vedere, che Cinzia sia morta, tal’
era il nome della sua Bella. Fa parlare l'ombra di Lib.S. Eleg.i 3. Nox
media, et Dominac mihi venit epistole^ mstraej Tybure me
mista jussit adesse mora ; Candida qua geminas ostendunt culmina
turres, Etcadit in patulos lympha Anima lacus. Il vero nome della
donna Tiburtina amata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da' a5a
questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-, polcro sia
scolpita una funebre iscrizione, che essa stessagli detta “ La dove il
potnifero A„,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per le tqrtuose
campagne, e dove,1’ avorio giammai impallidisce mercè la potenza del
Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna COLONNA, questa epigrafe degna di me
che possa leggere il passeggero. Qui giace la bella Cinzia sepolta
nel suolo Tiburtiuo Apulejo presso il Crinito nella vita di questo, Poeta
:j Sextus Aurelius Propertius, ( dice il Crinito'). Mae cenati, et
Cornelio Tacito maxime acceptus fait. Cum i(i Elegiis, ut inquit Plinius,
forct egre gius. Libros quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus
fere suos calarti, et Mosti ae laude m, et formam celebrai ; nam in
pucllam Hostiam miro qui dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut
est auctor L. Apule] us, Cyntiam appellare maluit. Corre la voce a tempi
di Properzio, ed uriche posteriormente, cirriforme si rileva, da
Silio Italico, c da Marziale, che l’uria T iburtina somministrava alle cose
ur\a bianchezza potentissima. Properzio ripete questo privilegio da
Ercole divinità tutelare dal Paese, e che era in special maniera venerato
in quella Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accennata Elegia di
Properzio alle parole : polle? I N aì>3 la sùa tomba,
o Amene, accrébbe decoro J, alla tua fertile sponda .(i) Se
io volessi ricavare da queste espressioni di Properzio resistenza di una
sua Villa in Tivoli mostrerei forse troppa prevenzione per il Suolo, che
mi diede i natali ; ma essendo cer-« to, che quello aveva la sua Amorosa
ih quella Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio, e che
godeva il favore del benefico M., sembra non 'affatto inverisimile, che
anch'esso avesse, o qualche cosa di campagna, o qualche altra possessione
presso la Villa del sudetto M., frutto, e risultato della
beneficenza del medesimo. i
tbur ; parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~ num dicebatur rebus
praestare candorém pòtentissimum e bori, unde ait Silius: Tyburit dura
pascit ebur : Et Martialis, T'ybur ih Herculeum migràvit nigra
Tycoris Omnia dum fieri candida credit ibi. Hoc
fieri Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V bur enim Herculi dicatum, et
Herculeum cognohtindtur. Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis. Et
nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur', Hoc carmen media dignum me scribe
columna, Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar, Hic Tyburtina
jacet bure a Cynthia terra, Accessit ripae, laus, Aniene, tuac. I I
a$4 Se è certo, che Orazio, se non è improbabile, che
Properzio avessero nel Territorio di Tivoli, e nelle vicinanze della
Villa di M. una qualche possessione, non è fuor di credenza, che il
Principe de’ Poeti Latini vi possedesse anch’ esso un luogo di
delizioso soggiorno. Li Scrittori delle cose Tiburtine hanno
serbato su di ciò un profondo silenzio > ed il solo Volpi accenna, ma
dubitando, una tal circostanza (i ). Sapendo però quanto M. stima sse,
proteggesse, e beneficasse non meno quel grande Poeta, si può, e
forse con non debole fondamento asserire, che questo eziandio possedeva
presso la Villa del suo Benefattore o qualche abitazione di piacevole
permanenza > o qualche altra possessione. Infatti, se Orazio era stato arricchito
da M.^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo dalla beneficenza di
questo,cbe cosa dovrà dirsi di Virgilio, che in meriti letterarj non
er? certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm
Vetuslib. Villani in Ty burle habuisse Virgiliani, suut qui putant,
Villae proximam Maecenatis ; eum tamen neque locum de s igne ni,
nec ullus hoc Auctor scripsit, quod quidem perlegcrim, 1
neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef fulgeat, id
asseverare nonausim. ] aveva dedicato a M. il suo dotto, ed elegate poema
sulla coltivazione? Di poi non mancano congetture di qualche rilievo per
credere ciò, che finora si è detto riguardo alla Villa di Virgilio.
L’Ughelli riporta un Diploma, estratto da un Codice manoscritto della
Biblioteca del Card» Francesco Barberini, la di cui antichità non è stata
finora contradetta. Questo Diploma è legittimo, ed in esso il Vescovo di Tivoli
Uberto è confermato nel possesso di tutti li suoi beni, che
possedeva nel Territorio di quella Città, e frà gli altri fondi si fa
menzione della possessione Virgiliana : Fundus Licerana, Picianus,
'Galliopini, Vicianus, Virgilianus. ’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. . :
Pùblius Virgilius adhunc Maecena tetri libros suos misit, qui Georgica
inscribuntur, absolutissimum omnium opus, quae in eo genere composita
unquam ab alio fuerint. Ughelli Ital. Sag. Hucber,tus Episcopus
Tìburtinus vixit temporibus Martini Papae?. Ab eodem Pontifice omnia
privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac Tyburtinac concessa, hoc diplomate
revocati meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS. Cod. Biblioth.
Card. Francisci Barberini. .che quella anticamente spettava al Poeta Virgilio,
e che vi era stata qualche Villa di sua pertinenza 7 Difatti quante
contrade del Territorio di Tivoli sono anche oggi denominate, Pisone,
Cardano, Paterno ec. dai nomi di quegli antichi Romani, che quivi ebbero
del- le Ville, e la verità delle quali non può recar- si in dubbio
dopo lo scoprimento di monumenti irrefragabili, e. sicuri? Se la
località di quel fondo Virgiliano non si fosse smarrita nella notte del
tempo, forse agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb- bero
sfuggiti li mezzi, onde verificàre la semplice tradizione •, e coll’ ajuto de'
scavi i e coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o altra
reliquia di antichità, si sarebbe potuto conoscere il sito, ove esisteva,
ed anche la qualità del medesimo ; e non accade così di
Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae vetustate consumpta renovantur temporibus
D. Martini Sum. Pont. Potitific. ejus scilicet an, g., Sugerentc
Hucberto Tyburtinae Eccle- siae peccatore, ethumili Episcopo. Clausura
universa. .. Fundus Li cerata, Pidanus, Calliopi/ti, Vicianus,
Virgilianus. lion poche altre Ville, la di cui memoriaper lunga
serie di secoli si vedeva soltanto sotto il velo della tradizione?
Nè la forza delle addotte riflessioni, e congetture può essere scemata
dal silenzio di tutti li Scrittori Tiburtini, e segnatamente de'
più moderni Cabrai, e del Re; conciosiachè è certo altronde, che
tanto questi, che gl’altri omisero di accennare -, che Plinio il
giovane ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato, che
anche una Villa di quell* esimio Scrittore abbelli il territorio di
questa Città. Egli ne parla espressamente scrivendo al suo amico A-
pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’ altra Villa, che
possedeva in Toscana.,, Ecco le ragioni, dice Plinio, perchè io antepongo
la mia Villa Toscana alle altre, che '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli,
ed inPre-,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj 5, vi si gode un
ozio maggiore, più abbondan- te, e però più sicuro, e con meno disturbi
kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga; >, non vi è chi venga a
chiamarci, e a invitarci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con pace, e
quiete. Torniamo alla Villa di M.. CO Ville di Tivoli Plin. Epist. :
ffabes causas cur ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ;
Praenestinisque meis praeponam ; narri super R a 5
S È noto, che il sullodato Poeta Virgilio credendo, che la
sua Eneide fosse un lavoro imperfetto lasciò per testamento, che
venis- se consegnato alle fiamme, e che Tucca, e Va- rio suoi amici
fossero nominati dal medesimo esecutóri di questa sua ultima volontà,
conforme hanno lasciato scritto Gellio, Macro- bio, e Plinio presso il
Volpi. Augusto non permise, che si dasse esecu- zione agl’ ordini di
tal natura, senza prima meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò
essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio, e nella
calma tranquilla della Villa di M., quivi, previo un esame ma- turo
sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo Il pensiero di Lilio GiraWi,
seguito dal Vol- pi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen-
tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse sopravvivere, e
trasmettersi alla posterità; illa, qua e retuli, altius ibi otium,
et pin- guius, eoque securius ; nulla necessitate togae i nemo
arcessitor ex proxima ; placida omnia, et quiescentia: Vedi Marquez Ville di
Plinio Porro eam deliberai io n em in hac Villa M. Tyburte su- sceptam ab
iis ( Tucca, e Vario ) cor am Au- gusto putat Lilius Gir aldi. conforme
frà gli altri riferiscono Plinio, e Sulpicio Cartaginese. Non
è fuori di probabilità, che M. mo- risse in questa sua Villa di Tivoli. Egli
aveva qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire an- cora una
permanenza non interrotta negl' an- ni estremi segnatamente della sua
esistenza ; e perciò sembra, che abbia voluto esalare l’ul- timo
respiro, dove aveva trovato le sue deli- zie, la sua pace, e il suo
sollievo nell' ultimo periodo della sua brillante carriera. Augusto
erede di quello, come si è detto, ereditò an- cora la sua Villa sulle
sponde dell'Aniene, per cui posteriormente fu chiamata Villa di
Cesare Augusto, conforme accenna il Kirker, è dopo di esso il
Pitisco E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che M. prima di morire i- 3,
stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo,, stesso Augusto,al quale nella
medesima aveva per tanti anni esibita la sua ospitalità, per,, cui
posteriormente, ed anche fino al pre-PLINIO (vedasi): Divus Augustus
carmina Virgilii cremati con tra testamenti ejus verecundiam
vetu.it. J usserat haec rapidis aboleri carmina flammis
Virgilius, Phrygium quae cecinere ducem . Tucca vetat, Variai simili, tu, maxime Caesar,
Non sinis, et Latiae consulis historiae. Lat. vet. et nov. lib. 3
> n.4. §.1. R 2
! o sente giorno si chiama Villa di Cesare Augnasto.
Potrebbe ora darsene una descrizione to- pografica, ma su di ciò si
farebbe un lavoro del tutto superfluo, nè potrebbe dirsi di van-
taggio i nè meglio parlare di quello, che h an- no detto, e parlato li
succennati Pitisco, Cabrai, e recentemente Marquez nella sovra- indicata
Dissertazione. Se questo valente Scrit- tore aveva dato saggi
commendevoli delle sue cognizioni, e del suo criterio nelle opere a
quella antecedenti, e segnatamente nel Libro sulle Ville di Plinio il
Giovane, e nell'altro sulle Case di Città degli antichi Romani ;
nel- le Illustrazioni sulla Villa di M. ha fatto conoscere la
penetrante oculatezza del suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le
noti- zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es- se
Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa :
Maeccnas moritu - rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in hac
Villa recepisset, eumdem Villac haeredem constituisse fertur, ut proinde
vel ex hocco - pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti C cesar
is in hutic diem appclletur. s'6t FEBRE PERPETUA
» febris est, sicut Cajo M. . Eidem triennio supremo nullo horae
momento contigit somnus . L’Arduino nelle notea questo luogo di
Plinio ci previene, che Giovanni Schenk nel libro- primo delle sue
mediche Osservazioni riporta varii esempj d’ Individui, che non viddero
il sonno per lo spazio di quattordici mesi, .ed anche per un intero
decennio. In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt exempla nonnulla
eorum, qui mtnsihus quatuOr- ZT ' a 6 Non è mio scopo
di esaminare, se cosi lunghe veglie possano darsi in natura, come
ancora se possa un mortale vivere gran tempo con la compagnia disgustosa
di una febre continua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la materia
esclusiva di que’ Dotti, che sono nell' arte medica versati, e perciò io
mi tratterrò nel vedere, se quel Cajo M., di cui par- la Plinio, è
M., di cui si è scritta la Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà
se sussista la realtà di quella febre perpetua:, e della pretesa
veglia triennale. Pietro Crinito afferma non esser certo, che
il M. allegato da Plinio sia quel Mecena- te Consiglierò, Favorito, ed
Amico di Augusto. Notatum est a Plinio ( dice quello ) in- j, ter
mirifica Naturae officia eum M. nnmqnam horae momento dormisse per totum
trieimium ante obitum, sed hoc non piane compertum est, an referendum sit
ad,, alterum Maecenatem . Al contrario il Cenni è di opposto sentimen-
to, ed impugna il Crinito in questi termini:,, Ma sia detto cou pace del
Crinito, questo dubbio parmi senza ragione. Da Plinio si,, parla del
nostro, e non di altri Mecenati decim, qui decennio Coto somnum non
viderint Jo.Schenkius Observat. Medie, lib. i. pag. p3. De Poet.
lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è possibile t che questo soltanto
ayes-; se la notizia cosi precisa di questi fatti, e che ’ o
• (i^Lib.a.Art,t>$ la medesima sfuggisse a Vellejo, e a
Cornelio Tacito contemporanei di esso Plinio, e s’igno- rasse da
Svetonio, da Appiano, e da Dione, che vissero, e publicarono le loro
Storie nel secolo posteriore all’esistenza di quel Natura- lista?
Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali, opera critica, ed erudita, non omette
di parlare di molte qualità personali di Cajo M., delle quali si è fatto
già menzione, e serba un profondo silenzio sulla febre perpe- tua,
e sulla veglia triennale, di cui si parla. Lo stesso deve dirsi di Seneca.
Egli mormora spesse volte, aguzza la lingua nelle sue Opere sulla
condotta del Consiglierò di Angusto, ne critica il lusso, le ricche
abitazioni, le squisi- te mense ec., ma benché sia contemporaneo di
Plinio nulla dice di preciso sul fatto contro- verso. Ma si supponga,
che il M. accenna- to da quello sia il M., che è l’oggetto delle nostre
storiche ricerche . Sussisterà in questa ipotesi quella febre continua,
e quella veglia triennale ? Pareva incredibile al lodato Giraldi
questa veglia triennale, e peno- sa del nostro M., e non ne sarebbe
giammai restato persuaso, se la sua credulità non fosse stata sorpresa da
un’ altro fatto più stravagante s riferito da Olimpiodoro Alessandri-, no,
ij quale suppone, che un Uomo vivesse senza mai dormire, pascendosi di
sola aria, o di luce. Quindi io giudico ( scrive il ?6q,, raldi ),
che proveniése a M. quella è- sica indisposizione di non aver potuto
dormir »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi i,
sembrava quasi incredibile prima che leggessi in Olimpiodoro Alessandrina
che « nn Uomo visse senza mai dormire, pascen- dosi di solo aere
solare, ed in conferma di tale portento cita quello l’autorità di
Aristatele. Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono d avviso, che
Seneca abbia parlato della sudet- ta veglia triennale di M.,
allorquando fauna specie di parallello frà questo, ed il celebre
Attilio Regolo Veniamo ora ( dice » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la
fortn- »> na gli nocqne quando egli diede quel grande argomento di
fedeltà, e di pazienza? Trapassano li chiodi la sua cute, dovun- y,
que rivolge, ed inclina le sue membra affaticate incontra una ferita, e le sue
luci sono aperte ad una veglia perpetua . Cre- : Mine illi (M.) existimo
cantigisse, c/uod a Plinio scribitur, ut per triennium non dormieril, id
quod ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim- piodorurn
Alcxandrinum in Phaedonis Commentario legissem, hominem insomnem vixisse,
qui solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo Aristotelem citai., di tu,
che sia più fortunato M., il quale divorato dagl’amori, c da replicati »,
ripudj della ricalcitrante consorte, si pro-,, caccia il sonno mercé l’armonia
de’ musi- si cali istromenti, che da lungi echeggiano, soavemente? Ma
benché egli prenda sonno colla forza del vino, scuota, ed inganni
il suo animo col mormorio dell’acque cadenti, e con mille altri generi di
piaceri, tnttavia veglierà nelle piume, come Attilio, Regolo nella croce . (Non
si comprende però come Seneca in que- sto luogo voglia indicare la
pretesa veglia tri- ennale di M., giacché la sostanza dei suo
discorso si è che questo, essendo vessato dall’ amore sconcio, e dal
carattere inquieto De Provid. Veniamus ad Re- gulum : quid illi fortuna
nocuit, quod illud documentimi j Idei, documentimi patientiae fetic ?
Figunt cutem davi, et quocumque fatigatum corpus reclinai, vulneri incumbit,
et in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina F eli ciorem ergo tu
Maecenatetn patos, bui amoribus anxio, et morosae Uxoris quoti-
diana repudia deflenti, somnus per symphoniarum caritum a longinquo lene
resonanlium quaeritur ? Mero se licei sopiat, et fragori- bus
aquarum avocet, et mille voluptatibus mentem anxiam fallat, tam
'vigilabit in piu- ma, quam ilio in croce di Terenzia stia moglie, che
egli arnav^ perdutamente, procura di sollevarsi con il vino, con lo
strepito piacevole delle acque cadenti dalle rupi, e con altri mezzi
capaci a discacciare, o mitigare la noja dello spirito ; aggiunge inoltre,
che ad onta di tut- to questo, M. non trovava sollievo, come Attilio
Regolo tormentato dalla barbarie degli Africani nella botte guarnita di
punte di ferro. É’ pur troppo vero, che una moglie fornita di
un Carattere infedele, caparbio, ed incostante potrà tenere in grandi
inquietezze un onesto marito, dal quale è amata, manonpare verisimile, nè
credibile, che tali inquietezze possano giungere fino al grado di cagio-
nare una veglia non interrotta di più anni. Perciò si può convenire nella
supposiziqne di [Girald. loc. cit. Porro Terentiam Maccenas miro amore
deperiti } .ut Acron, et Porphirion tradidere. Cantei, Not. ad Valer.
Max. lib.l. de Relig. Dir is sane suppliciis crucactus est Attilius :
primum quidem, et id tantum cibi datum est, un de vitam aegre su-
stentaret, et adductus Ltiphas, a quo territus nec animo, nec corpore
conquiesceret : tum, praecisis palpebris ne connivere posset, solis
radiis'objectus est : in dolio denique inclusus praefixo davi culti,
quorum acuti it misere lacerai us inceriti, Seneca riguardo alla' sùdetta
Terenzia moglie di M.; si può convenire, che ella sarà stata di Un
umore capriccioso, ed indocile ; che M. ne avrà provati disgusti,
ed amarezze, e che per discacciarle lóntand dal suo spirito
filosofico, avrà profittato di tutte le possibili risorse ; non si può
però ragione- volmente, e giustamente conchiudere, che per tal
motivo non potesse procacciarsi il sonno per il non breve intervallo di
un intero trien- nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,
come Seneca abbia nel citato luogo voluto si- gnificare ciò, che Plinio
ha riferito sulla pre- tesa veglia triennale del nostro M. i
Passiamo alla febre perpetua. La febre è annoverata fra li pallidi morbi
> che affliggono miseramente la specie umana. Quell' individuo,
che da una febre viene mo- lestato, e da febre di tal carattere, che
non abbandona giammai il povero paziente, è impossibile, che possa agire
con energia, e trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si è
detto nel decorso della Storia del nostro M., risulta pienamente, che egli fin
dall’ età più verde incominciò a prestare i suoi servigi ad Ottavio
Augusto prima del Triumvira- to, fin dopo inalzato al Trono. Si è
rimarcato, che iu tutto questo tempo affrontò le imprese le più faticose; segui
qualche volta il suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi }
governò lunga stagione Roma, e l’Italia, dissipò congiure pericolose, ed usò in
tutte le i operazioni, che gli furono affidate, eoraggio, fermezza, e
straordinaria vigilanza. Se pertanto fosse stato sottoposto ad una
malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli potuto agire
con tanta energica attività per disimpegnare gl’incarichi laboriosi, che tutto
giorno riceveva da Augusto? Ola febre è una malattia, o non è
malattia . Se non è una malattia tutto è conciliabile, ma siccome non può
mettersi in que- stione, 'ch’ella sia un malore, che sconvolge il
sistema fisico deirUomo, cosi sembra potersi dire, che Plinio in quel
luogo, 0 ha parlato di qualche altro M., o se ha parlato del nostro
le sue assertive non possono in verun conto fissare la fiostra
attenzione. Impugnando però questo passo di Plinio, noi non abbiamo
avuto il pensiere di divenire il censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore
della storia naturale. Egli esige tutto il rispetto de’letterati, li
quali conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un
posto brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui
dovette giovarsi, e profittare degli occhi, e delle mani di molti, non
deve recar meraviglia, se egli avesse inserito una qualche opinione
grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M.,
Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io
per guarire da uno sputo di sangue, no parlò mai per lo spazio di tre
anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della febre
perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet sermoni porci multis de
causis salutare est. Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi
imperavisse a convulsione reddito sanguine. L' Arduino nelle note a
questo luogo di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece di
Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si
trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di cui qui si
parla, sia veramente il Liberto di M., giacche Svetonio de lllust.
Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso
Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro
sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato
Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato da Plinio è il Cajo Melisso
M. Liberto del nostro M. : Meminit Svetonius ( Hard, in Ind. Auct.
Plin. ) Caji etiam Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam fuisse
ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Portico ordinandarum curam accepisse, a
Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est . Hic eriim illc est, quem
Maecenatem Melissum scribi oportet, apud Pliriium. Cajo Melisso Mecenate.
Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.
Luigi Speranza --
Grice e Medio: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number of essays.
Medio.
Luigi Speranza --
Grice e Megistia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico
di Calcide. Grice: “Cicero
argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess
he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen
PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old
Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley,
“History of English philosophy’!” -- Megistia.
Luigi Speranza -- Grice e Meis: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo
spirito abruzzese – la scuola di Bucchianico -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano.
Bucchianico, Chieti, Abruzzo. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di
ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue
presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati
PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti
naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale
degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia
naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.
Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne
eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di
Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i
manifestanti e l'accusa di tradimento al re.
E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si
stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli
emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in
contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico
di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra
in Italia, prima a Torino e poi a
Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne
assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e
venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo
tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della
natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega
di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al
positivismo. Venne citato, di passaggio,
nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il
palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il
protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in
treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della
sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da
"De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia
nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella
città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene
abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del
romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza
legato alla propria libertà. Tessitore, M.
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. M. di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari.
L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione
di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si
precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo
abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual,
altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A
meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una
sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si
immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA
in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale
Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di
varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo
a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto
imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive
da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti.
Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto
Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo.
Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo
Cristianesimo Oggettivismo ideale
particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac.
Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale
universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla
oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa
Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla
soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto.
Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte
Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia
della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società
umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che
basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande
organismo umano, l'individuo grande, compiuto in sé stesso, indipendente ed
assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di funzioni. Egli ha per
base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si nutre, veste
panni, abita un nido e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice,
e la corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi
bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo elementare non è
soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche
un animale, un'anima, sormontata dall'unità dello spirito, avviluppata e
compenetrata dalla coscienza umana. La riproduzione è la corona della
vita vegetale; la coscienza è la corona della vita animale; e la
coscienza assoluta è la corona e l’apice della vita spirituale.
Come spirito l'uomo è per prima cosa, e per prima base, morale. La
moralità, la virtti privata, è la forma più naturale dello spirito: essa
è il patrimonio dell'individuo, e resta confinato e chiuso in
lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è l'individuo che si
aggiunge una porzione della natura esterna; ed è una estensione del suo
corpo, e della sua anima; ampliazione della sua natura organica, ed
esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo
sovrasta l’IO, la libera coscienza, che è come il perno intorno a cui
tutto gira: centro e circonferenza del circolo umano. L'IO è la
conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo conosce sé come sé, come
semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco l’interno di se, la
sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come bello, e
per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito sensibile;
nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero
infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo, nell’individuo
particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si
chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica,
agricola, industriale, commerciale: produzione materiale, frumento o
libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;
nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei
quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa
nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra
gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della
polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e
usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che
la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro
tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il
sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha
il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il
sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli
ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale
individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione
conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una
relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci
è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi
naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade l’altrui, non occupa solo una porzione di
natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di
tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano
contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si
esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla
barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale
è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la
regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di
mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e
definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla
violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace,
perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi
sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza
e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui
servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è
dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni
materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono
unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto
a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione
generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il
contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la
pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua
forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un
Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile.
Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso
di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di
relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe
ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la
virtti; dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo
fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte,
indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la
morale, non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per
se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega
l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di
privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima
sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica,
o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il
suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non
è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda
mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è
a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo
Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale,
giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:
essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di
difesa. La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di
energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica,
elettrica, nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata
sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà
del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la
voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,
rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con
lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi
fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata,
non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il
pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la
prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo
Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e
favorisce il commercio con istituzioni, e leggi, e procedure speciali. Ma
la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La
ricchezza è la materia, lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro
è l' anima. L' anima fa il corpo, ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO DELLO STATO
ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila di Meaux, e
per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che si
potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar per le
terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e il
puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia,
allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la Divina
Commedia e il Decamerone, il Barbiere di Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto
ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò altrettanta
ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente;
ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte,
ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce
i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le
autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è che
il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è
anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la funzione dello
Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere essere
Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato;
e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa
si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione
essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta
necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo
particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei poteri politici
è il corpo che si crea, e in cui si fa reale. È una creazione immediata e
diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d' ogni principio
vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato
che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è
1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si traduce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito
amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il sangue di
questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire
o render possibili tutte le funzioni, che compongono la triplice
natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica. Un
magistrato, un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo
onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello
Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve
allo Stato per essere, per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze
nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita economica, politica
o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello Stato; il suo
ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto di un altro Stato, e di
reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo
paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto
nel primo come nel secondo caso. I due eserciti sono entrambi
assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere
legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista
civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra
il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello
Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo; tutto questo è forma di forma: la forma essenziale, il
vero Stato, è l”IO assoluto, la coscienza e la volontà generale. Ma non
vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è possibile una
funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o quello, si
vuole e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da un
lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge penale, la legge
civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti
vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio,
forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle,
ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il
contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto.
La morale domina l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno
non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù
pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale,
domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale
contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto
vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente RELATIVI
(“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti
inferiori, perchè piti naturali, e di più immediata e più sensibile idealità.
Il più alto è per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia
sull'ordine giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e
due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più
generale, e più assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre
funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta
dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e prende
sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso o dall'alto:
ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero.
La coscienza morale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma
v'è (vi può essere) una coscienza superiore che l'approva; e se non è la
coscienza politica dei contemporanei, sarà di certo la coscienza politica
degli avvenire. La storia approva IL COLPO DI STATO e LA RIVOLUZIONE popolare, quando è vera
funzion di essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non
corrisponde al suo VERO essere, a quello che esso è nella coscienza del
corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di
questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una
legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il
benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale. La ragione e il
titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno
del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua
vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo
interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. IL
CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi
fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono
le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar
l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo non ha
creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di
essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la
sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza generale.
Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o supera
quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il
caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la società vede
nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale,
abolirla è un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto
di serietà pratica, scipita sentimentalità, filantropia fuor di
proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza di mente, che ad
altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello
Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui
deve render l' imagine, ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà
progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con
la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza
altro indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno
incolto e per dir così più spirituale, avrà cessato di riguardarla come
un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile
tanto barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi
pubblicisti ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla
sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è
l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un
vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion
di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta, superiore alla regione
della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità
del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava,
e ne andava giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua
filosofìa, ed egli condanna allora la pena capitale come non utile.
Venuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità,
e condanna la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la
necessità ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua
verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne
vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo
decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso,
attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle
sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più
ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e
sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo
il cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta
farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la
violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di
questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più violenza ed
usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e
veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed
in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di
essere: quando guerreggia e conquista per vivere per essere, o per
diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono
società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una
parola, divide in più corpi sociali, per cui DI UNO SI FORMANO PIU STATI.
Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della loro
natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni
umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una
coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza
fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non
mai la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è
una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e
l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova
coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di
popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e
vivente con una interna unità e un' anima generale. LA GEOGRAFIA è la
condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale
di questa formazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è
che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento è la nazionalità, la coscienza nazionale. E nell'
uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è
un' anima scissa, con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza
propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di NAZIONE. Esso è
dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l' altro
possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA
POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte di sé
vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il suo essere, e
irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica effettiva, e
della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è
perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È
la buona guerra, e la legittima conquista; ma è ancora il processo
barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la
buona soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo è
tempo di coscienza e di ragione, e non ammette che la soluzione
consapevole, volontaria e razionale. Questo succede quando in tutti i
corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare
e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora
aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in
una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleva e si
perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu
felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste,
è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto
eterogenee, fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato
senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria, nella Iugo-Slavia, una coscienza
austriaca. Ma la vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese
e slava; e ciò perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è
una possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la
realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo
delle nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie, degli Stati
meno inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA
COMUNE – FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune
coscienza, di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di
una potente antica unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che
ha finito per essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta,
ed aveva finito per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti
finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però
le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di
seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro,
medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la
coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la
geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione.
La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La
soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata
al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO,
ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato
per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia,
coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune
alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la
religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia,
tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l'
Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e
l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa
del Risorgimento, custodisce e protegge con una edificante unanimità il barbaro
e immondo straniero, il musulmano oppressore. L' Italia è
stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue, pervenuto ad.
assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta l'antica madre
per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava ancora per essa, e le
dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno Statò reale. ITALIANO,
IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è
ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e
il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi, tutti incompetenti
nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per
l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti gì'
Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che
appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale
alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor
debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali
la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente
amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve
n'è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA
PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza
nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente
trasformata. Essa è rimasta nazionale, astratta; ed ha solamente
prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,
incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa
è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA
E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO
(si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui
una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza
municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un
chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può
più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli
è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto
altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e
generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale
fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli
altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal
forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara, czeca e jugoslava
ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca
Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a
dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza politica
francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte,
che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel
Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo ha
termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e s'abbandona, e la
nazione intiera scende nella tomba della servitù straniera e papale, egli
solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,
sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e
creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia vive ancora.
E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba, e l'Italia
vi scende di nuovo, rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria:
onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah
non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà
identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica
italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che
in tutta l'Italia non vi sarà che una sola coscienza politica, allora
non vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero e forte
Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio
elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e
modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato
toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la
guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la
proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che
l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche
talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima
e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e
l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è piu lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di
guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia: forme dello stesso
disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e
due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti,
ne tutti: l’arche è la ragione. Il principio dello Stato, la
sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale, non è l'
economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come Stato egli è
l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti
gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui
finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita
umana, e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il
dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un
mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi
è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione.
Il mondo della verità è di sopra al mondo della natura e
dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e
la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui
inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle
funzioni a lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò
rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una
società artistica: vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la
parte dello Stato è di render possibile lo sviluppo del talento estetico, e
rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto
sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla
sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere
immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità
non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e
fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano.
Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è
pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene
in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni
inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte
non è la religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la
sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri, e di
religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue leggi, ed
esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e sguaiata
irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le
funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non amministra la
verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un
certo senso il suo contrario: che s' ella esce dalla sua natura di
senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio per
lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la sua
natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere naturalmente
universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua
inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma
un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla
società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta
società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo
umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste;
essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della
infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande
fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne
morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare
simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR
TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto
meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la
religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può
attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu
barbare, e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si
rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e
dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il
terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO, e il Codice Civile era di là da venire.
Se questo vi fosse stato, non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta
idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella era
pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due
gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una verità
sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico,
convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità giuridica del
Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo
Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità
religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l'
innocente è colpito col reo dalla vendetta divina. E si crede anche oggi
come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo
uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è
che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila
anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile
al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere,
il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi
del dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una
offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far
rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione
succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo
e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l'
azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere,
si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale,
ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa rispettare.
Questo inevitabilmente succede alle religioni che di spirituali si fanno
temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non
dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello
Stato, e sì dell'Arte e della Religione, vi è la scienza, LA FILOSOFIA. Ma
qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della
filosofia, il mondo del pensiero, della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere
Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi
vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non
mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;
è invece agire, educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo
Stato; e insegnare un principio repugnante e contraddittorio a quello
dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il
suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di
lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii
sono velenosi allo Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la Religione,
la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo, ed a
cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il principio dello
Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza pubblica, la
pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso:
in ciò consiste la libertà civile. Il principio del Demagogo è la
libertà sensibile, e l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato
moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale.
Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del
Prete, e li pone tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile
— e fuor della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato.
Il giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà
illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la
libertà ha il suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà
vera e buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è
la stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi.
La libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir
insegnamento, e quella qualunque siasi attività dee poter liberamente
agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e
professa il principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La
religione, l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel
proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non può,
non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo un
Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma
liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo
mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto
troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il
limite, ed oltrepassa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di
un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so
soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e
che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore.
Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva e naturale
della vita artistica, della società religiosa, e della pura attività
scientifica. La sua funzione consiste nel renderle tutte e tre possibili
mediante l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio, e non
può altrimenti intervenire nell'arte, a promulgar le leggi del gusto, e
prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può
decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione
dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent
from the all new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed
articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti » La vita e la storia del pensiero di M. . La
famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a
Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a
Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La
dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M.
e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis.
L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore
all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La
vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di
M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I
momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della
filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il
passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o
soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e
filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica
napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la
metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea
e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M.
Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in
coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse
cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede.
Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale
Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze
naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del
principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il
culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione
del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II
giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione
pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di
ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l'
istituto tecnico inazione dei vasi
sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione
al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi.
Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere
scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La
medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La
patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo
trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario
nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La
coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla
terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle
lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda
religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica
del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il
suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di
esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo
M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o
cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo
latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il
romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di
tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme
del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e
misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la
sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da M., nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto
nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M.
deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato e pubblicato dagli
alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di
insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De
Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli,
Vitale, Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto].
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già
deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale,
Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione,
To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].
Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali,
Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione
logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis
ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici lezioni in
conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino,
Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica
in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip.
Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova
enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici,
nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice,
Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal-
l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data
di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università
« e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra:
Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel-
l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della
medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna,
Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel
giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica.
- l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del
Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna
Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti,
Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice,
Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,
[Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali”
col titolo: “I tipi naturali.” De Meis deputato di Chieti ai suoi
elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle
scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini].
Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che
l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche
di Bologna, Delle prime linee della
patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per M.,
Bologna, Monti, Il sovrano, nella
Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini,
Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e
documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e
Fiorentino, da CROCE, nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta
dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica
ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e
fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti.
[Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, [È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte
prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state
pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo
pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La
natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore
Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese,
Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella
Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della
utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla
Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La Prelezione era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel
Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e
V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni,
Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina,
Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore
Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione
costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data:
Bologna, Il canonico di Campello e la
stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,
[Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella,
nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti,
Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi
nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di
zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e
Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di
pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr.
De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta
dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e
Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e
francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona
Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof.
Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di
Bologna nell'anno scolastico, Bologna,
Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi,
Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp.
12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino
quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione
Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono
ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia
della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al
corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, .
[Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi].
Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901,
per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria
dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati
per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE
nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898;
e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica,
ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli,
Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione
cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor
barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il
soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo,
ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo
pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza esservi
enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate
dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale
nel principio, poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede
la drammatica senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia;
in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione
era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì
nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione,
ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la
lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta
riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania,
in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del
risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento,
che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la semplice rappresentazione
del naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e
sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e
il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in
un solo risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la
religione, divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in seguito, e
nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del risorgimento
negativo, — sorge Cartesio, che con
[Dopo la laurea, [Le idee estetiche e religiose.] verte subito il dubbio
nell'intima certezza di sé, del pensiero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è
quello del cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il
Discorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus. Il cogito
cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un
edifizio che avrà le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il
genere umano, destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il
pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate
moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello
spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la
virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito.
Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale
non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone —
leggi FICHTE —, che con profonda intuizione vede come l'universale e il
particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone
viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla
fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo
regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico
Aristotele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale genere
umano.Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa per intero il
processo della conoscenza e trova il processo della
creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord, si era
iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda) era stato versato invano ed VICO
(si veda) non era stato compreso da
nessuno, [Pel giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui
addietro, ; e cfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] un po'
per colpa del papato e molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono
intuizioni isolate del genio, più che momenti di uno sviluppo storico
ordinato e necessario. La storia della filosofia moderna è una storia
tutta settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non
giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia.
Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è
inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa
rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse sempre
conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di BRUNO e di
VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata nelle mani
degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte; ma crede
che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero germogliato in
Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema della filosofia
nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo Bertrando, da
lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta
l'Europa, la Germania inclusive
Ora che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta
esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito
cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,
accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno
fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in
questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione
diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo
la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa SERBATI e la
evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e
poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica.
Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto
padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo
non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe
distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale
e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi
vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito,
della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si
compiono nella Germania volgare — non in quella pensante —, nel sud, dove
un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e moderna,
tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non filosofico,
perchè non è rischiarato che da un debole raggio di riflessione ; è
pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del
Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La
riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico,
coesiste nel MONDO LATINO a fianco alla poesia; e dà origine ad una
pseudo-epopea, al romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la
finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il
romanzo, genere equivoco, compare per la prima volta nel principio
del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se [Dopo la laurea,
[Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e rinasce in
Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la prosa, in cui
l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in Inghilterra, paese
equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia,
paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e
papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui somiglia, equivoco:
MANZONI. Si osservi che M., una volta stabilito che il romanzo è un
genere equivoco, trova che sono equivoci tutti gl’individui e tutti i
popoli presso i quali il romanzo fiorisce, prendendo — si noti — la parola
equivoco nella accezione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad
ogni individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo Scott e MANZONI,
il romanzo perde il carattere epico, e diventa sempre più storico,
riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e
Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento
moderno, come nell'antico, la lotta comincia antireligiosa e finisce
antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo
cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più progredito; infine
l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. E non
è finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele sempre alle
sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante; la Francia è
prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA DI MILIONI
D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran parte
demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la
bestia nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli ha
preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci[Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile
opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e amichevoli
frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che
accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia
opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo.
Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che
la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la
filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur
materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una
filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può
trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura
esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che
è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è
di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e
non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che
nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa
come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO
scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena
è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero
induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei
fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la
classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva
è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la
filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; cfr.
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle
critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal
FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone
sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la
filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e
pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non
avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura
divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente,
tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza
parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la
riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni
filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO;
il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di
BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo
Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del
mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il
secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare
il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta
natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio,
consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo
la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di
Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e
metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere
in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno
è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il
principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo
evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la
filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo
processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia
indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo.
E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si
contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele,
perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento
essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo,
di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di
riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia,
è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana.
L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente,
ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero
filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita.
Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a
fantasticare. Quando la Germania crea il vero sistema del mondo, e recata
la religione cristiana nella forma di un cristianesimo assoluto, allora
la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato.
Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione
hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento
negativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed
aborti strani; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee
estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la
Germania materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana.
Come la pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita
è pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica
e di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà
origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza
distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo
l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo
universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega
nella forma dello spazio, e coesiste come nella natura. L'uomo di sopra, il
regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie
di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la religione,
poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore assoluto e
infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed
immortale è soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito
umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. «
Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge particolare e
propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale. Le
forme e gli elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e
la legge comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere,
decadere e perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle
piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e
religiose. e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura
sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si
compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati,
ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il
prodotto piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo.
La natura è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a
corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo il genio,
l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in
azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta
in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia
umana, e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente
nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con questa
gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la
riflessione della riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale,
animale ed umano). Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel
secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze
fra gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera
della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento
e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di divisione
e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione e di
sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la
facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà
inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda
coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele
parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ;
e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo
spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di
individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una
successione di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è
la natura (M., hegeliano e medico, prende spesso come termine di
confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale.
Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli
con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo
finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso
mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in
essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a
poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce
una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa quarta muda l'uomo riflessivo
e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza
finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane il suggello
della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro distinzione
naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e via
dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si unificano, ed il
poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati nel pensatore,
perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più
deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non
poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere [Dopo la laurea,
Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la
religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al
mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra e
trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una sola unità, « è
l'universo pervenuto a grado di spirito, che inconsciamente si trasforma
e si purifica nella conscia anima di un solo uomo, spettatore più che
autore della sua propria trasformazione ». È un fatto di
ragione che la vita umana comincia con l'assoluta barbarie, col puro
senso materiale e col semplice istinto naturale; e termina nella
riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta e definitiva
civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va dall'una
all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione. La
religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel
risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel
latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la
lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia,
durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia
finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva
è la barbarie dello spirito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la
sua civiltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma intermedia della
religione, che è tutt'insieme oggettiva e soggettiva, è sensibilmente
intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La religione più
barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la religione indiana;
la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra
la religione epica orientale e la religione lirica occidentale, la
religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una
forma intermedia, la forma drammatica. Nella religione indiana troviamo
tutti gli elementi e tutti i caratteri di un sistema religioso completamente
sviluppato; il politeismo greco è la prima caduta della religione, la
quale risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio
evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono quelli stessi
del pensiero, nella vera forma religiosa; l'antichità moderna, ossia il
risorgimento, spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno,
li pone nella forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del
medio evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente
epico; la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente drammatica;
il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e
riflessivo. E del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è
un'epica lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia
dantesca. Il risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si
cangia nel meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia.
Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è
epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e finisce
cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta
per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata
l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e
ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro tempo deve
essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 secolo XIX,
cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaicofilosofico-poetico-religioso
ed assolutamente cristiano. La poesia non è morta; ha subita una
metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella
di FILOSOFIA, e in quella vive ed eternamente vivrà. La forma e
l'elemento della poesia e della religione è, come abbiamo visto,
l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta l'immaginazione,
allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e
tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia della quale il
sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma.
La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti
plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, debbono sostenere con
questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene
prima la scultura, poi la pitiura. Certo la musica è nata, come
tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio
secondario, subordinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento
sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla
scultura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epicoreligiosa, e
rimane subordinata alla religione. Solo nel risorgimento moderno la musica si
sviluppa, mentre le arti plastiche decadono: dapprima, nel risorgimento
drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma
; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento lirico, che è
il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il
tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono,
che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è
un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del
risorgimento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché il
fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risorgimento mette capo,
se in apparenza è la fine, in realtà è il principio, quello stesso dal
quale in origine usciva l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia
l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla
filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX,
che ha per necessaria preparazione il risorgimento progressivamente
negativo e per divisa: negazione di negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto
universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già prima ha fatto
della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la
musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla melodia
e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale.
Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il
tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento
lirico, e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la
musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero
positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'immaginazione.
Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la
fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità,
perchè sopravviene nell'anima romana, mentre il dramma del risorgimento si era
combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la
continuazione e l'adempimento del risorgimento cristiano. In questo secolo il
sentimento dell'umanità, che è un aspetto del sentimento della natura,
prenderà la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la
lirica, la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità
assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel
campo della poesia, né in quello della religione e della filosofia.
La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura, sussiste
presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medioevale e quella del
risorgimento, immodernate e ormai vuote. Così è delle forme religiose.
Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico
primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la
filosofia medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte
le sue gradazioni progressivamente scettiche e negative e con tutte le sue
forme positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di
forme ; non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche
in atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta
unità. A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e
da altri obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come
può lo spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e
la religione? M. risponde che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompagnare all'ideale debba essere sempre
fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione
estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è
la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di
qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relativamente perfetti —
se son davvero capolavori —, perchè l'ideale dell'arte, come finito
ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene
dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte
transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa
creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge,
perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di FRANCESCHI
a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo all'uomo la
religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non
comprende che M. intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia
religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un termine: e il
loro termine non può essere che la vera e reale intuizione corrispondente
al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da
un lato una serie di forme estetiche l'una meno perfetta
dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute
dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e
fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì
l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed
immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La
serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma
religiosa è meno fantastica, più razionale, più reale della precedente. Per
cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in
essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fantastico quanto esser può
più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che quello di
essere una religione. La religione cristiana si va sempre più
perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre
più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così
per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e
l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della
realtà e dell'idea, del pensiero e dell'intuizione. L'intuizione estetica, da
principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più
somigliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'assoluta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo
concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione
finisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare.
Le funzioni inferiori dello spirito, come la morale, il diritto, lo Stato,
conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della
qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero;
sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero
acquista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono unificate in
lui. L'arte è per sua natura illusione e la religione è per sua essenza errore
; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in certezza e realtà, l'errore
in verità. L'arte si trasforma nella vera cognizione naturale ; la
religione nella vera cognizione spirituale. In questa trasformazione
consiste la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il
limite del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma
idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce
nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale
il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana, tutta arte
e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è l'era cristiana, in cui
la religione e l'arte vanno progressivamente diventando più riflessive, sino a
ridursi ad essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo
moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte
e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se
l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede
e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta
creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia
il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di
cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un
tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee estetiche e
religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò
ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa creazione con
azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non
sia stato religioso e poeta, quando non è più che scienziato e libero
pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso,
e, a traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,
giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede
religiosa e poetica, che sole restano della religione e della
poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la
sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella
filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un
concetto assoluto, universale, definitivamente vero, al quale le intuizioni
estetiche e le religiose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una
parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di
storia del genere umano tracciato per convalidare queste argomentazioni non
raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia conduce alla
dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la storia, certo
la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli
altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostrazione
della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che egli ha avuta la
somma fortuna di trovare nella sua concezione dell hegelismo la sua filosofia,
la sua religione e la sua poesia. M. è certo che le tre
grandi correnti umane, — la contemplativa religioso-poetica che nasce
dalla natura e la riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si
suddivide in altre due : la filosofica positiva o filosofia della
sostanza e Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza, dopo aver proceduto isolate
fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia concreta; bisogna che la corrente
religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata della
filosofia. La corrente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia,
torbida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente sino a
perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco, invade e travolge
il tutto, l'uomo e la natura, la religione e la poesia; e fa di tutto una
sola unità vitale. E allora la filosofia sarà la vita, sarà l'unità
spontanea ed armoniosa della natura : un pensiero pieno d'amore
vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e
l'adorerà come natura divina. Qui alcuno potrebbe chiedersi :
in questa identificazione della filosofia con la vita, non subirà la
filosofia stessa un assorbimento analogo a quello subito dall'arte e
dalla religione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non
distingue dalla vita quella sua filosofia dell'avvenire. Egli afferma che è
difficile precisare come tale unificazione vitale si compia, e perchè
quest'opera è appena cominciata, e perchè avviene nella profondità del
pensiero, al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane
dic'egli e c'è di mezzo una tal nebbia
di tempo avvenire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi
di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa generalità io ci
credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose passeranno così in
generale ; e che tutto anderà a terminare nella fusione di tutte le
forze, di tutte le conoscenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La
sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un
sistema riproduttivo, un sistema animale e un sistema spirituale.
Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come
naturale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura. La natura
della causa esterna che move è corrispondente e proporzionata alla natura
della sfera interna che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una
per l'altra, ed è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura.
Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complicazione di
morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani essenziali:
i vegetativi, i riproduttivi, gli animali, gli umani o mentali. La patologia
preistorica dice che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo
vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle
mani del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala
che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli
accidenti meccanici, alle malattie traumatiche. Ma l'animale umano è, a
differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e
oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla
oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua
libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva
ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volontaria: e così di
colpevole ritorna innocente. Ma non è più la primitiva innocenza
dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza dell'uomo che si vede nel
suo interno, e si sa libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e
venera la sua propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se
stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole,
e si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia
raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia
compiuto il fato umano. Così l’uomo naturale diventa in principio civile, e poi
da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha certamente i suoi morbi;
e sopratutto nel momento del passaggio e della colpa il morbo si
impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa.
Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il
morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più crudeli morbi. La
corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà naturali e
preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause psichiche non
moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per proprio conto,
generano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra
parte, nelle nature più elette, invece di una corruzione sensuale, nasce un
principio di fermentazione intellettuale, che dà origine alle malattie dello
spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà
si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina.
E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua particolare natura; e ciascuna
si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La civiltà
naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è
senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione
porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e
morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a morbi
naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutritivi, e più tardi ai morbi
formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo
senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali,
passionali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai
nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina la cristiana nel suo primo fiore è del pari senza morbi
; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la guarigione
dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di tutti i morbi
umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è
principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso
sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie
psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la
corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie.
Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristianesimo, la nuova e
vera civiltà divina, e riconduce le cause spirituali e le nuove malattie
mentali. Quando quest'ultima civiltà avrà raggiunta la sua definitiva
perfezione, allora sparirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza
morbi, come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più
generale risultato, la prima legge della patologia storica : l'uomo ha
quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qualità di morbi, che sono le
categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare
nell'uno o nell'altro senso quei limiti della sua attività entro i quali
ha luogo la oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo
positivo o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le categorie
secondarie della patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità
fisiologica del morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ;
invece la categoria secondaria, il grado e la quantità innormale, può mancare,
e manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qualità
senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni storiche la categoria secondaria trasparisce sempre
dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie
ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le
sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli :
apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime generali non
esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono
complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più
particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed
accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si
riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da
M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
talvolta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genialità, e coglie
con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie forme della
civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo
metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il
necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo limitare la sua
speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla sua stessa
concezione di [Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive
(Delle prime linee della patologia storica): Sarà vera o falsa, buona o
cattiva; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola,
come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe
capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò
che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi
l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle
stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti
trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo
d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e
dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato,
egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una
filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia,
chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia,
terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con
sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di
vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di
organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere
spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione
si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M.
afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si
ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria
creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma
poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un
nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad
ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè
il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque
fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un
momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e
senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea dell'uomo è naturale, e le idee naturali
restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura,
le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente, cioè come individuo.
Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una doppia creazione
: quella dello spirito individuale e quella dello spirito universale. Il
primo ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'attuale,
l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche. La storia della
natura umana, quella della natura vivente e quella della natura cosmica
sono le tre forme vitali di uno stesso assoluto individuo temporale, il
mondo. Sono tre creazioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure
ideale, ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la
terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il
mondo nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo.
L'universo fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma
più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte,
il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del
Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ]
forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano
eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme
dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le protovertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'individuo
umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre forme moderne
essenziali, ed è prima immaginativo, indi ragionatore, e finalmente pensatore:
medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo,
si arresta alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea
forme nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'impulso e
l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai più, agli uomini
evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché, come la natura, anche
l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già tracciata da Dio. E
perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme in cui il tipo divino
si squaderna nella natura. Questi gradi sono una scala di
mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza
della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il
ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è
chiusa la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari,
anche prima di essersi svolti interamente, cominciano a produrre i tipi
corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione
sensibile ; la creazione di una specie è produzione di molti individui
in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e
la successione effettiva e naturale presuppone la successione logica, ideale.
La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il contenuto
vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il
contenuto sparisce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione
assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai
completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce non nel
corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il tempo; la natura è
più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La successione
naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte
le epoche della creazione tutti i tipi primari sono, più o meno
completamente, rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi
formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia
al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella
natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura
esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione
quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune.
Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene
interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto
di esteriorità e di interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere
organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e
per una moltiplicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o
dell'altra secondo che si tratti di una forma più o meno prossima alla natura.
Mai la vita è tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la
forma organica è tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma
quest'unità è diversa nel vegetale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni
individuo elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato;
nell'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'individuo,
semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di
dentro. Le forme superiori [sono la chiave I tipi animali,, Bologna,
Monti; Cfr. Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a
spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte,
indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui
appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se
non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e
più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in
cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo
empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, artificiali, ovvero,
se alla vacuità sostituisce il preconcetto darwiniano, di una inestricabile
confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato
il Newton, così M. lancia in quasi
tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il
naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza,
perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli pretende
che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima
dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a
caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse
dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra
che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto
la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice
che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia : « I
sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano
primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per
cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel
cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva
l'uomo. - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M. circa
la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus creami, Darwin e la scienza
moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia
storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non
sa comprendere come si possa affermare che tale modificazione è casuale,
irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso. Ammette
che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro,
Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità
più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale, è quella di
Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria
adattativa del Lamark e quella selettiva di Darwin, pur essendo tutte e
due sbagliate, hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali
formano tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e
lega le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle
forme è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere
integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno
stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere
determinata, perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo M., è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe
nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza ad una storia accidentale, alcuni i seguaci della scienza
antica, essenzialmente religiosa e intuitiva ammettono due storie ideali,
una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della
prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli altri,
i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma
e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano,
considerando la storia extramondana come un effetto ottico operato dalla
intuizione. Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vitali. L'una
consiste nel distinguere fra gli elementi comuni a tutte quelli che sono
propri di alcune soltanto. E si considerano questi elementi formali come
caratteri costitutivi di un tipo più o meno comprensivo. È la maniera
astratta, quella di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di
Milne Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si riassume tutta
nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè il figlio è simile al
padre e il padre all'avo. Questo è pel I. il finis Poloniae, la comune e
l'internazionale della scienza moderna. Vi è infine una terza maniera,
che consiste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i
vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è
l'unità, la verità, la ragione, il principio e il termine di tutte; e questo
tipo è il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di
Hegel, di Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha
fatta una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
universale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla generazione. L'uomo
dà l'impulso prima alle forme semplici e generali, quiescenti l'una
nell'altra, che sono nella natura e pur non sono naturali; le desta, le
crea, le differenzia, le delimita; dei puri e semplici momenti della legge
formale fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia informe
a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla serie delle forme
cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al
caos ed a tutte le forme, è la forma, l'anima, la forza, la spontaneità
pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente,
l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità,
di necessità, ed in questa contraddizione consiste la sua attività
creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà
dell'universo, e lo fa a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo
assoluto della sua evoluzione attuale. La forma è un principio e una
forza indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
determina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'universo, è il
metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e dell'uomo, il metodo
insomma di tutto il creato, perchè è quello intrinseco alla divinità
creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo essenziale si fa in tre
momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto,
corrisponde il [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della
natura] movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali
corrispondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo. E
perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella natura, antimorfo nella
vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura (amorfopan) è
indifferenza senza opposizione essenziale; è tutta forma senza unità, senza
fine, senza ragione, senza la forma della forma. La vita (antipan) è
essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità,
fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una doppia
antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi psichica e
antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è teleomorfo. Lo spirito
è 1' opposizione spinta all' estremo, poiché l'antitesi non è più solo
fra corpo ed anima, fra senso e sensibile, ma fra intelligenza e
intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle
idee e finisce per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si
riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle
cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale
apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa corporea, ma
rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e puramente
ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La natura,
la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo
trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama,
è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto
delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più
eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via
di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia
ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descrizione
gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni tipo è sfumato ed
evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile oscuro che da
dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando da sé, creando
a mano a mano le proprie determinazioni. Invece i sistematici ordinari, tutti
intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle differenze di quantità
; essi hanno bisogno di caratteri qualitativi specifici, possibilmente
esclusivi, precisamente quelli più materiali, che non significano nulla
appunto perchè non passano in altre forme. Tipo è forma con
significato. Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza
di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono
la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, artificiale, bisognosa di abissi
e avida di caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le
comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la
transizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il
primo è la forma, che pone i lineamenti generali dell'essere; poi viene la
funzione ideale che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione
reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo [I
tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis
soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con
un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani
ch'ei sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a
fondo (apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà
piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo.
Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per
uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che
quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime
copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una
funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale,
«principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non
hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione
dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede
crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno
inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non classificare;
pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vegetale
l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della
formazione, il punto in cui si spiega l'opposizione fra il corpo e l'anima
vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il
vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente
semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi
cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa,
dall'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il cotiledonato, in
cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente
sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è
informe e indifferente; nell'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si
sviluppa l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e
sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e
in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il
rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato;
il teleomorfo è il vertebrato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I
nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di
vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di
un elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di
dimostrare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I tipi
animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede, egli
lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli esseri
viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa,
della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla
patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di
tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dialoghi : /
naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus creavit — già
lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il
pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso
problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere ed il
pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di chi sappia di
rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con lo stesso metodo, lo
stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi la stessa mentalità
con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da lui non visto
ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi indiretti e
certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero lutto è l'uomo,
l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in sé ricompendia
tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo
pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ?
E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retrocedendo nella storia
del processo naturale si perviene ad un muro saldo, incrollabile, oltre
al quale non si può andare: quel muro è la materia. Certo la materia
suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice
spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, La
natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà italiana,
Firenze, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo,
nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere scientifiche e la filosofia
della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir
moto è dir qualche cosa che si muove, è dire insomma
la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia
della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il
tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre
la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia
nel suo spontaneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non
pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui
tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di
sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa
della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità
e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un
imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo
semplice informe. L'uomo senza influsso di esterno accidente,
mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un
punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione
della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo
e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. Quell'attimo,
quello spazierello» si riempì di materia reale, naturale, diventò da spazio
ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura. La forza
del pensiero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in forza
chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza fìsica in
forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire dietro a quelle
forze la materia chimica, che si trasforma in materia fìsica e indi in
meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo chimico imponderabile,
ponderabile. È la materia semplice che successivamente si modifica e si
realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura Le opere
scientifiche e la filosofia della natura.] fisica, è la figura meccanica,
geometrica, cristallina, che si aggiunge alla forza chimica
imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una nuova realità;
gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensibile.
Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti,
indistinte; esse sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non
ci sono giunte ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha
tal realità e tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno
spazio-natura; ma la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta
ad empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a
quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori
lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre proprietà; e queste vi portano
seco le loro forze, e le disseminano egualmente in tutti i suoi punti. Non
perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è
materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. Il primitivo
pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è
il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e
il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa,
la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane
lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice
pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa dello
spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile
prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi,
facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo
durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale —, e l'anima
— l'animale ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera
sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha
fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso farà nella natura
formata vari sensi distinti, e così farà dell'anima. Se noi facciamo la storia
della natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua originaria identità, si
sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale,
e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la
forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta
identità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose
opposte è naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata.
Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere
l'unità dei due elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale,
la naturale. Nell'afferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia
della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è
che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore —
verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,
il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del
caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e
sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi
nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale,
vegetale. E con questo programma egli termina il secondo dialogo,
Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dialogo (*), nel quale
riassume la storia del pensiero umano, che da prima tutta interna, tutta
dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si sgomitola nel tempo,
e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo
ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto
originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto; ma la
trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un
nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota. Il presente dialogo è
indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che M. lavora spesso
frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura.] bensì successivamente. L'io è un animale naturale, individuale; ma gli
ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo tempo, e
tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale, La
trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, si
sgomitola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggomitola e torna
ad arrotolarsi nella storia. E perciò la storia umana è una storia
naturale di tempo e di spazio, è una cronologia e una geografìa. La
storia umana e la storia della natura, essendo creata dal pensiero, è in
ogni sua fase totale e universale ; solamente non appare e non diventa
reale che in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in
certi luoghi, in certi corpi e in certi ii. È facile scorgere che M.
non è felice quando vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la
sua costruzione. Invero non si capisce come quel suo pensiero
originario, avendo nel senso un limite interno, possa non avere
anche un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora
nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere e caricare
sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero un senso-senso, possa,
in altre parole, trasformarsi da forza in materia. Ma l'Autore non ha il
più lontano dubbio di star tentando la soluzione di un problema forse
insolubile, certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose
distinte ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità
certa, positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di
dimostrare, ma solo di far presentire la verità, come la presente egli stesso:
e certo di quella verità da lui presentita non riesce a dare una dimostrazione
logica. In una pagina che onora il suo senso poetico più che la sua
GENTILE, LA FILOSOFIA ITALIANA. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nell'uomo; solo ci dice
con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto è
davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fondamento di una
costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno
suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una
dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma
dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle
forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il
controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua
integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore
ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo
con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ricerca della pietra filosofale, come è quella della forza
che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La sua
filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere oggetto
di fede, ma non possono avere dall'esperienza un controllo né dal ragionamento
una conferma, è una costruzione che può essere, ed è difatto,
ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun
sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana, vita della sua
vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare una soluzione
nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da
altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e
come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della
forza e della materia, che contrariamente a quanto egli credeva non era stata
raggiunta da nessuno, e meno che mai poteva esserlo da chi, avendo studiata
analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo gordiano
negando la natura stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus
creavit. Forza e materia. Della medicina sperimentale; e cfr. tutte
le opere di M. M. non è d'accordo col
Berkeley, che « sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una
costruzione speculativa della natura, quale l'idealismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di contrapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole
del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme,
attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura...
una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita
naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo e nella
coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio contro il
quale, a suo vedere, naufragava il darwinismo; di evitare la trasformazione
dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso perchè o dove
non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più intima e
razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto si
riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della necessità
e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza afferma
anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della creazione. Ora
l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente
necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella
costruzione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non
può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui
sistema la natura c'è soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è
quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr. Prenozioni, La filosofia
contemporanea in Italia, Dopo la laurea,
negazione della necessità razionale e della deduzione a priori, ed in
questo caso la dichiarazione della sua indispensabilità costituisce il
confessato fallimento della costruzione speculativa. M. oscilla fra le
due alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa
non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della
contraddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra necessario
per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello
iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti
congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non c'era la
natura e quindi l'accidente » era impossibile all'uomo (ossia all'idea di Uomo,
che come fine deve precedere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e «
senza influsso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo e
dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia
semplice in corpo semplice. Gli anelli di saldatura, in quanto dice che
l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente
compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo vivente è già
idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo
realmente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e
d'esterni influssi. E in generale tutto il processo e lo sviluppo della
natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e
concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea,
ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio e
la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e
meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed
accidentale. Forza e materia, /
mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.
Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo
ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme preesistano in
forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la
creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di
quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione
naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura è
accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui
appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto dell'accidente che M. afferma. Legato all'idea,
intrinseco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a
determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei
darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi esso medesimo una
necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi creativa. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la
forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività
creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci
appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche altrove egli
identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione
con la universalità e necessità riconosciuta sopra all'accidente; ma
distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna;
necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti
parla esplicitamente di una natura esterna che viene Deus creavit,
(/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare
l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed accidentale
che non era compreso nel processo della natura interna, non era calcolato
nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo
superficialmente e quantitativamente, le forme, e favorire la trasformazione, e
provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi
latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche
cosa di accidentale e di naturale. Di fronte a questo accidente,
esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente
un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un
germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la
disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato
e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente
esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una
realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono,
determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente può render conto
delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione.
Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna,
accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed
essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente
necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca,
assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive
esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, l'accidente
accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle
cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim.
Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le
opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la
darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà,
delle specie, dei generi, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi.
La natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria.
Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè
ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo
punto noi possiamo domandarci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al
nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del M., è veramente
risolutiva? Questo approfondimento del concetto di accidente, questa
distinzione delle due specie di esso, interna o necessaria ed esterna o
accidentale, elimina veramente la contraddizione nella quale ci era sembrato
che questa filosofia della natura si involgesse ? L’accidente
interno consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della
forma latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno
accidente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe realtà
di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè
il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto
indispensabile non soltanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la
produzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa molteplice
possibilità in cui è fatto consistere l'accidente necessario, del pari
che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere l’accidente
accidentale, possono essere a loro posto in una concezione puramente
causale e meccanica della natura (per esempio in quella cartesiana), ma
non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine
finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di sviluppo e lo
genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella natura si compie uno
sviluppo teleologico, e non saper negare che vi sia anche qualche
cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce
per essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione
non conciliabile tra l'intenzione e il resultato. E si potrebbe
anche aggiungere che una contraddizione è nello stesso intervento dell'
accidente esterno a spiegare la patologia. L'intero edinzio della
patologia storica costruito dal M. crollerebbe, se non intervenisse
l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente, esterno o interno
che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene, e rompe la legge,
e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità
della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione
con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Ora si
ricordi che per M. la malattia
corrisponde al passaggio dall'innocenza alla colpa, a cui succede il passaggio
ad una forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un accidente
violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e particolarmente nel
ritmo dialettico che si svolge nel movimento degli opposti, il momento negativo
non è meno necessario che il positivo a dare con la negazione della
negazione la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione
filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.? Come può un accidente
siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe la necessità e viola la
ragione, essere costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un
idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione ? [Delle prime
linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si collegano con una
profonda, inconciliabile contraddizione interna del pensiero di M.. È in
fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista, contrasto
che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante aspirazione a
ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia, e lo scrupolo
della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia: la metafisica ai
metafisici, a noi la fisiologia. Questo è il suo conflitto intemo non
superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso
individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea e natura
a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il fisiologo non può
essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non può essere
costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita non da
altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà
il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure
derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti
fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione
della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi
con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,
perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima
che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il
dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose
eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il
criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica,
nella cura delle malattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere
fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della
fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della
medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-
siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già
scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s
theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his
generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo
De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli:
“Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Melandri: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia
nel convito di Platone – Reale – filosofia ligure – la scuola di Genova -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo ligure.
Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “One of the ten items he lists in
his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes
analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call
‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with
ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition
of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry –
re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a
semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice:
“If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote
‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He
has studied Buehler; I like that!” Laureatosi
a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna.
Parallelamente all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista
omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e
curatele, pubblicando con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono
sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di
simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli,
Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che
vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.
Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col
nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche
collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia
mitteleuropea con sede a Trento; partecipando alla realizzazione della rivista Topoi. Da
vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di
pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della
filosofia. Il filo conduttore di tutta
la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre
la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare,
legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si
fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della
contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme
di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto
fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione
costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo
M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare
l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della
soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso
si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo
istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere
fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si
presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo
analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo
d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli,
filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta
voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di
pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa
della buona riuscita di tale esperienza Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”,
Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica
– co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili,
la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile
-- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica” Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli,
Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in
«Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon.
Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio
logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben,
appendice di Besoli e Brigati, Limongi. Nota
in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in
Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino, L'analogia, la proporzione, la simmetria,
Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet,
Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e
la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Bologna: Pitagora; L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura
e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e
scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione
propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi
di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary
unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La
novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa
Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il
simbolico. Lezioni di
filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the
generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in
"erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino,
Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale
equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche,
Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte
fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento
della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni
sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della
conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso
intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia,
in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata:
Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e
la loro origine, Macerata: Quodlibet,
Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di
Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso
fenomenologico", in La
fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli
e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti,
"Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet sinistra
in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto
soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti,
Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di M. edite da Quodlibet, edizione completa.
Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Enzo Melandri. Melandri.
Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice –
analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical
unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill,
jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach,
newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice,
analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza --
Grice e Melanipide: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma
– filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a
number of tragedies. He appears to have practised a relatively ascetic version
of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin;
therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive:
Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London
red-brick!” -- Melanipide
Luigi Speranza -- Grice e Melchiorre: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia
dell’amore – amante ed amato – il convito di Turolla – la scuola di Chieti -- filosofia
abruzzese -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like
Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has
dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic
aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione
simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the
concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to
this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his
critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from
a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo
inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano;
Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione
simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia,
religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su
Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura
di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione,
creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di
là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di
metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture.
I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro Studi
Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi,
meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il
riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e
l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Melesia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained
that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.
Luigi Speranza --
Grice e Melisso: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil
of Parmenide di Velia. The cosmos is not
physical and change is an illusion he attributed to the unreliability of the
senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The
Swimming-Pool Library. Melisso
Luigi Speranza -- Grice e Melli: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana
– la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice:
“I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli
puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is
rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as
furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La
filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione
di Villari, Firenze, La filosofia greca
da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i
filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in
senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore
Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi
della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche
Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata
della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda)
s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare
sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione
delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista
delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --,
Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone –
e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini,
sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani
senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza,
filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo.
Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam.
Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il
bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di
sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo
amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti
della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano
un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in
romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di
questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo
‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura
necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto,
agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette.
Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono
nominati un AMAFINO (si veda) e un RABIRIO
(si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è
pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis
quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne
sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO
(si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore
(si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e
in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte
queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per
noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE
(si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non furono amichevoli.
Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale, essendosi parlato
in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si dava incarico al
pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare che i primi semi
della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali era anche
Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni dopo, nel
156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche questa
volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia rovinosa
che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazionale. Ma
ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle idee greche
era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista delle
città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e LA FILOSOFIA
PRIMA DI CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul
teatro di filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un
frammento di Ennio, nel Neottolemo di Euripide: Philosophari mihi necesse est,
sed degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della
cultura, con lo svilupparsi dell’eloquenza, nasce il bisogno d’istruirsi presso
i filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo amico
Lelio, diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro familiarità.
I giureconsulti trovano un’utile disciplina nella dialettica stoica; le riforme
dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i Romani domandavano
alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche e una cultura
necessaria o utile agli oratori, ai giureconsulti, agli uomini di Stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono
nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma
pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo
Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor, secondo Quintiliano. Ma
non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Romani è
Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare,
che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con
Bruto aveva sentito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia seguiva,
pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il
gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero rappresentante e
interprete della filosofia presso i Romani è M. Tullio Cicerone. 202 LA
FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci appartengono, ma sui
filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone nacque nel 106, fu ucciso
dai sicari di Antonio nel 43 a. C. Studiò in Atene e a Rodi, udì maestri delle
varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa accademico: lo stoico Liodoto
divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco morì in casa sua: udì poi ad
Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a Rodi lo stoico Posdonio. Cli
uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in quegli ultimi anni della
Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici, ch’egli del resto aveva
considerato sempre come una preparazione necessaria all’oratore e poi come una
nobile distrazione dello spirito; ma le vicende della vita pubblica, l’ozio a
cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia, e sventure domestiche, tra cui
specialmente la morte della figlia Tullia amatissima, lo riconducono alla
filosofia, nella quale egli cerca un’occupazione e una consolazione. Bisogna
aggiungere a questi motivi quella che chiamano la vanità letteraria, e ch’è la
passione dello scrittore di razza, di uno scrittore di prim’ordine e che gode
di una grandissima autorità presso i suoi concittadini; egli vuol far parlare
in latino la filosofia, toglierne il monopolio ai Greci, darle il diritto di
cittadinanza in Roma rivaleggiando con loro, e si rivolge ai giovani ut huius
quoque generis laudem iam languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come
l’iniziatore di quest’opera, di conquistare alla letteratura latina questa
vastissima provincia del sapere. Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i
suoi trattati politici De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De
oratore, era proclamata con molta energia 1’unione della filo- sofia con
l’eloquenza : Cicerone in un luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre
filosofato: cum minime videbamur, tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri
propriamente d’argomento filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua
vita, dal 45 al 43. E quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli
stesso in un passo del De divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal
titolo Consolatio, composto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della
figlia, indicando nel titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filosofìa: era
fatto a imitazione di un libro simile di Orantore accademico raspi, raévOoo;,
eh’ è detto altrove un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive
VHortensìus, introduzione ed esortazione allo studio della filosofia,
difendendola dai pregiudizi romani. Ortensio, ch’era un grande oratore suo
contemporaneo, vi combatteva lo studio della filosofìa, Cicerone la difendeva
calorosamente. Il libro era molto ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la
lettura di esso contribuì alla sua conversione. Questi due libri sono perduti.
Le opere che ci rimangono sono : Academica > in due libri, importantissimi
per le controversie dibattute fra Stoici e Accademici intorno al problema della
conoscenza e specialmente per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad
Antioco. Ce n’ora una prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in
quattro libri, e dedicata a Varrone che vi entra come interlocutore. Il caso ha
voluto che noi possediamo il 1° libro della seconda edizione, e il 2° libro, il
così detto Lncullus, della prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr.
II). È deplorevole che non ci sia, e sarebbe desideratissima, un’edizione
italiana commentata di questi libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque
libri. Vi sono esposte e criticate le teorie delle diverse scuole greche sul
problema fondamentale dell’Etica, il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1°
libro Torquato espone la dottrina di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica;
nel 3° è introdotto Catone, quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel
4° se ne fa la critica ; il 5° libro espone la teoria accademica e
peripatetica. È una delle opere più istruttive e forse meglio composte di
Cicerone. Le Tttsculanae disputationes, in cinque libri, dalla villa
ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto il dialogo, pure d’argomento
morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2° de tolerando dolore, il 3° de
aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi perturbationibus, il 5°, continua
Cicerone, eum locum complexus est qui totam phil osophiam maxime inlustrat,
docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. Seguono i tre
libri De natura deorum, importanti per le teorie metafisiche e teologiche degli
Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio, espone la teoria di Epicuro;
Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici; Aurelio Cotta accademico
combatte gli uni e gli altri dal punto di vista delle dottrine probabiliste
della nuova Accademia. Si connettono col De natura deorum i libri De divina-
tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone, Quinto, difende dal punto di
vista stoico la verità della divinazione, e nel 2° F augure Marco Tullio
Cicerone la combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure
si connette agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto
disgraziatamente con molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le
quistioni intorno al destino e il modo confesso possa conciliarsi con la libertà
umana: anche questa una delle controversie dibattute fra Stoici e Accademici.
Ci sono poi degli scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius de amicitia;
anche i Paradoxa, scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a sostenere in
linguaggio oratorio, come un avvocato, sei dei piu famosi paradossi stoici; e
infine il grande trattato di morale pratica De officìis, in tre libri. La
filosofia sociale e la teoria del diritto erano state trattate prima nei libri
De republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti filosofici di
Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico: àT:óypacpa sunt;
minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono riproduzioni,
derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da alcuni molto alla
lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo di suo, oltre le
parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De fin. I, fi): non
interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab iis quos
probamus, eisque nostrum iudicium et nostrum scribendi ordinem adiungimus. È
noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista, dilettante, compilatore
frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo Ziegler, ha detto : il solo
suo merito è di aver trovato parole e frasi latine per rivestirne i pensieri
greci, un merito che può essere stato utile più che ai suoi contemporanei, agli
scolastici del medio evo e ai latinisti moderni. Questi giudizi non sono
giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è un filosofo di professione:
è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto delle idee generali, e
considera la filosofìa come una parte essenziale della cultura umana,
importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può considerare o
come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le dottrine e i
risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha conosciuto
direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo,
l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha
letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero
essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni
dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, conosce Senofonte, gli è
familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo
postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le
preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel
tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno
senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi
libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici.
Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più
volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una
storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere
controllata, commentata e corretta. Ma si può domandare: qual’è lo scrittore o
doxografo antico di cui non si debba dire lo stesso, a cominciare da Aristotile
e da Teofrasto, che pure erano filosofi di protessione, e scrivendo di storia
della filosofia ci hanno dato notizie e interpretazioni del pensiero altrui
molte volte discutibili. Sarà sempre uno studio interessante il cercare le
fonti di cui può essersi servito Cicerone e come se n’ è servito: si potrà
trovare che in qualche punto s’inganna, che può aver lavorato in fretta, che
parafrasando o accorciando gli è accaduto di fraintendere in qualche punto la
dottrina che espone: tutte cose su cui si può discutere caso per caso ; ma dal
dire questo al dire sommariamente che non capiva niente di filosofia e non
sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è una grande distanza. Come ha
detto benissimo il Giussani, è diventata una specie di moda o di mania quella
di parecchi critici di scoprire a ogni momento prove dell’ignoranza o della
irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade che una più attenta
considerazione può provare che chi non ha capito è il critico. Ma questa non è
nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti gli errori parziali o di
fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non bisogna dimenticare è che
le idee e le dottrine della filosofia antica andavano ripensate per poter
essere dette in latino, e sono state ripensate e rielaborate da un cervello non
scolastico, coltissimo, aperto, ch’era anche un grande scrittore, un maestro
della parola, e si rivolgeva a un gran pubblico, non fatto per le disquisizioni
sottili o le finezze di scuola. Questo ripensamento e questa trascrizione delle
idee greche in un altro linguaggio non è il primo venuto che poteva farla. Non
solo ai suoi concittadini e contemporanei, ma durante il Medio Evo, per quanto
poteva essere conosciuto, e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere
di Cicerone hanno reso all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un
servizio immenso. « Le esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora
trovare superficiali o anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una
grande chiarezza e in una forma attraente. Per uomini che non potevano leggere,
e che anche potendo non avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti
citavano, Cicerone fu una guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della
sua opera era un pregio di più : vi si trovava quello che gli antichi avevano
pensato di più nobile, di più grande e di più accessibile. Si direbbe che
Cicerone avesse preparato per gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per
più secoli di pensare, un nutrimento intellettuale eh’essi potessero
assimilarsi, a dir così il succo della filosofìa antica; che li preparasse a
comprendere i filosofi greci quando fossero stati loro accessibili, e li
preparasse infine a pensare da sè » ] ). Questo servizio, come interprete vivo,
facile, eloquente, del pensiero antico, egli ha continuato a renderlo anche
dopo il Rinascimento, continua a renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole,
dovunque s’impara a leggere e a pensare leggendo le sue opere. - Rimane a
sapere qual’è il valore di Cicerone come filosofo, che cosa ha pensato lui)
Queste parole sono del Picavet, nell’ Introduzione alla sua edizione, con note,
del II libro De Natura deorum (Paris, Alcan)] ( qual’è e se c’è un contributo
suo personale alla storia delle idee. CICERONE (vedasi) non è e non pretende di
essere un filosofo originale. Sa di essere scolaro dei Greci e si trova davanti
a dottrine discordanti, quando già nelle scuole greche stesse è cominciato quel
processo di ravvicinamento e di fusione che le porta a diventare eclettiche,
ciascuna a modo suo. Qual’è l’atteggiamento ch’egli prende? Cicerone si
professa accademico, dice di aderire alla teoria della conoscenza della nuova
Accademia. Non già ch’egli creda suo compito il trattare ex professo di questi
problemi, riflettendo per conto suo sulle condizioni e i limiti della
conoscenza umana, come ha fatto Cameade; no, egli non ha di queste ambizioni;
ma trovandosi davanti al contrasto delle sètte e delle opinioni su quistioni
spesso sottili, su problemi difficili a decidere, l’attitudine più savia gli
pare quella del dubbio prudente, raccomandato, com’egli crede coi suoi maestri,
da Socrate e da Platone: egli non è scettico ma probabilista: è la dottrina o
meglio la disposizione di spirito ch’egli chiama, meno arrogante, la più aliena
dalle arroganze dogmatiche; ed è anche conforme alla sua abitudine di sostenere
il prò e il contro di ciascuna causa, richiede agilità e versatilità di spirito,
e si presta agli sviluppi oratori, mentre nello stesso tempo lo tiene in
guardia dai paradossi stravaganti, e lo mantiene in contatto con le opinioni
popolari. E infine diciamo pure eh’è un’attitudine conforme alla sua natura
ondeggiante e diversa, al suo carattere spesso indeciso anche nella vita
pratica. Ma intanto quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a
mantenere lo spirito libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare
nelle parole di un maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in
diem vivimus : vuol conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina
accademica non solo gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più
coerente, non nel senso eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non
si contradicono, ma nel senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che,
dando la sua adesione a ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con
se stessa: il che gli ha permesso di prendere quello che gli pareva buono in
ciascun sistema, di libare tutte le dottrine, di essere insomma l’interprete e
il volgarizzatore dei grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa
disposizione di spirito, piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e
non settaria, senza partito preso, e Cicerone la descrive con parole che
meritano di essere ritenute : (De nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non
ci sia niente di vero, ma al vero è mescolato il falso, bisogna essere canti
nel giudicare e nell’affermare : diciamo che ci sono molte cose probabili, le
quali se pure non dànno scienza certa, generano una convinzione che basta a
guidare l’uomo savio. E in un luogo molto bello del libro II dei primi Accar-
demici, al cap. 3° è detto: « Fra noi e coloro che credono di sapere la verità
delle cose passa questo divario, ch’essi tengono per verissime le loro
opinioni, mentre noi abbiamo sì molte cose probabili da seguire, ma non ci
attentiamo di spacciarle per certe. Così rimanendo assai più liberi e sciolti
nel giudicare {inteff tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci
costringe a difendere delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre
che gli altri si trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale
sia la migliore: l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un
amico autorevole* o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di
cose che non conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano
come ad uno scoglio al primo sistema di cui hanno sentito parlare : ad
quameumque sant disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad
saxum, adhaerescunt ». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi
plerumque iis qui discere volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur.
Quest’attitudine di riserva prudente egli mantiene specialmente nelle quistioni
di fìsica, che del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le opinioni
sono tante e così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo abbastanza
nè il nostro corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue, se è
mortale o eterna: nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo penetrare
nè nel cielo nè dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio della fìsica
debba essere messo da parte. L’esame e la.considerazione della natura sono una
specie di nutrimento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più grandi, ci
solleviamo al di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane tenendo l’occhio
e la mente rivolti alle cose divine e celesti. La ricerca, anche nelle cose più
oscure, ha una grande attrattiva e procura una voluttà umanissima. Ma da buon
romano, nonostante quest’elevazione dello spirito, egli ha poco gusto per la
speculazione pura: apprezza di più la scienza eli* è utile alla vita. E quanto
più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi pratici della vita morale
e sociale, egli sente il bisogno di affermazioni più decise. E tra il contrasto
delle opinioni una sorgente o criterio di verità, o vogliamo dire di
probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza naturale, quello che la
coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini rivela a ciascuno, e che
trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli ricorda il ‘conosci te stesso’
dell’oracolo e lo interpreta in questo senso: tutta quanta la filosofìa è un
commento, uno sviluppo della conoscenza di se stessi, di quello che la
coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso anche gli Epicurei avevano
parlato di nozioni comuni, che si formano naturalmente in ogni coscienza. E
Filone di Larissa deve avergli insegnato che ci sono delle nozioni evidenti,
perspicue, impresse dalla natura nella mente e nell’animo di ciascun uomo. Egli
trova che fra gli uomini nessuna gente è così fiera, così selvaggia che non
abbia il concetto della divinità, anche se non sappia quale ne è la natura.
Egli non ignora che anche qui le opinioni sono discordi, e conosce pure le
difficoltà del problema; e se gli domandate, quid aut quale sit Deus, egli vi
risponderà come Simonide, il quale interrogato su questa quistione dal tiranno
Jerone, domandò un giorno per rifletterci su, e poi due e poi quattro, e finì
col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi res videtur obscurior. Ma ciò
nonostante non è una credenza arbitraria: Omni autem in re consensio omnium
gentium lex na- turae putanda est. E oltre il consenso delle genti, è anche
molto plausibile, il più plausibile fra tutti, 1’argomento delle cause finali,
ricavato dall’ordine e dalla bellezza del mondo, ch’egli espone con molta
eloquenza, quantunque non trovi sempre concludenti o del tutto convincenti le
argomentazioni degli Stoici per provare la provvidenza e l’ottimismo, e che
sono fatte più per rendere dubbia la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli
crede agli Dei, anzi a una divinità unica: è un’idea alla quale la mente degli
uomini è naturalmente condotta. E lo stesso si può dire dell’anima umana, che
dev’essere una natura singolare, diversa dagli altri elementi terrestri che
ci’sono più noti. i^Toi non possiamo vantarci di conoscere la natura
dell’anima; ma gli elementi dei corpi che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il
fuoco non potrebbero spiegare la conoscenza, la memoria, la previsione
dell’avvenire, le altre funzioni psichiche: e dalle opere di Cicerone si può
ricavare un piccolo trattato di psicologia, che non sarà quello degli
scienziati moderni, ma che contiene delle descrizioni eccellenti, e sempre
vere, dei principali fatti della coscienza, compresi gli affetti e le passioni
umane, ricavate dall’osservazione interiore e dall’ esperienza della vita,
seguendo anche in questo naturalmente i suoi maestri, Platone e Panezio e
Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il fato degli Stoici, e crede
anche nell’immortalità come una cosa infinitamente probabile. Quod si in hoc
erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove sono descritte le sfere celesti
e la loro armonia, e la sede dei beati, è affermata con gli argomenti platonici
l’immortalità delle anime umane. Soprattutto quello che la coscienza ci rivela
è la legge morale, eh’ è una legge della ragione, la quale ragione è il
privilegio dell’uomo sui bruti, l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che
lo congiunge ai suoi simili. Così Cicerone crede di avere scoperto nella
coscienza stessa del genere umano i fondamenti di cui ha bisogno per la sua
dottrina morale. Opinionum enim commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat.
E ricordandosi dei dubbi accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i
problemi morali, quelle parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni
harum omniam rerum Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina
ch’è stata chiamata del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia
della filosofìa. Ma l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto
in questo: che noi vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come
rivelazione della coscienza comune è il precipitato di tutta la speculazione
greca anteriore, risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le
tendenze affini delle tre scuole derivate da Socrate: platonica, aristotelica e
stoica, e che hanno per base la concezione teleologica, il valore cosmico e
antropologico che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui
tengono la virtù come il massimo dei beni o la condizione essenziale della
felicità. Rimane esclusa, come ho già avvertito, da questo processo di fusione
la scuola epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula
pericolosa della voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel
fatto CICERONE (vedasi), indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte
aspramente, fino all 1 ingiustizia, L’ORTO, trovandolo inconseguente in quello
che può avere di buono, e pur avendo la più grande stima del carattere di
Epicuro stesso e di alcuni degli Epicurei ch’egli ha personalmente conosciuto:
io combatte anche, oltre che per tutte le altre ragioni, perchè l’Epicureismo
non possiede secondo lui una base su cui fondare i doveri civili, che a lui
stanno tanto a cuore. Ma tra tutte le altre scuole egli trova che le affinità
sono maggiori e più importanti che le differenze, e sceglie e adatta quello che
gli pare più utile e più conveniente. E lo guida, oltre il talento
straordinario dello scrittore e dell’oratore, un grande buon senso, una grande
rettitudine, e un certo istinto generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e
grande. 1 _ E una volta eh’è sul terreno della morale, egli non si \ tiene
sulle generali, ma costruisce in tutti i particolari un trattato di morale eh’è
fino al giorno d’oggi un perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino:
il De of - Jiciis. Nel quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio,
e inclina egli stesso verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio
incomparabile della virtù : ma i paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed
egli tempera la dottrina morale con la misura dei peripatetici, ricollegandola
anche ad alcune delle speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella
dell’immortalità. Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la
dottrina con esempi presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza
d’animo, di disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria.
Traduce il xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto
le quattro virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non
dimenticando la beneficenza accanto alla giustizia, la charitas generis Immani,
e non dimenticando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della
cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un
trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi
sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino
della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del governo
misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione nella
vecchia costituzione romana. E nel De legibus aveva esposto le basi lìlosofiche
del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli ritorna
sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura, dappertutto
diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma. Ohi la
rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna e
immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle
legislazioni umane. Essa stabilisce fra tutti gli uomini, che partecipano della
ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore. Espressa da
quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del diritto umano
esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita e della
cultura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho accennato ai
giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non tutti i
tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche
Rundschau), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione del
Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini, de la
Philosophie (Paris, Del agrave).] citata da Cicerone sulla cultura dei popoli
dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle persone
colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla bellezza
della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda influenza
eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti
illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi
vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore,
del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola
dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di moralista e di scrittore - 3. Le sue
idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo
Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone
colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia
delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei
suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche;
dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la
filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una
consolazione, dei principi salutari, una regola di condotta. Sotto Augusto
cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di
Stato se ne occupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per i
loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora
stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle
preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i
filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura
d’anime. Seneca ci parla di un condannato a_morte, che andando al luogo del
supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum philosophus
suus, col quale s’intrattiene dell J immortalità dell’anima. Quando Livia, la
moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per essere. consolata
nelle mani di Areos, il filosofo di suo marito: era il confessore, il
confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento pubblico di
filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di uomini, i
quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi tutto i due
Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona famiglia, che al tempo
della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in Atene, e poi venne a
professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò una scuola, la
cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore, esercitò molta
efficacia: essi lottano con energia contro i vizi del secolo, e mettono in uso
certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica già raccomandata
dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche nell’astenersi dalle
carni di animali. Altri professori illustri della stessa scuola furono So-
zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pitagorismo insegnando la
metempsicosi, Attalo stoico e Fabiano Papirio, un declamatore del tempo di
Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle scuole, trattando quelle
cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’eloquenza dei retori. Fu
convertito da Quinto Sestio alla filosofìa, e continuò a declamare, a parlare
pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento così non fu più limitato
a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una vera predicazione: la
filosofia s ? indirizza alla folla, diventa eloquente, cerca di essere
persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio specialmente ebbe un grande successo:
aveva una fìsonomia dolce, una maniera di parlare semplice e sobria: 10
ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a volte V uditorio, colpito dalla
grandezza delle idee, non poteva trattenere delle grida di ammirazione. Un
altro che attirò l’attenzione della gioventù romana fu il cinico Demetrio, ille
semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca, con la stranezza delle sue maniere
e la foga della sua parola, tutto energia e disprezzo del dolore e della morte:
riappariscono i Cinici, che sono come ' sempre l’esagerazione degli Stoici. Del
resto, qualunque sia il nome che portino, tutti questi filosofi erano più o
meno stoici. Non si trattava per loro di scoprire verità nuove, ma di applicare
le grandi verità morali e le massime di condotta già fissate dagli antichi
saggi. Come dice ancora Seneca, i rimedi dell’anima sono stati trovati prima di
noi: non ci resta che cercare in che maniera e quando bisogna applicarli. La
tristezza dei tempi e il dispotismo imperiale che diventa sempre più pazzo e
violento dànno, come ha detto 11 Boissier, un terribile, a propon allo
stoicismo, il quale diventa una fede ardente, la religione delle anime libere:
l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel sentimento della sua forza e della sua
dignità in mezzo a quelle sventure e a quei pericoli che a ogni momento la
minacciano. Per questo la filosofia ebbe l’onore di essere odiata dagl’
imperatori : essa e la Storia erano, come dice Tacito, ingrata principiòus
nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi martiri, a cominciare da
Catone, che rifiuta la vita cercando libertà, e venendo alle vittime di Nerone
illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto, assistito negli ultimi
suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso Seneca, sul quale dobbiamo
fermarci ] ). 2. - L. Anneo Seneca, figlio di Seneca il retore e di Elvia, nacque
a Cordova. Venuto a Roma col padre che non ama la filosofia, e avrebbe voluto
farne un oratore, è scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione,
Attalo, Fabiano Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la
più viva impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via
degli onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto
l’imperatore Claudio fu esiliato in Corsica per gl’intrighi di Messalina; dopo
otto anni è richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione del
giovane Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in
disgrazia nel 62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato
agl’intrighi e ai delitti della corte imperiale che non seppe o non potè impedire,
il suo carattere è Stato molto discusso, special- mente per le immense
ricchezze eh’ egli possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore, e per la
parte che può avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di Nerone,
in nome del quale Seneca scrisse una lettera giustificativa al Senato,
presentando la morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che possano essere
state le J ) Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn; Boissier, La
religion romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme et ses
origines, * 2° voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de la
Lìti, latine (Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e
caratteri (Sandron). sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una bella
morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far testamento, diceva di
lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e senza
vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella corte; ma
non gii si può negare un certo entusiasmo sincero e l’aspirazione verso il
bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i trattati
morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata, de olio,
de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de beneficiis; le
Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le Lettere morali a
Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più importante delle opere
di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che trattano di argomenti di fisica,
fecero testo e godettero di molta autorità durante il Medio Evo; ma vi si
tratta anche di argomenti morali., Seneca si prolessa stoico, e degli scrittori
latini è l’interprete più compiuto della dottrina stoica, di cui riproduce i
dogmi con una certa enfasi, non scevra di declamazione e di retorica. Ma è
eclettico anche lui e impara da tutte le scuole: Cita spesso anche Epicuro,
verso il quale è più giusto degli nitri Stoici. Egli stesso confessa: Solco in
aliena castra transire, non tanquam transfuga, sed tanquam explorator. La sua
specialità è il genere monitorio e precettivo; e il suo capolavoro ò una
raccolta di consigli e precetti morali a Lucilio, suo amico, un cavaliere
romano ch’era procuratore in Sicilia, amministratore finanziario della provincia,
e ch’egli guida e dirige da lontano coi suoi consigli. * E' 1 Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA 223 Seneca non ama
la folla, non pensa al gran pubblico: Satis sunt mifii patiti, satis est unns,
satis est nullws. La sua opera non è di un predicatore, ma di un direttore
delle coscienze. Ed egli sa adattare il suo insegnamento secondo le persone e
le circostanze. Aliter cum alio agendum: egli consola quelli che hanno bisogno
di essere consolati, spinge all’azione le nature fiacche e molli, ridesta la
forza di quelli che s’annoiano, predica il ritiro e la solitudine a quelli che
amano troppo la vita mondana. E in quest’opera di moralista pratico egli porta
una grande conoscenza della vita, l’esperienza di un uomo che conosce il mondo,
la corte, le passioni, le inquietudini e i bisogni del cuore umano: sicché i
suoi trattati e specialmente le sue lettere sono importanti non solo per le
verità morali che contengono, ma anche come studio dei caratteri e delle
passioni del suo tempo e di tutti i tempi. La sua psicologia è molto più
raffinata di quella di Cicerone, e c’è in Ini una preoccupazione della vita
interiore e della perfezione morale, in ciò che ha di più intimo, che non c’è
in Cicerone. Egli propone come un ideale di perfezione la virtù stoica, ma sa
adattarsi alle circostanze, e consente quando occorre alle debolezze della
natura umana: di qui le contradizioni che gli rimproverano, e che derivano
dalle condizioni speciali in cui si esercita il suo insegnamento. S’aggiunga,
per spiegare l’impressione che fa Seneca, l’efficacia di uno stile non senza
artifizio, ma concettoso, sentenzioso, energico, a frasi spezzate e serrate,
con qualche cosa di brusco e di veemente. La grande frase, il periodo
ciceroniano si spezza: ne prendono il posto dei periodi brevi, a scatti, con
frequenti antitesi, e sentenze aguzzate e raffinate, piene di energia: anche
questo un carattere che lo ravvicina al gusto di noi moderni. La morale di
Seneca, guardata nel suo insieme, è, come . quella di tutti gli Stoici,
un’àpologìà perpetua della volontà morale di fronte a tutto ciò che tende a
limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte agli attacchi della fortuna, il
disprezzo dei beni esterni, la serenità davanti alla morte, questi e gli altri
temi abituali della predicazione stoica sono anche i suoi : egli ne rinfresca
l’espressione col suo accento passionato e concitato, che dà a quelle massime
forza e rilievo.Soprattutto non bisogna dimenticare quel sapore di attualità
che, come abbiamo accennato, avevano le idee stoiche in quella condizione dei
tempi e in bocca di Seneca. Già questa attualità o riscontro nella realtà
comincia ad essere un fatto anche con Cicerone. Il quale, quando scrive nelle
Tusculane de eontemnenda morte o de tolerando dolore, non scrive di temi
astratti e retorici, ma di pericoli imminenti, in tempi già diventati iniqui e
tristissimi, tra gli orrori delle guerre civili e delle proscrizioni. Con
l’impero, dopo Augusto, la situazione si aggrava, diventa intollerabile. In mezzo
a quell’orgia, a quei delitti, a quella tirannide che non ha più niente di
umano, la sola cosa che l’anima umana può salvare è la sua libertà e il
sentimento della sua dignità. La filosofia compie l’ufficio suo predicando la
forza della volontà, la purezza interiore, il disprezzo di tutto ciò che non
dipende da noi, il disprezzo della vita. He nasce una situazione violenta, che
si riflette anche nello stile di questi scrittori, come ha osservato con molta
finezza l’Havet. SENECQuando noi leggiamo in Seneca e negli altri stoici che la
povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non sono nulla, noi diciamo eh’
essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la loro declamazione è come
imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di un sentimento legittimo
e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di sii dare la forza
brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In quella
declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è anche
qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono veemente: la
sua enfasi, le sue ripetizioni insistenti, il gesto concitato che sembra
accompagnare la parola, sono altrettante proteste di una coscienza che la forza
vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per farsi
ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae
diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui
oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso.
Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la
salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento
delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di
vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di
quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini
spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle
vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare
le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi. In Seneca le
grandi tesi sociali e umanitarie dello stoicismo sono riprese con un nuovo
accento, più forte e più intimo. Egli vede negli schiavi degli amici di
condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi, ma sono degli uomini:
imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che Cicerone, quantunque
non li amasse, giustificava ancora come una scuola di coraggio per fortificare
l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte, quando quelli che si
vedevano combattere erano dei malfattori. Seneca non li può soffrire sotto
alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la crudeltà: quest’uomo è un
brigante, merita di essere punito; ma tu, disgraziato, che hai fatto per essere
condannato a questo spettacolo? E in quest’ordine d’idee trova la meravigliosa
espressione: homo res sacra homini; e condanna pure la guerra, dicendo che la
natura ha fatto l’uomo per la dolcezza (mitissinutm genus), dimenticando forse
che ci sono delle guerre giuste e anche pietose, quando bisogna difendersi dai
briganti e dagli assassini. E celebra con parole che hanno del mistico la
solidarietà umana e i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra sumus corporis magni.
Natura nos cognatos edidit: di qui l’amore reciproco e ciò che ci rende
socievoli: la giustizia e il diritto non hanno altro fondamento : è più
miserabile il nuocere altrui che l’essere offeso: siano sempre pronte le mani a
giovare, e abbiamo sempre nel cuore e nella bocca quel verso: Homo sum, nihil
Immani a me alienum puto. E aggiunge: la società umana è come una vòlta che
cadrebbe se le singole pietre non si sostenessero a vicenda. Esorta alla bontà,
alla clemenza, al beneficare, al perdono delle offese. Ubieumque homo est, ibi
benefica locus est. Non desinemus opem ferve etiam inimicis. Alteri vivas
oportet si vis Ubi vivere. Questa morale, che con la sua umanità e la sua
mitezza si stacca sul fondo di quella tristezza di tempi crudeli e violenti, ha
già un carattere e un’ispirazione religiosa. Questo caràttere religioso si
accentua ancora di più in alcune delle idee che Seneca esprime intorno alla
divinità, alle relazioni dell’uomo con Dio, e al destino dell’anima umana.
Anche per lui, come per tutti gli Stoici, il concetto di Dio oscilla tra il
panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi. Quid est Deus ? quod vides totum et quod non
vides totum. Ma nella sua opera di moralista
consolatore e direttore delle cosciente egli non può a meno di mettere in
evidenza gli attributi personali della divinità, concepita non solo come
ragione universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di
sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli
animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o
Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei,
malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi
templi nè si rende propizio sollevando in alto le mani supplichevoli, ma con la
purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis illos
coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si fonda
questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet
adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Un Dio cosiffatto non è
una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di adorazione religiosa : il
rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due persone, l’una delle quali si
sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con noi, risiede in noi, ci ama ed è
amato da noi: colitur et amatur; e noi P invochiamo perchè, com’è detto
altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi e forti: ille dat constila
magnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si direbbe che in queste parole è
toccata o intraveduta la dottrina della grazia. Notevoli pure sono i concetti
intorno all’uomo, alla natura e al destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di
vantarsi, di essere orgoglioso: idem semper de nobis pronuntiare débébvmus,
malos esse nos, malos fuisse, invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus
omnes. E solo a traverso gli errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore
fra noi ad innocentiam tamenpeccando pervenit. E l’inìzio della salvazione è la
conoscenza del peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza di
Epicuro, che Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è dentro
dell’uomo una lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo, eh’è come
un peso o una prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira alla sua
liberazione: gravi terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo
corpo di morte?’ griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa
d’irrazionale: quel dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella
dottrina stoica, è conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata
l’espressione: diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte
della concezione cristiana. SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis
militan- dum est, ed è un genere di milizia che non consente riposo. Bisogna
essere vigilanti con se stessi, bisogna combattere con le passioni, col dolore,
col piacere, con la fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice
quaecumque cor tuiim laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum
cimi illis revellendum crai, parole energiche die ricordano quelle
dell’Evangelo: se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e gettalo da
te. Seneca ha il sentimento più vivace della miseria umana: Omnis vita
supplicmm est. Per questo la morte è una liberazione, e come il porto nel quale
troviamo il rifugio dal mare agitato della vita. Dell’ immortalità Seneca non
parla sempre allo stesso modo. Ipotesi, speranze, le opinioni diverse
s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado, specialmente quando si rivolge
ai suoi corrispondenti per consolarli della morte dei loro cari, egli prende un
tono più affermativo. La morte è l’inizio, il giorno natale di una nuova
esistenza. IMes iste quem tanquam extremum reformidas, aeterni na- talis est.
Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si dissiperanno le caligini che
circondano la nostra esistenza, la luce divina ci apparirà nella sua sorgente,
e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma
basteranno. Sono queste idee che hanno fatto credere a una ispirazione
cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe noster, diceva già Tertulliano.
4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0., quattro anni prima della morte
di Seneca, giungeva a Roma un piccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il
quale accusato e perseguitato da altri ebrei, si appellava, nella sua qualità
di cittadino romano, dal giudizio delle autorità imperiali in Giudea, a quello
dell’imperatore. Fu condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era Burrus,
amico e collega di Seneca come ministro di Nerone. Giudicato favorevolmente,
l’apostolo fu lasciato libero o quasi libero durante due anni, dei quali
profittò per diffondere la sua dottrina, e pare che facesse dei proseliti anche
nel palazzo imperiale, fra gli schiavi o i liberti della casa di Nerone. Si
disse per esempio che Atte, la giovane eh’ era stata amata da Nerone, e che poi
abbandonata fu la sola che ne cercasse il cadavere, quando egli fu obbligato ad
uccidersi, per dargli sepoltura, fosse stata convertita al Cristianesimo. Atte,
come sappiamo da Tacito, era personalmente conosciuta da Seneca. Bisogna
aggiungere che anche prima della venuta a Poma, Paolo, accusato dagli ebrei di
Corinto, s’era trovato a contatto con un proconsole romano, ch’era quel
Gallione di cui parlano gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare
ascolto ai suoi accusatori, trattandosi di cose die non lo riguardavano
(polemiche religiose tra Ebrei). Ora si dà il caso che questo Gallione era
fratello di Seneca, e si chiamava così perchè adottato da un Gallio, di cui
portava il nome: il suo nome di famiglia era Anneo Novatus, ed era fratello
maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a poco si formò la leggenda che Seneca
e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi fossero diventati amici, e che
l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si fossero scambiate anche delle
lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e in base a queste lettere S.
Girolatno, nel quarto secolo, enumerando gli scrittori ecclesiastici dei primi
secoli, vi mette anche Seneca. È una leggenda che ha avuto corso per tutto il
Medio Evo, e anche alcuni moderni vi hanno creduto. I^a qui- stione è stata
agitata più volte l ). Le conclusioni sono queste: La corrispondenza è
certamente apocrifa, scritta in un latino che non è nè classico nè argenteo; e
del resto è insignificante, e qualche volta buffa. Per es. c’ è una lettera, la
7% nella quale Seneca informa il carissimo amico Paolo che l’imperatore è stato
molto colpito dalla sua dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio di
Paolo sulla virtù, avrebbe detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto
un’istruzione regolare possa avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera
gli scrive: lo Spirito Santo ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier
questo mi piacerebbe che avessi un po’ più cura della forma, ut maiestati earum
rerum cuìtus sermonis non desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole,
gli manda un libro de copia verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo.
Sono inezie da una parte e dall’altra. La corrispondenza è certamente una
falsificazione, e anche poco abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si
sono conosciuti. E se per conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi,
incontrarsi, scambiare qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro
dolLAutìERTiN, Sénèque et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr
nella Zeitschr. f. wias. Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un
voi. dì Abhandlungen del Baur; e più brevemente quello che ne dice il Boissier
nel libro che ho citato : La religion ro inaine.] meno insignificante o per
ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne sappiamo nulla. Quello
che importa è che, anche dato e niente affatto concesso che Seneca abbia
conosciuto o avvicinato l’apostolo, certamente non gli deve nulla nè per quello
che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le seguenti ragioni: ! 1°
ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla provvidenza, sulla natura
dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle opere sue anteriori a questa
pretesa conoscenza con S. Paolo ; 2° quando si leggono quelle idee, non come
frasi staccate ma al loro luogo, in connessione con tutto il resto, fanno parte
di un discorso nel quale Seneca continua a professare le dottrine stoiche, alle
quali ha sempre aderito; e non c’è nulla in quelle idee stesse di sapore
cristiano o che sembrino tali, che non trovi il suo riscontro non solo nei
vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filosofica anteriore, in Platone, in Epicuro,
in Cicerone; 3° e soprattutto, se Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti e si
fossero messi a discorrere di filosofia e di religione, non si sarebbero intesi
affatto, in nessun modo, per la differenza radicale e insanabile che c’è tra i
due modi di considerare il mondo e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto
comprendere nulla di tutta la parte storica e dogmatica del pensiero di Paolo,
voglio dire di quei fatti e di quei dogmi che sono come i cardini del suo
apostolato: il peccato di Adamo, la venuta del Messia, la morte e la
risurrezione di Cristo, la redenzione di tutti gli uomini fondata sulla fede in
questo fatto della risurrezione: sono fatti così miracolosi, e interprelazioni
di questi fatti così lontane, così aliene da una mente educata nel razionalismo
greco-romano, che Seneca, quando pure non avesse sbarrato tanto d’occhi per la
meraviglia, non avrebbe potuto comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul
terreno limitato dell’Etica, j le due concezioni, quella di Paolo e quella di
Seneca sono, .= nonostante le frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra.
Seneca si riconnette a tutta la tradizione classica e pagana, che considera la
virtù come una perfezione della natura, una conquista e un trionfo della
ragione sugl’im-1 pulsi inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica:
seguire la natura, che egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente
razionale. S. Paolo e con lui il Cristianesimo insegna la corruzione
originaria, radicale, della volontà naturale dell’uomo, e in- . segna la
rigenerazione possibile solamente per opera della ; grazia divina, che redime e
rinnova la creatura, ricrean- dola a dir così dalla vita della carne alla vita
dello spirito. Per Seneca come per gli altri Stoici la legge morale è % una
semplice legge della ragione che s’identifica con la \ legge cosmica; per S.
Paolo la legge è nel senso preciso della parola un comando, un imperativo,
espressione della volontà divina; e il peccato non è la semplice distanza che
separa la realtà empirica dall’ ideale morale, ma è sin dall’origine una
ribellione al comando di Dio, della sola volontà che sia santa. L’autonomia e
l’autarchia del saggio stoico non sono parole cristiane. La conseguenza è che
il saggio stoico, l’ideale di Seneca, manca della qualità propriamente
cristiana, non è umile; può sentire più o meno la sua imperfezione finche
quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è propriamente abnegazione in lui, anzi
egli pone il suo orgoglio nell’affermazione della sua volontà razionale, e in
questo senso egli si sente simile a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla
gli appartiene, non ha orgoglio, nega la sua volontà, la sente spezzata e
ri-generata da una forza onnipotente, e si umilia pregando: fiat voluntas tua,
eh’è qualche cosa di più della semplice rassegnazione stoica a quello che vuole
o porta il fato. Ohi vuole misurare con un’occhiata sola tutto il contrasto,
guardi a queste parole di Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris
Jupiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani
partibus non semel fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium.
Il saggio stoico con la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato
in modo eh 7 è lo spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E
badiamo che Catone è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo
corpo è una via aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la
ribellione più aperta alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la
gloria di Dio, e il fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a
se stessi per essere partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono
due concezioni diverse. Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di
vero è che l’accento religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un
indizio che segna* l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Dopo Seneca,
contemporaneo più giovane di lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a
Volsinia (Bol- sena) nell’ Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto
gl’imperatori Vespasiano e Tito. Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la
filosofia seguendo le dottrine stoiche, come dice Tacito clie lo nomina più
volte. Fu un maestro tutto pratico, stimando inutile ogni scienza che non
giovasse alla vita. Esortava alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa
non è altro per lui che la ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto,
e senza la filosofia non si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro
il suo aratro può filosofare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di
saggezza: faceva un elogio dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio
alla filosofia dei costumi corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita
intemerata gli dettero nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se
dobbiamo giudicare specialmente dal modo come lo ricorda Epitfeto clie fu suo
scolaro; e basterà averlo ricordato anche noi, senza insistere sui frammenti e
precetti particolari che ci sono stati conservati di lui. 2. - Il grande e più
celebre rappresentante dello stoicismo nell’ epoca imperiale è Epitteto.
Epitteto nacque a Hierapoli, nella Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma,
dove passò la sua giovinezza, come schiavo di un Epafrodito, che fu
probabilmente il liberto e favorito di Nerone dello stesso nome. Lo stesso nome
di Epitteto non è in origine un nome proprio, ma vuol dire schiavo
(!tuxt7]tq£). Era zoppo e, secondo un aneddoto celebre, per effetto dei
maltrattamenti del suo padrone. Un giorno questi gli avrebbe messo la gamba in
uno strumento di tortura. Bada, gli disse Epitteto, che finirai col rompermela.
E siccome l’altro continuava e la gamba si ruppe di fatto, Epitteto si contentò
di aggiungere: Te l’avevo detto. Questo tratto d’insensibilità stoica fu tanto
ammirato, che più tardi Celso, l’avversario del Cristianesimo, apostrofava i
cristiani : Forse che il vostro Cristo, nel suo supplizio, ha mai detto niente
di così bello? Al che Origene, lo scrittore ecclesiastico che scrisse contro
Celso, rispose: Nostro Signore non ha detto niente, e questo è anche più bello.
Il giovane Epitteto, ancora schiavo, potè istruirsi e seguire le lezioni di
Musonio Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma, tentando anche lui l’insegnamento o
la predicazione morale, finché non fu obbligato a lasciare la città quando
l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto del 94 d. C. fece cacciare i
filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si ritirò nell’Epiro, a
Nicopoli, dove visse fin verso il 125, povero e senza famiglia, ma circondato
da molti discepoli, e venerato per la santità della vita, come maximus più
losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli che lo udirono, e per più anni,
fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu il più attento e il più
entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di avere dei gusti e uno spirito
affine a quello di Senofonte, volle essere un Senofonte redivivo, e, come
l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e i suoi Memoràbili: Epit-
teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni di lui (Storpipoi o
Xóyot) raccolti molto fedelmente da Arriano (in 8 libri, dei quali ce ne
rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già vecchio rivive
con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e del suo
insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto, Arriano
le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’, che nei
tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo Poliziano,
nel 1493; il testo originale fu pubblicato nel 1528, a Venezia. Non ho bisogno
di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi. Epitteto è anche
lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi o discuta i
fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche sistematiche, le
discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire sulle coscienze,
rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un letterato, che pure
mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità di scrittore, e si
compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue massime, le sue osservazioni, i
suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole applausi, non ha mai
pensato TO'*, C 1 1 " L 1 ^ y
h t,. :'yY £VsE S, àtàeXcpol Un primo documento di quest’attività
greco-ebraica è la traduzione greca della Bibbia, che si disse dei Settanta,
perchè secondo una leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti mandati dal
Sacerdote di Gerusalemme a Tolomeo Filadelfo, che voleva avere nella sua grande
biblioteca i libri di Mosè tradotti in greco, e questi 72 traduttori, chiusi in
tante camerette separate, senza poter comunicare fra loro, avrebbero tradotta
da capo a fondo, come per un’ispirazione divina, tutta quanta la Bibbia. Il
vero è che la traduzione rispondeva al bisogno della comunità ebrea di
Alessandria di leggere il libro suo nazionale nella lingua diventata oramai
comune nella colonia. La maggior parte non leggevano nemmeno più l’ebraico.
Questo libro si può considerare come il primo travasa- mento di idee giudaiche
in un contenente ellenico 1 ), ed ebbe una grande efficacia sulla propagazione
posteriore dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo. Un ebreo di Alessandria, che
in filosofia era peripatetico, Aristobulo è ritenuto da molti il primo
scrittore in cui apparirebbe una vera connessione di filosofemi greci con le
idee e le tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in
uno dei libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di
Saio- mone, che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C.
Ma il principale rappresentante di questa filosofia grecoebraica è Filone
ebreo.0 Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: FILONE EBREO 265
2. - riione nacque in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia
sacerdotale ch’era delle più ricche e ragguardevoli fra gli Ebrei di quella
città. Ebbe un’istruzione compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita
agli studi teologici e filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza
trascurare i legami col suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva.
Doveva godere di una grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e
per la sua eloquenza. Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di
un’ambasceria presso l’imperatore Caligola per chiedere la liberazione dei suoi
correligionari di Alessandria dalle persecuzioni a cui erano fatti segno.
Tornato ad Alessandria, scrisse egli stesso la relazione di questa ambasceria,
e morì forse verso il 50. Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni
degli scritti di Filone sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale
fosse io stato della colonia giudaica di Alessandria: gli altri sono per la
maggior parte un commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la
scienza greca e la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire la
verità con la semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata da
Dio nei libri santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato alla
meditazione, grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un culto per
Platone: egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla Bibbia, e
legge la Bibbia a traverso i concetti della filosofìa, la vede in quella gran
luce di verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione di elementi
così disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse possibile senza
un certo sforzo, il quale importava due cose: una finzione e un metodo
particolare 2 ). La finzione (in buona fede, s T intende) è che i filosofi
greci come Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i poeti più antichi come Omero,
Esiodo, avessero avuto notizia dei libri di Mosè e attinto dunque alla sapienza
ebraica: una finzione che si trova già in Aristobulo; ed era avvalorata da
alcune falsificazioni: si attribuivano ai poeti mitici come Lino, Orfeo, dei
versi di fattura posteriore. Il metodo è quello dell’interpretazione
allegorica, non inventato da Pilone, applicato già prima di lui fra gli Ebrei
alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli davano l’esempio. Pilone
distingue dapertutto un senso letterale e un senso spirituale o intelligibile,
e ritiene il primo come simbolo del secondo; la relazione tra i due è quella
che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio, Adamo è lo spirito (il vouc), e
il Paradiso è 1’^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel quale egli è messo per coltivare gli
alberi, che sono le virtù; la creazione di Èva significa il nascere della
sensibilità, e così via: quel metodo d’interpretazione allegorica che si può
dire fantastico e non critico quanto si vuole, ma che ha contribuito a
spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo ha cominciato col concepire Dio a
sua immagine e somiglianza, attribuendogli occhi e mani e voce e passioni
umane. A poco a poco il concetto del divino si spiritualizza. Per Filone, Dio
non solo non ha forma nè attributi umani, ma è al di là di ogni determinazione,
una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der Griechen.] assolatamente
trascendente, sia rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra
intelligenza alla quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza,
ma non possiamo comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di
cui si servivano gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione
aristotelica: l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa
denominazione in quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o
sum qui sum: èyw eijxt Ó wv. Dio dunque è l’essere universale, eterno,
immutabile, semplice, libero, pago di se stesso, assolutamente trascendente e
separato dal mondo. Ma d’altra parte egli raccoglie in sè tutte lo perfezioni,
e tutte le perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui. Egli è la
causa prima di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è una doppia
esigenza in questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio, e
quella dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma
possiede forze infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due
principali di queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si
uniscono nel Xóy oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della
creazione, e che si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o
la ragione cosmica di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo
principio del mondo, ma è a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo
verbo, l’intelligenza divina stessa iu quanto personificata, qualche cosa che
sta in mezzo tra la pura essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone
ha bisogno di potenze intermediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta
trascendenza di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze
intermediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un
architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di
Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze
generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali
degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il
mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le
isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella
diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio
e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione,
ma formula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in questa
mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova atmosfera
spirituale sta l’interesse e l’importanza storica di Filone. E che cosa è
l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo prendendo un
pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu fatto in anima
vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo è la creatura
di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere l’uomo
celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e sensibile.
Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna, è l’idea
dell’uomo in quanto uomo, di natura incorruttibile; invece l’uomo terrestre,
plasmato dal fango della terra, e non da Dio direttamente, ma dalle sue potenze
o ministri, è di natura sensibile, materiale, naturalmente mortale, capace del
bene, ma anche del male. L’uomo intelligibile è un riflesso diretto del Logos
divino, quindi possiede tutte le virtù che lo fanno simile a Dio. L’uomo
terrestre realizza solo in parte quest’idea, perchè l’anima, partecipe dello
spirito divino, si trova ad abitare in un corpo mortale, fatto di forze
inferiori. Di qui la doppia natura dell’uomo: egli si trova come al confine dei
due mondi, del mondo sensibile e del mondo intelligibile. Per esprimere questo
concètto Pilone riproduce a modo suo la distinzione aristotelica dell’anima
vegetativa, sensitiva e razionale; oppure la teoria stoica dello rnsOpa, che
pure conservando nell’espressione la reminiscenza del suo significato
materialista, si viene sempre più spiritualizzando: è lo spirito, il soffio
divino nell’uomo; soprattutto, si ricorda delle immagini platoniche che il
corpo è come una prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è
l’opposizione tra la parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è
l’uomo? Tutto per la sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per
la sua natura mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile
mescolanza di grandezza e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma anche capace
di male, miserabile, mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le
loro corolle verso il sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi
divini, elevarsi verso il cielo, ma questa sua libertà è come appesantita dal
peso del corpo. E qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? Il
restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a lui, il seguire la natura,
clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un nuovo significato. Pilone
combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il massimo impedimento alla
vita divina; accetta la formula stoica del seguire la natura, e distingue le
quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei quattro fiumi del
Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apatia, è insomma l’ideale del
saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per lui obbedire alla
volontà divina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si trova tutta quanta
nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La virtù dell’uomo è
un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il saggio riceve la
virtù come un dono della grazia divina, e un dono sempre rinnovato. In quest’
Etica teologica le quattro virtù cardinali ricevono il loro compimento nelle
virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita contemplativa, di cui
fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita attiva, che consiste
nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima, allontanandosi da Dio, s’è
legata in questa vita dei sensi, così essa può ritornare a Dio ; e l’ultimo
grado della perfezione umana è l’unione conDio, la deificatio, la visione
estatica. L’ uomo può sollevarsi al di sopra dei sensi, al di sopra delle idee;
e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così quest’unificazione con Dio non
è possibile mediante la conoscenza razionale, ma avviene per la grazia di Dio
che si comunica a noi, in una specie di rapimento eh’è in noi come il furore
dei coribanti, dice Filone con frase platonica; e i limite della felicità, la
più alta aspirazione dell’uomo è, mediante quest’estasi, il riposare in Dio: sv
jaóvcj) Osm axf;vai. Questa è nei suoi tratti fondamentali la filosofìa di
Filone ebreo, eh’è in fondo anch’essa una filosofia eclettica, in quanto profitta
di tutte le filosofie anteriori; ma è caratterizzata specialmente dal suo
carattere religioso e dalla mescolanza d’idee greche con idee o credenze
ebraiche. Le stesse tendenze religiose e mistiche, che abbiamo visto in Filone
ebreo, ritroviamo sul terreno greco in quel gruppo di filosofi che si sogliono
denominare Neopitagorici e Platonici eclettici più o meno pitagorizzanti, che
si possono considerare anch’essi come precursori e preparatori del
Neoplatonismo propriamente detto. L’antica scuola pitagorica, come un complesso
di dottrine, era estinta sin dal quarto secolo, al tempo di Aristotile; ma come
forma e metodo di vita, che si diceva appunto vita pitagorica, come disciplina
di pratiche morali pure e austere sanzionate da credenze religiose, il
Pitagorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra i quali abbiamo già nominato
i due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi cinquantanni che precedono
Péra cristiana e poi nei due o tre secoli che seguono, il Pitagorismo rinasce e
si diffonde: non solo si cercano i libri degli antichi pitagorici, ma se ne
scrivono anche degli altri,-che si attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi
seguaci: tutta una letteratura apocrifa, come i Versi d'oro di Pitagora, che
sono una serie di precetti morali, il trattato di Timeo di Locri a\\WAnima del
mondo, quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto, in parte, se non
interamente, i libri attribuiti a Filolao e ad Archita di Taranto, anche ad alcune
donne pitagoriche, come la famosa Theano e altre, perchè una delle specialità
dei Pitagorici era di avere un grande rispetto della donna. Sono opere dovute a
falsari di buona fede, i quali ri- spondendo ai bisogni del tempo, senza
nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le filosofie contemporanee o
anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee intorno a Dio, il mondo,
1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee sotto il patrocinio di un
nome illustre e autorevole: il bisogno di appoggiarsi a un’autorità venerata
era uno dei bisogni del tempo. La stessa leggenda di Pitagora si compie in
questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti meravigliosi: la sua vita diventa
un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce ne furono delle altre pubblicate
dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono appunto i Neopitagorici. Si
possono e si sogliono citare come rappresentanti di questo indirizzo un NIGIDIO
FIGULO (vedasi), eh’è nominato da CICERONE (vedasi) come rinnovatore del
Pitagorismo in Alessandria, Sozione, scolaro dei Sestii, che abbiamo pure
nominato, poi più specialmente Apollonio di Tiana, Moderato di Gades, e M-
comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura più importante e caratteristica
che possiamo prendere come rappresentante di tutto questo indirizzo è Apollonio
di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque sotto Augusto e visse fino agli
ultimi anni del primo secolo dell’e. v., e la cui efficacia si estende molto al
di là del tempo in cui visse. Più di un secolo dopo la sua morte, nei primi
decenni del 200, ne scrisse la vita un sofista di quel tempo, Filostrato di
Lemno, in una specie di romanzo che vorrebbe essere storico, a richiesta
dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di Settimio Severo, la quale era una
bella donna, originaria della Siria, ambiziosa e colta, che non solo faceva,
occorrendo, della politica, ma aveva il gusto delle lettere e della filosofìa,
e raccoglieva alla sua corte un circolo di persone istruite più o meno
illustri. In questo libro Apollonio è presentato come un tipo di perfezione
morale e religiosa, secondo i precetti della filosofìa pitagorica, come un
essere più che umano, non filosofo solamente, ma qualche cosa di mezzo tra la
natura umana e la natura divina. Ha una nascita meravigliosa e fa anche dei miracoli.
Cosicché è difficile, da questa vita dì Filostrato, sceverare la parte storica
dalla leggenda, quello eh’è stato realmente Apollonio da quello ch’è diventato
nell’immaginazione dei suoi ammiratori. Ce lo possiamo raffigurare come una
specie di riformatore morale e religioso che, dopo essersi istruito nella
filosofia e avere accettato quella di Pitagora o che passava per pitagorica,
esercita un apostolato predicando la conoscenza del vero Dio e il culto che gli
è dovuto. In un frammento di lui che ci è conservato da Eusebio, egli dice: «
Per onorare degnamente la divinità e rendersela propizia e benevola, non giova,
al Dio che diciamo primo e ch’è uno e separato da tutte le cose, offrir
sacrifizi nè accendere fuoco nè in generale consacrare alcuna cosa sensibile;
giacché egli non ha bisogno di nulla, e non c’è pianta che la terra produce nè
animale eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia.
Quelloche dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non
le parole che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli
esseri, il nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il
pensiero (il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di
sotto di questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali
è il sole, la più pura manifestazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza
divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale,
anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in
prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha
per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare
alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la sua
vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina sempre
più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a lavorare la
leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta da Apollonio,
nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo divino, la
personificazione vivente della perfezione spirituale e della potenza a cui può
giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è nato, pretendono
ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma afferma che venne al
mondo in condizioni straordinarie, dopo che sua madre ebbe appreso in sogno che
portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in persona. Dopo avere
abbracciata la vita pitagorica ed essersi formato nel silenzio per cinque anni,
viaggia per il mondo, in Oriente, in Grecia, a Roma, in Egitto, in tutti i
paesi allora conosciuti, conversa coi sapienti di tutti i paesi, istruendosi e
ammaestrando gli altri, preceduto da una gran fama e facendo delle cose
maravigliose. A Efeso ferma la peste facendo lapidare un vecchio mendicante, il
quale difatti non è altro che un demone camuffato, nel quale s’era incarnato il
flagello. Ad Alessandria riconosce istantaneamente in un corteo di condannati a
morte un innocente. A Efeso pure egli sa e annunzia la morte di Domiziano nel
momento in cui questo è colpito a Roma: un bel caso di telepatia. Non solo sa
delle cose sconosciute a tutti gii altri uomini, ma dispone di un vero potere
sugli elementi della natura: sulle rive dell’Ellesponto ferma i terremoti.
Parla tutte le lingue senza averle imparate, scaccia i demoni, si trasporta
istantaneamente a grandi distanze, s’intrattiene con le ombre degli eroi, fa
cadere i suoi ferri in prigione col solo prestigio della sua volontà, richiama
in vita una ragazza che passava per morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei
suoi discepoli perdutamente innamorato di una donna molto bella e ricca in
apparenza, ma ch’era in realtà una lamia, uno di quei cattivi demoni femminili
che si fanno amare dai giovani per poterli divorare a loro piacere. E non già
ch’egli sia un mago, uno stregone, che operi prodigi grazie all’intervento di
spiriti maligni; no, Filostrato si dà una gran pena per escludere questa
interpretazione. Apollonio fa dei miracoli in virtù della sua scienza superiore
e della sua cola unione con gli Dei; e per arrivare fino a questo punto quello
che occorre è una virtù austera, un’estrema purezza di costumi e l’osservazione
di una disciplina rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle cose più nascoste
all’uomo, predice l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua carriera si termina
aneli’essa in modo meraviglioso. La leggenda più diffusa intorno alla sua morte
racconta che, essendo andato a Creta vecchissimo, entrò nel tempio di Diana e
non ne uscì più. Si sentirono come delle voci di fanciulle che cantavano
nell’aria: lasciò la terra, salì al cielo. Dopo la sua morte, la città di Tiana
gli rese onori divini, e la venerazione di tutto il mondo pagano attestò
l’impressione lasciata negli spiriti dal passaggio di quest’essere
soprannaturale, che faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio abita fra noi J
). Questo carattere meraviglioso della vita di Apollonio ha fatto credere che
fosse intenzione di Filostrato e della sua ispiratrice di opporre una specie di
Cristo pagano a quello della Chiesa nascente, che guadagnava sempre più
adoratori. Per combattere il prestigio che la storia e l’insegnamento di Gesù
esercitavano di giorno in giorno non solo sulla folla, ma in tutte le classi
della società, avrebbero pensato di suscitargli contro un rivale in un
saggiopagano, che non solo operava miracoli come l’altro, ma che professava una
dottrina attinta alle più pure fonti della scienza ellenica. Ora la più parte
dei critici non credono a questa intenzione o tendenza del romanzo, nel quale
non si allude affatto e non si può dire che ci sia uno spirito ostile al
Cristianesimo. Il romanzo è piuttosto interessante innanzi q Cfr. .1. Réville,
La veli gioii (ì Home som ìes Sé vèr eh, Paris, Levous.] tatto per il fatto
stésso che, alla distanza di poco più di un secolo, la vita di un filosofo
neopitagorico come Apollonio sia potuta diventare materia di una leggenda
cosiffatta: è un documento interessante non solo di quel- V atmosfera
meravigliosa e della credulità in cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma
soprattutto di quella religiosità spirituale che tendeva a purificare e
moralizzare il paganesimo, e del bisogno che si sente di presentare l’ideale \
religioso come incarnato in una figura concreta, santa e beila di quell’ideale
stesso, e operatrice di miracoli, perchè avesse più presa sulle coscienze e la
forza di comunicarsi. Il saggio stoico o quello di Epicuro sono costruzioni
razionali che non bastano più: occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che
s’india, che rappresenta la natura umana divinizzata. A questo bisogno, a
quest’aspirazione religiosa delle anime, rispondono ora le figure di Pitagora e
di Apollonio. Del quale sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno
e l’altro sono uomini divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità
si è rivelata, i Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare
filosoficamente le loro credenze e le loro massime etico religiose, essi
mescolano alle idee pitagoriche concetti elaborati dalla filosofia posteriore,
platonici, aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della
loro speculazione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della
letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra
Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresentato dal
due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo tutto è
ordinato con numero e mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee, che sono
pensieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi numeri; e poiché
Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto realizzate da un essere
intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia preesistente, la quale pure
talvolta resiste a questa penetrazione delle forme divine; ed è nella materia
che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e del male nel mondo. Questo
dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima ha bisogno di purificarsi
con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare divina. È stato osservato
che in/queste speculazioni ora è accentuato il concetto monistico del principio
unico da cui tutto il resto sarebbe derivato; ora invece, e più spesso, prevale
la concezione dualistica del principio divino e di una materia originaria. Il
problema del male s’.è posto davanti alla coscienza religiosa e alla
riflessione filosofica, e l’una e l’altra s’affaticano a risolverlo cercando di
superare l’antitesi tra il divino e il suo contrario, tra il corpo o la materia
e le aspirazioni superiori dell’anima. Il problema in fondo era nato con la
distinzione platonica tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. E di
tutte le autiche scuole nessuna doveva sentirsi più vicina all’ indirizzo
neopitagorico della scuola platonica, per la ragione eccellente che Platone
stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi pitagorici, aveva finito col
pitago- reggiare identificando le sue idee coi* numeri, e speculando su Dio e
l’anima e la formazione del mondo materiale alla maniera dei pitagorici nel Timeo,
il quale Timeo era quel Timeo di Locri pitagorico, da cui Platone fa esporre appunto
la sua filosofia della natura nel dialogo che porta quel nome. Così è che V
indirizzo dei Neopitagorici si può dire continuato nel secondo secolo d. 0. da
un gruppo di Platonici eclettici, tra i quali, senza citare altri nomi,
possiamo ricordare due scrittori notissimi, Plutarco e Apuleio; e poi, per la
sua importanza caratteristica, Numenio di Apamea, che ora è detto pitagorico ed
ora platonico. PLUTARCO di Cheronea è Fautore celebre delle Vite parallele – la
seconda e di ROMOLO --, che hanno educato tanta gente all’amore della virtù e
dell’eroismo, e poi di una quantità di opuscoli che si sogliono designare col
titolo complessivo di Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista
principalmente, anche nelle Vite, ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e
piacevole: le sue opere sono una specie di enciclopedia, un repertorio di
notizie e d’idee su tutta l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira
in tutte le sue forme; e come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo
popolo e degli eroi antichi, così si assimila la scienza, la religione, la
morale dei padri, e se ne fa l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri.
Uomo religiosissimo, ha nella sua patria e a Delfo funzioni sacerdotali. Ama la
filosofia, e l’ha anche insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come il
più grande dei filosofi, ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da
quell’uomo istruito che è, e non nella filosofia solamente, ha qualche volta la
riserva prudente dei nuovi Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non
precisamente un sistema, ma una dottrina eh’è come il risultato di tutte le
dottrine anteriori. La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e religioso:
egli vuole mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei suoi miti e
nelle sue pratiche, interpretandola secondo principi filosofici, in modo cioè
che non faccia ostacolo a una concezione pura e degna della divinità. La
filosofia è la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino che i miti
contengono, togliendo le concezioni false e le menzogne che talvolta i poeti
raccontano. Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la superstizione,
quella ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura servile degli Dei: invece la
fiducia e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto. Combatte gli
Epicurei per il loro materialismo, ma combatte anche gli Stoici, che col loro
principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E qui apparisce
il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio delle cose nè nei
corpi senz’anima (negli atomi) come fanno Democrito ed Epicuro, nè nella
ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel primo caso non si capisce
come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel secondo caso non si
capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde viene il male? Non
dal bene, non da Dio certamente. E nemmeno dalla materia, come molti pensano,
perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il sostrato
indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per spiegare dunque
la cosa, bisogna ammettere che come c’ è un’ anima del mondo che realizza le
idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un principio o potenza
del male che esiste da tutta eternità col bene, il quale, benché superiore, non
può mai annientare quella potenza eh’ è Y origine e la causa di tutto ciò clie
v’ lia di disordine nel mondo, e rende conto della generazione del male. Il
motivo di questa speculazione è eliminare, di fronte alla realtà del male,
tutto ciò che può compromettere la purezza e la bontà di Dio, a costo di
compromettere la sua onnipotenza. Di qui im J altra idea affine e connessa con
questa. Dio è il principio del bene e governa il mondo con la sua provvidenza;
ma questa provvidenza non si esercita dilettamente da lui, ma per mezzo di
esseri intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto del Dio primo e
supremo, realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei celesti o
visibili, e al di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che vigilano e
governano direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce ne sono dei
buoni, ce ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina apparisce
inquinata e commista al male. Questa demonologia, clPè insegnata anche da
Apuleio, ed è una delle credenze più diffuse in quest’età, serviva non solo a
mantenere puro nella sua sublimità trascendente il concetto di Dio, ma anche a
giustificare in qualche modo tutte le divinità pagane, e le funzioni loro
attribuite, e i riti e gli oracoli e tutte le altre parti del culto che vi
erano connesse. E infine un’altra idea domina la speculazione religiosa di
Plutarco, quella di trovare a traverso la diversità dei miti e delle credenze
dei diversi popoli una verità fondamentale. A quello eh’ è stato detto il
sincretismo religioso, il mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteristico
di questi secoli, corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi, i quali
aspirano a formulare la verità religiosa comune ai diversi .sistemi e alle
diverse civiltà. Non ci sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi popoli,
non ci sono Dei barbari e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come il
sole e la luna illuminano tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il mare
esistono per tutti, nonostante la diversità dei nomi con cui si designano, così
vi ha una sola Intelligenza che regna nel mondo, una sola Provvidenza che lo
governa, e sono le stesse potenze che agiscono dapertuttó; solo i nomi cangiano
come le forme del culto; e i simboli che elevano lo spirito verso ciò eh’ è
divino sono ora chiari ora oscuri. Idee affini e tendenze mistiche anche più
pronunziate si ritrovano in Apuleio di Madaura, che anch’egli professa ed
espone il platonismo, adattandolo ai bisogni teosofici del tempo. Ma di tutti
questi filosofi eclettici del secondo secolo quello che segna più nettamente il
passaggio al Neo- platonismo è Numenio di Apamea: gli stessi Neoplatonici lo
considerano come il loro precursore immediato: lo leggono e lo commentano nella
loro scuola. Secondo Numenio, che visse verso il IfiO, la vera dottrina di
Platone era identica a quella di Pitagora; e questa filosofia egli la trova
d’accordo con quella dei saggi dei- fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei.
Egli aveva in particolare la più viva ammirazione per Mose, nel quale trovava
tutte le idee di Platone; di qui quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa
è altro Platone se non un Mosè che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo
come di Filone ebreo si diceva: o Filone platonizza o Platone fìlonizza.
Numenio conosce certamente Filone e adopera lo stesso metodo d’interpretazione
allegorica, e ha tendenze affini nella sua speculazione : cosicché qui il
sincretismo è completo: la tradizione orientale e occidentale si congiungono a
produrre la nuova filosofìa. Dei libri di Numenio, uno dei quali s’intitolava
intorno al Bene, ci rimangono dei frammenti interessanti conservatici da
Eusebio, e che si possono vedere nel 3° volume del Mullach, Frammenta
pliilosopliorum graecorum. Numenio si domanda: che cosa è l’essere, la vera
realtà? Non i quattro elementi, nè i corpi composti da essi, che sono realtà
mutevoli, cangianti, si trasformano, divengono sempre e non sono mai, come
diceva Platone; e nemmeno la vera realtà si può cercarla nel sustrato materiale
di tutti questi fenomeni sensibili, nella materia, la quale è qualche cosa
d’indefinibile e d’irragionevole (àXoyo?). Per conoscere la vera realtà bisogna
rivolgersi non al- 1’ esperienza sensibile, ma alla ragione. Per Numenio la
realtà è ciò che è assolutamente, l’ Essere increato e che non sarà distrutto,
l’Essere semplice e invariabile. Quest’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è
intelligibile (voyj-cóv), si può cogliere con la ragione solamente, non con la
sensazione o con l’opinione, come le cose periture e finite. Con questo Numenio
esprime la tendenza di tutto questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni
materialismo, non solo a quello degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici:
il bisogno di concepire la realtà ultima come una realtà spirituale diversa e
opposta a tutto ciò eh’ è corporeo. Da queste considerazioni metafisiche
Numenio ricava la sua dottrina teologica.
NUMENIO La quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in
questo: nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale,
senza connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un
Dio secondo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per
ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del
puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita
difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le
idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici
ponevano degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio
statuisce al disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in
certo modo quello che Platone identificava: il Demiurgo era per Platone, a dir
così, la funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo
essere divino, il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di
tutte le cose che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile
formando e ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia :
è come un pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi
sul cielo e 1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che
dirige mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio;
ma d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo,
il suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono
da lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere
loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un
Dio .TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il
primo Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice
(mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto
formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che insegna Numenio. ' Del
quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima
razionale e un’anima non razionale: queste due nature sono in lotta fra loro,
come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo
contatto con la materia, e tutte le incorporazioni dell’anima sono considerate
come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle anime; 1’
unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una colpa
commessa in una vita anteriore, prima della nascita in quel dato corpo. E l’aspirazione
suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la contemplazione o
l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui possono godere solo
quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione col corpo e coi
sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, formulate le idee e le
esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la trascendenza del
divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il mondo, la doppia
natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Origine divina, e
dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il bisogno
della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi con Dio:
idee e esigenze che troveranno la loro espressione più compiuta nella filosofia
dei Neoplatonici. La Filosofia greca finisce col sistema e la scuola (lei
Neoplatonici. Fondatore del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi e dagli
stessi Neo pi atonici Ammonio Sacca > alessandrino; nato ed educato da
genitori cristiani, sarebbe passato alla religione antica; e insegnò filosofìa
in Alessandria. Non scrisse nulla, e non sappiamo niente di preciso sulle
dottrine che professava: ci è riferito che secondo lui le dottrine di Platone e
di Aristotile, nelle cose essenziali, concordavano, si potevano ridurre o
fondere in una sola dottrina. La tendenza religiosa dell 7 uomo, oltre che
l’ammirazione che ispirava, si può concludere dall’epiteto di 0£o5iBaxToc, a
Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno. Ebbe, molti scolari: si citano
tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che non è da confondere col teologo
cristiano dello stesso nome, quantunque anche di questo è detto che passò per
la scuola di Ammonio; poi il critico e
retore Longino a cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime;
ma sopraffatti importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi
tre scolari principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di
non pubblicare nulla degl’ insegnamenti di Ammonio, probabilmente per non
profanarli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi
Origene, anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli
è diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed
espositore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati
gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino
e poi dei suoi successori. 2. - Plotino è di Licopoli, nell’Egitto. A 28 anni
si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei maestri eh’erano allora in
Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un amico, al quale s’era
confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è quello che cercavo; e
rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando conoscere nelle sue fonti
la saggezza orientale dei Persiani e degl’indiani, accompagnò l’imperatore
Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma questa spedizione riuscì
male; lo stesso imperatore vi fu ucciso ; Plotino potè appena salvarsi in
Antiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi rimase quasi fino
all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò sempre più numerosa.
Non tanto il talento della parola, quanto la profondità dei pensieri, la bontà
del carattere, la purezza e semplicità della vita gli attiravano la simpatia e
la venerazione. Era una natura mite e gentile, meditativo, tutto dedito
all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando parlava, e specialmente
quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelligenza sembrava brillare
sul suo viso e illuminarlo. Dovette esercitare una potente efficacia. Tra i
sxioi ascoltatori furono persone di riguardo, dei senatori e alcune donne
distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a morire, gli affidarono i loro
figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come a un depositario o un tutore
di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa era piena di giovanetti e di
giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a tutti i suoi obblighi, il che non
lo distraeva punto dalle cose intellettuali, ch’erano la passione della sua
vita. L’imperatore Gallieno e sua moglie, l’imperatrice Saloniua, lo ebbero in
grande favore, 27egli ultimi anni del filosofo fu ventilata pef un momento tra
lui e l’imperatore l’idea di fondare nella Campania una città filosofica sul
modello di quella di Platone, e che si sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non
se ne fece nulla. Le condizioni della sua salute peggiorata (soffriva di
un’affezione cronica dello stomaco) lo decisero ad abbandonare Roma e a
ritirarsi in una villa della Campania che fu messa a sua disposizione. Morì nel
270, a 66 anni, presso Minturno. Al medico, suo amico e discepolo, che venne a
vederlo, Plotino morente avrebbe detto : Ti aspettavo, prima di riunire quello
che v’ha di divino in noi al divino che è nell' universo. Tutte queste cose si
leggono nella Vita che ne scrisse il suo scolaro Porfirio, il quale comincia la
sua biografia con queste parole: Il filosofo Plotino, vissuto ai nostri giorni,
pareva si vergognasse di avere un corpo. Così pure egli non parlava mai della
sua famiglia e della sua patria; e gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un
busto. Un giorno che Amelio (un altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi
ritrarre, Plotino gli disse: Non basta di portare quest’immagine nella quale la
natura ci ba chiusi? Bisogna proprio trasmettere alla posterità l’immagine di
questa immagine come un oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo
soprattutto a Porfirio se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato
per molti anni dell’insegnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato
a mettere, in iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal
suo pensiero, lungamente e intensamente meditato, senza curarsi molto dello
stile e nemmeno dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole
che aveva. Verso la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti
con l’incarico di rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o
se ne potevano ricavare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi
ciascuno di nove libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse
Novene, sei Enneadi di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi
di Plotino, il libro fondamentale della speculazione neoplatonica, e uno dei
tesori della letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da FICINO
(si veda). Il neo-platonismo è una filosofia essenzialmente religiosa; il
motivo da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino,
il bisogno dell’ anima di sollevarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di
sentirsi una con l’essenza universale di tutte le cose. L’idea fonda- mentale e
dominante della filosofia di Plotino è che tutte le cose esistono in Dio,
emanano da lui e ritornano a lui; e questo non come una cosa solamente pensata,
ma sentita e vissuta in tutte le fibre dell’anima, con uno sforzo persistente
del pensiero di penetrare nei misteri di questa vita divina di se stessi e del
mondo. Il punto di partenza e il presupposto di questa speculazione è la
distinzione platonica tra le cose sensibili e la realtà intelligibile, la
realtà delle idee. È una distinzione che può essere pensata in una maniera
sobria, senza nulla di mistico. Tutti in fondo viviamo in un mondo ideale, nel
mondo delle idee, quando parliamo di verità, di giustizia, di virtù, di
bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il mondo naturale, si può considerare
come una realizzazione d’idee. Questo insegnava Platone e questo insegnava
Aristotile. Ebbene, secondo Plotino, bisogna elevarsi ancora più in su. Le Idee
sono una realtà derivata, non sono la prima realtà. Il principio di tutto ciò
ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è al di là di ogni molteplicità e di ogni
determinazione. Le cose che noi vediamo e che possiamo pensare sono molte, ma
tutte queste cose non potrebbero esistere se non avessero la loro radice prima
nell’Uno da cui procedono e che le tiene insieme. L’unità è la condizione di
ogni molteplicità non solo nei numeri, ma anche nel mondo dell’essere; senza
un’unità suprema incondizionata nessuna cosa esisterebbe, e il mondo si
risolverebbe in un caos senza consistenza e senz’ordine. Plotino chiama questo
primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che esclude ogni molteplicità, e gli
nega pure ogni determinazione o attributo, perchè* definirlo in qualche modo
sarebbe un limitarlo, farne una cosa piuttosto che un’ altra. Si può dire
quello che non è, non quello che è: senza limiti, infinito, senza forma nè
qualità. È una realtà assolutamente trascendente, rcàvawv, al di là di tutte le
cose : una realtà a cui nessun concetto e nessuna parola è adeguata. Questo lo
diceva anche Filone ebreo, il quale però, educato sulla Bibbia, non poteva a
meno di concepire Dio come persona. Secondo Plotino, non si può attribuire a
Dio, alla realtà prima e assoluta, nessuna delle proprietà della persona: nè il
pensiero nè la volontà: il pensiero suppone la dualità di soggetto e oggetto e
la molteplicità delle idee pensate; la volontà suppone un’attività rivolta a un
fine: saremmo sempre nel campo delle realtà derivate, della molteplicità, della
differenziazione. Ogni attributo dunque,) personale o non personale che sia,
bisogna negarlo di lui.^ Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di
supremamente reale e di supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua
trascendenza assoluta al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose
pensabili, non è per diminuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza
dell’essere non sarebbe compatibile con una limitazione o determinazione
qualsiasi. / Si può dire solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e
causalità assoluta di tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non
come un attributo intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come
il fine ultimo a cui tutte le cose tendono. È insomma l’Ineffabile. Un filosofo
italiano *) (liceva: * : l’Innominabile Reale. E voleva dire: la vita, il mondo
è j un grande mistero: tutte le cose elle noi vediamo e che I pensiamo
accennano, sono l’indizio di una realtà suprema che ci supera, ci trascende :
possiamo affermarla, non nominarla. Questo è l’Uno di Plotino. Rimane a sapere
come procedono gli effetti di questa causalità originaria. Bisogna escludere
innanzi tutto ogni idea di divenire nel tempo, come se prima esistesse l’Uno e
poi le altre cose ; no, non si tratta di raccontare una storia di eventi che si
succedono ; e più specialmente non si può ammettere che le cose procedano dall’
Uno in seguito a un atto di volontà, a una decisione intenzionale, come se
l’Uno fosse una persona che pensa e delibera : dunque niente creazione, nel
senso ebraico e cristiano. E Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la
sostanza divina, come un fuoco sottilissimo, si comunichi alle cose derivate,
permeandole come il miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è
una sostanza che si possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea
Plotino è obbligato a servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua
natura che il primo juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad
esse. Come ogni essere vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un
altro simile a sè, così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili
benché inferiori. Dalla pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso
delle q Antonio Tari, professore di Estetica nell’ Università di Napoli.
esistenze derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice,
come dal sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo
senso la più chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della
luce divina. Non è dunque nè creazione nè spartizione della sostanza divina, ma
emanazione, intendendo per emanazione non una diffusione che diminuisca la
sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure rimanendo
integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono
pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui,
mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma
le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di
tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa
finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente
s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per
Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il
mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina
da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dinamico o
emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la
riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più
debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando
s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e
continuata dell’Uno, le esistenze, derivate si dileguerebbero. Esse hanno in
lui la loro consistenza, ma ogni nuova emanazione, pur partecipando del- l’Uno,
è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via meno perfette a misura che
s’allontanano dalla causa prima e aumentano i termini intermediari: la luce
proiettata dall’ Uno impallidisce via via fino a sembrare come dileguarsi nelle
tenebre del non essere, della materia bruta. Si direbbe un’evoluzione a
rovescio, non dalle forme meno perfette alle più perfette, ma al contrario, una
degradazione progressiva del divino, un allontanarsi sempre più della luce
dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di questa emanazione 1 ? Prima e
immediata emanazione dell’Uno è l’intelligenza o il vou?, s’intende l’Intelligenza
universale,, la Mente divina con le sue idee (il Logos che diceva Filone, e che
anche per lui era il primogenito di Dio) : il mondo delle Idee dunque, le quali
contengono le ragioni seminali di tutte le cose, terre, mari, fiumi, animali,
piante, individui, cosi come possono esistere nella loro essenza, ab eterno:
l’Uno, senza cessare di essere l’Uno, si è come enucleato in questa
molteplicità delle Idee, che costituiscono il mondo intelligibile insieme con
la Mente che le pensa. E come dall’Uno emana l’Intelligenza o il voOg, così da
questo emana il principio della Aita cosmica, l’Anima universale, l’Anima del
mondo, che da una parte guarda alle Idee, e dall’altra come Natura le attua
nello spazio e nel tempo generati da essa, le attua nel mondo sensibile; sicché
l’Anima, come il secondo Dio di Numenio, è, si può dire, al confine dei due
mondi, del mondo intelligibile di cni essa è l’ultima emanazione, e del mondo
dei corpi che emana e eh’è formato da essa; e l’ultimo termine di questa
processione è la materia o il sustrato materiale dei corpi, la materia senza
forma, in cui la luce divina si estingue in qualche cosa di opaco e di oscuro.
Cosicché avremmo come una gerarchia di esistenze che, in ordine inverso a
quello che abbiamo detto, andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono la
fantasmagoria del mondo sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al-
l’Intelligenza o Ragione universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo
riceve la luce dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa
dall’Uno: così tre sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso
stesso invisibile agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare
perenne della luce che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima
costituiscono insieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo
sensibile; e sono dette con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che
nominate a una a una sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che
sono stati paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza
essenziale che nel mistero cristiano le tre persone sono uguali in perfezione e
costituiscono tutte insieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un solo
Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono persone, ma
gradi della realtà: il mondo procede direttamente dall’Anima e mediatamente
dall’Intelligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna escludere da questo
processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure bisogna escludere ogni idea
di spazio, come se si trattasse di un edifizio a tre piani, di cui il mondo
PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come il pian
terreno. No, sono tutte rappresentazioni in adeguate. Si tratta invece di
comprendere V universo, nella sua unità, come la manifestazione di un principio
divino unico che si manifesta come Intelligenza e come Anima, come Intelligenza
in quanto il mondo lia un contenuto razionale che sono le Idee che vi sono
realizzate, come Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza
generatrice e formatrice che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose
che esistono; e così l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come
l’irradiazione o l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e
sussistono esse stesse e tutte le cose; e l’ultimo termine di questa
produzione, il polo estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva
dell’Uno è la materia, che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è
materia animata e formata dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra
dell’Anima e della Mente di cui porta in sè impresse le tracce. Dopo questa
veduta sommaria, fissiamo più particolarmente la nostra attenzione su l’Anima,
che, come dicevamo, si trova al confine dei due mondi, del mondo intelligibile
e del mondo sensibile: li separa e li unisce partecipando di entrambi. In
quanto emanazione o espressione dell’Intelligenza, l’Anima contempla in essa
le-Idee, e sono queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo dei corpi. Si
potrebbedire che ha una doppia funzione, una rispetto all’Intelligenza da cui
riceve o riflette o rispecchia le Idee, l’altra rispetto al mondo dei fenomeni
che si genera da essa, e nel quale essa imprime le Idee, che diventano così le
forme o ragioni seminali delle cose. Per esprimere questa doppia funzione
Plotino ne parla talvolta come fossero due anime, una superiore e l’altra
inferiore, 1’Afrodite celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è insomma la
filatura (cpuaic;), eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j principio della
vita universale, come forza creatrice, la cui \ attività non rimane nella sua
semplicità originaria : pur [essendo semplice e indivisibile in se stessa, la
sua attività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo corporeo, allo
stesso modo come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica in tutte le
sue parti. Con questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di estraneo, di
diverso essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si potrebbe dire
una sua esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica) che con la sua
espansione genera lo spazio, e con l’azione successiva delle sue potenze genera
il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima, un’emanazione
umbratile di essa, ma è essa che lo illumina della sua luce. Di qui
quell’espressione così caratteristica in Plotino, che non è l’anima ch’è nel
corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento dell’anima,
ed è tenuto insieme, animato, unificato dall’anima che lo produce e lo avviva
tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto l’universo.
Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il mondo dei corpi
è un’ombra o riflesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima, ma un prodotto
dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui essa è ministra.
Per questa, a dir cosi, incidenza del mondo corporeo nelle potenze spirituali
da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è penetrato
d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. PLOTINO: l’anima e il mondo
sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è più
un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita
latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma,
nell’acqua che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua
fecondità inesauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi celesti, i
corpi degli animali e delle piante, fino alla più grossolana materia delle cose
terrestri. È una vita infinita diffusa per tutto l’universo: lo spirito
animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue specie e
nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più perfetto
al meno perfetto; e nelle creature inferiori c’è come la traccia o il ricordo e
quindi l’aspirazione e il presentimento delle forme superiori; e tutte queste
vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unificano pnre nel juincipio
unico da cui emanano. Come l’Intelligenza, pure essendo una, contiene in sè
tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole anime, tutte
le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte
individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni
diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro
comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può
illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa
molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante
l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri realizzano la stessa
vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa
armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che
ricircola rimanendo identica a se stessa in tutte le parti e forme del mondo,
Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era
trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la
tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora,
l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a
considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la
materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la
realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi
aspira a liberarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espressione
nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso
del mondo ideale, è una manifestazione dell’Anima, penetrata d’intelligenza e
d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino
combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno
del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un demiurgo
cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il mondo
sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto di
materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza
infinita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo
dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta
dei contrari sono subordinati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e
armonia, ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione
fìsica o meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità dell’Anima e
dell’Intelligenza che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di
natura di tutti gli esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli"
- San Pietro Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e
l’armonia del mondo, e scrive una Teodicea per difendere il concetto della
Provvidenza. Tutto è bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri
anche quando si divorano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione del
rinnovarsi perpetuo della scena della vita. Sì, è necessario eh’essi si
divorino: è come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto
morire, va a cangiare di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire
che non era morto realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire
è cangiare di corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte:
che cosa c’è di spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli
altri? E così, morire nella guerra, nella battaglia, è anticipare di ben poco i
colpi della vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto
altra forma. Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste
violenze, pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della
vita, non è l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore
che geme e si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le
cose dal punto di vista dell’eternità, si consola facilmente di questo
spettacolo, ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo
Plotino afferma che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo,
e scrive del Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone
alcuni dei concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità
tutta la concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può
dire religiosa e estetica insieme. Data quell’animazione e spiritualizzazione
dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso
dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la
bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sensibile
come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la
vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale,
d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto
fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli oggetti
belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le Idee
produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il
sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la
bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e
questo sentimento non sarebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la
bellezza, se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di
Plotino, che vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della
bellezza, quelle che si sollevano sulle cupidigie e i desiderii inferiori, che
sanno guardare con occhi sereni, con una contemplazione disinteressata, le cose
belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la bellezza nella
tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla sua statua,
finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu scolpisci e cesella
la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in essa di torbido,
perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza è un mistero che
non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione solamente, ma amore.
plotino: l’anima umana Il che vuol dire che al di là di essa c’è qualche altra
cosa. Al di là della forma bella, o per meglio dire a traverso di essa, traluce
qualche cosa di cui essa è lo splendore: ed è il Bene a cui l’anima aspira.
Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene che l’anima aspira ad
unirsi. Come tutte le cose che esistono, anche l’uomo ha la ragione della sua
esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne deriva, ma ci vive dentro, non
ne è separato, anche durante la sua esistenza terrena. Ogni anima deve
considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di quell’Anima che ha
prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri divini, il sole e il
cielo immenso : è essa che ha dato al cielo la sua forma e che presiede alle
sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i viventi, le piante
e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare. Tutte le anime
individuali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è insomma lo stesso
principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi diciamo la
nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,, come quella
che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua esistenza non
comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è un aggregato di
atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sottilissimo igneo o etereo,
come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo, entelechia o forma
di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia risultante dalle
relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici. Plotino discute
e rifiuta tutte queste ipotesi, per concludere die fiamma non Ita bisogno del
corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e separabile dal
corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue facoltà, la
sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non sarebbero
possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato di
molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un soggetto
semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose
corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più
compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono
stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi
essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che
sono nelfiuniverso, l’Anima, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche in
noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il
quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza
discorsiva, che procede per via di ragionamenti, ma anche quella forma
superiore di essa che intuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque
che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza,
l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il
cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl
compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza,
siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e
sussistiamo in lui l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un
corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa
specie di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con
l’immaginazione, ; come del resto faceva anche Platone, quando parlava di una
caduta delle anime che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime celesti
che rimangono pure da ogni - contatto corporeo e beate nella contemplazione
delle Idee' eterne. Ma ce ne sono delle altre, che siamo noi, le vere anime
umane, le quali si sono rivestite di un corpo, e sono discese in un grado di
esistenza inferiore. Come l’Anima universale procedendo nelle sue emanazioni
avviva il corpo intero dell’universo, così alle anime particolari è devoluta
una parte determinata del mondo corporeo ; il che si può anche intendere come
una legge provvidenziale, perchè il mondo intelligibile da cui le anime
derivano manifesti ed esplichi tutte le potenze eh’esso possiede. L’anima
particolare, sviluppando le sue potenze sensitiva e vegetativa, entra in un
corpo, o a dir meglio, se ne riveste, se lo forma vivificandolo e governandolo.
{Si potrebbe forse rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante quando nel XXV
del Purgatorio descrive il formarsi delle ombre: la virtù informativa raggia
intorno e suggella di sè la materia corporea che le si condeusa intorno o
eh’essa irradia da sè). Ma comunque si voglia immaginare la cosa, e a parte
qualunque mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa qui, in questa
discesa delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi dell’anima individuale
dalla sorgente di ogni vita, la volontà dell’esistenza individuale, che finisce
col diventare un’esistenza separata, e dimentica della sua origine e dei legami
che la congiungono col tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il
principio della V a Enneade) — come accade che le anime dimentichino Dio, il
loro padre? Come accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da Dio,
esse lo disconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è
l’audacia o l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se
stesse. Da quando hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente,
usando largamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono
avanzate nella strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un
tale allontanamento da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % vita a cui l’uomo può e
deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera
virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna
dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione,
una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col
corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più profondo della
dottrina della metempsicosi, che anche Piotino accetta come Platone e i
Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi
recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è
punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo
giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi
alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri
dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è
di sua natura immortale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha
abusato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue
ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro
volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima
è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiventare uomo o animale
o anche pianta, secondo i suoi meriti e gli atti che ha compiuti in una vita
anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si purifica,
espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste da cui è
discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche ascetiche o
mortificazioni, ma facendo si che l’anima non diventi prigioniera delle
passioni del corpo, non s’abbandoni ai fantasmi dell’immaginazione, non si
estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre più verso quella realtà
intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo punto di vista anche le
virtù cardinali o civili acquistano un nuovo significato : diventano virtù
purificative, orientano l’anima verso quella realtà superiore, facendo che
l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte le sue azioni e i suoi
sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e pratiche vale la virtù
contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo stesso mondo sensibile può
avere valore per il nostro perfezionamento quando sia appunto oggetto dì con- «
templazione: qui vengono a confluire quelle due correnti d’idee che dicevamo:
l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al mondo ideale, e la perfezione
e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in quanto riflesso delle Idee.
L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi può pervenire se non mediante
la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le apparenze del mondo sensibile
possono servire di gradini, di scala per sollevarsi fino a quel mondo
superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che sono per Plotino la musica,
l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto l’armonia, l’amore ha per
oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la verità. Il musicista si
lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello ; ma bisogna che delle
impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere timido è risvegliato al
più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla bellezza delle voci e
degli accordi ; egli rifugge da tutto ciò che gli sembra contrario alle leggi
dell’armonia, e ricerca il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma
bisogna che dopo queste intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente
sensibili, egli impari a conoscere le proporzioni e i rapporti intelligibili
che sono l’idea e il principio stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira, e
ammirando le quali egli possiede come istintivamente delle verità che solo una
scienza più alta potrà rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e
dicemmo già come l’anima diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il
lampeggiare delle Idee nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei
gradini da salire, e bisogna che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee
alle Idee ch’esse esprimono, e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee,
nelle scienze, nei prodotti spirituali dell’attività umana, nella virtù, finché
non giunga a quel pelago ampio del Bello di cui parlava Diotima nel Convito
platonico. Perché la stessa commozione profonda e trepida che noi proviamo di
fronte alle belle forme e a tutte le cose belle, ci dice che al disopra di esse
tutte c’ è una bellezza superiore, di natura puramente ideale, quella del Bene
che le illumina e le colora della sua luce. Quanto al filosofo, dice Plotino,
egli è naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile. Vi si slancia
portato da ali leggiere, senza aver bisogno, come i precedenti, d’imparare a
liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a intravedere la
verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e nella sua
essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a turbarne o oscurarne
la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e commenta
quelle verità che il musicista e ramante intravedono solo confusamente e come
per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelligibile, concesso
è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che siamo giunti
all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al disopra di ogni
riflessione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni distinzione di pensante e
di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato veramente incitabile, nel
quale l’anima individuale si annega e si perde, come illuminata dalla luce
divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può chiamare nemmeno visione,
ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un abbandono di sè, una perfetta
quietudine, infine un confondersi con ciò che si contempla. Come l’amore non si
contenta della visione, ma aspira all’unificazione intera delle anime, così
l’anima umana aspira a congiungersi con l’Uno, col Bene, col principio di ogni
realtà, e vi riesce qualche volta quando nel più profondo raccoglimento dalle
cose esterne, al di là di ogni pensiero, nella più profonda pace, aspetta di
essere illuminata dalla luce divina, nega la sua finitudine, e come rapita e
fuori di sè, essa stessa s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una
visione beatifica, ma con l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il
tempo che furono insieme, aveva provato questo stato di suprema beatitudine
solo quattro volte, ed egli stesso, Porfirio, una sola volta. Cfr. YachehoTj
Histoire oritique de l’école d’Alexandrìe. La filosofia di Plotino, per i
concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di tutta la
speculazione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma da
Aristotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha
imparato anche dalle filosofie ch’egli combatte; e mentre riassume il passato,
contiene idee, intuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il
motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle
concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno
metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro
compito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le
leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne
sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella saggezza
pratica, che basta a condurci nella vita ; ma cerca di esprimere e di appagare
i bisogni più profondi dello spirito o di alcuni spiriti che non mancano mai in
nessun tempo; il bisogno di liberarsi dalle inquietudini e dalle limitazioni di
questo oscuro viaggio della vita, di trovare la pace e la beatitudine in una
realtà superiore. Di questo slancio, di quest’aspirazione verso il divino,
Plotino è rimasto uno degl’interpreti più eloquenti; e la sua efficacia è stata
grande a traverso i secoli, in S. Agostino e negli altri Padri della Chiesa,
nei mistici del Medio Evo, poi massimamente nei nostri filosofi del
Rinascimento, in Malebranche e Spinoza, più tardi nei poeti e filosofi del
Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni. Intanto non bisogna dimenticare
che questa filosofia neoplatonica si produceva in un’età di fermentazione
religiosa, tra spiriti sitibondi del soprannaturale, in un’atmosfera satura di
superstizióni, in mezzo a quel sincretismo di tutte le credenze e di tutti i
culti del mondo antico, fra cui si preparava la fede dell’avvenire: bisogna
tener conto di questo fondo storico, in cui il Neoplatonismo s’è formato, per
intendere la sua storia posteriore e le sue trasformazioni. Nel tempo stesso in
cui il Neoplatonismo era insegnato e si diffondeva nell’impero romano, la
Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a organizzare, cercava essa pure di
definire i suoi dogmi, superando i contrasti che si producevano nel suo seno;
creava un corpo di dottrine, le quali fissavano, di fronte alle opinioni
dichiarate eretiche, il contenuto della nuova coscienza religiosa: nasceva così
la teologia cristiana, una filosofìa del Cristianesimo, la quale utilizzava
anch’essa a modo suo i concetti della filosofìa greca, specialmente quello del
Logos, che finisce con V identificarsi col Messia come il mediatore vivente tra
Dio e l’uomo; si assimilava questi concetti modificandoli e incorporandoli nel
sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai progressi sempre crescenti del
Cristianesimo, clie ai principi del quarto secolo trionfa con Costantino, e
finisce col diventare la religione dello Stato, il Neoplatonismo, per gli
spiriti non persuasi della nuova religione ft rimasti fedeli alla tradizione
pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di una teologia del politeismo :
si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di ristaurare, legittimare e
ridurre a sistema tutte le divinità e i culti dell’antica religione. Il
Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del paganesimo, e non solo come un
sistema di dottrine destinate a spiegare o risolvere come che sia i problemi di
Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come il puntello dell’antica religione
pagana, con tutti i suoi Dei e le sue pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei
particolari di quest’ultima parte della nostra storia; basterà ricordare i nomi
principali. Fra gli scolari diretti di Plotino il più importante è Porfirio, al
quale dobbiamo la redazione e la pubblicazione delle Enneadi, e che continua la
dottrina del maestro esponendola con chiarezza e brevità in quelle Sentenze
d’introduzione al mondo intelligibile (’Acpoppori Ttp&s Tic vorjTa), che si
trovano molto utilmente premesse all 'Enneadi nell’edizione Didot. Scrisse
molte altre opere, tra cui una in 15 libri contro i Cristiani, andata
naturalmente perduta. È anche studioso e commentatore di Aristotile; e un passo
diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle Categorie di
Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la differenza,
il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle controversie
medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito, che vorrebbe
riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni più grossolane,
predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda anche delle
pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella salute
dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pratiche e religiose della scuola,
e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in lui è
vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore immediato
della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di Porfirio,
avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un sistema di
credenze religiose: l’interesse teosofico prevale: la filosofia diventa ancella
della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in Calcide nella
Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi di Costantino.
È riguardato come il fondatore di una nuova scuola, della scuola siria del
Neoplatonismo: ebbe molti discepoli, entusiasti di lui, che lo riguardavano
•come un uomo straordinario e divino, dotato di potenza occulta e miracolosa.
Giamblico intraprende una ricostruzione filosofica del Panteon pagano, nella
quale entrano gli Dei greci e romani e le divinità orientali, tutte all’infuori
del Dio cristiano. E alla credenza in tutta questa moltitudine di Dei si
aggiungono le pratiche del culto : alla virtù e alla contemplazione, ck’erano
per Plotino i mezzi con cui l’uomo si solleva al divino, si aggiunge o
piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè l’arte di esercitare un’azione sulla
volontà degli Dei per renderseli favorevoli, di far discendere in sè il divino
per mezzo di pratiche esterne, riti, preghiere, con la virtù di formule
simboliche, che ci riedificano nell’unità primitiva da cui siamo usciti. Le
formule filosofiche diventano pretesto à stravaganze magiche e spiritiche.
Com’è stata possibile la degenerazione di una così nobile filosofìa, concepita
con tanta energia speculativa e animata da una così pura fede e aspirazione al
divino? Pur troppo il Neoplatonismo portava in se stesso, e già in Plotino, i
germi di questa degenerazione: innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la
tendenza a trovare, con interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure
tradizionali degli Dei il simbolo dei diversi momenti dell’emanazione del
divino. Plotino stesso nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del
vou* e dell’Anima; e simboleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e
quella terrena. Se si prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i
termini si moltiplicano, si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale
non si contenta delle tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che
s’identifica col Bene, ammette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal*
quale deriverebbe il secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva
semplicemente il vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e
poi il mondo intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divisione continua quando
si passa all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno di
questi termiai poi si tripartisce e si moltiplica in diversi momenti, a ognuno
dei quali corrisx>onde una persona divina. Così, abusando del metodo delle
ipostasi e dell’interpretazione allegorica, Giamblico trova da collocare una
quantità di divinità sopramondane, celesti e terrestri, genii e demoni d’ogni
specie, che sarebbero i termini intermediari tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi
quell’idea dell’animazione universale, e della simpatia o affinità fra tutte le
cose, che contiene una verità profonda, ma che per menti non disciplinate da
nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze magiche e alle pratiche
teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste esagerazioni superstiziose, non
è possibile disconoscere l’antica fede ellenica che tutto è pieno degli Dei,
eh’è il motto attribuito a Talete, il primo filosofo. Così il Neoplatonismo
uscì dalla scuola e volle agire sulle coscienze, quasi contrastandone il
dominio alle nuove credenze. Non fu solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo
tentativo dell’Ellenismo per difendersi da quella religione di barbari, che col
suo Dio unico negava tutti gli altri Dei. E si fece campione di questa
restaurazione dell’antica religione dei padri, in nome della filosofia,
Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361 al 363, morto a 32 anni, che, educato
da maestri greci, s’era nutrito dell’antica cultura ellenica, e poi aveva
dovuto subire la disciplina e l’edu¬ cazione cristiana; e contro il
Cristianesimo si ribellò prima secretamente,' poi, diventato imperatore,
apertamente, at¬ taccandosi sempre più all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬
laro degli scolari di Giamblico. Giuliano, da vero greco, adorava il sole,
principio di Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli
vedeva V immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non
possono cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei
intelligenti. Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli
costruiva il mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono.
Giuliano è stato dqtto un romantico sul trono dei Cesari, perchè aveva gli
occhi rivolti indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione
di un passato diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse
fare seria¬ mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa
differenza: che il Neoplatonismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto
con l’anima popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari
; il Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente
organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura
storica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente,
ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i
dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica
del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle
diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza
è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità
divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso
per un processo fìsico o logico o metafìsico, ma come un atto della sua
volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa • è
la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un altro :
la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che risolve
il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o
nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà,
della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1
redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione
è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del
figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t
gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente.
Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di
efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità,
combatterà fino all’ultimo questo concetto dell’Incarnazione, di un Dio fatto
uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo
concetto di un Dio redentore che ha una virtù di simpatia e di consolazione per
milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti solamente, ma
a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto, purché credano
nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui si ha
veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono, ritornare
in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa liberazione
con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di Plotino, mediante
la dialettica e l’amore delle cose belio e l’unione estatica con Dio, si vedrà
la differenza. Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava bisogni che non poteva
appagare. Agostino nelle Confessioni dice: Ho letto nei libri dei Neoplatonici
la dottrina del Verbo, ma non ci ho letto ch’egli è diventato uomo, e ha
abitato fra noi, ed è morto pei peccatori, perchè tutti quelli che gemono e
soffrono venissero a lui e ne fossero consolati. 3. - Tuttavia il
Neoplatonismo, nelle sue parti migliori, rappresentava pure una grande
tradizione di scienza e di cultura; e si capisce come spiriti non volgari se ne
lascias- sero attrarre. t E una pura, nobilissima e innocente vittima delle
lotte religiose, nelle quali la filosofìa antica finirà con l’essere vinta e
con l’estinguersi, è una donna : Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad
Alessandria da Teone, ch’era celebre matematico e astronomo. Eu educata e
istruita dal padre nelle scienze in cui egli era maestro, ma il vivido ingegno
della giovinetta cercava altro alimento, e studiò con passione la filosofìa.
Dicono anche che andasse a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è certo è che
nella sua città essa diventò celebre, ammirata, e rispettata da tutti. La
natura le aveva largito tutti i doni, quelli dello spirito e una bellezza non
comune. Fu messa a capo della scuola neoplatonica di Alessandria, ed essa
v’insegnava Platone e Aristotile, tutte le discipline filosofiche. I titoli di
alcune sue opere sono d’argomento scientifico, il che nella penuria di altre
notizie ci permette di supporre che con la sua forte cultura essa si tenne
lontana dalle stravaganze degli altri Neoplatonici,e che s’erano raccolte in
lei le migliori tradizioni dell’ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le
strade di Alessandria tutti si voltavano a guardare la bella persona quando
passava con semplicità e sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e
conversando con quelli che fi accompagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli
ascoltatori, non tutti probabilmente per imparare la filosofia. Della sua
eloquenza ci è detto eh 7 era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un
suo scolaro s 7 innamorò di lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile
donna cercò di calmarlo, sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi-
derii non degni. Pur troppo noi non la conosciamo altrimenti che da quello che
ne dicono i suoi contemporanei. Il vescovo Sili esio, ch’era stato suo scolaro,
e le rimase amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che
le scrive e che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le
manda i suoi libri prima di pubblicarli per averne consigli. E nVN Antologia
c’è un epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa
quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as,
Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua
parola; come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa
tutta di cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro
purissimo di scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce
con una tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le
discordie fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o governatore della città,
Oreste, non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo
partito: spesso scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco
non avevano altro che'l’abito: erano dei malfattori che venivano a pescare nel
torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le
domandava consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola,
rimaneva estranea a tutte queste contese, e nessuno degli storici nemmeno
ecclesiastici formula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo
dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul governatore, impedendogli
di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione e il suo
insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m partito
dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun partito.
Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre Ipazia
tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla furiosa, e,
come racconta Io storico Niceforo, la strapparono dal carro, la portarono in
una chiesa, e ivi spogliatala delle vesti l’uccisero, la fecero in pezzi e
andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron. Col martirio della vergine
pagana si estingue la scuola neoplatonica di Alessandria. Ma riapparisce nel
quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola. La Filosofia ritorna per morire
nella sua patria antica, alla città di Socrate e di Platone; e allo studio di
Platone congiunge quello di Aristotile, come già s’è visto in Plotino, in
Porfirio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno studio del prof. Faggi
nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof. Pascal nel voi. Figure e
caratteri . -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore
di questa scuola ateniese è Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui
succede Siriano, e poi Proclo, eh’è il più celebre e il più importante. Proclo
era nato a Costantinopoli. È un dialettico sottilissimo, ebe al bisogno di
sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni, alla potenza
degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e insegnando. I
suoi discepoli credevano sentire in lui la presenza di un Dio. Un giorno, uno
.che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto attorno al suo capo un’aureola
divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a Platone e un ’Istituzione teologica
} che si può vedere nell’edizione Didot di Plotino. La sua opera consiste
essenzialmente nel ridurre a sistema tutta la sapienza anteriore. La filosofia
di Aristotile è considerata come l’introduzione a quella di Platone, i piccoli
misteri che precedono i grandi; e il fondo della dottrina è quello neoplatonico,
Proclo dimostra metodicamente come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno
derivano i molti, mediante un processo dialettico che comprende tre momenti :
ogni prodotto, da una parte somiglia alla causa che lo produce, e dall’altra se
ne distingue, e pure distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o
immanenza, TipóoSoc o progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti
di questo processo. Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emanazione o
sviluppo dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le
sfere dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’ introduzione
di Loia a eco (Lanciano, Carabba). fino alla materia, triadi che si
moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna triade dà luogo a sua volta a
triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce una costruzione eh’è insieme un
7 architettonica di concetti e una gerarchia di divinità mitologiche, alla
maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente messa in ordine, coi suoi
scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure trovato i suoi
ammiratori. Vittorio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo, e Giorgio Hegel
ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e. sistematizzatore come il suo.
Quello che si può dire in generale è che il pensiero greco vive oramai del suo
passato: per parlare con Piotino (e col Windelband), lo spirito greco, a traverso
le sue emanazioni, finisce col perdersi in questa scolastica. E la morte
naturale della filosofìa antica, per esaurimento, è suggellata da un atto di
violenza, da un editto dell’imperatore GIUSTINIANO nel quale si ordinache
nessuno insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva per ordine
superiore quest 7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le rendite, e i
filosofi dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo scolaro
Simplicio, il celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque neoplatonici,
ripararono in Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe, amico della
cultura greca. Poi rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per sempre. Una
filosofia non cristiana era diventata impossibile nel mondo greco. San Pietro Vernotico,
Br. Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Melli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Memmio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO
dedicates his great Garden poem to him. He acquires the ruins of the house in
Athens where Epicuro starts his Garden. Gaio
Memmio.
Luigi Speranza --
Grice e Menecrate: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil
of Senocrate. Menecrate
Luigi Speranza --
Grice e Menestore: la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma –
filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano
all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore.
Luigi Speranza --
Grice e Menone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di
Calcide.
Luigi Speranza -- Grice e Mercuriale: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli, Emilia Romagna. Grice: “At
Corpus, as it had been at Clifton, cricket featured as my priority, --
philosophy came second!” Celebre
per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica nella filosofia. Suoi
sono anche il primo saggio sulle malattie cutanee e un'importante saggio, forse
la prima mai scritta, di pediatria. Ritratto
raffigurato in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver
conseguito la laurea a Padova, dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a
Roma Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come
legato presso Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo saggio sulla
ginnastica. E professore in entrambe le
università dove studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto
fecondo, in cui scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli
studenti durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di
Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre
importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina
cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo
vede convocato a Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati
per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin
dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della
popolazione si era ammalata e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo
una settimana però la malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo
della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso.
Sorprendentemente però tale evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che,
anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continua a difendere
la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una
cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di
famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai
monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si
impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i
monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca
pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide
con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando
presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza
e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”,
Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-in
cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et
morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare,
conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum
in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della
Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria
Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. M. DE ARTE GYMNASTICA Libri Sex, IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM
\\cii(hii um scncra.Ioca.modi, facultatcs, &: quidquid dcniqucad corporis
humani cxcrcitationcs pcrtinct, diligentcr cxplicarur . ^uru cditione
comSIiores 3 4uSItoreJ fæfi. Ojuis 11011
nu\i,) nu\1ki$, vcnim ctiam omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim,^ et v.ilcnidinis
coiiUrna;u)ac ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 IMPERATOKE
VENrETII.S, ATVD IVNTAS. MAXIMILIANO II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS
MERCVRIALIS pcrpctuam FclicitatcitLD. I quando mccum^ diliircTirius confidcro,
MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc Impcratorts, /ummique Princi pcs
prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam
facilcdcfccndo fcnicntiam, mcrito, arquc oprimoiurc omncsfcrc gcntcs, 6C
nationcs fccilTc, quodcos dignos cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium numcrum
rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro, quac in humanum gcnus innumcracontulcrunt
bcncficia,magnajn partcm fibi vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas maximis
propofitis pracmijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando iaccntcs, fcd
ita ctiam carum dignitatcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum au(5loics,ct
inrtauratorcs propcmodum vidcanrur. Jd facilc pcripiccrc quiuisporcft,qui
militaris difcipli2 nac. n&c,leg(nTi fcientiævcafitekmrncju^fine qui-' bus
ta bæc noil^fi ferc u icalisiipn effe t Jaudandarum artium ortus, &C
increriicnta mctnorta velitrepetere : fed ne Imperatorifapientiflimojquæomnibuspaflim
notafunt,reccn-r 1 fcndo fim moIelUts, vnum' mcdicæ artis omnium vtiliffimac
exemplum proponam, quac proculdubio aut nulla cflct, aut-ccrto cuhl» qucm hoc
tempore pracfcfcrt fplcndorcm, 6C cicgantiam non habcrct, nifi Principum
benighitasjfinequa omnis plerumque languefcit induftria,famniisviris illius
au(fboribus aflulfiflct. Etcnim quantum a primisillis tempOr ribus
quafinafcenti medicinæ attulerint auxi Iij Cadmus, Salombn, Alexander, poftcrioribus
vero Attalus, Ptolemæus, Nero, Hadrianus, Cortftahtinus luftinus, alij permulti,
compluriura Dodorum hominum^ monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1,
omittam in præfentia, non cxigui momcnKfc^ ti putandum id cft, quod
magnificentiftima, comii atque^ ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt., ttmpJ
inquoijsartenL, GymnafticaiTL inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac
prifed:os alucrint, qui H,i homincs excrcitationibus, fi^ ad corporis, (DiaJ 6C
ad animi fanitatem. confcrcntibus in^biis ftrucntes ad behe, bcatcque viucndum
viam opti eommunircnr » Hæc cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL,
PerfaruiTL reges, Lacedætarct, monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi
torcs, monij, Athenienfcs, Romani icain bcllisgcrendisvalucrunt, vtfæpe non
maximamanu incredibiics hoftium vires frcs;crint, mnumcrabiles copias fudcrint,
tot dcnique rcgna.totquenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri
quidcm numcrando facilc quednr. . Hac eadem inftrudi, non dcfucrunt rrincipes,
quiaducrfusqucmlibct Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum,
Neroncm, Traianum, Antoninum, 6C Seucrum acccpimus, quos prætcrquanL quod hac
fola^ arte fanitatcm conlcruaflc, fortilTimosquc cuafiflcmcmoriæ proditumelt,
obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactcrosfuo excmplo ad
eafdcm cxercitationcsinuitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratprifcos rcgnorum,
6C prouinciarum gubcrnatores Athlctaruni., (SCgladiatoruuLfpcdaculaadfubditosin
oflicio continendos prudcnter cxcogitata iiitroduxiflc ? nc plurima alia
commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore floruit, ad humanam
fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit . Scd, qtioplurcs
fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl, quibus ncfcio
quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt, atquc cxftinda
prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmilicarcrobur, (SCvcramfanitatcm pcrpauci fint
* 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar, tbtquemof" borum gcncra quotidie nos
infcftent, quot ob cxcrccndorum corporum confuctudincm non cxpertos efTc
vetcrcs rationi confcntaneumcft . IIaccautemctfiitafint,dcfpcrandum. tamen non
cft, lapicntiffime Jmperator, quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis
atque adumbrata quædam ilhus delincatio remanfit, ab intcritu poffitvindicari,
ac iterum in hominum. adfpcdum, luccmquc proferri, fi dC Trincipum ad hanc rem
propenfio adfit, 6Chomincs do(fli, &C antiquitatis periti reperiantur, qui
in hoc ftudium incumbere, omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Cæterum
cur nemo noftris fæculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit, fanc pronunciarc non
audcorid unum fcio, rcm ficut maximævtihtatis, ita immenfi cfCe laboris. Etcgo,
licetmulta cflcnr, quæabca detcrrere me poflcnt, aliquando tamen fum aggrcflljs,
quæque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C pulchrius reditum tuæMaieftatiipfius
nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua loles incomparabili animi
magnitudine,hoc hcet Maieftati tuæ imparmunus, qualecumque tamen tenuitas
noftra oflferre poteft, accipere, meque inter tuosnumerare, protegere, acfouere
digneris. nam, quamquam me ijs, qui omni difciplinarumatqueartium genere
cxcellentes M.T. inferuiunt, comparandum non effe non ignorem : Ci tamen animus
Ipeiletur meus,non dubito,quin,ficutnuIIius ftudia in M. T. funt ardentiora,auf
nbfcruantia maior, ita aliquo interahosgratiæ tuæ loconon indignus uidcri
pollim. Deus Optimus Max.M.T. pro Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem, 6C fdicem
conferuct. Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARÆ BRIXIANI CARMEN.
tAuxiUo ftctit Phochtgemtoris^ c^ arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis
oltm vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus
collcgit, Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam lucc
acthcria, iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab
vmbnss Et mcmbrtJ lactos, ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn
fumpfrunt mcmbra tuucntæ: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj
afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo
(jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Hæc pars ad ludos fpcflat y
pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts rt
euadat mtlcs ^ pars tertta narrat, Stnteay quætncolumes fruent morboq. Vacantes
Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint homtnes
extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere
tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja, tcnebrtsq,
tAbdtta Ctmmerpjs: quæ nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua
fidcra fulgcnt, Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;,
avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv, Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf
cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV
Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic
csropcLSlw UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns
Alcxandrinus Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles
Dton Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus Erottanus
Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis HerodianuT Hcfodus
D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus D. Inanncs
Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus lultus
Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Lærtius Laitus Lampridius Ltbanius Lucanus
Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius Martiatis
Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA Vaufanias
Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius T^lutarchus
IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT Paterculus
^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd Sex.
Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus Sophocles
Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius Tertullianus
Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus Valertus
Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX EORVM QVÆ
HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa toflcrio-'
ribus l{omanisyC^ Græcis prarfrrtirri nobiiioribus ufi" tatiljimus.j
i.z.^. B. jiccumbendi modus llebræorum poft liberationc ab ji egypto.y i.i.D.
^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum in triclinio t\ib
is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, et tex.j z. 2. D.
^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de
truUnio.jo.^.D* ^tklttæ dtnudabaiAur toticxceptis fubiigacuiis.i-j.B.& C.
jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd
magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh'
:!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfæ
accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne,
an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres Hebratost&alios genera
dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur
llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus Diogenes
damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra tciram
7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehræc^s ttm^ pore Chnflijuerit ;&
ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet.
Fraucifci Toiedi Cardinalis, et aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m Qhnftipedif
lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticæ iibris fua dc
triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wtrcs imitabantur.6j.^*P^'
deCtnatione Sinecæ JentcntiaCi^diatorum nos nephandus a principibus q oque
abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^ dis :.d^r,if.t,jic
l\pmæante '\eroras quoquetewpora \().^.& 29. C. Cymnafia num tcmporibus
lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflæ
an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n HEhraci num aciuberent potius
quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^ }{omJnorum rnjn s
JcqucbanturtniJi patrvfs i^^ihus ( ontrar la) entur .j i .Z.C licrophiii medid
liat ia cum ii Jii umcntis gy mnafUcat.Sfum origoyrrtusyet cur a ludam ai^c
fret tur.-j^. i.t, S£dt ndi ad mer,Ja:s cunjuetudo f{p>7^anorum, et aliorum
quando ccefta, et ufurfata fiteHtyi.z.^^ Serni,& tibertiin quibus agonibus
conten^ derent^ Siteuis ueneris vfus prohibebatnr ante vigi fimum annuw^
Syharitu ornm jo rdidi mo rcs^y U2^C. THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^
Tridinijcur raræ figuræ in marmoribus inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum
Fro^omophrcs: USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^ I N D E X. TricHniapeief aUos
iabelmUeofqui aut /ig»rosyaut argcntQS,aut aurcos.-ji .lU.
rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7 rictifuum q^tid fucrit non Admodum notum
TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C. rrcchusud mliitartm qu^i^^c artmpeni*
Wibat.l^?*^* Vlrtutum quæ fit prindpMlifsimi. rngendi morrm antiqi4ura pofl
bat^ ncum, &ante c$enam Maria MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit Ji.i.P.
Erophagia quid efscU FIN r s ARTIS. GYMNASTICA. V AMDlv Homincs paucirtlmis
rebiiscontcnri lauras mcnfas, &: opipara conuiuia non cognoucrunt,
propinarionisciuc poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus ignorarunt,
(idquod primis illis lacculis cxtitilsc mcmoriac proditum cft ) morbi ncquc
apparucrunr, ncquc ctiam corum nomina innorucrunr, fjcurvlquc ad rempora
Socratis diftillarioijum,quasGracci Ktcriggovi dicunt,nomcn,c]uonilhodic
Ircqucnriuscft, ignoratumc/setradiditPIato.-quadc rctunc temporis mcdicinacaur
paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia cxtitif^c cerrum cft: etii
Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir Ac^yprum multashcrbas, multaquc
mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vcrointcmpcranriæncfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs,
dclicatiinma cpularum condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac
tcmpcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum limul varia conrinuo gcncra
fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos cocCgcrunt : cjua fcmpcr carcrc
proH^to licuifsct, nili humana, vcl ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum
fobolcs cius ufum omniummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi
primo illo orru rudis admodum, inculraquc fucrit, quando priici illi ( ut
Hcrodotus, &: Gaknus rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr 'i'"
vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat,
alrcrumcdoccrcr, poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfculapioKpidauriocognomcnro
apud (yrcnæos mcdicomiriricc ex ornara fuir, &: quafi cx rultica urbana,
concinna rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc
quiVolis morbolJs, ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curandi
ftudium habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus
contempfir : quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcntC5 adco cxiftioucionc
dignam rcputarunc, vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam imiicam,
nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus
Seiymbrianus, Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinæ
cofcruaroriam valerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc
adderc uifi funr, arbirrantes non minus præclarum, arque artiificiofum opus
cfse fanos homines a morbispræcauerc, quam iJlos ia impliciros Iibcrare : vndc
medicina, quæ antca femper quafi virgofuerar,prægnansabillisrcddirafuir,
quandoquidem prius foliscurandisægrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispræfeda
ert:. An toram cam medicinæ partcm, quæ &:ad fanos, &c ad uiclus
rationemperrinct cxrabellulis, ahjsuc donaris, Æfculapij tcmplo dicatis
Hippocrates conflauerit: an vero folamincurandis morbis vcrfmrcm clinicem
uocaram, quemadmodum Varro, Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi
plane compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci,
quid auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini
imperaroris acrarcm non modoin Græcia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri
pracccrcriscxrabella marmorca Romæ itiÆfcuIapijrcmpIoin
infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphæos conferuara inrclligcrel^cct,
inquagræce hæcleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc:, y^' xpcif
rlvj^flpct, K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^^^\uod^, op^ov iui,eM^i, Ji[Smov
^ctpi^Sivc, K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS Ji/2ci KMj
i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt JulUno
deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx ara
caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^
rtuens ptibliccgrattas egit præfente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi
/uiAtrz^;, Ko^^^vpiov aujb^fivaf, KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73
JfAi/3"Cf, j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft: qua i]uicum(|ue occupabantur, ll^ domcllicos
mui cs dilij^cntcr oblt riiabant, ac profcqucbantur. fic ubui. Cratcri mcdici
rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit Jtautcarncs eius ab
ollibus abfccdcrcnrrlic tcmporibusnoftriscxfccranda illa gallica pacnc
cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado illud, quod ucl
podciiorum hominum culpa, uel torruna auc Dco ira uolcnrc contigir, Hippocraci
crimcn artcrrc dcbcar, a quo cum duac iam pracdiclac mcdi j;cinacparrcsad
lummampcrrcchoncinproucctacfucrint, diuinis cius manibus immorralcs fcmpcr
habcndac funt gratiac . Ampliusq. illud actcrnac memoriac mandandum, quod ambac
medicinacpaitcslicutidiueifac rc ucra fiint,paritcruarianomina habucrunt,
altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH, (iuc vyt^ti^m, altcra S%g^wriKH nuncuparafuit,
uocabul.s quidcm his tum abopcrc, rumarccirci quam ucrsdntur,acccpt;s, quac
quouiam fapicnrcr, arquc ucrc dcpromptac tucrunt, nullamumquam apud ullos
mutarioncmfufccpcrunr: qucmadmodum ctiaui ufquc ail pollcriora tcmporahacc
inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos coniucrudo, ur omncs duas niedicinacparres
prinuirias cfticianr,a!tcramcurariuam, alreram confcruatiuam nuncupantcs, quas
ob id communi incdicinac nominc plci umquc comprehcndunr ; quoniam curatiua,
quac primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia fuir, id nomcn adepta ell, quod
confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non modo obrmuit, ucrumctiam apud
nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint hanc folam medicinam
ucram appcllari debere:illam inccrram,falfam,mcramuc hominum alios deciperc
itudentiuiu impofluram cxfiilerc, nempc quac nudis coniectuiis, infirmisq.
argumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur : dcindc in co f crc
omncsfbrtuira remcdia,incogniraquc medicamenra,ur plurimumadhibeant,i^ dcmum
ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur, quos raincn in
grauillimo crroi c vcrfari faciilimc cognofccnr, quicumq. humanas calamirarcs,
morborumq. incommoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix medicina fuccurrcret »
acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina rarionc iulianus impcrator
hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur. Otfmnasiua, A 3 IHN
^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg vu^gcv roig
XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. ' c De
confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperitur, exercitationcs, tot
atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona præftare, quot et quanta uix vlla
alia medicinæ initrumcr i præftant . Quod fi Hippocrates in lib. de Locis in
hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam altera
permutatione opus habet,altera non de fola ea medicinæ part e fcrmone habmt,
quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum
uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixcrunc r K I Ai V s. 9 A r. nr
cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &:
gymnafticani, non ob id, qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdtatorcs>
illasfciunxcruncfcd communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui, quoniam
pollcrius i:\mnaftica mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla
alia rationc diiCti dfiwicbanr.Cctcrum quid fithacc ars cxcrciratoria
pymnaftica gracco nominc nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc
pcrcrc dcbcmus, quam crli luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus,a
nullotamcnaho, quam a(^.aIcno nortro cam 6^ brcuius, &:iucidm^s ^^^.^
dcclaratam crcdo, ubi iradixit:» Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv -^i
•TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^ hoccftgymnaiLic a cllquac omnium
cxcrcitationumfaculrarcs nouit, aut porius, gymnallicaarscflfcicnria
potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco animaducrtcnB dum cft, Galcnum
fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut plcrumquc auftorcs folcnt,
acccpillc, proptcrca quod gymnaUicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac nullum
opusconlidcrcnt, nccclfario a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis alioqui
caulfas cxcrcitationis virium facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr
animaducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc gymnaflicam a pacdotribicadiltinxiifc,
quoniam illa ramquam impcratrix&: cxcrcitationum qualirarcsomncs, &:carum
cauflasfpccularur, impcratquc, hacc vcluri minillra ilhus cxliflit, pcrindc ac
gymnalla crar, quiomnium cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat, casqiiC,
prourfanitaxi,&: bonohabitui cxpcdirc iudicabat, diucrfis
homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro, qui cas, quomudv:» fi-^rc
dcbcrcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c hoc acni':!maricc cxC
plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi roU^J^tJ^iaKovciTretix^
ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt. KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy
jc u. cariKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr bac h( c cui ccnt pracuancan
(ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc . furari,rapcrc,
viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw irorum, &:
ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, liquidoconfpicicr
ualdcijsaflimilari, quac aPolybo fcripra funr, ficquc gymnaftam, &:
pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vcrumramcn, cum intcrdum unus
vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas ancsunam,
atqr.c candcm cfsc, uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris oflicio
pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam
uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis quahrarcm ' « L i u E R.
litatumnotitiam, quæ opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob aitum
ipfum cxcrcendi, vtpote /gnobiliorcm contcndif, haud ahter ac ii
dixifscraltcram harum fpeculatiuam, acarbitram,&:iudiccm;altcram pradlicam
efse, quæ omnesinterdum vna gymnafticæ appellationc a matcria, circa quam
ucrfantur, utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica
mcdicinæpartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellantur led quod ucrcficuti
dcclarauimus,eymnartica talis efse: gymnaflaq.&pacdotriba
difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra
Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a
"r 'i"'^' P'''^us aliqd' pcrfcdc cxMunt vniuseftconfidcrarcquid cuiq.
conuenia: g^ncrSeu e^ cac ^ft '^P^^ omnibus.Etcnim hoc gymnaftitarcs opere ipZdoc^"aricuandae^elSptim
co^oo ifM "^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^ '"'f^'^ pcrfeaam, qiltum? . oo
tcft "r"".'
ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfanI Bfit 2(ifl liOQ iit
nimi licoj niin, . II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut in
fcqucntihiis fum cicmonftrarurns, quando in iingulis cxcrcitarionum gcneribus
cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habucrint fcparatim planuni
laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc
dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrllncmfingu]arum,quoHncomncs
lacultatcs diftingui fcripfit AriftotclcsrNain ludorum hnis crat
rcligioquacdam,qua Anri(^ui opinabantur fcfc Di)S rcm gratam illis^Iudis
tamquam. promiflam fa^uros -crar quoquc populi uoluptas, cui maximc &c
rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u )luptarc dcmul11
in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum
honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcmpcr aflurgi, ctiam ab
Scnatu, in morc cfl^ct, nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui, atcjuc
uacario muncrum omnium ip(is, patribufcjuc &:auis patcrnis, quod tamcn
fcruis, quando illi (imilcs ludosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo . I)c
his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j PanuiniA
croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcomnium facculi noari in
hiltorijs longc ucrfatiflimus, hanc matcriam tradau:t . Arhk tica lincm habuit
robur, ut illius ui pofifct athlcta
aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita confcqui:
quamuisctiamapud Graccos,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati funt, tam
illi qui in ludis, quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos omncs fub
nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus complcxus cftV
C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant, id non ob aliud
Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm, ac pcritiam compararcnt, quibus
pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atqucliarum cxccitarionum
difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs
fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc-, muncrarcntur
annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum
cogcrcntur acci^ crc, ncc antc cisin rriticoreddcrcturannona, cjuam fub
pracfcntia pracfccti rnbunorum, ucl print ipum cxpcrimcntis datis oftcndiflcnt
fc omncs militiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus manilw flu ii
cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma
cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc,qui
cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi.
QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics,a quibus tria
gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes fn^inumpubIicæfeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe
JeclaA rauitSoIonapud Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius
oratione,tota hacc fententia noftra haberi rata mcrcrctur,nifi
Platonis&alioruminfcriusexplicanda teftimoniaacccderent. Degymnafiicæ
fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas picrrini ad cxcitandani lirini
quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum fuifsc Budacu puto, quinifuisad
Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru,&: palacllracexcrLitamcnris
minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl.
'^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri foliram^qin iupra
Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&: qualia lorcncplanu
faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia nuncupata,cx mulris,&:
pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi
narrat gymnaB llum fuilsc publicum in lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum,
in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf Tdifcum iadabant, aut talc
quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm cxcrciratorcs ibi, vt
pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim antiquifTima vox ctiamdcnudari
li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0}
iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i /, mdos pjrce videre viros. EtBardcfcncsapud
Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Craccos ait no poiuiflc vlla vi fidcru
prohibcn, quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf corporibus. Vc ru an ocs,&:
toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra cxcrccrcnf no cft ita
copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pugilcs^tq. alios qu(jsda potuiflc dcnudari
qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula pudcdis tcgcdis ra in
publicis, in C priuarisccrtaminibus habuiliccr ufq. ad Homcri tcpora,a quocoru
fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi ab Euftarhio, &:
Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut indc poft modu
indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non magnis,&: impcdictib^
/cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc inorc vfq. ad fua tcpora
Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub nomine gymna/i; omncm
locu,vbi cxcrcerenf, coprehcnfum fuifserepcritur : lic ut poika hacc vox ad
alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc licct,qui in libris
dc bcllo ludaicobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc dcm61lrat,vbi dc Hciodc ita
loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&: Prolcmaidc publi cas
balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras porticus c6di dir.Hacc
loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguæ audtonbus palacftras
nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rcCymmfi!^ ^ jj peftate in
Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te palæftras,/luc D
gymnafia,qnquit]cis libroarchitefluræ earumædificationcsfradiruruslralicæ
conluetudinis nofuifleprædicit.-Naqui primi gymnafiæxædificaflrc crt
dunf,fucrunt Græci,licrcdendum cft SoDaZt ^P Lucianu, et M. ^TuIIio
Ciceroni,qui in fecundo dc Oratorcfcribit.gymnafia
deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr
Cræcosautcmprimi cxftitcrfitLace dæmones,ficur Athenacus ex
Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de Iegibusincmoriæprodiderur,quosctiain
illa ipfa omniumpræftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro
I .intelligcre Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas
larmine caiitft,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofæt Ledæas
Lacedacmonispalæflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam
illai-egiadcfcribit.q^nouc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante floruifle
narrat,ibi gy mnafiæxftaOc fci-ibir,qui LacedæmonQinuctuillafacit, cxade di
fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiæ narrationefabulosa credam*.
PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria
extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato
philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f
Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis
ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Cræcos tanto
odio,tataqueinfamiaviles,acfpurij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles
efscnt,cfi ijs cofuetudinc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr hæctria
F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita Herodis
Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia, quod hcet extra vrbcm
efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxima efsct urbi, m ea fuifse dici
potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Græcos habuifsc
fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum in
AcadcmiaAthem».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio fcpeliuiflefcribit
Quæ 1^'' antiqmtatis totius pcritiflin-ius inuenifse fcribit in ue tt.gijs
Hadriam impcratoris Tibmtinæ viUæ rcpracfenrara.Athe næu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu,
minime gymnafia, vbi corpora exercercnt, tu.fsc puto:fcd loca,in cibus aut
difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera dabatur,ucl fefta aliqua
celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica. Corinthum quoque
gyranafiu habuifse, Craneum vocatiim,auclor cft Lacrrius libro tcrrio. eaadcm
nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod gymnafium non habcrct, uf
Anachar/is diccrc folebat.Komani poftrcmiomniumgymnafiapalacftras vocata in
vrbcad Craccorumacmularioncm Varronc aurtorcacdificarc cocpcrunttquostamcn
cacrcros quofcumquc tum magnihccntia opcrum, tum inacftimabih pulchrirudinc in
hoc gcncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non
finc omnium Ihiporc pcrdurantcs, conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam
i!!ud ^ quod dc Ncronis gymnalio fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^
Qitid Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^ atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc
Komac gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus, B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc
hccr. Nam gvnmafia tora ahquando Thcrmas ob aquæ calidac vfum ibi frcqucntcm
nuncu piri,apud audorcs Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamintcrdum Thcrmac
fignificantcamgymnalij parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda
lauatiolitac crant,ut cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis
vcrfibus nupcr ci tarisclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac partc.
His omnibu* po:c ft iam vnicuiquc pcrfuafum cflc, (juanrum in criorc vcrfatus
fit(inuitus farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo Komac
inftaurarac commcnrario rhcrmas folum ad la oandi vfus inftitutas tuiflc
lcriplic. Voiio nc quis forfan admirarionc capiarur,quod dixcrim PIatoncm,arquc
Ariftorclcm in gymnatijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct in huiufccmodi
locis vaC ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia in fcnucnti
capircanobis ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiufccmodi
locorumcapaciras,tamq. fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ullo impcdimcto diucrfac, ac
fcrc iiinumcrac cxcrcitationcs, &: corporum&canim^^rum pcragi pofscnr,qucadmodum
cx Vitruuij allaradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis mcdiocrircr Iiac in rcvcrfarus
potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim cx Odaui; Panlagathi viri
tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima cdirioncrradidcrimus,nur ipfa
diligcntiusconlidcrara (vt icmpcrcuracpoftcriorcs cfse
mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus Virruuij ucrbis cxaiXQ corrcfpondcnrcm
cxhibcmus.ad quod agcndum clariflim is Aloyfius Moccnicus, Prancifci hlius,
loanncs Vinccnrius Pincllus, Mclchior Guillandinus, uiri tum ob acrc in cunvtis
iudiciu, cum ub lingularcm cruditioncm apud omncs fpcctatiifimi, nccnon B 2
Andreas Palladius prifcæ totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon pa D rum adiumciuo
nobisfuerunt.ita utnon vcrear.quin hoc pado
do^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobatæucniat,&qucmadmodum ad hanc fcrc
diem palæftræ ratio fuit incognita, fic in pofterumclara,afquemanifcfta futurafir,Immo
vcro,fi Odlauiusipfcrcuiuifcerct,non dubitarc,uterat homofanfliiftimus^arq.
dodilTimus, quin ctiam ipfe huic defcriptioni, Sc Vitruuij contcxtui non
mutato.fcd in aliquibus tantum rælius ordinato Jibentiflimefubfcriberet.Placuif
autem duaseiusichnographiasproponcre, quiaaudor &: cmadratas,& obJongas
ficri pofse docet. De paUeHramm ædifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap.
XI Vnc mihi videtur ( ramerfinon fint italicæ
confuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&: quemadmodu apud
Græcos conftituaturmonftrare.lnpaIæftrispcriftyJia,quadrata.fiue obJogaita funt
facicnda,uti duorum ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm, quod Graxi
uocnmJ^uuajUv.cx quibustrespor . ^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquæad
mendianas regioncs cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non
poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Conftituunturauicmintribusporricibus
cxhcdræ fpatiofænabentes lcdcs,in quibus pliilofophi, rhctorcs, reJiquique qui
ftudijs deJeftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum F
colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft
exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum,
dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam Græci
aovW: itafacla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs, &c quac crunt
ad columnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc diumq.
cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia
marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui
ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc
cxcrccntibiis. Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur,quod athk
tacpcrhibcrna tcmpora jn tcdi$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum, et dupliccm
porticum deilgncfnrtrhyp^icttirac ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i.
/flff^noftri xylb appcHanr,!n quas pcr hicmcm cx xy(h>fcrcno cuclo arhlcrac
prodcunrcs cxcrccnti:r.I-ac iunda aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas
porticus (iluæ, aui platanoncs, U in his pcriiciantur intcr arborcs
ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira
fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum laxamcnto arhlctas ccrtantcs
Ipcvflarc.Quac in ntocni buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil
21 tigura paJacltræ cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s II a •[? 0• D • • 90 Orrus A Pcriftylium in palæftra quadratum&:
oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C Portiaisquartaad meridianas
Cacli regiones conuerfa, quæ duplcx eft. D Excdrac in tribus porticibus fpatiofæ,in
quibus phiiofophi, rhctorcsdifputabant. E Ephoebeum,ideft cxedra tertia partc
longior quam lata. F Coriceum a parte dextcra. G Conifterium. ^ H
Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium adfiniftram ephoebci. K
Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus. E M Propnigeum. N
Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudine duplcx quam
latitudinc habens ex vna parte Placo^ . 3 nicum QJxituseperiftylio ^ Exaltcra
Ocalidam iauationem R Porticusextra palæftramprima exeuntiLus. S
Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem duplcxamplifllma
iatitudinc&ftadiata. T Porticus tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines
circa parietes. X Marginesadcolumnas. Z Mediuexcauatumuti
gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F « Hypethracambulationcs proximcxyftum,
&: duplicemporti-' cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D
J>iluac ucl platanones intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre
fignino. Stadium itafiguratumutpofsethominum copiaccumlaxamcn to athletas
cerrantes fpeaarc. % Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in
palæftrancccfse ut lignarium,iiquarium, uafarium, latriBtc naimihwum ctil«,
&: finailk. . Dt '^itrijs Imninum generibns, quæ itj gymtiaJiA comonebAnt.
Cap. VIL 25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfantium
crat multituao, vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti
ctiam Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cuiufdamphilofophi Cynici in
Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc
Komnc h)caJii quiin in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx
varijs Ga!cni !il ris colibru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct,
gymralia publica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (iquis
rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata,
multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs, 5c aliaincdicinac
Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs
vocatisfir, qiiandoficfcholam eiufmodi propnos rai>uUrios habuiife, oftcndit
marmor cnm hac infcnptionc Romæ ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO. CELSO.
TABVLARiO SCHOLÆ. MEDICOKVM M. L1 £ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E ARCHIATROS.
OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus crar,Adolcfcentcs,qui vr cxcr.
itationu obferuationes,atq. modos addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi a
gymnallis ipfisquafcumq. cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres hbcros
palæftra cdifcere folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par
InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formæunuchi Thaidi
oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palæftra,in muficis.q hbcru fcire æquu
eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa,, riusmfra demoUrabo.Tertiugenuserat
Athleræ qui ibi feexerccbar, vt in publicis Uidis, fcu in facris
certaminibuspoflent&populu dele(aarc,nccn6 vidoria ac præmijs potiri.&:
qj-hoc fuerit,prererVirruuijauaorirareSueronius clariilime demonftrat du refcit
E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt cerrares arhJcras fpectai
ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue ignobiJes, qui ue! miliraris
difciplinac,&: forrirudinis,veI tuedæfaniratis,&: boni
habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr de prionbus elt
locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamclio m adnor. ad Tcrrulliani
lib. dc fpe«ft. inrelJeau, vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha in bellis,qd in
gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n '^' poflumus, cum fcribat -.c. e anno ætatis
fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle luxarione fummi humcn,n paJacflra.Quindtum
genus erar corum.qui fricabaruX cer n.fndbones ficrcnr a mu Jris ante rcJiquas
cxcrcitationes,nihiJo^irr^smnln quoquc fine vJJa excrcitatione feorfum ab aH;,
ut dc C.alcnofridione adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^
bihorcs.Hoc tamen intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra et co
lymbuhras^prias in cellis alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^ ucrfis tcporibus
lauabaru r, mulri crar qui ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius)
fecu ferrcr,nc pcdcs nudos cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia
rcftranr nonnuJjXh-hnnm Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT&
-n^S cX fccifTc cribit Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^ gymnafi;s
rcpericbantur, quonu uej cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur.
Abhiipoftrcmoonin Cn^ res ( ne nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^
gymnafia conuena banr,qux non ob ^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores tatorcs
ut porc otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam
animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia
ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in
illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in
Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti
aftirimrc auiim,niiiquod Komana maicftatCillud dcdccuilTc vidctur, tacilcq.
ficri potcMt impu. rac aliquæ et (peaandi,& ludcdi graria^quod
luucnalis.&: Marnalis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in
locis lcparatis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la cn"cnt,pcrindc
ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam ignobilcs et mcdiocri
loco natacqua illuftriorcs, cu dc l>oppaca Domiri j Ncronis uxorc LU.c.4.1.
referat Plinius, quod ad au^cndu cutis candorO quingcntas aimas B tctasper
omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^ corpus illo la^c macerabat:
quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p nguia Poppacana. Saty.^,
Spirat et lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur
Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corporis nfum ihas
mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc
minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris
cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis
tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuæSpartemiramuriurapalæHræ Scdmaj^e
vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr
luilafjtrs nuda putllas uiros, Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^
Jncrepat et ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina
mctas, Et patitur duro vulncrapancratio, 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia
br,nhia loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru
morequifquam minMi dcbct,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis
arj:un.cntKs probaiiir ad flli€cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc
conduccrcfi mulicrcs tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris,atquc
gymnafijs cxcrceantur, qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad
conrincnriam tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcndam,ut Platoni m animo
crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi.
^"'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac %
nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant,
c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gymnafijs .'jsnircs fuiiic
probabile cft,ita pai-irer veririiiiilc fit Romanos (, vc /olcf cfse
poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl
Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai
tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio
fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo,
quai difpedlm ab Auaorilnis tF.uIiras inuenio, quasut rei ipdus rario
expoftulare uidcttirio Gruecis,æq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam
Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc
■na^ctJ^oiixcyov &i fua actate minimcæftimatum puto, quod enim ab Augufto
i.uliis egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit,
quandofcilicetin vrbc &extra Hrbemmagnifica ædificia cxftrucbanti!r,quod
ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucniatur,practcrqiia in capituni
Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm
adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir.
Ergoprimac symnaliorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus apcrtisplenæ
inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici, et omnis dcniq
dilciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-bantunatq. has non
longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc poflumus tum cxipfa figura,tum
cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos
diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru
crcpirus audicntcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum
(rumpebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum
ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcntancum cft: quod
cfsentillac ucluti icholæ quacda.ubi pofscnt fæillimc poft animoru
exercirationcs corpora ad fanirate, uel fortira dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.fflpridi.jauetorrras.
AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo fphacnftirio.modo
curfni.mocto lemL ludTs dcdiircmoxbalncummtromifse . JntCKhasadnnmerocmJ mcdl
corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih. vJdfi^c apparet cos
conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs : 29A nes facerc
(oVxtos, qiii hiTiLiI cxcrcn-i, ac ccrtare uolcbant : qiiamquamfciam Philandrum
cius opinionis fuiOc, quod iu hphcbaco pubcrcs cxcrccrcnf. qua in rc ipfum
ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam Guliclmum Chouhim, qui in fuo dc antiquoru
cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco iuucncs ftudcndi gratia lcdillc lcriptis
madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui cum uiris antc dccununi
fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant, hoc ucru tucrit affirmarc
noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,GaLi.dc i.c. lcni tcmporc. pucros
cxcrccri in palaclba confucuiflc, curs
cumfP^^^'damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in
palacflraacquiliucrat, mennoncmfaciari Sipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic
icribat: oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi
fui\}c prtmn cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus
^ntc folcm cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns
pocnas pcndcrcs : Idq. vbi obtigcrat, hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et
dilcipulus, magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu, luctando, hajia, difco.
pugiUtn, pila Salicndo fc exencbant maps, q ^am icorto, aut fauifs, C
Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut
uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq.
cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros
nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palæftns
ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur.
habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc
Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui
locus(ut mca fcrt fnia),p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut
ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno
yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Coriceuapud
Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcriptas abfq. hac parte omniu
maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf^.^^^
tUifsc crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac fuac Laurctinæ ac
Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D illoru fcntcrias jpbarc
ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legcdu putarfita corycopilæfpecic,quafiibi
ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut corycefi tam^in
eopueIIe,&: virgines««f«//« Græcis uocatac exerccrentur.Quarta
parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc «AujrT/IfMc^aCæcilio Plinio unauarium
uocatum, atq. in ifto ludaturi, &c alias exercirationes, uel balneas
inituri ungebantur,redungebanrurq. Sed,quoniaopportunirasrci poftulare
videtur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi munere ucrba facia, neq. Metrodori Scepiij
'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de ungcndi rationc ciratus ab Arhcnæo Iibcr hodie
extar,quatuor cgo dica:primij,quado, et qui ungerenrur: fecundu,quæ cfscr
undionis materia:rertiu,cuius finis gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &:
a quibus undio adminiftrarerur. llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in
gymnafiuucnicbar,maiori exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli,
&: præfertim qui uel lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat, (na
pugiIatorcs,curforcs5ac alij multi undione no egebant) alipteriu
ingredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo loquar mfcrius,
trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m cxcrcitationes diucrfas
diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnantum Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad
undUianiireucrrcnrcs ibi a Mediaftinis,& Reundoribus ftrigilibusferrcis,de
quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo difling^mre ferro, T^ontam fæfe toet
lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua dererfione olcum, puluis,& fudor,
quæ de radcbanrur.fimul mixtain ufum mcdicum adfcruabarur, &:ab At!:h4ci
^'i^ aba!ijsueroWTtffuocabarur, urcxDiofcoridcPliF ii.defim.
nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccnme.8..& 4 na
libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib"; et quemputofmfscillum,
cui nequcoleum,ncqucpuluisincrat ^,o 3 fim. quamuis Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur
ad balnci vfum ni jT' c. 17. ^'''S''" Plerumquc fponeiac crant, uel linci,
nequccommunitcr fempcradminiltrabantiTr.fcd quifq propriumfecum gerebar,&
pracfcrrim quicumquc communii cum alijs mihumenra habcre f ugicbar, vr infinuar
Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur corporaforriorarcddcrcntur.De Hcrculc nanu|uc,&
Antco fcrauncm faciens ait, ^uxillum mrmbtis calidas infunditarenas, Plurarchus
in libcllodcprimofrigido huius fcnrentiæfu ifseuidc tur,quod athlcrac in
uni^iionibus puluerc urcren tur ru ad rcfrigera da calcfaifta corpora,rum ad
cohibcndum fudorc,nc ranropcre dclafsarcnrur. Egoaut cum
Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne olco manus labcrcntur, fcd
facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual crcr,neue fudore difflucrcnt, aur
ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac dc caufsa a Marrialc puluis ilk
icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi qui aducrfariospcructos,
&:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria digni habcban^ tur,qualis
fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud
Paufaniamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Horatirvira,\d
Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^, et circum ccmpita pugna x.
Magna coroniri conumnat olympia, cui fpes, Cui fit cond tio duli is fire
pulucrc pahuæ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I fuis ad
Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc> (cu finc
ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo inrcrdu aliquos
cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr fariusrcmporeconftiruto non
comparuifsct, ucl,quod ob robur, &:uinccndi confucrudincm a cuncris
uitarcrur, cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias, Diodorus, Hcliodoru#s
atqucSuidascommcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos. Alijfunr,quicrcdantoIco
Oymn^O^ca^ C cxcrci34 ( dc vii.
cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.GaD lenusfentit
oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura niitiganda.quam ad
pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno opinor,quo oleum
aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJicauimus: nuc ccrcras partiin ab codc
prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct cxplicaras prorcqucmur.
hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc
PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar
magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas
luda,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c
manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri apcricndas porrigcbat,qua podcra manib,
aftollcbant,6L ua pciiiftcbanr,c}igcnus haltcres
uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:( »alcno ucro afscnricns Oribalius
Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd &: alias fcxccnras fuifsc palacllrac
cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu cft, palacftia apud urriufq. linguac
auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs
Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis corporib. idonc u, quopaclo locu uscft (
jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ .prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia
Arpinatc de (c ribcns,palacftram ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos,
Td'S in^^am nns exerctt t ttumbra pulac/ttis^ &c Gcta apud Tcrcriu in
Phormioncubi dixir, Ecc fi a iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij
paricin qua cxfnia Plauri,Ga!cnr, 6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs
pracdiximus,&: cuiusparu tum fordcscollcihas in panno applicatas
furunculosmarurarcfcripfcC runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM
f!VMi:h\ arionc accc^ifse Catullum puro,ubi dixit. Abero foro, palntsira,
flddio, et ^^vm asi^s ^ Mtfer ah rr^ijvr . et Atranius lCi ibcns. Efcam
'•epelUs tf i'ri mannw pei pj!j( lincos, idcft, Palacftrac ufum (ut air Nonius)
callcntcs. Quod auca Palacftrac nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quacda a
pulucrc,&: lucianriu corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in
uarios mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &:
Gal.q ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira
fiiifsc irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra
uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c
;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis
iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j lfli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2 pro
In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p. $ 6. coUc c, 14Dc Berecinchi .a ) li. i.c.
ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle glliUS. li. i\c claris Orat. i 3« fto"^?* pi^o Taurcipalænra
locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad colIoqucii-T) '^** dum
difputanduiTiq.conucniebanr. Ad hæc Plutarchus in /ecudo fympos.palæftra
uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &: in quo lolu luda,&:
pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur. queadmodu,&: Gal. quandoq.
palæftra nuncupauit, ubi athletac f folum,&: craffitudini corporis
ftudenres exerccretur, quo padto accipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi
Epid.narrat tubercula ijs efse oborta^qui in palæftra,&: gymnafijs
exercebanrur.For ml\lp^9 dubirauit aliq
uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a loco,ubi puluis
crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu pilacludos,ucrum
51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado et in ipfo.Vcfpafianus
fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu>• mt rum dcfricabat.
C):taua pars fucrunt uiac illac,quæ inrer porcicus,ac muros,ur cgo puio, litac
crant,ab omnibus acdificijs nudac, necnontotapcrillybjareaquac&: ad
fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc fadac erant,&: ad fpatiandum,
aliasvc cxcrcirationcs obcundas, quac ncc in palacllra, ncc in alro pulu^rc,
ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri poilcnt.Has locum coculcatum paulloante cx
Ga Icno a nobis nominarum fuiflcopinv^r ira uocatas,quod nullis lapidibus,
latcnbu.vuc ftratac,fcd rudcs&iaciuato tantumfolo forcnt. In his curlum
fach'i cxillimo,atquc ad id :um diauli, tum dolichi, a quibus dolichodromi, 6c
diaulodromi lormas, atquc tcrminos ibi conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil
aliud lucrir diauIos,quampe r\'ftilioru quadratcrum circunurio duubus lladijs
dcfinita. In ipiis ctiam faltus,&: difci cxcrcitarioncs, quas palacllrac
ncijauit Galcnus(ut mea fcrt fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant
xyfti,&:xyfta,na vrraq.apud L'raccos& Larinosnr) parum difcriminis
obrinenr, fi quidcm \yftv>i> hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr
hiemem &: acftarc,tcmporc ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta
autcmfubdialcs ambulationcs,ubi hicmc tcinpcftatc lcnic porticu
prodcunrcs,&: acltatc fcrc fcmpcr cxcrccbantur, ac ambulabanti atquc has
wif i/f ofti/tff a draccis n(>minatasfcribir Vjrruuius,quac
dupliccscraiit,aiiacnudac, a]iacplatanisalijsucarboribusconlitacad
pracftanduamocnirarcm,atq. illis,qi.i a folcoHcndcbanrur,umbram.dchis
loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js ArhcM> xx. nisin Acadcmiacambularionccclcbratas
fuillc /cribir:i)cijfdcm quoq.Miniusfccunduskrmoncm habuit qiiando in
dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics dccantar.Ncc ahum
lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm, quandvj
ambiilationcminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPlatoncm, ubi cx
Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub hi(cc
ucrl)islti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&: calidd
lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruicbancfu.-runi hypocauftu:n,aquariuai,iSido
vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque nonnullos, quod laconicum
rorundum,ac ueluti turricula in hcmifphacrium camcrata forct, idcm ctm
Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus plane .-ifscntiri
ncqueo. qiioniam mihijrrationabile videtur,utin loco calido fudatfonibus D vE
ift li
atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio "^' •
''ficric6fueuiflctraditPIinius, exerccrct: fuirsctnamq. (uteftinpro^
uerbio)camino oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes
in calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr
baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita rcftituatun quidquid dixcrintali;:
QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat orbem: namraxatquendaqd^inLaconici
foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak
rcnr.Poft Laconicufequebaturccllacalida labris aquæcotincndacpofitisrcferra. in
qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin partcm, nullo modo probarc ualco : cum idc
alias ipfum intcr ^vmnafiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi?
F fignificafsc totum gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc
pubhcorumingymnalijs balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru
balnea, quac, &c aliquibus cx pracdidis partibus caruifse,&:alias
habuifse uenllmilc cft;;cd dc huiufmodi non cft mftituti noftri ucrba facerc .
Quæ autcm loca non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis
tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij
dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac
lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu prædida
loca ignis fucccndcbatur, ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id in
Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis
cxcitabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x prob.li
b.ijj.fympof.ædiles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fudcenderrtur neq. in
cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs araucdincmcapiris, 6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^
pilarumapud Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^
cctfolumcaldariorumitaftcrnendum cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila
cum mitratur non poflit inrro rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad
pracfurnium^atq.fic facilius flamma pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his
loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs,
ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus, et tenuem ^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc
cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam graui errore ucrfentur
ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm fuiflccrcdidcrunr. Auftor ert Scncca
iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no epift.xc}.;tcmpcftatc fua inucntos eflc
paricribus imprcflbs tubos, pcr quos circumfundcrcturcalor,qi'iima(imul, &:
fummafoucrctacqualitcr: illumucrocalorcm immitri confucuiflc cx Hypocaufto,«d a
lurifconfultis mcmo riac mandatum cft,&: ab Aufonio in MofcIIa fic
cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a crepidinc fumant Bjlnedyferncnti cum
Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s tcctoria prr ca:u fijmmas,
Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc tuborum veftigia adhuc
quamplurima Romæ confpi ciunrurin DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs .
Antchypocauftum via quacda crat propnigcu, quah dixcris pracfurniu a Virruuio
uocata.Aquariu cclla crat calidac Iauationi,arq. calidario ad^ ncxa,inquaalucus
magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx " aquacduLtibus, autaliundcinucc^am,
arq.indcmfrigidamIauatio nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda. Nonlongcabhocfirum
fuitva (arium,vbi vafa confcruabantur balncoru fcruitijs
ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis calcf^cbat.dc hoc ita rradidir
Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum tria copofita fuifTc,u!uim
calidarium, alrcrum tcpidarium,tcrtium frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx
tcpidarioia calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin
tcpidarium ad cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus
admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc
&: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc
hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria
Architcftos optimos balncorum domos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc
fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita
capicbatur, ut in mcdio camerdc forame laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D
baturxirca labru eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolæ
uocati,in ^. ftatu a Seneca, &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu
re} erio, antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in
lauacro et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes
unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in
pretio habiras f uilsc, adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his
vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro,flru^ili ve cæmento^ 7iiuucnrusRomanæxercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^
ne longius ad dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA
cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit.
cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriundandacorporaconftrucrc.Abhoc
autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in Itraris du cocnarcnt
accumbcndi, ut infcrius copiofc demonftrabo,con{ucrudo inrrodudra
fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias, arquc
molhricm ufam efleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim tcpidisquibas cxficatas, Sc
ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc aracrcscorponspartcsattemperabant.Ncc
folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob dchcias yfos homincs tcltatur Galcnus
in principio tcrti/ dc medicamcntis localibus.Jialneisaliquosvti
confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil
Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc
cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va.
miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ
habcbant.cius corroborandi, &:cibos conficicndi
cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in
medicos inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in
corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro
ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas balB ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns
AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum
Li.j.pnefomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs
rcddcrcd^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc
poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin
lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftralfcrcfcrtPlinius
lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato calidoi um balncorum
vfu, hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in lacus ægros mcrgebat,qua
dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r: u')C.ari.s.ptcri";qd
ct( vtrclcruntPhC nius,&; Agathinusapud ()ribali&)ad jprogada vita,
multaq.alia pftada.fi igida lauationc cofcrre opinati sut; hæc.n. dc (cipfo
rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna cuacgrcin foinuu dclabor.pp
acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C mirabilc cft qua iuciidam noacm
tra^iiligaiu.Qu.i balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc dccimum quartum annum
niiiil foluillc.tcftatur luuciuhs., T>{ec pActt criJiu.t,nl's . Sjt », Alij quadrantcmbalncatori
dabant.&ol) id baincu rcmquadrautariam uocauit Scnec.i,dc quo riacci; . Dum
tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6. Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii.
Qucritur tn .Martialis.quod plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio.
jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo ficniHmqucpdutitHr,
Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel alrerius rei graria,
&: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium fuifse:quin et Antoninum
Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre, tradit lulius CapitoIinus,&
Athenæus viij.dipnos. lcribitapud Phafelitasfuifse legem.utpcrcgrini
cariuslauarcnt.ppterea cum ita uili pretio licerct, nulUim genus hominum a
publico balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri fenes, decrepiri, nobiIes,&:
ignobileslauabantunfed prac cæteris,phonafchos, cytharocdos,
'''lrlE-r^T*'I^=e"farebalneafolitosrefert »ed.i.e. (^al.quod noccmoblæfam,&a/Tiduis
vocibusexafperatam aquarumduIciumhumedlationecurabanr integramq.feriiabar.HocfimiJiter
uidetur Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7.
Mcnophilipenemtam grandis fibula veflit, ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis .
Hmcego credideram { nam fæpe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuæ .
Dum ludii mediapopulofpeaantepalæflra, Delapfa efl miferofibula, verpus erat .
Qiii Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, inSll'nT ''k
'^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs Lacedæmoniorum in
balneis gymna ' ^vnT T^ Perfpedum eft, &: nedum in his, uerum et vna cum
v,nsprom,fcue:quod tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^
balnci mulie! orjs mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem
uciitum apparetrquod ptcr turptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL
" SSmA ''''''•T/'"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii -f 1 'f''
cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm / A faltcm loco ctlam antiquirus
lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia fccundo tradit in balnco coniunda
fuiifc acdiHcia bina, ununi ubiuiri,altcrum vbi mulicrcs
lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus idcm
confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim noparicbatur
vtruii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi dc(idcrabat.
Nifidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl nulla, ucl
angullillima, &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc inrclligcn da :
qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus jlauacra
coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis mulicrcs
promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru probatifTimorum auctorum
tcftimonijs comprobari porcll, intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui
diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf
occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit, conchss et caftramoueti T^lBc iubct,
m^gno g^uiet fudare tumultu, Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa Caltidas
et tnliæ ii':*itos impreffit Aliptcs, ^4cftimm4m dominæ femur excUnure cocgit,
cx quibus ncmincm cflc cxiftimo,qui non uidcat mulicrcs tcmporc
luucnalispublicas balncas adiuillc, ibiquc ^S: cxcrccndo, &: lauandolinc
pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcmpcftatc
Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii. B-ilnea
dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc ^dmittat
intcr bufluariasmoechar, tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus, qui fub Antonino
&: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario non
modofocminas communcsuiris
balncas,atq.publicas in ufu habuiflc tcftarur,fcd omni
pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nudas in ipfis fpc(ftandas
pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus hacc in libro dc
uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas balncas adcunt :
quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata corpora
proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr, ac
uidcntur, non" nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac multa
ctiam fi" millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad Lactamdcfiliacinftitutionc
" fucrc prodita . Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco
icmporccum morcm&: Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D fcminæ
atquc uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui
intcrdum hanc mulierumimpuramprocaciratem coerccrc tcntarint: qualis fuit
Hadrianus princcps, quera fcribitDioCaflius viros
difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balæa
promifcua fuftulifle,
eadcmqucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle, refert
CapitoIinus,&: Lampridius.Ob quod item aliquando cenforia lex Jata
traditur,ut mu lieres a promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum
uiris libidinis caufsa intrarenr, fub repudij,&: dotis amiflionispoena :
quod poftea in I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc
nuptijsprofancitorcccpttmfuit. Quarationcfieripotcft,utbalneæaIiquæ muliebres
in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtæ,quaIes Agrippinæ
AuguftacNcronismatns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac
Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc
refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmoEpift> 87.
dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia, &: crura abluebant:tou
nundinisfolum lauabantur, Cætcrum poftM.Pompeij ætatcm coepcrunt fingulis
diebus toto corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus
obfcruata f uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn
Galeni tcmpeftate, "fQh ^^ ualetudinis habita ratione lauarentur. ob q^
jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo narrat,quem ætate antiquiorum
medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non elseuifumfcnbit,
Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms exercebat.deindc
baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilæIu
F KL*" b'^'"eis lauari confucuifle : quod fimiliter ante illutn
Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft. l\eddepilam,jo:iatæs
thcrtnarum, luderefergis ? yirgine visjola lotus abire domum,
NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo pilælufores.atqucalij
exercitatorcsftatim accurrercnt:aIioqui in gclidiflima Virginc, qu am &:
tadu iucundilliii.3i.c.3. mam,ficuthauftu Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic
diftam quod nullis fordibus pollucrctur traditCafliodorus 7, Var.iam claufis
thcrmis lauabatur.fcribit enim Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempora numqua
thcrmas ante auroram apcrtas fuifse, &fcmpcr antefolis occafum claudi
confucuifse, ipfumq. Imperarorcni publicarum thcrmarumluminibus oleum
addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi
crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii hai aq : n A qiiodctla fcciflc I
yconcm philofophiim imicniri gMCCnc fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc
larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl cxrra gymnaiia,ucl in
gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItcrius rci ucl
confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs
dccima jcfius, Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin
eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauandi maximc a
mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic
(aturaiciitur Maiorc\b, nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d
circat^dtauam dici hcrampaulloantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit.
Suffiiit in ». I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlænris, et j^;^ ^ Octauam pctf'i5
jcutaic ^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc
Osftauam horam neminc niii ac^^rum huari voluit, quam horam criam lulium Cacf
prioribus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad
ArriLf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus
apud Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit, rationcs „ opinor
cum Balbo ; indc ambulauir in littorc, poll horam ocbuam „ in
balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac„ cuhim,\yLvriKU¥
agcbar, iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „ Scd an
pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco habcrur ;
quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum
mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar, atq. obid «A»ff i.finc
timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum)
uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic
locusillc ( iib.d^fai? agcbat) mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic«
a C.rac'j'^"-* * cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac
rari(>,quac in rcbusad * ' humanum uichim fpcclanribus fira cft^iSL:
K^i^^iKn. quac ad cxinanitioncs pcrrinct; haud fccius J-utTixil > clt illa
iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si: modis uomitum paranribus collocara cft.
Tot iraquc dc balncis ^^ymnafiorum, ac prmaris brcuircr didta fuHiciant, quorum
ufus cum apud anriquiorcs rarior cfscr, Afc lcpiadcs Pru(icnlisactatc Pompcij
orator habituscx ilfa artc nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc
contulifsct, in caquc magnam ^Ioriam, &:au(5toritarcm brcui comparafscr, ob
blandimcnta^qulbus acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d
Romac lib.i.c^. qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo"a.
rCjUt CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat, IJIfio?' D 2
cum fiiii eumfrequcntiorcmreddidit.
Vndccima,ac omnium poftrcmain D gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas
certantes: fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quoddam, multis
gradibus conftru6lum, unde poterant commode fpedatorcs^qui fcmperplurimi
eoconflucbant, certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu
peridromidasmurus intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum
arhletacin arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur,
rationitamcnconfcntaneumuidctur, uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod
eriam fupracirati Capitolini reftimonio comprobari porcft) muro
conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De
alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis,
triclinijs, atque eius gencris muL tisnonloquor, quodhorumin palacftrarum
dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat;
ficut nec qiiomodo ambulationesillæ fubftratis carbonibus,atque cloa cis
proximisexftruercntur. Quæomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a
Vitruuio in defcribendisxyftisprætermilTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio
exftrudas fuifTepopinas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic
inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacrælfcnt admodumexinaniti,
diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius
intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum
meminit . Hadenus dc antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^ femel
dumtaxat in die ceenandtconfuetudims •rigme. LFVON1A M balncorum explicatorum
occafio iam fuadet, nosquc fupra polliciti fumus de coenandi fcmel in die,&
in coena accumbendi antiquorum confuetudinisorigincfermoncmhabere; fi
cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de accubitu nihil explicatum habeamus:
haudprætcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam noftramin medium proponamus, alias eam
libcntiflime mutaruri, fiquis meliori ludicio,ac eruditionepracdirus, ucriorcm
aliquam,&:magisrationi confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim
maiorcsnoftrimanccxiguumquid comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue. fpcrc
tanrum (arurarcnrur, dum coanarc dicebanrur, (exceptis ijs, quicoituufuri
erancquibus amedicis vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle A fulfse fcrlpfic
Ariftotcles,& cxccptis SyracufanIs,qiios bis in dic ci^^nlc. bis
implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir Plato ) fLuis ab Horatio, Marj;^ j tialc,
Plururcho, atquc Galcno ( nc mulcos alios nomincm ) comDioncm. probatum ell:
fcd dc bis tulius mclius in uarijs lcdionibus nollris tradarum cft quod
fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm flraris accumbcrcnt, pracrcr lapidcs
Romanos id clarc ortcndcntcs, doAiflimusPhilandcr infuis in Vitruuium
commcnrarijs audorurn antiquorum tcftimonijs clarum fccit, vt id amplius
dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir. Cctcium vndc nam hac duac
confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo vercaccumbcrcnr, ncmo, qiicm cgo
vidc rim, (luc cx anriquis, fiuc cx rcccntiori-bus, ira appolirc &:
dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris dubirandi, &:plura dcfidcrandi
occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcuB rirarcm,an ob ncglcdum
cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas, &:accubirusl(:ihccfAupii^.indic
cocnac cofucrudincsa balncorum ufu manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc
accubitu fcntiam, pliiribus, ijfquc non fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum
prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando nofn adco frcqucnrcr bahicis
vrcbarr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio Procorum apparct. tfjft^i^otr^
Kcci^. . -it*. id cft, cyJt proci
ingrcJjL /urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt lc^tmms, (5" ordmc
throms &: ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao holpitio acccpti poft
lotioncmcocnant fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs gratias agcrcHtcnim ei qj'
Plurarchus dc lo co c6fulari,nec no dc tnbus triclinioru lccVis
diifcruir>iam non obfcurucft,quam mirihcc quadrcr propoiira triclinij
Rhamuufrani figura.Simiiitcr,&:qab Horario dc conuiuaru liru varijs
inlocisnai^ C rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim quandofcnbir. Sacpe
tribiis lc^is videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: ' "is jfpcrf^crc cnm
ijs Tfdctcr cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus exponcrct, cur anriquos
cofucuiflc in quolibct Icifto niagoa cx partc quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir,
f^nc miror, quafj non (ir cuiq. pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lcg^s
cxftitiflc quac numcnun conuiuarum nouc cxc cdcrc,ncc pauciorcsrribusclfc
vcrabanr,hcut &:adagium illud vulgatiflimum, fcptcm conuiuiu,nouc
conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Cap/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:pracrcr
cxcmpla maiorum, cupi duodccim folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira vt
prionIhis facculis porius fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con
uj^asdifcgmbcrc fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' 1) 4 nuptialcs
S4 i. i iS h K nuptiaTcs cænas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia conD •
uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo, ac
Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu, velnuptial^cocnamrepræfentari
non eftdubirandum,urob hoc Chacrephon apud Athenæu in vj. vidcatur admitrcrc
couiuas rriginra dunraxar innuptijs, in quibus vcriiimilc eftnecefTarium fuine
uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib. ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui
fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem
Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam pr.æbcnrc funt in tcrpretati, cquidcm
non i mprobo.at forfan ncc abfurdum hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero
cxponarur, qucm tana. omncsfcre mcnfarumfculpruræ antlquacquam poeraru reftim
nia conuuujs femper frigidam,& calidapræbuifrc oftendunr,qUeque cundos, ne
ab ipfo male rra(Sarenrur, reucriros eifc, et a quo E mordendo abftmuifre
vcrifimilc fit. Jam fcfo M.iria Magdalena u t ftansrctropcdcs Chrifti
coenantislauerit, atq. loannesfupra ciuf-dcmChnfttpcaus
recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j figura,fecus quam pidorcs antiquarum
rcru ignari faciat, 6c quam, Gaierarms Gardmahs murilirer commenratus
cft,fadlec6iicitur ctenimhebræos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^
dmem.obferua/le practer Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs fæpe vfurpatu
etiam id tcftari poteft, quod Læi freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq.
Romani L Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"!
Marriahsfigt^ificare hoc dV •, ) -.J ; Omi^ia cim retro pueris obfonia
tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl ponitur a pedibus i -'Siquidc.n coen anribus
alrc iaccnribus fpacia rfetro rcjinquebarur in qu.bus fcru.s uana
miniftranribus mulra offcrrc, et ab?ata rcci pcrc faclc crar,feruos namqucad
pedcs cænanriunrftareac ob?d a^edibus vcl ad pedes vocari /oluos ex mulrorum
fc^Sci r gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc
bcncfici;s. Scruus (j cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius
dixiit.MarSs Mixta lagænaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r,, .
namverovfq.coabundantcm vrrnnl.i V ' "-'"fercoecircumfcrri mbcrcs
Lraia n^^ paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^"
buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^^"Sed practer alia mox
di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum tcporis inreruallu lcdos intrarcntjatq.
ibi modo nudi,modo laccrnis,aljjsuc in id paratis uclUbus induti cænarct, atq.
inde mox aufta baincorum cofuctudmc vfq. adco accumbcdi morcm crcuifse, ut
nobiliores in dclicijs maximis cum habcres,lcd:os nunc marmOreos,nuncargcnteos
(quod dcHcliogabaloferunt) inidfcparatim exftrui
curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lucio Vcro
ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdormire conAieuifse puto) fcd
in cubicuiarijs uocatis dormire uolueH rinr.quc morcm accumbendi poftca
uiiiorcs, &: paupcres ad diriolib ii.de ^l^^yi^^f^^ifn ^ balncisquaiiiori,
itafrcqucnriflimum efTeteruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla praccipcrc coacfrus fit,ne
uiilicus nifi facris dicbus accubcns cocnarer;in qua rc no fecus corigir, ac
cuenifsc cofpi citur in baincis,arq. piurimis aiijs rcbus,quæ in honcftum ufum,
et quafincccftitatc quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia,
Uolupratc,aliosq. ufus rradudac fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucrercs in
couiuijs ocs propc cxcogitafse uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos
animosfaccrcrrfic enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas
magno ftudio inuencrut, ad audirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut,
ungucra preProb'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr,
ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc 6.cr fimp.c6rcxras,quas modo
manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de anj.
Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda. ^i'^gi'5ria,
colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu concap.8.
«^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclicatiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcxii.7.c.ir.
decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alonginquisrcgiombus
Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra, et
prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De
antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia
opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori
CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rcdercntur,uixfcmcl
comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia
fpcdcmus, li 6c cxcrcitationii. et baincorum, . s9 A rum.accubituscj. apparatum
c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li ois in dic fiiturari
uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum ucntrc plcno adirc,
aliosq. multos errorcs, &c in ualctudinc,&: in alia uitac rationc
committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,& modum balncorum
tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa Galcnointclligcrc,
^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc lauandum ciubitabat,pancm
manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc ret,quadoaIijllmili dc
caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti non modo Galcnus f ilsus
clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non auide ^ quantum
intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam horam cænæ
dcdicarint,in caufsa fuifsc præcipue uitæ commoditatcm cxiftimo;fiquidem
difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &: cibum,agcdis rcbus opcram
nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij ftatim fomno capicbaa tur, a!i
j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum ibantrcx quo adhaccomnia nuUa
opportunior hora quam ucfpcrrina inucnicbatur, quamquam ctiam nonnullos, &:
pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc rationcm fpcclafsc opinor, quando
in noAc melius, quam intcrdiu, cibi conficiuntur, tuncque pcrfpicuum eft plus
cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc accubitus,A:cacnac
antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui.
6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt hi,nofccbat.Aclcrant fcriii
fricandis corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum gymnaftacautpacdotribac,modo
nudis manibus, modo vndis, modo cum lintcis alias duri5,alias molhbus,alias
afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo modo,proutopuscrat,corpora fncabant.
Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac Cdfo nuncupati,quod corpora ia
cxcrcitara vnli.j. c.^y. gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a Paulo
Acgineta iirrfOAu7rT«c vocatos:fcd dcccpti funt, cum alium lUiflc ab his
iicr^^wTTwoilcndcrimus. McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta
cuerrcnrcs,nccnon multa aha pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius
intcr alia antiquitatis cius præclarillima monumCta hanc infcriptionchct,mqua
Mcdiadmorufit mctio. DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET.
PROCV R AT BALNEL T.FLA VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX . ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T.
FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui
balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs, modo purpura tinctis,vr rcfcrt
Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C lintcis cxiiccantcs.hos quoque arbitror
cgo confucuiflc flrigihbus corpora cxercitatorum diftringcre, atquc a
ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi,qui fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc
ignis balncorum cxftingucrctur. quidquid alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu;
fcrcspilac, vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn-.tias Matrialis
&c Stati j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprctantcs.
Alipili,qui(ut rcfcrr Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus corEpift. poris parribus,
et pracfcrrim alis pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti uiri
ccnfucrunt,pcdicrcpos,& alipcdosapud Scnccamlcgercqualiin gymnafijs
cflrcnr,qui a pcdiculishomincs purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna
vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a vt Scnccaab huiufccmodi
vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod luucnalis ccrro rcflaru
faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr, ubi fcruos fuos
dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS TcHi^ulos^nK,
yelUndas iam præbuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos mo do
volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^ vrronim
corporibus pilis maximum hoIi.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,ucrumcciam
illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrindc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira
diftinguanr,nc lcctorcs acqiriC uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas
iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc
prf>fM>{ucrimus, quac racdiCiJiac pars clfc dchnita iam a nobis
tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc
his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc
inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s
gyiniuJiic;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr,
nihiloininas tinibas, -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu. m:i;;nopciX',
licut ctiarci fupra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num gy.iauuftica JmiplcNj^i:
mcdic>nac pars i«l folum ourar, ur bomincs cwpcitawontim modcraraiam
©pc,&:fani* arcmacquiraiu,rucanturuc;&: bonumhabinnn adipifcantur;
c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc, (cAA« t^^-rgut^^ll^^ yj(xH'.€i
aiS^iTiotz, idcft, 1 arc jr haud r 2 multas, fcd modcratas cxercitationcshominibus
bonum habitiim D inkrcrc . Hoc ua eire quoniam Gale nus tu in libclJo ad
Thrafvbu-, lum, tumin libris dc tuendauaJctudinc non minus copiofc, quam
JucuJenter demonftrauit,&: nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc fpcciem
pcrtnicntia dccJarauimus,haud ampJius in ca celebrada vcrbis immcrabor.fed ad
BcIIica tranfibo : cuius unu ftudium erat hommcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos
muJieres carundem cxercitationumadiumentoita difponere,atqueaptarc,ut et inbello
lck fortiter gcrcre, et hoftcs propulfarc, &patrias tucri, et omnem
deniquemilitarcmperitiamtenere ualcrent.quamuis cnimhæc quoqueficut
&:f«perior bonum corporis habitum con.pararet, &: lanitatem quodammodo
tuerctur, quia tamen proprius illiusfi.nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos
atque fortcs cfficere,proptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod uero
bclli ca gvmE nafticanuIJam aliam naturam habcatprætcra
meexpIicatam,locupleti/nmum teftcmPIatoncmin mcdium affcram,
quiinfeptimodeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumeducationem
maiorcm partcm in rcbus pub.obtinere) dcccrnit
publicosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs
edoccar, quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca
&:/aJtatoria gymnafticæ partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in
tertio de rcpub. &aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem
Ariftotcleslimiliter gymnafticam belli" cam modauo
Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac athlerarum habitudinibus corpora
iuuenum deformare, et corum augmentationcm impedire ftudent Ciuitatcs, quam
Lacones effe ratos labonbus adolefcentes cfficientes reprehendit, eamq. pueris
^ gymnafticamtradendamconfuht,quæmitioribusJaboribus &: magismanfuetis excrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneaotijs
uerc fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non rcpcno,
nifi velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere . qu^d
et ipfa bono habitui
comparandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^ dtafuaftudia
dingat; atqucilli qui medicinæ gymnaftkaToperam nauant, etiam dum
oportct,beIIica uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^
niilit æ,1iTomodo! LsapudGr^^l"^" huiufcemodi ars apuci
oraccas,&: Latinas nationes in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas
eft etiam gymnaftica aJia uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quæ hominibus
robuftis efficicndis(talis enintf.ft Mi! lo Crotomara, et «hktailk, qucm
OJympiodorus quarto m te^ rolog. V ^ \ M V S.
aut ludarivaut isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo
indigebantcorruptu &:.euaporatu dJthcili,cuiufmodi eftcibusex fuilliscarnibus,quibus
foli veri athletæ uefcebantur, atquc tareserant> qui inludis,. in
amphithcafris, &:etiaminalijslocisob pracmium,&gloriamcertabanr, in hoc
acetcris diuerfi, quod folum uincere,&:coronam affequi ftuderent, cum alij
ucl bono habi tui c orporis acquirendo, &: fani tati tuendæ ; uel militari
fortit:udini,&: peritiæ acquirendæ intenderent,quos /impliciter
gymnafticos,&: exercitatos,vel athlctas bellicos nuncupari inuenio, ex. quo
conignuraliumefie: (Tmpliciter athletam^^ alium fimpliciter gymnafticum, necnon
tres fuiffe artcs in exercitationibus uerlantcs communinomine gymnafticæ
vocatas, quarum medicaomnibus magis proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica
(apud mcdicosloquor, quod alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia
omnium mini me nimirum, quæ a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit'
quacue robori, non fanitatioperam daret : roburenim diuerfum habitum afanitate
cxigere, teftis eft Ariftotclcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem
habitum robori ^fornitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5|
TfcT^itio/a Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-Oftquam dc bellica
gymnaftica, atquc etia dc gymna^ fticalimplici,quantuad præfens
negotium:fpcdabar, fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone
habere;.quæ quonia tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem
fibi uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam
longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofillimifq. uerbis
infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit,
exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum, facillime
clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad
K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm
"^**'^^* illius cxercitatores dum fge uidtoriæ, Sc præmij ( quorii gratia
qui certa.nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi 1 .7.429 !> . vf IffXyi'^ J^utdh^os r«
crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti,, n-flf 'f * J^iOfUKot 6 /fc Kcti
KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus inuit
robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn,ut non inficior
ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in
athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum omniumaddidiflcThcfcum
tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non uidcocuraroborc qu.)quc cclcriras
fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii
tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct
athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut
corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,quibusfoli
cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id
c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde Jcnr,qulnq. tamcnpi-accipuæranr,in
quibusvcl femper.velplcD iimq. ram in facris cerraminib.quain
Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim in ftadio,quod
fere folis arhietis propnc deftinaru
erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus.
vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui
feparatimin fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,&
pugilatu valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo
Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu
Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus, apud quc ct peiiodon vicifsc
diccbatur is, qui Py thia,
lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi
accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin
quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq.
n6nullaalia,qucruquoq. certamina athlctæ E obibar,ar in pu blicis ludoru,
&: ficroru ccrraminu cclcbratiombus
raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Græcosfaccr« dotes æftatis rcpore
in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o3.3 ar. 13 didir Galenus.Quamquam
monomachos,fiue gladiatorcs apud ve rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod
M.Ciceroreftarumfecit Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re
athleras pure defidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus qu^^memoriæ
prodituhaberura Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios Imffc
leuioru,alios gr.iuioru cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife
gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9. t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si
in colluAarione vel in pacrario,vcl pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu
occidcrir,cefllit Aquilia, quia gloriæ caufsa et „ v]rruris,noinuinæ,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud
Maiorcs,hac athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd'
homincsfempcrillasrcsextollerc .ac honore dign.is
cfhcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc ftudenr. ob quod cum
arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas voluprarcs
publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis exli.i*.c,4.
P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes
a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis
parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin
patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos cædercatciue
occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges, non modo licuiffcvcrum er.am hononficum fu.fle
audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius in v.de
Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo fuperliitionis,
arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum numerumiefenent.
Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft..uhlctlc.im .uu.quitiis magn.ic
auiVoritatis fuifrc : et proptcVca non tcmcrc illam Calcnum mfcaatum cfsc.dum
an.maducrfe rct.quantudani exca artis athlcticac reputitionc hununo i^cncu
acccclcretiliquidcno mo cuchianimi.vcruC-tcorpons bona;ita ccv rupebatur,ut
nihilinucniri pofsct.qcK maius hominib.q. gloriac, 6C pmioru rationc lUa vndiq.
ambicbant.dctrnncntu afla rcr, quc ulmodu
Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O / ^ch^v 0 IxfJv ovcfi
utLJviip OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W ^*ip ^ rvxSn T% S^AoCyVfiSvo^
d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . . Msdtuverjati Mortbus y nonfacHe mutantur
in mclius. Quibusnihil cftmco iudicio,quod magisatli.ciKMC ftatil prod.if. Ncq.
tamcn dctucrut, qui hac pniciofam arcc comcrarijs cckbraC rc mtcrCtur, qualcs
tUcruc Tryph6,ac Thcon Alcxandrinus,qui ab athlctica,in qua cxccllcbat, cognita
cius prauiratc ad gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca Platonc,quc Scrums,&:
Lacrtius ^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa ad philofophiam (c
contuhfsc.Scd quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc,arquc vitam millc nccis
gcncribus cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco ncqnaqua practcrirc
uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um gcncra
propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmoriac prodidit,primo
fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum conicaio,poftrcmo cc rona.
. f,1 ^ citatcm, et ob fcoenos mores delcnbcTs ait Inter catellas cnferum
extalambeutet Tmitur aprigkttduks palæ/iritis, Attamen 1« rd le «!• am ith
Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii Hij n h bu Ci n ni p
B. . 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs tu bubulas, tum
mcnto o'^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos nut.u c.itur. (cd
f ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u,,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil WiJofcj i.nmodicc
«tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta, u, quac ut hc, ct
ab ahqu,bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n .llam apud Cachum
&c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is, nuccs &nil
coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Arrianus in Epiftcto, non
frigidum potum, et dc qua Plautus m Moftc'I ma ubi adokfccns quidaita
loquitur,(iuo ncquc,ndullr,or dc iuucntutc crat artc symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu
armis, cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^ duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum .
aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo (cruafsc,m6c ccmpons nullam rationc
habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum cfsc potcft.nil, qd: 4/ refcrt Gulenus eos non æqiie mane, ac uefpere
cibos ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo
rarione.Meruni[ etiæxpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis
vigerm" tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob
q,ualira^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f
H.i^c.r,S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper ij
eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram
feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic
laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin
palæftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria
gcncrafccitpalacftritarum,pucros,imberbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk rac
ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas
plumbcasrcnum,&:Iumborum rcgionibus ad arccndas ncdurnas poIIutioncs,&:
libidinis imIi.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati funt Plinius,
Galcnus,& loanua. c.uic.' '"^^^ CaflianusJib.vj.c.vij.quam rcm ct
inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum dixit . Qui in lladio currunt,ab
o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^' ooronam,nos vcro utimmortalcm
accipiamus. lib adfflar Qil^,^cnaiTfis Tcrtullian^ hacc diccbatrNcpe cu&:
Athlc tyrcs. ^^^^ icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut robori acdiiicado
vacer,c6 ^ ^ tinctur a Iuxuria,a cibislactioribus,a potu
iticundicirc:cogLitur,cruCiatur,fatigantur,^ D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9.
atq. Aclianus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan. lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn^
li. is.c.6. tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre
ablbncre fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^
HamcrO'Colligi,apud prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut
omnifi Olymp. vv.Kcaihum La^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm
totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77
ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt a lahorc (tj motu. OSTQVAM dc
Gymnaftica, quid fic>cius origincnvicc non vcrac,6aquacq.
fingulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum ars(diccbai Ariftotc^.Ethk.
lcs,)(it rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir in obcundis cxcrcitatiombus
hacc rccla ritio, quomodo iUarum unaquacquc, ucl ad parandumbonum habirum,vcl
fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir (
iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ipfumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm,anhclitumalrcranrcm,ub:
yvtaict^ K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. laborc in:cr lc
diricrrc dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quacdam magis communis,arq.
pluribus conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri moucanrur,ncq. cxcrjcri
dicantur,cxcrcirario ue ro non fit, niil vchcmcns morus : fnnilircr labor liccr
lit vchcmcns motus.ramcn non omnis labor propric uocarur cxcrciratio, fi quidcm
fodicntcs, arq. mctcnrcs laborarc,fcd non propric cxcrccri dicutur;
tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc labor,cxcrcitAtio uocarur
rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocratcuocatumcfsc
ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi
famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^]^^ dolcrcm
&: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira„na,cu7 tioncm
fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^.
iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Ætij ^
nili nifimomsvehemcns anhelitum
alterans, yviivitrm^ Græcisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum
paucioribus ucftibus cxercerctur;quemadmodum etiamlociiin,ubi
ficbat>'t///^(cW appellatum fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed quoniam
poflct ali quisetiamin gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui tamen
nullo padio excrcc i i diccicLur,iccirco hæc Galcnica
cxercitationis(paccciusdicam)definit:o haud quaquamintegra eft.&: proinde
Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum animaduertidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno
dcfinitam fuifle,a!iam definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod
cxercitatio eftmo tus uoIunrarius,proptcr qucm anhc!iti.s magnus,
&:frcquens eft ne ceflarius.Quo m loco eos quoq. mcrito damnar,qui leuem
quamli bet ambulationem cxcrcitij nomire compcllant : non enim
appofuit(vchcmcns)quod,vbi magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper ^
necefll^riofcqui ur motumiilum vchcmentcmcxfiflere. fed neque hæc definirio
Auicennæ mihi plene fatisfacit : quoniam,etfi conueniatomnibus
triplicisgymnafticæ excrcitationibus, cas tamcn propricnon
complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos etiam loqui
inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam
compleftitur, cum ncq. materialis explicetur, neque caufla cuius gratia.
Accedit item illud, quod multi uoluntarie uehementer,&: cii anhclitu au6to
mouentur, qui nullo padio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum celeritate
dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi, qui vel inimicoru impetum, uel
quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur, 6c frequenter,ac
magnopereanhelant : ex quo Auicennæ definitio haud pcr. fcfte totam
exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa AuerF rois,qua dixit in
libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbrorum motum aliqua uoluntate fadlum.
Ideo nos alitcr definictes dicamus,quod exercitatio,de qua medici intereft
tradare, jpprie eft moms corporis humani uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu
alterato ucl fanitatis tuendæ,uel habitus boni comparandi gratia fa6tus. ita
namq. definitio omnes cauflas comprchendit, atq. foli definito conuenit : uerum
enimucro poflTet aliquis merito a me fcifcitari, numquid motus equi tando, vel
nauigando peraftus exercitaonis nomen mercatur, eo quod non libere a uoluntate
hominis, fed ab alio dcpendere uideatur ? cui rcfpondeo, non minus
equitantes,&:nauigantes alijs cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm
communitcr,dum modo gratiafanitatis,uel etiam militarisftudij illud cfficiant :
quandoquidem propric exerccri dicuntur, qui exercitationcm nuper a nobis
definitam fufcipiunt.quibus vero aliqua tx comlraohibiu neccflarijs dccft,illi
potius communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur,riue i fcipiis, llucab alijs
moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &: Flaro, &c Gatexius
:fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt, f efe mouerie, agi tarc,
ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri faititant, qui tamet/iin hoc
brufisimbellioresad fruendum hac uita excant,nihilominus &ip/i, quantum
conceditur, fcfc mouere nituntur iiitque exmotibus non parum voluptatis
accipiunt. qui motus poflmo^ dum crefcentibus annis dum codicionesfupra
defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt, nHi iplilTima facultatisgymnafticæ
opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi aon a naturafa£tam,faitem fecun dum
naturæ propenfionem efsc Huiufce facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue
uniuerfalespartes effecerit;proinde allatani ab ipfo gymnaflicæ diuifionemin
medifi proponemus, nou quod fub ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc
contineantur, E fed quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc
contigcrit.nGque nos quifquam rcprehendere dcbet,quod in pluribusPIatonis,quemmedicumncmofanus
reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui
no jninusmedici 3,quam Pythagoræ eius difcipuli credere tenentur, fcriptum
reliquit, Platonem Hippocratis imitatorem fuifse, nec vfquamabiUius placitis
receirifseinam Galenum hoc inlocofe;/>cdtuocauitLucianus; et in gloflario
habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi cernuat
plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ% eftfphæriftica,(iuepilæludus.naq(fludentes
pila faltarent,præterHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeæ dcNauficaahæc tradit:
TTiaich Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc iipX^'^ MoAttw^. idcft:
Ludebantpilayvittisvcllisque remotis y Utqne his ^auficaa ob niucas Jpe^abilis
vlnas TrincipiiHn ludo dabat. tcftaturquoque Athcnæusex auaoritate Demoxeni,ficutiinferius
indicabimus . Tertiafpecies eft opx>i(ng fimpliciter dida, nos
limphciccrfaltationem diccrc polTumus. Totahacorcheftica quau is maiores noftri
ut plurimum ad uoluptates, ac lafciuiam poti us, quam ad aliud utcrcntur,qui
mos etiam ufque ad hæc tcpora pcrdurat, nihilominus gymnafticam
bellicam,athlcticam, atque mcdicamilla quoque prorfus non caruilTe conftat,
/icutnec ccteraf cxcrcitationes abuUa fereharum triumomifli fuifsc dcmonftrabo,
ubi in finguHs cxcrcitationum fpeciebus dcclarandis, quo modounaquacque
gymnafticæ illis feparatim ufa fit, indicareconabor . Bcllicam cnim abfque
faltatoria non fuifle, locuplctiflimumteftemPlatoncmhabemus, quiin
feptimodclegibus faltationcm in tres diuifit, militarem, paci aptam, atque
mediam; milirarcmque vocauit corum, qui modo exfilitionibus
inaltum,mododcprcflSonibus, modoinclinationibus hoftilium incurfuumin uafio A
uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris uarijsiaculatorcs, &c
pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit, ut uoliicrit in
Rcpublicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fimu!,ac mulicrcs
hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiumcnti accclVurum ad
adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb.
i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr
cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica
gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft
cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq.
faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac
prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia, ab
ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs, atq. expiarionib. ficri
fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon,
rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &:
furificioru cc^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.(
lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari,
et bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vycap.vltim.
Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis,
pacrarijs,ialtationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd
AnOrib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs
hominibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit, mcdiamq. intcr chorca, &:
umbratilcm pugnam naturam rctincrc, &: ob i d puc ris, mulicribus,atq.fcnibus,quorum
corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc cft,conduccrcfcribir. An ucro
hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ paci apram nuncupauit,(]uamq.
animi in profpcritariC bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir,
haud tuto affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum
gymnallicacgcnushac laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam
cxcrcitationum arrcm a Plaronc dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap.
/K Altationem incubifticam, fphacrifiicam, &: orchcfticam,fiuccommuni
nomincuocaramfaltationcm diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia
da lorct. Scd quoniam dc cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita
rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas duas prolcqucmur. Atquc primofphacrillica fcfc
oflcrt, quac ramctfiHomcri tcmporibusfimplicior
cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3 uaric«4 æratcm acqiiifiuit, m&c ipfa in
gyrrKraii/s. t-am locumcSoLfD «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif voaitum
haberc mcruerit. I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum arpotfp^i^^Kou.
Qiiis vcro primus fphæritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit, fcripcores diiic/a
fcntiunt. Plinius inter Larinos Pytho cuidam hunc acccprumrcferc.
A^alisCorcyreagrammatica Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd
ignoroquararionc,apud Athcnacum facir.-HippafusLacedacmonijs, DicacarchusSicyonijsinuentum
iftud artribuerunt . Ex quo fir, vr ccrri quidquam fcntirc nequcamus,-&:co
magis quod TimocratisLaconis,aIiorumuc dehocludo commcnraria non habcmus,
quibus forrafiis &:ranracuarictatis rarioncm intclligere,&: incognira
prope ludcdi pila gcncra ccrtius cognofccrc poffcmus.in quibus cxplicandis cum
huc ufq. fcriprorcs non parum confufi fucrinr, arquc intcrdum a ucriratelonge
receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm hac clariorcm, minufq.
antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.PiLiiraqucludendi
gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio, uiyct^w T^pajjpcLV,
fjLiTtfKVj^pajpoM, yiivbju o-(poijpcJUf, ^ yicopvKOV, fiue paruam pilam,
magnam, atquc pilam inancm, et corycum,rcpono corycum inrcr pilac gcncra,quod
licct GaIcnus,Oribafius,&: Paullusab illisfccrcucrint, inftrumcntumillud,
ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac lufus fccundum
Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila ualdcparua,in quaqui
cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&: colludcnrcs manus manibus
proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula, qua cuhiros cubiris ludcndo
immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr
uarios pilæ iaitus huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila adhuc
maiorfccunda,in quahomincsintcr fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum
itararia, ac motoria pars cflct, qui manebant,pila cmittcbanr
cumuchcmcnria,&:concinniratc. inrcr has fpecicsadnumcraridebcregcnusilludiudico,
quodpcncs Athcnacum ifc^r^t901/ &: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin
libcllo deparuæpilæ ludo fimul cum alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia
CleS.facilag. mcns Alcxandrinus, fcripror grauiflimus, ubi dcmonftrarct ludum
paruæ pilæ.&: præfcrtnii (puMct, cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc
accommodatam,cam paruac pilac fpccicm fuiflc hac oratione clarum facit:oV/
inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r ^f^»x«,K«^? ^xnzo* /.cuf twsitx» rotwirlt^
yy^zy . K.«xw n.ut tAaCt, f/ ^W . X. ;,x*^r.^cr«x-;uoit-'J^«« i^lmptc,&:
com;mn.tcr ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac ir.iq. I:.nr p.Iacpar..ac
Ipccics dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio. .nqu.bus
hp.ccncspli.lofophus.ncc non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo cum muhi
cx Anrigoni rcgis ra.mliaribus hukd. yrar..i cxlucbantur.mulrum cxcclluilfc
dicuntur. Arqiu follux al.ap.lac parU.1C ludorum £;cncra proponit, Aporraxun \
ra.i.am,..! quo (clicctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu pro.jc.cbant,&
a.itcquarcr' G 4 r-im, - ram attingerct, excipicbant. Coctcrum pilam magna duos
quoo. D ludcndi modosnon folum exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu
hgura a fuperioribus diucrfos cfl"ccifrc,Oribafius cx Antyilo rcftatiir,
qucrum unuscratludcntium magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc
poflidcbant, vt /icuti in cccteris prædiCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris
humiliorcs,ita in hac lcmpcr capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam
fummispedibus ambuJabant ut manus altius cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant, cum
lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in qua proijcicnda vchemcrcr bra chia
agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod tcrtium pilacgenus fecmius,quahs fucnt
haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i
con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx
corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illæ ucl
pluma.^uclaliamatcriaihæcfolo venro,/iue E ære plcna forcr,arq. rantac
magnirudinis, ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct,
quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime
exprcfl-erit, e?us orationem huc -duccre ftatui, quæ ita i„ V^aticLo coc^ceT
habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy, -Hw^^. ^oyrL., .fo^i-npo.,
i-.^,.e^,^^oJ.oZv:,,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo a d 2e cor
Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin« SXnt it u iS l","!™ ' itcrum
rcIrcijcicntcscmit nt.urc rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu
ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';''' "/P°" »,,.;„r,;tr ™.r*,r^ot:'ald[&i^re!
troccdat. . 17 A troccdat, c\quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim
propin„ quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad
tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc
remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum
^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc, alioqui ii angularc
fliifsctin occurfu, &c manus, &: pechis non finc laclio.nc pcrculTifsct
. Hacc autcm li uidifsct Fuchfius, (anc inrellixiikt, Valcriolam non finc
racionc aducrfus ipfum contcndifsc, follcm,^: corycum paullo minus,
quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum
lcriprorcm Caclium Aurclianum,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam
uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian, atq.
coricomachian,nililirin codiccdcprauatilTmo crror,vt puro . Dc hoc
intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc
ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba
tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm
intcrprcratam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm
inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti
probnuir,quas bonus i!lc intcrpr^cs,ucfc^io qno fpiritu, pcrac,aurfaccu!i
iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllcxifsc Coclium Aurdianum
cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim
lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco
cifaro propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita «ccorycomachia
C ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco dcpraua ' rusfit.
Locum vbi ludcbarur,Cor)'ceumapud Vitruuium
appcllari,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis
rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum
gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila inani, &: coryco. quac
omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc, non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris
nuinik rto conftar, ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda
ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum,
pilam parua,&: pilam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus Ægincta
iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc diucrla cxfti
tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac cxcrciratio nes.
Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur,
parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,&
pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcrciratiorcs if
citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compaD
randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc
idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc
dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac inftrumcta ct pilam.
Admirari aut nemo dcbct, fi nos in fuperioribus
fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc multas quoq.
bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnupcrrime dc pila dictu ci\. a
nobis ; quonia et vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi
mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a
pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q.
exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid
efficiant. ludi vcro,quos athlcticæ efTc nos dicimus, ita propric uocabatur,
quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E
Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis
ufitatagencrafatis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in
vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in
quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera
Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm,
paganicam, &: harpaftum, quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio
Aurcliano medico complexa nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta
confcda,(oloq. uentoxeplera, quae /imaior eratjbrachijs impellebatur, &:
fimpliciter piJa interdum nuncupaF batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum
fcito,quoniam uidebis Romae inforo antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \
&c apud Propertium lib.3. Cum fUa vcloces faltitper Irachia ui^us.
illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M
olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn, Seute difcus agit*
Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij Imp. Rom.
nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex quibus conijccrc licct,unumquciuqae
iufcxmm nropriam pilam habuifle^atq-ueeum luduminfacriticijs Pytlrij^ apud
AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri-
ficatorijs uafis colligere non eft difticilc Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq.
piigilJarisfoJIis, vt apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm
pugiJIatoriu facia ; uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum
appellari crcdojlicuti a Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc
deletVatum narrat.Quomodo ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi
partiris pondtra follisy ' cum ex corio ucnto replcto pila hacc
confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini audtorcs uno orc fitcntiir,
quidquid alij rcfpondcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca dixiflc.cuius
lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr ludcndum vcl
nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIartial.alibi fcriptum
rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit aetas, Fotlc dtcct
puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora imbccilliora cxcrccri
ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus lufuilocus nullis
lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus ludcntcs,&, fi
fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &: proptcrca,cum folum
minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcrrac attritu puluis cxcitabatur: quamq,
ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili &c cxiguo illud
adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur, atq. ludcntiQ pcdes magis
firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc cxercitationcm
confucuiffe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam cx Thcrmis ob
dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e Thcrmis, circa
balnea non eft, Menogenen, omni tu licet arte v^lis, p Captabit tcpidum dextra
lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi fæpe pilas, Colliget^, et rcferet
lapfum de puluere follem, Et ft iam lotus, iam foleatus erit . Numquid autc
ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl
Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam
magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m
tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't,in fcxto
poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht, quafi corycus,
&: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila paruam,&:
magna,& cory cu diftinxit . Alij maluerunt corycum Graccorum,foIlc Latinoru
fuifsc : atq. hanc opimonc maior pars rcccmiorum fcriptorum habuit, intcr quos
fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci, de foilc pugillatorio infcribcud
di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\ ki Sicn Doni ierl( !crc A
kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s m.ignopcrc hiillucinantur:^ primo,qui
crcciidcrut follcj^Sc mænam pilam idc fuiirc,duabus rationibus
rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i pilafcmpcr fummas manus capitc
ahiorcs tcncbant, quandoq. criam fummis pcdibus ambulabant.ut manus ahiorcs
tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu pihic may:nac no modo acgrotis, fcd
cti am coualcfccntibus, atqr bcnc ualcntibus inuiile iudicaui t, quorum
ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx fupcrioribus iudicarc.Qui ucro iollcm
corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc
dcprchcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcndcbatur,folhs h
bcre emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna
implcbacur, follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus
ucro no. Fuerur itc qui tollc pila i naB nemfupcriusa nobis cx
AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. quibu^ cgo libcnter a(Tcntirc,ni(i MartiaJis
dixifict, fbllc mitiori actari couenire, &: Antyllus pilæ inanis
cxcrcitarionc non admodu facilc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset.
Colligoigicur cx his omnibus, quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru,
ncq.magna corundc,neq. corycus fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l,
paruampilam follcm rcpuraucrit. Porro Trigonalis pila,qua hidcbatur,parua
crar,ita nuncupara uel a loco,ur uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui
locus triangularis crar; ucl potius a ludctiu ( qj magis crcdibilc
cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando pili £mphci nominc appcllaram
inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non foliis^ non tc paganica
Tbermis ^ vj Tracparat, aut nndi liipltis icius bcbcs : Vara nec iniiHo
crromatc brjcbia tendis, Klonharpalla uagus pulnerulenta rar.is. Si enim fola
quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac nomincntur, Trigonalis fub
pila fimplici coplciflctundc hac fimihtcr locutum credo Cclfum, quado dixir,ab
aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua fupcriorcsparrc s cxcrccnria conucnirc,
quoniam in hujufccmodi ludo parrcs infcriores fcrc fcmpcr fimue mancbanr,
fupcriorcs perpcruo agirabanrur . Quomodo ucro pcragcrcri:r
cxcrcitatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx Martialis ucrbis,in quibus
dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura colludcrc foliros,ur manibus
urrifque modo fini ftra, modo dcxrra pilam uiciflim cxpcllcrc,&: cxcipcrc
ualcrcnr, nc unquam cadcrcr. in quo fumma
ludcntiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob
agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2 &:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone
nudo FnHæ det fauor arbiter coronæ, T^fC laudet Volybi magis finiflras .
Captabit tepidum dextra, læuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare
ftniflris Sum tua ift nelcis, rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet
confiicuifsc trigone liidcntes a fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam,
modo finiftris, modo dexteris,eo propemodo, quo nollratespila paruafupra
funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus tertium paruac pilæ lufum
dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum loco fupra citato,tum
lib.4. Seu lentumcefoma teris, tepidimi4C trignna : haud fatis mihi
conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dicerem proptcrca trigona tepidum
dixifsc, dft quod homines ludcndo^ob uchcmentcm utriufquc manus laborem, &c
afliduo rootus pi^ Jæ tenore magis incalefccrent: uel quod locus,vbi ludebatur
tepidarioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca ludcntes tamloci, quam
pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse, ucrifimile uideri potcft :
cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-, tentia demonftraucrimus, poft
pilac ludum ftatim confueuifse balnea calida ingrcdi . Nifi malimus di cerc,
poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo motu pilac in manibus ipfa
tcpida euadebat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in Elcgialanuæ conquercntis, dixit
Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu tepcfceret, 7{ulU ne finis erit
noflro conce/fa dolori, i^^urpis y in tep^ limint fomnus erit ? Excplum
trigonalis pilacmihi uidcturillud,quodin nummis M. Aurclij Antoniniapud
Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum in liicrificijs
ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi folitu,mcmoriac proditu eft. dc hac pila quæ
dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope
autfimilepaganicæ pilac lufum dcfcribi cxiftimo a Pctronio arbitro in
fatyricis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus (cnem caluum tunica ueftitum rufsca
inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc tam pueri nos, quamquamcratopcræprcciumadfpcvflaculum
duxcrant, quam ipfc paterfamilias,qui folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea
am plius repctebat,q terra cotingcret, fcd foUc plcnu habebat feruus,
fufficiebatq. ludctibus.Notauimus ct rcs nouas.Nam duo fpadones in diucrfa
parte circuli ftabant,quorum altcr matellam tcncbat ar genteam, altcr numerabat
pilas, non quidcm eas,quæ inter manus lufu expcUcntcs uibrabantur, fcd
cas,cj[uac in tcrram dccidcbant. Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet
vuIgari5acfmocfu,D et in uillis pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum in
ufu habe retur. Nam Dionyfius anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor
tribus olim partitam fi.iiiTc,quæ &c pagi,ficut earum habitatores Paganijnominabantur.
fiuc igitur ab ifi:is pagis, fiue a uiHis paganica pila dcnommata fir,pari]m
rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma rcp!cto,trigonali
latiorcm,non ita tamen ut cfi:foIIis,laxam, fcd duriorcm ; fiquidcm follis, qui
uento replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto
laxior,tanto difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia
comprobaf,ramcn paganica pila quo ctiam durior elTcr, et pluma rcple
batur,&: non i ta rep!ebatur,ut laxa ufquam foret, fed vndequaque
dur!flima,&: proprcrca difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc
nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro
H^ic (iuæ diffii ilis turget paganica plumay Folle minus Laxa efl, ^
minus arcta pila ., Sub nomine enim fimplici pilæ intclligi aliquando
foIIc,aIiquando trigonalcm, paullo antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari
hoc in loco nolo, ctiam in gymnafijs paganicæ pilæ exerci tatio^ ncm in vfu
exftitifl^CjUt idcm Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila, nonfoUis,
non te paganica thermis Træparat, aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa
nobis indicatum fit,confucuifle fcre omncs» quifefein
gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea
ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat, inter ceteros pilæ ludos in
gymnafijs fe exercentium ad balnca præparatoriospaganicamquoq. adnumeratamcfle.
VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilæ genus harpaftum fecimus. quod ob nominis
fimil litudincmidcprorfusuidctur quod^V^d^oVGræcorumrcratenint
pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius ucromagnitudif nis,^ cx qua
materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^ tumhabemus,nifiquod
Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum fuiflb. cA^x^
(panvScL 4;eaAf^TD, 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus fibi ualde
indccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq. edcndo,& ibi
bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac
fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignoratus, aut /altcm
omiffus, minimeq. coufidcratus, tum quia a piftoribusnumciuamnec fomnioquidcm
aut cogitatus, aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud fit
verifimilcpotuiflc tato temporc,totq. pcritos artificcs, atqdoftifrmios
inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij vcritatcm
momcnti.Pe iriis Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq.
muitis annis poft nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,proculdubio ad
vcricarem accubitus acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras cogirationesillorumfcriptiscompararc
vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct,fcrequicquidhac dcre boni
dixcrunt,cnoIlrolibro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria, kcus quam fccit
cruditiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma ingenuitæ in
libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit profitcri fcfc
magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum cciam fcgctcm,quam
cgo pi imus illius pcne obliteratac artis rcnouaui,ira fingulari fludio, &c
vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro tanxo bcmcficio fibi
gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis dubitantum exi^ mam
fcrupulum, &: aliquid maioris lucis tantac rei obfcurirari
affcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo accubendi
ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcrandi modo adijcere dcliberaui,
ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa melius
confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc, arque
fimplicibusanimis pidluraueram cius favfli h iftoriam pijs, &: vcritaris
amantibus repræfentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Græci,c[uanT Latini,arque
Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs
receptiffimum facile pcrfuadere poteft, qucmadmodum a paucis dubitatum
iaucniojcpin uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo,atAqucbibcndcpairim
aliquot fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct triclinium non ita
abomnibus confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum crnditiflimas
animaducrfioncs haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus monftrairc fi^
bipcrfu.ilir^triclinium inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bifaculc\ubi kzY\
(lcrncbanti r,proptcrca(]uc is^uTciK^wcv,J^iKxrsiK^iJ^jiMxrfy ^i^op inucniri
nominara, prout pauciorcs plurc!>uc cw js c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio
apud aliquos fuiflc fic appclla' xum, fcd quia in iH j Athcnad conuruio
unufquifquc in mcdium 4d proponcrc conabntur, quod infrcqucntius crat, atquc
aliqmm Icitu dignam raritatcm habcbat : iccirco cxilbmandum &ianQminAndo
inurcndorriclinio cundcm cffc fcnluni fccutos, qrxm&: Kcginaurbium Roma
fcqucbatur • Atqucdc Jiocipfo cuni l(;qi.crctur antiquus, &: grjuis
icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac Acncidos diwt Vctcrcsftibadia .non
habuifscfcd Itratis tribus lciftis cpuIaircCundc triclmiurn Itcrni di'tum )
arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium ipfambalilicam,ucl cocnarioncm . Ncquc
minus fatlunrur, qui puiarunt rripodas iilos, dc quibus mcnno cft npud A:1k
nacum cx Eubolo comico, a^inquibus duo ucl rrcs cdcntcsrcpracfcntantur
inmarmoribusuctulUs fuifsc triclinia, quandoquidcm nulla ibi rruini lciftorum
imago, nccucaccubirus confpiciiur, fcdfunt dumta>at fcpulclu-aliiimcocnarum
dligies,dc quibus rrafam non rcrro,fcd antc, req. ftantc m,rcd genibus humi
procumLcntcm vfquc ad hacc tcmpcra depinx,crunt>& feipfos,& alios
(fiita loqrilicct) dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft
huiufmodi omnia pcrficiamuIicrcpotuifse,certumcft etiam,ncqueaminiftrantibus
illudpcrmi/sumiri dcbuiffcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier
fubtus menfam gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus
ftrauiffer &, quac omnia incommoda cuni euitenrur triclinio, et accubiiu
noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim, eur debcanta quoquam ingcnio guftii prædiro
rcpudiari, eo maximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur, quæ debcar
ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre, quinimo fi accuratc ingrcifus
mylieris expcndarur, miniftros, dc accumdifc bcntcs 2« tcm^s latereponm, haud fccus, atqucubi
fcfe iii cxteriorc trichnij partc iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi aliqiiid
in illoaceumbcndimodo non ita laudabilcfortc npparcbacquifquc fibi illiid
pcrfuadcrc dcbctctiam quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc omncm foeditatcm
amittcrc,nam mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc conuiiiij publici
loci:madirc,ibiqi:c audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc vngcrc
proculdubio rurpc,& indignum caftitatc CHR1ST1 poruiffet vidcri, nill mo5
propc omniumorientalium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc nonpotuir,
quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda, qua(i non cntnc lciti-fupcrquos
difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius lachrymis lauarc,
inrc rprcrans ftarc pro con/iftcre, Scd lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri
triclinij ignorantiam,quod pcdcsaltos habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^
Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc Acnca loqucns accumbcntcdixir
iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn orfts jtlto. Arqui Tolcdus
Cardinalis ob longam, quam Romæ traxir,moram, uidcndi, audicndi rcium
vctultarum pcrirosubcreaioccafioncmhabuit, forfanque noftram fcnrcnriam,
&:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum do(ftiiriinis
lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „ communicalVcm, priufquam
publicarem.undc facile confcnC rirtoros triclinioruin ira alros cxtiriflc, utmulicr
nullolaborc pofscr ftans rctro pcdcs cpulantis conrrcCtarc, lachrymifquc
abiucrc : &:ccrrc liccr uir doctiflimus noncxplicatc docucrit difcumbcndi
modum artamcn ex cius vcrbis vcrirarcm libi raaximc omnium inno,ruifsc parct.
Jraquc hoc iam conftirutum fir tricliniuni dictumcfsc, quod rrcslccti
ftcrncrcnrur, in quibus ira iaccrcnt, ut vcrlus menfam cubitis finiftris innixi
dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in cxtcricrcm partcm protcndcrcnr, ubi miniftri
cranr, &:ubi ftctit crcchi MAKlA, qucadmodum difcrtc faris, &:copiofc
alil)! cx uarijsfciiproribus declarauimus, &: ficur cx imaginc antcpoiita
clari/Time cluccr . Supra quid ucro ftcrncrcnrur lccli, non cftiraproditum,
arramcn licct conijccrc facpius fupra tabulata alriufcula clsc c.xrcnios, quac
nonnumquam criam apud Hc^ J& 3 bracos cx argento, aurouc conflata fiiifsc
colligitur ex pri-D mo capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione,
quod paritcr a Romanis hivftum teftatur præ cætcris Plinius lILro xxxi i r.
capi.vndccimo, fuifsc ucro fa£l:a Icftifternia primum lignca conijcere licct ab
co quodnarrat cxSenccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo, nempcSotcrichum
lignarium fabrum cxritifsc, qui Icdos tricliniarcs ligncos faciebat, cb idquc
data cftoccafio Adagij, vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij, ncc multi artifici;
frgnificare Soterichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro fccundumpropofitun^
aggrcdior,fcilicct an apud Hcbræos, quotcniporc CHRISTVS aflTuit cocnæ
Pharifaci, mos fucrit djfcumbendiirr triclinijs, quemadmodum Romac, qua de re
cum confulucrim Vitalcm Mcdicæum Florentiæ, artemmcdicam fanE (ftac,ac
feliciter cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc pcritillimum, ismihiadco
dofte,&: diferte rcfpondit, iit in hciiufmodi graui difceptatione uix
quicquam doftius,&:eliniatiusdcfidcrari queat : quia tamcn ab
fcntcntianoftra noa nihil difccififse vifus cft, pro mca confirmanda ncccfsc
putoaliquid in mediumaffcrrc . Etenim dubitare minime oportct, quinapud
ucniftilTimos Hebræos uarius conuiuiaagendi mosfuerit, fiquidcm libro Gcncf in
cclebri illo conuiuio, quod lofcphus Fratribus, alijfque Magnifice, dcdit,
omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc morislibroludith, libroprimo, Rcgum,
atque ahbi facpius mcniio clariffima habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante
captiuitatcm Babylo^ niæ Iibcr Icgatur, ibi accubirus non obfcuram mentioncm
fieri cognofcctur, quamquam fortafsc diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios
vixifsc, apudquosinufueratcocnantesaccunibcre. lam vcro dc Troianis,atque
Tyrijs fimihtcr exiftimar€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo, &: fccundo
Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat, ficuti libro' fcptimo,non
dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlæ SacYis
SedcsepuUs: hic arteteiæfa Terpetuisfolwpams coufidere maifis. Vbiquamquam
inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn Seruius
cumlocumintcrprætans dixit 71 A Jixlt
Malorft epulari confueuifsc fcdenfcs, .trqrc ilftim habuiffcmorcma Laconibus,
&Crcrcnfibus, utVarro docuit infibris dc gcntc Pop. Rom.in quibus dixitquid
a quaqncrraxcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav
conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus
ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum
aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud Kulbrhiumduccsconuiuiocxccpif5C,cofquc
omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfcciffc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui
florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI noncddubium nobiliorcs
ialrcmaccumbcrcconfucuifsc, idqucpractcrinnumcroslarinac linguac auctorc^ marmora
quoquc tclhntur, ur locuplctiflimc alias B dcmonflraui, arqixalij
quoqucdocucrunt. (iraccos parircr conftatcundcm accumbcndi morcm cf^c fcdatos,
&:quod turpius cll, narrat Athcnacus raatulas pro cxcipicndo a ucfica
rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in triclinia,quas facpc ubi uino incalucraut
ad capita frangcbanr, inrrodudo hoc morc a Sybariticis populis fordibus
omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc Hcbracis dubirarur an fimilitcr illi ad
Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius, quam k\\irc loliri fucrinr, ut
Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c CHRISTVM iri fuifsc loca. tum, ac
proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius lauarc, cxiccarc,
ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat cos a Romanisfuif c
muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos fcmpcr cfsc fccuC
tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucncxunr, modo non
con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum cflcx lacris Iibris
anrc captiuiratcm Babyloniaccam gcntcminconuiuijs tam publicisquam priuatisfcmpcrfcdilsc.
Vcrupoftquani in Habyloniam duCti fucruntcaptiui vu^oquc modocdcrcconfucucrunr,
fcncs fcilicctfcdc; ucs,iuucnes ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri
Habbini tradidcrunt,apud quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum, ucl
(Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl tapctibusprcciofis«:s: pului naribus, ita
utcubitis innixi lirnunn corpus uniucrfum f( ruarcntifacta autcmfuit dcindclcx,
vt tcmporc Pafchatisin durac fub Pharaoncfcruitutis, Iibcrntionisq.
commcmorationcquifquc accunibcndo cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct
unicuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72
2"patct apudludæos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum.
Porr6modus,qi!0 Hicrofolymis infecundadomofcilicctpoftlibcrationcm ab
Acgypto,atqucpotiflrimumteporc Chrifti conuiuia ficrent, non ita compcrtus
eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum Hebreæ,chaldeac,Syiiacæ,
Graccæ, et Latinæ.quarum Syriacainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi
adoiais,&:in difcipIiniscomparandi.vvfurpæa,{icutiolimRomæ Græca,& nunc
paflim Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro
dudta,quandodecemtribubusa SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflæfuntinSammariam,partesqueci
cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniæ,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui ob
id ab Hebræis dcinde fcmper funt Samaritani uocati,atque idco aucrfati,quod
Idolatræ eflent, mofaicosquc ri1 tus minimcut par crat,obfcruarcnt, ctiam fi a
Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt. Huncergoin modumSyriacalingua apud
Hchræos tnduda.propagata, et conleruata cft, qucmadmodum ChaldacamSyriacæ valdc
fimilcmipfimctludæiex BabyIonia, ubi i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt.
Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis, Rabbini dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc
copia,&fuauitate funt deicdtati, ut Hcbraicacipflimacquarcnr.
Vndcpariterfucccfljt,utplerique eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam
fatiselc-gantcrfcribcrcnt, qualcsfucrunt PaulIus,lofcphus,Philo,afque
alijplurimi. KomanipoftrcmocumIudæariifubiugalk'nf,neecffefuit,illc pnpulus
ipforum linguam latinam addifccrct, eaque pro ncgocijs agendis utcrcturiquac
ctiam fuit ratio,quamo brcmtituluscrucis ChnftiHcbraicc GracccatqucLatincfcriptusfucruilludtamcn
dchikelinguis, &:potiflimumdeSyriaca ucic conftat ipfani fuifsc
omniuniHierofoIymisufurpatiirimam, atque muhis Graccoruui uocibus
pcimixram,fiue id fueritob graccæ dclcdhuioncm, qua ludæi afficiebantur, fiue
aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr, ficpc illarum uocabula
proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitutis,cumludæi linguam Romanorum Græcorum,
&: Afsyriorum,apudquosin ufu crataccubitus,utcrcntur, vcrifimilceft
quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs acccpifse.quodforfan .1 pcruicacibus ncgari
potuifset,nifi compuircs Euangclij lo ci,ubi c.iicubitr,s,&:uccubitusfir
mcntio,aucrre teftarcntur Vtruip autcm accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct,
qualis apud Romdnos in triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv '
flratis ucl ligneis ncl arijcnrcis,aut:iurcis qu.ilcshabii .
-lUosnarranrPhnius, Arhcnacus,&:alij,hauJ itaclarum clh Scd ut omittam ludæos
ucrcrcs, apud quos forfan uox triclinij vfitara in facris
libriscubiculumdumta\\it,in quococnabarur, SIGNIFICARE potcft,dcquo
Vitruuiuslib.Archircv^turac quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio
nomincrur Archirriclinus,ncgari ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Græcos,in
quorum conuiiiijs crant lstoc^)(ecl, idclt,conuiuij princi pcs. Cacrcrum
dodtifllmi uiri,qui accubirumquidcm inconuiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd
morc Hebracorum ftratis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum
lignihcer,&quod Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu
cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ronunorunviuosquoridic
inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris, Quantum ucroad Magdalcnaca
lonce difscnrire, (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus
isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufitaram. v^^isciiimignorat cam
fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri porcft,
imitenrur?maximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs cranr Pliarifæi
;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro Imperarore
Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummorcs, ut ait
Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam faccrcnt,ucrofimiIc
cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan
minoris momcnri Homanosimitari,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris
narionesfaciebant. Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcntur
rirus^abfquc multJ laborc indicabo; tumidcju >J imaginanturdcMahahaud
qaaquam conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaque noneftnegandum poft redadum aPompeiom
Roma*D norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum iu/Tu Augufti in cxilium
expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber natan^5 qua occafionc
Hicrofolymis^atque in orani ludæa innu^ mcrimilitcs, ciucs, atque cquitcs
Romani omni tcmporc h^xhi" tabant,quosacquum cftcxiftimarcfccundum
Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudæis,ut contingcre ubiquc
foIct,eoscommunicafse,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto
magisodiumprincipisfibi adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc
Ronunorummoribiisin couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca,
PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fccifsc Chrillum in
cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo de.gymnaftica
Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam menfaeaccuia
bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc ungendi ufu
polt balncum, pfitpracrcrClcmentcm
Alcxandrmum Athcnacus quin^todecirao lib. Dipnofophift. apud
qu.emproprium,& odoratum ungucntum finuulis corpori partibus dicatum
Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco moi*curcns,uolucrir,6v:
caput &: pedesChrifti, tamuiucntisquammortui ungcix, qui quafi incrcpans
Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct, ccrtum indiciumacfulicfibi placuifsc
Romanorum, &: Graccorum ungcndi confuctudincmuWcruari . Et quod
di\itChi'iftus dc illo,qui acccdcnsad conuiuium nuptialc, laccrn.a adhuc
indutus ucftcm nup>i.rk'nvnon induifscr, dubio procui cx.ri^bus Romanis
torum fuit capium, Dc loc,i nobiliuirc rum m pontificali, tum iu ciuili,rumin
confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat jf^iutarchusin Sympofiacis,atq.
Macro.bius.,non cxiguum difcrimcn, m inrcrdum mcdiusmcdij Icv^lj, intcrdum imus
ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur, cuius rci lUuftrccxcmplum
eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos accubitus ambic 2^ 7&:
ccruicalibus fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSyriacc
EuangcUum fcriplit, ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn libi haud fuppctcrct
proprium, quo explicarc pofsct ucrum Romanorum triclinium/naluir ouod habebar
uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi
Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti
accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic
trichnit) nofiro iudicandumunicuiquc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim
crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangcliftam
taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Itarct rcrro,&:fccus
pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tanta diligen[iarctulit,quaccumque
ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis
pofi(|uam iam dixcrat jpfam ftcrifsc. Quarc
iamlarismonllratumarbitrorChriftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l
A, quac necparuacftaturac crat,potucr?t (lans creftarigarc ipfiiispcdes
lac.irymis,nec non manibus cos contrcihirc, 6c c apillis liccarc, d^ r jmquc
ungcicQuod toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui
fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1 i> r R . Ciin;
huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^c^^m fnfflic0 ne accelcrarer, oWata eft
occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi prolcgomcna in
Sacroflmdam Euangeiicaln hiftoriamfingulari eriiditionc
refcrtalcgere:atq,interlcgcndum cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni
undecfmi occurrinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo
Magdalcne in lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin
ciufdcm Chrifti hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam fimiil,&
admirationc mihi pcperit, ctenim lactatusfum,quod mcas cogirarioncs,qiKis
fcmper nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo
&:raradodrinaprædito iraclare confirmaras,quafiquc
inconcuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri
porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire, ac in
nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem
exiuit^is adhuc uiuerer, quippequemfæpius concionantem RomæaufcuItauerim,ubi
cos libros dum Cardinalis Faræfij medicum agcbam, &c compofui,& in
Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco, Ncquc
uero credibile eft me ab eius fcriptis, quac diflcrui dc accubitu accepifse,cum
ea ha£ienus latuerint,ncq.ipfumeadem dcreita dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc
quidcm ualucrim. Vndcqua^foler efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos
nos ad ca fcribenda fuiflc impuJfos, &c propterea quicquid ea d^ rc di Antc
folcm cxoricnrcm nifi in palacllram ucncras: (jymna-,> fijpracfcclo haud
mcdiocrcs pocnas pcndcrcs. Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in
adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt, animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut
ctiamclarius,> in amatorio Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta
Ver„ riuarum : Dcmolicndiim curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC.
zionale Cenlrale di F» quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftarD
cha. hic ambobus xyftis, ftadio, $c dcnique cundis athlctarum
cxcrcitationibuspraccrat, ut kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad
martyres.&ut cx infcripcionc conijcitur, quæ Komac in foroTraiani in
hafiftatuæ Græcis littcris notata,a,not)isiic lauac r.edditacft. DEMF. TRIVM. HE R MAPOLITAM. ALEXAN I) R1NV
M. PANCKATIA STEM. P E R I ODL VICTOKEM. P ALÆST R I F AM . ADMIRABILEM.
ALIPTAM. PONTlFICEM. TOTiVS XYSTI. PERPETVVM. .\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl.
PKA-EFECTVM. PA.£ T R F M
M.^AVREL,. ASCLEPIADES. QVL ET. HER" MODORVS. ALEXANDRINVS. HERMOPOLITA.
MAGNI. SERAPIDIS. ÆDITVVSPANCRA riASTES. PERIODJ. VICTOR. ALJPTA. (VS^EM. NEMO.
DETRVDERE. POTERAJ. INCVLPATVS. XYSTARCHA. FILIVS. PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER
PETVVS XYSTARCHA ET BALNEIS AyGVSTJ. .præfectvs. Alvhoc, fcnfcnria
uiea,diucrrus fuit Pracfcaus luftaca Galeno lWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui
pcrinde,ac Pacdotrib a quidamliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum
xyftarchiisplurium cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in
Protagora irafcriptum r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs
TTkykTtwcto hcctcc cwijlx mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx
r^narisho^ minibuss clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuidetur Scncca
cp1il.83.cos uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm fciam)nulli
alrcri vlurpato, quamquam MureW.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit in/u sad
cumlocumnotis. .AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo Ac-li.3.i5,aItcr
medicr dumraxarmandara cxfcquirur,parircrPædoiribæxm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm
ignorabar, ^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui
vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrcirationum cxpcricntia quadam
callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in
libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam
iniicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbæ dilicrcciam Arifrotclcs quoquc
philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum concludir, Adokfccn-.es gymnafiicac
atqucpædotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf icircorporis habirnm,
al.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir: rrot^ roC
tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\ rayrm
Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pædotribauerominificr.&:
panific:,coquo,
acacdificaroriproportionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus quidc,
minimc ramen,quid inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl
Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non
dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho ji ci unon exfiftcre narrat
Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\ dumraxararris gymnafticac tunc
rcmporisapparcbant, jxquc arsad rcgulas ac formam rcdasfta,&:prui nde nco,
arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^ SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ».
qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus jmifari ut vel harmoD nia,uel ry thmo,
uel nudofermone ; alias diuerfas res, vt vel mclioresjvel fimiles,ucl
detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes, vel introducentes, vel
narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon mutaros;de faltationehæc
concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp,
Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci
TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim
numerofa gefticulationis uarietatc, morcs, palTioneSx& aitioncs imitanuir.
Ex qua oratione apparct, og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud fuifse,quam
facultatemquandam motibus„ac gcftibus corporis^artificio quodam,numero, &c
ratione fadis imitandi hominum mores,affea:us^ &:aciioncs. qui cnim in
/.ciuilium dixcrat,nihil cfsc in rerum natL]ra,quodmagisexprimat
rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E &:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it,
filtatoresin imitandisadionibusnumcro uri . Quomodohacc per numcrofos morus
efficeretur imitario,unus omnium clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu
Prob^i. tarchus, qui in ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse
fcriplir, iatioucm y figui-am, &:indicationem ; eo quia tora ipfa cx
motibus,&: habitudinibus >&: quieribus conftarct, perinde ac
harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam
motionem affcdtus alicuius, vcl adionis, ucl potenriæ repræfenrariuam : figuram
uerofuifie habitudinem, difpofirionemque, in quam motio fiue lario rcrminabatur,
nempe quando falratores quiefccnres fecundum Apollinis, uel Panis, uel alicuius
Bac7>«fcl«& chæ( ureftapud Platonem) figuram difpofiri in corporis
fimilibus formis graphice aliquantiilum perfiftebanr, indicationem au^
temfuifse non propric imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe rerrac, cæli,vicinorumnumerofe,
arqueordinarismoribusfadam decla'rarionem quemadmodum namque poetæ, dumimiranrur,
alias nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum ucro indicant,propria nomina
ufurpant ifimiliter faltatores imitantes, figuris, &: habitudinibus;
dcGlarantcs aurem, resipfasprædidis indicarionibusutunrur: adeo ut, fecundum
Platoncm, Ariftotelem, arque eriam Plutarchum, tora hæc falratoria facultas in
imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud aOirarcnt^nifi
quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur lationibus, &:
figurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus declarabanr, aut
omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones hominum rcpræfentabant.unde
non abfque fumma rationc Simonidcs r4 toi k DIU dd api m m m k m P7 A dcspoeta faltarioncmpocnm taccnrcm,
ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc folcbatiquamquam rcfcrt
Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»rcluaucramfalrationcmamufica, cui
aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci atqucacacicfti illa dccidcntcm in
tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc,idq.
poftraodumufquc ad rcmpora noftra pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio
corrupta cft,omncs cordari uiri cognofcunr. 'i^uihus aurem prjnnishuiufccmodi
falrationcm hominibusdcmonftrauerir, iatis copcr:umnon habcrur, nifi quod
Thcophraftus apud Athcnæum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem, dum fonarct,
morioncs ar^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc, Sc ob id apud ucrcrcs falrarc
uocatum hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus, &: Acfchylus
mulras fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc appcllatas
Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas Iraliac
narioncs Balli nomc adhuc pcrdurar.Fuitporrohaccfaltario
rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm
faItatorcmuocarcnt,qucmadmodumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^ lic
luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire
chorOy plaufuq, probatæ icrram tnmulodcfcendat clunc pucllæ, Irritamtntum
veneris langtientis, et aird piuitis vrticæ &! huiufcemodi aliæ . Ab
inucntorc autcm modo uocarac fucrunr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam
Laconcfcu^ur alij maIunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman
falrabant cuni canru, &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis
lapidibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 A (Pyrrhichias autcm
noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum
gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.) Atquchac uarianominaobrinucrunt,
utOrfitis, et Epichcdios pcncsCrctcnfcs, Carpaca apud Acmancfcs 6c Magncrcs, dc
qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro, apochinosliue madrilmos, quam mulicrcs
faltabant,&obidMartypiæ uocabanrur quac Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc
pracditac crant, ut dartyli,iambici, molnfiica,
cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,calabrifmus.
Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarmatas falrauir,fic uocara, qua
utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm fullalcrunt,aliac
rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs falrarcnt .
Erorianus,qui Andr.)macho Ncronis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir,has
B faltationc5 /ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas,
Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccntes, vbi mihi rofic,
ubi mihi lilia, ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos,&:fobas,morphafmus,C
.laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac
lyricacquakspyrrhichia, gymnopacdica hyporchacmarica. quac omncs quomodo
ficrcut, non cft præfcntis tradarionis dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc rcrriamlalrarioncm
rotatqucplurc^adl.uc diucr (as fpccics, quibus libcllum proprium dicauit
Lucianus, habuiflc ficut ctiam diucrlis motibus tam pcdum, quam manuum
utcbatur. cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu, arquc 7..Phyr.
traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;, &: hoc furium,
ucl dcorfuin, ucl prorliim, \cl rerroifum, ucl dcxr C trorfum, ucl fmillrorlum
: a quibus poftca motibus componcbatur
limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio, ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a
faltariopcrficicbarur. De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yilV M antiqui
inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt,
manibusq.moucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr, ut prius faltatoriapancs
intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta
iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci
adiunctaiic, ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm,
confcrtioncm, coinpcdnnationcm, diilcntio— H ncin ico ncm, complexum,
altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio ex motibus
tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir. quod autem
faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit et Ouidius ubi dixit: » . et i
de Sivoxefl, canta, fi mollia brachia, falta.arte auia. Brachia faltantis,
vocem mirare canentts. HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret,
nihilominus alios eriam fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra, &: ad
ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in ufu
fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Galenus, qui in principio
curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmporis homincs inuchitur,, quod
faltatoriae nimis opcram darcnt, quafifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent.
Qupd p paritcradquacrendam corporisfonitudincm militaremqucpcritiameadem
filtatione maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum
fuerit, tamen addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob
aliud inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri,&:mulicrcs modo
hoHcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis neceflarios
pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo
pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes græcos interrogarunt, numquid
mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus
fe excellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs delegcrunt.
Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfaltationem, et bono habitui
comparando, et fanitati conferuandac no p parum conduxiffc. quandoquidem de
nianuum gefticulationc, dc^'Ptumicpcritur&ab Hippocra cur.aon^ ^ ab
Arctaco, atqueaIijs, procxcrcendis&:lanis,&: inrerdum «ap 1. ægris
corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero nofttisfaltationes alias temporc,
ordine,&: ccrto modo fadias talcm utilitatcmpræftarc ncmonegaret,
qucmadmodum Galenusfe
plurimosfanitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio
confcruaffeconfitetur: quifimiliter et faltatorum excrcitationes intcr ceteraa
medico petita recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvkciis
ivttiSK^^ivrxt itlytsx, KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«»>
CflecTij IfxvisxvTtu, Kxi nygoofvgtvat, Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKti>A«.
idcft faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime
fal>>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon genua
fleæntes furlum exfurgunt, atcpc crura plurimum atrra* hunt £ . loi A
hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat, quln Orclicfticam ingymnalY^ca
mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio Xcnophontis
fc falratoriam tum ad ualctudi>confcruandamquc, tauTad corporisr)hurcompa
randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum fibi amplam
domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio.
Cinacdosmaximc omniimilaltandi arti opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud qucm
Pcriplcdomcnus fcncx lic ait. Tum ad faltandum : non Cinacdus vfquam magis
faltat,quamcgo.quamquam Nonius Marccllus Luciiij tcftimonio,atq.
ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib. faltatorcsipIos,atqucpanromimos, 6c
totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur, ^Sc
luxarcntur, quac illis palaclbico quoB dam paclo ab alijs diucrfo fc rcmirrcrc
cofucuilsc rcllarur Galcnus . Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco, C^alcnunon
modoluchim arhlctica,qua rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir,
improbafscuciu&:lanirariftudcri: inrcrduparcc laudafscur porc qua
roburquidem auecrur, at luxarioni s, ac fractionis ofliu, nccnon lufTocarionis
pcriculumimmincat. fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcmpore Galcni Romac
floruit,in iij. Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm habct, lu
uolutatoriu nuncupabatur, fpcciesq. lucbc erat, na in luda ccrtantcs fefc
dcijccrc ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio humi
proltcrncbatur;atq. ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr altcru
libi fupponcrc nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic nummi
cuiufdam Salulbj Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac
principatu Africac rcgno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam
cdidir. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit, AriRorelcm vcrha
rccifie, lib. S M ubiiiulhim crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto
uiccdcrc po^c '^demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr
puliic rcmin gcnua fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabiIc
uidcrctur,Iocutumcnc Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit, / q'a fnci
nmherr fiouit Et didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct
«WAiFOTraAw, rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat,ac
i(!iuilhus dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca
lcdi luclaintcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit
Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant
e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur
AnB tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr
pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsnili PancratiQ
uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab
Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho^ ^j^^: mincs in palacftra humi
prolh ati ucl loli, ucl cum alijs circumuolta. ucbantur,&:dc qua Coclius
Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio^.Jdiact. ncmin palacftra pro diminucnda
carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd folum
cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant. undc
Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De
Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam
'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troianom?\ rum tcmporam uiu tuiilcjtcftati
funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam Plurarchus m
i.Symp.obProb.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml uCtac,&: curfui
iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us iUis origincm
accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta manus, yngues.diTitcsquc
fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct hæc cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci
(quod cgo fciam) diligcntcr cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni
intcllcxcruntilli,qui pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc
uolucrunt . ex auctorum tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollumus in hac
cxcrcitationc homincs nudos conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis,
ucl acnca,ucl Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc
circumlcpti fcfc inuiccm pcrcutere, modocaput,mododoihim,modobrachiapetcnres,ncque
vnqua fcfe mutuo c oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfarium
pugnorum idibus in terra profternebar,vcl grauius &: damnoD a. ^ymp. fius
fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi puPf«b. gnamfavfliratamtradant,obidq.
apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E
ncucrbu de hac exercitatione habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc dignusmcdicus
exccpto Arctæo, qui in ucrtiginofis pugilatu comeuarus. Qupd fipugilatus mcdicæ
gymnafticac excrcitationis gcnus cxftitifset,æquii ccrte crat,non adeo ab oibus
filcntio practcriri.Altera ratio eft,quod,fi natura pugilarus exa*5te fpeftemus
^ cii pcuflioncs, &: euitationes bellum gcrentib s necefsarias acmulctur,
ut diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem pcritiamagnope re
adiuuet,infitiari non pofsumus; at cu iolum brachia,atq. pugnos
cxerceatjinterdumq. potius plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor
pusofTcndat^quomodo ualctudinis conferuationi,bonique habitus acquifitioni
cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica
exiguu ufum habuifse, in militari ucro mul^ tum,in athlctica plurimumrcuius
principes,&: au(5lorcs fuifsc Amycum,atque Hpcum,prodidcrunt PIaro, &:Galcnusi
ncc noninqua adeo Glaucus Caryftius cxcclluit, ut quinta &: vigefima
Olympiadecoronatus pi(flæ,i. pugilatoris nominc pcr excellentiammerucrit uocari
. Pugilatorcs iftos pinguedini comparadac opcra de\a f"|^c.^^S*^P^'d
Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua3, *
lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione
coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc
Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohcri lis filius
ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc
conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lufacc.i. £tatorcs
potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc
noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua dc rc ficri por ut Plauri
acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i evtriq. tamcn robori,
&: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus
illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc fuum robuilum, tSc
pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu tertiumquoddam cxcitationis
gcnus componcbatur, quod pancratium communitcr gynmaflici omncs appcUabanr,in
hoc( ut tcllatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui cxcrccbanrur,aducrfa-^^^*
rios,&:pugnis rcrirc,&: comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic
(hidcbantrnam pugilcs lolis pugnis conrcndcbanr,ncc umquam compli
cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas Horatij,qui ^.SaryrJi.x.
ucnuitcadmodumphrcniticos, quod pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent
pugilesvocauit.luclatorcs comphcabantur,&:comprimcbant,ut dcijccrcnt,fcd
pugnis minimc pcrcuriebant, pancratiaflæ ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc
aliararionc, ut dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris, dcniquc toto corporc ( ur
dixit Paufania5)aduerfarium uincere contcndcbanr,arquc in eo a pugili^^-i clu,
libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis llrivftis, hi digirisfohimmodo in
flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^ %i A
iKXso: TJu: in pancrario protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan'>
dis aducrfarij.scui maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo» que lignihcarc
uidctur,ualdc accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav
uocara cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydcmum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon ambobus
ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus atfcdis
cxerci tationeni commcndar Hippocrares, fub tali cxcrcitarionc non dcbcre
pancratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rarione pcrmotum
opinor Plaroncm, dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus approbata fcminas
excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm acrarcm pancratio
cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur mcafcnrcnria
Galcnus,quandoincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri diactadixit,gymnaftas
fere,quos impinguarc uolcbant con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis
ncfcif,maiorcs noftros intcr alias cxercitationes,utdVputatPIu:archusij.
Sympof. v. ad fpcchiculat, ad miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus
acquircndos inflirutas curfum quoquc habuifsc? cui locum pcculiarcm in
gymnalijs allignatum nullum uiderc licet, quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum
communibus, dum ab alijs non occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc
in loco, ubi alrus puluis llrarus erar, (i crcdimus ^
Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad curfum,crfino-InHbioga mcn
innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras fcimus cx
fupcrioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclcbritatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi
uimintcrdum acftimabant,ut (quod rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum
curali.i i c.57 rcnt,quominus illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr.
Huiufcc curfus ccrramcn, (icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriæ
cxcplo infli ruifsc audor cft I^aufanias : apud quc fimiliy.&^.Eiu ter
legitur,Endymionc filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado
et Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationehabcndacenfuit^primu locum
curfui dedit, etfi non admodum percipio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc
Hieram fecifscquod raro euenit curforibus, aiirnam fi (vt eruditilGrausMurctus
putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo curfores cx raro
ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies cflre-^ cifse AnrylJum
rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofterioras, B riora,altcrain orbcm.quauisitcapud
Galcnu,&: (loIichu,&:diauIu i do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui
diaulusduplcx, ic ipfc ftadium, fcd rcflcxo curfu.ut ficri poflc cr^da
pcryftiljj intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum ftadioru mcnfnrani uocatum
tradit Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific . Quaproptcrfalfum illud cflc
dcprchcndirur,quod apud Suidamfcgiriir, ftadiodromus longiorcm tradumctiri
curfu dolichodromis,cum huius conlrariu manifcfto intclligar cx
Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d
moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir, nonnunqnam fupra
humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn uidcrc cft cx hac ucruftac
tabulæ pi^ura, in qua faltanrcs appofiriffimc repracfcnraniur : quamquc ur
anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius.. i2t A dccorarcnt. Erar quoq. q,
fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pcdib.falrarct;inrcr quos uidores
ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcrebar,vt plubricitarc humi no
cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq. vcro rcrra
narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici
auranriquirus obfcruatuinludisiiaccho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof
TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Ariftophanis
intcrprctc Kcti7r§oarq.iIlos ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc
difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis
hoftibJaltCu.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata
cfscr. Athlcras ucroi cofc cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc
(IQ faccrc pot coisaudtorum liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadifcumocsuno
orcadnumcrar,&:pracrcr hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam
Galcnus,Acrius, Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c
bono corporis habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius
progrediar, rarioni confenrancum puto admonerCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria
fignificafse, na ccftarur Suidas, discum fuifle inftrumcntum quoddam
rotundu,quod aliqn adco grauc crar,ut uix ab uno holc elcuari pofTctiucl uri a
D. Hicronymo dc fcipfo fcriptu cll. Dc hoc cquidc locurum opinor Solonc apud
Lucianum, ubi intcrrogans Anacharfin, nunquid in gymnafio globQ
qucndamiaccntcmacncum,atq. tcrctc,in paruifcuti figura formatum,ncq.lorum,neq.
balthcum habcntcm uidiflct,qui grauis,&: c6prchcnfu dilficilis crat, cum
manu furfum cxtortum in acrc ahquos iaculari confucuiflc,fubiugit:Aliqnct
inucnio,inflrumcntLi illud figura foHs corpori fimilcm habuiflc,quod ab
Aicxandro in ij. probl.
(rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus /loxdj
uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra rotunJa,quæpulacin
mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari
uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci,
isif procul pueri, ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo afscntior,credidcr
jnt difcum fuifsc laminam quadam trium ud quatuor digitoru cralfitudinc,
logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam quoq. ex
fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc
uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc,
du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam, quafi lcnris fpccic rc
fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTionc
diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant
contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la,
rorationis inftar illum in acrcm ciaculabantur, ut pcrbellc cxplicauit
Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim
difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir, practcr Diofcoridcm
Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea
ftarua, quæ hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftæ Viftorij fcruaiur, in cuius
manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet. qj* itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu
Lapidcu hodie in mangi Tufciac duc is acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx quib.
fimihtcr difcu eiacuhidi modu inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit
dodiflimus Peirus Vittorius ætatis noftræ ornamctu,quibrachij figura ad nos
miiit. . nj^ H.-irum fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc
cfl. qrarumunacxacrc Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano
cclcbratam,alii 1 aurifcum pictorc illuftrcm cxccllcntcr 1215 Icnter pinxjflc,refcrt Plinius-Hanc forma
difcl una cu prædiO:is te
fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne
affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi
bonus illc vir nomine pilæ qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguæ
vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cyprianus in lib.dc fpcftaculis difcu
uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniæ lllirij
cxcuflTis, quoru cxeplarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi
Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in
mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6
vnadifcoruformacxftiriflc,qua fiuc in facrificijs,fiuc in gymnafijs
vtcrcnf.lllud attamc prætereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari
interpres oftcdit,neccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati
deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat, quod a
Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar
al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Græcis appellaru, qd*" in
palacftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra
nominatis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc
c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc aperte declarauit Antylluscuius,
verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r%, Koci
av yKocyiTrrQ u^oou, h Kgctrovyrxi ^iivov \\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum
manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui bus vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet
halteres huiufccmodi ex eadcmatcria,atq. eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc
poflcnt,nihiIominus ab illis diftcrebat,quod n6 modo ma nibus,ut
laIrarores,renerenf; uerum eria uarijs modis emitrerentur, pcrindc ac
rcporibusnoftrisapud multosin vfu habef,quifefe excf ccr,aur pila,autlapidc vel
fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac brachijs extcfis,&: circumadis in alru
mirtcntes, de quibus locurus fuit Aretacus,aua:or no minus probatus,qua
antiquusuibi in dolore capitis •f •cAT(/f(i)vi3 tum pro
modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres fuifse maffulas quafdam,
fiue manipulos ex uari js materijs
modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine,utmanu quilibet
caperetur. qui mcafenrentianedumfolis manibus, uerum etiam funiculis halteribus
ipfis circumfufis,deindeinter-proijcicdum explicatis,emirrebatur,perindeac
faciunt hifce rcmporibus mulri, qui fic aut rotulas ferrcas, aur cafeos, aut
quid aliudfimilcproijciendo certant An uero ^ATwftsaPlarone
interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras
cxercitationcsnominenrur,nihil cerre explicatumhaberur: opinor
tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>hæc dcmulicrum propri js ^
CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllæ
tumlapidibusamanibus, tum a fundis emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, et «Arwftfi
aliquando lapides erant, quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc
indicauimus ; undc fub nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30 tes,ac primo tendcntcs,deindc remittentcs
illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl rofhcci
uocahantun vndc uencnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus
Acginctamcdic-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo
inficcrcnt:laculatio ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue efficicbatur,ue
rum etiam grandiorcs fagittas, craffiorcfquc virgas,& plcrumque graucs
palos rcquircbatjquinimmo fagittarij folis brachijs fcfc mo ucbanr,
dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores iniadu brachia
contorquebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedibusimmotis
flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus noftris, quos pali iaculatorcs appcllant,fasftirare
confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus obcundis no paucis
viribus ll.deærcj indigcbant, unde non fine rarionc Hippocratcs, multos ex
Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq. arcum
intendcrc,ncquctelumcontorqucre poruilfe mcmoriæ mandauit,quiparirer in initio
libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ
K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn.
idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon
pugihitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos,
quos modo præterirc,modo attingcrc, uiaoriæ gratia quifque conabatur.quod
explicauit Horatius hoc ucrfu. Sæpe difco, Lib. i.car. ^^t^pf trans finem iaculo nobilis
expedito. ' Ccrerum hoc in loco id prærcrirc nolo,quod balifta fuit tormcnti
Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&: fagittac
eiaculaiTic^c 1 ^f^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis,
&:fcorpionibusanti^ quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc quibu^
tractare ad inftitutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos fagirtationcs,
&: iaculationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica ficultas tamquam
propriasfibicxcrcitationcs complcctitur, Quod cnimmcdicinæ
gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminiculisin
vfuhabucrit, (licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) ininfuaf. dciamcn
conijccrc poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac
&: fagittationis, iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium
cffcccrunt. At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in
bcllica gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem
habcmus,qui mulicrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis cxercendos
curauit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat, quas Loco
cit. Hippocra,&:pcdibus, &:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari
conA confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmidonas Achillis
militcs, dum a bcllo uacarcnt, fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm
amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi,
&:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm roboris laccrris
affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam
ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft,
qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc
ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit
Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc
mulripliccsbclluac,quas in publicisfpcdaculis,acludisathlctæ
modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant, clariflimum argumcnrum pracbcnt,
ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm quoq. B cxcrcuifsc, ncc modo ignobilcs,
ucrum ctiam maximc illuftrcs uiros, arquc ctiam Impcratorcs ipfos, inrcr quos
duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr raullinacrij &c prioris
Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius; nccnon Domirianus,quorum hunc
ccntc«as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu fagirris plcrumquc mulris
idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum ictibusin arcnatoiidem
fcras Ihauifsc, ram ualidis niribus, urmultasuno conficereri6u,tradir
Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr
ram n^wnum fbilsc, ur, quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra
contingcrer . hrgo iacuIarioncm,& in bcllica,6c in arhlctica, &:iii
medicinæ gymnaflica locum habuifse, compcrrum cft; cuius quidcm iaculationcs
duo pori llimum mftrumcnra fuifsc, diximus, arcum,&:fagittas, quosalij
Scyrhcn louisrihum, alij Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro
fagitrarummulraslpccicsfeciPiinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quæ
arcubus,^^ balilbs ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc
cxiltimamus:quamplurimorum,quin manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc
nKdicinacfubiccta,&:non dc ullaalia rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac
conucr fando arhlcricorum morum prauitatcm cognofccrc,co£niram
dcKftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi humanac huic uirac dcambula* tio
pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura dcmonftrl uit,quac mirihco quoda
arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud
fabricauit,mli ut dcambularc, arquc dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari
fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum Pracdo illc circaCoraccfium Pamphiliac
animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum incidcbanr,ambularc
amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honcftcq. obirc ualcrcnr, pcdcs
illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm.
quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc
in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio
cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr, co pracfcrtim, quod fi
ullac cxcrcirarioncs
corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccilliraurmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum
corpori habirumcompararc ualcant, quacq. apud omncs homincs>omncsq.
narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una profcdo cxfillir dcambulario >
quam non K -f modomedlclpræcipuam corumgymnafticæpartemefleceriinf', D tjerum
ctiam antiqui omnes ufque adco acftimarunr,ut intcr cetera priuatis
excrcitationibus dcftinata,&: in gymnafijs, et extra loca, nullius maiorcAn
curam gcffifrc, nulliq. magis ftuduifse uidcantur. quam
utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxæ-, dificarcnt. Nam(vt ccteros
audtores fide digniflimosomirtam) Vitruuius quantopcrc in deambulacris
fabricandis inuigilandum ccfuerit, unufquifq. cx eius fcriptis facile
comprehendct ; cgo ccrtc ante, et poft Vitruuij tcmpora i»numcra in urbibus
dcambulationibus loca magnifice extru6l:a lcio. quac omnia apud me tribus
generibus compleduntur, quia uel porticus crant, uel fubdialcs loci, ucl
fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque tem pIis,^a. liter
fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quandoE quefolac&feparatæ
exftruebantur,qualcsplurimæ Romae olim fucrunt, quarum ueftigia nunc
admirationc Ipcdatoribus pariunt, et qualis tiiit Pumpciana,de qua &c Ouid.
Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra. &propcrtiuslibro 2. Scilicet
vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus aulaeis nobilis ^ttalicis
&lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra, 7^c cum lafciuumllernet
arena forum. et Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia kntus fpatiatur in ymbra.
Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam porticum ad deambulationes
cxaedificatam fuiffe, quemadmodum, &: quampluresalias iwid conftrudasefTe,
apudCiceronemtcrtiode F oratore libro difputatur. Quod porro lubdiales quoq.
iocos ad de ambulatium tam commoditarcm,quam iucundiratem maiorcs noftri
cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo
nudosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui cosin gymnafijs, &: extra gymnafia
quomodo ficri deberent^copiofifTime edocuit,argumento quoq, sLit xyfta illa a
nobis fuperius declarata,&: praecipue deambulatorium illud Arhenicnfium in
Acadcmia, quod pulcherrimis plaranis confitum ad id fuilse fcribir
Plinius,& ad cuius imitationcmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis
rhcrmis,atque infuisaluifse cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula
tionibus deftinarosfuifse,quosob id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius
uocarint, haud uero dilfimile uidetur rquoniam temporibus,quibus mirum in modum
luxus creuerat,ficripoteft, ut una cum cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari
finr achiitanda^aent wi caloi is molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc
crypro porticus vndiq. paricribus redas, iccirco in eam tormam fabricatas,ne
ambuhir.tcs a ucnris,&: a rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^
dic Romac in uiridario Varicano uifirur,^: quales fuii^e illos ucrifimile eft,
quos fc i nrer rui nas uillarum LucuUi ram in agro Tufculano, quaminmonrc
PaufilippouidifTt', tcftarus cftnobisLigoriusi quosue Plinius (ccundus in
uillac fiiac Laurenrini, &c Tu1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis
dcpinxit. Dchis Varro apud Nonium,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui cryprasdomi
non habcnr,fabulum laccre a parierc,aut Huripis,ubi ambularc poirinr^ Qui cnim
ambularionibus fcfc cxcrccbanr, omncs fcrc fag nitatis gratia illucl agcbant,ur
neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs uarios locos habcre,quibus
cirra ualetudinis oftcnfioncm ambulationcs pcrficcrcnr. Softrarum Gnidium
architc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam pcfilem primuin
omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam
athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbcmus,quod ncquc in
ludis, ncquc in amphithcatris, ncquc in facris cerraminibus, quibus omnibus
infcruicbanr, vmquani tos ambulandoconrendifle legitur. Quod filocusin
gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm
Xcnophon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco inferre
dcbcmus, arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis
ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft
uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambuJafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos
aVfl^tfflrTrwVuocatamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid
autcmapucherapiaforct, infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac
ftudentcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato
ullam eius mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu
dignum pracftarc uidcrnr, nifi Vcgctius cdocuiffct ualdc militibusfururis cx
u(u cfscurafliduo cxcrcitati ambulam fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc
(^b id uctcrcm confuctudinem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani
conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs
cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam
inciiiiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl
cafus pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua
cxcrcirationc didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrciratio ratio multas fpecl es
lum a narura ilJius, tum a loco, rum a /ine drD fumptas ;a natuia qui Jcm, quoniam,
cum ambulationcm dcfinic^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru, ac quiere conftare,
motus ilie, &: per vaitmm. confequcns ambulatio, autcrar magna, uel parua ;
aut uelox, ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa : a loco autem uariabantur
paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo inurbefiebant,&: in
gymhafijs,modo cxtra urbcm, qucmadmodum Phædrus,&: In Oeco.
ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud Xc* nophontcm, qui dum in
agrum pedibus fcruum fuum equum duccntcm fcquereriir>mcIiori fecxcrcitatione
uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in
iocispIanis,modoafperis,modoareCoclius j^^jj^^ paralyricis Afclcpiadcs,
Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo æquahbus,modoinacqualibus,
moc.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc quibusomnibus copiolillime difserc amCis
5.probI.parti. A fine dcmum accipicbantur deambulationes, nempe quando velut
auxilia (anitatis,ac boni habitUs adhibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm
peragebantur.poftquani enim grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad
quierem tamquam a contrario ad conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs
paucas,&: remiftiores adhibcbanr,ficut et poft medicamenra,ac uo
miriones>arq. uniucrfum hoc cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof
appcllabantrquamquam ctiam gymnaftæ in mcdijs laboribus, porirtimumq* in
ijs,qui graucs uocarascxercitationes obijfscr,apo3.*tu.va. fherapiainrerdum
urebantur,quodGaIenus fummoperelaudan' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque, ur
mcminit Nonius, habctur> aliquos ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse.
nam in lcgc Macnia ira fcriptum crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capacior ad cænam
uenirer gUttuK An Erettum fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum
naruras Icuiter perfcrutati funt, iiihilambulationi ip quampedibuscredum ftarc
iudicaruni. At quoniam profun^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt ^
ereilosj.pedlbuTi^antes fi non ambulSt, fLiltcm aliquo pado moucrijproptcrcaquc
ftarum huiufccmodi ab cxercirarionum ccnfu cxcludi minimc dcbcrc i idco eriam
dc hoc fcrmoncm faccro dccf cui ; co præfcrtimquod multi faUis rationibus duCt^
hanc opinionem ira animis imbibcrunt> ut pcrtinaciter circdant> ftantes
pcdibus nullo modo madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf»
uidclicct quod dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita
tioncmmotumcxlirtcrc, cui motui (hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros
Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&:
motumuclutiduo contraria collocar, quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc
conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui pcdibus crccli ftanr, licct moucri
icnlibilitcr nullo modo uidcantur, attamcn ratio ipfa,quod aliquo pado
moucantur, ccttilfimc pcrfuadet . Nam &c multorum uctcrum fcntcntia
tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd multa immobilia apparcre
unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri
ctficaciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam
quando modofurfum, modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in
acrc locum unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur, quia li auis
quac IKirc in acrc immobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur,
protinus in tcrramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata, quamniiimortuam in
tcrris uidcri, 6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo
caufsam. nili quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc
faCti auxilio confiftcbat, quo moru poftca priuatum
corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn trum dcclinat,licuti dum cotra narurac
fuac inclmationcm furfuni fuftmctur, haudquaquam cadit, ncquc itcm pcrfcCtc
quicfcit, fed quali duobus motibus contrarijs ai;irarur, alrcro corporis
dcorfum a narura a(fti,altcro animac furfum conrra naturam corpus moucnris.
Idcm fcrmc cucnit in hominibus crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad
rcrram inclinantibus, Sc anima contrafurfumilla fuftincrc obnitcnrc, morus
quidam lcnfui immanifbftus fuborirur, cuius indicium illud habcrur, quod li
aninui a corporc crcilo ftantc cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia
motus illedcficit,cuius bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli narum,
furfum clcuatum contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum cfsc
dcbcar,cos,qui pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios
animac,corporisqucobnixus aliquo pa:tomoueri,arqucipforum mufculos omncscorpusgclhnrcs,
&c a ccrra atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi
:cuiusinrcnlionis,arouccriam ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut
ftarcma^ iorcm laborcm,ac lallitudincm molcltiorcm pariat, quam ambularc,licuti
pracclarillimc a Galcno fcriptis mandatumcft. Ncque ri.ætre.. Plato
ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin pcrmdc;ac motuicontræt riwm Lrium colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum
Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro longaorarione ncn ftatummorui, fcd motum
motui contrarium eflTe demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud
gcnusmotusacftacus myftice (ut fo!er) inrellexifle, cumex ipfisnaturas quoque
diuinas ccnftare aHerar. Siigiturtot rarionibus fatis comprobarur ; eredos
ftantes aliquo pztito moueri, atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum
uiderur,ut non ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod
cxerciratio defi m'aiur cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm
mereatur, quinimmo ficuri quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui
cofcrre iudicanrur,ct(i uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6munirer ramen
efTca nobis fupra abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c ftare eredum communi
notione exercirationem cfTc cenfemus. Vnde fapienrijTimus Hippocratcs, qui
vlccra curanda quicte indigere alias prædicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica
efsc fcripiit : quafi innuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel
ftandodetinetur, mufculos magnopcre conrendi, atque etiam motum quendam
interanimam &:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain
cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod
aCoelioinEpilepfiaccurarione rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui gymnaftæ
inrcr alias corporu cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint, nil ccrri
affirmare audco . Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando haberent, nifi
quando Milonis imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco dimoucndos oftcnrandi
roboris gratia pracbebanr, vel ftaru non pcr fe, fed ob alium
urebanrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi
iierifimilereddirur. Qupdquæfo cerrameninftandofolumefre6lum ccrnipotcrar,quod
autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs, ucl alio modo
amphithcatris, aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe
exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs
fpe amphithcarris,atq. alijs pu blicis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI
nok tili ttiu tc bt fc( H .,4, A
cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq.
obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam acquircrcnt,tucrcturq.
Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum
fi^ta confrixio ^ ^j^ B uocata,necnonad diminucndam7roAic/us
anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid nosob corum,qui ^> nobifcum
cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc vmbratili puena
certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con„ . Uiuiahum
:«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiæremnoticædcns. lam
ucrononminustelJs^quapugniSj ] et brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem
ufurpata cfse rationi cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duæ pugnæ
fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut
nulla gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rcceperit.quod
cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi armis incidcntibiis
exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu habemus,qui in
5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus monomachiam.f.aut fingulare certamen in
Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta AIphacumfluuium,circa quam
quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs tcftatur, alternis
olympiadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta, cerramina olympica
loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru, cadcntiumq. iugulationcm
proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum
morc retjnuifsc, ut æftatis teporc monomachias uocatas cxercercnt,quas ne quis
credat fo li Gracccrri nationi proprias exftitifsc, adcudus cft Athenacus,qui
in quarto dipnofophifton auftoritate Nicolai Damafceni Philolophi pcriparetici
referr,Romanos monomachoru fpr£>ncula no modo in feftis,arque
amphithcarris,ucrum ct in conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc muruaros
adhibuiffc; quamuis Romani no monomachosjfed
gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cæfaris ærate in foro nouifsimc
pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib. NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam
arrcplurimisabfurdis 18. et lib. plena excrcebat,ut a ceteris pugnanrium
cxcrcitationibus integre 37.C.J. dignofci poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer
cxpona, Nam illud primum dcreftandii plane habcbanr, quod ccrtantes qua grauius
poterant,fcfe fcrire ftudcbanr,&: non iolum( quod fcripfir Scribonius
Largus,qui*'Tibcrij Cacfaris,&: Mcflalinac ætate medicina Romæ
cxcrcuir)c6rufioncsin lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad
altcrius, ucl eriam amboru pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur:
quemadmodu,pracrer Athenacumjarq, Plurarchfi, 3.decr>p.
Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr vulneraroscumc.pgcri. rafle,
&: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru mcdicum coopratutn Li.7.ca.3.
fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori compofiroad pugnadupugnac hanc
propoficaforrc fuifse, aur occidcrc fi occupa
uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2,
Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir,athletas ctia vulncribus confcdos ad
dominosmittcrcfoIitoSjqui quærcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc
ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo A
AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu mutarent.humfmodi
ucro ncfandas hominfi cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr optimus Impcraror
Anronin», nanar Di6 cu cdu^o cau.flc,ut glad.arores no acutofcrro . fcd obrufis
gladijs. et tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant, qui pu.nadi art d ^ fcendæopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^
mor ac prod.d.r glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ' 'r.c... hordco
u.d.tabant, ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da, &: nandun
.nft.tutum crat, .n ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc aducrfar. j
b.bcrc.ra.nquam,;s ad confi. mandf,animu, et uircs cfficaTn A Tl^'s,pracclarc
admodum fic a Cvp,ia« nodcclamatucfl
Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac
horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.natus,n pocna canus pcrcat . Homo
occiditur in homin.s LoIupur!s " et ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia cfl.u
fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft
.nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub.
fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra" tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa
v.ucnrcsin vhro^eum " funus ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad
bcft.as nc, cr " ni.nc fcd ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs, rn^ ^ pracfto
cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu largior muncr,s.xppa,-:tusam! "
plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&"
rcd,m.t,&: .n tom,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu "
l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx"
fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l
luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud,nihi ualdc turpms cx,ft,mare
in mcntc ucnit,qd et Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar,
fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc
coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni
flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non
inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m.
dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut
rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc
Plinio,gladiatorum quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo
adopratus fucrat,dcdcrit,quod ucoymr.jUca. L nales cflent,&: tria illa
ncfanda a nobis prædida profirerentunmi1 hi ccrtc perfuadcnte exomniumhominumignobiliflimo
fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis exftitiflc.Ex altera parte cu Galede
frac nus rcferar,f:icerdotes monomachiamcxerccrc fohtos,cum Atheklhhu nacus
fcribar iUuftres uiros, atq. Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus, arq.
lulius Capitolinus Commodum hnpcratore Spartiagladiatorcm
eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta hnpera7eno" ^& ^
dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc fcribanr,ciim tradant AibmL alij
Impcrarorcs ad bellum profedturos munus gIadiatorium,ac ucnationes ederc
confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo pugnæ quadam imagine Ncmefis fe,idcfl:
Forrunæ uis quædam explcrer, uel ut infuefcerent milires vulnera,atq. cacdcs
in/pedare. qua item ra tione SolonapudLucianum narratlcgem
Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus fiuc qualeis, ac gallis
pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi uolucrcs vfq. ad extremam
uiriudcfeaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad
fortiterfubcundapcricula,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs
apparerent, inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Æfchines
c6tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia
mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles
utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando
criam apud Athenæumrepericnonnullos teftamenro cauifle, utr pulcherrimæ eriam
puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent
impuberes.ScdgratiæDcalmmortahfunthabcndæ quiad abolen dum huiufmodi nephaadum
morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc
perhiber Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriæ ccclcfiafticac .Atque exhisclare
patct, armorumacutorumpugiiam inter athlerarum
exercitationesadnumerandamcfle.quos fciamachiamquoqueinterdum,fiue
umbrarilempugnamexcrcuifse,inde faris conijcercpoflumus>quod Glaucus
Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob pugilatoriam, quaminumbra pugnandi
cxceilentiam celcbratus fir, ciqueftatua habiru, formaque in umbra pugnanris
erefta, ut Paufanias narrat, tradarur : nifi cerrius comprobarent illud hæc
Dionyfij in cap. libro de diuinis nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx.
z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^' r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^
d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^ vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS €
nv^oc; ^-toi/to^;, axiTOvq aiq (nncLixa.')$iuj» nc;, oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov
ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf : ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos
uinccndi. athletas imitatur, qui fæpe . Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc
fupponentcs, prout Ipfis vidcriir, nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr
vmbratili pugna ccrtarcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq.
mulicrcs &c uiros claborarc uolucrir. Hanc rudibus armis faCtam milirarc
monomachiam illam fui fsc, quam Hcrmippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnæos
acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri
limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non
umbratilcm pugnam, ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus
Choulus,&:aIij nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea
fcnrcnria uidcrur, quando in Lachcrc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis
pugnarc difcanr, quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur, ncc ulla
cxcrcitarionc infcriorhæceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam
ccrtatorcs,qacmadmodum gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS
reljs quafilcfcpctcre iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera
fcricnrcs,&:plagarum inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando
ramcn cum umbra armis ct pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius
audor clhl^im ucro omnium frcquctiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui
milirarcm difc ipli nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri
^ fe bir Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr,
&rooo-ip ol r£jg7retXai^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir
oiiu(poripa>v ?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim
enimproccdcntcsin mcdiumamborum ignoranter cecidimus,& nifi aliquo modo
nofmctipfos defcndctcs eua mcmoriacproditum cft. 1 m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^
iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^ ri/u.. VILNTER cereros,quos
plurimos,atquc neceflTarios in humana vira vfus habcr fpiratio, non infimum
locum obrinuirvociferario. quaccum nilaliudfiti
quamacrisuehcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&: lormam,ueI a
refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcditari,|AriftoteIes, &:
Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenrarijs probarunt. &: iccirco
non ab re fururum cflc duxi, fi, poftquam defpiritusretentioneuerbafcci, ftarim
uocifcrarionis rraftarioncm fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir,
quod Galenusmcdicorumprincepsaurnulla, aurquam pauciflfima dc
vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrcitarionesnumerari dcbere
non cenfucrir: quandoquidcm AnrylOribafium mcdicus cclcbrariflimus non modo
camexercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerforum curarioncm,rum
ad uocis ipfius culrum ualde æftimatam fuiffcfcripfit. qucmadmodum itcm Ætius
Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus facculis comprobai unr.
Nunquid ucro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris dilciplinacftudiolihoccxcr
cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum audoi cm
noratumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuocifcrationcm taniquam
propriac ipforum profcflioni aut conucnicntcm aur filtcm rtcccfliiriam
cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus, &:milircs in
pugnis confcrcndis clamoribusnonfincutilirare vfos, quando Cacfarhaudfruftra
anriquirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo fignaundique
concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rebus, &: hoftcs
rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur: proptcr hoc minimc fcquitur,
uocifcrarionis cxcrcimtioncm, dc qua nos agimu^>
miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gcncra uocis
cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrionicæ
uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim
profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&:
aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs
CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^
Anllotclcsinproblcmatum libris,in quibuskgip^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc
noncriamantiquionbusrcmporibus tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs
ipfas cantu rccitari^:onfucuif fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantæ
cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica monftrauimus,pubHcæ
uocifcrationiscerraminaaCoc''j^'"^B lio Aurclianofiib modulationis
agonillicac nominc intcllcaa, j> " pofuis uidori
pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora pcrdurafse,ex eo
conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdicamentorum compod. fccundum locoshb.
muhamcdicamctarcccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc contcndcrc dcbcbat,
tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat,
temporefuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragocdiam,ac
comocdiam pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur, li
quando uuccm contcndcndo oblæfilTcnt,
balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti fohtos.Exquibus ucrbis
cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicæ profcflbres
uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis
dram^^"«^maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra
uo ^ ce ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&:
muraris,ucluriin rra^ocdiaad macroris,calamiratisq.
magnitudincmaugcndafav^uniohm,(cribit Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod
^^^Pa«i ^oc aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou rivci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1?
7^ rov vrv/uuoLroc KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv, ocrv/u/SoLfvc-i (t
rolc TroLf^iofc ^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc
ploratus,quiin Icgibusprohibent,haud rede faciunt, confcrunrcnim ad
incrementum, cum fint quodammodo cxercirationes corponmi,lpirirus nanquc
cohibirio labcranribus robur parit, quod etiam pueri^ inter plorandum diftenfis
. iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus
vlirat.i,ac,vt fic di1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita,
ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt, i.jennat. ... . .lutab
au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores,
qiios homiiics qiioridic m oblciiris, ac anriquarisrebusadliiccm rciiocandis
fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia rcmporis di
ururnirarc, afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc
dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam
lacculorum ncgligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt, hinc fadum cil,ur
in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare, dcprauata rcformare, abolira
rcficcre, randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc non inranra
obfcurirarc coadi, (omniantes quandoquca ucrirarcprocul abcrrarc.iiucr quos cum
cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim, qui arrcm gymnafticam elim iii magno
prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmorruam ad luccm rcduccrc
ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor,
quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aquibus inftitutum mcura
dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra, quae quod temporibus
noftrisdefueucrinr, ucterumq. pcragcndi casrationon habcatur, quomodoficrcnr,
quaJesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman dum. Qucmadmodum
deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM o'4^?o? o>Vo^o?
'^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'^vx»,, idcft, Habcatuero circulus
diamctrum hominis longitudine minorcm, ita ut ipfius altitudo ufque ad mammas
pcrtingat, neque fccundum longitudinem, fcd in tranfuerfum jmpcllatur,fit aurem
impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Nonnulli rcnucs annulos rorae
circumpofitos fuperuacaneos efse purarunt : at hoc minimc i ra fe habct,
quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque uoluptarem
animoparir.Exquibus ucrbis clare patct, in hac excrcirarione homincs circulum
quendam magnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi crant,quadamfer^ rca uirga
anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere confueuiffc,a quo duda mctaphora
M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. feftiuc mihi crede, &: minorc
fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft conuerfus.fcd cum hac actate in ufu
non habcarur^pofTumus fane aliquid diuinarc, ar cius formam,&: condirioncs
pcni tus cognofccre minimc liccr.quod cnim trochus graccus fucrir,de quo Hora
tiusiibHuscnt. et Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe vagathr . ibidem. C(dn
Jtarg.itit obnii turba trocb^s. et l y tii tJtn /.I.V.' 'I?, C iiiitif quam
culus ahen i, jib 1 1. 0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq.
primocrat circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm
atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit,
Inirenat et ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. Curuatis fcYmfpatijs,flupet
infcia turba, D Impubisque manus mirata uolubile buxum Dant animos plagae,
minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,& excrcitatio ilhviuae
hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum ligncis pilis efficitur,&
truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud mefimilirudincmparuam gerir.Nam
rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis peragcbatur.Secudo is annulufcu
annuios habcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines pcrviamambulantcsfonitu audiro
longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex aere conflabarur,atque clauem
aduncam habebat.quæ omnia nec feparatim,nec fimul in rurbine/eu rrucho
noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre debcamus,ab hislonge
diucrsuantiquorumtrop chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime repræfenrarhæc
figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in vctuftiirimo,atq.'ampIif
fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro cxprdrain uia Tiburtina.ppe
Romaaccepifreretulir.nifi quodprærer annulos denresquofda circuIoinfixos,&:
mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc uero confonar.
Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre poerica,
Jndoctusq. pilæ ydifciuCy trochiue quicfcit, 'HS ipiff^^ rifum tolLant impune
coronæ: Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones rccenfeat: procuiaubio
ad gymnafticam aliquam pcrtinuifrcconfcntancu rationiuidctur.&: ob id cum
ncquc milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui qucar, fupcrcft nicdicinac
^ymnafticac cxcrcitarioncfuiflc, et illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra
nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfcrat
Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc
motibus in campo, ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis crar
compaiiinatus in uanam cxcuds anfamrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida manu
ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc ccnfuit
ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcitationis illud
gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano inucntum,hodicq. in
uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Iralos Pilam &: mallcum uocanr.in hoc
crcnim primo brachia, &: dorfum cxcrccnf,qn mallcis ligncis pila ligncam
longc pcllcrc coguntundcmum cx ambularionc,quac rali cxcrcirarioni pcrpctuo
afsociatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs homincs
pcrcipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni mcrcarur.
quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan contcdat,cum
apud Auiccnnam inrcr cercras cxcrlocckxdt cirationcsunumnomincrur,quod uirgis
rcrortis divflis alfulcgiaa
cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra
pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias tacucrit Auiccnna,quod fuo
rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs profccud
fumus,quas hominesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant. Supc^ ''^•ft
modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsquidem fponrc,^ quodam modo libcic
moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod cnim
Galcnusiftis duo^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis
favTtum, minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra
tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat
cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara, ncpc quac cctc
risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir in Lachctc Plaro,ma ximc
dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius fciliccr, quæ
anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu
Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jicllorophontcm
exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem ThefsaD li.xc. y^. |j j
Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt, q lib.^ acre paullatim
ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythæ aquis&io
cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus cruciarentur,
per uenarum poft aures incifionem ab ilhs curati,ad coitum ualdc impotcntcs
cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a Dijsproficifci
fufpicaics,quos Hippocrates redarguit, quod diuitcsfcmpcr dijs amici, pauperes
uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate mutuatus confirnuuit,)
i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam opulentos eouitio corripi,
cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis tempora cquitatio fempcr,
quemadmodum in Hippia a Phitone traditur,in maxima exiftimatione habita fuit,^
iccirco omnes gymnafti cæfpecicseam inter rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt.
Nam quod in circis 6c ludis maiores noftri equitationis cerramina adhiberent,præter01ympicosIudos,inquosuicefima
quinta Olympiade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum
facerepofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct,
Rufsati,Vcneri,&:Prafini,quæ tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri
buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga
tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis
cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctæ,ac Prafinæ fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs
ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx illisanimaliuhabirus,atq,
tcmpcraruras internofcere,&:cognitisinde mclioribus uti ualcrcnt, fi quidcm
harum fadionum conrentioncs potiundi uidoriæ cayfla talcs crant,quæ ncc uUis
fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua pcrmittcrcrreo
magis qd' totaurbsquafiquadripartita crat,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio
nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in
quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadionibusaur ftudiofiflime non
difccptarctur,autfaltcmfermonon haberetur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni
libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft.
lib.n. Sæpius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor
pracrnia phira nfert, I nunc liuor cdax, dic tu ceffiffe T^crom . ficit nimirum
non l^ero, jcd Trafmus, Dc Vrafvio co/iun^a meas, enetoqiic lonuetUY ^ 1S{€V
fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanæ ciuitatis
partem Prafinacfadio16* B A næfacrionifuifsctcmporcfuo, quando Maitialis quoque
flomit, teftari uidcatur hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs capit, et fr-ignr
aurem TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am fideficcret, mæftjni,attvnuamrjue
vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in fulucre vMiS Confulibus. Has ucro in f
aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum acerrunas contcntioncs indc ortas fcmpcr
cxiltimaui, quoniam Romanorum quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus
tcxcbantur, vclrubco,vclalbo,ucluindi, uclucncto,icdpraccipucrubc()magis fufco,
ut Martialis hifcc ucrlibusindicat, dc Canudna lana rubca tufca fcrmoncm
habcns, I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs, libM. EtplaccthicpHcris,
miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi
fimilcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc
uidcantureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras,,. je jrte
XVf mora,quifiuis etic, cns fauet illa,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum,&:fpcaaculorum,quam
et arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam cruditillimus Painiinus
luculcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc ludis ^iuos iam cdcre
parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam gymiufticam acccdo.quam
ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difciplinacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIay.Jdcg.
to-ubi non modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r ucrum
pucllis quoq. talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras
bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collocauit ficuti Xcnophon
paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchomachusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs
fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o
vTt TcxxyiDV ovTt kxtko rm,^rrr.rx £ R Trai-T*,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft .
Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore
coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te
exerces, diumj/quc accumulandis inuigilas, quæ omnia admirarione digna nnhi
plancuidcnrur. Exhiscnim, &:Ifchomachi,
&:SocratisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbclJicas
dilciplinas comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero medicorum gymnalhc
cquitarioncs ad nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus
habirum ingeneran^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas
gymnaftr E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum ncdum
corpus fcd etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac.
Act«j,&poftremo Auiccnnæ comprobatio acccderct, qui tam n'rrr "''opportunas
cxcrcirarioncs rcpoluir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm,
cumcrurum renuirate dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc
mcmonæ prodidir Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus,
cquirarioncm ramquam utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram
fuifsc:quamuis et apud ipfos ualdc re.ZllZT,"^ r V""
"^l"^ "chcrcnrur, et iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an
fuccufsatarijs,an concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco
explanabimus. F DeCumliruefjiatione. CIXIMVS duo cfsc cxcrcitarionum gcnera,
alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs, hiic, ut
Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio moucnrc
fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus, dcalrcroquod geftatir a
Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc, ab Antyllo, Herodoto,
GaIcno,aIijfqucantiquioribus mcdicis Graccis diiex » de tfie
^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc polhc.ti fumus : atquc iam de
^^:^cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus mixtum motum fccir,fc.-moncmex. •
phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus primakfcoircrrin curribus ue^tutio,quam
antiquillimam fuifsc, ncmo inficiatur.fi quidem ut 171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs
tcftatur,primu5, ciui equos curribus iunxerit fuit Ericluhonius, quem ob id
intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum. Porroforma,&:
modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus faciundis idoncam
abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque vlmum . Vnde
elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui prioribus illis
facculis duabus tantum rotis conllruebantur.alias duas audtore Plinio
addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus conftruxilTc
mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quæ rotac Homeri
tcporibus ftanno ornabanaqui$ et tur,at porterioribus facculis no modo
rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^ ornatafuilVe,legimusapud Plautumin
Aulularia,ficuti Plmij tcpcftate tota efTeda atq. uehicula auro,ac argcnto
indgnita confpicieB bantur. Varijs
practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm
pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti
aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita
lcgitur.Quin Hcliogabajnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa animalia,(cd
ctiam fbcminas nuliogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura ucdum
c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter mulicrcs in
maximis delicijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando pcri!cnif,ut cas ipfa
vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci gratia cum muliercs ira
percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum concipcrct,ncue parerct, atq.
ita uiros ulcifccrcnrur, Romanos muraffc fcntcntiam,a:q. itcrum illis curribus
uti permilifsc,fcrip:is mandauit Piurarchus . In quibus dcinccps nc fcdcrcnr,
ncuc cquis pcr urC besuchcrentur. M. Aurclius Anroninusphi[ofophus,matronarum
confulcns modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus apud gymnafti cos hæc ipfa
geftatio acftimaia n pcrirur:quado,fiuc ]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs,
fiuemcdicorum librospcrfcrutcris,inomnibus ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo
nefcit nona 6c nonagclima Qlympiadc curruum ccrramcn in Olympicos ludos
inucCtum. Quis igno ratSynoridas,quibusanimas nollras Platoin
Phacdroclcganninmc alfimilauitjncc non bigos, quadrigasuc curruum gcncra in publicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea
ftudium ira apud Romanosexcultum,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl
nuUafcrcpublicafpcdacula edcrcnrur, quin curruum certaminibus honorifica præmiapropofita
(pcctarcnrur . OJb quac rcfcrr Plinius in quadri^'.c.t garumcertamine,quod
Larinarum fcrijsin Capirolio cclcbrabarur,pro pracmio uiftorcm abfmchium
bibcrcconfucuilfc, quafi fanirafanltatem inpræmium dari ualde honorificum
arhitrarenturmaD iores. An vcro gratia bellicæ difciplinæ adjpifccndæ ucaatione
in curribus utercntur ueteres, nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ pæd.
tamen cum ab Homeri ætate vfque ad Xenophontis tempora, atqueetiapoftenoribusfæcuIisperduraueritmos,utinbeIlisecurribus
quoq. dimicarcnt, quemadmodum in equitatione exercebatur,quofierent
bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle,
ne, cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi
currusmodorum expertesfuperarentur. Cctcrumquod medici
gymnafticifimilemuedtationem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus ægris
curandisinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus, h^Yil ^^q^Auicenna : qui non modo eam inter
gymnafticæ uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo et febriciE
tantibus (quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam maxime
commodamcclebrarunt. huius etenim quaii vafrn^altcru,inquahomincsueai va.cii.
fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime per
uias, &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcriIn probl.ptum eftaPIutarcho,
Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^prohibcre, ne ea die vchiculo uti
liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur. Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij
in ijfdemuehiculisexercerentur, indicafle mihiuidctur Herodotus
apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui manu ducuntur, ' ncc non bigis
geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr triginta fta diamoucri, deindeca
conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut quadraginta initium duccre, &:
ufque ad fpatium altcro tanto P maius progrcdi confucuifle . Sanos ucro omnibus
curribus, &: teais, &: apcrtis fine ullo difcrimine ufos cfsc,
ucrifimile fit : etfi fortafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere
pofsumus, quadorcfcrt Dion hiftoricus, Claudium Cæfare du profpera ualctudine
utcrctur,caputq. trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum
Romanorfi vehiculo undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob
oculoruinfirmitatc fc aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns
ad Cornuru fuum: Pareo collcga,,clariflimc, &:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc
tct\o,, uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur
oibus cuiq. cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccteris gymnafticis
probara fiiifs?, quippc quos, &c non aurigas moruu ommum cxhac gcftacionc
contingentiufaculcares, &: conditiones probe intcUcxifrcfcribir Galcnu
Je//a. Cap. X U ECTiCAM, atq. fcllam ob commoditatem potius eorum, qui vcl
fcncviutc, vcl morbo impcditi ambularc pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias,
quibus fcmper homincs lluducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui
opincntur: ncc forsa finc ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua
indudi uctercs huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint, \ quod cquitarc,^
pcdibus ire ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs
uagari>iter faccre quam commodc ualcrcnt: nifi
dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc in facicndis itineribus a folcui
ucnto, pluuia tcmpcrtatc, atq. fimilibus oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas
vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac
uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollremo mcdici,gymnaftacq. ad
vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq. fit,conftat,quosnupcrrimc
diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc ualctudinariorum,rarius
fanoriim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5 6.ita dc gcllationc
loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus farigatus,q,
fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac ncfcio, an co maior,
quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos ambularemus,ocuIos, vtp
cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc dclitiac&quod diu noluimus,poflc
dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat
faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua cauflii fpiritus delior
erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi fcnfi.Quac ucro tam
lcdticac,qua fcN læforma fucrit,nil itaccrtuhabcf,quin dubitarccuiuis liccat,
at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum ftratum fuiflc,quo &:
iaccrc. JL i B £ k
iacere,&fcdere,&:prout Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris
fucrit noftræ diflimilis, uel potius fimilis jcredo non admodum diflimilem
exftiriflc^nifi quod noftras a mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur, illa
antiquorum ut plurimum afcruis kx portabatur, atq. ob id Hexaphoros
nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus
Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum
jis tam pauptr quam nec mijerabilis Irus, Tam iuums, qnam nec Varthenopæus erat,
Tam fortis, quam nec cum uinceret Artemidorus, Quid te Cappadocum jex onus effe
iuuat ? f^deris, multoque magis traduceris ^fer, Quam nudus medio ft
fpatiercforo, 2{pn aliter monftratur ^tlas cum compare mulo » Quæque vehit
fimilem hellua nigra Lybin, £ Jnuidiofa tibi quam fit ledica requiris ^ T^on
debesferri mortuus Hexaphoro : fimilitcr &: ubi Zoilum carpit, quod
lc£kicam fandapilac fiue feretro mortuorum fimilem habcrct. tlh,!, Laxior
hexaphoris tua fit le^ica licebit, Cum tamen hæc tua ftt T^oile fandapila .
Lib.^. Nam exhisliquido intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr
rcmfulm!^qucm vlum Cappadoces Marrialis, Gcrmanos
TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis lcdicariorum numcrum augcre
uoluifset, prorinus fuifse norarum, qucmadmodum idem Marrialis indicauir, ubi
Philippum qucnda infanum uocat, quod ab odo fcruis Icdica eius ob quandam
diuitiarum inanem oftcntationem pcr urbcm geftaretur, OBaphoro fanus portatur
^uite Vhilippus, F Hunc tu ft fanum credis ^uite,furis . Cumitaquclcdica
antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda, uerum ctiam conciliando
fomno,dum claudebarur infcruicbar,ur luuenalis reftatur his ucrbis. Tslamque
facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq. frequcnsillius crat ufus,ur caftra
Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis, ucl criam marronis in eis
dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros mcntio, dcftinabanrur,
pluribus in locis habcrcnrur,in quibus&:iuraipfisdabanrur,&:
aliaincaftris ficrifolitaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica perurbemge
ftariuerirum crcdam, Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu Impcrarorcm
Harpocratilibcrro ledica per urbcm uchcndi fpefta culaq. publiccedcndiius
rribuiflcfcribir. ArquifcIIam duplicem fuiffc . J7$ A finffctradidit
Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'i-chro. cicbant,c]uac ucl
coopcricbatur, ucl apcrta lincbatur,&: a nonnullis,ucluti a Coclio
Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccbaturuilrcram in qua
iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris uidcrc licct,cum podagrici,diuitcs,
atq. alij principcs dclicijs nimis dcditiillaquotidicuchantur,quaitcm uiros
magiftrarum gcrcntcs olim gcftari confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in qua
ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non
habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€ 17:6 Dc Agitdtione per lcCios fenfdes,
Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio Ca^. Xlh VOD agitationcm pcr ciinas, &:
Icftulos pcnfilcs, quos d uos fub KhivH^ vocabulo a Græcis complexos fcntio,fo
dtam inter gymnadicæ excrcitationes recenfere velim, lorfan aliquis
mirabitur^cum hac tempertatc cunæ iolis pueris cblandiendis inferuiant,p
aucilTimiq. finc, quibus medici pcnfiieslcftulos parari iubcant rucrumtamcn
ismirari definet,{i Galenum,Hcrodotummedicum,Actium, &: Auicennamdiligentcr
icgcrc placucnt : qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias
corporumhumanorum exercitationcs adnumerarint, cur amefiIcntiopræteriridcbcant,nonuidco.
Nam cunas ob pueros potius,quam adultos excogitaras fuiflenon equidcm
diffitcor,fcdpu-^ to talem motioncm interdum ui ris cum ad lcnicndos dolores,
tum adconciliandumfomnum non parum adiumenti pracftarepofse, Oriba lib. u t
pracclarc fcriptum eft ab AntyIlo,&: Ætio, apud quos lc6tus fiil^ h^fte.
cramobiliaiuxtaangularcs pedcs habensnilaliud meafemcntix fignificat,quam
cuna^s ipfas,quas etiam intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id quidcm eft,uni
lcdi pedi certe funiculus fubijcitdus eft, atq. „italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi
Oribafij interpresnomen jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit, et iccirco
omnes illosprorfus falli crcdo, qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum
habere cenfear. Quibus fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in
vlnis a nutricibus geftantur, quæ ic a medicis, &: a Platone pro ^
ipforumualetudine miruminmodum probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3.
tamlcquiavulgatæ,&:omnibus manifeftæ clsent . Quætemporibus noftris cum a
plerisque ignorcntur» opcr^e opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr, qujd
fcnrio, in mcdium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab
Afclepiadc cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^ !
paruosmodo c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam
argcnrcos lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftruftos,qui quatuor angulis
runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i
aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio
Orata,tc(lc plmio^primum inlib.^.c.r^ iicnra,non quac
fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd nuIlaa!iat"uin*ecrcdo,
qiiani labra illa ucl marmorea, uclacnca>ucl Ifgnca^ad lcc>ulorum
imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber manunm
impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad LuciIIum
fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura inncntacft:
nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque cxcrccri mcdici
praccipicbanr, huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra Jaborcm,
Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcincepscurabanc.nciniexcrcirationc
iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain
l.alncis rcpcricbatur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum,aquac
dclcdiaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic, blandaquc ntillarione quadam (ingula
corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcnfilia eafuiflcinrclliganrur, qunc
fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum
Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non
uidco . Dc pcnlili lccto dixir Hcrodorus, gcftarioncm in illo t.imdiu facicndam
C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadræinra Itadiorum ircr
conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius
acquicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile
numcro dcriniri non pofsc. quod non rantum in his, fcd &: in omnibus alijs
fcnrio obvarias, acdiucrfas acgroranrium affeitioncs, quibus non cadcm vJlo
modo conucnirc* pofsc, oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc
pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio,quoJ
QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappcllarunt. huc
licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtusparuus, vcl quidinformam lccti
pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs
gclbbantur,ur Dion hiftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium in
fcimpodijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gcN 2 Itabanrur,
178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus, dumBritanniamobirer,fcimpoD dio
undiq.obtcdoferebatur. Ceterum quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud
fatis conftat: putandum cft tamen fellam f uffe ita fabricatam, ut ledum
plumcum paruum caperet,ita ui nxftum, utpenderc viderctur,
inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui ferebantur,iacebant, &c vndique^
ne ab æris iniurijs læderentur, coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu
dicio uidctur luuenalis,cum Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit
crgo tribus patruis aconita, vehatur Venftlibus plumis, atque iliinc defpiciet
nos ? dc eodcminterpretanda efthæc infcriptio quam mihideditAldus Manuiius
Paulli dodiffimi, &: eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad
Andream Naugcrium olim allatam retulit. E
D. M L. ÆMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM. SVVM VICESIMVM. ET. SECVNDVM. PRVNA.
I N. PENSILI POSITA. VRGENTE. FATO. SANVM. IPSE. NECAVIT. SE. L.ÆMILIVS.
VICTOR. PRINCIPALIS.ET ÆLIA. VENERIA. FILIO. PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 Mcth.
neque aliud fignificauit Galcnus, quando balnea ingrediendi
mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit: ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci
Ko^i^^ai ^iv \ial rov cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou, idelt, ægrotantemuolo
portariin fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius Li.j^.c.io rhetorin librodefuaipfiusvitaintellexir,
dumdixit:cLidomi fum, F in le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut
etiam idem intellexi t GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus
grauitcracgrum infcimpodioGræcienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo ob
delicias,atque uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs,
nccnon fcimpodia ; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda
valetudinariorum corpora vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum
illud machinamentu li.3.c.^.& raptorium,&: macron fparton a Coelio
Aureliano uocatum,quaIii11. y.c. yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica
nominata, quibus duobus geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft, cum a
nullo alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit.
utfupra diximus,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De
O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. . NTER gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis
corporibus cxftitcrunt, nauigationcm quoq. rcpofuit Antyllus, quem fccurus Ærius,
6i poft cum Auiccnna manifcftccampro cxcrcirationc habitam dcmonftrat; id quod
utriqucnon ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr, cjuam ab antiqua diuini
Hippocraris fentcntia, qui nauigationcm &: moiicrc corpus, pcrrurbarc
dixir. ni(i quod Auiccnna nauiga4.Aph.i4 tioncm inrcr dcbilcs cxcrcitarioncs
adnumcrauir, Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc pcrturbarc afscrir, id quod
potius uche menris quam rcmilli motus argumcntum vidcrur . Hac nauigationis
excrcitarionc duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non admodum B ufasinucnio,
mcdicam fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl ad ahquorum fanorum
habitus confcruandos, ucl ad nonnullorum acgroranrium fanirarcm comparandam, ad
(anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc fcripnim cft) marcob
placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm facit,undc nauiganrcs
fcmper coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus dcgctes.Ad acgroros
ucro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum uomitu,qucm
frequentiftinxinfucris præfcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus ficcisex/iccare
narum cft.quare dicebar Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i, lepræ,hydrop](i,apoplcxiac,
ftomachi frigidiratibus,nec noninflarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius
ucro&phrhifi-Jj^P
cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc Annaci Gallio *
nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab huC iufccmodi
affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd proprer nauigandi longinquirarcm
ccnfuit ; utcriamcius NcposPlinius fccundus ZofJmum libcrrum fanguincm
rciCLtanrcm co fc mi^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a ualerudineredijfsc
narrar. quamquam audor illc nomine Plinij falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd.
Icnfc-^-*^'^rir phrhilicis utiiius c(sc in faltibus m( rari, ubi pix
nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca uifirarc. quod etiam tradirumcfta
Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc linipl.mcdic.ubi dc rcrra
Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma obid in Libyam profcclos,
annis aliquot inculpatos uixifsc, poftca ucro morbum recruduifse, ubi non pari
cura uuicbant . Modus in nauigationc ualcrudinarijs obfcruatus /ic ab Hcrodoro
dcfcribirur, ^ .^, quod afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum
dclincbanr.Porro luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac
Oynwtilica^ N J in iso in mari,aHæinfluminibus, aliæinmagnis-, aliac rnpaf
uisnaui-a bus,aliæ remis,aliæ remulco, aliæ uento, aut uchementi,aut plain lib.
de cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar^^aufliiua» cho,
cam minus naufeam producere, quam mare, quod tam odor, quam timor c maris
adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,arqucfic uomirumcicnt, quæ resa
fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis
doloribus cctcris practulit longam pcr marianauigationcm> quoniam (vtipfe
inquit) fluminalcs, ucl portuoliic nauigationes, ncc non ftagnorum, incongruac
iudicantur, nimirum quæ caput terrcna exhalatione
humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcorpus apcriunr,&:
falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius
habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud
gymnafticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos
fuifse diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quæ a Romanis in
circo,uelaIiquoterræ finuprope Tibcrimmanufa&io tali cxcrcitarioni
dcfignato rcpræfentabantur, fuerunt quidcm ad populum obIc(Sandum (ccundum
aliquos praccipue infti^ tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in
Euripis vi £.Y vrbe ad marc huc prodimus pjbuiituyyt, procxcrcitio
Gymna(lico,&: Palacftrico hoc habcmus.quactamcn pifcario cum a Plaronc
improbara (ir,quod ncquc animus.neIn fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur,
lurcmcriro cam ramquam nulli uriJcm omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod
^jalcnusipfam ini.itu $5. tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc
uidcrur, iicut ^P-'« et Auiccnnaingrcdicnrcm pifcaroriasnaucs dcbilircr
cxcrccri ccfuir. quorum fcntcntias duabus dc caullls infinnas rcputarc
debcmus,rum quia ncurcr corum cxplicatc, quid boni affcrac pifcario, Q
declarauir,quali excrcirationcm huiufccmodi non admodum probarcnt > fcd
communcm porius quandam fcrmonis confucrudincm fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr
Galcnus pifcatorum habitus du^ ros,arquc aridoscflc dixic.cuiusaridiratis
rarionc Ariftordc pifcamcd^mL tores marinos pilis ruris pracdiros cfse anrca
fcripfcrac.unde mcdi3» p^rtic ci,qui bonum habirumcorpori
cxcrcirarionibusacquircrcftudit, quomodo durum,
([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint,non uidco ; pracccrquam quod cunctac propc
pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una cxrcpra
maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur, pilcationis laborcm mcdicos parui ælhmafsc.
Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius cuiufdamgratia
inrcrdumpifcarcntur,ccu dc Cacf, Auguftofcriprum cft a^Sucronio,6«: dc Alcxandi
o Scucro a Lampridio, dc (luo ira fcribitrVfus uuicadi cidcm hic fuir. piimum,
i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non cubuifscr.marurinishorisin hu i';
fuo,in quo N A &:d:uos «2 et diuos
pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis et Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum
temporum dicir, Chriftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi
dcoshabcbar,ad Maiorum effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci qualitarc,
vel vcd:abarur,vcl pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Hæc Lampridius.Quid
aurem fucrinr pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans Tyberim a prætore
urbano pro pifcaroribus Tyberinis,au(5tore Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus
fam,ur turo affirma re queam,arhlericam gymnafticam, cuius ludos
fui(se,diximus,pifcationis exercitium habuifse. De Natatione. V.
AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfempernatationis exiftimario,
tanrumque per plura fæcula illius vfus uiguit,utnonminus pucri narandi arrcm,
quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum nullamaior ignorantiæ
nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare fcire diccbatur, fadum
fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos, &: prorfus inerres
continuo recc perint, adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di
peritia,fi non eofdem honoresobriner,quibus anteadtisfæculis
afficiebarur,falrem nec penirus neglefta, nec inurilis iacet. Ratio enim, qua
impulfi maiores noftri narandi fcienriam ranti fecerunt, hæcunaiudiciomeoexftirir,quodprimis
illis remporibusapud 5c£ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac cæteris,ut fcribit
Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum
filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel
faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandæforrirudiniufque aprimis
incunabulis incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus quoque pugnis,quæ runc
frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac fluminibus homincs nandi arti
confiii pcricula magis euadcre pofsent,minusucformidarcnt, (quando facpcnumero
milites mare ingrcdi coadi ob nandi ignoranriam fuffocabanrur, qucmadmodum
exerDc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc memoriæ prodidir Xenophon ) ficq. forricres
minons jntcraquarum pcricula ficrenr,natarionispcritiam exrulerunr;qua
«^pc^i^ctiam rarione Komani uerercs,ut Vegerius fcribit,quos ror bclla,&:
continuapericula miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar llb.i dcrc tium
Tybcri vicinum dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio. citationcs
inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent, acfimul if, A mul natarepcrdifccrent
>uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit iudicatu,militarcm
gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse. Cctcrumpoflcnori tcmpore non
modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum etiamob ualctudinis con
fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis gy mnallicisipfiim
probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J itcmfcnfillc uidctur
Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Liboranribustcrtianafcbrc
conccdit,utungantur,&: balncum ingrediantur, ibiq. madcfiant,&: li
uclint, ctiam natcnt . Qiiod cnim natatiocxcrcitationisloco habita tucrit,practcr
Oribalij ^uidoritatemdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis,
&:alauationc,dc: qua libro pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa
qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiiiB
ucrfum corpus,&: mouctur,uc duobusmodisnatabant, ucl inpifcina,qLiam m
frigidario luifsc /upcrius dcmonftrauimus: (tamctfipifcinasapud
Varroncm,&:aIios La:inæ C linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis,
^faginandis dicata fignificarc crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc
Rouiæ uifuiitur . Qu^od in pilcinis, quac in frigidario tlicrmarum acdificatæ
erant,quafquc thafio lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit
Scncca,iiatarcnt,omnium clarilfiaic ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui
in Epi(t.li.2.viilamiuam cxacliifimc dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc
balnci cclla frigidaria fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus
duo baptiftcna ucluri cieda linuantur, abunde capacja fi innarc in proximo
cogitcs, adiacct undormm, hypocauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac
ccliac magis clcganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos
luos defcnbcns iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(:
hilarc cxcipit cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut
tcpidius udis. Ex quibusomnibusfatisapcrtum cft, tdyin gymnafijs fiue balneisueteres nare
folitos,atque in higidan} D baptifterio alias pifcina uocata>de qua
menrioncm kcit TertuUianus in lib.de baptifmo, et dc qua exiftimo locutum
Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi laborantescurandiratione
edoces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv rocgHoXviJiHSg^is . ideft,
inpifcinisnatando inftitutis,quam h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam
pifcinaminterdum in area gymnaliorum acdiricatam credo, ut teftatur Plinius loconunccitat
Ojinquopoftdidaucrbaait. In areapifcinæft:&: ante Plinium Maitialis, quili.
5. Liguhnicuiuf* dam infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs
fu^io Jonasai aurent > Vifcinam peto, non licet natare . ni uelimus
Martialempotius de publica pilcinalocutum cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis,
&maximecx Regionum fragmcntofub E porticuCapitoIina intclligcrc
poflUmus,vbi Vici publicac pifci* nac clara mentio habetur,de qua ita Feftus
Pompeius.Pifcinæ pu blicac hodicq. nomen manet,ipfa non exftat, ad quam &:
natatum, cxercitationis alioqui caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro
obtufo ore pugilc, pifcinenfis res eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta
Dione Maccenatemomniumprimumm urbeaquarum calidarum naratoria inftituiflc .
Quod ucro in labris illis fimiliter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio,
cQ ex magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauconem,quandoin tcrtianæcuratione
natationemin aqua commendat:quoddc pifcinis gymnafiorum nequaquam intelligi
dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis, qui in capitis dolorc, atquc etia in p
arrhriticis curandis, natationem minimc fub dio fad:am > nec non fcruentcm,
atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in locis claufis, &: ctiam
apcrtis, qualis crat arca pifcinac, altcru ta in aqua calida,quam frigida
natari folitum, unde clicio natatione feruentem folum in labris faditatam.cf fi
Plinius in locis paulo ante citatis pifcinæ calidac mcntionc fccit,fub hifcc
uerbis,Cohæretpifcinacalida mirificcj exqua narates mare afpiciunt,dc calcfa
^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam de fcruclac>aab igne,ut
intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra gymnafia,fiue priuata balnca
cfficicbatur natatio, modoin fonfibus latifl]mis> modoinlacubus,modo in
fluminibus, modo in ipfo mari agcbatur. dequibusfcrmoncm habens
Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, ' quan\influuionitari,diutiusqucibi
moramrrahi,quoniam ucluti mare aquæfuæ corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam
dulccs aquæ fLliiA fuftinct oncra,ita facilius corpora hominum cleuata
tcn'cr,& confe qucntcr minusilla pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!)
rcnuirale luam citius,&: lcnius illabatur . Hxrra balnca quoq. apud aliquas
nationcs loci pcculiares nando confti ucbantur, et idc(. KoXvitSHd^xL
uocabarur,ftcuri legirur npud loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p..
dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam
Silocanriquus intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fanifq.
corporibus cxcrccndis,&: confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando
itc Ariftotcles fcripfit naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn
illud animaducrri uolo, plcrumq. ob dclcsflationc,6i: ad
ardorcs,&:liccirares rcmpcrandas,h()mincs nararc conlucuilfc,cuiU5 graria
in acftarc dumraxat natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RÆCLAR IS SIMA
cxrat GaIcnifcnreria,cxomnibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio
vtiliffimam vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc
ualeac, 6c iccirco fapichtifIn lib. dcludo parluc pilac. iimos illos haberi
dcberc, qui in ucnationc cam cxcrccndi corpora formam inucncrunt, in qua
mirifico quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira
rcmpcrantur, ur tacilc iudicari non podir, maior nc fit corporis, an animi
motus . Acccdit huic^ quod natura ipfa, quac animalia cuncta hominis caulla
produxit, ueaarioncm quafi praccipcrc, &: acccptam habcre, ut lcripfir
Arii. PoJiu Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^
tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur, fcd
fimul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j
rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&:
lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acftimanmr,cuius nimiruftudio antiqui
illi mcdicinac parcntcs Ciiiron,Machaon,PodaIirius, AcfcuIapiusufqucadeo,ficut
rcfcrtXcnophon, arferunr, ut non minus in ea laboris, quam in arcibus, in
qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic purarcnr, Ncq. ucrofolam
medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcirationcm,fcd bcllicam quoq. &:
achlcticam rcccpifsc,proba(scq. credcndum cfti fi quidcm uel dclcvflationcm,
&: gloriamAiuarum gratia arhletac Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&:
f(.rrirud:nc,quibuibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^
cumu. n6
cumuhti/Iime omnes in ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD
ineopraefertim^cf noninauibus dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie
dolo capiundis Jaboriofe uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi
dcbcreuolumus. Etncfineilli .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad(
ri.in:isproferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcitationc
ufafic, iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla
bellicacfortitudini affcqucndac maximumadiumcntum pracbcrc putarerur, locuplcf
/fime teftarum fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus /cnandi
difciplinam in trcs fpccics, aquatilium fcili( et, uoIatiJ «um, Sc terieftrium
animalium diftinxiflct,
improbaiisaijjsduabusproiLuenumeducationc,detcrret'iuinucnatione in h le 7.
dclcgibusita concludir. J^' w -mv ^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^]
Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\ ;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn
J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t /SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy
^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis
noftris rcliqua cft,atque harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo
nodurna uocata pcrfequitur, fcgnibus conue5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti
ncc iIJa,quae laborum intcrmif„ fioncs habens, rctibus, &: laqueis non
laboriofi animi uiftoria fera5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam
optimam eflc rclin5, quitur,in quahomincs quadrupedia
equis,canibus,&:proprijscor „poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui
fortitudinisdiuinae F 5, poifcliilonem curantcs proprijs manibus
currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus
uerbis clarc pater,quan„ tum 1-Jato in comparanda fortitudine bcllica diuina ab
ipfo nuncupata, vcnationem dixcrit cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre.
quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc comprchendat, fuperius indicauirnus.
Euidentius,quam Plato,locumhunc cxpJicafleuidctur Xonophon, qui dc Cyro in eius
pacdia ita fcriprum reliquit: T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav
[f^yof, bWtp icryteiv rctZrct fivn yy ;!^ rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw
icTTtYKTiy ttoMuixZv ^tvcLf, iW/jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft,
Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^ ad ucnacioiiem cduccbat, quos haec
cxercere oporterc cxiftimabar,hanc ratus &:omnino bcJlicarum cxercitarionum
optimam, ' &: cqucftns ucrifiimam. Quo ia loco nemo non uidct, quaiu apcrcc
A apertcucnarioncm ad exercitationcm bcllicamomniiun nuximc conducerc ccnfucrit
. undc poftca in lib. dc vcnarionc iuucnc.s ad capclTcndamhanc cxcrcirarioncm
duabus praccipuis rationibus adhorrarur;tum cf corporibus bonam ualcrudincm
comparat : tum cf cosad bellum
maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrcbus agcndis idoncos rcddit . At
Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc
uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius
dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs
cxcrcitarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec
athlctica profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris
ab Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru
in modum cclcbratac dcir.ouB ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic
fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq.
alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad
alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcnatores contraminus
immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica, quod fcilicct
ucnaiioncm ualerudini, Sc bono corporis habitui comparandis, tucndifq. probarc
u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris lcnrentiam i
Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer cxcrcirationes
corporisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin hoc ludo parfoluminfcriorcm
fe':ir,quod maiori appararu indigcar,proptcrca " nec arrificibus,nec
ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat; practcr iuniorcmPlinium, quiuenationc
corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift, ^ nuar, practcr aliorum argumcnra,
unum Ra/is Arabis mcdici cruditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui
icgirur, contigiflVin quadam pcftc, ut, dum omncs fcrc pcrircnr,foli vcnarorcs,
in jo.coa. obfummam ualctudinem
airiduisexcrcitationibusparram^incohimeseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios,
a quibusolim ad coenam Dionyfius Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde
Aari negauir. cui flarim rcfpondir coquus idco illud cucnifsc,quia nec in
ucnaru,ncc in curfu laboraucrat, &: idco fiti, &:famc
carcbar,quibusLaccdacmoniorum cpulac condicbantur. Itaq. mirari nullopado
debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq. adcofanitaiis,&: uitac ftudiofum fujfsc
fcimus,vcnationi ita auidc opcram dcdifse lc gimus,ut fcptcm annis, neque
vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo nianifeftuna cuiuis iam cfsc potcft,
quantum in cxerccndis pro uaicrudinc corporibus ucnatio apud uctcrcs acftimar^i
fucrit. cuius cum multac cflent fpecies, quanim aliæ rctibus, aliac laqueis,
uifco,& aucupijs, aliæcarniuoris,&:rapacibusauibus,aliæcanibus,
fagitfis, uel puris, vel rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^
roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere can.xy.c. y.
rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrcftrcs belluas
peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror,
inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus,
&c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere,tumfenfusomncsacucrc,
tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam enimuenarioncm,
quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus exercetur, an
commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his.
quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac partc» ' quæ olim
Ccdropolis uocabarur, homincs focietarc accipirrum perpaludes aucupari
confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud venationis noftræ ualdc diflimilc fuiffe
uidetuv; quandoquidem illi iplilignis, quacmanibustcnebant,
arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob ftrepitum cxciratas, euolaresq.
accipitrcs dcfuper infecLabantur,quorummetu aucspcrculfæ terram repercbanr,ibir.
quc pcrcufTæ baculis a vcnaroribus capiebanrur, &c earum parres'
accipitribus diftribuebantunnoftrum ueroaccipitribus,atque aftu
ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc, et Conftantini Imperatoris
actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_ ficutr etiam ignorarunt cam
uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis, &: rctibus aduerfus
cjualeas,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed dchisfatis. Exflicit Liher
Tertinj* .0 m H?9 "De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L VM
gymnafticæ origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics ab
antiquis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quantum conccditur, cfTcccrimus,
ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur, prius
U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumomniumrcgulas tradcre,quarum dudlunon
modo li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad
parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr
citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc,
&: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct
profcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs
cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m
gratia totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in
quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe rcnt
iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non ofciranrcr
uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle cenfco,quoniam
Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in omnibusquidcm
artibus,lcd pracfcrrim in mcdicina, uniuerfalcsmcrhodos parurn iuuarc
clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs accelTcrint,
quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur, tum carum
fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio,ut in
Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab
anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium
ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum
qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac
fcquantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia: &:
proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucndum cft,Iocus ubi
moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc modus cx
nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5 maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo
diffcrcntias illas excrcitatione confequentcs dcclarabimusrfecunD do,quæ fint
corpora excrcitationibus apta,& quac inepta, dcmonftrabimuiittc rtio,
qualis efle dcbcat locus,ubi jJli excrcitationibus operam nauare dcbent, qui
uel confirmandac, vel conferuandæ ualetu dmi ftudent: quarto, quodnam tcmpus
cxercendis corporibus opportunum habeatur; ficuti namque corpora omnia non
omnem excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislocus,nec
quodlibct tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfedahæctraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribcretur,ideo
qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo
exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particularium cxcrcitationum qualitates
examinandas dcfcendcns nihil relinqucre conabor,q^ in hac materia iurc
dcfiderari qucat,&quod l ædieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro
laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit.
Scd hoc antequam aggrediar,illud prius hoc in loco præfandum efTc, iudico, ea
omnia, quæ in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo
exercitationum negotio mojnenti cxfiftercut, ijs uel ignoratis, vel negledis,
excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuIlasinferant.-innumeræquandoquidemcxcrcitationes,
utpræcla1. J tu.va. re fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratæ,er
^ liSo. ^^^^^ naturæ in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in
ui&mac.ruc! procuIdubioefsentilli, quinatura corporis imbccillimi funt, qui
cum ab exercitationibus utilitarcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari,
&:iccircoillis uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii
cundispaffimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef'fe prædicabant:
fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehenduntur, Qiioniam cumhominumnaturæ,&:conditioncsufqueadeo
pcl^«^lHicrlac fint,ut neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fiE
milem prorfus liceat, fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid.
profint,quosimmodicuscoitus,fiucAc illos,qui hoc alfcucrarunt,toto caclo
abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm commu nitcr acccpram, prourquaflibct ucl
minimas corporis agitariones compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur,
quando nihil fanitati tam hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale,
^ im:cniri:r, arqcc cuiufli iK-r motus cclsario, confumatumue orium, quibusnon
tanrumuniucrius corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus
hcberatur,humiditatcsfupcruacuæcrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium torpor
connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat (;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida
^cuadunr,& fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhui"'^c-cau,
moribus frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm, ucl
ndpcrpctuamualctudinis offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum
exerceri uolebant. Caf. III ESTAT falfa eorum opinio condcmnanda, qui affuetos
folum cxcrceri debcre,inafluctos minimc cxcrcendosefrc iudicabanr. quorum
fcnrentiatametfifpecicm ucrirarisquandam præfeferat, cercrisque duabus iure
anrcponi mercarur,haud tamen prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini nimium
rribucre, quafique fupra narurac condicioncs illam ftatucrc uidcrur. Ccrerum ne
honimplacitainiuftcrcfcllerc crcdamur, &rariones, quibusadducliin eam
fcntentiam iucrunt,&:crrata,quæ commife runtjin medium proponcmus,vt
vcritas facilius cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum legiffcntapud
mcdicoium principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos
Iaboresfcrrc,etfifucrintimbccilles, et fencs non confuetis, fortibus, &c
iuucnibus facilius ferre ; quacq. cxlongo rcmporc confuerafunt,erfidctcriorafinr,inafluetis
minus incommodare,affeueranrer pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum
cxcrcirationibus,&: laboribus committi dcbcrc,aIioqui ma ximopcre
offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs cxcrci tatas robuftiores
habere,& proptcrea laboribus finc damno refiftere experientia demonftrat.
addcbant his rationcs, primo quod omnes illi,qui cuilibetrci infucfcunt, raagna
ex partenaturæfuæcouenientem confuerudincm deligunr;quoniam lædentia expcrri,
il la rcpudianr,&: iuuantibus adhacrcnr.unde excrcitationibus vafl^iic ti
in illis tamqua fibi familiaribus confcruari debennqui ucro quie fccndi
confuctudincm contraxcrunr,ab illanullopadofunrremouendi,quafi tales expcrri
fint ab cxcrcirationibus fc ipfos ofrcndi,&: aquierc utilitarcm capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&:
mcdicorum placitaconfuerudo in naruram rranfit, &:iccirconon
fccusconfuerudincm pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi, quinaturam pcrucrterc,
&: aducrfus illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti
quicfccrc longo rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc
rcliquum uitæ curfum ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm ægritudines
diucrfas incurrant; fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c
alia ipfi confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari, nccefTarium vid etur .
Huiufcemodi crgo rationibus indudi, ifti conftantcr affirmarunt, confuctudincm
non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc, &:foIitos
quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. Scd,urdixi, liccthiinifuisculpantiam
fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us carucrunt,c]uia
Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc iudicauir,nc
quando ad illa dcfccndcrc coaocratiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi dcbcr,ut
uolucrit,qucmad^ modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii
cogimur,afluetainfolitis minusturbarc, ncquc proptcrhoc interdixcrit, quin ad
infolita quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpraua
funt,&: inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc
mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum, quoi;iamlicuti multi
coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc
allcdi, ucl ncghgcntia, aut alijs detcnti ftudijs,ucl prac nimia ftupiditatc
fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus, &c naturac ipforum
inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d dcdiri,qui
quictisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt ; non aurcm
quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr, nimirum quam iam antc
hominibus cundis inimicam probauimus. Adfccundamucrorationcm dicinius,
narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx
hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas,
idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite
contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm pclfimac
confuctudincs ab illis in honclliorcs, &: falubriorcs pcrmu tari ncqucant,
i gnoro ; co pracfcrtimquodfacilius cxfuuntur,quac confuctudinc fucrunt
conrra£ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita. acccdit huc, quod otiandi
confuctudo pcrniciofa cll, quia ( vr diccbat CcHus ) I ib. r. poteftincidcrc
laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo^^i' ^ nimuseos,qui
inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu.cunditatem non
aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta
dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc
Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus
uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali
lucci uicb* tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm qualibet uel
minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis
confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod
teinpusnonpercipiunr,quoufqiic humores praui orionuiriti, &fupra niodumaudi
incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^
claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus,utmalacconfuerudiniinnutritiminimcfe
uoluprare, atque damni ignoranria decipi linant,immoquamprimum ab earecedcrc,
paullatim tamc, et ut dixit Hippocratcs iKTr^odxyooyHt ftudeanr,illud
procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia pcrmurandas cfse pcrniciofa^
confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc pcrfiftendunK Atque hæc pro male de
Cikcrcitarionibus fentientium refutationc diifcafufficiant. Tcmpus modo cft,
qude corporæxercitationibus accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus,
dcmonftrare: fcd antcquam hoc aggre Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus,
ipfiusquc tradatioiiis ordo expoftulat, cxercitationum breuitcrpcrcurremus.
exercitationHm differentijs. Ca^.V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum
facultatem fpecul ari)&: fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias
illarum diffcrentias effcccrunt^ quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft
^/TxJ^ mærores infcruiebat; &c proindc hic motus a Galeno cxtrcma fO| A cxcrcicatlonis pMrs nominatus
rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm
illico tran(gredcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^
trcqucntcm intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &:
conlummatam quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g.
inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cxtrinfecis,aliasab
vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quanritaicrum qualicatibus dcfumptas:
quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur,plcrumqucalocononicn f^rticbaiKLr, quando
uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in mixta umbra, quam CTroavi^iiyn Gracci
uocant, cxercitatio pcragebatur : itcm quando aut locus crac calcns»
^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &: practcrca auc planc ficcus^ aut
humidus, auc mcdio modo atcempcracus . Diifcrcntiac ab B
uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut continuus erat
motus, aut inrermiflus.ct li concinuus, æqualis, ucl inæqualis;fin
intcrmifsus,aucccrroordine,aut cirra ordincm,prac^ terea vcl linc puluere
ficbat, ucl cum pulucrc, acquc co alias mullo, alias modicoi finuliccr agcbatur
ucl linc olco, ucl cum ulco, atqueipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac autcm ab
ipliusmotus quantitacibus acccptac inucniunrur dirtcrcntiac, talcs func, quod
cxerciracioncsucl mulco ccmporcdurabanr, 6c multac diccbantur,vclbreui,
mcdiocri, arqucpaucæ, &: mcdiocrcs uocabantur. Diffcrentiac amocus
quancicatibusdcfumpcacillacquoque fueruncquacauimorricc accipiebancur: nam li
uismagnacrat, magnacxercicacioilin parua,parua ; lin
mcdiocris,mcdiocrisappellabatur. Porro a qualicacibus ica dirtcrctias a Galcno
captas in^ g"^" r ucnio, quod aut in breui tcmporc mulcum fpatij
mcticbatur cxcr«p.io . cicacione, liuc brcuc (parium
lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehæc cxcrcitaciocclcr,acuta, &:
vcIoxnuncupab:uur, qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus paruac
pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis ai^tirabancur
humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio infumebatur,
tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nominabatur, ut lcnta ambulatio,
ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcmporc mcdiocrc fpatium, iiuc brcuc
plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio cuadcbacrprætcreamagnai-umalia
præccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam ^QVQh:ixUc2 racelerirer agirari; al/a
fine velocirate fiebar, et Ivr^,;^,,!>
idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu. lare.quatuor equos
habenis llmul coercere, funem manibus apprcheniam fcanderc,haIteres,omnefque
Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,& ualens cxercitatio communi
nomine magna diaph/"^-^ mtclligcrc liccr, quæ Galcnus fcxto popularium
morborumlcnptarciiquir, vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem
magnam uocauir . Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar,
&:rcmifni,fiucixA«T«f /ocabarur, alia fineullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue
Ianguida,aur imbecillis dicebatur,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam
habcndam cllc iuGcrunt, ut quod morbofum corpus, quæxerciratIonc, &:qua
quiete indigeat,ne ullasperturbaD tiones,motioncsq. fuftinear, optime
pernokatur. Quocirca fccundum iftos corpora, quæ immodica intempcrie calida
Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur, quod
calor, qui diminui debet, ab jllis potius augmentum fufciLp^iu^' pit,
quemadmodum Galen.de Primigene fumma caliditate laborante narrat, qui ncdum,a
uchcmentioribus cxcrcitationibus, immo,& ab exiguis dcambulationibus in
porticu ante balneum fadis magnopcrclædcbatur. undc mcrito condcmnandus eft
AfclepiaLK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte
Ccl/o;gcftationibus utcbatur, in alijs uero fcbribus, &c raorbis
mcdicamcuta, ac uomitioncs tollcns, inedia, fiti, uigilia, luce primis dicbus ægrotantcs
inftar tortoris, cxcruciabar,alijs autcm diebus
ambulationibus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E
ctenim Galeni, &: Antylli fcntentia cxftat, acuta fcbrc laborantes ab omni
motu rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis
mcdicis aliptarum officio tranfmittenIn prooc. dos, ut rcfcrt Coclius
Aurclianus, falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto
cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando
utilcs cHe inotiones,exercitationcsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror,
dum in feptimo cpidemiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus
torpeant, a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit AriftotcCi.i6.
leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febricitantibus in uniucrfum
diætam,atque inediam confcrre, ahcui tamcn forte non ita conducere. Qui præterea
corpus aridum,ac infignitercxficcatumhabent, ficxerccantur, aridioreseuadunt,
&: F ideo illis quics apprime congruit, quam humcvflandi uim pofndeLoc.
cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis conue
nircfcribit, necimmodicccalidas imtemperiesintclligit,necjau(ao j c
GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic
deficcis corporibus intelligimus,quæ geftationibus, &c ueCtationibus
aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires
permittant,cxcrcitationesq. modcratæfint; alioqui ficur ex modcrato motu calor
cxfurgit,cxcitaturq.,nec non huinorcspaularim cuancfcutiparitcr eximmodico
calorinfirmus exftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur . Corporaitcm
calida, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur,minus quoquc
caIida,&:humida,ncmpcquægrauiori quam cctcra morbo fubi jciantur,maioriq.
curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca corpora ucl nullis
cxcrcitationfbus, ucl minimls, Sc naldc rc^ miiTis cxcrccri clcbcnt»cum fcmpcr
practcr morbi pcculiarcm affli-,
€lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcnduntur corpora H
igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc
cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri
quoddam rcmcdium /ir,modo tamcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia
diCta inrclliganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^
ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem
patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem
cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis. accommodatacririquippcquac
fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confcB qucnria
quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus intcinpcrie
quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f
rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, et ualdc modcrarac auxilium arierant
inrcrdum. qualcs ucro cxcrcitariones linrillac, &: qualibus in morbis,arquc
corporibus unaquacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi parncu
larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus..
Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari
dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira
dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in
lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij
impcdicnrcs aflb^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr, ncnipc
quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc, et cruribus
extcnuaD fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem Germanicum, a
tenuitacom.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias diximus .
CorpoSecudodc raiubinde, amorhoin numero corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue
iTtu vf fit, excrcitationes cx fe
rainime recufant, et tunc præfer""tim,.quandofimilismorbushaud eft
innatus,ueluti inlapilhsrenum, quiexuehementi motu^concuffioneque ab
anguftisrcnum tiijs ad latiores, tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas ægrotis
moleftias adimunt. Corpora uero ægritudine in fitu laba fantia,modo nou ab
ortu, nullum fereexercitationis genusadmittunt, quod membra dum proprium locum,
atque fitum amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede,
uerumetiampoftquani repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad
optimeconfirmata priftinum habitum repararinr, alioqui fimo*J ueremur, maiori
nocumento: afficerentur. quo fit, ut hac infirmitate captimajoriex parte
exercitari non debeant. Atque hæcde lecundo morborum genere,mala formatione
fcilicet laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora
tertio.genere morborumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quæ folutiouel in
cute,uel ia carne, uel in oflibus, uel iiineruis,ac huiufcegeneris
fimihbuscontingere folet, atque modo>lbla,modofebribusaflociata i ubi
corpusaliquam exhis folutionemfebri alTociatahabet,
nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro febricitanti*
busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi alijsmorbis
turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq Jit
iaparte nobiU,atqueuitæ maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo, iecore,
acfimihhus,proculduhiæxerci~ tationcsquæuis maximeaocent,nempequæ,&:fpirituspartiafreftæ
necefl-arios. ualde diftrahaat, &: humoresomncs tuncagiteat, quando
firmos,&:quictoscfle conucniret,neob eorum atHuxuni morbus
magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis
diuifionem,poteruntægri mediofcriterexerceri,.modo ncc infignis lit
affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnonnullihac acgritudinc capti, qui
noaparnamutilitatemamoderatis, immoderatisque exercitatiombus pcrcipiunt^quales
fcabioh,, quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex ma
tuuehemeati efficitur, ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam
tranfpirationem euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur.
(^amobrcmacri iudicio diligeatique aaimadijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo
optime cogaofcatur iaqtiibus morbofis corporibus congrua!KCxercirationcs,&
in quibus mi nus lubita fempcr prac oculis uniuerfali hac rarionccuiusduvftu
rarillimc contingunr errata, pofsuntquc parricularia ira dirigi, ut
numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant>
n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS
apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcorpora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra,
iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram
rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudinaria Itatucmus, cum quibus
comprchcndi uoliimus tum omncs ilB los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu
cuafcrunr^ncc dumpcrfctfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc,
ncmpe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios, curari dcbcrc Jctue.
pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc"nirieme
lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam c. uk. viucndi
rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr' goualctudinarijsillis,qui
moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rccap.4. iwedia pro intcgra ualcrudinc
ipfis accomodara praccipua cft corporis cxcrciratio,aquamcmbræorumlninanrur,
humorumrcliquiac inaniunrur, calor cxciratur, et dcnique torus corporis habilus
reftituirur . Elt ramcn omnc ftudium adhibendum, ut a principio lcncs, brcues,
tardi, ac remilfi morus cxfjftant, dcinccps, prout uircs
magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo, ac longirudocxcr
Ccitationisaugcacur,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^ ranropere
abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo, ad
cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc
imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit
Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris
^^P'^inirium,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita
tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis
(qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum bencficium pracftct,
utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo
uixrcuiurfccntcm fcrcexftinguar, aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm
bonuscftin conualciccniibus,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc
unacum ipInartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac
folidac ficcio' P 2 rcs, aio^
resj&confcquentcr corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earumD dcm
rationc corpus vniucrfum frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi
indifpofitioncm neceflaria funt quæcumque probumatquefccurumexhibent alimentumi
&c præter hæc moderatimotus,qualcsvehicula, amibulationeslenes ; non
uchcmentes raotus,qui ficuii folidaspartes arcfa^ftasficcioresreddunt, ita
calorcm diminuunt, &:liircs imbccillas confufnurit. Cetcrum fcncs,
quorumactasplurimamob caloris dcfcdum,cxcrcmentorumcopiam
coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc gaudent,'tumad exf urganda huiufcemodi
rccrcmcnta, tum ctiam ad confcruandum, atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar
cxcitandum,acccdendumuecaloirem^ qui fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur
. Attamefl, in præfcribcdis fcnum exercitationibus quatuor animaducrti debcnt,
uircs, corporisafTedlus, confucrudo, &:iiitia particularia, E
quacplcrumquefenumcorpora infeftare folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr
imbecilliorcs habent, acutas cxcrcitationcsjuec n^.v.hcmcntes, &: mukas, quæ
corpus ftccant, extenuant, &: infirmant,,itu itmaximoperccaucredebent/equi
veromitiores,quaIesfuntgcfta;.^.^':,^!trojac
intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis
ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai
quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccntcactatc(ut rcfert
PlatoinPhædro)Athenisad Megaræmoenia ibat, indeque domum reuertcbamr . quæ
excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct, cum Plato
ipfc cum,&:fibi,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampeperide dicat.
Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiioginta, quotidie fcrc, ut fcribit
Galenus, domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim ad uifendos
acgrotos pedibusambulare folcbat.quod fi ci longius ire neceffe crat,fclla,aut
uehiculo utebatur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam urrum in
uiuen.MUr. do maximeprouidum, quique,aurium, &:oculorum uigore
integro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimumannuniattigitjhanc
regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledulo continerctur, hora fecuda
inducrctur, ambularerque millia paffuum tria, mox lcgcret, ucl colloqueretur,
dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq. itafeptem
millibuspalfuumiterumambularetmille, iterumrcfideret, uclfccubiculo, autftylo
rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret, quæ erat liyeme nona, j)it ni æftate
odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet nudus, deinde pi la
mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer, Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius
corporisafTcflum cxcrciMtioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam
corpus optimi rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs
idoncum maxime cll, ita in fencdla fc habct ad omncs niediocrcs,
quiucrofcnesaut cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod
par cft, gracilibus,aut quorum corpus cxiguo clt thoracc, aut admodum angufto,
aut valgum cft, uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens, id ad
eas omnes excrcitationcs incprum rcddirur, quac uitiofa mcmbra maijis
ofTcndcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio
crura.dLiimiiitcr. lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd
excrcitationisfpccicm dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt
laborcs fcrrc, etfi fucrint imbccillcs,uel B fencs, non confuctis, forribus,
atquc iuucnibus foliros facilius fcrre. nam (icuti confueta minimc lalTant,
quos cxcrccnr, immo criam delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf
crunr,tum lafTant . Senes igitur omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr,
(c d tamcn uehcmcntia corum rcmifl-i,quia, (i corpora fcnilia vigorcm,
calorcm,. robur, et omnia denique diminuta
habcnt,iuuentutisrcfpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs rcquirerc, rarioni
confcntancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria cxcrcirationum ipiis
ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim ex lcui caulfa, a
vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus imbccillitate
capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft : fimiliter
&: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c cuiufq. ætaris
homincs ita fc gcreCre dcbcnt, vt ijs cxcrcitationibus fcdulo abftincan t, quac
paticntcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc natac funt . Si c itaq. dc
valcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis itatucndum crit. T)e
corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I CVMQVE corporis cxcrcitationcs
fanitati inutilcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac cetcris
comcndandascfTcdixcrunt,tamquam nccclTarium propc cx/iftat, /i cxcrciracioncsad
bonum habirum comparandum, atqucualcrudincm confcruandam non ignobilc auxilium
pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre polfint. Hoc tamcn ucrum
cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corporum diffcrcnriascflcci(sc, intcr
quasprimum locumobtinct corCymn^ifiica. P 3 pus 2»» X
PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,®ul^ tcris pofitum
fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue. ^pf^l^^u^niri
potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7, regionc inueniri
memoriæ prodiderit.De tali namquc corpor^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon fum
habiturus, feddeillistantum agam,
quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas
aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus arrifcxfenfiliumrerumexfi-.
llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola cogiratione comprchcnduntur,
tradtarc debct . Hæcitaquc corpora fana,quoniam
quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcntagcnerant,
quacnificontinuoacorporcperexercirationcs educantur,tandcmprauas
difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi
vraturmcdiocri cxcrcirationc,&beE ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus
mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc
offerunt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex parte
excrcitationum fciri dcbet, nullam exercitationcm, nec vrolentam,neque
immodicam cfreideberc, utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen.
&:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt,
qui profpcra valetudinefruuntur;ccleresmotus,&:
vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur, qualis lufta, difcus, pila, &:
huiufccmodi, co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre
aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet,
confuetudini, ætari, habirui vniuerfali corporis, parriculari rationi
uiuendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus
obfcruari dcbcre, fiquidem quæ confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut
nimis vchementes, aut nimis rcmiflæ, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque
dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum
excrccatur, protinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac
ratione ll.decaufconfingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctæ
dimittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet, iam diximus, prouercb.cz?^^
(flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes
pofccre ; pueri, iuuencs, atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua
quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmodum corporibus
priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes
tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc Polybusinprimodemorbis)
fiplusconfucto laborcnr» iti A rcnt jConuuIiionibus fortibus, &: rupruris
uarijs carnium, uenarumque ftarim.i?^ magis,quam fcncs tcnranrur ; quod
corpusroburtum,t^ liccum habenr,carncmdcnfam,ualidam,onibustcnacitcr
adhacientcni,cui circundata cutis uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus
inlunr, &c propterca illi rarius huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali
aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccnieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis
cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat
Ari(torcIc$,moru pingucdiiicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc
uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum
irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad
cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na tumadminiftrauir.fccurfum
udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in confummara fcrcquictc dctuuri
poftuhmt, quia licuri^cQlL corpulcnti cralii contrarias habitudmes cx
conrrarij^ortas ha^J,'*" bcntvitdconrraria proipforum
falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua. niagoopcrckcdun Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k
mdicctur,ij pro^ ^ -lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus
Hippocratcs iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diæ faCturi lenns
pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf" j^
(efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum
rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjgfii,iiuei]uadrati,uel
parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr, modo
nr^n immodicc cxerccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum
ca. lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^
tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum, craflas,fcilicet partcs magis
excrccndas, renucs minus, nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione
impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu, 6c exerciratio conuenit, 6c
gcnus illud ungucnti, ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax
uocatum, dc quo MarUalisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace calu^m
. ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > et lib.2. Lættts dropjce ta
qHoUdmno, Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs
corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione
uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt, parum
cxcrccantur,iuxra Hippocratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm
uigilanr,a]j I I
cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia
maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, multumcxerccri dcbent,quoniam
diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in
talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab
exercitatioi.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum mandu
cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi magnis,&:muItisIaboribus
diminuatur,in prauas difpofitioncs cofpusdcducunt.qui fimilitcr multum, et profundc
dormiunt,multisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in
iftispcrfpirationes rctincntur, atque adco fanguinis copia partcs extcriorcs
dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue3.5hifto.
rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^^ omncsdecolorati
cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus aditus
parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan daarqucnutrienda rcuocctur. Dcmum ob
tcmperaturæ rationcm fic dc cxercitationibusiudicium fercndum credo,ut ficciucl
nihil omnino, ucl lcnte fatis, et minimum laboriofe excrceantur. nam
cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare conftat,fi in ficcis corporibus
adhibcantur, quin intempcricm augcant, ncmo fanæ mcntis dubitarit.
CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci calorepræditi
exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3 æquoincalefcant,ipfisquc,utfcribit
Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co. adionibus obcundis motioncs fattac
fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^anic' quacrcns, cur ali j fcdcndo pingucfiant,
alij macrefcant, ideo eueProb.i. nirc dicit, quoniam alij frigidi funt, alij
calidi, ali j cxcrcmcntofi, p ali j non ; et qui calidi funt, pingucfiunt
fcdcndo, cum corum calor fine motu cibi concononimmerito dubitari poflct; co
quod Ariftotclcs fcriptum rcliquit, corpora humida a laborc fi]flbcari,qiiia a
caliditatc motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox copiori,&:
lcruidicflcdi calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcrfuadcrc ui derur,
quæ dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis abundare, et propterea iplls laboics
ualidos congrucrc, tum ad cxubcrantcm humiditatcm confumcndam,tum ad
fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer, ficuri notat Pcrrus Apponcnlis,
icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct,inquibusquatuor concurrunr,
ut fint humidi, &c calidi, ut humidi tas lir irulra, cuaporabihs,atquc
circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: multumexcrccntur,pcriculum cft,ne
humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs conucrfa pulmonis,&:cordis
rcgioncmoccupan^ dofuffocarioncminducat . Quiab his humidam
corporisrcmpcricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum,quinimmo
cgrcgiamurilitatcmabcxercitationibus,&: laboribus percipiunt;arq.hacratione
cx mulieribus humida tempcric in uniucrfum pracdiris illac faniorem, &:
minus molcftam uitam dcgun r, quac diurius, 6c ualcntius elaborant, &c
cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas gcntcs,&: in quibus locis
laborarc confucuerunt,facilius pariunt, ut kribit Ariftotclcs ; neque utcrum
ditHcuItcr gcrunt, cum labor ca rccrcmcnta
confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc
ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quæ
calida,&: humida, cxcrcitationcm
admittunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/icca rationc
frigiditatis cxcrccnda lunt, rationc autcm ficcitatis neC
quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:potius lcntos: fngida
atquc humida omnium maximc ab cxcrcitationibus uchemcntibus, &c uclocibus
iuuaniur, quippc quac fupa -a.cancam humidiratcmabfumunt,&:calorcm natiuum
cxcir.inc.augcntquc. Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui dctciminatum
lit. Dc locfj In quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap. ^y^.ffK A N T A cft
locorum uis,atquc proprictas,quibus rcs ia
iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon modoplan tarumnaturac,ficuri
Thcophraftusfcribit,non modo
^^c.brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftAriftotclcs,ucrum et ipforum hominum
corpora,atquc animi, fccunduin Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout
indiucrlislocisucl nafcuntur, 2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr,
quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius
nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni mcdici, cuius ctiam a Xcnophoncc cclcbris
hc mcntio, dcambulationcm, cx[l^ ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in ciuiraribus
ctH. i iir, pracrulit hifce tt^VCrbis '.ti \,yu£ mI cSTruiiyiW^ AKOVtAivui
KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi yxg iKOTroort^STotiv
Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm, 6c tuo obcdicnslodali Acumcno, m
vi)s ambulationcs facio : has cnim dixic minorcm lafruudmcm parc rc, quam illas
quæ hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms loCo cum luprapromifcrimus,
nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira fcruandi opporru na fclcurtcrr,
cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui doctilliB mus,dum
Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit, uc hiciiiorcs linrambulacioncs, quamcurfus,
dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis (Sracci lirceram,ai]t non
inrcllcxir, aur linc ncccflicatc cranlnuitauic, dum loco t»v IvToi^J^^iyiOi^,
pcrindc cranrtulit, ac(i ccxcus habuilVcc TivJ^^itmy ciim quia Phædro Acumcno
ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc nonanimaducnit :quis cfuæloadcomruHus,(&:ignarus
cll, quin cognofcac ambularcfacibus clVc, quam currcrc ? Mchus igicur lanus
Cornarius, qui nupcrPlatoncm Latinum iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft,
cum Phacdrum tcccrit diccntcm falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in
curlibusfactas. quod uc accipicndum,atqucintclligcndum (ir,uarias inucni
doclorum hominum opinioncs; alij namqucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii
apud vetcrcsGraccos fuific Qin urbib.
uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas, &:brcucs ita appellatas ob
frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co padito, quoctiam
hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac Curfusnuncupanrur. cui
fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi mcntioncm ciiiufdam
facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov J^giiJLov
opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum habitans nocte
languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc uiascxrra
ciuitatcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd inacqualcs,mini mc
planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac rcpcriutur : atque
ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs, quam in curfibus probaffe : quoniam
ficuri fccundum Cclfum, 6c ipfo anrilib.i.ca quiorcm Ariftotclcm forraffc
Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^ TF^iTriroovoi
KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. Idclt ambulationum lllacminusdelafsant,
quæ fiunt inuijsinæquali. bus, quam re(ftis, cum ambulantes pcr loca plana,
&c æqualia fempcr ijfdem membris laborcnt, ambulanres u cro per inæqualia
roticorpori laboremmagis diftribuant,
&:iccircominusdefatigcntunitaambulationcsper uias fadac, ut potc inæquales
fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus facilioreseadcmratione
cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc r^xftitilTelocaquædam tra£l:u brcui
ambulationibus dicara, limilia ijs, quæ in palneftra anti-» qui ob ambulandi
commodita.em acdificabar, quacquc IniJ^goiAic^ajuocatas rradit Virruuius,
&c quorum clarifrinam menri ;ncm fecit Eupolis, apud Lærtium m Platon Iv
IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H'' lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom.
uiasuero exftuif e dlas, quas paullo anre ex prædi(5l:)rum opinione
indicauimus, et ob id Acumcniim rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus,
quam incurlibus defatigarc ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum
rcliquit, eos ambulando magis defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs fæpe, ac
facpius repeccre coguncur, quam illi, qui longas uias pcrambulantes numquam
repetuat, cum illi priorcs modo quiefcentes, modo euntes ab inæquali mo' tione
pcrturbentur, quod minus iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius
cctcris fenfifse, femper ego putaui, non tam quod ambulano in uijs perada
eligibiliorfit, quam in curfibus, tum ob rationcs prædidas,tum ob liberiorem,
et puriorem ærem, qui non in locis breuibus,&: occlufis, fed in vijs
apertis crebrius infunditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phædro
intclligere,uerifimihus cft, quando &: in principio Thcæteti fimili uoce in
cadem prorfus fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf
rS^ooJ^gcfieo HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca
fccundum mare ad mcridicm,aut occidcntc fpc^ftantia tiigicnda crunr, c]uoniam,
Virriiuio auctorc, caclum mcridia^num pcr acftarem folc cxoricnrc calcfcir,
mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft. Quodfi
fupcrbilfi mac,arqueinnumcræ illæ porticus ob dcambularioncs, &: alias
cxercitationes, ut fupra rctulimus, crcftac, fi ampliirima illa gymnafiaad hoc
a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcntur,nuIlusprofcdo locus
aptiorinucniri polTct, qui omnibus fcrcexercirarionum gcneribus magis
futficcrct :fcd,quoniam illorum ruinas uix nobis intucri liccr, danda opcra
crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam cxplicaras cligar, illud
icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multæ fint exercitationes, quac loca
angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn haudparuni B delc(ftum
quoquc habcri dcbcre : ut, fi non omncs qualitatcs, aliquasfaltcmcarum, Sc
mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofuimus, habcant . Quamobrcm fcitiflimc
confuhiit Galcnus, ut do^i^mus, in qua cxcrcirandi funr homincs, h\ cme calida,
acftate frigi"^'"P-^da, uel fcmpcr tcmpcrara cligarur ; fin mmus,
procurctur, ne ipfo pracfcrtim die calidior,frigjdiorucfir, quampublicus
totuisurbisær. Quasomncs pracdidas condirioncs unoucrbo complcxuseffc uidcrur
Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigariolib. j.c.7. nem,&: omncm dcnique
cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro acreficridcberefcriplit . Aliac
fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones,ncmpe inæqualjras litus,
planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim
cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius
corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda, meatufquc pcrfudationcm
patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc
cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti
diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr
noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius
molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit,iraquc
fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-.
tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcxcrccri
uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmnatiuum, et vniucrfum corpus
immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat.
Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro
nubilum, obfcurum, craflum; quando licær dcprauatus ctiamabfquc cxcrcitationc
apcrtos corporis mcatusfacilc,fubit, humorcfqucfccum inuchcns mcmbris non
finenoxa afligir, et pcr confcqucns grauiora non Imc rationc corpora rcddit,
animumquc deinceps gnuat ;qiiodinfcfcno nufquamanimaducrtitur,quln potius
al> illo corpora ad morum adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura luciditati
amicosconfirmari',&: animum rccrcari pci fpicuum cft. id quod Hippocr:itcm
(ignifi^ alfe puto,ubi dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre
cxcremcnra paucif(imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft, ncquc
cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum
habetine fcilicet ær hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns
nvignopcrc lædat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus
tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni
temporc caucrcr, ^utdcambulationibus marurinis corpus exercercnr,
urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn
priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c nteacrc faris exficcata,fqualcntiaquc
rcddita haud amplius pcr motumarcficri dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui
languidum,&:imbccillem magis rctundcndum minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^
^^-^ rumrcrum, quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus ccnfuifTcuidetur, ual.ca.zquod
ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri
poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in calido, calida inc frigido,humidain
(icco,(icca inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcmper illud obfcruari dcbeat,
utcorporibus adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5
coiurariaiucxerccndo chgati^ tttu R .9. epm. tur.Neque hoc in locoprætermitrendum
ccnfeo.quod PIin?us iuT> S Fulcc: 'exercitatione æftaris tempore a fc ficri
fc>!ita, ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in Tufcis
difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel
quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl
cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi
quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda,
Paullum rcdormio,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iræcam,! atinamue clarc,&:
intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo, paricer tamcn &: illa
firmaturitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnumqiiam cx
hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambulaui,
poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbreums,quod velocius,equo gcftor,
ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis dcfcribendo
Ariftotdcs aliquando moPk,..nhb.,um cum(vt ipfi ctiam imputat Plutarclius) quipoftfumptum
cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu auduscibum mox inot
ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quando pcr motum calor a
uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm
.quinimmoimpelocclt '^i'«; r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes,
Et bomts MCthcrio Uxatur ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu,
Tunc admitte iocos ^^rcjju timct ire licenti, w/f aut fphacrillirio, aur curfui,aur hidarioni„
busmoHioribus incumbcbar, arqucindc undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl
numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr utcrctur, in caq. „ ^ una horapropc
mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam iciunus „ ad unum propcfcNrariii.
Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu„ mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his
rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus
cft ramcn facpius. Horariusquoq.paullodiucrfius, &:fcipfum, Sc ahos hbcrc
Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus cfficcrcfohros> arrcftari uidctur,
ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo,
v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet, ungor oliuo, 'hlon quo fraudatis
immundus V^atta lnccrnis, ^sl vbi me fcffum Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry
fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude, quantum interpcllet inani,
P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita jolutorum mijcra
ambitione,grauiq. His mt confolor uitlurum fuauius,ac ji QuæHor auusypatcr
atque meus ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco ncquaquam pracrercundum
exiftimo, quod maiorcsnoftri, quorum maiorparsucl cxiguumquid>uel nihii
omnino manc manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farurabanrur, horaodtiuadici,
ucl nona commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc (olc. Cctcrum ærarc
no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir in morc pofirum, 8c
vcfpere,&manecibisfarurari ; nulla inomni rcmporcopporrunior apparct horii,
quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ; nimirum cum corpora lciwora ySc ub
cxcrcmcncis magfshbcra, niagis ob i26 I B R obpræuiiimfomnumualida, magis
dcniquc a quibufuisimpcdi-D mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct
pcriculum, quin extcrnuscibus probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum
nondum cibus concoftiontm affccutuseftjcorpufquc fupcrfluitatibus magis redundat,magisq.
grauatur, potius quicfcendum, qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti
quoquc animadutrtifle AuiJoc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc
vcro ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia
prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane
antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus auftorinucnictur,
quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo. do prudentcr confulat, non gratia
fanitatis, aut habitus boni comparandi illud faccrc, fcd potius gratia alicuius
particularis aficjlionis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco magnopere
E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrnpcrdics, atquenoftes
fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici maximias,ut in
acftatc, alias minimas, ut in hycme, Udecitaliasacquinovflialesuocafl^c:
numerumautcmhunc fcribit Galemfpcc.no
ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam
dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^*
usincredibilia crrata jjT A ta committi
folenr,&: plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi^M.n talis cuadit.
cumquc nos cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profitcamur, iamquantum
vnufquifq. cxcrccri debcat, monftrarcconabimur . Et nc lingula cxplicantibus
nimis diuagctur oratio,uniucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx
hisconftabit, Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum
fortcs, quantum dcbilcs, quantumlcncs,quantum uiri,quantum pucri,excrccri
debcant;quantum hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quanlum tcmpcratc uiucntcs,
quantum humidi, caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum
non alfueti . his ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct,
dciidcrarciurcpotcrir. Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco, dc
corporibus acgris non hiturum lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B
rcquirunt; tum quia fccundum morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum
lpccics,atquc mcnfurac;&: iccirco ccrta rationc dcfiniri nequcuiK.
Tcrminusigitur cxcrcitationum communis,qucm Galcnus,Oribalius, Auiccnna,&:
Actius Hippocrarcm fccuti docucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori
aliquantir.dcloclf fperpcrmixtusfcntitur, vcnæ intumcfcunt, atquc
anhchtuspcrmutatur:cum cnimab cxcrcitaiionc duorcquirantur, mcmbro^ Ji.i.fcn.ij
rum robur, &: caloris au(ftio, qui fuccos concoquat, concodos nutricndis
mcmbris diflribuat, atquc dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio
tanta fit, &: ad limilem tcrminum pcrucniat: ncque^« bcnc,ncquc pcrfcdc
illaomniaobtincripoifunt, altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc,
quamdiu color floridus ciusfaciei,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr,
acquabiliC ter, &: concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm
percipit . quod li calor cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior
vidcatur,vcl lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius
progrediatur, corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij
maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco
loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruantur, (imilitcr ubi motuum alacritas,acquabiliras
; ud concinniras rcmitri quippiam, collabiq. ccrnitur; utiquc llatim delincrc
opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio,
quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr, &: fcruuiiorcm cdi parcft,prout
motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris autminor, aut frigidior rcdditur : tum
fcito corpus cxhaunri, rcfrigcrariquc, &:ficcari plus iufto. &:proindc
corpori cxcrcitando diligcnrcrattendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni
lignorum aliquod apCyn.n.iiiica* 3 parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio
dimittatur. Atque hi !> funt communcs quidum tcrmini, quos magna fc/e
cxerccntium pars continerc dcbct . Succcdunt poftca particularcs, pro quibus
ita dccrctum uolo, quod ualidi diutius ccteris (nifi quid aliud obftct)
cxcrccripolTunt, quamuisctiamuircs aliquantifpcr fatifcercnt ; nimirum quæ
facillime rcfurgcre poffunt. dcbilcs parum ccrte cxerccri oportct, alioqui i\
in his uircs ucl tanrillum pariantur,difficulter, et longo tcmporereparantur ;
et iccirco fatipfis crit incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe
cxcrcent omni cura fudorcm ctfugere dcbent; ncmpe iicci,&:aridiexfiftcntes,
ita maiorem ficcitarem conrrahunt; pracrcrea c um iam dixcrimus,
exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute congrucrc, hoc in loco fciendum
cft, fcmper fcncs minus quam iuucnes (oIcbant> excrcendos cffc, omninoque
lalfirudinis fcnfum cflugicndum, terE minumq. excrcitationis
eorumfamisexcirarioncmponcndum, ficuti Socrarem iam fcnem fe exercirare, donec
cfurirer, folirum legimus. Viri, fub quibus comprehcndunrur omnc^ inrra
adolefccntiam, et fencfturem exfiftentes, moderatas exercitationes poftulanr:
uel enim ofFendunrur, fi plusiuftocxcrceantur, uclpaucum omnino frudum capiunt,
fiminus, uel utroque modoprauum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus
communisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad
tcrrium æraris feptenarium mulris laboribusprobefufficcre poflUnr . quocirca
&: incalcfcere, &c anhclarc, &: ludare &: aliquantifpcr
defarigari ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi
imprudentiam cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus
autem ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud
ramcn raoduminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto minus,
quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem inicmpeftiuæxcrcitationisduritiecorporis
pueri,ad auftum, anatura quam maximc comparari inhibcrur auclio, ob quod pæi.Jtu.fa.
dorribas nonnullos fui temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. equo
pucrosexcrcerent .fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit Laconas,quinimijsIaboribus,
&: exercitationibuspueros cfTcratos rcddebant, ficut &: illas nationcs,
quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris gencrare ftudentes corumcorpora
deformabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter eos,qui Olym* piavicerunt,duo,
uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcentes> fi^ uiri fint ui inaniuntur,
calor naturalis excitarur,&: pcrbclle conco^liones omnes pcrficiuntur.
Dcmum uaIctudinarios,qui mox a morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione
utidebcrc, ncmoignorat; quoniamhorumuircsinfirmæ ualde exfiftcntcs,caIorquc
debilis, &: membracxficcata,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non
fummum dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus muationcm,intra
caloris aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^
quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq.
crefcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes. Poftrcmo
qui exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa confuctudincm dcponi
deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie
ortis fecundum Galeni confilium dcbent,alioqui periculum imminet, ne a
fluxionum perniciofis morbis protinus tcntcntundcinccps primo parciflTimc
exercendi funt pcr aliquot dics, poftea cxcrcitationis modus paullatim augendus,
quoufque ad tcrminum illum pcrucntum fit, qucm inafl"uetis
fufficcre,&: citra ullam molcftiam calefacere experientia
docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) animaduerfo, omnibus
immodicam excrcitationcm noccre, nempe quæ pucris incrcmcntum adimit,&:
mcmbra colliquat, uiris inæp qualcs intempcrics gignit, atque febrem interdum,
ficuti de illo Calc.^.dcimmodice excrccricoaclo narrat Galenus in libro de
cauifis præ i/mp.cau. inchoantrbusjfenibusimmodicabiles Iaflitudines,atq.
ficcitatcs pa rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni cffluere lacit.
Quamquam Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro, vbi virtute medium eflc
probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in cibo cont rariu
mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy i VTns^lA^u^liQnsKcci
iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2 vTnsSo^HQ &c quac
lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis hæc fignafunto,dumarticuIicaIidiore
cff"ecli fentiutun dumuniuerfum corpusaridum,&: inacqualeapparct
;dumin motu/enfus doloris cuiufdamulcerofifuboritundum labor
coade,&:nonfpontc dimit titur;dum poftfudorcm pallor fuccedit,ficut in
athletisimmodice cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor
eftAriftoteles;duminfolita denique, prob. Si . f ji A
clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota itaquc quantitatis
cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta fit.Quod limulta
particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no rata,aut prætcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod
ad un ucriamartcmncccflariopcrrincat, circ,quia uclcxplicitcuclimplicitc a
nobis comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum
quanritaris tcrminum non cxprcllimus, quod a tcrmino illo communi pracfcripto
corum mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. •PRÆTER locum,
tcmpus,&:quan:ita:cm, quæ inobcundiscxcrcitationibusfununa curaobfcruari ^
d^t)crcdcmonllrauimus, adcft& modus,qui urin illisipfis, fic in plcrifquc
alijs rcbus rc(ftc pcragcndis tantum potcft, ur, nili is adhibcarur, cctcra
omniafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc crroiibusiam uia latilfimcpatcat
. Qua dc rcmaximead huiustraftationis abfolutionem pcrtinct, ut modum,qucm
anriqui in cxcrccndis corporibus tcnucrunt, quoquc tcmponbus noftris unus
quifque fanitatis ftudiofus uti non linc fru(ttu potcft, &: dcbct, apcrtum
brcui fcrmonc faciamus. Modus igiriir,quo uctcrcs ad fanitatcmufoslcgimus,
fuitis, qucm Oribalius Pcrgamcnus lulia^.coiic. ni Impcra. mcdicus, Actius
Ainidcnus, &: Arabum doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt.
Virinamque,&:iuuencsexercenLi.i.for.j di ubi
Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum
cxoncraucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr,
^'ufqucquofloribuscolorin fumma cutc refidcns, &c arruumflexibilitas, arquc
ad omncm motum agiliras pcrfuadc bant ; pcrfiicati olco dulci mungcbantur ;quod
urmagis ariusquoslibcr pcnctrarct,manibus undccjuaquc
prcmcnribus,&:cxplananribus apponcbatur; abundtioncqui luctatione cxcrceri
uolcbant,autpancratio, pulucre conlpcrgcbantur, alij protinus in
cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri uiilior,atquc
grariorapparcbac,dcfccndcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum quicfccbant,dcindc
fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore cradcbant,quo fado
aliquando rurfum fricabantur, iTroi^gctnwTiKH didta fridionc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc-liU5
Cclfus tcfUtum facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicbantur Lib i.Sci bis
bon.& ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto, lucido, et fpatiofo,
rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque hic totus erat
modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars liberorum
hominum,&: eorum qui valetudini curandæ, et bono habitui comparando
folemniter incumbebant, frequentcr utcbaturNecquifquammiretur,quomodo liberi hominesfingulis
diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs, ncdumclarioresquotidie
defricarifolitos, multi audores,& pracfertimCoIumella memoriæmandarunt.de
quo defricandi morc,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando tradationem huic
adijciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos ahosexftitifTcqui uel
negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs
uariarumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa€ci hoc pa£lo
minime excrcerentur, fed fridionibuSj&undlionibus ^ dimiffis^quafcumquc
poterant exercitationes ample£lerentur;ficuti &: multi reperiebantur,qui
pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo exercitationibus uacandi otium
habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^: fanismedicamentis opus cflb tradit
Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra gymnafia illa ob exerccndi com
moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint cflc%neque gymnaftas,&: pædotribas,ncque
aliptas,&: reundores habcamus,a quibus fricandi, ungendi, tandemque
quomodouiscxercendi modos,atque commoditates quæramus, fat erit illis,qui
aliqua neceflaria oc cafionc impediti Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam
habcnt, ut potius quomodocumque poflunt, excrc eantur, quam fcmper in
confummataquietedegant; modo tamen hoc unumobferuent,ne ftatim a cibo
excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc uolunt, ^ folicitcnimis
adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam minimum ficri potcft
nocumentum inde fcquatur . Porro quifuæfpontisfunt,&:maioriocio propriorum
corporum curæ Iibere uacare queunt,hæc omnia diligenter obfcruarc dcbcnt.pri mo
u t corpus tum a fæcibus,&: urinis, tum a mucis, &: fpuris
accurateemundarc,caputpcærc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne excrementa
in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu cxcitata
uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus nonunquam infarclxi,aut
exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas
pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis obtcgant,quælaborcm ipfi fupcraddcrc
nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc tucantunautctiam
fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam indumcnramfi
cxercrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl laboraruris in
motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc, &ut motusdchita mcnfura
ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita indutoru finc motu multo
cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb. dirpurat,dctcrior cft co,qui a laborc
cmanat. &huiusargumcntum p°t?o pl eft,quod ita fudatcs
dccoloratiorcscuadunt, cu humor pcr fumma blc.j. ' corporis pairus,arq. incalcfccns
ab cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,& indc pallorcm tacilc contrahat,(i
mulquc corporis pcrfpiratio» a qua graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis
inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri
incipiat,dcinccpsciusintcntionc augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi
conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar, atq. vchcmcntia rurfum pcdctcntim rcmittcrc
catcnus conctur, quatcnus fibi iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia
fcntict: na fiibito ab intcnfis cxcr citationibus incipcrc,non folum
imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus
. Quarto ijs,qui inpu!cp"iicpl ter excrccndum
fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc madcfaclas
cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potcrit in loco tcpido, aut
tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido, ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla
indumcntarctincantur,facile cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs
imbibi, ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi
mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs
mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus)
poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc:
valdc remiflo potius aliC quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis
abftincat,quoad perturbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab
cxercitarione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &:
icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocorpusa
fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc, caputpcctcrc,manus &:facicm
ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos motusincipcrc,ad
cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc,
madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara cxcrcitationis
pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum
Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum
cxercitationum naruras, arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquenlibus libris,
quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~
rDeordine agendorum\(^ den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab
excrcitationii particularium cognitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda
arq. vniucrfalis methodiis, quafupcriori Iibro
abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpoffidcreturi Ita proR do illa
infruduofa,ac prope modu uana cuadcret, nifi hæc parricularium fcreomnium
exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur ; fiquidcm
incerta, ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio vniucrfali quodam
padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis cxercitatio,quod
nocumetum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,proculdubio nihil
amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis
animum expJere iure debeat . £ t iccirconcinchoataanobis gymnafticæ tradtatio
impcrfc(flarelinquatur,infcquentibusfingulos exercitationum iamenarratarum
effcftus profequcmur; atq. hos cum ex antiquoru audoru comprobatis experictia
rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth. ef e
ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dicere conabimur. Et ne
citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain
F corpora humana cx unaquaq. exercitationisfpecie emanatia,deindc mcomoda
figillarim explicctunna illud, quod quaplurnnis mcdicametis eucnirc ufu
c6probatur,ut fi alicui corporis parti,&: affeftui profunt,alijs noccar, in
cxercitationib. item contingere, nemo ignorat.lnexplicadis præterca
utiliratibus,atq. danisamcbrisfupcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in
ultima,atq. infimaferiatim terminabimus,prius tn iHis enarratis, quæ nullum
corporis particularc mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertradatis,duo
me faltcm pcradurum cfsc fpcro:Altcrum cp maiori
facilitatc,firmioreq.cognitione quicumq. hacclcgent,animiscorum infidcbunt :
Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis excrcitationum alfiduo dclcau, uel
nulli crrores, ucl quam pauciffimi committcntur,ficquedemummulticorum
pcrnicioforummorborum euitabuntur,c[uos dcCdia, laborum abftinenria,ac
cxercitarionis ignora tio non conrcmnendos, quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus
continuoparcrc foletiillud namquca narura compararum cffc norunt
omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr conduccrcanimaducnunrur,
cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo paclo,ucl prauo ordinc,
arq. omnino importunc adhibcanrur . quod ctiam m cxcrcirarionibus iplis fcrc
conringcrc, iudicauit Galcmis,ubi lcriprum rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop
^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^
quin inrcrdum Naturac in ualcrudine commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum
cxaducrlo iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis
mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc natiuamfanirarcm corrumpcrc, qui ncquc ante
cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac tcmporc fcrB uariscxcrcitarioncsadcunt.
Cumiraquc taliordincquacad nniucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr,
pracdfclrs adiungcrepropoLtum mihifit, id anrccetcrapracfariopcræprcriumcllc
duco, nos in fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincuratiua,fcd in confcruariua
mcdicinac parte collocafsc. Hr tauK"omncs uctcrummcdicorum(cs.^tas,
acpracfcrrim Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas, Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis
fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut
cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in multis fecurus tuit, nccnon Coclij
Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^roclarillimc iQrclhgcrc liccr.quod
fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum fcetafuntimirati,magnacx
parrc confirmarunr. cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs cTrahc quis putct, ira
fcnrcntias noC ftras accfpi dcbcit uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter circa
fanitarisconfcruarioncm ucrlari, ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa ctenim
cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir, u(l]uam rcpcrics,quin iii /aniscorporibus abfqucnoxaadminifti\
uiqucar,atpaucisquibuf. damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac
limilibus, ulx uha, aiiraltcra inuehihir, quc ægroratibus impune conccdi
qucatiimmo illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs
commcndantur,cum in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani
ualcrudincm rucanrur, optimumquc corporishabirum inducanr: macgrotis
vcroiccircocacdcnuidminiftrenrur, ur morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum
inftar coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^
tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq.
icprchcndar,ra(|tiam' gymnafticam foli conferuaroriæ inferuire ftatuerimu5,
quoniam,D &:nosrei ipfiusnaturampræ oculishabentcs,ita dcterminandum
cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti js alliduis,alias morborum
coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm uirifunt,fedreucra
afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfuperhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo,
quod licetinmulcis excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo,
qui hodiein ufucftfere apud omnes, ucluti pilæ exercitatio, luda, difcus, pugnæ,
atque fimilia ; nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua
recedat,folifq. accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc
eofdem eflfcdus, quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu,
aut altcrum obferucmus, antiquos undiones, ac pulucrcs in multis
excrcitationibusadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifæ ciunt;
aique hoc multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua2. S dtælitates,quando
dc his Hippocrates verba faciens fcripfrt, cxercitata. iuxta tioncs in pulucrc,
atque oleomagnas diflcrentias fufcipere, cum puluis frigidus fit, olcum ucro
calidum, atquc inde oriatur, 9 hyeme oleum corpus magis augct frigus prohibens,
ne quid a corporc demat : Æftate uer.o caliditatis exceflum facicns, carnem
liquar, cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus calefiat;qucmadmodu
exaduerfopuluisinæftatemagis augct feruoremæris,&:corpo^ ris rcmittens,in
hyeme autem f rigus,&: algorcm inducit.præterea maiorparshominumfcmel
duntaxat in vcfperefaturabatur, noftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum
refcrradiuariandas cxerci tationum condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis
exercrrationibus æquum iudicium fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones,&
quid uiia dici faturatio importent^exaæ penfitare >ro^ tumque illud noftris
adimcntes,in reliquis eofdcm,ucl parum diuerfoseffcdusexiftimare. De Jingulomm
exercttationis diff^eremiArum eff^e^ihus. IL RES præcipuas cxcrcitationum
difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat, quarum prima
excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium, altcra (ic7ro6i§ctmvriKh y
icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupata . Excrc itationcm pracparatoriam,
fiKultatem cogendi, meatus corporis denfandi,
eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcriptit pfit Galcnus. quadc caufla;ulilctæ,qui
Jcfirarc corporumfudo3 ^ta.va, ics impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc
fludcbanr,antc "^jetuc. jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia
utcbantur.quam ircm ufurpaual.c.3. * bant quaplurcs homincs poil coitum,ut
laxirarcm corporis in motu ucncrco gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano
coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras /aris a fomno curarctur. cuius rci
yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum
ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum mcdicum grapf^^-^uilllmc
difpurar.ficuri quoquc Paulli fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc
confucui,dum is conrra ipforum placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum
cibum inucfpcrc antcquamfo mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod
lalTitudo cxcoitu contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. ExcrcirationcmapoB
thcrapcuruam ram pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab
iramodicis laboribuscxfuita cmollircmcatusq.
corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta Galcno: un j.detuc. dciure
mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll uigilias,poft nucrorcs, a quibus corporum mcatus clauduntur,
uircsq. non parumdcprimunrur,urplurnnum adhibcbarunin ijs quoquc
commcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob uirac negotia cogcbantur
illos dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac diffcrcnriac,quac ab
cxtiinfccis dcfumcbantur, cos ctic(ftus pariunr, quos locorumipforum,aquibus
fumunrur, condicionesproduccrc pofl*un::& idco,qui in calidis locis
cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm conrrahunr,ficque dc
fingulis. corpo^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta facillimc difponuntur ad
im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs . De diffcrcntijs ab
utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj) cxcrcirariones
pcrpctuac, fiuc continuatac, &: acquabilcs magis dclaffanr,quam
inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx
inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc
inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft,ac acquabilis.inacquabiicTTi
ucrononidco fic dclaflarc,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus
partibus dillriburus a lingulis minus fcntitur : quairidcin rarioncmotus
inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio
quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non
inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururamprohibcnr,ficcitatcmq.
arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia
Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia23« 1.
extrinfccusadhibito acceptam rcferebcit, QuæcumpuIucrefiLirit D
excrcitationespracterquamquod frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque,ne
ludor itafacilitercff?uat j neucilla tantopcre i^tuva ma apud antiquos fuerunt gencra, quæ fere
omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata efle cum conftet, fuperuacancum
foretfingulorum eflfedlus percenfcre.proinde fateritillaadnotafTcin quibus a,dc
difta pracftandis,&: cun£la illa conueniffe, atque etiam noftram conueni
propter ii rc ucriftmile uidetun;^tifow/4/flf(/ etcnim fiue manuum
gefticulatione attcnuare humores,atque furfum carnes trahcre,placuit Hippocrati
fiuc Poly bo.quam fimilitcr in inuetcrato capitis dolore,ubi P^ulLiba.cun latim
malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti, &:in uertigi^^''^'
nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quæ motu uniucrfum corpus
calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoCribus ualde
accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat, crudosuc humorcs
aggrcgat, utile remcdium exfiftit . prætcrca labantcscoxas,infirma crura,malc
tutospedcs,vfq. adeo confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc
auxilium pracftare queant. nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcitatio
in cxtrudcndis a rcnibus,fiue ucfica lapillis. Cæterum quod p-gnatibus mirum in
modum noceat, tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici
mulicri,quacne calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut
faltarer,pollicitus ea faltationc concepjtum corruprum iri,vcluti poftea
contigit. Quicunque vcro caput debile, ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium
habcnt, proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis
ofTenduntunfimilitcr oblæduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc
betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui eucnir, acinrotationibus,in
quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil omnino vidcant,atquc
interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados habcntes,fcminisq.
Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc cauflaincurrcntcs
afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum affca:ionescxmotu calcfacicnte
magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta intclligantur de ea faltationis
fpccie, quam antiqui fine armis obibanr.quod h quis armatæ,quarn
vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc modumucrcarq.
brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quæ ab iUa gignuntur ucl bona,
ucl mala, cadem ab hac eftici, nifi quod armara uchcmenrius membra cxcrcct,
magisque illa in%.itvi.u. calefccrc,&:fudarc facit. ob quod Galcnus intcr
uchcmcntcs cxer* ' citationcs non in poftrcmo loco pofuit,dum quis graui
armatura te ausceleritcragitatur.. J41 DtluJorum ptUe effe&ibus^ Cap. IV*
Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum npud Latinos, tu apud Græcos cxilitiflc
fpccics, abundc in fccundo li Ca.4. et i ^ bro indicaui mustcx quo nullum
opcrac pretium cu hoc in loco,vbi folas cxcrcitationu qualirarcs cxplicarc pro
pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud duntaxatanimaducrti volo,quod &: li noftra
hidorumpilac gcncra vctcram gcncribus undcquaque non rcfpondcant: funt tamcn magna
ex partc ualdc (imilia : &: ideo corum commoditatcs,atq. nocumcnta
lingulatim cnan arc ftudcbi mus,ut fada noIlrorun\ cu illis coparationc, quid
confcrant, quiduc noceant, utraquc fimul cognofci poillr.fcd nc tratfiatio ifta
confundatur, iicut alias fccimus, primo graccos ludos, dcindc larinos 3
profequcmur codcm ordincquo (upra ufifuimus.In co ctcnim
c6ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q»
Li.r.rcn.ifortcscxliftut. Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ludis
comodum pcrcipi*ur, quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc
cxcrccnt,promptiorcs ad motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs
roborctunpcculiariter ucro paruac pilac cxcrcitatio intcr ucloccs citra
uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq. i^aulhis,cuius me ^^:
ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum fuit,atre nuat.
ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu» dio in gymnalio
duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruæ graccorum pilac fpccics,fccundum
Antylh fcnrcntiam, carncfoli^^iidl!" damrcddit,brachijs,dorfoatq
pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j». pracftat, cumquc in ca
cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon parum
proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilæ fpccics pracftantiliima
rcputabatur olim, q> corpus fanum, &c promptum ad motus cum roborc
coiundo pracftat, adfpcchim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia vcrofpecicsoculos,
atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac currcndo fiunt, comodum
aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat . His poro omnibus paruac
pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co, quac (jalcnus in libcllo
fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp tumanimoruin virtutcm
pariant, tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo bonam corporis
ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac fpecics prima
fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra matcriam
uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus partibus, non
ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc luR 2 do 242 Llb.^. dofermonettthabuineputo
Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti. curationc priapifmi fphæræ
exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum retrahatur,& fpirirus
flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quæ plus iufto magna pila pcragitur dum
proi jcirur,&: urraq. manu proprer magnirudinc cmitritur,brachia
firmar,fccl nimis duras plagas infert, ob idq. non modoægroris, aut
conualcfcenribus eftinutilis,ucrum eriabcneualenresimmodicadefatigarione
afficit. Inanis pila,quam rerria effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua
curritur,atramcn non admodum facilis cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt.
omirrendæameffcconfuhr Oribafius ex Anryllifcntcnria. Pilæ, &magnæ&:
paruæ cxcrcirationcm vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areræus,quonia
capiris,&: oculorum circumuolurioncs, arq. inte' tioncs uerrigincs
afferunt.Coryci excrcirarioncm inrcr vcloccs adnumcrauitPauIIus, quascum didum
anobisfit corporacrafliora E lib. V chr. aricnuarc,fumma rarione Cochus
Aurehanus ad diminuenda po•culf. lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis
corycomachia uocari i.dediæ. fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor)
Hippocratc,qui corvcomachia,&: chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir.
Hoc excrcirationisgenus iudicauit Antyllus mufculofum corpus rcddere, roburq.
afferre, et prætcrca uniucrfo corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit,
omnibus vifccribusidoncum cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm
laudauit. firamen quis plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr,
facilc fcnriet,eos, qui pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc
periclicari,& quan doq. contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq.
rot,siir q dc pilac Graccorum ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut
lufus Larinorum gcnera,quæ &c ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia
in ufum fanitatis rcccpta fupcrius dcmonftrauimus . Horum primum locum obtinct
cxcrciratio f ollc acla, quac uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs
impcllitur, dorlum in primis atq. li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium
Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^* ucrbafecifscexiftimo, quadoin
cpilcpticishumcros fphacrac lufu excrccri
mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior utilitas contingit: ambo tamcn
uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica cxrrudcndis mi rificc
confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui confirmant . Nam Auguftum, qui
huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.&
fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius) adamafse
opinonqcf cum præcipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam aluum
habcnt,(Smqucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclesproy. partlc
bauit, vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e
P^^^b38pcrfuadcrc conatur, quoniam elatus, atquc pendcns corpu.^ fupra lc totum
fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc paricti
admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs poti us
qua ambulantcs cadamus.Curfus præ- P^"i autcni, licct humorcs ad infima
la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n pila fuper
pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm
uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium
fpiii :um anhdum, arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis
uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis,
qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus.
Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih.
fcr, dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re.
fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd.
cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele, eos, qui non
concitate admodum currunt, D numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur,
modumq, refpirandi fenfibilcm præftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel
in bubonibus, ucl alibi rupturas patientur, curfum cauendum præcipit PaulIus.Ad
hæc ardorem urinæ ex curfu au-, &c
hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum vf- que adeo huiufccmodi
ardorc ftimulantur, ut, nifi mingant, facilc capiantun quam rem animaduertentes
fagaces uenatores,eos pro- fequuntur, necmingendi iplisporeftatem faciunt.
Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon renibusmale afledisinimicum efte,
lib»4.c.«* tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio Rufo.Atque hæcom-
niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro }bidcm qu^'^
idfilentionoefTeprætereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf. ptumnobis
reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus maxime
corripi, ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea potiflimum
conuelluntur, quæ in par- tem contrariam vehementer trahimus, atquemouemus .
unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti quisob uiamfactusobftirerit,
accidicut in partcm contrariam earetor- queantur, quæ adhuc ante pertendunt,
atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto vehementior incidit, quanro curfus
conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila ad anreriorafadtus, atquelongus
i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum eius fenrcntiam fi fenfim
fiatjcalefacit, &c carnem dirfundit, ucrum corpora rardiora, arquc
craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem præftar. At re- Onb^Ciui
curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer mitus,capi- Lococita.
ti^ocuIis,tendinibus,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus, arque p utiliseft;
iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun- i.dcdiæ.
dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit carnem, 6c
ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare in fe
iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur,
qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe
quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq.
utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque
rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq.
thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia
ucro caput uchcmcntius afticiunt, uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles pcrrurbant
; perplanacur- fus illa omnia præftanr,quæ iam dcclarauimus . Ccrcrum qui rc-
tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant,. 25J tc carncm
calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis dolore la borantcs,utuc{litos
currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum Thcodorus Prifcianus
lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis pcrao: um althmaticis
prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora cfticcrc ; quoniam finccrus
fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm fpiritucxcrcentur;audorcftHip-
pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui ftcUas dcficicntcs \^;'' in
infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore humidam ac pi- tuitofam
factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc figni ficctur.Qui pono
nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum copiam clicmnt,ira gcncrofc
pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq. magis deurut.quocirca
Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti prodicrit, criam fi
mmorlit,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc prompfcrir,argumcnro
illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq. colorariorcs
rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui locahbcra,
&:adfpiratiora incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn
tiatencnr,fic ctiam fcipfo quilque colorariarcft, cum uclurifpirituiafflanti
placide patcr,quam cum pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod
certe ijs accidit magis,qui vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc
qui vcluti adftridi, 6^ propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico
fomno rccrcaniibus colore florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam æftare
ex vfu cflc crcdidir Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta libro.cx
aduerfo Oribafius tnm hycme, tum acftarc mcdia conucnire fcnfir. cuius forfan
fcntcntia ucrior mdicabitur, ii fudorcm quis " æftate magis, hycme minus
procurandum cum Ariftotele arbitratusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc
difpurauimus,ncc quidquamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus
tradtationempcrcincat, ^icipræfit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr
vchcmcntcscxcrcitationes, quacexrobuftaatquc cdcri componuntur,collocandum
iudicauit Galcnus,&: pracfcrtim illum, qui (inc ulla intcrmiffionc
iugitcrcontinuatur; qua dc rcipfum calorcm natiuumaugcrc,&:
cocoqucndiscibis, crudisuc humoribusconferre apud omnes pcfpcctum
cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori noccre 2^4
re cx eo conftet;quod in huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D
hemenrcrconcuatur, alierumin inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus
comprimitur, et ex comprcfflonibus mox uafa ram pedoris, quam pulmonis
franguntur: ut eueniffe interdum nairat rMeth.a Gaknus, Hocprætcn afalrui
communeincft,utgrauidasmulieIn prin.dc rcs abortiri facillime faciatrncqiic
iftud ab Hippocratc folum,cetc
'"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum
cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime
edocuit, nimirum quac capreas,& cctcra brutorum gencra faJtantia
firma'^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta,
partium. quibusfoctus in utcro condnctur, d iim illafaltarccoguntur,faciliter
difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foeminis ncquaquam conceHbrit,
opinor cam co confilio id efTccifle,ut cognolcGrenthomines,dum nmlicrcsin
uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc. Multac funt
faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit, exfilitionem
uidelicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quæ
quodammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diuturnis capiris
raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxionibus ualcntibus careat \
materiam,quæ ad partes fupcriores rapi-tur,ad inferiorareclinare,
cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque trcmulispræfidiuraafrerre.hanc
eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium,ubi Auguftum ambularefolitum,
"^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim decurreret,fcribit, quafi fic
infirmitati coxendicum femoris, et cruris /iniftri, necnon ucficæ
calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu ucroproprie (kappcllato
dixit,cummatcriaminfræxa(fliusdeduccrc,fed F quia thoraccm nimis, et uiolcntia
motus, et magnis inflexionibus coneutit, ciusafrcdionibusminime conucnire;
ucrumtamcn, &: nd motum, et ad adlrioncs promptum corpus ualdc rcddcre ;
quod Li.i.c.ii. fi ad natcs ( thciatiir faltus,qualem Lacænarum mulicrum fuifle
iam diximubvcaputjCxeiuCdem Antyllifcntcnria,peculiariterpurIi. T.cur.
aat,&: pur2,andb ficcat. atquc dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I.
o r
1 puto, ubimuctcrccapins
dolorclaltum, et fimTrcttAvTou cc;wA«riy laudauit, licut, &: asomncs,atq.
ncruos,uaIidillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione cfHcitur ^utafTatin;
corOymna/lica. S pus 2j6 L pus calcfliccrchacc excrcitatio iclonca/ir,&:
pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis haircribiisfarisfaccre
uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs parrcsab ilia cxcrceri
mc^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius rarioncantc ipfum Areræushucap.14.
iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo capiris dolorc,qui paullatim
finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin cocliacis&: ucrriginofis . Sccl
Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam cxercirarc,fl:omachoquc,qucm
diffluxio infcrtar, quiq. imbccillus cft, &: in quo cibus acclcit,fiuc cumhiborc
concoquirur,accommodari fcribit^Iau Li.j.chr. darin arthriricis Cochus
Aurchanus,urprimo manibus ccra cmol licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos
palacttriræhalrcrasappclianr,tum primo ccrci,fiuciignci cum
paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc grauiorcspro modo profcdus:
Ga^.^tnen. lcnus cuidam, qui mordax, praccalidumquc fcmcn inrcr cmirtenva.c.14.
dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat,
inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus excrcerct,fuaK.p. cult. fir: quem poftca
fccutus Aicxandcr Trallianusin priapifmo curando huiulcemodi cxcrcirationcm
commcndauit,quod animaducrterct ipfam non modo ad rcrundcndum, infirmandum.quc
fcirxn, ucrumctiam ad matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatudc comp.
I^ntos digcrcndos conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum
curarionc,nili quid aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x.
cxcrcitationcmprobauit,proptercaquod fic impcditur, quo miepi. cg. humores
viccribus noxijs ad parrcs infcriorcs delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur
phicbotomia rcquirirur, ncc eas æras, aut ægrotantis uoiunras pcrmirtir
jlocoipfarum fupplcrc iudicauir . Verum enim uero,ncq. capiri,ncq. thoraci
fimiicin cxercitirioncm congrucrc uilus affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq.
inacqualiter agitatur,aircrius autem uafi,nc ob maximam,qua brachia urunrur,uimaIiquo
pado labcla(ftcntur, pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans
Marriaiis,fo{rionem,quam Galenus,&:exercirarioncm iimul,&: opus
fccit,ficur fupra oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus.
lib. X4. Qlfi^ percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca
foffa vros, Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera,Primum caomnia pracftarc
crcditur, quæ iam cnarrauimus : Aitcrum ucro parttculari quadam facultarc
crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac plunv
bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c
i;raucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus,ctficicdumuc, nc
cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co
mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl
mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n, omiu fq.
fupcriorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru
excrjitarorcs. ur hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s
criam cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts
cjfcciil us. C^p. X. ^yr^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \ P^u^Ji^
omnino mcntioncm tac^tmi inucniam,ob idq. W
fl forralTch^cusiftc dimirti pollularct i quoniam tau:cna
(ialcnoprodirumfuir, diici iachim, ncdum cxcrcitationcm apud anriquos
cxftirilfc, in jymnafijfquc ric ri T(;]iram, ucrumcriam inrcr uchcmcntcs
cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo* cumobrinuillc, arquc hodic quoq. apud mulras
narioncs in iifum excrccndorum corporum ucnirc, proindc ilccis ( utaiunr) pcdi*
bus practcrirc iUum omnino nolui . Quo circa in priinis fcicnduni erit, hanc
cxcrcitationcm, modoin ccrcrisnon dclinquarur,accomraodacccalclhccre,
&:proptcrcah-igidis corponbus,arquc illis, quibus ucloccs excrcitationcs
ncganrur, pcrfci^tc conucnirc, C nccnonimbccillos, ^ infcrioribus
mcmbrisinualidos modcrntc corroborarc. cum ctcnim magni, atquc vchcmcnrcs
obnixus in 16gius difcum proijcicndo rcquiranrur, fir ur uch.cmcnria motus, ac
mufculoruminrcnfioncartus ma^is folidcfcant, 6c abcxcrcmcntis purgcnrur . cuius
purgarionis mcriro confuluir quandoquc Ga^'^P' lcnus,uf, ii quando purgario, Sc
phlcbotoniia rcqui rcrcrur, ncc ipiph! facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr,
earumuiccpcr difcum IdCtj, cxcrcirario admittcrcrur, quac nimirum id
pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c mcdicamcnrorum purgationc, cxoptarcrur:
pcculiarircr autcmcxcrciratio iila brachia, lumbos,ac dcniquc uniucrfum dorfum
corroborarc idonca cll, quac fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium agiranrur; in
vcrriginofis quoqucab Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc cuirari dcbcr,
quicuinqucautrcncs, aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil2 li liferuidiores,
atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam difD lolutionemcontrahunt;
huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfecitGalenus, nonraro difiumpuntur .
Etnequiscredat,candcm cxercitationcm cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumprætcr
li.i.c. t i. u^riam utriulque figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla'
' ratam, hoc quoque difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs
contordonibusaltiusagcbantur, difcusuero, etfiinaltum proijcerctur,
tamenlongitudofpatijiadationeperadti potiusmetiebatureo fcrmc pado, quo hac
tcmpcftatc faciunt, qui fcfc in latcribus oblongis proijcicndis cxerccnt, in
quibus ijdem effcaus uidentur, qui ohm in difcobolis uifcbatur . laculatio
porro ficuti a difci iadlu par rum in ipfa proicdtione difTerrc uidetur, ita
quoque uires fimilcs,&: adnocendum, &adiuuandumobtincrecredendum eft.
quofit,ut pauca dc hac cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud miE
nimefilcntio obuolui debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmyftcrio
Acfculapium,atque Apollincm, ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros
arti iacujadi tamquam Deos præfecifse; nimirum hac fcntcntia
innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo næ ualctudinis confcruationi, bonique
habitus acquifitioni ftrenuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs
fpecies cffccimus, alias a iaculorum, fiue fagittarum uarietate defumptas,
alias ab arcubus fcu baliftis,quibus illæ emittuntur, acccptas, omncscandcm
planc facultatem polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis
iaciendis cxercentur,hoc admonitos uchm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam fæpe
numcro peritonacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confequcnshcrniasin
fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft: cumquein
emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori adftrido,
atqueinfirmo huiufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq. illud igno.
M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriæprodidit,PhiIoætem, lo ScS. dum cruciarctur,
non fercndis doloribus propagafse tamen uitam
aucupiofagittarumiaculationefaiiOt Dc Df deanjhuUtiomim qualitatiLus. [^ap. X L
I vHumcft cxcrcirarionisgcniis, quod illis, e]ui fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum,
arquc cognofccndum (it,quodq. ceccris quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc
hominihus, omniq. rcmpoi e cxcrccarur, un-im proculdubio dcambulationcm cfsc
ncmo ncgabir : fiquidc nulluscll,iiuc pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non
modocam pracftantiirimam, fcd folam cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ramcn
rcpcnunrur, qui ucl rarionc,ucl longo vfu, quibusqiiacquc corpons
parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc animaducrttrint :id quod cucnifsc
cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs, rum ob poftcriorum hominumincuriam, qui
&c in huiufccmodi rcbus, &: in B quampluribusahjs anriquioribus
ncghgcntius, atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt . Quamobrcm opcracprctium
faclurum mc cfsc fpero, ii, dcambulationum fpccics praccipu as rcccnfcns,
confcqucntcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i cfticcrc valcar,dcnionItraucro.
fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari cupio. Primumciuodfacpcmucnirccft
apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &: Latinos, praccipi fimul ambulationcs,
&c cxcrcitationcs ; quafi illac ab his fcpararacncc cxcrcitationcs
linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut lempcr,dum iplas lciungunt, fub
nominccxcrcitationum, cas, quac propric ita appcllantur, fignificcnr; cum
ambulationes.communitcr, dc non propric c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc.
primo tarda, dchinc mcdio tcmporc fortiori, arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct
^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs non raifchiadicosdolorcs 6c podagram
gcncrari, fcribir Galcnus ;Hcii:i cx adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p
^d.^t^n^^S &: ulccribus ini> 4 ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj et Celfus,
ubi deambulatio] nc molli rtramine,coæquato folo pera£tam iplis
commendauit.debcnt cnim(vt fcriptu cft a Tralliano)qui podagra, et articuloru affedionibusturbantur^fitTf/fiyc,
kottov Trohhoti moueri, potilfimumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo
hismaximcaduerfatur,utquac articulosplusiufto calcfaciat,&:inflammct,ipfiq.
aliam rurfus matcriam cx longinquioribus particulis ad fe attrahe
tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr caufllim fuggcrant. Multa deambulario
lccundum Antylli fcntcntiani iuuat cos,qui caput,ucl thoracem male afTe^ttum
habcnt, &: a quibus infcrnac corporis partcs non nutriuntur,quiue in
excrcirationibus uehcmctiori motu egct; pauca ucro prodcll ijs, qui poll
exercitationcs non lauantur, quibusacibo dcambuIationibusopuscfl^jUt isin
fundum ftomachi dekendatj&quibus grauicasin corporcfcntitur.
Longa,&:reda ambuIatiominorcm,quambrcuis, molcftiam parit, capiti prodcft
:ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc Cornclius Celfus cpilcpticis
curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc' uidicauenntiat nmiiscxlugit
humiditates,atquc exCeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito accufandus cft Thcmifon, qui
atrophia labochronic/7 rantes duodecim ftadiorum fpatiu grcflfu conficerc
fuadcbat. Longa,5d concitata fingultui comprimendo,fccundum Actij fcntcntia,
rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis fatigar, cum ( vt diccbat Ariftoteles ) cx
motu, &: quictc intcr rcflectcndum orra conftans diucrfitatis illius opcra
laborem inferat,ita quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput labcfadbt :
&: proptcrca ab codem Coelio non fine rationc cpilcpticis damnatur;cuiusrci
cauflliambulatio quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt pote quæ caput
ucrtiginofum redProbl.38. dar,&: oculis uehemctcr noccat.Nam CafTuis
mcdicus antiquus in liDelloproblcmatri,qucm graccalingua confcripfit, caulfam
indagans, ob qua motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non generent, fcd folum
circuIarcs,ob id accidcrc dicit,quia motus rccti minimc difllationem matcriæ
impediunt, circularcsucroea ficri nonfinunt, quod ær vchcmctius illifus
prohibcat;ad hacc matcriac intus agiiantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatæ,neque
forasprodire ualcntcs motu in capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc
iilerici omncs externos fapores amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in ocu
lis patiuntur,quofcumquc colorcs rubcus iudicanr,fimilitcr in circularibus
motibus,cu in oculis humorcs in orbcm aganrur, omma cxtcrna circumfcrri
uidentur,ficque vcrriginofa paflio oboritur.Ex ambulationibus,quac cum
intcnfionc crurum calcibus incumbcndofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab Antyllo,
capiti malc aftecto conucniunt,itcmquc thoraci humidiori,utf ro conuuIfo,purgalioni
lupprcflac, parribus infcrnis ab aHmcnto fruclum non capicn tibus,6c oninino
quibusmatcria furfum rcpit. Quac ucrocxtrcmis
digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric lippicntibus, &:aluo fupprcflac
utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt, cum fub aliqua fcmpcr pracdivitarum
diffcrentiarum comprchcndanrur, ipfarum cciamfaculrarcsobtincrcrationi
confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo motu dcfumptis. Iterum dc
deambuUtiomm qUAlitdtihus.. * NTER dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun
tur,illac,quæ fiunt in montibus, aur adfccndcndo,aut dcfccndcndo excrccnt.li
fianr adfccndcndo,ualdc profccto uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc
Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam
fufiinenrur ab i)s,quacprnnum moucntur
inftrumcnris,rcliquacorporismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl. ambulationcs pcr
accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^
pcrdccliuia,ncc non fpiritum pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri
fccundum naturam cll, fic fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris
narura,quac nollra prouchit corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr
accliucprcfsaoncrc nirirur,acriusq. ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm
mouct, &: fpiritum proliltit, cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil
atfcrrc caullacpofTit, Q utdircda fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc
fccundum Antylli fentcnriam ralis ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi-
guum ducar,&: pracfcrtim antc cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum
uice nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo
dcambularcarqucintcrambuhldum orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus
c(MUcntioni,qua oratorcs in diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro
i:c nibusinfirmis eadcm ualdc aducrfatur;proptcrca quod diccbat
Ariflotclcs,duadfccndimus,non corpus lurfum iaCtarc, diltcntio- ncmquc
corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa, quac fc- cundum naturam in
antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra narura f kfti rctro,ob idq.
magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra
partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs
parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil,*nimirum c^uac, ex ciuldcm
Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac
inclinationcm ante aguntur, quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus
fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum
adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo
comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i
tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx
fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi-
tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent
fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus acqualitcr
conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sæ in acqualibus . Ar
dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam
utiles ijs funr, qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus
inrclhgcbat, cum ambtilationcs,quæ in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri
fcri^ ^ Oribaflus P^cas,quasin locis deambularionibus dicatisobimus.Hoc
Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud Platoncmin Phæ- dro,ubi
ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus præpo- fuir, dcquofupra larius
difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo. ixiachusapud Xcnophonrem,quandoambularionem,
qua ipfe ia agrumferuum cum equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadæ: præruiir.
in his ramcn difterniinandis Ualde rcfcrr, numquid in praris, inlocisafpchs, an
in arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in
pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i
nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc, tum proptcr odoriy luauitarem, rum proprcr
humiditatcm, quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis afpcris
caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus cft
vchemcnrilTimæ ^ t^crciratioiu*s ) aguntur, magna cfficacia pollent ad omnes
corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia Auguftus dum
guih.c 80 coxendice,&:femore, &:crurefinilh"o, non fatis bcne
ualcrct,im moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione confirmabarur. fic
enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are- narum,&:
arundinum rcmcdio ufum rradir,arcnarum quidcm runi ad deficcandasfluxionesjtum
ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad contincndum,&:
claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr, cdocuir Cato lib.dc rcruft.
cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas parrcs dcduccndum, camque
difTipandam potcnrilfimæ cxliftunt, &: idco malc fcrfiin a li.i.chro.
Coelioraxatur Erafiftratus,quod dcambulatiohcin arcnofis locis wp.t.
paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac ambulationcs, aut. 2. s.c^
fcrrim fi uiridia adiint, quod ralcs magnam fakibritarcm habcant : &:primum
oculorum, quod cx uiridibusfubrihs, i^nc cxrcnuatus acr, proprcr morioncm
corporis mflucns, pcrhmar Ipccicm, ^ ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm
tcnucm, &: acutam fpccicm ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc
calcfcar, humorcmcx mcmbris acr cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtcnuatquc
dillipando, quod plus incll, quam corpus porc(Hullincrccxquo, ut
inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus cxugcrcnrur molc(iiorcs,qucmadmodumcx
rcrra pcrnchulas vidcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima,
&:ornariflima fub dio, hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus
acdihcia. Vcrumcnim ucro apud mcdicos fubdialcs hac dcambuC lationcs plunmas
diflcrcntias obrinucrunr. nam quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc
craifos liumorcs attcnuandi uim haOrihaflus bcnt; quandocirca flumina, et ftagna,
humcdarc poffunt: fcd utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc
has omncsin Hpilcpricis damnauir Arciæus,quando in mcditcrrancis partihus
a^untur, qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc
ccdunt. quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru
Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum,
adlcuandum, haud fccus,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dcindcfub
Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,valcrfccundum Anrylli
fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum, 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda
:itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Actiusincohcisdoloribus a trigida caufla
ortiscommcndauir, fcd quac 2^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc
lo€ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio
promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum
inflrumenta hcberar,a!uum moJlir,atque addifloJuendum ualctrfi
7Gphyrisfpirantibus,talisambuIarioccrcris omnibus, quac in uento funr,prærtar:
non enim habctinfuauirares boreac, quin potius manfucrudo fimul, arque
iucunditasfunt coniundæ. Quac in Apeliote fir, mala cft, &: fciir, atque
irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi 1^>"el
inumbrarquainre audoresdiucrfafcntire repcrio.Cornclius Cclfus, fi capur fcrar,
meliorcm ambulationem in fole, quam in vmbra cfsc dixir, &: mcliorcm in
umbra, qua E parietes,aur uiridariacfficiunr,quamquærea:ofubcft. Exalrera parre
Oribafius au^florirare Anryili dudusimprobat illam, ueluri quæ cffundar, capur
implear, arquc inæqualirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri
pracponere, nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis,
&: Galeni audorirates tcftatum fecifscnr, folis radios humanis capitibus
maximas noxas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant
&c cliquenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quæcumque fint,
femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere
afsuemorb'^Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad euiranda capiris
dcrrimenra non quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore, aur in fole
peradam uerat. Atqui nonillud tacendumefseduco,fempcrcligi porius debere infolc
ambulare, F quam ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter, ficuri præceprumfuirabHippocrateinlibro
defalubri diæra. cuiusreihac Prob" quod cumftamus, calor pcrmanet, ficquc
ampliuscalefacir. corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe
conrinuo mirtit, qui proximum,&: ambientemæremtcpefacit, undc ær pofteaillc
corpus calidius rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur, flatus excirarur, qui
refrigerare nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Ambulandum potius in
vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur uiridaria cfficiunr, quam quæ rcdo
fubcft : quoniam ær aflidua quadam,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur.
qui ær quoniam interdum ab arboribus noxijs infici, &: corpora deinde
coraminare confueuir,ut dc nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriæ prodidit A
PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc
cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr, vtarb()rcsrorcfui]u(;ic
vitcntiir,qiioniam, fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib ambiilct,mcmbra tacilitcr
lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum in nat. quacft. attuh t
rationcm, quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar, arquc cxcorict, ucl
potius^quod arorc colliquatis arborum iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde
corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs cxtimas ipforum mor dcat, arquc
difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam (mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc
ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus lcgcndum puto) incilc pcrfpcctum faris
illud tacir, quod ros bibuus gracilitatcminducit, ut mulicrcscac manifefto
dcclarant, quacalioquin obcfac dum tcnuibusucftimcntis,autlancis rori
collii^cndo opcB ram nauanr, co in cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus
aurcm fcrcprodcritfubijsumbris ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus
vertiginofis, ncmpc /ub arboribus myrro, aur lauro, aut intcracrcsC^ bcnc
olcntcs hcrbas calamcnrum,pulcizium,thymum, mentam, maximc quidcm agrcftcs, 6c
(pontc nafc cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin
hac quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod, dum fcrc* num cft, tunc
ambulatio lcuar, pcr halirum cuocar, arrcnuar, bo— namrcfpirationem,i^moucndi
faciliratcm parat : dum ucronubibusobtcgitur, grauiratcmaflcTt, pcr halitumnon
euocat, tandcmquc caput implct.Dc ambulationibus facicdis,ucl hycmc,ucl
acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro quarto, ubi tcn^^pus cxcrCjp.n.
citationibus accommodarum dc/iniuimus : fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc,
ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri dcbcrc, ruin manc, rum
ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrcdimus Antyllo/cgniticm
afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat, caiorem augcr, &c appcti
tum excitar : quinimmo Hippoi.dcdiac crates hanc candcm humidioribus
tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc animac
mca*tus occludantur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca
captitlcucs,agilcs,ac promptas reddcrc, 6c aluum tolucre conlirmat, ucfpcrtina
ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir, caput
ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio,quod
cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc, ac jjj, ^ ^^^^ rurfum
conquiefccrc, &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus cxiguam
ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc in fundum
ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer,
quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhuD cV.l*! dc ^commcnaauit,
Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc«op.mcel. tacum, qui in uctufto capitis
dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo dccomp.mcd.ubi dc
dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum comcdcndum,ncqucftatim a cibo dcambulandum
. In rchquis quo modo conucniar,non uidco, 6c proptcrea Dioclcm medicum
anriquiflimum, &: cLiriflimumfatismirari n6pofsum,quod phthificos
dcambularionc pofl Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti
concoAionem ciboruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in
humidirarcm conucrfos ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir,
quonihiJphthilicis conringcrcpcrniciofiusporcft: comagis,quod i.dcdiaf.Iicct
I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct :
aluum ramcn, corpus, &c ucntrcm liccarc E confitctur:
nciIlaomniainmcdiumadducam, quacdchuiulccgcncrisambuJatione fcripta funt in
Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi
conrincar, forfan aliquis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in
pJuribus commendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^
tionc, iam cetcra aggrediamur. ^uos ereClum slare ejfefius partat. 'i^O S, qui
pcdibus crcvfti permancnt, cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis dcmonftraui
mu5,hanc rcm amplius in dilputarioncm rcuocarc prorfus ridiculum forcr. proinde,
quot modis luicc cxcrcitatio uarictur,quosq,quacquc pariat ctfcdus, dcclarabo .
Quod ctcnim ' hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat, Aucrrocs, intcr
Arabas non inhmuSjfarisapcr6 collca. rcdixit . Qiii igirurtllud dcbilca narura,
ucl cafulbrriori funt,"P-*fummo ftudio id cxcrcitationis jzcnus cuirarc
dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis ) maiorcm, ciuam ipfa
ambulatio^dcf-uigarioncm pariat : quibus etiam in rcnibus inflammatio, ud
ulccra orta funr, ncftcnt, magnopcrc caucndum cflc, ccnfuit Rufus Ephcfius.
Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos ucl hcrniac
labor lolIicitat,uel i n cruri bus, aut fcroto, uarices dilatantur, ucl ulccra
in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de cauffaoriunrur,quam
fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaffetiucram tamcn cHc ipfa ratio
pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs humorcs citra
difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo ulccra
gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam luucnalis
pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici victoria
furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs haru(piccm,ficunctis
!nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat I)cu)non
parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^
omncs,laboriofum uirucxftirillc,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat, ei uari
ces, quibus afilis.'tabaf ur, in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios in
llando laborcs, cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in hac
cxcrcitationc non paucac diucrfirates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus,
Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur
duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco
tcporc, ucl multo cxcrcctur. A
locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o folc,uel In uml)ra,&:
hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur ftandigencra,quando
uelunopede,uel ambobus,& uelijs totis,&:planis,uelextremitatibuseorum,
calcibusfcilicet,&: fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi
cxcrementis inaniendisauxiliatur,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat,
ucntrem cmollicurinam prouocat, crura, &c pedes corroborat, &: fiquando
deambulationi uacare non concedatur, illius uices fupplerepoteft.
Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores,
nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput
afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A
fi^^il^^i^i^habct,utnonnulIi boues,&:cætcra animantia poncnfis
(quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc, minusquccatary.partic.
rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita
uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione
eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo, qui,fi alto capite dormiant,minus a
catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui
humiliori,&: fcre cctcris me bris æquali capitis fitu dormiunt, uel aliter
iacent, minus a uaporibus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs
defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo cibum
dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium magnopcre ftudendum efte
iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in
ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia
coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco
tcmporc cxiguumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro communi illo
effato,Prandia poft flabis, indufti poft fumptos cibos ftaF r dclc61:antur,ij
fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci borum in
uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&: confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc,
nec alioqui ullam cffatu dignam iæfionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita
qui5pcrmanfcrit,prætermolcftiam,quaob ciborum intcrdupondus,prætcrla(fitudinem,qua
exlaborc afficitur,variasitcm offcnfioncs fubirc cogitur.Primo namque maior
vaporum copia fuperio rem corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad
infcriora praccipitat, atq. indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras
gcncrat,cicindc thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non parum Iabcfa&:
totam mingendi athoncm uitiant, quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti
ad . J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi
uchcmenterincalcfcunr>dcbilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflcRufus
Ephcfius, ne quis vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr,
ftarct. Statio in vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad
ncctitur,ut fit multa,vcl pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, et proindc
qualicumquc adncxa rcpciiccjllius cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac
ratione aliquid fccus non acccdar.hoc autcm dico, quia facpcnumcro umbra, vd
cft locorum concluforum frigido^ rum, atq. humidorum; ucl noxiarum arboram, ucl
alrcrius p"erniciofæ rei,quas omncs corpiis macularc, &: faniratcm
dcftrucrc nemo ncgabit.c:actcrum de llantibus fub folc in hunc modum dcter
minandum eflc, iudico, quod fcilicet Itare fub folc in æltarc fumg moperc
calcfacir.immo fcnrcntia eft Ariftotelis, cum llamusin fo^f^
lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo^quc
calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi
confentancum crticitur,iuuamcnrum infigncualdcfrigcfadis corporibus indc
accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n
iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc
vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac apud
Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis
anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo
fcdcndo,modo iaccn do, modo Itando, inrcrdum ambulando, inrcrdum currcndo : dc
^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio *
adminiftrcrurnonpurgatoprius corporc,max:inum capirinocuC menrumaftcrr:
undcfacpcnumcro mirari mihi conringit,quogcnio ductus Plinius maior,non modo
purgato corporc,ucrum ctiam polUibuminacltarcfubfoIcmancrct, acdcindcinfngidalauare-rcpift
tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs arbirror,quan dodixcrunt,ab
illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,atquc capitisdolorcsgignir Namliantcaquam
corporafolicxponatur, opporrunc cxinanianrur, aut /inc unctionc, aut cum
unctionc ricripotclt:hatcura unctioncm,capiri diuturna frigidirarclaboranti
fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius reddar, Sc ob
idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcnCcciu.x. datur, modofit
inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum
ducir:pracrcrca occultas difflarioncs augct, ludorrs clicit, carncm
confcruat^pingucdincm tollir, ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin
hydropicadcprimit:ncquc tamcn iplu noxis fuiscarct, quandoquidcm mr)ra
Cymn^flica. X quacuis 272 quæuis fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs,
quibus calornacc^^apk. ^^^^ mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum cft,/pirilo.
tumque crafliorcmjdenlioremue efficicns, afthma, &: orrhopncam i.^tu.va.
exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem
efredtusparit,nifi quod corpusexficcat magis.tanquampingui
illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm totaminficit, nccnon carncm
inftar caurcrij cuiufdam dcnfasminuspcr infenfibilem rranfpirarioncm cxcrcmcnra
diuaporari facit. Li I fcr i*arionc
huiufcemodi infolationcm ad minucndam polyfarcap!^*^^ chiam ab Ærio laudaram ccnfco,
Vcrumramcn duo hic animaducrfionc digna cfle cxiftimo, alrcrum, quod medicos,
ubi fub fole moram probarunt, prærcgi pannis capira uoluifle
opinor,quoniam,practcr Coelij audorirarcm,&
ratio,&:cxpcricnriademonftranr,capita derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc
ofTcndi, ncmpe quæ fupra modum calefa£la vaporcs a toro corporis ambitu ad fcfe
attrahuntjficqiic omncm malorumiliadem, &:præ cæreris cararrhosibi gcncranr
: quod minimc,ubicapira teguntur, euenire fua.partlc. fpicandum cft, proptcrca
quod,utfcripfit Ariftotclcs, indura corrdccauf' Pf^l^4"nuda,cum ab
illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc hoc torum a Galcno fignificatum
crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr ^uniucrfum corpus calcfaccre,
qui uero induti, caput folum • nam dcmonftratum cft a nobis libro
tcrtiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum,dumindutosfcripfit
fub folc, capitctantumualde incalcfccrc dixit. Alrcrumanimaducrfionc dignum cft,quod,
ficuri fedenres, &:ftanrcs fub folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiueporius
deuri expeiientia conftat,quam ambulantcs,&: currcntesiparirer,& cæteras
pracdiftas affcdiones, tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque hæc
vniucrfa a nobis dida dc ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc
namque calcibus innixos non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam
nuUumiuuamcnrO cfTaru dignum pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui
fummis digiris ftarcconantur, practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs
illas callis molcftiflimis aflicerc compertum eft, &c pracfcrtimquandoquis
co frcqucntcr vratur j hi fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre
uidcntur, ut longins multis alijs profpciaare ualcanr, cuius gratiaab antiquis
fpcculator, fiuc Apho.^ nia dcillis,qui
non armari ccrtant accipicnda purcquandoarmatum ccrrarc inrcrcxcrcirariones
limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpofuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus u
nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci,) cclcrcm cirra robur cxercirationem
cilc ludicauit, |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum ccnfcrc uili
funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum rim aduc
rfusliomincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope rc
calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit proindca
Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; dcinceps
brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu
inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat
.rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcitat»oneinfugcrcpracccpir Galcnus. magis cxcrccrc, l 2 &:unn 274 1 et uim
maioi em corporibus infcrrcquam iftam: quonia,nt ab Alc D Prcb pcrbcllc
fignificaium cft,athlera, fi obnitatur antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ;
Un ccdat, ncquc rcJudctur, robur ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac
corporibuspugnanrium armatis cxcrcctur, inrcr vchcmcntcs cxercitationcs
collocada eft,quac cu robufta, &c uahda corpora cfficcrc dcbcant, iurc
meritoNicias apudPlatoncmin eodialogo, qui Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv
STTMi^yi^^wi&r,fiue armatum pugnarc corpora robuftiora, li quod ahud
cxcrcitationis genus, rcd^dit, ncq. vllo aho minorem Loco cit. laborcmparit.
Dehac quoque exercitationeab Antylloproditu ^ rcperitur,corpus ab ipfo ad morum
aptius, et ad carnem fufcipicndam rcddi, uerumramen propriam atquc maximam cius
pollicirationcmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm
gignat, cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam
£fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam,
&: mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,præfcrrim quando galca plusæquo
obtcgitur, cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon ignorari uolo:
cTrhoyxtxlav, fiue armarac pugnac exercirationem, nc quis dccipiatur eandem
effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo vo-
cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo
utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur, ficque armati
inuicem ludabanrur, cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram,
fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium
excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac
armata pugnæ fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda
polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „
hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut
exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, et fino- menGraccum hanc ipfam
lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio,
&c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum
dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quæ nu- dato ab armis corporc excrcetur,quæq. ad
diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem, fed mollcm,
SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna
nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis
incidctibus,ac pungcnribus anriquirus agcrctur,
uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc
ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror qiiantnm
ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns, tucndacuc fanitati
opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quæ liodic apud miiltas Chriftianorum
nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc cxcrcctur,
quamq. &:anti- quis, Su noftris tcmporibus ab uno hominum inimicilTimo
Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod naquc non
monachiam antiquorum, ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum
trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat, pracrcr
multa in qnarro libroa nobis dc- clarata,hoc itcm at cftari vidctur,
fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm
gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac
cuiufdam inanis gratia, tum præmiorum fpc, fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc
ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn
duccbantur : ifti ucro fpontc,&: nuUisco- gcnribus,nifi folius honoris uana
quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus
cxcufationc digni habcan- tur,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam
rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto
minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc
inrcftinis, &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur, ad mc- Irorcm ftatum
rcuocarcnrur, &: mulrorum anim.iSus,corporibusq. mcliusconfulcrcrur. At nc
longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc fufficicnt, fi illud
addidcro, quod Cclfus, Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius, Arcracus,atquc alij
plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum fuiffc,gIadiatoris
iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos. quam rcm
poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm, quam ut ullam fidcm
adhibcndam ccnfcam, li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum exercitatiomm
qualitatihus* l II. VLTA apud antiquos
cxftltcrunt excrcitati onum gcne- 1 a, quac quoniam non ita frcqucntcr
vfurpabantur,ab aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo
fcfc offc rt ri iK^6)^u^il%:ccci, ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue
hituc jpccics aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam
cxcrciratio, urCalcnus ^^^jl^gp^ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias
quafdam cxcrcitarioncs ad- OymnaHica, T 3 numcrans nummn^acrochinTmum nominaf,
facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum, Actium, Paulum, et Aui-.
l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum obrinuifle,
lill.fen 3*cicndijcorpora tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i
hcndifacultatcmpolHderc, ut appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato
P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&: carnes /ur-.
cap.Ti^^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale- Lib.4.c.4 num in
ipfæxercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas- locQcitac,
parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi- nigra,uel
aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu e(Tc
CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi exagitanrur, exercirarioriesmanibu
speradasprobar. PorroUTrA^- ^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno
inrercxercirarionescitraro- *oco cit. bur,6^crccntium,quamCraccihatcro. copiam,
vcltrachc! ilmumuocanr,cxcrccri, vcrumramcniIlisma\imc vcrcnda clUalis
cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capitcnoadmodum valcnt.Parictiam
paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc loco volcnti
pcrmirtar,cnira maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus
maximopcrccxcrccbir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl
malum punicum, aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcndbmpracbcar:quod
ramcn arthriridi,aur chirajiracobnoxijsminimccongruct.Roburaurcm partium rum
cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc
mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur
abfolucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc
riculum immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhibcntur,dum
dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcrfus ipfum lc inclinct t
larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm
prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis
vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs
dcbilcs habcribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno fc
conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu
trahunr,vchcmcnrcrquidcm cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori
vniucrfo comparanr:at pcriculum fubcunr, nc thoracis vafa aliqua rumpanrur iplis,ncuc
aur capur,aiit collum malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud vcrcrcs
inrcr ccrcrascxcrcirarioncs habcrcnrur, nihilominus haud ira in frcqiicnri vfu
fucrunr, 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non fincluauirarcquadam fanirati
opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr, qui ipfis vranlur,qn )v.jn')d'
' rario,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De D Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^(df. I V* I
#n K-K^ ETENTIONEM fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio' * nisefTccumabundc
inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii
C gamnonfacilerepcriri,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi quod
animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcitationemufculosabdominis, aque
thoracis ualentcrintcndi, &:fu^.partic. binde inpartibus interioribus
calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriæ prodidcrunt,eam non
riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^icare poflTumus : &: propter hoc iure ab
Hippocrate didum fuit, ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm
attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A
Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus
mcmbrafpirituamcd.c. 87 lia calefaccre,corroborarc,&: cmundare,necnon
anguftas cauitadoc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod etenimfpirituscohibituscxpurgarc
thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui in.ipHi rctcntione undiquccompulfus
inanguftosfe rccipcre meatus cogitur, cosq.li ampliustrufus, propulfusq.
fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque extcnuati iam agitationc cxcrcmenti
nonnihil fccum arripcre, eo propemodo,quo intucmur opificcs angufta
inftrumentorum foraminauchcmcntiore fpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis
quanto ulterius pcr uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quæda impelluntur,
qiiacdam trahuntur, nam truduntur quac antc occurrunr,attrahuntur quac ad latus
funt pofita, impetu ipfo motus vtraquc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru
cauitatcs cuadant latiores,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc
locatur, fanc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, et dcipccps fuprcmo
laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race
prcllo,necclium cft ærcm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^
infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc,modoinfcriorcs dum iUuc
impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis
amplificantur,pedoris partes cmundantur, ipfæq. atque etiam aliac intcriorcs
calorem ici O^nip. ^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs, &:prac{crcim
inflaPr^? tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato fubpcrfona Eryfimachi li.d mcd.
ixicdici,nccnon
Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohiifbroT.d^birumafmgultulibcrarc.
quorum placira fccutusGalcnusabco^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain
tuffim afrigida inftrumcntorum rcfpirationis intcmpcric conrraiftam cxftlngui
tcftatumrcliquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx tali cohibitionc
anguftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun &: ab auribus
cxpcllunt : limilircr obftcrriccsiftud rcftantur,quacad
parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIcriorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum
contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx
nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata,liucartcriarumincui[Lli\c.
ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus, nccnon pupillarumin prob. 48.
oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar Ariftotclcs fpiritu rcicnto mdiusaudirc
nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum qiiCndain moucr, quocum careanrrctmcnxcsiUam,
mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i C quanuiis CalTius Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur.
Exftar ircm Plinij aucronras,quod cucrfos,fc anclcnrcsq. ac iaccnrcs, fi quid
ingruar, conrraq. i(ftus,fpiritum cohibcrc fingularispracfidij cft. Si igirur
afpiritusrcrcntione rot commoda xjriri conftat, prudcnrcrfanc Coclius
Anrclianus ipfam allhmaticis, ftomachicis,arquc licis'^|^^J"^*y curandis
cgrcgum opcm pracftarc lcriprum rcliquir.Ncquc ramcn ub. ^.c. huic ranrum
tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam ipfam aliquacx parrc obcflc credamus,quandoquidcm
Afclcpiadcs capur opplcrc rcfta lus cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa
fuit . Ego vcro illam prorfus non cfTc rcpcllcndam puto, quoniam
manifcftoconfpicimus, dum fpiritus rcrinctur, ucnas,atquc artcrias colli
intumcfccre, oculos ampliiicari, gcnas ac uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm
ruborcjn, tandcinq. caput totum compati : quacomniailJius rcpktionijs cUra
inditu clTc, ncmodubiiat . txquohr,ul Dioclcin Dioclcm tota uia abcraflTc pro
ccrto tcncam, dum fpiritum rctcnD tk.i.«a.4. tumin epilcpfia curanda praclidium
afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem aflfcdus curationc fpiritus
rctcntioncm uitari debcrcuoluitjCumccrrum pcriculumimmincar,nctuncfanguincad
caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In fanguinis CgcUi.a. quoq.
rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram inucnio,quibus aiTcntiri
cogor^propterca quod rum a calore in pe(floris cauea gcnito,tum cx uaforum
inflationc,diftenfioncq. facilii mc debilia,&:rclaxata vafafranguntur,
frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui veliierniasjvel
crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum, atquemteftmæxrilia,&:fragilia ab
ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo fpiritu cxcrccri debcnr, quoniam hæ
partcs in aclioneifta uchcmcntcr contenduniur,& pcr confcquens, nifirobuftæ
fint,citra mulrum laborem diuellunrur,qucniadmodum apcrtifii^ mam fidcm pucri
faccre poflunr,qui fi interdum nimis quam par iit flcndOi aut
aliquomodofpiritum contineanr, protinus ijsperitonæum, fcrotumuc difrumpicur,
6c dcinccps intcftina dclabcntia, aut flatus intercluii,uix fLUiabiieshcrnias
pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus, &c cantoribus, dum nimis fpirirum
retinerc conanrur, facpenumcrofolet cucnirc,&: præfcrtim quando illi
wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de mot. mufc. fccundo in finc, ac 6. h\nd.
com* 4, tex.24.&:dcquonosin varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus, cum
itcrum librum cum rccognitum, atque auclum propediem dabimus) fiue edidum
ficere uolunt . Vna feruata ratio ab huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi
modcratc, aur potius infra mediocritatem (imilisrctentio peragatur, ubiagcnda
crir: alioqui pcrfici nequaquam poterit,quin prædida incommoda fc^ quantun De
^octs exercitAtiomm fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS
multas,fcd unam præcipuam excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci
t«i^ (cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcmarc mancbif,quod luiiufcc
cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^ go prima
uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| 6'.
tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, et Auiccnna codiciocft,quod thoUn, raccm,arquc
uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr\-^V'c.s rocs pulmoncm
propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d. calorcm
augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar* "J,';j^* tcs,
robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, '
Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum
fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus, quam
cxfufflatus collidirur, artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc
calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs
raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum
humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx
orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs
uctullioruhumoruunicuiqucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin
pracdi£tis uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro firmarur
calor, 6c artcnuacur, quv)niam uafa abftcr^^uncur, nuilti humorcSjUt
fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcacalorcmobfcurabant,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr,
iracduda cundcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc linquunr, &c hinc pollca lolidis
partibus maius robur,maiorq. impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc
habcnt, racioni confciuancum clt, ijs, qui humidirarc occupatas inrcriorcs
parres,quiq. uniucrfum corporis habicum frigcfa^tum habcnr,uociicraciorH*ni
gcncrofum praclidium cxliftcrc.qucadmodum.illisprcdictis racionibus cam ab Anc)
llo, CoclioAurc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis, uomcncibus,
acidum ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus, atrophia
Iaboranrjbus.languidis,cachccticis. hydrC'picis,althmaricis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti
dolorc uexa tis.apoftemara in choracc rupra habcntibus, mulicribus
pracgnantibus,picaobfcllis, autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci^/j^^g^'^
busad parcum tacihus cduccndum,non minus n,.chro, affi.iunt,quamcorporis
immodicacgcftationes, luuatmfupcr clacap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc cxcrccrc
uolcntcs alas fibi ipiis litillari facicnt ; probi^ «!' ptcrcaqnod
magnusinillispartibns ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat, quac
tuillatac concalcfiunt,^: fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum
pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm
rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud
Graccos hicfcnarins. j t Ato; HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv, i d c ft
Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmtalis,practcr immodcraram
fpiriruum ctiulioncm,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc, nonraro,fccunduiii
Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm rcfolurioncm
indncir:qno. p|^^*|; niam uiralis uis,&:inlitus calorimmodicc foras
prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac rubcantfangninis adncntu :
calorcm crciiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr loci appctitioncmfurGymnajiica.
V fuiu fum cffcrri, fic pcr alimcnti
dcfidcrium ima patcrc ncccfTc cftjgiD turutralibctmoucndi
rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non
abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori, Arcrf ixmSges
dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou, idcft, tum Troci illuflrts Mams
extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud
Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"moucntcs ^ncquccorporibusjncque
animis prodeffc. Porro caput,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii
offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla, dorfumq.oblæfum
animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit,
quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:conE a.Tufcul tenfa robuftioracuadant,Ciccroq.
fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur, ingcmifccrc confucuiffc, ut fc
intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona ualctudine habe
rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur, quoniam ci a primo
ortu infucfcunt, quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in luccm uencrunt,
plorarc incipiant: cuius caufTam SoInlfa og fimusephcfius cxplicauit cfle ; tum
quiatenuis fpiritusaluce concap.17. cutitur :tum quia infuctam tcrram
attingant,quandomulieresin Prob. 61.
nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexandcrmcdicus addidit,iIIos
minime audiendos cfse,qui animum dicant, quod amifso caclcfli domicilio corpus
inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre doIere,atque plorare.Cæterum
adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum qucant, nufquam ui^ deo. quod cnim
is corpora frigidiora intenta, ac debilia rcddat, \qco citat. pr^ictcr
Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs acutiorcm uoccm rcddej.Aph.y4 re narrantcm,
Galcnusquoque atteftari uidctur,ubipucros,dum plorant, intcrruptofpiritu ob
uircsdcfatigaras refpirarcfentit.qui * itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi
pcrfpicuctcftatuscft. quatumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc
conijccrc faciInprok. literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum
(fiCalfio medico credimus) dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^
fummacumratione eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscontfcur.ocu. tinuos
fletus oculos imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox
recipiat, dum fauccs,ac uocalia inftrumenta intcr flendum madefadla, exa
fperataue, cam raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr
concipiunt.nam, &c apud Coclium Aurclianumlrgitur, ploratum poft
cibumuaMcftomciclium labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut
cxiguficmolumcntum a llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris
humorcs ad infima dclabentcs eos morbosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde
eft,quod Aretacusin curatione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm,quamfacit
inftrumentumillud, quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus locuti
epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc^bro^ I nusintcllcxit
Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor€3^*2^** tis didtisalfulcgiam cum
pila magna,autparua lignca, nifi quod illud intcrfortcs excrcitationcsrcponcns,
6c pilam magnam nominansanoftrodiffcrrcdcmonftrat, ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc
paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus corporis gcnus, quod piHs
ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu fcrreum humi dcfixum
manibus impcllcndo, ucl cubo lignco cas approximando, quod quidc genus dorfum
ob inclinationcs cotinuas E exercct, attamen caput ofFcndit, atque rencs; in
quorum ulceribus Inlib. æ IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari mandauit
Rufusmcdicus,nequeadmoMetue! dum pro ualctudinc probatur. legitur cnim apud
Gal.cxcrcitatioual.cap.5 ncsinchnato capite,
dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine,
cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis, &:
colli inflammationibus occupantur . Prædidis omnibus tum notior,tum trcquctior
cft pilamallci uocati cxcrcitatio, qua uetcrcs gymnaftas caruiflc nemo nd
fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs ipfa
inolcuit, tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs declarare. Nam
quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a
laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc,
quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo,ucl
mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum
uircslcui dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari:
tantomiftus illis, quibus capita ma!c aticda funt,aut aliquo padlo imbccilIia.
nam,&: qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs
habcnt, cx talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario
bacc,vbi parfcsinfcri( rcsinflammationcm,aut abum tumorcm pati folcnr .
Summarim poflimt, qui fanitarc fruunrur, ad cam rucndam,oprimumq.
habirumgcncrandu pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab
acgritudine occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tcB
ncrc opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur,
ucrarcpcriri,modocaratio tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc
corporumfcructur,quam in ^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi
ncgligatur, mirum non fitjoco bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc :
qucmadmodum lacpcnumcro in propolita cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum
fcrc polt pran dium a plurimis agarur, nullo falubritatis loci, ac rcmporis
habito dclcctu, no fua culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtioncs,ac
prauos habirus inducit. quo magis omncs admonco,ut diligcntiam, a Maioribus
nollris in cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum
conccdifur,imitantcs,mcIius valcrudini, atquc mcmbrorum robori confulant, ncquc
commitrant, u t proprij.s ci roribus, &c fanitatcm /imul
dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro mar.dctac C pnum dcdccus illis aXc,
qui a narura fanam corporis conftitutionc lortiti cam ob cxcrcitationum,ac
rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc morhofam rcddunt. Erquoniam hoc
in capitcduo diximus,altcrumquod pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis
cuitandum crt, quibus dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir, Galcnum
voluilfc^inlcnibus dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr
dcbcrc.rarioncm, qua indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam
dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft, cumcx uirtutismotricisdcfcctu
proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs
imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata, ac
incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi uoluBU]s:nca
Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia
rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I T)e equitationibHTfacuttdtibus.
CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer ca,quæ exercirationcs
fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf dcfcntcnriamagnam
cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx fc, potcrit natiuu
calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni opitulari.Efl:
aurnoparuadiflrcrcritia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&: aliud qif
uisporrandishomi nibusaccomodatum animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf
Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra
equiÆt^iib* ratione fcriptLi inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus
cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis, qua lafTitudinc,
&:pracfcrtiminguinibusaffcrrc.dc hac inqua ucrba facics Hippoc.mcmoriac
prodidir,continua cquitationc laflitudinc magna parerc, homincsq. infoccundos E
&: cocundi impotcrcs rcddcrc,n€C no dolorcs diuturnos,&: claudiProb.
ij. carioncs gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc!
Ariftorclcs cotrario plane fenfu fcripru reliquerit, cquiranres afficap 1 1.
Jjje libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatioprobifii
ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas
inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu
no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro
dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuccuflTanrc^fcd
noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde particula(afliduc)qua larini
intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc
erir.Hacc erenim equirando faU69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim
corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns illcfapictiirunus
Gracciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite, ^ lcddto vijh
nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum
fuccufllmtcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri,
tariiq, c tballt .Ad hacc fuccuirationcuchcmcntcr caputoflrcndcrc,coI!um,&:
dor fum,&: narcSjCxpcriunturilli, qui aliquadoin hunc modu cquitarc
cbguntur. Dcniqucli vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur
Ga!c.)agirarc apra iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua
nofolu intcriora omnia concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi
uidcntur.illud unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus
concoqucndis,aIuoq. cicndac,ac vrinac prolicic4idacnccno a rcnu(q J Auiccnnac
placuit)loco lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc
qucat.Scd,quonja maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab
cxcrcirationclimili ablli cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n
lic appcIIo,quam uulgari nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua
itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db
aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s ) qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij
cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno
cruru cxplicaru glomcrario minimum larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu
probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud
Arift.icgatur, ita cquitantcs, quod magis caueant,mlnus caD In hb. dc
dercjtamen eam improbarc uidctur Galcnus hac rationcquia fæl«c indo . pe
contingit cquitantes in terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed præter
hanc multæ exftant caudæ aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis huiufmodi
cquiratio omni diligentia euitaridea ^dixta corpus(vtfcribit Hippo.)nimium
calcfacir^exficcat^atquc * extenuat,ob id ad minuendam carnis multitudincm a
Coelio Auli. T.c.vir. reliano probara, caput male afficit, fcnfus hebctat,
oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor. cauflam indagans,
cur, qui cquo uehunrur, quo longius equus dccurrcrit, co magis cmitrcrc
lacrymasfolcnr, fignificaridco illud eucnirc,ucl quoniam morus calcfacics valde
humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl quiaficutiuentiaducrfi
oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans tanromagisfcrircporcft,quanro cquus
uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc equiratiotam
thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs maximo
dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac
ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci
vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctioni bus
mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra^T:urac,quor mcmbrorum
diftorfioncs facpcnumcro indcnafcanrur,dum brachia,dorfum,coxac, et crura fupra
modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris cquisitinera fua
obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum ualcrudine, ucium eriam
falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non ingenuorum,autfanirarcm curanriumac
uiram,(cdpotiuspcrditorum hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut
optatius nil rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cquilaiionis
fpccicbus, quarum nullam ægrotanribus admodum confcrrcfcripfcrunr Antyllus,
arquc Ærius, quasq.necijs, quimcdicinam fumpfcrunr, uUo padto congrucrc
mcmoriac tradidit Solodscltat. i-;inus Ephefius, ncquc illis, qui rcnum morbis
malc afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit
Galcnus. 6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio
paTlll rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft, nam,utmolliflimc
ucharis, tamcn laflfirudo inguinum, Iumborumq.&: durafufpcnfio,cxpIicarioq.
percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam
nnpoflibilc. acccclit &:mala,ac dolorificailla
concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Vaknabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft,
corpus, animum, &c ftomachu^i S S. 2«5 A chum hrmandorfenfus
cxpurgando,acucndoq. fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. DegeSldtiontim
inHnitierJimnjinbus. Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur,
illud prius adnotandu lcvfloribus uolumus, nos minimc ignorarc, multos
cquitationcm inrcr gcftarionis fpccics rc-, intcr quos fuit Actius Amidcnus ;
fcd ncqualiu.j.c. ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus
CcL antiquus fimul, &: cclebris
au(flor, ubi gcftarionis fpccics adima^crauit, nc ucrbum quidcm dc cquitationc
faccrc uoluit, qua(i alica gcllationc iudicaucrit, id quod nmltos ahos opinaros
fuifle conijcitur cx Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui
tationc diucrfas cflc dcclarauit in 2.de tu.val.ubi ahas
cxcrcitationcsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco, ut gcftationcs:ahas
mixtasclfc, quahs cquiratio cfl ; tum quia, (i gc(titio, ur dcfiniunt
omncsauLlorcs,mixta cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis
partibusnonmoucri^ apparcntibus^uniucrfo autcm corporc alalionc moto, hacc
condicio ab cquirationc longc abcftjn qua fcihcctmanifclhrtimcomncs fcrc
corporis partcs moucri confpiciuntur.fcd ifla parum rcfcrunt, quando criam
Antyhus, atquc Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam
gcftationcm ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uocatam, mulras
quid-jm habuiiic fpccics, in fupcrioribus dcclarauiQ mus: at
quacomnibusuniucrfah gcftarionisnominc comprehcnfis facuharcs attribuunrur,
pr.us cxplicabuntur, dcmum parricularcscftcsftus finguhi adlcripros
pcrfcqucmur, fcd prius id ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri
gcflationcs, &: cxcrcitationcslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc difrcranr,quorufcatctiæ
dc cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs morus gcftationibus cxiifhmt,
non autcm dc communircr acccptis inrcrprcrandæ fcmpcr crunt. hlt igirur
geftario fccundum Antyhi, Actij, atquc Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc
dcbilcs cxcrciralocrsciti. tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c
ualcrudinaijs, ucrum criam 16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs,
quibus lenrac morboruin rchquiæ rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac funr.
In acu toru nonnuUiSjUt ab Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur.
quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc
>praccipucq. ardcntc ad difcuticndam cam gcftationis ufum comprobaflc. qiiod
prof cclo pcriciilofc cfficitur, mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur.
Infanisctcnim,ac ualctudinariisgcftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus ingcncrct,immo
caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat, poreft calorcmnaturalcm
augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir
marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis turbationcm
fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt, fomnum conciliarc,& contra ctia
vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat,
cxcremcnta, quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac
nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca
inducit corporis tcnorcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua
Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam
ambulationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui
ualctudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^
ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita.
Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor,nulla duritics,nuU tolus dolor
uifccribus, aut capiti, aurpraccordijs fubcrit,&:cx toto numquam geftari
corpus dolcns uoluit, fiuc id in toto,(iuc in partecftjnifi tamcn lolis ncruis
dolcntibus; ncquc umquam in rcccnti fcbrcfcd in rcmillionc
eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs
affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris, quos dc morbis
diururnis infcri pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx cotagio
nc quadam aliquando pcrijirc, rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor)
commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in
quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in
colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quoquc, &:antcipfum ArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinmeanchoIia,inatrophia,
infplcncricis,necnon in ftomachi doloribus.lifdcm cxcrcitationibus in illis,qui
valdc cxficcati funt,arq. re7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum
vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem
laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias
fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur
randum>magnopcrc rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7
tur. quod Arctacus cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim cætcritpractulit,
quac inrcr Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc gejiationum inn/thiadoi
USlicA^dtqut fellapaYtt^ cularibusymbus. X. Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus
dc gcftationu flic^ltati* businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs
dcfccndcrc opportunu cll,iiprius illud in mcmoriarc=w^ uocaucrimus, fcriptorcs.f.mcdicinac,qn
finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc
qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur,quac ipfis utilitcr
accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in
rcmiilionibus morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc
apud maiorcs nollros gcncra, quoru luxuria vfq.adco intcrdii Romac
crcuit,ut,rcf'crcntc Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc
nolintucriti.fcd hoc practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris
in ufu habi ta funt a mcdicis uchicula,alia ab anmialibus,
mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl
cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis cctcris acriorc clTc dixcrit
Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c.i tcntia,intcr dcbilcs
cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa^^^j" nis,ni(ialitcrcxcrccri
impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis,
qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuiffc,&: Cacciiiu Pliniuacccpimus: maximcucroægrotatibus,
dcquibus fcrmonc facicns Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam
uimquandaamolicdi,c6moucndiq. morbosftabiIcs,&: pcrmancntcs habcrc.Qua
proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad
fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc C fcribir,qui, fi aliqui
fimplici permanenti, &: diuturna fcbre iadentur, tu i.cht. modo uircs
fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co of/bSus
fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. febrcm magis cxcitat,
Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcrueniunt, uel quorum longa admodum
remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi non magna intcrualla
habeant, conuenit hæc gcftatio.quam fimiliter in multis alijs aficftibus, nempe
in dolore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in mania, in paralyfi a Coelio
Aurel. commcndari, ex eius dc chronicispaOionibus inkriptislibris clare
habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus geftationibus
acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam inclinantc illud
agarunalioqui, fi,adhuc fæuicn te,aut incipicnrc affc6tionc,gcftatio
adminiftrcrur,accidentia acer biora, &: pcriculofiora confcquunrur, quoniam
morus, ut diftiparc urilircr concodos humores,ac cxcrcmcnrorum rcliquias
potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs nondum quieros, &:
rcpurgarosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium adhibendum cft,ne
crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut aliaquæuiscxcrcirarioadminiftrerur,
fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc illis, qui manfcfte inclinarc
animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm, ac Hauis gefiationumfx^
cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit Afclepiadcs,duabus
rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum ut blado eorum
iadatu fomnos alliccrct : tum eria, urmorbosextenuarer.quibusrarionibus
addudipofteriorcsin curandis acgris corum ufum frcqucnriorem reddidcrunti totfo
cic. quamqua grauis auAor Cornclius Cel.cxcrcitationc hanc tantum modo
adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq. nauis,ncq.
ledicac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuægcrrefurgit,ipfum Icai
moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur Vcrum.n. ucro AnryIlus,Actius,atq.
Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p multis
afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uoluerunt,quinimmo(quod
paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo prodcfsc dixit Anryllus.na
pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs, in quo corp.ora columpta
fefe crigere non ira valct, autEllcborufumcrcsatali gcftationcutilitatcrccipe Ætms
U. reiudicaru eft:dcindc in his,qui vircsa lcbrili aflrcdlioncrccolligere
incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in appctctia ciboru dcicda candc prodcflc
cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc dcfucrut,q ipfam in furiolis,ac phthificis
laudaucrint . Qucmadmodu,&: Actius,&: Prifcia nus Thcodorus phrcniticisadhibcdaccfucrunt,
quo blada illaagi locomat, rationc fpirituu pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus
alliccrctur. Ex gcYmQ^i:^^^ nerepcfilislcclilcympodiu quoq.
circ,m6lbauimus:&:iccircoubi a Coelio,arquc alijs gcibtioncs I pcfili lcdo
^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac i ntclligcrc poterimus.Lcdtulo pclili non
diflimilc alia 1 cilofaCta gcilationis (pccic inucnio,quam primus(quod
cgofciam) intcr mcdicos Cclfus monftrauir,vbi dcficicnribus cacrcris gcihrio ni
dicatisinllruincris, voluir vni pcdi lcdi funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita
Icdu huc, &: illuc manu impcllcndu.id quod criam Amydacnu Actium fignihcarc
uoluiircarbitror,quand(j fcriplir,duascfl^cocitac. fc lccti gcftationes, aut
pendlcs, aut fulcra mobi lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud
cxcrcitationis gcnus cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru
fuit,arquc idc nomcn uf li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab
ipfo inrcr dcbilcs cxcrcirationes rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni
fnla,n6 fanis, aut infirmis cxcrcitadis
aptu viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre dirur,quos febrcs dcbilirarunr,
licur ct illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc valcr,quiq.ab hcllcbori
potionc valde^pflrarifuerut, aut fccundu Cclfum alicuius mcbri rcfolutionc
patiutur.quin,fi talisgcfbtiofuauircr adminiilrcrur,prcr fomni
iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq. difl"oluit,rcliquijsmorboru
capiris,vcluri (hipori,&: obliuioni prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri
mouct,&: naruram fopi tæxfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum
niiniij iudorcpci pit,ut acgri ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl
iuucncs foict in acrc cocuti, atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro
eflc genusillud inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc.
Inrcr gcftarionum fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj;
cacrcraru omniu Icni/lima fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^ huius
quaplurimainucniuntur difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin
flumincan in mari nauc gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in
alto,an turbato,an tranquillo . Nauigatio fadtain
ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in falubritatc poftponiturquonia ut
plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint maris alicuius inlhir,purridi vaporcs
clcuarur,qui acrc inficicrcs nauigationc magis fufpcdam rcddunt, Tt non
immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi ;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs
fubpallidos, ac fomnolcntiom cua D probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io
fluminibus nauigatio, nempe q au^torc in probh PJ^^i^^ho timoribus carcns
naufcam ullo pafto non commoueat. wt. uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur
in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I, le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu
dicatur, g> humcdantcs caput tcrrcnæxhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis
maritimanaui gatio valde pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci,
Sc calidi educuntur,qui Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora
rccludunt,necn6falfæproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc ho minu habitus
quada facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di
excrcitatioincun6tisferc morbishumidis,ac frigidisamedicis
probaf,&:priuatim a Celfoin tufliomni,aCoelioac Arctæoindo lorc capitis,!
cpilcpfia,fi ferri quc it,in fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in
hydropifi a Tralliano in frigida vctriculi intcmpcrie coE medatur.Inphthifinamquc
praoftantifiimuremcdiumnauigatione Ii.28.c.4 fcmperaMaioribus habita
tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratiolib.3i.c.6 nc phthificos Acgyptupctcre
cofucuiffercfcrt, quo cuni Annæus crplV/.'^' Gallio poft cofulatu lam fcre
phthificus, &: ZofimusPIini js nepotis libcrtusfiuiguinis rcicftatione
laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor
Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc rc mcdica lib. dicatphthilicismagis
cofcrreinfal tibus,vbi pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx
maritimisnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quæinportu efficitur ^q tamcnin
capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali improbauit Aurclianus.
Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima
habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlui.Sympo. tar,
7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique
omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari
pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas, atq.
maximasfacit,nimirum, cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&:
/pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in
anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia
magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouirjngentcs uomirusconciMndi,ac
confcquenteromnc vetcrcm morbum prof ligidi : &: proindc iurc dixit
Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas acgritudincs cfficaciorcm
cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis, quapracdita cft,fiquid aliud, probc
corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo mari pcragiturin nauigcftatio
nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm
atTcrtrcx quo Kr,urt*crmcacc6modata (it ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in
cui ri bus c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd
ficci,6 halitii euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriæ minus
obnoxiu faccrc p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi^ nucorpora,&
quadrupedunatado in cuiuflibctgencris aquafaciU rmciL«sredux^NatatiocaUdæmoiIircindurata,c;to^^ ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo
Aur.in curadis arrhrlricisconicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui cutcm
corporis dcnfLita liabcnt^at abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo
ncgarct : alio ctia non carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs
lundcrcncc ipfos rcfolucrc. Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm
ualidiorcm cfli iatciborumoprimam,iS^cita cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs
humorcsdilHp.it, et intus rcfrigcratas parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in
arthritici.slandauit Aure- lianus car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc
ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium cfTc
rcgio morbo labo- rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad
euitandumacftu frigidam natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i
quis ca frcqucntcr utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi,
quod Agarhinus apud Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida
accipianrur dc illis narationibus,quac ad gym nallicam quidcm
mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro,
quas in gymnalijs iplis ficri confuc- uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in
pifcinis, (iucin ampIilHmislabris agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum
opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum ut motuillo blando^quo
narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr, licq. mcmbra copiolius
huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando-
quidcm aqua mota, pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm
quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx
Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc, &: proindc ab
illo optari, nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam, tum quia fcrc fub
nauigationcm rcducirur, ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a mcdicis
propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf
Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir, quando quis in
nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu
augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs
marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra
ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q»
coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca
minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear,protinus
cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru habirus
duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata cotinuo
apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit
Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi
caufa, qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc De yenaiiomr conditionibus.
Cap. xni. D libro i.dc paruæ pi tæ ludo. .ENATIONIS cxercitationcm
comparansludopariiæ pilac Gal. illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui-
dctur,9 altcr modico apparatu indigerct, et ob id cuius ^
excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis opus haberer,neq. ab
omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri poffct.hoc aiit hcct
Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic tcporib» noftris
ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc habcrc compcrru cft,
qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib. inftrumcntisrufti- cos,
atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut hac rarionc ipfa
minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^' eicrib.ucrbis cius
facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' ' ucnationcintcrca,quæipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit,
rcccnfucritxumq. illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque
uchcmcntia,magnitudine,arquc celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahæ
cxercitationes,curfus uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,&
aliæ ncccflario rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira
cflc, g> corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&:
fuccos exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis
cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum
acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum
cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia
memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs
fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^*
cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi
bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt
fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum
in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad
parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de
duabusfoluucrbafaciam,tam- quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut
acgritudinc pertmens faculras confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam
fciut omncs, qualibct ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue
arcubus, fiiic ali js inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib.
proprijs cant,aut cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU
irc)vcnarionecxcrcctcs,cum modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo
uocifcrarc,modo quiefcere cogantur^omnib. cpil njb. partlb.labonre
uidcrur,&: iccirco multi hac exerciratione crc didcruntcorroboraripeftiis, ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue
crura: cgo vcro ca cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur
: quibus fradionis ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in
rcnibus aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id
tc frcna iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere, quam
Uporem. Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda, 3i: incomoda in cqueftri
repcrra contincr, nifi s», dum curfibus, ac faltib. fcras inicdatur uenator,per
montes,per uallcs, pcr deuia, pcr filuas, pcr filtus, minori cerrc pcriculo,
quam in cqucftri, fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis incalclcir,
magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis ftimuIos,cocrcct,
quando Hippo!\ tum ftudiouirgiSencca m nitatis hoc ucnarionis gcnus cxercuiflcfcrunr.Excirar
quoq. ucna"^S^* tio appetirum,(icur coquus illc Dionj lio dapcsaucrfanti
rcfpodir, ipfidcfuinl' laborcmin iicnatu, qui appctirum gcncraficr. Ncurra
tamen,g» uchcmcnrior cxfiftar,lcnibus,aur dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis
ranrum,qui robuftasomncscorporispartcsfortiti finr,quiq.oprimc ualcar.urnon
abfquc iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic
bcncualcnrc modo nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius
ncpos fanitarcfuam uenarioni, qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani
rcruiifsc uidcrur,iudicandum eft, aur iJla modcraiilTimc
ufumfujfsc,autporiuscorporc robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti
laboris uchcmcntialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicntibus
tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc
polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima
t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,&
iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc
fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris, temporis,
quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao
corum malorum uitarc poffunt, quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur :
eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra
?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat.
vnde aut vcnatorcs mter excrcendum cibum capcre, &c a cibo magnos laborcs
aggrcd. coguntur, quo ualctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut tota
d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum noxapenitus
b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca ufquc adco
prac fo.nccxfaturantur, ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum fatigcnt,
f.cquc &c cruditates, &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticæ
finis. fcx artis Gymnaftica:Jibroriim
clcnchus, cjuorum primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t
Ofi/eruatiua Vartihus, et (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X. ^t}dfitgyr)ifia§U(a
(^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o, et tius laHdibi*s cap 4, SiHr
ttmpore,et quo pa^o caperit CymnaHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S annqui rum cap. 6.
Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J* De^yfnnalioTHdiucrfis
partlbus. f.8. DepuU^ra, et alVjS gymnasi» part.bus cjp.^. Dc h^b eis
^ymnafiorum, atque etiam dejiadto cap. 10. De accuf iius in ccma antiquori m,
CT Itmd dimtnxjt in die cpundi cor^ fuc'udinii origine De au^oribus gymnaflicjt,
fjr ^ymna" ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium ^^yvihuflicdt ffefie*urn
d.jfi' tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa feu athlt tica cap. 1 3
Dc vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctnacaf.l^. Dc riuendi ^thlctarum ratione Qf^id
fit excrcitatiQ,Cf q^o differat ^ a Ubore,& r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^
mcdi^je dhificne cap.i. Defaltatoria car.]. Defphxnflica c^p.^. De piU ludo
fccundum l^thos dp.y GymnafticA, De orchifiica, fiue ttrtia faltatottapar te
cap,6. Dt finefaltationisy C^ de loco cap.j. DeluSatoria cap.9. De
pugilatu,& Tancratio, et Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu cap.11.
Dc difcOy& halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^, {TirS. Dt agendis, et dc
rationc prufentis trati^tionis cap.i. De drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate
fit exercitatio cap, ^, Dc pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs
e.xtrcitationum ipe^ citbits cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De
vociftratiot.c, et alijs vocis cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a,
Trocljo, et Vilamailco cap.S. Dc eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap,
i o# Dcgffiatio^'C in ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos
ptnfilcs, C^ per cunxs facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,&
pifcationc. cap. i j . Dc natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{
Qr^riTffs. E rationc agrndorum, et deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on*
Confutatio opiniows eoritm, qui exeni^ tationem in fanis damnabant; et de
exercendi necelfitate^ atquc commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes
homines cxerceri debere ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum
exerceri voUbant cap.^ De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum
morborum, et fanuatis generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co
ueniat cap.j. Decorporibus valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S.
T>e corporibus fanisexercendis cap.c). De locis in quibus excrcitationes
fieri debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio, cap. 11 Qumta fieri
debet excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de
nonnullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum
effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx cjfeBibus
cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^.
Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl'
Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta Abrnhi vt Dc* jb
Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn
viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S > et dcmccps Accombcnimm numcrus
quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhcbaniurA qiia dc cauf» I c Ac^yptus, Homcro
aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit » b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri
.iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit c6;idcradj i ' i.t.
Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim" prodcfTc. i.b.i«8 d
AKoniiTjrib-. Ab-ti crant vna faCtto Rcmana i6d c Aldus
M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us Impcrat. cxcrcitjtionis
Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1 iii d ad maiorum cmgics
facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port lcctio ncsquxfucrint . 1
^ (>Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d Alcxan.Sci«cri.s Impcr fcrc
fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus Impnoluit
mijcnuos cur(ucxcrccri AlcxandtrScucrusImpcrat.
ncmora pub. ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1.
jfDpndio auihorc, vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi
(un^pticncm agcrct . C A k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari
txpc»mionc vtcbatut 197-^ Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt
io fjtta, anibulationi m portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo
lubdiahsinuitas habcc fpccies ibidcm Anibul..tio fub Solc, vcl in vmbra faAa ab
authoribus Jiucrh^ diucrnmodc acccipitur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit,
quam fta tio,& qua dc cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo
m vmbrj Tafta, quxnam fitboaa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta
Icprjti* fjciic inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,&
vcrtiginofis conuc nicnsquarfit ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, et qua
dc cjufa ibid. Ambuljtio pcft n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis
matutina;,& vcrpcrtinac cifc Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx
ccftu claruit, 8C fuit a Polliicc intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu
vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius vir multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc
pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^
corporis aux ijo nihil laiidc di pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio
fanguincm cxpucns nauigatKJHC fanus f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm
fuit lu^Jtionisarusauftor ioj.a V X Antiol
AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f Aiitioch^ mcdic*
vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f iturarent. 5 2.f
Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs coenab:inc 53. a
Antiquiomnes voluptates in couiuijscxcogitarunt ^g.e Antiquoru ftudiu in cibis
ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni fuit. 58.6 Antiquorum fcripta
quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior pars raane vel nihiJ,cxt guum
quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin vefperc folum faturabatur ij^.e
Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis
txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra quid fucrit. 291.C Apodyterium in
balrieo quid elTet 40. f Apollini cur Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt
g.d Apollo iacubtionis, et medicinæ Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo
iaculationiab antiquis eft pr.^poG • tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab
Alcx.Seue. colcbatur iSid Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pofrunt,&
qua dc caufa 229 Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes
vocifcrationc iuuantur 281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in
Sicilia qucndam a canc rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte,
primo fe nobis manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in lauatione ad
voluptdtem Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc
nafcentes caJidæ funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs
fuit Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in
corporc vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc
p.Tdotribica, 10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc
motupoftcibG. 2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s
confcru;itrici$ y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica
quouiodo fcicntia aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa
corpus humanuoa operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a
cquirendura, ac finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars
gymnattica homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i
r* b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c
Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC
Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc
pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J
AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no
vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus
cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm
potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur
putilbtu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu
rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam
gcftationc curabant Thcodorus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios
aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs
fcribc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs in
acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia
dci;squi cxcrciiationc dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui ccnfuitmorbofa
corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug Imp.lci;cfjnciuit,Tr
militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp. fimpodl" qnq;
vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, et qua dccaufa .^y^ Au^.Imp. in
finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur et qua dc caufj.i W c Aup Imp.
coxcndicc,fcmorc,&crurcfini/tro bboras ambubtionc in li.ircnama «invc
pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA, Aup.Impc. poft coenamlcaica
lucubratoria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat. thcrmas hycmalcs in
tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs lufta Ixdit.a^^.C
Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. et Actiui curabant i.b Bjlucoru fitus
fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr cxtrinfccus et intrinfccus.ibi.
Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dcfuctndincm abicrunt 44»C Balncorum
magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca non cundcm fincm habcnt.
4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis,& fngidis antiqui diucr fa rJtionc vtcbantur
47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B jlnco-um hora qux fucrit y
o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc vnqujm anrc.iurora
apcricbantur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis ;'cnfi]ibus Afclcpudcs
in xgris curandis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt inucnta 177.*
Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct, 33?. C Bcll'iro; hron fuit cqtatiouis
inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit Bi^ix in pub facris frcqucntilli
ncccriaucrunt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis ly.b Botubrij I
gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua,dum quis manibus vjcuis currit,
quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris laborcs
magnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius
C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo primus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc H.npt>cii
lil cjio fuo conccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt ftjculatic nc cur;bat
Arxictus 24C.d et \t cifcr; iicnc. 281. c et cxcrciiatK i:c jmcr n )
rios,Iaiiros, et ih)nun>f-6a Coitu VI tri vcfpcic rcn bi nam cr-i io.f
C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Frafiflraiifcnftrtia J5>i b.c Conct Aio^
a ijuictc, et ab cxcrciiaiicnc mtdcratt f-^a multum iuuitur. 192. f
Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iuu:;niur 281.C Cf niflcriu i pal^flra
vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ aqbufda lola digna tidttjVt
ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap pais a cjuibufJam in trcs
paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor nominibus a n cdicis
cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi irtscdo ccric^pciiint
ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit nalur.T txcrcitati corpc ris i>8 c
f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d. Ccnluciudo n .2d Coipori»
hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipruaiur ^ i^ic Corpcris virtuic* pcr
cxcrcitaiioncm forticrcj fitri et opcdititrcs i^2.f C( rporis n ( n l la pcr
cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt. ibid.ii^^.cl Ccipons
hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria gcncra a mcdicis
confidcrantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto dcbcat cxcr ccri
105-^ Cotpora Gcc2 motibus lcuibus et raodcrans vti pt flunt io6'( Corporib.
c-hdiN et ficcis null.T imodcratat (xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C
Corf oribus fripidis et ficcis cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C
x^od Corpora, t]uoru vnu mcmbi u intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda.
207 a Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri.
207.b Corpcracb malam formationcni morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^*
Ccrpcra in nun cro n.oibofa cxcrcitationibus vti pofluut 208. d Corpcra
zpriiudinc in fitu laborantia nulIt. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua
(ic caufa /^'^' Corpoia valctudinaria ^ n3 fub fc/m huV 4 itts t. Hi>
au^oris fnhm pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita
gencrcnc iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e
corporum f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c
corpus perfeda fanitate prxditum potius mente confiderari poceft,> quam re
ipla inueniri ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione inueniri dixit Gal.
ibid. corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob id
excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida, vehcmenter, &multum
exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc, et ob hoc mulca
cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^hæc
AriItocel. fencentia quomodo ficincelligendaconciliator exponit ibid. corpora
in æftatc potms, quam in hyeme funcexercendæx Anft.fententia.izo.f corpora
quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida et humida
moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida et humida
mulcis, et vchementibus exercitationibus mdigcnt ibid. et zjo.d corporaabijrde,c]uadoq,
lacdutur, qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj 5.a corporis carno/itas
mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto minusa fole calefiuntfccu
duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora luxara tum hominum tum
quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur 3^54^ coriceum in
paL^ftra vhiham crdc.zo. f. et quidclicc zp.c.87.b corycus quid cfTct cx
Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc follcm
intcrprctatus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu. 1/ 8.&
i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx Hippocfenccntia equicacio
eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios. 1 8.f craffi luando cibu
dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^ uioibi genCre
captusfiiit,quo carncs ab oftlbuscadcbant J.a cracin*' poeca cur faJtator fic
vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a &dircun. Z5:8.c.
et /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f criptoportids antiqui ad
deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a crifijafii forma ex Oribafio,
quasnata fuerit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h crico mcdicus Komar fub Traiano
floruit • Z4f.c crudos piJæ Jufus Jardit 243. b crura infirma fdtatio
corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5 ^.e cruftuJari; in
gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in ægris curandis anciqui mcdici
vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinæ pars ob neceftitate prius eft inuenta,
et a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c curz fjnnm corpus conferuanc ^.f
currendifaculcas a natura daca cft aninvalibns ijya curfus ccrcamcn
Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo diftcrac. z y i. a currcntcs
hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura zzo.f currentium fpiritus anheJat
zjz.d curribus faciedis marcria apta e abies.iyi.a curribus manu dudis
rebricitantes, vt inquit Herodotus, vtebantur et quancuni fpaci; pci ficerenc
171. e curribus ois gcneris fani vtebantur. ibidi" curribus tcais
principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus ibid, curru tcfio Plinius iunior
propter oculorum infirmitatem vtcbatur ibid. currus niulta apud antiquos crant
gcncra, et q et quo rimilia,& djftimiha erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab
Eiichthonio cft inuen. i7i-a currulis vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo
honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus
abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi.
cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata erat 171.^ currus duarum rocarmn
antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi: rourum Phryges muene(uat ibid;
Curcus. Currus fcx rotjrG Scythac
inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamCm ludos oly mnios
quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l.
rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b
Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita',& i4y.c.&infra. Curlus trcs
funt fpccics cx Antylli fcntcnIi6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. .b
Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis atqi
cpiIcpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus cjuifint&
omnino rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt, et qui a
rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,& luucc. ibiJ.
Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run: cxulccratiocuratu. ibid.
Curluspcdcs et crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula cx Anfto.fcntcntia ca
putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus inpoltcriorafjclus
quarnain auxilia cx Aniylli lcntcntia corporis partibusprxUcc iji.c Dutius
pcracdiuia, et dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc nudo faftus quid c/Hciac .
Curlus nuo tpc magis Gtfacicndus. D
DArcs apuJ Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. c.i^y. pcr totum
capur. Dcambulationib.loci
apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit (pcs c et infra. Mi^.c
Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis ctfc ftiis qui fint. ibi.
Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic Jbid. Di amtiu!ationc pro
inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur itfo.f Dcambulationc proidcricis
curandis Archigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio pauca quibus nam conucniat Ui d
Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin
dificrcntir, a loco liiin- pt.r qux fint z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s
aducrfarium vn^uni et finc pulue rc lupcrJUit 33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura,
et finc puliicrc fuj)pcrjuit ibid. Dilius quot ngn:ficjt.& quæ 123. a Difci
cxcrciuciu fuit antiqua. cius vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125.
c Difcus tobuftjs corporibus conucnit. f Dilci cxcrcitationc loco pcrg
itioni.s,& plilc botomii, fi quid impcdut, vti pofrtimus cx Gal auihoritatc
257.C Difcobjli I2Z Dilcus a ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum
diftcrt ibid. Difcus ab haltcrc dirtcrt
D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us quis fit
ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp. locum
pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n 25 7 0
Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b
Dracunculi cu ca ci tira et br.uhia multis cir ca marc rubium Jpparucrunc,&
quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I. Dropax qind fit 213.C Dubiiaricncs duac circa
cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo (itinuentf:,&
cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in palcftra vbi nam
eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle ftica fada iuuantur.
2^^.a et in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs Acgypto famiharis quo tcm-
porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci Argtcuscurabat. C.& vociferationc.282 c. Cclfus de
ambulationc.26 j.c. Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima
iuuat. ^o4.d Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem
pufillum, et Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam
crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum
meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to
recDiicirm quofdani curaiur 275 b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re
non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE
vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c
cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. et Æt.cu- rabant ibid. epilepti.curfus vchcmcns
ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e et loga et rcdaam- buiatio tx
Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio
ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio
omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a
cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat et ciu.s
inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. et 170, d cius
vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi-
ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid.
cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs
curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi.
erafiftratus mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem
cxcrcitatione inutilem ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor
qLus cxcrcitatio- ncm inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per
inedia trium aut quatuor dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius
eft damnandus,qui multos gro tos dcambulationibus poft cibum cxcrcebat
crafiftrati loncs foluuntur. bid. et infra. c erafiftratus malc a C^Iio
reprchcditur . paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs
ludicabat. 26^ £ Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f.
vtih- tas et nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. .C ercftumftare
antecibi fumptjoncm quo- modoiuuat ^. c crcdum ft:arc multas habctdiffercntias,
et vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos quid fa- ciat
crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia cryfimachus mcdicusad fingultnm
curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j ^.e cfculcnta lu cibi tum rcmcdij
caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas regis medicus,& Antonius Mufa
fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida nionftrarunc 47 b curipidis
fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis modis e corporibus au fcruntur
ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca multas morborum fpccics
gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc m.igis incaLlcunt
ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin cxcrcmcnca in Iiycmc
cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum fcucntia fcm- pcr ancc
cibu n a lanis fic-ri dcbjc. cxcrcitjtioancc cibum dupliccm vtihracc aftcrt
2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt obfcruarc 1 cxcrciiationis fadx poll cibum
nncnmcn- ta,qu.t fint .ii excrcitacio non dcbct ficri vbi Itomachns cil valdc
vacuus,ir(ium hoaunu n quant.i clfc dcbcat,& dcoilium ibid. Excrcitatio
fcnum minc^r cfTc dcnct quim, cum luucncs clfcnc ibidcni Excrciiatio hycmc
fada'citra fudorcm ficri dcbct Excrcitario ucre fafta vfque ad fudorcm
fic.idcbct ibid. Excrcit.it o Autumno fafta minor cffc de- bct ra.quar xlbic
fit ibid. ExcrcitJtio iiulfuccorum qu.T, et quanta c(fc dcbct 2jo.e txcrcitatio
immodicj oibns nocct. 2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i. ibid.
ExcrcitJtioncm luucncJ quando dcbcant incipcrc ExcrcicJtioni pcragcndx qui
modus cft adlitbcndus ibid. Excrcicationcm viri quandodcbcant inci- pcrc ibid.
Excrci- Excrcitationem antequam incipercnt anti- quiquidnam fjceient ibid.
Exercitationem Ifatim poft cibum nemo dcbetmfjpcrc f Excrcitatio prius remiflTe ac
debiliterincipi dcbet,dtmde paulatim jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis
cognitio, fiue vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira
a34.e BxercitJti ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere,
&in loco tcpido et temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis
[incjpiat, quid nam faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft
cxercitationcm debenc quiefccre, ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c
Excrcitationis modus Sc ordo totus .itK)nc incjuibus morbis cunndis A •
(clcpiadcs vicrciur 295 c.& infra Gclbtio ui nuripcrcurbato ofTinino fu-
gicnda,bid. GclUito ia iTiari traquillo fada quid cifi • ciJt ibide.n
Gclhtiofine additionc acccpta quomodo ab authonbui capinur i^T-a GclhtK)
vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut, 5c quibusnon conucniat ibi. Gclhdone in
qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297 c et infra GclUtio morbif diuturnis
prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c lci5^ica fj {gfli yti pof (unt morbu iam
inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto auri fadar cflfcctus . Gymnafta nuHut
antiqucrum fcriptorum fulficicntcr tradiuit 7.a GymnaGa qur njiii fucris :
Gymnafia quare » et a quibus pnmum fint inucota ibid c GymnaliJ dicbus feftiuis
magis frequcntata crant,& quarc a
Gymn:r:iim cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt 4oC.ri.nLcntia dc houmie
co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i cemperata fuit Hippo.iudicat,
Ibhs r.idios capitibus humants m i^nasnoxjsalFcrrc 26 6 e Hippo.Hcrodici
Scly^nb: lani difcipulus aricm mcdicjm illultrauic 2.d.4'i.c Lsboribiis
ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu i^^-^-^yO.S Laborc^
mcdcrati quibus nmcorponbus conucniant 21 5.b laborcs vchcmentescjuibus nam
corporibu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc cxcrcebat 187. c
Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod pucros niirijs liboribus affligtbant. 2 28.f
Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu Ijbor.intibus ohlic
261 d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra mobilia habcns quiJ
fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip antiijui mcdici
vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f
LcdispcnniibusjCelfoauLhoie, quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus
gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\
inucnia. ^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c et inf cius
vfus. lyS.f et 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vctitum LcOica
noftra cui anticjuorum fcllccorrcfpondcat I7y.3 Lci^ica in languciibus aniiqui
mcdici vichjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat i7J.c.& 2yp.b
LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj (cdttcs.cjn.i vii
polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dcbcat I77.b Ledionis
fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio quomodo ficri dcbeat 2
8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti poifiiirtis ibid et inf.
Lcnti laborcs quibuldam corporibus ronucniant 2if.b Lcilurgica fcbrc I horjnies
in Ic(flica dccuml cntcs vchcbjniur 2^p.a Lcucophlcgmaiia corpus totum
dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo, ijuid /ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s
notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d Libarij in Gy mnafijs liba
vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus pcr vrbcU' ItftJCj
vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna, et huiuiuiodi .nlia
funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden tcm fpcftantia lunt
mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres conditionc.s& (\i\x
ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus, Tbi uocis
cxcrcitatio ficb:^t, Luduii) cur intcr
nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d Ludi B.iCiho
dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, et qui magui 64.
c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c Ludajpræfcdus,& eiusonus
^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis fieri potcU ^ 24*.e f Lud^fjriæarcis
au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im G.ilcn.artis gymnafticæ minimam partcm
c^ic ludicauit f.cius jpud antii)U()s
matnus vlus fuit 244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici, quoinodo apud
auticjuos aihktx excrtcbant i44.c Lufta vchemcnter, et corporc crcdo fafta quid
corpori pr«lK t 244. f Liida habentib.crura d( bilianoccc i4^.c LuCta cjui
rationc pefton uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,& quomodo 8.e Medicina!
cjuando opus non cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt duicrfap,diucrfa cti.Mn
nomina fcrtii.T lunt j b Mcdicus quomodocorpus hununum co«fidcicc li.C Mcdicus
I « M I w w Mi M W u I McdioKcft artifcx trcs fcnfaias iraftans 2X1 d
Mcdtcumcnta «luofdani luuant, quofiljm Kxdunc iif6.c >1cdi.jltini in balncis
c^d faccrct 30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1 hcodorus Pulcianus curabjt i45'3
^lclaniholici, dtim lcgcrcincipiunt, ^ur lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I»
odcrui Piifciai.us, et Arccjtu^ gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe
baincu cr^nt lici%& i]ua rjiK iic j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos
parabaniur 56. ( Menlhua ranicatcm corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2
M* ^ dcambuUcto * 26or.t^3.a Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mnotuit 4f
Mctforcs ciuayccaufaa uiAu iaordinato 5: prauonon la.djncur Mcthodi vniucrfalcs
cx Gai. fcntcncia nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant
i8y b Militaris diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrcdicbaoiur 2tf.c Milo Crotoniata
f ir robu(li(Iimus. 67 2 NatJtionis
locui c^uid fit i^i^c et 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio ijuibu-da
argritudinibus cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C Nataiuri
i)uid agcrc dtbcot,antC4uam natcnc Nacatio inicr cxcriitationcs numcrai 18 j.a
Nacationcm cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i l^uuio f-^a
fomnu inducit So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani Aniyilus
iipprobac 3®3«c Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio fjCta
cjuid c pcictur C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic Aniijuihorc
ibidcin Nacacio cahda indurata cmoiht, et frit,cfaaa calcf-CiC &: tius nocuincnca
304 f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum (Hlicir,& conicdiou( n)
adiuu.t ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti, ii ^uis viatur, ncrui ixduntur .3?^»*
Naiuiar caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt i96.( Naturar hon.inum adco
diuci fx funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis ly^.e Narura coijoribus
lioliiis mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis cjuics cmucnit 206. t N.
u luatio an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus nioibis autliorc Auiccu* X
fiotit. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis modus valctudinanjs conucnieris qui
fic cx Herodoti lentetia 179 c N.iuigitionis fpcciesliinc mulcæ, et qune&
175? C.301.C Nauigacio pc^ flu nen fact i minns perturbacquam qu^ per ni ire,
Sc quare, quibufdam murbis conueriiac i8o.d Nauigjtio incer cxercitationcs ab
Antyllo numeratur I7y.a Nauigacio corpus raouct,& pcrturbac ibi. et quare
i8o.d Nauigjtioncquinam vtintur jbid. Njuigantes Ciwn mjgiscolorati ijs, qui m
paludibus dcgunr,& qua de caula 1 8 i.e Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl
Anneu Gallio fangainem exoucns 17^ b et ^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint
inftitut e. 180eNe)iei ludiapud Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia
icdtica vii pollunt,& qua de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima
prodeit . 303,3 Ncrolmp. gymnafiaquindo; ingrediebitur,vtathierasccrtantes
videret 26 c Nero Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum
macrc quandoq'^ vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea
caniicacxclamabjc ^60. d Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Æiculapio
fic curacus a mmii illa crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3
4.C Numa fccudum Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit
rcru fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur faltationc i4o.e Ocuii
lippictcs, et lachr-ymofi d quantumuis mimmo motu l£duncur,quiete vero
rccreantur. a.b Oculorum
circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d Pcrljp v;rtu\ rationcm,
cxcrcitationc.n il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis bborct lOr^Hiris Cyrus
inditUiUnrc abi luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu 1x4 PotuLiicj (u ciui
tu ii rciucJij CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ V vnJc diratur S^-f
Phcrous d lco Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus nudicus pofluuium lcininis
cicrcit .iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c curluk Aiuyllus 190 f
PhiUiiiv)ua Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e nam cffct. ^4 d tudjtlt nauigations fpccics,«ia
Pilcjiorcsroanrini cur pilos rutfos habcac Pilcina pub.Romr vbi mm fucnt 1S4.C
Py.h.igoras c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f Pythagoras voluit aj
jratiuncs fcJcnJo ticri i b
Pyrh"Chiacfjltat'oi t im»,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d uc
5c p.r-r.uij'tc cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit. 1
o.d Py hici InJi Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur 181
c I'1'roni lcnt. ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt
mujicrcs nuJx cnm vins in pjl^lha cxcrccantur C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta
fuiC 7 1 .c l'lato uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc et pucri et virgincs,&
niu lic cs, et ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur . 116. d
P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll H d Pijco
diCic njcurjs diuinjs cx motu et ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti vcrlus dc
ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt aihlctas
alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d Pilinms
miior diim vocc ik it >m^clio Uboraret,lc«ftione chra liberjciis cft zSf.b
Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla vtebatur, vt
intcr cundum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis (anicatem ven.itioni
rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc deleft.ibatur i Sj.a Podji»nci
faltum dv^benr fugere. i n»3 trochum 289.C Pidagrico. Icnes et rcmifT* iuuat
deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c PodjgriciTral. fentcntia Icdtica vti
poflfunt et tiu.i de caufa ^99.\ Pofis fecundum Simonidcm eft faltatio loqucns
96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c Ponb nau.nachiarius quarc fic vocatus flt
. Poppca Domitij Nero. vxor, quid faccrer, vt cutis candorem acquircret 1 7 . A
Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit lyj.c Porticus tres extra
palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant partes gymnafiorum
piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus Pompeiana ad
deambulationem ædificata Porticus in viridario Vaticano qualis fit . 135. A
Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in Pamphilia homincs pcdi bus
priuabat c Prandium apnd antiquos quij
c^fet r i-f Prafinæ fa£tioni maxima ciuitatispars fauebat i68e Prafini crant
una faftio Romana ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras
rcprchnditur, qui cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus
curare nitcbatur 26 i c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A
PriapifiTJum p'\\x magnr Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc
|i5^.e Prodicusacgra corpora cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab
Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e
Propn^geulpalæftra vbina crat. xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum', m
cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie
vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud difcum ( fljuani philofophu audirc malunt)
vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium
trjnfiremeram ii^.b Prouerbium contra eo$,qui nec litcras, nec natarc fcicbant
idz.c Proucrbiu a mari et terra fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b Pueroru
geftatio in vlnis nutricutn eft qiix dam ipforuin cxcrcitatio Pucn poft H;ppocr.
æcatcm podraga labor.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4 e Pucri
frcqucntifli.nc faltationi opera dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis, et Ariftot.
fcntentia dcbcntaddjfccfe 1^0. d Pucri a ploratu ex Ariftot. fcnrcntia proht
beri no deber,& qiia dc ca. i/^o.f .6 Pucri Gal tempore in aquispueriles
ludos exerceb-int 183 b Pueri vfque ad vigefimum primum ætaiis annum labores
muJtoi indiffercntcr fer^ repolfunt 228. c Pucris perironf um aut fcrotum
fpiritu rctento rumpitur 28o.e Puellaj funt ex Piatonis fentcntia gymnaftica
bcUica cxercendæ 66.£ VucWx pulcherrim^ fingulari ccrtamine cer tabant 144.C
Pulmonc vlcerati,inculpati viucbantin Ly bia i73,,c Pugil quifitcx
Arift.fententia 70. d Pugilatusante bellum Troianum fuit in vfii iu7 b.fanitati
parum confert. 247 A pugilatorcs quomodo certabant 1 07 c pugilatusin
gymnaftica mcdica exi?uuin vfum habet "loS.e pugilcs vocabac veri nthlc f
fm Gal. loS.f pugilcs,& athlctT aliquand j in Deoru numcrum relati 7 1 /\
pugihuu imago i02.b pulueribusin multis cxcitationibus antiqui vtebantur,&
qua de caufa 236^4 puluis uim habet cmplafticam cx Galeni fententia 23 8. d
^u^ilatus nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit paruui LulUs in gymnaftica
mcdica d pugn.B nomcn plura fi.^nificat i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit,
quidcflcj et quoc Qot eiuj fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a
Fuona > mbracilu cjuomodo ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo
ficret ibid. Pugna firgului is tjm n t d«ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t
xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni
^uinam >tcicniur. 14 >.c.X7J.a Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur .
i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani
cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt
inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc quid prapftarct
j.a et 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^ annquitatis
pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^ laucntx QVatUans
crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora abcxcrcitationc quomoiio
iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc ccitaucrunr. 171 c Qii:^rtana
bborantcs, vocifcratio iuuat Qumqucrtio qui fit cx Ariflo. fcnicntia. 7o.d.c
Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadccumbcntcs vchcbjntur a^y a R RAucnnj
Strabonis authoritate acrem fjlubrcm habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc vcnationc
C Rcncsdcbilcs I.Tdii faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium njtura eft, vt
profint,& abquid cnam c^ftcndant 1 51 a Rcnibus malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc
Rcnum lapiili optimcialiatione otrudunrur 240 Ci54f Rcru imbefillitate, vcl
feruore, vcl \Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J et dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni
tionc laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b Rhjmnufi nu^ lapis, in quo
fculpta cl\ fbrm.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56 Khcforcs in palacitras ad
difputandum con ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis raria noU Cirrire funt 203 a
Rcfoluti Tral. fentcntia lcAica vti pofujir, et qua de caula 19^ a Rdpirjtio
ctcbraium ofcitationuin cft rcmcd.um a7P.a Ilcurdurcs in balncis qui clTent
50.^.63.« Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^ qCo fiji,& quid cfificiat 16
i.a .6 Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt
18. £ Kcmjni in bulncis mulio græcis lafciuiorct Romani fuos miliies et mari et
tcrra cxcrccbant iSo.f Konunorum n^uliercs Varronis tcnimonio in cc dcni loco
cum viris lauabaniur. 48 f oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct colliquatiuam, et idco
bibitus gracilitJtcm inducit 2^7 a Rot^ curruum Homcri icmporc ftanno or^
njbantur i7i.a RuHus tphcfius Romac fub Traiano floruit 145. c Ru.tati eraot
voa fj^io Romana l^S e S SAItantes pondera aliqua habcbant quorluiii 1x8.4
bjita^oria: cxcicitationis fpecicS|& cius diuiiio 81 Saltatoria facultas in
imitatione foio mrtu fjda confiliit fi6,£ Saltatio fccundum Simonidcm eli
pf>efis tjccns 96 f et inf, Saltatio vcra i mufica fccunduui Plutarchum
dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis inucntor quis fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa
nomina vndc fitoria» 97.C Sjltationis finis 100 d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt
loi.b Saltationcm antiqui in conuiuijs exerccbic 10 I c SaltJtio qurqi
antiqiiorum ordine, ronc, et proportn nc indigcbjt ijy.b Saltaiio opportunc
fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm inoppoitunc jdminifirat^ multa
dctrimcnta iionum prriiat . c SjIius viilitjs,»ntingunt, (]Ui Ic cxc:cucrunt,5c
ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi concodioncn» mcliorcm efficiunr.S: quj dc
ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc fpcculatcs. Somnolciiii ciir fiiu
dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo »'jciat •
} • a. cius rpcc:cs.i5} b.cim vtiliiJS.X78 d suibus conucniat cius nocumcnia.ib
d b Spiriius cc hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis
vicba t«r, Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis no.d.f
Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcunus,& Arctruscurabant Spuni apud
antujuos m.igna infamia nocabantur et a nobiLum commcrno cxtrudcbantur, Spurma qua vi^us rationc Spurini nnJiOi fanitnrc cofcruaJa.Spura
corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*. Stanscxcfcttium ' Starc maio: ci.
corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,& quarc
Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do nihitn.li molcitumattcrt
»71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo „.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A
Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i StcVcoracorpascxInaaiunt
Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i f.iCta cik ^-^ Stomachusin
coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur Sio.nachu n frigidis morbis
opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB rctcnto Cxl. A'»r. cu-
rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij gcftaiionc Stomach 1 dulorc
Thcodnrus Pr .fcianus, « ArctJTUs gcduionc curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui
curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C Scomacho l.>borancibus vnftiones
cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat Oa lcnus . . »8'' Stomachicos
n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum quid cUcnt, et cx qua
inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7 A Sudorcs corpus cx
luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor finc motu
proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc caufa manus
cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus qnisfucrit Suc
omjlocusdcrcincdioh.ncnaru et aru dinii.Aiigu :ti,qu.j fit mtciligcdus. 264 t
Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius
gciU- tionc curabant ^973 a Theon Alcxan deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui
pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv /Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit
. is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr.
fcimpodio quandoq; re- hcbatur Timonis a v.\i Juobus nicnfibus, finouiis annis
in cufC-nis IiticabJt " y.a Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus
jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd tibiam pugnis certabant 107. c Titus
Imp.hujbatur,vbi et plcbs 16 f Titus In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a
Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus.
Thorax humidus ambuKirione fada cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax
difficultcr fpiras deamhulati' ne p accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5
Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b
Tricliniuin marm orcum vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6
Tryphon dc atbleiica fcripfic Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor-
rcfp6det& in quo .ib illisd fferar 239. b Trochus græcus (|uomodo fiftus
cflct no- bis cft ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat
2op.c Tubi perquos circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3
Tubicinibus ipiricu rctcnro pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos
gcftatione Actius curabat 298.e Tuflfis (icca, fpiritu reteto,curfu no in pul
uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia 2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius
cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius
Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs cæcus
quo rcmc- dio, oraculo pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob
rc^cpniar contra Fuchfiuin, fol- Icm et Corycum diffcrre Valcrudin.jnj quomodo
Cwt C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum
erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b
V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda
curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat
Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lufus Vcrtiginofi
luftam vitarc dcbent 1^6. c et curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2 f& trochum.
201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c. cuiabat c:iam
difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora p.ifllo vndc omtur
i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant ^ ^ VcrcJuN cr.u
vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni conuiuio .iccubuic
54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur VixapuH vctcrcs grarcos qux
hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt 7 or.inccs lcdica vti
potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli pro- lunt.vt Gtllius
rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons ladu crat iucundtlTima
y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym- n^ifticabcllica t xcrccnJx 66S
Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non muhcTcs y?c Viri apudantiquosquoium
niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid intcliigat hic auftor. iiS.c Viri funt
tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i i.r Vilus dcbdicati . Jt oOicuritjti
gelbtiorc- tio icrla facic tjcla, Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d Vitruuiosfl
iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius auihorituv apud jntiquos parua luir.iKid. VlccribuN
quictc curandis llarc et lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus intc. nisjCf 1 et Cel.
auihonbus, dcambulauo rcnv^a, et molLtcr f-^da prodcft i6\.c Vnftione qui nam
vtcrentur 30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis finif 3 3 c Vndio poft
balnca quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo ticrct, cii !n- ccnum
^d VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui vtcb.«nrur,& qua dc
caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64
f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum,& crroncum ligniticat 1 i8 d f
^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the Bibli REGISTRVM *
ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX. Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X qui
funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu. VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i Grice: “Mussolini
said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the
word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali.
Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Mercuriale.
Luigi Speranza --
Grice e Meriggi – il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Como, Lombardia. Citato da
VAILATI (vedasi), “SCRITTI” – “un appasionato”. Progetto di lingua a priori, il
blaia zimondal è elaborato da M., professore dell'istituto tecnico di Como. Il
blaia zimondal parte da un principio fono-simbolico. Ciascun *suono* possede un
significato naturale (Grice) o *senso* generale corrispondente al suo modo naturale
di formazione fisiologico – fisi, NATURA -- luogo e modo di articolazione dei
foni. Così ad esempio -- a, vocale aperta, esprime ciò che è grande, alto,
forte, bianco, evidente. -- i, vocale ANTERIORE alta, per il fatto che è
prodotta serrando quasi completamente la bocca, esprime ciò che è piccolo,
basso, leggero, interiore -- u, vocale POSTERIORE alta, esprime ciò che è
basso, scuro, pesante, lontano, futuro -- p, consonante occlusiva bi-labiale
sorda, suggerisce idee di forza, pressione, pesantezza, caduta, blocco
repentino -- k, consonante occlusiva velare sorda, simboleggia l'idea di
solidità, di siccità -- l, consonante laterale, esprime le idee di fluidità, di
morbidezza, d'elasticità -- r, consonante vibrante, esprime le idee di
rotazione, rapidità, rumore. L'udito dei vertebrati si è evoluto principalmente
con questo scopo: identificare la natura degl’eventi a partire dal suono che
emettono. Solo più tardi l'udito è stato ri-ciclato dalla nostra specie per
servire all'apprezzamento di parole o musica. Ma il ri-ciclaggio è stato solo
parziale. NOBILE (vedasi), VALLAURI (vedasi), Onomatopea e fono-simbolismo,
Roma, Carocci, Bussole. La capacità di associare dei suoni della propria lingua
a suoni naturali è, a detta di VALLAURI (vedasi), professore a Roma, propria
degl’esseri vertebrati. In sostanza, cioè l'uomo è in grado di produrre suoni
che ri-producono avvenimenti della realtà e di associare a questi - più o meno
consciamente - determinate idee. Così,malgrado l'alto grado di formalizzazione
che i suoni del latino deve possedere per funzionare da supporto del sistema
morfo-sintattico e lessicale, esso conserva dunque una prossimità sufficiente
ai suoni naturali – nel senso da H. P. Grice, ‘fisiologia razionale’ – natura
-- per surrogarne l'originaria funzione biologica di indizi percettivi degl’eventi
rumorosi. Sul fenomeno del fono-simbolismo è comunque consigliabile una certa
cautela. Ad esempio, sebbene il suono vocalico [i] puo ri-condurre alle idee di
piccolo, carino, soave (cfr. it. 'gattino', 'micio'), e il suono vocalico [o] a
idee di grandezza, mascolinità, robustezza (cfr. it. 'colosso'), non possiamo
ignorare i numerosissimi alegati contro-esempi, sia latini o italiani (cfr. it.
'massiccio') che non (cfr. ing. big 'grande' e small 'piccolo'). «fl» esprime
il senso di fluidità e liquidità insieme (cfr. lat. FLUMEN, it. 'fiume'. L'associazione
di significati – SEGNATI -- a singoli fonemi e nessi consonantici è un tema
ricorrente nella filosofia a partire dal Cratilo di Platone, che riconosce ad
esempio alla lettera greca lábda |! un valore di scivolamento, come dimostrano
le parole greche léia 'cose lisce', olisthánein 'scivolare' o liparón 'unto'. Anche
il matematico e crittografo inglese Wallis nel De etymologia sostiene che il
nesso consonantico [sl] veicola l'idea di scivolamento -- cfr. ing. slide,
slip, slime, slow. Ne discorre ampiamente, in tempi più vicini al filosofo,
anche Brosses nel suo Traité de la formation mécanique des langues et des
principes PHYSIQUES [fisi: natura] de l'étymologie, in cui sostiene che il
nesso [fl] evochi l'idea di fluidità - cfr. lat. fluere 'fluire', fr. souffler
'soffio', ing. to fly 'volare') e l'italiano CESAROTTI (vedasi) nel suo Saggio
sulla filosofia delle lingue nel quale, trændo proprio da Brosses la maggior
parte degli esempi, riporta proprio il caso del nesso [fl] della parola latina
FLUMEN come espressione di liquidità -- Per approfondimenti sull'ideologia
linguistica di CESAROTTI (vedasi) vedasi BAGLIONI, L'etimologia nel pensiero
linguistico di Cesarotti, in Cesarotti. Linguistica e antropologia nell'età dei
Lumi, cur. Roggia, Bari, Carocci] «bl» esprime il senso della parola; «kr»
ricorda le armi e le macchine; e così di
seguito, con l'abbinamento di ogni suono a una determinata capacità espressiva.
Se il singolo suono contiene gia da sé un significato [NATURALE, o megliore,
FISICO, O FISIOLOGICO], combinando i suoni a due a due è possibile costruire
dei significati più complessi, risultati dalla somma dei singoli significati. A
questo modo :«pr» la pressione rumorosa. Con questi elementi è possibile
formare delle radici monosillabiche corrispondenti a delle idee precise. Ad
esempio congiungendo le sillabe «kl» (composizione delle idee di solidità e
fluidità insieme che corrisponde praticamente all'idea della costruzione,
artificiale e naturale -- e «am», che esprime l'idea dell'amore. La sequenza
«klam» INDICA il concetto di 'casa'. Ma «klim», che rende l'idea del piccolo e
della costruzione, significa 'stanza da bagno'. È evidente che tutte le radici
di sensi vicini si formano tramite la combinazione e la variazione delle vocali
e delle consonanti. Sebbene si tratti di
una lingua a priori, cioè non derivata da altre lingue storico naturali, vi è
un caso in questi due sistemi linguistici si incontrano, ed è, ovviamente,
nelle onomatopee. Essendo il blaia zimondal una lingua di tipo filosofico –
alla J. L. Austin, “Sound Symbolism,” Bodlein, consultato da H. P. Grice -- che
vuole dimostrare la vicinanza dei suoni della lingua ai REFERENTI extra-linguistici,
le espressioni linguistiche di suoni già presenti in NATURA non possono che
essere modellate su questi stessi. Così ad esempio si ha «uul» per 'ululare',
«meua» per 'miagolare, ecc. Non mancano comunque casi di somiglianze con
altre lingue realmente parlate, e in particolare con le lingue romanze e
germaniche, forse retaggio della provenienza linguistica e della formazione
dell'autore: «bank» per 'banca', «ordo» per 'ordine’. Cesare Meriggi. Meriggi.
Keywords: deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Meriggi”.
Luigi Speranza -- Grice e Merker: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna
abbandonata a Nasso – la scuola di Trento -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Trento). Filosofo italiano. Trento, Trentino. Grice: “My
favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The
fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse
un periodo di ricerche in Germania. Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma.
Cura edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e
dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato
dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea
di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da
ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre
egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani,
fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini
della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora
della luce della ragione ; Lessing e il
suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti
Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le
interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza;
Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma,
Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il
sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue
lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della
filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i
mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del
populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e
opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma,
Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma,
Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel,
Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My
favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con
la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács,
Scritti politici Bari, Laterza, Herder,
James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing,
Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma,
Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt,
Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma,
Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il
popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La
scimmia e le stelle, Roma, Riuniti, Maj,
Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società
civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un
secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma,
Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster,
Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della
filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.
La discreta classe delle idee. E’ Merker,
asul sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le
riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra
storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su
uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di la scuola materna e le elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la
prima classe ginnasiale. Trasferitosi a
Trento, continua ivi la scuola media e il ginnasio-liceo fino alla maturità classica conseguita al
Liceo "Prati" di Trento.
Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Messina,
si laurea ivi con 110 e lode in
filosofia e una tesi su "Hegel e lo scetticismo". Con una borsa di
studio è a Napoli all'Istituto italiano per gli studi storici ("Istituto
Croce"), e poi in Germania un periodo di ricerche. Alla Facoltà di Magistero di Messina è presso
la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente volontario, poi
straordinario, incaricato e infine ordinario. Nella medesima Facoltà,
conseguita la libera docenza in Storia della filosofia, è stato professore
incaricato di Storia delle dottrine politiche,
temporaneamente anche di Estetica, e, a concorso vinto, professore
straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha diretto l'Istituto di filosofia
e per incarico temporaneo anche quello di Letteratura francese. Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia
moderna e contemporanea della Facoltà di Lettcre e Filosofia dell'università di
Roma "La Sapienza", vi ha
conseguito l'ordinariato ed ha poi continuato la sua attività Facoltà di Filosofia di quell'ateneo seguito per
l'insegnamento di Storia della filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è
professore emerito dell'università "La Sapienza" con decreto
ministeriale. Nella Facoltà di Lettere e
Filosofia ha presieduto per un paio di anni la
Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella
Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione
scientifica del "Centro di servizi
interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia
ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni
universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia,
nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni
a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative
culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica
di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei
licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli
studi filosofici di Napoli. Per
formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a
lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese,
francese e spagnolo, familiarità con il
francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non
ha capacità e competenze artistiche.
Studi e ricerche Iniziali
attenzioni per la logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella
monografia Le origini della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi
per periodi fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma
(ad es. con un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo
illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di
Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore - intramezzato in Dialettica e storia da un tentativo di
bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro
un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare
rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la
monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar. Studi specifici sono stati dedicati al
pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini
tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.
Con un'appendice di testi e
documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il
marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo
vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura
di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels. L'interesse per i problemi rimasti aperti
nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di
nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del
populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli
di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà;
Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica
della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere.
Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti
con le ricerche precedenti sul populismo.
L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle
idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia
filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo
filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte
riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia Complessivamente le pubblicazioni - tra monografie, articoli vari, saggi, recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a
convegni, testi in opere collettive -
ammontano finora a molti. Di cui
sono monografie: Il nazionalsocialismo,
Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del
populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà,
Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli
di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli
austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una
cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing,
ediz. rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel
giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e
storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco.
L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano.
Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo
d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata,
giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek
ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Messalla: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Garden. Friend of Orazio. They study philosophy together. He opposea
GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes his peace with Ottaviano. He writes
philosophical treatises. Allow me to address briefly the L’ORTO philosophy
within the context of the difficult tines covering the years which witness the
downfall of the republic and the birth of the principate. In 'L’ORTO in Revolt' (J.R.S.) Momigliano takes
as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO who rapidly comes to the
conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated because of what appear to be
his tyrannical tendencies. The author emphasises that during this crucial
period the adherents of the L’ORTO philosophy did not maintain a passive
political aloofness. While some followers of L’ORTO actively support GIULIO in
a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio Torquato, Trebiano,
L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence suggests, L. Saufeio and
Statilio. Monigliano concludes with the statement that on the whole, the events
prove that Cassio is not an exceptional case among the contemporary L’ORTO. The
majority stand for the Republic against Caosarisa." Horace seens to have
felt an antipathy tovarda Mbullus and his patron M. which may be explained to
sone extent by political factors, in particular the strong republican
sympathies which the latter still professs under the principate. Of M.,
Monigliano notes that ORAZIO writes of him, 'quanquan Socraticis madet
sermonibus', a dubious expression, but the Ciris (whatever its date and author)
shows him well acquainted with the L’ORTO circle, and his leader is, as he
proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.). I suspect then that he is
a definite member of L’ORTO. It is, then, I think possible that M.'s political
persuasions are coloured by his philosophical thinking and that his
intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an ethical nature. Monigliano,
arguing along the lines of Diels, maintains that in a passage of his treatise
on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a political viev: "the words
reflect the indignation of a man who sees the defenders of the Republic play
into the hands of the tyrant. Similarly in his treatise on death the same
philosopher recoends that sen should be ready to face death in the event of
political persecution. Followers of L’ORTO are capable of reacting decisively
to political circumstances, this being a major point advanced by Monigliano who
maintains for instance that the sane Saufeio is not outside politics absorbed
in the 'interrundia' but that he mingles philosophy and political action which
probably acoount for his being exiled and falliag riotin to the proscriptione,
and that Cicerone’s friendship with a number of L’ORTO is based on the faot
that adherents of the philosophy possessed political feelings with which he
sympathised. Both democracy and the non-tyrannical state find approval in the
L’ORTO theory of the social contract, though the adherent of the philosophy is
generally advised to renain outside politios. When ve consider M.’s resignation
fron the office of 'praefectara urbis' on the grounds that the pover with which
he vas invested was unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect
that republican scruples combine with his adherence to a philosophical mode of
thought which preached political aloofness, affected hio decision. His is a
detached involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and
resignation from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy
between M. and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy
opinion reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations
about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its
ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which
would contribute to the welfare and strength of the state which the poet
manifests. Disambiguazione – Se stai cercando
l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che
probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente
l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata
nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. GensValeria PadreMarco
Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolatoin Gallia Comata. Militare e filosofo
romano, patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens
Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco
di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file
di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo
Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere
gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme
ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In
seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo
alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una
rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito
riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi
giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare
l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia
romana, avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater
patriae. M., letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna
l'interesse per la filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che
incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo
di M.. Tra gli altri comprende Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed
OVIDIO (si veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus
Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre,
console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come
collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la
Valeria, sposa di Quinto Pedio, console
insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex Pedia contro i
Cesaricidi. Syme Wilkes Velleio Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales:
quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus. Fonti antiche, Appiano di
Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio, Storia romana. (testo
greco e traduzione inglese). Svetonio, De vita Caesarum libri VIII.
(testo latino e traduzione italiana). Tacito, Annales. (testo latino,
traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo, Corpus Tibullianum. Velleio
Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. Fonti
storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il circolo dei poeti»,
Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, Wilkes,
Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra, Routledge Voci
correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Olivetti e
Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini.
Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts,
Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open
Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio
Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare
Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana
VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori
romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli
repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori
romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco
Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus
Valerius Messalla Corvinus FigliMarco
Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M.
Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus
o anche Marcus Valerius M. Niger; filosofo
romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola
i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica,
tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith,
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown
and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II,
New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio
Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto
Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani
Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in
the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina. A
member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan
literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio
Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul
Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria Messalina,
the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval Brethren. Served
as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a suffect consul with
Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is granted an annual half
a million sesterces to maintain his senatorial qualifications. Biographischer
Index der Antike, Lucan, Civil War Paterculus, The Roman History, Lucan,
Civil War Shotter, Nero Der Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus,
Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D. Shotter, Nero, Routledge, Lucan,
Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley e Barrett, The Roman History,
Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike, Gruyter, Political offices
Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as Suffect consulsConsul of
the Roman Empire with Nero III, followed by Gaius Fonteius Agrippa. Succeeded
by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius Sabinus as Suffect consuls
Categories: Valerii MessallaeAncient Roman patricians1st-century Roman
consuls1st-century clergy Marcus Valerius Messalla Corvinus Article
Talk Read Edit View history. Not to be confused with Marcus Valerius M.
Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A Roman general, author, and patron of
literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the
Krasiński Palace in Warsaw Print of the Roman General, made by Hendrick
Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his
wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus
Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus
Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew
from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also
named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer. Corvinus marries
twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo.
Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who
married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M.
Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino,
consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis
of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship
of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the
second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting
the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo
Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is
educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes
attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids
offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly. He
is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO.
After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently
transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of
MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds
commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this
latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between
Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He
moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also
resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this
office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have
been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am
ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged
after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary
personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and
the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO
he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first
to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one
printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the
Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the
esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS –
ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death
of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek;
translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and
essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of
the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics
consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes
a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De
progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much
later production. Places associated with Corvinus The so-called
Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that
may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at
Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now
in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in
Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to
Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records
Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani)
located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.
The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian
Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus
is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius
Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the
famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in
Rome. In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei
Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that
had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious
villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt
down. Since its original excavation it was believed to belong to his family
since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on
Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed
building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin
inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave
of Marcus Valerius. Legendary ancestor of Hungarian royalty The
triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in
Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with
Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and
Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion
that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future
Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for
the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants –
for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to
have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was
well-versed with the classical Latin authors. Bonfini also provided the
Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which
the tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a
challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great
size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his
helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the
barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event,
Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as
derived from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus"
and had their coins minted displaying a "raven with a ring". This was
later taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected
with the Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph
over the Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace
in Warsaw. See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms
References Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The
Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R.,
Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics
for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan,
Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by
Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in
Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina,
deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that
the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his
father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other
architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at
the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra
la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome
Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera
Buranelli et Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le
fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the
British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool –
Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.
"Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph.
London. Lorenzi, "Excavating an
Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a
publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus
Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen,
Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in
Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the
Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan
Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius
Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus
Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of
Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient
Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of
Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto”
– The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.
Luigi Speranza --
Grice e Mesarco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
figlio di Pitagora – Roma – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria The son of
Pythagoras. He leads the sect after the death of Aristeo. Mesarco.
Luigi Speranza --
Grice e Mesibolo: la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria,
Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.
Luigi Speranza -- Grice e Messere: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – l’implicatura di Sileno – la scuola di Torre
Santa Susanna -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre Santa Susanna). Filosofo italiano. Torre Santa
Sussana, Brindisi, Puglia. Ricevuti i primi rudimenti del sapere dai chierici
locali, i suoi genitori (Pietro Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati,
decisero di fargli frequentare il seminario di Oria, assecondando così il suo
vivo desiderio di intraprendere la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da
subito una profonda passione per lo studio. Ordinato sacerdote per poi
ritornare al paese natìo, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da
autodidatta si applicò allo studio della filosofia, della matematica, della
storia ecclesiastica e civile, nonché anche alla musica e al canto. Incolpato
dell'omicidio di un giovane chierico, fu messo in prigione nelle carceri del
Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per sette anni, tuttavia non si lasciò
mai abbattere dallo sconforto; anzi, procuratosi alcuni libri, M. si applicò
allo studio della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte
predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto processo, la sentenza finale lo
dichiarò innocente e assolto da qualsiasi reato. Risentito con i suoi
concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo, dichiarò che il suo paese
mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che M. partì per Napoli, dove rimase fino
alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua
cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano
del tempo. La grande conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà
nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte,
presso l'Università degli studi di Napoli. Tale cattedra era stata nuovamente istituita a spese di Giuseppe Valletta, filosofo,
letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico di M.. Valletta aveva una
profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua casa
non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché divenuta
luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi molti allievi
che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti celebri, si annoverano
Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli
ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve madrigale dal
titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo culturale napoletano fu
caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico,
civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un
numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di
diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali
accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di
Medinaceli. Che sia stato memM. bro autorevole di entrambe le accademie e
frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non
pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella
Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di
giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione
i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli
addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista,
satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi
membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu
attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola
Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui
il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
M. non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì
alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e
filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione
del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere
fu anche l'amicizia con Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha della
filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e
quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri
tempi”. Non fu solo un insigne grecista,
ma anche un poeta. Compose infatti varij componimenti, tra distici, tetrastici,
serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno
stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere
pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al
Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e
giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla
ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto
nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con
la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano
importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti
nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare
sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D.
Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due
uomini illustri Tra le tante
collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO
per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre
sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una
Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides
conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in
Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne
dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da Lombardo). Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero
meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa
Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei
documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO,
in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di
Medinaceli: Napoli, Rak, Napoli,
Istituto italiano per gli studi filosofici. (regio esim liepiera preso Niccola
Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá
iTera d Ohrante nel mio Mori in Nlapoli. Ebbe per convincenti indizj, co di
Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove
impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio
non conosceva neppur lo avanti, che inbreve con tanta sollecitudine però,e sn
tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde
cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche
lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi
renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla
alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli
seçe meritamente occupare. la catte be i
suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto,
detto la Torre di S. Susanna, discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi
genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil
condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di sufficienti
maestri, seppe col proprio suo ingegno, e colla sua mente, velocis sima e
disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a somigliante difetto.
Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della filosofia delle mattemati
che in buona parte, della Teologia, della Storia Ecclesiastica e Civile.Nè
intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto della
poesia e della musica, e tanto in questa ando avanti, che giunse a cantar con
lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato al Sacerdozio,
gl'intervenne una disgrazia, la quale fieramente l o travaglio. S'invaghi un
compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-:
gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei, avutone sentore, lo fece
assalir da due sgherri, I quali si accompagnavano con M., ilquale go dea il
favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato
I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo
Caraconessin,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri
P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e
nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude.
Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste
poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di
Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura, dra di greco linguaggio
nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre
a folla alle sue lezioni, e zione,che non solamente I giovanetti,ma puranche
crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di letteraria coltura,
a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza
congiungeva M. quello delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati
che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra
quelli si annoverano Lionardo di Capoa, Francesco d'Andrea, Buragna e tanti
altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina
laude nella sua opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali e il suo
nome in somma estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un
dotto poetare, e sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè
isuoi versi in questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti
li, sì che avrebbe poluto egli dire con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani.
Il suo modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e
semplice, e varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale. Molto però
egli valse nel verseggiare giocoso, ed in quella spezie di poesia, già
inventata da Folengio, il quale si dice Coccai, che volgarmente maccheronica
vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore, seco
portate avesse, con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e
che Gregorio non ne avesse gl’originali serbati, e non ne rima nesser che pochi
in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad
istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della
greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona letteratura, poco cura
le sue cose, e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli
infatti più della sostanza che dell و, e
più d'istruire la gioventù S!11 renza della dottrina erudizione. diosa, che di
far pompa di lussureggiante арра Le virtù cristiane e socievoli di M. pareg giarono la sua erudizione e la sua
dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed
affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore
grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del banco
dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche
erasi acquistato, uimase in una fredda in differenza, motteggiando giocosamente
come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella
morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli, giovinetti
di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella legalfacoltà, da
lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle lettere. Poco curante
egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto, dimostrò e di ogni civile
onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza, talche i suoi costumi
pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine dell'uomo, e narrasi,
che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno aperto, per alcun bisogno
di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano, ritrovan dosi ogli con un
amico, lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti discesovi, sudettesi in una
delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti, e narrasi che mosso da
involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è il luogo che dee a me
toccare? Somme lodi son queste certamente per M., il quale nato essendo nel mezzo
della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi, degl’Aristosseni,degl’Ennj,
de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea, della latina e della Italiana
poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale insegna non pur colle parole,
ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di tutti gliamatori delle buone
lettere, preso di ac cidente apopletico passò a miglior vita,e fu sepellito
nella detta Cappella del Pontano, siccome in vita avea desideralo. La sua morte
fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων
ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI. Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e
virtuoso suo contegno di vita. Fu per Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη
εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate de’suoi tempi, e datuttiriguar
chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e con ammirazione perfetta in lui
la notizia delle lettere greche, che mosse invidia e stupore in parecchi
sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando per Napoli,vollero vederlo ed
ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve in buona parte il risorgimento
delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si
formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale
eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi
discepoli furono i Biscardi, Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i
Majelli, i Cirilli, i Capassi, gl’Egizi, e tanti altri lumi della n o stra
letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di
miserevoli bisognosi, a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di
virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va.
Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che ragguarde
volissimi personaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo tegnaggio,
insigne per lettere e per la scienza della pittura e dell'architettura,innalzò
a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed in latino. Τα Διδασκαλω
Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE
ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA
MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non abbiasi cosa alcuna alle stam IV.
sti. pe di M. Torre di S. Susanna, luogo della Terra d'Otranto, tuttavia
egli ha buon diritto che di lui si parli in Gregorio Messo nella ro
edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene
innocente una lunga prigionia to di omicidio, lo determinò Greca, e così
felicemente venir riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli, e
il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò
egli la Cattedra di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò
con tanto grido, che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepoli non poche
persone per coltura e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui
istruiti si noverano Gennaro di Andrea, il Caloprese Capassi ed altri
molti.Benemerito, il Gravina, il perciò della Greca Letteratura congiunse na
del poetare, e conobbe le altre scienze con gran vantaggio attenzione
specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta ordine di persone il
compianse . ogni funerali i Professori ai suoi, ed, ed ebbe onorata s e per
sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione
lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla
insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù, m a
specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o .
Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli poltura nella
cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e
Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u Fu egli
ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio. Biografia
degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per la cattedra
di lingua greca. Grice: “When they
called Messere ‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my
dear Sileno!’” – Gregorio Messere. Messere.
Keywords: implicature, Sileno, Socrates, Socrate Sileno, Socrate, Silenus.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.
Luigi Speranza -- Grice e Messimeri: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Seminara -- filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Filosofo italiano. Seminara, Reggio Calabria,
Calabria. Grice: “He was of a noble family – he was into the free market – so
his is a philosophical economy.” Domenico
Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano.
Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire
le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione
dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a
introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere,
peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo
avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense,
all'Napoli. Nella capitale napoletana M. fu raggiunto dal fratello minore
Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello,
frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove
ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo
così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha
modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati
all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in
Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture
dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra
l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società
economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale
d'agriculture di Parigi. Saggio di economia campestre per la Calabria
Ultra François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto
delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra,
esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza
dell'economia calabrese, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi
atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera
locale. L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso M. si impegna
a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi
nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria
maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla
genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue
innovazioni con un'opera edita con una
dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla
produzione della seta. M., che inizialmente intendeva assegnare
l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che
l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo
caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in
particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza
dopo la carestia. Una delle proposte più importanti di M. fu la costituzione,
nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il
miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario
sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo
dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività
conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di
piani di visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia,
con proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza,
principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle
Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.
Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu
nominato dal primo ministro Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio
delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto
che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole
all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita
secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per
l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per
l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si
insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola,
diretta da M., ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli
anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito
alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di
sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità
progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di
presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto
massone. Fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una
cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli
e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della
Repubblica Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica
Napoletana. Saggi: “Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense
chiamata sulla” (Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini);
“La manifattura dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e
commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune
riflessioni critiche sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica
economia delle provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli);
“Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed
accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del
Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria olearia, e dell'agricoltura nelle
Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia
olearia antica sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia”
(Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore Calabria con alcune osservazioni
economiche relative a quella provincia” (Napoli: Porcelli). Franco Venturi,
Illuministi italiani, V: Riformatori
napoletani, Napoli: Ricciardi, Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle
origini al posivitismo, Cosenza: LPE,
Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di
Napoli da M. patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente
dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di
Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese di Porcelli, Osservazioni
economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle
sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni
critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'un
disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche
relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli); “Piano di riforma per la
pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura
delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano per impiegare
utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte
del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto da M., patrizio genovese” (Napoli: Porcelli);
“Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio
per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e l'approvazione del
Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe
di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M. da Melzi, Note
bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre
notizie, H-R, Milano: Bernardoni)
Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria
Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M. e
Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno,
Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma:
Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani,
Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,
Reggio Cal., Morello, Romeo,
Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica",
Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M.
la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily
enough?” Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il
XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e
Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia, e de'
suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto
l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina
viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo
I d'Angiò del Regno di Napoli: «Papa Clemente IV, il quale investì, e
coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il Regno di
Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice, Carlo
d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo eziandio
osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si servirono
degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo successero che
solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono, chiamarono il Regno
di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi, ritrovandosi Re
dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo padre, e avendo
anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da mano di
Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie, Citra, e
Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de' Pontefici.
Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono Signori solo del Regno di
Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma Ferdinando
il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo Vimperadore e Filippo nostro re, e
Signore, i quali anno sic avuto il dominio d'amendue i Regni, si sono
intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità dunque è,
che questi nomi vennero da' Pontefici romani, i quali cominciarono ad
introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia.» La stessa tesi
è sostenuta da Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli, in cui si
citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse
l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est
citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana». In un
altro passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra,
et ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex
utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti
ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi. Marchese
Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature,
economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Metello: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A Roman general and politician. A
pupil of Carneade. Quinto Cecilio
Metello Numidico. Metello.
Luigi Speranza --
Grice e Metopo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. Cited by
Stobeo – He writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice e Metrodoro: la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotone -- Roma
– filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean
and son of Epicharmo, cited by Giamblico.
Luigi Speranza --
Grice e Metronace: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
nella scuola di Napoli – Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Metronace.
Porch.A popular teacher of philosophy at Napoli, where Seneca attended some of
his lectures.
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