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LEZIONI ELEMENTARI
DI RGTT0R1GA , G DI BGLLG-LGTTGRG
TRATTE DALLE OPERE
DEL SIG. FORMEY, DI BLAIR , DI PAOLO COSTA
E DA ALTRO SCRITTORE VIVENTE
DALL’ ABB. 4ÈATTEO CARPINO
v.
ACCADEMICO PONTANIANO EX C. R. S.
PER USO
DELLA GIOVENTÙ’ STUDIOSA.
IN NAPOLI
PRESSO IL TIPOGRAFO GIOVANNI RANUCCI
Vico S. Filippo e Giacomo N. tu.
l843.
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AGLI EGREGI
GIUSEPPE ED ETTORE
DEI PRINCIPI DI FONDI.
V oi avole crollilo poter li rare qualche profitto
dai Trattenimenti, che regolarmente avremo insie-
me , sulle Istituzioni di Rettorica , e di Belle-Let-
tere : ed io grato alla confidenza , che voi mi
dimostrate , m’ ingegno a tutt’ uomo di darvi le
più distinte idee delle principali materie comprese
nell’ immensa estensione della Letteratura, e di con-
durvi alle sorgenti più pure, nelle quali voi ter-
minerete di attigner quello, che il tempo destinato
alle nostre conferenze non mi permette ai dirvi. Non
ho bisogno, mici cari Signorini di farvi qui un lungo
elogio delle Belle-Lettere, per animarvi al loro stu-
dio. lo mi sono accorto con piacere , gustar voi
inolio sì fatte cognizioni , e con felicita somma co-
glier ciò che hanno di più degno di attenzione :
perciocché ne va fatta seella , e non va colto, per
così dire, che il fiore delle cose. L’arte consiste,
a ben fare questa scelta , a non lasciarsi abbaglia-
re a false bellezze , e discernere il pregio delle
bellezze reali. Quando si posseggono principi lu-
minosi , e si è inizialo alla familiarità dei buoni
autori , si menano in lor compagnia deliziosi mo-
menti nel resto della vita , e si sperimenta la ve-
rità di quel saggio avvertimento , con cui il sig.
Formey chiude l’erudita sua Opera su i pr itici pii
Elementai i delle lietle- Lettere , rapporto al fine,
che aver si dee nello studio delie medesime. cc Que-
ll sto fine , dice eyli. al rapo aj , e lo stesso, che
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a quello di lutti gli altri nostri studi , e si dee ri*
3 ferire al grande scopo di nostra esistenza. Noi
ì non siamo al mondo , se non per illuminare il
3 nostro spirito e santificare il nostro cuore. Tutto
3 ciò , che non può renderci nè più perfetti , nè
3 più felici , non merita la nostra attenzione. E
3 poco appresso : Coloro , soggiunge , che ad u*
» na ragione solida accompagnano un amor sin-
3 cero per la verità , non cercheranno mai in tutti
3 i loro studi , che il vantaggio della società, e le
3 dolcezze innocenti , che uno gusta facendo con-
3 tinui progressi nella virtù c nel vero. Quando
3 siamo in queste disposizioni , possiamo elfeltiva-
3 mente trovare nella Letteratura, nella medita-
3 zione, nella composizione molto utili ripieghi con-
3 Irò la noia, contro l’ozio, contro gli sconforti
3 della società , ed anche contro le disgrazie della
» vita. Il gabinetto di un uom di Lettere è un ve-
3 ro asilo in mezzo alle tempeste più violenti : è
3 una rocca inespugnabile , qualora la saviezza e
3 la pietà vi . abbiano stabilito il lor domicilio 3 .
lo desidero , egregi signorini , che voi facciate
lo sperimento più lungo ; e il più felice di questi
vantaggi annessi alle Belle-Lettere, che sostenendo
con onore il nome illustre , che portale perven-
ghiate ai primi posti dello stato. Le lettere ,
e i loro coltivatori troveranno allora senza dubbio
in voi un amico illuminato, che sosterrà i loro in-
teressi con zelo , e che si affretterà volentieri di
procurare al vero merito le ricompense , che gli
son dovute. Se io vivessi tanto da poter esserne
testimonio , me ne rallegrerei , e mi lusingherei
di avere alquanto contribuito a ispirarvi tal gusto,
e a confermarvi in tai lodevoli disposizioni.
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PRINCIPIl ELEMENTARI
DELLE BELLE-LETTERE.
W\W\V^WhVt\Vt\V^W\W«VV\VV%W«VMW>VV\W\VV\W^VV\W\VWV\^
PARTE PRIMA.
Quid enim munus Reipublicae
off erre majus , guam ti docemut,
algue crudi mus juvenluiem.
Cic. de Divin. lib. n. n. a.
LEZIONE PRIMA
DELLO STUDIO DELLE BELLE-LETTERE.
. *
2ào studio delle Belle-Lettere non è altro che lo studio
dei principi , delle regole , degli esempi e delle erudizioni ,
che servono a renderci abili a intendere, a gustare, a com-
porre quelle opere dell’ ingegno, le quali sono destinate a
giovar dilettando 1’ animo umano , per mezzo della parola ,
non solo colla bellezza delle loro parti , ma singolarmente
con la bellezza del loro tutto.
La bellezza di questo genere di opere consiste nella pre-
sentazione de’ vari oggetti , gradevoli per sè medesimi, tal-
mente scelti, composti ed ordinali, che formino un oggetto
solo notabilmente gradevole ed interessante : nel che si ras-
somigliano tutte quante le opere delle belle arti.
Anche le opere dell’ ingegno , che non sono specialmente
^destinate a dilettare, ma che per proprio loro fine si dirigo-
no alla utilità ed ai comuni usi della vita , sono più o me-
no capaci di questa bellezza ; e gli uomini , che di natura
loro tendono sempre alla volta della perfezione ed al loro mag-
gior bene possibile , amano di vedere anche in queste con-
giunto all’ utile il dilettevole, come nelle altre amauo di ve-
dere congiunto l’ utile al dilettevole stesso.
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r.
Per questa ragione non solamente le opere die si chia-
mano dell’eloquenza e della poesia , ma quelle ancora d’ o-
gni altra specie , vanno comprese sotto al genere delle bel-
le lettere , in quanto che sono capaci della sopraccennata
bellezza.
Vastissima e delicata è la presente materia delle belle let-
tere per le molte spezie diverse di componimenti che si com-
prendono in essa , per la moltiplicilà delle regole comuni c
rispettive , e per la quantità o la sottigliezza delle osserva-
zioni che riguardano la materia stessa, e le particolari spe-
cie dei componimenti, e le circostanze diverse della loro ap-
plicazione.
Nella cognizione di (ali regole , c nell' arte di applicarle
alle opere che si leggono ; o che si compongono , consiste
principalmente lo studio delle belle lettere.
LEZIONE IL
DEC GUSTO.
Il gusto è P anima di tulli i nostri studi c sarebbe un er-
rore a credere, esser egli bandito dal dominio delle scienze.
Più queste depurano, ed elevano P intellettuale parte della no-
stra anima e più il Gusto se no dee risentire , e guada-
gnarne. Non siamo veramente dotti , ove le scienze abbiano
distrutto o smussato il Gusto.
li Gusto è la cognizione delle diverse bellezze sparse
nelle opere della Natura e dell'arte , in quanto questa
cognizone è accompagnata da sentimento. Dilegua tal de-
finizione tutti i dubbi , e gli equivoci, che regnano nei ra-
gionamenti fatti finora di questa qualità dell’anima, limitan-
dola ora alla cognizione sola , ora al solo sentimento.
L’enorme disparità dei Gusti viene, c dee necessariamen-
te venire, dalla inegual distribuzione dei due principi del
Gusto ; vale a dire , delle cognizioni , c del sentimento.
Dei Gusti capricciosi , e passaggieri della moltitudine, non
va tenuto conto ; come quelli che sono P elicilo della pre-
venzione, della passione , o della moda. Ove cessino queste ca-
gioni , cessano i loro alletti altresì.
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Il Gusto supremo d’ un’ Intelligenza finita consisterebbe
nel più alto grado di cognizione , unito al sentimento più
squisito. Ma non esistendo questa unione in un medesimo
individuo ; colui , cbe tra tutti gli uomini più vi si avvicina
riputar si dee il depositario del miglìoi Gusto.
Il Gusto supremo dell’ Intelligenza infinita è la cogni-
zione infinitamente distinta del Bello , così in generale ,
come in tutte le determinazioni , ond’ è capace , e che ri-
ceve nel sistema dell'Universo (i).
LEZIONE III.
DEL BELLO.
Egli è ben difficile il montare alle primitive idee del Bel-
lo in ogni genere di bellezza , sviluppandole per ordine , e
distinguendo soprattutto in questa materia tre cose confuse
quasi sempre in pregiudizio del vero : cioè , le nozioni ge-
nerali dello spirilo puro cbe ci danno 1’ eterne regole del
Bello,; i giudizi naturali dell’anima , nei quali il sentimen-
to si accoppia alle idee puramente spirituali , ma senza di-
struggerle ; e i pregiudizi dell’ educazione , o del costume ,
clic talvolta sembrano confondere gli uni , c le altre.
V’ ha un Bello essenziale , e indipendente da qualunque
istituzione, il quale è la regola eterna della visibil bellezza
dei corpi. Basta la più leggiera attenzione alle nostre idee
primitive per convincere , la regolarità , I’ ordine , la pro-
porzione , la simmetria , esser essenzialmente alla irregola-
rità , al disordine , e alla dispfoporzion preferibili.
Avvi un Bello naturale , dipendente dalla volontà del Crea-
tore ; ma indipendente dalle nostre opinioni, e dai nostri gu-
sti. Il Bello essenziale , considerato nella struttura dei cor-
pi, non è , per cosi dire , che il fondo del Bello naturale,
fondo ricco ed elegante da per se , ma più dilettevole alla
ragione che agli occhi, se l'Autore della natura non aves-
se pensato a rilevarlo coi colori , ed abbellirlo con l’ infi-
nita varietà delle forme.
(i) Si è (ratta questa definizione da un’Opera intitolata Analisi
della nozione de I gusto del P. André
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Ci ha una terza spezie di Bello , che si può chiamare ar-
bitrario , o arlifiziale. Tal’ è il Bello di sistema , e di ma-
niera nella pratica delle arti ; il Bello di moda , o di co-
stume negli abbigliamenti ; certi vezzi , anche personali , i
quali spesso altro merito non hanno che d' aver dato nell’u-
more a certa genia di persone, che fa tosto nel mondo. Ma
non perchè entri molto d’arbitrio in queste idee di bellezza,
si vuol inferire, ogni Bello esser arbitrario.
L’ infinita diversità delle opinioni , e dei gusti non pruo-
ra , eh’ ei non ci abbia regola per giudicare del Bello. Que-
sta regola è la stessa divisione delle tre spezie di Bello po-
li’ anzi indicata, e se si voglia andar più in là , si possono
anche distinguere più spezie di Bello di genio, un Bello di
gusto , e un Bello di puro capriccio.
L'unità costituisce la forma e l’essenza del Bello in ogni
genere di Bellezza (i), ma va coudilo della Varietà : per-
ciocch’ ella piace essenzialmente allo spirito umano , ella lo
anima , e gl’ impedisce d’ abbandonarsi alla noia (2).
\ .
LEZIONE IV.
DELLA NATURA E DELL* ARTE.
La Natura , costante e invariabile nelle sue produzioni ,
riduce sempre le medesime proprietà nella medesima specie,
L* Artista per lo contrario , che si prefigge d’ imitare la
natura , la qual’ egli non conosce se non troppo imperfetta-
mente, e sulle prime imbarazzato della scelta degli oggetti,
e dal modo di combinarli. La sua mente è limitata nelle
sue m ; re , e ’l suo potere nell’ impiego dei mezzi.
Le opere della Natura si sostengono senza alterazione , i
quali originalmente dalle mani del Creatore uscirono. Nelle
Arti per l’opposto le spezie tralignano, e imbasta rdicouo spes-
so. Or la materia resiste agli sforzi dell’ Artefice; ora l’Ar-
tefice non ha l’arte di governare la sua materia.
(1) Omni s porro pulcriludinis forma unilas est S. Agosti no Ep. a 8
(a) Questo principio della varietà ridotta all’ uniformità è stato
dal Croma t sviluppato nel suo trattato dal Hello , opera stimata :
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Ogni suggello si fa una forma, e una ualura particolare;
ogni opera costituisce una spezie da se ; e talora due spe-
zie , sotto il medesimo genere comprese , non han comune
tra loro altro che il nome. Tal’ è il caso delle Poesie. Cosi
chiamasi un Poema Epico , e un Epigramma ; una Trage-
dia , e una Canzone. Quale rapporto tra queste spezie di
Poesie altroché quello d’ essere in versi.
Fra tutte le arti d’ imitazione, quella che men si degrada,
è la Pittura : imperocché a un oggetto precise , che è la
Natura visibile , e una maniera precisa di renderlo , che è
il lineamento, ed il colore. Per opposilo nella Poesia, o
nella Musica , si corre dietro a un idea , che fogge , die-
tro a un suono , che non si è che sospettalo : e per poco
un prodigio che 1’ Arte sola possa venire a capo di sommi-
nistrare una certa serie di pensieri , che vadano a formare
un tutto naturale.
Consistendo una delle più grandi perfezioni della Natura
nell’ uniformità di ciascuna spezie ; egli è essenziale , che
le arti la imitano anche in ciò ; si che in esse ogni cosa sia
ciò eh’ esser dee e lo sia di una maniera evidente , confer-
mata per una essenziale differenza , che si faccia tosto sen-
tire allo spirito , altrimenti si dà nell’ inconveniente delle i-
dee vaghe, cui nulla termini, o separi dagli altri oggetti (i).
LEZIONE V.
Prima di esporre nelle Istituzioni di Reltorica e delle Bel-
le-Lettere le regole generali , che debbono osservarsi da
chiunque ama di parlare e scrivere con istile lodevole , noi
passeremo ad esaminare a parte a parte i diversi soggetti ,
su cui lo stile si esercita, incominciando da quella che chia-
masi Storia dell’ Arte oratoria.
dell’ ARTE ORATORIA TRESSO I GRECI.
L’ Arte oratoria propriamente detta ebbe nella Grecia il
suo primo nascimento. La Grecia era divisa in una molti-
t , - - . -
( i ) Vana fngunlur species. Hor.
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Indine di piccole repubbliche, tutte animate dallo stesso spi-
rito di libertà , e gelose ed emole scambievolmente 1’ una
dall' altra. Fra loro dislinguevasi Atene. Il suo governo era
totalmente democratico ; il sommo potere risedeva nella ge-
nerale adunanza di tutti i cittadini ; e gli affari veniano colà
maneggiali a forza di raggionamento , di facondia , e di sa-
per trarre accortamente partilo dalle passioni , c dagl’ inte-
ressi della moltitudine. In tale stato è manifesto che 1’ Elo-
quenza dovea studiarsi con somma caldezza.
Allora quando proclamavasi dal banditore che ognuno sor-
gesse a proferire sullo stato attuale delle cose la propria o-
pinione, una declamazione vota o sofìstica non solamente da
un popolo si perspicace sarebbe stata fischiata , ma anche
punita ; perciò i più grandi Oratori tremavano in simili oc-
casioni , -siccome quelli che sapevano di dovere anche ris-
pondere dell’ esito del consiglio che avesse dato.
LEZIONE VI.
DEGLI ORATORI DELLA GRECIA.
Pisistrato , cotemporaneo di Solone , sovverti il piano di
governo da questo stabilito. Viene ricordato da Plutarco es-
sere stato Pisistralo il primo che si distinse fra gli Ateniesi
nell’ arte di favellare. La sua abilità in quest’ arte impiegò
per salire al sovrano potere, cui però esercitò moderatamente.
Pericle poi fu quegli, che in Alene portò l’Eloquenza al più
allo grado. Egli mori verso il principio della guerra del Pel-
lopontieso. Per 4° anni ei governò Atene con quasi assolu-
ta autorità. Gli storici attribuiscono questo suo potere , sì ai
suor talenti polìtici , che alla sua eloquenza, con cui urlava,
ed abbatteva ogni cosa , e trionfava delle passioni, ed affe-
zioni del popolo. Ebbe Pericle il soprannome di Olimpico, e
fu dello che favellando , tonava al par di Giove. Guida
ricorda che Pericle fu il primo Ateniese , il quale mettesse
in iscritto i ragionamenti, che dovea fare al popolo.
Dopo Pericle nel corso della guerra del Peloponneso, sor-»
scro Cleone , Alcibiade , C rizi a , Taramene , illustri citta-
dini di Alene , che sopra degli altri si distinsero per la lo-
ro eloquenza.
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Il
Dopo i tempi di Pericle 1’ Eloquenza divenne oggetto di
gran momento , c diede origine ad una setta di uomini sco-
nosciuti in addietro delti Retori , e Sojisti , i quali creb-
bero in gran numero , durante la guerra del Peloponneso.
Tali furono Protagora , Prodico , Trasimo , e il più rino-
mato di tulli Giorgia Leoniino. Questi non solo davano ni
loro allievi delle generali istruzioni rispetto all’ eloquenza ;
ma professavano d’ insegnare a parlare prò e contro sopra
qualunque suggetto. E facile a concepirsi che 1' Oratòria
dovette degenerare nelle loro mani dalla maschia robustezza;
laonde a ragione possiamo riguardare costoro come i primi
corrompitori dell’ eloquenza.
Il gran Socrate però loro si oppose, c con un profondo
ma semplice ragionare particolare ad esso lui, ribattè le loro
soGstcrie , c sforzossi di richiamare l’attenzione degli uomi-
ni da quell’abuso di ragione c di discorso , al naturale lin-
guaggio , ed al savio ed utile pensamento.
Isocrate fiorì nel medesimo secolo. Ei fu Retore di pro-
fessione, e fu anche Oratore non dispreggevolc. Il suo stile
era pieno e pomposo , ma troppo mancante di robustezza :
e Io studio dell’ armonia era portato all’ eccesso.
Iseo e Lisia appartengono anch’cssi a quest’ epoca. Lisia
fu alquanto prima d’ Isocrate , e offerì il modello di quella
maniera che dagli antichi è dello tenuis o subtili s. Non ha
la pompa d’ Isocrate, è sempre puro , semplice ; ma è man-
cante egli pure di forza, c qualche volta anche freddo. Iseo
ìi notabile per essere stalo maestro del gran Demostene iu
cui 1’ eloquenza si mostrò con più nerbo e vigore.
LEZIONE VII.
DI DEMOSTENE E DI ALTRI ORATORI
Demostene Analmente ritornò alla robusta c maschia elo-
quenza di Pericle. Noi qui non ci tratterremo sulle circo-
stanze della vita di lui , le quali abbastanza sono conosciu-
te. La viva premura eh’ ei dimostrò di riuscire eccellente
nell' arte del dire ,• gl’ infruttuosi suoi tentativi ; la costante
sua perseveranza nel superare lutti gli ostacoli , che oppo-
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ncvagli la natura ; il nascondersi in una grotta per poter
con minor distrazione attendere agli studi ; il declamare sul
lido del mare in tempesta per avvezzarsi allo strepito delle
tumultuose adunanze , e con sassolini in bocca peci correg-
gere un suo difetto di lingua, l’esercitarsi io una casa con
una spada pendente sopra la spalla per divezzarsi d' un mo-
vimento sgarbato a cui era soggetto : tutte queste partico-
larità che impanalo da Plutarco , debbou molto animare
quelli che studian 1’ eloquenza.
Demostene adunque come si è detto , ritornò alla ro-
busta e maschia eloquenza di Pericle* La Forza e veemen-
za sono quelle appunto , che formano il principale carattere
del suo stile , col quale seppe , nelle sue Qlintiache e Fi-
lippiche , eccitare F indegnazione dei cittadini contro Filip-
pa il Macedone , pubblico nemico della libertà della Gre-
cia, e renderli cauli contro le insidiose pratiche, con le quali
sforzavasi quello astuto principe di addormentarli.
ilivale di Demostene nell’ arte Oratoria , fu E$ehiue di
cui abbiamo un* orazione contro Demostene stesso per la co-
rona che a questo era stata decretata. Ma la risposta che
gli fece Demostene , è di troppo superiore ; e il suo nemi-
co di fatto vinto e svergognato fu costretto a partirsi d’Atene»
Dopo i tempi di Demostene la Grecia perdette la sua li-
bertà , e F eloquenza pure languì , e ricadde nella debole
maniera introdotta dai Relori , e dai Solisti. Demetrio Fale-
reo mostrò bensì qualche carattere, ma pi vien rappresentato
come un dicitore piuttosto florido che persuasivo , e ebe
amava più l’avvenenza che la sostanza. Delectaòat Athenien-
ses , dice Cicerone magia quam injlamabat. Dopo quel tem-
po non udiam più parlare d’ alcun Greco Oratore di riputa-
zione.
LEZIONE Vili:
dell’ ARTE ORATORIA FRESSO I ROMANI.
1 Romani furono per lungo tempo una nazione bellicosa,
adatto rozza e priva di ogni bell’ arte. Queste non vennero
colà introdotte , se nou dopo la conquista della Grecia ; e i
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' »3
Romani sempre riconobbero i Greci per loro maestri in ogni
genere di coltura e di dottrina.
Paragonando le emule produzioni della Grecia e di Roma,
troviamo fra loro questa differenza , che nelle greche vi ha
più di nativa forza e d’ invenzione; nelle romane piu di re-
golarità e di arte. A quel che i Greci inventavano , i Ro-
mani davano 1’ ultimo finimento.
Non v’ ha dubbio che durante la Repubblica , il pubblico
parlare non sia divenuto per tempo uno stromento d’auto-
rità , e non sia stato impiegato per acquistar riputazione e
possanza. Ma nei tempi rozzi ed incolti questo parlare ap-
pena era tale , che meritar potesse il nome di eloquenza.
Sol poco lavanti l’ età di Cicerone sorsero oratori di qual-
che grido. Crasso ed Antonio due degli interlocutori nei
dialoghi de Oratore , sembrano essere stati i più riguar-
devoli.
Molta riputazione ebbe pure Ortensio contemporaneo ed
emulo di Cicerone nel foro .* ma il più celebre di tutti i
Romani oratori fu Cicerone medesimo. In tutte le sue ora-
zioni si scorge grandissima maestria. Egli comincia gene-
ralmente con un regolare esordio , e con molta preparazio-
ne , e insinuazione cerca di accattivarsi gli uditori e con-
ciliarsi i loro affetti.
Il suo metodo è chiaro , e i suoi argomenti disposti con
molta proprietà. Ei noq cerca di muovere , finché non si è
sforzalo di convincere ; e nel muovere spezialmente le pas-
sioni tenere, è assai felice.
Il suo stile è sempre pieno, scorrevole, armonioso- La
sua maniera generalmente è diffusa ; quando poi un gran pub-
blico oggetto scoteva il suo animo , e richiedeva indegnazio-
ne e vigore, sapea da questa maniera dipartirsi a proposito,
e mostrarsi pieno di forza e di veemenza. Tale il ravvisiamo
nelle orazioni contro Verve , di Caliima , e di Antonio. Non-
dimeno quella diffusa maniera , a cui più comunemente in-
clinano altre orazioni spiacque a molti dei suoi contemporanei ,
i quali osavano tacciarlo di gonfio asiatico ; e molli ancor dei
moderni preferiscono la concisa , robusta , veemente manie-
ra di Demostene , sebbene talora un pò aspra ed incolta.
Chi sapesse unir insieme il vigore di Demoslene , con la
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grazia , la dolcezza , la magnificenza di Cicerone , sarebbe
certamente il più perfetto Oratore.
L’eloquenza appresso i Romani fu assai breve. Dopo l’età
efi Cicerone essa languì ; o piuttosto spirò del tutto : il che
si dovette principalmente alla nuova forma di governo.
La rovina dell’ eloquenza fu poi compiuta nella scuola dei
declamatori. Soggetti fantastici e immaginari , che non avea-
no ni una realtà nò importanza, furono scelti per temi delle
declamazioni , e messe furono in voga tulle le maniere dei
falsi , cd affettati ornamenti.
Nelle mani dei greci retori , la maschia , passionata elo-
quenza dei primi loro insigni -Oratori degenerò , come abbia-
mo detto , in sottigliezza e sofìsteria ; nella bocca dei Romani
declamatori passò al ricercato e affettato , ai concetti, e alle
antitesi.
Questa corrotta maniera iucomiuciò ad apparire negli scritti
di Seneca ; e mostrasi ancora nel famoso panegirico di Pli-
nio il giovine in lode di Traiano , ultimo sforzo della roma-
na eloquenza.
LEZIONE IX.
dell’ arte oratoria nei tempi posteriori.
Nella decadenza del Romano impero la propagazione del
Cristianesimo diede origine ad una nuova specie d’ cloquen-
za nelle apologie, nei sermoni , negli scritti pastorali dei pa-
dri della Chie-a. Tra i Latini Minuzio Felice , Lattanzio ,
e S. Girolamo, sono più commendevoli per la purità dello
stile: Terluliano, S. Ambrogio, 8. Agostino, S. Gregorio ,
S. Leone mostrarono assai di vivezza c di forza ; ma il lo-
ro linguaggio è spesso infetto del gusto di quell’ età , cioè,
dell’ amore dei gonfi o lambiccati pensieri , e dei giuochi di
parole.
Tra i padri greci più distinti per merito Oratorio sono :
S. Basilio , S. Gregorio Nazianzeno ; S. Gregorio Nisseno,
e S. Giovanni Crisostomo. La loro lingua è pura, Io stile
altamente figurato; e l’ultimo singolarmente è copioso, dolce,
poetico , ma assai ritiene di quel carattere, che dicevasi a-
siatico , cioè diffuso e ridondante , c talvolta anche gonfio.
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Dopo il quarto e quinto secolo dell’ Era volgare , come
le arti tutte liberali furon sepolte nella barbarie , così an-
cora 1’ eloquenza.
Incominciò 1’ eloqueriza a risorgere in Italia pel secolo de-
cimo quarto , e propagarsi poscia mano mano anche alle al-
tre nazioni Europee. E da confessare però che appresso nin-
no delle moderne nazioni I’ eloquenza ebbe mai riputazione
sì alta , nè sì considerabili effetti produsse, nè fu mai col-
tivata con tanta cura, come fu già nella grecia ed in Roma.
11 pulpito è il miglior campo che all’ eloquenza or rima-
ne ; e in questo molti si sono con assai di lode esercitati :
niuno però ha saputo per anche recar l’ eloquenza dei-
pulpito a quel grado di perfezione, a cui Demostene , e Ci-
cerone hanno innalzato I’ eloquenza delle pubbliche adunan-
ze , e del foro.
DELLE OPERE IN PROSA
lltTXODUCIMClfrO.
Una delle facoltà onde 1’ uomo è tanto superiore alle be-
stie si è la favella , mercè della quale le prime genti non so-
lo si strinsero in comunanza civile , ed ordinarono leggi e
governi ; ma a fare più beala e gloriosa la vita crebbero le
scienze c le arti , ed ispirarono con queste I’ odio al vizio
cd al falso ; P amore della virtù , del vero , del bello ; e i
fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandaro-
no. E qual cosa è più utile ai privali ed alla repubblica, e
più degna e di maggiore onore , che 1’ arte di gentilmen-
te parlare ? Per questa ci è aperta la via alle dignità , al-
le fortune ed alla fama ; per questa le città si mantengono
ordinale e pacifiche , per questa sono animati i guerrieri ,
encomiati i principi ; per questa con più degni modi si lo-
da e si prega il supremo Autor delle cose , e pura e viva
si mantiene nel cuor degli uomini la religione- Laonde ,
Giovanetti studiosi , se desiderate onore e giovamento a voi
stessi ed alla patria , ardentemente volgete 1’ animo a que-
sto nobilissimo studio. Che se vi fu dolce fatica l’ inlerprc-
taro e imitare gli antichi scrittori , non meno dolce vi sarà
il venir meco investigando il magistero che è nelle opere loro.
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i c
LEZIONE X.
DELLE OPERE IN PROSA.
Il linguaggio della Prosa ha certamente preceduto quello
della Poesia : si cominci adunque dall’ esame della prima.
Per apprendere a giudicare in materia di letteratura , Fa
mestieri esercitarsi da prima sopra le opere ; in cui le bel-
lezze , e i difetti , come più sensibili , danno più materia
al gusto, e allo spirito, e in cui l’Arte si mostra a viso aperto.
Quando quest’ arte si è ben riconosciuta una volta , e si
è beu sicuro d’ essersene i [Spossessato dei veri principi , si
pruova a discernerla nelle Opere , dove suol celarsi. Tal or-
dine è l’ordine stesso dello spirito umano, che di quel, ch’è
sensibile , fa un mezzo per giungnere a quel che non è tale.
Il liguaggio ordinario, quello del solo bisogno, ha prece-
duto tutti gli altri. Qdesto è il più essenziale strumento della
società, e il genere umano ha portato verso il bisognevole
i suoi primi pensieri. Al contrario il linguaggio oratorio ,
nel quale si uniscono tuli’ i mezzi dell’ arte all’ ingegno na-
turale , non è stato sottomesso alla precision delle regole, se
non dopo i gran progressi della Poesia , dal cui esempio la
Eloquenza comprese , esservi mezzi di presentar gli oggetti
d’ un modo proprio a sedurre 1’ orecchio , e commuover
1* animo.
Omero fu avuto non solo come il Principe della Poesia ,
ma come il padre dell’ Eloquenza , della Storia , della Filo-
soGa e di tutte le Arti. La cura , che aveva avuta , di se-
guire scrupolosamente la Natura, anche in mezzo alle sue fin-
zioni e menzogne, fece conoscere agli Storici , e agli Oratori
quanto devono fare , principalmente dipingendo il vero.
LEZIONE XI.
LA POESIA, E L* ELOQUENZA IN ’CfflS DIFFERISCONO.
La Poesia , e l’Eloquenza differiscono , e per il Gue , che
si propongono , e per li mezzi , che adoperano a giungner-
vi. La Poesia ha per oggetto il dilettare; e se talora istrui-
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sce , è perchè I’ utili là è un mezzo, che l’aiuta a pervenire .
al suo iuleulo. L’ Eloquenza ha per oggetto l'istruire, c se
bada a piacere , è perchè sa , esser questa la via più certa
d’ arrivare alla persuasione.
La Rettorica, la Logica, e la Grammatica, sono tre Ar-
ti , che andar debbono sempre unite. La prima è l’Arte di
ben dire , la seconda è quella di ben pensare, la terza quella
di ben parlare. Ben dire è parlare in maniera da farsi ascol-
tare , e da persuadere chi ascolta. Ben pensare è mettere
precisione , e chiarezza nelle proprie idee , circospeziou nei
giudizi , connessione , ed esattezza nei raziocini. Ben parlare
è servirsi di termini ricevuti , e di coslruz oni legittime.
Queste sono i tre universali strumenti , 1’ uso dei quali si
estende a tutti i generi nelle scienze, e nella Letteratura, e che
in coloro , che gli uniscono , caratterizzano la buona educa-
zione , la rettezza di mente , e la fecondità d' ingegno.
LEZIONE XII.
deli/ orazione.
La voce Orazione , sccoudo la sua etimologia , e uel sen-
so , che i Grammatici 1’ adoprauo , disegna ogni pensiero
espresso dal discorso. Noi qui la restringiamo a ogni discorso
preparato con arte per persuadere.
Passano gran diversità fra’l talento deli’ orazione , e l’arte,
che aiuta a formarlo. Il talento si appella Eloquenza , l’arte
Rettorica ; 1’ uno produce , 1’ altro giudica ; 1’ un fa 1’ Ora-
tore , 1’ altro il Retore.
Tutte le quislioui , nelle quali la persuasione può aver
luogo , e che dall’ Eloquenza dipendono , si riducono per
ordinario a tre generi , chiamati il genere Dimostrativo , il
genere Deliberativo , e ’l genere Giudiziale. Il primo ha
principalmente per oggetto il presente , il secondo 1’ avveni-
re , il terzo il passato. Nel Dimostrativo si loda, o biasima.
Nel Deliberativo s’ induce a fare, o non fare. Nel Giudiziale
si accusa , o difende.
a
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LEZIONE XIII,
DEI GEMERE DIMOSTRATIVO.
II genere Dimostrativo comprende i Panegirici , le Ora-
rioni funebri , i Discorsi Accademici , i complimenti fatti ai
Ile , a Principi ec. In tali occasioni si tratta di mettere in-
sieme tutto ciò , che può fare onore , e piacere alla persona
che si loda.
L’ Oratore , volendo troppo onorare il suo Eroe deve avere
1’ occhio a non disonorar sè medesimo. Se mal assortisce le
sue pruove , se le attigue nelle sorgenti dell’adulazione ,
piuttosto che nel seno del vero ; I’ Editore s’ irrita , perchè
il Dicitore vuol renderlo complice di sua bassezza.
I Panegirici sono difficilissimi a fare. E una sorta di trionfo
conceduto alla virtù. Ma tal volta le virtù non sono pure
abbastanza per meritare un onor simile , e tal’ altra chi si
addossa tal funzione, non ha i talenti necessaria ben eseguirla.
LEZIONE XIV.
DEL CENERE DEL BERATIVO.
Qui non ci restringiamo a lodar la virtù , mostriamo le
ragioni che debbono indurci ad abbracciarla. Per riuscirvi ,
va conosciuto a fondo il soggetto , e consideratone attentamente
ogni aspetto , non solo reale , ma possibile.
Qualora si tratta di esaminare , se una impresa è utile ,
o no , va attentamente calcolalo il prò, e '1 contra delle pro-
babilità , senza omettere alcuna delle circostanze , che pos-
sono in simil calcolo . aver luogo. Ciò suppone uno spirito
solido , e disinteressato.
Non si cerca qui a far mostra di grazie , a dilelicar gli
orecchi , e lusingare la fantasia : tutto si riduce ad esporre
con forza , e semplicità le cose. Tal’ è I’ eloquenza di De-
moslene; s’ egli è ricco, e pomposo , è sol per la forza del
suo buon senso.
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LEZIONE XV.
*9
DEL GENERE GIUDIZIALE.
I
Le quistioni di questo genere hanno per oggetto il fatto ,
il drillo o il nome : si tratta sempre d’ un torto o reale , o
preteso reale. Si può definire il torto , un’ azione libera ,
che toglie il suo avere al legittimo possessore.
Se non vi fossero dritti legittimi , non vi sarebbero torti.
Se non vi fosse libertà , non vi sarebbe colpa reale.
Si distinguono due spezie di dritti ; 1’ uno naturale , scol-
pito nel cuore di lutti gli uomini ; 1’ altro civile , che ob-
bliga lutti i cittadini d’ una medesima Città , d’ una medesi-
ma Repubblica , a fare , o non fare eerte cose per 1* inte-
resse comune. I violatori della Legge Civile sono , cattivi
Cittadini. I violatori della Legge Naturale , offendono I’ u-
manrtà.
L’ Oratore fa valere 1’ autorità delle leggi , ed eccita l’at-
tenzione , quando mostra , che il comune interesse è stato
gravato nell* azione , onde dimanda giustizia.
I tré generi , dei quali si è ragionalo , non sono 1* un
1’ altro si divisi , che mai non si uniscano. No , anzi il con-
trario accade in quasi tutti i discorsi : poiché 1’ onestà , l’u-
tilità , e P equità , si uniscono per P ordinario in un mede-
simo punto.
Qualunque si è il suggetlo , che tratti 1* Oratore , tre fun-
zioni dee di necessità adempiere ; la prima si è , trovare le
cose da dire ; la seconda , metterle in convenevol ordine ;
la terza esprimerle propriamente : vengono chiamale Inven-
zione , Disposizione , Espressione ; e queste tre operazioni
han luogo in tutte le Arti.
LEZIONE XVI.
dell’ invenzione.
L’ oggetto dell’ Oratore è il persuadere. Per riuscirvi , fa
mestieri provare , piacere , e muovere. Un solo di questi
mezzi basta alcuna volta ; alcun’ altra non è troppo unirli
*
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lutti e tre. Si prova cogli argomenti , si piace coi costumi,
si muove con le passioni.
La Logica insegna l’arte di fare argomenti informa. Loro
non si conserva tal forma nelle opere di gusto. Il sillogismo
oratorio presenta per 1’ ordinario la ' proposizione da provare
prima d’ esprimere la ragione , che la pruova. Abbraccia an-
cora altre proposizioni , che servono di pruova alla maggiore
e alla minore. Il che ìnduceva il Filosofo Zenone a para-
gonare l’argomento filosofico alla mano chiusa, e l’oratorio
alla mano aperta.
Gli antichi , che lutto volevano ridurre in arte, ne ave-
vano fatta una per l’invenzione. Essi appellavano luoghi co-
muni tutti i ripertori , o magazzini , contenenti tutte le ric-
chezze che sono l’oggetto dell'invenzione.
Il primo di questi luoghi è la Definizione , per la quale
]' Oratore trova nella natura della cosa stessa , onde ragio-
na , un motivo da persuadere ciò , che dice. La definizione
oratoria è ben altra dalia filosofica. E propriamente una enu-
merazione delle parli , la quale serve a conchiudere per
rapporto al tutto. Per esempio : Cicerone nell’ orazione per
la legge Manilia comincia ad annoverare le parli che costi-
tuiscono un eccellente comandante , cioè , Scienza militare ,
Virtù , Autorità e Fortuna ; dimostra in seguilo come tutte
si trovano in Gn. Pompeo; e ne conchiude , che approvare
quindi si dee la legge Manilia , che lui avea destinalo Co-
mandante nella guerra contro Mitridate.
L ’ Etimologia , non somministra gran sorgenti ; e spesso
si fa torto a una buona causa , difendendola con armi sì
fatte. Cosi ; vero amante della Sapienza , si dirà dover’ es-
sere , e farsi conoscere costantemente chiunque pretende di
essere chiamato Filosofo
Il Genere e la Spezie menano a valide conclusioni , scen-
dendo dal primo alla seconda , o montando dalla seconda al
primo. Cosi. - Cicerone dall’onore, in cui era stata tenuta
la classe dei Poeti , fa vedere in qual conto dai Romani aver
si dovesse il poeta Archia , e quando avessero a pregiarsi
d’ annoverarlo fra i loro cittadini.
La Similitudine quasi non differisce dalla Comparazione ,
e la Dissimili tu dine si confonde coi Contrari. Quando la
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somiglianza non sia del lutto perfetta , non si può preten-
dere la medesima conchiusione. Talvolle allorché due cose
somiglianti in qualche parie , giovano sempre a rischiararsi
vicendevolmente , e sempre forniscono delle pruove , se non
assolutamente vere , almeno verosimili. Per es: come al-
l' inverno succede la primavera, alla primavera l'estate,
ed a questa V autunno ; così alla vita succede infallibil-
mente la morte ( Oraz. ode 7 ).
I Contrari sono d’ un grand’ uso. Questa è sovente la mi-
glior maniera d’ esporre un pensiero. Dicendo in prima quel
che la cosa non è , la mente dell’ uditore si mette in azio-
ne , e pruova di provarla da sé. Cosi Cicerone nella se-
conda Filippica : 1 Se Bruto e Cassio , dice , non sono da
« x riputarsi i liberatori della Repubblica , sono più che si-
x cari , più che omicidi , più che parricidi ; imperciocché
x delitto più atroce è P uccidere il padre della patria , che
x è il proprio padre. Ma se parricidi son’ essi , perchè sem-
» pre con onore e nel Senato , e nel foro , sono stali da
> te , o Antonio , nominati ? perchè assegnato furon loro
» le provincie ec. ? Nè parricidi adunque , uè omicidi son
x essi da appellarsi. Resta pertanto che liberatori della pa-
x tria per tuo giudizio medesimo si debbono dire , percioc-
x chè non v’ ha nulla di mezzo x.
Le cose repugnanti servono a provare l’ impossibilità di
un fatto.
Gli Antecedenti , e i Conseguenti , sono le cose , che
precedono , o che seguono un fatto , e che aiutano a rico-
noscerlo. Cosi per es. t Voi avevate con un tale odio , e
x inimicizia; avete avuto rissa con lui; n’aveste un offo^a ;
x ne giuraste vendetta ; egli è stalo ucciso ; voi siete fug-
x gito: tutti questi sono forti indizi che voi siete il reo x.
I Paragoni o Confronti si fanno tra due cose eguali ,
come : ( So fu lecito a Catone il segu'r la guerra civile,
x perchè esser non lo dovea egualmente a Cicerone ? » Ora
dal più ai meno ; come in Terenzio : « Chi potrà egli
x mai sopportare , se tollerare non sa nemmeno il proprio
x padre ? 1 Ora dal meno al più , come presso Cicerone
per la legge Manilio : <t I vostri maggiori mossero guerra
x soventi volte , perchè mercatanti o noleggiatori , era-
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» no stati' alquanto ingiuriosamente trattati : voi al mi-
i rare tanti migliaia di cittadini Romani trucidati a un solo
» avviso , e in un sol tempo , di qual’ animo dovete voi es-
» sere finalmente? »
Le Circostanze sono d’ un gran peso nelle pruove. Tal-
volta s’inzeppano per opprimere l’uditore col loro numero.
In fino , considerando la Cagione , e gli Effetti , si lo-
da , si biasima un’ azione , si consiglia un impresa , o si
sconsiglia.
Tutti questi luoghi comuni son nominali interiori , poi-
ché dipendono dal soggetto medesimo , e sono per cosi dire,
tirati dalle viscere della causa.
LEZIONE XVII.
DEI LtJOGIH ESTERIORI .
I Luoghi estortori sono sei , la Legge , i Titoli , la Fa-
ma , il Giuramento , la Tortura , i Testamenti ; tutti mezzi
situati fuori della causa , e senza i quali , prendendoli tutti
separatamente , una causa può sussistere.
Nelle Tergi, devonsi considerare e la lettera, e Io spirito,
vale a dire , e il senso letterale , ed ovvio , e il senso in-
timo e recondito , che pos^a avere ; esaminare il tempo e
l’ occasione , in cui furon fatte ; vedere , se il caso , di cui
si tratta , è nella legge compreso ; se questa è tuttavia in
vigore ; se v’ ha legge contraria ec.
La Fama ha molta forza quando è pubblica , quando è
uniforme , quando è costante ; ma picciolissima , quando è
appoggiata a voci private , incerte , discordi.
Forza maggiore hanno i documenti in iscritto, come contrat-
ti , obblighi, testamenti, istromenti, lettere , attestati e simili:
intorno ai quali però due cose sono da esaminarsi , se sieno
autentici o falsi ; se in qualche preciso senso abbiami ad
intendere.
II Giuramento sarebbe la miglior pruova della verità, se
ognuno sempre giurasse il vero, ma è più facile , dice Sal-
viano , il trovar degli spergiuri , che di quei che ricusino
di giurare.
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La Tortura , per estorcere la confessione dal leo, nella
più parte d’ Europa , ora è abolita ; e poco conto poteasi
fare certamente di un mezzo , che talor costringeva un de-
bole innocente a confessare un delitto non suo , e mandava
assoluto un reo robusto che sapea resistere alla forza della
tortura.
Nei Testamenti è da esaminare la probità , il disinte-
resse , l’ imparzialità , la riputazione di veracità , e dove sien
molti , è da vedere come nella loro deposizione , ascoltata
separatamente, vadan tra loro d’accordo.
LEZIONE XVIII.
DEL CARATTERE DELL’ ORATORE.
Dopo aver provato, I’ Oratore procura di piacere , e per
mezzo di costumi s’insinua a poco a poco; egli dispone gli
animi , e li soggioga con loco consentimento.
Qualor si parla di costumi nell’ Eloquenza , si tratta della
virtù , e della virtù dell’Oratore , il quale i Pagani ban de-
finito V ir bonus dicendi peritus. Si vuole, che sia uomo
dabbene , e che tutto il suo discorso porli il carattere della
probità.
Alla probità egli deve unir la modestia. Nulla olfeude
tanto un Uditorio, quanto l’orgoglio d’ un uomo , che parla
in sua presenza. E in generale la modestia è il carattere
del vero sapere non meno che del vero merito.
L’ Oratore ha da aggiuguere alle qualità precedenti la
benevolenza , o piuttosto lo zelo per i beni di coloro che
ascoltano. Tutti gli uomini son portali a credere i discorsi
dei loro amici.
La prudenza è una quarta qualità che suppone necesseria-
inente dei lumi. E richiesta nell’ Oratore , imperciocché non
gioverebbe esser guidato da un uomo dabbene, se ignorasse
egli stesso il cammino.
L’ Oratore , che ha stabilita 1’ autorità sua su queste quat-
tro virtù , c che le mostra in tutti i suoi discorsi , guada-
gna perfettamente la confidenza de’ suoi Uditori , e anzi li
tira che persuade.
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2-t
il terzo mezzo per giugncrc al medesimo in len lo , è l’ im-
piegare le Passioni : pericoloso strumento, quando non sia
maneggialo dalla Ragione ; ma più efficace della medesima
Ragione , quando I’ accompagna , e la serve. Per le Pas-
sioni trionfa I’ Eloqncnza , e regna su i cuori. Chiunque sa
eccitarle a tempo , domina gli animi a suo talento.
Le passioni sono moli impetuosi dell’ anima che ci porta*
no verso -un oggetto , o ce ne distornano. Per eccitarle ,
van dipinti gli oggetti con qualità piacevoli c utili o dispia-
cevoli e nocive agli ascoltatori.
L’Amore, e 1' Odio sono il fondo di tutti gli altri affetti,
imperocché tutti comprendono le relazioni dell’ animo no-
stro col bene, e ’l male. Se il male è presente , è Tristez-
za , Dolore ; s’ è assente con qualche apparenza di poterlo
evitare , è Timore ; se non si può evitare , è Disperazione;
se è negli altri , ma di maniera da poter cadere sopra di
noi , è Compassione. Cosi a riguardo del bene, s’è presen-
te , cagiona Allegrezza ; s’ è assente con qnalchc mezzo di
ottenerlo , è la speranza. Se ò in altri a nostro pregiudizio,
è l’ Invidia. Se possedendolo noi , vuol altri privarcene , è
la Collera. Tutti gli autori Tragici son pieni di simili esempi.
LEZIONE XIX.
DELLA DISrOSIZIONE.
La Disposizione nell’ Arte Oratoria consiste in ordinare
tutte le parti somministrate dall’ Invenzione , secondo la na-
tura , e P interesse del suggetto , che si tratta. La fecondità
dello spirito riluce nell’ invenzione , e ’l giudizio , nella Dis-
posizione.
Ogni Opera, se sia compila , deve avere un principio ,
un mezzo , un fine. Cosi nel Discorso Oratorio vi sarà un
Esordio ; vengono poi le Narrazioni , o le pruove ; e final-
mente la conclusione qualunque sia , che avverta almeno,
lutto esser dettò.
L 'Esordio è la parte del Discorso , che prepara l’Udi-
tore a intendere il resto. I Maestri dell’ arte voglion , che
sia ingegnoso , modesto , breve , e tirato dal fondo mede-
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simo del suggello. Se fa d’uopo parlare improvviso , si pren-
de il primo Esordio , che si para innanzi , o se non se ue
presenta alcuno , si dà dentro senz’ altro apparecchio.
Due sorte d’ Esordio si distinguono. L’ uno si fa per la
via dell’ insinuazione , quando si tratta di disporre a poco a
poco gli attimi a prendere il cammino , che si vuol , che
tengano, o a distorglierli dolcemente dalle loro prevenzioni.
L’ altro, dello in termine L’Arte Esordio ex aòrupto , ha luo-
go , quando un violento dolore , una grande allegrezza , una
forte indignazione , si trova nel cuore degli Uditori. Allora
si prorompe cominciando, come Cicerone nelle sue Catili-
narie.
La Narrazione , o il Racconto , nel genere giudiziale
viene ordinariamente dopo la divisione ; perchè in questo
caso la prnova dee nascere dai fatti. L’ arte di questa parte
consiste in presentare il germe delle pruove , che c» avvi-
siamo d’adopnire per la via dell' argomentazione.
L’ ordine , e la particolarità della narrazione , vanno rife-
riti alfine medesimo. Si mettono nei luoghi più appariscenti
le circostanze favorevoli , e si lasciano nell’ oscurità , o non
si presentano dcbilinente quelle che sono svantaggiose.
Vengono poi le Pruove , per disposizione delle quali i
Relori propongon I* esempio d’ una Armata. Si pongono in
prima fila quando v’ ha di più vigoroso e bravo ; altre truppe
scelte si riserbano per assicurar la vittoria ; e in mezzo si
dispone la soldataglia.
Ha però ogni soggetto le regole sue proprie , tocca alla
prudenza , c al discernimento dell’ Oratore a trovarle e se-
guirle. Tutto si riduce a raccomandar la chiarezza , e la
precisione. Una pruova troppo spiegala , s’ indebolisce ; liop-
po serrata si oscura.
L’ Oratore nella sua pruova ha due cose a fare ; I’ una ,
stabilire la sua proposizione per tutti i mezzi, che la causa gli
somministra ; I’ altra confutare i mezzi del suo avversario.
La confutazione richiede molt’ arte ; atteso che più difficile
guarire una ferita , che farla. Il ritorciincuto dell’ argomen-
to , quando è possibile , produce buonissimo effetto.
La Perorazione è la conclusione del Discorso , essa di
ordinario comprende una ricapitolazione di quanto si è detto
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di più forte , per convincere o per muovere : il che ricon-
duce alla proposizione, come ed ultimo risultato delle ragioni
allegate.
LEZOINE XX.
dell’ oratoria elocuzione.
L’ Elocuzione sembra operare più di lutto il resto sull’ a-
niinn degli ascoltatori. Quindi i Relori greci , e latini sono
su tal materia entrati uelle più minute discussioni. Son giunti
a contar le lettere , le sillabe , a misurar le parole , e cal-
colare il tempo , che mettono , a pronunziarle..
Di tre modi può esprimersi un pensiero ; col luon della
voce , come quando si geme ; col gesto , come quando si
fa cenno a taluno di avvaozarsi , o allontanarsi ; con la pa-
rola quando si pronunziano vocaboli. Le due prime espres-
sioni appartengono alla Pronunziazione. L’ ultima è quel ,
che si chiama Elocuzione.
Siccome in generale il pensiero è la rappresentazione di
qualche cosa nello spirilo ; 1’ espressione è in generale la
rappresentazione del pensiero. E siccome tre sorte di pen-
sieri vi sono , l’ idea , il giudizio , e ’l ragionamento ; vi sono
ire sorte d’ espressioni , il termine, la proposizione , e l’ar-
gomento. ^
1 pensieri , e 1’ espressioni hanno due sorte di qualità , le
unc , che si possono dir logiche , perchè 1’ esigono la ragio-
ne , e ’l buon senso ; 1’ altre sono qualità di gusto , perch è
il gusto ne decide. Quelle sono la sostanza del discorso , que-
sto il contimento.
La prima qualità essenziale del pensiero è, che sia vero;
cioè , che rappresenta la cosa tale , quale noi l’ abbiamo.
E falsa , quando noi rappresenta punto , o non qual noi
1’ abbiamo.
Un pensiero perfettamente vero è giusto. L’uso però mette
qualche differenza Ira la verità, c la giustezza del pensiero;
la verità significa più precisamente la conformità del pensie-
ro con 1’ oggetto , la giustezza nota più espressamente 1’ e-
slcusione. Cosi ancora 1’ espressione è giusta , quando non
ha ne più , nè meno I’ estensione del pensiero. .
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s 7
La Chiarezza è la seconda qualità , quando pur non fosse
la prima , mercecchè un pensiero non chiaro , non è pro-
priamente un pensiero. Quando si percepisce il pensiero senza
ombra , o buio , è chiaro ; quando si vede separalo da lutti
gli altri oggetti , che lo circondano , è distinto.
Chiunque ha disegno di rendere un pensiero dee dunque
innanzi ben ravvisarlo , e discernerlo esattamente da lutto ciò,
eh’ è estraneo ; allora 1’ espressione si presenterà da se me-
desima.
Tal’ è il sommario delle qualità logiche f senza le quali
nulla può esser bello nelle opere di letteratura. Ma per pia-
cere non basta essere senza difetti , bisogna aver grazie , cd
il gusto, che le dà.
LEZIONE XXI.
DELLE REGOLE DBLl’ ELOCUZIONE
Tutte le regole dell’ Elocuzione in quanto c subordinala
al gusto, si riducono a questi due punti ; scegliere , ed
Ordinare.
Nella scelta dei pensieri bisogna rigettar tutti quelli , che
sono falsi, inutili, triviali, bassi o giganteschi. Tra quelli,
che possono essere adoperali , si offrono di primo tratto i
pensieri comuni , che servono di fondo al lavoro. Ma , per
rilevarli , s’ impiegano lutti quelli che portano in sè qualche
bellezza , come la vivacità , la forza , la ricchezza, 1’ ardi-
tezza , la grazia , la delicatezza , la nobiltà ec.
A tutte queste spezie di pensieri rispondono tante sorte di
espressioni. Può nondimeno accadere , che sia nell’ espres-
sione un carattere di delicatezza , d’ arditezza ec. che non si
trovi nel pensiero : il che procede dalla diversità delle re-
gole della Natura, da quelle delPAite in questo punto.
Vi sono termini propri, che si usano nella loro S'gnifica-
zione primitiva e naturale ; e termini translati , che si usano
in una significazione , che loro è straniera , ma che vieo
loro prestata a cagione di qualche somiglianza tra gli oggetti.
Tutte le volte che , per esprimere un’ idea non si usa il
proprio termine, si fa per ignoranza, o per necessità, o per
gusto. Quando si fa per ignoranza , è un vizio della perso-
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nn , che non sa la sua lingua. Quando per necessità, è un
vizio della lingua , che non somministra allo spirito tulle le
voci , onde sì avrebbe uopo. Quando si fa per gusto , è per-
chè al termine improprio si trova unita una bellezza , che
non è nel proprio.
Essendo la chiarezza la prima bellezza del discorso , e la
proprielà dei termini la principal sorgente della chiarezza; la
proprietà va riguardata come una delle più preziose qualità
dell’ espressione; ed è soprattutto essenziale nelle Opere Dida-
scaliche.
I termini iraslati , quando lo siano con gusto , e scelta ,
danno beltà e spicco al discorso. Si appellano Tropi , da
un termine greco , che in generale imporla cambiamento ,
trasporto.
LEZIONE XXII.
DEI PRI.VC PALI TROPI.
La Metafora.
■ La Metafora è un termine trasportalo dalla sua propria
e ordinaria significazione a un’altra , che gli è impropria ,
per modo , che ne risulti qualche bellezza , ed usata oppor-
luncmente è lume e vaghezza dell’ Orazione.
Prima è a sapere che negli uomini selvaggi per essere
scarsi di cognisioni mancarono di parole , e che volendo egli-
no significare alcuna cosa non ancora significala, fecero uso
naturalmente di quelle voci , le quali erano state inventate
a contrassegnare altra cosa somigliante in qualche parte alla
idea novella. Occorrendo loro , per esempio , di significare
alcun uomo crudele , il chiamarono tigre la somiglianza del-
1’ indole di cotesla bestia cou quello dell’uomo crudele. Cosi
d ssero assetate le campagne asciutte , volpe 1’ uomo astuto
capo del monte la cima , e piè del monte la falda di quel-
la , una messe di gloria , una ridente prateria ec.
Se la Metafora si estende , e si continua , aggiungendovi
altre parole allora si chiama Allegoria.
L ' Allegoria può riguardarsi come uua continuala metafora;
ed è propriamente la rappresentazione più o meno lunga di
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una cosa posta in vece di un altra che la somigli. Così Ora-
zio sotto alla figura di una nave dipinge nell’ode XIV , del
lib. I ; il pericolo in cui era il partito di Bruto. Così il Pe-
trarca sotto alla stessa immagine della nave rappresenta lo
stato dell’ animo suo nel seguente souetto.
Passa la nave mia colma d’obblio
Per aspro mar a mezza notte il verno
Infra Scilla , c Cariddi , ed al governo
Siede ’l signor , anzi ’l nemico mio.
A ciascun remo un pensièr pronto e rio ;
Che la tempesta e ’l fin par eh’ abbi a scherno ;
La vela rompe un vento umido eterno
Di sospir , di speranze, e di desio.
, Pioggia di lagrimar , nebbia di sdegni .
Bagna , e rallenta le già stanche sarte,
Che son d’error con ignoranza attorto.
Celansi i due miei dolci usali segni.
Morta fra 1’ onde è la ragione , e l’arte:
Tal che incomincio a disperar del porto.
La Metonimia disegna una cosa dal nome del suo Autore,
come le Fatiche di Marte per' la guerra , le Muse per le
Belle-Arti. Prende ancora la cagione per 1’ effetto, come di-
cendo il fuoco della state invece del calore ; leggere il Dan-
te , e ’l Tasso invece delle loro opere ; 1’ effetto per la ca-
gione, come rispettare il bianco crine, invece di dir la vec-
chiezza ; guadagnare il pane coi propri sudori , invece dir
con le proprie fatiche. Il contenente pel contenuto , come
nel Petrarca : l’ Africa piànse , Italia non rise , per dir gli
Africani , e gl’ Italiani. La materia , di cui è fatta una cosa,
come il ferro per la spada ; l’oro , e l’argento per le mo-
nete d’ oro o d’ argento ; lo strumento , onde una cosa si
eseguisce , come ammirare le dotte penne invece degli scrit-
ti , lodar lo scarpello , e il pennello di Michelangelo invece
delle statue e delle pitture sue. Il segno per la cosa signi-
ficata , come appresso Cicerone : Cedant arma togae , dove
le armi e la toga son poste invece della professione militare
e civile , di cui eran le insegne. II protettore o possessore
iu luogo della cosa protetta o posseduta , come Marte in-
vece della guerra, Cerere invece delle biade; e in Virgilio :
ardet Ucalegon , cioè la casa di Ucalcgone ec. ec.
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3 o
La Sineddoche è quella specie dì tropo per cui si pone
la porle pel (ulto , come i Romani padroni del mondo per
dire d’ una gran parie delta terra ; la fronte per tulio il vi-
so ; il tello per la casa ; le onde pel mare , il polo pel cielo.
Il genere per la specie , come tristo animale per 1’ uomo
tristo. 0 la specie pel genere , come Euro o Noto per qua-
lunque veuto. Il plurale pel singolare , come emulare i De-
mosteni o i Ciceroni per Demostene e Cicerone. 0 il singo-
lare pel plurale , come guardare con placido occhio , mor-
dere cou maligno dente per occhi e denti.
LEZIONE XXIII.
dell’ IRONIA , DELL* IPERBOLE , DEL SARCASMO
E DELLA PERIFRASI.
L’Ironia si adopera quando si dice per appunto il con-
trario di quel che si pensa ; per divertirsi alle spe e di chi
s’ inganna , come appresso Terenzio è il salve del vecchio
Demifone al servo che gli avea mal custodito il figlio : oh!
salve , ione vir : curasti probe : Oh ! addio valentuomo:
hai fatto la bella guardia.
Comunemente 1* ironia debb’ esser breve , perche colpisca
più vivamente. La più lunga ironia , e sostenuta con mag-
gior arte , è forse quella dell’Ab. Parini nei poemetti delle
parti del giorno , ove fingendo di voler ammaestrare un gio-
vine nei riti e nelle costumanze del bel mondo , ne fa ve-
dere con una continua satira i vizi e le ridicolezze.
L ’ Iperbole tiene dell’ Ironia in quando dà alla cosa , di
cui si parla quel grado di più o di meno , che la realtà non
possiede. Nel conversare comune le espressioni iperboliche
occorrono frequentemente , come veloce al par del vento ;
bianco come la neve ; o col dire di un alto monte o edifi-
cio , che tocca il cielo ; o col dire ; 1’ umana vita è breve
al pari di un istante.
Il linguaggio degli Orientali era più iperbolico , che quello
degli Europei. Nei primi periodi della società e negli scrit-
tori dei primi tempi , come più immaginosi , anche le iper-
poli erano più frequenti.
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. Jl
Le Iperboli sono di due specie: altre si adoprano nelle de-
scrizioni , altre sono suggerite dal calor della passione. Cosi
Didone ad Enea che risoluto d’ abbandonarla , nulla piega-
vasi alle preghiere di lei col dire :
i No che nè madre a te una Dea , nè capo »
Fu di tua stirpe Dardano. Te , perfido
i Tra rupi generò I’ orrendo Caucaso » ,
Te fra boschi lallaro ircane tigri.
( Eneide IV. ).
11 Sarcasmo è una ironia pungente. Cosi Ascanio dopo
aver ferito Remolo , che orgogliosamente avea insultato i
Troiani , gli dice :
j Or va , l’altrui valor superbo insulta ».
d Tal fanno i presi già due volle Frigii ».
Ai Rutoli risposta,
La Perifrasi , o circonlucuzione è un troppo , col quale
si rappresenta una cosa per mezzo di caratteri , che la di-
stinguono iuvece di nominarla. Così il Petrarca invece dcl-
1’ Italia dice :
Il bel paese,
Che Appennin parte , il mar circonda e l’Alpe;
ovvero si spiega con più parole una cosa, che per sè stessa
ne richiede meno , come : Il padre degli Dei e il He de-
gli uomini invece di Giove. Il sole sparge i primi suoi
raggi sulla cima dei monti invece di dire : spunta il sole.
Le Perifrasi , come le Iperboli , di cui la più parte dei
secentisti empivano a ribocco i loro scritti , sono aneli’ esse
più proprie della poesia.
Perchè poi le Perifrasi sien giuste ed esatte , fa d’ uopo
che i caratteri , con cui 1’ oggetto descrivesi , convengono a
lui solo , di maniera che tosto s’ intenda , e non si possa
confondere con verun altro.
LEZIONE XXIV.
DEI VIZI DELLA METAFORA.
Se belle sono le metafore che fanno sorgere una manife-
sta somiglianza tra l’ idea da che si toglie il vocabolo , e
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1’ altra a cui si reca , chiaro è che deformi saranno quelle
che contengono il paragone di cose o nulla o poco somi-
glianti , e clic sono male acconce al proposto Gne.
Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale
nella seguente metafora del Mar ni. Volendo egli lodare un
maestro che formava bellissimi esempi da scrivere , esalfa
la penna di lui , dicendo che ella deve essere divina.
Perchè una penna sola ,
Benché s’ alzi per sé pronta e sicura ,
Se divina non è tanto non vola.
E quale somiglianza è mai tra il volare c lo scrivere?
Son tulle da poca somiglianza quelle metafore che, volendo
signiGcarc cose piccole; prendono da cose grandi l’immagine
o al contrario. Il Marini assomiglia le lagrime della sua don-
na ai suoi tesori dell’ Oriente; e Tertulliano il diluvio uni-
versale al bucato. Errò similmente colui che disse alla sua
donna : Son gli occhi vostri archibugetti a ruota ; E le
ciglie inarcate archi turcheschi ; e quell’ epitaffio di uno
spagnuolo a Carlo V Imperatore :
Poni per tomba il mondo , il ciel per tetto
Poni per lacrime il mar , gli astri per faci.
È bellissima la metafora , che il Poliziano tolse al Boccaccio:
E le biade ondeggiar come fa il mare.
Sarebbe difettosa quest’ altra :
E tremolare il mar come le biade.
Viziose coinè le sopraddette erano la più parte delle meta-
fore usate dagli scrittori del secolo XVIf , e sopratutto dai
poeti , i quali svisceravano i monti per estrarne i metalli ,
j oceano sudare i fuochi , ed avvelenavano V oblio con
r inchiostro.
Parmi inutile cosa I’ estendermi in questa materia , essen-
doceli il nostro secolo , sebbene incorra in altri vizi , di
cosi falle baie si mostra nemico.
Cadono in gravissimo -errore coloro , che imitando il vol-
garizzamento di Ossian fatto dal Cesarotti ; sperano di venire
in fama di sommi poeti togliendo sempre le metafore dai
* veuti , e dalle tempeste , dai torrenti , dalle nebbie e dalle
nuvole. Paiono a costoro inaravigliosc squisitezze e delizie i
seguenti , e simili modi ; sparger lagrime di beltà — i f-
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gli dell' acciaro — il tempestoso Jiglio della guerra — siede
sul brando distruzione d' eroi — dardeggiano gli sguardi
= rotola la morte — urlano ì torrenti.
Colali metafore , che per avventura erano naturali ai po-
poli selvaggi , sono iu Italia ridevoli e sciocche fantasie.
LEZIONE XXV.
DEL CO?! GIUNGERE LE METÀFORE CON LE MFTAFORE E CON
LE VOCI PROPRIE.
La prima regola da osservarsi nell’ uso delle metafore si è
di non ammassarle nel discorso , ma eollocarvele parcamente
e di guisa che paiono, come dice Cicerone, esserci vènule vo-
lontariamente, e non per forza nè per invadere il luogo altrui.
E da avvertire in secondo luogo, che la metafora non si
dee congiungere con altra metàfora. Se , per esempio ,
avrai detto che Scipione è un fulmine di gueira , non di-
rai tosto che egli trionfò in Campidoglio.
Se paragonerai l’ Eloquenza ad un torrente , non le attri-
buirai poco appresso le qualità del fuoco , ma avrai cura
che la Metafora sia sempre collegata con le idee prossime di
guisa , che 1’ ascoltatore non trovi mai contrarietà nei tuoi
concetti.
In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti ,
come il Petrarca nel Sonetto XXXII dove , cominciando col
dire metaforicamente eh’ egli ordisce una tela , prosegue
i I farò forse un mio lavor si doppio
i Fra Io slil dei moderni , e il sermon prisco ,
i Che ( paventosamente a dirlo ardisco )
» Infoio a Roma ne udirai lo scoppio.
Ma non così egli fece nel Sonetto già scritto di sopra
■ j Passa la nave mia colma d’ obblio
che in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affauni
suoi alla nave , da questa immagine non si diparte sino
alla fine.
Non intendo io però di affermare , con l’esempio di que-
sta allegoria , che in breve discorso non possano star ben
insieme p ù metafore di natura diversa ; ma di avvertire che
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.issai disconviene il trapassare da una similitudine ad un al-
tra inconsideratamente e quasi per salto.
Giova moltissimo talvolta a render chiaro e naturali quelle
metafore, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti,
il preparare per convenevole modo l’animo degli uditori. Se
taluno , volendo dire che gli uomiui per male esempio al-
trui caggiono in errore , dicesse caggiono nella fossa della
falsa opinione , userebbe certamente ardila e spiacevole me-
tafora : nondimeno ella diviene bellissima , qualvolta per le
cose antecedenti ne siamo disposti. Vaglia l’esempio di Dan-
te. Dopo aver egli ricordata la nota sentenza — se il cieco
al cicco sarà guida cadranno ambedue nella fossa — prose-
gue : i ciechi soprannominali , che sono quasi infiniti ,
con la mano in su la spalla a questi mentitori sono ca-
duti nella fossa della falsa opinione. Così 1’ ordita meta-
fora diventa parte di una vaghissima dipintura , che viene
quasi per gli ocelli alla mente , ed ivi s’ imprime e lunga-
niente rimane.
LEZIONE XXVI.
DELLE FlGl'RE DI P1R0IE.
Vi sono frasi , parole , c giaciture destinale a comparire
nei generi elevali, nei Panegirici, nei Discorsi d’apparato,
nell’alta Poesia ; chiamansi termini nobili : vi sono di quelli,
che malgrado la loro energia , sono condannati a rimanere
nella bassezza son delti termini bassi . Tra questi due gradi
v’ è un mezzano, eba comprende tutte le frasi, e le parole
che hanno qualche cosa di questi due estremi senza unirli.
Questi sono il corpo, e la base d’ ogni discorso ; e 1’ incor-
poro poi dei termini nobili o dei bassi , Debilità , o digrada
questo fondo.
Avvi in lutti i buoni Scrittori un corpo seguito di pensieri
naturali , presi nel senso connine , e tratti dalle viscere me-
desime del suggello; questa. è l’essenza di tutta la compo-
sizione:
Stribendi recte sapere est et principivm et fons.
Su questo fondo uniforme si spargono con iscelta , e gu-
aio , i fiori dell’ Elocuzione.
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La disposinone , che si dà ali’ espressione , e<l ai pensieri
non può avere che due oggetti ; il mettervi o maggior gra-
zia , o maggior forza. Ma di rado avviene che la grazia, e
la forza sicno separale. La disposizione delle parole contri-
buisce a un tratto a mettere comodità , e chiarezza in un di-
scorso , onde vien la grazia ; e a far connettere le idee , e
P una P altra serrarle , d’ onde vien la forza.
Quando questo legame si fa sentire all’ orecchio , e allo
spirito , per il concerto , e la convenzione de’ suoni , che
compongono le parole , ne risultano le bellezze di quei clic
si appella Armonia.
Per Figura s’ intende nell’ Elocuzione la disposarne delle
parti d’ una frase oratoria , o di più frasi tra loro con un
certo rapporto di simmitria.
Le Figure di parole consistono nella foggia di ordinarle ,
per dar loro un corso più spedilo , o un andare più fermo.
Tal’ è la ripetizione della congiunzione in questo verso,
Et le Frère et la Soeur, et la Fillc et la Mere
o quella dell’ esclamazione in questo
O rage . ò desespoir , ò fureur ennemie !
la gradazione , che ordina le parole secondo ir loro grado
di forza, o di snervatezza ; partei corre , vola ; la regres-
sione che fa ritornar le parole su loro stesse con un senso
diverso; come non bisogna vivere per bere e mangiare , ma
bisogna mangiare e bere per vivere ; la disgiunzione , che
toglie le particelle congiuntive, per rendere il discorso più
vivo , e rapido , P aggiunzione , che si fa quando di due
verbi se ne «opprime uno. La compiacenza fa degli amici ,
e la verità dei nemici.
Nenni. M' y vaici dono ? Point du tout.
M' y vaila (i).
Sublime è ancora quel luogo di Tito Livio nella allocu-
zione di Annibaie a Scipione : Ego Annibai peto pacem ;
poiché la parola Annibai reca al pensiero le virtù ,'Ie im-
(i) Tutta la bellezza di questo verso del de la Foniaine consi-
ste nell’ aver soppresse le seguenti , o simili parole : La soì'ella ri-
spose , No. L’ altra ripigliò ec. La prima replicò ec. Quella sog-
giunse ec. il che P avrebbe rendala rincrcscevole.
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prese , la ferocia di quel capitano. Medesimamente si fa ma-
nifesta una straordinaria fortezza di animo nei due luoghi
seguenti. Seneca , nella Medea , fa dire alla nutrice :
Abiere Colchi : coniugis nulla est Jides ,
Nihilque superest opibus e tantis tibi
Medea risponde :
Medea superest.
Corneille ad imitazione di Seneca :
Nerine — Dans un si gran revers gite vous resle-t-il ?
Med — Moi.
In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il pro-
nome , ed ottenne effetto maraviglioso e con la brevità e con
quella colai pienezza di suono che è nella voce moi. II poeta
latino col nome di Medea destò negli uditori la memoria
della potenza , della sapienza e della magnanimità di quella
Maga.
LEZIONE XXVII.
DELLE FIGURE DEI PENSIERI.
Tra le figure dei pensieri si distinguono quelle , che de-
stano 1’ attenzione , e quelle , che toccano principalmente il
cuore. Per toccare il cuore è d' uopo passar per lo spirito;
e per risvegliar lo spirito , bisogna interessare il cuore.
La suggezione è una figura piccante , con la quale inter-
roghiamo l’ avversario , o 1’ uditore , incaricandoci della ris-
posta. L’ interrogazione ravviva la mente , l’ ascoltatore vuol
cercar la risposta , e gode a prevederla. Ecco il Flechier ,
come nell’ orazione Funebre del sig. di Turena adopera la
Suggezione : <t Chi fece mai sì gran cose ? chi le disse con
i più riserba? R' portava egli qualche vantaggio? ad inten-
s derlo, ciò non era, perchè egli fosse avveduto ; ma il ne-
i mico si era ingannato. Rendeva egli conto di una battaglia?
j nulla dimenticava , se non se , eh’ egli era , che 1’ avea
i guadagnata. Ritornava egli da quelle gloriose campagne ,
» che renderanno immortale il suo nome? fuggiva le popo-
i lari acclamazioni , arrossiva di sue vittorie ec. »
E il Metaslasio ( Clemenza di Til. At. I. Se. XI ).
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E da gloria il tuo voto ? Io li propongo
La Pairia a liberar : frangi i suoi ceppi ,
La tua memoria onora ,
Abbia il suo Bruto il secol nostro ancora.
Ti senti d’ un’ illustre
Ambizion capace ? eccoli aperta
Una strada all’ impero ec.
La Preoccupazione previene l’ obiezione per confutarla an-
ticipatamente. E un colpo maestro per eludere , o almeno
spossare le ragioni, che si vogliono opporre. Ecco qui, co-
me Francesco-Maria Zanotti adopera' la Preoccupazione nel-
P orazione delle lodi delle Belle-Arti , recitata in Roma. <t Se
i fosse alcuno tra voi , Nobilissimi Uditori , il quale si ma-
i ravigliasse, che io, uomo forestiero, e di niun valore, mi
j sia lasciato indurre a dover essere il primo , che in quc-
i sta cosi augusta aduqanza si levasse in piedi , e ragiouas-
j se ; sappia in primo luogo , che prima di ogni altro io me
» ne sono maravigliato io medesimo ec.
E Tassi. Ger. II. 7^0. dice :
1 Tu , che ardito fin qui ti sei condotto ,
» Onde speri nutrir cavalli , e fanti ?
j Dirai : l’ armata in mar cura ne prende ;
1 Dai venti dunque il viver tuo dipende ?
La Compensazione , alla quale riferisce il Parallelo , fa
figurare insieme due cose , o due persone. E un’ esercizio
grato alla mente, che va, e torna dall* una all* altra , conta
i liniamenti , li paragona , e giudica continuamente della di-
versità , e della somiglianza = Eccone un esempio del Boc-
cac. g. 10. n. 8.
r II vostro avvedimento , il vostro consiglio , la vostra de-
liberazione avea Sofronia data a Gisippo , giovane , e filoso-
fo : quello di Gisippo la diede a giovane , e filosofo. Il vostro
consiglio la diede ad Ateniese , e quel di Gisippo a Roma-
no. ec.
E il Melasi. Clem. di Tit. At. II. Scen. XI.
a Tu, infedel, uon hai difese, a Tu, crudel, tradir mi vuoi
1 Èpalese — il tradimento: » D’amistà — col finto velo:
» Io pavento — d’oltraggiarti » Io mi celo — agli occhi tuoi
» Nel chiamarti — tradilor. a Per pietà— del tuo rossor.
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3ò
La Sospensione , o sostentazione è una dello figure più pic-
canti ; e si fa quando dopo un discorso di qualche estensio-
ne , che prometta alcuna cosa interessante , si presenta un
oggetto tuli’ altro da quello , che s’ era atteso. Cosi Enea ,
dovendo narrar i gemiti e le voci uscite dalla tomba di Po-
lidoro , sospende il discorso con la parentesi « debbo io dirlo,
0 tacerlo ? i ( Aeneid. HI. )
Ma quando il terzo arbusto con più forza
A sbarbicare imprendo, contro terra
Le ginocchia puntando ( il dico , o il laccio ? )
Un lagrimevol gemito dall’ imo
Fondo 1* orecchio in questi accenti Cede.
La Reticenza si fa dicendo una cosa , mentre ci protestia-
mo di non dirla, Eccone un esempio nell’Orazione di Nicola
Arrighetli delle lodi di Filippo Salviati.
j Lascerò le opere di pietà, e le larghe elemosine ec. la-
d scerò i pietosi legati dell’ estrema sua volontà , dove in
i) particolare disponendo ec. Non dirò , come già fallo co-
1 noscitore della vicina morte, intrepido , e baldanzoso discor-
* resse dell’atra vita. ce.
Nella Correzione l’Oratore si riprende improvisaraenle da
per sè , come se volesse dir meglio, o altro che ciò che ha
detto. Esempio di Alberto Lollio. Oraz. a Paolo III.
* Non sa egli forse , o non si ricorda , voi essere Cristia-
no !’ Cristiano? anzi religioso e sommo Sacerdote. Religioso?
anzi ministro della Cattolica Fede. Ministro ? anzi pur Capo ,
e Principe della Chiesa di Dio ec.
E il Petrarca Canz. ult.
Vergine saggia , c del bel numero una
Delle beate vergini prudenti ,
Anzi la prima , e con più chiara lampa.
L 'Apostrofe si fa , non quando s’ indrizza la parola ad al-
cuno; ma quando si storna da coloro, ai quali da principio
si era indrizzata , per parlare ad altri. Si può apostrofare ai
vivi, ai morti, ai presenti, agli assenti , e fino anche alle cose
inanimate. Esempio ucH’Oraziouc di Dati a Luigi XIV.
3 Di lù, Isola (di Candia) sventurata per lauti anni com-
battuta dalla fierezza Ottomana , quali aiuti c più forti, e più
numerosi , e più pronti avesti giammai, clic dalla gente fran-
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3 9
cose? Racconta, se Io stupore non t’ annoda la lingua, l’ul-
tima sanguiuosa sortita dei gallici Venturieri, che assicurò le
tue trincee , i tuoi baluardi sdruciti , e rotti dalle avverse
bombarde , la tua libertà , la tua vita già deplorata , dal fu-
rore imminente dei Musulmani. Fermali, o fiume Rab, a ri-
dire l’assalto portentoso , fatto sulle tue rive dal polente soc-
corso Reale ec.j.
Nel Dialogismo si ragiona con sè medesimo, o si fanno
parlare due persone insieme.
Esempio: del Marchese Adimari nell’orazione nel Yenerdi
Santo.
» Volse egli la fronte ricoperta di sangue ... e con tai pa-
» role efficacemente il pregò : Perdona , o Padre , a costo- <
» ro. Sospend rò io dunque la mia provocata giustizia ? ri-
i spose quegli. Perdonerò io dunque la morte del mio Prò
i mogeuilo? Replicò questi : Perdona o Padre; sì, caro Pa-
li die , perdona , perchè essi ignorano quel che fanno.
E così il Tass. Ger.
E chi sè., disse, tu, che sì gran fasto
Mostri , presente il Re , presenti noi? '
Forse è qui tal , eh’ ogni tuo vanto audace
Supererà coi fatti ; e pur si tace.
Rispose l’ ludofero : lo mi son uno ,
Ch’ appo l’ opre il parlare è scarso , e scemo :
Ma se altrove, che qui, cosi importuno
Parlavi , tu parlavi il detto estremo.
La Prosopopea apre i sepolcri , risuscita i morti , fa par-
lare il Cielo , la Terra , tutti gli enti reali , astratti , imma-
ginari. E uno dei più spiccanti modi dell’ Eloquenza. Esem-
pio. del Devanzali nell’ orazione , nel prendere il Consolato
nell’Accademia fiorentina.
3 Fingete di vederla (la lingua toscana) dinanzi a voi qui
comparire in figura di nobilissima donna... c che ella vi dica
piangendo , e vergognando : Guai a me , che straziata si
m’hanno, come voi qui mi vedete, quelle mani straniere, e non
pure , cui sono in preda , e del diliberarmi non ci ha chi
pon cura. Io vi chieggio mercè x.
E così il Petrarca Son. Levommi il mio pensiero.
Per man mi prese , e disse : In questa spera
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4o
Sarai aucor ineco , se ’i desir non erra. ec.
L’ Jpotiposi è una immagine, un ritrailo. Quando dipinge
l'esteriore degli uomini, si chiama Pro topografia. Esempio.
Boccacc. X. 6. » Nel giardino entrarono due giovinette , di
età forse di quindici anni 1’ una , bionda come fila d’ oro e
coi capelli tutti innanellati, e sopr’essi sciolti una leggier ghir-
landctta di provinca ... ed eran vestite d’un vestimento di lino
sottilissimo, e bianco, come neve, in sulle carni, il quale
dalla cintura in su era strettissimo, e da indi in giù largo a.
guisa di un padiglione , e lungo in sino ai piedi.
Quando dipinge i costumi , è detta Etopeia. Esempio. Boc-
cacc. IX. 6.
» Donna sopra ogni altra bizzarra , spiacevole , e ritrosa
ì intanto , die a senno di niuna persona rotea fare alcuna
» cosa, nè altri far la poteva a suo ec.
E così il Metast. Belul. P. I.
i Terribile d’ aspetto
i Barbaro di costumi ,
O conta sè fra i Numi
O Nume alcun non ha.
Fasto, furor, dispetto
Sempre dagli occhi spira ;
E quanto è pronto all’ ira ,
È tardo alla pietà
Se si occupi a descrivere i luoghi, è una Topografia, fi-
esempio. Boccacc. VI. sul Gne.
» Il piano , che nella valle era , così era ritondo , come
» se a festa fosse stato fatto ... intorniato di sci montagnelle
» di non troppa altezza , ed in sulla sommità di ciascuna si
» vedeva un palagio quasi in forma fatto d’ nn be! caslellet-
» to. Le piagge delle quali montagnelle , così digradando ,
» giù verso il piano discendevano , come nei teatri veggia-
» ino dalla lor sommità i gradi insino all’ inGmo venire.
E cosi il Tasso Ger. XVI. P.
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4i
Tondo è il ricco edificio : e nel più chiuso
Grembo di lui , eh’ è quasi centro al giro ,
Un giardin V ha , eh’ adorno è sovra l’ uso
Di quanti più famosi unqua fiorirò.
Dintorno inosservabile , e confuso
Ordin di logge i Demon fabbri ordiro :
E tra le oblique vie di quel fallace
Ravvolgimento impeneirabil giace.
LEZIONE XXVIlf.
DELLE FIGURE DI PENSIERO DETTATE DALLA SEMPLICE
“■ IMMAGINAZIONE.
La Comparazione , o similitudine consiste nel paragonare
un oggetto ad un altro che l'assomiglia. Per esempio: « Le
» azioni dei grandi politici sono simili a quei gran fiumi ,
» di cui molti veggono il corso , e pochi conoscono la sor-
» gente j.
Alcune similitudini servono per dar della cosa una idea più
chiara , per esempio : « La pazienza soverchiamente slan-
» cala divien furore , in quella guisa , che P aria o il va-
j pore troppo compresso scoppia con maggior impeto ».
Altre s’adoprano semplicemente per abbellirla, come è quella
d’ Orazio ( libro IV. Ode II ) :
li Qual rapido torrente
j Che per gran pioggia enfiato innalza I’ onde
j Sopra le note sponde ,
i E dai monti precipita fremente ,
* Pindaro ferve, e di parlar con grande
F" • j Vena si spande.
Traduzione dell’ Ab. Venini.
Ogni maniera di componimento ammette le similitudini del
primo genere ; quello del secondo son riservate a componi-
menti più nobili, e spezialmente alla Poesia.
La somiglianza come si è detto , e il fondamento di que-
sta figura. Non si dee però la somiglianza prendere nello
stretto senso di una perfetta conformità. Possono talvolta due
oggetti paragonarsi , comechè nell’ esteriore apparenza non
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4.2
si somigliano, purché convengono negli effetti ,*che sulla
mente producono. Ariosto , per esempio ( Fur. XIX. ) a
un’ Orsa .assomiglia Medoro , che vorrebbe difendere la sua
vita , ma non sa scostarsi dall’amato cadavere del suo Si-
gnore :
1 Com’ Orsa che l’ alpèstre Cacciatore
i Nella pietrosa lana assalii’ abbia ,
» Sta sopra i figli con incerto core ,
1 E freme in suono di pietà , c di rabbia.
» Ira la invila , c naturai furore
2 A spiegar 1 ’ unghie , e insanguinar le labbia:
* 2 Amor la intenerisce , e la ritira
2 A riguardare ai figli in mezzo - 1 * ira.
L'Antitesi oppone le parole alle parole , i pensieri ai
pensieri. E una figura che agevolmente si presenla allo spi-
rito , e che quanto ritorna frequente guasta lo stile. Esem-
pio. Aless. Marchetti Oraz. delle lodi di D. Frane. Medici.
2 Molti ritrovali si sono, ch’hanno altri saputo vincere,
2 e superare iu guerra , ma sono poi dalle passioni e dai
. j propri affetti miseramente restali vinti , e superali. Altri
2 dall’ amore e dalla forza dei sensuali piaceri si difendono,
2 che restano dall’ ira , o da qualche altra più veemente
2 perturbazione occupati.
E cosi il Petr. Son. 114. '
Amor mi sprona in un tempo , cd affrena ;
Assecura , e spaventa ; arde , e agghiaccia :
Gradisce , e sdegna ; a se mi chiama , e scaccia ;
Or mi tiene in speranza , ed ora in pena.
Il primo esempio contiene Antitesi di pensieri ; il secon-
do di parole.
Le principali figure , che si adoprino, per andare al cuo-
re , sono 1 ’ Esclamazione , che prorompe con interiezioni ,
come questa del Casa nell’ Oraz. per la lega :
2 Oh infelice, ho sfortunata , oh (raliguala, ho veramen-
2 te ebbra , e sonnacchiosa Italia !
2 Oimè il bel viso : oimè il soave sguardo :
2 Oimè ’l parlar cc. ( Per. 2. Son. I ) ;
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43
» la Confessione , che confessa il delitto per ottenerne il
3 perdono. Cosi Cic. prò Lig. Erravi, temere feci , poe-
» nitet : ad clementiam tuam confugio, delieti veniam pc-
d to , ut ignoscas.
3 Non taccio no , uè i miei delitti io celo...
3 Ben dei miei falli è in me grande il rossore ;
1 Ma so , che in te di mia salute il zelo
d Degli stessi miei falli è assai maggiore.
L’ ab Egari.
la Deprecazione , che ricorre alle preghiere, e alle lagrime.
3 Di ciò per gloria di Dio , per onor di te , per sa-
lute nostra , c conforto dei miserabili rei ; di ciò per que-
sto sacro luogo , a te al diletto , per le malinconiche notti
in continua vigilia trapassale, e per questo , qualunque siasi
devoto ossequio che a te si presta, umilmente ti supplichia-
mo ... ( Filicaja. Oraz. nella Decoll. di S. Gio : Bai. )
3 Ah per quei primi
3 Momenti in cui ti piacqui : ha per le care ,
j Dolci speranze lue , fuggi , assicura ,
2 II mio timido cor. Tanto facesti ;
2 L’ opra compisci. Il più. gran dono è questo ,
# Che far mi puoi. Tu non mi rendi meno ,
2 Che la pace , e 1 ’ onor. Sesto , che dici ?
» Risolvi ... Si, già li leggo in volto
3 La pietà eh’ hai di me : conosco i moli
3 Del tenero tuo cor. Di : in’ iugannai ;
3 Sperai troppo da te ?
Melasi. Cicm. di Tit. II. i 4 -
la Comminazione , che si «sale in minacce: Esempio t l’ro
3 eo , quod elcvatae sunt filiae Sion } et ambulaverunt ex-
3 tento collo, et nulilms oculorum ibaut et plaudebant, am-
3 bulabant pedibus suis, et composito grado inccdcbanl : dc-
3 calvabit Domiuus verliccm iiliarum Sion, et Dominus cri-
3 nera earum nudabil. In die illa auferet Dominus ornameu-
i lum calceameutorum , et lunulas et torques, et monilia,
» et armillas , et mitras , et discriminalia, et pcriscelidas , et
s murpnolas, et oifacloriola, et inaurcs, et auuulos, et geni-
3 masiii fronte pcudcules, et mulaloria , et pallida, et linlea-
3 mina , et acus , et specula , et sindoncs , et viltas , et
3 ibernila. Et crii prò suavi odore foclor, et prò zona fuui-
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i culus et prò crispauti crine calvitium , el prò facia pec-
i (orali cilicium. Pulcherrirni quoque viri lui gladio cadent,
s et fortes tui in praelio. Et moerebuut, alque lugebunt portae
j ejus , et desolata in terra sedebit. ( Isaia III. x6. esegg ).
Altro esempio * Guai a voi anime prave !
> Non isperate mai veder lo Cielo 1
( Dante Inf. )
e l ’ Imprecazione , che è 1’ espressione del furore , e della
disperazione. Esempio.
« Voi siete tutte cosi fatte : che venir possa fuoco dal Cie-
lo , che tutte v’ arda. ( Bocc. V. io ) E cosi Davide per
la morte di Saulle-, e di Gionata 2 . Reg. 1. 21 :
1 Montes Gelboe , nec ros , nec pluvia veniant super vos ,
ncque sint agri primitiarum ; quia ibi abjectus est clypeus
fortium , clypeus Saul , quasi non esset unclus oleo.
LEZIONE XXXIll.
DELLE ULTIME FIGURE DI PENSIERO.
L ’ Interrogazione entra spesso in tutte queste ligure già
dette e serve a rendere oltre modo veemeule lo stile.
Fra tutte le figure oratorie non v’ è una' , che più del-
I’ Amplificazione contribuisca all’ espressione dei sentimenti
in qualunque senso si prenda : un pensiero importante, che
passi come un lampo , non è molto compreso ,* se si ripete
senz’ arte , non ha più il merito della novità. Convien dun-
que presentarlo più volte , e ogni volta con decorazioni di-
verse ; per modo che 1’ anima , occupala da questa sorta di
prestigio , si arresti con piacere sul medesimo oggetto , e
ne prenda tutta 1’ impressione e che ci proponiamo di darle.
Ecco il gran Zanotti come amplifica questa proposizione
Tutto il creato è bello. ( Oraz. cit. )
« La beltà scorse i Cieli , e pose ai loro luoghi le stelle :
la beltà discese in Terra, e d’ erbe , e di fiori vestiilà : la
beltà passeggiò i Mari , e variò le forme dei pesci , e tutto
il mondo adornò d‘ animali , e di piante , cangiandone per
infinite maniere le figure, i colori , gli aspetti. Quanta va-
ghezza , quanta grazia , quanta avvenenza non comunicò el-
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la poscia all’ uomo facendolo simile a lei medesima !.. Quc-
» sta trovano i Nolomisti nella struttura degli animali ; que-
sta i Botanici nella tessitura delle erbe ; questa i chimici
negli elementi dei corpi , questa i Mecanici nelle leggi del-
la gravità c del moto ; questa gli Astronomi nella disposi-
zione e nel rivolgimento degli astri.
E la Fortuna ( presso il Guidi, il Pindaro del nostro se-
colo ) volendo dire ; Io sono la dominatrice dell’ Universo,
lo dice con questa nobile ampliGcazione :
Io mando alla lor sede
Le souanti procelle ,
E lor sto sopra col sereno piede.
Entro l’ Eolie rupi *
Lego l’ali dei venti ,
E soglio di mia mano
Dei turbini spezzar le rote ardenti,
E dentro i propri fonti
Spegno le fiamme orribili , inquiete ,
Avvezze in Cielo a colerir Comete.
Questa è la man , cbe fabbricò sul Gange
I Regni agl’ indi , e sull’ Oronte avvolse
Le regie bende dell’ Assiria ai crini :
Pose le gemme a Babilonia in fronte
Recò sul Tigri le corone al Perso ,
Espose al piè dì Macedonia i troni :
Del mio poter far doni
I trionfali gridi.
Che al Giovane Pelleo s’alzaro intorno ,
Quando dell’ Asia ei corse
Qual fero turbo , i lidi ,
E corse meco vincitor sin dove
Stende gli sguardi il Sole.
Allor dinanzi a lui tacque la Terra ,
E fè 1’ allo Monarca -■
Fede agli uomini allor d’ esser celeste ,
E con eccelse ed ammirabil prove
S’ aggiunse ai Numi , e si fè gloria a Giove
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Circondaro più volte
I mici geni! reali
Di Roma i gran natali ;
E I’ Aquile superbe
Sola in prima avvezzai di Marte al lume,
Ond’ alto in sulle piume
Cominciaro a sprezzar 1’ aure vicine ,
E le palme Sabine.
Io Senato di Regi
Su i selle colli apersi : ec.
LEZIONE XXIX.
dell’ armon a.
Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi , è ne-
cessario eli’ egli sia accompagnato dall’ armonia , della qua-
le niuna cosa ha maggior forza negli uomini.
L’ armonia ci dispone al pianto ed all’ ira , e ci rallegra
c ci placa ; e tulle le genti , avvegnaché barbare, sono toc-
che dalla dolcezza di lei ; laonde grande mancamento sareb-
be , se lo scrittore ad accrescere efficacia alle sue parole
non se ne valesse.
Dalla greca voce armozin , che significa connettere , è
derivala la voce armonia. I maestri di musica insegnano che
essa consiste nell’ accordo di più voci sonanti nel medesimo
punto ; ma coloro che parlano dell’ arte rellorica e della
poetica , presero questa parola quasi nel significato che i
Maestri di musica prendono quella di melodia ; come si vede
aver fatto Aristotele, che usò in questa signiGcazione ora la
voce melos , ora la voce armonia.
La melodia consiste nelle. attenenze che hanno rispettiva-
mente i gradi successivi di nn suono nel salire dal grave
all’acuto: e noi diremo che rispetto al discorso l'armonia
sta nelle attenenze delle lettere e delle sillabe o delle paro-
le che si succedono con quella certa legge che si alTà alla
natura dell’ organo dell’ udito.
L’ armonia , di che parliamo , è di due maniere : I’ una
ha per fine soltanto la dilettazione degli orecchi ; l’altra ,
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oltre la dilettazione degli orecchi , la imitazione del suono c
dei movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quel-
la degli umani afletti : con le quali imitazioni maggiormen-
te ella si rende accetta all’ intelletto , e gli animi signo-
reggia.
La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrut-
te e disposte in modo analogo , come è detto , alla natura
dell’ organo dell’ udito , e fuggendo tutte le voci e lutti gli
accozzamenti di esse , che producono sensazione spiacevole.
L’ imitazione poi si fa adoperando e componendo tuoni o
gravioacuti o molli o robusti,- secondo che meglio si affanno a
ciò che si vuole imitare.
Diciamo alcuna cosa più largamente e dell’ una c dell’al-
tra armonia.
LEZIONE XXX X.
DELI,’ ARMONIA SEMPLICE.
Le parole, le quali , come tutti sanno , si compongono
di vocali e di consonanti , sono più o meno armoniche, se-
condo che le lettere delie due specie suddette si trovano di-
sposte oon certa proporzione. Le vocali fatino dolce il voca-
bolo , le consonanti robusto : ma le troppo vocali , che si
succedono , producono quel suono spiacevole clic si dice ia-
to ; le troppo consonanti fanno le parole aspre e difficili a
pronunziare : così 1’ incontro delle sillabe somiglianti produ-
ce le cacofonie.
Circa le parole non molto armoniche , ma approvale dal*
1’ uso , diremo che elle non si hanno* a rigettare; ma si dee
aver cura di collocarle in guisa, clic il loro suono disarmo-
nico serve all’ armonia di tutto il discorso. Anzi sono da
commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli
divèrsi di suono , i quali , giunti insieme con bell’ arte, so-
gliono rendere maravigliosa l’ armonia del parlare.
Sebbene circa l’arte di collocare le parole con armonia ,
non possa darsi maestro infuori dell’ orecchio avvezzo alla
lettura dei classici scrittori, pure nou sarà dcL tutto vano il
dire più particolarmente alcuna cosa delle parti, onde 1’ ar-
monia si compone. -, i
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E prima di tulio è a sapere che le attenenze tra le let-
tere , le sillabe e le parole t dalle quali risulta 1' armonia ,
sono di due ragioni : cioè attenenze di tempo , poiché si
pronunciano o in tempi uguali o disuguali ; e attenenze di suo-
no, poiché ogni sillaba differisce dall'altra per acutezza e gra-
vità e per più o meno di dolcezza o di asprezza.
Diciamo prima delle attenenze di tempo. Piede chiama-
vano i latini quella certa quantità di sillabe che , pronun-
ciandosi in tempi eguali , si potevano misurare con la bat-
tuta del piede nel modo, che oggi ancora Tanno i suonatori.
E, poiché si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la
varia conformazione della parole) in ispazi uguali di tempo,
avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano la mag-
gior parte del tempo misuralo dalla battuta , e brevi le al-
tre che occupavano la parte minore. Coe-Ium, per esempio,
si compone di due sillabe , e si pronuncia in ugual tempo
che ful-mi-na che è di tre : perciò coelum è un piede di
due lunghe, e fulmina è un piede di una lunga e di due brevi.
I piedi sono di molte specie , e ciascuna ha il suo nome.
Ce n’ ha dei semplici di due sillabe, che sono o due brevi o
due lunghe, o una breve e una lunga, o una lunga e una
breve : ce n’ ha di tre sillabe , che per la varia combinazio-
ne delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie : ce
n’ ha finalmente più di cento specie dei composti , cioè for-
mati dall* unione di due piedi semplici. -
Dalla varia qualità e quantità dei diversi nascono poi le
differenti specie dei metri. A rendere armoniose il verso si con-
giunge al numero il suono che , siccome abbiamo accenna-
to , si genera dalla proporzione , con che sono disposte le
consonanti e le vocali. Da ciò nasce che , sebbene talvolta
i versi abbiano il medesimo numero , non hanno il medesi-
mo suono , ina variano nella loro armonia maravigliosamen-
te ; per la qual cosa interviene che dalla unione di molli
versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d’e-
sempio di esametri, si possono generare molle ed assai varie
armonie: la diversa unione di queste armonie dicesi ritmo.
Come nella poesia dal movimento di molti versi uniti na-
sce il ritmo poetico, cosi da quello di minuti membri d’in-
terminata misura nasce quello della prosa , il quale pure è
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di varie Borie , e siccome avremo occasione di osservare in
appresso. Ora veniamo a dire dell’ armonia delia favella ita*
liana. , •
LEZIONE XXXIII.
DELl’aRMOMIA DELLA FAVELLA ITALIANA.
Gl’ Italiani non hanno determinata la qualità nelle siila*
he , come si vede aver fatto i Greci ed i Latini , per la
qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare.
Alcuni letterati del sesto decimo secolo, fra i quali il Ca-
ro , tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pen-
tametri ; ma quanto poco ( per la insufficienza della lingua
nostra ) al buon volere rispondesse l’ effetto , apparirà dai
seguenti versi di Claudio Toloraei , i quali , se non sono
molti aiutati dall’ arte del recitante , non possono ricevere
soavità.
Ecco il chiaro rio pien eccolo d’ acque soavi ,
Ecco di verdi erbe carca la terra ride;
Scacciano gli alni i soli con le Irondi e coi rami coprendo.
Spiraci con dolce fiato auretta vaga.
A noi servono invece di piedi le sillabe e gli accenti , e
quindi è che da un determinato numero di sillabe e da una
determinata positura di accenti nasce il numero , onde si
generano molte specie di versi.
Omettendo le dispute dei Rettorici e le loro opinioni , cir-
ca questa materia , faremo qui alcun cenno solamente rispetto
agli accenti.
Le parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto ,
1’ accento è su quella, come in tu, me , no , si, se di più ,
o egli è nell’ ultima , come in morì o nella prima , come in
tempo, o nella penultima come in andarono , o prima di
essa, come concedeaglisi. Gl’ indica ti accenti si dicono acuti,
perchè alzauo la pronuncia : e dove questi non sono si tro-
vano i gravi , che I’ abbassano. Gli acuti e i gravi alzando
ed abbassando il discorso portano seco certa proporzione di
tempo, e perciò tengono fra noi il luogo dei piedi latini , e
formano varie specie di versi , che , secondo la quantità dello
sillabe , si dicono o pontasillabi o senari o settenari o otto-
1
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Del medésimo genere sono i seguenti versi del Poliziano.-
1 Di stormir , d’ abbaiar cresce il rumore :
i Di fischi e bussi (ulto il bosco suona:
» Del rimbombar dei corni il ciel rintrona :
ì
2 Con tal romor , qualor l’ acr discorda ,
s Di Giove il foco d’ alta nube piomba :
> Con tal tumulto , onde la gente, assorda ,
» Dall’ alle cateratte il Nil rimbomba
> Con tal orror del latin sangue ingorda
J Sonò Megera la tartarea tromba.
Il Parini ci fece sentir il guaire di una cagnolina e il ri-
sponder dell’eco in questi bellissimi versi :
» Aita, aita ,
i Parea dicesse ; e dell’ arcala volta
1 A lei l’ impietosita eco rispose.
Siccome il succedersi delle parole or va lento or celere ,
è manifesto che questo , che si può chiamare movimento del
discorso , a somiglianza coi movimenti delle cose, e che per-
ciò aver deve virtù d’ imitare le azioni loro. Recherò qui
per maniera d' esempio alcuni luoghi cavati dai poeti.
Odesi il furore e l’impelo del vento in questi versi di Dante:
( Non altrimenti fatto che d’ un vento
1 Impetuosi per gli avversi ardori ,
» Che Cer la selva , e senza alcun rallento
2 Li rami schianta , abbatte , e porla i fiori
2 Dinanzi polveroso va superbo ,
x E fa fuggir le fiere e gli pastori.
Mirabilmente Virgilio descrisse il tumulto dei venti all’ u-
scire della grolla di Eolo :
Qua data porta ruunt et terras turbine perjlant
Incubuere mari, fotumque a sedibus imis
Una Eurusque Notusque ruunt , creberque procellis
Africus, et vastos volrunt ad sidera Jluctus.
Insequitur clamorquc virum , stridorque rudentata.
Fra i versi che esprimono la caduta dai corpi sono bellis-
simi i seguenti : -
» E caddi come corpo morto cade
il qual verso è cadente , come il corpo che cade.
*
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5a
In segui tur praeruptus agirne moni.
In queste parole «li Virgilio si senio il piombare dell'acqua
precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suo*
no il Caro :
> ed' acque un monte intanto
i Venne come dal ciel a cader giù.
In virtù di questo altro verso dello stesso Caro una nave
sparisce in un subito , e si sente il romor dell’ acqua che
i' inghiotte :
s Colossi gorgogliando e s’ affondò.
Lo stesso con una sola parola lunga e scorrevole dipinse
il procedere del carro di Nettuno :
» Poscia sovra il suo carro d’ ogni intorno
i Scorrendo lievemente , ^ovunque apparve
1 Agguagliò il mare e lo ripose in calma.
Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sentiamo a stra-
mazzare il bue :
Procubit fiumi box.
E in questo verso del Petrarca per lo fischiare delle con-
sonanti si squarciano le carni dalle ossa e dai nervi :
i Infin eh’ i’ mi disosso , e snervo , e spolpo.
- LEZIONE XXXV.
DELLO STILE
Nelle opere dell’ arte , siccome in quelle della natura , si
scorge infinita diversità , ma per questa spesso non è tolto
che moltissima specie , sebbene molto dissimili , non sieno
egualmente belli e pregevoli.
Questo vedesi manifestamente per le tavole colorite dai ce-
lebri dipintori , dei quali uno essendo il fine , cioè quello del-
l’ imitare la bella natura , nou in tulli una apparisce la sem-
bianza del loro dipingere.
Raffaello, il Coreggio , Domenichino , i Caracci , Tizano
a Paolo , i quali certo non mancano nelle regole invariabili
dell’arte, sono fra loro assai differenti. Tutti mostrano inven-
zione lodevole e lodevole composizione , belle forme, ben di-
sposto colorilo e conveniente a ciascuna cola: tutti esprimo-
*
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no i costumi e gli affetti , ma ciascuno d’ essi fa delle pre-
dette , e di altre virtù una cotale mistura , che siamo con-
dotti a dire che nessuno di loro ba la maniera dell'altro,
comechò tutti sieno eccellenti. *. v -
Questa , che i pittori chiamano maniera , è similmente co-
mune ai filosofi , agli oratori , agli storici ed ai poeti. Quanti
scrittori sono tenuti meritevoli di pari commendazione , seb-
bene tale fra loro sia la differenza , che spesso ciascuno so-
lamente a se medesimo ed a nessun altro somiglia ?
La disposizione dell’ ingegno e delle affezioni dell’ animo
che in ciascun uomo è diversa , è cagione che le dette ma-
niere sieno di numero pressoché infinito.
Alcuno dei famosi scrittori ha il pregio della perspicuità,
alcuno della eleganza, altri della grazia, altri dell’acutezza.
Questi è grave e maestoso : quegli delicato e molle : chi è
breve e robusto ; chi copioso , chi urbana e chi veemente :
ma tali poi sono tutti, che, se aleuno di noi desiderasse di
ottenere gloria di ottimo scrittore, sarebbe incerto a qtìale di
loro volesse essere somigliante.
L'acCennata maniera particolare, per la quale ciascuno scrit-
tore è distinto dagli altri a si è quella che gli antichi chiama-
rono Stile, prendendo questa voce dall’ istrumcnlo che per iscri-.
vere adoperavano.
La stessa parola stil^, presa più largamente che non fan-
no i filosofi , significa comunemente il carattere in genere o
in ispecie : ma è palese che , filosoficamente parlando si è
bene di d’ usarla nel senso dichiarato. Ond’ è che assai pro-
priamente diremo in generale , carattere filosofico, carattere
persuasivo o poetico ; ed in ispecie , carattere oratorio , li-
rico , epico , tragico , sublime , mediocre e teuue: e stile di
Demoslene, di Cicerone, di Ortensio, di Omero, di Virgi-
lio ec. perciocché nei primi fu il solo carattere persuasivo ,
negli altri il poetico ; ma in ciascuno ebbe una particolare
maniera che, modificando il carattere, l’essere suo non gli
tolse.
E chi volesse investigare le cagioni da che proceda questa
colale maniera, che stile si appella, vedrebbe ch’elle sono
le qualità dell’ intelletto . della fantasia di ciascuno scrittore,
e le qualità degli affetti a cui egli ha l’animo di posto ; la-
tterai "
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n
onde, volendo dare alcuna definizione dello siile , panni che
far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere
del discorso modificato secondo le qualità dell’ intelletto , della
fantasia e degli affetti dello scrittore. . 5
LEZIONE XXXVI.
DELLA PRONUNZI AZIONE .
Non si può leggere in una Compagnia 5 molto meno par*
lare in pubblico , se s’ ignorano le regole della Pronimzia-
zione. La prima di queste regole consiste nella nettezza. Per-
ciò fa d' uopo parlar dolce , distinguere i suoni , non trasan-
darc i finali , separar le parole , le sillabe , alcuna volta an-
cora certe lettere , che potrebbero confondersi , o produrre
nello scontro un cattivo suono ; arrestarsi ai punti , alle vir-
gole , e per dovunque la chiarezza , e ’l senso 1’ esigano.
La Pronunziazione vuol esser 2 . franca , e corrente : se
1’ Oratore stenta, 1’ Uditore ne ha noia.’ Va 3. preso il tuo-
no convenevole a ciò , che si dice. Come sì fatti tuoni va-
riano all’ infinito , è difficilisssimo additarne le differenze , e
darne le regole. Tultavolta pare che a tre spezie si possono
ridurre ; il tuono familiare , il tuono sostenuto , e un ter-
zo , che in grazia del mezzo , che fiene tra i due altri ,
può esser chiamato il tuono mezzano.
Il tuono familiare è quello dell’ ordinaria conversazione.
Non è cantante , nè monotono: consiste nelle inflessioni dol-
ci , e semplici. Il tuono sostenuto è quello , che si usa
nella declamazione dei discorsi gravi , o quando si leggono
Opere molto serie. La voce è sempre piena , le sillabe sono
pronunziate di una colai melodia mezzo cantante ; nè si va-
riano le inflessioni se non con dignità. Il tuono mezzano ha
un poco più apparato del familiare , e un poco meno del
sostenuto. Ciascuna di queste tre falle di tuoni ha i suoi
gradi , nei quali v’ ha del più , o del meno , secondo il
suggello gli attori, gli uditori , e i luoghi.
Gli antichi aveano sopra i tuoni di voce , e sopra i ge-
sti una collezione di precetti che faceva un Arte, e serviva
di regola a chi dovea parlare in pubblico. Credeauo anzi
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esser questa parte una dulie più considerabili dell’ Arte di
persuadere , e di commuovere: Si sa, che Demostene ridu-
ceva alla sola azione tutte le parti dell’ Oratore (i).
LT Azione , o la Declamazione , è una sorta d’ eloquenza
del corpo, un’espressione consistente nei gestire nei tuoni
della voce. Questa spezie di elocuzione ha come il linguag-
gio delle parole*, i suoi elementi. Ha come questo , la sua
schiettezza; ha la sua ricchezza ; la sua armonia particolare
con ciascun soggetto , e generale con ogni soggetto ; la sua
melodia , i suoi numeri , le sue variazioni , il suo decoro ;
finalmente , ha i suoi difetti , e i suoi eccessi.
Tre sorte di gesti vi sono ; gli uni imitativi , quando si
contraffanno i tuoni , o ’1 portamento di alcuno ; gli altri in-
dicativi , che sol disegnano un luogo , una cosa , nna per-
sona , e per ultimo gli affettivi , che dipingono 1’ azioni del-
1’ animo , e ne portano l’ impressione in chi li vede.
11 gesto affettivo è il quadro dell’ anima. Egli è , che po-
ne la vita nel discorso , ed egli solo fa trionfar 1’ Eloque-
za. Contiene tulle le altitudini del corpo , e tutti i moti ,
senza eccezione alcuna. . •
Non v’ è passione , non movimento di passione , nè una
parte di questo movimento , che non abbia il suo gesto , il
suo parlicolar tuono , la sua modulazione , i suoi gradi di
gesti, e di tuoni. Non v’ è Oratore , che non abbia , per
esprimere tal movimento , i suoi gesti propri, e i suoi tuoni
individuali. Finalmente non v’ è Uditore , s’ egli è uomo ,
che non sia in islato di comprendere questa espressione , e
di sentirne la convenienza.
Il Decoro si estende soprattutto ciò , che dice e fa 1’ O-
ratore. Gli addita ciò , che da lui richiede il suggetto che
tratta , il luogo , in cui è , l’udienza , che ascolta, il pen-
siero , eh’ esprime, in fine l’età , e la qualità sua. Esso al-
tresì regola il tuono e ’l gesto.
Il più decente , e ’l più eloquente di lutti i movimenti è
quello , che mostra la fidanza deli’ Oratore sulla bontà della
(a) Interrogato Demostene , qual fosse la principal qualità del-
l’Oratore, l’ Azione rispose egli. E la seconda? l’Azione. E la
terza ? l’ Azione : e cosi sempre , finché si cessi d’ interrogarlo.
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tua causa , e la certezza , in cui è di porgerla in maniera
da persuadere gli ascoltanti. Questo movimento fa ciò che si
appella il tuono d' autorità , quando 1’ Oratore , padrone
del suo soggetto, padrone di sè medesimo, per esser sicuro
senza orgoglio , e promettersi felici successi.
Non v’ è Arte , che non richiegga sforzo ; ma sopra o-
gni altra ne richiede , e ne merita quella dell’ Oratore chia-
malo a parlare in pubblico , e a presentare il Vero d’una
maniera vittoriosa.
LEZIONE XXXVII.
DELLA ZUBRAZIONS.
La Narrazione è una esatta e fedele esposizione di qual-
che avvenimento. Se rapporta più o meno non è esatta ; se
rapporta altrimenti non è fedele.
Ogni narrazione è il ritratto dell’ avvenimento, che ne fa
il suggetto. Il Pittore impiega segni naturali e d’ imitazio-
ne , quali sono i lineamenti, e i colori. Lo Storico si serva
di segui arbitrari e d’ istituzione, quali sono le parolo. L’uno
e 1’ altro quando mischiano del falso col vero, sono Poeti ,
almeno nella parte finta della loro Opera.
La Nutazione ha tutta la sua vaghezza e la sua perfe-
zione , qualora alla fedeltà e all’ esattezza uuisca la brevi-
tà, la schiettezza, e la specie d’ interesse, che -le conviene.
Vi sono tre maniere di Narrazione, V Oratoria , la Sto-
rica, e la Famigliare. Si è ragionato della prima e dei-
fi ultima in ciò , che abbiam detto dell’ Orazione , e dei-
fi Apologo. Ora si tratta della Narrazione storica.
Ha questa tanti caratteri , quante v’ha sorte di storia.
Ora egli ci ha la storia degli uomini considerali nei loro
rapporti con la Divinità , eh’ è la storia della Religione ;
la storia degli uomini nei loro scambievoli rapporti , eh’ è
la storia profana ; e la storia naturale, che ha per og-
getto le produzioni, i fenomini, e le variazioni della Natura.
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LEZIONE XXX Vili.
*7
^ «
Cfcutf
DELLA STORIA DELLA RELIGIOSE.
Questa Storia in due spezie si suddivide ; 1’ una delle
quali è la storia sacra scritta da uomini ispirati , 1’ altra
la Storia Ecclesiastica , scritta da uòmini soccorsi dal solo
lume naturale.
I libri Santi ci mostrano la storia in tutta la sua gran-
dezza e nobiltà. Vi si trova il sublime un to al semplice ,
le narrazioni più affettuose , la schiettezza più pura, la più
persuas va aria di sincerità. Si vede , che gli Autori sacri
hanno tutto avuto presente agli occhi ; e che il loro rac-
conto è conforme a ciò, che si narra;
La Storia sacra non è fatta , per servir di modello a-
gli Scrittori, Pure non v’ ha cosa più perfetta nel genere
Storico. Ella è esatta, fedele, sicura, semplice, spassio-
nata: è la stessa Verità, che si mostra senza pompa, nè
apparato.
La Storia Ecclesiastica differisce dalla Profana sol per l’og-
getto. Lo Scrittore abbandonato a sò slesso non trova modo
fuori delle proprie cognizioui e (aleuti , per diciferare il ve-
ro , ed esporlo altrui. Ma come tratta materie interessanti
alla Religione , è obbligato più di ogni altro a dare al suo
racconto quello spirito di semplicità , e di schiettezza , che
dimanda una Dottrina nemica deli’ ostentazione, e. delle eian-
ce. 11 sig. Flew i può essere proposto per esemplare di que-
sto genere di scrivere.
LEZIONE XXXIX
DELLA STORIA PROFANA.
La Storia Profana c il ritratto dei secoli andati presentato
ai secoli avvenire per loro istruzione. Vi si scorge un con-
tinuo spettacolo di rivoluzioni negli affari umani , di nascile
e di cadute d' Imperi , di costumi, di opinioni che si succe-
dono tutlaBatu. Finalmente di tutto quel rapido, benché ia-
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sensibile movimento , che porta via lutto , e cambia di con-
tinuo la faccia della Terra. '
V’ è la Storia generale , e la particolare. La generale
propriamente detta sarebbe la Storia del genere umano spar-
so sulla terra abitabile dal principio del Mondo. Ella com-
prenderebbe il fondo di tutte le storie dei Popoli , ridotte a
una estensione proporzionata al corpo intiero dell’Opera. Vi
si vedrebbero non solo i rapporti contemporanei delle cagio-
ni e degli effetti che occupano .la scena del mondo, ma an-
cora i germi, più o meno sviluppati , delle catastrofi desti-
nate ai secoli vegnenti.
Si fatta storia è impossibile; ma il celebre Bouuet ne
ha delineato un schizzo veramente prezioso , il cui scopo è
il chiarire , che tulle le rivoluzioni degli affari umani sono
state subordinale al disegno formato da Dio di fondare una
Religione destinata a ristabilire 1’ uomo nei suoi drilli.
La storia che vicu detta particolare , per opposizione alla
Storia generale del mondo , può essere generale per oppo-
sizione ad altre storie d' uno oggetto meno esteso. Tal* è la
storia d’ un Regno in riguardo a quella d’ una Provincia ,
quella d’ una Provincia in riguardo a quella d’una Città ec.
Piu il campo della Storia è vasto , più gli oggetti debbo-
no comparir piccioli. Tocca allo scrittore a situarsi nel vero
punto del suo quadro , secondo le regole della Prospettiva.
Le storie degl' Imperi e dei Regni non dovriano essere
scritti*, se non da Filosofi, o da Ministri : anzi piuttosto da
Filosofi , che avessero, esercitate le funzioni del Ministero :
essendo questi i soli scrittori capaci di sviluppare con egual
successo i giuochi delle Passioni e le molle della politica.
Senofonte , Tucidide , Tacito , Livio , erano uomini di
tal carato , e però la storia ritiene in essi una parte del-
1’ originai carattere , ch’;è d’ inviluppare la morale e la Po-
litica sotto la scorza dei falli. Niuno più del sig. di Thou tra
i moderni è degno d’ esser loro paragonato.
Vi sono storie ristrette a un sol rilevante avvenimento, co-
me la congiura. di Catilina , la Rivoluzione del Portogallo
ec. In queste storie separale è d’uopo che lo storico dia pri-
ma ai lettore contezza dei tempi , dei luoghi, dei costumi ,
degl’ interessi , dei caratteri ; che mostri poi in mezzo a (ut-
*9
fe queste circostanze il germe del successo da raccontare ,
eh’ egli ne siegua gli sviluppi , e i progressi, e che li con-
duce sino al fine. Questi pezzi di storia sono dilettevoli ol-
tremodo; avendo col merito della verità una parte delle qua-
lità delle Poesie. ;
Alcune storie possono ritener questo nome , benché sicno
limitate alia vita di un uomo solo. Tali sono le storie d’A-
l< ssandro il grande , di Cicerone , di Luigi XIV. ec. Ma
bisogna considerarvi l’uomo di stato più deli’ uomo privato ,
altrimenti non sono che Vite.
Gli antichi aveano un particolar gusto a scriver Vite. Cor-
nelio Nepote , Svetonio , Plutarco preferirono questo ge-
nere di racconto alle storie distese. L’ultimo si è proposto
• uno scopo interessante per una mente filosofica, ed è di met-
tere in parallelo gli uomini che spiccarono in un medesimo
genere. I Francesi hanno una folla d’ opere sotto il titolo
di Vite, tra le quali c’ è da vagliar mollo. Le f'ite degli
uomini illustri di Francia cominciale dal sig. da Caslre
d’ Auvigng c continuale dal sig. Ab. Pcrrault , meritami
particolare attenzione.
Noi abbiamo in Italia 1 e vile degli Arcadi illustri, scrit-
te da parecchi insigni letterali e contengono le vite di molli
riguardevoli personaggi. Le veglie piacevoli del Manni so-
no anche Vite di alcuni sollazzevoli umori Fiorentini, scritte
con molta eleganza. Il Muratori ; Salvino Salvini , il Ze-
no, e ’l Conte Mazzuc Iteli i vanno ancho ascritti tra i no-
stri più accurati biografi. ■ , •
11 testo della storia dev’ essere naturalmente nella forma
indiretta , cioè, che lo storico dee narrare quel eh’ è sta-
to fatto, o detto dagli attori , che introduce sulla scena, e
non far parlare essi stessi. ^Nondimeno gli storici a misura *
che hanno perfezionata la loro Arte , hanno presa qualche
cosa dalla maniera dei Poeti mutando in drammatica la for-
ma tioppo monotoma della loro narrazione. . ...
Qualche volta gli storici si brigano di fare essi medesimi
le parlate fatte iu gravi emergenti. Livio è piano di somi-
glianti Dicerie. Si leggono con piacere, ma non lasciano di
magagnare l’ esatta fedeltà , che dee regnar nella Storia. Si
dica altrettanto di quei caratteri , o ritratti , che fanno cer-
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Co
(e opere sloriche , vere gallerie di pittura nelle quali per
mala sorte quasi non si vedono che quadri di fantasia. Le
riflessioni troppo sviluppale , e le discussioni morali , e po-
litiche , si allontanano ancora dallo scopo della storia.
La cronologia è una fiaccola , cui la storia siegue passo
passo.
Nessuna oratoria figura si dee trovare nella storia troppo
ingegnosa ed elevata ; essendo esse fatte per eccitare gli af-
fetti. Ora uno storico non ne ha ; egli non ha amici , nò
nemici , nè patria. Non accusa , nè difende.
La principal qualità dello stile storico è d’ esser rapido.
Lo storico si affretta di giungere all’ avvenimento. Questo
stile vuole altresi essere proporzionato ai suggello. Una sto-
ria generale non si scrive del medesimo tuono d’ una parti-
colare t questa è quasi un discorso sostenuto ; quell’ è più
periodica , e più numerosa. Le opere dell’ Abate de Ferlot
(tassano per modelli in questo genere.
LEZIONE XXXX
DELLA STORIA NATURALE.
Secondo la divisione del Caucellier Bacone la storia na-
turale si divide in tre rami , il primo dei quali, concerne le
opero regolari della natura cioè quelle, in cui ci pare, che
sicno state osservale le leggi ordinarie ; il secondo , i suoi
sviamenti, cioè le opere, in cui la natura sembra uscita dal-
1’ ordinario cammino; iu terzo, le arti , cioè le opere nelle
quali la natura è impiegala, o imitata dall’industria degli
uomini..
La storia naturale vale principalmente ad innalzare le nien-
ti nostre dalla considerazione delle creature alla conoscenza
del Creatore : ella ci presenta 1’ Universo come il Tempio
della Divinità; ella ci fa vedere gli attributi dell’ Essere su-
premo , la cui sapienza , possanza, bontà , provvidenza, ogni
dove scolpile..
Questa medesima Storia fornisce i maggiori soccorsi all’a-
gricoitùra , al Commercio , alla Medicina , a tutte le arti.
Per conoscere le produzioni dei differenti climi ; ne reca nuo-
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6t
ve idee Sull* uso dei materiali , che abbiamo ; lega insieme
i Popoli con la scambievole comunicazione di loro ricchezze;
ci rende abitanti di tutti i luoghi , come la Storia Civile ci
rende contemporanei di tutti i secoli. - - "
Aristotile ,Teofrasto , e Plinio sono i principali, che Ira
gli Antichi abbiano scritto sulla storia Naturale. L’ opera di
quest' ultimo è si variata , come la natura. Comprende indi-
pendentemente dalla storia degli Animali , delle Piante , e
dei Minerali , la storia del Cielo , e della Terra ; la Medi-
cina , il Commercio , la Navigazione ; la storia delle Arti
liberali e meccaniche , 1’ origine degli usi , finalmente tutte
le sciènze , e tutte le Arti umane.
Oggi si può andar più lungi , mercè delle ricerche fatte
dai moderni Naturalisti , e delle immense Collezioni , che si
trovano nei Gabinetti dei Principi, e di alcuni ricchi parti-
colari , che ci hanno del genio , ed unendovi le Memorie
raccolte dai Letterali , e dai Viaggiatori. Tutti questi mate-
riali mettono il nostro secolo in istato di godere d’una sto-
ria Naturale più ricca , più raggionata , e più compita di
quanto è comparso sin qui. Questa è l’impresa, ,che ese-
guirono con molto successo i signori de Buffon , e d’ Au-
benton. ‘ . ' - * ' - - •
LEZIONE XXXX1 -
DELLO STILE EPISTOLARE.
11 Genere Epistolare altro non è che il genere oratorio
abbassató sino al semplice trattenimento. Laonde tante spè-
zie di lettore ci sono , quanti generi d’ Orazione.
Si consiglia in una lettera, si dissuade, si esorta r si con-
sola , si chiede , si raccomanda , si riconcilia , si discute :
ed allora si è nel genere deliberativo. Si accusa si fan la-
gnanze , si minaccia , si richiede riparazione dai torti ; que-
sto è il genere giudiziale; Si loda , si biasima , si felicita ,
si ringrazia ec. questo è il genere dimostrativo.
Vi sono due sorte di lettere ; le une che dir si possono
JHosoJiche ; nelle quali si tratta di una maniera libera al-
cun suggetlo concernente le scienze , o la Letteratura ; le
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6a -
altre familiari , clic altre, non sono , che una conversazione
tra assenti (i). •• • ' ,
Lo stile di queste deve somigliar quello di un trattenimento
quale si avrebbe con la persona medesima, se fosse presen-
te. Nelle lettere filosofiche , che sono propriamente Disser-
tazioni , o disoorsi diretti a un amico, ci solleviamo talvolta
con la materia secondo le circostanze.
Si scrive d’ uno stile semplico alle persone più elevate so-
pra di noi , ma non già d’ uno stile familiare. La familiarità
suppone un certo nodo d’ amicizia , un commercio libero e
frequente 'con le persone , uno spezie d’ uguaglianza in gra-
zia della quale non ci arrabaliamo punto nel discorso.
L’ampollosità di Balzac , e ’l brio di V oiture hanno avuto
i loro ammiratori , ma oggi appena si leggono questi Auto-
ri , che si sono in effetto abbandonati a due viziose estremità.
Lo slil semplice comparisce agevole a imitare , perchè le
parole sono in esso proprie , e i modi schietti. Pure è ben
raro il giungnere alla perfezione di questo stile. Le lettere
di Madama de Maintenon s’inoltrano a questo riguardo quanto
si può più avanti.
Niuno meglio di Madama di Sèvigny ha congiunta l’ele-
ganza alle grazie naturali. Le sue lettere sono piene di tratti
(t) Le lettere sono dal Lipsio acconciamente in tre ctassi divi-
se cioè , in erudite , Serie , e Jamiliari. L' erudite in materie a
scienze, o ad Arti spettanti si aggirano ; modelli delle quali esser
possono in lingua nostra l' elegantissime del Conte Magalotti , o
dello Zeno. Serie sono quelle che trattano d’ affari ,' ed in pubbli-
che , e private dividonsi. Le pubbliche parlan di paci , di guer-
re di governi ; cose alla Politica appartenenti . Con le privale pre-
ghiamo , riprendiamo , lodiamo , raccomandiamo , ci scusiamo , ed
altrettali uffizi coi nostri congiunti , ed amici passiamo. Le fami-
liari finalmente son, quelle nelle quali sveliamo il nostro interno,
i costumi , inclinazioni , le nostre private faconde , gli avvenimenti
di nostra vita. Nelle serie e nelle familiari sono eccellenti il Casa,
il Bembo , il Redi , il Metastasio , il Benlivoglio , ma particolar-
mente Annibai Caro, le lettere del quale sono i più squisiti esempi ,
che abbiamo dello stile epistolare. Le vivacissime lettere del Con-
te Gozzi meritano anch’ esse particolar ricordanza.
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63
inaspettati , ond’ ella era debitrice all' estrema fecondità del
suo ingegno , e alla felice eleganza del suo spirito.
Lo slil Epistolare ammette tutte le figure delle parole, .e
dei pensieri , ma le ammette alla sua maniera , e non pre-
sentandole che come l’espressioni della natura.
Il brio si può diffondere sopra ogni materia d’ oggetti, per
seriosi , o mesti che sieno.. Y’è sempre un modo di parlarne
con grazia. Ma bisogna una riserva estrema sull’articolo della
facezia , perchè non è buona che a suo luogo , ed egli è dif-
ficile nelle lettere imbrecciar giusto. Più ancora è rischioso
lasciarsi trascorrere ai motteggi , avendo il più una tintura
di malignità. • ■ ' •
Ben conoscere chi si è , e a chi si parla , questo è il più
essenziale per ben parlare , e in conseguenza per iscriver be-
ne. Questa conoscenza è quella che regola ciò, che si dee
dire , e la maniera di dirlo. Ma egli è estremamente difficile
il comprendere tutte le relazioni , nelle quali uno si trova si-
tualo , e tenersi nell’ unico punto che lor corrisponde.
Quando non si tratta che di lodare, o ' congratularsi , si
pnò far correre la penna. I dilicali vogliono veramente i modi
squisiti nei complimenti a loro diretti, ma quando pure que-
sta squisitezza mancasse , si perdona di leggieri in grazia della
. buona intenzione. ' ■ -
Quando si tratta d’ affari , il fregio è pericoloso. Le voci
proprie, i modi semplici, e soprattutto la brevità, sono al-
lora il caso. Dire quanto va dello , dirlo bene , e non dir
che quello.
11 cuore , quando delta egli corre più della penna. Ma
. appena c’ entra la suggezione , la mente fornisce a spizzico :
1’ uomo è sterile, nulla basta. In questi «momenti di disgrazia
bisogna ricorrere all’ arte ; riflettere a ciò , che si vuol di-
re , rappresentarsi la persona', a cui scrive, e prendere quel
tuono , eh’ uno sa , che gli convenga. Il che Madama di Sè-
vigny chiamava labourer.
La lettura dei buoni modelli può contribuir molto a for-
marsi uno stile: ma non dobbiamo attaccarci servilmente a
modello alcuno. Le grazie proprie e naturali , per poche che
se ne abbiano , vagliono meglio dell’ accattate.
Non è gran fatto possibile il fare una lettera per regola.:
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G4 r ~^>
il solo sentimento dà la legge, e’I sentimento non è sempre
ben di accordo con le regole, quando queste non pieghino.
Le lungherie versano la noia nelle lettere, e i raffinamenti
vi gimmo oscurità. Torna meglio esser breve che languido.
Le lettere dei dotti sanuo qualche volta di studio e di eru-
dizione : tutto in esse è regolare ed esatto; ma questa esattezza
è spasso accompagnata da rigidezza , e da siccità.
I giovani van dietro a minuzie inutili : scrivono quasi a sè
stessi , e come nulla ponsando a chi scrivono. Fanno un ci-
caleccio eterno.
I Negozianti hanno lasciate molte Raccolte di lettere impor-
tanti , nelle quali danno conto di lor Ministero , e fan cono-
scere gli avvenimenti , nei quali hanno negoziato , e le po
lenze con le quali hanno avuto a fare.
Le Persoue di Corte , avvezze a rappresentare , parlano
d’ ordinario nelle loro Lettere con agevolezza e dignità. Ogni
cosa riceve da essi un certo garbo , eh’ è come l’aria del pae-
se , che abitano.
Si dice, che bisogna scrivere come si parla, ma a condi-
zione che si parli bene. Anzi forse uno è tenuto a scrivere
uu poco meglio che non parla , ancorché ben parli .
LEZIONE XXXXII.
DELLA TRADUZIONE.
La Traduzione degli Autori dell'Antichità è, se non il
solo., almeno il più semplice, il più breve, il più sicuro
mezzo di ben conoscerli, e di apprendere la loro lingua.
Una Traduzione dee rappresentare esattamente !’ origina-
le : non vuol essere uè troppo libera , nè troppo servile;
non dee nè perdersi in lunghe perifrasi, che affievoliscono
le idee , nè troppo attaccarsi alla lettera , che estingue
il sentimento.
Quando si traduce , la gran difficoltà non è d’ intendere
iji pensier dell’ Autore ; ma egli si tratta di rappr esentare
in altro idioma la cose , i pensieri , 1’ espressioni, le ma-
niere , i tuoni d’ un’ opera ; e tutto ciò da un modello ri-
goroso , che bisogna esprimere un’ aria franca.
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Ci .vuole , se non lanlo ingegno, almeno tanto gusto per
ben tradurre : quanto per comporre. Forse ce ne vuole
anche di più. Il Traduttore. non è padrone di nulla: egli
è tenuto a seguir dà per tutto il suo Autore , e piegare
a tutte le variazioni di lui con un’ arrendevolezza infinita.
Chiunque vuol tradurre ha da saper bene qual’ è il ge-
nio delle due lingue, che dee maneggiare, e -cercar qual
sia la differenza della struttura, e quali le cagioni di ciò
che si chiama Francesismo , Latinismo ec.
Il primo principio della Traduzione è di lasciare le manie- '
re , quali sono nell’Autore ; quando le due lingue vi si ac-
comodano egualmente. Yi si possono aggiungnere le seguenti
regole particolari.
I. Il Traduttore non dee cangiar punto l’ordine delle co-
se, sieno fatti, o ragionamenti ; essendo quell’ordine il me-
desimo in tutte le lingue, e dipendendo piuttosto dalla Na-
tura dell’ Uomo che dal genio particolare delle nazioni.
II. Bisogna altresì conservare l’ordine delle idee, o alme-
no dei membri ; dovendosi supporre aver avuto l’Autore una
ragione per impercettibile che sia , che lo ha determinato a
prendere una disposizione piuttosto che un’altra.
III. Si debbono conservare i periodi sieno lunghi quanto
si voglia ; imperocché un periodo altro non è che un pen-
siero composto di più altri pensieri , che si legano insieme per
intrinseci rapporti. Se si tagliano le frasi , restano i pensieri ,
ma senza i rapporti , che determinavano il senso del periodo.
IY. Tutte le congiunzioni debbo restare. EHeno sono arti-
colazioni dei membri ; non possono cambiar senso , nè luogo.
V. Tutti gli avverbi resteranno accanto ai verbo, prima,
o dopo, secondo che l’armonia il permette.
YI. Le frasi simmetriche saran rendute con |a loro simmi-
lria , o in equivalente. La simmitria nel discorso è il rapporto
di molte idee , o di molte espressioni. La simmitria dell’ e-
spressioni può consistere nei suoni , nella qaantità delle sil-
labe , nella terminazione, o nella lunghezza delle parole, nel-
l’ordine dei membri.
VII. I pensieri brillanti per cousérvare il medesimo grado
di lume debbono a un di presso avere la medesima eslensio-
— ■; 5
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66
ne nello parole; se si restringono, si corre rischio di oscurar-
li ; se si estendono , si offusca il loro lustro.
Vili. Convien conservare le figure dei pensieri ; essendo i
pensieri gli 6(essi in tutti gli spiriti ; essi da per tutto pos-
sono prendere la disposizione medesima. lu ordine alle figu-
re delle parole, si possono per l’ordinario supplire con equi-
valenti , se no , bisogna procurare di recar la figura sopra
qualche altra idea , che ne sia più suscettibile.
IX. I proverbi , che souo massime popolari , c quasi in
una sola voce consistono, debbono essere recali per altri pro-
verbi , o parafrasi si naturali , che meritino divenirlo.
X. Ogni parafrasi è viziosa. Questa non è più un tradur-
re, è un contentare. Nondimeno quando altri mezzi non v’ha
per far conoscere il senso , la necessità serve di scusa al
Traduttore.
XI. Finalmenle , fa mestieri abbandonare intieramente la
maniera del Testo, che si traduce quando 1’ esiga il senso ,
per chiarezza, o il sentimento . per la vivacità , o l’armonia
'per la grazia.
Oltre a tutti questi principi! comuni a tatti i generi d’O-
pere , che si transitano , ve ne sono altri che convengono
alle spezie particolari , e queste spezie posson ridursi, a tre,
che sono la Storia , 1’ Eloquenza , e la Poesia.
Quando si traduce uno Storico, non basta attaccarsi all’in-
dole della Storia ; fa d’ uopo ancora seguire quanto è pos-
sibile P indole dell’ Autord. Sallustio, Tacito, Livio, Cesare,
Curzio , Cornelio Nepote , hanno tutti il lor carattere parli-
ticolare.Se il Traduttore non bada a rendere tutti questi' ca-
ratteri , egli fu piuttosto una Parodia, che uua Traduzione.
Nell’ Eloquenza tutto dee esser volto verso la persuasione,
a camminare con dignità. Bisogna sviluppare le idee , dar
loro una certa estensione suscettibile di numero, e d’armo-
nia , c capace di portare P azione dell’ oratore. A ciò si u-
nirà l’ estro più o men gagliardo d’ un uomo che vuol strap-
pare il consenso degli ascoltatori. r
Nella poesia questo estro è un fuoco, che si mostra o nei
concetti , o nelle immaggini. Ma una traduzion perfetta di
Poeti è impossibile o che uno vi si provi in verso , o in pro-
sa. La prosa non può rendere nè il numero nè i metri nè
P armonia , che fanno una delle gran bellezze poetiche. E
sé si tenta la traduzione in versi, posto che si restituisca il
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numero, i melri, l’armonia ; si alterano i pensieri, l’espres-
sioni , gli ammanieramenli. Si renderanno per un fortunato
accidente due, tre, quattro versi ; ma tutto il rimanente sa-
rà scipito, c ’l .frutto d’ un sudore infelice.
In prosa v’ è un modo di tradurre i Poeti con qualche
felicità , e rendere bastantemente bene il tuono poetico, che
fa il principal carattere del verso , purché uno si attacchi a
questi tre punti , I. a rendere le idee quali sono peso per
peso , s’ egli è possibile , o almanco procurando d’ acco-
starsi all' equivalente; li. a lasciare, se si può , le idee, al-
meno le frasi parziali a Ior luogo ; III. a legare i pensieri,
come l’ Autore , a punteggiare come lui , a render periodo
per periodo , a troncar le frasi quando egli le tronca , ec.
Ciò dimanda certamente molta attenzione, ma Io sforzo non
è quanto altri poiria pensare. '
LEZIONE XXXXIII.
de: giornali.
Sono stati avuti come un mezzo alto a diffondere la co-
gnizione dei Libri , e delle principali scoperte in ogni ge-
nere gli Estratti, per li quali se ne dà contezza al pubblico.
Questo genere di scrivere era ignoto agli antichi, e non
esiste che la Biblioteca di Fozio, che vi abbia qualche rap-
porto.
I Giornali son nati in Francia , e si conta il tempo sin
dal 1765. Le Gazzette (1) gli avevano preceduti , essendo
piincipìati nel i 63 i. Il sig. de Salle , Consigliere al Par-
lamento di Parigi fu il primo , che abbia avuta I* idea dei
Giornali : idea si felice , che sussiste anche oggi con pili
vigore che mai accompagnata da una nurtierosa posteri-
tà. Tali sofio l’ espressioni del sig. de Fontanelle nell’ Elo- -
gio del sig. Abate Callois.
II Journal des Savane cominciato dal sig. de Sulle nel
i 665 è il solo che abbia avuto sino al presente una durala
non interrotta , o le cui interruzioni non hanno impedito che
se ne ripigliasse la continuazione.
“ ■ 1 ■ ““ t
(1) Gazzella è il nome di una mondina di Venezia per la qua-
le si aveva altra volta il foglio degli avvisi. *
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C8
Tre anni dopo , cioè, nel 1668. cominciò 1 ’ Italia a pro-
durre i Giornali per opera dell’ Abate Nazari di Berga-
mo, che in tale anno cominciò a pubblicare in Roma il suo
giornale.
D’ allora in poi varie opere di questo genere in Italia si
pubblicarono. Tale a cagion d’ esempio , fu da Galleria di
Minerva , cominciala nel 1696., mercè massimamente d’ ri-
postolo Zeno ; opera ch’ebbe poca durata.
Più felice fu il giornale dei letterati, comincialo nel 1710,
la principal direzione del quale ebbe lo stesso Zeno , e ’l
V ullismeri.
Si cominciò poi un altro Giornale in Firenze , nel quale
ha gran mano avuta il Padre Adami, Servila. Il Marchese
Majfei stampò ancora le sue Osservazioni Letterarie : il sig.
Medoro Rossi le Novelle Letterarie.
Oggi le opere più distinte in questo genere sono le pre-
gevoli Memorie per servire alla storia Letteraria , opera
di più valenti uomini ; le novelle letterarie del sig. Lami ,
Fiorentino; e gli Annali Letterari d’ Italia, clic prima por-
tarono il titolo di Storia Letteraria d' Italia. Autore di es-
sa e il Padre Zaccaria , Gesuita ; solo <sino all’ ottavo to-
mo , e dal nono in poi unito ai PP. Troili e Cubar di, an-
eli’ essi Gesuiti.
Il sig. Bayle è stato eccellente nel mestiere di giornalista.
Le sue Nouvelles de la Bepublique des lettres , che forma-
no undici Volumi in 12. sono un vero modello in questo
genere.
Si può mettere a un dì presso nella classe medesima il sig.
Bernard, Che ha conservato ai suoi Giornali il titolo di
quelli del sig. Bayle.
Tra tutti i Giornali scritti in altre lingue noi solo per ta-
cere di tanti altri , indicheremo gli Acta eruditorum di Li-
psia , che si può mettere in parallelo col joutiàl des Sa-
vuns e per la durala e pel merito.
I Mercuri occuparono una classe inferiore ai Giornali. II
più antico , e ’l più nolo era il Mercure de France , che
portò per qualche tempo il titolo di Mercure Galani.
II troppo numero dei giornali , e 1 ’ estrema parzialità dei
lpro Autori , ha fatto loro perdere mollo credito. Fa d' 110-
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69 •
pa molto talento per piacere ad ogni sorta di Letterati : ed
è impossibile di piacere a tutti gli Autori, che generalmen-
te parlando , non possono soffrire le critiche più giudiziose
e decenti.
LEZIONE XXXXIV.. .
s „
BELLE ACCADEMIE E DELLE LORO OFÈnB.
L’ Italia è stata là culla delle prime Accademie Lettera-
rie. Quella degli Umoristi a Roma era delle più anliche(t).
Non v’ è al presente quasi veruna città considerabile in Ita-
lia , nella quale non se ne trovino , ed hauno costume di
prendere nomi ben singolari (a).
L’ Accademia Francese del' Dizionario , così mentovala ,
è la più distinta di tutte quelle del medesimo genere. Ella
dee la sua origine al Cardinale di Ricfielieu , e fu stabili- -
ta con Patenti del Re nel.i635. I suoi luoghi sono limitati
a quaranta , e sono molti ricercati ogni volta che vacano.
V’ è pure quantità di Raccolte dell’ Accadèmia des jeux
Floraux di Tolosa , che non hanno molto più voga , seb-
bene vi s’ incontriamo a quando a quando pezzi degni d’ at-
tenzione. Si può dire altrettanto di ciò , che hanno pubbli-
cato T Accademia di Marsiglia \ quella di Montalbano ec.
II costume di gittar bori sugli avelli degli Accademici de-
funti , ci ha partoriti gli Elogi del sig. de Fontanelle , che
sono in un genere tutto nuovo , e inimitabili. Tutto ciò che
questo illustre Scrittore, il Nestore degli Accademici di quel
secolo , ha pubblicato , non può mancare d’ andare all’ im-
mortalità.
L’ Accademia delle Iscrizioni e Belle-Lettere è aneli’ essa
una Compagnia distintissima pel sapere dei Membri , che la
(i) Nè in Italia, nè pure in Roma 1* Accademia degli- Umori-
sti si può dire delle più antiche. Nella sola Roma si potevano con-
tare ben sedici accademie più antiche , c alcune ■ di quasi due se-
coli , che. quella degli Umoristi , la quale non prima del x6io. o
in quel torno fu istituita dal Barone Paolo Mancini.
(a) Tra le tante accademie , che le Belle-Lettere riguardano ,
quella della Crusca e l’ altra degli Arcadi sono le principali , e le
più benemerite della nostra Letteratura.
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compongono , c pel pregio delle opere, che ha pubblicale.
Ella nacque nel i 663 . Ma non ha ricevuta la sua forma
Accademica che nel 1701. Le sue memorie compariscono
successivamente in quarto , come quelle dell’Accademia del-
le Scienze.
Le Accademie delle Belle-lettere giovano a perfezionare il
gusto , come quelle delle scienze giovano ad ampliare le u-
mane cognizioni. Queste Compagnie sono dunque molto uti-
li ; ma lo sarebbero assai più , se tutti i loro Membri con-
corressero con la medesima attività al pubblico Bene , e se
tra coloro , che hanno tale attività , 1’ emulazione non de-
generasse il più sovente in una bassa invidia.
LEZIONE XXXXV.
DEI ROMANZI. _•
•
Le Tavole Milesiane dell’ antichità aveano un rapporto ,
ma lontano abbastanza , come quei , che poi furono chia-
mali Romanzi. Il Vescovo Eliodoro , e Achille Tazio ha
fatto in appresso delle opere , che più ancora si appressano
al gusto moderno.
Un Romanzo è una specie di Poema Epico in prosa , la
cui favola è destinata ad istruire divertendo cól racconto di
successi interessanti. Tale è il Telamaco del sig. de Fene-
lon ec. ec,
I gran Romanzi del passato secolo , come Ciro , Clelia ,
Cleopatra , Faramondo , sono anche più nel gusto epico ;
ma sono con ragione accusati di lungherie senza fine , di
stile ricercato, e d’ una foggia d’amore , che non conviene
agli Eroi , ai quali si attribuisce,
I Romanzi sono estremamente degenerali dopo quel tem-
po , e sono divenuti miserabili rassodie , o Libri pericolosi
pei costumi ; e non convien indicar qui coloio , che hanno
calpestalo il decoro. .
Gl’ Inglesi ci hanno offerto da qualche tempo uu nuovo
genere , che si potrebbe dire particolarizzalo, come in Pa-
mela , Grandison , e Clarice : ma che suppongono una pa-
zienza di cui non tutti i lettori sono capaci.
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7 »
Nei bassi tempi questa spezie di componimento assunse una
nuova e singoiar forma. Lo spirito marziale di quelle na-
zioni, lo stabilimento del duello, come metodo autorizzalo di
decidere le cause cosi di giustizia , come d’onore; la scelta
dei Campioni nelle cause delle donne , che non poleauo con
la spada sostenere i loro dritti, insieme con la istituzione dei
tornei militari , diedero origine in quei tempi al singoiar si-
stema della cavalleria , eh' imo dei più struui feuomini nella
storia dello spirito umano. ' •
Sopra questa storia furono fondati quei romanzi dei Cava-
lieri erratili. Non solamente vi si veggon questi impiegali
a vendicar tutti i torti ; ma incontratisi ad ogni pagina Ma-
ghi , Dragoni , Giganti , Uomini invulnerabili , Castelli
incantali ; avventure tutte affatto incredibili , ma adattati al-
1’ ignoranza di quell’ età, ed alle superstiziose nazioni intor-
no alle magie e negromanzia che allor prevalsero.
Queste furon le prime composizioui eh’ ebbero il nome di
Romanzi , l’ origine del quale nome da Monsignore Huel è
attribuita ai Trovatori provenzali , eh’ erano una spezie di
Cantafavole nella Contea di Proveuza , dove ancor sussiste-
vano alcuni avanzi di letteratura -e di Poesia.
Il linguaggio che usa vasi in quel paese era un misto di
latino, e di gallico, chiamalo idioma romano o romanzo, che
noi ora applichiamo a tutte le storie finte. Il primo di que-
sti romanzi fu quello che va sotto al nome di Tarpino Ar-
civescovo di Rheims , scritto nell’ undecimo secolo.
Il suggello di Tarpino è la impresa di Carlo Magno e dei
suoi Pari , o Palladini per discacciare i Saraceni dalla Fran-
cia , e da una parte della Spagna : suggello che il Boiardo
e il Semi hanno poi scelti) pei loro celebri poemi dell’ Or-
lando innamorato , e 1’ Ariosto pel suo più celebre dell’ Or-
lando furioso.
Il romanzo di Turpino fu seguito dall’ Amadigi di Gaula
sul quale Bernardo l'asso compose il suo poema dell’ Ama-
digi , e da vari altri del medesimo torno, i. quali continua-
rono sino al seslodècimo secolo.
Nella Spagna , ove il gusto di questi scritti era cresciuto
ohremodo, l’ingegnoso Cervantes sul cominciare del scolo
AMI. col suo romanzo del Don Chisciolte con cui mise la
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cavalleria in ridicolo contribuì a distruggi re un tal gusto, e
il generai cambiamento dei costumi in tutta 1’ Europa , co-
minciarono a dare un nuovo giro ai fattizi componimenti.
In questa seconda età dei romanzi l’eroismo la galanteria ,
e il mora! colorito della cavalleria romansesca fu conserva-
to : ma banditi ne furono i Dragoni , i negromanti , i Ca-
stelli incantali , e si cominciò ad accostarsi alcun poco alla
natura. .* .
Questa spezie di componimenti prese una terza forma , e
dalla magnificenza del romanzo eroico discese ai racconti fa-
migliaci. Lé opere di questo genere , che presso agli stra-
nieri principalmente escono ogni giorno , sotto il nome di
Vile, Avventure, memorie, o storia di persone anonime o fin-
te , sono per la più parte scritte in maniera , che lungi da
servire ad alcun utile oggetto non contribuiscono che alla
dissipazione, all’ ozio, e ad ispirar dei falsi pensieri, e del-
le massime stravaganti.
Gl’ Italiani , quanto si sono occupati nei romanzi poetici ,
o poemi romanzeschi , come il Morgan le del Pulci /’ Orlati -
do del Boiardo , del Berni , e dell’ Ariosto , l' Amadigi ,
di Bernardo Tasso ec. , tanto meno si sono dilettati dei ro-
manzi prosaici. Alcuno n’ha scritto nello scaduto secolo l 'Ab.
chiari ma per la più parte affatto insulsi.
Noi abbiamo avuto in cambio parecchi novellatori inge-
gnosissimi , come il Boccaccio , Ser Giovanni Fioren’ino ,
Franco Sacchetti , il Ferenzuolo , il Bandella , ed altri ,
ma sarebbe a desiderare , che le loro novelle fossero tutte
così pregevoli per castigatezza e moralità nei soggetti, come
Io sono per la grazia , e amenità dei racconti.
Negli ultimi tempi però vari italiani si sono occupati a
scrivere novelle morali , che impunemente si possono mette-
re tra le mani della gioventù , c da cui essa può anche ri-
trarre di molto vantaggio.
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LEZIONE XXX XVI
7 3
DEI DIZIONARI.
Un Dizionario è una serie di parole disposte con ordine
alfabetico, per ispiegare i termini d’ una Lingua , o' dare
Descrizioni di lùoghi , di Vite d’uomini illustri , définizioni
ed esempi relativi alle scienze alle arti , ec. In somma non
v’ è quasi nulla , che non sia assuggettito alla forma di di-
zionario ; e l’abuso è stato portalo anche più lontano qui •
che a riguardo dei Giornali.
Il Dizionario dell' Accademia francese è una spezie di
Codice di linguaggio. Egli è stalo considerabilmente perfe-
zionato nella seconda e terza edizione. Dei quattro Volumi,
che la compongono , i due primi sono per la lingua r e gli
altri due per le arti. Questi sono propriamente le opere di
Tommaso Cornelio.
Per la Lingua italiana , il vocabolario della Crusca ( la
cui migliore edizióne è quella di Napoli del 1746. iu 6. voi.
in foglio ) è giunto a quel grado di esattezza , al quale uu
Vocabolario d’ una ricchissima lingua vivente possa spirare.
Il più celebre di tulli i Dizionari è senza dubbio quello
del Bayle. Questo scrittore si è avvaluto d’ una forma si
fatta per esaurire le immense rarcoile , onde le sue letture
Io aveano fornito , ma soprattutto per ischierare una folla
di obiezioni contro tutte le verità fontamentali , e per isla-
bilire sulle rovine di queste verità , il pirronismo , ond’ era
imbevuto.
Questo dizionario è uno dei libri che hanno fatto e faran-
no tuttavia più mal nel mondo. -
La numerazione di tutti i Dizionari , che hanno per og- .
getto Scienze particolari come la Geografìa , la medicina ,
la Chimica , ec. sarebbe- lunga mena; ma non possiamo
passare sotto silenzio 1 ’ Eciclopedia , la quale è stata lavo-
rala da letterali del primo ordine; ma la poca moderazione,
che regna in più articoli , nel quali si trattano materie del-
1’ ultima importanza , giustifica pienamente la saviezza delle
misure del Governo in questa occasione. Egli è solamente
da desiderare , che quest’ Opera possa essere compita d’ una
maniera conforme alla pubblica utilità. *
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LEZIONE XXXXVII.
7Ì
DII COMPENDI.
V immensa estensione degli oggetti delle nostre cognizio-
ni , e gli angusti limiti delio spirilo umano , astringono a
ridurre ciò , cbc merita d’ eser saputo , in una forma , clic
permetta di non impiegarvi più tempo di quello , onde si
può disporre.
Vi sono due sorte di Compendi , o due usi principali da
cavarne. Servono' a preparare lo spirilo di coloro, che nul-
la ancora hanno appreso , somministrando loro le cognizio-
ni elementari ; o pure richiamano alla mente , e ritoccano
alla memoria di chi ha fatto un corso intero di qualche scien-
za , il preciso , e 1’ essenziale di quella scienza.
I buoni Compendi sono rarissimi, da che per farli bisogna
possedere a fondo la materia sulla quale si agirano , unire
a questa cognizione un talento di discernimento e di pre-
cisione , che è dote di pochi , e voler durare una fatica,
alla qual non si attacca molta gloria.
Non v’ è cosa , che non si possa ridurre iu Compendio ;
Religione , Filosofia , Geometria , Storia Geografica ; e il
più o meno d’ estensione di questi Compendi varia quasi al-
I’ infinito.
LEZIONE XXXXVIII.
v
DEI SAGGI.
' Il titolo di Saggio è uno dei più comuni ; e ogni autore,
che non ha se non cose vaganti da spacciare sopra un solo
suggello , o sopra più , si serve di tale denominazione.
I saggi sono mollo più utili , ed è dalla loro unione che
nascono poi lo opere compiute.
Avvi delle opere che non debbono il titolo di 8aggio, che
porlono se non la modestia dei loro Autori , che avrebbero
egualmente potuto appellarli Trattati ec. Tal' è massimamen-
te l' ammirabile Saggio del Loche sull' Intelletto Umano.
II Saggio di Morale del Nicole sono. discussioni profon-
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7 5
pissirae : quelli del sig. Davide fiume soprattutto sono ca-
polavori ; e vanno alla Posterità.
I Migliori Saggi Italiani sono quelli del Conte A'garolli ,
uno dei quali è sulla Pittura, l’altro sull’ Opera in Musica,
e l’altro sull’Accademia di Francia , die è in Roma. Ci ha
dato in oltre uu Saggio^ di lettere sopra la Russia.
II nome di Saggi conviene altresì alle Miscellanee , o Col-
lezioni nel gusto di quelle , che i Latini chiamano Adversa-
ria. Si ordina sotto una serie di titoli quanto si sa sulle di-
verse materie da quei titoli espresse , nè si è sottoposto a or-
dine alcuno, o ad alcuna proporzione tra le parti d’un lutto
sì fatto.
Tal’ è pressappoco un libro, che ha molta riputazione, -e
che racchiude quantità di cose singolari, pensate con forza,
ed espresse con naturalezza. Questi sono i Saggi del Mon-
taigne , una delle opere più interessanti , che si possano leg-
gere , ma che dimandano lumi, e precauzioni in chi legge,
per non adottare molti principi falsi , o pericolosi , dei quali
son pieni. -
LEZIONE XXXX1X. - .>
DEI CONSIGLI.
*■ ?'
Gli Scrittori soprattutto di Morale mascherano sovente la
secchezza dei precetti sotto questo titolo. Si hanno i Conse-
i/s de la Sogesse , quelli de /’ Amitiè , cc. Tutti i libri,
nei quali s’ invitano gli uomini a qualche pratica importante
e utile per essi, possono essere così intitolali, qualunque ne
sia il suggetlo.
Molle opere Italiane possono a questa classe ridursi, come «
gli Avvertimenti di Monsignor Spaziani pubblicati dal Mu-
ratori : gli Avvertimenti Politici per un giovane , che de-
sidera esercitarsi nei governi , di Monsignor Corsignani ;
P Introduzione alle paci private dello stesso Muratori ; il Ga-
lateo del Casa , ec.
Gli Autori , che sieguono questa traccia , debbono confor-
marvisi , prendendo il vero lingnaggio della persuasione , e
ornando le loro istruzioni di tritio ciò , che può farle passare
dalla mente al cuore. I principali mezzi di pervenire a que-
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sio iulento sono l’ eleganza dello stile , il tuono affettuoso ,
una scelta felice d’esempi, e una varietà di materie * che
prevenga la noia.
- - LEZIONE L.
DEI DIALOGHI
Il Dialogo è il più antico genere di scrivere. Nondimeno
la grazia , che Platone sparse in queste sorte di Trattenimen-
ti , dee meritargli l’onore dell’invenzione. Egli pose il Dia-
logo molto alla moda , e quasi tutti i Filosofi del suo tem-
po non iscrivevano altrimenti.
I Latini, che si facèano onore d’imitare i Greci, presero
da questi si fatta maniera di scrivere. Cicerone , sebbene Ora-
tore , e avvezzo per conseguenza a discorsi seguiti , credè ,
che la Filosofia non potesse esser meglio posta che in Dia-
logo. E però noi vediamo la maggior parte delle sue Opere
Filosofiche aver questa forma.
Cicerone , sempre pieno delle mire più giudiziose , tratta
le più difficili materie con un’aria di vivezza , che mostra
quanto ne fosse padrone. La sua fantasia sembra fatta per
abbellire il vero , e per dargli quella misura di grazia, che
corregge la secchezza, senza fargli perder nulla di sua forza.
Luciano vivea sotto il Regno di Traiano , e al di là di
quello, ài Marcaurelio. I suoi Dialoghi sono satirici , e pieni
d’ una falsa ironia. Vi attacca tutte le sette di Filosofia , e
tutte le Religioni. Ma il suo carattere d’incredulità è biasi-
mevole, anche in un Pagano; e viene ancora a ragione ac-
culato d' aver parlalo deli’ amore d’ una maniera grossolana.
Tra moderni eh’ hanno fatto Dialoghi , il sig. de Fonte-
nel/e ritiene il primo grado. I personaggi, ch’egli introdu-
ce , parlano con molto spirito ; e la conclusione di ogni Dia-
logo è una verità condotta con grazia , e felicemente espres-
sa. Delle volte però questa conclusione è piuttosto un para-
dosso che una verità.
I Dialoghi del sig. Francesco Maria Zanotti sulla forza
dei corpi , che chiamano viva , sono meno inferiori a quelli
del Fonlenelle nella delicatezza ,, e nella grazia , in quanto
che la materia dei Dialoghi di questo è per se stessa capace
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.77
di grazie d’ ornamenti ; quella dei dialoghi del Zannili è spi-
nosissima, e ripugnante a ogni vezzo di stile.
I Dialoghi del sig. dò Fenelon furono destinali all’ istru-
zione del suo augusto allievo , e corrispondono benissimo alla
loro destinazione. I Dialogues Socratiques del sig. Fernet
sono nel vero gusto di Socrate.
LEZIONE LI.
DEGLI SPIRITI.
Questo titolo è da qualche tempo molto alla moda , e Y E-
sprit dee Loix del sig. Presidente Montesquieu lo ha soprat-
tutto accreditato. Quest’Opera senza essere superiore a una
Critica giudiziosa , è uno dei più gran monumenti della forza
dello spirito Umano. :
Quando si tratta di cose s’intende per Ispirilo j princi-
pi! , le nozioni fondamentali , la teoria , e spesso ancora lo
scopo d’ una Dottrina. Solo gl’ingegni molto filosofici posson
lavorare con buon esito in questo genere.
Quando si tratta di persone , lo spirito d' un’Autore è una
scelta arbitraria dei pensieri , che più garbeggiano a chi im-
prende si fatta scelta. Così sono stati fatti lo spirito del Mon-
taigne , del Fontenelle , del V oltairc , ec.
II famoso Trattato del Esprit è una quintessenza di tutte
le obbiezioni fatte sin qui contro r principii della Morale , e
della Religione. La fiacchezza di tali obbiezioni cosi unite
rende questo Libro più utile che pericoloso a coloro , che
sauuo riflettere.
LEZIONE LII.
• * * • > ,
DELLE LETTERE ALLEGORICHE.
Chiamiamo così tutte quelle, alle quali si è dato qualche
soprannome straniero, massimamente Orientale, e nelle quali
s’ imboccano a persone , che considerano la prima volta ciò ,
che si passa nelle nostre Contrade, ragionamenti, e riflessioni
contenenti la censura delle opinioni, e dei costumi.
L’ iispion. Tute avendo preceduto le lettres. Persannes può
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7 »
loro aver servito di modello sino a un certo segno , ma que-
ste sono mollo superiori per le dilicalezze delle maniere , e
la profondità delle mire.
Il Pubblico ha favorevolmente ricevute diverse opere nel
medesimo gusto , alcune delle, quali sono sulle prime perio-
dicamente comparse , come Ies Leltres luives , ec. Ma in-
sensibili) ente questa imitazione, come tulle le altre , ha de-
generato in abuso. Bisogna pertanto distinguere dalla folla le
Lettres Pèruviennes di Madama di Grafigny.
Si richiede, per riuscire in questo genere, mollo spirito,
per risvegliare F attenzione, uu sapere ampio abbastanza, che
faccia il fondo e la materia , un giudizio solido , che impe-
disca di prodigalizzar questo spirilo e questo sapere, e un gran
decòro, che smorzi il prurito di avventurare cose troppo libere.
LEZIONE LIN.
DEt.Lt MITOLOGIA.
La Mitologia comprende la cognizione della Favola , e nel
tempo medesimo, delia Pagana religione, dei suoi misteri ,
delle sue cerimonie, e del culto, onde onorava le sue false
Deità.
Per ben sapere la Favola bisogna aver letto attentamente i
Poeti, Omero ed Esiodo, principalmente i Tragici , che ne
hanno cavalo i suggelli di loro Poemi ; e quelli, .che han
fatte raccolte o in versi , come Ovidio , o in prosa Antonino
Liberale , Diodoro Siculo , Apollodoro , Igino , ec.
Le Favole sono di più fatte. Ve n ! ha Storiche, Fisiche,
Allegoriche, Morali , ed altre che non sono che semplici Apo-
loghi. II Mitologo deve avere un’ estrema attenzione a deci-
ferare tutti questi sensi.
Vi souo in oltre assai cogniziotìi mitologiche da attignere
nelle Opere dei Filosofi , vivuti nei principii del Cristianesi-
mo , e in quelle dei Padri , e degli Apoligisti della Cristia-
na Religione , che gli attaccavano , o si difendeano dalle loro
calunnie.
Esiste una mano di Autori , che hanno dato dei Trattati o
sulla Mitologia in generale , o su qualche materia , che vi
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79
appartiene, come Fan Dale su gli Oracoli, Metti so sulle
Feste ec. L’ultimo e più stimato di tutti i Corsi di Mitolo-
gia è quello del sig. Abate Banier , impresso a Parigi , e in
Napoli cou eruditissime note del dotto sig'. Abate Basso Bassi.
Il Dizionario Mitologico del sig. Abate de Claustre è pure
assai buono.
LEZIONE LIV. ,
* . . • i
DELLE ANTCHITÀ, E DELLE MEDAGLIE.
E uno studio egualmente vasto e interessante quello di tulli
i Monumenti delle Antichità , che si so tirassero al potere del
tempo , e che giovano a rischiarire i costumi , gli usi, le
cerimonie religiose , a dilucidar falli , a fissar date ec.
La più bella Raccolta , che sia stata fatta sulle Antichità,
è quella del P. Monj ancori , la quale , col supplimento, for-
ma quindici volumi in foglio , nei quali, a figure esattissime
si sono aggiunte solidissime spiegazioni.
^3“ I libri di Antichità prodotti in Italia sono un oceano im-
menso ; perchè le anticaglie , che tutto giorno si scuoprono,
danno una continua occasione ad opere di questo genero. Tale
a cagione di esempio ( oltre alle Antichità Ercolanensi ) è il
del libro di Monsig. Passeri, intitolato: Thesaurus gemma-
rum antiquarum astriferarum , cioè , di quelle gemme ,
nelle quali veggonsi Stelle , Pianeti , Costellazioni ec. Tali
sono ancora l’eccellenti Dissertazioni del Muratori sulle An-
tichità italiane, ec.
Le scoperte fatte delle Città sotterranee A’ Ercolano ^ e di
quella del Poinpeano aprono un vasto campo agli Amatoti
delle Antichità, i quali non hanno con meno piacere ricevuta
la bella descrizione delle rovine di Paimira.
Sono già fuori dei Reali Torchi di Napoli vari volumi in
foglio grande di esposizione dell’Antichità d* Ercolano, im-
pressi con regia magnificenza.
Le Medaglie sono i Monumenti più durevoli e più utili
per la Storia, e per la Cronologia. Il gusto n’ è molto uni-
versale ; ed evvi un’ infinità di Musei più o men ricchi , nei
quali Principi , o semplici particolari hanno assembralo delle
serie di Medaglie. . :
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8o
Si chiamano Storie Mela’ licite le serie «li Medaglie con
le loro spiegazioni , che si riferiscono alla storia di un Pae-
se , o d' un Principe , come quella di Luigi XIV. composta
dall’Accademia delle Iscrizioni , e quella delle Proviucie Unite
del sig. van Leon e quella d’ Emanuele Putto, Gran Mae-
stro dell’Ordine Gerosolimitano , composta con ottimo gusto
dal chiarissimo P. Pacciandi.
Le divite , e le Iscrizioni appartengono al genere mede-
simo. Le prime consistono nell’ unioue d’ un emblema con un
motto. Si può leggere tra gli Entretiem del Padre Mene-
strier.
Le Iscrizioni sono state dalla loro origine uu compendio di
Storia , una spezie di Annali, Se ne scolpiscono sopra quasi
tutti i pubblici Monumenti, Piramidi , Obelischi, Statue, Mau-
solei , ec. Se ne hanno vaste raccolte formale da Gruferò ,
Reinesio , Fabbrelti , Gudio , Muratori ec. I Marmi d’ A-
rondel tengono un distinto posto in questo, genere.
£3" Sulle iscrizioni farem menzione di due altre opere, tra le
molte, che l’Italia ne ha date. L’una è dell’eruditissimo Pa-
dre Corsini , della quale ecco il titolo : Nota Graecorum ,
sive vocum et numerorum compendia , quae in aeris , at-
ipie marmoreis Graecorum tabulis observanlur. L’ altra è
del valoroso Padre Bonado , intitolata : Carmina ex antiquis
lapidibus , dissertationibus ac notis illustrata. Ecco un
Antologia lapidaria bella e fatta : e le Dissertazioni illustra-
no maravigliosamente molti punti di Antichità.
In generale l’Antichità è un mare, che non ha fondo, nè
lido; se ne traggono tutto il di nuove cognizioni. Ma, per-
chè questo studio ispira una vera passione a coloro , che vi
si applicano , essi debbono star sulla loro , per non esagerar
troppo il pregio di cognizioni spesso più curiose che utili.
I
LEZIONE LV.
DELLA DIPLOMATICA.
La Diplomatica spiega i Documenti antichi, e gli applica
alla Storia, discernendo i falsi dai veri. Ve n’ ha una infinità,
di cui la certezza non potrebbe essere confermata che con tal
soccorso.
. Digitized by Google
8r
Perchè l’ interesse , ed altri motivi hanno prodotto la sup-
posizione , o la falsificazione di molti Documenti è convenuto
dalla Critica tirar regole che fossero adattabili all’ esame di
questi pezzi.
Il Trattalo del P. Mobiliari è il più esteso e il più utile ,
che si abbia su questo suggetto , che molli Letterali tedeschi
hanno ancora trattato con buon’esito.
I suggelli apposti agli Atti pubblici sono eziandio una spe-
zie di studio separalo , ma che si riferisce allo scopo mede-
simo , cioè, alla certezza dei fatti storici.
fCf Su questa materia il sig. Domenico Maria Manni, Acca-
demico Fiorentino , ha date le sue dotte Osservazioni sopra
i sigilli antichi dei Secoli Bassi.
Si hanno vaste raccolte Diplomatiche, nelle quali si ras-
sembrano tutti i Documenti , che concernano uno stato, una
Provincia , o qualche Fondazione particolare. La maggior
parte di essi avrebbe potuto rimanere nell’ oscurità , onde fu
tirata , ma l’utilità d' alcuni di essi giustifica la pubblicazio-
ne degli altri.
LEZIONE LV. - . .
DELLE GENEALOGIE.
Si possono rimirare le Genealogie sotto due punti di vi-
sta , I. in quanto servono a tener le famiglie l’une dall’ altre
divise , e 2 come pruove dell’antichità e dello splendore della
condizione. •-
Le Genealogie del primo ordine hanno avuto 'luogo tra gli
Ebrei sinché hanno essi conservala una forma di Governo.
Appartenevano queste da un lato alla costituzione essenziale
del loro stato, nel quale i beni doveauo essere inalienabili,
ed entravano al tempo stesso nei disegui di Dio per rapporto
al Messia promesso.
Oggi le Genealogie servono solo a far montare le Fami-
glie nobili il più allo eh’ è possibile , e a ben provare le fi-
liazioni. Ma sovente entra molto di chimerico, e anche di
notoriamente falso, in quei che si chiamano Alberi Genea-
logici.
Non v’è Sovrano, ogran Famiglia , vChe non abbia la sua
6
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Genealogia accuratamente tirata. Ogni Provincia ha pure ìi
suo registro dei nobili. I sig. d'Hozier , Padre e Figlio , hanno
faticato per la Francia; e Hobner per l’Allemagna.
Delle Famiglie d’ Italia non v’ è Genealogista più onoralo
e più ésatlo di Scipione Ammirato. Il Sansovino va pure tra
i migliori Genialogisti Italiani.
Le Opere concernenti le Famiglie greche, o romane, ap-
partengono alle Antichità. Non si parlava allora di ciò ch’oggi
chiamiamo Nobiltà.
DEL BLASONE.
Le imprese sono in certo modo una Storia compendiata
delle Famiglie; esse nolano i diversi gradi di Nobiltà, e i
diversi Parentadi. Fanno altresì qualche volta allusione a un’a-
zione illustre.
I più giudiziosi Scrittori fissano il principio delle Imprese
verso l’undecimo secolo. I Viaggi d’oltremare vi diedero oc-
casioni , e i Tornei le misero in voga. Non si veggono veraci
imprese prima del Regno di Luigi il Giovane.
II Blasone si deve ai Francesi , essi soli ne hanno fatta un
Arte, e in questa Lingua le altre Nazioni blasonano le loro
Imprese. Si possono vedere nella Biblioteca del P. Menestìer
i nomi , e titoli delle Opere degli Autori , che hanno scritto
- sul Blasone.
• LEZIONE LVI.
DELLA CRITTOGRAFIA.
Tra gli Antichi l’Arte di scrivere in note era un metodo
fisso per iscrivere d‘ una maniera abbreviata così rapidamente,
come si parlava. Si ascrive l’invenzione di. quest’ Arte a Tir-
rene liberto di Cicerone.
Sulla, fine del Regno A' Augusto coloro , che scriveano per
abbreviature, presero il nome d' Attuari ( Actuarii ) poiché
ordinavano tutti gli Alti pubblici. In appresso il numero di
questi ti (fiziali. crebbe considerabilmente ; la' loro proibssione
divenne onorevole, ed ebbe una grande estensione.-
1 .letterali non poleano dispensarsi del Ministero degli Scrit-, ■
tori d’abbreviature, che per l’ordinario erano Liberti. Si
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83
chiamavano Librari , ed Antiquari ( Librarli , et Àntiquarii)
coloro che ponevano in chiarore irt belli caratteri quanto era
stato scritto in abbreviature^ ' '
La Crittografia propriamente delta è l’arte di scrivere in
modo che non possa essere inteso se non da coloro , che ne
sono convenuti, avvalendosi di caratteri sconosciuti, finti, e
diversificati , che si appellano Cifre.
La Scitala Laconica è upa pruova-, che i Greci sapeano
scrivere in cifra, e i Romani n’ebbcro altresi diverse fogge.
Poco dopo il rinascimento delle Lettere alcuni Autori si
misero a inventar cifre nuove. Si può vedere su "di ciò la
Sleganografia , del P. Kircher , di Gaspero Scott , e di
Battista Porta , aggiugnendovi un Trattato pù moderno del
sig. Breithavpt sópra tale materia. * • ’ /
LEZIONE LYII.
/
DELLE BIBLIOTECHE.
Il primo Popolo, presso di cui si veggano Biblioteche , è
quello d’ Egitto. Il titolo, che davasi ad esse ispirava la vo*
glia di entrarvi ; le chiamavano il Tesoro dei rimedii det-
T anima.
Da questi primi tempi sino a quelli d’ Alessandro il gran-
de c è del voto nella Storia per rapporto alle Biblioteche. Si
sa pertanto, che ve n’ era una a Susa in Persia, nella quale
Ctesia , e Metastene cavarono i materiali delle loro Storie.
Una delle più famose Biblioteche del Mondo è quella. che
Tolomeo Solere Re d’ Egitto , avea fondata in Alessandria ,
e di cui Demetrio Falèreo fu primo Direttore. Vi si nume-
ravano sino a quattrocentomìla volumi ; e di poi i Re di E-
gitlo ne raccolsero un’altra di trecenlomila , che collocarono
nel Tempio di Serapide. Là prima fu bruciata nella guerra
di Giulio Cesare in Egitto ; ma la seconda durò in israld sino
all’anno 64a di N. S.
Si -fa menzione neil’ Antichità, di più altre celebri Bibliote-
che , córa : quella di Eumene Re di Pergamo , di Appellt-
cone , di Tirannione , dì Luaullo , di Attico , di Cicerone ,
del Tempio di Apollo renduta pubblica da Augusto, di fé-
*
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u
sp asiano , di Trajano , di Plinio , di Adriano , di Santino -
nico , di Origene, di Alessandro, di Gerusalemme di Geòr-
gia di Alessandria , di Giulio Africano , cc.
In Francia non vi furono lungo tempo Biblioteche se non
trai Monaci , e tra loro altresì trovammo tutte le Opere degli
Antichi , che ci son note.
L’invenzione della stampa, aumentando il numero dei Li-
bri, ha rendute le Biblioteche c più ricche , e più comuni.
Te u’ lia delle bellissime nelle principali Città d’ Italia , di
Spagna , di Fraucia , d’ Alemagna , d’ Olanda , ee. Ma le
due principali de! Mondo sono quelle del Valicano a Roma,
e quella del Re di Francia, delle ricchezze della quale può
ciascuno istruirsi nel raaguilìco Catalogo , che si è cominciato
a pubblicarne. *
Si chiamano anche Biblioteche le opere composte per dar
conoscenze dei Libri, e degli Autori , e quelli, che le scri-
vono chiamati Bibliografi. Questa cognizione non ha più li-
miti oggidì. Uno dei Letterati , che più vi siene distinti nel
passalo secolo è Giovanna Iberto Fabricio.
' . - LEZIONE LVIII.
nELL’ ORIGINE , AVANZAMENTO E MATERIA DELIO SCRITTO.
La maniera più aulica dello scrivere consisteva in certi ge-
roglifici o sia figure di vari animali od altri enti corporei di-
rette a significare le idee e i sentimenti degli uomini , e le
proprietà delle cose.
v? Furono i Geroglifici uno dei passi più prossimi dell’ uma-
na industria , per giungere all’ uso dei caratteri. Ciò rilevasi
dai popoli del nuovo mondo, presso i quali, allorché fu sco-
perta l’America , il mezzo più comune, onde conservare la
memoria degli avvenimenti di qualche importanza, era una
specie di pittura assai rozza , con cui venivano rappresentati.
Vedovasi questa alquanto più raffinata fra le nazioni più colle:
e i Messicani in alcuna, di somiglianti pitture si accostavano
al Geroglifico. Jstor, d'America del Dottor Robertson lib.
7. toni. 4- pag. 4*-
A tali geroglifici l’uroi.o quindi sostitu ti i caratteri o sia le
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letiere , l’ inventore delie quali vien riputalo comunemente
Mercurio presso gli Egizi , d’onde le apprese Mosè, che fu
il primo a praticarle a norma cd istruzione del popolo Ebreo.
Ella è opinione degli eruditi , che Mosè sia stato lo scrii,
tore più antico , allorché nella solitudine di Madian compilò
quei tanto celebri volumi, nei quali descrisse oltre alle altre
cose la creazione del Mondo. Basti per lutto ciò che ne dice
Grovcsonio nel lib. I. della Storia dell’ antico Testamento »
K cosa certissima, che i più antichi scrittori furono poste-
riori al tempo della guerra Troiana • c che tutti i Filosofi ,
Oratori , e Poeti gentili fiorirono dopo Ciro Re di Persia ,
sotto il cui Regno vissero i sette Savii della Grecia : Mosè
è molto più antico, e precedette di alcuni secoli la rovina
di Troia: Dunque Mosè fu il primo di tutti gli scrittori ».
Quanto alla materia dello S ritto soleano incidersi antica-
mente i caratteri in lastre di pietra , e poi ancora di metal-
lo , o in tavole di legno- incerate , sulle quali s’imprimevano
i caratteri con uno stile. Laonde la parola stiltis fu adope-
rata dai Latini a significare scritto , ed anche discorso. Fu-
rono pure in uso allo stesso effetto presso alcuni popoli le fo-
glie di qualche albero particolare, e spezialmente della 'pal-
ina , alle quali vennero in seguito sostituiti sottili cortecce di
certe piante, onde prese il nome la Latina parola liber che
viene a dire propriamente la corteccia degli alberi.
Erano queste le cortecce interiori dell’albero, che con la
punta di un ago venivano separate iù più parli o fogli ap-
pellale tiliae , o phylirae. Vegg. Mr. Dacict Remar q. Crii.
all’ode 28 lib. 7. d’ Orazio.
Più frequentemente però usavasi per iscrivere il papiro
pianta assai nota fra gli Egiziani , cioè la sottile corteccia di
esso, il cui nome mantiene tuli’ ora la nostra carta.
L’ uso del papiro cessò in Europa nel secolo settimo di
G. C., dappoiché i Saraceni ebbero conquistato l’Egitto. Ciò
obbligò gli Europei a valersi nello scrivere della sola perga-
mena, il prezzo della quale era molto considerabile. La dif-
ficoltà , che quindi ne nacque di moltiplicare le copie degli
antichi volumi , è stala una delle principali cagioni , onde
molli di essi sono periti. Vegg. Intrd. alla Stor. d' Ame-
rica del Dottor Robertson, a. toni, nota X.
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Ma insorta poscia emulazione fra Tolomeo Re di Egitto ed
Eumene Re di Pergamo nell’ Asia , fu da questo introdotto
1 * uso della membrana , o sia carta pergamena consistente in
pelli di nnimali preparate ad un simile oggetto.
Cosi banuo credulo comunemente gli autori ; il che si dee
intendere in questo senso: cioè che solamente a tempo del
Re Eumene cominciasse ad essere di un uso mollo piu este-
so , che non era stata in addietro. Del rimanente , che assai
prima di lui adoperata fosse per iscrivere la pergamena, ve-
desi manifestamente in Erodoto , e in Giuseppe Ebreo , come
nota Mr. Dacier Remar q. Crit. alla sat. 3 dei libro a di
Orazio.
Le tavolette incerate furono in uso presso i Romani anche
negli ultimi tempi della Repubblica ; ma d’ ordinario servi-
rono solo per gli scritti privati e domestici , avendo cosi chi
scriveva la facilità di correggere o cancellare ciò , che vo-
lea , con uua estremità deliostile, lacuale a tale effetto era
tonda o piatta. Simili scritti allorché erano emendali e com-
piti, e si voleano mettere in pulito o pubblicare , si traspor-
tavano sul papiro o sulla membrana. Se uou che le tavolette
medesime si adoperavano qualche volta per lettere familiari;
del che fa memoria Cicerone nell’epistola 18 del lib. 7 di-
retta a Trebazio : Nam quoti in palimpsesto , ( scribis ) lau-
do equidem parsimoniam . Deoominavasi palimpsestum la ta-
voletta incerata per 1 ’ uso sopraccennato.
Dopo molti secoli finalmente fu inventata la carta compo-
sta di tela stritolata ed ammollata a forza d’acqua, quale al
presente ancora si adopera.
f^L’artedi far la carta, che in oggi è di un uso comune,
fu inventata nel secolo undecimo. Veggasi il Muratori Anti-
quii Ilal . tomo 3 pag. 836.
In due maniere facevasi uso nello scritto della pergamena.
1. Molli fogli di essa si univano in lungo giusta 1’ esten-
sione di ciò, che volevasi scrivere; e si avvolgevano quindi
attorno attorno : ond’ è , che furono appellati volumina dal
verba tolto. Sebbene un tal nome sia stato anche attribuito
col tempo ad ogni sorta di scritti notabilmente estesi.
£ 3 fLa figura di tali volumi ha dato propiamente la denomina-
zione alla carta , in quanto significa il foglio , in cui siseri-
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^7
ye, cd anche lo scritto ed il libro. Poiché c/iarlot e chartis
presso gli antichi Greci erano la cosa stessa , . che tkapot ,
tomos che vuol dire un bastone , ha cui rassomigliavano ap-
punto i suddetti volumi ; onde anche i Latini dissero sca-
phus per charta Vegg. M Dacier Remarq. Crit. all’Ode 8.
Hb. 4- d Orazio , dove riprova intorno a questa etimologia
l'opinione dello Scaligero e d’altri.
Ai due capi del bastone , intorno a cui avvolgevasi la mem-
brana , soleano adattarsi certi ornamenti d’ oro o d’ avorio ,
i quali stando rilevati al di fuori nel mezzo della stessa mem-
brana furono detti dai Greci ompbali, e dai Latini umbilicr.
la quale parola significa tutto ciò che sta sollevato in mez-
zo di qualche cosa. E poiché la membrana non si avvolge-
va , se non dopo eh’ era allatto compito lo scritto in essa
compreso ; n’è derivalo la frase Ialina : ad umbilicttm ad-
ducere : per significare : condurre a termine o a perfezione
un’opera , o una scrittura, vegg. M. Dancier Remarq. Crit.
all’ Ode i4. lib. 5. d’ Orazio. .
II. Più fogli distinti di pergamena accoppiavansi I’ uno
dopo 1’ altro , e venivano a formare un libro simile ai nostri.
Il Volume era scritto da una sola parte , cioè dall’ inte-
riore , per modo che conveniva svolgerlo , e stenderlo, affi-
ne di poterlo leggere. Da ciò derivate sono le frasi latine :
volumen aut librum evolvere vel explicare, le quali signifi-
cano : aprire un libro.
Lo scritto composto di più carte conteneva i caratteri da
ambe le parti , come i libri dei uostri tempi.
LEZIONE XIX. „
DELtA STAMPA.
L’origine di quest’ Arte è molto incerta. La più comune
opinione fa ouore a Giovanni Gutlemberg di Magonza , il
quale , a ciò , che si pretende , non divulgò il suo segreto
che nel ìfóq.
I progressi della stampa furono rapidi. Nota nel decimo-
quinto secolo , il sedicesimo la vide in tutta la sua forza.
Stampatori dotti nelle Liogne , e versati nella bella lettera-
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88
tur*, hanno dato più di cento anni esattissime edizioni, Tali
erano gli Stefani Vescotan , Morel, ì Griffi, Plantin, Al-
do Manuzio , ec.
Dopo quel tempo l’avidità del guadagno ha introdotta una
piccola decadenza nell’ esercizio di questa professione , delia
quale i Librai dispongono a lor talento , e relativamente
al bene del loro commercio piuttosto che a quello del pub-
blico.
LEZIONE LX.
DEGÙ ITINERARI.
Le Relazioni dei Viaggiatori , ove sicno esatte , servono
di fondamento alla Geografia, e somministrano maggior par-
ticolarità che la storia su gli usi e i costumi dei popoli.
Sebbene gli Orientali sieno stati gran Naviganti , non ci
hanno lasciala Memoria alcuna su i loro viaggi di lungo trat-
to. Si può su questo leggere 1’ Historie du Commerce des
Ancien» del sig. Huet.
Quanto ai Greci , la più esalta relazione , che ne abbia-
mo trasmessa in questo genere è quella , che Senofonte ha
scritta sotto il titolo di Ritirata dei diecimila. La Geografia
di Stradone può ancora esser riguardata come una Relazio-
ne , e fatta con malta accuratezza e giudizio. Arriano , Pau- m
tania , Dionigi il Geògrafo , Pitea , Dittimene , trovano
ancora qui il loro luogo. I Latini non danno quasi veruno
Autore degno d’ attenzione.
Dal duodecimo secolo dell' Era Cristiana i Viaggiatori so-
no stali in gran numero , prima in Asia per le Crociate ,
poi all’ Indie Orientali per la nuova strada aperta da’ Porto-
ghesi col travalicare il Capo di Buona Speranza , indi alla
China , e al Giappone , in ultimo alle Indie Occidentali ,
delle quali Cristoforo Colombo fè la scoperta negli ultimi
anni del quindicesimo secolo.
La gran Raccolta, intitolata Histoires des P'ogages, som-
ministra abbondante materia di soddisfare la curiosità di chi
vuole istruirsi in questa materia
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LEZIONE LXI.
DELLA GEOGRAFIA , E DELLA CRONOLOGIA.
Noi uniamo queste due cognizioni , perchè sono siale ap-
pellale i due occhi della storia. L’ una determina la situa-
zione dei luoghi , 1’ altra misura la dnrala dei tempi.
La Geografia , o la Descrizione della terra, è un prose-
guimento naturale dell’ astronomia ; coociossiaohò applicando
al Globo Terrestre i punti : e i corchi segnati sul Globo Ce-
leste, i Geografi vengono a capo di fissare le principali par-
li della Terra.
Si crede , che Sesostri inventasse le Carle geografiche ,
per descrivere il suo impero dopo tutte le sue couquisle. I
progressi della geografia dopo quel tempo non hanno impe-
dito , che quella degli Antichi non sia piena d’ imperfezioni.
I Greci , e poi gli Arabi , ci hanno trasmesse diverse opere
Geografiche . .
L’ invenzione dei telescopi aprì la strada a Osservazioni
Astronomiche , dalle quali la moderna Geografìa' trae tutta
la sua precisione. Nulla vi ha più contribuita delle osserva-
zioni fatte da una trentina e più anni per determinare la fi-
gura della Terra.
Si hanuo al presente molti Atlanti pregevolissimi , nei
quali si trova una Descrizione di tutte le parli dell’ Univer-
so , che nulla quasi lascia a desiderare. La questione però ,
ehe concerne I’ unione dei due continenti pel Nord è tutta-
via problematica -
L’opera latina , che ilsig. Klefieker , Sindaco <T Ambur-
go , ha poco tempo pubbl'cata sotto il titolo di Cura Geo-
grafica , può servire di direzione nella scelta delie carte
migliori.
La Cronologia stabilisce certi punti fissi, donde diversi Po-
poli contano diversamente gli anni , e riduce tutte queste
Ere a un calcolo uniforme.
I Cronologi più celebri sono Giuseppe Scaligero , Bu-
cholcer , Selo Calvisio , Petavio , Usserio , t Marsham.
Per rapporto alla storia Sanla si ha 1’ opera del sig. des Vìg-
nolos.
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LEZONE LXII.
DELLA CR1T CA
I a mezzo a questa immensità di oggetti, che s* offrono al-
le nostre ricerche nel solo dominio delle Belle-Lettere , fa
mestieri avvalersi del lume della Critica.
Qualora la critica ha per oggetto 1* esaminar le opere sul-
lo stile , sull’ espressioni , sulle allusioni , ec. si chiama Fi-
lologia ed è un’ Arte subordinata alla Grammatica. Ma la
Critica propriamente delta sono princìpi dai quali si trag-
gono regole per lo discernimento degli Scritti supposti , e
dei fatti storici.
L’Epoca di questa non è molto antica. I Grammatici del
sedecesimo secolo , fa miglia ri zzandosi con gli antichi , sen-
tirono la necessità di separare il vero dal falso , e prepa-
rarono le vie alla Critica. '
Ella fu per cosi dire, sul trono in tempo degli Scaligeri
dei Salmasi , dei Blondelli, de’ Launoi , dei Gersont , ec.
Ma I’ entusiasmo , che produsse nello spirito di chi la col-
tivavano e la schiera dei letterati inferiori , che se ne im-
pacciavano , 1’ han fatto molto decadere.
L’ opera più istruttiva sopra questo suggello è P Ars Cri.
fica del sig. Le Clero. Le regole sono in essa giudiziosissi-
me , e gli esempi scelti assai bene.
Non possiamo dispensarci della critica in tutte le discussio-
ni di fatto ; e la religione medesima anziché rigettare si fat-
te discussioni , vuole che siano esaminate : essendo 1’ unica
via di farci tenere un giusto mezzo tra le due estremità del-
la superstizione e dell’ incredulità
LEZIONE LXIII.
DELLA GRAMMATICA.
Non è un sovvertimento d’ordine il collocar qui si fatta co-
gnizione come 1’ ultima. Tuttoché sia la prima , che ci apra
l’ingresso della carriera delle lettere, é ancor quella, che
avvalora continuamente i nostri passi , e che ci sostiene si-
no al fine.
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' 9 >
Uno spirito grammaticale non è nel fondo altroché uno
sp’rito logico , sempre attento a ben fissare il senso dei ter-
mini , e dell’ espressioni , e ad ascendere alle sorgenti del
linguaggio. In questo gusto sono scritti i Synonymes , e i
Principea de Grammaire dell’ Abate Girard , e cosi anco-
ra i Tropea del sig. du Marsala , e tutti gli articoli , che
ha somministrati per 1 ’ Enciclopedia.
Lo studio delle Lingue è necessario per formare dei let-
terati , questa necessità è anche diminuita di molto dopo il
grau numero di buone Traduzioni, che noi possediamo: ma
quello , eh’ è essenziale si è di ben parlare e di bene scri-
vere nella propria Lingua , poiché è la Lingua nella quale
si pensa.
Le opere etimologiche somministrano lumi suL’ origine de-
gl’ Idiomi , e delle parole. Si ha il grande Etgmologicón
di Passio, e il Dictionaire Etymologique di Menagio , il
quale nelle Origini della Lingua italiana è il nostro mi-
gliore Etimologista ; siccome il miglior Grammatico è il Pa-
dre Corlieelli, le citi regole ed osservazioni della lingua to-
scana furono impresse in Bologna due volle in 8 . la prima
nel 1745 e la seconda nel 1704 e poi in Venezia, e iu Na-
poli. Fu questa Grammatica che fece meritare all’ autore
suo di essere arrollalo nell’ Accadem ia della Crusca.
La Prosodia é la maniera di pronunziare ogni vocabolo
secondo le sue tre proprietà , L' Accento , 1 ’ aspirazione , o
la Quantità. Mancava un Trattato su tal soggetto per il Fran-
cese , ma il sig. Abate d’ Olivet ha supplito a questo difetto
nel 1736. Noi abbiamo la Prosedia del Padre Spadafora
la quale per altro , tuttoché buona , darebbe luogo a copio-
se giunte.
Per alleviare i fanciulli nel loro primo studio, che è l’A-
(e di leggere , si sono inventati diversi metodi compendiosi
tra i quali si distingue, la Cassa Tipografica del sig. Du-
mas. Sarà sempre difficile 1 ’ applicar questi metodi all’ edu-
cazione dei semplici particolari, anche piu a quella dei
poveri.
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LEZIONE LXIV.
9 2
dell’ ULTIMO fin DELLO STUDIO DELLE BELLE-LETTERE.
Questo fine è Io stesso che quello di tutti gli altri nostri
studi , e si dee riferire al grande scopo di nostra esistenza
Noi non siamo ne' Mondo se non per illuminare il nostro
spirito • e santificare il nostro cuore. Tutto ciò che non può
renderci nè più perfetti , nè più felici , non merita la no-
stra attenzione.
Egli è ben vergognoso per quelli , che coltivano le uma-
ne cognizioni , il lasciarsi trascorrere , come fanno di con-
tinuo , alle suggestioni delle passioni più bassi , e più aiz-
zanti.
Coloro, che a una ragione solida accompagnano un a-
mor sincero per la verità , non cercheranno mai in lutti i
loro studi che il vantaggio della società , c le dolcezze in-
nocenti , che Uno gusta , facendo continui progressi nella
verità , e nella virtù.
Quando siamo in queste disposizioni, possiamo effettiva-
mente trovare nella' lettura, nella meditazione, nella composi-
zione molto utili ripieghi contro la noia, contro lo scioperio,
contro gli sconforti della società , od anche contro le disgra-
zie della vita.. Il Gabinetto d’ uu uomo di lettere è un vero
asilo nella fonda delle tempeste più violente ; è una rocca ine-
. spugnatile qualora la saviezza , e la pietà vi abbiano stabilito
il lor domicilio.
DELL’ ORIGINE DELLA LINGUA ITALIANA.
Nel tempo che cadde la Repubblica romana era comune
all’ Italia la lingua latina. Ma dopo il principio del romano
imperio cominciò ad alterarsi notabilmente la lingua latina,
e a decadere da quell’ antica purità, e da quello splendore
in cui anche in tempo di Augusto , maneggiata da esimi
scrittori , sembrava che sola meritasse d’ esser la lingua dei
vincitori del mondo. Non solo entravano di già a far corpo
nella favella dominante molle maniere del dire dissonanti e
barbare , ma la stessa composizione delle voci, e delle frasi
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nel discorso , cambiava sensibilmente d’ indole, e di forma.
Inoltre la grammatica e lo stile di quasi tutti gli scrittori
non solo smarriva quel fiore di urbana eleganza e nobilita ,
ma andava ogni giorno più divenendo irregolare c capric-
ciosa.
Se ciò accadeva negli scrittori , ben è facile di figurarsi .
quello che seguiva nel popolo. Aggiungasi che negli stessi
tempi migliori della lingua , il popolo romano parlava un
latino notabilmente diverso da quello che le persone nobili
o letterate eran use di parlare; talmente che erano inslilui-
te in Roma pubbliche scuole , nelle quali il patrio sermone
insegnavasi alla gioventù.
Di questi cambiamenti diverse furono le cagioni. La prima
di tutte si è , che col cadere della romana libertà ; tutte ,
per cosi dire , le Muse rimasero sbigottite. L’ esattezza, 1’ e-
leganza , la grandezza, la forza, la gloria degli oratori tutte
si spensero in uno con la libertà del dire nelle pubbliche
cause.
Tolta cosi o scemala la nobile franchezza degli oratori ,
ecco spegnersi il calor delle'gare , ecco perciò trascurarsi
la vera magnificenza del dire , e le naturali pompe dell’elo-
cuzione c dello stile. Restavano i -poeti eccellenti, unica ta-
vola a cui potesse attenersi la naufragante latina eloquenza;
ma questi pure , mancate quelle anime ambiziose, ma gran-
di , di Cesare , di Augusto , di Mecenate , e di altri si-
mili a loro , questi pure si perdettero insieme ai loro pro-
tettori.
Seguirono ad Augusto i primi imperadori , parte de quali
pieni di politica cupa , timida e sospettosa , parte barbari
e brutali , o non si curarono di chiamar le lettere intorno
al, trono , o le fecero fuggire. Intanto le armate romane ,
uscendo fuori e ritornando , seco conducevano schiavi fo-
restieri, e stranieri costumi e favelle.
Degli scrittori che di quei tempi vivevano in Roma molli
erano forestieri ; c i Latini , per la maggior parte , di già
contaminati nello stile e nella lingua , affettavano una ma-
niera di scrivere stranamente bizzarra, arguta ed ampollosa.
Sembra è vero , che qualche volta , massimamente sotto
ai buoni principi amanti delle lettere , come Traiano ed al-
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tri , tentasse di risorger la romana eloquenza e la purità
dell' 1 antica lingua ; ma tutto in vano.
Così andò peggiorando coir I’ Imperio 1’ una e 1’ atra sino
alla loro totale caduta. Quindi , diviso I’ imperio , ed occu-
pata una parte dell' Italia da tante nazioni barbare che di
mano in mano la invasero , si mutarono i governi , le opi-
nioni , i costumi , e si confusero talmente le lingue ’, che
delle corruzioni di tutte ne resultò finalmente una che fu ,
come dire , il primo fondo di quella ebe ora chiamasi I'a-
taliana .
Questa s’ accrebbe insignemente di poi per le nuove genti
che entrarono in Italia , in occasione delle guerre, dei con-
cili e simili , e per gli stessi Italiani che frequenti volle no
uscirono , e si tornarono spezialmente al tempo delle Cro-
ciate. Qui sarebbe malegevole l' investigare delle rovine di
quante lingue diverse sia composta la nostra. Gioverà sol-
tanto dì avvertire, che gran parte ci è rimaso del latino che
noi conosciamo , e parte ancora di quello a noi ignoto, che
parlar dovevasi dalla plebe c del contado dell’antica Roma.
Questo nuovo complesso di vocaboli , dovette vagare per
le diverse provincie. Quindi probabilmente nacquero i diversi
dialetti che sembrano provenire o riuscire ad una lingua co-
mune , i quali tuttora sussistono e volgarmente si parlano in
Italia.
Ma per quale ragione la favella spezialmente dei Toscani
ebbe poscia tal predominio sopra i dialetti delle altre pro-
vincie , che' sola divenisse la lingua nòbile comune a tutta
r Italia ?
La ragione, di ciò è palpabile. I Toscani , nazione natu-
ralmente di spirito assai vivace e di sottile ingegno dotata ,
furono i primi che nauseando, il cattivo latino, il quale solo
nei primi tempi della nuova lingua adoperavasi nelle scrit-
ture e nelle pubbliche concioni , osarono tentare se il nuovo
loro idioma fosse atto a quella parte dell’ eloquenza che di-
pende dalla elocuzione e dallo stile , e se fosse adattabile a
scrivere in esso plausibilmente opere d’ingegno.
Molto più venuero essi a questo cimento animati. dall’ e-
sernpio dei Siciliani e dei Provenzali , i quali alquanto pri-
ma , e di quei tempi eziandio andavano scrivendo le loro
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volgari poesie singolarmente nobili e leggiadre, divenute fa-
mose nelle corti amorose della Francia e dell’ Italia.
La lingua Toscan era in gran parte simile alla lati-
na , si per la grande quantità dei vocabili che vi si erano
con piccola mutazione conservati , si per la struttura degli
altri vocàboli ond’ essa è formata , ai quali par - che altro
non manchi sovente fuorché una consonante nel fine per di-
venir affatto somiglievoli di suòno a quel delle latine parole.
Perciò è che i Toscani dovettero trovare assai più facile
di ridurre al numero oratorio, e di legare nel verso questa
lor lingua, che tanta somiglianza di temperamento aveva con
la latina.
. La lingua toscana ebbe quest’ altro vantaggio ancora, che,
per la stessa somiglianza che corre' fra essa e la latina, do-
veva a coloro che la parlavano riuscire anche più facile a
scrivere , come a quelli eh’ erano avvezzi di scrivere accop-
piamenti di lettere e di sillabe pochissimo differenti nel latino.
Queste cose , che' della toscana lingua dette si sono , e
più altre che per brevità si tralasciano , non potevansi veri-
ficar negli altri dialetti dell’ Italia, i quali, sebbene , ciascu-
no di per sé , abbiano per avventura diversi pregi che in
qualità di lingue li rendon raccomandabili, con tutto ciò po-
sti al confronto di quella non potrebbero in verun modo an-
darle del pari.
DE PROGRESSI DELLA LINGUA ITALIANA E DEGLI ECCELLENTI
SCRITTORI D! QUELLA NEL SECOLO DECIMO QUARTO.
• • * ' V
Nel tempo che parlavansi «comunemente in Italia le nuove
lingue o Ì nuovi dialetti, dei quali si è. ragionalo, si andò
via via in Firenze ed altri luoghi della Toscana facendo o-
gni giorno qualche passo più oltre.
Ma. le scritture d’ un genere assai mediocre non sarebbo-
no per avventura uscite di Toscana , nè perciò quella lin-
gua sarebbe uscita dagli stretti confini ov’ era nata , se tre
sublimi. ingegni non sorgevano che in pochissimo tempo sì
grandi ali le diedero , che fuori la spinsero dal suo nido ,
e la fecero volare per tutta l’Italia con felicissimi auguri;
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e costoro furono Dante Ali$hieri. x Francesco Petrarca e
0 torà uni Boccacio, tulli e tre fiorentini.
Dante , uomo d’ ingegno elevato , di grande e libera fan-
tasia , assuefatto sino dalla prima giovinezza ad alternar fra
1 arme c fra gli stu li in mezzo alle fazioni ed alle turbo-
lenze della sua patria e dell’ Italia , fu il primo che , trasfe-
rendo ('.entusiasmo della libertà politica anco negli affari delle
lettere , ‘osò scuotere il giogo venerato della barbara latinità
dei suoi tempi , per levar di terra il per anco timido vol-
gare della sua città, e condurlo di balzo a trattare in verso
l’ argomento il più forte ed il più subbine chea scrittore ed
a poeta cristiano potesse convenirsi giammai.
L’ Italia era di quei tempi comandata in gran parte da
piccoli tiranni , e più che di cittadini piena di fuorusciti. In
mezzo ad una quasi comune barbarie di costumi e di lettere
e di arti , reguavaqo mille opinioni e mille pratiche super-
stiziose.
La teologia era pre.-so ohe la sola scienza che allora do-
minasse le scuole. In tale circostanza di tempo comparve il
poema di Dante , nel quale non con minor evidenza , che
fierezza ed energia di pennello , erano descritti i gastighi
dei malvagi nell’ inferno e s’ insultavano e si adulavano le
contrarie fazioni , dannando e salvando , secondo che fosse
meglio pernio al poeta , i principali partigiani dell’ una e
dell’ altra ; nel quale erano o condannate o difese le ragio-
ni e la condotti dei vari partili.
In tal guisa la maggiore opera di Dante, e per l’ impor-
tanza dell’ argomento e per la dottrina, e massimamente per
T interesse dello passioni dominanti , divenne famosa e rice-
vuta noti solamente nella Toscaun, ma anche fuori, di modo
che vivendo tuttavia il poeta , si cantavano pubblicamente
dal popolo i versi di lui ; ed è da credere che il bando che
il poeto ebbe dalla sua patria per la prepotenza del partilo
contrario a lui , siccome contribuì alla perfezione del poe-
ma , cosi contribuisce notabilmente a divulgarlo in varia
bande dell’ Italia per propria bocca dell’ Autore.
£3“ Non voglio qui rimanermi di confortare i giovani a legge-
re attentamente 1’ operetta sopra la Divina Commedia del no-
stro chiarissimo cittadino Cav. Giuseppe di Cesare, la quale
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...... . . 97
porgerà loro molto aitilo in discemere i veri fini eh’ ebbe
Dante in comporre questo poema , la giustizia del suo dise-
gno , e le inimitabili bellezze poetiche , e la filosofia anco-
ra , ond’ è tutto sparso.
Il Petrarca , principe dei Lirici toscani , venne dopo
Dante, nato aneli’ egli nell’ esilio dei suoi parenti da Firen-
ze , dotato anch’ egli di vivacissima fantasia e di sublime ta-
lento , ma fornito di gusto che Dante non era. Perocché se
il gran Padre Alighieri condusse la favella e l’ italiana poe-
sia a somma altezza, e loro diè nobiltà , forza ed evidenza,
questi le ingentilì e lor fè dono di soavità, morbidezza e leg--
giadria. Egli fu che dal più bel fiore della spenta lingua
latina, e dell’ antica , provenzale introdusse nel nostro idioma
e graziosi vocaboli e gentilissime forme del dire atte a no-
bilitare non solamente la poesia , ma la prosa medesima ;
nel che adoperò egli con assai maggiore avvedimento , che
Dante non aveva fatto prima di lui.-
I versi volgari adunque di questo eccellente scrittore, sic-
come a preferenza delle sue opere latine diedero tanta cele-
brità al nome di lui, cosi non meno che quei di Dante gio-
varono a propagare in Italia il gusto e 1’ uso della toscana
lingua. ' . ..
II suggello di questi versi atto fors’ anche troppo di sua
natura ad invitar 1’ altrui attenzione , la dottrina Platonica
che da per lutto vi rispleude , la- quale era in gran credito
nei tempi dell’ autore e più ancora qualche tempo di poi ,
le insigni bellezze poetiche di cui sono adorne, la fama del
1’ autore medesimo , i frequenti viaggi di lui in varie parti
dell’ Italia , le cagioni furono per cui ne divenne celebre il
Canzoniere , col mezzo del quale si promulgò maggiormente
quel nobile volgare che di poi si venne comunemente par-
lando e scrivendo.
Mancava alla toscana lingua ( poiché dai due mentovati
scrittori massimamente erale stato dato lutto ciò che servir
poteva alla forza ad alla eleganza dell’ espressione nella poe-
sia ) , chi sciivesse una ingegnosa e nobile prosa ; onde si
vedesse quanto la lingua medesima fosse atta , non meno
che qualsivoglia altra più colla , d’ essere impiegata lode-
volmente in ogni genere del dire.
7
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9 * . . .
Ma questa mancanza non durò già a lungo , perché nel-
1’ eia slessa del Petrarca sorse Giovami! Boccaccio, il quale
scrivendo in prosa diede nella sua più celebre opera illustri
esempi dell’ uso che far si poteva del suo volgare in ogni
sorta di stili.
E da dolersi che quest’ uomo eccellente sia stato nella sua
gioventù , in modo sconvenevole ad uomo filosofo e ad uom
di lettere , troppo libertino nei costumi e nella maniera di
pensare. Ma assai più merita d’ esser compianto , perchè a-
busando vergognosamente dei suoi talenti imbrattò sin dalla
culla la sua bellissima crescente lingua , poiché di quella si
valse per iscrivere molle infamie oscene ed irreligiose ch’egli
sparse nei suoi libri , e le quali meritamente son condan-
nate non meno dalla religione che dalla pubblica onestà.
Il solo Decamerone è quèllo che purgato debitamente se-
condo 1’ ordinazione della Chiesa si lesse e si legge lutt’ ora
dalle persone costumate e religiose , a fine di apprendere la
lingua e 1’ eloquenza italiana.
Di quanto si è detto per noi finora intorno ai mentovati
tre illustri scrittori , ricavasi che l’ Italia dee principalmente
riconoscer da essi lo stabilimento e la perfezione della tos-
cana lingua , e dalle loro opere la promulgazione di essa ,
talmente che poi è divenuta comune a tutti gli Italiani , e
da ciò ha il nome più generale acquistato di Italiana.
Ora siccome la vita dell’ uomo è breve , troppo sono le
cose che ci bisogna d'apprendere e troppo i libri che sono
stati scritti , cosi tornerà bene di fare scelta fra gli antichi
libri , scritti nel buon secolo dell’ Italiana lingua , come dai
nostri filoligi si suol chiamare il secolo dcciinoquarto o del
Trecento , veder si possono i cataloghi posti innanzi ai Vo-
cabolari della Crusca , e l’ indice ragionalo che degli scrit-
tori di quel tempo ha inserito nei suoi giudiziosi Avvertimen-
ti della Lingua sopra il Decameroni il Cavalieri Leonardo
Salviali.
Dopo i tre primi scrittóri mentovati di sopra merita il pri-
mo luogo Giovanni Villani fiorentino, il quale scrisse la sua
Stòria nell’anteriore metà dal secolo XIV.
Il giudizio d’ un uomo così intendente e cosi zelante della
, volgar lingua , qual fu il Salviali, vaglia per molti altri che
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qui recar sì polrebbono. No} aggiungnerema soltanto che seb-
bene la locuzione e lo stile del Villani sieno in vero quali
il Salviali li giudica , forse non sarebbero quelli che meglio
convenissero , generalmente parlando, allo storico d’ una na-
zione , massimamente in tempi più colti e filosofici , quali
noi reputiamo essere i nostri.
Tuttavia siccome la Storia di esso Villani abbonda più
che ogni altro libro dei vocaboli e delle forme più gentili e
proprie della nostra lingua , così sarà utile, di leggerla per
far di queste una raccolta nella mente, ed averle in pronto,
accomodandole ai diversi generi dello stile , secondo che
ad alcuno di questi posson meglio convenire.
Up’ altra opera fra le antiche italiane merita d’ essere scelta
dagli studiosi , e questa, si è gli Ammaestramenti degli An-
tichi ralcolti e volgarizzali da Fra Bartolomeo da San Con-
cordio. Questa operetta è una raccolta delle più gravi e più
utili seutenze degli antichi filosofi recate nella volgar lingua
con uno stile breve , prec so , succoso ed energico, e tutto
proprio a servirci dp modello non solamente per la purità
della lingua , ma ancora per lo stile che si richiede a trat-
tar certe materie di notabile grandezza.
Il citato Salviati , dopo aver lodato lo stile di questo li-
bro , conchiude che la favella di esso è la più bella e la
più notabile che si scrivesse mai in quei tempi.
Il Volgarizzamento del Trattalo dell’ Agricoltura di Pie-
tro de’ Crescenzi non è pure da trascurarsi nella moltitudine
degli altri antichi libri ; imperocché , al dir di Salviati me*
desi mo , esso è una delle principali scritture del volgar no-
stro, si per li nomi specialissimi degli affari della villa , e
talora anche d’ astrologia e di medicina e d' altre arti , molti
dei quali tra i libri di quell’ età altrove non si trovano ; sì
perchè iu genere di buone voci e di pura lingua è ripieno ,
e anche l’accozzamento delle parole imita quella leggiadra
semplicità del Villani.
Per fine sono da pregiarsi assaissimo altre due opere an-
tiche , 1’ una delle quali si è lo Specchio di Penitenza di
fra Iacopo; Passavauli 1’ altra si è le Lettere di D. Giovan-
ni da Caslignauo scritte nelle celle di Viliombrosa.
Del primo dice il Salviati andò forte imitando il libro delle
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Novelle , ina con utile più semplice, clic nelle sue Giornale
non avea fatto il Boccaccio. Dell' opera del secondo , dice
lo stesso Salviati, che v’ ha qualche voce antica , ma assai
poche.
Dopo il tempo dei primi eccellenti scrittori venne man-
cando lo zelo che poco prima era nato di scrivere nella nuo-
va lingua , e di perfezionarla e nobilitarla. Di fatti siccome
col Boccaccio era il materno idioma salilo al colmo della ve-
nustà e gentilezza , così col mancare di lui andò immedia-
tamente decadendo , non solo rispetto alla vera purità ed e-
leganza , ma ancora rispetto all’ uso dello scriverlo. La ca-
gione principale di un tale decadimento della lingna nostra, si
fu la sciocca vanità degli uomini di talento volgare, i quali per
loro Datura si oppoggono di subito a tutto ciò che ha fac-
cia di novità , seuza pigliarsi cura di esaminare se sia vero
o friso , se utile o dannoso.
Ma finalmente poiché la lingua toscana aveva cominciato
a scriversi notabilmente e a divulgarsi per mezzo dei poeti,
così risorse poi dal suo quasi totale abbattimento per mezzo
degli stessi poeti. Precipua cagione di un tale risorgimento
fu il buongusto di Lorenzo dei Medici , autorevolissimo cil-
tadin fiorentino , e la dichiarata protezione che egli conce-
dette ai letterati , per cui meritò il cognome di Padre del-
le lettere.
Nò minor merito ebbero perciò Gio. Galeazzo Maria Sfor-
za , e Ludovico il Moro zio di lui , amendue duchi di Mi-
lano , alla corte dei quali tutti gli scienziati e massimamen-
te i poeti italiani erano ben accolti e protetti.
I primi che in Firenze richiamassero alla pristina purità
ed eleganza la toscana lingua , furono il mentovato Loren-
zo , Angelo Poliziano uomo eruditissimo di quei tempi nelle
lettere greche e latine , e Luigi Pulci, uomo di vivacissimo
talento. Ciò operarono essi quasi a gara ; il primo con le
varie sue Rime piene di sincera grazia e venustà di senti-
menti e d’ espressione ; il secondo con le sue Stanze, nelle
quali, a maraviglia risplende la bella imitazione degli antichi
poeti greci , latini e toscani ; e I’ ultimo col suo poema del
Morgante , nel quale raccolse tutte , si può dire , le bel-
lezze ingenue e famigliar! della Volgar lingua, non senza n-
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IO!
busare a dir vero, troppo irreverenteoieule delle cose sacre
e dell’onestà che si richede a scrittor costumato e dabbeue.
dei puogress: della lingua italiana nel secolo XVI ,
'E NE; SEGUENTI. . -
Poiché il nostro instituto ci conduce soltanto dietro alle
tracce degli autori classici ed insigni che con l’ importanza
delle materie e con la purità della lingua servirono a pro-
pagare la cognizione e T uso della toscana favella, cosi tra-
lasciando gli altri di minor nome , e questi soli ci atteremo
fra i moderni , come dianzi facemmo per riguardo agli an-
tichi. ‘
Il primo Scrittore che si affaccia dopo il risorgimento delfa
nostra lingua si è Niccolò Macchiavelli , segretario della re-
pubblica fiorentina. Molli confutarono le opere di lui e spe-
zialmente quella intitolala il Principe , nel quale pretesero
che si riducessero in sistema l’ ingiustizia , la mala fede, la
violenza e la crudeltà , e che si insegnasse con formalità di
precetti ad affliggere, a violare, a distruggere gli uomini
per servire all’ amb zione di un solo , è finalmente , per u-
sare l’espressione di Dante , a far lidio d' ogni libilo.
Il suo trattato del Principe , che con molta sensatezza e
verità il suo nipote Ricci denominò Del modo che debbono
tenere i Principi nuovi nel consolidarsi negli stati usur-
pati. Essendo quegli tenuto da tutti principe dei politici. In
evidenza , però in sobrietà e in acume tutti vince il Segre-
tario fiorentino : e così non avesse egli svelate al mondo
quelle pesti politiche , per maggior danno dei popoli, e mi-
nore studio dei libri suoi , per cui la dottriua n’ è merita-
mente condannata.
Quindi a delta degl’ intendenti , i Discorsi di. lui sopra
Tito Livio , siccome sono il capo d’ opera di lui, cosi sono
anche meglio scritti. Vogliono ancora che le sue Comme-
die , quanto allo stile che ad esse conviene, sieno eccellen-
temente dettate; cosi pure la Novella di Belfegorre : e se il
piccolo Dialogo sopra Dante, che fu la prima volta stampa-
lo in Firenze l’anno 1798. dietro all’ Ercolatto del Varchi,
a che viene attribuito al Macchiavelli , è veramente opera
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di lui , esso può passare per uno dei più eccellenti modelli
del Dialogo famigliare che abbia la nostra lingua.
Ecco che appresso al Maccbiavelli , secondo T ordine dei
tempi , ci si presenta il dottissimo Cardinal Pietro Bembo ,
onore e gloria di Venezia sua patria. Questo illustre autore
fu il primo fra i non Toscani , con la purità ed eleganza
del suo scrivere in lingua volgare , a dimostrare evidente-
mente che senza esser nato in quella provincia eh’ ebbe la
gloria di dare a tutta I' Italia la lingua nobile e comune ,
si poteva eccellentemente comporre in verso ed in prosa. La-
onde le sue poesie , che certo non hanno nè T affetto nè la
grazia di quelle' del Petrarca , saranno sempre utilmente stu-
diate da quelli che sapranno fuggirne i difretti ed imitarne
i pregi , tra 1 quali i primi sono sento fallo la pulitezza e
1’ eleganza.
Contemporaneo al Bembo fu Iacopo Sanazzaro, eccellente
scrittore latino ed italiano, di cui è celebre 1’ Arcadia scrit-
ta in volgare , il poema De Parta Virginis , e 1’ Egloghe
pescatorie scritte in verso latino.
Seguila Ludovico Ariosto, di cui son famosi 1’ Orlando
Furioso , le Commedie , le Salire, lè Elegie , ed altri com-
ponimenti italiani, oltre i latini. '
Chi crederebbe che noi volessimo proporre Lionardo da
Vinci fra gli, autori di lingua? Eppure le opere di questo
Toscano, grande letterato insigne pittore e singolare mec-
canico , .meritano d’ esser lette, perchè ia uno con la pro-
prietà dei termini attinenti a diverse arti vi si possono im-
parar molle , cose utili alle stesse arti ed alle scienze.
Il copte Baldassarre Castiglione , autore del Cortegiano ,
fu anche insigne poeta latino : il Cortegiano di lui merita
d’ essere studialo per la naturale ed elegante maniera con
cui è scritto.
Quest’ opera è anche sommamente 'raccomandabile per il
buon costume e per le buone creanze che vi s’ insegnano.
Le opere di Gio. Giorgio Trissino , di cui le più note
sono il poema epico dell’ Italia Liberata , la Sofonisba
tragedia , e la Poetica , hanno dato gran fama alla nostra
lingua, benché, per voler egli troppo servilmente imitargli
antichi nel poetare , sia rimaso, molto al di sotto e degli an-
tichi e dei moderni.
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Agnelo Fìrcnzuole fu scrillore leggiadrissimo di prosa ed
assai mediocre nel, verso; condannevole per la troppa liber-
tà del costume introdotta nella sua parafrasi dell 'Asino d'oro
d’ Apuleio , e nelle sue Novello ; ma nobile , gentile ed in-
gegnoso sopra ogni credere nel suo Dialogo della Bellezza
delle Donne , e nei suoi Discorsi degli Animali.
Gio. Battista Golii , ottimo scrittore di piosa , ed acuto e
bizzarro filosofo dei suoi tempi , ha il merito di pascer gra-
ziosamente io spirito iti un tempo con la bellezza dello seri- ,
vere e con la novità delle idee , cosa rara negli scrittori di
quella stagione.
Le opere di lui principali , oltre le Commedie , sono la
Circe a i capricci del Bottaio.
Giovanni Guidjccioni , autore di varie poesie , ha uno
stile lutto suo , con cui mentre .nobilitò di sceltissimi senti-
menti la lingua italiana, ne arrichì ancora mirabilmente il
linguaggio poetico, e però si annovera fra i nostri lirici iu-
signi. . -
Ludovico Martelli è egli pure uno dei più ingegnosi Piri-
tici nostri, il quale amando la novità senza però slonanarsi
dalla natura , servì ancora a render copioso e vivace il lin-
guaggio della nostra poesia.
Ma per seguire i poeti non si dimentichi Benvenuto Cel-
iali , famoso artefice , e talento oltre misura bizzarro, i cui
Trattati dell’ Orìficeria e della Scultura somministrano gran-
de quantità di vocaboli c di forme relative alle arti.
La vita sua da se medesimo scritta è una delle cose più
vivaci che abbia la liugua italiana , sì per le cose che de-
scritte vi sono, sì per il modo. Costui è spezialmente mira-
bile nel dipingere al vivo con pochi (ratti i caratteri; gli af-
fetti , le fisonomie , i moli e i vezzi delle persone.
Qui giova avvertir di passaggio , che fra gli autori ita-
liani del cinqucenlo risplende ordinariamente più filosofia
nelle opere degli eccellenti artisti , che in quella dei grandi ,
letterali , perchè questi preoccupati furono la maggior parte
dalle opinioni , o vere o false che fossero , da essi bevute
nelle scuole e nei libri ; dove gli altri andarono in traccia
della natura e della verità condotti dal solo raziocinio.
Claudio Telomei, grande letterato dei suoi tempi, e grande
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promotore della Italiana lingua e poesia. Le opere più auto-
revoli di lui sono le lettere , scritte con molta purgatezza ,
ed in islile veramente epistolare , oltre a ciò piene di buo-
ni documenti rispetto a letteratura ed a morale.
Ma Luigi Alemanni , scrittore di cose liriche, di satire,
di tragedie e di poemi , merita spezialmente d’ essere stu-
diate come uno degli olitimi. Il suo poema della Coltivazio -
ne è testo insieme della lingua , della poesia c della lette-
ratura italiana. t
Benedetto Varchi , uno dei più scienziati uomini del suo
tempo , e fautore appassionato dell’ italiana favella. Fra le
molte opere di lui le più pregevoli sono i suoi Componimen-
ti pastorali , le Lezioni, 1’ Ercolano, e la storia fiorentina.
Bernardo Segni scrisse egli pure in islile assai nobile la
Storia fiorentina , e tradusse con gran purgatezza di lingua
varie delle opere più importanti d’ Aristotele.
Agnolo Segni, che scrisse varie Lezioni ; Vincenzo Bor-
ghini , piano , facile e nobile scrittore di Discorsi di vaiia
erudizione; Raffaello Borghini , autore dell’elegante e bel
Dialogo sopra la Pittura intitolato il Riposo ; Pier Vettori
c Giovanni Vettorio Soderini, semplici e naturali scrittori,
1’ uno del Trattalo della Coltivazione degli Ulivi , l’ altro
del Trattato della Coltivazione delle Viti ; tutti questi van-
no essi pure tra i migliori autori della lingua , e sono de-
gni d’ esser letti.
Opera classica dell’ Italia si è la Storia di Francesco Gui-
ciardini , il quale passa per il principe degli Storici nostri.
Questi sebbene , quanto a storico , venga ripreso di vari
difetti , pure è egli accettato generalmente in materia dello
scrivere : se non che alcuni lo accusano di aver usati assai
termini troppo latini o forensi come dicono, ma il vedremo
nella copia avanzare Tacilo , nella facilità Tucidide , e nel-
la forza stare con' Livio , e con Senofronle.
Bernardo Tasso, padre illustre di più illustre figliuolo,
autore fecondissimo di poesie, e baslevol mente colto nell’uso
delia lingua. Troppo abusò egli del suo ingegno scrivendo
fole di romanzi , nei quali nondimeno è assai inferiore di
verità , di forza , d’ evidenza , di costume poetico e simili
all’ Ariòsto, e ad alcuni altri dei poeti romanzieri. Fiondi-
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meno ì Salmi e le Odi , eh’ egli scrisse sul fare d’ Orcuio ,
sono corrette nello stile e son modelli di buona poesia.
Iacopo Bonfadio , bravo latino Scrittore, ed autore di col-
te e gentilissime Lettere italiane ; Sperone Speroni scrittore
di Dialoghi : Alberto Lolio , elegante « nobile autor di 0-
razioui , ma alle volte freddo e snervalo; Alessandro Ficco- -
lomiui , autore di molte opere di filosofia proporzionata ai
suoi tempi, ma pregevole per la sua opera della Imtituzion
Morale ; Pier Francesco Giambullari , storico e filologo, si
annoverano fra i principali autori della lingua.
Francesco Coppetta , Antonio Francesco Raiuieri, Angelo
di Costanza , Bernardino Rota e Luigi Tansillo , cinque dei
più illustri lirici eh’ abbia 1’ Italia , i quali sdegnando di
camminar sempre sulle pedate del Petrarca, si aprirono nuo-
ve strade , è per esse andarono giudiziosamente alla volta
del bello. In tutti questi , oltre ai singolari pregi poetici ,
merita , d’ esser riguardala la coltura della lingua, e la no-
bilita e la ricchezza dello stile. Dei tre primi sono, massi-
mamente pregevoli i Sonetti ; del quarto le Egioche pesca-
torie ; dell’ ultimo le Canzoni , le Stanze , ed alcuni Capi-
toli che versano sopra materie morali ed economiche. - ,
Giovanni della Casa , uno dei principi scrittori della lin-
gua , anzi il migliore di tutti dopo il Boccaccio , è quegli
che senza lasciar d’ esser nobile e grave s’ accosta forse più
d’ ognaltro del suo secolo alla forma del dire samplice e na-
turale che si ama nel nostro.
11 suo Trattato delle Creanze , intitolato il Galateo , è
uno dei capi d’ opera della nostra lingua ; è quello in cui
sovranamente risplende la schietta, gentile e nobile urbanità
che conviene anche nelle cose tenui, c della quale abbiamo
illustri esempi fra i Greci e io alcuni dei Latini. Non iitfe-
riore al Galatei » è il trattato degli Offici , benché in istile
alquanto diverso. Nelle Lettere poi spirò egli da ogni parte
la grazia conveniente della dizione , la nobilità dei senti-
menti , la conoscenza degli uomini , e dei loro affari , il
sapere squisito delle arti e delle scienze , la buona mora-
le , e mille altri doti , che caralerizzano 1’ eccellenza dello
scrittore. Nella prosa e nella poesia latiua fu egli dei primi
del suo secolo.
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Le Poesie di Francesco Berni sono utilissime per 1’ uso
del/a lingua e dello stile in cose fa migliar i e piacevoli. Chi
non è nato buffane quanto lui , e chi non ha come lui il
vero intrinseco atticismo della lingua , non pensi di seguirlo
poi landò , se non vuole accrescere il numero degli sciocchi
clic si sono rendati ridicoli e dispregevoli , imitando il ca-
rattere originale di lui.
Nè autore alcuno dei più antichissimi presenterà tanti mo-
di pellegrini e tanti fiori di stile insieme raccolti , quanti il
solo Commendatore Annibai Caro di Villanova nella Marca
di Ancona in quei suoi versi , in quei volgarizzamenti , in
ogni cosa sempre cosi polito e gentile , che si può dire di
lui quello ch’Elio Stilone diceva di Plauto: che nella sua
favella parlerebbero le Muse , se venisse loro il talento
di favellare Italiano. Le sue Lettere sono pure assai sti-
mate , nel quale genere J’ italiana lingua non ba nulla di
più. puro , di più elegante , di più grazioso , nè di più ac-
comodato alle cose che vi si trattano.
I nomi del Caro e del Castel vetro non possono andar dis-
giunti , perchè 1’ uno risveglia 1’ idea dell’ altro. Quest’ ul-
timo fa uomo dottissimo in ogni sorta di letteratura, e scris-
se molte cose in materie poetiche e grammaticali.
Giorgio Vasari , famoso pittore ed archielto , scrisse le
Vile dei più eccellenti Pittori , scultori ed Architetti. Que-
st’ opera deve ad ogni conto leggersi da chiunque preten-
de d’ aver buongusto in materie di belle lettere o di belle
arti.
Gio. Àndrea dell’ Anguillara , autore di poesie di vario
genere , ma spezialmente celebre per il poema delle Tras-
formazioni , il quale può anzi dirsi rifatto da lui, ebe tra-
dotto da quello di Ovidio ; tanta è la libertà con cui TAn-
guillara si è scostalo dal testo delle metamorfosi.
' Anton Franccso Gazzini , soprannominalo -il mosca , uno
dei più naturali e insieme dei più colti e leggiadri scritto-
ri di prosa italiana. Le novelle di lui , che vanno sotto
il titolo' di Cena , e le Commedie sono singolarmente sti-
mate. • *
Erasmo di Valvasone , nobile poeta italiano , autore di
molle poesie liriche , e di quattro poemi , trai quali i più
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pregiati sono l' Anrjelcidc poema epico , c la Caccia poe-
ma didattico. - . '
Diomede Borghesi , autore di varie Lettere intitolale dis-
corsive ^scritte in istile assai piano e facile , e massimamen-
te utili , perchè versano sopra materie di lingua , senza che
cadano in sottigliezze nè in pedanteria.
Leonardo Salviali , scrittore illustre d’ assai opere di prosa •
e di verso. Questi fu uno dei più benemeriti promotori
• della nostra lingua per le molte cose che egli scrisse a van-
taggio di questa, e per quelle ov’ egli ebbe parte, come nel-
la compilazione del primo Vocabolario della Crusca. Con
tutto ciò fa di mestieri avvertire eh’ egli troppo innamora-
to dello scrivere degli antichi Toscani , adottò dei vocaboli
e delle frasi che dovevano essere rancide sino dal suo tem-
po, e che ora lo sarebbono assai più.
Torquato Tasso , nostro illustre cittadino , gloria ed o-
nore dell’ epica poesia italiana , del quale poco diremo, per-
chè tutti gli autori ne parlano , e perchè tutta 1’ Europa
è piena dei suo nome. Noi toccheremo soltanto qualche
cosa di questo grand’ uomo relativamente alla lingua ed allo
stile delle sue opere principali, che sono la Gerusalemme
e V Aminta.
La Gerusalemme , come suole accadere di tutte le opere
straordinarie , incontrò dalla parte degli Accademici della
Crusca e di altri le grandi critiche che sono famose nella
storia letteraria. Ma finalmente tali furono e cosi universal-
mente riconosciute le bellezze di quel poema, che quella
-stessa Accademia dalla quale erano uscite le critiche , ri-
cevette poi e quella ed altre opere del Tasso ad esser
testo della lingua nei posteriori Vocabolari. • *
L’ Aminta , favola pastorole dello stesso autore, è opera
tale , che paragonala con la Gerusalemme si rimarrà in dub-
bio qual delle due nel rispettivo loro gènere più s’accosti
alla perfezione. Essa è il più nobile modello che abbia l’I-
taliana lingua e poesia della gintilezza , della purità , del-
1’ eleganza , del vezzo , e di tutte le grazie insomma della
dizione e dello stile.
Gl’ Italiani critici osano dir con ragione che ninna delle
moderne lingue non ha nulla <la poter mettere al pari di
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questo compouimento , sia per. riguai do alla scelta ed alla
nobilita dei pensieri adattali al costume delle persone, intro-
dotte, sia per riguardo alle notizie, grazie ed alla veramente
greca venustà dell’ espressione.
Gioverà qui d osservare , che malegevolmente si troverà
scrittore cosi diverso da sè medesimo nelle diverse sue o-
perc , quanto il Tasso ; il che , se bene ci opponghiamo,
dee spezialmente attribuirsi all’ incotanza della fortuna e
delta mente di lui.
La maggior parte delle poesie , anzi anche delle prose
di questo antore , se di qualche cosa mancano spezialmen-
te , mancano esse di quella esteriore apparente facilità in
cui consiste il più perfetto raffinamento , e , per cosi di-
re , 1' ultimo lenocinlo dell’ arte. Egli stesso si accusa di un
tal difetto , fingendo più di una volta nei suoi versi lirici
d’ esserne stato ripreso da chi li leggeva. Ma non optante
tutto ciò , chi legge 1’ Aminta dopo aver quasi tutte le al-
tre opere del Tasso , non senza grande maraviglia scopre
in esso quello che non sarebbesi mai figurato di ritrovare
a cosi allo segno in questo autore , cioè estrema proprietà
di lingua , nitidezza , eleganza e facilità incomparabile d’ e-
locuzione e di stile.
Il Tasso nella sua Gerusalemme , siccome si studiò di
camminar su i passi di Virgilio massimamente , e di con-
tender con esso , come felicemente riuscì, cosi anche y’in-
irodusse assai volle certe forme e un certo andar d’ elo-
cuzione che ha del latino , e che produce novità , e tal-
vòlta anche grandezza ; ma nell’ Aminta , dovendo egli pro-
curare d’ esser semplice per accomodarsi al costume tolto
da lui ad imitare, non potè andar cercando né parole, nè
frasi nè giri della dizione che fossero troppo alieni dal co-
nnine linguaggio poetico già formato dai nostri grandi scrit-
tori.
Due cose dunque gli restarono a fare per rendere ec-
cellente la sua pastorale , quanto all’ elocuzione.
L’ altra cosa eh’ egli fece si fu di andare imitando negli ec-
cellenti Greci, e massimamente in Anacreonte , in Mosco e in
Teocrito , certe figure , certi traslati , certe immaginctte, certi
vezzi in somma uhe paiono affatto naturali , eppur sono artiT
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foiosissimi e delicati. Nella quale imitazione il Tasso si
contenne veramente da quell’ uomo grande ch’egli era.
La bellezza dell’ Aminta risvegliò altri autori a trattare
argomenti dello stesso genere , o di simile. Perciò il conte
Guidobaldo. Bonarelli compose , la sua Filli di Sciro , An-
tonio Ongàro il suo Alceo , ed altri altre cose; ma niuno
giunse ad agguagliare l' Aminta del Tasso nella purità
della lingna e nella bellezza dello stile fuorché Gio. Batti-
sta Guarini nel suo Pastor Fido , il quale non è meno
dell’ Aminta una delle più eleganti cose che abbia la poe-
tica scendendo dai Greci sino a noi.
Questi pregi però non coprono i gravi difellli che vi so-
no rispetto alle regole drammatiche , alla verità e giustezza
dei pensieri , al costume poetico e morale ed alla conve-
nevolezza , per le quali cose il Pastor Fido rimane dimoilo
inferiore all’ Aminta.
Bernardo Baldi , uomo assai erudito, dei suoi tempi e no-
bile italiano scrittore» autor di varie opere in prosa ed in
verso. Il poema di lui intitolalo La Nautica va tra i buo-
ni poemi didattici e le sue Egloghe scritte con notabile
grazia e semplicità sono delle più pregevoli che' abbiamo
fra le altre intitolata La madre di Famiglia pu > servir
di modello anche per la scelta dei soggetti da trattarsi in
quel genere di poesia.
Gabriele Ghiabrera , o Chiabrera Savonese, uno dei prin-
cipi tra i nostri poeti. Questo nobilissimo ingegno aveasi
poste in cuore , com’ egli medesimo dice nella sua vita ,
o di trovar nuovo mondo nella poesia t o di affogare , e
vennegli felicemente fatto di giungere alla sua meta, alla
quale eransi sforzali pur d’ andare Bernardo e Torquato
Tasso, F Alamanni e diversi altri poeti del precedente se-
colo del seicento.
Perocché egli, nelle sue canzoni in ispezialità , seppe spar-
gere le grazie di Anacreonte , e tentò talvolta con nobile
ardire di seguitar non mollo da lungi gli animosi voli di .
Pindaro , ed arrichì F italiana poesia di molti nuovi e leg-
giadri metri.
Le sue Odi , le Canzonette i Ditirambi, i Sermoni i Poe-
metti sacri in verso sciolto sono le migliori cose-di questo
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Ilo
autore ; il restante non è degno di lui : tutto nondimeno
è scritto con csatezza e purità straordinaria , tal che le
opere di lui sono testo di lingua.
Le Odi del Conte Fulvio Testi Ferrarese per la nobiltà
dei pensieri e la vaghezza delie immagini soq degne di non
essere ignorate. *
La fenice dei moderni filosoG e la gloria dell’ Italia Ga-
lileo Galilei non credette ineguale alla sublimità delle sue
dottrine e delle sue scoperte il materno linguaggio e scris-
se in esso con quella regolarità e naturalezza di stile che
conviene ad un filosofo. ,
Alessandro Tassoni , Autor classico dell’ italiana eloquenza
per il suo poema eroicomico della Secchia Rapita , nel cui
genere Gnora niuno lo ha pareggiat i.
Filippo Balducci, scrittore delle Vite dei Pittori, Scultori
ed Architetti , assai purgato nella lingua , benché molto me-
no elegante e leggiadro di stile che il Vasari e di j manco
dottrina nelle materie che tratta.
Lorenzo Lippr nel Malmantile , e Michel Agnolo Buo-
narroti il giovane nelle sue Commedie ci hanno lasciato un
apparato di tutti i vocaboli e di tulle le maniere famigliari
della lingua ; e sono perciò mollo utili ai non Toscani, che
sono costretti d’ apprenderlo dai libri.
Conchiudiamo Gnalmetite il catalogo dei libri migliori da
leggersi per lingua aggiungendo le opere di Benedetto Men-
ami di Francesco Redi , d’ Alessandro Marchetti , d’ Ora-
zio Ruccellai di Carlo Dati , di Benedetto Averani , di Lo-
renzo Bellini , di Lorenzo Magalotti , e d’ Anton Maria Sai
vini. . ‘ -
Dalla serie che seguitando a un di presso 1’ ordine dei
tempi , si è per noi tessala dei principali scrittori, con l’opera
dei quali si è stabilita, perfezionata e divulgata la lingua ita-
liana , noi abbiamo appreso quali sieno gli autori e le ope-
re sulle quali bassi a fare maggior fondamento per lo studio
di esso.- ’ . .'
£j*Qui non voglio rimanermi di nuovo ricordare la gioventù
di studiare nell’ opera del Puoti sopra la maniera di studia-
re la lingua e 1’ eloquenza italiana , nella quale traluce da
ogni parte io studio degli ottimi scrittori italiani come altre-
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sì dei Latini c dei Greci per ben guidarci così ad imitare
i pregi , come a sfuggirne i difetti.
La nostra gratitudine poi esige che noi ricordiamo qui i
nomi di alcuni dei più benemeriti fra essi , come dell’ Avera-
ni , del Gravina , del Magalotti , del Redi, -dèi Maggi, del
Magliabecchi , dello Vnllisnieri , del Muratori , del MaEfei ,
del Zeno , del Manfredi , degl’ illustri fratelli Zanotti , e di
Francesco Maria , specialmente , venerabile vecchio che e
fu presente e tanto contribuì allo stabilimento delle scienze
ed al rinascimento delle lettere , e che vedrà forse decader
le uìie e le altre prima della sua morte, se la vanità degli
ingegni italiani non lascia di trascinarli ciecamente dietro al-
le opinioni ed al gusto intemperante di molti forestieri scrit-
tori.
Venendo ora al Metaslasio, che fu romano e détto da prima
Pietro Trapasso , il quale condusse a maggior perfezione il
melodramma Ira noi , che prima della stampiglia , ed an-
cora più dal Zeno era stato già purgalo di molti difetti. E
piateci , nel dir breve , che grandemente stimar si debbe
questo valent’ uomo per la dirittura e nobililà del suo ani-
mo ; che non ci ha chi non • ravvisi nelle sue opere il
grande amore , ond’ egli amava la virtù , e come egli a
tuli' uomo ingegnavasi di accenderlo nel cuore degli italia-
ni ; e per questa parte giustissime ci sembrano le lodi a lui
date dal chiarissimo seguitator del Guicciardini.
Nè a noi pare , e siaci pur conceduto dirlo liberamente ,
che non senza troppo amore per la patria letteratura dicesse
il Botta che chi JUetastasio le^ge ; beve a pien vaso senza
alcuna mescolanza di stranezza , la grazia greca , la mae-
stà latina e la eleganza italiana, ec.
Pari d’ ingegno al Metaslasio , se non di lui maggiore , è
da stimar l’Alfieri ; ina di grande fortezza d’ animo era que-
sti dotato , e dì una Gera ed inflessibile natura , sicché ben
dice l'eloquentissimo Cario Botta, del quale piaceri qui ri-
ferire i pensieri quasi e le parole, che se il Goldoni, il Pa-
rini ed i Metaslasio allcttando persuadevano gl’italiani a ri-
tornare sulla smarrita strada, l’Astigiano poeta, con una ter-
ribile sferza gli sforzava , affinchè ciò facessero.
Di finissima lega , ed assai da pregiare sono le poesie di
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112
Giuseppe Parini milanese. Questo egregio uomo, che vuoisi
allogare Ira i primi restauratori delle buone lettere in que-
sto nostro secolo , esseudo nato con alto ingegno , e guer-
ti itosi dì Torti studi,, diè ali’ Ilalia una nuova maniera di li-
rica poesia , e sdegnando di cantar di frivolezze e di amore,
tolse da gravi materie i subbietli delle sue rime , le sparse
di nobili e magnanimi affetti ; le verità della inorai filosofia
adornò di leggiadre e poetiche immagini ; e Pindaro si prese
ad esempio ed Orazio, che non temè di seguire nei loro su-
blimi ed animosi voli, ec.
Noi qui potremmo di alcuni altri chiari ingegni v.enir toc-
cando , i quali , postisi a questi giorni pel medesimo sentie-
ro , vanno cogliendo nobilissime palme. Ma oltre che i co,
storo nomi risplendono da per tutto ornali di chiarissima luce,
e punto non han mestici i di essere da noi ricordati.
DEL MODO DI ACQUISTARE LE QUALITÀ NECESSARIE
A SCRIVERE GENTILMENTE. ,
Ora che abbiamo potuto conoscere nella Lezione 36 che
cosa sia lo stile, non sarà indarno l’ investigare come si possa
acquistare forza , grazia e vaghezza nello scrivere ; che è
quanto dire come si possa formare Io stile convenevole e pulito.
Se lo stile sì genera per la qualità dell’ intelletto , della
fantasia e degli effetti delio scrittore , vera cosa è che a for-
marlo convenevole è pulito bisognerà rendere perfette le men-
tovate tre cagioni il più che si può.
- L’Uomo nasce fornito dell' intelletto , cioè della facoltà di
sentire , di percepire , di attendere , d| paragonare , di giu-
dicare , di astrarre , di ricordarsi , d’immaginare: ma d’uo-
po è che queste facoltà vengano poscia dirittamente usate ed
eserciate , onde sia generata quella virtù pressoché divina
che si appella la ragione , la quale consiste nell’abito di pa-
ragonare insieme i sentimenti distinti dell’anima e le idee dj
derivare dai fatti particolari le nozioni generali , di anteporre
0 posporre le une alle altre , di congiugnerle o di separar-
le , secondo la convenienza o discoveuienza loro , c secondo
1 loro gradi di più o di meno.
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, . n3
A formar quest'abito sarà bisogno di studiare le opere dei fi-
losofi che trattano sottilmente delle cose naturali, delle proprietà
dell' intelletto e del cuore umano; di apprendere la storia,
senza la cognizione della quale , al dire di Cicerone , l’uo-
mo rimane sempre fanciullo-; di osservare la natura , di pra-
ticare fra le diverse condizioni degli uomini , e di operare
nei privali negozi e nei pubblici.
Ad arricchire l’ immaginativa , la quale è 1* abito di re-
care all’animo la reminiscenza delle qualità sensibili , che più
ci muovono e dilettano ; di congiugnere insieme con verisi-
miglianza quelle che sono disgiunte in natura , e di signifi-
care per similitudine delle cose corporee i concetti astratti ,
non solo metterà bene di leggere gl’ inventori di nuove o
vaghe fantasie , ina di por mente a tutto ciò che aj sensi
porge diletto, sia nelle azioni degli uomini e degli animali,
sia nell’ estoriore aspètto e movimento delle cose inanimale;
e soprattutto gioverà di ben considerare le somiglianze che
hanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; che
questo si è il fonte dal quale si derivano le nuove e mara-
vigliose metafore.
Di molta utilità sarà poi all’ intelletto ed alla immaginativa
lo studio de’ precetti dell’ Afte oratoria e della poetica; i qua-
li , essendo il compendio di quanto i filosofi hanno osservato
intorno le cagioni , onde piacciono o dispiacciono le opere
degli scrittori , apportano quella luce , che un uomo solo nel
breve spazio della vita studierebbe indarno di procacciarsi con
la Boia virtù del proprio ingegao.
Vuoisi però sull’osservanza dei precetti avvertire ciò che
nell’Arte Poetica osserva Zanolli , cioè che le cagioni del di-
spiacere trovate dai filosofi , essendo cagioni universali ed in-
determinate , mostrano bensì i luoghi ove non vogliono , che
si ecceda o si manchi , ma non prescrivono poi a qual se-
gno si debba giugnere o rimanere, per non eccedere o non
mancare ; ond’è che a fare buon uso del precetto è bisogno
di quella discrezione che si acquista con lungo studio e fatica.
Rispetto agli affetti io mi penso che , sebbene sieno da na-
tura , pure a concitarli in altrui grande aiuto si possa trarre
dall’arte. Se l’amore , 1' odio , 1’ ira , la mansuetudine , la
misericordia ed altre affezioni dell’ animo nascono da cagio-
8
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,1 14
ni determinate , còme per esempio l’amore da bellezza e
da virtù , I* odio da male quali;à del corpo o dell’ animo al-
trui r non v’ha dubbio che gli affetti medesimi si debbono in
chi legge risvegliare per virtù della viva rappresentazione di
quelle cagioni dal che -si raccoglie che lo scrittore , conside*
rando le varie disposizioni degli Uomini passionati , e le cagio-
ni per le quali la pascione si genera, avrà materia onde gli
animi perturbare. Cosi per aiuto dell’ arte verrà od opere in
altrui quell’effetto , che imperfettamente avrebbe operato mer-
cè della sola naturale sua disposizione.
Da quanto è detto apparisce che la scienza avvalora l’ in-
telletto, e l’ immaginativa, ed aiuta a muovere gli affetti , e
che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente.
La scienza poi è generata negli umani intelletti da due ca-
gioni : queste sono: la naturale disposizione dell’organo cor-
porale e l’azione delle cose esterne .sopra di esso; si fatte ca-
gioni sono di necessità diverso in ciascuno ; perocché non è
da credere che si possano trovare due corpi nella stessa ma-
niera conformali ; ed è poi certamente impossibile che uno
riceva dalle cose esterne nell’ animo le medesime impressioni
che un’altro. Per la qual cosa avviene ebe diversa in cia-
scuno si generi la scienza, c quindi diversa la forza dell’ in-
gegno, e dell’ immaginativa , diversa la qualità degli affetti,
e per conseguente anche lo siile che da queste procede deve
riuscire diverso. Dal che si vede che imprendono opera di-
sperata coloro , che si affaticano ad imitare lo stile d’ altri.
E alcuni pur sono che andando passo passo sull’ òrme di Dan-
te , del Petrarca e del Boccaccio, avvisano alla costoro glo-
ria di pervenire : ma le opere loro per verità , in fuori di
uu poco di polita buccia , niun sugo hanuo.
.. Che cosa dovremo dunque appredere dagli Scrittori? Ri-
spondo , che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci
ad esprimere chiaramente ornatamente e convenevolmente i
nostri concetti. Da questo scrittore ci studieremo di procac-
ciare una cosa; da quello un’altra, ma seguiteremo sempre
la nostra natura secóndo l’esempio di Dante, il quale lasciò
scritto di se :
.. ...... . Io mi son un che , quando
4mor mi spira , noto, ed a quel modo,
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x 1 5
Che della dentro, vo significando.
Che se altrove disse a Virgilio :
Tu se’ lo mio maestro e lo mio autore.
• - Tu se’ solo colui , da cui io tolsi • .
Lo bèllo stile , che mi ha fatto onore;
non intese già d’avere tolto al maestro la maniera propria
di quel poeta: sibbene la qualità onde il carattere poetico è
differente dal filosofico e dal persuasivo ; e chi è che non
senta la differenza, che è dallo stile di Dante a quello di
Virgilio ?
Bimane per ultimo a dire degli Autori che coloro die amano
di scrivere nella italiana favella devono sciegliere a maestri(i).
Nulla dirò dello studio della lingua Greca è della Latina,
perciocché essendo notissimo-che nell’ una e nell’altra scrissero
coloro che insegnarono a lutto il mondo , e che questa nostra
da quella procede , ciascuno conosce di per sé quanta utilità
. trarre se ne possa.
Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola dei soli au-
tori italiani che agli altri si devono preporre.
E prima è a sapere che nel secolo XIV. alcuni prosatori
ed alcuni poeti diedero al volgar. nostro tanta proprietà e gra-
zia , che nessuno poi ha potuto eguagliarli :
(i) Il nome del Marchese Basilio Puoti è ornai chiaro e riverito
in Italia. Egli ultimamente ha stampato un’ «pera sopra la maniera
di studiare la lingua e la eloquenza italiana . opera che tutti vor-
ranno leggere perchè non èiina semplice compilazione di cose tratte
da altri Autori , non un’ ambiziosa e vana speculazione , ma una
esposizione di principi e di metodi provati da un intelletto sapiente
con I' aiuto di un cuore amoroso. Oltredichè l’ eccellenza dello stile
cresce onore e vaghezza alla bontà dei documenti che egli ha ca-
vati dalla propria esperienza.' Lo stile det Puoti ha due qualità pre-
ziosissime : la venustà e la chiarezza. Traluce da ogni parte Io stu-
dio degli ottimi Scrittori Italiani come altresì dei Latini e dei Gre-
ci : anzi se si ha da credere a Pietro Giordani , che i Greci più
degli altri fossero abili a tessere con lino artificio la tela del discor-
so , certo che da quei maestri deve il Puoti avere appreso quel lu-
cido ordine che rende i suoi scritti di si facile e piacevole lezione.
Pertanto , miei cari e studiosi Giovanetti , il Trattato della Ma-
niera di studiare la Lingua e l’ Eloquenza del Puoti , io vi propon-
go per iscegliere a maestri gli Autori.
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1 16
Che nel secolo XV. questo volgare fu quasi abbandonato
per soverchio amore della lingua latina « per pusillanimità
degli uomini d’Italia: . .
Che nel secolo XVI. fu da Forlunio e dal Bembo ridotto
a regole determinale; e da molti fu nobilmente adoperato in
vari, generi di scritture : ,
Che nel secolo XVII. fu da talune acconciamente impiegato
ed arricchito di voci pertinenti alle scienze , fu da alcun al-
tro scritto con elegauza , ma venne da moltissimi in parte cor-
rotto e rivolto in vanità di falsi concetti :
Che nel XVIII. finalmente fu da pochi bene usato, e da
mollissimi con parole e modi forestieri vituperato. Tale es-
sendo stata la fortuna di questa bellissima lingua , chi potrà
dubitare che oggi hoo, sia a noi salutevole il consiglio che
ci porgono gli uomini sapienti , cioè quello di studiare agli
antichi esemplari ? .
Questo , o Giovanetti , dilettissimi miei , è quanto ho sti-
malo opportuno di proporvi dinanzi per indirizzarvi nel cam-
mino delle lettere , alle quali molli vanno per vie distorte e
per lo contrario. Darò fine coll’ avvertirvi che , se vero è
che la scienza e 1’ esempio fanno 1’ arte , è vero altresì che
arte senza uso poco giova : onde , se dallo stile cercate ono-
re , vi sarà bisogno di meditare molto, di leggere molto e
di scrivere moltissimo. - •
1 . .
■ >
POCHI CENNI CHE SI COMPRENDONO NEL SIONFICATO
DELLA FACOLTÀ NOMINATA ELOQUENZA
Non una , non determinata è la idea , che si comprende
uel significato della facoltà nominata Eloquenza. Ella non con-
siste unicamente nella efficacia delle parole , in un gesto , in
un atto in un motto, nel silenzio stesso talvolta si fa sentire.
Era eloquenza nel gesto dello Spartano , il quale senza ar-
ticolar parola a chi si ammirava, che Sparta non fosse cinta
di mura , portando la mano al petto rispose :
i petti dei cittadini sono le mura di Sparta.
Eloquente era la mano che armata di una verga cimava
i papaveri sovrastanti alle umili erbette Gahine.
Il mollo — confini di Sparta — scritto su le. aste eloqueu-
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”7
temente significava, che il territorio della Repubblica si sten-
deva sin la dove fosse per arrivare la forza delle armi.
La più eloquente lingua del Lazio fu eloquente anche al-
lora cbe tacque confitta in quei rostri che avea fatti di sé
risuonare cotanto. V iene in vece di eloquente chi nelle gen-
tili brigate bel parlatore sa disputare, e raccontare piacevol-
mente^ ...
Lode di eloquente si acquista chi in bella pomposa foggia
spone” materia di erudizione , gloria e precetti di scienze, o
di arte. Questo modo di eloquenza da Cicerone fu definito di-
sertus , e noi Italiani diremo facondo. -
L’ onore e il vanto di eloquente dallo slesso Oratore e Re-
tore , fu riservalo alla virtù di colui , che mirabilmente sa
magnificare {ulto che vuole , che i fonti delle cose pertinenti
al dire nell’animo e nella memoria contiene, che per impeto
di affetti , per calore d’ immagini , per efficacia di ragiona-
menti , per eleganza facilità , grazia di lingua , per armonia
di periodi , in fine per bella proferenza ha potere di convin-
cere l’ intelletto, di muovere abbattere strascinare la volontà.
Lo stile, che noi diremo facondo, non è restìo a lasciarsi
trovare da chiunque sano dell’ intelletto con pazienza di fatica
si disponga a cercarlo. Trovato rende ad uomo bella testimo-
nianza di abito gentile , e lungamente lo divide da schiera vol-
gare ; sì che ogni studioso pub stare contento a tanto, e dire
a sè : io male non ho collocata l’opera, e ’1 tempo.
Quella foggia di locuzione , che propriamente si nomina
eloquenza , non può mostrare i suoi effetti maravigliosi , se
non in chi sia da natura dotalo della qualità notata da Quin-
tiliano là dove disse; niun uomo potere essere eloquènte, se
buono non è. Nella quale sentenza , per nostro avviso , si
chiude grande verità , che la eloquenza ha la sede negli af-
fetti , e il nascimento dal senso. Esso è la face di cui si ac-,
cende la fantasia a misura , che le fibre del cuore sono di
tempra molle e cedevole alla impressione degli ohietli.
Lì consiste il fondamento , sul quale la mano di benigna
natura in petto umano stampa 1 ! indole, nominata bontà; quale
era in cuore di Mennio Agrippa , quando sul Mónte Sacro
col famoso apologo cessò la sedizione della plebe Romana ;
quale era in petto del barbaro Scita , cbe perorando la prò-
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1 18
pria causa fé stupire il discepolo di Aristotile Alessandro Ma-
gno ; bontà che la natura dona , la virtù vende a prezzo di
studio.
Non crederò che vera eloquenza possa allignare là dove
fervida ò la lingua, gelido i! petto. In questa sentenza penò
su la lontana antichità , che stimava nascere dal cuore i
parti dell’ intelletto. Il prudente Ulisse , e gli altri eroi di
Omero ragionavano col cuore
I Latini chiamavano cordato l’ uotn saggio , scordo lo
sciempiato , vecorde il pazzo ; dicean cuor delle Muse , cuor
della Sapienza , cuor del Senato chi n’ era la mente. Ove
matrigna resista la natura , educazione naia da studio , da
caso non potrà fare di ogni uomo un Omero , un Demo-
stene, un Pidia, un Apelle, come un notissimo francese Fi-
losofo si studiò di persuadere.
Scrittori Greci e Latini , nostrali ed esteri hanno dettati
precetti nobilissimi di eloquenza , che giovane studioso giu-
gne a comprendere quando per domestichezza avuta cou bel-
li esemplari è divenuto posseditore del criterio dell’ arte.
Divisate in tal guisa le cose si fa luogo a discernere qual
più probabile via si schiuda a progressi di gioventù curiosa
dell’ eloquenza.
Le scienze hanno metodi non fallibili di insegnamento ; le
arti non cosi , e massime quella, che regina delle altre sie-
de in cima di onoranza , e di gloria , l’arte del dire; per
lo che chiunque perviene in essa a grado sublime può dir-
si debitamente discepolo di se medesimo , come quello che
principalmente ebbe maestra la nativa indole buona e scorta
i migliori esemplari.
Sono queste le due faville , che deano essere secondate
da luce , che rischiari un vero chiuso in sotlil velame , il
criterio del Bello.
Ma per dir breve : E da qual parte iniziar si dovrà lo
stadio dell’ Eloquenza ? Dalla letteratura dei poeti. La Poe-
sia , creatura la più. nobile di fantasia umana, in se contie-
ne gli elementi di ciascuna prosa ; di ciascuna storia degli
uomini , e dei siti terrestri e celesti.
Se alcuno fosse che tenesse arte da trastullo la poesia , a
farsi accorto dell’errore in che vive, sappia che ella fu l’ab-
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.... . 1 '9
bozzo , sul quale iucominciò a dirozzarsi la Metafisica regi*
oa delle scienze , differente in questo , che i veri dell’ una
sono astratti , vestiti da immagini sono i veri dell’altra. Gli
scientifici dettami cedono talvolta al talento , alla fortuna ,
alla necessità.
I Poeti scrissero sempre secondo natura.
La Poesia, perfezione dell’ intelletto e del senso , per dop-
pia via con doppia forza giugne più spedita a qualunque se-
gno le piace mirare. Dante Alighieri nel trattato del vulga-
re eloquio consiglia d’incominciare lo studio della Eloquen-
za dalla lettlura delle opere dei poeti, dicendo: « Non
ti maravigliare lettore , eh’ io abbia tanti autori alla memo-
ria ridotti , perchè noi non possiamo giudicare quella co-
struzione , -che noi chiamiamo suprema , se non per simili
esempi. Utilissima cosa sarebbe per abituar la mente a quel-
la aver veduti i regolati poemi di Virgilio; le Metamorfosi
di Ovidio , Stazio , Lucano » . ..
Alla sentenza di tant’ uomo consuona quella di celebre
filosofo regio precettore, il quale scrisse : « Il gusto è la
prima facoltà , che bisogna esercitare, fo I’ ho provalo., in
me ; perchè se io raggiono , lo debbo ai poeti , più che ai
filosofi. Mi sono confermato in questo parere , considerando
la storia del genere umano. In fatto le cose di gusto sono
quelle , alle quali abbiamo più 1’ animo , e nelle quali ab-
biamo più di ajulo. E dunque di là , che bisogna incomin-
ciare gli studi , e quando essi avranno disviluppate le facol-
tà del nostro intelletto , potremo noi esercitarle con buon c-
silo in altri subielli. E dunque da poeti che bisogna pren-
dere il fomento , che faccia germogliare la pianta la semen-
za dell’ umano ingegno j.
Cosi Condillac. La storia letteraria conferma questi pareri.
Platone , che per la eleganza di sue prose fu detto Ape At-
tica , M. T. Cicerone, Dante, Petrarca , Boccaccio , Poli-
ziano , Pontano , Sannazzaro , Ariosto , Bembo , Casa , Ca-
ro , Bonfadio , Torquato Tasso per dir breve , cominciaro-
no dall’ avere domestichezza con la poesia.
A nostri dì Carlo Botta scrisse poema prima che storie.
Giusppc Parini , Vittorio Alfiieri , Vincenzo Monti , Anto-
nio Cesari , Giulio Perticari , Paolo Costa prima con poesie
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120
e poscia con prose apersero a se le porle dell' immortalila.
Non nomino viventi : di essi grida la Fama , e la storia
letteraria non tacerà.
La Poesia Epicolragica non si accampa con chi fu nato
unicamente a studio di metafisiche discipline; quella che si
dice diliiambica, o lirica , volentieri si accosta a chi di arti
e a chi di scienze si professa. Si leggono , nè senza diletto
i versi di Michel Angelo Buonnarroti , di Raffaele Sanzio ,
di Andrea del Sarto , di Salvator Rosa , di Lorenzo Lippi,
e più graditi riescono quelli di Fiorentino segretario di Ga-
lileo Galilei , di Francesco Redi , di Guidi , di Francesco
Zanolti , di Eustachio Manfredi , ornamenti e lumi di scien-
ze severe. - .
Dell’ autorità del ragionamento non che dalla testimonian-
za della storia si ha prova, che la poesia abitua la mente
a suprema costruzione nell’ arte del dire , ed è fomento a
svolgere il germe dell’ umano intelletto.
Buona qualità di senso in tutti non è (ultima ; onde pro-
fittevole cosa sarà mirare vario spettacolo di esemplari acciò
di quello , che sia per accadere più conforme alla indole
propria , maggiore nasca I’ affetto, e la curiosità.
I professori dell’ arti del disegno sono usali visitare più
scuole , finché posino in quella che più gradita all’ animo
più S|ieranza apporta di esito fortunato.
Le rettoriche , tragedie di Euripide , e di Racine, FA-
minta e la Gerusalemme del Tasso, poemi nei qnali pri-
meggia la leuerezza degli affetti , furono modcllli più cari ,
perchè più conformi , all’ indole nativa di Pietro Melastasio.
Le politiche tragedie di Eschilo , di Sofocle , di Pietro Cor-
nelio , le sanguinose di Crebillon , la veemenza di taluna
terribile scena del gran dramma dell’ Alighieri furono più'con- ,
facenti allo spirito dello sdegnoso Astigiano. Le forme gra-
ziose delta Venere Medicea più che le forti, e grandiose dei
Lacoonte , e del Mosè risposero all’ anima!) di Antonio Ca-
nova. Ad altri piacque si T ac urne 'del la politica'', -e si alla
sobrietà dello stile di Cornelio Tacito.
II Massimo Daniele BarlolFamò e parve volere aumen-
tare la pomposa locuzione di Giovanni Boccaccio > c di Lo-
f ovico Ariosto, l‘ uno c l’altro dei quali di ricchissima lin-
gua beò P ilalia nostra.
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iai
Se al cospetto di qualsivoglia mirabile esemplare fia chi si
rimanga spcttator freddo muto, nulla senta accendersi in
sua fantasia , nulla bollire in suo cuore neghittoso sonno-
lento, lo volge ad altri studi; quello dell'Eloquenza non è
da lui. Che se in suo petto si destino faville , e vivi spìriti
di emulazione, e di quella nobile invidia , che interrompe-
va i sonni di Tucidide , poiché ebbe uditi i plausi dati alje
storie recitate da Erodoto nei Panatenei , se la immagine
della bellezza del veduto esemplare non si diparte dalla sua-
memoria , s’ incuori all’ impresa , non lo ratteuga 1’ altezza
della salita, tutta con forte animo la misuri , vibri i nervi
della mente , ed incominci. -
Gli uomini possono quando cordialmente si avvisano di
potere : postunt quìa posse videntur. E quando sia giunta
la felice ora , che il piacer dello spirito il quale a tutti al-
tri sovrasta inganni la pena delle fatiche , anima giovanile
congratuli di avere in sé testimonianza dei pensati progressi
avrà di vicina vit oria ; non però si avvisi di aver superata
la cima ; la navicella del suo ingegno patirebbe naufragio
in quella calma. Allora massimamente gli è d’ uopo teucr
ferma la mente piantata su le. fondamenta delia Grammati-
ca , regola del discorso. .
Le leggi di quest’arte fondamentale poste da sottile me-
tafisica non facili ad esser comprese negli elementi di loro
composizione, furon talvolta offese dalla foga, e dall’ indi-
ligenza di celebrali poeti.
A tale difetto nulla può sopperire, c fare che il libro non
caschi di inano a fastidilo lettore ; ancorché di sua sazietà
non sempre sappia scoprire la cagione.
Le neglette regole di quest’ arte si rassomigliano a quegli
ostacoli che lorbidando , interrompono il corso di limpido
fiume. Torquato Tasso sentenziò essere la Grammatica ali-
mento , la Rettorica condimento dell’ Eloquenza. Uomo di
quella gran mente , e di quel gran cuore, che era , non du-
bitò di confessare essergli talvolta intervenuto di scambiare
l’uno con l’altro. -
Facili e brevi sono le figure della rettorica , delle quali
la mente giovanile più s' invaga ; e se con sottile giudizio,
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e che con grande parsimonia non sono usale , conducono
nell’ ampolloso , e nel falso.
Il valor dello scrivere consiste nella dottrina della lingua,
o sia delle voci proprie a ciascuna idea, e quindi alla chia-
resza si satisfà ; consiste nel saper la materia, di chi si ra-
giona , onde n’ è pago l’ intelletto , consiste nell’ inventare i
tropi grammaticali o sia i modi onde è contento il senso.
Le parole come segni delle idee sono adatte comunemente
alla prosa , alla poesia, ai sublimi e agli umili familiari di-
scorsi .
Schietti colori , solide pietre , politi marmi aspettano da
buono pennello , da buona sesta , da buono scalpello , ani.
uia c vita.
Elette voci aspettino da buon dicitore forma di bel co-
strutto , cessano allora , dirò cosi , di essere semplici paro-
le , diventano cose e tali , che nate da vivida fantasia , e
rette da sottile giudizio imprimono a scritture suggello di vi-
ta immortale.
Di questi intese Cicerone , quando disse che amava nel-
P Oratore parole quasi di poeti ; di questi intese Orazio quan-
do disse a poeti, che un innesto industrioso farà parere nuo-
ve le note parole. *
Loderò se da questo studio non si scompagni l’altro del-
la analisi delle voci , dette in greca lingua Etimologia , o
sìa discorso del vero ; voce degli eruditi applicata alla vera
invenzione, e composizione delle voci , nella quale una spe-
cie di scienza si contiene. Non tacerò , che questa scienza
Tu talvolta meritamente presa a deriso , colpa d’ intemperanti
licenziosi ingegni che si attentarono di condurla oltre i pro-
pri confini , nei quali ristretta giova a sagace scrittore, e di-
letta ad erudito lettore
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PARTESECONDA
DELL’ ARTE POETICA.
DEL CARATTERE POETICO.
là a poesia fu dal popolo inventata per proprio diletto, e
poscia dagli autori della vita civile ad ammaestramento di
esso popolo adoperata: (i).
Piacque ad alcuni a solo recreàmento dell’ animo usarla ,
ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle imi-
tazioni e dei mirabili concetti nascosero la dottrina e con lo-
cuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie si apriro-
no la strada alle menti volgari , le quali all’ insegnamento
dei filosofi sarebbero state ritrose.
Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone
a scrivere poesie non debba cercare di piacere alla più
parte degli uomini. Questo fece ad immagine degli anti-
chi il nostro Dante , la cui divina Commedia leggevano
anche le persone di umile condizione , e ne traevano do-
cumenti a ben vivere. Questo fecero 1’ Ariosto , e il Tasso
e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato
poeta. ,
Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che di-
lettano il più degli uomini , e quali sieno quelli che li no-
iano , ghigneremo a conoscere quali convengano e quali
disconvengano al carattere della locuzione poetica.
(t) Con la parola popolo non si vuol qui significare la plebaglia
ma la moltitudine degli uomini, che intendono la lingua della na-
zione , e sono atti a ricevere l’ insognameato.
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E primieramente è palese che le parole apportano di-
letto e con la materiale struttura loro e con la qualità del-
le idee che recano alla mente; perciò è che Tessere del
carattere poetico dall’ una e dall’ altra df queste cose dovrà
generarsi una delle qualità necessarie alla elocuzione poe-
tila sarà dunque la più csquisita armonia, onde sieno di-
lettati i sensi ed appagalo l’intelletto in virtù delia imita-
zione. Dell’ armonia abbiamo detto abbastanza, perchè pas-
seremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli.
II diletto si genera negli animi da ciò che dolcemente i
sensi movendo , fa operare la inente senza tenerla in fa-
tica e perciò è che le immagini dei corpi diversi e tutte
quelle cose e quei concetti , che hanno virtù di risveglia-
re gli affetti , ci recan maravigtioso piacere : e le idee
astratte all’ incontro non ce lo recano , perciocché , se nou
sono molto complesse fanno lieve impressione nell’ animo ;
si’ molto complesse , abbisognano di molta attenzione , e
perciò affaticano la mente.
• Propri saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e
i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di
molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passio-
ni , ed a rendere sensibili con 1’ aiuto delle similitudini tol-
te dalle cose corporee i più sottili concetti della mente.
Con gli aggiunti opportunamente scelti vengono signiGca-
te le passioni o le azioni , c gli usi delle cose e le qua-
lità loro - proprie , le quali in virtù dei soli nomi sostan-
tivi non verrebbero all’ animo dei lettori , o ci verrebbe-
ro debolmente ; perciò al poeta conviene 1’ adoperare essi
aggiunti più frequentemente che all’ oratore , il quale di-
pinge meno particolarmente le cose , ’ siccome colui eòe non
ha per fine principale il diletto.
Con le metafore si da corpo alle astratte nozioni , coi
tropi si pone dinanzi agli occhi della mente quella sola par-
te o qualità dell’ obbietlo , che. prima si" presenterebbe al
• senso di colui che con gli occhi del corpo il mirasse. Ado-
perando ì predetti modi si perviene a dare ai concetti in-
tellettuali forma sensibile di guisa , che il lettore , direi
quasi , non più per sogni percepisce le cose , ma le vede
e con mano le tocca.
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Affinchè palesaménto si vegga qitosla prerogat ; va clie
sopra lutto rende il carattere poetico distinto dagli allri
recherò ad esempio alcuni . concetti intellettuali , couver-,
lendoli in forma sensibile. Tut i i viventi muoiono — La
sede del romano impero fu da Costantino trasferita a Bi-
zanzio. — Il popolo facilmente muta consiglio — Quel-
lo dì ei fece dai tempi di Romolo , sino a quello dei
Turquini.
Questi concetti si dicono intellettuali ; siccome quelli
che si denno giudicare secondo il significato proprio di
ciascuna parola ; sensibili saranno qualvolta sieuo espressi
di maniera , che giudicare si debbano secondo 1’ apparen-
za o la similitudine , siccome divengono ì predetti tras-
formandoli nel modo seguente : La morte batte egualmen-
te alle capanne dei poveri ed ai palagi dei re — Po •
sciachè Costantin ì aquila volse Contro il corso del del ,
che la seguìa. Dietro quel grande , che Lavina tolse —
Infida è l' aura popolare — E quel eh’ ei fc dal mal
delle Sabine Al dolor di Lucrezia.
■ Queste finzioni che. assai dilettano , e perchè conféngo-
no manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intel-
lettuali concetti , sono totalmente proprie dell’ elocuzione
poetica eh’ elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi che non
hanno per fine primario il diletto.
Come queste poi si addicano più a certe specie , che a
certe altre , vedremo a suo luogo. Ora basterà di avere in
genere contrassegnata la natura del carattere poetico , on-
de apparisca che tengono mala strada coloro , i quali cer-
cando fama tra i poeti fanno pompa nei loro versi di
dottrina e di sottile ingegno, ed espongono i loro pen-
sieri con ordine troppo minuto e distinto.
I concetti che si cavano dall’ intrinseco della filosofia
recano seco molta oscurità e difficoltà, specialmente quan-
do véngono significati coi vocaboli e coi modi loro propri
e perciò sono contrari al diletto che è il fine del poeta , o
come allri vuole , il mezzo necessario ad indurre il gio-
vamento. ' "
E quando si. dice il poeta deve essere filosofo , non si vuol
dire che a modo dei filosofi debba scegliere , ordinare e si-
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ufi
gnificare i concelli , ma clic egli usi mollo di- filosofia nello
scegliere le materie più utili agli uomini , e nel dare a quelle
c forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se
talvolta egli vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia , lo
toglierà dalla superficie e non dal profondo seno di lei , iti
quel modo ebe ita fatto il Petrarca , qualvolta si è giovata
della filosofia di Platone, come si vede Del seguente esempio;
» Per le cose mortali ,
» Che son scala al fattor chi ben le stima...
. » D’una in altra sembianza
* Potea levarsi all’ alta cagion prima.
Ed in altri luoghi mollissimi si vede con quale arte e cau-
tela dalla filosofia nella poesia egli abbia trasportati i concet-
ti , gli abbia temperali ed ornati , sicché non hanno nè ru-
videzza alcuna nè oscurità , ma naturalezza , novità , maestà
e magnificenza , che sono qualità popolari , che è quanto a
dire poetiche. *
SPECIE DEL CARATTERE POETICO.
Se fu bisogno in alcune specie il carattere persuasivo a
cagione della maggiore o minore altitudine delle menti umane
a discernere la verità , ciò non occorrerà circa il carattere
poetico ; imperciocché tanto gli uomini di sottile iugegno ,
quanto quelli in cui la fantasia prevale all’ intelletto, hanno
tutti dinanzi al poeta una medesima disposizione.
Se il popolo porge orecchio alle finzioni poetiche , quasi
come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni della
filosofia , e in questo loro dolce ricreamenlo sdegnano ogni
austerità e sino l’apparenza dello faticose forme filosofiche.
Perciò è palese che il poeta rivolge sempre le parole ad uo-
mini i quali, sieno di qualsivoglia condizione, amano che la
mente loro sia condotta ad operare senza fatica. Da questo
si ricava che ogni specie di carattere poetico dovrà avere sem-
pre la prerogativa di schivare , come dicemmo di sopra , le
idee che tengono in fatica l'intelletto, e rappresentare quelle
che vestile di forme sensibili , esercitano la immaginativa.
Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per ri-
spetto della diversità degl’ intelletti , ma della condizione del
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ia 7
poeta o delle persone , clic introduce a parlare , c delle va-
rie cose ei fa subbietto del canto. Ma prima di entrare in
questo proposito parmi che sia da togliere una falsa opinio-
ne circa la natura della poesia.
Sono alcuni i quali avvisano che -1* essenza di lei consista
nel metro, e fra questi il Metastasio , il quale , nella sua espo-
sizione della Poetica d’Arisiotile, sostiene che la favella me-
trica , per essere l’ islrumenlo con che l’imitazione si fa, ne
forma l’ essenza. Ma io domanderei volontieri , dice Paolo
Costa , a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono
dare alt’ Eneide tradotta in favella sciolta dal metro f Le da-
ranno per avventura nome di prosa ? ma il vocabolo prosa
altro non siguiGca che discorso senza metro , e perciò ver-
ranno a dire solamente che quell’ illustre racconto è fatto sce-
mo di quella sola qualità di che grandemente si diletta l'o-
recchio , ma non già di tutte le altre che stabiliscono la na-
tura dei discorsi composti a fine di diletto.
Dal che appare manifesto che un altro generai nome è bi-
sogno per distinguere i discorsi composti per dilettare. E quale
è a ciò più accomodato vocabolo che quello di poesia ? La
voce poeta , secondò sua origine , significa facitore o vo-
glialo dire fabbricatore ; e perciò poesia sonerà io stesso che
fabbricazione o finzione , e tali sono di necessità quasi tutti
i discorsi che si compongono a fine di dilettare, essendo che
il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni sua parte :
perciò Benedetto Varchi dice nell’ Erodano , che il verso non
è quello che faccia principalmente il poeta ; e che il Boc-
caccio talvolta più poeta si mostra in una delle sue Novelle,
che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere
la poesia da ciò eh’ essa non è, basta disgiungerne le mem.
bra , cioè toglierne il metro, e allora si vede manifestamente
che il carattere non se le toglie.
Conchiudiamo pertanto che il metro induce differenza di
specie, ma non determina la natura del genere; e stabilia-
mo che a lutti i discorsi che hanno per fme il dilettare con
metro o senza si conviene il nome di poesia.
Ora veniamo alla specie. Talvolta il poeta rappresenta la
persona d’ nomo che cantando dice le laudi degli Dei o degli
Eroi; talvolta quella ch’esprime i moti dell'allegrezza, dcl-
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l’ affanno o dell’ amore, o solamente gli scherzevoli coucetti.
Le poesie ili questa maniera solevano dagli antichi essere can-
tate sulla lira , e perciò presero il nome di liriche , e tuttora
il conservano.
Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si pos-
sono dal poeta lirico, interviene che ancora il canto si di-
vide in varie specie , che tutta poi si riducono a (re, come
nel carattere persuasivo : cioè al sublime, al mediocre ed al
teuuc. Ciascnuo di questi canti ha qualità sue proprie.
Magnificenza .c gravità di modi, di seutenza e d’armonia
e splendore d’ illustre parole e di concetti fanlastisci conven-
gono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi , ed espri-
me gli affetti meno gravi e cauta di subbielti meno nobili :
quegli poi che dice i miti affetti o gli scherzi o le umili
cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni
fasto lontana , ed armonia soave e varia , me sempre tenue.
Alla della varietà d’armonie mirabilmente poi servono i me-
tri , alcuni dei quali portano seco T umiltà , altri la medio,
crilà , altri 1’ altezza dell’ armonia.
Sono molli esempi di questa varietà nel Petrarca. Si ponga
mente ai modi , al metro , al ritmo delle due Canzoni d’a-
more :.tma delle qnali comincia: 1
• j Chiare fresche e dolci acque; e l’altra:
i Di pensiero in pensier , di monte in monte ;
e si vedrà la prima essere in tutte le sue parti piena di soa-
vità , di gentilezza e di gravità.
Talvolta il poeta narra gl’ illustri fatti : talvolta i me-
diocri ; c talvolta i piacevoli : indi si generano i poemi epi-
ci , i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi
introduce a parlare o le persone illustri o le mediocri o le
umili, c quindi provengono le tragedie, le commedie, le egio-
che pastorali e le pescatone. Ognuna di queste specie , sic-
come è palese , ha modi ed armonia convenevole falla mate-
ria ed alla condizione delle persone.
Perciò è che il poeta specialmente nella tragedia , nella
commedia e nell’ egioca, ove se medesimo nasconde introdu-
cendo altri a parlare, dee rendere alquanto umili i modi e
l’ armonia di guisa, che lo spettatore, ascoltando le tragiche
persone o le comiche , abbia a dire : così parlerebbero gli
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lag
uomini di questa 0 di quella condizione , se loro naturale fa-
vella fossero i versi. ' ‘
Giovi questo generale avvertimento , perciocché non si pos-
sono mostrare i certi limiti fra i quali dee starsi ciascuna
specie. Tutte hanno nelPiutero loro corpo fattezze particola-
ri, alle quali colui che ben vede distintamente (a raffigura:
pure a quando a quando or questa or quella viene a partici-
parle dell’ altrui colore di guisa, che l'epico nelle forti pas-
sioni innatza le parole e i modi al pari del cantore degli
anni; e il più sublime lirico narra alcuna volta siccome fa
l’epico.
Lo stesso interviene delle altre specie, fra le quali per fino
la commedia talora si leva a gareggiare con la tragedia , e la
tragedia, al dire d’ Orazio, spesso si duole con sermone pe-
destre.
LEZIONE I.
DELLA POESIA.
La Poesii può difiuirsi una Esposizione della perfezione
possibile degli oggetti di nostre passioni , fatta con parole a
misura legate. Così V Epica ci espone perfetti oggetti di Ma-
raviglia ; la Tragica perfetti oggetti di Compassione ; la Co-
mica perfetti oggetti di Riso; e la Lirica tulli questi , e gli
oggetti più perfetti d’Amore , i quali sono suoi propri.
Lo Storico , l’Oratore , il Filosofo parlano per ordinario
principalmente all’ IuteHetlo ; e il loro scopo si è d’informa-
re , persuadere , istruire. Ma il primario scopo del poeta è
il dilettare, ed il movere, e perciò all’ immaginazione, e alle
passioni principalmente egli parla. Può e dee avere di mira
ancor l’ istruire e il correggere.
L’ immaginazione e le passioni assumono naturalmente un
tono loro proprio accompagnato da una specie di canto ; per-
ciò il linguaggio poetico vuoisi pure legalo ad una partici
lare armonia , che è quella che costituisce il verso.
Tre generi di poesia comunemente distinguonsi , V Epica,
la Drammatica , e la Lirica , comprendendo sotto quest’ ul-
tima lutti i componimenti che alle due prime non apparten-
gono. Ogni Lettore si prepara a riceverne una impressione
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della tale, o tale spezie, e se l’opera non gliela fornisce,
o gliela fornisce solo imperfettamente di una maniera confu-
sa , equivoca ; egli ha dritto d’ esserne malcontento.
La Natura fa i Poeti ; ma 1* Arte li conduce a un certo
grado di perfezione.
LEZIONE II.
dell’origine E PROGRESSO DELLA rOESIA.
Nor v’ha dubbio, essere antichissima là Poesia. Circa poi
l’ origine di essa non convengono abbastanza gli Eruditi , i
quali sono divisi principalmente in due opinioni.
La prima è di cploro , che riconoscono il cominciamento
della Poesia dagl iEbrei. Intorno a che basterà riferire le pa-
role di S. Girolamo , dove si esprime cosi : Quid psalterio
canorius, quod in mo'rem nostri Flacci et Graeci Pindari
nunc jumbo carri/ , mine Alcajco personal , mine Sap-
pine o tumct ? Quid Deuteronomii et Josuac cantico pul-
critis ? Quid Salomone gravius ? Quid perfeclius Job ?
Quae omnia exametris et pent/iametris versibus composita
decurrunt.
L’ altra opinione è sostenuta da quelli , i quali pretendo-
no, la Poetica facoltà aver tratta dai Greci la sua sorgente,
attribuendo eglino bensì agli Ebrei qualche vestigio di verso,
ma non già una maniera di metro determinata e costante.
Il sentimento del Calmet nella sua Dissertazione distingue
due sorte di poesia tra gli antichi Ebrei , cioè Poesia na •
turate ed artificiale. L’artificiale è quella, che dipende da
una certa regola e numero fisso di piedi. La naturale con-
siste in un discorso vivace c figurato , ed in concetti fuori
dell’ordinario sublimi, ma dal metro disgiunti. Egli dunque
alTerna , e con buon fondamento di ragione dimostra , che
la sola Poesia naturale fu in vigore tra gli Ebrei , negli scritti
dei quali s’ incontra non di rado qualche orma diverso , ma
non uno stabile tenore di verseggiare.
Supposto , che P invenzione della Poesia debba ai Greci
attribuirsi; come pare più verisimile; resta a vedere , in
qual maniera sia ciò avvenuto" Or la Poesia , secondo Ari-
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stolcle è naia fra gli uomini della slessa natura , cioè da certe
rozze canzoni, che soleano alternare i semplici agricoltori do-
po la sospirala raccolta, loro ispirate dall’allegrezza, ond’e-
rauo compresi , per aver dato fine ai rusticani loro travagli.
Tanto ci vien dichiaralo dal Poeta Tibullo nei versi seguenti;
Agricola assiduo primum saliatus aratro
Cantavit certo rustica veri/a pede.
Et satur areali primum est modulalus avena
Carmen , ut ornatus ducerei ante Deos.
Parlasi quivi della Greca Poesia , la quale cominciò ad
essere in vigore auche prima del tempo della guerra Troia-
na , cioè intorno a cinque secoli avanti la fondazione di Roma.
I più antichi dei Greci , che coltivassero con lode la Poe-
sia , furono Orfeo , Lino , Museo , e dopo essi Omero ri-
guardato siccome Principe dei Poeti per li due celebri Poe-
mi intitolati Iliade , e Odissea , il primo dei qnali ha per
suggello lo sdegno di Achille in tempo dell’assedio di Tro-
ia, ed il secondo i viaggi di Ulisse dopo la rovina della me-
desima.
Somigliantissima a quelta della Greca dee riputarsi 1’ o-
rigine della Poesia. Latina descrittaci da Orazio in questa
maniera : . . •
Agricolae prisci fortes parvoque beati
Condita post / rumenta levantes tempore festo ec.
In questo luogo accenna Orazio il cominciamenlo, ch’eb-
be in Italia la Poesia sacra , che conteneva le lodi degli Dei,,
e la profana , eli’ era piena di scherzi grossolani e mordaci ,
onde i contadini a vicenda si sollazzavano , e che produsse
in seguito la Comedia.
La Musica e la Poesia ebbero la medesima origine , furo-
no prodotte dalle cagioni medesime , furono unite nel canto.
I primi poeti cantavano i loro versi ; e di qui ebbe principio
quella che chiamasi Versificazione , o disposizione delle pa-
role in un ordine piu artificioso della prosa , onde adattarsi
ad una spezie di tono e di melodia. La libertà delle inver-
sioni , che lo stil poetico dovette assumere naturalmente
rendè più facile il collocar le parole in qualche specie di mi-
sura , o di metro.
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Le primo composizioni , o trasmesse per tradizione , o ri-
cordale poi in iscritto furono composizioni poetiche. Impe-
rocché questo mezzo naturalmente impiegar dovettero i capi
e legislatori , qualora voleano istruire e animare le loro tribù.
Nelle prime età della Grecia i Sacerdoti } i filosofi , c gli
uomini di stalo esposero tutte le loro istruzioni in versi. A-
pollo , Orfeo ed Aiifione , loro primi poeti , vengono rap-
presentati come i primi dirozzatoci degli uomini , e i primi
fondatori delle leggi e delle civili società. Minosse e Talete
cantarono su la lira , le leggi che composero; e fino all’età
che precedette immediatamente quella d’ Erodoto , la storia
non apparve in altra forma che in quella di poetici racconti.
Allo stesso modo presso le altre nazioni i poeti e i can-
tori sono i primi che veggonsi comparire. Fra gli Scili o
Goti molli dei loro re o condottieri furono Scalde s , ossia
poeti. Fra le Celtiche tribù nella Brettagna , e nell’ Irlanda
sappiamo in quanta ammirazione fossero i Bardi. Essi erano
al tempo stesso poeti e musici , come furono tutti i primi
poeti d’ ogni nazione : stavano sempre vicino alla persona del
capo o Sovrano , cantavano tutte le grandi imprese di lui ,
erano impiegati come ambasciatori fra le tribù guereggianli ;
e la loro persona era tenuta per sacra. Di lutto ciò abbiamo
un testimonio nelle Poesie di Ossian , che ancor ci rimangono.
LEZIONE III.
dell’ ORIGINE del metro.
11 Metro , eli’ è quanto dire una determinata legge e mi-
sura di verseggiare , è nato fuor di dubbio insieme con la
Poesia, di cui esso è una parie. Perciocché dopo aver gli
uomini rinvenuti dei termini e dei concetti superiori a quelli ,
che erano propri del volgare discorso , onde magnificare la
divina grandezza loro manifestata nelle opere maravigliose della
natura o per esprimere il trasporto della loro gioia in oc-
casione di pubbliche feste e di geniali conviti , cercarono in
conseguenza di darvi maggior risalto con l’armonia , che na-
sce da una disposizione di parole , e da una regolare cadenza.
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MoUe sono e differenti !e spezie del metro. Le nazioni ,
che aveano un linguaggio e una pronunzia più tendente alla
musica , fissarono la loro versificazione principalmente sopra
le quantità, vale a dire, su la lunghezza e brevità delle sil-
labe. Altre che non faceano sentire là quantità delle sillabe
così distintamente , stabilirono la melodia del loro verso nel
numero delle sillabe , nell’acconcia distribuzione degli accen-
ti , o delle pose sopra di esse , e nel ritorno dei snoni cor-
rispondenti , che chiainiam Rima. La prima maniera fu quella
dei Greci e dei Latini, la seconda è quella della più parte
delle nazioni moderne.
Fra i Greci e i Latini ogni sillaba, almeno il maggior nu-
mero di esse aveva una quantità fissa e determinata ; e la
lor maniera di pronunziarle rendea così sensibile all’orecchio
una tale qualità , che ogni sillaba lunga contavasi precisa-
mente come eguale di tempo a due brevi. Su questo prin-
cipio nel verso esametro , per esempio , il numero delle sil-
labe poteva estendersi sino a diciassette , se quello era com-
posto di cinque dattili ed uno spondeo : come : Quadrupe -
dante putrem sonitu qualil ungula campum , o ristringersi
sfoo a tredici , se era composto di cinque spondei ed un dat-
tilo come :
Et caligantem tetra formidine lucum ; ma il tempo mu-
sicale ciò non ostante in ogni esametro era precisameli te io
stesso, e sempre eguale a quello di dodici sillabe lunghe.
L’ iutroduzione dei metri greci e latini nei nostri versi sa-
rebbe fuor di luogo, perchè la nostra pronunzia non fa sen-
tire distintamente le sillabe brevi , che nelle parole sdruccio-
le , e non fa sentire le lunghe , che nell’ autepenultima delle
sdrucciole, nella penultima delle piane , e nell' ultima delle
tronche. Quindi C audio Tolomei , che introdurre volle in
Italia i versi esamitri , da pochi fu seguitato.
Uno però dei versi italiani che al metro latino più si as-
somiglia è l’endecasillabo detto alla latina, còme: Piange-
te , o Veneri , gemete , Amori. ■ ,
Un oltro è 1’ endecasillabo con l’accento sopra la quarta
e 1’ ottava , o sopra la quarta e la sesta , che sia terzultima
di una parola sdrucciola , con le quali misure il verso ac-
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quista il tuono dei saffici, come nella seguente traduzione
della strofa di Orazio ( ode del lib. I. )
Piscium et summa genus haesit ultno
Nota quae sedes fuerit columbis
Et superjecto pavidae nalarttnl
Aequore damac.
> Stettero i pesci su la cima agli olmi
s Ch’ era già sede cognita ai colombi ,
» E nell’immenso pelago notaro
i Pavide dame.
Traduz. dell’Ab. Venini.
Un terzo può dirsi il Settenario sdrucciolo , ebe somiglia
al giambico quaternario come :
» Giù ne’ beati Elisii
1 Posa sereno e placido, ec.
Ma oltre agli accenti nella versificazione delle lingue mo-
derne si è pur introdotta la rima ; e varie questioni si sono
agitate intorno alla preferenza della rima , o del verso sciol-
to , cioè, del verso rimato o non rimato. Il difetto principale
della rima, spezialmente delle rime accoppiale, quali si usa-
no nei versi eroici inglesi e francesi si è la chiusa monoto-
na , a cui è forzato 1’ orecchio alla fine di ogni distico. Il
verso sciolto è libero da questa noia , e permette che un verso
si leghi all’ altro con egual libertà , come 1’ esametro dei
Latini.
Parrebbe che ai suggelli dignitosi e sublimi , i quali ri-
chieggono più franchi e più maschi numeri che la rima , il
verso sciolto fosse più adattato. Infatti dalle nostre tragedie
la rima è esclusa, nei brevi poemetti con molla proprietà
dopo l’esempio del Chialrera , del Frugoni, dell’ Algarotti,
del Bettinelli , del Paradisi, del Parini , e di altri valenti
poeti si preferisce il verso sciolto.
Nei lunghi poemi la celebrità dell 'Ariosto, del Tasso,
del Berni han fatto che più volentieri si adotti l’ottava rima.
Abbiamo anche in Italiano dei luoghi in verso sciolto , co-
me le scile giornale del Tasso la contivazione &e\\' dlaman-
ni, e le Api del Baccellai, la Riscide dello Spolverino.
Dove la rima spezialmente _ è richiesta si è nei couiponi-
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melili in versi corti , come sono le Odi , le Canzoni , le
Cantale , e i Drammi musicali, ec.
• LIZIONE IV.
> DELLA POESIA PASTORALE.
La Poesìa Pastorale è una imitazione della vita campia,
rappresentata con tutte le sue possibili attrattive. E necessa-
rio mostrarvi la propria sita contadinesca ; ed ornarla sol-
tanto delle grazie , che può ammettere.
Si è in oltre alle Poesie Pastorali dato il nome di Eglo-
ghe , da un termine greco , che inferisce una Raccolta di
opere scelte , di qualsivoglia genere. Si è poi approprialo
questo nome ai Poemetti sulla vita di contado.
E stato altresì dato ad esse il nome à'Jdilio, da un'altra voce
greca , che signiflca una immaginetla , una pittura nel ge-
nere grazioso , e dolce. La differenza tra gl’ Idili e I’ E-
gloglie è ben leggiera. E in queste più azione, e movimen-
to , in quelle più immagini , c sentimenti.
11 riposo della vita campestre , che fa la materia d 11’ E-
gloga , comprende una giusta abbondanza , una libertà per-
fetta , una dolce ilarità Ammette moderate passioni , che
possono dare in lagnanze, canzoni , gare poetiche , raccon-
ti interessanti , sollevali c più gravi , giusta quella massima
di Virgilio nell’ Egloga quarta.
Si canitnus silvas , silvae siili Constile dignae.
Le Pastorali poesie sono , a parlar dritto , la pittura
dell’ età, dell’ oro , messa alla portata degli uomini , e sce-
vra di tutto l’ iperbolico mirabile, onde 1’ aveano i Poeti ag-
gravata.
Tutto ciò , che avviene in campagna, non è degno d’en-
trar nell’ Egloga. Ne va preso ciò che può dilettare , o in-
teressare. , • ,
La Poesia Pastorale non si può solo rappresentare sotto
la forma di racconto , ma sotto tutte le forine , che sono
della giurisdizione della Poesia. I Pastori possouo avere Poe-
mi Epici , Tragedie , Commedie , Melodrammi , Elegie , E-
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gloghe , Idili , Epigrammi , Iscrizioni , Allegorie , Carni
funebri ec. ec.
1 Pastori debbono essere delicati , e naturali , cioè , che
in tutti i loro fatti , o detti , nulla dee sentir del grosso , e
disgustoso, nè dell’acuto , e ricercato. Essi dobbono mostra-
re discernimento, accortezza , talento ancora, purché sia na-
turale. Debbono esser buoni si moralmente , come poe Ima-
mente. - '■
Ciò fa in vero , che i loro caratteri abbiano a un di presso
il medesimo fondo ; ma rimangono imperlati lo capaci di molta
varietà. Dal solo gusto delia tranquillità , e degl’ innocenti
piaceri , si possono far nascere tutte le passioni , e diversi-
ficarle secondo 1’ età , i s«ssi , i luoghi , gli avvenimen-
ti ec. ec.
Lo stile dei Pastori vuol i.° essere semplice , cioè , che
i termini ordinari" vi sieno adoperati senza fasto , senza ap-
parato , senz’aperto disegno di piacere ; a.° avere della dol-
cezza , un certo succo misto di delicatezza, e di semplicità,
si nei pensieri , come negli ammanierameuli , e nelle paro-
le ; 3.° essere schietto ; 4-° esser grazioso nelle descrizioni;
5.° aver maniere di frase di comparazioni , prese dagli og-
getti familiari ai Pastori ; 6.° usar ripetizioni frequenti , e
minute descrizioni, 7. 0 evitar finalmente quanto sente di stu-
dio , e di applicazione.
Non già che 1 ’ Egloga non possa talvolta elevarsi. I Pa-
stori avranuo , se si vuole , un’ ardita fantasia -, e ragione-
ranno delle più gran cose ; ma è dLuopò, che sia sempre
con una colai timidezza , e semplicità. Queste qualità con la
dolcezza , e 1 ’ amenità, fanno il carattere essenziale della Pa-
storal Poesia.
Quelli , fra i Greci , che in questo genere si sono di-
stinti , sono Teocrito di Siracusa j Mosco parimente Sira-
cusano , c Biotte di Smirne ; fra i Latini Virgilio è il so-
lo , che abbia saputo camminare con lode non ordinaria sul-
le orme di quell’ antico Maestro della Buccolica Poesia ; fra
gli italiani il Sannazzaro , il Bota, il Baldi, e più re-
centemente il Co. Ptìmpei , e il March. Mattava.
L’ Arcadia del Sannazzaro è mescolala di prosa e di
verso. Ei si finge tra pastori d’ Arcadia , narra la vita lo-
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ro , le loro -occupazioni , i loro amori , i loro giuochi , le
loro fesle , i loro sacrifici; e con ciò fa nascere diverse, oc-
sioni di eccitare al cauto or 1’ Tino or I' altro «li quei pasto-
ri. Il suo stile però , còsi nella prosa come nel verso , è
troppo studiato , e manca di quella semplicità che Delle o-
pere buccoliche è necessaria.
Il Sannazzdro pure in latino scrisse dell’ Egloghe- pesca-
torie ; e in ciò fu dal Rota seguito anche in italiano: ma
questo genere di poesia da pochi altri fu imitato.
Una più felice invenzione ò stala quella dei Drammi pa-
storali , del qual genere è la Tancia del Buonarolt, ih pa-
stor fido del Guarini , 1’ Aminta -del Tasso , la Meganira ,
la Gelopea , e PAlcippo del Chiabrera. Ma la Tancia trop-
po abbonda di riboboli fiorentini ; il Paslor fido d T arguzie
e di concetti. Di questi non è pur esente dei tutto 1* Amin-
ta ; ma oltreché sono essi in minor numero, il generale an-
damento del Dramma è poi meglio ordinalo, e lo stile assai
più naturale , più semplice , più Ingenuo , quali si convie-
ne a persone campestri.
Egualmente lodevoli per lo siile sono pure i drammi del
Ckiabrera, e i due ultimi anche per la condotta ; ma poco
noli , perché la celebrità deH’ Aminta ha oscurato tutti gli
altri. . J • :
Un nuovo genere di poesia buccolica si è pure introdotto
a questi ultimi tempi , elio è quello dei poemi o romanzi pa-
storali. Il primo à darne 1’ esempio fu Gessner , poeta sviz-
zero , nel suo Dafni -, e nel primo Navigatore , amenduc in
prosa alemanna , come son le altre sue produzioni.
M. Florian ne ha scritto in appresso alcuni in francese,
pur leggiadrissimi , mescolando spesso alla prosa delle can-,
zoni poetiche.
LEZIONE V.
DELLA POESIA LIBICA.
Le altre spezie di Poesia hanno per principale oggetto le
azioni : la poesia Lirica è tutta consecrala ai sentimenti ;
questa è la sua materia, il suo essenziale oggetto. Talvolta
il sentimento la guida, e allora s’insinua a poco a poco, ri-
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scalda senta strepito; tal’ al Ira il sentimento la trasporla, essa
parte , e si eleva come una folgore.
La Poesia Lirica porta si fatto nome , perchè in generale
è destinata ad esser posta in canto. Era effettivamente can-
tala altra volta , e la lira accompagnava il canto. La parola
Ode ha la medesima origine ; vuol dire Canzone , o Inno.
La Poesia Lirica dunque, e la Musica aver debbono un
intimo rapporto , fondato nelle cose medesime , poiché hanno
entrambe gli stessi oggetti a esprimere. Secondo ciò, essendo
la Musica un’espressione dei sentimenti del cuore per mezzo
dei suoni inarticolati ; la Poesia Musicale , o Lirica , sarà
l’espressione dei sentimenti per mezzo dei suoni articolali, o
delle parole.
Dopo aver definita la Poesia Lirica quella che esprime il
sentimento ; se vi si aggiungne una forma di verseggiare ,
che sia cantante , avrà quanto le fa d’ uopo per esser per-
fetta.
Da questo nascono le regole di tal Poesia, e i suoi pri-
vilegi. Questo autorizza l' arditezza delle sue incominciale, i
trasporti, i voli. Da questo cava quel sublime, che le ap-
partiene d’ un modo particolare , e quell* entusiasmo , che
1' approssima alla Divinità.
L’entusiasmo degli Artisti in generale è un sentimento vi-
vo , prodotto da una viva idea , onde l’Artefice occupa sè
medesimo. L’ entusiasmo , o furor poetico , si chiama cosi ,
perchè l’anima, che n' è piena, è tutta intiera su l’ogget-
to , che gliele ispira. L’ entusiasmo del Poeta Lirico ora è
sublime , ora dolce, c semplice, ma il più sovente in un certo
mezzo fra ’l sublime , e ’l dolce.
Il Sublime in generale è tutto ciò che ne innalza oltre
ciò , eh’ eravamo, e ue fa insieme sentire questa elevazione.
Non si tratta qui dello stile sublime , consistente in una serie
d’idee nobili, nobilmente espresse. Quello, di cui parliamo,
è come una saetta , che balena , o che brucia.
Ve n’ha di due ragioni; il sublime delle immagini , e il
sublimo dei sentimenti. Le immagini sono sublimi , quando
innnlzan lo spirito sopra tulle le idee di graudezze , ch’egli
aver polea. I sentimenti son sublimi , quando sembrano quasi
superiori all’ umana condizione.
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Non v’ ha confuso il sublime del sentimento con la viva-
cità del sentimento. Il sentimento può essere d’ una vivacità
estrema senza sublimità ; e al contrario il sentimento sublime
c senza vivacità ; poiché un’ auirna grande non è mossa da
ciò , che tocca le anime comuni.
Ecco la generazione del sublime lirico. Un grande oggetto
muove il Poeta: la fantasia s’eleva, e si accende; produce
sentimenti vivi , che le fanno nuova impressione , c annien-
tano tuttavia il suo fuoco. Quindi i più grandi sforzi per
esprimere lo stato dell’anima :• quindi i termini ricchi. For-
ti , arditi , le figure straordinarie , le maniere singolari. Ta-
l’è il sublime appartenente all’Ode, il sublime delle imma- '
gini , quello che produce il sentimento vivo, e cui poscia il
sentimento vivo produce , ed aumenta.
Il sublime dei sentimenti non ha passioni , non trasporti,
non immagini forti , o ardile espressioni. Tutto è tranquillo e
semplice in esso. Non si trova nell’Ode , da che ordinaria-
mente ha connessione con qualche azione , c nell’ Ode non
v’ è azione. Si trova principalmente nella drammatica. Cor-
nelio xi’ è pieno.
£3* Chi non ha distinta idea del sublime dei sentimenti ,
c delle vivacità dei sentimenti , c del sublime delle immagi-
ni , e dello stile ; non potrà comprendere mai dove la subli-
mità tragica, e dove la melica, o sia la lirica cornista , nei
quali sieno i fonti dell’ una, c quali dell’altra, a cui ricor-
rere, o che vogliamo la altrui opere esaminare, e gustare,
o che ne vogliamo da noi medesimi comporre. Poiché dun-
que per una parte molto rilevi l’acqui: tare distinta cognizio-
ne di sì fatte cose, e per l’altra il sig. Formej le ha trat-
tate in modo , che non si sa , se tutta la chiarezza conten-
ga ; non sarà ai lettori discaro, che noi ci immaginiamo di
metterle in maggior lume , sebbene con la possibile brevità,
i. Il sentimento sublime adunque è quello, che parte da
un animo virtuoso, c superiore alle più violenti passioni,
Gandatie esponendo la propria vita , per conservar quella
di Poro suo Ile ragiona in tal guisa. .
r •
V
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i4<>
i E prezzo leggiero
i D’ un suddito il sangue
i Se all’ ludico Impero
j Conserva il suo Re, -
•- ( Metaslasio. Aless. nell’Ind. )
Ecco un’animo, cui la virtù rende superiore al timor della
morte. Il sublime dei sentimenti è tranquillo, non ha figu-
re , i trasporli sono propri degli appassionali. Egli appar-
tiene più alla tragica che alla lirica poesia ; perchè l’una ci
presenta caratteri virtuosi , l’altra è quasi consecrata allo sfo-
go dei nostri affetti. 2 . Il Sentimento vivace al contrario è
quello che nasce da un cuore dominato dalla propria passio-
ne. In tale stato la nostra Fantasia presenta si chiaramente,
e con sì vivi colori 1’ oggetto di questa passione allo spirilo ,
che lo rende entusiastico , onde egli pieno allora di quel-
1’ oggetlo prorompe senza l’ apparecchio , e i preliminari di
cui ragiona tranquillamente. Un uom tranquillo avrebbe co-
minciato così : Signore , i Cristiani sono da lungo infestati
dalle armi Ottomane i si veggono nel tale e tale procinto:
perciò io vengo a pregarvi ec. Ma egli ex abrupla;
E fino a quanto inulti
Fian , Signore , i tuoi servi ? e sino a quanto
Dei barbarici insulti
Orgogliosa n’ andrà l’ empia baldanza ?
( Filicaia Canz. sull’Assedio di Vienna )
Adopra le figure più forti ; perchè queste appunto sono il
linguaggio degli affetti :
Dov’ è dov’ è , gra Dio , l’ antico vanto
Di tu’ alla possauza ?
Su’ campi lui, su’ campi tuoi più culti
Semina stragi e morti
Barbaro ferro , e te destar non ponno
Da si profondo sonno
Le gravi antiche offese , e i nuovi torti ?
E tu ’l vedi , e ’l comporli ?
E la destra di folgori non armi ,
0 pur le avventi agl’ insensati marmi ?
(Ivi)
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* 4 *
E non trovando nel linguaggio comune termini proporzio-
nali alla grandezza del suo oggetto , ricorre ai Tropi :
Mira , oiraè , qual crudele
Nembo d’armi, e d’armati , e qual torrente
D’esercito infedele
Corre 1’ Austria a inondar !
( Ivi )
La Fantasia comoda gli presenta mille oggetti che col prin-
cipale hanno connessione, ond’egli vola improvvisamente dal-
l’uno all’altro; perchè il trasporto, in cui si trova, non
gli dà tempo di dimostrare questa connessione :
Del Re superbo Assiro
Gii aspri arieti di Sion le mura
So pur , che invan colpirò.
( Ivi )
Ma finalmente tanto nel suo oggetto s’immerge, che ne
diviene estatico e rapito , cioè', crede averlo presente , nè
più ne parla, se non come lo vedesse, l’udisse :
Ma sento , o sentir parme
Sacro furor , che di sè m’ empie. Udite.
Udite, o voi , che l’arme
Per Dio cingete. Al Tribunal di Cristo
Già decisa in prò vostro è la gran lite
Al glorioso acquisto
Su su pronti movete : in lieto carme
Tra voi canta ogni tromba ,
E ’l trionfo predice. Ito , abbattete ,
Dissipale , struggete
Quegli empii, c Flslro al vinto stuol sia tomba,
D’ alti applausi rimbomba
La Terra ornai , che più tardate : aperta
E già la strada , e la vittoria è certa.
(Ivi)
Ed ecco dalla vivacità del sentimento , cioè dall’ eccesso
della passione, come nasce 3 la sublimità delle immagini,
e dello stile , che consiste nel poc’anzi notalo uso dei Tro-
pi , e delle figure delle cominciate ex abrupto , del disordi-
ne, o sia, apparente sconncssion dei pensieri , dei voli, del-
1’ estasi.
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i4-a
È ngcvole il formarsi un’ idea dell’ entusiasmo , che tiene
il incz/.o tra ’l sublime, e ’l dolce. E quel che produce ciò,
che si appella lo stile sublime, cioè la continuità dei pensieri
rilevali, l’ espressioni Forti, ricche, i suoni armoniosi, le
maniere stringale, ardite, le figure brillanti, un estro soste-
nuto , e sempre pieno.
Il principio dell’Ode è ardito , conciosiachè quando il Poeta
da’di piglio -alla sua lira, si suppone Fortemente commosso da-
gli oggetti , ch’ei si rappresenta. Il suo sentimento prorom-
pe, parte con impelo, e per conseguenza non è possibile,
che l’Ode monti più su del suo cominciamento. Ma parimente
il Poeta, se ha gusto, deve arrestarsi precisamente dove co-
mincia ad abbassare.
I voli dell’Ode sono una spezie di voto tra due idee, clic
non abbiano immediata connessione. La naturale velocità dello
spirito diviene incomparabilmente maggiore quando l’animo
è riscaldalo daH’alFctto, L’estro affretta i pensieri, e li pre-
cipita. E come non è possibile esprimerli tutti; il Poeta ar-
resta soltanto i più notabili , ed esprimendoli nell’ordine me-
desimo , che àveano nel suo spirito, senza esprimer quelli,
che lor servivano di connessione ; arieggiano ai pensieri scon-
nessi. Ma un Lettore empie di leggieri tali intervalli, quan-
do abbia dell’anima, e sia entrato nello spirito del Poeta.
I voli debbono solamente trovarsi nei suggelli , che pos-
sono ammettere sfFetti gagliardi ; perciocché sono l’ effetto
d’ un animo turbato , e ’l turbamento non può essere cagio-
nato se non da importanti oggetti.
Le digressioni sono uscite fatte dallo spirito del Poeta so-
pra altri suggelli prossimi a quello che tratta ; o perchè la
bellezza della materia l’abbia tentato , o perchè la sterilità
del suo suggello l’abbia astretto ad andar cercando d’arric-
chirsi altrove»
Vi sono digressioni di due sorte ; le uno , che sono luo-
ghi comuni , verità generali , spesso capaci delle maggiori poe-
tiche bellezze; gli altri, tratti della Storia , o della Favola,
impiegali dal Poeta per provare quel, che -ha in mira.
II disordine poetico consiste iu presentare improvvisamente
le cose senza veruna preparazione , o in collocarle in un or-
dine , che naturalmente non hanno : questo è il disordine
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della cose. V’è quello della parole, onde risultano giacitu- »
re, che senza essere stentate, sembrano straordinarie, e ir-
regolari. •
In generale i voli , le digressioni , il disordine , non deb-
bono servire che avariare, animare, arricchire il suggello.
Se 1’ oscurano , il caricano , l’ imbarazzano , sono difettosi.
Due conseguenze dalle precedenti osservazioni risultano i.
L’Ode non vuole avere che una mediocre estensione, con-
forme a quel di Cicerone : Animorum incendia celer'ter re -
stiguuntur a vi dee regnare unità di sentimento , come v’ha
unità d’azione nell’Epopeia e nel Dramma-
Tulle le odi o canzoni si possono comprendere sotto a quat-
tro denominazioni : i Le Odi Sacre dirette alla divinità, o
composte sopra materie religiose ; del qual genere sono i
Salmi di Davide , i cantici di Mosè, di Debora, di Eze-
chia , d’ Isaia , e degli altri profeti , che ci offrono questa
specie di lirica nel più alto grado di perfezione.
Le Odi Eroiche impiegate a lodare gli Eroi , e- a cele-
brare le marziali imprese e le grandi azioni ; al qual genere
appartengono tutte le Odi di Pindaro, e alcune poche di Ora-
zio. Questi due generi per lor carattere dominante aver deb-
bono la sublimità e la grandezza. - -
Le Odi Morali e Filosojìche , nelle quali i sentimenti
sono ispirali princinalmente dalla virtù , dall’ Amicizia , dal-
1’ umanità. Di questo genere sono molte Odi di Orazio, e
molte delle migliori produzioni dei Lirici moderni. E qui l’O-
de tiene uno stato di mezzo, che è quello delle temperate,
e teucre commozioni. - •
Le Odi festevoli e graziose fatte unicamente per piacere :
quali sono tulle quelle di Anacreonte , alcune di Orazio , e
un gran nùmero di canzoni ed altre produzioni moderne ,
che si ascrivono al genere lirico. Il loro dominante caretlere
esser dee l’eleganza, la dolcezza, l’ amenità.
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LEZIONE yi.
dei piu’ celebri poeti lirici.
Il nome di Pindaro è anzi il nome dell’entusiasmo, che
quello di un Poeta Orazio parla di Pindaro con uno stu-
pore, che pruova l’alta idea, che ne avea.
Pindaio era nato a Tebe in Beozia , 5oo anni prima di
N. S. Quando Alessandro rovinò questa Città , volle , che
la casa , in cui questo Poeta avea soggiornato , fosse con-
servata.
Molle ragioni concorrono a far comparire oscure e diffi-
cili le Odi di Pindaro. i.° La grandezza medesima delle i-
dee , che contengono. a.° L’ arditezza- delle maniere 3.° La
novità delle parole , eh’ ei fabbrica sovente pel luogo mede-
simo , in cui le pone. 4-° Finalmente la erudizione , ond’ è
pieno, erudizione disviala, tirata dalla -Storia particolare di
certe Famiglie , c Città , che hanno avuta poca parte nelle
rivoluzioni conosciute dell' antica Storia.
Ila Pindaro assai meno voli , che comunemente non si
crede. La gloria degli Eroi , che celebra, non era una glo-
ria propria dell’ Eroe vincitore. Apparleuea di piena ragione
alla sua famiglia , e anche più alla sua Patria. Il perchè
quando Pindaro trattava questi suggelli in apparenza sranieri
a quello della sua ode, era meno un traviamento di Poela,
che un effetto dell’arte. ...
Anacreonie di Teo , città della Ionia , si era renduto ce-
lebre parecchi secoli innanzi. Fu conteinperaoeo di Ciro ,
e mori nella sesta Olimpiade di ottantatre anni. Ne resta tut-
tàvia un bastevol numero di sue Poesie , tutte spiranti pia-
ceri , e balocco. Sono brevi, e il più. sovente non altro che
un sentimento grazioso , una idea dolce , un complimento
dilicato , volto in allegria ; -sono grazie semplici , naturali ,
seminude.
I nomi di alcuni Lirici anteriori a Pindaro sono famosi ,
ma le opere sono per la maggior parte smarrite. Alemane
fu celebre a Lacedemone. Stesicoro in Sicilia. Saffo fece o-
nore al suo sesso , e diede il suo nome al verso Saffico da
Lei inventato. Era dell’ Isola di Lesbo , come Alceo , che
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fiori nel tempo stesso , e fu inventore del verso Alcaico , il
più maestoso di tatti i versi lirici.
Orazio Fiacco il primo, e ’l solo dei Latini , che sia riu-
scito perfettamente nell’ Ode , si era pieno della lettura di
tutlt i Lirici greci : onde ne ha , secondo i suggelli , tutta
le gran qualità. Sol qualche volta sente dell’ arte, e dell’im-
pegno d’ uguagliare i suoi modelli.
Si può applicare alla Lirica di Orazio quel, che ha detto
egli stesso del Destino, ehe rassembra un fiume , il quale
or placido in mezzo alla sue rive si avanza senza strepito
verso il mare ; ed ora , quando i torrenti hanno ingrossato
il suo corso , porta seco i sassi disvelti , gli alberi sbarbica-
ti , le mandre, e gli abituri dei contadini, facendo rimbom-
bar da lungi le foreste, e i monti.
Il Lirico sacro è infinitamente da più di tutti i profani.
Davide ci può bastare per tutti i Gr< ci , e per tutti i La-
tini. Il bello ideale delle Odi si trova nei 'suoi Salmi rea-
lizzalo. Il grande , il dolce , il veemente , tutto vi si trova
nella più alta perfezione. Che sarebbe , se noi lo potessimo
gustare perfettamente , e nella Lingua originale , la più e-
nergica di tutte le Lingue.
Primo padre dei Lirici italiani vien riputato meritamente
il Petrarca , il quale si è per lo più anch’ egli attenuto a
quel genere temperato ; Le sue canzoni in vita di Madonna
Laura , spezialmente quelle sugli occhi appellale le tre So-
relle , e 1’ altra che incomincia : Chiare , fresche e dolci
acque son tutte piene di pensieri dilicalissimi. Quelle in morte
spirano il più soave patetico. Le due fi una all' Italia , e 1 al-
tra che incomincia : Spirto gentil , che quelle membra reg-
gi, son piene d’eloquenza , di (orza, di maestà,
Gl'imitatori del Petrarca, che sono stati moltissimi nel XV.
e XVI. secolo, chi più chi meno, si sono ad esso accosta-
ti ; benché niuno sia giunto a pareggiarlo.
Nel secolo XVII. il Ckiabrera aperse una nuova strada
sulle tracce dei Greci. Le sne canzoni eroiche, massimamente
quelle per le vittorie delle ga’ere di Toscana , han lutto l’e-
stro pindarico senza il disordine, di cui le odi di Pindaro
sono accusate.' '
Le Anei reontiche , di cui pure in Italia fu il primo Au-
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tore, spirano tutta la grazia di Anacreonle , e in alcune for-
se anche ei lo supera.
Imitatore ed emulo del Chiabrerà , si nelle canzoni eroi-
che come nelle anacreontiche, fu l’Ab. Frugoni , di cui niun
forse ha meglio posseduto il linguaggio poetico , e meglio
saputo vestire poeticamente le cose più famigliari, e meglio
accoppiare la varietà e fecondità dell’estro, e delle immagini
alla felicità e nobiltà delle espressioni.
41 Guidi nelle sue odi è pieno di fuoco. Molte ne ha
pure il Felicaia ; ma quella sull’Assedio di Vienna ha le
ligure più forti , ed il linguaggio degli affetti, Il Testi , il
Menzini ec. Il P. Riva , le cui rime vanno sotto il nome
arcadico di Rosmano Lapileio ha unito in se Io spirilo di
Orazio e del Chiabrera. I due Zenotti, il Manfredi , il Ghe-
dini , il Lorenzini , il Rolli, il Zappi , l 'Algarotti , Meta *
siano , Cassiani , Paradisi , Bonajede , Rezzonico , Tilla ,
Parini , Pellegrini, Manara , e molti altri si sono aneli’ essi
nella lirica nobilmente distinti nel secolo XV1I1 , per non
parlare dei viventi che abbastanza son conosciuti.
DEI POEMETTI.
I Poemetti , altri dei quali si tessono in Ottava o sesta
rima; altri in versi sciolti, ed altri con rime intrecciate ai
versi sciolti liberamente, che da alcuni si chiamano Selve.
Lo stile dei Poemetti per lo più tende all’ eroico , siccome
i loro suggelli Ma v’ha puranebe dei poemetti Morali o Fi-
losofici ; e questi vogliono uuo stile più temperato, ma gra-
ve e sentenzioso , siccome le Odi del terzo genere. In tutti
però si esige una certa nobiltà e dignità.
DEI CAPITOLI.
I Capitoli , i quali o versano sopra argomenti lugubri e
tetri', ed amano esser tessuti alla Dantesca, vale a dire, con
uno stile robusto simile a quello del Dante , con qualche
asprezza , e spezzatura nel verso , che a quello stile ben si
accomoda , ma senza intrecciarvi , come si fa da taluno, le
parole e frasi più strane , adoperate una volta dal Dan e ,
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e riprovate poscia dall’ uso : o si agirano sopra argomenti
flebili , e lamentevoli , nel qual caso acquistano il nome di
Elegie ; e vogliono uno stile dolcemente patetico, di che ab-
biamo alcuui buoni esempi dell ' Elegie del Rolli.
Scrivonsi in terza lima anche dei Poemetti o eroici, o mo-
rali e filosofici , o festivi ed ameni ; e chieggono allora uno
stile o sublime e immaginoso , o sentensioso e grave , o piace-
vole e scherzoso , secondo, il loro argomento.
Scrivonsi pure da molli in terza rima le Eloghe , le Sa-
tire , le epistole ; ma delle prime abbiam detto nel capo pre-
cedente; e delle altre diremo in quello che segue.
Gli Endecassillabi alla latina , che or si usano sciolti ,
or divisi in terzetti , ove il secondo verso è un Decassilabo
sducciolo , e il primo e il terzo sono Endecassilabi fra loro
rimati, come in quello del Frugoni
i E quale , o Felsina , per le tue valli
, * s Vaghi amoretti , ridenti Grazie
» Col piede Strecciano festosi balli ? ec.
Questi versando sempre sopra argomenti leggiadri e graziosi ,
domandano festività , grazia , dolcezza secondo lo stile Catul-
liano , da cui son presi.
I Madrigali , le Iscrizioni , gli Epitaffi , piccioli com-
ponimenti che non han verun merito, se un qualche pensier
nuovo e inaspettato, o leggiadro e piccante non dà loro un
particolare risalto. Tal’ è il seguente di Rolli , che pure è
il solo fra i suoi , che possa addursi in esempio.
s Non posson mille e mille
- . j Poetiche parole * -
s Descriver 1’ altre belle ;
d Ma per descriver Fille
j Ne bastano (re sole
i Ossa , rossetto, e pelle.
LEZIONE VII.
DEI SONETTI.
I Sonetti sono i componimenti più famigliar! agl’ Italiani
poeti , e insieme i più difficili a ben condursi. Unità di sug-
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getlo in primo luogo vi si richiede ; e questo pure debb' es-
ser tale che interessi vivamente o l’ intelletto con la finezza
o sublimità dei pensieri , o l’immaginazione con la novità e
vivacità delle pitture , o il cuore con la delicatezza o con la
forza degli affetti.
H lutto poi del Sonetto vuol essere distribuito in manie-
ra fra i due quartetti e i due terzetti, che venga sempre cre-
scendo gradatamente , e termini con qualche immagine o sen-
tenza che colpisca la mente o il cuore del leggitore.
Oltrecciò ogni parte del Sonetto vuol essere riempiuta
dal suggello medesimo , nou da aggiunti oziosi o da inutili
episodi. Non vi si tollera negligenza alcuna di stile , o dis-
sonanza di verso, o stenlatura di rima. Tutto si vuol perfet-
to ; ed un piccolo neo è talvolta bastante a difTormarlo.
In mezzo a tante difficoltà non ò maraviglia, se gli eccel-
lenti sian cosi pochi malgrado il numero infinito che tutto
dì se ne forma , e se cosi pochi pur se ne contino presso
gli stessi Poeti di maggior nome.
Nelle poesie scelte del Petrarca , e del Frugoni io ho
accennato quelli che sembrano i migliori ; e parecchi altri
assai pregevoli d’ altri poeti s’ incontrano pure nelle rime
scelte stampate dal Gobbi , e nelle rime oneste raccolte dal
Mazzoleni. . *'
Ci sarebbe a parlar delle quarte rime , delle Sestine ,
delle ballate , degli enirnmi o indovinelli , degli apologhi
e delle novelle. Ma le sestine , di cui parecchie s’ incon-
trano nel Petrarca , sono componimenti di cattivo gusto e
difficilissimi , che più non si usano; le ballate ridursi pos-
sono ai Madrigali ; le quarte rime , introdotte dal Càia-
brera , sono aneli’ esse poco imitate e come versano per lo
piu sopra argomenti morali , così , adoperandole , vogliono
particolarmente uno stile grave , e sentenzioso.
Degli Enimmi toccato abbiam quanto basta, parlando del-
1’ Allegoria : degli Apologhi c delle novelle direm nel capo
segueute.
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LEZIONE Vili.
»4g
DELLA POESIA D.DASCALICA.
La Poesia Didascalica si propone d’istruire, di esporre
le leggi della ragione, e del buon senso, di guidar le Ar-
ti , di ornare e abbellire il Vero, senza farlo punto scapitare
di sue ragioni.
Ai Poemi didascalici somministrano argomento i precetti
e la materia delle arti , e delle Scienze , i fatti storici , e
tutto ciò eh’ è. diretto di sua natura ad istruire.
Lo stile di tal Poesia non dee generalmente uscire dai li-
mili della mediocrità , per modo che chi la esercita , senza
dimenticare i vezzi ed il brio del genio poetico , non perda
affatto di vista quella natia semplicità, eh' è indivisibile com-
pagna della verità ; o mentre a questa si attiene , non pren-
da un tuono troppo severo , ed un tenor sempre uguale di
ragionare, come farebbe un semplice Storico, o un preciso
Dialettico. Dee in somma rammentarsi , che la fa bensì da
Maestro, ma tutto insieme da Poeta, vale a dire che nelle
sue istruzioni convien che sia a vedere come ispirato da una
virtù superiore.
Da ciò ne siegue che ai Componimenti Didascalici non
disdice l’ornamento di moderati Episodii, quali sarebbero ac-
conce a nobili descrizioni , vivi ed opportuni racconti , e tal-
volta aucora alcuna favola , delle quali cose o la materia stessa
somministri Occasione al Poeta o vi entri egli di per se con
qualche plausibile digressione.
Uomini , che accoppiavano a un tempo e le cognizioni , e
il talento di larverai , hanno intrapreso di vestire dell’ espres-
sioni , e delle grazie della poesia, materie, eh’ erano di pura
dottrina. Indi ne nacquero le Opere , tra i Greci , e i Gior-
ni d’ Esiodo , e il poema astronomico di Aralo ; fja i La-
tini i libri de rerum natura di Lucrezio , le Georgiche di
Virgilio , l’Arte poetica di Orazio, a cui possono aggiun-
gnersi la Poetica e la Scaccheide del Vida, la Sifillide del
Fracasloro , l’Anlilucrezio di Polignac , la Filosofia Neuto-
niaua di Slag , gli Ecclissi di Boscovich ec. ; e fra gl' Ita - -
liani la Coltivazione dell 'Alemanni, le Api del Baccellai,
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la Poetica del Alenzini , la Risei de dello Spolverino , la
Coltivazione dei Monti dell’ Ab. Lorenzi ed alcuni altri.
In tutte queste Opere non v’ ha di poetico se non la for-
ma. La finzione non somministra le cose , è la verità stessa ,
che parla. Il puro didascalico è la verità messa in verso.
Il puro poetico è la Jinzione messa in verso.
Queste spezie di Poemi non sono si disparate , che non si
porgano talora un vicendevole soccorso. Entrano sovente
nel Poema Filosofico fatti storici , ed osservazioni tratte
dall’Arti , e scambievolmente i Poemi storici , e Didascalici
ammettono ragionamenti ; vivacità di pitture acconciamente
distribuite ; uno stile sempre Poetico. <
Anzi la finzione non è bandita da si fatti Poemi. Il Poeta
ti lascia qualche volta trasportare ad arbitrio di sua fantasia
ed inesta i più nobili episodi, come nelle Georgiche di Vir-
gilio , quali sono i prodigi che accompagnarono la morte di
Cesare, le lodi dell' Italia , la felicità della vita campe-
stre , la favola di Aristeo intrecciala con quella di Orfeo
e di Euridice.
I Poeti Didascalici hanno, come tutte le Opere, un co-
minciamenlo, un mezzo, e un fine. Il suggello vien propo-
sto T trattato , e finito. 1 Poemi Storici hanno azioni , e pas-
sioni e attori come ì Poemi di finzioni. Ma i Poemi Filoso-
fici , e quei di pratica , non ne hanno. Quelli riscaldano il
cuore, questi illuminano , o diriggono le attive facoltà.
I Poeti Didascalici ad esempio degli altri , invocano le
Divinità ; e credendosi esauditi , prendono il tuono di uomi-
ni ispirati. Su tale supposto son fondate tutte le regole del
Poema Didascalico , quanto alla forma.
LEZIONE IX. - .
‘ ..... \ . DEiLA SATIRA.
La Satira non ha sempre avuto lo stesso fondo -, nè la
stessa forza in tutti i tempi. E stata diversa tra i Greci , e
tra i Romani , e presso questi ultimi è stata a cambia-
menti si singolari soggetta , eh’ egli è quasi impossibile il
seguirla in tutte le sue variazioni. ' • • . “
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iììl
Tra i Greci era uno spettacolo , che teneva una sorta
di mezzo fra la Tragedia, e la Commedia. Era caratteriz-
zala da suoi Attori. Non eran questi nè Eroi , nè Dei ,
nè uomini ; s’ impiegavano personaggi , come un Polife -
ino , un Sisifo , ec. Altro non ci resta di questo genere
di Dramma che il Ciclope d’ Euripide.
I Toscani recarono in Roma la Satira ; ed altro allora
non era che una Sorta di canzone in dialogo , di cui tiri-
lo il merito consistea nella forza, e nella vivacità delle
risposte. Si vuole che fossero state chiamate Satire dal ter-
mine latino Satura , che significava un desco, net qua-
le si offrivano agli Dei tulle le sorte di frulli insieme.
Livio Andronico, Ennio , Pacuvio; e Farrone apportarono
diverse modificazioni alla Satira. L’ultimo le diede il so-
prannome di Menippea i a cagione della somiglianza ,. che
vi mise con quelle di Menippo . , Filosofo greco. Era un
composto di verse e prosa. . v ,
Finalmente Lucilio fissò Io sialo di questo poema , e lo
presentò quale ne lo diedero Orazio , Persio , e Giovena-
le , c quale in oggi noi lo conosciamo. Allora la significa,
rione della voce Satira cadde sulla mescolanza delle cose ,
non su quella delle forme. Le Satire divennero realmente
un ammasso confuso d’ invettive contro gli nomini , contro
i loro desideri , timori , sdegni , folli allegrezze, intrighi.
LEZIONE X.
DEI PRINCirAI.1 POETI SATIRICI.
Cajo Lucilio , nato ad Arunca , Città d’ Italia , d' una
illustre famiglia , volse alla Satira il suo poetico talento, e
dichiarassi giuralo nemico dei vizi. Avea composto più di
trenta libri di Salire, ina sol ne restano alcuni frammenti.
A giudicarne da ciò , che Orazio ne dice , è una perdita da
non menarne troppo rammarico. Il suo stile era diffuso , e
lento , i suoi versi duri : era un' acqua limacciosa. E biso-
gna aggiungere , che questo poeta vivea quando le lettere
erano in Italia sui nascere.
Orazio , profittò del vantaggio d’ esser nato nel più bel
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secolo delle lettere latine. Egli mostrò la satira con tutto le
grazie , che ammetter poteva , condendola quanto bastava
per piacere a persone delicate , e svilire i tristi e gli stolti.
Le Satire di Orazio, non presentano che i sentimenti d'un
colto uomo , d’ un filosofo formato dal commercio dei gran-
di , che mira con pena i capricci degli uomini , e .che ta-
lora se ne trastulla. Esse il più non offrono che ritratti ge-
nerali della vita umana. E se di tempo in tempo danno sto-
rielle particolari , è meno per offendere altrui, che per rav-
vivare la materia , e mettere , per così dire , la morale iu
azione.
Il titolo che Orazio avea dato alle sue Satire , e alle sue
Epistole, addita abbastanza questo carattere. Egli aveale chia-
mate Sermoni , Discorsi , Trattenimenti, riflessioni falle con
amici, sulla vita e i caratteri degli uomini. 11 suo stile è
semplice , andante , vivace , sempre moderato , e placido ,
e nel semplice nulla v’ ha di meglio e di più compilo.
Persio era nato a Volterra , Città d’ Etruria , d’ una fa-
miglia nobile. Mori di 3o. anni , 1’ ottavo anno del Regno
di Nerone. Si trovano nelle sue Salire nobili sentimenti; ina
lo stile è ardente , e troppo infruscato da ricercate allegorie
da ellissi frequenti , da metafore troppo ardite.
Questo Poeta è grave e serio oltre modo. E anche un
poco accigliato , e per Io vigore , del suo carattere , o per
zelo della virtù, pare che entri nella sua filosofia un pò d’a-
grezza contro coloro che attacca.
Con luto ciò Persio appetto a Giovenale è quasi freddo.
Costui è acceso, 1’ imperbole è la figura sua favorita. Egli
avea una straordinaria forza d’ ingegno , e una bile , che
sola avrebbe quasi bastato a farlo Poeta. Non è più la Sa-
tira à' Orazio , che festevolmente scherza, nò quella di Per-
sio , che argomenta : è la Satira armata di spada , e che
freme di rabbia. Lo stesso tuono si soslien da per tutto in
Giovenale ; di dipingere a Ini non basta, egli scolpisce a
tratti profondi , e brucia col ferro.
In tutte poi le poesie di questo genere nna regola gene-
rale si è quella di Orazio : Qiùdquid praecipies , eslo óre-
vù. Molta parte della grazia e della bellezza negli scritti e-
pistolari e satirici è riposta iti una spiritosa concisione, la qua-
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le dà loro un’ acutezza e vivacità, che ferisce piacevolmen-
te la fantasia , e ritien desta l’atteusione.
Orazio , così nelle satire come neli’ Epistole di questa spe-
cie , è il miglior modello da proporsi.
In Italiano le salire e le Epistole da altri scrivonsi in ter-
za rima , da altri in versi sciolti , o slruccioli , o piani. In
terza rima sono le Salire dell ' Ariosto, del Jlfenzitii, di Sal-
vator Rosa , del Venirti ec , di cui il seconde si è accosta-
to allo stile di Giovenale . gli altri a quello di Orazio. In
verso sciolto sono i sermoni del Chiabrera , del Gozzi , del
Paradisi , e alcuni del Venini.
Molte Epistole in verso sciolto abbiano pure del Frugoni
dell’ Algarotti , del Bettinelli , del Pindemonle , e d’ altri ;
ma scritte con uno stile più sollevalo. Finalmente in verso
sciolto è la ingegnosa satira del Pariui sulla maniera con
cui le persone del bel mondo pascano le varie ore del gior-
no ; ma lo stile vi è sempre nobile e sostenuto , qual con -
venivasi al carattere di Precettore di amabil rito , che que-
gli sino dal pel principio ironicamente avea assunto.
LEZIONE XI.
dell’ epistola in versi.
L' Epistola in verso non è che una lettera diretta a chic-
chessia. Ila le sue regole come Lettera; e sono quelle dello
stile epistolare. Le regole che , può avere come Lettera in
versi , si riducono tutte a queste : che abbia almeno un gra-
do o di forza, o d’eleganza.
La materia 'di somiglianti Epistole è d’ una illimitata esten-
sione. Si può in esse lodare , biasimare , narrare , filosofa-
re , far d.ssertazioue , insegnare. Nè più è limitata dal lato
dei tuoni di stile, che può prendere. La stessa epistola am-
mette ogni sorta di tuoui almeno di tutti quelli, che cou la
materia hanno connessione.
L’ Epistola in tersi comincia c termiua senz’ apparecchio
e il titolo che ha in fronte, è come un avAiso al Lettore di
non giudicare dell’Opera su non come si giudica d’ una
Lettela.
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Ma olire ai soggetti morali e Satirici , altre pure maneg-
giare si possano in forma <T Epistola : ed entrare vi ponilo
ancora le poesie amorose, e le elegiache come sono 1’ Eroi-
di di Ovidio , e le sue Epistole de tristibus , e de ponto.
Qu ste vogliono esser piene di sentimento e come il loro
merito consiste nell’ esprimere ; acconciamente la passione che
forma il soggetto : cosi debbono prendere quel tuono di poe-
sia che piu a siffatta passione convenga.
LEZIONE XII.
t
TEU.’ APOLOGO.
L 'Apologo è, a propriamente parlare, lo spettacolo dei
fanciulli ; e non differisce dagli altri , se non per la piccio-
lezza , e la ingenuità degli allori. Non si veggono su que-
sto piccol Teatro nè gli Alessandri , nei Cesari’, la Mosca,
e la Formica vi compariscono , contraffanno gli uomini alla
lor foggia , danno una Commedia sì pura, come istruttiva.
Tutte le regole dell’ Apologo sono comprese in quell’ E-
popeia , e del Dramma Cambiale i nomi , il Ranocchio ,
clic si gonlìa , diviene il Cittadino Gentiluomo , o se vole-
te Cesare morto della sua ambizione , o il primo uomo, de-
gradato per aver voluto esser simile a Dio.
L’ Apologo non è un Dramma , non vi si vede il Lupo
portar via 1’ Agnello , è semplicemente la narrazione d’ un
azione allegorica , attribuita ordinariamente agli animali.
Le qualità essenziali d’ un racconto sono la brevità , la
chiarezza , e la verisimiglianza. Queste Ire, qualità sono es-
senziali ad ogni genere di racconto. Ma quando si ha prin-
cipalmente la mira a dilettare, vi si richiede anche uria quar-
ta , e si è il vestirlo degli ornamenti, che gli son propri.
La verità risultante dall’ allegorico racconto dell’Apologo
si appella Moralità e vnolc esser chiara , breve , importan-
te ; nè ci vuol metafisica , nè periodi troppo triviali verità.
La moralità può venir collocala prima e dopo, il racconto
secondo il gusto 1’ esige , o il permette. In ambi due i casi
lo spirito del Lettore si esercita a combiare ogni tratto del-
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la narrazione con la verità ; ma nel secoudo si ha di più il
piacere d’ indovinare.
Lo stile della Favola deve essere semplice, familiare, ri-
dente grazioso , naturale e soprattutto schietto. Questa ul-
tima qualità consiste nella scelta diserte espressioni sempli-
ci, piene d’ uua molle dolcezza, che sembrano piuttosto na-
te da per se , che sci Ite in quelle costruzioni falle come
per caso , in certe maniere ringiovanite , e che noq di me-
no conservino un aria alP antica.
DEI rie’ CELEBRI FAVOLISTI.
Esopo Frigio si presenta qui il primo. La sua storia , è
un puro Romanzo. Ma la gran riputazione , onde ~in ogni
tempo e luogo ha goduto è realissima.
La chiarezza c la precisione fanno il caratteee , e ’l' me-
rito delle Favole di Esopo. Senza dispregiar gli ornamen-
ti , lor preferisce la forza e la nettezza , e vuole che il ve-
ro da lui presentato sia luminoso da se in maniera che fe-
risca gli spiriti meno attenti. Quindi le poche che ne re-
stano di lui , sono d’ un senso veramente squisito.
Fedro , liberto di Augusto , credè, che fosse la favola
un genere capace di grazie , o d’ ornamento. Si scorge nel-
la raccolta che ci ha lasciata, un uomo illuminalo , dilica-
lo , grazioso , collo , e che bada ad esserlo. Egli non con-
tento dì raccontare , dipinge , e spesso di un solo tratto le
sue espressioni sono scelte , i suoi pensieri misusati , i suoi
versi accurati.
Pochissimi dòpo Fedro hanno tentata la stessa impresa.
Avieno provò sulla fine del IV. Secolo di motler favole in
versi eliegiaci ; ma non ha la precisione del poeta greco,
nè l’ eleganza del latino.
La semplicità di Esopo sembrava a taluni secca o malin-
conica , I’ eloquenza di Fedro non sentiva abbastanza di quel-
la dolce mollezza , di quel tenero grazioso che solleciterà ,
e lega.
Gl’ Italiani poco vi si occuparono sino alla metà del pas-
salo secolo, dopo di cui varie ne scrissero Basii io > Grazio •
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so , il Pignotti , il de Rossi , il Passerotti , il Bcrtola , e
ultimamente il Perego.
Lo stesso è da dirsi delle Novelle poetiche , delle quali
però ni una abbiamo dei Greci , e i Latini , pochi fra gl' I-
taliani , che dir si possono morali, e non anzi corrompitri-
ci del buon costume.
LEZIONE XIII.
• dell’ EPOPEA , EPICA POES A.
11 termine di Epopea preso in tutta la sua estensione ,
disegna un componimento in verso di qualche grande azione
che interessi popoli intieri , o anche il genere umano.
L ’ Epoca differisce dalla Storia, come la menzogna dalla
verità. La storia espone i Fatti come sono senza allararli , o
raffazzonarli. L’ Epopea , inventa tutto ciò , che crede es-
serlo bisognevole, altri limiti non conosce che la possibilità.
Si esige dall’ Epopea , che sorprenda il Lettore , svegli
la sua maraviglia , occupi un tempo la ragione , l’ immagi-
nazione , lo spirito ; tocchi i cuori , e faccia provare all’a-
nima una serie di situazioni deliziose , che non sieno qual-
che momento interrotte , se non per rinnovarsi con vivacità
• maggiore.
Si suppone godere il poeta Epico del privilegio dell’ Inspi-
razione. I versi gli son dettati da una Musa , da una Intel-
ligenza celeste , che comprende non solamente il giuoco di
tutta le cagioui naturali , ina dell’azione delle soprannatu-
rali altresì.
Definendo 1’ Epopea per lo recconto poetico cT una azio-
ne maravigliosa , si ha in queste poohe parole la differen-
za di questo genere d’ opera dai Romanzi , che sono al di
là del verisimile ; dalla storia , che non va sino al maravi-
glioso : dalla Drammatica , che non è un racconto : e da-
gli altri poemetti , i suggelli de’ quali , nnlla ha di nobile ,
o di Eroico.
La materia dell’ Epopea è una azione, cioè, un’im-
presa , che si fa con iscella , e disegno. 1
La prima qualità dell’ azione epica è V Unità. Due azioni
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. lS 7
che precedessero insieme , dividendo 1’ interesse il dirlsug-
gerebbero.
La intera vita d’un Eroe non potrebb’ essere materia d’un
Poema regolare ; perché I. è un tutto troppo esteso , per
potersi abbracciare a un occhiata ; 2 . non è tutto eroico
nella vita d’ un Eroe ; e 3. i fatti non sono di necessità tra
loro connessi, per arrivare a un fine, che gli abbracci lutti
come mezzi.
L’ azione è dunque una , quando è indipendente da ogni
eltra azione , quando tutte le parti sono tra loro legate.
L’unità di suggello non si confonda coll’ nnità di azione.
Un suggello può essere uno, e contenere una infinità d’a-
zioni ; come sarebbe la Storia Romana intiera , se farsene
volesse un Poema.
L’ unità di azione bastantemente è palese. Virgilio , a
cagion d’esempio, ha scelto per suo suggetto lo stabilimen-
to d’ Enea in Italia , e dal principio al fine questo suggotto
ci è sempre in vista , e insieme ne lega tutte le parli con
uua piena connessione.
L’ Unità dell’ Odissea d’ Omero è della s(e<sa natura ,
cioè il ritorno o ristabilimento d’ Ulisse nella sua patria. Il
suggello del Tasso èia liberazione di Gerusalemme dagl’in-
fedeli. Nell’ Iliade il suggetto è l’ ira dr Achille con le con-
seguenze che produsse ec.
L’ Unità d’ azione non impedisce 1’ uso degli Episodi.
Chiamami così certe piccole azioni subordinale alla principa-
le , per recare il. lettore con tale varietà. Questi pezzi po-
trebbero essere distaccati , senza che il Poema , in cui so-
no , cessasse d’ essere un Poema Epico.
Di tal natura è la conferenza di Ettore con Andromaca
nell’ Iliade ; la storia di Caco, e di Niso , ed Eurialo nel-
I’ Eneide ; le avventure di Tancredi con Clorinda ed Er-
minia nella Gerusalemme liberata. •
Erano gli Episodi nella loro origine alcune narrazioni ,
che si frammelleano ai canti lirici , fatti in onor degli Dei.
Di poi il racconto episodico divenne il suggetto principale,
e il canto divenne episodico.
Nel poema Epico , e dovunque I* Episodio si trovi, è una
parte , che aiuta 1’ azion principale , ma che se ne potreb-
be toglier via, senza impedirle di pervenire al suo fine. Laon-
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iì»8 *■
de deve i. esser menalo dalle circostanze ; i. esser breve,
nitro non essendo , che un ristoro accordalo di passaggio al-
lo spirito : 3. offrire altri oggetti da quelli , che 1’ prece-
dono , e 'I seguouo non essendo adoperato che per le va-
rietà ; e 4- esser del tenore generale dell’ opera , in cui
entra. . >■
Contrarlo a questa regola , e perciò difettoso , nel secon-
dò libro della Gerusalemme il lungo episodio di Olindo e
Sofronia, dei quali nel resto del Poema più non si parla.
L’ azione Epica vuole essere intiera , cioè contenente di
necessità un principio , un mezzo e un fine. Non ci avvi-
siam mai in un poema di presentare un’ azione cominciata,
o lasciarla imperfetta.
L’ interesse è essenziale nel Poema epico , e può esser
doppio ; I’ uno attenente alla natura dell’ azione e dell’ og-
getto : 1‘ altro dipendente dagli ostacoli da sormontare. Il
primo ci muove , è 1’ appassionante ; il secondo solletica la
nostra curiosità ; è il singolare^.
L’appassionante comprende più sorte d’interessi. L’in-
teresse di Nazione : un Romano s’ interesse all’ impresa di
Enea , perchè Romano. L’ interesse di Religione : un Cri-
stiano s’ interessa all’ impresa di Goffredo , che vuole libe-
rare il sepolcro di Cristo. L’ interesse della Natura , o del-
P umanità : ogni uomo s’ interessa alle disavventure d’ un
altro. L’ Iliade , e 1’ Odissea riunivano quesli tre interessi
pei (Irci , come 1’ Eneide pei Romani. Oggi non rimane per
noi che l’ interesse dell’ Umanità.
L 'Epopea interessa soprattutto per la maraviglia, che de-
stano gli obbietti eroici , e maravigiiosi , che propone. Ma
come è madre e la sorgente di tutti gli altri generi , ne dee
racchiudere tutti gl’interessi. Per esser Poeta Epico, biso-
gna esser tutto , ed esserlo a un grado eminente.
Circa alla durata dell’Epica azione niun preciso limile può
accertarsi. Nell’Iliade, secondo liossu , l’azione non oltre
passa il termine di quaranlasette giorni. L’azione dell’Odis-
sea computata dalla distruzione di Troia alla pace d’ Itaca si
estende ad otto anni e mezzo , ma cominciando dalla prima
comparsa dell’ Eroe , cioè dalla partenza d’ Ulisse dall’ isola di
Calipso comprende solamente cinquantotto giorni.
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lb '9
Similmente l’ Eneide calcolata dall’ incendio di Troia sino
alla morte di Turno inchiude circa sei anni ; ma principiane
do dalla tempesta che gettò Enea sulle coste dell’ Africa , si
valuta tutto al più ad un anno e qualche mese.
La seconda proprietà dell’azione epica è che sia grande ,.
cioè, che abbia sufficiente splendore e importanza, si per
(issare la nostra attenzione , si per giustificare il magnifico
apparato che il poeta le presta.
Alla grandezza del suggello epico contribuisce eh’ ei non
sia d’ una data troppo moderna , nè cade in un’ epoca trop-
po conosciuti. Quest’avvertenza non hanuo avuto Lucano e
Voltaire nella scelta dei loro suggelli, e perciò tanto meno
lodevolmente nei loro poemi son riusciti.
L’Antichità è favorevole. Essa tende a ingrandire nella
nostra immaginazione cosi le persone , come gli avveni-
menti , e fornisce al poeta la libertà d’ adornare il suo
suggello per mezzo della finzione. Lucano e V oltaire non
ebbero questo vantaggio. Le storie àuliche sono sicuramente
le più opportune nell’ Epopea , dove 1’ eroismo è la base del-
l’opera. L’Autore può scegliere in esse nomi , e caratteri ,
e avvenimenti per fabbricarvi il suo poema , bastando che
non sien essi del lutto ignoti, mentre gli lasciano, -per la di-
stanza del tempo e la lontananza della scena , una piena li-
bertà all’ invenzione.
La terza proprietà richiesta nel poema epico è che sia in-
teressante. Molto importa a questo proposito il saper pren-
dere un suggello che abbia relazione intima con la propria
nazione.
Quanto più un poema epico abbonda di situazioni , che de-
stano sentimenti di amore , di amicizia , di benevolenza, d’u-
manità , egli è tanto più interessante.
Tali sono nell’ Iliade la visita Hi Ettore ad Andromaca ,
il dolore di Achille per la morte di Patroclo , quello An-
dromaca , d ' Ecuba , e di Priamo per la morte d’Ettore,
l’andata di Priamo ad Achille per ricuperare il corpo del
figlio ; e nell’ Odissea quasi tutte le avventure d’ Ulisse , il
dolor di Penelope per l’assenza di lui eia partenza di Tele-
maco, i ricouoscimenli, che fanno d ’ Ulisse indiverso modo
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iGo
c diverso tempo Telemaco , la nutrice , i due pastori, Pe-
nelope , c Laerte.
nell’ Eneide P incendio di Troia , la morie di Pria-
mo , la pietà d 'Enea verso Anchise , e il suo dolor per la
perdila di Crema, l’amore e la disperazione di Bidone, la
morte di Eurialo , cui l’amico Niso tenia salvare , e il pianto
della madre di quello, la morte di Lauso, il pianto d’ Evan-
dro sul corpo di Fallante.
Tali nella Gerusalemme liberata l’avventura di Olindo e
Sofronia , cui tanto spiace di veder poscia dal poeta affatto
dimenticalo; il dolor di Tancredi perla morte di Clorinda,
guasto però dai lambiccati concetti del suo lamento sopra la
tomba di lei, l’incontro di Erminia col pastore, la dispe-
razione d’ Armida , troppo aneli’ essa però concettosa.
Tali finalmente nell’ Orlando furioso le avventure di 0-
limpia e di Doralice , il dolore d’ Isabella e di Fiordeligi
per la morte di Zerbino e di Brandimarte, e soprattutto la
storia di Ruggiero preso dai Bulgari, liberato da Leone, co-
strette dalla gratitudine a combattere per questo contro la sua
Bradamante ec.
Quello poi che a rendere interessante il poema contribui-
sce sopra di ogni altra cosa , è il saper dipingere gli Eroi
principali in maniera, che fortemente impegnino a favor loro
il Leggitore , e gli facciano prendere viva parte agli ostaco-
li , alle traversie , ai pericoli eh’ essi incontrano.
Questi pericoli od ostacoli formano quel che si chiama il
Nodo del poema , nel cui intreccio giudizioso consiste la prin-
cipale arte del poeta epico. Deve scuotere la nostra at-
tenzione col presentarci difficoltà che sembrino minacciare
infausto successo all’impresa dei personaggi che ci stanno a
cuore. Deve far crescere e moltiplicarsi gradatamente queste
difficoltà , finché apra con una acconcia catena di accidenti
la strada allo scioglimento del nodo.
La più comune opinione dei critici si è che il poema epi-
co debba terminare prosperamelo ; perciocché un fine scia-
gurato deprime 1’ anima. Quindi non sono da imitare Luca-
no e Milton , che hanno conchiuso i loro poemi , l’uno con
la distruzione della Romana Repubblica, l’altro con l’espul-
sione dei primi padri dal Paradiso.
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LEZIONE XIV.
i6r
Siccome è dovere del poela epico il tessere una favola pro-
babile e interessante fondala sulla natura ; così dee studiare
di dare a tutti i suoi personaggi caratteri propri e ben soste-
nuti , i quali con I andamento dell’ umana natura convene-
volmente si accordino.
Non è però necessario che ogni attore sia moralmente
buono, anche i caratteri imperfetti e viziosi trovar vi posso-
no luogo opportuno : i principali attori sono quelli che deb-
bono sempre tendere a destar 1’ amore e 1’ ammirazione piut-
tosto che I’ odio ed il disprezzo.
Qualunque poi sia il carattere che il poeta dà a ciascuno
dei suoi attori , dee procurare di serbarlo sempre uniforme
e coerente a se medesimo: Ogni cosa eh’ ei fa o dice deb-
b essere a lui adattata , e servire a discernere I’ un perso-
naggio dall’ altro.
I caratteri poetici posson distinguersi in due classi , ge-
nerali e particolari. I caratteri generali son quelli di sag-
gio , valente , virtuoso , senza ulteriore specificazione ; i
particolari esprimono quella specie di saviezza , o valore ,
0 virtù , in cui ciascuno è più eminente. Questi esibiscono
1 particolari traili che distinguono un individuo dall’ altro ,
che marcano la differenza delle medesime qualità morali in
diversi uomini , secondo che son combinale con altre diver-
se disposizioni del loro temperamento. Nel delineare questi
particolari caratteri, è dove I’ ingegno di se fa mostra.
In questa parte Omero , si è segnalalo sopra degli altri.
Nell’ Iliade Achille , Agamennone , Menelao , Nestore ,
Ulisse , Aiace , Diomede , Stendo , Antiloco. Patroclo ,
ec . dalla parte dei Greci ; Ettore , Sevpedonte , Enea ,
Paride , Pnamo , Antenore , Ecuha , Andromaca , E lena
dalla parte dei Troiani bau caratteri tutti distinti , e tutti
sempre ben sostenuti.
Nella Odissea par eh’ egli siasi studiato di porre in vista
tulli i diversi caratteri che si scopono negli uomini. L’ inu-
mana fierezza dei Ciclopi, e dei Lestrigoni ; le insidiose lu-
singhe dei Lotofagi ; I’ oziosa mollezza dei Feaci ; la vora-
cità ed in solenza dei Proci ; la modesta virtù , c il corng-
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gio del giovane Teléroa^D ; la «tiss-lnvol fa e amorevole cor-
tesia del giovane Pisìstralo; la senile gravità e saviezza di
Nestore ; la gratitudine di Menelao verso di Ulisse ; la sa*
gacità , la prudenza, la fortezza nei mali e il valore di que-
sto Eroe principale del Poema ; la munificenza d’ Alcindo ;
il grazioso e rispettoso contegno del figliuol suo Laodemanr
te , opposto all’ orgogliosa e impertinente leggerezza d’ Eu-
rialo ; la fedele amorevolezza dei pastori Eumeno e Filezio,
e sino il vecchio cane Argo , opposta alla slealtà dell’ inso-
lente Melanto ; l’abbietta tracotanza del pitocco Irò ; 1' ab-
battuta decrepitezza di Laerte ; lo sregolato amor paterno
d’ Eupile ; la tenerezza materna, la fedeltà coniugale, e la
prudente diffidenza di Penelope ; il costante ravvedimento
di Elena\ il cuor benefico di Nautica unito al più mode-
sto e savio contegno; l’eminente virtù di Arete; l’ingenua
amorosa cordialità della nutrice Euriclea ; 1’ amor passio-
nato di Calipso ; la malizia di Circe ; il canto traditore
delle Sirene : la sregolatezza delle sedotte ancelle di Pene-
lope : ec : tutto è rappresentato con le più naturali , più
vive , e più evidenti pitture.
Virgilio nei caratteri non è egualmente felice. Fra i Tro-
iani , eccello Enea , niuno ha distinto carattere. Egli nel
congedarsi da Didone mostra una scortese e ributante du-
rezza.
Nella guerra coi Latini , come ha osservato meritamente
Voltaire ■ il leggitore è tentato a prender piuttosto le parti
di Turno contro Enea che viceversa. Siffatta condotta non
è certamente la più opportuna per renderci favorevoli all’E-
roe del Poema.
Il carattere di Didone è il più ben sostenuto che sia in
tutta l’ Eneide. L’ardor della sua passione, l’ impelo del suo
sdegno , e la violenza dei suoi trasporti esibiscono una fi-
gura molto più animata d’ ogni altra che Virgilio abbia de-
lineato.
Nondimeno anche 1’ astuzia di Sinone , la crudel ferocia
di Pirro , la sconsigliatezza delle donne troiane nell’incen-
dio delle navi , e la successiva lor timidezza e incostanza ;
l’amicizia di Niso , la imprudenza di Aurialo , il muliebre
dolore della madre di lui , diverso dal dolore virile del pa-
dre di J' aliante, e dal dolor disperato di .Mezcnzio padre di
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Tenuto, il virtuoso carattere di questo giovane , il feroce ca-
rattere di Mezenzio son ben dipinti.
Il Tasso nei caratteri è riuscito meglio assai di Virgilio.
Goffredo condottier dell’impresa è prudente , moderato, in-
trepido ; Tancredi è acceso d’ amor per Clorinda , ma in-
sieme magnanimo , valoroso , e ben contrastato col Cero e
brutale Argante ; Rinaldo è giovane fervido ed iracondo ,
è sedotto dalle lusinghe e dalle arti di Armida, ma in fondo
è pieno di zelo, di onore , e di eroismo. Il coraggio di So-
limano nelle maggiori traversie è sempre imperterrito. La
tenera Erminia , 1 artificiosa e violenta Armida , la virile
Clorinda son tulle figure egregiamente dipinte ed animate.
Minore diversità di carattere forse scorgesi nell’ Ariosto.
La bravura piu o men grande sembra il carattere uuiversa-
le di lutti ; se non che questa nei Saraceni è per |o più
accompagnata dalla ferocia e talora della frode, nei Cristia-
ni da sentimenti più nobili e generosi. I caratteri più di-
stinti presso di lui sono I’ amor costante di B -adamante e
Ruggiero , e l’aruor tenero d’ Isabella per Zerbino , di
Fiordiligi per Brandimarle.
LEZIONE XV.
In ogni poema epico suol esservi un personaggio distinto
sopra degli altri che costituisce 1’ Eroe della Favola. Il ca-
rattere di questo debb’ essere più eminente, e nulla aver de-
ve dispregevole ed odioso.
Tal’ è Ulisse nell’ Oissea , Goffredo nella Gerusalemme,
Fingal nel poema di Ossian. Achille nella Iliade si rende- *•
alquanto odioso per 1’ ostinata ira e 1’. eccessiva ferocia.
Il carattere di Enea presso Virgilio meglio soddisfarebbe
se privo fosse dei difetti pocanzi accennati.
Nell’ Ariosto non si sa bene qual sia 1’ Eroe del poema
Se questi è Orlando , come il titolo sembra indicare , e co-
me pur mostra la stravagante forza che gli è attribuita , e
il fine da lui posto alla guerra con la ferita di Sobrino e
la morte di Agramante e Gradasso.
Nè meno a rimproverarsi è nel Paradiso perduto di Mil-
ton , che quegli che fa più comparsa che più agisce , che
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piu felicemente riesce nella sua intrapresa, sia Satanasso,
talché egli sembra I’ Eroe di quel poema.
Oltre gli umani attori, non piccol luogo nell’ epica poe-
sia occupano solidamente attori di un altro genere , vale a
dire , gli Dei , e gli esseri soprannaturali.
A tritamente esaminare i Poemi d’ Omero e di Virgilio,
si scorgo che il loro piano consiste a fare delle Deità i gran-
di attori dell’ Epopea , le quali non compariscono che rara-
mente , e degli uomini gli attori subalterni, che tempo per
tempo ne occupano quasi sempre la scena !
Se si fa intervenire seriamente una Divinità rispettata ,
vuole il decoro , che se le dia un oggetto degno di lei se-
condo le nostro idee , e si associ ad attori , che abbiano
dell’ elevazione , e delle dignità. Ma se il suggello è poco
serio, come quello della Secchia rapita ; allora si può u-
sare il ministero comico di qualche Divinità pagana , o di
qualche Genio allegorico ; che , vestilo d’ un supposto po-
tere . terrà luogo di Macchine soprannaturali.
Cosi due ragioni d ’ Epopea si potranno distinguere , am-
bedue maravigliose ; 1’ una eroica , e 1’ altra comica ; ma
il nome del genere rimarrà per eccellenza all’ Epopea E-
roica.
Non v’ è d’ uopo di miracoli in un poema Epico, ma so-
lo del maraviglioso : e se questo maraviglioso è sensato e
ragionevole , si riduce a tirare il velo , che copre gli or-
dini secreti della Natura , e a rappresentare la condotta di
Dio , in rapporto alle cose umane. Nulla è hello fuorché
il vero.
Il ministero delle Divinità non si estenda a troppo minute
particolarità per voler nobilitare la cosa , si abbassa la Di-
vinità.
Il poeta deve essere nelle macchine temperato e pruden-
te. Non è in sua balìa 1’ inventare qualunque sistema di co-
se soprannaturali e portentose.
Omero è acccusato non a torlo di aver in più luoghi del-
l’ Ihade degradati soverchiamente gli Dei specialmente nelle
coniugali risse fra Giove e Giunone e nelle indecenti con-
tesse fra gli Dei inferiori , secondo che prendono nei due
eserciti gierrepgianti diverso partito. Secondo la favola di
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quei tempi gli Dei erano di poco superiori all* umana condi-
zione , e soggetti alle stesse passioni degli uomini.
Virgilio ha rappresentato a neh’ esso gli Dei soggetti alle
passioni umane; ma gli ha figurati con maggior dignità.
Il Tasso ha sostituito acconciamente gli esseri sopranna-
turali secondo la cristiana religione , e vi ha aggiunto i por-
tenti della magia, ai quali allora prestavasi tuttavia credenza.
Più stravaganti sono gli effetti della Magia nel Morgante
del Pulci , nell’ Orlando innamorato del Boiardo e del Ber-
ni , nell’ Orlando furioso dell’ Ariosto , nell ’ Amadigi di Bar-
nardo Tasso , nel Ricciardetto del Fortiguerri ; e simili.
Un singoiar contrasto nella Lusiade di Camoens , poeta
Portoghese, fa la mescolanza ch’egli introduce della religio-
ne con la pagana mitologia , unendo insieme Cristo , e la B.
Vergine con Giove , Venere , e Bacco.
La maggior macchina però è quella dove introduconsi i
personaggi allegorici come Allori reali. Questi possono qual,
che volta aver luogo nelle descrizioni, ove Servouo d’ abbel-
limento; ma non si dee permettere mai che abbiano uua parte
reale all’ azioue del poema.
Assai più da lodare è qui Virgilio , il quale per mettere
la discordia fra i Latini e i Troiani fa uscire Aletta dall’ In-
ferno , che l ’ Ariosto , il quale fa scendere S. Michele a cer-
car la Discordia medesima; Voltaire che oltre alla Discor-
dia , fra i personaggi misti agli umani attori introduce ncl-
l ’ Enriade l’ astuzia , e l’ Amore , e dà loro non piccola parte
nell’ intreccio di lutto il poema.
LEZIONE XVI.
Per esaminare al presente la forma dell 'Epopea , vi si tro-
va a principio la Proposizione del suggetlo, che determina
1’ unità d’ azione ; e poi l’ Invocazione d’ uua Divinità , che
riveli al poeta le cagioni soprannaturali dell’ avvenimento ,
che ei vuol narrare. La Proposizione vuol essere semplice ,
chiara , e senza fasto. La Invocazione può essere d’ uno stile
mollo sublime.
Le Cose nell’ Epopea sono 1’ aziona e tutte le sue parti ,
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grandi e picciole, Amenziali e integranti , di necessità , e d' or-
namento, L’Ingegno le produce, e le dispone.
La sorgente , nella quale l’Ingeguo le attigue , è la Na-
tura , per cui s’intende , i tutto ciò , che attualmente esiste
nell’ universo ; a lutto ciò che prima di noi esistè , e che noi
possiamo conoscere dalla storia dei tempi , dei luoghi , e de-
gli uomini ; 3 lutto ciò che può esistere , ma che forse non
ha mai esistilo , nè mai esisterà. Ciò fa in certo modo tre
mondi ; il mondo reale ; il mondo storico , che abbraccia il
favoloso ; e il mondo possibile.
Un buon poeta dee piuttosto prendere i suoi materiali dove
sono, cioè nelle cose esistenti , nella storia dei secoli anda-
ti, nelle idee, e nelle opinioni degli uomini, che troppo av-
valersi del dritto di fingere , e di creare.
La vera funzione dell’ Ingegno non è dunque il creare. E
primieramente formare un piano; secondariamente il cercare,
e trovare materiali per eseguirlo; finalmente, il saper ridur-
re questi materiali , somministratigli dalla Natura al piano ar-
tifiziale da lui formato. Consiste in questo la gran superio-
rità d ’ Omero , e di V ir y ilio.
L’Arte dei poeti nella loro narrazione consiste a saltar di
netto in mezzo agli avvenimenti , come se il Lettore fosse in-
formalo di ciò , eli’ è preceduto , massimo qualora l’ impresa
sia di lunga durata.
Un’Arte particolare per rapporto alla forma stessa dello
siile Epico , è di dare un’aria drammatica alla maggior parte
dei racconti. Il che ci mena ad osservare, potere la Poesia
tre dilferenti forme prendere nella maniera di raccontare.
Quel che più importa nel tenore della narrazione si è ,
che sia chiara , animata , e aiTicchita di tutte le bellezze
della poesia. Niuna sorta di composizione richiede più forza,
dignità e calore , che il poema Epico.
Gli ornamenti che ammette l’Epica poesia, vogliono però
esser tutti di genere grave , e castigato. 11 verso ha bisoguo
d’essere elevato dallo stile medesimo, al quale egli serve di
misura. Or tre ragioni di stile vi sono : il se mplice , il me-
diocre e ’i sublime. I modelli prestatici dai grandi autori "so-
no : Omero e Pindaro tra i Greci, Virgilio e Orazio tra
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i Latini ec., e i libri ispirati come Giobbe , i Salmi , e i
Profeti.
Le descrizioni d'oggetti disgustosi, o vili, o ributtanti deb-
bo n fuggirsi quanto è possibile. Perciò nell’ Iliade i bassi modi
e grossolani con cui Achille ingiuria Agamennone , Giove
sgrida Giunone , Ulisse minaccia Termite ; nell’ Eneide la fa-
vola dell' Arpie ; nel Tasso alcune descrizioni più libere del
convenevole; nell 'Ariosto le descrizioni oscene ec. p ragio-
ne dagli uomini di giudizio e di gusto vengono rimproverate.
La dignità degli Attori decide del grado di sublimità nel-
P Epopea. La musa , che parla , è obbligata ad accattare il
linguaggio degli uomini ; ma impiega tutti i mezzi propri a
rilevarlo.
LEZIONE XVH.
DEI PRINCIPALI POETI EPICI.
Omero tra i Greci, Virgilio tra i Latini , Ludovico Ario-
sto e Torquato Tasso tra gl’ Italiani sono quelli (inora che
nell’ Epica poesia su tutti gli altri han riportata la palma.
Omero è il padre dell’ Epica poesia ; e al tempo stesso su-
periore a tutti coloro che l’hanno seguito.
Viveva Omero probabilmente 85o anni prima dell’ Era Cri-
stiana , e poteva aver veduto in sua fanciullezza alcuni Vec-
chi , ocular testimoni dell’ Assedio di Troia. Siamo per al-
tro al buio in ordine alla sua persona; e fu molto dopo la sua
morte, che scile potenti Città si son disputato l’onore di
averlo veduto nascere.
I partigiani di Omero ne hanno parlato più da appassio-
nati amanti che da savi amici. Amandolo con una specie di
furore , chiudon gli occhi ai suoi difetti , e non voglion ve-
dere che le sue bellezze. Ha però questo Poeta avuti nemici
non meno ardenti , che si sono ostinati a non trovargli che
difetti.
L’ Iliade , eh’ è la grand'Opera d 'Omero è piena di Dei ,
c di combattimenti poco verisimili. Questi suggetti piacciono
naturalmente agli uomini , perchè amano tutto ciò , che sem-
bra terribile.
Si rimprovera soprattutto ad Omero la stravaganza dei suoi
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Dei , e la rozzezza dei suoi Eroi. Ma questo è un rimpro-
verare a un Pittore d’ aver dato alle sue ligure gli abili dei
tempi suoi. Omero ba dipinti gli Dei, quali erano tenuti, e
gli uomini quali erano.
Omero ha mostrato Ingegno nella invenzione ; gusto cd
arte nella disposizione ; forza e proprietà nell' espressione.
I Greci assediavano Troia; Agamennone , Capo dell’ ar-
mala , si accapiglia con Achille , che n’ era P Eroe più va-
loroso. Costui cessò tosto di combattere , e i Greci furon
battuti, finché l'Eroe malcontento, ricondotto dà un acci-
dente , che a lui medesimo prernea,, fé mutare la sorte delle
armi. Ecco tutto il suggello dell’Iliade , e '1 fondamento, sul
quale s’ innalza 1’ edificio di questo poema.
L’Odissea ha per suggello il ritorno di Ulisse in Itaca ,
isolelta , ond’ egli era Ile. Questo Eroe non godeva il van-
taggio d’ esser Semideo per la sua nascita come Achille ch’era
figliuolo di Teli'-, ma ne avea il merito, cioè possedeva una
robustezza d’ animo più che umana , e una illimitata pruden-
za. La protezione di Minerva aggiunta a queste gran parli,
il rendea mirabile , al par di Achille.
L’Iliade è più atta a muovere, maravigliare, c destare
le passioni. L’Odissea ha più da istruire coi suoi allegorici
racconti, con le sue pitture, e le sue massime. In entrambi
i Poemi la Teologia è la stessa ; la stessa disposizione delle
cagioni celesti con le terrestri.
Il gran merito di Omero è d’ essersi aperta una strada,
non battuta da altri prima di lui. Egli corre senza scorta ,
senz’arte, senza regola. Si smarrisce nella sua carriera; ma
si lascia ben addietro tutto ciò , che non è che ragione ed
esattezza. Egli ha creala l'arte sua, e lasciatala imperfetta;
è un caos ancora , ma il lume vi scintilla già da per (ulto.
Virgilio ha profittato di tulli i vantaggi del suo secolo.
Era questo il bel secolo d' Augusto , -nel quale fioriva una
infinità di Letterali , di Filosofi , che avean letto gli antichi
Autori , e i moderni , e paragonatili , che ne aveano , e ne
discuoiano tutto di le hellezze a viva voce , e in iscritto.
Quindi si vede in quanto egli ha fatto, l'attenzione d’ un
Autore, che conosce le regole, e che teme di trasgredirle;
che tocca e ritocca senza fine ; e che teme la censura dc-
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gl’ inleudenti. Sempre ricco, sempre corrello, sempre ele-
gante, ha nei suoi quadri un colorilo non meu brillante che
esalto.
L’Eueide è il più bello monumento , clic ci resta di luit-t
l’ Amichila, Eirgilio Irasse il suggelli) del suo Foema dalle
tradizioni favolose sull’arrivo, e lo slabilimeulo di Enea in
Italia , che la superstizione tramandala area sino a lui; a un
di presso come Omero avea fondata la sua Iliade sulla tra-
dizione dell’assedio di Troia. La stella del suggello non po-
teva essere più felice. Vicino ai tempi favolosi, e per poco
favoloso aneli’ esso , di cui non si aveano che idee vaghe,
e però capaci di accomodarsi alle finzioni epiche. Eravi in
oltre un interessante rapporto tra questo suggetto, e ’1 popolo
pel quale s’ intraprendea di trattarlo: i Romani pretendemmo,
che fosse Enea il fondatore della lor Nazione , e ’l padre del
lor primo Re.
Virgilio non ha potuto evitare di porre sulla scena gli Dei
d’ Omero ch’eran anche suoi , e che, secondo la tradizione,
aveau guidato Enea in Italia ; ma gli uni preludono che ei
li faccia operare con più giudizio, che non fece il poeta gre-
co , mentre gli altri trovan pien di fuoco e di forza il mini-
stero delle Deità in Omero , e freddo in Virgi’io , che non
sa , come il suo modello , comcllerlo per lutto e conciliarlo
con gli agenti naturali.
La saviezza di Virgilio si avvicina alla timidezza : ama
piuttosto radere il lido, ch’esporsi alla tempesta. Gò non im-
pedisce , eh’ egli sia grande , c lo sia più quando siegue il
suo proprio ingegno , che quando si spiega alla imitazione.
I sei primi libri dell’ Eneide sono d’ un’estrema bellezza.
Virgilio consuma quanto la fantasia ha di più grande nella
discesa di Enea all’ inferno ; dice tutto al cuore negli amori
di Bidone , desta il terrore e la compassione al più alto se-
gno uellu descrizione della roviua di Troia. Ma giunto a mezzo
il suo volo , è costretto a smontare da quell’ alta elevazione,
e l’ obbiezione più universale contro il suo Poema è i sei
ultimi Canti sicno indegni dei sci primi. Non si creda per
tanto , che sieuo senza bellezze. Si scorge da per lutto il gran
Maestro ; ed è quasi incredibile ciò che la forza dell' Arte
sua ha cavato da un terreno ingrato ; c quanto ai passi dc-
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resto per prendere; Una conveniente, idea di amendue , valga
quel che ue dice il Frugone nella sua epistola al sig. Pla-
cido Bordoni , in cui dice :
J Ecco quei duo, che per dissimil calle, ec.
' LEZIONE XVIII. .
Oltre all ’ I Iliade e all ’ Odissea di Omero , un’altro poema
ci è rimasto dei Greci, che è quello di Apollonio Rodio
sulla spedizione degli Argonauti in Coleo , del quale parec-
chi versi furono pure imitati o tradotti da Ocidio e da V ir-
gli io , come scorgcsi nelle note di Falcidino Rotmaro.
Anche i Latini dopo l’ Eneide di Virgilio ebbero la Far -
soglia di Lucano , la Teòaide di Stazio , la Guerra punica ,
di Silio Italico , l ’ Argonaulica di F alerio Fiacco , ed i
Poemi di Claudiano.
Lucano di un’antica Famiglia dell’Ordine Equestre, nac-
que a Cordova in Ispagna , sotto l’ Iinperator Caligola ; ed
essendo stato menalo a Roma in età di otto mesi , fu edu-
calo in casa di Seneca suo Zio. Fu egli favorito di Nerone ,
finché non ebbe 1’ imprudenza di disputargli il premio della
Poesia , e ’l pericoloso onore di riportarlo. Decaduto cosi
dal favore di Cesare, Lucano entrò in una conspirazionc ,
la scoperta della quale gli costò la vita.
Il Poema eh’ egli avea composto , si aggirava sopra una
Storia recente ; impresa , che prima di lui, aveva V crio ese-
guita con buon successo. I personaggi della Farsaglia son beu
da più di quelli dell’ Eneide; ma Lucano non attentando
d’ allontanarsi dalla Storia , ha per questo reudulo arido e
secco il suo Poema. Volendo con la grandezza dei sentimenti
supplire ai difetto dell’invenzione, ha sovente celala l’aridità
sotto la luinidezza.
Non v’ha in Lucano descrizione, alcuna brillante, come
in Omero. Egli non ha conosciuta come Virgilio , l’arte di
narrare, e nulla dir di soverchio; non Ita di questo nè l’e-
leganza , nè l’armonia; ma alcuui suoi discorsi hanno la mae-
stà di quelli di Livio , e la forza di Tacito. Dipinge come
Sallustio ; in una parola è grande dovunque non vuol esser
Poeta.
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Peggior argomento al suo poema ha scelto Stazio , descri--
vendo l’odio scellerato dei due fratelli Eteocle e Polinice ,
che fini con la strage reciproca d'amcndue: e il suo stile,
se mostra da per tutto una fervida immaginazione, fa vede-
re altresì che questa non era punto regolata dal buon giu-
dizio , correndo sempre all’ esagerato ed al tronfio assai più
di Lucano.
Silio Italico fu grande ammirator di Virgilio , e ne imitò
in qualche tratto non infelicemente lo stile, t Certo per la
purità della lingua ei supera, dice V Ab. Quadrio, per lo
meno i poeti di tutti i suoi tempi j. Ma egli pure fu, come
Lucano, più Storico che Poeta.
Valerio Fiacco scrisse otto libri dell’ Argonautica ; ma una
morte immatura ne impedì il compimento ; e questa forse è
la cagione principale dei difetti , di cui i critici con ragione
accusan quest’ opera.
Anche i poemi di Claudiano sono in gran parte mutilati
ed imperfetti. Non può negarsi che egli abbia del fuoco ; ma
questo è prodotto da un ardor giovanile non moderato o cor-
retto dalla maturità del giudizio. Claudiano non ha la robu-
stezza dei pensieri filosofici di Lucano , e nella gonfiezza dello
stile, o gli è uguale, o lo supera.
LEZIONE XIX.
Era gl’ Italiani dopo i poemi dell’ Ariosto e del Tasso ,
molli pregiati per la bellezza del loro stile sono l’ Amadigi di
Ucrnardo Tasso e 1’ Oriunde innamorato del Berni, che ha
rifatto quel del Boiardo ; ma il primo è più scarso d’ in-
venzione , il secondo non sa dimenticarsi della propensione
die avea al burlesco , per cui si è fatto in Italia autore di
un nuovo genere di poesia che da lui ha preso il titolo di
Berniesca.
In quella guisa poi che 1' Ariosto ha continuato il poema
del Boiardo nell’ Orlando furioso , così il Fùrtiguerri quel-
lo deli’ Ariosto nel Ricciardetto. Feracissima invenzione ha
dimostrato egli pure , ma le stravaganze vi sono ancor mag-
giormente esagerate , e io sii! più negletto.
Il M argante del Pulci , più antico di lutti questi, è aa-
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cora più incolto: egli ha però vari tratti nello sii! famiglia-
re e piacevole , che non sarebbero indegni del Berni-
La Italia liberata del Trìssino , per opera di Belisario
sotto 1* impero di Giustiniano , c poema regolare e di slil
colto , ma fiacco. Nondimeno conserva la gloria di essere
stalo il primo Moderno in Europa , ebe abbia fatto un Poe-
ma Epico regolare e sensato benché debole.
Sono all’ opposto da ricordarsi con molto onore la Croce
racquistata del Bracciolini, ed il conquisto di Granata del
Graziani. Il poema della Croce occupa il primo luogo tra
gli eroici.
Mentre l’ Italia ha prodotto tutti questi poemi , la Spagna
non vanta che l’ Araucana di Alonzo d’ Ercilla; il porto-
gallo la Lusiade di Camoens ; l’ Inghilterra il Paradiso
perduto di Milton ; la Francia V Enriade di Voltaire e il
Telemaco di Finelon , se poema può chiamarsi una storia
poetica bensì, ma in prosa, e la Germania il Messia di Klo-
p stoh , e la morte di Abele di Gesner.
L’ Araucana è il racconto di una particolare spedizione
dell’autore , c benché abbia alcuni tratti di immaginazione
felice, appena merita il nome di poema epico.
La Lusiade di Camoens ha per suggello la spedizione di
Vasco Gama alle Indie oricutali pel Capo di buona Speran-
za. Oltre a molla coltura di stile scopresi in questo poema
una ferace ed ardita fantasia , ma poco regolata pel miscu-
glio di Cristiana teologia e mitologia. I tratti più felici sono
1’ apparizione dell’ Indo e del Gange, ad Emanuele Re di
Portogallo in sogno la tenera descrizione della morte di /-
nes de Castro , e la spaventosa comparsa del gigante Ada~
mastor al Capo di buona speranza per minacciar V osco Ga-
ma , che osasse violare quei mari peranche intatti.
Nel Paradiso perduto di Milton si ammira gran forza
d' immaginazione e grande sublimità spezialmente nei primi li-
bri ; ma oltre al difetto di dare a Satanasso la parte più
attiva , il tener per lo più occupato il leggitore in un mo-
do invisibile fa che il poema riesca meno interessante : e
Blair , nell’atto che giustamente esalta i pregi di Milton , con-
fessa però eh’ egli t è poco uniforme e corretto, troppo fre-
t quentemente teologo e metafisico, qualche volta aspro nel
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» suo linguaggio , spesso Iconico nelle parole , e affettato
i PE.lonl.Vorc della sua dottrina, i.
LEZIONE XX.
L’ Enriade di Voltaire al difetto della Farsnglia di Lu-
cano , di aggirarsi sopra argomento di data troppo recente,
c troppo disgustoso, com’ è nna guerra civile, aggiugne per
quello di alterare la storia fingendo un viaggio di Enrico
IV in inghilterra e una conferenza tra lui e la regina Eli-
sabetta , quando og iun sa , che nè questa nè quella egli ha
mai veduto.
Viziosa è pure la parte eh’ ei dà nel poema alla Discor-
dia , all' Astuzia , all' Amore , mescendo questi esseri as-
tratti agli umani Attori. II tenore poi dei sentimenti che do-
minan nel Poema é alto e nobile ; e lo spirito di umanità
regna generalmente in tutta I’ opera.
Quanto allo stile si scopre in vari luoghi molta arditezza
di concetti , e molta vivacità e felicità di espressioni ; ma
in altri una debolezza e bassezza affatto prosaica. Il più bel
passo è il prospetto del mondo invisibile che S. Luigi of-
fre ad Enrico in sogno nel settimo canto.
Fenelon nel suo Telemaco è entrato con molta felicità nel-
lo spirito e nelle idee degli antichi poeti , e particolarmente
nell’ antica mitologia Le sue descrizioni son ricche e belle ,
e spezialmente quelle delle scene più placide e soavi , come
sono gli accidenti della vita pastorale , e piaceri della virtù,
un paese che fiorisce nella pace. Le parti dell’opera meglio
eseguite sono i primi sei libri, in cui Telaraaco racconta le
sue avventure a Calìpso.
Nella discesa di Telamaco all’ inferno 1’ autore sembra a-
ver superato Omero stesso e Virgilio. Ma nel progresso , ei
diventa noioso e languido ; e nelle guerriere imprese manca
assai di vigore.
Quello che esclude quest’ opera dalla classe dei poemi e-
pici , si è la mancanza del metro , la minuta particolarità
della politica in cui l’autore entra in alcuni luoghi e dall’ is-
truzione di Mentore , la quale ricorre spesso nel comune to-
no di un trattato Morale, quantunque convenisse al disegno
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del!’ autore il formare la mente e il cuore ilei giovine prin-
cipe : ma ciò non sembra adattalo alla natura dell’ Epica
poesia, il cui istituto è di renderci migliori per mezzo del-
le azioni , dei caratteri , dei sentimenti , piuttosto che delle
espresse e formali istruzioni.
L’ estremo sforzo dello spirito umano è chiamalo dall’ Ab.
Amatici il Messia di Klopostk ; ma a pochi è dato il poter
ben gustarlo.
Di assai diversa natura è la morte di Abele del Gessner
vale a dire , tutta piana , facile , piena di dolcezza , e di
tenerezza. Appena però si può questa composizione annove-
rare fra i poemi epici, perchè scritta in prosa , e sopra un
fatto solo e semplice , e senza la varietà di accidenti che il
poema richiede , sebbene lo stile in alcuni luoghi si solleva
ma si avvicina alla semplicità della p esia pastorale , elio
alla sublimità dell’ Epopea.
LEZIONE XXI.
In questa Lezione farem menzione di due poemi antichi ben-
sì , ma conosciuti da poco tempo , vale a dire de* poemi di Os-
sian Finj al, e Temora.
Ossian , figlio di Fingai Re dei Caledoui , che abitavano
la coste occidentale della Scozia , visse nel terzo secolo , e
cantò le ultime guerre di suo padre, in cui sempre gli fu
compagno. I suoi canti trasmessi di bocca , in bocca , e
spesso ripetuti nella lingua Celtica originale , si conservano
fra quegli abitanti , finché Macpherson verso la metà del
passato secolo da lor si fece a raccorli , e ne diede una
traduzione letterale in prosa Inglese , che poi dall’ Ab : Ce-
sarotti fu trasportala in versi italiani.
I suggetli dei due accennati poemi furono due spedizioni
di Fingai nell' Irlanda , la prima contro Svarano Re di
Scandinavia , eh’ erasi colà recalo per togliere il regno di
Temora al giovine Cormac tutore del quale era Cucullino
Re d' Iuisfela , una delle isole Eiridi ; la seconda contro
Cairbar, che ucciso Cormac , n’avca usurpato il trono.
L’ Azione in amendue i poemi è brevissime. Nel primo
Svarano scende con le sue genti in Irlanda, attacca battaglia
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con Curulliao , e lo vince ; ma il giorno dopo sopraggiun-
te Fingai , die vince Sparano , lo fa prigioniero, e 1’ ob-
bliga a riparlire per la Scandinavia. Nel secondo Cairbar
dopo aver mortalmente ferito Oscar figlio di Ossian, da quel-
lo rimane ucciso ; ma Calmor fratello di Cairbar si move
per vendicarne la morte , e vinto rimane da Fingai.
Le descrizioni delle battaglie son pure in amendue estre-
mamente brevi e concise ; ma vari episodi opportunamente
inseriti servono a dar maggior corpo ed estensione ai Poemi.
Fingai , che in amendue è 1’ Attor principale , ispira di
se la più alta e sublime idea, Valore , prudenza , magnani-
mità , giustizia , umanità , generosità concorrono a formar
un si perfetto Eroe , che in niun altro poeta epico 1’ egual
sarebbe incontrarsi.
Ben tratteggiati e variali sono pure gli altri caratteri; ma
gli esseri soprannaturali in questi poemi non hanno parte ,
eccetto qualche menzione delle anime degli Eroi vaganti so-
pra le nubi.
La condotta in amendue è semplicissima , sebbene non
priva di opportuni incidenti ,■ al forte e terribile il poeta sa
mescolare acconciamente di tratto in tratto il tenero ed il
patetico ; e lo stile generalmente e quale abbiano detto tro-
varsi nelle poesie dei primi tempi delle nazioni , vale a dire
pieno d’ immaginazione , e di passione , e animato dalle e-
spressioni più ardile e dalle più forti figure.
LEZIONE XXII.
DEL DRAMMA in CEMERALE.
La Drammatica poesia è cosi appellata da un termine
greco , che inferisce operare ; da che in questa spezie di
poesia non si racconta 1’ azione , come nell’ Epopea , ma si
mostra in qiìeili che la rappresentano.
La Poesia drammatica abbraccia la Tragedia , la Com-
media , i drammi pastorali, i Drammi Seri e Buffi per mu-
sica , gti Oratori , e le Cantale.
La Grecia é stata la culla delle Belle Arti , ed è mestie-
ri cercare colà 1’ origine delia Drammatica Poesia. Le fe-
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... 177
slfe di Bacco ne cagionarono la nascila. Si sacrificava a
qucslo Dio un caprone , e durante il sacrificio , il popolo ,
c i Sacerdoti cantavano in truppa a gloria di questa Divini *
là degl’inni , che la qualità della vittima fè chiamare Tra-
gedia , o Canio del Becco. • - . .
Quest’ Inni non erano che un canto lirico , e vi regnava
una sorta d’ unisono, che addormentava gli astanti. Per met-
tersi più varietà , s’ introdusse un Attore , che facea qual-
che racconto.
Tespi avventurò questa novità. Si fatto racconto fu in più
parti diviso, per interrompere più volle il canto, ed accre.
scere il piacere della varietà.
Come 1’ Attore per ordinario era uno , e non bastava : ne
abbisognava un altro per costituire il Dramma e fare un dia-
logo. Eschilo. profittò deli’ apertura data da Tapi ', e for-
mò a un colpo il Dramma Eroico , o sia la Tragedia. Vi
mise due attori in vece di uno , e fece loro intraprendere
un’ azione epica. Vi mise esposizione , nodi , sforzi , snoda-
mene , affetti, interessi. Diede caratteri , e costumi ai suoi
attori , e convenevole elocuzione ; e ’l Coro , che nell’ ori-
gine era stato la base dello spettacolo , non servi che d’ in-
termedio all’ azione , come altra volta 1’ azione ad esso.
Il fine della Tragedia , secondo Aristotele , è di purgare
le nostre passioni per mezzo della pietà, e del terrore, de-
standoci compassione per gl’ infelici , amore per gl’innocenti
e dabbene , odio pei viziosi e malvagi.
Per quest’ oggetto richiedesi che il poeta s’ appoggi a qual-
che storia patetica interessante, e che la presenti in una ma-
niera probabile e naturale.
Alcuni Critici esigono che il soggetto non sia mai di pura
invenzione , ma fondato sopra una storia reale , siccome so-
no per lo più le greche tragedie. Non può negarsi però ,
che una storia fiuta ove sia propriamente condotta, può in-
interessare il cuore ugualmente che una vera, e n’ abbiamo
1’ esempio nella Zaira , nell’ Alzira , e in qualche altra tra-
gedia di Voltaire Ma per meglio sostenere l’ illusione , gio-
va che queste pure abbian qualche relazione a vere storie ,
conosciute siccome 1’ hanno le due sue citate pur ora.
Qualor si finge , vanno , dice Aristotile , presentate le cose
19 .
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finte , quali hanno potuto , o dovuto accadere. Non tulli
gli uomini hanno una chiara idea di ciò, eh’ è o no, possi-
bile in Tatto -di azione umana.
Si possono Dell’azione drammatica tre ragioni di necessa-
rio distinguere : quello delle cose per rapporto all’ azióne ,
considerata come naturale; quello delle medesime cose, per
rapporto alla medesima azione , considerala come artifiziale ;
e finalmente quello di connessione, o di conseguenza.
Tre sorte di Unità sono nei Drammi ; Unità di azione ,
unità di giorno , e Unità di luogo.
L’ azione è Una , quando un solo fine venga proposto , al
quale tendano tutti i mezzi , cha s’ impiegano.
L’azione drammatica si divide in Atti , e gli Atti in isce-
ne. L’atto è un azione, ch’è parte essenziale d’ un’ altra azio-
ne , che serve di mezzo per giungnere a un fine ulteriore ,
e che suppone altre azioni , prima , o dopo di se.
Quando tutte le azioni sono sulla medesima linea retta ,
e 1’ una 1’ altra si conducano sino a che sieno giunte al
termine ; allora 1’ azione è semplice , e senza episodi. Ma se
tra queste azioni alcune sono soltanto collaterali , e solo su-
perficialmante si attengono all’ azion princpale , sono chia-
mate episodiche, e lo sono, più o meno , secondochè più
tosto, o piu tardi, si congiungono alla principale azione. Se
non si congiungono pure al quinto atto , sono assolutamen-
te difettose.
Il primo Atto fu dogli Antichi nominato Protasr, concio-
siachè comprende la proposizione del soggetto , e dee chia-
ramente esporre la cosa , di cui si tratta. Si danno anche
in esso a conoscere tutti gli Attori , e una parte del loro
carattere. Filialmente vi si comincia il nodo , e si prepara
lo scioglimento ; senza però che tal preparazione sia troppo
sensibile.
Negli Atti II. III. IV. il nodo si stringe sempre più , e
1’ inquietitudine dello spettatore va aumentando. S’ intreccia-
no niente di meno dei momenti di gioia e di speranza ,
che ristorano 1’ anima , per farla poi ricadere in agitazioni
maggiori.
11 quinto Alto dev’essere tra tutti il più vivo; poiché quan-
to ha Io spettatore più atteso , tanto meno egli vuole alien-
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dcrc. Si decide in questo Allo il destino di tulli i personag-
gi comparsi in teatro , e 1’ ultima scena termina lo sciogli-
mento.
Una Scena è una parte d’ nn’ Allo, caralerizzata dall’en-
trata, o dall’uscita di alcuuo di quelli, che nell’azione han-
no parte.
L '"Unità di giorno è il giro del Sole, o ventiquatlr’ore ;
ch’ò quanto dire , che l’azione rappresentata deve principia-
re e finire in questo spazio. Si fatta regola è anzi modifica-
zione ; che uba regola di rigore ; è una mitigazione della
vera regola , secondo la quale non dovrebbe durar l’ azione
più della rappresentazione , cioè a dire , esser principata e
terminata in due o tre ore al più.
Gl’ intervalli , che sono tra gli Attori , servono a destra-
mente distribuire il tempo , che dee passare tra gli avveni-
menti ; e uno dì essi può comprendere una intera nottata.
L ’ unità del luogo preso a rigore, esigerebbe anch* essa,
che tutto accadesse precisamente nel silo ; e medesirooi’in-
dulgenza , che dilata i confini del tempo , non può con la
^stessa agevolezza dilatar quelli del luogo. Se si cambiasse dv
sito ; o si farebbe senza cambiare le decorazioni , e allora
entrerebbe la confusione nella rappresentanza ; o si cambie-
rebbe decorazione . e con ciò I’ incanto dell’ illusione sareb-
be sciolto.
Questa regola imbarazza di molto i Poeti , e li riduce
sovente a supposizioni poco naturali. Gli antichi aveano il
vantaggio di prendere per luogo della Scena una Piazza pub-
blica , dove uscendo di casa , facea capo ciascuno , e dove
si trattavano gli aderì.
Quando allo Stile drammatico , Io stalo di chi parla esser
ne dee la regola. Questo stato si riferisce o alla condizione
di lui , o alle passioni, che gli agitano attualmente Io spirito.
In generale ogni Attore dee sfuggire ciò che può sentir
d’ arte , o di declamazione , come I. le sentenze morali , o
pensieri troppo generali, a. le figure oratorie. 3. tutto ciò
che può avvertire un Poeta , o un Oratore imbecherare gli
Attori.
11 discorso di un Attore che parli solo , si appella Soli-
loquio. Ogni Soliloquio vuol esser breve, come quello ch’è
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quasi fuor del naturale. Se ò lungo fa mestieri , che 1’ At-
tore sia in grande agitazione.
Il Dialogo ha luogo , qualora più Attori si parlano l'un
T altro. Ogni persona , che parli , deve avere una ragione
almeno apparente di parlare.
La distribuzione della parola nel Dialogo richiede tanto più
d’ arte , che quell’arte non dee affatto apparire.
La Decorazione teatrale ha da convenire alla qualità
degli Allori. Se sono pastori , la scena è una campagna ;
quella dei Re , una Reggia , e va discorrendo.
Purché il carattere del luogo sia conservalo , è permesso
d’ abbellirlo di tutte le ricchezze dell’ arte ; i colori, e la pro-
spettiva , ne fanno tutta la spesa.
Il Teatro presso i Romani era un luogo vasto e magni-
fico , accompagnato da lunghi portici , da gallerie coperte e
da belli stradoni fiancheggiati di alberi , nei quali il popolo
spaziava, attendendo i giuochi. Tre parti del Teatro propria-
mente detto si distingueano ; I. il Palco , o la Scena , che
oggi chiamasi Teatro. 2 1’ Orchestra, che si dice Platea ;
e 3. L’ Anfiteatro.
Tutti gli Attori recitavano mascherati. Le loro maschere
erano una testa intiera, come una celata; ed arcano il viso
dipinto , capelli , colori , e gran bocca disposta in guisa,
che ingrossava di mollo la voce. Perciò le chiamavano per-
sona , a personando.
Per esprimere i cambiamenti delle passioni, 1’ Attore prea-
dea una maschera , che mirata di proffilo, rappresentava da
un lato l’ allegrezza , la tristezza dall’ altro, ec. e si girava
destramente secondo il bisogno.
Gli Attori greci vestivano robe a strascico , dette Sgrma.
Nella Commedia essi mantelli , pallia, e i Romani toghe,
togae.
La declamazione degli Attori era una spezie di canto ,
notata come la Musica ; senza però avere i caratteri del can-
to musicale.
L’ arte del gesto essendo tra gli antichi una parte della
Musica , avea come la declamazione , le sue note , e ( che
oggi par ridicolo ) sovente appo i Romani un Attore de-
clamava , e un altro gestiva.
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La Calzatura della Tragedia era il Coturno , calzatura
alta , che rilevava la statura degli Attori , e gli accostava
all* eroica. Il Socco era una calzatura piana , ordinaria. Ci
avvaliamo del nome di queste calzature, per designare le due
spezie di Drammatica (i).
Un Attore perfetto è rarissimo a trovare ; molti hanno
una parte del talento , quasi veruno il possiede intero.
LEZIONE XXIII.
DELLA TRAGEDIA.
La Tragedia ha comune con T Epopea la grandezza , e
P importanza dell’ azione , e ne differisce solo per la forma
drammatica.
Siccome nell’ Epopea due sorte di grandi s’ incontrano ,
il maraviglioso e 1’ eroico ; due sorte ancor di Tragedie si
possono dare , 1’ una eroica , detta semplicemente Trage-
dia , 1’ altra maravigliosa , chiamata Spettacolo Lirico , o
Melodramma.
È dunque un Melodramma , quanto alla parte dramma-
tica , la rappresentanza d’ un’ azione maravigliosa. Gli Atto-
ri sono Dei , o Eroi Semidei , e si riconoscono merco di
operazioni e d'un linguaggio ed una inflessione di voi e che
sorpassa le leggi del verisimile ordinario.
fe convenuto che il linguaggio degli Attori del Melodram-
ma fosse intieramente lirico , ed esprimesse 1’ estasi , 1’ en-
tusiasmo , l’ ebbrezza del sentimento , affinchè la Musica
potesse produrvi tali effetti.
La Tragedia per 1’ opposto non esce del naturale. Il suo
grande non va oltre all’eroismo. Ila per 1’ oggetto il muo-
vere il terrore , e la compassione.
Ogni azione teatrale è propriamente il conflitto degl’ in-
teressi , e degli affetti. Ma 1’ azione della Tragedia è un
conflitto violento ; poiché si tratta dei più grandi interessi ,
e quelle che s’ urtano insieme sono forze straordinarie, forze
di Eroi , vale a dire , d’ uomini più assai degli altri.
(i) c Materia da coturni e non da socchi. Pctr : capo
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Presso gli Scultori una statua d’ uomo è di grandezza na-
turale , qualora è meno di sei piedi. S’è tra sei e dieci è
eroica ; se più , è statua colossale. Secondo questa analo-
gia , 1’ azione della Tragedia è eroica , quando è 1’ effetto
d’ una qualità dell’ anima portata ad un grado straordina-
rio , e straordinario sino ad un certo punto. Al di qua è il
comune , al di là il gigantesco. Il grande , il bello , il no-
bile , in una parola , 1’ eroico , si trovano ne! mezzo.
I vizi entrano nell’ idea dell’eroismo di cui si ragione. Ei
sono eroici , quando abbiano per principio alcuna qualità ,
che supponga un ardire, e una fermezza poco comune. Ta-
li sono 1’ arditezza di Catilina , la vendetta di Medea ec.
Un azione è eroica o per se stessa , ciò!; , se abbia un
grande oggetto , o pel carattere di chi la fa, se sia Re , o
Principe , che operi , o contro il quale si operi.
Tutti i piaceri , e le pene , che alla Tragedia si prova-
no , sono fondate su quella massima : Homo sum , Aumani
nihil a me alienum puto. La Tragedia mostra uomini, che
portano vivamente l’impronta dell’umanità, che hanno le pas-
sioni , i loro trasporli , le loro debolezze , i loro infortu-
ni ; egli presenta dal lato , che può far nascere la pietà ,
e ’1 terrore.
La pietà muove le nostre viscere, poiché scorgiamo infelice
un nostro simile. Lo spavento ci stringe il cuore , perchè
temiamo per noi il male , che veggiamo in altri : ma è
questo timore misto d’ una colai dolcezza provegnonte dal pa-
ragone , che facciamo del nostro stato con quello dello sven-
turato , che pena.
La Tragedia è caraterizzala dalla spezie del sentimento ,
non che contiene, ma che produce.
Ogni Tragedia , che sol produca lo spavento, o la com-
passione , è imperfetta ; quella che non produce, 1’ uno uè
l’ altro di questi sentimenti , non è veramente Tragedia : e
quella , che li produce soltanto in qualche luogo , non è
Tragedia che in quei luoghi.
L’ impresa d’ un uom dabbene vuol esser buona, altrimen-
ti, egli cesserebbe d’ esser dabbene. Quello d’ un tristo vuol
esser calliva, altrimenti egli cesserebbe d’ esser tristo. Quella
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d’ un uomo , eh’ è nel mediocre , vuol esser buona in se
slessa ; ma accompagnala , preceduta da qualche altra cosa,
cho renda biasimevole 1’ Attore. 11 buono , o il cattivo deb*
bono andare oltre il mediocre, altrimenti egli non v’ ha nul-
la d’ eroico.
L’ uomo virtuoso dee trionfare del tristo .• egli ne risulta
un sentimento di piacere , proporzionato a’ timori -, e alle
inquietitudini precedenti. Pure, secondo Aristotele , lo scio-
glimento fatto col piacere è più comico che tragico.
Un uomo virtuoso , o più virtuoso che vizioso , sia vit-
tima del suo dovere , come i Curiazi ; o della propria de-
bolezza , come Arianna e Fedra , o della debolezza d’ un
altro uomo , come Polieucte ; o della prevenzione d’un pa-
dre , come Ippolito ; o del trasporto passeggierò d' un Fra-
tello , come Camilla ; sia precipitato da uu sinistro , che
non ha potuto schivare , come Adromaca ; o da una colai
fatalità , alla quale tutti gli uomini son soggetti, come Edi-
po : questo è il vero ; questo ci turba sino al fondo dei-a-
nimo , e ci fa versar delle lagrime.
Quando all’ atrocità dell’ azione si accoppia il lustro della
grandezza , o 1’ elevazionee dei personaggi , 1’ azione è a un
tempo eroica e tragica , e produce in noi una compassione
mista di terrore ; conciosiachè vediamo uomini , e uomini
più grandi , più potenti più perfetti di noi, calpestali dall e
disavventure dell’ umanità.
Il contrasto dogli affari è quel che più interessa nello spet-
tacolo tragico. Ora essi lottano insieme in persone diverse ,
ora in una stessa persona , e in un cuore stesso ; il che
produce commozioni infinitameute più vive. Secondo le leg-
gi del decoro , la passioue più nobile dee vincerla sempre.
Non è necessaria 1’ effusione del sangue per eccitare il
sentimento tragico. Arianna abbandonata da Teseo nell’ I-
sola di Nasso , Filottete in quella di Lenno , sono in si-
tuazione tragiche , atteso che sono crudeli, quanto alla mor-
to medesima.
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LEZIONE XXIV.
184.
DEI MIIWCIPALI POETI TRAGICI.
Ila la Tragedia presso Eschilo aria giganlesca , traiti
duri, andare focoso. Era la Tragedia nascente ben conformata
in tutte le sue parli , ma ancora deslitula di quell’ anima*
meramente , che il tempo , c 1’ arte aggiuugono alle recen-
ti invenzioni.
Sofocle nato in buon punto per questo genere di poesia,
con un gran fondo d’ ingegno , un gusto dilicalo ; una .faci*
lità mirabile d’ espressione , ridusse la Musa Tragica alle re-
golo della decenza e del vero. Egli seppe interessare il Co-
ro in tutta 1’ azione , lavorò i suoi versi con attenzione ; in
somma si elevò col suo ingegno a un punto tale , che le
sue Opere sono divenute I* esempio del bello , e ’l modello
delle regole. Il racconto della morte di Edipo nel suo E-
dipo Colonco , e della morte di E mone e Antifona nell’An-
tigona , sono perfetti modelli di tragiche descrizioni.
Euripide da prima si era dato alla Filosofia ; quindi tulli
i suoi parli sono sparsi di massime eccellenti per la condotta
dei costumi. Egli è tenero , insinuante, veramente tragico,
lutto che meno elevalo, c vigoroso di Sofocle. Compose 7 a.
Commedie , e pure non fu che cinque volle coronato ; ma
non era sempre la giustizia , che distribuiva le corone.
In generale la Traged a dei Greci è semplice, naturale, age-
vole a seguire , poco intralciata. L’ azione si prepara , si an-
noda , si sviluppa senza stento; par che l’arte non vi abbia
la minima parte , e perciò appunto è il capolavoro dell’ Ar-
te, e dell’ ingegno.
Seneca , Poeta tragico latino , è molto inferiore ai Greci.
Le sue produzioni sono anzi colossi mostruosi che corpi pro-
porzionati , e regolari. Le superfetazioni vi fornicano. Le sue
descrizioni inorridiscono , e disgustano , c saziano le sue lun-
gherie.
LEZIONE XXV.
Dopo il risorgimento delle lettere l' Italia , come nel re-
sto , cosi anche nella drammatica poesia ha dato all’ Europa
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i! primo esempio. Le Tragedie del cinquecento e del sei-
cento hanno il merito della regolarità nella condotta , e della
purità e semplicità nello stile ; ma per la troppo stretta imi-
tazione dei Greci scarseggiano di molo c di pus-ione.
IVcI passalo secolo però abbiamo avuto delle Tragedie as-
sai pregevoli anche in questa parte , qual’ è la Merope del
Maffei , 1’ Ulisse il giovane del Lazzarini , il Cesare del-
1’ Ab. Conti , il Marzio Coriolano e la Didone di Giampie-
tro Zanotti , il Giovanni di Giscala e il Demetrio di alfon-
so dì Forano , il Manasse, il Sedecia e il Dione del P.
Granelli e varie altre.
Il maggiore poi dei tragici Italiani può dirsi a ragione VAI-
Jieri , il quale, se spiace talvolta per la durezza del verso,
nel rimanente però, o si riguardi la regolarità della condot-
ta, o la forza dei sentimenti, o l’espressione dei caratteri,
o l’ energia delle passioni , o la nobiltà del dialogo , o la gra-
vità dello stile , non cede a verun altro dei tragici così an-
tichi come moderni.
Nelle Opere di alcuni tragici Francesi, particolarmente di
C.rneille , Bacine e Voltaire , la Tragedia si è mostrala
con mollo splendore. Sono essi esatti nella regolarità della
condotta e nell’ osservanza di tutte le unità , attenti al decoro
dei sentimenti e della morale ; e il loro stile è poetico ed
elegante.
V’a però spesso nei loro drammi più conversazione che
azioue. Sono sovente declamatori , quando dovrebbero esser
patetici , raffinati quando dovrebbero esser semplici. Voltaire
francamente confessa questi difetti del teatro francese.
Le Tragedie di Corneille più accreditale sono il Cid, 10-
razio , il Polieuto , e il Ciana.
Quelle di Bacine l’ Atalia , l ' JJìgenia , la Fedra , f An-
dromaca , e il Mitridate.
Quelle di Voltaire la Zaira , YA'zira , la Merope , e l’Or-
fano della Cina.
Il primo Tragico che sul teatro inglese presentasi è Sha-
kespeare. Nelle sue Opere s’ incontrano scene e tratti ammi-
rabili ; ma appena v’ ha una tragedia che si pos*a dir tutta
buona , o si possa leggere con piacerò non interrotto dal
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principio sino alla fine. I suoi capi d’ opera sono : Otello c
Macbeth.
Dopo l’età di Shakespeare, gl'inglesi hanno avuto, dice
Blair , alcune tragedie pregevoli, ma non molti scrittori dram-
matici , le cui opere possono meritare una lode costante.
L Addisson è il primo Inglese che abbia una Tragedia ra-
gionevole , cioè , il Catone , che in oltre è scritta da capo
a piè con quella maschia , ed energica eleganza. Pure tutte
le bellezze , che vi si trovano , non potrebbero farne una
bella tragedia ; conciosiachè il più delle regole di questo ge-
nere drammatico non vi è osservato. Nella più parte delle al-
tre tragedie inglesi , gli Eroi sono ampollosi , e I’ Eroine stra-
vaganti. Lo stile delle Commedie è più naturale, ma questo
naturale par sovente più quello del libertinaggio che dell’o-
nestà.
Colui , che tra gl’ Inglesi ha portalo al più alto grado la
gloria del Teatro Comico , è Congreve. Poche opere ha egli
fatte , ma tutte eccellenti nel loro genere. Le regole del Tea-
tro vi sono rigorosamente osservate. Sono piene di caratteri
temprati con estremo accorgimento , e vi si parla sempre il
linguaggio degli uomini dabbene. Le opere del Congreve sono
le più spiritose, e le più esatte, quella di Vanburhg le più
allegre, e quelle IFycherley le più forti.
LEZIONE XX VI.
della commedia.
La Tragedia imita il bello , il grande ; la Commedia il
ridicolo. L’ una innalza I’ animo , e forma il cuore : P altra
dirozza i costumi, e corregge l’esteriore. La Commedia può
esser definita : La rappresentazione d’ una azione cittadine-
sca , atta a far ridere lo spettatore.
Il ridicolo è dunque essenzialmente l’oggetto della Com-
media. Ma che è mai il ridicolo? E, a detta A' Aristotele,
ogni difetto , che cagiona deformità senza dolore. Nella Com-
media si tratta della deformità relativa ai costumi , presen-
tata dal suo aspetto ridicolo.
Questa deformità consiste in una contraddizione dei pensic-
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ri, dei sentimenti, dei costumi, dell’aria, della maniera di
operare d’ alcuno, con la Matura, con le leggi ricevute, con
gli usi , con ciò , dio sembra esigere la situazione presente
di colui , nel quale si scorge la deformità
Non ogni ridicolo è ridevole V’Iia un ridicolo rincrescevo*
le , scondito ; questo è il ridicolo grossolano. Quel che si
mostra sulla scena , vuol essere piacevole c dilirato. Dipin-
gendo ben al vivo i costumi dei cittadini , vi si unisce al
tempo stesso una tal grottesca più agevole a sentire ebe a
definire.
Quel che i Latini appellavano Vis fonica , è il vero ri-
dicolo , ma più o meno caricato secondochè più o meno de-
licato è il comico. V’è un punto squisito, di qua da cui non
si ride punto , di là non si ride più , almeno dalle oneste
persone. Più si ha il gusto fino cd esercitato su i buoni mo-
delli . e più si sente.
Due maniere d’Atlori , e di caratteri si possono distinguere
nella Commedia , gli uni veri , gli altri Comici. I primi deb-
bono esser renduti come nella Tragedia , con verità , giu-
stezza , forza che verità , con più anellazione ebe giustezza.
Il vero è caricato , 1 quaudo i tratti sono moltiplicati , c
presentali 1’ uno accosto ali’ altro : 2 quando qualche azione
passa la verisimiglianza ordinaria , 3 nei contrasti violenti.
Il ridicolo s’incontra ogui dose. Non v’ha una Ira le no-
stre azioni , pensieri , gesti , o movimenti , che non gli possa
dare occasione. Si possono conservare intieri , o farli ridicoli
con la più leggiera addizione. Cosi chi è veramente nato Poeta
Comico ha un fondo inesausto in tutti i caratteri , che si tro-
vano nella Società.
Tra le due estremità del Comico dilicalo , e del forte ,
v’ ha molti mezzi , dei quali è agevole formarsi l’ idea ; e
forse in questo mezzo solo si trova il vero comico , che ral-
legra lo spirito , ed occupa a un tempo la fantasia.
Lo Stile della Commedia dev' essere chiaro , semplice , fa-
miliare , senza per altro esser mai basso , rampante , vile ;
condito di pensieri propri , dilicali , di espressioni più vive
che vistose , senza grandi paròle, seuza figure sostenute, sen-
za tiritere di morale.
Non già , clic la Commedia non prenda alcuua volta un
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tuono più alto ; ma nelle sue maggiori arditezze non dimen-
tica punto se medesima , cd è sempre quel che deve essere.
L» Commedia nacque dopo la Tragedia. Nei suoi principi
dipingea le persone particolari, il che richiedea mollo meno
ingegno, che non fa d’uopo a dilineare caratteri e costumi.
L'Antica Commedia ebbe lungo tempo il privilegio di attac-
care impunemente i cittadini , ed .anche gli Dei. Ma quando
osò di batter la cassa anche ai Magistrali , costoro le posero
un freno , e fecero una legge , che vietava di portar nomi
conosciuti sul Teatro.
Per deludere questa legge, la Commedia Mezzana prese
n uni immaginari , sotto i quali si dipinsero al naturale i ca-
ratteri e i costumi di chi si volea mettere in novelle.
Una seconda legge vietò di prendere per suggello reali
avvenimenti ; e ridusse per poco la Commedia allo stato che
è oggidì. In vece d’ essere una Satira dei cittadini , divenne
lo specchio innocente della vita , c dei costumi , che si no-
miuò la nuova Commedia.
LEZIONE XXVII.
DEGLI A NT CHI POEMI COMICI.
Il gusto del popolo , pel quale le Commedie di Aristofane
fu on fatte , e ’l gusto dell’Autore , ne determinano il carat-
tere. Il popolo di Atene era vano , leggiero , incostante ,
scostumato , irreverente agli Dei , insolente, tristo, più pronto
a ridere d' un’ impertinenza , che a s’ istruire di una massi-
ma utile. Aristofane stesso avea tutti questi vizi ; e però senza
ribrezzo si abbandona lutto al gusto del Publico , per cui
componeva.
Il suo Fiuto , eh’ è una delle sue Commedie più misura-
te , può far sentire sino a qual segno questo Poeta portava
la licenza dell’ immaginazione , e ’l libertinaggio dell’ inge-
gno. Ci deride il governo, morde i ricchi , insulla i poveri ,
si burla degli Dei , vomita sozzure , ma tutto con sali , c
con inolia vivezza , c spirilo.
I Romani aveano fatto dei tentativi pel comico prima
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i 8c)
di conoscere i Greci, ma non aveano die faciloni di farse,
alle a baloccare la minutaglia.
Livio Andronico , Greco di nascila , lor presentò la Com-
media , quale a un di presso era allora in Alene; ma l’e-
spressione necessariamente pizzicava della durezza del popolo
romano, il quale di quei dì non si conoscea d’altro che di
guerra , e d’ armi.
Andronico fu seguito da Nevio , e da Ennio , che inci-
vilirono più e più il Teatro romano , come pure Pecuvio ,
Cecilio , ed Azzio. Finalmente vennero Plauto , e Teren-
zio , che recarono la Commedia latina al suo più alto grado.
Plauto avendo data la Commedia a Roma immediatamente
dopo le Satire, eh’ - erano farse temperate di rozzezze, e lor-
dure , fu obbligalo ad accomodarsi al gusto dominante. Egli ,
nato con un ingegno libero , c allegro , ha sparso per tutto
il sale , e la piacevolezza ; ma rimangono nelle sue Comme-
die meschine acutezze, giochetti di parole , faceziacce , e buf-
fonerie.
Le Commedie di Plauto sono più naturali di quelle di
Aristofane. Dall’Anfitrione in fuori, son sempre uomini,
e umani avvenimenti , presentati sotto caratteri verisimili ,
senza mischiarvi le bizzarrie , ond’ è pieno il Poeta greco.
Terenzio ha un genere tutto diverso da Plauto : la sua
Commedia non è che il quadro della vita cittadinesca ; qua-
dro , in cui gli oggetti sono scelti con gusto , dipinti con
grazia, ed eleganza. Da per lutto egli è decente, dilicalo,
elegante, gentile, grazioso, e per essere compito non gli
manca , se non la vera Vis comica. Questo fa , che i suoi
drammi sicno d' un genere quasi mezzano. Non bisognerebbe
ad essi in molli luoghi altro che 1’ atrocità degli avvenimenti
per essere tragici e l’ importanza per essere eroici.
LEZIONE XXVIII.
DEI, TEATRO ITALIANO.
Come della Tragedia, cosi anche della Commedia l’Italia
è quella , che al risorgere delle lettere ha dato il primo esem-
pio. La prima opera drammatica che si sia posta in sulle sce-
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igo
ne , è la Calandra del Bib ena , vale a dire , del Cardinale r
Divi. io da Bibiena. Si vuole che l’Autore la componesse (
avanti la sua promozione al Cardinalato , anzi ne lla prima
gioventù stia al liioo.
Il accesi dall’ esempio della Calandca i fertili ingegni d’ I-
lalia produssero una inaravigliosa quantità di regolari Coiti*
inedie , delle quali le principali furono scritte dal Firenzuo-
la , dal Macchiar elli, , dal Celli, dall’ Arioito , dal Caro,
c da atri.
Tulle queste Commedie sono assai lodevoli per lo stile e
per la regolarità della condotta ; ma tutte di solo intreccio ,
c agguantisi per la più parte sopra intrighi amorosi , non li
senza la taccia di soverchia licenza in più luoghi. n
Le prime Commedie di carattere apparvero in quelle del
Fagiuoli , del Nelli, e del Goldoni. I due primi sono pre-
gevoli per la liugua , c non mancano d’ intreccio , di natu-
ralezza , e di forza comica , sebbene non sempre esenti da q
scurrilità. ^
Il Goldoni abbonda di forza comica sopra tutti altri ; e
nella pittura dei caratteri , e nella naturalezza del dialogo ha t
pochi uguali. L’ unità di luogo però non è sempre conser- '
vaia ; lo stile generalmente è trascurato ; e nelle commedie , j
ove entran le maschere , il faceto sovente degenera nello (
scurrile. i
Comico Poeta di molto merito sarebbe invece riuscito Carlo
Gozzi , se per bizzarro capriccio non si fosse perduto nelle
stravaganze e mostruosità degl’ incantesimi, ec.
Tra i più recenti scrittori di commedie regolari si è distinto
all’ opposto P Albergali e per discreta coltura di stile , e per
naturalezza di dialogo , per ingegno , intreccio , e per forza
comica.
DEL TEATRO SPAGNUOLO.
Il Teatro Spagnuolo è stato fertilissimo di drammatiche
produzioni nel genere comico. Lopez de Vaga , eh’ è il più
rinomato , dicesi avere scritto più di mille drammi , lutti però
stranamente irregolari. Egli non ha riguardo alle tre unità ,
ed alla stabilita forma di componimento drammatico. Una com-
media talvolta inchiude più anni , anzi tutta la vita d’un’uo-
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>9 r
imo. La scena sovente nel primo Allo è in Ispagna , nel se-
condo in Italia , nel terzo in Africa. Le opere sue sono una
mescolanza di parlare eroico, di seri accidenti, di guerre,
e di battaglie con molto ridicolo e molta buffoneria. Gli An-
geli , e gli Dei , le virtù , ed i vizi , la cristiana religione
e la pagana Mitologia sono frequentemente insieme accozzate.
Al tempo stesso però vi sono frequenti tratti di genio e
gran forza d' immaginazione ; molti caratteri ben delineati ,
molte situazioni felici , molte sorprese inaspettate e interes-
santi.
Dalla ricca fonte della sua invenzione gli scrittori dramma-
tici degli altri paesi hanno tratto frequentemente parecchi
materiali.
DEL TEATRO FRANCESE.
Ad onta della supina ignoranza deU’undecimo secolo, nac-
quero allora i poeti che scrissero in Romanzo , cioè in Lin-
gua romana corrotta , ch’era divenuta la sola lingua volgare.
Si fecero essi vie più conoscere nel duodecimo secolo sot-
to i nomi di Trovatori , Novellatori , Cantori, Giocolavi.
Tra questi però i Trovatori , erano i veri Poeti : e i Can-
tori e i Giocolari non faceano che cantare su i loro stru-
menti le poesie dei primi : quindi erano chiamati ancora So-
natori, Ma i più accreditati erano coloro che sapeano poe-
tare e sonare. Le loro opere erano senza regole , senza e-
Ievazione , senza esattezza .• ma in ricompensa vi si trovava
semplicità , naturalezza , e tratti d’ ingegno dilettevole.
Queste scintille di poesia comparvero principalmente nelle
due estremità del Regno , in Provenza e in Picardia. Col-
lo spirito poetico si diffuse in Francia uno spirito di ga-
lanteria.
Era in Provenza la famosa Corte d' amore ; e Picardia ,
rivale della Provenza , avea altresì i suoi Piati e Guochi
sotto 1’ Olmetto.
fcT La Corte d' Amore e i Guochi lotto V Olmetto era-
no semblee galanti di Cavalieri , e Dame , i quali si eser-
citavano nella soluzione di dubbi amorosi, che al loro tribu-
nale si proponeano.
I Trovatori fecero alcune commedie , ma a noi sol restò
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il nome di una de li Ileregia des Pregres dell’ Eresia dei
Preli. L’ Autor ■ si chiamava. Anselmo Faidit , nomo sguaz-
zatone , fugò d’ un Monislero una donzella di qualità , la
sposò , e menarono la vita passando d’ una in un' altra Cor-
te , in tutte ben ricevuti.
11 decimoquarto secolo produsse poeti meno dei precedenti.
Si trova in tal secolo un poeta Tragico , Parasole Limosi-
no , o di Cisleron , che avea composto cinque belle Trage-
die delle gesto di Giovanna i. Regina di Napoli.
La Storia del Tertro Francese , e propriamente parlare ,
comincia nel deciraoquinlo secolo. Le più antiche , eh’ oggi-
dì abbiamo , sono i Misteri della Religione. Non si crede-
va allora . che vi fosse alcuna profanazione a metter sul
Teatro le cose sacre ; il che proveniva parte delle basse idee
sotto le quali si presentavano allo spirito degli uomini , e
parte dall’ essere avvezzi alla rappresentazione nel servizie
Divino. Così la commedia era come una continuazione di
questo servizio , anzi per 1’ ordinario si rappresentava nei
Cimiteri delle Chiese.
Per far intendere quali fossero questi spettacoli, sce-
glierò quello , che si celebrava il giorno di Natale nel Duo-
mo di Roano , che Festa degli Asini era chiamalo. Compa-
rivano in Chiesa tutti i Profeti, e Ralaamo con queste: a-
vendo anch’ egli predetta la venuta del Redentore. Facea
Balanino la sua comparsa, calvalcando l’asinella , e frugan-
dola a suo potere , ma senza frutto , perchè un Angelo le
impediva di andare oltre. Intanto un uomo , nascosto sotto
la pancia dell’ asina , facea la parte di questa : Quid foci
tiòi ? cur perculis me ec. Questa grottesca di Balaamo do-
vea più dar nell’ umore agli spettatori , che ogni altra se-
ria rappresentazione dei Profeti : e però l’ asina di luì die-
de il nome alla festa.
Giovanni Michele fece verso la metà del XV. una Com-
media , che era una storia della vita di G. C. dal suo Bat-
tesimo sino alla sua Resurrezione. E senz’ atti , e le scene
non hanno commessione alcuna. Quando i personaggi , che
occupano il Teatro hanno detto ciò , che aveano a dire, si
ritirano , e vengono altri , che parlano di tutt’ altro. Dopo
un sufficiente numero di scene , terminava la giornata
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wrn * altra ragione , die d’ esserne dello abbastanza. L’ As-
semblea si separava , e ’l dì seguente se ne dava allretlan-
ta. Ciò si recitava in più giorni.
La maggior parie delle Commedie della Passione erano
spezie di Melodrammi. Eranvi macchine, e Musica. Alcune
di lai, pie rappresentazioni, erano mule, ed ornavano le
pubbliche allegrezze.
Non però tutte le antiche Commedie francesi erano tratte
dalla Scrittura, e dalla vita dei Santi. Vi erano altresì far-
se quelle chiamavano Momeries che come Cornelio la Tra-
gedia , r ha al tempo stesso creata, e condotta alla sua mag-
gior perfezione. Egli nacque nel 1620 e la sua prima 0»
ra, intitolata lo Stordito , andò sulla scena nel i 653 . S’e-
evò quindi sino al Misantropo , che si può riputare come
la p.u perfetta opera della commedia francese. L'Ippocrito,
1 cui tre primi Atti furono rappresentati nel 1669. è pure
un opera degna di elogi per singolarità , e 1’ arditezza del
suggello , non meno che la saviezza , onde è trattata. Mo-
lière mori nel 1673.
Esaminando quando ha fatto Moliere nel corso di venti an-
ni, non si può se non ammirare la sua avventurosa fecon-
dità , 1 estensione , e i ripieghi del suo spirito. Forse è an-
cor più degno di elogi nei soggetti, che ha cavali dagli au-
tori antichi , e moderni , 0 nei tratti da essi accattati , che
in ciò, che da se medesimo produca. Sempre superiore ai
suoi modelli , dava nuova vita a ciò che avea copiato. I mo-
delli disparivano , egli diveniva originale. Cosi Plauto , e
Terenzio aveano imitato i Greci.
I due Poeti latini , più uniformi nella scelta dei caratte-
ri , e nel modo di dipingerli , hanno rappresentata solo una
parte dei costumi generali di Roma. Il Poeta francese ha
non solamente esposto sulla scena i vizi , e i ridicoli comu-
ni a tutte 1 età e i paesi: gli ha dipinti ancora con tratti sì
propi alla sua Nazione; che le sue commedie possono esser
riguardate come la storia dei costumi , delle mode , e del
gusto del suo secolo , vantaggio, che distinguerà sempre Mo-
liere dagli altri Autori Comici.
Osservando continuamente la natura , e riferendo all’ ar-
te sua tutte le attitudini, e 1' espressioni , che caratterizza-
1 3 .
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no gli effetti, egli copiava il gesto, il tuono, il linguaggio
<li tutti i sentimenti, onde 1’ uomo è capace, in tutte le con-
dizioni , e gli stali. Ha saputo unire il frizzante con lo schiet-
to , il singolare col naturale ; eh’ è il più alto grado di per-
fezione in ogni genere.
Moliere fa ridere i più austeri , istruisce tutti , non of-
fende veruno, dipinge non solo i costumi del secolo, ma cjnel
li di tutti gli stali , e le condizioni. Mette in novolle i gran-
di , i piccioli , i ridicoli , e i vizi , senza che alcuno abbia
dritto d’ offendersene.
Se gli rimprovera qualche difetto, come di non essere fe-
lice negli snodamenti , e d’ aver dato talvolta in un comico
troppo basso. Quanto a quest’ultimo , si vede, leggendo la
storia di sua vita , e di sue opere , che anzi per necessità
che per gusto si abbassava a questo genere subalterno. E
nelle commedie ancora , nelle quali domina , sempre s’ in-
contrano cose piacevolissime, e veramente originali
Moliere è stato forse men di Cornelio e Racìne pareg-
giato da chi è venuto dopo di lui.
s Con lui sepolta la Commedia amabile
» Sperò da si rio colpo invan risorgere
e Nò sovra i socchi suoi potèo più reggere.
Regnarci , o Dee Touches , hanno dopo Moliere lavorato
col maggior successo nel genere comico. Il Glorioso , e ’/
Filosofo ammogliato di quest’ ultimo son opere degne del-
l’ Autore del Misantropo , e dell’ Ippocrito.
Si è trovato del gusto nei Teatri di de Boussy , di La
Chaussèe , di Fagan che sono nel genere misto , di cui
abbiamo ' accennato.
De M ariva a x merita anch’ egli d esser distinto , ha dato
ai due Teatri Francese , e Italiano , Commedie di una fog.
già veramente originale, ma nelle quali si condanna, come
in tutte le altre opere di questo Autore , la profusione del-
lo spirito.
DEI. TEATRO NGLISE.
Del Teatro Inglese , dice Blair naturalmente aspettar ci
dobbiamo una maggior varietà di caratteri originali , e più
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forti tratti di spirito e di capriccio , che da alcun altro mo-
derno.
La natura di governo Inglese, e la illimitata libertà, che
vi ha ciascuno di vivere a piacer suo , dan largo campo a
spiegare qualunque singolarità di carattere , e condiscendere
al proprio umore in tutte le forme. Ma è grande sciagu-
ra , soggiungne egli , che insieme con la libertà e franchez-
za dello spirito comico , nella gran Brettagna siasi introdot-
to uno spirilo tale di licenziosità e d’ indecenza , che ha re-
so disaggradevole la Commedia Inglese oltre a quella di ogni
altra colta nazione.
Shakespear fioriva quasi al tempo stesso in Inghilterra.
Egli creò il Teatro di sua Nazione; avendo un ingegno pie-
no di forza e di fecondità , di naturalezza , e di sublimità ,
senza la minima scintilla di buon gusto , e cognizione delle
regole. Il merito di questo autore ha rovinato il Teatro in-
glese , accreditando , e perpetuando i difetti di lui.
Avverte però lo stesso Blair , che negli ultimi anni una
sensibile riforma nella Commedia erasi incominciata , e che
le più recenti di qualche riputazione erano molto purgate
dalla soverchia licenza dei primi tempi.
Non è da por fine a questo articolo senza fare nn cenno
della Commedia Seria o affettuosa , che nel passato secolo
si è introdotto , e che dai suoi oppositori fu per iseherno
intitolata Commedia lacrimosa.
La natura di questo componimento non esclude per ve-
run conto 1’ amenità e il ridicolo ; ma versa principalmente
nelle situazioni tenere , interessanti, cerca di toccare il cuo-
re per mezzo dei principali accidenti ; e fa che il nostro
piacere non tanto nasca dal riso , che eccita , quanto dalle
lacrime di tenerezza che fa versare.
In Francese parecchie sono le Commedie di questo gene-
re , come la Melanidc e il Pregiudizio alla moda di la
Chaussè , il Padre di famiglia , e il Figliuolo naturale
di Diderot , la Genia di Mad. Grafgng , la Nanina e il
Figlimi prodigo di Voltaire ec.
In italiano varie se ne incontrano presso il Goldoni , l'Al'
tergali , il V illi e il Federici.
*
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* 9 °
LEZIONE XXXI.
DE! DRAMMI IR MUSICA , DEGLI ORATOMI, E DELLE CARTATE.
D’ invenzione totalmente italiana sono i Drammi in musi-
ca , e sono quelli che a grandi spese or occupano principal-
mente i moderni Teatri.
Il Dramma in musica quasi per antonomasia comunemente si
chiama Opera e questa dividesi in Seria e Buffa.
Nell’ Opera Seria il suggetto deve esser grande ; deve in-
volgere molti accidenti , e per quanto è possibile nuovi , ina-
spettati , spettacolosi.
Ciò che è da fuggire sopra ogni cosa è il languore : e co-
me languidissimi riescono i lunghi recitativi , ai quali dalla
più parte pur non si bada ; cosi questi debbono generalmente
esser brevi, e più azione che dialogo vuoisi nell’ Opera in-
trodurre.
A maggiore varietà oltre i recitativi semplici 'ed obbligati,,
ed oltre le cavatine . e le arie , e i rondò , e i duetti ove
voglionsi ancora e terzetti , e quartetti , e cori , e finale ;
cose tutte, che quanto son ben condotte, ed eseguite accre-
scono piacere , altrettanto al Poeta accrescono difficoltà per
essere costretto alle volte a servire alle gare e ai capricci dei
musici , e all’ interesse dell’ impresario.
Quindi non è maraviglia se pochi drammi or si veggano
di una ragionevole condotta , ed è maraviglia piuttosto che
Zeno e Metastaào , abbiano, in questo genere, potuto ac-
quistar si gran nome ; benché non esenti essi pure da alcuni
difetti per la costituzione stessa dell’Opera difficilmente ine-
vitabile.
L 'Opera Buffa è soggetta alle stesse regole e difficoltà ,
ma in un genere opposto. Concìossiachè laddove ne\l’ Opera
• Seria dee signoreggiare il grande , il patetico , il terribile ,
nella Buffa di ridicolo è quello che cercasi principalmente.
Ma questo nelle situazioni , negli accidenti , nelle azioni deve
consistere più tosto che nelle parole , che facciano ridere ,
senza discendere però a caricature o goffe , o vili , o inde-
centi. L 'Opera Buffa non ha avuto finora uno Scrittore che
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alla celebrità di Zeno e di Metaslasio nella Seria possa pa-
ragonarsi.
Ai drammi in Mnsica appartengono pur gli Oratori , e le
Cantate.
Gli Oratori son piccoli drammi divisi in due parti , il cui
suggello suol essere quale fatto cavato dalla Storia sacra. La
loro tessitura è come quella dell’ Opera Seria , se non che
minore spettacolo essi richieggono , e per conseguenza minor
intreccio , e minor azione. Un dolce patetico si desidera in-
tali componimenti.
Le Cantate altre sono a più voci , ed a voce sola ; e quali
divise in due parti ,• quali ad una sola ristrette. Le più lun-
ghe Cantate divise in due parti sono soggetti alle stesse re^
gole degli Oratori.
Tanto degli Oratori quanto delle Cantate dei buoni esempi
s’ incontrano nel Metaslasio.
Nelle Opere Serie Io stile nel recitativo vuol esser grave, .
vibrato , Conciso ; nelle Buffe ameno, facile, naturale, ma
non triviale , o negletto.
Le Àrie dei drammi ser* vogliono sentimenti di tenerezza
e di dolore, o di contentezza e di giubilo , o d’ira c di ter-
rore , o di altri affetti ove l’espressione musicale possa cam-
peggiar liberamente. Quelle dei drammi Buffi esigono senti-
menti e parole , che dieno campo all’ amenità , e al ridico-
lo, senza avvilire la poesia e la musica con le scurrilità, o
le bassezze volgari.
Lo stesso si-dica di tutte le altre parti spezialmente desti-
nate al canto.
LEZIONE XXXII.
DELLA POESIA GIOCOSA.
Sotto il nome di poesia Giocosa comprendonsi tutti i com-
ponimenti ameni e scherzevoli, atti ad eccitare un onesto e
giocondo riso.
Primi tra questi sono la Commedia , e il dramma buffo , di
cui abbiamo testé parlato.
V’ ha pur dei Poemi giocosi , il cui primo esempio fu dal o
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i 9 h
da Omero nella Batracomiomachia , e Guerra dei ranoc-
chi , e dei topi , seguilo poi dal Lippi nel Malmantilc , del
Tastoni nella Secchia rapila , dal Bracciolini nello Scherno
degli Dei , dal Passeroni nella Vita di Cicerone , da Boi-
leau nel Lutrin o Leggìo , da Pope nel Riccio rapilo ec.
Alla poesia Giocosa vanno anche i Ditirambi , in cui si
fìnge un uomo alteralo dal vino senza tener regola di me-
tro, nè fìsso ordine di pensieri , nel che vien preferito ad
ogni altro il Bacco in Toscana del Redi.
Seguono i Capitoli ed i Sonetti burleschi, nel che il Bor-
ni si è tanto distinto , che hanno acquistato il nome di Ber-
neschi , o alla berniesca.
Le Satire e le epistole , spezialmente quelle di Orazio ,
del Chiabrera , e del Gozzi sono pure di questo genere.
Finalmente molte Odi di Anacreonte , le poesie famigliaci
e scherzevoli del Frugoni , vari epigrammi di Catullo, di
Marziale, del Poliziano , vari epitaffi satirici , le poesie pe-
dantesche di Fidenzio , le Maccaroniche di Merlino Coccai
e di Stoppino , tutte a questo genere sono da riferirsi.
Egli è però un genere difficilissimo , a cui non deve arri-
schiarsi chi certo grado di festività e di lepore non possiede
naturalmente. La poesia giocosa vuole dei motti arguti e pic-
canti , che piacevolmente feriscono , altrimenti si cade invece
nel concettoso , nel lambiccato , nel freddo.
Le cose sulle quali noi ridiamo, dice Sulzer , hanno sem-
pre a nostro giudizio un non so che di incoerente che ci
porta al riso. Quando veggiamo un pazzo volerla fare da sa-
vio, un vecchio da giovane, un vile da coraggioso , siamo
allora porti al riso , perchè quelle cose star non possono in-
sieme.
Ma il riso si fonda unicamente su immagini e sentimenti
piacevoli; allorché sottenlra alcun sentimento disgustoso, il
riso cessa immediatamente. Se un Uomo grave e posato inav-
vedutamente incespica e cade , gli astanti in sulle prime non
sanno frenar lo risa ; ma se avveggonsi ch’ei si sia fatto al-
cun male , sottentra la compassione , e il riso rimane estinto.
I mezzi adunque per eccitare il riso sono in i luogo il di-
pingere quel'e azioni degli uomini che hanno dello strava-
gante e contraddittorio ; massimamente ove possa mostrarsi.
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che della sua stravaganza non si avvede colui che opera , co-
me un vecchio barbogio che voglia far lo zerbino e l’innam-
morato , un golfo che faccia spropositando il saccente, un
miserabile che vanti sfoggi e ricchezze , un codardo che spacci
prodezze immaginarie , un che tremando pretende ispirare
ad altri il coraggio, un pigro che accusi altrui di lentezza,
e simili.
а. Nasce il riso eziandio da una mala intelligenza, ove duri
per qualche tempo, quale nell’Avaro di Moliere è la scena
fra Arpagone e Valerio , in cui Valerio parla della figlia di
Arpagone , e questi crede sempre eh’ ei favelli della cassetta
involatagli.
3. Nasce similmente quando le azioni di taluno producono
un effetto tutto contrario a quello eh’ ei si propone, come
quaudo cercando di scusarsi e difendersi s’inviluppa e s’ac-
cusa vie più; o cercando nascondersi, vie piu si scopre; o
per ansietà di acquistare soverchiamente, perde anche quel
che possiede ; o adoperandosi di placar l’ altrui collera , vie
più l’ irrita, ec.
4* Gl’inganni, che veggonsi altrui tessere , fan ridere an-
ch’ essi ; ( quando però grave danno non ne derivi ) e ciò
avviene massimamente se l’ ingannato sia uomo accorto , e si
lasci tuttavia trar nella rete senza avvedersene ; molto più
se vi caschi da se medesimo nell’ alto che più si adopera per
iscliivarla ; e più ancora se sia colto egli stesso a quella rete
che aveva altrui preparata.
5. Il cominciare da cose gravi , e con islile sollevato e ma-
gnifico per terminare a cose da nulla ; come in quel Sonetto
del Berni che comincia :
s Dal più profondo 0 tenebroso centro ,
1 Ove Dante ha locato i Bruti e i Cassii
e segue.
1 Fa , Florimonte mio , nascere i sassi
1 La mula vostra per urlarvi dentro.
б. Tale è pure 1’ aggruppar cose nobili e vili , o leggia-
dre e deformi tutte in un sol fascio , con serietà e seguita-
mente , come fa il Tassoni , ove termina la descrizione della
primavera dicendo :
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soo
i E j' udivan gli augelli al primo albore ,
J E gli asini , cantar versi d’ amore ;
o dove comincia la descrizione della notte con dire :
i Già la luce del Sol dato avea loco
s AH’ ombra della terra umida e nera ;
» E le lucciole uscian col cui di fuoco j
> Stelle di questa nostra ultima sfera.
La sciocchezza di una strana esagerazione acconciamente
sì belfa con nna esagerazione maggiore. Così al falso vanto
del soldato millantatore di Plauto : » Io nacqui il giorno
» appresso che da Ope era nato Giove», soggiunge il servo
> piacevolmente : Sciagura 1 che non nascesti un dì prima ,
« che in luogo di Giove or regneresti tu in cielo »
8. Molto pur giova a destare il riso una fina ironia ,
tome nel sonetto del Berni , che comincia :
» Chiome d’ argento fino irte , ed attorte
i Senz’ arte intorno ad un bel viso d’ oro
e finisce : s Son le bellezze della donna mia ;
dove acutissimo soprattuto è il verso :
» denti d’ ebano rari , e pellegrini ,
per esprimere che neri e pochi ne avea in bocca , e questi
pur dondolanti..
g. Una personificazione ingegnosamente adattata a cosa ,
che men suscettibile ne sembri anch’ essa atta a far ridere,
come là dove lo stesso Berni per descrivere un bicchier di
legno , da cui il liquore trappelava per le fessure e pei po-
ri , e che posar non poteva, perchè maucante di opportuno
sostegno , dice :
s Sudava tutto , e non potea sedere.
Dei fonti del ridicolo parla assai lungamente Buldassar
Castiglione nel libro II. del suo Cortegiano , che utilmen-
te all’ occasione potrà consultarsi.
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APPENDICE
201
DEL CENTONE.
Simile alla Parodia (i) è il Centone. È questo un Poema
composto dall' accozzamento dei versi di un’altro nolo poe-
ma , affinchè rendano un senso tutto diverso da quello, che
nel loro primo Poema rendevano.
Centron appo i Greci , Centone appo i Latini , che ne
tolsero la R , significava una veste , o coltre , formala di
differenti panni. Non solo i mendici, ma gli stessi soldati ro-
mani usavano questi Centoni di toppe vecchie , P uno sul-
1’ altro per difendersi dalle ferite. Per similitudine poi detti
furono Centoni i Poemi , di cui si tratta.
Forse i Centoni non sono più antichi del primo secolo
dell’ Era Cristiana. Almeno il primo Centone del quale si
abbia contezza , è la Medea , Tragedia di Virgilio , com-
posta da Osidio Gela , che fu Console sotto Claudio. Nel
secondo secolo poi ebbero maggior voga , e se ne videro
dei Greci , e dei Latiui, ed Omerocentoni, Virgiliocentoni
ec. erano detti , secondo che di versi di questo , o di quel
Poeta venivano composti. Si vuole , che il Sannazzaro ab-
bia dato alla nostra lingua il primo Centone nel Sonetto :
n L* Alma mia fiamma oltre le belle bella.
Ma in progresso molti Centonisli si videro , tra i quali
si distinse Giulio Bidelli , i cui Centoni cavati dal Petrar-
ca furono stampali in Verona nel i588.
Io non so , se la Poesia abbia componimento più difficile
e più maraviglioso di un buon Centone. Le sue leggi sono: i.
di non adoperar mai due versi immediati 2 . nè altro che un
verso d’ un breve poema ; di modo che d’ un sonetto , d’ u-
na stanza , d’ un Madrigale, non si possano tirare due ver-
si , per discosti che sieno tra loro 3. di prendere un verso
intero , o di più versi dimezzati farne uno.
0) La Parodia è una composizione in versi fatta sopra un’in-
tiera opera , o sopra una parte considerabile d’ un opera di poesia
nota , che si storna a un altro suggetto , e a un altro senso , col
cangiamento di qualche espressione.
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2oa
È però usilata la prima maniera , perchè è più difficile
la connessione dei versi interi , che dei dimezzali 4- di non
mescolare insieme versi di più autori. 5., e finalmente di non
cambiar nulla nei versi.
Tutte queste leggi riguardano gl’ Italiani : i C entonistì
greci , e latini , solo la prima di tai leggi conobbero : e gl’i-
taliani medesimi qualche leggiera licenza si attribuirono.
La diversità maggiore tra il Centone e la Parodia consiste
in ciò, che i. la Parodia dee cambiare in ogui verso qual,
che parola; il Centone le conserve tutte: che 2 . la Paro-
dia , almeno per l’ ordinario , volta a senso burlesco i versi
di serio poema ; al che non è astretto il Centone.
vini.
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11DICE
Lettera
Lezione I.
Lez. II.
Lez. III.
Lez. IV.
Lez. V.
Lez. VI.
Lez. VII.
Lez. Vili,
Lez. IX.
Lez. X.
Lez. Xr.
Lez. XII.
Lez. XIII.
Lez. XIV.
Lez. XV.
Lez. XVI.
Lez. XVII.
Lez. XVIII.
Lez. XIX.
Lez. XX.
Lez. XXI.
Lez. XXII.
Lee. XXIII.
Dol Compilatore Pagina P a 9-
Dello studio delle Belle-Lettere . .
Del Gusto
Del Bello
Della Natura e dell’ Arte ....
Dell’ Arte oratoria presso i Greci . .
Degli Oratori della Grecia ....
Di Demostene , e di altri Oratori .
Dell’Arte oratorio appresso i Romani.
Dell’Arte oratoria nei tempi posteriori
DELLE OPERE IN PROSA.
Introduzione
Delie Opere in prosa 16
La poesia, e l’Eloquenza in che differiscono € ivi
Dell’ Orazione . . * > 7
Del Genere Dimostrativo c 18
Del Genere Deliberativo ...... c ivi
Del Genere Giudiziale c 19
Dell’ Invenzione . . . € ivi
Dei Luoghi esteriori ( ss
Del Carattere dell’ Oratore c s 3
Della Disposizione s 4
Dell’Oratoria Elocuzione 1 s6
Delle Regole dell'Elocuzione *87
Dei principali Tropi ( 18
La Metafora < ivi
Dell’Ironia, dell’Iperbole, del Sarcasmo, e
della Perifrasi c 3 o
< 6
« 7
< 8
« 9
t io
€ II
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* »4
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20 4
Lez. XXIV. Dei Vi/i della Metafora ..... /mj. 3 i
Le/. XXV. Del Congiungere le Metafore, con le Meta-
fore , e con le voci proprie .... c 33
Le/. XXVI. Delle Figure di Parole « 34
Le/. XXVII. Delle Figure dei Pensieri (36
Lez. XXVIII. Delle Figure di Pensiero dettate dalla sempli-
ce immaginazione ( 4 i
Lez. XXIX. Del'e ultime figure di Piensiro. ... c 44
Lez. XXX. Dell’Armonia « 46
Lez. XXXI. Dell’ Armonia semplice 47
Lez. XXXII. Dell’Armonia della Favella Italiana . . c 49
Lez. XXXIII. Della Armonia imitativa (So
Lez. XXXIV. Dello Stile ( S'a
Lez. XXXV. Della Pronunziazione. * 54
Lez. XXXVI. Della Narrazione c 56
Lez. XXXVII. Della Storia della Religione . . . . ( 57
Lez. XXXIII. Della Storia Profana (ivi
Lez. XXXIX. Della Storia Naturale ( 6o
Lez. XXXX. Dello Stilo Epistolare ( 6r
Lez. XXXXI." >-DelIa Traduzione (64
Lrz. XXXXII. Dei Giornali (67
Lez. XXXXIII. Dell' Accademie , e delle loro opere . . ( 69
Lez. XXXXIV. Dei Romanzi (70
Lez. XXXXV. V Dei Dizionari (73
Lez. XXXX VI. Dei Compendi , (74
Lez. XXXXVII. Dei Saggi . I ivi
Lez. XXXXVIII. Dei Consigli (75
Lez. XXXXIX. v Dpi Dialoghi . . ( 76
Lez. L. Degli Spiriti ■ .... f 77
Lez. LI. Delle Lettere Allegoriche ( ivi
Lez. LII. Della Mitologia (78
Lez. LUI. Delle Antichità e delle Medaglie . • . ( 79
Lez. LIV. Della Diplomatica (80
Lez. LV. Delle Genealogie (81
Del Blasone (ivi
Lez. LVI. Della Crittografia t 82
Lez. LVII, Dello Biblioteghe (83
Lez LVIII. Dell’ Origine, Avanzamento e Materia dello
Scritto ( 84
Lez. LIX. Della Stampa . ( 87
Lez. LX. Degli Itinerari (88
Lez. LXI. Della Geografia , e della Cronologia . ( 89
Lei. LXII. Della Critica (90
Lez. LXI 1 I. Della Grammatica ( ivi
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L Zi. LXIV. ‘ Dell’ ultimo fine dello studio delle Belle-
Lettere. ......... pag. 2?
Dell’origine della Lingua Italiana. . . t ivi
Dei Progressi della Lingua Italiana e degli ec-
cellenti scrittori di quella nel secolo deci-
mo quarto £ 90
Dei Progressi della Lingna Italiana nel secolo
XVI. e nei seguenti « iot
Del modo di acquistare le qualità necessarie
a scrivere gentilmente. ..... c 1 1 a
Pochi cenni che si comprendono nel significato
della facoltà nominata Eloquenza . . « ufi
DELL’ ARTE POETICA.
Del Carattere Poetico t 12I
Specie del carattere poetico « 126
Lez. L Della Poesia < 129
Lez. II. Dell’ Ordine c progresso della Poesia . c
Lez. III. Dell’ origine del metro S i 32
Lez. IV. Della Poesia Pastorale €
Lez. V. Della Poesia Lirica. 1 « i3j
Lez. VI. Dei più celebri poeti lirici * i 44
Dei Poemetti « i 46
Dei Capitoli . c ivi
Lez. VII. Dei Sonetti c i 4 l
Lez, Vili. Della Poesia didascalica ( 1 49 '
Lez. IX. Della Satira c Lia
Lez. X. Dei principali poeti Satirici < iiii
Lez. XI. Dell’ Epistola in versi ( i 13
Lez. XII. Dell’ Apologo c i !4
Dei più celebri Favolisti . . . . * ili
Lez. XIII. Dell’ Epopea , Epica Poesia . . . . c l!6
Lez. XIV.
Lez. XV.
Lez. XVI.
Lez. XVII. Dei principali poeti epici 161
Lez. XVIII.
Lez. XIX. Del Dramma in generale 1 176
Lez. XX. Della Tragedia 1 l8i
Lez. XXI. Dei principali poeti Tragici c «84
Liz. XXII.
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Lez. XXVI. Della Commedia pag. 1S6
Lez. XXVII. Degli antichi poeti Comici 188
Lez. XXVIII. Del Teatro Italiano ....... c 189
Del Teatro Spagnolo 190
Del Teatro Francese . . . . . . . c 191
« Del Teatro Inglese t uj 4
Lo. XXIX. Dei Drammi in musica, degli Oratori, e
delle Cantade t 196
Lez. XXX. Della Poesia giocosa c 197
Appendice. Del Centone € boi
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ivi
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26
Orlande
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ver.
33
Furtiguerri
P“g.
i83
ver.
16
Adromaca
Pag-
192
ver.
10
Tertro Francese
Correzioni.
imbastardiscono.
vanae.
ragionamento.
tropo.
nobilita.
l’ Indo fero.
Lezione. XXX.
Armonia.
ragionata.
journal.
dissime.
bel
di Alessandria
a
slontanarsi
si dà corpo
Filicaia
Egioche
di versi
Con tutto
1’ iperbole.
l’ attenzione.
sdruccioli.
assunto.
avviso.
cambiare.
misurati.
metter.
Odissea,
contese .
Orlando.
Fortiguerri.
Audromaca.
Teatro Francese.
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