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ELEMENTI
DELL*
ARTE R ETTO R I C A
Tratti dalle Opere de’ migliori Maeftri ,
e rifchiarati ad ufo della gioventù
D A
ELIA GIARDINI
Pubblico Professore d' Umanità' nelle
Scuole Minori della Università'
DI Pavia .
DELLA ELOCUZIONE,
%
TOMO I.
B AS S ANO Hot,
APPiaSSO GIUSEPPE REMONDINI £ PIGLI.
Cun Ragia Pamiffiona,
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PREFAZIONE.
. : ‘ » •
L
lA fhcoJtà di ragionare, e d’ cfpriincre con
articolate voci i pròpri (èntimenti , c di co-
ftiufiicarli per mezzo 'di quelle agii altri , è
quellà , che diftingué T uomo dal recante degli
animali, e che forma il principal vincolo dell*
umana ibcietà(i}. Avvegnaché però quefto fu
Un dono ^1 benefico Autore della natura a tut-
ta la fpecie de^li uomini compartito ; pure non
in tutti qualmente Una tal facoltà manìfefta le
fue fòrze , e i fuoi'effctti produce , Tutti ragio-
nano^ tutti parlano, e pochiflìmi fon quelli»
che col proprio difcorfo arrivano a perfuadere;
il che fenza dubbio è chiariffimo argomento,
die qu^to incile lì è il parlare, altrettanto dif-
fBcile iì è il parlare con vera Eloquenza ( 2 ).
In-
0 } Hoc UDO honincs maxime befliia praeflant .... Q.uz
th alia potoit aur dirperfot homines unum in locum congrc.
t*re, auc s fera, agreflique vita ad hunc humanum cnltum,
«ìvilemqHe deducere, aut jam cooflitutìa civitatìbus legea
iadieia , jura de&rtbere * Ctc. Lii. T; De Orat. eap. 8 . 9.
Qaibus de caufis, quia non iure miretiir , fcriveTtil-
liéiteti. cap.^ ^ ex omni memoria statum , lempo-
rum , civiiatum , cam exiguura Oratorum nunerum iaveoi-
rìf e eenténtde fimalmente al e. 5. quia enim.aiiad effe
puter, nifi tei quandam iocrcdlbilem magniiudmcm , dim-
a a ciii*
Intefero quefto i primi fìlofofi , che attenta-
mente confiderando i mirabili prodigi dalla na-
tura operati ‘fpecialmeme nell’ uomo, .videro,
che , ficcome in alcuni ella abbifognava di fti-
iTiolo, cosi uopo aveva in altri di freno (0.
Coir arte penfarono dunque di fupplire al difet-
to della natura iftelTa ; e con profpero avveni-
mento s’accinfero a fi)ggettare una libera eco-
ii vantaggiofa facoltà a derte determinate leg-
gi , per cui quelli eh’ erano troppo rigogliofi ed
arditi per ubertofa facondia di parole, venllTe’-
ro repreflì ; « quelli, al .contrario, cb’ erano^fo-
verchio timidi e riguardofi , foffero incitati*.
Quella fi fu la vera origine dell’ Arte Orato-
ria , la- quale figliuola eflendo della natura , non
già dell’artificio; feinpre.più bella e più lode-
vole perciò appare , quanto più s’ avvicina alja
primiera fua femplicità, e più al vivo ci rap-
prefenta l’indole del cuore umano, e le di ver*?
' fe paffioni che in lui fignoreggiano (4) .
Non i
cultatem , E nel Bruto offtrva che in tanta & tam vetart rcp,
iTiaxiniis praemiis eloqueutias propofitis, omots cupifle dice.
ae. non plutimos aatos efle , potuife^paiicos , &c. ILib^lT. D§
Offit. f. 14. ^ j .
tfl *>«9 * ffTfiu onr» net^
X/rS". Così Longino nel eap. i. Del Sublime , Ifocrare infatti,
comf rìfer-fee Cic. nel I. De Orar. c.p. diceva, /e celearibus ire
Epborò^ cantra autem in Tbeepómpo frinir uti falere.’
(jf) Ófll'rva il C. Srg. Dortor Blair P. d’ Eloquenza nella U-
i.irrrfità d’ Edimburpo nella fùa Dijfert. Crit. foprn i Poemi
di Offtnn , che gli^uomini non hanno mai-ufate tante bellezze di
liile, quanto ne* fecoli rozzi, nei quali oltre la forza d* una
fervida immaginazione, la fcarfezza dei propri e precilì termi-
ai per l’ idee," che volevano efprimere , gli obbligava a ricor,
rere alla circonli>cuzjone , alla metafora, alia comparazion»,
c a tutte quelle forme, ette trasfondono nel difeorfo uo* vi* '
poetica. ^ -
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)( V )(
, Non v’ ha àlcuno, tra i moderni letterati , il
^al pqnga in- dubbio < che gli Ebrei fianoftati
i- popoli più colti deir antichità . La podia fpe;
cialmente, compagna indiyifibile , anzi direi
«juafi madfe,(5) dell’| Oratoria , venne da loro
felicemente; coltivata li genio della nazione,
V influenza del clima , il fervido loro immagi-
nare, r arditezza dell’ efprdiione , e P indole d’
nna lingua fufcettibile, di qualunque metro , dol-
ce, e.foave piucchè altra mai, a poetare natu-
ralmente gli trafportava (6) . I Cantici de’ Pro-
feti', i Salmi di Davide e di Salomone , e ta»t*
. altri fagri libri, che tuttpr ci rimangono, ne
fanno ampia teftimoniadza (7). Dagli' Ebrei
O) E flatd detto, che la t»oefia è più antica delia proft »
e . per quanto ftrana fembrac pofla una lale affVrzione y ella è
juull^dimeoo yeriffima . Sin qui il cir. Sig. Blair. Predo tutte
le naiioni a’ introduce prima la Poefia, che l’Oratoria. L*
allettamento ftelTo , che quella porta feco di fuacatuJA fervi
ad aprirle la ftiada , e dalla foave armonia dei verfo rapiti ì
jpopolj ancora barbari , raddolcirono P indole loro feroce , e be-
vettero le prime mamme di Religione e di, Società. <^aindi
«e vennero quegli Atnfioai, e quegli Órfei tanto decadati ,
, i quali altro alfine non erano , che poeti . Roeti furono pure '
t primi Legislatori, ed i più antichi Filofoli ,■ e quei le leggi,
quelli i loro presecti divoigarono in vcrlì, come in prù luoghi
attefta Fintalo. Anai gli fiorici ifieffi ne’ primi tempi ftri- f
veano in verfij e fe creder dobbiamo a Strabene , e ad altri,
Ferecide, Cadmo, ed Eccateo furono i primi fcrittori «U profa
tra i Greci, e ,trq i Romani Appio teco . E chi nonm fìoal-
Bieme , che per tfctta I* Alia erano già noti c Omero, e Eliodo,
ed altri, quando non s’ era per anco udito un Ifocrate, ed
HI» Demofiene . f'. ktfitx. €rh^^ar P Abbé du Bof.Stà. 37.
CO Leggali l’ cruditifiima Differt. di Savtrio Mattti pre-
taied^a alla fua traduaione de’ Salmi .
E' vero che i Profeti erano da Dio inrpirati ; ma que-
Rotoon toglie, che gii Ebrei fòdero più atti degli altri popo-
• 11, Cd t primi a coltivare«la poefia, nè che i Frofeci fieifi
fodero scramente poeti anche fenza la divina iofpiraziooe .
a 3
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X VI X
Mirarono le fcienze in Egitto : ìlall’ Egitto (8)
in Grecia , e dalia Grecia poi nel Lazio , d’on*
de fi propagarono coir Impero di Roma àtnt*
te l’ altre foggìogate nazioni. - -
L’Eloquenza però non era ancora fiata ridot-
ta a precetti, nè prefib gli Ebrei, né prefib t
Greci , quando fi fe' fentire , e col nuovo tito-
lo di Arte comparve per la prima volta in
Sicilia. Liberata Siracufa da’fuoi Tiranni,* e
fatto arbitro il popolo di decidere delle caufe,
e delle liti , che tutto giorno inforgevano , in-
cominciarono alcuni di quegli ifolani acuti d*
ingegno, e di lor natura contenziofi ad efercì-
tarfi, pubblicamente nel foro(p) . Le cariche più
riguardevoli , gli onori , e le dignità concede-
vanfi a quc* foli, che procacciar (è le fapeva-
no , capaci effendo di movere , e perfuadere
col fuo difoorfo il popolo. Videfi allora, quan-
to
i
Cfl) Piò fono antichi i Greci poeti , e pi& le loro poefic s*
occoftaoo a quelle degli Ebrei, ficcomc offerva M. Caricncae
Mffaif fur P Hifloir» tks bttUs Lstirts . Molte cote tuoltre
trovann ra Omero, che fono mamfcaaaeate cavate dall»
Bibbia : il che dimoftra che i primi maeflrt furono appunto
gli Ebrei . Si fa poi , che Platone , e prtni» di lui Omero ,
quando la Grecia era ancor bambina ^ padarono io Egitto per
apprendere da que* facerdoti quelle coguizioni , che tanto
gelofbmcate coftodivane . Oioaoro perciò attribuirce a molti
coiumi Egiziani l’origine di varie opinioni poetiche fparfe
éA Omero Aedo ne’divini faoi libri, e nella Grecia poi in-
trodotte. Tali fouo le pene del tartaro, i campi Eliii , il
paSaggio dell’ombre, il dritto del peds^gid, le feAedi Bac-
co , e di Cerere femiglianii a quelle d'ifide e di Ofifide ce.
Jcbrati dai popoli dì Egitto. f
(O .Cum rublatia io Sicilia Tfrannit rea privatat longo inter.
vàlio indieiie rcpetcrentur , tum primum, qóod effet acuta iila
K on & comroveffa natura, artcm & prmcepta Siculot Coracrn
Ty6am coafttipiifr , alt ArìAoteics * Cic. D$ TA Or§i, i».
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X VII X
li potere cJell’ £ioqiien2a, e quanto
vaotaggiofa e neceffarìa ella foiTe a chiunque
afpirava al governo della repubblica.
Corace e Tifia Stracufàni , e fopra tutti gli
altri eloquenti adunque Scendo feria rifleflfione
a tutto ciò che ma^ior forza aveva di com-
movere P animo degli aicoltanti , penfarono di
comunicare agli altri quanto per lunga efperi-
enza, c colPaffìdua confidcrazione avevano ap-r
prefo (io). Effi furono i primi, che, aperta
fcuola d’ Eloquenza in Siracufà , fi fecero mae-
ftri di quell’ arte , quanto nuova , altrettanto
utile al buon governo della ' repubblica , ed alla
conlcrvazione della libertà (n).
■ Crebbe in Sicilia, e fi propagò con felice
fuccelTo V Arte Oratoria a mifura , che crebbe
fra que’ popoli la .libertà ifteflà ; ma quando
poi inforfero = nuovi Tiranni, e che dai Carta-
ginelì fu queir ifola occupata, r Eloquenza, che
libera elTèr voleva, -fi rifuggiò nella Grecia.
Lilia nato bensì in Atene, ma d’origine Si-
racufano (12), e dìfcepolo di Tifia e di Nicia
fa i*
Ciò) DoOorci arti, feto jam & circa Tyfìam & Coraca psi- ' ^
mum repertes. Q^int. Inft. Reth. Lib. II, e. vj. III. e. i.
Ctc. tl$ Invtnt. Lib. II. a. De Orat. I. ao.
Cii) Sebbene Carmada preCo Cicerone al luogo^ cit. dell*
Oratore , fecondo che ivi riferifee Antonio, fembri, che vo-
glia dire, non eCere flati Conce e Tifia veramente eleqaen.^
ti; pure fi avverta, che Antonio cercava d’avvilire i precet-
tori , volendo perfuadere a CraSb , eh’ erano flati Tempre piti
eloquenti coloro, che non aveano apprefo i precetti dell’ Ar-
te. Per altro Panfania e Oiooifio fanno menzioae dì Tifi»
come d’ uoiho eloquentiflimo a tempi fuoi.
00 t-rfi^r d/ce eie. nel Bruto ^ eft enim Atticus quo-
niam certe Atbeais efl aatiis., k mortaas & fun^us omni ci-
a 4 vian
ì
1
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X'viii X
fu il primo , che Teppe <attirarfi la pubblica am-
mirazione degli Ateniefi con la fua eloquenza ,
la quale, fe non era piena ed impctuofa, per
la . fua eleganza .e fottigliezza era tale però , .che
nulla di più perfetto defiderar fi poteva (13) .
Per quello egli meritolfi d’ elTere celebrato da
Platone nel Fedro , come un oratore abile fom-
ihamenre a perfuadere (14). . •
Gorgia Leontino poi fpedito elTendo ad Ate-
ne per chieder ajuto ,in favore della. fua patria
contro la violenza de’Siracufani , fece tal pom-
pa .di fua eloquenza , col mezzo d’uija taleifpe-.
dizione, che s’ acquiftò maggior fama di Lifia
preflfo* que’ cittadini , i quali chiamavan feflivi
que’ giorni , in cui aveano la forte. di afcoltar-
lo (15^. Stabilitoli pertanto in Atene, inco-
mincio fuiréfempio di Lifia, già avanzato in
età, ad inllrui.re. quella gioventù nell’Arte O-
fatoria. Ma ficcome egli era d’indole fu perba,
e troppo confidava ne’ fuoi .talenti, eneila for-
viuiÀ munere : quamquam Titnaeusturo, quafl Licinia &Mu.
eia leqe, repetit SyracuTas.
Éyfias fubtilis acque elegans, & quo nihil , fi oratori
fatis fit decere, quzras perfethus... puro lamen fonti, quam
magnò flumint proptor. Quint, Lib. X.\. Lyfias egregie fubti-
ité fcrrptor & elegaris... quem jam pmpe audeas perfeOum
oratorem dicere.. ì^ic. in Brut.y c De Op. Geu. Orai, afferi-
fcr «he iti motti Itioghi era magnifico ancora nel fuo parlare •
(14) V. Plutarco''nelle ./Tr'lfe ae' X. Reto>i , , Quint. L.IX.
r.'4. Aul. Geli. Noti: Attfc. L. 7T. e. i6. . .
(153 Hute tantus' honos h.abitus eA a Grarcis, fcriveTullio
mìilÌT. DtOrat, c. il- foli ut ex omnibus Delphis non inau-
rata Aatua , fed aurea flafucretur . Queflo lo afferma Paufan.
L. X. eVal. M. L. VITI. c. 15. Plinio però HìJÌ. Nat, /. XXXIl.,
e. I. tfìce , che quella (fatua nel tempie d’Apoliine fu poAa
Don dalla Grecia, lAa'da Giorgia medefimo .
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X Df'X
t2 del fuo dire; perciò volendo aflumérerim-
.pegno di ragionare* intorno a qualuoqu^; argo-
mento gli veniiTe propofto imprpvvif^m'énte', ed
accingendòfì a dimoftrar coCe anche impoilìbili
e contrarie alla retta ragione, diventò capo de*
sofifti ' ..
Sorfe intanto, il cèlebre Ifocratè’, il quale fo-
pra ogni altro, viene commendato da Cicero-
ne (17). Era, egli ftatò. (colare di Gorgia (i8l),
e da principio (ulle pedate del fuo, infti tutore
inclinava anch'egli alla Sofìftica eloquenza; ma
dopo, ficcome dotato era di fomnio giudizio;
(ì moderò, in guifa che, ai dire delJp fteffo
Tullio i fuperò tutti gli Oratori, che prima di
lui erano (lati in Atene (19). Dalla di lui-TcUo-
' -t , . . , i>> ■ ...J,
uomini di^uon fetifo , e fra gli altri Piatone con un Dialoga,
ed Ifocraré con una Oiazione . Tullio nel ì. deOrat.g\i chia-
ma, Gratuios hominet conttntionis cttpidioMSy guamveritotis.
E nel Bruro enumerandone alcuni <crive : Leontìnus G*rf(ias^
Trafimacus CalctHonius, Proiagoraj /Sbderites^ JProdicus t'h usy
Hippias Bldtus in honort magno fuit , aliiqtu multi temporibus
eifdem do€trt fe profite'oantur arrogantibuj fané verbi s, qvtm-
admodum eaufa inferior dicendo , feri llftperior pojjit . V.
^uinr. L.IT. c. ai.‘ Cic. DeOrat. t.'ad. ■Qjicll’elo.
^uenza Sofiftica era piena di affettati ornarne 'tri'; fitioirie atre,
fla /trifl. Rtth TU. e Cic. nel Brut, e Quintil. tìc. InB. Reth.- . ^
importa,, che Laerzio sella vita di Empedocle fui tefti.
monio di Apolìodoro affVrifca , che Gorgia fu infìgtte nell'
Oratoria, perchè infatti dalla maggior parte taTP veniva- ri-
putato. Viffe Gorgia jo7. anni", ncque umquitm in fuo ftudio
atout opere cejfivit. Cic. de J'e «e». Q_ulntil. Lib.lìl. c. i.
C17) Horum retati fiicceflìt Ifucrates , qui praeter csecetose.
pirdem generis Iftudatur a nobis. Cit. in Brut.
, CJariflìmus ,Gor6>» atwHtotnm Ifocrates ; quamquam
as prxceptore ejus ipter auOòres noti convenir . Nos auten
Atilloien ctedimus. Qjtint. Lib. TU. c. l.
CiO Gorgi^s <avidior eil his feffi vifatibitt quas Ifocratet
cum lanten audiviffet iu TheS'aira adolvfcens fenera jatn Gor-
Bianij
i* • ' . y •,*),<..
Cóntro le afurditè di quelli SoAAt turorfero .tuttt eli
X X )( ^ ^
ia , come dal cavallo di Troja , ufclrooo mnu»
tnercvoli Principi (20) nell'Arte di ^n parla-
re; ed avendo egli congiunto la foda fiiofofia
all* oratoria facoltà , ritrovò di più la maniera
di piacere agli afcoltanti , favellando con certa
grazia ed armonìa , non mai da prima ufata ;
lenza però cadere nel numero poetico (zi) ,
Tullio perciò ad Ifocratefpecialmente attribuifce
la foavità del dire (22); e Platone, riputandolo
fuperiore a Lilia, nel Fedro induce Socrate ad
cfaltarlo come fommo tra gli oratori (23).
Con la fcorta di tali maeftri , con tanti e si
perfpicaci ingegni , e colia fperanza di premj
si ragguardevoli fioriva T Eloquenza in Atene ;
e in mezzo ad un gran numero d’uomini ftu^
diofi di quelP arte , dieci erano gli Oratori di
^ grido , che trovavanfi in quella città'", allora
quando cominciò a produrli 1’ incomparabile
Demoftene, A quéfti era riferbata U gloria
di portare la Greca Eloquenza al fommo gra-
do.
- fiiam , moderatiut temperavi». Cic. in (Tfat. ad Brut. Quint.
II. 8 . Ifocrates tnagnus Orator & perfeftus magifter intra pa.
rietes aluic eam gloriam , quam nemo quidcm meo }ndicio
, eft poflea confecutui. In Brut.
Ecce tibi exortus elt Ifocrates, magifler iftorum o-
mnium , cuius e ludo, ramquam ex equo Troiano innumeri
principes exierunt . Cie. deOrat.II. c.zi, Ejus Tchola princi*
pes Oratorum dcdìt . i^ainr. XH. io.
Ol) Hoc ia eius fummis laudibitfi , quod verbis Tolutisnu-
tneros primus adjunxerit. Cie. in Brut. V. Jul. C.Scalig. L.
If^. e. X. Pottie.
Cai} Suavitatem Ifocrates , fubtilitatem Lyfias , acumen
Hyperìdes, fonitum Aefchines , vim Demonhenes babuit
Cic. de Orat. UI. Quint. X. i.
faj} V. Cie. Orat. ad Brut, de Opt, gen. Orai, e M.
L. mi. f. 7.
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Xtt)C
do, é'dr raccogliere in fe tutte quante leiloti»
che ammira vanii negli altri (24). Era patetico
Antifonte (25), chiaro e femplice Andocide,
fottile Lifia , fòave Ifocrate , magnifico Ileo (*),
acuto Iperidé (26) , pieno Elchine (27) , vibra*
to Licurgo, veemente Dinarco’,'Demacfe affel-'
tuofo ', e Ibmiglrante ad un fulminé Pericle (28);
ma Demoftehe parlava con la lingua dì tatti ,
cd anche gli fup»ava*. Per tutte queftefue ra-
re prerogative meritò d* elfer chiamato Otato-
re'veramente perfètto (29), divino, e fiiperio-
re a tutti gli altri, che, al dir di Longino
• - ■ " ?"■ ré-
Ct4) Oratorom ingeos numerua , cuoi- d«««ni Cnal Athenia
fletas una tulerit , quorum longe Princeps t)emo|!1iebes ac pene
lex Grandi fair . Tanta vis in eo , tam denta omnia . iti
J uibafdam nervis intenta Tunt , tam nibtl Gck>rum , ia dicea»
i modus, Bt nec quod deCc, nec quod redundet invenias ,
J2u/nt. X. X. Infi.
Caj) V. Fiutare. f^h$ dt*X. Rttori.
C*} V. Pint. ivi . ITeo fu maedro di DemoAcne, e Pila.
Jun. nelPep. 3 . lib. IT. gli dì fomma lode.
Dnicis in primis & acutusHyperides. Sltt*»t.X.i.Ci-
Airone nel t. de Orat. lo mette a paro con Oemoftene\ • Piu.
tarco afferma che molti lo filmavano a Demoftene fuperiore.
Ca?) Aefehines lactiorft audentior& excelfior Ifeo, Antifon.
te, l.y1ia, &c Quint. lib. II. io. Et erat Aerchines , fi Demoni
ilheni credimus, (Mry»^o|a)»eT«T®-’ . Plin. L.II. ep.-j. Quefto'
fii il grand* emoio di Demoflene , perchè Laeraio JL. Il, c. 7 . it*
ferifee che molti furono gli Oratori , ed i Filofofi di tal nome.
Ca8) Pericle verameate non fu coetaneo di Demofiene : ma
xjon deve paCarfi folto filenzio , giacché di lui dice Quinti!.
L.XJI. e. a. e. IO. Quid Pericleai Similem ne credimus Lyfia.
ca gracilitati , nuem fulminihus & czlefii fragori compàrant
■ Comici , dum illi convicianlur * Veggafi anche Plutarco nel.
la di lui vita, e Val. M. tib. rllf. c. 9 .
Cay^ Oratorem piane quidem perfeOum , & cui nihii admo.'
dura defit Demofihenem facile dixeris. Cie. in Brut. Unas
^ Demofibenes eminet inter omnes in omni, genere ^'cendi •
Of»t. Demoflheaes Oratorum prtacepì judicataf A r/t.
(io) Dtt Sublimi xxxrr.
r ^ by Googk
X XII X
reftaroilo da Tuoi fulmini in certa guifa abbaf-*
turi e da fuoi lampi abbagliati . Nelle di lui
orazioni fi trova fottigliezza d’ invenzione , de*
prezza d’ argomentare , chiarezza e purità di
5ile, concilo ftefib tempo veemenza, fiiblimi*
tà, ed eleganza tanto nelle parole, quanto nel-',
le fentenze, ficchè nulla di più lembra porerfi.
defiderarc (51). Ma nel legger Demoftene' gran,
parte di lui vi manca, diceva Efchine. Imperpc-'
cbè aveva egli oltre la forza del fuo dire, tale
efficacia nel gefto, nella voce, negl inocchi , ed^
in tutta quanta la perfona, che diverfà cofa af*'
fatto fi è il leggere le fue orazioni , e l’averlo
udito, e veduto lui medefimb a perorare (52) .
Ma la Grecia predo venne foggiogata dai
Macedoni ; mori Demoftene , c con lui'fpirò
la. libertà cT Atene; e l’ Eloquenza, che appun-,
to figliuola era della libertà, incominciò fubito-
a decadere O5), nè mai più fece luminofà com-
C)i) Nifiìl acute ineeniri potdit ineis cstaRs, <)ua> rcrfpl^,
nibil , ut ila dicaid, fiibdole , nihil vertute, ^uod ille non
videric niiiil rubtiiiter dici, pibil prede, nihil enucleate
9UO bere poifit ali^uid lioiatìus : nibil centra grande', aibil
iflcitatum, nibil ofnatuiri vet verborum gravitate^ vel fen»
ientiaruor., qao quìdquatli elTet elacius., tic. in Srùt.
(jl) ^Qutd ii/iprum audivilTetìs. . expertus acerrìmum o-'
cnlj^rum vigorem, terribile vulius, pondus accoriimortatum (ìn-‘
gulis vefbis , fonti ra ^ocia, efflcacilfìmos corporis moius.
go etii dperi illius adfici nibil poteft , tanxen in Deitiolihene
magna .pars Dcinofthenie abell, quod legitur pOtius quam au<<'
ditur . Cit. t. tit. Plin. Hifi. Nat. L. f'iT. c. 30.
C33) Succua nie & fanpuis incorruptus uf^Ue ad bancattarem
(, ÒtnofihMis') OrarofAm fuù, in naturalis inelfet non fuw
catus nicor. Pbal|ereut «niiti fUcceflìt ejs , eruditiflSmu» illtf
quidem horum omnium , fed non ta'm.arRii's initicuius, quam pa-
fienra . de. /. citi q nel II. De Óràt. c.ì). Poflea quam , ex-
tinft)« bis, omaiseorura memoiia fe'uCm obrcdiaia 9Ì), & eva.^
r.uit ,
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parfa nel .inondo fe non allora quando 111 ac-i
colta nel Lazio. ' . ' ’
' I Romani , che vantavanfi d’eflfer difcefì da.
Romolo, /e da Remo allattati da una Lupa,
fembrava , che da : principio avidi foltanto fof-
fero di fangue e di ftragi (34). Tutte ledilo-,
ro mire tendevano a dilatare i conhnidell’im-;
pero, e nelle armi, e nell’arte militare impic-:
gavano i miglior anni, e ponevano tutto ilio-,
ro ftudio (35). Non folo niente curàvanfi del-
le fcienze , ma erano a.quefte affatto -ayverfi ,- ✓
giudicandole dannofe.alla repubblica (36) . C?0:
tali principi d’ orgoglio e di Leverà auferità>
uiiit, quadatn dicendi molliora^ac remiffiora genera yf-
ctrerunt. Quintiliano- perciò L. X. c. i. dice, che Demerito
rallereo ultimai eft ftre ex AtticiSy qui dici pojpt Qrator.
(ì4^ FeriiOC, conditores fuos, lup« uberibus alitos ; Cc o-
mnem illum popalum iuporum animo* habere, inexplebiles
rait&uiais . Jt/^im. Hifi. Lib. XXXVIU.
O5) V. Salluft. De Con. Catil. in pria T. Liy. Hi/l. L. i. ec.
Spetopio nel fuo libro Je Clar. Retb. riferifee due E-
dlitti , per cui i Cenfori turono di parere , che i RettoWcition
inregna 6 ^ero in Roma: enarrali fpeciaimcnte del rigido Ca,
tone, che allora quando Carnearfe , Critolao , è .Diogene da
f atene vennero ambaferadort a .Roma ^ perebò la gioventù aL
ettata dalla di loro etoquenaa, li frequentava, ed inconrin.
clava a darli alle feienae , egli fece ogni sforzo per diftogliet-
la da quefta carriera , temendo , cheanteponeiTe Io Audio deU*
oratoria all’arte della guerra; e quando poi fi permife, che
Aquilio recitare le di loro orazioni , fi lagnò fbrtepiedte del.
Ja ucgiigenia del Senato , perchè non ricercava di rimandar
quauto prima que’ filofofi ad Atene. V. Cìfì Acead. Quafi.
L. ti. Tufe. Difp. L IP^. Fiutar, nella vita di Catone Cenf.
JPet. Crin. De Hon. D/fe^ L. XXII. c. a. tc. E|>pure chi n
crederebbe ? dopo tanto rfgore Catone u»o «eg'lt nltiini filot
unni apprefe la lingua greca, e formò alcuni ..editti di Tu-
cidide, e. di Demoftenc,’e ne’ fuoÌ medefimi ferirti fparfe al-
cune fentenze cavate dii Greci autori . il^int, Lib. XìT. e.lU
Fiuuico oelU comparasi d' Arijtidc e di Catoni Cenf»
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X XIV X
arano' aftrrebbe potuto perfuacferfi , che 1^ Èlo^
quenza fbffe per (labilire in Roma la Tua fede ^
c p^ giugnervi a tant’alto grido (37). Eppu-
re appena fU foggiogata la Grecia, dolcemente
quefta Teppe domar T animo feroce del vinci*
tore, e trafportò le arti ndl’ agrefte Lazio (38>
a i^gpo che , quando da prima riputa vali delie»
to il ibio far u{b della Greca favella (39)i do*
po in Roma fi ricufava d’ a (col tare qualùnque
maeftro > fe dalla Grecia (40) non era venuto *
" Per i fovraccennad motivi noi non ritrosia»
mo, che alcun Cratere veramente grande vi
fi^e in' Roma prima della diftruzioò di Carta*
gine C41). Ma vinta queft* emula città, e po-
'CStO Aocfc* la Róifia' l’ÈIoquenia fu precfd&tf <faUa Poeflt *
Sino dai tempi di Nuntoa Pompilio fi fecero alcuni veffi, eba
dai Sacerdoti di Marte cantavanfi nelle lóro folenaifii. Do*
5 6 divolaaronfi alcuni fnni in lode degli Dei, ed'ofcure pre-
izioni ai P. 'Licinio Tegula, e di Marzio Poeti . Venne
poi Liviq Andronico , che fcrlde intorno alla guerra Carta*
ginclV ; e ntialmente Ennio, P'acuvio, Plauto, Nevio, ed
altri mtnrre ancor Inatte Rettorica èra reonofeinta. ,
Gr*cia capta fcrum viftorem coepit, & arre# intnlflt
agniii Lacio . Horat. Lib. If. *p. t. Cic. Tufc.Ùifp.Ltb.1f\
in principio . *
Caro V. Tdl. Di Orar, th r. jd. Val. M. Ltb. il. e. i. Non foc
lo i Màgi firati Romani guàrdaVanfi gelofaroentc dal rirponde^
ie ai Greci fe rtOn nella Itngtta latina ; ma ài più vofeVàno,
che nel feoò delia ftelTa Grecia a loro fi ^^àrlide per via d’' in*
terpreti per nón effer cofirerti ad ufare là lingua del paefe w
E C cerone atretia d* edere fiato ^ravementeàccurato dai Ro-
mani, perchè nel Senato di Siràcufa aveva ^nlrlaro in greco .
Marco ]iOi di InijJenirore foi^va dire, che, Ut ftiiffìit bpti*»
tàe gr^'t* f(it y iÌ4 ìjh niquijpinatm. Veeg.iR il ItU elt. ék
Oftn'SticJót^ di C. Ktth. in vita Tibtrii H. pi, Dipde
tik. S/ft. VT. ’
C'W Óvèlte ncivin aperraihetfte da W#. nf. Di Otat,
im'pafiH^id’on^ di tiri Jwftòia' àTnwilftil? riferito
di* tf, 'kitb. d. a. ■ - A ' ' ‘
(4O R'oRiiftir'plidìb^tHdeM ’totiaé ràtioishl iSnhfi, ■«.
que
X XV X
Éa hi UDO fiato di jperfètta ,qui€t« ia repubbli-
ca , che ibggeXti a k vedeva e tributar) potei|-
ti/fimì re , feroci nazioni , e popoli innumere-
voli (42), in feno alla pace incominciarono i
Romani a fvolgere le opere de’ Greci maeftri,
cd accolfero nella lor patria le raminghe lette-
re, e le buone arti (43)^ . Allora apparvero i
primi 'Oratori del Lazio ; e ben prefio s’ udiro-
no in Roma gli Antoni (44), i Crailì, i Sul-
picj , i Cotta , i Pilóni , 1 Lentuli , i Bruti ,
ed innumerevoli altri , che tra i chiari Orato-
. . Al-
IH I— «■— ■< lil I «I. ■
que •xercitationk ulUm viain , ntqne aliqnod przceptttin ar*
tis effe arbitrarentur , tantum quantum ingenio & cogitatione
potaraot confequcbaotur . Pofl antem auditie oratoribus Gr^«
cis, cognitirque eorum litteria, incredibili ^uodam noiirt bo-
mines difctadi flodJo flagravemnt. Cosi fcrive Tallio nel 1 . ,
Oc Orar. Olfatti nel Brut. 147. e 150. afferifce, cbe unila '
agli aveva ritrovato di pià antico in genere d*Yk)i;uroaa pi«f-
fa i Romani, della orazione d* Appio Cera contro di Pirroi, .
« dopo j febbene egli raedefimo lodi e Scipione, e Lelio, e
Galba , e Carbone, e Gracco, a fopra ogni altro baione’,
pure confeffa , che non fi potevano ancora dirA perfetti (Ora-
tori , Siccome quelli , che non avevano mai apprefo la vera
finezza dell'arte. Dt Ci. Orat. m i?. fifut.4. Laonde quella
magnifiche parlate attribuite dalli Storfci a* primi Coolblt .9
ad altri ragguardevoli perfonaggi della Rep. , devonfi credere
da loro vrrofimilmente inventate per ornameato, ed a per*
lezione iafieme delle cofe efpo&e.
(41) V. Sailufiio DtCon.Catr!» in prime, e Tit. Livio A(/ 9 ^
t>ec. 111. .in fin.
C 43 } Strvs <nim Gueeis admovit acumina ebitrtis^
Bt pofi Punica beila mietuti qtuertre cctpit
Sutd Sophoctet Tbefpis & Acfekptusc$tilcfmtm*
Hor. Lib. 11 . ep. 1. .
(44) Vel. Patercalo £. 11 . Sifi. Rem. e Plutarco neiia«àM
<Ar C. Mario fhuraao , che tale >cfa i* cloquenc» d* Aatomo ,
che^ allora quando fo tCaltto dai fcgnaci dr Merio c di Cieae
pei efier ncofo, egli col Jua d^coifb gli ni*, immobili
Roo » che fiii tenendo gli occhi a terra * picngendo amare*
^Bte e iRttt fi lafiìiaroj» dedrr nano k aami» . ^ .•
I
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X XVI X
ri vengono con fomma lode • dallo fteffb Cice-
rone annoverati' (45) .
di lui età però efìTcr dovea wftrbato di
portar ìrf’Rotnana Eloquenza all’ ultima" fua pet-
izione (46); e ficcome tra’ i Greci a Demofte-
nè, così 'ttà i' Latini a lui folo fi dovea di que^
fta il Prihcipato(47) .• V’ erano Cefàre," ed Or-
tenfioV r uno de’’^ùali veniva univerfalmente
ammirato' per la fotza ed eleganza infìeme del
fuo.. pacare (48); l’altro, oltre di' vantaggio d?
averle preceduto nel foro, e d’ eflfere già in
gran.-concettq prefib tutti li cittadini , era ma-
gnifico jjel fgo dite,. ben comporto , ed uberto-
fo ; cd avea di più una voce foave , e ancora
un Atteggiamento efficaciflìmo', cd un mirabile
portamcntó. di tutta quanta la perfona (49) .
■ . ■ ■ . .. .
C4O V. Di Cl. Orat. Dt Orar. Ili. 8 . 9. ed in più luoghi
Brut. <
C9O At Oratio ita univerfa fub Principe operis fui erupit
Tallio, at delenari late eam pauciffimis, mirari vero nemi-
nem poflh. f'. Pat. 7 . 17. -
* C47) Quaarurn enim poelis ab Homero & Virgilio, tanratn
faà^ium accepit eloqueatia a DcttioAhenc atque Cicerone .
Quint. XII, e. il. . 'il
(48yQuid oofter hic Csefar, gbi$ a dir Tullio fttffo ^ non-
Ite navam quaadam rationem attulir oratioms , diceadi ge-
nus ìpduzit prope (inculare? Dt Orat. III. 7. Nella Oraz. poi
a favor di Lrgaeio adenna- d’ aver feco'lui trattato diverTe
caufe : e Quint. Ctb. VII. c. 4. e X. c. 1. lo celebra per la.
puritù «d, feiega'tiea delio Arie , del^che ne fanno ampia' fedo
i divini Tuoi Comentari . Di tal mente era Ce fa re ddcaco ,
che Plinio Ifr/f. N. L. f^U. e. 15. aflefta , che nel me'ntre ,
eh* egli fcriveva', o leggeva^ dettava ancora ed afcoltava fen-
za piwto confonderli e liel Lib. 1 ? finalmente il cit.' Quin>.
di lui coct'fcrìve" Caefar fi foro tantum vacaffet, tioò aliue
ex nonrif'CflHtm^iceratiem nominaretur.. Tanta in co ms
cft , -id adóniM , «a -comiiatio , .ut illnm eodem animo dkif-r
appareat . , 1 l'i
C49)' Entr»«te vtpborniii fplcadorei elegans compo^tióae<
X XVII X
Ma appena Tullio apparve in campo, quelli
s’ avvidero , che troppo difficile farebbe llaco
il contendere a lui la palma ; ed il primo pen<
sò di correre un’ altra via, onde giungere al
colmo della gloria (50); ed il fecondo, che d*
anni lo fopravanzava , elièndo già paffaco per
tutti i pubblici gradi d’onore, dopo d’ aver ot-
tenuto il Confolato , fra le fue ricchezze vi-
vendolèla agiatamente , cominciò a dafeiar il
campo al novello competitore (51).
Era contemporaneo di Cicerone anche Sallu-
ilio, il quale da principio frammifchiandofì co-
gli altri ne’ pubblici affari , più e più volte a-
vea dato faggio del fuo Oratorio valore , e par-
ticolarmente contro di Tujlio (leffo aveva aguz-
zato il fuo ftile (52); ma offefo poi da Appio
il Cenfore, che ignominiofamente lo aveva
(cacciato dal Senato : e fors’ anche vedendo ,
' «ptuc, ftcultatr copiofus ; nec prct«rmittefaat fert quìc^aatn ,
quod erat in cauta. Vox canora. & fnavis . Cie,,in Brut. Ta.
le fi era Ja forza delibazione d’ Orteofio , che nell' Orar, lo
fteffb Tullio ebbe a dire : Dicebat inelius quam fcripfir ; e
jÙwior. XI. e. 3. E}us fcripra tantum intra famam Aint , qoi
Prtnee^s Oratorum exillimatus eil... ut apparcat pia-
cuilTe aliquid co diccnte, quod legentet non invenimiis-* V»
Qtll. Lih. I. e. 5. Jtttic.
Cso) Concedimus fané C. Csefari , ut {wpter magnitttdtnem
cog.itatioiium, & occupattones rerum minut eloquentiaefièce.
yh , quam divinum ejusingenium pofiulabat . Ticxtt Or ator$t»
C51!) le poli Confulatum . .. . fummum illud foum fiudium
remifit, quo a puero fuerat iocenfut , atque in omnium re-
rum abundantia voluic beatiui, ut ipfe putabat , remifiBue
citte vivere . de. in Brut.
' .00 contrarie orazioni di Cicerone e di Saltc.
flio,^hq tHttor ci rimangono, da alcuni vengono riputate a.
poc^; il tdflimooio di Quintiliano però L,ii.
comprova, che quella di Sailuftio a fuoi tràipi efiUefie.v-
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X xvlii X
che il Tuo genere di fcrivere, del quale peral-*
tro nulla vi può effcre di più perfetto, mea
atto riufciva a trattar le caufe (55), pensò an-
ch’ egli di ritirarli dal foro , e di attendere a
feri ver le getta del Popolo Romano (54).
Rettò folo adunque Cicerone nel vafto teatro
di Roma , anzi nel Lazio tutto a far pompa di
fua eloquenza ; e col potere di quetta piegan-
do a fuo talento l’animo del Senato e del po.
polo, e sforzandogli in certa guifa a fecondare
la fua volontà, tante vittorie, e tanti trionfi
ottenne nelle più malagevoli circottanze , che
ebbero à dire gli uomini di quell’età, ch’egli
regnava ne’giudizj (55); e preffoi pofteri giun-
fe a tanto grido, che Cicerone ormai non più
iì confiderà come nome d’ un uomo , ma della
fteffa Eloquenza (56) . Parlano tutti della di lui
virtù ; tutti l’ ammirano , e lo ammireranno ,
fenza fperanza però di poterlo mai pareggiare
Gli immortali di lui ferirti formeranno la
delizia di tutti i fecoii , e tale fempre il dimo-
ttreranno , quale egli è infatti fuperiore a qua*
lun-
* Cfì) Ncque illà Salluftiaua brevitas^ qua nihil apnd aureit
,vacuas , atque eruditas potefl e<Te pcrfc-tlius , apud occupatom
variis cogttationibus iudicem , & Aeptus ineraditnm captaoda
nubis e/t. Cosi riflette Lib. X, c. l,
CS4) Leggati il proemio alla Storia della Congiura di Cìl-^
tilina.
.Css} Non immerito ab hominìbus aetatù fuse regnare in \iu
diciis di£tus eft. Quint. X. i.
CsO A pud pofteros.vero id confreutus e/t Cicero, ut jani
non bominia^, Ted eloquentiae nomen habearur . Ivi,
CO Etegantemente perciò di ini /'efiffe Catullo
> tyifertiffime Romuii nepetunt
Sìuot /unti ^uotqut fuert Marte ‘Tuili &C, ^ '
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X XIX X -
Jufique lòde, e maggior d’ ogni encomio (57).
Ma quanto è difficile il condurre tle cofe al-
lo flato di' perfezione, altrettanto fembra ma-
lagevole il confervarle in eflb. Il defidcrio d’
emulazione da' principio fpinge 1’ uomo a rag-
gi ugnere quegli ingegni , che l'opra,, degli. al tri
fpiegano il loro volo; ma fe per oltrcpafìàrli,
o per eguagliarli almeno mancano le.fórze,eol-
ia fpcranza viert meno ancora V impegno , ed a
poco a poco s’abbandona quello^ che non fi
può cdnfeguire (58) j L’ Eloquenza adunque che
per l’Oratóre d’Arpino in Roma era giunta. al
più alto fegno , dopo la di luir^ morte incomin-
ciò tofto a decadere , e ficcome Demoftene con
la’ Greca i còsi la Latina con Tullio fi può dir
quali , che ‘rpiraffe.
Due furono i principali motivi di queftode-
Cddìitiento 4 T« La pèrdita della Romana, liber-
tà, per cui ■ Venne chiufa àgli Oratori la via di
far pompa de’ fuoi talenti parlando liberamen-
te , e fenzà alcun timore ^ e di acc^parrarfi 1*
amore del popolo per confèguire Je prime cà-
b 2 . ' ' , ri-
, Csf) L* eloquenza (ieffa vi vórrebbe per far il dovuto elogio '
ingegno di Cicerone.* ingegno, che al dire di Seneca IrL
tr. Cont. Sohtm Pop. R/>m. par imptrio kabuit . V. lo.fiedb
Seneca Lib. T. fuaforVi Pater. Lib. lì. n.òé. Uifi. P.om. Plip.
•««A Nat. Lib. Pii. c. 30 . Plutarco nella Pita di de. Taclt.
Orat, S. Hier. De Pita Cler. ad Nepot. e Ginft. Lipf. f^atiar.
7/f. 4; *c. , ec. , ,
< Cs8^ Difficilis in perfeAo mora alt * /nataraliterque , quei
V^^dere non porelt, recedi t ; & ut primo ad confequendos,
pijorea ducimus , accendiinur, ita abi tut proteriri,
dut libali «OS poffe defperavimni , Aodium ciun Cpe feoercir,
* qubta^equì non potei!, fcqMì deiinic. Y» Patere.
ecew, Lm L in fin, ■ .
I
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)( XX )C
riche, e i più ragguardevoli onori della repulv;
fcHca , che dopo non più dal favor de’ cittadi-
ni , ma dalla grazia del Principe unicamente
dipendevano (*). II. L’affettata eloquenza de-
gli cmoli fteffi di Cicerone ,• i ^uali vedendo
di non poter confeguire la di lui ubertofa fa-
condia , il tacciavano di fuperfluità , e parlan-
do con brevi e concifi periodi', e fpargendo i
loro difcorfi di ricercate ed argute fentenze ,
credeanfi d’ imitare -gli Attici (59),.
Coftoro non aveano potuto introdurre il gua-
ito lor genio di fcrivere e di. parlare in Roma ,
quando vi vea Cicerone; ma appena egli mori,
entrarono in campo, e prefo il poffelTo de’ro-
ftri a poco a poco ne difcacciarono la vera E-
Joquenza . Afinio Pollione , che fuccedette a
Tullio, e che regnò nel foro a’ tempi d’Augu-
fto, era egli bensì diligente, e fors’ anche trop-
{ )o, nell’ invenzione, pieno di configlio, e di ya-
ore ; ma di gran lunga inferiore a quello e per
la grazia, e per la purità di favellare (do).
Contemporaneo di Pollione era P. Valerio
Meffala, il quale, effendo flato difcepolo di Ci-
ce-
CO Haec una ret in otnni libero popolò, maxìmeqae in pa.
catic , trannnillifque civitatibus, pr«KÌpue femper floruit ,
-feraperque aomiwua eA. De Orat. T. 8. De CI. Orat.
CsO Cbnflat nec Ciceroni quidetn bbtrenatores defaife ,
quibua inflatus. & tuntens, nec Tatis predile , fupra moduia
i-xultaos ft fuperfluens & parum Atticuc videatur,. .Tatù,
Orar. a. i8. iìmint. XII. i. ^
Cdo^ Multa in Afinio Pollione ìnventio, fnimna diligentia,
> ad«o ut quiburdam.ettan nimia videatur , & cOnfilii & animi
«falle; a nitore & jucunditate Ciceronic ita longe abeA , ut
wìderi poSt AeciUo prior. Lek. X. $»l, yàLM.f'lH,
t. 3 . Hor»$, Lih. //. 04$ z.
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5C it< %
Ctt'bite sfonavàfi di riceaere l’EIòquenza nella
fua dignità mà tiulladìmeno,.- vincendoci
contrario partito f qiifefta tempre più fi corrup-
pe, e col ptoceder del tempo il buon gufto a
tal fegtio decadde. Che fotto Tiberio, perduta
bifàttò queir aria fenrlplice e naturale, che for-
rtiàva il fuo belló, degenerò in una puerile e
coinpàfliortevole affettazione (Ò2).
Seneca tra gli altri ^ tiomb fornito di fom-
iha dbttrina, è dotato di grand* ingegno per di-
lli nguerfi i è per renderli mirabile e (ingoiare
con un genere di feri vere tutto nuovo , e fuo
proprio j inife a tortura i liioi penfieri e fi sfor-
mò di parlar fempre in modo tanto conci fo, e
ièntenziolb, che (lanca la mente, ed annoie-
rebbe ancora i leggitori , fe non a velie avuta
Tarte di (èdurre gl* incauti con T ingannevol
dolcezza , di cui fbno afperfi i fuol vizj (63) 4
b ^ Era
i ... IM.. a .■I. rn a. > tu i r l 'V . .»■
Qb«Ro è ^atl àlefala io Unti loòglii encomiatò da
Tibullo. Egli oltre 1* elo<]aenaa, in cui per la dolcezza ed
Mcnratczta, venne da alenai creduto fnperiorc ài (no inae-
ilrbf àvéva accoppiate tutte le beileaae, e perfeàioni delle
altre arti liberati. Pure nella fna vecchia étii, indebolito
dagli àbni , é dai Aalori , di cefi , che perdere i fentiibenti a
fegoo di noU ricordarli pih neminen dei fuo none. V. ttj,
ék. ad Srtit. IJ. TaHt. Orat. i8. Quint, X i. Plin. Uifl, Pii
• Càrlèncaa Fffais far l’ Miftoìt* dts itUtt Letiret Ti
I. Art. Cratm.
ffiì) Adulte ineo, clareque fenteotie , tnnltaetiain tnofuftl
gratti legenda; fed in eloquendo còrrtiptà pleraqué , att|ue
eo perniciolìlfima , quod abundat dulcibut viti.it . ^lieb, euth
fuo ingenio dixilTe , alieno judicio. tl^inu~ÌJb. X. c. i.‘ g*
acòsrferd gaelt! aS'etrati fzriituri , che il loto dire, hon 'potè*
va giacere cfiTendo privo di quella naturalezza, e'rffhpfici'
tè, che tanto' beod t* infinua ntl.nofiro cuore ; e però“ cercai
zono d*allctura aoo £giat btillanli , con tnocu vivaci , c Ten*
tep-
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X xxrr X
Era egli fra' le mani di tuttavia giovcntìi
Romana , la quale pollo in obbiio Cicerone , di
lui folo dìlettavaiì, quando incominciò a fiori»
re il gran precettore F. - Quintiliano (<54). Vi-
de quelli l’irreparabile danno, che fofferto n’
avrebbe 1 ’ Eloquenza , fe ad un tal difordine
ninno lì folfe oppollo ; e però s’ accinlè con
tutto r impegno a trar d’ inganno que’ giovani
che bramavano dillinguerfi nell’ arte Oratoria,
mollrando loro colle lue Inftituzìoni la vera
via, che batter doveano fulle traccie di De-
moftene e di Cicerone per renderli veramente
eloquenti (Ò5) . E quantunque , per colpa del
fecolo già corrotto , non abbia potuto far rifio-
.rire l’età d’ Augnilo, pure ebbe la gloria di
vedere a giorni fuoi gli Oratori di gran lunga
migliorati (ó 6 ): e quegli llelTi, che amavano lo
flile arido, e fecco , approfittando dei di lui |
infegnamenti , conduflTero poi quello fecondo ge-
ne-
tenze argute.* ma quelle pure noti provenendo dalla, natura,
ma ricercate effendo dall’arte, pofono bensì fedurre gli in-
cauti; a uomini però di buon fenfo riefeono Tempre inlìpide,
,e difgunofe .
(($4) Fu maeflro dei Nipoti di Domiziano; e le Tue Indi,
.tuzioni Rettortche Tono così perfette, cbedamolti vengono
preferite anche ai libri da Cicerone fcritti fu tal argomento .
j.e Declamazioni , che ci reliano fotto il di lui nome, fiere,
dono d’nn: fuo' Avo, del quale parla Seneca VJ. Divis» V.
Alarziale , ed Ang. Polii, in Pr^efat. ad ìnfl. R. F. H-
(65) In piò luoghi di quelle fue Infiìtuxioni- egli, parla fe-
gnatamente contro di Seneca, come d’un corrompitore del
buon guilo. Lo HeiTo fa Tacito nel 'Dialogo Orat.^
Q 66 y Tra gli ottimi Oratori de’fnoi tempi da lui vengono
annoverati Domtzio Ad'ro, Celio Calvo, Suipiaio , Caffion^
Severo , Giulio Africano, Vibio Crìfpo, Tracallo, Giulio
Secondo, ed.Aabdio Bado» V. Uh Xt f* 1, Xtl, e. 10. ix.
Snjì, Retb.
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X XXIII X
aere d’EIoqu«iza alla fua maggior perfezione.
Teftimonio ne Ga il Giovane ^Plinio, che
vifTe in gran fama ai tempi diTrajano, edaf-
^rma d’ eflTere flato difcepolo di Fabio (67) .
Le fue lettere s fe non fi poflbno paragonare a
quelle di Cicerone per la purità.ed eleganza del'
lo ft/le , fono però concepite in maniera , e con
tali fentimenci, che moflrano un grande inge>
gno, e nel fuo genere meritano d’effer confide-
rate come originali . Il Panegìrico poi di Plinio
in lode dell’ Imperador Trajano comunemente
fi reputa un capo d'opera, ed una veraimma'
gine dello ftile Attico (< 58 ) ; cosi che ben a ra-
gione fi può dire , che P Eloquenza Latina in lui
taceffe gli ultimi sforzi , e quindi affatto periffe .
Nella decadenza del Romano Impero le.fci-
enze paffarono tra gli Arabi (^9)» e di nuovo
fi difTufero nell’ Afia, fenzachè però in alcuna
parte, di effa veramente fi ftabiliflcro. A que-
llo loro paffaggio dieder moto fpecialmente , e
contribuiron non poco. le turbolenze d' Italia,
la divifion dell' Impero , e la noflra Cbiefa ,
che in Oriente più che mai andava fiorendo (70)^
b 4 So-
•Cé?") Ved. Ef. 14. Lib. IL *p, 6. Lib, VI,
(68) Giulio Lipfio fra gli altri nel Lib. V. $p. 15, Epijb,
Quafi. ebbe a dire: ^idqiiid GicerQniani fentiant, ego vero
plures orationes Plinit AipcrelTe vellem . Panegyrico ad Tra.
janutn fané captor ; & fi ^uid judico, fpccies in co compa-
ret veri Atticifmi .
(69) Fiorirono allora gli Albufaragi, gli AIbnfeldi , gli A»
vicenni « ed altri , de’ quali parla Jacopo Kettero MonarchiM
Afiatieo-Saracfmtte Stasus . Balta leggere anche le ilorie
Ver vedere , come la maggior parre degli Scrittori che ven«
lìtio dopo, o furono Greci , o della Greca lingua pinttofio
fht della Latina fi ferviroao . *
1 primi Padri delia Ciitef* Cicca viSero io qarftìSe.
coli,
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X XXIV X
Sopravenflcro poi anche gli Alani , ì Goti 2
Vandali , i Longobardi , ed altre ftranieré bar»
bare genti , le quali fpenfero affatto quali ogni
cognizione di lettere; e Roma intanto occu*
paca da quelle feroci ed incolte nazioni , op<*
preffa dai tiranni j e tante volte efpugnatà e
diftrutta da’ fuoi nemici , non folo aveva per-^
duto l’antico lullro e decoro, ma a si deplo-
rabile ftato era ridotta, che aU’eftremo in lèi
quali non lì trovava chi lettere Latine con al-
cuna gentilezza fapeffe (^i).
. Languivano già da gran tempo le fcienze inf
tin miferabile obblio , quando finalmente fcoffe
l’ Italia il fervil giogo , e cacciati i Longobar-
di , ricuperò la defiderata libertà . Le città del-
la Tofcana furon le prime j che incominciaro-
no a ripulire, ed a limare il rozzo loro ftile<
e che tentarono di richiamare le raminghe ab-
bandonate lettere nell’ Europa , d’ onde erano
fiate dalla inondazione de’ barbari dilcacciate {yi)^
Ma con tutto ciò lino a’ tempi di Dante Ali-
ghieri non ricuperò mai 1’ Italia 1’ antico Uro
vigore ; e febbene molti non fprezzabili inge-
gni nel coltivar le Mufe 1’ abbiano preceduto ,
niu- '
con, ed e(G farottccbr coafcrvarono le fcieoee, emaffimel’
£lo<|uenca.'
Czi) V. Leoo. Aretino nella vita di F. Petrarca. Cofa
fnirabilc in vero, che da un mifio di lingue barbare , frqua*
li corruppero la' latina, ne derivalTe poi quefia noftra Italia,
che per grafia, c dolceaca a ntfl'un altra la cede.
CzO Poefia, che tra noi parimente precedette l’orafo^
ria per teftimonio di L. Aretino, e d’altri molti, ci venne
da’ Proveozali , e le pii antiche noftre canzoni fon qaetle ,
che ordinariamcote ‘cantavaniì da que’ barcaiuoli , le quaS
vennero io feguto dai Tofc^ni apprefe, ed iraftate .
r
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X XXV X
però fi ritrova , il quale prima dì lui
Vera gentilezza > e buon gufto di romporre ab-
bia confeguito (^?), Egli fu il primo , che ve-
ratnente dotato di poetico valore, di finiffimo
giudizio, e di rari ralenti moftrò alP Italia il
modo di pareggiate Atene e Roma , e di alzarli
. a quella nma , per cui eranfi quelle città relè
cotanto illuftri . ' ^
Francefcó Petrarcà uomo, thè ie mufe aliai*
iar ptit eh*' altro mai , fuccedette al divino A-
lighieri ; e 'quelli ritrovate avendo P Opere di
Tullio, ne' formò la fua delizia, e procurò di
rivocar in luce P antica le^iadria dello Itile
perduto e fpento,'adaltandou i per quanto ha
potuto , a quella elegantiffìma fiicondia (74)^
L’ efquifitezza del fuo penfare, il fuo puigatilfi-
mo Itile, la dolcezza, la gravità, e tutte P al-
tre ’ot ti me fue prerogative lo renderanno lèm-
pre ammirabile a tutti coloro , che fapranno gu-
llar con piacere le mufeTolcanc. Nè Ibloegli
(ì dimoftrò fublime Poeta, e gran Fiiolòfo , ma
ancora purgatilfimo Storico, e nella Latina, e
nell’Italiana favella fopra ogni altro eccellente *
Contemporaneo ed amico del Petrarca fìi il
Ch. Giovanni Boccaccio, il quale avvegnaché
(ìafi non poco dilettato della poelìa, pure vob
le particolarmente fegnalarfi nell’ Eloquenza , di
' cui tra noi Italiani può coofiderarfi come pa^
.. . drcr
^]) t pritni e pià anticlii rimatori Italiani per tefiimoDio
dello fleSo Dante furono Gnido , Guinizerlli Bolo{;nere,,Gttit-
tone Cavalier Gaudente d'Areszo, Bonagiunta da Liuca|C
Guido da Meffina. V. L. Aret. nelia vita di Onilft,
(74) V. Leon. Aret. nella vha M Pttrarfa,
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)( XXVI X
drè . Niano in fatti dei Tofcani fcrifle in pro-
fa con uno Itile più purgato, piu dolce, ed e-
legante di lui. Le fue .Novelle ci danno 11 idea
di tutti i generi , di tutte le forme , di . tutti
eli ftili , di tutte le materie , che polTon venir
a bifogno; e nulla v’ ha di bello nè tra i Gre-
ci,' nè tra i Latini, ch’egli non abbia fapuco
leggiadramente in Italia rrafportare . Perciò eb-
be a dire il Buommattei ( 75 ) , che fe Demolte-
ne , e Cicerone aVefler potuto veder le fue pro-
fe , non fi farebbono sdegnati di leggerle e rileg-
gerle, con celebrarle poi per una delle finiili-
jne opere che abbia l’ arte del dire . .
Sulle traccie di qUeftì grand uomini , la di cut
fama rifuonava ogni dove ., tutta la gioventù
con fervore fi dava alio ftudio dell’Eloquenza.
Ma ficcome comprende vafi la necefiìtà di ricor-
rere a primi fonti per trarne pome dalla .vera
forgente più puri c limpidi i rigagnoli , perciò
tutti erano rivolti alio Itudio della Greca e qel-
la Latina favella (76) : efaminavano attentamen-
te gli antichi maeftri dell’ arte Rectonca ; e men-
tre erano rapiti. dalla mirabile facondia di Tul-
lio e di Demoftène, fcordavanfiquafidellapro-
pria lingua, o almeno poco fi curavano di col-
tivarla ( 77 )* •' Il
C70 OraK- in lode delta Lingua Tofeana,
(j6j II Petrarca fpecialmente avea inculcato a fuoi Oiice-
poli io Audio delie lingue fud.; epperòGio. ^avvenate, Vit-
torio da 'Feltre , Gafparino Barzizio, Francefeo Fielfo tra
di àltri dì quell’età in effe fi fegnalarono.
” C77^ Nel Secolo XV. l’Italia era popolata d un ^an nu-
mero di ProftffVJri in eloquenza, ed innumerevoli Orazioni
tulio giorno apparivano in luce, ma tutte latme . Bettuicllt
^ tTéUt*
X XXVI 1 )C
Il Secalo d’oro dell’ Italia però elTerdoveail
Séftodecimoj e Fiorenza y» che aveva avuto que-
lla fingolar grazia dal Cielo d’ elTer la prima.^
che ritornaffè in ufo 1 ’ Arte Oratoria già quaó
cftintà , dovea pure aver la gloria di mirarla
afcendere al più alto grado fra le fue mura, e
per opera de’ benefici Tuoi cittadini (78). Al
Bembo ed al Cafa deve la fua ma^ior perfe-
zione la noftra lingua ; e fe V uno ravvivò' il
Petrarca ed il Boccaccio nella purità ed elegan-
za del fuo feri vere, l’altro fc’rinalcere nel. fè-
no della Tofeana la vera eloquenza d’ Atene e
di Roma, A quelli vennero in lèguitq Jacopo
Sadoleto, Pietro Vittorio, Latino Latini, Al-
berto Lollio , Bartoiommeo Cavalcanti , Alef-
fandro Minerbetti , Luigi Alamanni , i, Mìnu-
zj , i Mureti , i Taifi , i Sannazzari , i Buom?
mattei, i Tolomei, ed altri innumerevoli;., e
dopo qualche tempo un Zappi, un Ménzini ,
un Lorenzini, unSàlvini, unLazarini, unFac-
ciolati, un Volpi, un Mafièi, un Gravina, un
Part. IT. cap. 2. Del Riforgimemo Jealia negli studj e
pelle Arti,
C78) V. Alb. Lollio Qraz. in lode della X-ingua Tofeana .
Beninclli luog. eie. Vinc. Gravina Bp. ad Scip. Majfeitm ,
Lorenao de’ Medici 4 ’ immortale memoria aprila fua cafa il
tempio delle Mute, ove s’ adunarono i pt& valenti uomini
di quell’età. Tra quelli fono celebri Criftoforo Landino ,
Angelo Poliaiano, LaonicoCalcondila, MarlTlio Ficino , Gio.
Lafcari y Ermolao Barbaro , Gio. Picco Mirandoiano, Gio.
Aventino y Ger. Mercatore, G. Cef. Scaligero, Gio. Sleida.
no, Gioach. Camerario , Giorgio Fabricio , Rafaelc Volalerra.
no, ec. Piero, Giuliano, e Giovanni de’ Medici , il quale
dopo fu Sommo Pontefice col nome di Leone Decimo figlino,
li del prelod. Lorenzo feguirono 1 ’ efempio del Padre , e ftt»
fono i Mecenati di ^uel Secolo,
X XXVitl-X
Zàiiotti , e cetìCa e mille altri , che vifleról , 6
vivono anche ài prefente per gloria e decoro
delle Italiane Mufè (79).
Quelle furono le vicende ed' i progrelTi delP
Arte Oratoria , della qiiale io intendendo, efpor-
re i primi elementi nel feguito di quella Breve
operetta dopo tanti e tanti , che in tutte le età
ne trattarono elegantemente , parmì dòverofo ^
che primieramente colla maggior brevità pòflfi^
bile renda ragione del nuovo miodilègno. La-
(cierò dunque dal riferire (jue* difetti che par^
mi aver notato in altri ò in q'Ùantò alla chia-*
rezza, 0 rapporto all’ ordine ed alla brevità, e
finalmente rifpetto alla mancanzd cT alcune par*
ti neceflarie, perchè maggiori forfè faranno
quelli ih €ui farò trafcorfo io medefimo , tiort
dTendo al certo fi profoniiiofo di crederl’opTà
mia in tutte le fue parti perfetta , ed irrepren*
libile. DiròTolo, dìe dovendo io a tali ftudj
fpecialmente appigliarmi per ragione dell’’ im«
^ego, cui r Immortale ed AùgùstA Maria
Teresa , fotto i di cui felicilfimi aulpicj fio-
riscono nella noftra Infubria le Icienze , per (in-
goiar fup benefizio deftinato mi volle,; neceflar-
rio ho creduto ricorrere a’ primi fonti, ed efa-
. mì-
« Il II II I • ■I il. ì i t' M . [V l ~> *11 » '*
». f
(79^ tf peffimo guflo dii Sècolo fcorfo avea guafla ,
J uenza^ lAa levaronò la' voce, e n oppofero al nuovo diror.>
ine uonifm' grandi, o'nd* e(Ta fì riebbe', è tornò al fuofpien.
dorè. Piaccia però di Cielo, che il moderno genio d'a^uar
lo itilé delie nazioni Òltratn'ontaot' , nón fàccia perder all*
Italia la Tua' vera eloquenza^ ed' a fotiriglianza deU> Latina,
non la tragga all^arido , concitò, e depravato parlare de'' .
Tempi di Seneca . V. BeOiAdiM Prtfaìt. fòlit Btllt Lctttfò
Tom. I. doth fyt Ofort EdU.
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X XXIX X
minare attentamente’ i precetti de’ migliori mae<^
Uri , per quindi comunicare a’ giovanetti coi^
quel metodo , che più fpediente mi fembrava ^
3 uanto da eifì aveva apprefo. Per la qual cofa
opo mi fono accinto a (criverc i Precetti ele-
mentari deir arre Rettorica , giacché quefti dif;^^
fìcilmente ritrovanti in un foio libro Separati
Air altre parti che fervono a formar 1* prato-
re, e di cui non è mio ufficio il favellarc^^E;
perchè vegga ognuno, che quanto da me 5* in-;
legna, fu già dottrina de’ grimi Padri delI’ÉA
loquenza , ho voluto riportarne i tefiimonj ^
onde maggior pefo ne derivi alle mie àflèrzio-s
ni , ed apprefi quelli , originalmente le còlè s\
imprimano nella mente de’i^udiofi dell’ Arte. <
Nè credo, che mi condannerà. afcuno*, ^ -per-
chè r italiana favella piuttofto che Ig latina io
abbia adoperato . Imperocché ^dandofì ad: unql
fcolaro fra le mani un libro , fi:ritto*in una liii^
’gua , di cui non è ancora perfettàmente al pof-
lèffo, ognun vede, che o fi condanna alla dura
iieceffità di non faper quello che legge, o gli fi
toglie il frutto della lettura, perchè mentre egli
iludia fui veri) fignifìcato de’ non ititefi vocaboli ,
perde il filo , e tutta la forza del fentimento .
Ma s’aggiunga di più , che , effendo ferirti quelli
precetti nel noftro idioma italiano, utili non
^blamente faranno a’ giovanetti , da cui verranno
più facilmente intefì , ma giovar potranno anche
SI coloro, j quali laJlin^'Xatinà^afi^tto non
intendono . Per tal motivò ho avuto egualmente
cara di arrecare efempj cavati dai migliori ferir-
loti Italiani e Latini , acciò, chi non éalcafo
)( XXX X
if à|)f>j‘òftttare dagli uni, vegga le ftefìTe co(c*
Aegli altri ; e chi i’una e 1’ altra lingua appieno
eapifce , ofièrvi , come fìanO amendue capaci
delle ‘fteffe grazie ^ e'de’ nfiedefimi ornamenti.
Molti piuttòfto m’ accuferanno d’ eflTere flato iri
alcuni luòghi poco amante della brevità , e d*
àvef abbondato foverchiamente negli eferhpj
Ma,- oltreché lid fori certi punti, chenonfem-
brano' mai abbaftanza fviluppati , e fchiariti , ad
un principiante le cofe anche' più facili e chia-
re, riefcono difficili ed ofcure: ed ho veduto
in'efperienzà , che la moltiplicità degli cfimpj
é vantaggiòfa , perché Ja gioventù approfitta af-
fai più dalla confiderazione di quelli , che dai
precetti . Quante figure pòi vi fono ed orna-
menti del dire , che in varie e varie forme fi
poffono concepire ed efprimere ? E quivi fo,
che; 1’ Aut. ad Erennio (8o) era di parere, che
non fi doveflero da altri prender ^Ir efempj ,
ma formarli a bella pofta. Io però i ri quello ho
Voluto fèguir le traccie di Cicerone (8i) , fce^
^liendo dalli più accreditati Autori quello che
Convenir potea al mio propofito *
' (ScJ Libt TP^,' cap- l. 3. 4* ’
{fitj L/t. ir.’ De' favtnt. 'QuonUal nobis quoque Vofentibittf
àcctdtt, ut artem dicendi ^erfcriberemus ; non unum aliquod
propofuimus exeinpluin, cujus omnespnrtts, quocumque ct>
fenC in genere « 'txprimendige nobis neceiTario vidcrentqr ffd
«nnibus nonni io locunp coaéiis fcripioribus,. qnod quifque
commodiflìme prsecipere videbatnr, excerpilmuf, & varila
Ingrniis excellentiffima qucqne libavimus. Tanta piu quèfio
fAr fi deve da noi «he non fiam Ciceroni ; piaffime cbè Iq coih
trarie ragioni addotte dall’ Aut. ad Erennio, non fanno al
noftro ptlpofito .
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s
t t
)( XXXI )C
Avrebber cert’ Uni anche defiderató maggior
erudizione in quefta mia breve fatica , ed egua-
Je intereffamento per i moderni , ficcome per
gli antichi maeftri, de’ quali forfè mi diranno
troppo fervile . Avvertano però coftoro , che io
mi fon proteftato d* avere fcritto per i principi-
anti , ai quali ^ ficcome devonfi proporre le co-
fè più fode e fondamentali con tutta la pofTìbiie
femplicità , per non opprimere e confonder Ja
loro mente; cosi differir gli ii devono a mi-
glior tempo quelle cognizioni, che da princi-
pio per lo meno ad efii riufcirebbero affatto i-
nutili (82) . Quantunque poi non poco da me
fi apprezzino i moderni fcrittori d’ Arte Ret-
torica, ed in più luoghi di loro abbia fatto u-
fo , come vedraffi ; pure non ho voluto fcoftar-
mi dagli antichi , si perchè quelli dal giudizio
di tutte le età trafcorfè vennero approvati, si
perchè ancora nulla v’ ha preffo i moderni in
quello genere , che da loro non fia flato con
eleganza e diligentemente trattato. Dicali pure
adunque ch’io fui troppo fervile di Tullio e di
Quintiliano, che quello mel recherò a gloria,
e fa-
C8i) Tra gli altri uomioi dottiintni, che formano M-pii
ben; or..aihrnto di qmfla noftra R. C. Univcr/Ì^tà è celebre
il Srg. Ab. D. Teodoro Villa Profeflbre d* Eloquenza Greca
® Uatiiia , e per le fue moitiplici produzioni noto a tutta Ja
Repubblica Letteraria.^ Di lui io dir potrei quello, che di
Archia diffe già Tullio; e ficcome riconofco 3’ aver non pòco ^
•■pprofìtiato negli anni miei più verdi .dalle fue faagie infiru-
yoKi , cosi dopo l’intero corfo della Rettorica''rimetto alla
di lui Scuuia chiunque bramerà confegiiire la- vera Eloquen-
za, ed arricchirti la mentjp di tutte le j>ià bpJIe «oetiMioni .
che ad cfla apparccngooo . ' . .
X X«1I )(
t farà per nrc argomento di fpcrare la comune
di por fine a qucfta Prefazione,
non vo’ lafciar di , parlare della dignità , .c de’
vantaggi, dell’ Eloquenza , affinchè i giovani s
applicSino'-con maggior impegno , ed aerazione
allo ftudio della. medefima. „ E qual cofa infot-
ti v’ha, diceva- Graffo (85), di più raro van-
to del poter tenere ragionando attente le intere
affembice, le- menti dilettare , e là condurre do-
ve vi piace, le volontà, e ond^ pur piacciavi
ritirarle ? Che cl può effere di più amimrabUe ,
che il ritrovarfi in una moltitudine infinita di
popolo un uomo , il quale o folo poflfa , o con
pochi far ciò , che a tutti è fiato per natura
conceffo ? E qual diletto eguale a quello di a-
fcoltare ed' intendere un’orazione di faggi lenii
e aravi parole compofta , e adorna? ovvero qual
cola è si magnifica e dimofirante potenza , co-
me il vederfi gli affetti d’ un intero Popolo e
le giurate fentenze de’ Giudici , e la gravità d^
Senato per lo parlare di un folo uomo volgerli
.interamente, e mutar faccia? o qual atto e tan-
to liberale e fplendido, ed a reale cofiume 10-
migliante, quanto il far. mercè a fupplichev^
li , follevare dalla miferia gli opprcffi , recare
altrui falutc, liberare da’ pencoli, e intendere gli
uomini nel Soggiorno dolciffimo della Patria i
• o le
• -
.. (83) E' CiceroM flefo eh* parla nella
ZiA F e S D$ Orai, fecouéo la trad.,del C ® fin».
'prò Mufépna rfe #c. , «c<
\
V
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4
4
X mu.i X *■
0. pecftffilià rigyardtamo, che ci ò e#i di
pm Bec*fl»rio dell* aver fempr«,jf.Aro)i inva-
ilo, ernie g^li.0 gwaiHirfi dailiì ^£f«r o6elì? ,
o mvelti^ I malvagi, e provooatr da e/Ti vea-
drcara^ E per dal Fm>v dw trinali,
jU.Ro^ri^^ d^Ia,Curiaf, qual puoM, ai-
lorebi; dalle ^ocettpaaion* fi.imo liberi ,,«o più
gi^onda tepore;, o .'piti ^péopria delja. nàcara'
celi uomo, che ho parlare piacevole, e io a- '
gm fua p?rte puIko. c cokoi‘,f84} «.
■ Facevi permeo corag^^o,;yi dirò o gjov^oT,
« -con torto Rimp^*^ applicatevi a qoefto llu-
dw,. accio, efter pòlTiate d’ oflore a voi medefi-
di vantaggio ^li! 'amici, ^di Ibllieva alla
repubblica C8 5) , NiuoQ^vi fu. pai .avido .vera-
mente di lode il quale non dafi credixo m do^
-we d’ attendere con fomma diligenza ali’ arte
(8(5). Non V’ aeterrifea dunque ia
difficoltà di giugneroe al perfettopoflfe(fo* im-
.perocebè, febbeoelpochi Ììano ftaii m. qualun-
que età gli eccellenti oratori, pure a qualch’
uno di VOI effer potrebbe una tal gloria nferba-
£ e C^niol^ne, Virgilio e Gicerooe,
A alip ed Bembp , e qualunque altro de’ più
' '■ •-. ^ ter
" ' , 1 t ' I li t l I ^
' * 3 . ■
?«*■ « iniiabiir pradfei o.
nr»n * eir» talòra oiUnpto quenV
V AI i n?n ‘ formidabili Sferriti’
in^q Jì eflS incumW?..* * tdolefcMtea , at^ue in id Ihfdittm
?/r. •
xxxir X
celebri Greci , ^ Latini , o Italiani- fcrìttdri vl>-
vranno Tempre nella lor fama ; non è perciò
ibnoflìbilé, che:forgano altri ingegni ca^ci di
faperarli, o di pareggiarli almeno (87). Quelh
che io vi prefcnto fon Que’ medefimi precetti ,
fui modello de’ qufali fi formarono in ogni teni^
DO i veri Oratori; concioffiachè quand’anco fi
mutino i iTwdi dello ftile, r Eloquenza che è
fÌRliiiola della natyra , è Tempre a IteiTa; ed il
«enro degli' uomini può ben cambiarfi col vol-
gere delle età , ma il buon gufto è Tempre il
medefimo. Procurate dunque d’ approfittarne -
per non render inutile <juel defiderio , eh 10 eb-
bi di giovarvi , e per il maggiore ingrandimen-
to delia ToTcana. Eloquenza . ^ •
* Che (darò fine colle parole di Tullio (88))
nello Tcesliere le coTe da me m qucfto libro e-
Tpofte, avrò adoperato tutta quella diligenza,
che al buon efito dell’ opera fi ridriedeva , nè
io avrò certamente- a -pentirmi , nè gli altri a-
- , •• Vran
Et pourquoi feroit-il impoffible, qu il S t de
plus etartJs hommes que ceux qui ont deji paru? Quel eli
ì«lHi\ui a fondd l'abìnie de l’.efpm humajn f Cosi
C Younc. nel ■'In'o difetto a Richardfon Da Conjeaures
jùr la Compofition ofiginalo ep. , dove ecccUentemenie dimo-
Rra la Aid. verità. , , _ . . .-i .
' C88) tib. IT- Df Jnvent. Quod fi ea qu« h'S l'bns «j«-
nuntur, taotopcr? cligenda fuerunt , quanto Audio ele«a
fmit profcfto ncque nos, ncque tiios mduftri» noflt» p<e-
-ihebirrSin" ulem •temer^ali;oi^ pr*teriiffe
eleeanter fecuti videbimur ; doftì ab aliquo
ter^fententiam commmabimwj. Non enim parum c<«noffe,
fed in parum cognito fioUe.acdiu peiftveraffe turpe clT; pr^
pterea quod atVerum communi hominnm infirmitati, altergm
un{(uUri uuittfcui«f^«* vitto eft attributurii* ^ ^
/
4
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X XXXV X
Vran motivo di dolerfì dell* induftrta mia . Sd
poi ad alcuno fèmbrailè , che qualche cofa in»
cautamente da lÀe fi fofjfè omefTa , ó che non
troppo bene io Paveffi intefa ed efpofta, quan-
do ila da quelli graziofatnente ammonito , ben
volentieri procutetò d* emendarmi . Imperocché
non è già colà turpe il cader in errore, ma ben-
sì il volere in eifo lu^o tempo e con aninfb
(pinato perièverare ; 1* uno emendo un difetto
deil’ ùmana fragilità , l’ altro un vizio che dall’
orgogliofo arbitrio ,di ciàfcun paiticotore dipende /
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• V. •
ì N D 1 CE
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* f -''■?. ' i
.PROÈMIO.
1£LV Arte Renorìca in generip, è fui divi-
fioni
PARTE
..C A' P O t
Della Elocuzione .
Arjt. I. Della Eleganza.
Art. II.^ Della Compofizione .
Art. III. Della- Dignità !-
ò A p 6 ^ ir.
* * ^ ■■ —
Dei Tr astati di Parole.' ^ '
§. I. Della Metafora'. . .
§. II. Della Sinedoche.
§. III. Metonimia.
§. IV. Catacrefi . - - y
§. V.' Della Metalefjì.
§. VI. Della Nominazione .
\
CAPO III.'
2)« Traslati di^ Concetto.
§. I. Allegoria . ' -
§. Xl. Z)?//’ Ironia .
§. III. Della Iperbole . . '•
§. IV. Della Perifraft.
§. V. Dell' Antononiafia",
■ .1 ■
I.
Pag. r
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m.’
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■ X XUTJt X • , ‘
C A P ^ IV.
• «
Delie Figure dt Paroh.
Art. I. Delle Figure per Aggiunghntìtfó
I. Della Ripetizione . ’
II. Della Converfione . V ' •
III. Della CompleJJione • * . i ;
Della Conduplicazione •
^ V» Della Traduzione,
§. Vi. Della Sinonimia •
§• Vii. Della Gradazione »
" 9 * Vili. Del Poli/tnteto,
§. IX. Dell' Apozeugma *
Delle Figure di Difcioglhnefito ,
S» I. Della Disgiunizione ,
§. TT. Delln ^ , .. ^
§. III. Della Reticenza •
Art. III. Delle Figure per SimiiftMhtt ,
§. I. Della Paronomafia ,
§. II. Dei Pari - Finienti ,
§. III. Dei Pari ~Qon fonanti ,
§. IV. Dell' Ifocolon ,
CAPO V, ,
* •
' 48
. 4 P
^ .50
. 51
^ st
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*
58
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ivi
6t
V ' Ò2
64
^5
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67
48
Delle Figure di Concetto . • v .
Art. I. Delle Figure di Concetto ptit Mti » 60
§. I. Della Dubitazione, * • ... ,i«i.
§. II. Della Comunicazione ,
§. III. Della ConceJJione , ‘
§. IV. Della Permijfione,
§• V . Della Preoccupazione ,
VI. Z)?/ Defiderio .
a. VII. Della Sentenza,
Ì« Vili. Della Difiribuzione,-
§. IX. Del Paffaggio ,
5. X. Dell' Epilogo ,
5 . XI, Della Similitudine •
l.XIl
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* '
. X X .
Xtl. Della Comp^traziànf *
§, XIII. DeirEfempio .
XIV. Del DialopifmO0
r§. W.^DelP Etopeja .
XVI. Della Profopografia »
XVII. Della Diminuzione,
Z -§. XVIII. Della Digrejfione .
Art. II. Delle Figuve dt Concetto atte a
$. L Della Interrogazione .
> §. II. Dello Soggiungimento , .
§. III. Della £ fclatp azione 0
§. IV. Della Apojirofe 0
V. Profopopeja,
VI. Della Ipotìpofi . . ’
VII. Della Obfecrazione i
• §. Vili- TìaUa
IX. Correzione,
f. X. Della Sofpenfione 0 ^ • . ..
§. XI. Della Preterizione, - '
§, XII. Della Apofiopopefi - ■
§. XIII. Della Antitefi^
€. XIV. Della Efornazione^
'§, XV, Deir Enfaft, ^
§. XVI. Deir Epifonema / . ^
§. XVII. Della Immaginazione,'
li, XVIII. Deir Impojfxbile
XIX. - Della ^JLicenza *
XX. Della Congerie^ ,
. ’ 82
. . 21
£2
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21
eommoVere , . 06
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P A R T E IL
C A P O I-
LJ'ELIO Stile in genere , ' ' • Pàig.:i3»
Art. I. Dello Stil Semplice , i?4
Art. II. Dello Stil Magnifico, e Sublime,
Art.' III. Dello Stil Mediocre, e Temperato, 146
Art*. IV. Delle Proprietà Comuni dello Stile »
e de* vizf a qi*efle oppofìi
§. I. Della Chiarezza ,
II. Delia Brevità ,
III. Della Probabilità .
■§. IV. Della Decenza ,
V. Della Soavità »
CAPO II.
Della Imitazione ,
\ '
CAPO
lil.
Dell* Efercizio,
Art. I. Della Traduzione,
§. I. Del Rapprefentare t concetti
§. II. Del Rapportare le parole ,
§. III. Del confervar il carattere.
Akt. II. Della Narrazione .•
§. I. Della Narrazione Storica.
5. II. Della Narrazione pavolofa
III. Della Narrazione Oratoria.
§. IV.
15?
z$6
J57
IS9
170
iSo
x8i
. 184
189
ipt
ivi .
194
XOI
S jLv. Delle Doti di una buona Narrazione, 204
Art. III. Dell* Amplificazione ,
Della Definizione.
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I .' II. DelP Èmtmirazion dslh pntti . tio
. III. Degli Aggiunti, tu
. IV. Dille Q'agfe, '7 \ r _ tiz
. V. Degli Effetti * 2x5
, VI. Del Genere e della Specie* 214
. VII. Degli Opponi
. Vili. Della Similitudine e della Diffami*
litudine . , , 5 W 7
%* ix. DelP Éfempif . • ' w8
/
ELE^
%• V ^ • *
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ELEMENTI
DELL’
ARTE RETTORICA.
PROEMIO.
<^0TfC/T^
L a Rettorica è un* arte , la quale diTpoae
r uomo ad efler perfetto dicitore, perchè lo
rende capace di favellare in modo acconcio
a perfuadere (i) . ’’
Affinchè egli pofla ottener quello fine , è necef-
iario , che fappia ammaeflrare , dilettare , e row-
movere(z)i laonde tutte le- parti della Rettorica ,
che fono cinque , Invenzione yÙìfpofizione^ Elocu-
zione ^ Memoria^ t Pronunciazione (3), altro feo-
po
* Ars erit- qu* difciplina percipi debet; et eli bene di».
*cendi feientit . Quinr. Lib. U. c. 15. In/ì. Rhtt. Cicero plu-
rfbus loets fcripfìt, Orttoris officium efTe dlcere tppofite ad
‘perfaadendutn . Ivi cap.ié. Cic. deinvtnt. Uh. I. ad Heren.
1 . %. dt Orai. L )l. La comune definizione d’Arhtotete ab-
braccia ugualmente la Rettorica, e l’arte Óratoria, febbene
'quelle due arti fiaiio tra fé diverrà , quanto è diverta la teo-
ria dalla pratica, liccome vedremo pib abbaco.
' Optimus efl Orator, qui dicendo animos audlentium
■A docet, ffe deletlat, & permovet, Cic. de Opt. Gen. Orat.
'Ratio Offlnis dicendi tribus ad perfuadendum rebus elt niza ;
tiC probemus vera efTe ea, quae defendimus ; ut conciliemus
aiobia eos, qui audiunt ; ut animos eorum ad qurmeumque
‘cauta portaiabit motum vocemus. Lih.II. de Orat. Ad Brut»
■ n. Quinti/. Lih. Ut. e. 5.
. l^rtes aatem hm tunt, quas plerique dizerunt . luv»?-
tio* Elocatio, Memoria, & Pronunciativi
j2* Orat, tib» ir, ad Hmn, 1; e, 2 ,
Gtard. B/tn» T. I. A
Dt^iliiCd by Googic
A 2 A
po non debbono avere , nè fervire ad altro , che
ad infegnare la maniera più atta per ammae(lrare|-
dilettare , e muovere gli affetti ,
L* ammaeftrare però è proprio dell’Oratore non 1
in quanto quefti la puramente i precetti dell’ Arte ;
Rettorica, o pe ufa col dovuto artifìcio, ma in
quanto nello ìleffo tempo égli è ancora imbevuto
delle Filofofklie * Legali , o Teologiche cognizioni,
■ lècpndo i vari at^onìenti , che deve trattare (4) •
' Il^dilcrtare , ed il comraovere per lo contrario
■^così>d effo appartengono, che in ciò tutta, quafi
Jdirci , confifte la di lui arte , e Ha riporta la fua fa-
*'^p 4 tà,i Sqlea perciò diré lo fteffo Cicerone che il
ritrovare ed ordinar le cofe è proprio d’ un uo-
mo prudente ; ma che il ùperle efporre eoo elo-
quenza proprio è foltanto dell’Oratore C5)«
li dileuq adunque, ed il movimento degli affetti
avendo noi fpecialmente dr nrnra , colla feorta di
Marco Tullio alla fola Elocuzióne ci rertringeremo
nel dare quelli Elementi dell’Arte Rettcrica (.0) ;
la qual parte avvegnaché in fé rteffa lia la più dii-
fìci-
iti — 11.1 - .. «m;— — A« ili I ■ 11*. Il I il . -mm
CO Mea quidem fentcntii', nemo cflV potprit ornai lande
cutnuUtus Orator, nifi eri t omnium rerum magnarum , atqaa
artium rdentiam' confecutus. C/'e. 1 . dtOrat. Omnia qiia^uin>
que in hominum' dirceptationem cadere polTunr , bene funi ci
dicenda, qui hoc Te poffe profitetar. aut elnquentie ndoietl
relinquendqni eft. /vr lib. Tf. c. a. IL r, aa. zjf. 3. 4^
(55 Itr. jrnllius inventionem quidem', & dirppfitiooem pfH-
dentlé bominis putat, eioquentiam Oratnris. Quint. vijii. in
^rin. Ad He»; 1. 181 Atteruih prùd'entiaJ efl pene tnediqcria ,
MÌd dicendum fit videre : alterum efi , in quo Oratoria và*
illa divina, virtarqQe cernitur.. ca^ dicend» Uipt orng«
te, copiofe', varieóue dicere. De Orat. II.
. CO Jl’aitrc parti della Retfor.ca fervono pip^iriarteMtf 4
formar P Oratore, quegli cioè, che deve efereiiarfi foltantp
nel perorar le caufe';’ ma la Elocuziooe.fi efleode, ed abbrac-
cia la Poefia, la Storia, J* OratorU ^tótohà , ed i di lei pre-
cetti Crraonp a cùuo^ite ia fattmi hfÌV»*icrtfcrt , e farUfS*
•BeiufiattOiitltte . ' ,
1 • -ìm <
ncife Cj), nulla Jimeno per la fua varietà e fe^
piadria pià facilmente nell’ animo de’ giovani s’
imprime, c loro fommidiftra abbondanza di frali ,
facilità d’ erprelTione j c quell’idea di buon gufto,
di CUI pur troppo giova, che per tempo la di lor
mente s itnbeva i ammonendoci faggiamente Ora-
rio nella piftola a. tib. I., che
^0 femei ejl mbiità reoens^ fernrabit odorem
Tejia dm .
Siccome perb (appiamo, che in tutte le cofe 1
l'enfio minor fòrza dell’ eTereizio (8) ; e
che l’ arte può folo fi^rci comprendere , fe rette
nano 6 no qnclle còfe i che veniamo a confeguire
foli a;uto della natura, dello lìudio, odeU’eier-
cfzio fteffb Cj) I ma che non può da per fc fola ren-
arci eloquènti (io) ; perciò fa di mqftierl, cho
dunque txrama daddoveco ajfrìvare aì fine della
JRettorica, renderli cioè abile a perlhadere còl fuo
diicorlo, alrarce, ed ai precetti congiunga una
A 2 dili-
Cz5 Difficiilimnia tft iavtntnai ezpolire . j/d Bergtt. f.
genertt deinonftrttto eft, 9 dolina ipft vulparit ,* ufiis
Mtem griviffimut, &in hoc toio diceodi Audio difficilliinut»
w. iloént. nrr. in trine,
Qoy Io omnibuf fere minut valvnt prccepta quato etper^
ncota . i(mtnté li. 5 . Artem /ine allìduitate dicendi non mul»
tum luvare : ut intelligat, hanc racionetn prteceptionit ad
T** il”** aecoUimodarl oportere. Jtd Heren. t. i.
yfij In bis przeeptis hanc »im & hanc ntilitateio effe atbf-
tror , non ut ad reperienduin quid dicamus arte dscamar, fed
ut ea, que natica, qus Audio, qua exercitatione confequt.'
mur, aut reuaeffe conAdamus, aut prava intelligaatutf , cuid«
SUO referenda funt, didicerinius. De Orat. IT. * *
i* vet* divetlitì, che paffa fra il Rettorico , e
• • Rettorico diceff quegli che fa , ed infegns i pre-
* t ‘f*®* «Uri poffa elegantemente parlate : O.
more poi quegli, che gli applica, e riduce alla pratica per
*‘"‘0 <<»"»-
nlmilra 1 arte : al fecondo abbifognano inoltre alfpofi^ionir
4t Biturs, Mie, «d efexeiaio . Ufilat, làk. tU
diligente imitazione degli ottimi fcrittori , cd un
continuo efercizio di fcrivere^cdi perorare (ii).
Per la qual cofa due fono le parti di quella mia
breve Operetta : 1 ’ una contiene i precetti dell’ar-
te ; r altra infegna ii modo d’ efercitarfi vantag-
gibfamente . Nella prima tratteremo della Elocu-
zione in genere, poi dei Trasiatf) e delle Figu-
re. Nella feconda , premelfo un breve trattato
dello Stile , fi parlerà della Imitazione , c dell*
Efercizio (12) . , , '
(il) Hacc oinnit tribus rebus adfeaui potcriraus, erte, imi-
tatione ezercitattone . Ai Heren. T. x. de Orat. 1.
' 00 Tale fi è la divifione , che fa Tullio nel L>b. II. dell
Orat. c. ai. Hoc fit primum in praceptis meis^ vt dcmon-,
Jtremus ^ quem imitemur y acque ita a», q^ maxime txctl-*
lant in co , quem imitabimur ^ e a diligentijpme perfequamur i
tum acetdat exercitatio y qua illum y quem ante delcgerit ^
imitando tffèngat , ,
. 1
> %
, r
.4 •
. A à.
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; 4 »
PARTE PRIMA.
•, . c A f ,ò r.
. Della Elocuzione.
L a Èlocùzìone è quella jjarte della Rettori*
ca ,^che ne fomminiftrà i termini propri , t
che Vinfegna il modo pih atto e conveniente
tanto a rapprefentar con parole le concepite idee,
quanto à lignificar le còfe , di cui fi parla (12) «
Perchè tale veramente ella dire fi poflTa , deve aver
tre doti , Élèganta, CompofiTÀone e Dignità (i?)*
JL’ Eleganza nafce dall* ottima, fcelta delle paróle:
la Compofizione dall* artificiola collocazione delie
inedefime: la Dipità dal retto ufo dei Traslati e
delle Figure (14).
ARTICOLO L
<1* j ~ <0»
■ ‘ Della Èieganza* - ‘ ■
INTeul A fcelta delle parole due cófe hifoghà confi-
derare . Primo che fiano proprie della lingua^ in
cui n fcrive , o fi parla , latine cioè o italiane pu-
Eloctitió efl idoneòruln vérboruHi . & fentèntlirum ad
fnventionem accommodatin . Ad Meren. J. t. de tnvent. t.
Clì'y Elocutio commoda, & petfttla tréa ras io Te haberé
dfbet , elrgantiam, compofìtfonem , digaitateita. Ad Htren,
TP'. IX. Qjtiat. f. Arifl. ad Altaand. ketb. e. 24.
' Eiegantia cA qu» facit, ut anuaiauidque pura ^ & a-
pcrce dici videatur . Compofìtio eA vérootum conArnftio^
qua; facit omnet partes orationis «qnaliter pcrpol^aa. Dì- -
gnitas eA, aa« reddit ornatam oratiOoaìn vatifUU 4 >Aia>
gvens • Ad aertn, iK ti* ^
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x«x
, e lontane affatto dal formar barbanfino « o -
jccifnio , iìccome ififegna là Grammatica . secon-
do , che fianó atte alla fpte^azione de' noflri fen^
timenti sì rapporto alle cofe ^ coi H riferifcono ,
che rapporto a quelli, ciìe ci afcoltano (15).
Tutte le parole in oltre avv^nachè abbianole
fnddette q[ualità, poffono effer nrepr/e, o traslate m
. Proprie diciam quelle, che dall’uro, e dalia con-
fuetudine venendo desinate a lignificar una cofa , o
una determinata idea , a qnella da noi fono appli*
cate . Trasfate per lo contrario chiamiamo quelle
altre ,• che o per ntccirità , 0 per ornamento , o per
brevità li adattano acofa^ a dinotar la quale pro-
priamente non furono mlhtuite(i6). Cosìp. c. la
voce ridere firk in fenfo proprio, quando « riferi-
fea ad un nomo; ma fe fi riferiice ad un campo,
allora farà in fenfo trasiato . Perché dunque la no-
Ura Elocuzione dir 1 Ì polfa elegante , nella fcelta dei
vocaboli li olTerveranno le quattro fegnenti regole.
I. Imponfeifarli a fondo della lingua, della di lei
(intani D coftruzionc , ed imbeverti perfettamente
del Tuo genio per evitare ogni difetto d’ incolta e
viziofa locuzione ; ai che giova rpecialmente la
lettura degli ottimi autori (17 ) .
Z.Sfng-
W<|»|| M | Ì <|| J |ÌI.. ~ . J ,. J I H II H, 1 »
fiO Elrgaat!» dividitqr in Utiniuten , & czplanationcm .
Ma Mtren. W, la. la verbis iotutndum efl, ut fine Jatioa,
ptrQ>icua , & ad id qnod efficere volumus accomraodata . Quim,
vJil.i.x. tltcìnttr varbis aat ìis, qaae propria rDat, h carta
quafi vocabula rcruip pene una nata cum rebns ipfis; ant ita,
J ote tranaferuntor, ft auaS aliano in loco eoiipeantur. Cic,
t Orar. Itt. io.
C'd) Propria funt va|d>a cnm id ffgoffijEaat, inquod prìtoma
denominata font. Ttaotiara con allon ^tàn int«lie£hiin ,
aliotn loco priebnÉt ; f, io. Citr Partit.
tioy 04*Mf UMiieiidr eleganti!, qaiinquam ex poli tnr. fere».
OtlttvriHllli, ^ònen anjetar Iniziai* Oratoribus, & Poetia,
quorum fmanoe
^tcruat loqai nifi
afiiefkAi «ni erant, na cupieaKf «nidem
6 ialiiifv De Orat» tiL ivi.
» ’
x?x
2/ Sfuggire tutte le efpreffioni ambigue , plebee,
fordide , o meri che oncfte (i8) .
3^ Lafeiar ratte Je parole troppo antiche edifu-
fate, nò nica fervirfi di voci ftraniere, o affatto
nuove (ip)..
4. Nelle, parole proprie fceglier 'feropre le pilli
illuftri , e le più atte a fpiegarc i noftri pen fieri ;
nelle traslate, quelle , che hanno maggiore affinità
e fimilitudine eón la cofa , che vuoili apprefenta-
re ; e di quelle ancora farne affai parco ufo (20),
Con tutto ci6 non vorrei , che fi inoftraffe un
vano Audio di parole, nè che fi aflfettaffe di fcri-
vere con tenpini fcelti, ninna cura poi avendo di
tutto il rellante^ imperocché le parole primiera-
mente non vogliono efferc né troppo comuni , nè
troppo dotte , acciò da tutti fiano intefe , e poi
A 4 non
'" J .u . ' HJ.,
€F-— - Qjlf/IO sai wu |,|UUI&IV ,
fi vitu già radoper«re «gni termine antico: ma quelli fol-
faoto, che a* giorni noftri fono aftàtto innditi » e che fono
rigettati dagli ottimi Scrittori . Per la onal cofa Cefare nel
Libro 0 ! Anatogin diffe: tamquam feof^hm Jic fugias inau-
m’ÌV. !?*^.** infileas vtrhum ; e chi ne’ ffiol Icritti fi pregiaP.
re d Hiferire tutte le pi^ %«iie- paiole , che troyanfi in. po-
tilo o |n Dante, merit.erebbefì ai certo quel rimprovero, che
^*®*.^*yprino il Filofòfo per teftimpnianaa di A> pelilo
jfttie, M. T. c. 15. ad un giovane, che cosi la penfava ; Non-
oe nomo intptu^ ut quQd vis abundt confequaris % tafertsì...
moribus ^ 0 ttritis^: hquere vetbis prafinttbus . Circa
al formar paróle nuove Cdel che parlano Cicerone, e<^in-
ttliano j IO non mi efiendo, perchè quefto non f| g| ’iISliro
ufo, e baila il dire, che tifitatit tutius utinutr ‘ 0^4' ówh
fiy qusdam fgritulo fi^imus . <^uint. I. io.
,.VW la propriis aptii^a eligamus, in translitis flmilitu-
Catati verecnnde gtamgr ilienis . T/V, da Opt. gtn.
«ftu* obfbieta fogiat, leftià, awwe
fe ^ fiwwf
i
-i-.ii- ; / C-
I
X 8 , ■
non v’ha cofa piìi ftolta. dice Tullio,' d’nnvà^'
ho ftrepito di parole anche le più ottime , quan-»'
do quefte non Contengono yerun fcntimento , nè
alcuna cognizÌ9ne ci Tòmminidrano (21).
. ARTICOLO II.
Della Compofiztone .
3 [ 3 all’ artiliciora collocazione delle parole ne de^
riva la compolìzione , la quale, 'fìccome abbiamo
detto , pollice , e rende uguali e connelTe infra
di loro tutte le parti del ‘difcorfo . Perchè ciò li
polla ottenere, tre cofe , dice Quintiliano (22),
fono da olTervarfì , T órdine , la Connejftone , e
P Armonìa .
§. l, y
L’Ordine confiderà 0 relati van)ente a ciafcun
vocabolo , o in ouanto a tutto il concetto del dir
fcorfo (2?) . ' Relativamente a ciàfcun vocabolo
guardar ìi deve , che il nofiro dire Tempre vada
crefcendo nel fuo progrclTo , così che alle cofe fem-
plici e comuni fuccedano Tempre- le cofe più gra-
vi e follevate ; laonde non fi direbbe giàp.e. un
facrilego y un ladro ^ un petulante ^ ma tutto al
' con-
cili Rcfìnim tis, qui omifla rerum diligentia , quodam ini»
ai circa voces (ludio fenefcunt, quod efi in dicendo pulcberri-
aiunt , fed cum fequicur, non cum Vdeilatur . Qjtint. yitl. in
frin. Q^uid eft enim tim furiofum , quam verborutn , vel o-
ptimorum Tonitus inanis nulla Tubiera fententia, nec fcìen»
tia ? Cic. de Orat. I. 5I. Aul, Geli. lib. I. e. IJ- NoSt. Attie.
Cil^ In Omni compofitione cria funt neceffaria, Ordo,
Juntiura, & Numerus . Lib. tX. 4. Q^uinf.
Primum ìgitur de Ordine. E;us obfervatio eft in ver*
b« nogulis, & concexiict Quiat, ivi» ad Hertn. 1^. la.
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V
'X 9 X
contrario . Così par quelle cofe » ^ die pl 2 ^ nobili
fono per dignità, o prime dì natura, devono èC-
fer collocate a preferenza delle altre men degne,’
c per natura polìeriori; onde fi direbbe a cagion
d*efempio il g torno ^ e la notte y P Oriente y efOc-'
cidente* il Sovrano y ed il Suddito^ c non ai con-
trario (24) . .
In quanto al conteso poi 1 ’ Ordine vuole, che
non fi confondano i tempi, é leperfone; che non
fi facciano trafpofizioni improprie, quale p, e. fi
quella di Lucilio: Has res ad te Jcriptasy tu-
ci y mifimusy Aeli ; e che non folo fi fiia alla na-
turai cofiruzione propria della lingua , ma che
neppure i perìodi fi continuino tanto a lupgo, che
fianchino e chi li dice, e chi gli afcolta (25); che
in fomma nulla flavi che togliere o aggiugnere
vi fi pofla . ^
La Connefiione 0 fia giuntura confifie nel col-
locare, e dirporre le parole ed i fentimenti in ma-
niera tale , che facili alla pronuncia, e non reo-
Jefie air udito ricfcano le prime , e collegati fcara-
bievolmente l’ un l’altro fuccedanfi li fecondi (26) .
Nella collocazione delle parole farà neccflario l’at-
tenerfì alle feguenti regole . /
I. òfuggire la vicinanza di molte vocali, quàn-
^afiìme fiano di tal natura , che la ' di loro
collifione produca Tuono cattivo , xaexa^arW , co-
me •
14J Q,uint. IX. 4. Inp. Rhetor.
Verborum trantjeAionein vitabìmus , nil! quae •rie
concinna,... Item fugare oportet longam verborum conti>
niittioaetn, quc & auditori! aurei, & oratoria fpiritum la.
alt . Ad Btrtn.
orationem efficit ,* co£«rentein ,
iev«m, ^qualiter flaetitcm. De Orat. Ili, I
r
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X w X
me dicono i Greci p. c. Bacca ama ameentjfima
impcndebant .
2. Togliere il concorfo di certe confonanti , che
accoppiare non fi poflbno fenza che generino afprcz-
23 , e difficoltà ; del qual genere farebbero le fe-
guenti p. c« ars [iudiorum^ rex Xerfes^ urbs Za-
cynthos (27) .
3. Guardarli dal ripetere molte volte le fielfe \
lettere , fillabe , o parole troppo da vicino ; nel '
qual vizio cadde Ennio in quel fuo verfo
O T ite i tutte i T ati , ttbi tanta tyranne tuliJU •
c fors* anche Cicerone in quell’ altro
0 fortunatam natam me Confule Romam,
ficcome pure bifogna evitare certe definenze fomi-
gliantì > quali farebbero p. e. flentes , dolentes »
plorantes , lacrymantes , ec.
4. Separare in tal maniera i monofillabi , che
le parole brevi mefcolate con le lunghe più grate
c più facili ancora riefeano a pronunciarli (28) .
Quello però appartiene in gran parte all’armonia,
di cui (i parlerà nel paragrafo feguente .
I fentimenti poi in guiia tale connettere e col-
legare fi debbono , che 1’ uno dall’ altro feambie-
volmente dipendendo , vengano col mezzo delle
parole a formare un pieno c perfetto giro , del ^ua-
4 • . •
C17) CoIlocit»onÌ 8 eft componete, & Hruere verba fic , «t
neve afper eorum concurfus , neve hiulcus fit , fed quodim-
modo cotgmentJitus & levis ; De Orat. //t. od Heren.i «li»
4* Rbet. ' , .
?a8) AUe volte però certe ifpreize o rapidità , che altri-
menti nei parlare farebbero viaiofe , vengono fatte ad arte ,
e formano Je principali belleaze maffimc de’ Poen : anzi da
queRe bellezze a tempo ufzte fi conofee il loro finiRinio giUf
dizio. Vedi parte 11. 4tìle Doti comunt dello flth»
a
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XuX
[e ton piacere rerti foddisfatto I* * adito e V intelletto
ancora C^). Triplice fi è la formi o la difpofizio-
ne, che fi poò dare ai fentimenti nella fcne conti-
nuata d undifcorfo; imperocché i ragionamenti li
formano d" Incjfìy di Membri^ c di Periodi i^o) ,
Incili diconli quelle unioni di parole, le quali
feparatamentc niun perfetto fentimento compren-
dono , e che quantunque fra di loro fiano tutte di-
flinte con alcuni intervalli, o fianr virgole, pure
di lor natura vanno sì ftrettamente unite, che non
ammettono pofa fe non in fine (5O. Così diffe
Cicerone nel Lib. II. de Nat. Dcor. n. 98. Terrg
vejlita floribus ^ herbis^ ar borì bus yfrugibus ^ e po- *
co dopo : adde fontium gelfdas perenniiates , li-
^uores perlucidos amnium^ riparum vefiìtus viri-
di ffxmos pelurie arum corte avas altitudineSy faxorum
ajperitates , impendentium montium altituàines , im-
menfitatefgue campotum» Ed il Boccaccio nella ce*
Jebre fua defcrizionc della Pelli lenza : Per le /pat-
te vdle ^ ^ Ptf fi carnai f lavoratori mi feri ^ e po-
veri , e te^ loro famiglie fenza alcuna fatica dì me-
dico^ 0 ajuto ai fervìtore^ per le vìe y e per li Iota
colti y e per le cafe y di a) y e dì nafte indifferen- /
temente non come uomini y ma quafi come bejtie mo-
tieno, I quali fentimenti ognun vede, cne fono
fpezzari per così dire ad ogni tratto per mezzo
delle virgole, ciafeuna delle quali non contiene ve-
rna
(sO CoIIocibuntur {gltur verbt ut {nter fc qaam aptifi-
me cob^e^Dt estrema comprùnif, eague fintqaam fuaTÌfi-
Aiis vocibni; aut ut forma ipfa concinaitaTque verboran co»,
ficiat orbem Oiani. Cie.'Ofàt. ad Brut.
.00 '11* conaeza feriet tre* babet format : incifa, qom
*iuftai 7 et dicuntur; membra, gu» xttAat , & vtpiotofy qo«
*lt vel ambìtnt, vel ciricuibduAum, vel cootfauatio, vel
COBclttfio . Huint. TX. 4.
Articalui dicitur , cnm fingala verba iatirvalUf A*
MiBguunxn c«f» oratioa* • Ad Mmn. 4. ip.
i
•3
)C Ì 2 t
futi fen/opofrtto f ma foiranto parole, che il finé
poi mtti gli incili ricevono il oro compimento.
U/incmbro è un breve giro di parole, le quali
imprendono un fentimento in parte perfetto , al
fine del quale perciò fi può prendere un breve
refpiro ; ma che però eflendo ancora fofpefo , e
npii pienamente dimofirato , duopo è quindi paf-
fare con altro fimile giro a dar compimento al
nofiro dire C32) . Cicerone a cagion d’ efempio
nella Azione feconda contro di Verre incomin-
ciò così : Quod erat optandum maxime , judices ,
& quod unum ad invidiam vejìri ordinis, Inf/^
mìafque iudicmum fedandam maxime penine-
bat»,* Ed il Cafa nella Tua Orazione a Carlo V,
Siccome noi Reggiamo intetventre alcuna volta ^
Sacra Maejtà , che quando 0 cometa , 0 altra nuo-
va luce è spanta neW aria y il più delle genti
tiVolte al Cielo , mirano colà , dove quel maravt-
Sliofo lume rifplende .... Nell’ uno e nell’altro
di quelli efemp; fi vede , che rella comprefo un
fentimento per quanto egli è perfetto, perché ap-
paga in qualche parte la nollra cognizione ; ma
chc.non ancora però fi può dire compito e per-
fetto in tutto' (33) . ^
j • I* I I è un pieno, c compito
circuito di parole; le ^^uali comprendono un fen-
timento così perfetto in tutte le Tue parti , che
nulla piu halli a defiderare , nè dalla mente nè
- dall’ -
C3O Membram oratìonfi adpeltatur res brevitef ablbJuu
fine totius Tcntentis deRionltratione, denuo alio meni-
bro orationis cxci.pitur. Ivi.
C33), I itiembri d’ordinario roglionfi diftingnere col pnntov
• la virgola, o con i due punti: ntilladimeno però fe ne tro-
vano ancora di duelli , che diflinti clTendo con la fola vir-
5 [ola, non fi polTono chiamare incili, «u debbonfi cobfidvtare .
ucome fono la fatti , veri membri . . .
•V
X 13 X
dall’ orecchio (54) . Eccone infatti l’ efempio ;
Qued erat^ optandum maxime , Judices , & quod
unum ad invidi am vefiri or dinìs ^ infami amque ju~
diciorum fedandam maxime pertinebat y id non hu-
mano conjiiioj fed prope divinitus datum -atq'ue olh
■iatum vobis fummo reipublica tempore videtur , £ ,
iìmilmente quello del Cafa farà un perfetto pe-
riodo, quando interamente fi profiegua in quello
modo : Siccome noi vegliamo intervenire alcuna
volta , S, M , , che quando 0 cometa 0 altra nova
luce è apparita nelP ariay il pià delle genti ri~ - ,
volte al Cielo , mirano colà , dove quel maravì~
gliofo lume rifplende ; cosi avviene ora del vojiro
fplendore y 0 di voi : perciocché tutti gli uomini y
ed ogni popolo y e ciaf cuna parte della terra rif
guarda tn verfo di Voi falò, >- • *
OSSERVA Z Vo NI,
Se il periodo è formato d’ un ' membro' fofo ,
chiamali femplicey altrimenti dicefi compojio . Ir»
quello fecondo foglionfi confiderare due parti dette
eepx^ c TtKeurv, principio cioè e f ne dà Arinotele y
4 da Ermogene vpóraau , ed àvòloau vale a dire
prolungamento o fofpenfione y e fcioglimento (35).
/ t Principio o prolungamento fi chiama quella par-
I te di periodo d’ uno , di due , o di piu membri
Com-
O4) Continnatio eft drafa , & continens frrqneotatio ver-
DOrum cum abrolutìooc fenceatiarum . Ad Bertn. W. 19.
.Ov Inouratrevoli Tobo qu«<! le divtfioni, che i Greci fpe-
cuimeate fanno intorno al periodo, le quali qoivi'S trala-
ftiano per non generare ma^iori difficoltà. .Voggafì Arj/f.
C$c» dé Ofnt» litm Quifbte IXy QuAOtiin^uc
predette due parti lì confiderino fpecialmente ne* pe-
yodi conpolii, ciò nullaoflaate li trovano anebe’ né* periodi
.femplid, comecliè Caso meno evidenti, e cbiare .
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X 14 X
^ompoih» cui il rentimento' rella cosi rofpefa^
che non fì fa ancora < per cosi dire^ T cHco delU
cofa . Fine ó fcioglimento per lo contrario dicefil
1* altra parte , in cui il periodo piega in certo nao-
doy e n (doglie col terminare e perfezionarli della
fentenza. Siane d’ efempio il feguente periodo di •
Cicerone! con cui iocomincià T orazione prq^r*
' 9RI«fQ!Pf04
St qmà éfi in me hgimii judMeij quad /emU
fit fMtguum; ^ut fi. qnq exer^iiam dUendif
tn qua nv» tm4m^ìtef affé vwfatui»^
aut Jf ikuj^e rei ratì<i àliqùà ak Qpttmarum atf-»
ùum tp fftfftfìtiaa profeta , a qua ^ fcm>
fiteofj mdlum atatii akiwrruijfe »
fl f K e#
Sqrum nmm emnium %ei ht primis tic Aulus
^icinius fruEium a ma repatertt prgpa /uà ^ure dtèet «
Bifogna dunque procurare « che tutte le parti del
' periodo abbiano una naturale concatenazione
guifa che runa all’altra s’appoggi, e ncceflariai
ineaceun membro l’altro richieda < Il (encimcnta
poà foltaaco nel fjue dd periodo dcirer eKer perfetto
qosl che nulla aggiungere, p .detrarre vi fi poi&«
£ ficcome per erprimcrc i var; affetti dell’ ani-
mo nouro I ora i periodi voglion effer pih veloci «
ora più lenti , quando lavorati con artificio , e
quando negletti e piani , fecondo che riceid^ft di'
ammaeflrare , di dilettare , o di com^yere « per-
ciò talvolta e oeceffario parlar par inc'ijà , talorg
a membri ^ e non di rado con jperiodi^f^i ^ ^
con aruwvà periodìeba •
. Dicefi parlar per incifi} ^uandq ftr ^a$crc qj.
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, , X 15 X
incalzar rawcrrario, o per ingrandire la cofa «?.*
^ ] formafi quaJche periodo pieno d’^J
ali, del qual genere U è quello di Tullio contro
Tifone : iVaa emm color ijte fervilis , non pilaf d
iilU’ ocuH, %pÌf.
Zn! > “j ’ is’Wui dtnpit .
/e////, m fraudem mduxtt , Panci tua ìRa ìutZ
Jiuporctn y debtlttatemquc Imgux» *
Allora poi parlali a membri, 'quando fpecial-
jnente nelle narrazioni con tale femplicità fe cofe
fi pongono, che, febbeoe i periol Sano cÒm!
polli di varj membn , quelli perb fembrano d* a«
vere niuna conneffione fra di loro, tanto fon pri-
VI di artificio ; che anzi potrebbono adoperarlfda
fono indipendenti V uno dall’ al?
Ud). Così Saiiullip nella fua Storia della guerra
Giuprtina : In d/vtjìong orBts terr^ plerìgue in
r T* L AdAfrtcam /> Europa^
habet ab Occidente f return noUfì maris
0^ Oceani : ab ortu folts declìyem lititudinem *
quem locum Catabathmon tncoU appellante Marf
fxvum , importuofum ; aaer frugum fertilis , b^.
pecari, arbortbus tnfecundus: calo, telragut
Salubri corpoT^ \
i pjerofque fene^us dlkoH
bus haud /ape quemquam fuperat . ^
— Che
P***’a»5ue narrabimus. aut ipfat t»rfn-
Di
^■'y -_jOOgU
/
X X
Che fe trattafi un argomento grandiofo e magni-
fico , o bramafi movere gli affetti nell’ animo di
chi ci afcolta , allora duopo è fervirfì del periodo
pieno e rotondo , ovvero dell’ Orazione periodica
(57), la quale non è altro, che un periodo com-
porto di molti membri legati e conne/fi infieme con
leggiadro artifìcio , ed aggradevole maertrìa (38).
Innumerevoli efempj fe ne incontrano nelle Orazio-
ni di Cicerone. Ecco in qual maniera egli comin-
cia il fuo ragionare ai Romani dopo il ritorno dall*
cfigliq : Qtioci precatus a J ove op. max . , cetenfquo
Dììs immortalièus fum ^ ^utrìtes j eo tempore y cum
me y fortuna fque meas prò vejìra incoi umit ate y otto y
concordiaque devovì , ut y fi meas rattones unquam
vejirx f aiuti antepo/uiffem fempiternam poenam fu-
fiinerem mea voluntate fufceptam : fin & ea y qux
ante gefieram , confervandx' civitatis caufa goffi f-
fem , Ù" illam miferam profeSiionem vejìrx falutis
gratin fufcepiffem y ut y quod odium fcelerati homi-
nes & audaces in remp, & in omnes bonos conce^
ptum jamdiu continerent , in me unum potius , quam
in optimum quemque & in univerfam remP. defle^
Eierent y hoc^ (i animo in vos , liberofque vejtros fui/-
fem y ut aìiquando vos , P, C. Italiamque univer-
fam memoria mei , mifericordia , defideriumque. te-
neret : ejus devotionis me ejfe conviElum judicio
Deorum tmmortalium ^ , tefiimonio fenatus , corifenfu
Jtalix y confeffìone ìnimicorum , beneficio divino ,
immortalique vefiro , maxime lator , j^fivltes .
Per formar qucrti periodi rotondi, e pieni bifo-
gna prima concepir brevemente quel penfiero, che
fi
.C37D Pertodus apti prooemiis majorum caufarunit ubi ToUi.
citudinci commendatione, miferatione rea eftet . Qjtint. ivi ,
- (38) Eft enim ante omaia oratto alia vinfta atdue contex.
ta, folata alia. />/.
•wam
■srr
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XI7X
ii vuol 'cfprimere , e poi veftirlo di. parole grandi
e magnifiche , foltenendolo Tempre per mezzo di
particelle copulative, che unifcano infieme ii Prin-
cipio ed il Hne , e che vengano a chiudere tutto
quel giro armoniofamente , Guardar però ci dob-
biamo dal riempire tali periodi di vocaboli inuti-
li , o affettati , e di fentenze vane ed infulfc; fic-
come ancora dal non far sì , che il giro delle pa-
role chiudali più prefio di quel che l’udito richie-
de, o più a lungo s* efienda di quello che foffre
il petto (59) j nel che dobbiam confultarci coll’o-
recchio, il di cui giudizio, al dire di Cicerone,
è fquifitiffimo (40) . ^ .
. Molto meno poi dobbiamo attenerci Tempre ad
uno fieffo ftile e modo di favellare, ma duopo è
variar teflitura e mefcolare periodi più brevi ad
altri più lunghi, e fare, che abbiano variazione
tanto nel numero, quanto nella difpofizione^ per-
chè altrimenti vengono a noja, e riefcono molefti
(4O ,
§. III.
L’Armonia nel dire fi efiende alla fcelta ed alla
difpofizione delle parole nonfolo, ma comprende
ancora il loro tuono, brevìtik, o lunghezza; la di
• ' lo- *
00 Nec circnitus ipf« verboruM fic aut brevior quam au-
rea cxpeAeflt, aut loasior, quam virea atque anima patia-
tur. De Orat. IH.
•<40) Aurium iadicinm ruperbiffimum . Cie. in Or ài. ad'
Snttum. Aurium fenfua faftidiofiffimus . Ad prò
Pont. ». a. • ^ }
C4O .Qui fugerft t ut neque verbum ita traiiciat , ut id dt
induftria faAum intelligatur ; neque infercicos verba, quali
rimM.expieat : nec minuioi aumeros fequena concidat « de-
lumbetque fcntentias; nec 6 ae alla commutatioae in eodent’
rejmpet etrfetur genere numeronua, i« omnia fere viti% vita*'
verit . CìLm,
ra,Bt4
Giara» Eim, T. I.
B
X«8X
loro conne/Tic^e e namero: la de’ perl^
di , la' loro coocateoazione , ed il modo di termi-
nare pili grato e dilettevole; e ratta in fomixÉi
l’ e^ooinia dei difeorfo relati vamentè all* adito $
e tutta Parte di difporre le voci tanto nella pro-
fa 3 quanto nel verfo in maniera più atta e pi&
acconcia alle immagini , ed alli fentimenti , che
voglionfi rapprelentare ed efpriroere (42).
Quella è una parte importantilTinia , confìHendD
in ella quali tutta la diflèrenza, che vi palTa fra il
buono ed il cattivo fcrittore (45) ; perilché di0u«
famente fe ne tratterà nellaPartelL di quell* O-
peretta parlandoli delle proprietà dello Stile,
t Ora perchè di foverchio non s' affatichino i prin-
cipianti nel ricercare quell* armonia , ed acciò nom
cadano io difettofa e llocchevole cantilena 9 men-
tre Hudianli di parlare con numerolicà , ^ovez 4
brevensence ammonirli , che devono
1. Avvezzare l’ orecchio all’ armonia dei periodi
di Cicerone , che leggeranno diligentemente, con
fpirito, e !voce elevata inveUeadou per quanto farà
^ITibiìe del carattere , e del di lui fuoco (4^) .
2. ' Mefcolare-in tal maniera le lilla he brevi alle
lunghe, e le parole corte all’ altre più eilefe, che
nè troppo, rapido, né troppo tardo feorra ri pe-
rìodo .
?. Conchindere i fentimenti con qualche voca-
bolo grave , pieno ^ ed armoniofo . ,
. . ' 4. Pro- •
(40 M. Marmontel. Popttq. chip. VI. ^ *
143S Quint. in proeem. Li Ir. f'in. Infl. Ritt»
C447 Apu«l pofleros i<l coi:fetutug ut Cictn jant eoa
àomiait, fed el9qa»n;>« oMtttii <habeatur . Haac igUar fpe-
Cl«iau« : hoc prapofitutn adbìs Ut Mie f* pro^
«UTe Cdatf cui Cicero ealde placcbtt. X.i. Sit autem
ledilo virllie, & cum fìiaviUM 1. 14,
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' X 19 X
4« Procurare « che ia tutto il fuo conteso rplen>'
^ido Gà il periodo, {laudo però alla codruzioue
propria della lingua ^ in cui lì fcrive 4
5. Sfuggire tutte le afprezze, chenafcono oda
vocali ) che fì elidono , da confonanti , che male
s[ accoppiano ^ o da certe cantilene e terminazio-
ni che fono poca grate all’udito (46)4
6 , Nella profa guardarli dal numero poetico, e
nel verfo per lo contrario allontanarli dallo Hile
oratorio (47)4 1
* ARTICOLO ni. 1
. . ■ ì.' J r
De//a Dignità.,
L .
A terza dote j che aver dee una buona JEIa«.
cuzione lì é la Dignità., per la quale tutto quel-
lo , che con eleganza e purità cu lingua, e con
ottima difpolizione preparati ci liamo a dire, yienll
ad abbdlire, e ad ornare. in modo che codlafua
varietà dilettar polTa , e giovare al fine , xhe ci
fìamo propollo (48) . Qu^a in fomma è quella
parte , cui iì riferifeono .tutti x incolori ed .i fiori,
deir eloquenza , e tutte le grazie ed ì modi piò
efficaci, onde l’Oratore o il Poeta s’infinua nell*'
animo di chi Pafcolta, dolcemente a Te il rapi-
fee , e lignoreggia fui .cuore degli r uditori «
Or ficcome r Eloquenza tutta é compolla di ’
B 2 pa- ,
C4<5 Veggafi Quintiliano nel hib. IX, àellt Infi. ReturU
tit, dove minutamente cfamina. tutte quefie cofe, e Tullio
nelle rur'Partst. Oraté , _ .
C47) Verrns in oratione (i efficitur coajunftioue verl>ocafli,
VJtiara ea . Da Orai. Lib. Ut. i.
0,2.') Dignità» ea qun red<lit;oiaataia Qr4tioa«ia varUtatc ,
diftiiifiaeiu. Ai Htrtn. ty. •
' , X 20 X
parole^ e di concetti (49) , altro non eflendo il
parlare con grazia ed aggjuftatamente , che il dire
con ottime fentenze, e eoa fceltiffimi vocaboli
C50); così anche tutta quella parte s a|gira in-
torno air ornamento , di cui tanto fé parole,'
quanto i concetti poffbn cflfer capaci CSiJ- • ■
L’ ornamento delle parole confifte in una j^erta['
grazia , che deriva al parlare dai foli vocaboU,
così che, tolti o mutati quelli', pcrifce ogni ab-
bellimento . Quello delle fentenze per lo con-^
trario non coglile nelle parole, ma propriamen-
te nel penfiero ,' il quale in qualfivogha manieri
g» efprima , fempre viene ad effer lo iteljo C52; .
L’ ornamento delle parole poi o nafee dalle parole
in fe aelTe, o dal di loro collocamento C53A
primo genere fono i Traslati dì parole 1 del le--
condo le Figure di parole, E fimilmente 1 orna- .
mento delle fentenze o deriva dal peniiero in le .
flelfp , o dalla, forma, che fi da al parlare» mcn- •
treìì vuol efprimere il concetto. Al primo riferì- .
feonfi ITra'slati di concetto, al fecondo le Figure
di concetto . Ne’ feguenti due Capi pertanto parie- -
remo dei Traslati i negli altri due poi dellc^gore. -
C4O Eloquenti» conflat ex verbis , & fententiis . Cie. de
^^Cso 5 *Nikruh tnim alm pulchre , *
nis fententiis, verbifqne lefliffimis dicere..rif. '
(sO Dignità^ in verborura > fedtentiarutn exornationem
dividitur. Ad Hertn. IJ. _ . r
Verborum exoraatio eft, qu* ipfius fetmonis J '
continetur perpolitione . Sentemiaruro exornatio eft , q
in verbis, fed in ipfis rebus qnamdam habet
Htrtn.ivi. Inter eonformationem verborum , & fcirt ^ ™ ^
hoc intereft, quod verborum tolliiur, fi verba muwr , ^
tiarum permaner quibufcumqoe verbis utivelis . ot ’ ^
05 ^ Ornatns verborum duplex, unusfimpHcuim, ,
locatomm . Cie. de Orai, ad Brut. Eft quidam
tionip, qui ex fingulis verbis eft, alras, qui et cootmuatis, ^
coniuaOifque . Ordì. ‘ '
Diaiti»;i d by Googlc
X si X , -
C A P O IXi .
- ■ ■ ' > ,* ' * ’ [ . • •
* Dei Tirasi Mti di Parole i
I * * I'
L Traslato in genere, che dai Gteci fu^ chia-
mato rMvo't \ aitrò hoh é , che uria crafmjfdzione
che fi » d* un vocabolo ^ o d’ un feritin«»jCfv
proprio ad un altro lignifìcaco con qualche leg-
giadria (i). Dal che fi cottìprende quello, che
abbiam già detto, vale a dire che altri lori di
parole, altri di concetto. I Traslati di parole,
de* quali '-ora intendiaiu ragiotiare ; Conlìftono ia
lina voce trafportata • dal iuo proprio fenfo a G-
^nifìcar un’ altra cofa ^ con coi abbia qualche fì-
militudine, e relazione ; e fono comunemente Tei,
la Metafora y ìa Sinedoche y la Metonimia y laC^a-
tacreft y la Metaleffì, t lì' Nominatone (2)*
. §>.L
■ • . . . . r- ■ V
Deila Metafora ^ ..
La Metafora itari^pd come dicobo i Greci ,
ed i Latici Translatio (3), fi fa coll’ appropriare
il nome d’ una cofa ad 00* altra , con cui abbia
' B 3. ' qual-
. ». / ’?
QO Tropos eft v«rbi, ve] fennonts » l^prìi iìgnificationc
in aliàm cum viitnte mntstio . yttl. 3. Eornm pr».
{ >rium eli uc ab nfltatft vertoram poteftate recedatur , a(quf
a aliam ratloneiii culli quadaia t0Ma«te oratto conferStar.
jld tSerem. ttr’. ai.
^ rcrriano di niolté voci Qreche « giachi >Plilb tc ha
refr faojìgUari , c aoalì prpptie della noara lingua . » > • , j
CD. Tgpoglatio en cum .verbun 'in quandam rem craa^lhr^#'
ex alia rr^i «aqd.proptpr lìmiUtudiàrm ruAari^tM MV
uaoafrr,. ir. 34. , . '
Digiti^ by Coo^k
X 22.X
■ qualche fi'militadine o proporzione (4). Q?efto
pub avvenire in 'quattro modi. . . .
1. Col trasferire una voce propria di cola ani-,
fnata ad un’altra pure animata, IJccome quando \
Cicerone difle contro di Fifone: )
Jamne vìdes bellua javnfit fentìs ì
E Dante Cant. VI. del Paradifo :
• Bruto con CaJJìo nel r Inferno latra ,
Ed il Petrarca : '
Volo con V ali de' penfieri al Cielo»
2. Appropriando il nome di cofa inanimata ad
altra pure inanimata. Così difle lo fteffo Cic. nel-
la Orazione per la Legge Manilia :
Uunc imperii nojiri fplendor ih gentibus lucet «
Ed altrove:
Virtus eji una altìffimìs defixa radìcìbus,
Virgilio parimente nel VI. della Eneide difle;
'clàjfique immìttìt habènas » . s
Ed il Petrarca :
Tornan d' argento \ ruf cellette e i fiumi •
5. Coll* attribuire una voce propria di cofa inani-
inata ad un’ animata , ficcome quando diffe Tmlio :
<4) Dkendofi
%a»aa è metafora per
liiaim fra l’acqua, ed il criftallo: ma dicendofi
M, e’ ha fole noa proporaioiw » perchè ***
di rimile la pUi biofa parte d’hn monte col piede umano.
f
t
Digitized by Googlc
X 23 X
Hhjms luBuoftJfimi beili ftmen tu futjìì ,
£ Catullo ;
0 qui flof cui US es Juvenculqrum u
Ed il Petrarca r
E duo folgori feco di battaglia
il maggior e V minor Scipio Africano .
4* Tralportando per ultimo. quello che convie-
ne a cofa animata ad una inanimata. Così Tul-
lio nella prima contro Catilina :
In hoc ipfoy in quo exultat & triumphat 0 ratio.
Ed Orazio :
Pofl'equitem fedet atra cura.
Ed altrove ;
Curas laqueata cìrcum
Telia volantes . ' i-v-r-
Ed il Petrarca :
Ri don or per le piagge erbette e fiori ( 5 ),
Molti fono i motivi , per cui lì fa ufo della me-
tafora . Adoprafì per nece/fifà , quando la lingua
non ci fomminiUra alfro termine , onde meglio ef-
primere le noflre idee ; e così dilfero i Latini gem-
vjtes ^ fttire fegetes ^ fruSius laèorare^ e noi
Italiani voce chiara^ acuto ingegno y cofiumì rozzi,
B 4 Per
Cs) ultimo genere di metafora aggiunge grazia mira,
bile al dife^'rfo, perchè dà forza di operare» e ci pone fott*
^chio quello, che di operare , e d’efl'er veduto è incapace,
r/ia Viro ocuìerum multo aeriora , dice Cicerone nel 111. dell*
1 ponunt pene in eonfptSlu animi ^ qux cernere ^ ^
non pojjfimus . Quanto- non è bella iuaui qqefta, cU®
USÒ Virgilio , Pontm indig^atut 4rax«t «
X 24 X
Per dar dijarezza *e forza al diicorfo , ^oafl-
do lì dice inctnfum iray inflammatum cupidttate.
Per brevità, come quando dicefi aurea indole' y
fiume d* eloquenza , fecolo illuminato . Per un pu-
ro vezzo e grazia della lingua p. e. far tefla Mr
refiftere, fofpefo d^ animo in vece di dubbioiò .
Per ingrandire o fminiiirc le cofe p. e. trafitto da
. curoy cader in errore. Finalmente per maggior de-
cenza ed oneftà p/e. lafciar là briglia alla paf-
fionèy chiuder V orecchio alV appetito ytc. In lóna-
ma, di<^ ;"M. T^ullio', le metafore da principio fu-
rono ritrovate dalla neceflìtà , fearfa eflfendo là
iingjtitf )di vocaboli; ma il diletto poi, che in effe
.zii^varòno gli uomini, apri loro un pih vado e
fpaziofo campo (6) .
Bifogna però guardarli dal farne foverchio ufo ,
perchè troppo facile fi è l’ urtare in que’fcogli,
nei quali ruppero molti de" nofiri Italiani nel pai-
fato fecolo ; imperocché quanto beila e lodevole
riefee la metafora , fe opportunamente s" adopri ,
altrettanto diventa viziola '
1. Se di lontano fia prefa cosi che ofeurità é
non 'chia>elza appòrti al difeorfo , come fe alcuno
dicelTe Syrtim patrimonii y Charpbdim honorum,
Scorfe tutto il Zodiaco degli onori , ec. .
2 . Se Ha troppo eccedente ; onde Longino ripren-,
de quella di òorgia che diiamò gli avvoltoi 4-
nimati fepolcri , e tali pur farebbero le feguepti
mohtes belli fabticatus tifi y tempefias comeffatio-‘
nisy e qneHi d^^on noltro poeta, che parlando'
di un gran guerriero , difle :
A bronzi tuoi ferve di palla il mondo .
- ' .. J.Se
CO Modus transferendi verbi Ute patety ^uen neceffius
aenuit y j'nopia cosila primum & angufttisy poft auteia dele*'
^tio, jucMKiitarqtte celebravit. III. de Orat.. . .. i
X 25 X /
^ fnggerifce alla mente alcnna eofa ofeena
o fpiacevole, qnale ih quella riferita da Orazio r
Jupiter biòemas tana nive vonfpuU alpes •
4. Se è a^tto impropria ed ii^oalélp. e. Cali
ingeiìtes fornices. Porta lacr/marumpè^li,OQ^i]i^
ammarar h luci ’ per accì<^re'y le ^^^^^,ieapg
per la canutezza • o dire del Sole càif^ÌKp|^
Che colla /cure taglia il collo all*
5» Se fìa ofcura e . ripugnante) ^uale fi è reti-
la, cke viene rìprefa dal* Muraton T. 1. 1 . 2. €.4]
dilla perfetta Poefia : •
• Se il criiK èunTa^ y e fon dia Soli i lumi^
Non vide nuN pm bel prodigio il Cielo ^
Bagnar co* Soli go 4 ^^i^ar, c(f
6 . Se fia troppo balla tifp^o allVóggetto ^ i^|il
fi "applica , come farebbe fe fi dìcefie d«la pìog^
pianto del Cielo j e per lo contrario fe f troppo alti
p. c. fe fi dicèlfe de’ remiganti 'Principi af temi,
7. Se fredda fia ed infulTay come fe alcuno di-
denc di Davide fcettro penitente ^ o di S. Luca P
Evangelico pennello y'.o fe finalmente con ^el poe»
ta fi chiamane la bellezza « .1^,.
La calamita degli umani cuori, ' . ...
8. E viziofa per ultimo la metafora , fe con- >
tiene una licenza troppo grande, ovvero fe è trop>
po poetica ; laonde da alcuni non troppo è ap-
provata quella d’ Orazio
Eurus per ficulas eguitavit undas^ ' -
e vien tacciato d’ ampollofità quel Sonetto che in-
comincia ^ .
Sudate 0 fuochi a liquefar metalli (7) •
, §• ”• - .
' Cz) Qpìatiliaoo per ultimo ci avvili , che la metafara da-
va
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■r r .
,X
r
XitfX
; §. n. . ;
Deiia Sivedoche t
\
{4 Sine^oche (nnx^^v y che dai Latini fu chia-
paatà IntelleSiio è un Traslato, per cui norainan-
dofì una parte di qualche cofa s’ intende il tutto,
e nominandòfi il ' tutto fe ne intende una fol par-
te («) . Si fa poi i» fri maniere . . .. ..
Quando CI ferviamo del nome, che lignraca
ia cofa iuteramente per dinotarne una parte, iìc-
come quando dilfe Virgilio Egl. i. .
jfut Araùm Parthus b'tbet^ aut Germania
7 i^rtm •
£ nel III* della Eneide :
. • virìdemque ab humo eonvellere fylvam .
Ed il Petr; -
Come il fredd* anno oltre /’ ondofo mare
Caccia gli augelli .
2. Quando adoprafi quello di una parte per fi-
f iifìcarc il tutto interamente . Cosi dille Virgil.
n. I. . .
. • . • fubmerfafque obrue puppes r •
E nel II,
Non anni domuere decem , non mille carina *
%• Dante : ' '
Rìfpofi a lui con vergognofa fronte,
Pren-
. .11 ■ i> — ^ . — -
ve Tempre aver maggior forra della voce propria, perchè al-
trimenti farebbe inutile l’adoperarla. Metaphora aut vacan-
tem occupare loeum debet ^ aut fi in alitnum ventt ptusva-'
lire eo , quod expellit . Quint, Vili. 6. de Orat. IH- ,
<8) Intelleftlo eft tfum res tota parva de parte cognofcimr»
aac de toto pars. Ad Heren, 1^. sj. dt Orat. Ili, ►
V
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' X Ì7 X ^ ’
5 . Prendendo/! il nome della rnateria , di cui
una cofa è comporta per quello della cola fte/Ta ,
£ccotne quando di/fe Tibullo :
^ Nondum caruieas pinus contempferat nnàos^
Ed Orazio: ' -,
Non domusy & fundks , non ttrts acervus &
auri , ^ .
Ed il Petrarca : . “ '
•Non là bella' Romana i che col fetta
jiprVl fuo cajìo e di/de^no/o' petto » ,
4 . Nominandoli il genere pet la fpezìe , o la fpe-
eie per il genere, copie chi dic^e eoa 'Virgilio,
. . . , pradamque ex minibus .alea ‘ \
Pro/ecie 'fluvio , ' • * ’
SauctusÒ' quadrupes nota intra te^a refùgit,
.... loca foeta furentibus Auftris . ^
Hircanxque admorunt ubera Tigres, *
O col Petrarca : 1 •
E fui P augel , che piUt per l* aer poggia • * *
O col Ta/To ; . .
E le mamme allattar di Tigre Jmma • < , . •
5< -Allorché ci ferviamo dei plurali in vece dei
Angolari . o di quelli in cambio di quelli ^ ficcome
fece Tullio nell!. Deprat, Fabricios mtht auBo~
ree 0“ Africano^, Maximosj. CatoneSf Lepìdos pro~
tulijli , £ nell’ Òrat. prò MiL Odultos Curtos ,
pabìos , Camìllos , nofmet ipfos Ó“c, e 1* Ariorto
Crudel fecola , poiché pieno fei
' Di Tiejìi f di Tantali , e a Atrei *
Così per lo contrario lo rtertb Cicerone usb il rtR'*
solare per il plurale quando di/Te; C/ir ab
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; X 28 )(•
hojle tuta hoc wa ejfet , quam nunc non vicmus Sa-
tnnis urtt , Jea Fcenus advena . Ed il Pecrarcà :
Ma fe il Latino ^ e il Greco •
' Far fan di me dopo la motte f è un vento •
^. Quando finalmente col nominare gli antece-
denti fi dinotano i confesuentii o dalli confeguenti
vuoili, che s’intendano gli antecedenti. Così Vir-
gilio per dir che fi facea notte nell’ Egl. I. , f^crifie ;
Et fam fumma procul villarum culmina fu-
mane ,
Majorefque cadane altie de montibus umbra ,
È con’ varie Sinedochi diffe in quel fuo Sonetto il
Petrarca: ' •
Quando^ l Fìaneta<^ che dijìingue F or e\\
Ad albergar col Tauro fi ritorna y
Cade virtà dalP infiammate corna ^
Che vefie il mondo di novel colore •
§. Iir. . ;
... . Della Metonimia •
La Metonimia parurófiut dai Latini detta Ùenò-
.minatio confifie del nominar le caufe in vece de-
gli effetti, c gli effetti Jn vece delle caufe; op-
pure fi fa quando nominandoli una cofa, altra fe
ne intende, che ha con quella qualche affinità o
relazione (9) . Qpefio Traslato pure fi può for-
mare in fei maniere . ' , .
I. Nominandoli la caufa in cambio del fuo ef-
fetto , ficcome quando dilfe Cicerone : Quos amtfi-
mus
C9) Denominatio eft qui a propinqnis, 8c finitimis rebu«
rrahit ^ationtm t qua pofBt iniell/gi res - q»* non fuo »o»
tabulo fit adpeljuua . Heren. IK 32. d* Orar. Uh
r>
(
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X 2p X* ^ ■ •; .
mus ctves eos Martts vts perculU , non ira vtBo-^
ria . E Virgilio nel II. delU Eneide :
Invadunt uròem fortino , v'moque fepuìtam . •
Implentur veteris Bacchi , pingutfquc farina ,
Ed il Petrarca : ^
ed ha fatti fuoi Dei
Non Giove i e Palla y ma Venere e Bacco f
Ed altrove : . * • -
E di bianca paura il vifo tinge.,
* 2. Servendoli per lo contrario, dell* effetto per
dinotarne la caufa . Così Virgilio :
LuElus , & ultrices pofuere cubìlìa cura ,
P allentefque habitant morbi , trijìifque feneHuSy
Et metus Ù‘ malefuada famesy 0‘ turpis egefìar,
£ Dante:
e per 'la'mefia ^
Selva faranno i nojìri corpi appefì \ ^
Ed il Poliziano :
£ */ cieco errore or qua y or là fvolazza, -
3 , Quando lì nomina il continente per.il con-
tenuto, ficcome fece Cicerone , quando dille; Mei
capitis fervandi caufa Romam uno tempore quafi .
Jigno dato Italia tota convenit . E Virgilio :
Illum in Italiam portans viHofque Penates
• • . \ . ille impiger haufit
Spum'ofitem pateram . • -
E Dante iel' XXIII. del Purg.
Crijlo ne liberò colla fua vena ,
Ed il Petrarca Trionf, d' Amore Cap. III.
S* Africa pianfe y Italia non ne rife , ''
4* Col nomioare il poHeffore per la cola pólle*
dura
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X.'so )( '
data : 1’ antere per le fue opere , o il capitana
per tutto il fuo elèrcito .
Così nel IL della ‘Eneide Virgilio ;
"Jam proximus ardet UeaUgon ,
I Tallio contro Vcrre: A^olVtnem ne tu De-
Vtum fpoliare aufus ts ? Ed il Petrarca pariand»
di Fabio Maffimo diffe r Coìtù %
• Che con arte Annibale a bada tenne *
(Quando fi clpone il vizio o la virtù in catn-.
bio di nominare P uomo virtuofo o viziofo , fic-'
come fece Cicerone nella z* contro Catilina r Cum
ignai^a fypum luxuria i cum amenti a nobis certen-
dum Terenzio:
, Ubi ijlic Jcelus eji^ qui me perdidh?
E Virgilio: ^ ' . . • . / ‘
Accipe nunc Danaum htfidias , (y crimine ab una
‘ Difce omnes,
Fedro nel Lib. IL Fav< L • '
Verum eji avidi tae dives , & .paupef.pudor m
Catullo ; •
Talis ifie meuS flupor nihil audtt , ^ -
6. AlloitAè. fi nomina il fegno per la cofa li-
gnificata , o al Contrario il lignificato in vece del
fc^no * Così Tullio nella Orazione in
Marcello : Sempetque mea confili a podi tog^
Soda non belli atque armorum fuerunt Alb^
Lollio nella fua^ Oraz* a Carlo V, Qj^efio fiarà
quel lieto, e felidjjìmo giorno y in cui ^ V Aquila e
$ Gigli Spiegheranno le fortunate, vtncitrjd , e
dortoSe inSegne loro a benefido ed efal t amento deU
a Cattolica Fede . Nè diverfamcnte Virgilio nel
IL delle Georgiche :
Uhm non populi fafeer, non purpura regum
Fleìfit» . - ‘ '
E Dante C. I, dèi Paradilb: •.
E 4 dme a.mejfagger che porta .
E
%
£
f,
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XjiX
' §. IV.
' 'Hjilia Catacrefi, • ,
La Catacrefi CÒ5I detti dai Greci , e
dai Latini Aimfio fi ia ogni ^iiai vòlta naaiu^ndo*
ci il termine proprio per lignificare una cofa , ci
ferviamo di una metafora o fia d’ una voce tra-
fportata da altra cola fomigliante con un po’ trop-
po di iiccnia pò) rXosì leggiamo a cagion d’ c-
lempio preflb i Latini 'granaem orattonem » minu~
tum antmuffi , tong'um confilium . E Virgilio fer-
vendofi di quello Tradato chiamò .quello
che 1 Greci fabbricarono fotto le mura di Troia •
. divina Paliadis ■
Mdificant , &c, ' _ / ‘ -
lebberre quello non folTe nn cavallo, ma foltanto
un immagit^ di cavallo. Ancora noi Italiani di-
ciamo cavalcar tm bajiom^ inferra/e con . ferri
' ^Kgonto , ptfchìera vuota di pefee , ec. ne’ qualf
elcmp; a ben riflettere fi trova una manifefia con-
traddizione, e fi vede chiaramente, che le parole
fi trasferiscono/ di una cofa ad un’ altra .per. via^
q una metafora affatto impropria, la quale perjy
è foflenura dalla .necc/fità . ... ■. •;
A que^ traslato alcuni riferifeono- ancora un
altro modo di favellare improprio si, ma qualche
volta nlato dai poeti , che da’ Greci vien detto
nxnpoKoyitt cioè improprietà di parlare « Così Vir-
gilio
- * ' •
— — — — . — ’i. ■■ , ■ , 1
finw'It, * propi BOBON toro e«rto.
bo*^uon"»*l AbutinmrfsispB etiani ver-
«•iMiuV*.® * *®*”**'^^ qu«m in translrrendo; fed etiam fili.
«•iKiut , (amen latcrdum non imprudentrr . I>t Orar, ZÌT.
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X5*X ‘
fillio Qsh il verbo fperart in vece di Umete al-
lorché diflc :
Rune ega fi pttut - tantum /per are dolorem.
Ed il Petrarca: ,
> . Nè contro morte /pero altro che morte ,
, i V. . ■
Della Metàieffi , ' , .
Qaeflo Traslato f che fitret\e4'fs fu detto dai
Greci , e dii Lsttini Particfpatio, confonde la Me-
tonimia e la Metafora iniìeme , e fi forma in due
maniere . <
1. Quando uno Heiro oggetto facendo in nof due
impreffioni diverfe nello Iteffo iffante , le proprie-^
tà deir una all’ altra indiffintamence attribuiamo»
fìccome fwe Virgilio allorché diffe : fpeluncis ab-
didU atrh f ih vece di dire /w/V.* frigus capta-
mus opacum , in vece di dire captamus ad um-
tram : caligantem nigra formidine lucum per di-
notare, che il bofeo per la fua ofeurità facea ter-
rore, cc. Non altrimenti fece Dante nel Canto V.
del P Inferno y ' dove per dinotare, che' era venuto
in Juogo tacito, ed opaco, diffe;
’/ venni in luogo d* ogni luce muto .
2 . Quando per fìgnifìcar una cofa , un’ altra ne"
nominiamo, ma cosi lontana, che bifogna.afcen-^
dere come per diverfì gradi prima di arrivarne al-
la intelligenza. Tali fono que’ modi ufati da Vir-
' • . . . . d
Ter ti a dum Latto regnantem viderit ajias ,
T ernaque tranjièrint Kutulis hiberna fubaflis .
Fofl aliquot mea regna videns mirabor arijìas,.
do-
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X 33 X
^vc ognuo ve^e , ch’egli è duopo ì^ontare dalle
refte alle fpighe, dalle fpighe alle meffìv dalle melfi
alla dace , dalla Ilare agli anni . Qiielio però è un
Traoslato, che fi ufa dai Ibli poeti ;; ed anche par-
camente. La nodra lingua poi difficilmente lo am-
mette: laonde i nodri Italiani non dir^bero già
con Vii^ilio|, dopo alquante fejìe o Mghé ^ ma
pinttodo con Dante dopo molti Solt^ o dopo alquan-
te Luncr A
Ma. s* ella vìva' /otto molti foli ,
Ma non cinquanta volte fia raccefa
JLa faccia della donna ^ chi qui re^ge ec,
§. VI.
Della Nominazione ,
4 »
La Nominazione - detta dai Greci òvop^caut con-
fide nel formare un vocabolo non prima nfa-
tO) il- quale col Tuo Tuono imiti la cola, che vuold
per edb lignificare ; oppure ancora fi fa col fervirlì
di parole già ufate, ma in guifa tale difpOde o
per metafora .trafportate a dinotare una cola , che
abbia* con effe fimilitudine di Tuono (ii). Qpedo
era un Traslato al dire di Quintiliano faroigliarlT*
fimo ai Greci . perchè la di loro lingua era natat
quali dalle cole dede, e tutte le di loro parole
aveano una grande limilitodine con l’oggetto, che
rappreTentavano: ma non così dire lì può della
lingua latina , benché in queda pure molte yoci
fi ritrovano di tal genere , come p, e, mugìte ^
Jibi-
CiO Nominatio not admonrt , nt, etti ni nonen au|
flon fit, aut fatis idoneum oon fit, tum oofnet idoneo var--
fco nomintmut. 'MC imitatieait> aHtÌìgttiiìc*tiMÌtc;4ttf«« M
Uertn. tf'. n. ~ ' - •
Géora, B/tm, T. I, C
X34X
mute, rudere, ec. cd ancora nella noftra italia-
na , quali fon quelle raccolte da un Poeta efpri-
menti le varie voci d* alcuni ammali :
I Serpenti fifchìar, gracchiaro i Corvi .
Le Rane gracidar , bajaro t ^ant ,
Belarono t Capretti , urlaro t ,
Ruggirono i Leon, mugghiato t lori, Cc.
Tali parole adunque alle volte fi formano a Irelli
Dofta, e così troviamo tra i Greci, che Anftofane
nella fua Commedia intitolata le Rane Atto I.
Se 4* formò, quelle voci
cfirimere il loro gracidare; ed in quella degli Uc-
celli usò quelle parole tìo tio toioto , rpioro moin
•tovoiro per dinotare il canto , ficcome altrove li
fervi del a><,ttTTOTpccT ro ^^cerro rpterroTpttr per
lignificare il Tuono d’ uria chitarra. Ancora En-
nio per efprimere il Tuono della tromba, <^*fle:
•Cum tuba terribili fonitu taratantara dìxit ,
ed un italiano :
£ quando udì tarapatà marciò •
V ò)sì Catullo parlando del pafTero di Lesbia c«
legantemente fcrive :
Ad folam domtnam nfque ptptabat*
e Dante per fignìficare il fuOTo d’ un Camjanel-
lo nel Cant. x. del Paradifo •
Tintin fonando con sì dolce mta^
t nel xtv.
Di molte corde fan dolce fintino.
Una tale imitazione di fqono la vediamo pure
' nelle parole Bombarda , S chiappo , Cannone , Ram-
pona r ed in altre fimiH non na molto nella no-
to lingua introdotte , •
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X J5 X
Talora poi qaefto Traslato nafce o da una me-
tafora a bella porta ufata, o dalla collocazione
delle parole, Del primo genere fono quelle fami-
gliari ai Latini : Fojìquam fech impetum in rem-
publicam , franar civìtatis auditus ejl , dove la
voce impetus , e fragor fono metaforiche , c nello
rteflb tempo efprimono col loro fuono l’ azione
che vuoili lignificare , Del fecondo fono quell’ al-
tre di fpertb adoperate da Virgilio ;
Et fecum fola ficca fpatiatur arena •
Vela àabant Isti Ò" fpumas faìis sre ruebant ,
E quella del Taflb:
Il rauco fuon della tartarea tromba ,
Di tutto ciò fi parlerà piò in diffufo nel Trat-
tato dello Stile Parte II, (12).. Balli per ora il
dire , che , malfime rifpetto alle voci da formarli
a bella polla, non è ai tutti il far ufo di querto
Traslato ,
C 2 CA-
CIO A dire il vero io non fo , come il fuddettn p debbe
^ mettere nel numero dei Traslati piuttoflo che tra le figure di
'parole, che; fi fanno per via di fimilitodineà pure non ho vo«
Juco in ciò fcoftarmi dagli altri , Agginngono alcuni a «ueiio
luogo anche VAntifrafi e V Iperbato ovtpSitrof,
Ancifrafi o contralocnziono chiamano una voce, la quale ab-
bia lAi fignilìcaro contrario alla Tua etimologia , come fé fi di«
Ce<Te* che le Parche fon cosi dette, perchè nenìni parcunt ^
che la guerra è detta belìum^ perchè non è bella, ec. MaoU
trechè non è ih noftro arbitrio il formar nuove voci , chi non
vede, che P etimologia a tai vocaboli àffegnatà è fiilfa, per.,
cbò la parola Parca viene dal Greco e non dal Latino perco»
c la voce bellum per lo contrario è latina, e non ha che fare
coll* Italiano bello*. Meglio piuttofto dircbbefi elTere antifrafi
le feguvalt : un uom di fajfo , un orator muto , »» granpig-
wnto z i*3Mli maniere di dire ognun vede però che u ponono
ridurre alla Catarrefi , Iperbato poi chiamano la trafpo-
CuipBè dWf M|^|e , che fi fa per evitare l’afpreeza , t per
d«r ••raklll «HM Wtnonia al periodo; pè quella, a ben penlhn
xe • parai , cht fi poflii inèttcrc nel numero dei Trafitti ^
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X3^X
CAPO iir.
Det Traslati dì Concetto,
Siccome i Traslati di parole fi fenno col tra-
fportare una voce dal fno ad un altro iignincato >
così quei di fentenze confiftono in un pen^fiero el*'
pofio fors’ anche con parole proprie, ma che vuole
cffer intcfo diverfamcnte da quello che per le Itel-
fe elleno dimofirano (i) . Quelli fono ,
P Ironìa , P Iperbole , la Perifraft , c PAntonomaJta .
§. I.
DelP Allegorìa .
Ù Allegorìa ecM\,tfyop!ec f che dai Latini fu det^
Permutaùo non è altro, che una Vp
nuata per modo che altro fi • è quello , che dall
Oratore c dal Poeta fi dice , altro QueUo , che
vuoili da eflb lignificare (2) Così Tullio nella
Oraz. contro Fifone volendo dire, che non mai era
flato atterrito dalle di lui inique trame, » lervc
d’ una bellilfima Allegorìa: ^eque
Àus , ut qui in maxtmts turbtnibus ac puwbus
retp, navem guèernajfem , falyamque m portu <0/-
ìocafCem, frontis tua nubeculam, aut coilegtc tue
eontaminatum fpiritum perhorrefcerem , Altos ego
vidi ventos : alias perjptxì ariimo mcetlas: ^tts
ìmpendentibus tempeflatibus non cejfiyec, Hd ura-
noDflraas, Heren, IV, 34* I*
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. . w4«
t
210 per dlfìfuader M. Bruto dalla guerra civifcr
fotto l’Allegoria d’una nave così defcrivela Rcp,
Romana Ode XIII. Lib, I,
O Navìs referent tn mare te novi
FluSus: ó quid agisy forti ter occupa
Fortumi nonne vides^ ut
Nudum remigjio latus ,
Ft malus celeri faucius Africo ,
Antennxque gemant ? Ac fine funi bus
Vix durare catinx
Pojjint imperiofiuS
JEquor ? non tibi funi integra Vmtea , eci
e così anche il Petrarca fotto il fìmbolo d’ una
nave narra le fue fVenture :
Paffa la nave mìa colma d* oblio
Per afpro mare a mezza notte il vèrno
Infra Scilla , e C ariddi , ed al governo
Siede il Signore t anzi 7 nemico mio è
II Cafa nella Oralione per la Lep fotto i* a-
^etto d’una fiera così ci defcrive la Tirannia ^
PfJJìma e crudeliffima fiera è fuberùa in
vtfia^ è negli atti crudele ^ ed il morjo ha ingor-»
do e tenace ^ e le mani ha rapaci ^ , é fanguinofe ^
ed ejfendo tl fuo intendimento di comandare di
sforare , d* uccidere , cT occupare , e di rapire «
conviene , che ella fia amica del ferro , e della
violen^ , e del /angue . Ed il Salvitìi ufa l’ Al-
legoria nell’ Oraz. Funeb. in morte del Maglia-
bechi : Ah fe ognuno i principi d* onoro , ^che^ nelP
animo nojlro feminati , 'e in certo modo impianta-
ti fono coltivaffe j e a perfezion conducefie quelle
picciole belle inclinazioni ^ che *oerfo qualche ono-
rato efercizio ne f ergono ^ e per così dirè nel cuor
nojlro quafi da fe JleJfe ge^ogliano i che rie-
C 5 sa
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X 58 X , _
ta ricolta d! uomini grandi in ogni genère »*
ttbbe !
Se 1 ’ Allegorìa è corapofta di parole tutte me-
taforiche , quale lì era quella Orazio , dicefi
pura\ ma le tra quelle ve n’hanno alcune pro-
prie, come nel citato efempio di Cicerone, allora
diceli mijìa. Tre cofe pw devonfi fpecialrocnte
aver di mira quando formiamo un’ Allegorìa .
1. Che riefca focile e chiara ; imperocché , di-
ce Tullio , quello Trasiato ferve di grande orna-
mento al dilcorfo , quando per la fua ofcurità non
diventi un Enigma (3) * '
2. Procurar dobbiamo di profeguire Tempre la
fiefia metafora, q non far come cert’-uni ri prefi
da Quintiliano (4), i quali incominciando a par-
lar di burrafca , vanno a terminare con un in-
cendio , o una mina (5).
3. L’Allegorìa deve efier breve ed adattata alla
cola ) che vuoili rapprefentare ; il che certamente
non fi offervò da quell’ Oratore , che così inco-
roin<fiò, certa fqa Orazione in lode di un Santo i
Cedano i rivi dell* antica, facondi fi ritirino dai
j^ 0 gbi delle loro correnti energie i fiumi dfHa pià
piena, eloquenza : tacciano i cadùcèi degli Orato-
ti % e fi nafcondajiQ gli ingegni nelle pid rimote.
ca- .
Cj) Ea. faoc kasigm^m ornamentura orationis , in quo obfcu-
tìtas fugienda eft . Etenim ex hoc genere liunt ea , quas. di>
cuntur enigmata . De Otat. III.
C4) Quo genere cceperia translationis, hoc deuna».
Multi eniin cnm initium a tempeflate fumprerunt, ioMnoio
aut ruina fiotunt, qu« eft ioconfequentia rerun» foediffiina,
Rhtt. lag. /. mi 6 . ..
C5) Non va forfè efentc da quello difetto quello di Ciceroné
nel II. De Orai, cum.iMot iihos ad Mtfewim fiudtofius tege.
tim»/trniie «rmtonem meàra étlorum tuafi tantii colorare. E
f«elU «^onkidi'; Et reale tarnam iéttdi reddtrt vttjus. ;
V
XJ9X
cavirnt del filemjo , Veggo sboccare un Oceano di
maraviglie , che rnetterehbero in naufragio le pen-
ne de* pià provetti dicitori , ec, Cofa di piìi fcioc-
co fi può dire , o immaginare (ó) ?
Dell* Ironìa . ■
I Greci chiamarono tìpanU , ed i Latini DiJJì-
mulatio quel Traslato, per cui con^ le parole di- .
clamo una cofa , e vogliamo , che tutto al con-
trario s' intenda o per le circofianze , o per il
tuono della voce , o per la natura della cola Itef-
fa , che ripugna con quello , che di lei fi dice •
Volendo così Cicerone far intendere che tutti go-
devano della noorte di P.Clodio, con Ironìa
fe : Sed fluiti fumus , qui Drufum , qui Africa»
ììum y Pompe fum , nojmetipfos cum P. C Iodio con»
ferra audeamus . T oleraòilia illa fuerurn : . Ciodii
mortem aquo animo forre nomo potefl ,^ Luget Se»
natus : moeret eqitefler ardo .* tota civitas confella;
fenio efl fqùqllent municipia : afflillantwr colo-
nia : agri denique ipfi tam beneficumy tàtn fingu»^
larem , tam manfuetum civem àefiderant . Orar»
pro Mil, E nella PhiL I, contro di Antonio:
Qtdd tandem erat caufa , cur Senatum externo
die tam acerbe cogeret , . . . , Hannibal credo erat
ad portar , aut de Pyrrhi pace agebatur ; ad quam
caufam etìam Appium ilium Ù‘ cacum & Jenem
defatum effe memori a proditum efl» K prefTo Vir-
C 4. siilo
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X 40 X
^ilio nel IV. 'della Eneide così Citinone ripren*
de Venere :
Bgrigiam vero ìaudem & /poli a ampia referth
T uque , puerque tms : magnum & memorabile
, nomea , ^ ,
Una dolo divum ft foemtna viEla duorum ejl ,
E Giovenale nella Satira XIV. deride gli Egi-
ziani con la fegaente Ironìa ;
Oppìda tota canem venerantur , nemo Dtanam .*
Forrum & cape nefas violare ^ Ù" frangere
morfu ,
O f anEias gentes ^ quibus hac nafcuntur in hortis
Numìna !
Tale fi é ancora quella degan fi fiìma del Cafa od-’
la Orazione I. per la Lega , con cui cerca di
fcuotere i Veneziani a prender 1’ armi in difefa
della propria libertà : Ma egli dice , che in quejV v
anno' non vuol far guerra^ ma vuol ripofarfi *
Alziamo dunque le mani al Cielo , e poiché Sua
Maejlà ce ne concede licenza ^ torniamo il capo .
folto, e dormiamo ripof altamente ancora .quefiofpa--
ZIO breve di tempo. Così ancora Dante nel Can-
to XXVI. deW Inferno .
Godi Firenze, poiché fei sé grande.
Che per mare e per terra batti P ale ,
E per P Inferno il nome tuo ft fpande . , j
Se poi l’ Ircfnìa fia tale , che morda per così di-
re vivamente , e contenga un crudele infolro ,
allora dai Latini dicefi SubfannatU e dai Greci
aetpKttfffuof ) cioè amara , e mordente derifione . Di
D uello genere fi è quella , con cui Aletto od VII^
ella Eneide riprende Turno •
I
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• • •
;X4iX
I nmey ìngraiis cffhr te trrìfe ptrtcVts*.
Tyrrhenas^ i^Jierne acies : rege pace LathosJ
£pi(i acre ancora quella di Turno {lelTo nèllib.Xir.
En àgros , ^e//o , T rojane y petìjìt
He/periam mettre jacens : hxc pramia , ^ui me
Ferro aufi tentare ) ferunt ; Jic moenta cendunt •
Anche preflb il Taflb Canto XIX. St, 5. e 5- del-
la Gcmfalemroe avendo Argante infultato Tan-
credi , che avea uccifo Clorinda col dirgli ;
No non potrai dalle mie inani , 0 forte
Delie donne uccifor » fuggir la morte ,
quelli gli rifponde con un* altra mordente Ironìa ;
Vieni in difparte pur tu , che omicida
Sei de' Giganti folo , e degli Eroi ,* , .
L* uccifor delie fémmine tt sfida •
i ’ '
§. III.
' Della Iperbole,
L* Iperbole Cvtp/Soxn detta dai Latini Superlatio
(ì fa coir ingrandire ed efa^erar le cofe per modo
ohe s* innalzano ^ o lì diminnifcono più affai di
quello, che fono in fe ftefle (7). Tale fi è qùcl-
ia lode, che Tullio dà a Celare neirOraz. prò
Marcello^ : Domuìjli gentes immanitate barbar as j
multitudine innumerabìles , locis infinitas , ^ omm
copiarum genere abundantes , £ quell' encomio fet-
to a Pompeo nella Oraz. per la L^ge Manifia :
Fom~
Cz) Saptriatio eft oratio faperaos veritatem ali^ujaa augas*^
di , miaufiuUTt caufa. 4i Umn. IF, jg» Oe ùras. Uh
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Pompe} US /<sp}i*s cum bofle couflixit , nmam
qu9m cum inimico concertavit s p{ura bella
quam aia legerimt : plures provincìas confeci t ,
quam olii' concupierunt &c» Così anche Virgilio
ieirlib» VU, della Eaeide eoa unì^ Iperbole dif-
fc deli’ Amazzone Camilla :
**•" -
llla Vii ìniaBa fegePÌs per fummo volaret
Gromma > nec tenetas curfu hftffet arijìas : ^
Vel mare per medium fiuBu fufpenfa tumenti
Ferrei jtery celeres nec tingerai aquore piantasi
£d Alb. Lollio nella Tua Orazione in lode' della
lingua Tofeana: Se la natura ifiejfa i fuoi concet-
ti con umana voce efprimer volefje , ^ creder fi dee '
fermamente y che ella altre parole giammai non ti-
ferebbe y. che le Tofeane, Il Salvini io’ morte del
Maeliabechi: Che f e gli firani e più rimoti corfi-
ni della terra , che lui y come della Repubblica del-
le Lettere benemerito e benef attor fingolare amaro-
no y della fua mancanza pur fenton duolo y ec. Dan-
te pure usò della Iperbole nel Canto XXVII»
del Purgatorio , dove difle ;
In un bogliente vetro
Gittato mi farei per rinfrefearmi .
Ed il Petrarca in morte della. Tua Laura :
Nel fuo partir y partì dal mondo amore
F cortesìa | è V Sol cadde dal Cielo y
dolce cominciò farfi la morte .
Bifogna fare un ufo molto parco di quello Tras-
lato; imperocché non ve,n’ ha forfè un altro piìL
pericolofo , e piò facile à dar nel vizio. Longi-
no perciò attefta , che i Comici di fpeffo fe ne fer-
vivano ) perchè colle Iperboli facilmente moveano
a- tifo; ei il Màrchefe Orli nelle fuc Confiderà-
■ • zto-
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X 4 3 )T
Ziotti Sopra la maniera di ben penfare del P, Èours
offerva , che migliori foa Tempre quelle Iperboli,
le quali fi rifcrifcono a cofe fpirituali , o a qua-
lità , i di cui gradi non cosi agevolmente fi pof-
fono roifurare , anale fi è quella di Virgilio in-
torno ai cavalli di Turno:
Qui candore nives anteirent y curfibus auras ,
Dobbiamo adunque fil&rci in' animo , che V aggiu-
ffatezza della Iperbole confifte in ftr credere , che
la cofa fiali veduta quale fi dipinge , e qual fi de-
fcrive fiali conceputa. Ogni qual volta perciò quam*
to fi dice, avvegnaché falfo , non ecceda T idea,*
che fi ha o fi può avere della cofa , ^ cui fi trat-
ta , r Iperbole farà giufia ; ma' fe per lo contra-
, rio dica di piò di quello, che naturalmente- penfar
fi dovrebbe , allora farà falfa, c ridicola (8) * in-
time per tanto fono quelle Iperboli , dice Longi-
no cap. 38. Del Sublime , le quali nafcono da qual-
che gagliardo affetto dell’ animo, e dalla gmndez-
za degli aggiunti; e però, quando Tucidide nel
/VA. VII. della fua Storia racconta, che i Siracu-
fani nel bollore della battaglia calati^nel fiume
trucidavano li nemici , e che bevendo quelle* ac-
que tinte di fangue , e mille di fan^o tanti e tan- *
ti fi uccidevano fino per e/Te, la cofa rendefi cre-
dibile , fiégue a dire il cit, Longino , sì per il fq-
rore di coloro, che per tante altre circofianze,.
che accompagnarono quella fatale giornata •
' §.IV.
/
1^' TperhoU ^ dice il Salvini nella fua Lezione I. Critica
al Sonetto: L* alto Fattor ec. non diflrugge affatto ta verità i
teme quando la Pittura , o Scultura rapprefenta una figura
maggior del naturale ^ non le tMlie la propria forma ^ ma la
y*àere in grande^ che nella Juafmifuratezgjiba mi furale
■ntmfitjfo trafaffme^ cke.faiaUaptoputgtow % laeonfetva^
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X 44'X'
• • •
§. IV.
“ . , l
De//a Pertfraft «
La t’enfrafì mpi^puerif , come- dicono i Greci ^
ed i Latini Circuitto è un T raslato , per mezzo del
quale con nn giro di parole facciam intender ciò
che fors* anche potevafi erprimere con una fola (9).'
Cicerone non volendo dire nudamente , che i fervi
di Milone aveano uccifo Clodio , mitigò il fatto
con una perifrafì ; Fecerunt id fervi Milonts ,
que imperante j ncque /dente y ncque prafente do^
mino , quod qutfque fervos in tali re tacere voluif-
jd . Orat% prò Mil. E preflb T, Livio Hijì. lib,
*XXVI. Vibio efortando i compagni a bever il ve-
leno, nè volendo dire, quello ci darà la morte, lì
fervi d’ una Perifrafi così : Fa patio corpus ab cru^
ciatu y animwn a contumeliis y oculos y aures a vi-
dendisy audiendifque omnibus acerbis y indigni/^ y
qua manent viElos y vindicabit , Così ancora il Car-
dinal Commendone nella fua Oraz. in difefa d’ al-
cuni Scolari dello Studio di Padova volendo con-
felfare il loro delitto , ma in maniera fcufabiie ,
dilTe; Avvenne adunque dopo molta foffcrema * che
pià della ragione potè lo /degno: nonji nega il fata-
to » Ed il Salvini nell’ Oraz. V. Avendo il Mudo,
al comun dritto della natura /(Adisfatto y cioè a
dire, ejTendo morto. Usò della Perifrafi anche Dan-
te Dell* Inf, Cant. XXXI V. dove chiamò Grillo •
V uomo che nacque , e viffe /enza pecca ,
•£ .
Cs) Cìrcuìtio eft orario rem fimpHcem adraraptaiq ctrcuni'
/ciibeos «ioctttioie. Ad Hcren, IF. Di Ont, UL
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X45X
£ Cant. XII.
Colui che la gran preda levò a Dite
E>con molta grazia incomincia il Zappi un fuo
oonecto cosi;
In quella età , ch^ io mìfurar folea
Me col mìo capro i e'I capro era maggiore.
La Perifrafi ferve a maraviglia non fola per ab«
beilire , ma ancora per dar chiarezza al difcorfo
e per isfuggirc con grazia certe cofe, che non tot*
na bene li dirle. Longino però ci avverte al
VI, Del òubltme , che febbene quello Traslato
renda magninco il difcorfo 4 pure le non fe ne u-
fa con moderazione, e giudizio, fa, che cada in
languidezza , ed in fuperfluità •
§. V.
* i
DelV Antonomafia ,
L AntOTomafia «rrovoiiteaue , o fia come dicono
1 Latim Promminatio ^ non è molto diverlà dalla
Perifrafi , e fi fe , quando non potendoli , o non
volendo noi ufare del nome proprio di qualche
perfona, ricorriamo ad un di lei appellativo (io) .
Quello fi può fare in fci maniere,
‘ I. Col •
00 Pfonominatu) eft, quas Senti cognonine quodam ex.
■Tura demonltrat id,quod fao aomine adpellarinon poteS.
» « 7 *^*** Quefto tratlato non è molto diverto dalia
Ftrifrafi , e dalla Metonimia ; pure v’ba quella differeoea,
«he quelle fi riferircono anche alle cofe, quello propriamen.
te foio alle perfone; di più la Perifrafi ù unafrafe, che ne-
riferire a quello, di cui fi parU, noo po.
X “ hltra cofa appropriare; l’ Antonomafia per locon-
iwrio è una frafe, ebe fi potrebbe ad altri applicare, ma
che
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X4«^X
1. -Col fervirci de’ Patronimici, ficcome fa O-
razio nella Pillola 2. Lib. I. dove in cambio di
norainai-e Achille, ed Agamennone, dice:
• . . Nejìot componete lites
Inter Pelidem fejììnat & inter Atri 'dem \
2. Accennandone la patria , o il luogo in cui
rifiede in vece di lui ihedefimo . ’ Così dicefi C/* /
ttrea yDeìio ^ cc. in cambio di Venere, e di Fe-’ ^
bo. Ed il Petrarca parlando di Annibaie perciò/
diflè Cap, L T rionf, della Fama :
Vidi olita un rivo il gran Cartaginefe ,
E Dante Del Purg, Cam, VI. di Licurgo e di
Solone , difle ; .
Atene ^ e Lacedemona che fenno
X’ antiche Leggi , -e furon sì civili .
Ufando un aggiunto in vece del nome pro-
prio Virgilio nel IV. Della Eneide per Ènea
dice impius ^
..... t baiamo qua fixa reliquie
Impius .
E Dante Cant. XXII. Del Purgatorio parlando
di Oppierò:
.... ftam con quel Greco
Che U mufe lattar più ch^ altro mai .
4. Po»
che per eccelleaza, o fia come dicono i Greci xar ,
di quel fole s’intende, di cui fi tratta. Cosi quando Dante
diffe Farad. Cant. XXII. Quegli^ cb'i Padrt d' ogni mortai
vitSy quella Perifrafi non fi può intendere altro, che del So. '
le i ma dicendoli il Poeta potrebbefi intender quàlunqup al>
Ito . f* l’ufo non voielfe, che per eccellenza s’ iotendclfera
tia Greci Omero, e tra i Latini Virgilio,
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' X ' 47 X
4. Ponendo per ‘il nome proprio qnéllo dell’ ar-«
te ) delia' dignità , e dell’ omeio di alcuno j come
quando diceu a cagion d’erempio, il Poeta per
Òmero o Virgilio, il Filofofo per Ariftotile, ec.
Così nel Gap. III. Trionfo ddla Fama il Petrar-
ca difle di Archimede:
vidi dipìnto il nobil Geometra . f
Ed altróve di Dante :
Fiorenza avrìa fors* o££Ì il fuo Poeta . . ^
5. Servendoci di un nome proprio^ìn cambio di
un appellativo , lìccome fece Ovidio, quando di/Te :
Irus ejl fubito \ qui modo Crafus erat •
E Gioven.
Tertìus e calo cecidìt Caio, . - . : \ ,
< Anche il Salvini chiama il Magliahechi il novello
F alereo j ed Alb. Lollio in morte dei Ferrino^
Io mi poteva con verità chiamar lo Acato , 0 per
dir meglio il proprio cuore di Ferrino .
6 . Finalmente quando lì nomina qualche popo-
X lo o nazione in vece dell" attributo , che'foolfì
ad eflì aferivere. Così diciam Grece in vece <U
frodolento, Cretefe in cambio di bugiardo, Car~
taginefe per mancator di fede , ec, ; eppero face-
tamente dilTc un nofiro poeta :
Grecia non v' è y ma Greci fon per tutto ,
CAPO IV.
Delle Figure di Paroh , ■
F iQURE di parole , ficcome abblàm detto , chia-
manfì quc|[U abbellimenti del difeorfó , che nafeo-
no
Digitìzed hy C--
X4»X
DO dalla collocazione <U ceni vocaboli , così cbe
tolti e mutati quelli , o in djverfa maniera difpofti ,
avvegnaché intatto rimanga il fentimento , fvanifce
però ogni figura CO. C&efie fono differenti dai
Traslati in ciò , che quelli fi fanno col cangiare ia
certo modo il fignificaco alle paròle , laddove quelle
fi fanno egualmente e in parole proprie , e in trans-
late « perchè non nel vocabolo in fé ^ o fia nel di lui
fignifìcato , ma folo nella collocazione confifiono.
Le figure di parole poi in tre maniere fi for-
mano } o per v/a d* Aggtmg/rnento , o per Di-^
f dogi /mento y o per Similitudine ,
ARTICOLO r.
Delle Figure per Aggiungimento •
C^UESTE figure , cive d^ aggiungimento fi chiama-
no , cpnufiono in certe parole , «che mutare
o lafciar ancora fi potevano , e che per puro or- ~
namento , o per forza d’ efprelfione fi fono ripe-
tute nel difcorfo ; e fono nove , la Ki^tidone^ ^
la Converfione , la Compie ffìoney la Conduplicadth
ne y la Traduzione y la Sinonimia y li Gradaziene-^y
il Polifinteto , c l’ Apozeugma . .
\
r.
co Collocata autrm verba habrnt ornatom » 6 aliquid con-
danitatis cffidunt * quod verbii matatia aoafaaaeat« maaea.
te featcntia • Cie» Ora/»
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I
X 49 X
§. I.
Della Ripetizione •
La Ripetizione detta dai Greci fi fa ,
quando , con una fieffa parola s’ incominciano fem-
ore alcuni brevi fentiroenti (2) in quefto modo r
Tu in forum prodire y tu lucem confpicere ^ tu in
horum confpetlum venire conaris ? Audes ver bum
facere ? audes qujdquam ab ifiis petere ? audes fup-
plicium deprecari ? Quid eji , quod poffis defende-^
re y quid eji quod audeas pqflulareì quid efly quod
concedi oportete ? Non jusjurandum con-
tempjjflt ? non amicos prodìdijìi ? non parenti ma-
nus intulifiiì non deniaue in omni dedecore volu-
tatus es ? ad Heren. I V. 13. Di quefta figura fi
fervi pib volte Virgilio, ficcome quando nell* E-
gloga X. difle : ’ .
Hip gelidi fonte t y hio molila prata^ Lycoriy
Hic nemus y hic^jo tecum confumerer eevo,
E nel IjV. della Eneide :
Num fletuingemuit nojìroì num lumina fiexiiì
Num lacrymas viBus dedit y aut rriiferatus
amantem ejìì
Ed Orazio : v •
HonTorquate genus y non te facundia y non te
Refìituet pietits ,
Anche, Baitolom. Cavalcanti nella fua Orazione*
alla mtltzta Fiorentina cosi parla r O amor della
n-
,50 Repftltio cft, cum «>atÌoenter sb uno ; atqae «od«in
<Uvfriif principi» wmantar, 4é*
aenn.mxi. De OfMt.m, ' . . . -
Giard, Bìtm, T. 1. D
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X 50 X
libera, quanto feì efficace Ocarhà della patria *
quanto Sei potente ! Tu fat che lo Splendore delle
non più vedute barbare atmt t mjin occhi non ath-
bagli: Tu infiammi i già ùeptdtnSri cuori : Tu
armi e fortifichi i già nudi e deboli animi nojirt :
Tu dalle più Spaventevoli cofie gl* ' rendi r*
fu le crudeli ferite, tu l acerba morte ne fatlteU
ricevere » E Dsinit^ nel Cint* V • Dell Inferno »
Per me fi v3‘ nella città dolente :
Per me fi va nell eterno dolóre: /
Per me fi va fra la perduta gente • /
§. IL
• ' Della Converfione,
CojnverCone , che i Greci chiamaBo wwpil •
fi fa per lo contrario col ripetere fempre in fine
di vari fentimenti la Itefla parola (3) , ficcomc '
qoando'diffe Cicerone nella II. Filippica contro
di Antonio r Doletts , tres’^ìiercitus P. R. mter-
feSlos ì interfecit jfntonius » Defideratts elanmm^
cives l, eos quoque eripuit vobis Antontus t Aupo- ^
ritas hujus ordini s affli Sla efi ì Afflixìt Antqnius é
É r Autore ad Erennio : Ex quo tempore concor-
dia de cìvitate Jublata efl , lìoertas S’^blata eli ,
ades Sublata efl, amicitia Sublata efl , reSpubltca
Sublata efl.. Così anche Cornelio Frangipane nel-
la fda volgariiza5!Ìonc della Oraz^ a favor di Li-
gario , dice t Voi dunque andavate in una Pròvm»
€ian la quak efip flirUttamente oppofla a Celare,
’ . .. .. dxrve .
;*|n>finttin re
rr-M?ercinii
j ■ XvyC
qave era un Re molto poffente nemìcn Ai n r
e dove 'era un efercitó grande e r >
Cefare^ c Marziale nel
grammi y de luci Epi-
Capto p^dci heu, fed capto Maxime cce^
■ re^is ; * ^**^*^*^t4e anteamòulo
Tu Comes alter tus é jam fumus, trgo pares .>
5 . xrr. ' , ,
,• . .,. . ptUa ^imfiiejlìffie ,
«ohipetwl s’acMppiaSo infieo.e
la-VS fÓl „ri5° pare-
te rmpre fol'finri'T'’ « *<•’>? altra fimifmen-
loriZSafi oaefta t >>-
ethaxM t* ti'É Greci vien detta evia*
sk0&ST‘‘Pr^S-
H- oli funt : rZ' IV.
»erbum’® „V ritmar
t
X 52 X .
' ùui fihì pùfiulant ignofcì ì CaythagmUnfes '»
che Alb. Lpllio in lode della Eloquenza cosi dii-
fe : G,hi Wi Atenìefi a fottoporji alP ìmpe^^
ro di Piftjìrato , > «o» la facondia ì Chi fìce riu-
fcir Temìjiocle fuperigre algiufio Arijlide .fenon
la facondia ? E chi fal-vò la vita al medeftmo con-
dottò al cofpetto del Re de^ Perfi , fe non la for-
za della faeondia'l Chi fece confermar capitano
alla gravi ffima efpedisaon. della Spagna Publio
Scipione fe nm' la fflconaia ì'^Chi fece^
cader le aìrmi di mano agli arrabbiati inimici di
M. Antonio , fe non là facondia ? Nè altrimenti
Marziale in uh altro tuo bellifTimo Epigramma
del Lib. IX.
omm
Rumpitur invidia quidam^ chariffìme Juli ,
Quod me Roma legit ; rumpitur invidia •
.Rumpitur invidiai,^ quod turba femper in m
'Mondramur digita y rumpitur invidia , .
Rumpitur invidia, tribui f quod C afar ut erque
Jus mihi natorum / rumpttur invidia •
V’
‘IV.
’ Della Conduplicazione t
i • •
Quella figura * che dai Greci fu detta
eis , fi fa col ripetere la fteffa parola due o tre
Volte immediatamente' runa preno dell* altra per
aggiunger forza e magnificenza al noftro dire (j)*
Così Tullio- nella I. contro diCatilina
vis Ù" vivis non ad deponendam , fed ad cot^r-
man- ^
O Conduplicatto eli, cn'ni ratione ainplifieetiodù »«♦ »i-
féTattonis y èjafdem unius aut plurium . vciborun iteraUO ..
dd Rmn. IV, 2$, t>$ ùrm, IIU
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' K ss K
minàam audaetam . « . « Fuh , fuit.ijia quondam
in repuBlicd vlrtut 8cc, e . Virgilio ncir Egloga lì.
Corydon , Corydon^ quts U dementìa capit i
E nell* Eneide UBAtl. . j
Italiamy Italiam primus conci amat Achates ^
• • IN I ^
'Anche Allh LoHio in; nda Tua Orazione a Paulo
III. usò quella figura : , qui dico y B,P^yfi
ricerca la céri t a y la gìujiiziay'e magnanimità vo^-
fira , Ed ih lode' del" eloquenza: datthi
con tutto il 'cuore e con . tutto l* animo y con tutto V
animo datevi y dico," ài' belli fitmi fludj da meprth
’pojìi . E Dante' del Cdnto XIX deir Inferno ,*!
; Non fon co/ ut y , non fon colui y che ^cred/^ -
Ed altróve: ■ v ' • • ■ ■ - . ’
• 1 * • ♦ .
; Qf^rIì » nfpfpd in ttna il luogo mio ,
Il luogo mio y il luogo mio che vaca y ec,
'A Quelh figura di parole fi pofibn ridurre ance»:
quelle due altre , che i Greci chiamano atthiOi^o-
yiety e xóxhoty cioè Riajfumimerno , e Corona . Del
primo genere fono quelli modi di dire tifati da
Virgilio Eneide lib. VI. e X. . ;
Deiphobum vidit lacerùm crudeliter ora ,
Ora maàufque ambas *^
.... fequitur pulcherrtmus \^ur ,
AJiur equo fidenf , Ci* verficoìoribus armit ^
Del fecoÉdo quelli altri dallo .fielTo adopérati:
Ambo fiorcntés atatib ’usy Arcades^ ambo . "
• C re/ci t amor nummi y quantum ipfa pecunia
cre/cit-t ^ .
l/Ultar Super Prianfp rogitanSy fupet HeBore
.. r; multai il .
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Siccotne 'pure iuefto dell' Aut. ,ad Hetejin. C«di-
motus non es , c 'um t\b't muter pedes amphxautur ,
rtòn es commotus ì . '
, Bella T radutone • . ’
iTa 't*raclù 2 foné'o CiSk'’ ro\ó^T6trSi^‘i come dicono
r Greci ; è ima Figura', per cui ripetendòfi con
iiùal'che variazione una ileffa parola -più volte;,
non folo’non fi annoià ruditow, ma fi accrefce
iànzi vaghezza al ùofird’ dire Eccone due e-
fempj' di Ciceròde^ l’ udo'^della . Grazine à favor
di Rofcio ‘Àmerinò , l’ altro di' 'quella in favor di
Óiinzio. Sua quemque frausy fuus e>^f ojr ^^,axtmc
vexat , fuum .O^emque fcelus agitai , fu^mjdàcO’^
ettaùones confcienitkque ^anttnùm terreni. Tu tt*
/emper facis, quìa fempér pptes : ego m hac cau-
M facìanp yptopterea^^quod m hac Videor poUe fa-
lere SLuod iùit natura dai i ut /emper ppm^ td
mthi cauffa daty ut hòdte Così anche nel
'Jib. IV. ad Hercn. Ewn tu Tjomthérh adùeltas y
^qut fi fui (f et horrio,, numquarri 't dm ^ erutti tter
tam homìnts,petiinét , '£ ,prèflb Virgilio nell E*»
jxtiL'm, II. c VI. • ;
Una falus-vìBts(null'àm /per are "faìuiem .
^Hìc ubi certd'domus : certi ne abfijiePehates,
£d Orazio neil’ Ode i. dèi lib. II. ove fcrivc ;
• Huì gurees f 'aut qui fluniifìa lu^ubris
ignara oelìt ? quod mare UaunU • . •
V V, . . .. •'T' ^ . • • . . " ' ’ ’ •/
Non
" ^Ó^tradq<Ìi’« eft , " ^Iw' heìt; ut cntn'iaem; Versta
brius poaatur , non modo offendat animiiw v CQU»
finoiorem oiationem rcddftt •• 4it Btrtn, Ir,
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X5SX
Non decolor 'avere cades ?
Qua caret ora cruore nofiro ì
Nè altrimenti il Boccaccio Novella Gior. X.
Se io fapeffì così ben operare , 'come voi fapete \
■ ed avete JaputOy io' prenderei quello, che m' offe-
rite, E Dante così chiude l’ ultimo canto del F^ir- .
^atono ' y
‘ Io ritornai dalla fanùffim^ onda
Rifatto sì come piante novelle '
Rinnoyellate di novella fronda.
§. VI.
Della Sinonimia ,
1* f* • ayvmvfiU , cioè comunione
di nome , o di figqincato quella figura , per cui
s’ unifcono infieme molte parole, che tutte ligni-
ficano lo fteirp j fe non cne l’una è più lignifi-
cante deir altra (7), Così difle Tullio nella Ca-
tilinaria I. Qua quum ita fint , Qatiìina, perge
, quo captjii : egredere aliquando ex urbe : patene
porta: proficifcere , E nella IL ^biit , exceffit,
< evajit , erupn , Tale lì è pure quella robulìa ia-
-v€ttiva di Catone riferita da Gellio NoB/Attìc.'
Xill. 22»^ T uum nefarium facinus priore facincre
opertre po/lulas : fuccidias humanas j^is : decem
funera facis: decem capita libera interficis: de-
cem hominibus vitam eripis , indìBa caufa , injtt~
dicati ,indemnatis . Anche Alb, Lollio ndia O-
,wz. in Kvor di Furio Crefino,‘dice: Tutto.que-
fìo giorno intiero non mi ballerebbe , 0 Romani ,
« - -• - - - - Z). .4 per-
Int«rpr*tatio «li, ^uat non ìtipuns ideta redititMrftt
nufld 1“^ eomwiut^.quod pofitam cft, «lio v«w>«
9ttoa Idem vaieat. Ad "
\
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I
X- 5 <SX
pir tacconuruì appieno, guanti laeciiali ti m' ha
tefo , quante frauj, ordito , e quante infidie ordi-
iìatn itptr tnrvnilt Hnala Ir ^ t Il «
' rt> y»-
:ì ftare Vm.'a'''lr "V'""'’ Pw ^ ^omp/utamentc
il fup ojjicto efeguirey anzi fono tutte mutole,, fèn-
za lingua,, fenzavoce , efenza fpmto . Dante an-
cora usò quefta figura Canr. Ut delP Inferno :
Dtverfe lìngue^ orribili favelle y
Parole di dolore, accenti d^ ira y
Voci alte e fiacche , e fuon di man con elle *
Ed il Petr.
^on /pero del mio affanno aver mai pofa
Infin, eh i mi dt/offo, e /nervo , e /polpa a
f §. VII.
Della Gradazione t
La Gradazione dai Greci detta fi fa a'f-
Jora auando nel noftrò difeorfo andiam crefeendo
$ « piò grandi in guifa che pe-
rò non mai uifcendiamo alia feconda propofizione
fenza ripeter parte della prima (8) in ouefio mo-
do iQua reima /per manet libertatis , fi illis'&
^uad Itbety Itcet ^ quod licet , poffunt y & quod '
]^ljunt , audent ; ^ quod audent , f aduni : & quod
jaciunty •mbis molejtum non efi ì Così l’Autore ad
Erenmo IV. 25. Di quefia figura fi fervi anche
Tullio nella Oraz. a favor di Milone, dove diffe:
Ne-
b
t BOB 4nte ad confteigirens verbam
a*. Or S5/ f»PCTi»s «onfceafmn eft . ^dHeren.TK
t
Digiiizod by Gqpgle
X57X
ì^egae vero fe potuto Jolum^ fed ottam Senatuì
tradidh ; Sehatuì modo ^ fed edam puòtich
prffidìis , & armjs ; neoue his tantum , verum
ttìam efus potejiati > cui Senatus tot am rempublt-
cam commij^rat . td io una delle fne Piftole ad
Attico : X# dormh , expergìfcere : fi fias , ingrt-
■ dere : fi ingrederis , <curre : fi currhj adpola\ E
così anche Orazio : ... -
' ‘ ■ Ludusenim genuìt ilreptdumcertamenÒ*ìramy
Ira truces inìmichìas , & funebre bellum .
. E Virgilio Èglog.ir.
Torva leena' lupum fequhur 7 lupus }pf e capeU
lami ' ^
• Florentem tythifum fequttur lafcìva capella» ■
E Dante nei Canto XXX. del Paradifo ;
Noi femo ufcitì fuore
ì)et maggior corpo al Cìely cFè pura luce^
Luce inteìtettual piena d* amore ^
^mor di vero ben pien di letizia ,
Letìzia , che trafcende ogni dolzore . .
t
V osb anche il Taflb nel Canto fX. , dove difle :
Non cade il ferro mai ^ che appien non colga ;
Nè coglie appien , che piaga anche non faccia';
Nè piaga fa y che l* alma altrui non tolga {g) .
§. Vili.
. . f
Alle volte la Gradazione tonlìRe propriamente, ed a>
nicanente nei concetti , nob de’ quali crefce fopra dell’ al-
tro fenza far veruna ripetizione di parole ; e quella i una
ngura betlil&itta, e di prende efficacia. Non fì può però met-
ter nel numero di queRe, che fi fanno per ^^iungimenta,
nja ptuttoRo fra quelle di concetto . Eccone due efempi di
Cicerone: Nik/ìagif, nikifmiirùt nikìt (ogàat ^ ouod
•S*
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oc 38 X
, ■ '§. vili. ■ ' •
/c Del Poliftntetoi
r' y
Qtiefta fi^ra , che dai Greci fa chiamata «xy-
, cioè unione di mcdce conginnzioni , fi
fa quando ripigliando noi in un difcorfo varie
particelle /copulative o difgiuntive,, fchieriamo.
quafi ' À'ftintamérite’ fott’ occhio degli afcoltanti
molti oggetti nello fielTo ifiante. DiflTe p. e. Tig-
lio parlando in favor della Legge Manilia-: Ee
jufiUìet-i & liber alitate , & fortitudim ctterós 0 -
mnes Irnperatores fuperavìt , E contro di Verre:
Ncque privati , ncque pub! ici , ncque • profani , ne-
que /acri tota in Sicilia quiaquam reliquiffe , E
ùmilmente Virgilio-
4- Afeaniumme y patremque meum ■ ^ _ fuxtaque
Creufam .
Ed in altro; luogo :
.... ruit Oceano nox ,
Involvens umbra magna terramque^ polumqm^
Myrmidonumque dolos ,
Così anche Alb, Lolliq nella Tua Orazione in di-
fefa di M. Orazio ; Ricordandoft , che a tre fal-
dati foli e una guerra di tanta importanza ed il
fatico di così grande imprefa, e la fomma dello
. . Im-
«go non modo audiam , fed etinm vìdeam , planegue fenttam i
Orat. I. IH Catti. Paeinùs tjl vineiro Civtfn Romanum^ jet-
ius vtrbtfor» ; prope pòrri cìdium necatt : ^«10 dieam tn
crueim tolUrei Nihil addi videtur ad hanc amentiam « #»»•
proiitatm f (rudtlitatemfue pdjfe* In C. Verrem.
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, ... 59 X _ .
’-Jmpero ^ è della fortuna pubblica fa fiata cùrtì^
fnejfa . Ed il Petrarca : .
V acque parlan^ d' 'amore , e P ora ì e i rami ,
E glt augellettì^ a ipefci e i fiorì ^ et*
erba,
§..IX,
. .a , ’
Dell* udpozeugma . ‘ ' • , .
. L* Apozeugma diro^tOyfiety (ìccome dicono i
Greci , è una figura), per cui quelle cof&, che
andar potrebbero unite,, ed elTer regolate dà un
Telo verbo, fi dìlfmeupno coll* apporvcne uno par-
ticolare a ciafcuna lencenza (io) in quello modo:
Populuc R,Numantitm delevit y Carthaginemfu- '
JluVt , Corinthum dis/ecit , Fragellas evertit • Ad
Heren. IV. 27. Così dHTe anche il Salvini in una
delie Tue Orazioni facre parlando di Sparta ; Ma
poiché alla parfimonìa fuccedette la fazietà , e nel
luogo della frugalitct s* introduce il lujfp j e V a-
•varizìay fu djjiruttp quel buon ordine y perirono le
loggi j jpirò fa liberta y e la città non fupià quel-
la (il). Ed Alb. Loliio nella fua Orazione fo-
pra le pompe:' L* emendare interamente i cojflumì
di una città , il provvedere a* difordiniy rimedia-
.re a* fc ondali , levar vìa gli abufi , efiirpare i vi-
'%) , confervare tutto un popolo y ed a virtuofa vh
.. ^
f. ___ __ ' r • ’ .. ^
OO. DìtjnnAio tft, cum eoruin , de qnibas dicinus, aut
Btrumqae , aut nnumquodqne certo coactuditor verbo , Jd
Mtrin, 4 . » 7 . Dt Orar. Ut.
ili) QaeAa figura dagli altri vien polla nel numero dì
? Belle, cbe fi fanno per difcioglimeuto ; ma febbene dai La.
ini Ila cbiamata DiajanAio,^ b/chiaro ^erò , che ella deve
P*BttOflo aver luogo tra, quelle d* Ageiungim'euto , perchà
coafifte In accrtfccic noB io ifmjfattire le oardle ad un fenti*
proto t
. ^
ta ricondurlo , ftccome è cofa di molto maggiore
importanza , così h fenza dubbio aliai più lodevth
le^ e molto più glortofa ,
•ARTICOLO I.
Delle Figure di’ Difcioglimento .
F lOURE di Difcioglimento fi chiamano certi or-
namenti , che nel parlare derivano da qualche vo-
intralafciata , perchè' facilmente fi fottintende.
Qqefio m tre modi foltanto può avvenire ; onde
tre ancora fono quelte Figure , la Difgimzione ,
lo Z eugma 3 e la Reticenza •
L
‘ Della DifgiunzioHe i
Quella figura dai Greci detta daurPiror è con-
traria al Polifinteto, e fi fa quando volendofi dall’
Oratore o dal Poeta parlar con veemenza , ed u-
nir molte cofc in un Còl punto -, fi tralafciano le
congiunzioni C12), fiqcome fece Tullio nell’ O-
razjone in favor d* Archia^ allorché dilTe: Mec
^ adolefcenttam alunt , fene^utem
obleEìant ^ , fecundas res ornant , adverjts perfugitan
ac folatium prabent , delegane domi , non impe-
dmnt foriSi p^noFiant nohifcum^ peregrinantur ,
rnjttcamw ; Ed in quella a favor 4 i Marcello r
' Con~
j. t qn» conjanAìoiiibns verboram e medio
rubUtis , partibue reparati « cSertur. Jtd Htrtn. tf^, 30. Con
quene parole s* intende di dUt ftiMLa
OQlltgamento^ come fpiega il Maai/o.
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X X
CànJlUuenda Sudicia ^ revotenda fides ^ eomprmen-
dèe Itb'td'mes y propaganda foboUs . Così anche
Virgilio :
Monjlrum horrendum , informe , ingèns •
£d altrove :
Calum^ mare <t fydeta teflor ,
Anche Aib. Loilio nella fna Orazione a Carlo
V. diflfc : Non i fupetbt tìtoli , la porpora , i* «-
? fuile , le corom » e gli fcettrt ; ma la umanità ,
a manfuetudine , la clemenza , la liberalità e la
^ujiizia fono le proprie doti , ed ornamenti d^
Ke ^ ' e té vere infegne. degli Imperatori , ’.Ed il *
Cafa così incomincia quei Tuo celebre Sonetto ;
O Sonno* o della queta* umida* ombrofa
Notte placido figlio .
§. ir.
Dello Zeugma •
* Lo Zeugma così detto dai Greci > e dai
Latini ConjunHio o AdjunBio^ lì fa ogniqualvolta
un folo verbo pollo in principio , o in line , o
anche nel mezzo regge var; concetti Cn) • Così
Tullio prò Cluentio : Vicit pudorem Ithido* ti-
.unorem audiKÌa , rationem amentia . ' £ nella I.
contro Catilina ; Ncque enìm , Catilina , h es y
ut te aut pudor a turpitudine y aut metus a peri'-
' cu-
0.3) CpnÌHoAio eft, cara inttrpofitioBc verbi &fapcriorei
oracionis partee comprebeoduntur , & infèriores . AdiunQio
eli, com verbum quo ree comprehenditor non imerMnimus ,
fèd ant priinain, poftremam collocanai. M
%7, Ot QtuAlt
\ '■ .
V
t6it '
culo^^aut ratio a furore revocarit t Ecf Orazio liS< 1
i« Ep. 2« .
Qui cupit aut métuit^ juvat illtm fte dormisi
aut res y
Ut Ijppum piEla tabulfs , fomenta podagramf^
^ Aurtculas ctthara collega /orde dolentes c ' '
'"^^Anche Alb. Loliio lì fervi di quefìà figura nell’
Orazione a Paolo III* , allorché di/Te : E così
nalmente la temerità alla ragione i la bugia àlloi,
Terità 1 ^ le tenebre alla luce daran luogo ^ Ed lo
difefa di Furio Crefino così chiude la fua orazio-
ne : Molto meglio ' è fubitamerite. 'di qui fupgirjì e
andare a viver fra bofchi, fra le Jolttudtni , e
fra le fiere, che in quejìe mtferie , m quefie affli-,
zioni , in quefli pericoli^ , in quejla fervttu , e irt |
quejìa manìfejìa tirannide dimorare, ' ,
§. iir, j
Delta Reticenza *
^ La Reticenza j o fia come dicono i Ore-
ci è una figura , per cui lalciafi nel difeorfo qual-
che parola , che dal conteso , e dal fepro delfe
altre agevolmente s’intende (14)» Cos] Cicerone
contro Verre dilTe : ^ Huncine hominern l Han'ftne
implodenti axn ? Hancinf audaci am ? e lalciò di pro-
ierire il vprbo ferernùs . E Cefare lib, i.
Guerra Gallica ; Divìtiacus multis cum lacryrnig ^
Cafarem compì exus 'obf ecfore càph , ne quid gra-
viuf
C14) ^ una delle figure, che s’infeenano anche da*
Grammaoci ficcotne pure* lo zeugma; laonde 'preflo’ di
f« iie pouòoo vedere innuinere,volI efemp}* ‘ '
/
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Ì)ìus in fratrem Jlatueret : /ciré fe illa .ejfe vera .•
nec quem^uam ex eo plufquam fe àoloris capere
in vece {li dire àicens fe fette , A querta fi-
gura fi devono riferire ancora qnei modi di dire
nfati dai Poeti , quali p. e. fono i feeuenti dì
Virgilio ^n, I, e di Orazio /#>. JF, Od, 8,. . ‘
- Ut quamvtt avido parerent arva coierie^
Gtatum opus agricoiis ,
Cioè quod futt gtatum * •
Donarem trtpodas pramìa fortium, '' '
Cioè qui funt prxmia fortiim , - . .
A di cui, imitazione Dante Cant,XV, D^ì
radifo difiTc :
Non era giuntò ancor ^Sardanapaìo
A mfìrar ah che in camera fi pu^ote .
Cioè a dir commettere »,
ARTICOLO nr.'
Deìle Figure per Similitudine »
\
D .
ICONSI Figure per fimilltudine quelle, che in
altro non confifipno fe non fe in up le^iadro e
graziofe fcherzo, il quale nafee da due o più pa-
role fomiglianti di Tuono , e diverfe di fignifica-
fono quattro , la Paronomafia,
1 P ari~finienit * i Pari confonanti , e la Corri-'
fponden^fie' Membri o fia Ifocoim,
"Della -'Paronomajia ,
Quella che i Greci chiamano vttpepofieta'tet ^ ed
i Latini Adnominaùo è una figura molto galante,
fe a tempo ù ufa , e <^a qualche Tale . Si fa noi
in due maniere; i. col ^rre in vicinanza due
parole limili , o quali firoili di Tuono, edc^pofle
di lignificato (15) , lìccome quando nella riiipp.
3. diffe Tullio ; En cur magijler ejus ex oratore
arator faEltts fit , E feri vendo ad Attico: Fue^
runt , qms magh fames , quam fama commovertt »
Ed altrove; Con/ul tpf e parvo animo ^ ac pravo ,
facìe magis ^ quam facefiis ridiculus, E l’ Auto-
re ad Erennio lib. I V. 14. Amari jucundum eji ^
fi curetur , ne quid inftt amari . Cur eam rem tam
fiudiofe curaSi qua multas tihi dabit curasi Co-
si anche Virgilio nel IV. della Eneide ;
Lybicìs teris otia terris ,
Ed il Taflb : • !
rapido dìjferra
Za porta , e porta inafpettata guerra .
2. quando necelTanaraente fi ripete la medelìma
parola nello Oeflb figni Acato , ma con qualche
cambiamento, come quando dilTe Ovidio :
Spe^atum ornata veniunt , fpeBentur ut g/e-
\
Os) AdnoBiìaatio eli, cam ad idem verbum* & idem no-
mea acceditar commutatione uaiut litterae aut litterarnm ,
fillabat, aut fillabarum : aut ad retdiffimiles fìmilia vciba ac-
«oniiaodMtur . dé Utren, It, n. De Orat. lU,
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Ed il Berni : ' . ’
Dugento miglia fon fuggito e fuggo ,
E fuggirò i che di fuggir mi Jìruggo Oó),
IL
Dei Pari-Finienti . ^ „
Formafi quella Figura dai Greci detta
TOf quando congiungendofi infiéme nello ttelfo'pc*
riodo due o.più parole tutte nello (leflfo cafo
tempo , o perfona , ancorché nella loro termina»*
2Ìone flavi qualche diverfltà , ■ e non ne nafca ri-
ma (17). Così Cicerone nella i. contro di Cati-
iina : hanc te amentiam natura peperit , vo~
hmtas exercuit , fortuna fervavit , E nella Ora-
zione in favor di Rofcro Am. Quid tam com~^
mune , quam fpiritus vivis , terra mortuis , mare
fluBuantihus , littus eieEiis ? Ed in favor d’ Ar-
chia : Hunc ego non ailigam , non admirer , non 0-
mni ratione defendendum p^tem? Nè altrimenti il
Salvini in una delle fue Orazioni Sacre: O nome
dolci [fimo ! te vogliamo fempre ne' nojlri hi fogni
invocare , a te ricorrere , a te gridare mercè ; dì
te gloriarci ed ornarci , teco vivere , teco refpira-
re , teco morire , •
§. nr. '
00 In q arilo cafo è molto limile alla Tradazionr; v’ha
pcrV> la diverlith, che in quella per efler figura d’aggiungi-
anento, la parola fi potrà lafciare di ripeterei il che non <4
può fare in quella . Veggali il lib.iy. ad Jf ere». 14. ai.
07 ^ Similiter cadens cxornatio dìcitur, cura in cade m con.
firuCTione verborum duo, aut plora fnatverba, que limiliter
iifdem calibus eHeruntur. Mtrtn, If', »o. Arffi> ad diaa*
Rhtt. eap. 16. de Orat. Uh
Qiari, Bim, T. I, E '
•• X<5<SX.'
. iir.
Dei "P arì-Con fonanti .
(Quando le parole, che fi congiungono inficmé
o fian effe nomi , o fianp verbi , abbenchè non
trovinfi nello fieffo cafo , tempo , o perfona , pure
formano confonan2a di Tuono , o fia rima , allora
ne nafce quella figura dai Greci detta òfioiorìhtu-
rov y e dai Latini fimiliter definens (i8). Tale fi
è- quello di Cicerone nella Filippica 4. Hac vir~
tute major e s vejìri prtmum univerfam Itati am devi-
cerunt , deinde Carthaginem exciderunt ,■ Numan-
tiam everterunt , potenti ffmos Reges , òeliicojijji-
mas gentes in ditionem nujus imperii redegerunt »
E nella Orazione in favor di Rofcio : Multa pa-
lam domum fuam auferebat ; plura cium de medio
removebat : non pauca fuis aajutoribus farge éffu~
feque donabat :■ reliqua conjìituta auBtone vende->
bat £ lo Speroni in un tuo Dialogo : lì qual^
nome non ha molto ad andare , che a odio/o , di
fc andai fo y di qbbomìnsvole ^ -di biaftmevole di
dispregiato^ di perfeguitato ^ eh' egli è ^ farà per
fanto adorato . Nè diverfamente usò tale figura
Alb. Lolio in difefa di M. Orazio : Qjtal còfa fi
può penfare y non che dire pià brutta y e pià bia-
- fimevoley che attrifiare chi ci ha rallegrato vi-
tuperare chi ci ha ef aitalo , affliggere chi ci ket
liberato 'dar la morte a chi ci ha data la vita ì
■ §.IV.
Simiiiter defìnent eft, cura, canetfì cafus non {tifa tife
verBis , tamcn (ìmiles c:dtus fw« t <rti Htrtn, W, ao, /Sri fi»
ivi . Ot Orot. ivi .
Digitizt”1 hy Google
§■ IV.
DeW Ifocolon .
♦ • • «w ' ,
Quella figura detta dai Greci. /Vo^xof^, e da noi
eorr if pendenza dì membri confile in quella grazia >
che ne deriva ai parlare, quando ì membri d’un
periodo fon .tutti quali d*una ftelTa mifura , e ter-
minano con una egualef armonia (19). Tale lì è
quel di Cicerone per la Legge Manilla : Bellum
extrema hyeme oaparatitt : ineunte vere fufeepit :
media àjiate confecit . £ nella 2. Filippica: guod
Sene co^itajit, alìquando laudo : gUod non indica-
fliy gr alias ago .* quod non fecijìì , ìgnofeo . Così
anche il Cafa nella Tua Orazione z. per la Lega ;
Ogni jirepto , ch^ io fento , mi Pare /’ Imperatore ,
' cne mi /paventi: ogni voce i cip io odoy mi pare
P Imperatore j che mi minacci : ed ogni movimen-
to, eh* io veggo i mi paté P Imperatore ^ che mi
aj/ali/caé Quello pero, dice F Autore ad Eren-
nio, deve elfer fatto naturalmente, e non ricer-
cato a bella polla ; imperciocché farebbe cofa af-
fatto puerile , fe voleuìmo per cosi dire mìfurar
col'filo i periodi, e pefar tutte le-fillabe, acciò
un membro non oltrepalTalTe la quantità delF al-
tro (20) ; ed il difeorfo allora privo elTendo di va-
rietà rjufcirebbe anz| molello ed ingrato*
De veli per ultimo intorno a quelle Figure di
• ‘ E 2 pa-
.00 pompar adpelUtor, qaod Iilbet in fr membra orathi.
ais f qtfae conflant ex pari fere numero (ìllabarum . Ad He-
ren. JP^.-ao. Oe Orat. tlL
Oo) Hoc non de enumeratione nofira fiet: (nam id qnt-
dem pderiie eft ") fed taatan adfert nfus & Mcrciutio facul* •
tatù . Ad Htrtiu i?i .
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X ^8 )C
parole avvertire , che , ficcotne ufate eflcndo df
rado' e con giudizio, aggiungono molta grazia,
€ luflie al 'noftro dire ; così quando troppo di fpcf-
fo vengono adoperate, ed a bello ftudio ricercate,
degenerano facilmente in affettazione , c divengo-
no infulfe affatto , ed inette (21) .
. C A P O V.
I •
• ^ Delle Figure di Concetto .
Figure di còncetto chiamanfi certe vivaci e nuo-
ve forme , che fi danno ai noffri penfieri , per
cui il difcorìb , giufta il bifogno , acquifta vee-
menza e dignità , s’ infinua negli animi , diletta ,
rapifce , e commove il cuore di chi ci afcolta . I
Greci le chiamarono <nc»(ieiTei , vai a dire forme ,
afpettì , perchè quelle appunto vedono e mettono
nel pih vivo al’petto que’ penfieri , che efpor vo-
gliamo colle parole ; e Tullio ci affìcura , che dal
retto ufo di loro dipende la fomma lode di un Ora-
tore (l). .ni
. Sono poi di due fpecie al dire dello ffeffb Tul-
lio (2): altre miti , c in certa guifa più famiglia-
lo Qpomodo ifiitur, fi crebro bis generibus otemur , pue-
rilt videbimur elocutione deleflari ; ita fi raro has infereimis
exornationes & io cauta tota varie difpergemus, cotninode lu-
ininibus diflinftfs illuftrabimus orationein . Ad
CO Schemata enim , q^iae vocant Gratci , ea maxime ornane
nratnrem .. . quo genere quia prattat omnibus Demonhewes,
tccirco a doAis oratorum eft princeps judicatus. Tic.
CO Duo trattata ab Oratore ado»jrabtiem •-
loquentiam faciant ; quorum alterumefl, quod Oraci- sv
vocant ad naturam , & ad mores, & ad omoem f «a - com ue-
tudinem accommodatum ; alterumquod ijdem vnoaa-rxef no-
minant : quo periurbantur %QÌni , coaciUQIUt , IO UBO
rpguac oiatio . Cfp. ivi .
X6gX
ri al parlar degli uomini : altre veementi e fiwrl
dai comun (iile . Le prime fervono ad acquiiìarci
benevolenza, ed a perfua dere .vie feconde a cora-
movere ed a convincere gli animi di que’ , che ci
afcoltano (5) «
/
A R T I C O L O L
Delle Figwre dì Concetto pìà miti
• 5. t ,
* Della Dubìta^oné .
.Cov quella figura , che da tioi Dubitazione , a
dai Greci fi chiama , moftrafi d’ effer in
dubbio, d'onde abbiali ad incominciare, cofa a^
biafi a dire , o a qual configlio meglio fia appi-
gliarli (4). Cicerone fi ferve di quella figura
nell’ Orazione a favor di Sedo Rofeio , dove di-
ce : ^id primum quèrar ? aut -fènde potìfftmum
exordiar , /udices , aut quod , aut a qmbus auxi-
litm petam ? Deorum ne ìmmortalium ? Populìnt
Komani ? Vejiramne qui fummam poteftatem habetis
hoc tempore fidem implorem ? ed in quell’ altra a
favor di Cluenzio Equidem quo me vertam ntfeìo 4-
\ ■ .
r - — ■ > . , ^
•N
ù") AfTt^iut igiturr bos Concitatos, illof tnitet atqu» coiH^
poutos effe dixtrunt : )a altero vehetneater commotos « iti '
altero lenifs: denique hos imperare, illós perruaderc : boi
ad perturbationeifi , i Hot ad bene voleotiam pr« vaierà . Qaiat» ■'
Tnft. Rtth. Jik. f'I.i.
(aj Oubitatio eft cum qaatrere videtur Qrator , utrom a# .
duobut, potine aui quod dà pluribua potimnbin dUat ^ M
Jltr$n. ly. tf, de Orai. III. - . , * * ,
^ jitized by Google
X7oX
Negem fuìjfe ili am infami am Judìcii conupti P
Negem tllam rem agitatam in concionibus ? Così
preffo Tito Livio nella Decad. III. Scipione par-
ia a’ Soldati, ed ufa della dubitazione: Apudvos
quemadmodum loquat , nec conjilium , nec or atto
Juppeditat y quòs ne quo nomine quidem appellare
debeam feto, Cives P qui a patria vejira defei-
vijìis : an milites ? qut imperium , aufpiciumque
abnuijìis , facramentt religionem ruptjiis . tìo-
Jìes ? corpora , ora , veflitum , habìtum civium a-
gnofeo i faEia , dìSla , conftlìa , animos hqflium
video .
Anche Virgilio nell’ Egl. Vili, fervefi di que-
lla Figura,
V .... crudelis tu quoque mater :
Crudelìs mater magi: an puer improbi^ Hit ?
£d Orazio nell’ Ode 12. Lib I.
Quern virum aut heroa lyra vel acri
Tibia fiimis celebrare Clio y
Quem Deum ì cujus rettnet jocoftf,
Nomen imago ?
Nè diverfatnente Io Speroni nella Orazione fti-
nebre in morte della DuchelTa d’ Urbino : Afa la
mia orazione da qual parte delle fue laudi pren-
derà il fuo principio I Ove arà ella il fue fine ?
e con qual ordine ragionando trafeorrerà le altre
doti di quejì a' il lujìr e Signora ì Éd il Peruzzi in
morte del Salvini : E a a qual parte piglierà in-
cominciamento il mio dire , fe cosi ampia , fc co~
si nobile , fe cosi fublime è la materia ebe mi
fi para dP avanti j ebe io nelP affacciarmi fu tale
fmifurata profonditade fento da una come vertigi-
t^e affai irmi, ebe tutto pji ptrdo d* animo ^ e m*
«wi/iAo. E PAriofto;
Deb-
\
I
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X 7* X
. "Debbo forfè ire in Frifia , ov* io potei
E per te non vi- volft ejfer Regina ?...
Tornerà in Fiandra? ove ho venduto il rejìo
Di eh* io vivea benché non fojfe molto
. Per foyvenirti , e di prigione trarte ì
Mef china dove andrò ì Non fo in qual parte ,
Alla dubitazione talora viene in feguito la E-
leziorie, la quale fi fa coll’ eleggere finalmente di
fare o di dire una di quelle cofe , fu cui fi du-
bitava . Così Didone nel IV, della Eneide dopo
d’ efler luogo tèmpo fiata incerta , fe doveflTe le-
guire Enea , oppure perfeguitarlo con una flot-
ta , ^o ricorrere a Jarba, fi determina per ulti-
mo col dire : ' ' •
^ Qjfin morere , ut merita es , ferroque averte
dolorem ,
f
Così anche Catullo nel fuo primo endecafilla-
bo'^fingendo di'- dubitare a chi confagrar doveflìf
il fuo libro:
Cui dono lepidum novum libellum
Arida modo pumice expolitum ?
fi determina poi coll* Elezione dicendo : Corneli
tibi
Ed il Petrarca nel Gap, I. Pel Trionfo d’ A-
piore elegantemente fcriffe: , "
Che debbo dir ? in un paffo men varco :
fon qui prigìon li Dei dì Farro *,
£ 4
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X' 72 X
§. if.
' Ùella Comunicazione .
. ♦ *
Se confidato^ nella fua caufa l’Oratore finge di
chieder configlio da quelli fiefiì , a cui , o contro
cui parla , ben fapendo , che neceflariamentc de-
vono cader nel fuo parere., allora viene a forma-
re quella figura , che dicefi comunicazione e
dai Greci «petxoiyuffii. Così fece Cicerone nella 2.
contro di Verre col rivolgerfi ai Giudici, e dire;
JQunc ego vos confuto quid mihi Jaciendum pute~
tis . E contro Cecinna : Qu^ero Jl te hodte domum
tuam redeuntem homines armati non modo limine ,
leBoque medium tuarum , fed primo aditu , vejìibu-
loque prohiberent ^ quid àBurus fisi ed in quella a
favore di Rabido : quid tandem Cajo Rabirio fa-
£tendum fuitì de te inquam Labiene quiro^^cum
ad arma Confules ex SC. corrai (fint , quid tan-
dem C. Rabirio facete conventi ì Ed Orazio :
Rofciay die fodes^ melior lex an puerorum
Nenia y qua regnum.re^e f adenti bus offerti
Anche il Salvini nella fua Orazione VI. fi fer-
vi di quella figura .dicendo : zwfirì purgati giu-
dicj io me ne rapporto ^ 0 Signori y che da quanto
finora ho detto , oen comprendete la qualità e ’/ ca-
rattere delpaffatoArciconfolo. Ed altrove: A voi
fieffi y 0 /apienti [fimi Giudici y chiedo configlio ,
cofa (ìlmate , eh* io debba fare . £ tale certo lo
mi darete , quale fi è quello , eh* io fteffo intendo
di dover prendere necejfari amente .
§. III.
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X7JX'
§. III. .
# •
Della Concejfione ,\ ,
Qualora I* Oratore moHra liberalità concedendo
a’ fuoi avverfarj alcune cofe, fu cui per altro a-
, vrebbc che dire, acciocché poi o tanto più gravi
raffembrino quelle altre, che viene a foggiungere,
o ancor cllì corretti poi fiano a concederli quanto ‘
delìdera, quella dicen figura di Conce/Tione , e dai .
Greci avvxàpfiffn (5) . Così Tullio nella Orazio-
ne a favor di Cluenzio ; Dominetur { falfa invi-
dia ) in concionibus , jaceat in 'judiciis , valeat in
opinionibus , ac fermonibuc imperitorum , ab inge~
niis prtuUntiuyn repudietur . Éd in quella a £iyor
di Fiacco/ Tribuo Gracis literas : do multar wn ar-
tium difciplinam : non adimo fermonis leporem ^ in»
geniorum acumen dicendi copiam y deniqut etiam
p epia [ibi alia fumunt non repugno ; tejìtmoniorum
religionem & fidem numquam ijia natio coluit . £
nella Oraz. V. contro di Verre / Sit fur , ftt fa^
crilegus , ftt flagitiorum omnium jvitiorumque Prin»
reps ; at efi bonus Imperator , felix , Ò" ad du»
bìa'Reip. tempora refervandus . Usò pure dì quefta
figura il Cafa nella Oraz. a Carlo V. Ma poflo
ancora quello^ che non è da concedere, nè da. con»
fentire in alcun modo y cioè che i Principi , pqfìer»
gaia la ragione , vadano dietro alla cuptdigia , ed
all*avarizia y ancora ciò prefuppojlo , dico io, che V,
M, non donerebbe negar di conceder Piacenza , ec, c
ncl-
■ I I— i—
C5) Concetflo efl cum aliquid ftiam Jnìqaum vMeiaur eaiir*
naucia pati , atque concedere . Quint. IX, i. de Or et, Itt,
\
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X 74 X
nella II, er la Lega : Ora ecco V Imperatore ripQi
ferà quejf anno Ife cosìfia^ perocché neffunocene
fa certi ): ma fe pur così fia , egli farà fermo
irueH' anno .non per tardare , ma per andar più rat-
to , Ed Aietc preffo il TaflTo . così parla a Gof-
fredo ; • ^
Or quando pur ejilmiejfer fatale^ ^
Che vìncer non ti pop il ferro mai :
Siati concejfo .... Vinceratti la fame , ec,
§. IV,
■ Della Permijftone, /
/
Qaefta Figura detta dai Greci inrirpoorn da al-
cuni fi confonde colla antecedente ; ma Quintiliano
ci avverte', che ella è molto diverfa . Si fa poi
quando V Oratore confidato nella bontà e clemen-
Ja de’ Giudici , o de’ fuoi aVverfarj tutto fi rimet-
te nelle loro mani ed in tutto fi rapporta alla lo-
ro volontà (6), Eccone r efempio che ci fommini-
ftra r Autor ad Erennio : Quoniam omnibus rebus
ereptìs , fuperejì animus & corpus , h^c ipfa , qua
mini de multis fòla reliHa funt , vobis & Vyff
condono potejìati . Vos me vejìro quo patio vtdebt-
tur utaminì'y atque abutàmini licebtt impune: in
me quìdquid libet fìatuite , diche y atque obtempe-
rabo. Così anche Tullio nella Orazione a favor
del ReDejotaro: In tuis oculis y in tuo ore y
tuquty C,C(efar% acquiefeo : te unum intueor : ad
(6) Permiffio efl <um oftendìmu* in ‘•«ce»?**® »
tem ’totam tradere & concedere alicsjM folanta*! • "<•
rtn, ■Jf'. a?. Pe Or ah lU*
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X75X .
fe unum emnìs mea fpeBat oratfo, 'lE Virgilio ne!
I. della Eneide cosi induce Eolo a parlar con
Giunone :
*
Tuus y Ó Regina y qutd ^tes
Explorare labor ; miht JuJja captare fas efi ,
II Salvia! fi ferve .di quella figura nella fM Ora-
zione VII, Ma fapenao io dì^ ra£tonaÌK alludici
difcreti y e favj y e che la ^iujiizia a) forò emimi
incorrotti tengono fempre davanti , ni torcono mini-
ma orma dal giujlo ; non occorre , che io con lun--^
go giro di parole , e con ingranaimentì mi sforzi^
di farvi apprendere un tale ecceffo . • • !‘y.' a* vojìri
"purgati giudicj io me ne rapporto , ^
Della Preoccupazione t
■V j, V
• .
Non di rado accade , che T Oratore previene ,
le obbiezioni, che far lì potrebbero gli avverfarj.
o fgombra certi dubb; , che inforger pofibno neir
animo degli afcoltanti ; e quella chiamali figura di
Preoccupazione, 0' come dicono i Greci nrpoKaito^i'XU
(7). Cosi Cicerone nell’Orazione in favore di Ar-
chia : Quar^ a nobis Gr acche ^ cur tantopere hoc
'hornine deleHemur : quia fuppeditat nobis , ubi
animus ex hoc forenji Jirepitu ^ciatury Ò* auree
convicio defejfx.conqute/cant . E contro di Vcrre:
fortajfe dtces : Quid? ergo hxc in te funt omnia?
Uti-
C7^ Prcoccopatio eli qna & anditorara e;cìilimatioRes, & e<t.
Ttjm , qnt contradiéluri funt verba pravenientec obvias diffi*
caltatcs removcbiraus. Rbeu ai Alex. L*Autorc
^ Ereanw oe fa hqs fola eoa quella ili fogaianginento#
I
X76X-
Utinam, quìdem effent ! Ver unt amen ut- effe poffeni
magno fiudto mìht a puerhia eji, elaboratum « JEd
Orazio itb, I. epìjì, IO.
■ Sì bene te novìy metuer y Uberrime Lolita
- Scurrantìs fpecìem proferrè y profeffus amicum *
Si fervi di quefta Figura anche il Cala nella Ora*
^ .Elione I. per la Lega : Se voi mi direte y che egli et
•vuol difenddi^^ io vi dimando y chi. lo minaccia.^
ehi lo ^ tdìì lo ajfali/ce ? E nella IL Io
fento , tapìè^ffimì Padri , non fenza roffore , le
JaMiiide t f^adey e morte parole d' alcuni , che con-
feffandó ytt. Ed Alb. Lqllio nell’ orazione in lode
dnla^ContÒrdia : Dico jo forfè quejie cofe , Acca-
deniici , perchè io dubiti punto delta prudenza , é
della cojlanza vojira ? no , ma dicolo Solamente
Spinto dal grandijjìmo deftderio , eh* io ho , che que^
Jta bella y lodevote y fruttuofa ed onorata imprefa
rìefea immortalò. Ed il Salvini con molta grazia
così incomincia la fua Lezione I. Dura materia
di ragionare n* ha oggi il nqflro' Ardconfolo da-
ta . . sì perchè lontano io fui f^tnpre dal cen-
furare P opere altrui , conofeendo pur troppo d* a-
•ver che fare nelle mie , sì ancora, perchè , ec,
A quella figura fi polTono ancne ridurre i fe-
guenti modi ai dire ufad da Virgilio Eoeid. II.
c IV.
.... fi miferum fortuna Sinonem
Finxh y vanum edam , mendacemque improba
. fnget . \
Disdalus y ut fama efly fugiens Minoia regna
Prapetibus pennìs aufus fé credere calo&c.
' ' Vf.
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'4
X 77 X
§. vr.
Del Deftderio,
Si à quefta Figura detta dai Greci oW/<ràoV
quando auguriamo ad altri , o a noi fteffi qualche
vantaggio o fortuna, ficcome fece Tullio parlan-
do per la legge Manilla ; , 3u/mes/vi^
f^rum forttnm atque tmocentìum copi am tantam
délibtr,tio Officili! tffet ,
E nella Filippi» Vili. Vunam l. cJfar vale-
ret , òer. Sulptctus viveret : multo mel'tus hxc
caujja ageretur a trtbus . qi^am nunc agitur ab «-
no , Similmente prelTo Virgilio ; - '
' >' fi refpeElant' numina * - fi
-, -quia ^ I
f Ufquam iujììtìa ejl & mens fibt confcia reSli .
r tamia digna feran(_, ^
Così anche il Cafa nelfa 'cit* Orazione a Carlo
effendo egli fornma
alla buona intenzione , chi alV umtl fòrtuna mai
co^enevolt nel voftro animo fiano ' ricevute , Èd il
^alvini m morte d’ Antoti-Maria Magliabecchi
ai p^ert. fecondo
arJtof eloqMnza mìa i fentimentì ^^che la
S patria aver dee per uomo tanto infigne , tan-,
lode
tni rii' imitazione di Tullio ; Fo^
ftmn ornatijfimt Accademici ^ che -mi avef-
d7mclu c eccellenti, che
. ^ CM' Special-
mente un u fatto ufficio fi dovejfe dare / Anche .
V
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' X78X*
il Petrarca leggiadramente chiude cori quefta fieiiw
fa un fuo Sonetto : x ^
"f/" ’/ W /■'«'•» ;»/«/« r/W ,
A7H leggindri ed alti,
Jy/ella dolce ombra al fuòri deW acque feriva,
È preflTo il TaiTo Cant. VI. così parla £rminia ;
Ah perchè forti d me natura,, eV Cielo ,
Altrettanto non fer le membra o V petto •
. Onde poteffì anch* io la gonna , e H velo*
Cangiar mila corazza e nell* elmetto w
. VII. .
tielta Sentenza é
Sertpnra tì eiiama quella , che i Greci dilTcra
yvufAo , cioè a dire un ammaeilramento utile al
buon governo di npftra vita (8) . Tale fi é quella
di Tullio nell orazione a favor di Archia: Trahi-
mur omnes landis Jludio f & optimum quifque ma-',
xime gloria ducttùr rZà 2 l favor di Milone: Ma-
gna vif eji confc.ientia & magna in utramque par-
tit ncque timeant ^ qui nihil commi ferint ,
peenam femper ante oculoi ver fari putent • quf
peccarmi . Ed Orazio nel lib. I, Ode 54.
• • valet ima funtmis
Mutare y & infignem attenuai Deus
Obfciera promens,
' ■ Go.
C8) $vntnCÌA efl oritio runipts
m}' oporwat in viu
de viti, 5UC, ant quid
brtviter otteadit. Ai He-
V- •
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%
X79X'
Così anche Virgilio nel VI. della Eneide ?
Noóies atque dies patet atri janua Dith .
Sentenziofamente difle anche il Cafa nell’Oraz.
a Carlo V. Si fatto privilegio hanno ^ S, M.y le-
giufle opere e magnammo y che effe fono eziandio
nel e avverfità feltct j e nelle perdite utili , g ne*
dolori Itetp y e contente * Ed m quella per la
Lega : Qli uomini ajìuù ufano più Jpeffo corneo a
coloro i a cut vogliono nuocer y le lujihghey che le
mtnTcce : ed al lupo Selvatico non fi dee fidar la
mànoy benché e^ita lecchi a guifa che i cani dth
inejiici fanno , E Dante :
Nm è V mondan romore altro che un fiato
Di VBpto^ eh oT ^ie/i quiw$ ^td ot vìctì •
d$ ^
E muta nomcy perché muta lato,
Ed il Petrarca :
La morte é fin Una prigion ofeura
niK gentili y agli altri é rtoja,
Ch hanno pofio nel fango ogni lor cura .
Avvila r Autore ad Erennio, che le fentenze
devono ^er di rado ufate , perchè non ferobri
che vogliamo farla da precettori , e da regolatori
della umana vira piuttoflo che da Oratori ( 9 ) .
§. VII.
Boa Taro conwait', ut rei anAore* ,
wa viveodi praceptoret effe videaiour. tvì, r
►
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. . • . . . >•
' §. vili.
Della Dìjìribuzjone ,
•
La Di^ribuzione o Ha (ì forma col di-
videre alcuna cofa in tutte le lue parti , o alfe-
gnando a molte perfone diverfe azioni (ro). Ci-
cerone l’ usò in quello modo nella I. contro Ca-
tilina : Polliceor vobis ^ C. , tantam in npbis
Con/ulibus fare diligentiam , tantam in equitibus
R, virtutemy tantam in omnibus bonis confenfto-
nem y ut y ec. E 1’ Autore ad Erennio : Senatus
oj^cium eji confilia civitatem juvare : Magiflratus
^cium efl opera & àiligentia confequi vmuntatem
Senatus: Populi officium e/ì res opttmas & homi-
nes idoneos maxime fuis fententiis eligere & pro-
bare, E Virgilio così brevemente diftribuifce Tq-'
pera fua delle Georgiche fui bei principio;
Quid faciat latas fegetesy quo fydere terram
Vertere , Mecoenas , ulmifque adjungere vites
Conveniat : qua cura boum , quis cultus ha-
bendo
Sit pecori y atque apibus quanta experientia
parcisy
Hinc canore incipìam . '
Anche il Cafa nella fua Orazione per là Lega
nfa di quella figura in tal maniera : Peroqchh per
quattro ragioni fono le Città y e ciafcun Principe
robujìe e pojfenti : cioè fe fon di danari copiofamen-
' te
(io) Dlftribmio eft eam ia plnres retaut perlbnts certas n»-
lotia sluaedam (Uffcrtiuaur, Ad Mtren* iì. De Qrat. ìlh
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X 8I X"
té fornite : ' fe poffeggono molte città e /orti : fe
fono abbondanti di uomini di guerra marittima e
terrejìre : e fe fono dotate di cuore e di cordiglio, •
£d Alb. Loliio Oraz. a Paolo III. La imprefa^
che io ho da proporvi , sì per la lode » , cù ftete
per acquìflarne y che è grandi ffima y e * «-
tilità , che di qui ritrarrà la Kep, Crìfnanay che
è infinita , merita fommamente d* effer da voi ah*
bracciata e favorita . ^ ; * • >. •
’ • §. IX.
J « •
Del Paff aggio,
. ' »
Quell* ornamento del difcorfo chiamato da* Greci
fttTeia-reta-if fì fa col palTare con grazia ed in ma-
niera vaga da una cola ad un’ altra; ed elTeadovi
anche in quello qualche artificio , merita perciò
d’ clTere annoverato tra le Figure (i i). Se nel far
quello palTaggio fi ammonifcc 1’ uditore di quello ,
che fi c già detto , e di quello che fi vuol dire ,
allora chiamafi perfetto ; ma fe foltanto fi fa men-
zione di quello , che rella a dirli , o di quello , che
fi è • detto , allora dicefi imperfetto. Del primo fi
fervi Cicerone nella Oraz. per la Legge Manilla t
Ottoni am de genere belli dixi , nunc de magnitudi-
ne pauca dicam : e dopo : Sath mihi multa verba
feciffe vtdeor y quare hoc bellum eff et genere ipfo
neceffttrium y magnitudine- periculofum ; rsflat \ ut
de Imperatore ad id bellum diligendo ac tanti s r«-
bus perficiendo dicendum effe vìdeatur , Ed il Cafa
Oraz. ■
(lO Traalìtio vocatur. quae cDm oftendit breviter quid di.
Outn iit , proponit item brevi qqid fequatur . Ai ìftren, /f', ad.
D« Orat. tW • \
Giard, Ehm. T, U F • * • !
F
X 82 X
Qraz, a CaHo V. AJfai chiaro è adumue, V, Mé
ritener Piacenza con . /uo danno e 'con jua perdita»
Vergiamo ora , fé il ìàfciarla le porge utile y o fé le
reca maggior incomodo o difvant aggio» E odiai,
per la Lega : Il pericolo dunque atrue noi fiamo nm
puh efjere nè maggiore , nè più manifefio , nè pià
da Vicino , Da vedere è ora come not lo pqffiame
f chivare y e fé égli fi. puh per altra via fuggire»
Del PafiTaggio imperfetto poi osò ló ftdfo Cice-
rone nell* Oraz. a favor di Rofcio : jige nunc illa
videamus y judices y qua confecùta funt , £d altro-
ve : Sed arrogantiam homims infoienti amque cogno-
fcite » Così anche 1’ usò il Cafa nella cit. Oraz.
per la Lega ; Veg giamo ora quanto fia da credere
al tempo , al quale , fi. dice y che voi cotanta fede
avete . £d Alb. Lollio in lode dell’ £lo^uenza :
Refi a y che della Dottrina y co fa di grande impor-
tanza y e al Dittatore neceffaria fi ragióni »
' ‘ X. ■
' DelP Epilogo »
». V
■ L’ Epilogo w'cMyot confile in una breve rtcapì-
tplazione di tutto quello , che già fì è detto diffu-
' ihtneate,' d’ onde poi' fe ne inferifce una necefTafia
eoofegueazaCiz). Così Cicerone parlando a favore
«di Archia : Quare confervatey fudices , hominem pu~
dorè eoy quem amico' umfìudiis videéis comprtéàri \
ingenio autem tanto , quantum id cenvenit eniftijrta-
ri y qmà fummorum hominum ingeniis experhum
(il) Conclufio pf),' quii brevi àrguQientationc ex ìis, qac
ante dieta Tunr , aut fafta, conficic idt neceffaiio con-
fec{aatar . Ad Heren. If'. 30.
Digitized by Coogle
X8^X
e(Je Udeatt^: caufa vero eju/modì y qua òeneficto
iegiSy auBotUate mmtàpìt y tejitmonto Luculit y ta-
bults Metelìt comprobatur ^ Ed a favor di Milone.'
f^/deo adhuc confi are omnia , judices ì Milani etiam
utile fui O'e y Clodium vivere ì illi adeoy qua: con-
CTtpierat , optatiJTimUm interitum Milohis fuiffe :
oaium iilitts in nunc acerbijfimum y in illuni huius
mtllum’^ cbnfaetudirtem illius perpètuam in vi in-
■ tantum in repellendo ; mortem ab
illb denunaatam palam Milani & prxdiBam , ni-
hil umquam auditum ex Milane : profeBtonis hu-
notum y reditum illius buie ignotum
3 hujus iter necejjarium j illius etiam potius
altenurn : hunc pYx fe tuliffe ilio die Roma exitu-
, illum eo die fe dijjìmul affé rediturum y bum
nulltus ret mutàffe confilium; illum caufam mu-
tondi confiln finxifje i buie y fi infidi aretur y noBe
prope urbem expeBandumy illi y etiam fi bunc non
timeret y tamen acceffum ad urbem noBurnum fuiffe
metuen^m . Così pure Alb. Lollio in lode della
iiogua Tofeana ; Effendo dunque la lingua Tofea-
Titty ficcome avete udito y Accademici y la pìà bella,
la otU nobile y la piti, onorata^ la pià ricca y la
pm tif ata , la miglior tntefoy e la più perfetta di
tutte I altre che .vivano ’y e vedendo Voi qualmente
non fólo tutte ^ le Accademie d" Italia y ma eziandio
tutu gli lamini di feienza e d'^ ingegno , e di giu-
dizio eccellenti , di lei onoratamente parlando , e
Jtrtvendo per tale la lonofcono ; ed avendo io già
fnbntfefiamenté mofirbto, in quanto grande errore
tu^rrbno tutti quelli y chè abbandonando leiy che è
^Jllfproprta è naturai favella y con le firaniere
ejpbngèno i lor penjieri : volgetevi y volgetevi al le-
^ acqui-
■fr t-
S. xr.
V .
(
' . Della Similitudine ,
La Similitudine detta dai Greci ò^owait fi fa col
dimofirare più ""chiaramente tfna cola col mezzo di
un’altra, la quale, quantunque in fe fteffj^diver-
l'a fia , pure molto le s’àlTomigli (ij). Così Ci-
cerone diffe contro Vatinio ; Repente emm te tam-
t]uam ferpens e latibulis , oculis eminentibus , /»-
fiato collo , turni di s cervici bus intulijii y ut mihì
renovatus^ &c. Ed Orazio nell’ Ode 2 . lib, IV.
I Montem decurrens velut amnis , imbres
\ Quem fuper notes aluere ripas ,
\ Fervei , immenfùfque ruit ,profundo,
\ Pindarus ore , , ■
E Virgilio parlando di Didone: ,
111 a folo fiuos oculos aver fa tenebat ,
. Nec magts incepto vultus fermane movetur^ --
Quam fi dura jìlex jiet aut Marpefia cautes.
Ed elegantemente Alb. Lollio in morte del €crn--
no : Egli a gui fa d* una chtara lampa. ^ che fjparge
la fua luce d^ ogn' intorno avearenduto i fuoi mag-
giori . ^ la cafa fua preffo a tutti magnifica , ri-
guardevole^ ed onorata, ÌEd in lòde dell’ Eloquen-
za : Sofienuti dal favore e dall' autorità di* una tan-
ta maefira , e fiabtliti in voi fiejfi per opra de' pre - .
Cij) Similitudo «fi oratio tradgrcens ad rem quamplam Alt» -
quid in re dirpaii fiatile. M Mexeti. Jf^, 4^, De Or at, in.
’ - X 85 X ' '
eèttt dì lei , a guìfa dì /cogli fai dì Jfimì né* pei^i*
coli ^ e nelle avverfttà^ immobili y indefeffi y inft^
per abili rimarrete .* Così anche ii Salvini nella
Oraz« V. Molta forza certamente ha il /angue de-
avoli ) come torrente , eh' atta vena premei per
fecondare dì genero/i*fentìmenti i cuori de* fuòi di*
jeendenti * E Dante :
•' ** , ^
l/f noi venia la creatuta beltà • •
Bianco vefiità y e nella faccia, quale
' Par tremolando mattutina /iella .
dopo • • • è
• Ella non ci diceva alcuna co/a
Ma la/ciavane gir foto guardando
A gutfa di Leon , quando fi po/a t
i
\ *
Cinqtre cofe debbopfì confiderare nell’ ufo dellà
fitnilitudine * . • > , . ^
1. Che fìa atta', e che da cofa illulìre il de»
rivi .
2. Che a tutti (la nota, penchè facilmente s* iti* •
tenda . ■ • , r '
^4 Che faccia àdeguatamente al nollro propo»
Eto. ’ ‘ .
4. Che le pafole e le cfprcflloni pano conve-
nienti sì alia fiiDÌlitudine , che alla 'cofa anfomi» -
gliara . »
| 5 ,. Per ultimo , che vi paflì veramente fra T una
e P altra una perfetta ralfomiglianza •
XIL . '
''Della Comparazione »
La Comparazione p fa eoi paragonare inlleme
due cofe diverfe mofìrandone in qualche, cofa una
p- 3 ' • pcr-
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X 8(5 X •
perfetta fimilitudine (14). I Greci {a chiamarono
fixcJy, €(i i Latini perchè appunto ci fonar
miniitra come una imagine , in cui vediamo raffi-
gurata quella cofa o queir azione , di cui fi trat-
ta- (iS). Così Cicerone nella I. contro di Catilina
diflfe : Ut fxpe homtnes agri ^ morbo gravi cura
(cjìu , febrìgue jaHantur , fi aquam geltdam btbe^
rint f primo reìevifri viaentur , deinae multo era-
vius ^ vehementiufque affìiEiantur : fiic hic moujus ^
qui efi in repubìica relevatu,s iflips pccna , vehe-
mentius vìvis reliquis ingravefcet, E l’Autore ad
Erennio : Ut irundines afiivo temporg prajio funty
f rigore pulfa recedunt ijt\a falfi amici fereno vita
tempore prafio funt^ fimulatgue hiemem fortuna vi-
derint , devolant omnes . E Lucrezio nel Lib, III.
de Nat, rer.
Floriféìris ut àpes in faltfbus ornai a 'libante
Omnia nos itidem depafcimur aurea diU:a .
■ ■ B
(14^ Egli è nrcelTario dimoflrare la differenza, che paffà tira
la metafora, la fimiMtudiae, ed >1 Paragone. La metafora li
fa col trasferire una parola da una cofa ad un’altra per qual-
che fomiglianza , che VI pa^a fu loro. La lìmilituoiqe non
è'diverfa dalla metafora f« non in'quantd che va congiunta
a qualche particella, ckc ne e ditUiigac U rafbmi-
plianza. La comparazione poi di piu vuole, che lì fpiegbi il
fondamento della raffon^iglianza fteCa, e che lì efponga il
perchè, ed in'qual modo l’-ona'e altra cofa convenga^ .
Se p. e. dicefi ^ 'Pidone ; fUiìtA rttpe. al pa%latd' Enea $om
fi commcJTe ^ quella è una iemplìce metafora: fé poi cosi :
Untila a guifa d' una rupt^ nap fi eemmq/ft^ è una fimilitu- '
dine : Ma fe dicelì : tn atulur guifa ^ thè una rupi fia im-
mobile in moKXfi aWonde^ nè cede alt* impeto di' flutti^ nè ■
si eontrafto di' venti , e delle proemila fi eommove ; coti Di-
elone alle lagrime^ alte preghiere^ cà alle Suppliche di Enea
punto non fi Scojfe «e. quella è una vera comparazione. <
00 Imago eli forme cui», quadam colliuio .
M^tren. W, ip^ Loqgin, «p.. Ua Subite^ hsì&»k/tfk*
nt, 4. Quint. 5. ». ^
X8?x
. £ 'Virgilio nel lib. IX. della Eneide defcrivefi-
do i sforzi di Turno : .
Ac veltri pJeno lupus infidtatus ovili
Cum fremi t ad caulas i ventos perpejfus &
imbres , < . - ' ,
No^e Super media
Haud aliter Rutulo muros & caflra tuenti
Ignefcum ira y Ù^ duris dolor ojfibus ardet ,
Anche il Cafa nella Oraz. I. per la Lega formò
an' elegancifTinia comparazione dicendo ; Perocché
come i figliuoli con troppa . tenerezza dalle madri
allevati, crefcono per lo più poco /ani e poco ya-
loroft , eosì ’la pace con trippa amóre delia Città
ritenuta , poco franca , e poco ficura ejfer fuole .
£d Alb. Lollio In lòde deir Eloouenza ; Siccome
la: natura prbduffe il cane atto allo invejìi^are, e
pigliar le fiere , i buoi allo arare , i pelei al nuo^
tare j gli uccelli al volare , i cavalli af carfo, ce-
si creo t ancora gli uomini acciocché s* e/ercitaffero ,
£d il divino .Ariolto;
/ * '
Ecco fono agli oltraggi , al grido , all' ire ,
Al trar de' brandi , al crudel fuon .de' ferri.
Come vento , che prima appena Spire ,
Poi cominci a crollar frajfini e cerri ,
Ed indi ^ ofeura polve in cielo uggire j
Indi gli alberi Jvtlla , e caft atterri, ec.
^ ‘ §. XIIL v ,
Dell' Efempio •
' , '•V
L* Efempio , che i Greci chiamaaa ntatpdluyttce
non è alerò che la fpoliziose di qualche fatto o di
F 4 qual-
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X88)C.‘
qualche detto altìrui , che tomi a! noftro pro^- '
lito (i5). Così Tullio nella I. contro di Carili-»
na‘. vero vìr ' ampliJlfimj^s Corn, Scipio Pont, •
Max. Tìberium Graccum- mediocriter 'laòefaBan-
tem Jìatum reip. privatus interfech , . . . Q. Ser-
vilius Ahala Sp. Melium novis rebus Jìudentem
manu fua oeddit y &c. t per la Legge Matìilia :
Majores nojlri fjepe mercatori bus ac navìculatori~
bus incuriojius traBatis bella gefferunt : vos tot ci^
vium Romanorum millibus uno nuntio necatis , quo
tandem animo effe debetis ? E Giunone predo Vir-
gilio nel L delia Eneide cosi va argomentando; ^
- P alias ne exurere claffem
' Ar^ivum , atque ipfòs potuìt fubmergere ponto
'Untus ob noxam Ò" furias Ajacis Oilei . , . .
AJi ego y qua Divum incedo Regina , Jovif~
que y ec. ' -
Ed .Albrf Lollio nella Oraz. a Paolo III, Che fe
nella guerra C art aginef e i Dedali l' efaufio erario
' de^ Romàni ajutaronoj e fe le rnatrone 'y acciocché,
s' adempire il voto dt Camillo tutti i loro più rie-
chi arneft alla Patria donarono ; e fe F abto Maf-
Jtmo per rifeuotere i prigioni vendè fubito d fuoi
terreni ; che Ji dovrà poi fare in una così grande
e di tanto momento occorrenza.^ Ed il Salvini nella
Oraz. 6. V abito e' la foggia del veflire à Pna di
quelle cofcy che d dipinge V animo di chiccheffia ,
Arifiotile dal vejìire difprezxato de' Lacedemoni y
ne argomentava il loro orgoglio . La toga de' Ro~
ma-
0,0 Ezemdium eft alicalus fa£li aut preterì tr cun
certi auAoris nomine propofìtio . Ad Jfere». W. 49. D»
Orar, UT,
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V
)(S9X' ■ .
mani in fnapnifiche pieghe ondeggiante^ ne adàhta^^
*ca la grandezza y e la maeftà. Il pallio più riJlreU
to de Greci ne Jignificava la lindura s e la pulì*
tezza . Il vejiire alla Perfiana di* AleQandro ne di-
mojìrò la vanità ^ e la leggerezza ii Petrarca
/ <}a un efempio incomincia quel i'uo Sonetto :
Giunto Alejf andrò alla famofa tomba
' Del fiero Achille fofpirando difje .*
O fortunato , che sì chiara tromba
Trovafli^ e chi di te sì alto fcriffe ,
>vXIV.
* Del 'Dialogi/mo, '* ' ' .
• • .*•**.'
I ■ i '
Quefh Figura , che fa dai Greci chia-
tnata > viene in ufo fpccialmente nelle narrazioni ,
e conlllle nell' introdurre quaich’ uno a parlar feco
ftcflb, o con altri , riferendone le vicendevoli inter-
rogazioni c rifpoltc (17) Così 1 ’ Autore ad Fren-
nio: Sapiens p qui omnia reip. eaufa .fufcipienda
■pericula putabit , fxpe ipfe fecum loquitur : Note
mihi foli , fed etiam , atq, adeo multo pótius natus
fum patria : vita , qua fatp debetur , fdlùti patria
potijjimum folvatur » E Cicerone nel I. delle Tu-
fculane : Cum ab amhis rogar etur Diogenes , ubi
vellet ìnhumarì: Projicite me , ìnquit , inhumatum .
Tum amici c Volucribus ne'Ù* ferts P Minime vero ^
inquit t fed bacillum prope me ^ quo abìgam^ poni^
’ te.
/
O7) Sermocinfttro eft, in qua conflitaetur aficurus p«rfona
orano accommodata ad drgnitatem . Ad Heren. Tf'. 4j. Srrmo.
ctnatio eft cum alicui prribnz fermo attnbuitur,& ts esponi.
tur cura, ratione difinitatis. Ad Berta. IK Oe Orat. IH.
»
4
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I
XpoX
te» Qj^ipoterh P illi\ mn enm fenttes ^ Quid Ut-
tur mihi ferurum lantatus obertt nihil fentientt ?
£4 Orazio S9C. 8. lib, li.
Ut Nafidient juvtt te ccena beati?
/. Nam mihi qujtrenti convivami diSlus beri illic
De medio potare die . S ic ut mihi numquam
In vita fuerit melius , Da ^ fi ^rave non efl ,
Qu£ prima iratum ventrem placaverit efca .
In primis Lueanus aper , &c.
Il Boccaccio nelle Tue Novelle ufa di fpeflb il
Dialogifrno , come nella 17. O , dijfe Calandrino ,
cqtefto è buon paefe / Ma dimmi , che fi fa d^
capponi y che cuocctm' coloro P'* KiJpof e Ma/o : man-
ifiunfeli i Da/chi tutti D/JJ'e allora Calandrino t
Jofiivi tu mai ? A cui Mafo : Dì tu , fe io vi fui
mai? Si, vi fon fiato così una volta come milieu
Diffe allora Calandrino : e quante miglia ci ha?
Majo rifpofe : Haccene pià di millanta . ec, E
preuo Dante una vedovella cosi parla all’ Impe-
r?tor Traiano 4 . . *
Signor fammi vendetta
" Del mio figliuol I eh' è , morto , ond' io
um accoro .
Bd ^ l^j f i/pondere : Ora af peata y
Tanto ch'io torni; ed ella. Signor mioy •
Come perfona^ ^ in cui dolor s' affretta y
Se tu mn torni ? ed ei : Chi fia, d<n>' io. .
La tì farà : ed' ella /* altrùi bene
A te che fia y fe il tuo metti in oblio ?
1 ■ ' •
§. XV.
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f
*
X *» X
XV. ■ ; ':.
1
. , ^ HeJP Etqpe/a ,
L’ Etopcia a^vniU così detta dal .Greci non è
altro , che una chiani defcrizioqe deli* ìndole, de-
gli anetti , e di tutte le doti, o di totti i difetti
d’alcuno (i8). SallulHo oelU Tua Storia così de-
ferivo 1’ indole di Catjlinar Htiìc ab 'adoUfeentta
bella intifitna<^ eadis y rapinaci di/eardiacivtlis
grata fatta ^ ibtque fav^n^mem ^uawk taeteutt ....
Aìùmus audax , fukdolas , varius y cujuilìbet rei '
fimulator y ac d^fj^yulatqr y afiem- appetens y fui
prof uf US y ardensrin cupiditatibus .... Vàftus a- •
nimus immoderata y \ncrq4i^i^>a y' ninùs alta fem^ .
per cupiebat . £ ÌPlauto nell^ Aulolaria cosi ci di-
pinge i colìnmi di un j^v^ro :
I
Cave ^uemguarn àlienum in adem mtr(0Ì/erisi
' St qui/piam ignem quarat , exttngui volo , .
l^e c auffa quiaftt , qtiod te quifquam quaritet .*
Tum aquam effugiffe dìcito: fi quis petet
Cultrum y fecurtm , pifiilluìUy mortarìum y "
Qua Menda vdfa femper vicini ro^itant :
^ures venijfe , qtque abJUtltffe dicitq .1
Così anche il Cafa nella Oraz. 2 . per la Itegft
deferive la Tirannia qon una hellilTiina Etqpeja :
Effenda it fuo intendimento di etmandare , di ucci-
dere y di occupare e di rapire > convien che ella
fia amica del ferra , delle fiamme , della violenza >
' e del
Voutio eft Vuin dicuius natura c«rtU delWibtt.Kr fi»
{ •‘rt » snai, fifiutii nbt» , nai«i» fune «ttribiita . Ad
Urtn. If\ 48. De Orat. tll»
I
/
;
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V*
Xgtt
'_e del /angue ,»,%Ella chiama in ajuto gti efer*
' chi dì barbare genti y /’ armate de' Corfalì , la cru-
deltà , la bugìa , il tradimento ^ le erefte , lo fcìf-
~ma, le minacce e lo /pavento ^ Ed il TaflTo nel
ónto II. della Gcrufalemrne :
»
Alete è V un ^ che da principio indegno
Tra le brutture delta plebe' e /orto;
Ma r innalzaro à primi onor del regno
Parlar . facondo , lufinghieto e /corto :
Pieghevoli cqfìumi ^ accorto ingegno
Al finger pronto , all' ingannare accorto : ^
Gran faobro di calunnie , adorne in modi
'Nuovi che /ono accu/e > e pajon lodi . , .
' XVL .
Della Pro/opografia <
Quella figura puè) farli in due maniere , o cori
deferivere la perfona , il pòrtamerifo , e le azioni
d* alcuno, perchè. fe ne capifea in certo modo l’a-
nimo, o perché puramente fe ne venga in cogni-
zione. La prinìa dicefi propriamente
la feconda x^paxTnptofio ^ , e dai Latirii indillinta-
mentc EfiiéiioU 9)» Cicerone nella Oràz. 2 , per la
legge Agraria così deferi ve Rullo; Jam' defignatut
allo vultu , alio vocis /ono, alio incejfu effe me-
ditabatur ; ^veflitu ob/oletiore , • corpore inculto Ù"
horrìdo , capillatìor , quam antea ^ barbaque majo-
re^ ut oculis & a/peElu denunciare vim tribunitiam
. . - • &
00 Efiftio eft CUBI esprùnitar efflneittfr verbit cuiur.
piam /òrma , auod fin» fìb ad iatelligenduBi . di Htrtn, ly.
49> Orau tìL
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^ minharì Retp, videretur , E I Aut. ad Eren-
nio : Hunc dico , judices y rubrum , breve m , incur-<
vum , canum , Jubcrìfpum , ctefium , c/// forte ma-
gna efi in menta cicatti» , &c. Anche Marziale
cosi deferive Zoilo :
Crine ruber , niger ore breyis pede , ' lumìne.
Idtfus ; _ , . ' \
Kem magnam prxjìas Zolle fi bonus ei ,
$ ‘ * - • i',. •
Ed il Taflb nel Canto III. 'deferive Platone :
Rojfeggian W# occhi , e dì veneno infetto ** . ^
, . Come tnfaujta cometa il guatda fplende : -,
GP involve il mente ^ e fu V - ir fmo. petto
Ifpida e folta , la gran barba jeende yf ,\ -
E in guija di,vòraggine profónda * .
' apre la bocca d* atro /angue immonda ,
■a a •
I Poeti, A>ecialmente fi dilettano di deferiyereper
via di queua Figura milla colla Prdb^peja i vi-,
•zj e le virtù .. Cosi troveremo preflb Virgilia, O-,
vidiò, il Taflb, e T Ariofto bellilfime deferizioni
della Fama., della Invidia , ideila Gloria , della Fa-,
ma , cc. , le quali quanto fervano maflTime a diler-.,
tare , lo fa beniflìmo chi da dovero le iotende (ao).
^ A . ' §.XVIL ■'
Ciò) Non fólo leperfone egliairetti, ma tolte l’ altre cote
aoepra fi poffbno deferivere . La dercriaione delle virtà o dei
via} fono una fembianaa fi chiama ùitiXoMvoii». Quella d’
un fatto, p. e. d’ una battaglia , od* ira trionfo *pttyu.»ftyfa- '
Qatila d’un lu(^o rvteypei9 i* . Quella de’ tempi p. e.»
del giorno , della notte , della fiate , del verno, ec. '■
(f/ct, Quilia fioalncflce dfgH aoitnaU T«pi9yi»f/u» • •
, . . §. xvir.
* * *
•Della D'trmmzhne «
lu., . .1
Figura di Diminuzione retrtipet<rtf chiamaii queU
li, per cui fagacemente l^Oracore, cóhofcendo in' *
fc iiefìfo, o ne’ Tuoi- clienti .qualche merito b fìnge
di fÌDiftuirlo, |>ercoè ùonTembri , ehe egli u pafca
di vana olkncazioae (zf). Tale artifìeio lo osb
Ciceróne fui prihciDio della Orazione io favor d’
Archia : Si faid tjt h me hgeàii j fudhèsifuod
fenùoj ijuam fti aaiguum ) } aut fi \qua eterni atto
dfcendi ', in fàa nie, non i^eior , med'mriter effe
wrfatum f àut/tù’c, E nella 2. Filippica contro
di Antonio: ìfdn video, nec invitai nee in gra*
tìa, fte'e in. tebns Mtfìis^ nec in bah mèa fhediecri-
tate ingenii, quid aefptcere poffit Antonius , E V
Autore ad Ererinio .* Ndni hòc prò meo fiire, Jk-
dices , dico, Me labore^ indtdiri a Curale, indi*
feiplinain miliihrertt nòn in pofirémis temterh ; do-
vi! ogntm vede , ché fé avdfe detto tìpUnte tene^
rem; farebbelì giullaibcnte loerirato' la taecùt di
arrecante ^ .
Si fa ancora alle volte quella Figura c(^ raddoi**
ciré certe proporzioni , che fi teme poflano offen-
dere quelli , 1 quali ci afcoltano , nccome fece il
Calè nella pih volte cit. Orazione a Carlo V« I
minori ferimo V, M, { ficcarne io credo ) con mol“
ta fede; ma nondimeno per loro volontà, e tratti
dal-
y » » l.v » j < I . y t _ » » * « 4 f « » ' _r
f à » u . **. ^
OO Cimiitfltio «S 4 . calli «JiqaKI, eCc in oobis MOt.tn ÌÌs ^
quo* defenaimu* nstura. aut. fortuna aut iddaitia dictlSus *•
•regiumv quod oc quO agoifieétat.aiuogaDa.oftOatatio, dc|^
tiuitur 9t actcaiutttr ttacxoat. étU i9, 0§ Oria. uì»
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l
«
' • X 93 X .
dalle loro fperan^ .eie fono del tutto firàtiterì : t - •(
i loro figliuoli e i loro comodi privati non dico d* ‘ '
mano più y ma certo a lorofla pìà di arnsrliy che
quelli di lei . Usò della Dimìnnzìone ancora il
Salvini nella fna Lez. XXXV. Se nulla in quella
io vaglio \ almeno quanto ho potuto y dandomene f
voi frequenti , ed a me grate occafioni , in ejfa mi
fono ii^e^nato , giufla la tenuità mia d* e fer citata
mi . Ed Alb. Lollio in difefa di Furio Crefino c
Quai fieno al prefente i cojlumi , e le azioni mìe ^
ora , che ho paffuto fettantatrè anni , gli uomini
della villa , benché con molto maggior onore , che
io non merito , per la lor finpolare umanità e eor^
tefiuy ve ne fanno ampia feae ^
§. XVIII. '
*’ I
’ ' I
Della Digrejfione .
Quella Figura , la quale coniale propriamente"
neir allontanarli tutto ad un tratto dal noUro pro«
{rafito, interponendo nel difcorFo un altro brevé fert-
timento , lì forma in due maniere . Perocché o quei
fenfo , che s’ interpone è un breve concetto , che
ferve fole a fpiegar meglio una cofa , ed a correg>
gere in certo modo quello., che abbiamo alTerito ,
ed allora i Greci chiamano tal lìgora v*ptr9iratf , e^
i Latini Declinatio: o s* interrompe il diicoriò per
raccontare' qualche fatto o per deferivere qualche
sofà , la quale cada a propolito , benché non ap-
Mrtenga propriamente alla nollra e:(ufa ed allora
MI Greci tal figura .dicefi évetKÀayif y c dai Latini
Diàreffiò (iz) • Gli efempj addotti di iopra nella
j Fì-
— M I I ■■ ■■.!»> iii.M ... -*<11.
I
non loBgi tltàrélRo, iif
Ho, tM>eèd4ipiÉ ii md ft cònetàiiM én d
«Dit
De-
/
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Figura di Diminuzione 'fi poflTono riferire anche a
fuetto primo genere di Digreffione. Del fecondo
poi fe ne trovano molti efempj maffime preffo i
poeti , e fpecialmente in Orazio ; e Tullio ftelìb fe
ne fervi nella’Orazione a favor di Marcello, dove''
dopo d’ aver ringraziato Cefareper la relUtuzione
dell’ amico palTa a parlare dei lofpetti , che nati
gli erano in cuore , d’ aver predo a finire i giorni
fuoi : Nmc venia ad gravi (firn am querelam & atro^
cijfintam Jiifpicionèm tuam , quce non libi ipft , &c,
ARTICOLO ir.
•‘ Ti «‘'LtV't . c. ' I
^ i * . •
'Delle Figure di 'Concetto atte a commo-'
• ' vere (i). •
• •
§. r. .
: - Velli Interrog azione .
T* ’ •
J—i* INTERROGAZIONE detta dai Greci ipolrHfin lì
fa non già quando dimandiamo da^alcuno per fape-
re cofa ignota , o dubbia , ma quando con una enu-
merazione di cofc dringiamo , ed incalziamo l’av-
. .ver-
Declinario brevis a proposto, non ut Tuper^or Dicreflio. De
Orat. Ili, Sluint. IX.' 3. ^
. Ci) Noi trattiamo degli affetti Tolo in quanto quelli eccitanff
«ol «earo delle Figure: imperocché il dimoftianie le vario
loro fedi ^ ed il modo di naneegiarii a dovere appartiene al
I >erfetto Rettorico , effirndo quefta quella parte . in cui cnnfìffe
a Tomma lode deli* Oratore , Cccome afferma Tullio : Infte~
Aendo vis ornnis Orateris e/i, Orat. ad Brut. dp. Si ajfeque.
talis videatufy quatem fe videri voiet f ^ anitnos ita
affi fiat , ut quocumque veiit vel tr abete . vel rapere pejfit z
nikil profeto prapetea ad dittndwn requiret , De Orat, II,
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X 97 X
verfario in maniera eòe reHa in certo modo aSbat-
tuto e convinto (2) Così fece Tullio nella f. con-
tro Catilma tandem abutere , Caùlìnay
pat entta npjìra ? mhd ne te noaurnum pr^idmm
palatn : mhd urbts vlsìli^ : n,hU timor poptT:
nthil confenjus bmorum omnium: nihil hiq muni-
tijfimus habendt fmatus locus ; nihil horum ora vul-
tufque mo-oerunt? td a favor di Ligario : Qidd
emm tuus die. Tubero, dijiriaus inaciePì^rfa-
lua gladtiis agebat ? cujus latus mucro il le pite-
bat . qut fenfus erat armorum tuorum P qua tua
quid cupiebas P quid
eptaba,? E Didone nel IV. della incide predo
Vjrgjlio così parla ad Enea; ^
pÉ'”!!!r P"fiàe, tmium
^Ue nefas} tacnufym mea decedere terrai
dam^^^ quon-
Nec moritura tenet crudeli funere Didoì
r Interrogazione anche il Cavalcanti
Ha et fiorentina : Chi
pa, che alle lor voct chtuda le orecchie ì Chi vorrà
^ ^anno incredibile
dlL ri concordia} Non gufiate voi la
r^tud^nliirT^- ^.^on /entftevoi P ama-
ritudwe del abominevole odio ì Non Sapete quanto
ciéìcoJcrdTa,
C quanto afprt e gravi t danni della di/cordia ? Ed
Il Salvim nella Orax. VX. Staremo dJqZZi fem-
fed h*cVu* ™*m*'enume^ 8'’avis eli , ncque concinna,
vcrfatioruni confirmai’ Tu > *1“® obfunt caufas ad-
jó. De O^uHI " * i«P«noreni orationem . AdHtrtn. ll\
Gmi. Etm. T, X, Q
Dic,,-i-: by- -
X 98 )(
trt U amenità, infiori, in delizie di portare gen^
idei Profumi, unguenti, pf e faranno
gomentìì talché la nojìra immort al favella To/ca^
na fia folamente , come propria di vezzi , di leggia-
. drìe riputata, e a fol levitare di delicate orec^ d
prurito piacevolmente condannai oÀ^fan s impugne^
mai dunque libero fide i NonWciràmaiificam^
po, non in abbigliamenti digala, ^ \
Wde armi fornita la nqflra Eloquenza ì Qpf*
gura pob Servire a var; affetti ; imperocché non
folo «lova a convincere , quale fi è quell interro-
gazionrdi Menalca pvM Virgilio tgl. 3.
JVo» ego te vidi Damonh , pejfime y caprum
Excipere injidiis multum latrante Eyctfca ?
Ma ferve ancora allo fdegno , come nel I. della
Eneide :
quifquam Numen Junonts odor et
'Pràterea, aut fupplex aris impanai hanoremì
Alla compaffione , come suell’ altra dello fteffo
Virgilio :
Quid meus JEneas in te commtttere tantum^
Quid Troes potuereì quibus tota pinerapam
CunHus ob itjiHam terrarum clauditur orPis.
A dinotar meraviglia :
^Tanta ne animh cxlejiibus ir'afì
Quid non mortalia pe^hra cogis
Auri /aera fames ?
' E talvolta dinota vero dubbio p. c.
En quid agam ì tur/uf ne procos irri/a pnores
Experiar ? Numidumque petam connuùia jup-
Iliaéas igitur claffes otque ultima Teucrum
■JuBd/equarl ^
\
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X 99 X
§. IL
Ùel Sof^funglmentOé.
I Grwì chiamano 4i^t/9mpQp4 quella Figura, chtf
dai Latini fu dmsk Suò/eato, c fi fa quando alla
Kirerrogazionc foggmngiamo noi medcfimi li rifpo-.
lta(i), /ìccome fece Tullio nella cit. Oraz. con.
tro Catilina : Quid tandem impedii te ? mos ne ma-
forum ì At perjape etiam privati in hac Kep, per-
mctofos ctves morte muhavunt . An leges qua de
K. ivtum Romanorum fupplicio rogata funt ? At num-
quam m hac urbe u qui a Rep, defecerùnt civium
fura tenuerunt , Ed a favor della Legge Manilla :
ìdutd tam novum y qUam adolefcentulum privatum
exercftum difficili reipub, tempore corfficereì Confe-
Cit : huic ^deffeì ^afuit : rem opttme du^u fuo
éorereì geffit . Ed Orazio liLl. i.
Petvet avaritia , miferaque cupidine peSus ?
Sunt veria & voces , quibus hunc lenire do-
lorem
Poffisy & magham morbi depomrt pattern ^
Laudis amore eumesì Sunt certa piaeu/ay qua te
ter pure Uno poterum recreare libello . '
Cos) ancbe_ Alb. loWe Onz. a Paolo IH. F U
iiummta da toniti travàgli tpprejfaì la guittere-
te:trwafi dalC ambt^ofa fuperka ^ e g are de'Prin»
api fieramente percoffa ed afflitta ì la ricreerete :
- G a fo-
Jnterrogannu adveffarlo» a«t qu»-
tet aut nSl ®p®^»** * quod non opor.
j
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X 100 X
fono t miferi popoli per le continue ef azioni , e gra-
vezze confumati ^ e disfatti} li rijior crete: fenteft
la maejlà delT Impero indegnamente offefa ì la ven-
dicherete : hanno i malìziyt uomini co* loro capricci
la verità delle fcritture offufcata ì la illuminerete .
E Claudio Tolomei contro Leone fecretario : C^e
dici tu, Leone } £* (juejìo vero , che tu abbi divol-
gati i fecretì mifleri della virtù o noi Non rifpon-
de y perché negar noi puh y confejfar noi vorrebbe»
Certo debbe ejfer vero . Ed il Petrarca :
Che parlo i O dove fono} E chi mi* inganna}
Affri , ch'io jìejfo , e V deftar foverchio .
' §. iir.
4
Della Efclamazione .
Coll un improvvifo interrom'pimento del difcorfo ^ •
o con un’ alzata di voce molte volte noi elprimia- • •
mo un'pili ^.agliardo affetto dell’ animo, e la gra-
vezza ed atrocità di qualche cofa ; c (quella chia-
mafi fisura d’ Efclamazione, che dai Greci fu det-
ta ix^drnatf (4)’, Cicerone p. e. nella 7. contro
Verre dopo d’aver raccontato un di lui atroce,
e crudele misfatto, pieno di fdegno prorompe a
dire : O magnum , atque intolerandum dolorem } O
g 'ravem acerbamque fortunam ! Non vitam liberum^
fed mortis celeritatem redimere cogebatur . E con-
tro diCatilina: O tempora y 0 mores !»., prò Dii
ìmmortales ubinam gentiurn fumus y quam remp.
habemus , in qua urbe ‘liivimus ! ed in favor di Li- j
ga- 1
CO Exciamatio ef} , quaeconficit fignificationcindoloris, aut
{ndignationis alicuius per homttiig . aut nrbis, aut loci, auc
cpjufpiam compcllationea . Ad Utrtn, If^, 15. De Orat» UT,
Digiiized by Guu^le
X «01 X
garlo avendo prima commendato la generolltà di
Cefare , eiclama : O dernenttam admirabilem , atqiiÉ
Omni laude ipradicatione^ literisy monumenti f gue de-
cor andam ! Così pure Anchife nel f V. della Enei-
de dopo d’ aver riprefo Enea con quelle parole :
'tu nunc Carthagìnis alta
Fund amenta locas\ pulcramque Uxortus urbem
Extruis , fclama : fieu regni , rerumque oblile
tttarum /
altrimenti jl Boccaccio dopo d’aver raccontato
della fua patria nella Deicrizione della
• P^iienza j eiclama r o quanti gran palagi rtmaje-
ro, vuoti y 4) quante memorabili J chiatte fi videro fen-
,za fucceffer rimanere ' Èà Alb. Lollio nella Oraz^
m difefa di M. Orazio : Non poffo , non poffo ,
Romani , ritener^ lo impeto delle lagrime , che mi
abbondano^ avvegnaché Orazào con le lagrime non
^tioglta e\jer dife/o • O forte ed invi tdjfimo campio-
ne y jìdoy e '/aldo foflegne, della gloria Romana ! O
/opra ogm^ altro rnagnanimo, e vai orafo cavaliere !
O vero efempio di piet^ e di virtù! eCé H Dante
cant^ II. del Purgatorio:
. P ombre vane fuor che neW afpetto! '
Ed il Petrarca cap.ll. Triónfo della Morte:
O umane Speranze , e cieche y e falfe !
Dalli efemoi fin qui addotti ben fi vede, che T E-
fdamazione può.feryire non folo al dolore , ma
anche alla meraviglia, allo fdegno, alla qompaC*
none, alla gio;a , al defiderio , e a dinotare qua-
lunque altro afietto deli’ animo nofiro .
' X" IÒ2 X
. IV,
Della Apojìrofe ,
L* Apoftrofe òffoaTpopi così detta dai Greci è
una figura belIi/Tima, ed al focniDo efficace. Sì fa
poi allora Quando tutto ad un tratto da quello eoa
cui , o verfo cui parlavafi fi rivolge il ctifcorTo ad
altra cofa o perfona prefente oppur anche abfen-
te (5). Tale fi è quella di Tullio nell’ Orazione
fatta a favor di Milone : vos appello
mi viri , multum prò rep, faneuìnem effadifits ,
Vos in viri Ù" civis inviBi appello periculo\ Cen*
turtones , vo/gfte milites , , . vos enim jam Albani
tumuli y iftque luci ^ vosj htquam y infioro atque
ùbtefior , vofque Albanorum obruta ara /acrorum
F.Rom, foci, e tV aquahs , E fui fine della i. Ca-
tilinaria : Tum tu Juppttety qui iifdem y quibus
hxc urbs aufpiciis a Romulo es conjiitutusy dVe, An-
che Enea nel I. della Eneide con una Aj^firofe fi
vols.e a parlare a* compagni defunti in Troja .*
0 terque , quaterque beati ,
Queis antf ora patruqij Troja fub momib. altì$
Cmtigit oppetert y q Danaum jortijfime gentis
1 yd'tae ,
£ Didone nel W, così parla alla Sorella ;
Tu lactymis evfHa meisy tu prima furentem
His germana rnalis oneraSy atque objicis hojìi ,
Cosi anche il Cafa nella Tua orazione a Carlo V,
O
Cs) Se noi ci volgiamo a perrona abfentef o ft cofa inani-
mata, allora l^Apolirofe è mifla colla Profopopeìa , percbè
fi fapponC} ebe oda chi aoo i in iftato 4’afcoiuici«
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X 103 X
ò glorUfey 0 btn nate y e bene avuenturof e anime y
che nella pericolùfay ed afpra guerra della Magna
feguìjìe il Duca y e di /uamiltzia fojìe ,, , vedete
vot ora in che dolente Jlato il vojlro Signore è po- ^
Jìo. Ed Alb. LoIIio in morte di Ferrino; O ami- *
chjay donoy e grazia veramente dì Dio 1 Tu fola
con la venerabil tua prefenza ogni azione umana
condifei y e fai perfetta ! fenza il tuo nome tutte le
nofìre operaziont infaujìey infelici y imperfettiffime
fi ritrovano. Ed il Salvini nella Oraz. Vili, in
lode del Redi : Giovani voiy che dal dolce defio^
di gloria fpronatiy abbandonando genero/ amente li
f puffi y ed i dilettofi invitti di vofir a f refe a età non
afcolt andò all' erto y e faticofo^ poggio della virtà
v^ incamminate y dite y chi vi fece dare i primi
chi vi di è manoy chi vi guidò y chi vt feor^
fey chi vi confortò nel gran viaggio fe non il Re-
di , Ed il Petrarca nel cap. I. del Trionfo della
Fama fi volge alle Mufe, dicendo:
O Polìmnìa ora prego , che m' aiti ,
* E tu Minerva ^l mìo Jlile accompagni ,
£d altrove :
Valle che de' lamenti miei fei piena :
Fiume y che fpefo del mio pianger crefei:
Fiere filvejìrì y vaghi augelli y e pffoiy
Che /* una e V altra verde riva tffrena > re.
Della Frofopopeja ,
Allorché nel nofira parlare introdaciatno alcuna
* perfona abfente , morta , o ancora qualche cofa
inanimata a fare .ciò che proprio è foltanto di chi
vive ed è prefente, o di chi per lo meno è uch
mo , quella chiamafi dai Greci nrpoavimnM , e dai
G 4
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- XlC4X •
Latini Conformatìo (6) . Cicerone p. e. tella pri-
ma contro di Catiiina così fa parlar Roma : Nul-
lum jam tot annos factnus extìtit , nifi per te t
, nullum flagitium fine- te : tibi uni multorum civium
t' neces: tibi p^c, E contro di Verre introduce a
parlar la Sicilia : Q^od auri fuit , quod argenti ^
quod ornamentorum in meis urbìbus , fedibus , We-
lubris fuit ^ id mihi'tu eripuifii atque abfiuìijii ,
Mirabile ed elegantiflìma è quella Profopopeja ,
con cui Lucano nel lib. L della fua Farfaglia ci
defcrive la Città di Roma come una dolente Re-
gina , e poi r introduce a parlare :
Ingens vifa duci patria trepidanti^ imago
Clara per obfcuram , vultu mocfiiffima noìlem ‘
Turrigero canos effundens vertice crineSy
Caf arie lacera nudifque adjìare lacertis ^
Et gemi tu permixta loqid : quo tóndi tis ultfa^
Quo fertis mea figna' viri ?
Anche il Cafa fi fervi d’una tal figura nella cit.
Oraz. a Carlo V. f^uefla terra , S, M , , e quejìi li-
di parca ^ che ave fiero vaghezza ^ e defiderio di far-
viji allo'ncfintro ed il vojìro travagliato e com-
battuto navilio /occorrere^ e nè' lof feni e né* lor
‘ porti abbracciarlo . E poco dopo : ecco i vofiri fol-
dati, S.Mr, e la nqftra forti (fima miltzja fin dal
Cielo vi mojira le piaghe, che ella per' Voi rice-
vette : e vi prega ora , che V voflro grave fdegrut
s' ammoUifca , Ed il Salviati Orazione in morte
dei Cardinale d’ Efie : Mi par quafi udirlo parlar
te-
CO Conforraatia eli, cum afiqua , <jua noti adefl, perfora
con6ngitur, qnafi adfit , aat cam res muta aut informis fit lo-
queosy & forma ei , &oratio attribuitur ad dignitatem accom-
nrodaca, aut aftio ^uaedam , Miun, 55, Dt Orat. Uh
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X 105 )C ■
tico di quejìo tenore: Sire y non pià angofce y non
pià querele : la mia morte e ciò che è avvenuto di
è Jlato per lo migliore .
, A querta Figura pur fi riducono i feguenti modi
di dire ufati da Tullio nella Oraz. a favor di Mi- ‘
Ione : quis ejl , qui quoquo modo quis interfeBus
fit y puniendum putet , cum videat , aliquando già-
dium mbis ad occidendum hominem ab ipjts porri- \
gi legìbus . . Silent enim leges inter arma , nec
je expeSari jubeni . Ed i feguenti di Virgilio :
. Atque indignatum magnis'Jlridoribus aquor ,
Mtraiurque novas frondes Ù" non fu a’ poma .
♦
Siccome anche que’ del Petrarca :
Amor y che nel penfier mio vive , e regna ,
E ’/ fuo feggio maggior nel mio cor tiene y
T alor armato nella fronte viene ,
Ivi fi loca , ed ivi pon fua infegna .
§: vL , ■
Della Ipotipofi,
Mon v’ha forfè, altra Figura pih difficile e nello
ftelTo tempo più utile per piegar l’animo altrui,
' quanto quefia , che dai Greci vien detta òìtotÌvoìois ,
è dai Latini Demonjìratio . Si fa poi quando così al
vivo fi defcrive alcun avvenimento, o anche alcuna
perfona,- che non fembra già di udire, ma di veder
co’ propri occhi quello che vien raccontato (7) .
L’ Au-
. ' I » • *
C?ò Dfmondratio eft , cum ita rea verbis exprimitDr y aC
peri neRocium & res ante oculoe ette videatur . jfd Hertn.
. Qj*inx, IX, %.
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X io<5 X
V Astore ad Erennio così defcrlve il fatto della
morte di C, Gracco; IJle tnterea fcelert , & ma-
Ih cogitationibus redumanSy eyolat ex tempio Jo-,
visy & 'JudanSy oculh ardentjbus y ere^o captilo y
contorta toga ^ cum pluùbus alits ire celerius ccepit .
Cum Gracchus deos inciperet precari , curftm ijii
impetum faciunt : ex alits alttfque jpartibus convo-
lant : atque e populo unui : fitgey tnquit y Tiberii
: non vi desi refpiccy inquam , Deinde vaga
multitudo y fubito timore perterrita , fugere capii .
At ijie Spumane ex ore Jcelus , anhelans ex intimo
péSlore crudelttatem ^ contqrquet brachium ; & du-
bitanti Gracchoy qutd eQ et y ncque tamen locum ^
in quo conjliterat , relinquenti , percutit tempus ,
llle nullam vocem edens inftta vtrtute concidtt ta-
ci tus. £ Cicerone con elefante Ipotipofi dei'crive
la crudeltà di Verrc: Ip/e inflammatus federe &
furore in forum venie, ^rdebant acuti f tota ex ore
crudeittas emicabat , ExpeBabant omnes quo tan-
dem progreff^urus , aut quidnam afìurus efjet , cum
repente hominem corripi , atque in foro medio nu-
dar i ac ddigari , Ó* virgas exùedtri Jubet . Cla-
mai ille mijer , fe civem effe Romanumi9), Bel-
Jiflìme Ipotipo/i s’ incontrano preffo Virgilio, qua-
le fi è p, e. quella del ìib. IV\ della Eneide ;
j^t trepida , ^ ceeptis immanibus tffera Dtdo
Sangutneam volvens aciemy maculi f que' tre-
mentes
Interfufa genas , tT pallida morte futura y
Con-
. • ■,
CO Quefta Ipotipofi di Cicerone viene rìpntt^^Btporepgia,
Mie da Quiatiliaoo e da A. Gellio N. Attù, IC |. dove fa,
cendone contrappofto coo an fimil facto raccootito da Gracco
«ella (aa Oracioae dt tég- promut. ia qa«ao modo ; palus de,
.Jhius $a in foro ; «ofM addn^us Jma eivitatit nobUifflmus
kow H- Merius , veftinunta durala funt , virgU eejut ,
di-
X *07 X
Confcendit furìbunda rogos enfmqui recìudU
Atque graves oculos^ conata attollere rurfus
Deficit , irfixum firidet fttò pecore vulnus .
Ter fe fe attoìlens ^ cubitorjue innixa levavi t y
Ter revoluta toro ejl y oculifque erranti bus alto
Qjftefivit calo lucem , ingemuitque reperto .
E quell* altra dePLib. Vili, dove defcrive i Ci-
clopi :
f * Ter rum exercebant vaflo Cyclopes in antro
^rontefque y Steropefquè y & nudus membra
^ Pyracmon
Alti ventofis follibus auras
Aecipiunt , redduntyue : Élii Jiridentia tmgunt
JEra^ lacu ; gemit tmpofitis tncudihus antrum .
UH inter fefe multa vi brachi a tollunt
In numerum , verfantque tenaci forcipe maffam .
II Cafa nella cit. Orazione per la Lega usb del-
la Ipodpolì defcrivendo lotto lembianza di una fie-
ra r Alemagna , cosi : Egli agio avrà di dimejìi-
care , e render manfueta , e quieta r Alemagna , la
quale ora , come generofa fiera e non avvezza alle
catene , mugghia forte y e fi dibatte , e di roderle ,
e di fyex.zarley e la fua libertà riprendere fi sfor-
za . Ed il Tallo nel Canto IV. della fua^Geru-
faletnme così ci dipinge il Re degli abilTi per via '
d’ una elegante Ipotipofi f
Orrida maeflà nel fiero afpetto
Terrore accrefccy e pià fbperbo il rende:
Roffeggian gli occhi y e dt veneno infetto
Co-
lica ! Mac fola ytfha mediai fidius nudati , ac diligati , ^
virgat tM fiditi jabety tanti mttas ^ tmorifjM fuat , «f W9
narrari, fei rem p/eri potitts videat»
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• X io8 X
Come irìfaujìa Cometa il guardo fplenàe i
Gl' involve il mento ^ e fu V irfutQ petto
Ifpida e folta la gran barba fcende ;
È in guifa di vor aggine profonda
y apre la bocca di* atro /angue immoì^ ^
• , . §. VIL^
, Ùella Obfecrazionè .
Si fa quella figura, quando imploriamo 1’ ajufo^
la fede, e la giufiizia di quafch’unoy o c^fef-
fando il noftro delitto, e chiedendone • perdio ,
ovvero amplificando le noftre miferie jjcr ottene-
re pietà. Nel' primo ffiodo dai Latini fu detta
Deprecatìo ig) i e dai Greci opta’Koyia^ nel fecondo
da quelli Canquefiio {i6) , e da qudti S'iirffic. Ec-
co, come ne ufa Cicerone nella .orazione a favor ^
di Ligario :. Ego ad, parentem loquor » Erravi y
temere feci , poenitet , ad clementiani tuam confiti
gio , delibi veni am petOy. ut ignofcas oro », * mo- j
veant te horum lacrymx , moveat 'pietas , moveat 1
germanitas y valeat tua vox illa qujt vicit , Ed in
quella per il Re De;otaro : Hoc nos primum me-
tu C, Cafar per fidem conjìantiam , & eie-
mentiam tuam libera j ne refidere in te ullam par-
tem iracundia fufpicemur . Per dexteram te’ ijìam
oro quarn regi Dejotaro hofpes hofpiti porrexijìi :
ijlam , inquam , dexteram non tam in bel li s Ó" ift
(9) Deprecatto elt, coiti & peccafTe, & confulto reua
ranfirptur , & tamen poftular, ut fui mifereatur. Ad Htren.
ì. 14. Dt Orat. Iti.
Conqueflio eft orario, quae inconinodoram amplifica,
ticme aoimutn auditoris ad ipire'ricordiaiii perducit. Ad He-
rta. III. 13, Oe Orar. UT.
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)C 109 X
pralits , quam in promijfis & fide firrtiiorem . E
preflb Virgilio nel lib. III. della Eneide Acfaemc-'^
nide così fupplica Enea : ' ' '
. per fiderà teJìor\
Per fuperos y atque hoc cali /pira bile lumen
T olVtte meT eucrj , quafcumque abduàte ter ras ,
Hoc fai erti . Scio me Danats e ciaffibUs ùnum
Et bello Iliacos fateor petiìfie penapes
E nel VI. Palinnro.
%•
Quod te per tjeli jucunàum lumen’ & auras
Per genitòreni oro ^ per fpem ' /urgenti s luliy
..Eripe me inviae y mahs ^ . . • . ,
Da dextram mi fero , & tecum rne folle per
undas , . . •
\ * / .
Anche il Cafa per. movere a ..pietà Carlo V. Im-
peratore verfo il Principe Ino nipote nnifee una e-
legante Profopopeja alla Obfecrazione dicendo :
Quelli le tenere braccia ed innocenti difende verfo
V, M‘ timido , lagrimofo , t colla lingua ancora non
ferma y mercè le chiede i perciocché le prime novel-
le y che il fuo puerile animo ha potuto per le orec-
chie^ ricevere fonò fiate morte y e J angue , ed eftlio y
ed i primi vefiimenti , co' quali egli ha dopo le fa-
fee ricopertole fue pìcciole membra fono fiati bru~-
ni e di' duolo ; e le fejìe , e le carezze, che egli ha
primieramente dalla fconfolata Madre ricevute f&no
fiate lagrime e finghiòzzi , e pi et ofo pianto e dirèt-
to , Ed Alb. Lollio in morte del Ferrino: Ma io
ti prego. Signore y per quella immenfa inefiimàbìle
carità, con la quale tu' abbracci , ed ami tutta la^
generazione degli uomini , per quella dico , che ti
fece f tendere dal Cielo, in terra , a piglìflf le fpo'
glie della nofira fragilità , che ti fe'^ancòra patir
fame , fete , caldo, freddo , fatiche ,' f udori , villa-
nie aif pregi y battiture, flagelli ^ e thè final-
' men-
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% tta )(■ '
mente fuW'altOy e duro le^no della Cróce s) afpra^
e così obbrobrtoja morte t$ fe' /offrire y per ^uel-
la , per quella Signor mio^ ti prego y ti /upplicOf
e ti /congiuro ,• non rnirare alla moltitudine » nk
alla bruttezza dei miei peccati ^ li quali /ono orri^
bili ed infiniti» Vagliami vagliami ^ Signore y la
virtà incomparabile di quel tuo preziofijjimo San^
gue , che con sì ardente zelo ver/afii fuW altare
della nojlra redenzione , per liberarci dalla tiran-
nide eterna. Ed Armida così fcongiura la elenien>‘
za di Goffredo prcfTo il Taflb
Per quejìi piedi y onde i /uperbi e gli empj
. Calchi: per quejìa man^ che il diritto aita;
Per r alme tue vittorie ; e per que^ tempj
Sacri y cui dejìi y e cui dar cerchi aita y
Il mio de/tr tu y che puoi /oloy adempiy ec.
§. Viri.
Ùella Imprecazione ^
a
La Imprecazione detta dai Greci fi
cnando , accefo di giudo fdegno , l’ Oratore o i»
Poeta cmatoa mt cadigo contro
altrui
anche
fopra fe fteflb , ficcome fece Cicerone parlando a
favor del Re Dejotaro : Dii te perdant y fugitive»
Ita non modo nequam Ó* improbus y /ed etiam fa-
tuus p‘ amene es , E contro Pilone: Ut tu nau-
fragio expul/tts u/piam /axis fixus a/peris , evH
/eeratus latere^ penderes , /axa /pargens tabo v /a“
niey & /anguine atro , E Priamo nel II. della E-
«dde fa quella imprecazione contro di Pirro ;
At tibi prò /celere ^ exclamat y prò talibus auji$
Si qua eft c^lo ptetas y qua talia curet y
Fèr/olyant grates dignas pramia reddant »
Va
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X HI X
£ Ditone oel IV. contro fé fleOà ;
Sed mìhi vel tellus , ùptem ^prtus ima deUfcat,
Veì Pater Omnìpotens aàt^at me fulmine ad
umbras i
£ dopo contro di Enea :
Littcra littcrióus contraria , fiuBibus undas
Imprecar « arma armis jpugnent ipfique nepotes •
Anche Alb. Loilio nella orazione in difefa di Fo-
no Crefina ufa di quella ^figura ; In tejimonio dell*
integrità ed innocenza mìa y io chiamo la fede e la
f 'iujtìzia degl* Iddìi immortali , e divotijfim amente
i priego , fìe io f^pi mai ^ nè fo fare inamti^ o
malìe di neffuna Jorta , che f opra dì me viJUtìi*
mente mandino il fuoco dal Cielo -t dal quale alla
prefenxM vojìra io fia fubìto ejìinto • E Dante Can-
to VI. Del Purgat,
Giuflo giudìcìo dalle flelle caggìa
Sorvra V tuo f angue , e fta nuovo ed aperto ,
Tal che*l tuo Juceejfor 'temenza ri aggi a*
Ed il Petr.
Fiamma dal Ciel fu le tue treccie piova ,
Malvagia donna ^ ec,
§. IX.
Della Correzione*
La Correzione, che i Greci chiamano hophaetc
è nna Figura piena d’artificio, e lì fa quando a bel-
la polla fi proferifce uiia parola o «n Icntimento»
che poi fi ritratta , follituendone un altro pib ac-
concio, acciocché fcriamcnte l’uditore a quello ri-
flettcuao, lo confidai, e gli s’ imprima nell* ani-
mo
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Xn2)C
mo (il). Così Tullio nella orazione a favor di Ce-
lio dille : O Jiultìtiam ! Jìulttttam ne dìcam y an de-
menttam fingularem ? e nella Filippica XIV. Num-
quam entm in civili bello fupplicatio decreta ejl .
Decretam dico ? ne viéìoris quidem literis pojìu-
lata, E Terenzio nella Tua Commedia intitolata
Heautontimorumenos fa che un vecchio così parli :
. Fiitum unicum adolefcentulum
Habeo . Ahi quid dixi habere me? Imo ha-
bui y Chrème y
Nunc habeam nec ne , incertum ejì .
Ed Alb. Lollio nella Oraz. a Paolo HI. Non fa
egli forfè , o non fi ricorda , voi efier Crijliano ? '
Crijiiano ? Anzi Religio foy e fommo Sacerdote •
Religiofò ? Anzi minifìro della Cattolica Fede ,
Minijìro ? Anzi pur capo e Principe della Chiefa
di Dio . Ed il Petrarca in lode di M. V.
» •
Vergine faggi a , e del bel numer una
Delle beate Vergini prudenti ;
Anzi la prima y e con più chiara lampa .
E nel Sonetto ; •
Paffa la nave mia ec, ■
Siede il Signore y anzi il nemico mio ,
Alle volte fi fa la correzione di un intero fenti-
mento > ficcome fece /Tullio contro di Catilina :
Quamquam quid loquor y te ut ulla res frangat : tu
ut umquam te cqrrigas : tu ut ull am fug am medite-
rò : tu ut ullum extlium cogitesì Utinam tibi ijlam
mentem Dìi ìmmortales donar ent ! e per la Legge
Ma-
è
Cil^ Corredilo ed quz tolli't id , quod di£lutn ed , & prò
*o id quod tnagis idoneum vtdetur , reponit , Ad Htrtn. ir.
ad, Dt Orar, 111, , . t ,
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V '
X 113 X
Manilla : Sed quid hac longtnqua eommemùvo ^ fuit
hoc quondam , fuit proprium F, R. long e a domo .
òellarefO'c, E così anche Virgilio nella IV. dclr
la Eneide : ' ,
» I
Ferte chi flamrnas , date velày impelihe re-
mas .
Quid_ loquor ? aut> ubi funi ? qua mentem in-
fanta mutai ?
Ed il Cafa nella Orarione 2. per la Lega : Ma
perchè vado io li fegni e gF indizj dèi nofiro ti-
more raccogliendo y e raccontando , come Je la va-
Jlra paura foffe dubbia , ed occulta ? Non confef-
ftamo noi d' ejfere. avviliti , ed impauriti in quello
che noi facciamo dì prefente? Ed il Petrarca cap.
Il, Trionfo della Morte:
Mifer chi fpeme in cofa mortai pone
{ Ma chi non ve la pone ì ) e F ei fi trova
Alla fine ingannato è ben ragione.
§. X.
Della S ofpenfionè ,
. r
E* quella una Figura, per cui con un lungo di-
fcorfo teniamo fofpefì gli animi degli uditori , pro-
mettendo loro di manifeftar cofa intereflante; e fi-
nalmente poi^ diciaro quello che da loro meno fi
afpettaya . I Greci chiamano quella Figura •n-etpcii'i-
^oy. Cicerone volendo , che il delitto di C. Ver-
re folle confiderato dai giudici , e che appariflTc lo-
ro veramente grave , fi fervi della Sofpenfione in
quello modo : Quid deinde y quid cenfetisì furtum
fortafe aut pradam expe6ìatts aliquam ? Nolite
ufquequaque^ eadem quarere , . , Etiam num mihì
expeUare vi demini . fudìces , quid deinde fafium
Ciard, Elem, T. I, H fit ...
..cium
fit •••
Dl>,’ byCoQgie
X 1*4 X
fit , , , Expe^ate facìms quam yuUts mprobum /
vifìcam tamen expe^atìonem omnium. Hommesfce-
lerts . conìurat toni fque danmatt ^ad fuppitctum tra-
diti' ad palum allibati E lepidamente cosi
fcherzò Marziale in un fuo Epigramma:
Quod convivati s fine me tam fxpey Luperce
Jnveni . noceam qua ratione ubi .
Ira fcat* licet ufque voces y mtttafquey rogefque ;
^uid facies ) ìnquis. Quid faaamì ventam,
BelIilTima fi è la feguente Sofpenfione fatta da Alb.
Lollio neU’efordio della fua orazione m morte dei
Ferrino : Quello elevato Spirito » quel perfpicace
ingegno y quel giovane tanto^ vìrtuofo , ornato dt sì
acconce maniere y e pieno dt coftumt candidtyim/ y
quello dico y che mi era in amor fratello , net con-
TiPli padre y e nella conformità del volere ajutOy e
compagno gratifimcy quello in fomma , che r=on la
umanità y la modefiia y la manfuetudtne y l^ affabi-
lità y la gentilezza y e la còrtefia fua rapiva dol-
cemente il cuore dt tutu gli uomini y fuor d ogni
mia afpettazione nel più bel fiore degli anni fuoty
quando ei Sperava di Soffre al maggior grado . e
mentre, eh' egli era per coglier qualche frutto del-
le onorate /«tf fatiche , in un giorno, in un ora .
in un momento è morto. Si pofìTono ye<kre g i
altri efempi de* poeti Italiani prelTo
Sonetto , Pommi twe^ V Sol , e predo il Cafa
quello, che incomincia, La bella tareca, ec.
XL
Della Preterizione •
Li
pilbre
Preterizione fi b , quzndp fingia®<> <1!
B folto filenzio, o di non fapcre, o
7 ♦
, . - byCi.ogl
* X ri5 K
gnare di dir quello appunto, che allora manifeliia^
jno (i2>. Qucfta è una Figura, che richiede molta
, deftrezza c fagacità, perchè ferve a palefar quelle
cofe, che torna bene, che non fi dicano; a tron-
car quelle che farebbero troppo lunghe; a render
meno {piacevoli le cofe vili e bafie ; a fare in fom-
ma . che in verun conto riprender non fi polla
quello, che detto altrimenti forfè degno farebbe di
riprcnuone (15). I Greci divifero quella Figura in
due parti * Quando fingefi di tacere quello che fi
dica^*la chiamarono ìtecpetkv 4 ‘tf ’• quando poi fde-
S nofamente fi ributta alcuna cofa , come indegna
a dirfi , là chiamarono' . Del primo ge^*
nere fi è la feguente di Tullio per la legge Mani-
iia •. Itaque non fum pradicaturus ^ Quirites^ quan-
tas ille res domi , mtlttixque terra , marique , quan~
taque felicitate gcjjftrit ; ut ejus femper voluntatihus
non moda^ cives ajjenfertnt , focii obtemperarint , ho^
Jìes obedìerint / fed etiam venti , tempeflatefque ob-
fecundarint : hoc brevijjime dicam * E quella contro
Vatinio : Illud tenebncqfiffimum tempus ineuntis £•
tatìs tua pattar latere ; licet impune per me parie-
tes in adolefcentia perfoderh j vicinos compiìarh ^
matrem verberarìs . Del fecondo genere poi quella
di Scipione prelTo T. Livio i Horret animus referre
quid crediderint homines , quid fperaverint , quid
optaverint ; auferat omnia irrità oblivìo ^ fi potejì ^
fi non, utcumquefilentiumtegat, E quella ai Tul-
H 2 lio
<n) Occupatio fffi, cnm dtciain, noaprcttrir*, tut non
fcirt , «ut noli» dirvr* id qnod tnnc naihnt dicimm . JLà
Mfftn. vf. Dt Otar.'Tìt, • • •
C13) H«c Btilit cft fi tot rrn enan non pcrtincat alt» o-
Sendart, occnlie admoanilTr prodefl , auf fi loagom -«ft, aoe
ignobile, tac ptonuin, am 400 patcii fieri, aut fiicJt* pouA
ratrabfiadi. dW. . . !
.X Ii6t
lio contro Verre: In Jluprtsvero, 0* fi agì ttìs ne-^
farias ejas Itbtdines commemorare pudore deterreor .
Anche il Cala usò. di quella Figura nella Grazio-:
ne a Carlo V. Io lafcìo fiore e Bologna , e Ytren^
ze , ^ Roma, e molti altri fiati . de quali voi^per
avventura avrefie potuto
tempi farvi Signore. Ed iUb. Lollio nella Graz* .
a Paolo III. la reio per brevità que quattro rp,lie
Svizzeri cattolici , che m poche ore ptà di fedtct
wil le Eretici tagliarlo a pezzi . Taccio la mar a>
vkliofa vittoria di Teodofio contro Ergobajté^i-
mìlmente paffo i generofi fatti d, Gottifredo di
Vittimino^ e di molti altri . Ed in lode dell Elo-
quenza: io non temeffi di offendere fri ciò la
fua fomma modefiia > direi arduamente , lui ( An-
timaco) effere il vero efemPto , V.'Z' ’
pine di tutte le virtù . Ed il Tallo nel Canto
Vili, della Gerulalemme liberata r
Taccio , che fu dall\ armi e daW Ingegno' .
Del buon Tancredi la Ciltcìa dorna ,
E eh' ora il Franco a tradigton la gode, .
E i premi ufurpa del valor la frode . ^
Taccio, eh' ove il bifogno e 'I tempo chiede
Pronta man, penfier fermo, animo audace, tQ.
§. XIL ’ ;
Della Apofiopefi . ^
Qnefta Figura non è molto di verfa dalla Prete-
rizione (14). Dal Greci fu chiamata
CX4^ <luell*,*cfc« i Greci Khitmiiiior Pereltpfi
«nVele df non Vòltr dire io che appunto
dioKi fi ch« fi «fiat* » « h*»!*»* • ““ JJe *
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X ti7 X
c dai Latini Trxctfio , perchè fi forma èoti tfoti»
care tutto ad un tratto il difcorfo , lafciandolo
imperfetto inafpettatamente , per dare motivo alli
afcoltanti di V^nfar cofe affai maggiori (15). Così
Cicerone contro diClodio diffe: An h'ujus leg'tS ^
quam Clodius a fe ìnvent am glori atur ^ mentionem
facete aufus ejfet vivo Mtlone , ne dicam Confule^
Nojìrum enim omnium,.,, non audeo totum dicere ,
E i’ Autore ad Erennio ; Tu ifla nunc audes di-
cere , qui nuper aliente domai .... non aufim dicere ,
ne cum te dtgna dixero , me indignum quidpiam
dixi(fe vìdear , Anche Eolo preffo Virgilio nell,
della Eneide ufa della Apofiopefi in quello modo:
Jam calum & terram meo fine numine venti
Mifcere ,ò“ tantas audetis t oliere moles ?
Qjios ego... fed motos prajìat componete fluSìuf,
tojì miht non ftmili pana commìjfa luetis .
E nel II. così parla Sinone:
f
Nec requievtt enim , donec Calchanie minifiro .
Sed quid ego-htec autem nequicquam ingrata
revolvo ? ‘ -
E nel V*
Non jam prima peto Ndneflheusi net vincere certo*
“ Quamquam 0 ! fed fuperent quiòus hoc ,
Neptune y dedijìi .
H-5 è
chf veramente fi dice^ o fi riferva a dire in altro tempo. La
Retfeenza poi o Apofiopefi finge, che oppreflì dalla collera,
dal dolore , o da altro affetto non pofTiattio piìl dire qv.eilo,
che giii fi diceva .
CiS) Przeifio eli, cutil , di^ia quibafdam reliquum , quod
coeptum eli dici, reUnquitur in audientium judicio. Ad Ut»
nn. ìf^. 30. Ùt Orai. III.
I
• it
’ l .
« '%
%•
X118X .
E Tibullo in fuo Epigramma:
Improbus ut fi quh nqfjrtm vwlarh agellum y
Hunc tu ; fed tacco : fcts^puto , quod Jtquttur .
•
Anche il Salvini nella fua Lezione «17. fulla lin-
gua Tofcana ufa dell’Apofiopefi così : Straniero
non V ha , che colla punta per così dire delle
labbra la gujìi , che non fen innamori ^ e che non
ne fenta fino fui principio V 'mcompar abile foavi-
Ma dove mi trafporta /’ amore a quejìa
ta
ec. Ed il TaflTo:
Lingua
.... Che s) , che^ sì .... ma intanto
Conobbe ^ eh* e feguito era V incanto, ‘
XIII.
"Della Antitefi , ’ *
Antitefi ùvr'diTov o fia contrappolìo è una Fi-
gura , per cui fi op^ngono parole a parole , e con-
cetti a concetti (ló). Del primo genere fiè quefia .
* di Tullio nella Catilinaria 1, Hoc vero quis ferro
poffìty inertes homines fortijfimis infidiari y fiultijfi-
ims prudentijfimis , ebriofos fobriis , dormientes vi-
gii antibus Ex hac parte pugnat pudor y illinc ■
petulantia : bine pietas y illinc Jcelus : hinefidesy
illinc fraudatio , &c. Del fecondo quella dello Itef-
I0 nella Oraz. a favor di Rofeio : Accufant ii qu[
in fortunas ejus invaferunt \ caufam dixit età
prater calamitatem nihil rèliquerunt , Accufant ii ,
quibus eccidi patrem S.Rj^cii bono fuit j caufam
dicit isy cui non modo lunum mors patris attulit y
ve-
*. •»
(16) Conteatio eft, cum e* contmiis verbis aut rebus o-
ratio conficitur. Aa Htrtn, IV. li» De Or et. Ili,
d
I*.
f
* i
r ized by Googlc'
• • X IIP X
ve/um ettam egejìatem . Scrvefi di qoefta Figura
Ovidio nel I. deile Metamorfofì , dove dice ;
Frigida pugnabant calidis^ humentia ficcisy
Molli a cumdurisy/ine pondero lì abonti a pondus .
£ Marziale in quel Tuo Epigramma :
DifficUisy facilis y jucunduSy acerbus es idem :
Nec tecum pojfum vivere , nec fine te ,
Antitcfi di parole fi è la feguenre di Alb. Lollio
nella Oraz. a Paolo HI. E così finalmente la te-
merità alla ragione y la bugia alla verità y le tene-
bre alia luce aaran luogo . Antitefi di concetto poi
quefi’ altra della fieffa orazione , Movefi /’ Impe-
ratore non per cupidigia d* allargare i confini y ma^
per confervarli: non per difendere le membra deW
Impero , ma per non perdere il capo : non per o^
' primer gl* innocenti , ma per correggere i dìfubbi-
dienti . Così pure nell’ Oraz. in lode della Sapien-
za : Molti altri Principi fi dilettano della guerra ;
il prudenti (fimo nojìro Principe ama la face, jII-
tri alla loro particolare utilità e proprio comodo
intenti , poco o nulla curano il ben comune de* fuoi
Cittadini / il benigni (fimo Duca nojìro altro non
cerca , altro non deftdera , che di far fempre benefi-
cio a ciafcuno. Altri fuperbamente y econfevertth
comandano a* fudditi ; egli a guifa di buon pajlo-
re y anzi qual amorevole padre cfin umanità , e con
defirezza governa i fuoi popoli , Ed il Petrarca:
Ve^io fenz* occhi ^ e non ho lingua y e grido
È bramo di perir , e chieggio aita ,
Ed ho in odio me fle(fo , ed amo altrui :
Pafcomi di dolor , piangendo rido ,
Egualmente ho in odio e motte y e vitOy cc.
Due cofe dobbiamo aver di mira nel far ufo
H 4 del-
X
X lio X •
«Jclla Anfitcfi. i. Che non Hano troppo' fremen-
ti (17): 2. Che vengano naturalmente, perchè
altrimenti in cambio di dar forza , rendono ian-
giiidd, e freddo il difcorfo (18).'
§. XIV.
Della Efornaztow .
(
, Quefta Figura che Efornazione o Efpolizione fi
chiama» dai Greci fu detta sri^spyetatee y e ferve a
meraviglia per in^randjre ed amplificare le cofe ;
perocché fi fa quando una fentenza fie/fa fi fvolge ,
c.fi replica in varie maniere, così che, efiendo la
flefla, raflembra fempre nuova, e vieppiù s’impri-
me nell^^imo di chi ci afcolta (19) ^ Cicerone p. e.
nella Oraz. a favor di Marcello volendo dire que-
llo
C173 hsqnidesi denr;tn(faeraiit nimis. Quint. 7 nT?.
‘U Alle Antitefi di parole fi poffbno ridurre que’ modi
di dire ufati rpecialmente dai Poeti , quali Tono queAi del
Petrarca :
0 viva morte, 0 dilettofo malef
E gli atti fuoi Soavemente alteri 4
1 dolci /degni alteramente Umili •
>
a qtxelle di concetto poi fi può riferire quefl* al trd Figura def*
ta dai Greci »rri/u(Tir/!c\i , e dai Latini Commutatio , del
qual genere farebbe queAa del Boccaccio : ma io voglio avan-
ti uomo* ehi abbia bi fogno di rieebezgie, che riecBtgxf, «he
abbian eifogno di uomo; le quiii maniere di parlare quanto
fono graziufe, congiunte elTendo con qualche Tale, ed ufate
jMrcamente e con giudizio, altrettanto fono fgradedoli , fe
'fono infulfe, e troppo frequenti.
C'9l) Exornatio efi , qua utimur rei honefiandie & coiioctt-
pletandte caufa . Ad Seren. J. l8. Expollfio eft cuar in eo-
dem loco manemus & alhid atque alii^ cKcere videmitr. ÌF,
41 . He Orat> ITT, • .
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* X I2I X ^
fto fentimento : Cefare , quefia gloria ^ tutta vo^
Jlra , così Io ingrandifce per via di Efornazione :
hujus gloria , C. Ca/ar , ,quam es paulo ante
adeptus , Jotium habes neminem . T otum hoc quan-
tumcumque eli , totum ejì , inquam , tuum , N 'thil
fihi ex ijìa laude Centurio ^ nthil prafeEius y nihìl
cohors y nihìl turma decerpit , Quìn etiam tlla ìpfa
rerum humanarum domina Fortuna in i/iius fe Jo-
ctetatem gloria non cffert j tibi cedìt : tuum effe
totum Ù" proprium fatetur . Ed Illioneo nel I. del-
la Eneide per dire , fe vive Enea , così parla :
*
Qjtem fi fata virum fervant , fi vefcitur aura
JEtheriay nec adhuc crudeli bus occubat umbris ,
E nel Xb in vece di dire morì y così Virgilio :
Olii dura^ quies oculos , ferreus urget
Somnus y in xternam clauduntur lumina noElem»
Alb. LoHio nella fua Orai, a Carlo V, ufa ancor
egli della Efornazione, così dicendo : qual fertili»
tà d'ingegno è sì grande y qual fiume d' e^
loquenza è tanto ampio : qual maniera di parlare
ù di fcrivere ì sì rara , e tanto eccellente , che
po(fa j non dirò illufirare . ma narrare appieno le
merittffime ed infinite lauaì dell' Altezza vofira ?
ed in difefa di Furio CreCino : Purchò P onore y e
la fama mia appreffo di voi rimangia illefa , ed
intatta : purché la macchia di quefto finto delitto
s' annulli : purché la mala impresone di quefie
fal/e calunnie dagli animi vafirt interamente fi par-
ta : e finalmente purché voi proveggiatCy che l' a-
varizia , e fuperbta d' Albino non mi tenga op-
preffo. Ed il Petrarca molto elegantemente con
4 ina Efornazione incomincia quel fno Sonetto .
Quel
X. 122 X
Quel eh* infinita paevìdenza ed arte
r Mojìrò nel fuo mirabil magijiero ,
Che creò queflo^ e quell* altro emisfero^
E manfueto più Giove y che Marte» |
E Tancredi preflb il TaflTo ad imitazion di Vir-
gilio:
Io vivo ? io Spiro ancora , e gli odiofi
•» . . Rai miro •’ancor. di quejio infaifio die ? (20) .
§. XV.’
Dell\Enfafi»
Ejfi{2iCi iféfecffH diced un modo di parlare fenten-
^iofo , e famigliare fpecialmente ai grandi' Poeti ,
per cui in breve s'efprime pii^ di quello ancora,
«he dicono le parole C21 ) . Eccone un efempio dell'
Autore ad Erennio : Noliy Saturnine , ntmium p(^
pulì reverentia fretus ejfe : inulti jacent Gracchi»
Enfatica al fommo fu la pillola, che Anaibale fcrìC-
fe ai Romani , ficcome narra Livio nella Decade
. II. Hanmbal pacem peto» £ quel detto di Tullio
nella Filippica 2. Id domi tua tfiy quod fuit ilio-
rum utriaue fatale , c nella Oraz. a favor di Li-
gario : Si in hac tatua tua fortuna lerùtas tanta ^
non .
— ^ ■ ■ « I PI' ■■■■■■ ■ ■■ I — I ' —
L* Erpolizìone è diverfa dalla Sioonimia , perché qfiefla
COnfilfe foltanto in parole , e quella in Tentenze . Divfrfa è
ancora dalla Perifra/ì, perchè la perifrafì fi fa colPufare una
fola- ctrconloaizione per tfpiegar una cofa, che potrebbefi no-
minar erprelTamente, e che peraltro non fi noipina^ 1’ Efor.
nazione al contrario fi fa nominando la cofa ftefa» e poi ac-
cumulando varie , e varie Perifrafi per mettrrU^n diverfi a.
fiWt{i ed imprimerla fempre piò neil’ animo di chi ci afcolta .
&0 Sigoificatio eli , qnc piua in furpiciooe relinquic » quant
pontadl in io oratione. ^ Berta» tr. D$ Orat.Ili,
»
\
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I
• V
X 123 X > ^
non ejfet , quantam tu per te^ per te.}nduarn^ ob-
tinesj intelUgOy quid foquar^ Nthtl habet nec
fortuna tua majus quam ut pojjity nec natura tua
meitus , quam ut velis confervare quamplurtmos .
Belliffimi €fcmpjdi quefta Figura trovanfi fpccial-
mcntc in Orazio» Così nell Ode 7» lib. IV» diccr
Damna tamen celeres reparant cxlefita luna :
Nos ubi decidimus
Quo pius Mneas , quo T uUus dwes & Ancuc ,
Pulvis , Ù" umbra fumus »
E Virgilio nel Ilì. della Eneide :
Littora tum patria lacrymanc , portufque re*
linquo , • r • / \
Et campos , ubi Troja fuit (22) »
Anche il Cafa nella fua Orazione II. per la Le-
ga diffe con Enfafi : Dunque avrem noi V anverfa-
rio noflri) per Duccy e Capitano? e fui fine della
ftelTa Orazione volendo riprendere di codardia quel-
li , a cui parlava, perchè non rifolvevanfi a pren-
der le armi, dilTe : Gli uomini favi , e d'alto af*
fare fogliano fperar la pace , e diiporft alla guer-
ra : e non , guerra temendo , alla pace apparec-
chiarfi . Così il Petrarca con Enfali chiude quel
fuo Sonetto , che incomincia :
Chi vuol veder , quantunque può Natura , ec»
Ma fe più tarda avrà aa pianger fen^re .
§. XVI»
>
(ij) Giova tnoltiffimo ad un fenfo enfatico il notninare
qualche gran Perfonaggio , o qualche gran cofa fenia nfar pe-
rifrafi , o aggiunti. Coi} nell’ addotto efempio di Livio 1’ ef-
ferfi detto H anni bai ^ ed iu quello di Virgilio, l’aver nomi-
nato Troja fucclntamcnte ha refo pii» grandiofo il fentimen-
to di quello , «ho fe tutte le lodi dell’uno , e le glorie deli
altra fi fodero efpofte, ,
I
uigitized b*
I.
X 114 X
•• §. XVI, -
V ^
De//' Epifonema é
V ’l
Anche qUefta Figura detta non é al^
.tro , che una^efclamazione .fentenziola ,.la quale fì
fu in fine di qualche narrazione , o altra cofa ri-
'V)archevole,cheiìafi efpofta pcr an gagliardo affetto
dall’animo noftro* Così Tullio nel libro t/e Sene-
Siite avendo detto : SeneEiutem ut adipifcantùr omnet
^ optaht ^eamdem accufant adeptgm j fclama. : tanta ^
inconjiontiafflu/titia atque perx^rfitasl E nella Ora-
zióne a favor di Marcello: ReEle ìgitur tjnu^ fa'vi •
Bus esy a quo etiam ipfius viBorìa conditto , vifque
devila efi . E Virgilio nel IX. della fua Eneide :
J^aBe nova virtute puer , ftc itur ad ajlra .
E dopo aver raccontato l’ enorme delitto di Pig-
malione, che per avarizia, uccifo- aveva il fratello
fclama : ^ ^
7 4 . . . Quid non moti a/i a peBora cogis • .
Auri f aera fames \ ' •
• ' Così pure Orazio avendo nell’ Ode ^4 lil. I. ef-
poìlo i var; attentati degli uomini dice ; Ni/ mor-
ta/ibus arduum efi , Ed Alb. lollio nella Oraz. à
Paòlò III. Di che non dobbiamo punto maraVÌA/iar-*
ci ^ offendo che una picco/ a e aebì/e' fcintil/a ha
fpeffo generato grandijjìmi incèndf t Ed il Salvini
nella ina Oraz. III. avendo celebrate le virtù del-
la gran Pucheffa Vittoria , dice ; Quifffi fono i ve-
ri elementi del regnare , quefti i /aldi fondamenti
del governo* Così pure il Petrarca con un epifo-
nema chiude un Tuo Sonetto:
Chi bel fin fa f chi ben amando muore .
E
\
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X 125 X
E nel Capo II. del Trionfo della Morte:
O pìechì , il tanto affaticar , che £Ìova ? t'
Tutti tornate alla gran madre antica ,,
E V nome vojìro appena fi ritrova .
. §. XVII.
Della Immaginazione .
, Quella è una delle più vivaci Figure, che mai
adoprarc fi poflTano, c dai Greci fu detta Cvoypaupn^
cioè Defcrìzìone , perchè fi forma col ddcnvcre
gravemente , ed in breve le confcguenze di qualche
cofa , come le già fi avefiero fotto degli occhi (23) .*
Così TAut, ad Erennio; Si ijium , judices ^ vejiris
fententiis liberaveritis , Jìatim , ficut e cavea leo
emiffuSy aut aliqua teterrima belìua foluta ex ca^
tenis y volti abity vag abitar in foro , acuens den-
tes in cujufque fortunas , in omnes amicos , atque
inimi^s y notes y atque ignotos incurfans y aliorum'
famam depeculans y aliorum caput oppugnans y alto-
rum domum atque omnem familiam perfringens ,
remp, funditus labefaElans , E Tullio nella 4. con-
tro Catilina: Videor enim mihi hanc urbern videro
lucem orbis terrarum , atque arcem omnium gen-
tium y fubito uno incendio concidentem : cerno animo
fepultam p atri am y miferos , atque infepultos acer-
vos civium : verfatur mihi ante oculos afpeBus Ce~
thegi y Ù* furor in vejìra cade bacchantis\„, tum
l ameni ationem matrum f amili as y tum fugam virfft-
num y atque puerorum , ac vexationem Virginum W-
Jla-
Deferiptio nominatùr, quae rerum tonfequentiuin con.
tinet perfpicuain & dilucidam cum gravitate ezpofitionem .. .
& cum rcs conrequentes comprthenras univerfz perfpicua bre-
vitcr cspriimiQtut oratioae. 4à Hsrtri, Dt Orat.
X I2<5 X
(itltum perhorrefco . Così anche preffo Virgilio nel
VI, della Eneide la Sibilla ufa di quella Figura:
, , . , Bella , horrida bella,
Et Tybrtm multo fpumantem fangume cerno ^
E prelTo Tibullo Lib, IL Eleg.^, là medefima dice:
Ecce fuùer feffas volitai viSìoria puppes /
• Tandem ad Tro/anoc^ diva fuperba venit ^
Ecce mihi lucenf Kutulis incendia cajlris ;
Jam tibi pradico , barbare Turne, necern •
Ante oculos Laurens cajirum ,muru fque Lavini ejl,
Albaque ab Af canto condita long a duce.
• Te quoque jam video Marti placitura Jacerdos
Ilta veflales deferuijfe focos , ec.
ElegantilTinii altri efempi s'incontrano fpecial-
mentè preffo Orazio , Balla leggere tutta 1 * Ode 15^
del lib. I. e la 7. dell'Epodo per vederla polla nel
fuo pib luminofo afpetto. Si fervi dell’ Immagina-
zione anche 11 Cafa nella Oraz. I, per la Lega r
Vera cofa è , che egli in tanta fiamma di defide-
rio, e d^ avarizia a voi perdonerà, e firiiggendo ,
. ed ardendo i membri e t offa della fua f confolata
e dolente Italia ad uno ad uno , /’ onorata fua^ te-
fia, cioè quejìa regai città ed egregia rifparmterà
forfè . Ma oimè , cA’ ella fuma già e sfavilla ,e
voi foli pare', che f ar fura non fentiate . Ed Alb,
Lollio Oraz, a Paolo III. Farmi di udir fin dt
qua lo Jìrepito delV arme, il fremito de^ cavalli ,
il rumor de* tamburi , e lo flrtdor delle trombe »
E Sueno preffo il Taffo Canto VIIL
.... 0 quale ornai vicina^ abbiamo ^
Corona 0 di martiri» 0 di vittoria /
è. XVIII,
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/
X.I 27 X
§/xvm. .
' Dell^ Impojfiòile .
Molte volte preflTo i poeti fpecialmente incon-
triamo quella Figura detta Impoffibile, perchè ap-
punto fi fa quando per vieppiù affermare una co-
fa , come per una fpecie di giuramento , fi adduco-»
no alcune impoffibilità , in quella maniera : Frius
unda^Ù' fiamma tn grati am redeanty quam cum
Antonio Refpuilica * Così dilTe Tullio contro di
Antonio, e Titiro preflb Virgilio, Egl. i.
Ante leves ergo pafcentur in athere cervia
Et freta dejìituent nudos in littore pifces:
Ante pererratis amborum finibus, exut
Aut Ar arìm P art bus bibet , aut Germania T ìgrim^
Qjtam nojìro illius labatur peEiore vultus .
Ed Ovidio nella 7. Elegia delle Trilli lib. I.
In caput^ alta fuum labentur ab aquore retra^
F lumina , converfis folque recurret equi 5 :
Terra feret fiellas : calum findetur aratro ,
Unda dabitflammas, & dabit ignis aquas &c.
Ed il Sannazzaro Egloga IV. della fua Arcadia :
*^^**^'* ondran per fecchi campi ,
£ / mar fa duro , e liquefatti i fajfi ,
Ergaflo vincerà Titiro tn rime y
I^ notte vedrà V Sol , le felle il giorno^
^ta che gli abeti ^ e i faggi in monte 0 in valle
Vdan dalla rma bocca altro che pianto.
§. XIX. XIXXlA
.. §. XIX. ; ‘ ■ • .
; .
M • , • ••
\ ^
Della Licenza,
* «
Licenza > o ^ffappnffiet ^ come dicono i Greci, fi
chiama un belliffimo artificio , per cui 1 ’ Oratore
fidando nella bontà della Tua caufa parla con una
certa libertà preflò di quelli, che deve temere, e
venerare , che, l’cbbene fembri troppo ardita , pure
non offende, anzi talvolta piace (24). Tale* fi è
q^uella di Tullio nell’ Oraz, a favor di Ligario :
Marcus Cicero apud te defendìt , alium in ea vo^
luntate non fuìffe , in qua feipfum confitetur fuif^
nec tuas tacttas cogitationes ext'tmefcit
quantum potefo voce contendam , ut hoc P ,K. ex au-
diat , Sufcepto belb , C^ar , gejio etiam ex ma-
f na parte y nulla vi coaBus y judtcio meo y ac vo~
untate ad ea arnja profeBus fum j qu£ erant fum-
pta contro te. E nella Filip. I. Ì^ìd de reliquts
reip. malis licei ne dicere ? mihi vero licei , & fem-
per lìcebit digni totem tuerì , mortem contemnere . E
nella Catilinaria I, Non deejl Reip, confiliumy nc-
que auBorìtas hujus ordinis . Nos nos , dico aperte y
Confules defumus . Servefi di quella Figura anche
il Cala nella Oraz, a Carlo V. E veramente egli
pare da temer forte y che quefio atto pojfa recar al
nome di V, M, fe non tenebre , almeno alcuna om-
bra
(14) Licrntta eft , cubi apud eos , quos aiit vereri , aut me-
tuere debemns , tamen aliquid prò iure noftro dfcimu* , quod
cot minime offenda!, aut quos ii dilieunt, cum in aliquoer-
iato vere reprehendi poffe videantnr . . . Eft autem quoddan
genus Lieentia in dicendo, quod aftntiore ratione compara»
tur; cum ita obiurgamus eos, qui audiunt, quomodo ipu le
cwpiuDt Qbjurgari fcc. rld Htren, W, Jdt De Orat, UI-
Di^itiz'ed by Qpogk
X 1^9 X
hra per molte ragioni , Siccome anche il Salvini
nella fua Lezione XXV.: Ma non fo come ^ quan-
do fegue alcuna cofa contro alle Leggi : allora che
ft dovrebbe parlare , fi fia cheti ( non vorrei dire ) ,
quafi avendo caro , che lo /concerto fegua , e poi
fi /doglie y come volgarmente fi dice'y lo /cilingua-
gnolo y quando non occorre.
§. XX.
Delia Congeri^^, •
f >
Quella Figura detta dai Greci «èt'aexi^ax«<W(r fi
fa quando per efprimere- un gagliardo affetto dell*
animo, e per opprimere in certo modo 1’ avver-
fario unifeono infieme molte cofe , che difperfe
erano in tuttavia caufa * e fi pongono tutte rac-
colte fott’ occhio all’uditore (25), ficcome fece 1*
Autore ad Erennio: Quid efiy JudiceSy cur velii
tis eum liberare ? /uce pudicitice proditor e/i , infi/
diator aliena : cupidus , intemperans , petulans in
amicos , Infefius cognatis y in /uperiores contumax^
in aquos^ & pares fafiidio/us , $n inUriores crude^
lis , denique tn omnes intolferabilis . E Tullio nell*
Oraz. a favor di Milqne : Video adhuc cortfiare^ 0-
mniay judiceSy Milani edam utile fui J/e , Clodium
vivere; illi ad eay gux concupterat y optati (finoum
tnteritum Milonis jutffe ; odtum illius tn hunc acer-
òiffimumy in illum mjus nullum; con/uetudineni
illius perpetuami in vi inferenda , hujus tantum
in
t
(aj) Frcq«entaiio tA, cnm ret in tota cauta diCperr» co-
gnntur ia unum «quo gravior, aut acrioFf a<it criminofìor
otatio fit. jfd Herta. ir. 40. QucAa Figurat moJtc volte
Bi«nte è diverrà dall’ Epilogo . '
Giard. Btm, T. 1. I
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X 130 X
tt7 rcpellenda; mortem ab ilio denunci at am pai am
Milani & prcediBam , nihil umquam auditum ex
Milane : profeElionis hujus diem illi notum , re-
di tum illius buie i^ notum fuiffe ; hujus iter necef-
farium , illius etiam potius alienum ; hunc prx
fe tuliffe y ilio die Roma exiturum , iìlum eo die
fe dijjimulafj'e rediturum ; hunc nullius rei mu-
ta (fe confili um y illum caufam mutandi conftUi fin-
xiffe ; mie , fi injìdiaretur y notìe prope urbem ex-
peblandum y illi y etiamft hunc non timerety tamen
acceffum ad urbem noHurnum fuiffe metuendum .
Cosi anche il Cafa nella Oraz. I. per la Lega :
Rgli vi ha nella guerra abbandonati nella bdt-
taglia traditi, nella vittoria ingannati, nella pa-
ce affediati , e nelP amicizia con gravifjma e me-
morabil fame in tanta fua^ dovizia e fuperfluità
tormentati y Cy quanto era in lui, ucciftw £d Alb*
Lollio Oraz. a Carlo V, Alla generofità del for-
te e pio animo vofiro bajìa P efferìi flato nellajguer-
ra Superiore , P averlo rotto, P averlo vinto , P aver-
to prefo, P averlo poffeduto^ prigione, e ftccome il
lajciarfi vincere agli ef^etti c atto fervile, così il
raffrenar P ira, da cui è impedito^ il configlio, il
temperar la vittoria , la qual di fua natura ^
infoiente e fuperba , il dominar fe medeftmo , / ef-
fer umano, benigno , e P ber ale verfo il nemico è
co fa veramente regia, illufirey divina^ e degna
di eterna laude . Anche il Petrarca così chiude il
Cap. IIL dei Trionfo d Amore :
E fo- i cojlumt , e i lor fofpiff , e i canti ,
E ’/ parlar rotto , e ’/ fubito Silenzio
E'I breviffimo rifa , e i lunghi pianti,
E qual è V miei temprato con P ajfenzio »
Devefi per ultimo avvertire coli’ Autore ad E-
^ i tot-
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B
X lii X
reanio ii6) « che tutte le fuddette Figure agglun^
gono bensì grazia e decoro a qualunque genere
di iìile ; oia che iìocome tifate di rado ed oppor-
tunamente « a guifa di varj colori abbellifcono il
difcorfo , così , fe troppo di fpcffo fuor di pro-
TOiito, ed alla rinfufa vengono adoperate, lo ren-
dono difettofo , ed ofiiifcato «
(aó) Oran« fenu« Oratiotri* & grava, ft raediocra, & at.
ienaatiin dignitate aAciunt exòrnationea qac fi rare difpo^
aantar, diainétum , ficmi coloribua, fi«rcbrai coiiocabBntur,
•blitaa radduoK. erationem . IV. xx.
\ ' I 1 ■ ' ■
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•V.
PARTE SECONDA.
\ ^ }
CAPO I.
DeUo Stìh
N on bada, dice faggiamente Ariftotile (i),
- Taver ia pronto le cofc convenienti da di-
re, ma duopo è ancora dirle come fi con- '
viene; imperocché un difcorfo molto maggior for-
za riceve dalle parole, che dai fentimenti. ^1 fa-
pere adunjjue le Figure, i Traslati, e tutti gli al-
tri Rettorici ornamenti ella è cofa lodevolilfima
ma quello, che pih importa, e che veramente
difficiliflìmo , fi è rnfarne a tempo opportuno (2).
. £ chi potrebbe in fatti folTrire un Oratore , il qua-
le indiftintamente , ed a i>icne mani , per così di-
re verfalfe nella lua orazioqe tutti i fiori dell* e-
loquenza , fenza confiderai prudentemente ciò ,
che ai tempi , alle perfone , ed a tutte le circo-
fianze fi conveniffe: e colle An ti teli , con Pari-fi-
nienti , ed altre fimili grazie ed abbelljmenti cer-
cafie di piacere, quando dovelTe movere afdegnoL
a pietà , od eccitare altri fomiglianti affetti nel
cuore de’ Tuoi uditori (3) ì Eppure quanti vi fo-
no,
(1) Rhttor. lib.IIT. e. i. • Cic. nel II. DeOrat. c.41, VI-
demus nequaquam fatis effe reperire quid dicas» nifitdinvea-
tum tramare poffis.
fa) Demonàratio & doftrina ipfa valgaris , ufus autetn
eraviffimus, & in hoc toto dicendi ihidio difficillimui. IH,
De Orat.
-<ji) $«leaduBi inptimif quid qm'rque liroundo poflulctio.
CHS ,
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X 15? X
no 4 che fecltar fanno le regole ed i fuoi efemp)
ordinatamente; ed in leggendo poi poche righe da
loro fcritte , non fi trova in efle cofa , che giu-
flcEza roofiri o difcernimento (4) . Lo Stile per-
tanto» dice Tullio, è il più grande maefiro nell’
eloquenza ; ed egli folo può render il nofiro dt-
feorfo perfetto i ed in ogni parte pulito (5) . In
eflb diligentenaente efercitandoci, non folo verre-
mo a faper i precetti , ma li iapremo a tempo
ancora poi metter in pratica: e non tanto cono-
feeremo gli otdmi efempJari , ma fapremo anco-
ra la loro nobil maniera efprimcre ed imitare (6).
Quintiliano perciò ci ammonifee a porre in que-
fìo ogni nofiro fiudio , ed a non perdonarla a fa-
tica ; imperocché dalla varietà dello Itile dipen-
de , che più o meno piaccia un Oratore, e che
un difcorlo migliore d’ un altro venga riputato é
Nello Stile finalmente, egli dice, fia riporto ogni
vanto e difetto dell’eloquenza (7); non potendofi
veramente chiamar eloquente quegli , che colla
f 3 va-
cui, quid perdona, quid teitipus... ubi eniitì atrocitdté, ili-
vidia , inireratione pugnandum eft, quis ferat contra pofitifl
8c pariter cadentibus & coniìrtiilibus irafeentem , flentem , ro-
gantem ; curii in bis rebus cura verborum deroget a^e£ltbus
/idem . Hutnt. T. /-T. c. 3*
(4) Cosi il Tagliaaucchi nella Dilfert. preliminare allà Ra««
colta di profe e poefìe , ec.
(S^ Stylus optimus eft & praiftantillìmus dicendi effe£lof ,
atque magìfter. De Orat, il. Hanc igitur ad legem cunl exer>
citatione, lum flylo, qui & alia, & hoc maxirne ornar , àd
limar, formanda vobis orario eft, ivi, Lii, ITT.
Cd*) Hzc omnia adipifeemur , (ì rationes przeeptionis dilM
gentia confequemur etercitationis . Ueren. iK in finti
^ C7) H nc nullut nifì arte affequi poteft , hoc ftudtum adfai'
bendum : hoc exercitatio petit, hoc imitatio : hic omnis
ras confumitur : hoc maHime orator oratore przftantior : hdc
genara ipfa dicendi alla aliis potiora, ut appareat in hoc fc
Tiiium & vitlHWm fff t f'Ul promm.
Xi34X
varietà dello ftile non fa uniformarli àllt diverfi
argomenti , che deve trattare (8) ,
Stile dagli antichi pronamente chiamavalì quel-
lo ftromento , di cui Icrvivanlì per incidere « e
fcolpire fulle tavole incerate , o Tulle lamine di
piombo i propri fentimenti . Ora poi vuoili per
clTo intendere la ftelTa fpolìzione o per dir me-
glio , il\modo e la forma con cui efprimiamo i
noftri penfieri (9). Tre per tanto elTendo, fìcco-
me abbianì detto da principio , i doveri d’ un O-
ratore , ammaeftrare cioè, dilettare, e commove-
re , tre ancora fono i generi d’ eloquenza , 0 fia
dello liile : Semplice ed Infimo ; JMLagnffico e Su-
blime : Mediocre e Temperato (io) .
ARTICOLO I,
t
. I
Dello Stìl Semplice ed' Infimo •
Lo Stil femplice ed infimo è quello , il quale
imita il parlar famigliare degli uomini civili e co-
iiumati (iO, e viene in ufo nelle lettere , ne*dia-
lo-
C 8 ^ Is e\iiài eli eloa uens, qui ft hnmilia fubtilUer, ma.
gna graviter , medioefia temperate poteA diccrc . Cic, in
Brut.
CO v*ha dubbio, che la varietà dello Aile, ficcome
vedremo, non poco dipende dalle diverfità de’ penueri ; ma
potendoli un penfier grande erprimere in modo femplice, ed
una fentenza comune al contrario in modo che diventi ma-
gnifica , perciò diciamo , che lo ftile rpecialmente confifte
nella efpreffione , o nella fpoflzione de* noflri penfieri .
Cio^ Quot officia Oratoris, tot funt genera dicendi : fub.
tile in probando, modicum in deleftando , vebemciu in fle-
Aendo. Cic. in Òrat. ». 69. né Hert». ty..S.
00 Adtenuata eli, qa« demiffa eft ufqae ad ufitatiffimata
pti fcnnonia coofuetndiiMn • dd Heren, ivi .
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X IJ5 X
Ioghi, ij.Cgl’ infegnaipenti , e dovunque fi tratta di
cofe umili, tenui, e familiari ( 12 ). JL’ Oratore
perciò deve a, quello fiile ^appigliarli , quando e-
fpone la narrazione di qualche fatto , e quando
maneggia le prove del fuo alTunto (13).
Le doti , che formano il principal carattere di
quello ftile , fono la chiarezza, la purità, la pre-
cilìone Ò4)* i-i penfìeri per tanto non dcVon ef-
fer ricercati : il. parlare deve effer elegante , fchiet-
to y pulito ; ma privo affatto di fehtenze ma-
gnifiche , e d’ ogni, ornamento affettato, e con-
tento d’ una certa nobile ne.gligenza , che piace ed
alletta. Tra le Figure ed i Traslati quelli foltan-
to ammette, che fogliono cadere neTaraigliari di-
fcorfi i c tutte l’ altre immagini piò veementi , c
grandiofe affatto le ricufa(is)- Il numero dd pe-
riodo poi deve bensì eller dolce , foave grato ,
ma non pienò , fonoro , nè trafportato à fegno ,
che mollri artificio, e che feorgafi, che 1* oratore
fi ftudia di piacere (ló) . Tale per ultimo effer de-
ve quello genere di Itile, al dire di M. Tullio,
che gli flelTi fanciulli fi perfuadano di poter fai*e
io fleflb , contuttoché a vero dire , mentre a tut-
1 1 4
00 Cosi il Corticelli De//a Tc/eana E/e^uenza , Gior. i.
4 ifc. 9. ’ . , ^
C13) Ilio fubtili prsecipue rauo narrandi , probaodique con.
Jiftet. Qjunt. XII. IO. I
C14) Sermo purus crir & latinus: dilucide, planeque dice-
tnr . ta Brut. 77.
(15) Removebjrur omnis infignis ornatus quafi inargarita-
runi , nec calamiliri adbibeancur : eicgantia & mundi eia rema,
aebic. Orat. 78. Ctc. Slpint. hib. yi. 3. •
Primum eum tamquam e vinculis numerorum exima.
Wus, ut ii.grtdi libere, non ut Heenier videaiur errare. Ver-
ità etiam verbis coagracntare negligat... Abérunt qt
nuftates , ne elabwaca concinnìtas, & quoddamauc. ' .1 de- '
ieQaiÌQ9is manifeae depiehepfiiiii app^regt • Or ' ‘ ,
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X I3« X
ti imitabile raffembra , nulla fiavi di piu difficife
a confeguirfi (17).
Non folo nelle pillole di Cicerone, ma nelle fue
Tufculane, e nei libri degli offici ritroviamo bel-
liffimi efempi di Stil femplice . I Commentari di
Cefare fono inimitabili in quello genere (18) .
Tra i poeti Latini balla leggere le Favole di Fe-
dro , la Buccolica di Virgilio , e le Satire di O-
razio : tra i nollri Italiani poi fceglier poffiamo
il Boccaccio nelle fue Novelle , il Cafa nel fuo
Galateo , il Bembo nelle pillole , l’ Alamanni , il
Rucellai, il Sannazzaro , e molti altri ancora.
Eccone un efempio datoci da Cicerone nel IL
de Invent. In itinere quidam proficifcentem ad mer-
catum quemdam^ Ù“ fecum aliquantum nummorum
ferentem ejì comitatus : cum hoc , ut fere fit , in
' via fermonem contulit : ex quo fallum eji , ut il-
lud iter familiarius f^acere vellent . Quare cum in
♦ quamdam tabernam d/vertiffent , fimul cocnare , &
in eodem loco fomnum capere voluerunt . Caenati di-
fcuùuerunt ibidem . Caupo autem (^nam ita dia tur
po/l ìnventum , cum in alio maleficio deprehenfus
eìt ) cum illum alterum , videlicet j qui nummos
haberet ^ animadvertijfet ^ noBu pofiquam illos ar~
. iìiuf, ut fit , fam exlajjitudine dormire Jenfit , ac~
ceffit , Ù" alterius eorum , qui fine numrnis •,
f 'ìadium propter appofitum e vagina eduxrt ^ & il-
um alterum occidit , nummos abfiulit , gladium
cruentum in vaginam ree ondi dit y ipfe fefe in /r-
óìum fuum recepita &c, E Titiro il pallore par-
lando Melibeo nell’ Egl. I, preflb Virgilio:
Ur“
C17) Orationis Tubtilitas imltabilis illa qufdem vide^refft
rxiflimanti , fed nihil eff experienti minus. Orar. 76. Slutnt,
ir. X. Xì. X.
(18) Qaeflo Io afferma lo fleCo Tullio nel Brut. n. 75.
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• “» • • • V
» ^
■ ' . ■ X ÌJ7 X
Vrbem , quam dicunt Romam » Meltboet ^ pw-
tavi ^
Stultus ego buie nq/ìra Jìmilem j quo fspe fa- .
lemus ^ '
Paflores ovhm teneros depellere feetus .
Sic canibus caiulos ftmìles^ Jic matribus ò^dos
Noram y fic parvi s componere magna folebam ,
Scìeglier lì può per norma di quello •(HI femplf-
ce nel Boccaccio fpeciaiméote la Novella ?. delia
<^or. Vili. ) la quale così incomincia ; ffella no-
fira città , la quale ftmpre di varie maniere y e di
nuove genti è fiata abbondevole , fu ancora y non è
gran tempo y un dipintore chiamato Calandrino y
■uom femplice , e di nuovi cofiumi , il quale il più
del tempo con due altri dipintori ufava , chiamati
(T un Bruno , e altro Buffalmacco , uomini fai-
lazzevoU motto , ma per ahro avveduti e fugaci .
Zi quali con Calandrino uf avano , perciocché de*
modi fuoiy e della fua femplicità Coniente gran fe~
fia prendevano. Era fimil mente allora in Firenze^
ec. Anche il Sannazzaro con belliflìma femplicità di
llile così dà principio all’ £gl. 6, della fua Arcadia :
Quantunque , Opico mio y fii vecchio e carico
Di fenno , e di prenfier , che in te fi covano ,
Deh piangi or mecoy e prendi il mio rammarico, ^
Nel mondo oggi gli amici non fi trovano ,
La fede è morta , e regnano le invidie ,
E i mal cofiumi (gnor più fi rinovano ec.
Alcuni però vi fono , i quali llodiandofi di fcrive-
re con naturalezza e femplicità rifiutano ogni or*
namento ^uafi che lo flil Icmplice effer dovelTc bar-
barq c nrivo affatto d’ eleganza , quand’ ai con-
trario lappiamo , che in effo fpecialmentc deve0
ri-
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X %
■rìirpvav QQlilo > (Ile rirpettp a' Greci cblanaavan
jìtticifmo , vale a dire una certa natia grazia, ed
«Q certo colore d’urbanità ,' che ci faccia guitar
con piacere per così dire il fapor della lingua ,
in cui fì-fcrive o fi parla (19). Colloro , dice Quin-
tiliano , mentre temono d’ alzarfi collo Itile per
non cadere , fempre giacciono , e radono vergogno-
famente il Aiolo (20) . Imperocché non potendo
xottfeguir graaia e la femplicità, che allo ftil in-
fimo fi converrebbe, cadono in una maniera di Icri-
vere arida eé efangue a fegno , che vengono a no-
ia • pé fi jppfiboo afcoltare (21) . Del qual genere di
y i^afnh » un efempip ci foraminiilra T Autore dei
libri ad Erennio, dove fcrive: Nam ijlic ille in
r$£fneas accedìt ; ad hunc pojìea dicit : htc tuus
*'/ervus me pulfavit . Pojìea dicit htc illi : confide-
fabo : Poft ille conviciam fecit & maps magifqufi
frafentibM multis clujnavit^ Ù'c, Lib. IV. li. ,
. ‘ AR-
‘ C19) Mume folum quidam voeant atticum , diffe Tullio nell’
Orar, e Quintil. nel VI. delle fue Inltituiioni al cap. 3. a^
ferma che gli Oratori della città di Rom.1 nveano ar.ch’ efi
un non fo che, per cui fi di/tinguevano dalli foreftieri , quan-
tunque eloquenti. Quello fquifito palato d’affapoiare una Un-
gila perfettamente fu quello che fece dire ad Afinio PoUione,
in T. Livio ^ mira faeundi0 viro^ ineffe ^u.tmdam Potavi»
nitatem. In Plauto , in Tcrenaio , ed in Fedro per lo con-
trario qoi’troviamo certe efpreflìoni naturali, certe frali de-
licate e gentili, certi fall ingegnofi, che ci fanno guftar con
piacere la Romana Urbanità.
Cao} Huic quibufdam contrarium ftudium , qui fugiunt ac
reformidant omnem hanc in dicendo voluptatem , nihii pro-
bantes , nifi pianura & line conatu . Ita dura timent ne ali-
buando cadant, fera per jacent. L. Vili. c. S-
C *0 Qui "on poffunt in illa facettlEma verbornm attenua,
tìone comiQOde verfari, veiUuot ad aridnm & eitaogue uenui
watiouit, quod oop aliemim eft exile nominati, ^d Heren.
tf'. II. . ' 4 '
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Xi59X
AR ricólmo II.
Dello Sùl Magnìfico e Sublime •
Il Sablime (zz) è quello , che con la nobiltì dei
penfieri , con lo fplcndore delle parole,, còn 1* ab-
bondanza e magnificenza delle fentenze , e con la
vivacità degli affetti non folo perfuade , ma a gai-
fa appunto di r^ido impetnoro torrente , che fe-
co traendo i fauì , e gli argini /degnando e le
fponde, am{HO e maeflofo fleode il fqo letfó^ ra-
pifce r animo degli uditori, e con meraviglia e
diletto sforza e feco trae ancora phl altrimenti ri-
cufa e fegnir noi vorrebbe (zj).
Il Sublime, dice un dotti ITimo Autore, dà un no*
bile vigore ed una forza invincibile al difcorfo ,
onde r animo di chiunque ci afcolta refta folleva-
to j c convinto (24). Con quel tuono di macftà , c
di grandezza : con quc’ moti vivi ed animati : con
quella forza e Veemenza , che in effo regna , rapi-
la r uditore , e lo lafcia come abbattuto da’ fuoi
fulmini, e da’ fuoi lampi abbagliato (25)*
Al”
■CiO Alcun! diftinguono il Tublinie dallo flit -Tublime ^ noi
però quivi intendiamo favellare particolarmente dello flile .
C13) Tertiue tllc «nplui, copioius. gravi*, ornatus , in
^no profeto vis maxima eft. in Brut. Cie. At ille qui faxa
devoivat. &.poRtein indigoetur. & ripa* libi faciat. multus
ft torren* . ludicetn vel nitentem contraferet , cogetqueire.
^ua rapit . ^int. FU. Io.
(34) M. Iloilln. Dt la manitr* d*enftign«r ^ d* itudier
Ut btlltt Jtnru T. II. tap. 3. art. 1. $. x. n. i.
(ij) Tantam vim babet illa. quas rene a bono^ poeta diOa
«ft Atxanima . atque «mnium regina rcrum oratio. ut non
nodo inclinantem erigere, aut itantem inclinare. led etiam
adverfantem rcpugnanxem. ut ImpetatQr bonus ac foriis
capere poSc. De Orat, II, ^7, I.«Dgia. g, g, pel Suilime.
\
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X »40 X
Allora poi i Poeti , e gli Oratori fervonfr di
querto ftile , quando hanno a trattar cofe grandi ,
cd ogni qualvolta bramano muovere gli affetti ,
piegar V animo degli afcoltanti , e convincere gli
avverfarj (26) . . ^ ^
Cinque fecondo la mente di Longino fono 1 foft-
ti del Sublime (27) .
t. Nobili e felici concetti, grandi idee, cd una
certa elevatezza difantafia, e finezza di giudizio,
per cui fcorgafi in chi ragiona una eenerofa magna-
nimità (28) . * Ecco come prcffo T. Livio Muzio
Scevola parla al Re Porfcna : Romams fum c/v/x,
C. Mucium vocant : Hojìis hoflem occidere volui .*
nec ad mortem m ’tnUs antrm eji , quam fuìt ad ne-
cem . Et facete ^ pati forti a Romanum ejì , E
Didone preffo Virgilio così dice fdegnata contro
di Enea ;
Exoriare aliquis nojìrts ex ojfièus ultot ,
Qui face Ùardanios ferròque fequare colonoS .
Anche Porro Re delle Indie arditamente così par-^
-»la al vincitor AJcffandro preffo l’ impareggiabile
Metaftafio: ^ .
Nacqui fui Gange 4 /
yiffi jfra /’ armi i Asbite m nome * Ancora
Non fo y che fi a timor: più della vita
Amar
CaO tìujus eloquenti» eft tràftire anlitios, huiufomni mo-
do perniovere. Cic, in BrUt. 91. H«c qua fufcipitur “b O-
ra tote ad commutandos animos, atque omni ràtione llettea-
dos intenta ac veheftiens cITe debet . Oe Orai, ÌI.
(a?) Li prirtii due pofTono^ veramente chiamaiC fonti ,
eli altri tre fono femptici ajuti, che accompagnar devono il
fublime ; e di quelli ultitbi foltanto parla l’ Autori ad £rio-
nio nel iV. /iL c. 8 . , > -
CiS^ vpSrof /Uff y.rt v:xrt<rroi tv vtpi Tm' mfpt»
Triftkcr t. # 9. Del Suhlmt,
by GoojiK
X I4t X' ,
: Amat la gloria è mio cqflume antico : ^
, Stn di Porro. Seguace , e tuo nemico .
* • V •
Quefto fi otterrà , fiegue il citato Longino (29) »
fc fciegÌicrcn)o foltanto le cofe piti grandi , trala-^
fciando tutte 4e circoftanze inutili , e frivole , e"
quelle cofC' in fomma che pqfibno eccitare idei
bafie troppo coniuni. . _ , i ,
2. Vivi e gagliardi affetti maneggiati r rappre-:
Tentati nel di loro .pi ìi efficace afpetto (50) . Tale-,
fi è il parlar della. Regina Didone , dove contro
di Enea fi fcaglia » c dice:
•• «, »
Nec tibi Diva pattns i generii neo Dardanust
auàor, . ' ^ i-n ^ ,V ,1, .
Perfide i fed durh genuitje^cautibus hotrens
Caucafus , Hitcan'iqu^ ad^ojrffnt ubèra tìgres .
Ed Attilio Regolo potea forfè con'rhaggior gra-
vità palefarc il luo fdegno contro Publia e Lici-
nio di quello che fece irMetallafio, quando così
1’’ induce a dire : . . ; .
' • Taci: non è Romano
0 Chi una viltà configlia » . ■ . , . ;
Taci,: non è mia figlia
Chi pià virtà non ha «
. . . ^ . > .
^ 3. Le Figure ed i Traslati porti a fuo luogo fen-
za affettazione, o foverchio rtudio (31) . Così De-
mortene in una Tua Orazione per animar quelli ,
che contro Filippo prefo avevano le armi , con una
<Delliffima àpoftrofe fi volge a coloro , che battaglia-
to .
IO* #t*s«
X 30 J ttivffOf #*' To'o’4>oJprf»X«<' tuSUS'lifTlKÒf 5» 8.
rm.<rxHftté7Vf « I®»
X 142 X
to avevaflò nella celebre giornata di Maratona r
No non trrajìe ; dice egli f non errafle o Atenìeft ,
^/ponendovi a{ cimento^ per la libertà , e per la /al-
ijézza de* Greti : per quei lo giuro , - / quali alla
pubblica difefa f^arfero il /angue e la/ci armi è
•vita là /ui tampt di Maratona (*) # A di cui imi-
taiiooe poi anche Tullio nella Oraaiooe fatta io
difefa di A* Milonc diflef Vos vos appello, fortifi
fimi viri, qui multum prorepuòlìùa /angHinemef-
fudiflh: vos in viri Ù* civis inviali appello' peri-»
culd, Genmrìmes j vo/que mìlites , &c^
4. La frafe nobile , elegante e pulita la quale
accompagni la (bblimità dei penfìeri C32), Tale 1Ì
è quel detto di Virgilio nel IV* delle Georgiche ;
. . . • Ca/ar dune magnus ad altnm < '
Tuìminai Ettfrafem Sello*
E quel d’ Oraaio ? ;
Pallida mors aqua pul/at pedi pauperum ra-
' ’ ' ' éetnas
Regumque turres*
5. Una compofizionc di periodo elevata ed ar-
moniofa, ma non troppo elléfa 9 nè ricercata^^) #
(•) Nuovo, pfllegrfno, flraordinarìof , e lòèVtvigllofO gia-
n«eil» <lé«aaefn«ao Lomìoo. Già ire vittorie aveano n-
poruto gli AtebkG contro Fjlippo. l’una à Maratona, ! al-
tra fdttò IheMffo, t la teraa hi Platea. M« la fltaiegfor-
nat* tU Ch»4iiea gli ai^ev* abbattuti * e Demoftene »♦ «»-
.irèba vfbr cónfift) f eppure parlb con tal coraggio , e cosi à-
niftib flli-Ateniefi eoo la Aia elo^iienza , che al rain^rtie''Wr
dclje pàlftti iHttdrle qtfhllt allatto dimeBticàroao !• batualla
^ynwToL 6*4-
fAxrv* Tt tx\oyif i if rpevixi xetf g.
8 , - - -
e 30. In aneAo però molto-aflàticar non dobbiamo , pn-
. , al dir di Tullio nel III. 2>e F»«*. C5»*r* retme JW«-
Uforiius Usai Apfie riti vttht rapiuat.
Gl) titni/Mri 5?¥t #jfP»
. e
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*é
X 143 X
Ciccront nell’ Orazione in favor di Marcello così
parla a Celare: NuUiks eji tantum flumen inge^
nii , 'nulla^ dicendi , aut fcrìbendi tanta vis , tan^^
taque copia , qux non die am exornare ) fed enarra^
- re y Cajary res tuas gejias po(fit , Di quello gene-
re fra i’ altre fi è ancora l* Ode 25. del Lib. Ilf,
di Orazio ) la ‘quale incomincia :
Quo me ) Bacche , rapis tuì
Plenum ì qux in nemoruy aut quos àgor in fpteuty
Veìox mente nova ì quibus
Antris egreeii Ca/aris audiar
Xiternum meditans decus
Stellis in/erere & concilio Jovh l
Allorché- poi fcriver vogliamo qnalche gran cofa^
ed alzarci ad uno fiile veramente fublime, dobbia*
ino a parere del citato Longino immaginarci come
in tal cafo parlato avrebbero Demoflene, Omero,
Platone tra i Greci , e tra i Latini Vii^ilio, Ci-
cerone, Orazio, 'ec., e rapprefentarccli come gin» / -
dici prefenti e preparati a decidere della oofira
taufa. Che fe vogliamo conofeere quale fia vera-
mente fiil fublkne, fiegue lo fielTo Longino, farà
quello che a tutti piacendo ci ■ reitera indelebil-
mente fcolpito nella mente, e nel cuore (^4) .
Guardiamei però da un falfo afpetto di fublimi-
tà ; imperocché molti vi fono , i quali affettando
di parlar Tempre in fili magnificò, vanno in ccrra-
dj tutte le parole ampollofe, delle metafore piò
viziofe , delle frali piu (frane a fegno che in vec«
di generare meraviglia, muovono a fdegno o pe^
lo
I ■ M lllllh 'ì à ll ì lll lì l» I II !■» liW»
(34) S. 1 14.
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X 144 X ■
' Io metto a rifo gli afcoltaoti (35) . locorfero in
queQo vizio alcuni de’ poeti latini , e de’ noftri
italiani ne’ fecoii corrotti per allontanarli da’ pro>
fatori ; e quindi ufaronb un linguaggio ampollofo ,
ridicolo'', inetto , ed ofcurilfimo per ogni parte .
Ne può elfer d’ efempio lo llelTo Claudiano , poe-
ta per altro non fprczzabile, il quale per eìpri-
mere quelle tre fole parole, Canto il rattodi Pro’-
dille quello forfè, ch’egli medefimo non
intendeva con que’ fuoi verlì (*) :
Inferni raptoris equos , afflataque curru ■
Stdera Tenario ^ caìigantefque profundx
Junonis talamos audaci promert cantu
Mene congejìa jubet .
D* un fomigliante fcrittorc detto già avea faceta*
mente Orazio? • ^
Projicit ampulìas &' fefquipedalia verba,
Abbiam di già olfervato , che non fono le fole
parole quelle che conllituilicono il fublime , ma
piuttoHo i fentimenti . £ Uccome quelli non fem-
ore vogliono effer fublimi , perchè llancherebbero
la mente degli uditori, e perchè non fempre la
materia il richiede ; perciò ancora le parole de*
vono talvolta elfere meno magnifiche e ricercate.
Nè
C3S) Pleriqne tninimit etiam inventiunculis gaudenf , qu»
excuffz rifum habent , inventse facie ingenii biaadiuntur .
Iluint. yiìì. S- Nam gravi figurae, que laudanda eft , pro-
pinqua' eft ea , qu» fugienda eft , que rette videbitur appel-
lar! li Tuperflua nominabitar . Nam ut corporis bonam ha-
bitudinem tumor imitatur fmpe; ita gravis orario fepe impe-
ritis viderur ea , que target, & infiala eli. yfJ Htrtn. 71^.8.
1*) L’ oflervazione è di Saverio Marte! nella fua Dijfvrt.
freliminart atta Traduzioni di’' Salmi»
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X 145 X
Nè mcn viziofo fi è lo Itile di coloro , i quali
credendoli di fcrivere o di parlare con fublimità
riempiono i propri difcorfi di fentenze declama-
torie, che al fine fredde riefcono e del tutto I-
nette: ed allorché il tempo non lo richiede rao-
firano una fmoderata commozione d’ affetti , che
gli fa fembrare come altrettanti ubriachi o ftoltì
(3Ò) . Alcuni ancora vi fono a tempi nofiri di-
cea Fabio, i quali fui fine d’ ogni periodo voglio-
no qualche fentenza , la quale con la Tua novità
ferifca l’animo, e rifcuota acclamazione, ed ap-
plaufo . Quantunque però io fappia, effer le fen-
tenze gli occhi , per così dire, del difeorfo , non
vorrei per altro trovare occhi per tutte le parti
del corpo ; maffìme che non può a meno di ca-
dere in cofe vane , fredde , ed infulfe chi fi ftu-
dia di fcrivere in cotal guifa (37) ,
CjO Vitiofum eft & corruptum dicendì genui , qaod aot
verbocum liomia reraltat , aut paerilibus featentiolis lafci-
vitf aut immodtco tumore turgefeit , aut inanibus loda bac-
chatur , aut cafuris (ì leviter ezeutiantur flofculis nitet, auC
prsEcipitia prò fublimibus habet . Cosi Quint. Uh. XII. io. •-
Longino $. 3 . del Sub.
Cì7^ Nunc illud volunt, ut omm's locuc, omnia fenfat in
fines fermoois feriat aurea . Turpe autem ac prope nefas du-
«unt refpirare ullo loco, qui acclamationem non petierit..*
^o hzc lumina orationis veint oculos quofdam eloquentiz
cHe credo ; fed neque oculoi effe toto corpore vclim . • • •
Hoc quoque accidit, quod folas captanti fententiat multa*
nccefle cu dicerc levea, frigidaì , iueptaa, Lih. mi. 6.
Ciarl EUm* Tei.
AR-
K
1
%
X )C
A R T I C O L O , Iir.
DeUo Stil Mediocre f e Temperato,
ha un t«rzo genere d’ eloquenza tra l’ infi-
mo ed il fublime , ebe liti niezzano , mediocre .
e temperato s’ appella, Qacfto dice M. Tallio (i)
non ha la femplicicà del primo , nè la forza ed
i fulmini del lecon do ; avvicina e all’uno, e
àir altro $ oppure a niuno di loro veramente fo-'
miglia : partecipa d’ amendue j o per dir megUa
da ambedue egu^mence è divcrfo .
Dicefi ancora fiil fiorito e foave , perchè am-'
mette tutti gli ornamenti dell’ arte tutti i fiori
deir eloquenza , tutti li penfieri , e le immagini
pih brillanti y le pìb amene digrefiìodi ; ama ar-
monia nel numero' , e tutti li vezzi e le grazie
proprie delia lingua , cos^ che a guifa d’ tm limpi-
do fiume circondato all’ intorno' di verdeggianti
felye fcorre dolcemente è pienamente alletta (z).
viene egli in ufo nella Storia , ne’ difcorfi ac-
^demici i quali fono i libri degli OiHcj , della
Natura degli Dei» ed altri fimili di Cicerone; e
dovunque trattano argomenti le^iadri , c cercali
di dilettare Virgilio nella fua Ucorgica’ ci fora-
mlnifira un’ ottima idea di quello lliie mezzano •
' Nel-
MI" L _1 II L_ X ; " ^ ^ ^ \ •
co Eft inttrjetlas & iateriaedìus, & quali t'eftt'pe.
ritus , nec acumine poàcriorum, nec fulmine ure ts fuperio-
fnm , victnns amboram in neutro ezcellens, utriufqùe parti-
ceps, vel utMufque, fi. verum quaerimus^ pòtius expe.a. O-
rat. n aa. t 91. ad Heren. If^. 9.
ÓO' 1» <dei»sernus orationiV verborum’ cadunf lamina iw
■inia , liiulta fententiarùnr. . . .> Efi enim quoddaca Ke
infigne & fTorercenn'oratidntf piAum & expolicum genus, in
quo omnes verbdruin venerei , omuetrcatentìiltita} illlgantus
lepotes.< C$c,- Ì9Ì,J^int, XH, io, - -
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Xi4tX
Nelle Novelle DelTe del Boccaccio talora Te ne m'*''
contrano belliffitni efeQipi;^ma la di lui Fiaramet'
ta» e gli uffici del Cafa,..fipcome a me pare» pof-
fono fppra tutti i libri girgli Scrittori Italiani ferr
virci di norma in queficr genero drilile Le di lui
4oti particolari i come fi pub; comprendere chi fin
qui detto,'* fono una certa elegante 6«iìit4 ed u*
guaglianza (?) 4 per cni efib^ nulla animette di ri*
Cercato y nulla di firaniero ,* non che di baffo e
troppo' comune . , , - , ,
. Ci ferva d* efempio irf quello luogo il primo de’
Paradoffi' di Cicerone, che così romincia: Vereor
m eui vejìrum ex St 9 Ìcorum homtnum, dtfputatio-
ni bus non ex ima fenfti depronipta haù videatur
oratÌQ , Dienm tame» fentto; tT. dicarà bre-
vius y- queim res tanta dici pojfit j Nunquam mcr
bttcule ego ncque pecunias ijiorkm ^ ncque te^a m/f>^
gnijicoi ncque opes , ^ »e^«e imperia y ncque eas
qutbus maxime adJìriEli funt , voluptates in btmip
rebus 4 ^ (tut^ expetekdis effe duxi : quippe cum vi 4 er
rem y òanfmes rebus hh, circumfiuéntes , ea tafnen
deftderare minime % quibus abundàrent . Un altro
efempio ci verrà fomroinifirato da Virgilip nellq
Georgiche.
Protinus aerii mellis calejììa dona
Pxequar : hanc etiam , \Moecenas , adfptce
pattern • . . ,
Admiranda tibi lepiunt fpcElaculà rerum y
Magnanimofque dùcer y totiufque ordine genti s
JAotes ^ Jìudia Ò* populos & ptalia di-
* cam,
K 2 in
<'» ■■■ « • ' ■Ti— .^1 I . { ■ .i ■ l» !.
*
O) ts uao' ttfjiore', uf aiànt , fit dicendo fluir,’ aihit afle*
rene prct«r f!i«nitMein , 9t Équaiitaccin . de, im Brut.n.9t*
Quiot. JT/#, x*i ,
X t4» X
In tenui laèar \ ac tenuis non gloria ; fi quem
' Numina Ixva finunt , auditque vocatus jfpollo^
EkgantUfimo fi è il feguente luogo della Fiam-
metta del Boccaccio Lib.iy,num.ioi, O fortuna
aventevole nemica di ciafcun felice ^ e de mi fe-
ri ftngolare f per ama. Tu permutatrice de" regni y
e de' mondani caft adducitrice y foUievi^ y ed av-
valli colle due mani y ftccome il tuo indi fcreto giu-^
die io ti porge : e non contenta dì ejfere tutta d$
alcuno od in un cafo /’ cfalti , o in un altro il
deprimi y o dopo alla data felicità aggiungi agh
ànimi nuove cure . « - , r »•
Molti perb VI fono , i quali sforzandoli di con-
feguire un tal genere di ftilc , cadono in un vi-
2Ìofo gufto di compqrre', che fluttuante e feon-
neffo fi chiama (4), appunto perchè non ha veru-
na unione nè di membri, nè d’ incili, e palla da
una in un* altra cofa fenz’ ordine e grazia , quale
fi è r efempio feguente , che ci viene fomroiniftra-
ta dall’ Autor ad Erennio nel Lib. IV. ii. Soete
mjìri cum belligerare nobìfeum vellent y prof
ratiocinati èjfent etiam atque etiam , 9^*^ poff^t
facere , fi quidem fua fponte facerent , & non
berent hic adjutores multos malès homines
audaces. Solent enim diu cogitare omneSyqut ma-
jena negotia volunt agere &c. Bada foltanto
re un po’ di giudizio per intendere quanto ha
cattivo un tal genere di comporre ,
Duopo è ancora guardarli dal cadere m pueri-
lità affinchè volendo fcrivere con eleganza èd m
C4^ Qai in mediocre genue orationU
non poterunt , erraotes perveninnt ad confine ge-
nus eiuf generis, quod appellamos flafluans & difiblutam,
file^nervis’at arciculis flaauar bnc &
cermete , ncque vixililer fe U cxpediie. Jd
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' )( 149 X ^
Ait fiorito noa riufeiamo freddi, « e per eosì diftf
.infipidi nelle noftre fpofiziom * Or quello avviene
per quattro motivi, fecondo Arinotele nel Hf.
dell’ Arte Rettorica cap. 5. i* quando all’ufo de*
Greci voglionfi formar nomi comporti , p. e. pur-
purocoUr , ignifiolor^ mul ti facies , e fim.Ui^altri ,
che non co» facilmente dalla lingua hinn^.^fono
ricevuti * 2. adoperando frali e maniere di dire an*
• tiquate, come fe mortrar ci voìtiVmo fautori deil*
anticaglie , dice'»a AleflT. Taflbni . 3. per la trop-
pa unione d’epiteti olTia d’aggiunti, malTime fe
murili lìano , impropri, o troppo lunghi, p. e.
fe lì dicerte in profa, iì bianco latte umido fu-
dore , /’ amitonante Iddio , c fomigliantt altre fra-
li , a’ Poeti appena forfè copcelff . 4.^ Finalmente
per i traslari o inconvenienti , oecceiiRvi, o trop-
po ricercati , e rimoti , de' quali fpecialmeUte ao>
biam parlato, ove trattavart della metafora . ^
Non lì creda però, che di quelli tre generi di
flile Tono Ha da anteporli all’ altro; imperocché,
ficcome egli è chiaro , che uno rtelfo genere di di^
re non è fenrpre conveniente a tutte Te caufe 4 ad
ogni qualità d* uditori, nè a’ tutti i tempi- (G j
così dovrà miglior fempre riputarli quello flile ,
che a fuo tempo e luogo verrà adoperato , giac-
ché fe l’ ano per l’altro s* impiegafle , diverrebbe
fubito viziofo . Quindi è , che tanto 1 ’ Oratore ,
? [uanto il Poeta dee , fecondo la mifura della te-
a , che teffe , e la capaciti di ciafeheduno a (fo-
gnar la fua parte anche al mediocre , ed al buffo
K 3 per
Cs) Si qaidem p(rf|»iciiHm eft, non omni caufte , ntc and».
ne« tempori congmere orMioais unum genns. tlt. do
Crat. Q^uioam igitnr dicendi «fl modui melior . . ..^nun at
latine, ut piane, ut ornate,. ut id ^Hodeuteqat agetur a-
pte, congmenter^ duimus . rv»< ^ .
X 150 X ^ ,
ftr apTtrft il canìpo d' efprìmere o^»i affettò^ ó-
■jgni virtù , o£>ii vizio , o£ni ct^iume : sì perchè nor^
fi trae rnen diletto dal veder ben dipinte le^ ca-
panne^ i prefepj ) e i tugurj, che le battaglie y $
palagi y e le /pm X<^). Anzi Tullio coftantejnen-
te afferma che farebbe <ia xiifprczzarfi fornmamca-
te quell’ Oratore, il jouale poneffe ogni Audio ,
c folo s’ efcrcitaffe nel fublime , nè procuraffe
ancora poi di temperare lafua eloquenza col fram>
mifcbiarvi / e paffare a fuo tempò ai mediocre ,
ed ali’ infimo (7) ,
L* uno ililc diverfò è dall’ altro , fecondo Ermo-
gene per orto capi , per le fentenze cioè , per il
metodo ^ , per le parole , per le figure , per i mem^
òri y per la cpnnejjìone , per le aaufule , ,C per il
numero Per le lèn.tenze , perché una lleffa cola
con più nobili idee concepir fi deve , jed efpri me-
re , quando vogliali parlar in fili ' fubjime , che
non quandp voglia/ì efpOrre con fili infimo, o
mediocre. Per il metodo, perchè il fublime ri-
chiede una Antaffi tral'por.tata , certi voli di fan-
^tafia ed alcune cpAilozioni , che non fi devono
ufare nel mediocre ; e quello ancora ammette cer-
ti modi di favellare non permeili nello Ail infi-
mo , P,er le parole perchè nel magnifico ufar fi
devono termini grandiofi , nobili ed armonici ,
molti de’ quali non fi poffono adoperare nello llil
femplice, ficcome pure molte, che atte fono allo
fiil femplice non fi uferanno nel mediocre, e mol-
to meno nel magnifico. Per le figure, perchè ab*
‘ biam
• ■ I « I — -
èO!Bion> Crtteo, offia VÌDcrnzo Grdviaa Difcorf.
At lite quem prìpcipem ponimo*, gravis, acèr, ardm,
fS ad lioc uoum «il n^tas, ant in hoc fòTo fé exercuit , aut
iuic generi fludet uni, aec fuam' copiam cuoi illis duohug
^encrihas tempcravit , maxime cft cootettioeBdHi . fn Suttf
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..... i- .
«
■ KiSìt
J>iam già veAito , . che Io flil fcmplice riceve
foltanto le figure più comuni , e fatnigliari, e que-
lle ben di raro : il mediocre quelle folo che fer-
vono a dilettare : ed il magnifico per lo contra-
rio tutte r altre ancora, che più vivaci fono, ed
affettuofe. Per i membri ,^ perchè quelli ancora
più pieni , e più maefiofi fono in uno fiile , che
in un altro. Per la connefiìone, perchè nell’ in-
fimo le cofe efpongonfi con femplicità j con qual-
che artificio nel mediocre ; ma nel fublime poi i
fentimenti fono regolati , e congiunti infieme con
tutta l’arte. Per le claufule , perchè fe nel ma-
gnifico i membri, ed i periodi fi conchiudono in
modo grandiofo c veemente ; nel mediocre per lo
contrario folo fi ricerca grazia e dolcezza ; e nel
fcmplice una fincera c candida naturalezza . Per
il numero finalmente, perchè il magnifico in tut-
to il fuo feguito vuol efier pieno e maefiofo ; fo-
ave e grato ij mediocre; ed il fcmplice spiano e
dilicato . Virgilio , che tanto bene fcrifle in tutti
tre i generi d’ Eloquenza ci fomminifirerà efem-
pj , d’ onde meglio pqffiam ponofeere la differenza .
' SemphVe Egl. I,
i * V
O Melìboee p Deus nob'ts htec otta fecit ; -
Namque ent ille m 'tht femper Deus ^ illius aratif
Sape tener mjlris ab ov 'tltbus imbuet agnus.
Mediocre , Georg, III,
Jp/e caput tonfa foliis ornatus oliva
Dona feram . Jant nane folemnes ducere pompai
t/id delubra juvat , cafof^ue vìdere juvencos ,
Sublime. Encid. Vili,
Dìxerat , Herculea bicoìor cum populus umbra
V^lavitqHe comas ^folìi/gue innexa pependìt^
K 4 El^
%
» * «
by C- -Ogl
- X is »» X '
Kt facer impjevit dextram.fcyphus : \cyus em\ies
In menfam fati itbant , divofque precantur .
Semplice. Egl. V.
ExttnSlum nympha crudeli funere Daphntm
Fleùant : vos coryli tejles , ^flumìna nymphts .•
,Cum complexa fui corpus mi/er abile nati ^
\Atque Deos , atque ajìra vocat crudeli a mater •
*. Mediocre Georg.
Ipfe cava folans xgrum tejìudine amorem
T e dulcis conjux , te fola in littore fecum
Te veniente die, te decedente canebat.
Sublime Eneid. XF.
. ' At non Evandrum potis ejì vis ulla tenere :
Sed venti in medios , pheretro Pai lama repofto
Procubuit fuper, atque haret, lacrymanjque ,
gemenfqUe,
• Et via vtx tandem voci laxata dolore eji ,
.ARTICOLO IV.
Delle Proprietà Comuni dello Stile , e de' vh)
a quejie oppofii .
O^LTRE le doti e le proprietà particolari di cia-
fcun genere di Stile, ve n’hanno alcune, che a
tutti tre fono* comuni; e quelle fono, la Ghia-
rezza, la Brevità, la Probabilità, la Decenza
€ la Soavità (0. Ma ammonendoci l’Autore ad
Erennio, che ci guardiamo dal cader nc’pro/Cmi
vi-
.0) Communia autem fan! bccquinquaquafì lumina . dilit.
ciaam, br«ye, probabile, illaftrc, fnave. Orar. Partii, de*
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I
X isj X
rkì, mentre ci sforziamo di conferir Ic'viitiiì^ *
(2) i e delle noe,. e degli altri noi in feguitodi''
àintamente tratteremo (*) .
§. r.
^ I
Della ChtareTxuiM ,
La cìiiarezza , al dir d’ Ariftotile , ^ la prin-'
cipal dote d’ un ragionamento , perchè inatile fa-
rebbe il favellare , fé colla ofctirirà fì cercalfe di
non elTer i.ntefo . Chiaro pertanto efler deve il
noftro ftile tanto nel penfiero , quanto nell’ efpref-
fione , e neU* ordine .
Primieramente dunque chi parla o feri ve , deve
sforzarli di concepire idee chiare e diflìnte di quel-
le cofe , che vuole efporre , affinchè poffa tali ec-
citarle ancora in chi T afcolta o legge Le imma- '
gini fiano tolte da cofe a tutti’ note, acciò di leg-
gieri ciafeuno Te poflTa intendere c rapprefentarlc-
ìe alla mente . L’ efpreffione fia tale , che atta ve-
ramente lìa a fpiegarc le concepite idee, e nien-
te abbia di ftraoiero, d’ambiguo, d’ofeuro, co-
me di già n è detto al Cap, I, Fart, I, (3) . In
quan-
(O Ed autem cavendum « ne dum hxc {waera confeOanar
ia fìaitima, & propinqua vitia veniamu*. IV. io. ad Her.
C*) PreiTo i Greci fpeciaimtnt* v* erano dne generi di Stile
fra loro oppofti . L’ano diceafi Laconico per la Tua brpviti,
edendo proprio 'de* Spartani di efprimer molte cofe eoa po-
chi termini. L’altro chiamavafì Afìatico, e di quello cosi
fcrive Tullio nel Bruto. Apud alias auttm O* afiatìeos ma-
xima numero ferviantes , ineulppta raptrias inania quadam
•verha^ quafi complimenta nameromm,
.0) Oilucidum fit ttiitatis verbic, propriit, difpofitii. aat
circumTcriptione conclura, ant interraiflione , aut commiffio-
ne verborum . Cie. Orat.Partit. ACequi poCumutf ut ea quai
dicamus , '«ntelltgantnr, latine fcilicet dicendo, verbi* unta,
tic , ac proprie demonilrantibus et , qua* fignificari ac decUrn-
ti
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' X 154 X
iqoàato 'airoT(finc poi daopo è thè fi pèfnSètti tut-
to quclio . che pub cflere oeceflario a ben inreo*
der la cola , di cui lì tratta ; che non fi conti-
nuino più del dovere ^ lungo i periodi , nè le fi-
militudini , 1’ allegorie , e le digreflìoni r che non
lì fpezzino ed iotcrrompauo i fentimeuti ; e che
per ultimo lì confervi la ferie de’ tempi , e dei
luoghi i fi diftipguano le perfone , e talora anche
àlcurte cofe lì ripetano , fé y’ ha motivo di teme-
re di non elTer 'bra intefi , \
Viziofo per tanto farà il noflro flile non folo
fe diremo meno, ma anche di più del dovere; È
però coloro, i quali per sfuggire l’ofcurità infe-
rifcono ne’ loro difcorfi certe minute circoHanze,
che nulla importa , che lì fappiano , o che di leg-
gieri s’ intendono j che ripetono mille volte le
Iteffc cofe ; fhe perturbano’ tutto l’ordine de*
loro difcorfi , o che li troncano tutto ad un trat-
to per far qualche digrelfione, cadono in uno de-
gli eilremi y e mentre cercano d’ eflere chiari , lì
rendono vieppiù ofcuri ; e fiudiandofi d’efler inte-
fi , parlano in maniera , che nilTuno gli intende ,
J. ir,
f)elìa Brevità ,
La brevità o precifione confifie in non dire più
del bifogno (i). Anche in un lungo e prolifid
di-
■ l i M . ■ I ... ■ . ■ , , . J . I —
ti volenus fiae ambiguo verbo, aut fennone ^ non nimit
longa cootinuatione verborum , nop valde produAit tis , quae
ènilitiidiaia caufa ex alHg rebus transferuntur , non dtfcerpti$
fenteatiis, non proepoflcris temporibus , non confufis perfonif^
Bon perturbato ordine . Dt Of^t- 11j.
Ct) Nos autem brevitatem in hoc pontmus, non ut ttiaUS,
f«d ne ptds 4icftt«r , ofortrét . tf\ a. ~
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X 155 X
4 ifcorfo, pertanto pub effervi quefta dote, quando
nulla lìavi di fuperfluo , e d’ inutile . £ non fo-
lo dobbiam' suardarci dal ripetere inutilrnente. le
fteffe cofe , e dall’ inferire nc’ nollri ragionamenti
quelle circoHanze , che agevolmente fi rilevano
dal reftante del difcotfb (i) , jtomc jgìà fi 4 det-
to ; ma i periodi ftèflS' via- di gtìwptd/ , e di
participi in tal maniera fi cóftruiramitJV che bre-
vemente e quali in un fol punto molte
(pieghino fott’ occhio . . '
Nello fteflb tempo però , che il difeorfo devi
cflcrc precifo non dee lafciat d’ elFer elegante ed
ornato ; e quello fi può ottenere quando non gK
manchino tutte quelle grazie, che aeceifarie fono
per metter la cofa nel fuo migliore afpettoi ^ quan-
do fia conforme alle leggi ed al' buon jgufto dellà
lingua , in cui fi fcriwe ó fi parla (5). Sono pei^
ciò da biafimarfi non men coloro , che yoJfeKdb
^adoperare la preci fipne , fu p pongono , che il tut-
to fi .fotti ritenda , e fcriyopo con uno ftile cOsl a-
rido , concilo e rillretto, che a gran llentoi lo-
ro enigmi fi poflbno interpretare j ed il piii delle
Volte anzi non fono affatto inteli,; che quelli al-
tri , i quali per conlègnire 1’ .eleganza , cadono ih
puerilità , dimorandoli in ornahienn fuperfloi, ò
in fvolgère.in varie maniere la flelft idei, perchè
fembri moltiplicata, confiftendo la vera eltóanzà
in 'Una copiofità ben condotta, ed in una laggia
dillribuzione de’ termini e de’ fentimenti (4) .
/ . 5.IIL
■ I ■■ . n . s - '-»
CO Br«vitas antem cdnficitur fìihpllclbtis verbis, femél
nnaquaquc ra dicanda , 'nulli rei, nifi Ut dlltfcide diclts, fer.
triando . C/e. Orat. Partit.
CO Q,uantain opus èli autein , non ita folbm iccìpi volo ,
quantum ad iudicandum Aifircit, quia noti inornata deb<C
jrfie bravitas, alioqui fit tndoUa. ^uint. tP'. a.
CO Eer bene Tcnvcio dicca Toiiio, bifognl prtmaaverbuod
- giur
1
X IS<5 X
r ■■ ■ §. Iir. ' . '
.1 \
Delia ProèaSilità •
Probabile, dice Tallio^ farà il no/lro dllcor'-
fo, quando abbellito non venga con foverchio
{ludio , ed artificio , , ma tutte le parole abbiano
il loro pefo ed autorità , né alcuna ve n' abbia
che dir fi pofifa inutile; ed allorché finalmente
tutto lo fiile fia conforme al carattere ed al pen>
ftr di coloro, che vogliamo rapprefentare (^ 5 ) .
Quello adunque , che chiamavafi dai latini genuf
■ fmptex , ftncerum , natiyum , cand'tdum^ inpenuum^
e che da noi Italiani dicefi naturalezTMy oevefiri-
V trovare non folo nello fiil tenue , ma ancora nel
\ 'mediocre, e nel fublime; e quella confilie in una
certa libera e femplice fpofizionc delle cofe , per
cui il difcorfo non fembra in alcun modo fiudia>
to, ma-fcorgefi, che il penficro nato é veramen-
te dal fo^getto , e che le parole fon venute fpon-
taneamente fui labbro {6) . La naturalezza in
fomma^dà un certo colorito al parlare, per cui,
fecondo la natura ed il carattere della perfona c
dell* affetto , che fi rapprelenta , ciafcuno fi per-
fuade, che in una taroccafione detto avrebbe lo
fieffo . Ella fa , che ciafcuno parli il proprio lin-
guaggio ; nel che bifogna imitare i pittori , i quali
fin-
giiulizto.* Dicere bene ntmo potejl^ nifi ^ui prudenter intel-
ligit . In Brut, altrimenti ci (neritiftm ciò che dice Sali uiTi»
di Catilina: mujtwm io^uentia^ fapientie parum.
Cs) Probabile autem gcnut cS oratLonis , fi non BÌmia eil
comptum atqae ekpolifum; fi eft autloritas & pondus inveì,
bie; fi Tententis vel graves,.vcl apt« opiniooibas hominunt
moribus. Cic. Orai* Panie.
CO Quefio proviene dal Taperfi ben inveftir degli afiett) ,
e dei vero carattere delle perfone... ‘ . ^
I
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X 157 X
fingono le Najadi coronate di perle, e di corali,
le paftorelle di fiori , le baccanti di pampini , U-
rania di ftelle ; a tutte compartendo i loroparti-
Qolari ornamenti . Per la qual cola ridicolo fareb-
be , fe un pallore , che vifie mai Tempre fra le
greggi e gli ovili parlaflc d’ arme e di magnifiche
reggie, non meno che fe ùn principe ed un guer-
riero parlaflTero d'aratri, e di armenti; o fe il
primo ufalfe eleganza di frale , e mollrafiTe un a-
nimo ed un penfar da eroe con grande ellenfione
di cognizioni , e di dottrina , quando il fecondo
al contrario piu dotto non apparilfe d’ un bifol-
co , e niente diverfo da qualunque altro del voi-
Decenza noi chiameremo quella dote del difcor-'
fo , che da Cicerone fu chiamata /7/«/?r/V,la qua-'
le qoafifle nello fcegliere le fràfi, le Figure, i Tra-^
siati j e nell* adornare in fomma il nollro difcor-
fo di tutti quei lumi , che fecondo la di^erfa na-'
tura dello ftile polTono meglio convenire per ef-
primere , e porre fott* occhio quello , che defide-
riamo (i) • Nel che però evitar bifogna il coHu-
Cz) Perciò anche Orazio nell’arte poetica dice.*
Jnttrtrh muttum Davut nt loquatuty an berot,
Maturuftu fsntx ^ an adbue fiorenti juventa
Fervidus ; an matrona potens y an/edula nutria ; .
Mereator ne vaguSy cultor an virentis agetti l
Cotchus y an Ajjìruty Thtbis nutritut y 'an ^rgis .
(O lilaRrit autetn oratio eli , (ì & verba gravitate deleAa^
ponuntur, ac translata & fupcrlata, & ad nomen ad)un£la &
duplicata, bc idem lìgoificantia , atque ab ipfa a£lione atquc
ianitatione ceram non abhorreotia . £fl eoim h«c pars oratio-
bà$, qw» rtny conftitaat pene ante ocalos. CiV. Qtat.Fdrtit.
go ( 7 )
'S:-
§. IV.
Della Decenza
me
X IS8 X'
me di cert’uni,' i quali dovendo fcrivere alcuna'
cofa , pcnfano di confeguir quella dote, fe a (len-
to v’introducono tutte quante mai fono le Figu-
re e le bellezze Oratorie . Colloro non fanno,
che può effer illullre anche lo llile più femplice
in bocca di un paftorello / qualora vada adorno
di quelle figure ed‘ abbellimenti , che alla di lui
natura,- ed" all! di lui afiTetci fi convengono : e che
rìOTi può dirli illuftre e decente qirello' llile , in
^lii fi comprende dello (lento e dell’ aflTettazione .
' La Decenza in oltre c’ìnfegna ad efporrò le co-
fe in guifa che non difconvengono nè a. chi par-
ia ,• nè a' chi afcqlta fceglieridofi fol tanto quello,
che degno è di piacere, ed evitando tutto' ciò che
può offendere e ripugnare ( 2 ) . Quando per tanto
baffi y- per cagioir d’ efempio , a parlar d’ una pia-
ga , quella fia viva, fe d’ un cadavere, quelio’fia
' livido ed’ infangtìiilat’o ; ma nulla più ,• perchè 1*
iramaginaziorìe ributta tutto ciò che farebbe (afti-
dio alli fenfi,-e maffime all’odorato (s).- flTaf-
fo’ perciò faggiamente dice ,> che dee /cellière il
poeta cofe gntùjjxme alla vijla ed agli diri ' fen~
fi-; e fphivar quelle cofe ^ che fono f piacevoli ai
alcun di loro y come dovea far Dante , il quale
chiarhandó il Sole-, lucerna del mondo y ci fé* guafi
fentir /’ odor dell* olio (*) .
Nè folo la decenza vuole,- che in un erudito-
ragionamento noa abbian luogo cofe fordide , ed
igno-
■ t f> . I ' I II n - l • I I T I - I. I. _ II -
co o^ni parte oratioBìs, ut' vitv quid dece»t eif con.
fiderandura . Quod & in re , de qu^ aeltur, pofìtum eSì &
in perronts-& eorutn , qui dicunt, & eorum qui audiunt .
Cie. in Brut
(}) M. Mamibnter. Caf , 9: Ppetif"- sfp Qjtaù Uff, Ih
59. < 5 o. jpurnr. 3.
CO Véj. etiche il Caf> oel fiip Caljjfep cep. ZXU,
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. . . ^ X
ignobili pcnficri C4); ma anche le parole umili'
tuttoché onelte , quando raaillme fuor di luogo
fon collocate , rendono viziofo c men illuftre lo
itile; Longino perciò riprende la defcrizionc del
paflaggio, che fece. per l'.Egirta il Re della Per-
lia j efpolta da T* eopompo j- il quale fenza verun
ordine o fcclta di cole coll’ annumerare i doni-da
que’ popoli giulia il cOltume al monarca prefenta-
ti, incoihincia dalle biade, e dalli frutti ; indi
parta alla porpora , alle preziofe verti : poi all’
oro, alle tazze, alle-gemme; quindi alle armi ,
ai giumenti , e finalmente ai Tacchi , all’ otri , ed
altre fimili cole , per cui in mezzo alle ricchez-
ze ^ ai telori ,' e ad un magnifico apparata ci da
un immagine di cucina ; Duopo/fera dunque , dice
lo ItcITo Longino , dalle cofe picciole ed umHi paf-
iare alle pm grandi , e magnifiche : né tutte fe
cole devonfi enumerare, e pofre fott’ occhio ; ma
quelle foltanto, che degne fono d’dfer confiderà-
te, ad imitazione della natura,* la quale vuole,
che quelle parti, che onellamente nominai- non fi
pollono ,• rtiano anche òcculte , e nafcofe «
«
Ciafcun genere di rtile deve ancora avere la fua
particolare armonia; la quale ficcome abbiam det-
to ^ nella /. Cap. I. rta riporta nella fcelta, e
nella doliocazione delle parole in guila che quelle
atte fiano a manifcrtar le nortre idee ,• e foavemen--’
te
honefla quid«m patfora fem{>cr. atefordu
a/s umquam la oratione erudita iocut . J2»fnr, t'Ul. 3.
X 1^0 X
te l’una all’altra, c con grafia fi luccedano(i).
Di ^uefta proprietà importa ntifiìma , e che forma
il piu bel carattere d’ uno fcrittore , dnopo è par-
lare un po' pih diffuramente.,
. Armonia cbiamafì quell' allettamento , che Tu*
dito ricerca in ogni genere di Itile, fenza del
quaie s' annoia , fugge , ed abborrifce qualunque
l^nchè erudito difcorfo*. Due pertanto lo.no le co-
fe, che adefcano il noftro orecchio , a parere di
Cicerone, ii Suono cioè ed il Numero (2). /
In quanto al fuono due eofe fi pofibno conl>
deràre : i. il tuono delie filiate in fé e nella lo-
ro pronuncia ; 2. il rapporto che ha un tal tuo-
no coir idea da quel vocabolo nella mente ecci-
tata .
I. Quanto al tuono delle Sillabe in fe dunque
rifletter dobbiamo, che non tutte le vocali han-
no un egnal Tuono ; e che alcune fono più atte a
cofe grandi , altre a cofe tenui e delicate. Le vo-
cali a ed i producendo un Tuono Toave e dolce ,
Virgilio a bello Audio le impiegò ne’Teguenti verfi :
MoUia ìuteola pmgtt vactnia caìtha .
^ JÌlbs rofa^ tafes virgo dabat ore colores ,
t • . vii mixta rubent ubi lilia multa,
\
Ed il Petrar^ CCd incomincia il Tuo divin Can-
zoniere ; ■
. Voi
(i) Suave auten genui erit dicendi, prìmum elegaatù &
jucunditatc verborutn fonantium & ieaium; detode con|un«
Afone, qasB neque afperos habeac coacurfus, aeque disjun-
Aos atque hiantes; & fit circumreripta nati longo atnfraAu ,
5 èd ad fpi ritma vocis apto. Cie. Orat. Parti». ^»g. Pan. /.
^Mp. J. Art. a. §. 3.
CO.btt» Tuat m, qu» permnlceot «ares, fonus & name.
n» < Bnu,.
\
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X X
'Voi che' afcoltate in rime fparfe il /nono
^ Di^ quei fofpiriy onci* io noariva il corcy ec.
La e rende un fuorro mezzano; ma l’ altre due o ed
u per lo contrario hanno un mono pieno grandiofo
c tetro; c però altrove lo ftelTo Virgilio diffe:
Vox quoque per lucos vulgo exaudita filentes,
LuElantes ventos ^ tempejìatefque fonoras.
Ed il Petrarca:.
.0 /’ onda che C ariddi ajforbe > e mefce .
£ minabilmente il Cafa ; '
O fanno , o della quieta umida ^ ombrofa
Notte placido figlio , ec,
' Quello poi, che diciam delle vocali, lì può an-
cora oflTervare nelle confonanti, delle quali alcune,
fono piò dolci , altre piò afpre , e da cui molto
pende il tuono fteflfb delle fiìlabe .
' L' armonia dunque , che noi ricerchiamo, vuole,
che nella fcelta delle parole ufìam Tempre quelle ,
che fono comporte di fillabe, le quali rendano ui^
tuono corrilpondente alla natura della cofa, di cu!
trattiamo . i Poeti fpecialrriente , dice Vincenzo
Gravina, hanno fatto del numero ^ e della locuzione
quel governai che è flatd phì convenevole alle cofe\
Jpiegandofi e variandofi con la locuzione e con /’ ar-
monia fecondo lo fpirtto , e la natura di quello ,
che efprimevano : onde^ ficcarne radono il fuolo nel-
le cofe baffe , e nelle mediocri poco in alto fi leva-
no i così quando poggiano a f oggetto fublime , non
è volo , che il raggiunga * di modo che tuonan col
metro , e lampeggiano con le parole , Ed in que-
ftp veder polliamo agevolmente quanto forte giudi-
ziofo Virgilio dal cit, verlb Luùantef ventos 6(.c, ^
perchè avendo 'egli prima detto imperio premiti
potca fembrar piò a proportto 1’ epiteto tebelles ,
Giatd, Ehm, T. I. ' L op-
(T
\:
)•
L
X 162 X
oppure mhàceSf ouando T armonia della vocale a
non P avcfTc conugliato a preferire piuctollo la
parola fomras,
■ 2é I vocaboli effendo flati ritrovati a fine ò' efpri-
rtierc 1 e comunicare agli altri le noflre idee , e
da quelle in certa guifa efTeodo flati ricavati , mi-
gliori Tempre fi riputeranno quelli , che nel loro
ifuono hanno un fenfìbile rapporto o fìmilitudine
cogli oggetti , che vengono a rappreferitare (3) ,
Ecco perciò di quali parole usò T incomparabile
Virgilio, allorché parlando degli abifTì, vpUe de«
fcriverci lo flrepitoy che ivi facevano i dannati :
Hhc exaudiri gemnuS fava fonare
Ver ber a .* tum firidor ferri traSaque catena *■
Oflcrvate adeffo l’ Idra , che apre fé fue fpaven-^
tevoli xannef
QjiinquagirU'a atris immani t hiatibus hjtdra ,>r.- •
E poi volgetevi ad afeoftare Enea ^ che fra l’ ot^
tùt della notte chiama la fmarrita fua Creufa :
Aufui ^ttin eùam voces faElare' per umbras
Implevt clameft vias^ masjlufque Creufarn
Nequicquam èngeminans iterumque ^ iterumque'
vacavi ^
'£ non vi par forfè, che il tuono folo delle pa»
role vi ponga fott’ occhio in certo modo gli og-
getti medefìmi ì Lo fleflb dite del fremito <fel ma-
re , dello flridor d’ una fega , c del fuono d^ una-
tromba, per erprimere le quali cofe difle eccel-
lentemente Io fleflb poeta : . ^ '
ÙéH-
Cs) Rtiiiis «trocibu vfrbt ttiaa ipfo ndica migis
coovwiiBni . Qfiat. Fìlt, j.
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X tS3 X
Convttlfum remhf ro/ìris flrìdentiòtts aàuor r
T um hrrt rigor y ataue arguts lamina ferra ,
Exttfht y O* rauco flrepuerunt xomua cantu ,
il cbe fu felicemente imitato dal Taflb nd
XVrf della Gerufalemme,* ove dice :
rauco fuon della tari are a tromba
Treman le fpaftof e atre caverne.
I^r confeguif qucft* armonìa , di cui parliamo a
bella porta talvolta' fi fanno fuccedere delle dirti
le quali ritardano il corfa alle parole , e rendono
ia cofa più afpra o fpaventevole (4^ , Cosi Vir-
gilio diffe del gigantt Polifemo :
Morfìrum horrendum y informe y ingens y cc.
£d il Taflb parlando di Cerbero :
Gli occhi ha vermigli , e la barba unta ed atra «
E per lo contrario talora a bello Audio s’unifcono
molte fillabe brevi,- c fi sfugge ogni incontro di
vocali per quanto è pofllìbile per dinotare la velo-
cità di qualche cofa con la fterta rapidità del vcr-
fo . Eccone gli efewpj cavati da Virgilio :
Qpàdrupedante' putrem fonitu qnatit ' ungula
etmpum .
illa l evem fugiens rapìdis fecat athera pennis .
Vaicy agty nate ^ voca tephpros y & Ubere
pènnie.^ /
Chiunque per tanto vorrà fcriveré con giudizio,
e cònfeguire la vera armonìa di Tuono , tanto nel-
la profa, quanto nel verfo dovrà procurare non
E ^ Ib-
^ -'-i .
i
acco^^àmJa , «t «T^rlsfirMros ét-
lan» nurtérM àdhWl opèrtm^ ««me «qu« ^àd/en-
t«n et^OTttfnre , Qpmt, /A". 4.
^ I r.^0\utre ane’ vocaboli , che .più farjnno
elOTrifwndenti allefue idee; "ja avrà cu-
acconci e ,• in mamera tale, che il
IX-'t ftcfl-0 ad eccitare c uiuovcrc quell’afa
fom Jj"^’™^”^feona ' che T udito noftro è
natura ft^ffa ce a’rmonìa , che nafee da
portato a ricerca t} j m narolè * fenzala qua-
Sn’ ottima ; ?endmenti, T uditore
le, Ora quatta
s’ annoia c prello laicw a a ^ gonfegpir. tut-
tunque’ non VI fia » d’ una
-to quello» ,„rXn- ed'aver óttenuto
‘"'^’Tnifuri'®dìfpXfcM- pure .rarte.;,.,?
una ancora ooflono contribuire . ,
r «ferculo m^tq artcc^ .f^ tant’ altri moftraronò
Cicerone , Vir confeguif
HrC ottima , ma i^roppp . ^ è quella «li regolar
. r armonia fAgn'i dattm
la prqfa con le Itelle ^ ci ferviamo nel na-
e degli altri ’niaéllro pertanto' Cara lo
mero poetico. Il • feriamente devonfi
feffo Cicerone , d, J’ itupr™^',
\fnoftra m”me il ’ou’limro eda pienezza de Ao.
nt qu»dre«. Qu$nt.lX.^ .»-
X »«5 X
f
periodi , e d’ avvezzare 1’ udirò noftro alla di ló-
ro armoniofa cadenza . Imperocché , al dire dei-
lo ftellb Tullio, non v’ha giudice più dperto in
quelle cofe, quanto l’orecchio, il quale fubito
$’ accorge, fé qualche cofa vi manca o fovrabbon-
da (’) ; ed il petto del dicitore deve dar legge
alla mifura del periodo, perchè non folo farebbe
cofa difdicevole, fe gii mancafle lo fpirito e la
Jena , ma ancora fe gli fovrabbondalTe (2) . Av-
vezzati così alla lettura di Cicerone fenza (lento
c fatica troveremo il modo di terminare i nollri
periodi con varietà e con armonia per non atte-
diare gli afcoltanti o con la llelfa cantilena, 0 con
una ingrata union di parole (9). Da elfo appren-
deremo a conchiudere i periodi ora in modo più
dolce , e foave , ora in modo piu grave e mae-
flofo (fecondo le varie materie , che avremo a trat-
tare {*) ; e fenza fatica fapremo formare un pe-
riodo foave e numerofo , mifurandone col folo
orecchio perfettamente la cadenza , e comprenden-
L 3 do
C*) Mec qnideiti aures & perfr£Jo completo^ne 'verbortiln
ambicu «audenr^ & curca^ fentiant, nec amant redundantia.
Cic. in Bruto . Opcitne judicanc aures , quae & piena fenttunc ,
&paruni expleta deTìderant , & fragofìs offend.untur, & lenibus
nulcentur, & contortis excitantar ttàbilia proBant , «lauda
deprehendunt, redundantia & nimia faliidiunt . Quinta tX. 4.
Ca^ Aures ipfae quid plenum, quid inane (rt judicant : &
fpiritu, quali necelfìtate aliqua , verborum comprehenlio ter-
nunatur ; in quo non modo defici , fed etiam;Jaborare turpe
eli . Cic. ivi . ' .
C3) Sjtint. Lib.II. Cap.I. Lii.T.ì^. Vegi'Part. I. Cap, i.
Art. a. 3. Sunt enHn claurulai plures, .qu* nunerofe & i».
cunde cadunt. Cic, in Brut.
C*} Tum gravcs fumut, rum rubtile^.tuirt medium quid-
dam tenemus : lìc infiitntam nofiram jntentiani Tequitur o-
rationis genus. Dt Orai. III. 177 Qtnv^ JX. 4. Idem crebrre*
^eri non oportet. Priroum enim nudierus cógnofcitur , deii>
die fatiate poOtfa. cognUa iiicilitatd.coMeaiaitar. ImBnttf*
n .
x«^^x
4q fubito, ft'tkuBa cofa
vero farà fuj)crflua. Tj^ts tji S te tU a ^ quam muf--
tis undiaui fin 8 am pertf»lh , ^ non
Jèd condii celéritgH exphcavtt^ diffe M. Tullio
n ima delle fuc Orazioni ; ma quantunque potef-
it fembrar meglio detto , pure offerva
A* Gellio, che Cicerone amb piuttofto di dire
0xpìieavh y perché il periodo non foffe mancante
nell’ armonia (4K ' > r ■ rr •
Ma contuttoché quena nuracrofità faa neceliaria
in tutto il còntelte del periodo , devefi nulla di
meno con maggior cura ricercare fui principio e
nel fine , perchè allora 1’ uditore è più attento ,
t le paròle rdiano nel di lui animo più altamen-
te impreffe (5) Guardiamoci però , come altrove
abbiam detto, dal numero poetico , il quale fareb-
be un grayiflìroo ' vizio fe dà un Qratore anche
in minima parte fblcanto imitaflTc'Cd) .
2.' Finora abbiam parlato di quell armonìa» che
propriamente non ha altro fine, che il piacer dell
udito; ma ve n’ha d’un altro genere, per cui l
Oratore fpecialrocnte non »uto cerca di aggiunger
grazia , quanto di dar forza al fuo difeorfo (?) •
(a) N9O. Attit. ^ib. I. «. 7.
Xl) Cam «urei txneoium Temper e*peS««t . ìb eoque acquie-
fcaat, id vacare namero non pportec, fed ad huoc exitum t**
piea a principio ferre debet verboram illa comprehenfio, « to*
iz a capite ita fluere, ut ad extrpmuni venieas ipla coofiflat .
Cit.inBrut. |n'pmni quidèni torpore totoqué, ut |ta djxe-
lim , itaftu'numifris inferra «ft compofitio . Magis tamen deude.
raturin cianfuii*. Qji»niJX.4. Prcxipiam claufulisdjligentiam
pollulant jnitia’; nam & ad 'hxc iutentus auditor en.
C<)^Ìpfa éoHocatió , coaformatioque verborutn pernator in
fcribeado, non' poetico, fed quodam Oratorio numero «mo-
do. D« €hra$. I. I. Verfu* enim in oratieoe fi ««cilur , vi-
tiuB ed. ivi» Ltb. III.' \ ^ .
Sed & v«rborum ili flruflura q««d*m duasres cBcieHSi
^ X 167 X -
Queda oonfide nel difporre le narole in tal ma-
niera, che i« ultime (empre accrefcano forza alle
precedenti , e facciano che il parlare in certa gui-
fa vada crefcendo nel fuo vigore. Per efla alcune
voci fi trafportano tal volta in fine dei periodi ,
dove fors’ anche_ malamente fembrano collocate,
folo perchè ferifeano, e s’ imprimano più altamen-
te nel cuore di quelli , che ci altoltano . Quanto
necelfario fia e degno da confiderarfi ancora que-
fio genere di numero , ben fi può comprendere
dai leguenti efemp) di Cicerone .
Nella fettima Orazione contro di Verre deferi-
vendo egli un apparato di giufiizia, dice; Aderat
janjtor carceris , carnìfex Prxtorìs , mors , terrorqut
/ociorum, & c/v/um Romanoriim^ LìElor S extìus ,
Bada foto efaminare attentamente ad una ad una
tutte quede parole per vedere, quanto colla loro
afprezza rendano anche orribile l’idea d’un così
trido e fpaventevole apparato , che va crefcendo di
grado in grado. Quanto bene poi quelle parole,
ZiHor Sexttus fono collocate in fine, per metter
fott’ occhio colui , ch’eder dovea l’elecutore della
fatale fentenza . E nella Filippica feconda così fcri-
ve: Tu ijìts faucibus^ ijìtsìatertbus^ ìjìa ^ladta~
torta totìus corports firmitate ^ tantum vini tn Htp-
pix nuptiis exhauferas y ut tipi necefje effet in Pop»
Rom. con fpeElu vomere pofiridie . Si trafporti , dice
Quintiliano^ qued’ ultima parola in altro luogo, e
perderà ogni fuo vigore, perché ella é come la pun-
ta del dardo, la quale ferifee, e reda confitta nel
cuore degli aicoltanci . Udiamo in fatti la cofa me-
L 4 glio
aumefiun gt Iroitdtem; & renteatia Tuani compofitioDem ha-
bene ad prob^odaaa reio ac«onuDoda(uta ordiaen . Ci(. dt Opf»
^cn. orar.
X X
.qlio rpiegata dallo ftefTo Cicerone: 0 rem mn mò-
do vi fu fatdam, fed etiam audlni(S). Si hoc tibi
i riter cceriam in tuis imm ani bus ■illi s peculi s acci di f-
fet , ijuis non turpe ducerei ì In ccetu vero Pop. Rom.
'negotium publicum gerens ^ magijler etjuitum^ cut
rubare turpe ef)et , is Vomens frufìis efculentis ,
vìnum redolentibus gremittm fuum 0 “ totum tri-
bunal implevit .* Non folo ella fu cofa ofeena e
turpe 1’ aver vomitato , e vomitato in una adu-
nanza , ed àdunanza di popolo Romano in tem-
po, che trattavafi di publico affare,' elTendo egli
in dignità collituito; ma quello, che lo rende viep-
più odiofo fi è r aver egli , che dotato era d’ una
robuficzza di corpo pari a quella d’ un gladiato-
re, vomitato tre giorni dopo, pojìridie {*) .
A quello genere d’ armonia poffono ancora ap-
partenere que’ verfi che a bella polla da Virgi-
lio furono terminati con un monofillabo :
ruit oceano nox .
procumbit humi bos .
nafeetur exiguus mus .
ed altri limili , a’ quali la chiufa d’ nna fola filla-
ba aggiunge una grazia, che non può abballanza
cfTere fpiegata (9),
AU •
S* avvide forfè, dice il RoIIfn, in quefto luogo Cice-
rone , che egli veniva a parlar meno decentemente ; e però
volle prevenir l’animo degli afcoltantr con una efclamazio-
aCf'febbene per l’uTo de’ vomitor), che in que’ tempi pren*
devanli dopo il palio, tal cofa potea fembrar meno ofeena
a* Romani : laonde vedefì che dopo Cicerone a bella polla
lèmbra che cerchi d’ ingrandirla .
CO Veggali Qjtint, Lib. yiU. cap. 4. delle Rtth.
CO Epitheton exiguum aptum proprium , enecit , ne plus
expedlaremus , & cafus fìngularis magra decurt , & clanfuli
iplt unins filfnbz non alitata dedit gratiaia . è oJTtr-
va^one di ilftinu Lib, mi. e. 3 . ■ >
*
. oc X
Alcuni pcft» vi fono , i quali ftudiandiofi di fà-
«vcllare , o di feri vere nunnerofamentc, non curan
altro, che le parole , e vertono i propri fentimenti
d* un abito così vano , ed inutile , che non fanno
più veruna imprelfione nell’ animo di chi gli afcol-
ta (*) . Abbiafi pur cura della elocuzione , dice
Fabio, ma ricordiamoci, che nulla devei dire in
grazia delle^ parole, perchè le parole rteffe non per
altro furono ritrovate , che per efprimere i con-
cepiti penfieri (lò). M^lio farà dunque l’ erter
^fpro , duro , e privo affatto d’armonia nel nortro
difeorfo, piuttofto che ufare uno (file molle, effe-
minato, o cadere in rtucchevoli fuperfluità (ii);
imperocché la principal cura , che aver fi deve , a
parere dello (hdTo Quintiliano , fi è di fórey che il
numero non fembri nè ricercato, nè sforzato, ..ma
che fpontaneamente , e di fua natura apparifea ,
efler egli venuto in feguito alle parole C12). La
troppa cura nella fcelta de’ vocaboli difatti de-
roga agli affetti, e dovunque fi feorge artificio ,
manca fubito 1’ afpetto di verità (15). ^ '
Fiflb dunque fiiaci in mente quel faggio avvifo
del celebre Vincenzo Gravina, il quale ci aflìcu-
ra , che /’ Eloquenza non puh fiorire fe non qttan-
do e pvtfieri , e negli abbellimenti delle paro-
le y
Q^orumdam éloctttio re« iptas efteminat, quacillover-
borum habitu veftiuntur. Quint. Proettt. Lib.yill.^ ' j
Ciò) $it cura elocutionis quam maxima, dura feiamus ta.
men , nihil verborum caufa edie faciendum, cum verba ip(z
rcrurn gratia fint reperta . Quint. in protm. Lib. f'Ilt, ^ e lib.
XIT. e. IO.
Cn) In univerfum duram potius atque afperam compofìtioarm
fìialim e<T«, quam effeminatara & enervrm. Q^tint. IX. 4.
CiO Dfflìmulatio curar prarctpua, ut numeri fponte fluxiSe ,
nec accerfiti & coaéli effe videantur . Quint. Lib. TX. in fin.
(13) Càm cura verboruiS deroget affeftibus, & nbicumqut
;tfs offendatur, veritas abtffs videatur. Qjtint, ÌT,i taf. f-.,i
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X 170 X
/#, t mW armonìa 4^/ numera gli Orgtari fieguo’
ito la natura ed a Iti fi conformano ; imperocché^
dice , fa vogliamo affaticar la mente con fùt^
tiglìexxa d' invenzione , e far pompa di belle paro--
l§y e di fcel fa armonia nel nofiro difeorfo così che
vengafi ad efiingaere la fomiglianza 'della natu^
fa ; allora in luogo della vera elt^uenza fuccede-
fà una verbafa fuperftuità peggiore della fleffa
barbarie .
^ A P Q IL
Della ImitaTÙone f
In qoèila guifa, dice Quintiliano , che i tnund,
i pittori, ed i contadini, avvegnaché fappiano le
regole deli’ arte fua , ppre lì studiano di feguir i’
efempio de* propri roacllri , per fa perle a tempo
adoperare ; p (Quelli procurano d* imitarne le va-
rie infleirioni di voce, quelli le polìzioni ed at-
' teggiamenti delle figure, e quelli altri finalmente
•lo fperimentaeo modo di coltivare la terra ; cos;
ancora^ neir arte di ben parlare, dopo d’aver ap-
I ircfo i precetti , bjfogna attendere ad imitar co-
oro , che retto ufo avendone fatto , confeguironQ
il fine , che eranfi proporto (t),
L* imitazione pertanto , fecondo l’ Autore ad E-
rennio . conrtrte nell’ applicarrt con ogni rtudio e
cura a divenir fìmili nello rcrìvere>o nel dire a’ pib
ec-
Tn Epifl. ad S cip. Mafejum .
fi) Omnis vita ratio fic conriaCf ut quas probamut in «•
liiSf facer« veìiinua . Sic nufici vocepi docaatiuiQ ^ pi£to>
rat «para priorum : ruftici probatam cxpariacataculturaio in
«■•mplum intuentur : oimris daniquadifeiplioa initia ad pro>
r »ataai fibi pr»Tcriptiun fòrmart videams . Lik X, fep,
o«t. XIII. (Ui ^abUmc, Pliit. Unt, Eg, 9.
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X 171 X
jcccellenti maeftrl(a). Per la qual cofa dobbiamo pri*
mieramente aver di mira, che l’efempio propqilq»
ci da imitare fia .ottimo.C^) , e fcevro affatto di dU •
fetti 1 perchè altrimenti correrelTimo perÌ6lio di con-
trarre in un colle di lui virth ancora i vizj . Sic-
come però non v’ ha forfè fcrittore, fe vogliamo
dar retta ai critici, il quale Zìa in ogni fua parte
irreprenfibilc , perciò Seguendo il parere di Quinti-
liano e di Tacito, nell’ imitare non ci atterremo
ad un folo; rna fcelto per guida il migliore di tut-
ti gli autori di quella facoltà, in cui defìderiamo
cfercitarci , raccorremo ancora i fiori degli altri,
c ci feorteremo dal' primo , laddove meglio di lui
qualcun altro abbia fcritto, od abbia parlato (4)*
Nelle pillole adunque , ne’ dial^hi , e nello fcri-
ver ^migliare feguiremo il folo Cicerone: Nella
ftoria imiteremo la purità di Cefare, la chiarezza
di Cornelio , la brevità diSalluftio, e Tefattezza
di Livio : Nell’ .Oratoria ficurifTima feorta ci farà
M. Tullio, quantunque non fi trafeureranno le O*
razioni di Livio, e di Sallufiio , le quali fpeciai-
mente poffono giovare a formar uno Itile più vi-
brato e penetrante . Nell’ Epida poefia ci proporre-
mo
(0 I«itatio eft, qn» »«ìp#niinur ctim dUigenti rationr ut
flìquoruua flmilei in diceodo velimus effe . IV. a. aliquorum
idtfi Qptimorutn^ cosi il Manmio. ' ^
(5) Optimuf quifque iegtndus eft, fed dìIigfBter ac pene
ad feribendì rqiiicitudia^ni . JT. h Lia. IL cap. 3. e ^
C4) Nel dar giudizio però oe’ uomini grandi, dice lo fteffo
Fabio, bifpgna ufar gran moderazióne; Modejte tamen&‘ cir-
cuvhfpt^o judicio tantif virif pionuntiandum f/t , m (^q'tod
pltrijque aceidit") d/mmnt quét non inteliigunt .!' ^ih.X.c.i.
Per la qual cofa, fìegue a dire^ fi necejft afi in aitar qvn er-
rata partami entni a eortm Ugantibut placata^ guarà multa
difpiitara maluarim ; e non avendo baiievoi giudizio fai'à
ineqlio, ficcome dice Ti)llio, (umPlétxm* quameum
sliif vara ftmirt .
^ X 170 X
fif t wdP armonta (kl numera gli Orgferi fitguo'
m ia naturai ed a. lei fi confarm/tne ; imperocché f
dice , /r vogliamo affatifar la mente con fot-
tigliexxa ef inyenKÌone i ' e far j^mpa di helle paro-
lai e di f colpa armonia net nqfiro difcorfo così che
vengafi ad efiinguere la Somiglianza ^ dell a natu-
ra ì allora tn luogo della vera eloguemna fuccedt-
rà urna ver ho/a Juperfiuitd peggiore della fiejfa
harharieii4), ' .
a A p Q II,
Della Imitazione •
Ik quella guifa, dice Quintiliano , che i munci|
i pittori, ed i coittadini, avvegnaché fappiano le
regole deir l'uà , pure lì Hudiano di feguir T
efempio de’ propri rpaellri , per Caperle a tempo
adoperare ; p quelli procurano d’ imitarne le va-
rie infleiriotli di voce, quelli le polìgoni ed at-
teggiamenti delle ligure, e quelli altri lìaalmente
do fperiiDeataeo modo di coltivare la terra ; cost
ancora nell’ arte di ben parlare, dopo d’ aver ap**
I ireCo i precetti , bjfogna attendere ad imitar co-
oro, che retto ufo avendone fatto , confeguironq
il fine , che eranlì propello (i),
L’ imitazione pertanto , fecondo T Autore ad E-
rennio . conlìlle nell’ applicarli con ogni lludio q
cura a divenir limili nello fcrivereiO nel dire a’ pib
’ ec-
( 14 ) Tn Epijt. ai Seip. Mafejttm .
( 1 } Omnis vita ratio fic conllat, ut qux probamot in a«
liis, tacere veliinus . Sic tnafici vocefif docenpum : fìc pi6to>
rea «pera pnorum : ruftici probatam esperimeoto culturam in
CBeinpluiii intnentur ; omme deniijHe difeipiina initia ad prò-
•oStHiR (ibi pratTcripciiar foriaart videnus . Uh. X, e»jf.
XI If. dtt Sublime, Ptén, Ep, 9,
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X 17 * X
/eccellenti maeftrICi). Per la qual cofa dobbiamo pri*
mieramente aver di miraj che Pefempio propello-
ci da imitare fia ,otti^,(^) , e fcevro affatto di di- •
fetti , perchè altrimenti correrelTimo periglio di con-
trarre in un colle di lui virth' ancora i vizj . Sic-
come però non v’ ha forfè fcrittore, fe vogliamo
dar retta a» critici, il quale Zìa in ogni iba parte
irreprenfibilc V perciò feguendp il parere di Quinti-
liano e di Tacito , nell’ imitare non ci atterremo
ad un folo; ma fcelto per guida il migliore di tut-
ti gli au^ri di quella facoltà^ in cui defìderiamo
efercitarci , raccorremo ancora i fiori degli altri ,
c ci fcolleremq dai prìmo , laddove meglio di lui
qualcun altro abbia fcritto, od abbia parlato (4).
Nelle pillole adunque , ne’ dial^hi , e nello Scri-
ver famigliare feguiremo il folo Cicerone : Nella
lloria imiteremo la purità di Cefare, la chiarezza
di Cornelio, |a brevità di Sallullio, e Tefattezza
di Livio : Nell’ .Oratoria ficuriffima feorta ci farà
M. Tullio, quantunque non fì trafeureranno le Ò-
razioni di Livio, e di Sallullio , le quali fpeclal-
mente poffbno giovare a formar uno llile piu vi-
brato e penetrante . Nell’ Epica poefia ci proporre-
|no
CO laitatio eft, iarptllimur ctitn diliaenti rationr nt
qliquorun fimilet io dicendo veliiqas ede . IV. t. aliquorum
idw Q^imorum^ cosi il Maouito. ' —
C3) .Optimus' qoifqiie iecsndus eft. fed dilisedter ac pene
ad ieribendi roilicitudioepi . ^int. X. J, Lib. IL eap. e 5.
Nej dar giudizio però oc* uomioi grandi, dice lo fte^o
Fabio, bifogna ufar gran noderaziÓDe; Modefle tatnenfìr cir-
€UPtfpt(io sudicio (ì« tanti f viri^ pronumiandum eft ^nt(^q’‘od
pltrif^ue accidit') 'dftmntnt qu» non intei/igunt J X.c.x.
Per la qual cola, fìegue a dire, fi nec^o afi in altttqm er-
rart partente omnia eorum Ugantibua placata^ quam multa
difpfieara maluarim ; • non avendo baflevoi giudizio fa<’à
ine|ijo, ficcone dice Tqllìo, eumPituvna arxM$o iuameum
§hif vara famira .
X 17* X
mo il folo Virgilio ; nella Lirica Cafullo , ed Or»^
ilo ; Tibullo , Properzio , ed Ovidio nelle Ele-
gie ; nelle E?,Ioghc Virgilio , e Pcdro nelle Fa-
vole Tra i Comici imiteremo TerenZio, Plau-
to e nelle Satire e nelle Pillole Orazio , e Giuve-
naie . Siccome però Marziale nell’ Epigramtpa io.
del Lib. V. lagnafi di certo collume , che hno a
fuoi tempi regnava , per cui nel mondo fembra ,
che foltanro fi apprezzino gli antichi , e niun con-
to fi faeda de’ piò recenti fcrittori , benché non
inferiori a quelli ; noi non faremo cosi Icniavi deli
antichità, che non Tappiamo approvare fe non
quello che ci venne dalla Grecia o dal Lazio , ma
fìudieremo egualmente li moderni autori , che da
tutta quanta la letteraria repubblica riportarono
approvazione» e che meritamente a quelli dell
aureo fecolo fi poflbno paragonare .
Scelti così gli efempi da imitarli , non dobbia-
mo già contentarci di leggerli rapidamente, tM
con ogni diligenza ed attenzione conlidcrar li dob-
biamo ; e ficcome i cibi, dice Quintiliano^)» s
inghiottifeono dopo d’ averli ben ben maliicati , e
refi liquidi per facilitarne la digellione i cosi per
abilirarfi ad imitar qualche autore duopo è legger-
lo , e rileggerlo con diligenza in guifa che rem {pro-
fondamente impreflb nella nollra mente . Quindi
bifogna in primo luogo confiderare la forza di tut-
te le parole da lui ufate , pofeia la di loro vana
collocazione , la conneflìone , l’ armonia . E necef-
fario imbeverli delle di lui frali , e renderli
C5) Repetamus autem 4 iraftemus : & ut
rtupe liqaefaftos dimittimus quo facilius
non cruda, fed multa raiioue moIUta , & v«Ut confe«»
^aimotùe imitacioniqus tradaiur. Quint. ivi. ^
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)t' m )C
oliare la fua diverfa fintafTì : ponderarne le fenten-
?e , efaminarne le figure ed i traslati , e procurare
di ricavar il motivo , per cui in uno piuttofto che
in altro modo fiafi efpreffo , e per cui queaa pmc-
tofto che quell’ altra figura egli abbia adoperato (
Perchè poi la nortra imitazione venga ad elJere
veramente buona, e lodevole , deve efìfer fatta con
diligenza ed in retto modo . Sara diligente , le a
tempo noi fapremo appropriarci quello , che tor-
nerà bene al noltro propofito ; e le procureremo
che l’ imitazione corrifponda in ogni parte all e-
fempio imitato, ritenendone tutte le belkzze ,
e variandone con grazia e giuda la necejiita le
circodanze , e gli aggiunti . Sarà poi fatta m ret-
ro modo, fe venga tolta con dedrezza, licchè quah
l’uditore, o il leggitore non fe ne avvegga. E
quivi però è necelTariq didinguere tra Furro , /-
rhttaztoney ed Emulazione,
Furto fi può dire quel modo d’imitare, che ten-
gono cert’ uni , li quali , quando lor torna bene, s
appropriano qualche pezzo d’ altro autore , 1 inte-
rifcono ne’ Tuoi fcritti , fenza mutarne pur paro-
la 0 la minima circodanza . Di codoro al certo par-
lò Orazio , quando dilTe : O ìmttatores fervum pe-
cus ! Avvegnaché però tale imitazion fervile non
fembri lodevole, pure quando fi faccia col tralpor-
tare i fcnfi altrui in altra lingua , o dalla profa nel
verfo . e vicendevolmente dal verfo nella prola,
può avere il fuo merito . Così
Loltinrmi pezii dell’ Iliade , e del Odiflea di O-
mero nella fua Eneide ; Tullio nelle fue Oraxio-
m
m Nec Dtr partes modo fcrotanda omnia , fed perleaus li-
» iii”ue ex imegro refumendus,
inutesfrequcnter ex induftna quoque occuUantur. iiutat.x.J.
XI74X
hi in molti luoghi prcfc da Demoftette* c ne* fuoi
libri filofofici da Platone cd il Cafa interi fquar-
ci di Cicerone tradnnTey e gli inferì nelle fue ita-
liane Orazioni. Ecco come 1’ Ariofto nei Canto
XIX.' deir Orlando elegantemente imitb quella li-
milicudine di Staxio Tneiaid; Xi
Ut ^uam favo fatam prtfferé cubili
Vinantec Numida natos eresia f^erfift
Mente fuh incerta ^ torvam at mi/erabile firen-
^ . dens .• , ^
Ùla qaideìH turbare gìvbos & frangere fn^j»
Tela quarti , fed prolis amor crudelia yiwit
Finora , ty in media tatulos circumfpicit ira «
Qém'. orfa , che V aìpeflre Cacàiatpre
.Nella pietrofa tana affalit^ abbia
Sta.foprd i figli con imerto cerei
E freme in fuano di pietà e di rabbia :
Ira la invita t! naturai furere ^
A (piegar V unghiea infangutndr le labbia i
Anièr la intenerì feti t la ritira , ^
A riguardar i figli in mexxo alP ira
Li' itni imitazione richiede, laTciando hcoh
fa' in (t lìefh qual è , matinlì le circoftaaze in gai-
fa tale i thè non raHenibH pih quella ; oprare vuo»
le ,» «he i (erbati dòli^ lo' fteffo' metodo , ed' óffatura
per eosf dire del difeorfo,* eoa fi^«^ td in manie-
ra tósi diVerfa* dàlP oirigioale la eofa G «Tponga i
che aeqai^r né* aria di novità.' Tullio p.'e.' avea
detto nella Orazioni a favor di Milonc : Vàc
appe! là’ i fòrti (fimi viri , qui multUm prò republif a
Janguinem effiùdifiu Vos in' viri O" cjyh inviBi
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X'i7S X
lixiOBe di Piacene: Oglorhfe^ o éen na$t^ t4^
ftt a7/ve»tur«ft anime f mila mriceltt/a ed afpr$
f ^uetra della Magna feguifle il Ùaed » e di fua mil-
izia féfle : e le quali per la gloria y e per la /r-
lute di Ce fare i corùi vojiri abbai^nando^ ed alla
Tedefcd fiereyca^ proPm fdngué je dì qitel di
hi tinti la/eiantMi j a al fé fatiche ^ ai dane mife*
rie del monda -vi dip art ifie <, vedete voi vta ìd e ìfe
dolente fiato il vofiro Signore è pofio ? Cosi QbU*
Ode 4. dei Libro L Orazio avea cantato : ^
Pallida mors aquo pulfat pedo paupértm taèétniè^
Regumque ti^rres . - .
Èd il Zanìpieri ra quei fuo Sonetto , cfce’ incomin-
cia; Un\OmòraitCt cosi elegantemente lo imitò;
curvi aratri, é colà f centi infranti
In un mifii e confufi ; un eguahforte\^ ^
Correan ruflkhe lane , e tegj ammaftti .
L* Emulazione per u/timo non folo' conlS^ nel-
lo dudio e nella cura di renderli a qualche autor
fomigliante , ma ancora nel defìderio e nei/a dili-
genza d’ oltrcpaflTarlo ^ Quello è quello , che do-
vrebbe ognuno procurar di confegùire (d) ; impe-
rocché , fé r imitatore nulla tnai avelTe aggiuntò
all’ efcmpio , dice Quintiliano (7 ) farelfimo an-
cora nell’ antia barbarie w Siccome però il lar que-
llo
CO Licebit {nrerdom & noviffima etigere, & c«rta'rrciiiiìr ele-
Clts . Plin. Lib. FUI. tp. 9. Sic imiterourf ut aiTeijut contenda-
mus : no/tra detnum cootcntio omnls id refpicìat , ut qufm
afecuti furrimus, etiam prgtertainnv . Bmib. Hi wp. mi Piam .
C?) Turpe etiam iilud eft, coatentum effe id conrequi,
^uod imfteni. NaiA rarfot quid craif futdftmr, (ì tremo pine
eff^eciflPiet eo qa<e(iy fequrbatar 1 NIMl io rodtia ftrpra Livium
Andronicnnr. tiibn tn faìAbrilC fyftd fotitigciini aaaftlva h*-
bcrenut, Ub,X, e. ir
ry.T7ÓX
fio noti è di tutti, ma di coloro foltanto , che <H
fommo giudizio ed ingegno fono dotati, i princi-
pianti fi contenteranno di una efatta imitazione ,
perchè non vengano a cagione del troppo ardire
a far deplorabili cadute . j*
Ed affinchè vieppiù fi vegga la finezza di giudi-
zio , di cui bifogna efler forniti per fare una b^
na imitazione , piacemi quivi addurre alcune ofier-
vazioni fatte dal celebre Saverio Mattei nella fua
Dijfertazicne 'fui Tragici Greci. Dice egli al nu-
mero 52. ,,, Omero , eh’ è il primo pittar delle me-
morie antiche , che han tutti cercato di copiare ,
così s’ erprime nel fello dell’ Iliade :
n’f yòrt rii sretrof ìirnfo! ùìioiTufftcs vni ,
ecTTOppé^tts Qua wiS'tMo npottivcev ,
^ ^ 'E^a9a^s ho\Jta$cu tOpptios vorcefMio ^
^ mvS'ioaiy . v4^ov «Ts xapn ìì
^pois ttìaffonTtiu . ò y ayKttiy^i <n‘(T0iS^s , ^
i yovvet (piptt ptrec t nétte , xtei voptoV <t-
•xov (Ji) . *’
Eccone la traduzione Latina letterale .
Ut vero cum jìabulans equus hordeo-pajius ad
pttefepe y
Vincìo rupto currit per campum terra pedwus
pulfansy .
Confuetus lavari in pulchre fluente fluvtoy
SuperbienSy alte vero caput fert , arcumque
a„_
C8) Omero fteffo forfè ricavò queAa fimilitudine dal cap.39,
del libro di Giob « dove quell’ iipiiato Scrittore mirabiltnen-
te ci deferive no cavallo, che libqfo corre ad tncouiiar la
battaslla. ' • ^
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o
X 177 X ‘
Humeros motamur : ipfe pulchrhud’me corporis
fretus , .
• Facile tpfum genua ferunt ad loca-confueta ^0*
pafeua equ'orum .
Ennio fu il primo fra ;i Latini, che' cercò di
fcrvirti dell Omerica comparazione, e i fuoi ver-
11 , che cl rimangono, fon quefli :
Et tum ficut equus, qui de prxfepihus a^us
, In nel a f ut s magms animi s abrupit ^ & inde
Fert fe fe campi per aerulay Ijetaque peata
Celjo pettore y fxpe jubam quajfatjìmul altam.
òptnttti ex anima c alida /puma: agii albas ^
Virgilio nell’ undecimo :
' ubi abruptis fugit pr afepia vhelis
landem Itùer equus, campoque potkus aperto,
^ut tlle mpajius , armentaque tendit equarurn,
ulJuetus t^ua perfundi fumine noto
hmtcaty arreStifque fremii cervi ci bus y alte
LuxurtanSy luduntque juba per coll ay per armos,
II Tafìfo nel canto IX. Ifanza 75.
Come dejìrier , che da le regìe dalle
Ove ald ufo dell' arme fi ri/erba '
Fugge y e libero al fin per largo calle
Fa tra gh armenti al fiume ùfatOy 0 aW erba y
òcherzan fui collo i crini ; e fu le f pai le ,
à* Jcuate la cervice altUy e fuperba :
ugnano / pif nel corfoy e' par che 'avvampi
Vt f onori nitriti empiendo i campi .
u’ ninno de’ tre poe^i ha potuto dire
quel, che ha detto Omero del. cavallo/ cioè
7 ?, ed perchè nè la' lingua -Latina nè
Lili » che non lien bàrti, per efpri.
di fiali a y e \V cavallo ler\p a fiiu' -
Qtard, Elem: T. L M ' to .
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o
• X 178 X
Ì 6 tVorzo. Virgilio con quel tandem Vtber equus j
c coll’aggiunto di aperto dato al campo, fa capi-
re , che prima (fava rinferrato nella ftalla , ma
dell’orzo non ha potuto far menzione. Taffo ha
l'eguito fedelmente;Virgilio ,• fol che ha prefo da
Omero , Suonano i piè nel corfo , che ha lafciato
Virgilio. Ennio fu men ferv^iìe, ^ h /puma àéV
ultimo Tuo verfo fu una fua bella giunta , che non.
fo , perchè fu lafciata da Virgilio', e dal Tallo .
L’ epiteto di regie dato alle Halle dal Talfo in-
gentilifcé quello termine , eh’ è un poco baffo fra
noi , e giova ad accrefeer il pregio del valorofo
cavallo . Mefallafio reflringe quello paragone i»
un’ aria del luo Alelfandro :
Ì)ejìrier , che air armi ' ufato
Fuggè da chiufo albergo ,
Scorre la felva^^ e il prato y
Jgita il cria fui tergo ,
E fa co fuoi nitriti
La valle rifonar.
Ed ogni fuon che af colta
Crede , che fta la voce
Del Cava iter feroce , • ‘ .
Che i anima a pugnar ,
Di tutti quelli poeti la comparazion di Omero
febbene fi vegga nuda tradotta in. una profa difa-
dorna gramaticale, pure oltre il pregio d’ effer 0-
riginale, è forfè là più bella di tutte. Ennio'per
verità non fidandoli di efprimcr tutto quel ,• che
aveva detto Omero , aggiunfe qualche altra cm
del fuo con felicità. Virgilio feguì fedelmente O-
mero faenza aggiungere una parola , ma fupplendo
con altri vocaboli la forza di alcune voci , che
non potean ttadurfi’. Talfo tentò di migliorar la
comparazione di Virgilio, ma fu alquanto impru-
dea-
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X 179 X
dente , Egli ha creduto d’ ingrandir la comparsi-
zrone del cavallo non Colo coll’ aggiunto di r^P/V
dato alle Ihile, ma con quel verio , Ove all' ufo
dell armi fi riferba y dipingendoci così un caval-
lo , eh elee folamente per fervi r la truppa in bat-
taglia; tutto va bene, ma per quefìo cavallo guer-
riero tutte le circollanze , che Seguono fon fred-
//>’ z ■ si f armenti al fiume ufato , o
all erba ; Qp^/ìo cavallo’ guerriero non ha premu-
ra fuggendo di andar all’erba, o di lavarfi nel
fiume ufato fra gli armenti , co’ quali non" mai s’
accompagnò .* Quefie drcoftanze eran ottime per
^ Per quella di
^1^ f ^ «^^vallo riferbato
firn ii™‘ '' Virgilio ci defcrif-
fero un cavali, eh era folito a lavarfi di tanto
jn tanto nel nume, e che da un pezzo non era
Itato condotto, ma tenuto chiufo nella fialla, ove
lenza ufcire avea mangiato molta biada : quello
feappando corre al fiume , va ad infuriar tra le
>^^^^»J^f9»arum , che troppo languida-
inente Talfo yadulTe foio armenti^ Metafiafio vol-
e eguir Taffo,* e darci F idea del cavallo guer-
riero, ma ebbe quel giudizio, che al Tafib, poe-
t per altro* foyerchiamente giudiziofo , in quella
sii armenti, elela-
duelf^-dM diede aggiungendo del fuo
1 ; j guerriero, che TalTo non
j- che la comparazione di
tip! fin’o*^* Ennio, di Metafiafio , può ciafeuna
Pilj chiamarfi originale, quella di Vir-
f n?i “PJ^^clicilfima copia , che contraila coll’Ori-
troann* f quella del TalTo una copia non
troppo quella volta felice ,
‘^efio capitolo con quel
celebre precetto di Orazio , il quale altro non fa-
M 2 pea
» •
X i8o X
pca nell’ Arte Poetica raccomandare a’ fuoi Fifo-
ni, che di aver continuamente fra le mani r Gre-
ci fcrittori . '
.... Vos exemplarìa grxca
No^lurna ver fate manu , verfate d’iurna .
Chiunque pertanto defidera confeguire eoo faci-
lità il fine della imitazione, pareggiare cioè coi
•fiK) dire i più eccellenti autori , non deve mai cef-
farc dal leggerli, e meditarli; imperocché, ficco-
me chi paleggia a’ raggi del Sole, avvegnaché per
tutt’ altro motivo camolini, nullaortante contrae
diverfo colore; così, dice Tullio (9), avvezzati
noi alla di loro lettura, ci renderemo famigliare,
ed in certo modo connaturale il fuo parlare , e
fenzà'fludio e fatica ci fi offriranno alla mente, c
ci verranno alla lingua le di loro frafi , ed ele-
ganti manica di favellare, in guifa che anche non
volendo, non potremo a meno di fervirci del lo-
ro proprio linguaggio (io).
CAPO iir.
DelV Eferàzìo .
chiunque vorrà uguagliare i più grandi
poeti ed oratori, dopo d’aver fatto un diligen-
te ftudio fui di loro icritti , dovrà fpeffo , dice
CO Ut CHm in fole ambulem, etiamfì aliam ob caufam am-
bu'em, fieri natura tatnen , ur coiorer ; fic cum iftos libros
QQrecorum ^ itudiolìus legerini , fentio orationem
meam iUorum lantu quafi colorari ; Dt Orat. II. 6o.
Cio^ Horum fermone aflueiaCti , qaicmot, non potcrant Io-
qui nifi Utine . XJjvrnt. l, c.
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; . X 1^1 X
M. TiilHd' CO j e cori impegno efercitarfi nel cfl*
re e più ancor nello fcrivere, perchè 1’ cfercizio
vale affai più che i precetti di tutti quanti i mae-
Ori , e ferve a maraviglia per purificare , e ren-
dere elegante il noftro difcorfo (2) .
Quefi’.efcrcizio per tanto non è altro , che un
ufo continuo , ed un’ aflìdua confuetudine di com-
porre, e di parlare (5). Siccome però noi in que-
lli precetti non ci cftendiamo oltre i Próginnaf-
Inati , che così li chiamano , dell’Arte Rettorica ,
perciò a tre foli capi ridurremo tutta l’Efercita-
zione , ai T radurre cioè , al Raccontare ^ ed all’
Efornare , oflia Amplificare (4) ,
• I i '
ARTICOLO r.
Della T raduzione 4 .
Se la fceira delle parole origine è d’ eloquenza ,
come diffe Cefare nel I. Libro dell’ Analogìa,- al
riferire di Cicerone n^ Bruto, non fo come que-
lla meglio fi poffa fare, che nel tradurre; eferci-
zio praticato da Cicerone, commendato da Plinio
' , , " M 5 no-
CO'Hanc i^itur fìmilitudinem qui imitatione affequi vo.
iet, tum czercitattpnibus crebris, atque magni $ , tum fcri-
b<^ndo maxime perfequaiur. De Orat. IT. 96. Ad eam dotlri-
nam , quam Tuo quifque flfudio confecutus eifet, adjunperp-
tur ufus frequens, qui omaiuin magiltrorum przeepta i'upe-
xaret . ivi 1. 15. ‘
fa) Tum ipfa collocatio conformalioque verborun» perfìci-
tur »n fcribendo. ivi . 151.
'CO Exeicitatio eil affiduns ufus, conruetudoque dicendi . Aà
Heren. /. j.
"CO Altri aggiungono ancora la Dercrir.ione^ ma noi per,
brevità la tralafciamo, altro t^uella non eflendo , che una fpe*
eie di Narrazione abbellita d^ila Ipotipolì , dall' Etopeja , o
4aMa Profopografia , ’
% i82 X ■ ,
fiòvcllo (*) , e nella bella emulazione , e ticlfci
^iudiziofa imitazione de’ Greci da per tutto, jì
J )uò dire, meffo in opera da’ gloriofi Latini . Cosi
ì fa una ricca provvifione di voci e di maniere ^
un apparecchio fertilififimo di efpreflTioni tanto di
dilicatezza , quanto di forza per poterlo a fuo uo-
po impiegare neirampliffìma varietà di iòggetti a
trattare , che occor pofTono , aufteri , foavi , gra-
vi , galanti , trilli , allegri , alti , umili, ferj. fa-
ceti , di coifume , d’ affetto . Sin qui il Salvini
nella fua Lezione L, Ed in fatti anche Quintilia-
no (0 afferma, che l’Interpretazione o la Tra-
duzione è uno de’ mezzi più facili e più ficuri
per impoffeiTarfi a fondo d’ una lingua e per ac-
quiftarfi facondia ,e facilità nel com*pprre . Il pri-
mo efércizio dunque di un giovine, che brami di-
venir (eloquente o nella Latina , o nell’ Italiana
favella farà quello di tradurre gli ottimi autori
dell’ una ne;ll’ altra lingua , fvolgendone con ogni
diligenza- i fenfi , ponderandone le parole, c pro-
curando' di renderfì famigliari le loro pfprertìoat
così che con la fleffa facilità ed eleganza , ficco-
me Quegli ha fatto nella propria , egli pure nella
fua lingua poffa efprimere i medefimi concetti , e
le lleffe imagini rapprefentare . Ma la difficoltà fta
appunto nel faper ben tradurre ; imperocché ft .
^
C) Lih. (^ir. tp.9. Utile fn primis, ut multi prascipiuot ,
Tei ex Grseco in Latinum, vel ex Latino vertere in Grar-
cum : quo genere exercicacioitis , proprieras, fplendorque ver.
borum , copia figurarum , yis e^plicandi , ptseterea iniitatioae
pptimorum fimiiia inveniendi facultas paratur .
Ci) Coerentemente a Cic. nel /. rfe 1 55. Mihiplacuit,
eoque fum ufus adolefcens ut fummorum oratorum Gixcac
prationes l'xplicarem, quiUus JcOis hoc altequebar , ut cum
ca quar legerem Grxce , latine redderetn, noa folura optiinig
verbis uterer, & tamen alitatisi (ed etiam cxprimereni quSt
yUni yctba imitando,, qux nova nollris cRent #
i
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. ^ '
«
X I8j X
• \
ffirere del Oftclvetro (2) è piu diffidi cofa II
jtraslatare che il comporre . ^ ^
Tre forte di traduzioni dirtingue il C. Taglia-
ziicchi (3) . 'La prima fi è di tradurre gli Autori
letteralmente, vale a dire parola per parola i.il
qual modo, avvegnaché mofto giovi per impoflef-
farfi della lingua, pure è troppo fervile, e bar-
baro i ed inoltre è fempre poco fedele , perchè '
pon fomminillrandoci ancora l’idea del carattere,
dello fpirito» e del buon gufio dell’ originale , fa
che noi ne prendiamo un concetto molto divcr-
fo da quello che è infetti , e che non rendiaraò
Ja dovuta giuifizia al merito dell’Autore.
La feconda maniera è quella di ritenere lo fiefib
fentimcnto, e le med^fimc forme ma fpicgarle
con tute’ ultre parole accomodate all* ufo^della pro-
pria lingua, e quella maniera non Colo è pih' ele-
gante , ma ancora è più vantaggiofa della prima ,
Q uantunque non fempre fia da adoperarli, perchè /
’ efprelfion dello fpirico(4) rifultando fovente dall*
ìunione di brevi, e non ben avvertiti concetti , e
di certe figure , e dizioni , tolte le quali già più
non fi ravvifa il genio , e ’l carattere dello fcrit-
torc; noi quello modo nel tradurre adoperando,
verreffimo forfè , come dice il Signor Tourreil (5),
a formare un mollruofo comppllo , che non fa-
rebbe nè originale , nè copia .
‘ M 4 La
(O Lettera a Gafpare Calori fui tramutare . Tom. 37. Rac«
(tolta Calogeriana. •
(3^ Diflert. Della maniera d' otnmaeftrare la gioventù ntU
le umane lettere.
CO Cantova. Pr/efaZf élla Ttaduxioae. de* tee libri dell*
Oratore di M. Tul, v;
Cs) Préface à U Tradu^lioa dfs iuraaguef de Demoflhenf 1
ft à* Efcbine . - .
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- ' X i84 X ■ : .
La terza maniera di tradurre fìna/mente’/i é cfl
non aiiontanarfi dal fen io dell’Autore, ma di cer-
care , e fcegliere attentamente efprellioni , e figu-
re nella lingua , in cui fi traduce e per proprie-
tà, e per chiarezza , e per eleganza , e per for-
za /numero, e fuono egualmente nobili , degne»
e lomiglianti ', fe confeguir fi può , a quelle , che
-dallo Scrittore originale furono adoperate ; e que-
lla maniera è la più elegante , e la più ottima
fra tutte l’ altre, ma ancora la più difficile a con-
legtìirfi . -,
Perchè dunque noi far Poffiamo, chelaTradu-
^ zion-nofira fia veramente lodevole ed elegante tre
cofe giuda rammaellramento di M. Huet riferito
dal Salvini nella fua prefazione all’ Iliade d’ Ome-
ro avremo fpecialmente di mira . i. Di rapprefen-
tare fedelmente i concetti dell’Autare. 2. Di efat*!-
tamente , per quanto fia poffibile , riportarne le
parole, e le efpreffioni. 5. Di confervare l’aria,
il colore, ed il di lui vero carattere, che da fen-
timenti infieme, e dalle parole, e da qualche al-
tra cofa ancora , che non s’ intende rifulfa ( 6 ) ,
* • 1
^ . De/ tapprefentar / Concetti , ì
Non v’ha dubbio, che per ben tradurre un Au-
tore da una in un’altra lingua è necefiTario primie-
ramente intendere a-perfezicnc il lentimento. Per
lo che non bada legger le cofe così di fuga , c fu-
bito quindi dar di piglio alla penna ; ma b/ìogna
in-
’ 0^ VeggafT tutta la fovrte. L. del C. Salvini /o»ra
> / ttadurre .
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■X i8j X . . ,
itìternaWì ndl* intelligenza deir OngmaJe , nè ri-
foivcrfi a fcriver parola* prirtia che fiafi il vero Ten-
(b dell’ Autore penetrato . Nè folo farà neceflario
fapere a puntino la di lui lingua per dare il giu-
ito fuo pefo e valore alle parole tutte, e per com-
prenderne , dirò così, l’intima loro origine ; ma
bifognerà inoltre informarli de’ vari fillcmi , del-
ie favole , delle coftumanze , dei riti , e di tutto
x:iò., che può contribuire alla vera intelligenza del
própoftoci efemplare (7). Intefo poi che fiafi il
lentimcnto , e penetrata la forza del concetto y
duopo è rapprefen tarlo fedelmente, cioè a dire con
quella efprelTione , che fenza ingrandirlo, od av-
vilirlo li faccia fare la ftcffa ccrthparfa sì nell’uno,
come nell’ altro idionia ; Imperocché, t^tte le lin-
gue hanno le fue particolari bellézze ^ ed un pea-
fiero raedefimo, che.efpofio in una lingua rinfci-
va elegante, ben di fpelfo in un’altra vile divcii-
ta e cattivo . Perciò procurar fi deve , che nella
traduzione i fentimenti fiano rapprefentati con e-
gual garbo ed eleganza , e che in fomma ci fommirti-
Ifrino una vera ed efatta 'immagine dell’ Originale,
*
§. II.'
De/ rapportar le parole.
Per potere con fedeltà rapprefentare i concetti d* .
un autore, che a tradurre ci appigliarne , bifogna
confervarne con efattezza, per quanto fi può anco-
ra
Cz) Mabill. P.tì, dt fiud. Monafl. i$. Bafta leggere i
Critici per vedere, quanti sbagli hannu prefo uomini per al>
tro anche dotti, nell* intelligenaa .degli antiebi autori, per
mancanxa delle fud. cognisioni .
X X-
ra le parole, e la efpreflìone ; imperocché da certf
figure , e dizioni ‘in uno piuttoiio che in un altro
modo collocate non di raro dipende tutto il genio
ed il carattere d’unoScrittofe . Cotelto ftudio in-
fatti di non trafcurar le parole , che fpeiTo racchiu-
dono f9mma forma e bellezza, elìge fpe/To da’ Tra-
duttori anche il Calle! vetro con dire, cheli far al-
trimenti farebbe lo lleflb che acconciare in dolfo ad
una perfooa altri panni da quelli , che le conven-
gono (8), Siccome però non fi trova lingUi alcuna
così copiofa e varia , che in tutto e per tutto con-
cordi colle figure e maniere d’ un’ altra, quanto fi
voglia povera , e fcarfa di vocaboli ; perciò non
Tempre gli ornamenti e le figure d’ una lingua fi^
hanno ad efpriroer nell’ altra ; molto meno gli idior '
tifmi . perchè non è lecito, nè fi devono commet-
tere lolecifmi , e barbarifmi per rapprefentare. con
altrettante parole i fentimenti dì uno Scrittore f*) .
Tullio pertanto fi procella , che nel tradurre le
greche orazioni di El'chine, e di Dempflene usò le
medefime fentenze, e le. llelfe figure ; feguì lo ilef-
fo ordine, e per fino le medefime parole , quando
però quelle non ripugnavano al genio della lingua
latina (9). Nel tradurre adunque da un idioma in
pn
CV) Lttt. Cft.
C*V Quello è precetto d’ Orazio, Nec verbum verbo eur^
bis reidero fidus interpres ; né per altro reraccHfìma tradu-
{ione dell’Iliade e dell’Odjflea d’ Qmero fatta da Ant. Ma*
ria Sai vini viene da alcuni riprefa , fe non perchè egli fi die-
de cura di tradurre letteralmente anche quelli idiotifmi del.
la Grecia, che non fuonan bene in Italia.
(9) Quorum' orationes Q E/chinis & Demoflhenis') fi , ut .
fpcro. Ita ex^reflero, virtutibos uteoi illorum omnibus, id.
eli fententiis, & eorum figuris, & rerum ordinè verba perfe-
^uens eatenus , ut ea oon abhorreant ^ more flollro &c. Di
Opt> Orai. . .
)( i87 X
fin altro noi ci ferviremo delle ftefl*e parole ed ef*>
prelIìOni dell’ originale, quando però il genio della
nollra lingua non fia così diverfo, e quelle manie-
re di dire non fiano così proprie , che non pofla-
no in verun modo tralportarfi lenza un vano cir-
cuito di parole, le quali rendar^:) languido, elner-
vato il ftntimcqto (io). E così ancora quegli ag-
giunti, e que’ vocaboli, che amme/fi Tono in una
lingua e non inun’alrra, oche nobili, ed onefti
nell’ una elTendo , vili per lo contrario e plebei
nell’altra riefcono ,’ bilognerà piuttoflo cangiarli
in altri, che ]a itelia forza confervando, fiano più
atti a rapprefcntare la nobiltà del concetto .
I Greci ^ cagion d’ efempio chiamavano Giove
•npviìctpxuvos y cioè a dire che ^ ode del fulmine y
ed Achilie' •n-ToKiiro prò: y cioè che guajìa le citta-
di ; ma i Latini diranno Tonansy omnipotens y e gli
Italiani altitonante y onnipoffente Giove y e non ^o-
dijulmine j e del fecondo diranno bensì ferox y va-
Jiator y invincibile y indomito y ma non guajiaqitta-
dì , Lo fìeffo dir (ì può delli aggiunti, che dai
Greci fono dati all’ aurora poS'oS'xKTuxof , poS'o’Xtf-
y poS'offipupof y polle ditOy colle braccia y co' cal-
cagni di rofa y i quali da noi farebbero tradotti
giuda il genio di nollra lingua così , 1’ aurora
^ ridente , fparfa di rofe ^ roffeggiante ec.
Oflervano inoltre eruditi autori , che Virgilio non
mai nomina, panisy triticum y ftumentum ; e che
nelle fleffe Georgiche dice artjìa , Ceree , fpicas ,
quando al contrario nomina hordeum y avena y e
parlando delle formiche, le quali nella fiate radu-
nano il grano, dice populant ingentem farris acer-
vum,
rnm I... , .... y . , .1 , —I 1 ^
Cu) Ciuf. Qf. Salifero nel fii, Vf dclU f«a
V*
X isa X
Convien dunque dire , che quelle paro/e noli
foffero preffo i Latini egualmente nobili , c ricevu-
te , come le feconde . Nulla di meno però fé noi
dovdfimo fecondo il genio della nollra lingua tra-
durne un palfo di Virilio, non direllimp già, po~
fero in fu la menfa Cerere , Oia il pane : non
enfpirono di vecchio Bacca, ma di genero fo vino .
Quant’ altre elprelFioni vi fono prelfo i Latini, e
* gii Italiani , che fembrano moderate , e che poi
trafportate in altra lingua farebbero audaciffime ,
€ viziofe ? Dice il Petrarca degli occhi fuoi:
Che di lagrime fon fatti ùfeio e varco 4
Ma chi aveire a farne una latina traduzione , di-
rebbe forfè : oculi faSii funi porta lacrymafnm ì o
piuttodo perpetuo madefcunt luBu, perpetuis ora ri-
gane lacrymisec. i Non altrimenti Virgilio parlan-
do della porta degli Avvocati , per cui s’ affolla
turba di clienti , dice nel IL delle Georgiche: Ma-
ne falutantum totis vomii xdibus undam. Ma non
direbbefì già in Italiano : La porta vomita un'on-
da di clienti . Lo llellb dir fi può di tant’ altre
frafi adoperate fpecialmente da’ Popti Latini: Ales
Moeonii carmini s : gravi s jìomackus telidx : Hercu-
leus ìabor perrupit Acheronta : clafujue immittie »
habenas cc. , le qu^li tutte non fi tradurrebbero let-
teralmente , l' uccello del verfo Meonio: il grave
Jlomaco di P elide: la fatica Erculea ruppe Ache-
ronte : mette le briglie alla flotta , ec. , ma cort al-
tre frafi corri fpon denti ed acconcie al genio dell*
Italiana favella, cioè a dire: il Principe dell' E-
pico poema: la fiera ira d* Achille : Ercole colle
fue fatiche ruppe per fin le leggi di Acheronte :
mette la flotta in corfo , ec, ,
Trovaofi 9ncora molte frafi, e maniere di dire
ia
»
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I
X 189 X
in uttà lingua , ficcome oflTerva il Tagliazucchi (ii),
che non poflrono egualmente in un’ altra adoperarli .
,, I Latini dicono per efempio bubuìam » 'uttul't-'
nam ^ porciriam ^ tacendo carnem, diremo noi mai
dammt della bovina^ vitellina^ porcina P Taccio-
no i Latini a^uaniy e dicono cahdam , frìeidam ,
diremo noi mai dammi della fredda y 0 della cal-
da ? Dicono i Latini , paucis te volo , tacendo ver-
his y e alloqtii'y diremo noi ti voglio con poche?
non mai : il che diremmo benilfimo , fe quelle el-
JilTi amalTe la nodra lingua , ec. “ Conchiudiamo
dunque, che ogni qual volta nei tradurre un au-
tore noi potremo confervare le delTe parole, eie
mcdefime efprelTioni lenza offendere la purità , il
genio, e l’eleganza di nodra lingua, allora non
ci fcoderemo dall’ originale ; ma che altrimenti ci
farà lecito variare non folo le figure , e gli orna-
menti , ma ancora le frali e le parole ideile , fo-
dituendone altre , che più llano unjformi all’ in-
dole della nodra favella, e più atte' a rapprelen-
tarci l’idea delio Scrittore, che li traduce,
§; III.
I •
Del Confervare il Carattere • / •
Siccome però la Traduzione d’ un autore non
deve folo elTer fatta per intender i di lui lentimen-.
' ti , ma per capirne perfettamente il carattere « lo
fpirito, c la vera indole ; perciò nè deve elfer trop--
po libera, nè troppo fervile; ma convien procura-
re, che efatcamente ci rapprefenti l’Originale, Il
gc-
(xÙPiSs, eiu Raecoltl di Prof e 0 Poefity ti»
Di„ iZf" ‘'V GoOgL
y(i9àx ■
^énio d* ana lingua pertanto coafiftendo in certe mà-
aiere di coftrntti, in certi ufi deHe figure gramati-
calt , dei' traslati y ed anche in certe forme proprie^
0 ^aafi proprie di favellare, che una lingua ama
ed adopra e l’altra no, o molto più o' molto me-
no (fi) V noi «lòvremo fcofiarci primieramente dal-
la coitruzione deir Originale allora quando così por-
ti órli fenfo V o la chiarezza ,■ o l’ armonìa Ha l’
orazioney diceTullio(ij), il colore fuo pròprio,-
ed un’aria, e fifonomia tale', che la difiingue da
ogn* altra : e quella nafce da’ concetti ,• dall’ ordine ,
dalle figure,' e dalle parole .• La traduriòne perciò
richie^,' che fi cònfervi il carattere dell’ autore noti
folo'*4uànto ai fénfimentt, ma quanto alle figure,
ed, alle forme del dire, fe trovano luogo nella ìin-
^a , itf cui lì traduce , quando' anche non corri-^
Inondano alla nobiltà, all'efficacia, e grandezza'
dell’altra . Quindi corf altro (file fi farà la tradu-
zione d’un poeta, con altro quella d’ un oratore,'
e d’uno florico. 11 periodo, le figure, l’energia^
1 penfieri y e fatto finalm'enfte deve rapprefentare ed
uniformarfi all’idea dell’ originale. Che anzi tra gli
fieffi' iftoricr per efempio con' altro ftile devefi tra-
sdurre T. Livio, con altro Corn. Nipote, e eoa'
altro Sallttfiio » Per confervar veramente il carat-
tere , ed il genio di qualche autore inoltre bifora
jftvclUrfi delle fue idee ,- e peftetrar per così dire
nella di lui -mente col raffigurarli i medefirtri og-,
getti 1 fd eccitando V per quanto é pofiìbile,- nel
prò- *
X Cli) Taeliazùcchi ìu^'. eii, Caiitova prefaz- tìf-
Cij} Si Baòitunr oratioiiis etiam, ftquafì co.'oreiB aii(}u*B»
rcquifitis, efi & piena quasdam, fed tanien ceres, & tennig,
& noit ffne nervie, ac viribua^ & ea quac parrjceps utrtirrqiie
genwis , qadtitt iwdioAinitt tauilatur. ZI# fftàr. tIT. ii.
\
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)( I9I X‘
proprio cuore col mezzo d’ una feria riftéflìone
gli ftelfi affetti . Immaginarci in fortima dobbiamo
di dover efprimere i fentimenti di quell’ originai?
nella fleffa guifa, in cui efprelTi gli avrebbe un ec-
cellènte fcrittor Italiano j e quando avvenga, che
non fi trovino efpre/fioni corrifpondenti , proprie
della nofira ling*ua, nobili egualmente e degne,
prudentemente per ritrovarle fe ne allontaneremo ,
acciocché l’autore ora Italiano non parli , ora La-
tino; ovvero, fc pure Italiano parla, molto no»
perda della fua natia nobiltà . Così fece ancora
M, Tullio , il quale fi pretella d’aver tradotto da
Oratore, vale a dire d’aver efprefib gli lìeffi fen-
timenti e le medefime figure, ma con parole con-
formi al genio della fua lingua , conlervando la
forza ed il vigor dell’ efpreffione , non già il nu-
rhero , e la quantità delle' voci (14) . Laonde fc ri-
vendo poi a Marco fuo figliuolo gl’ infinua d’ e-
fprimere non folo al di fuori , ma nel midollo , e
neir interno ancora la fua maniera di dire 05 )^
La principi noftra cura nel tradurre dunque farà,
che parli Tullio , o Virgilio tofeano , ma chefem-
pre però fi conofea, e fi fenta, che quegli é Tul-
lio , oppur Virgilio; e come la fìfonomìa del vol-
to non dagli occhi foltanto rilevali e dalle parti
piò infigni , ma da piò minuti tratti eziandio e
piò
. . . _ . _ . X
\
,00 Converti ex atticis duorum eio^uenritRinortim nòBl-
liflìmas orationes inter fe contrarias, Aefebiuis, Oemofihe-
nifque; nec converti ut interpres, fed i^orator, fentemlts
lifdem 8c earunz forinis tan<)uaiii figiiWa, verbrs ad aoAratn
cònfuetudìneih aptis : in <|uibuv non verbali) prò verbo necrA
babai reddere , fed gc'nus omniiini verborum, vtmijtte ferva-
vi: nón enim ea tue annumerare lettori putavi oportete, fleti
laroqttà^ appendere. Dt opt. gtn. «rat.
Neoue colorem foiuin, f«d ftKcnni.ctiaM Sr faabitaiiv
fcujt» ornfoni» furrii naèus .
X 192 X
pili 6ni , così il parlare fi conofca e difiiogoa noa
dalle cofe fcmplicemente , ma dalle qualità anco-
ra , dal giro delle parole (i6), e da tutto ciòcia
fomroa che può rapprefentarci la vera idea, efom^
ipiniftrarci un retto giudizio di quell’ originile ,
che a tradurre ci fiamo propófto ,
ARTICOLÒ ir.
Della Narrazione
X^A Narrazione, dice Tullio, è una efpofizione
di cofa fatta , o quafi fatta, cioè a dire di cofa av-
venuta , o tale almeno , che fi prefuppone poter be-
niflìmo avvenire (i). Dalla qual definizione chia-
ramente ricavali , che la Narrazione può elTere Sto^
rìcay Favolofoy e Probabile y olfia Oratoria
§. I.
Della Narrazione Storica .
La Storia , al dire dello HelTo Cicerone, è quel-
la che ci fa teflimonio de’ tempi , e delle età , è
la luce della verità, la vita della memoria, la mae-
flra del vivere, la melTaggiera dell’antichità (5).
La narrazione illorica quella^ farà dunque, la qua-
le ci efpone un fatto , che veramente è avveon-
to
Oe>) Cantova /nego fovrae.
(O Narratio eft renim eenarom ant nt geflaram expofitfD.
Be Invent. /. i. c. 19. 00 Heren. I. 8.
(1) Pià ampia fi è la divifione che fa Tallio at* Hi. d*
Inveii/, i ma non conviene al noftro propofito .
Cj) Hifloria fft teftis temporum , Inx veritatis, vita me-
morie, magiara vite, nuacia vetaflatis. De Orat. Tt. 3S.
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Xm X
to (4). Quefta ama Io ftil fcmplice C5), rifiuta tut-
ti i colori dell’arte , contenta di piacere per la fcJa
verità, che nudamente ci efpone . Lo dorico per-
ciò non folo non deve oltrepafTare i limiti del ve-
ro , ma neppur darne minimo fofpetto a’ leggito-
ri (6); laonde bifogna , che fi moftri imparziale
verfo tutti ; che non racconti fenon quello, che ò
indubitatamente certo; e che nulla v’ accrcfca o
diminuifca con le fue rifleffioni , fe non in quanto
quelle fiano necefiarie all’intelligenza del fetto C/}.
7» Ecco un efempio di narrazione iflorica tratto
dal Libro I, di Livio , dove racconta l’afiuzia di
L. jun. Bruto, che a Delfo in un coi figliuoli di
Tarquinio erafi portato. a6 Tarquinìis du-
tius Delphos y ludtbrhim verìus y quam Comes . au-
rtum baculum tnclujum corneo cavato ad id bacu^
lo y tuhjje domm Apoi lini dici tur y per ambaees ef-
figiem ìngenii fui . Quo poji^uam ventum ejty per-
feBis pptrts mandatis , cupido ince/Jìt animos juve- .
num fctfcitandi , ad tmem eorum Kegnurn Rema-
num e-fjet venturum . Ex ìnfimo fpecu vocèm reddì-
tam feruntj imperium fummum Roma habebityqut
yefirum prtmus y ojuveneSy ofculum matti tulerit,
iarqutntty itt SextuSy qui Roma reli^us ‘fuerat y
fgna-
(4^ Hiftona eft res gefla a/f Heren. 7 . 8 . De Tnveat, L. 19.
Cs) gualche volta però .anche lo ftorico nelle cofe grandi
o atroci alza il fuo per unifotmarli a] (bggetto .
Quis nefcit primam eCe hiflorias legem , ne quid fall!
Ulcere audeat : deinde ne quid vere non audeac , ne furpicio
gratiz fit in fcribendo , ne qua (ìmultacis? De Òrat. ivi .
(J 7 j Non modo fatis effe video , quod faflumedet. id pro-
nunciare; fed etiam quo confiiio, quaque ratione geAa efrent
demonftrare . , . quod Tenatus decrevit . aut qu* lex rogacive
lata iit , neque quibus confìliis ea gefla fune iterare, id fabu-
Jac puatit elt narrare , noa hillorias fcribere . A dei, Nvi?.
jtne. r, 18.
Giard, E lem. T.T.
N
tVOCI^s
iiiizedby Qoqglp
X 194 X
tgnarus refponfiy escperfgue impera effet ^ remf^» *
me ‘Ope taceri jubent y ipfi inter je uter prìor ,
ijuum Romam rediijfent , tpatri ofculim daret , for-
ti permittunt , Brutus alio ratus fpeEiare Pythi-
cam lìocem y yeluti Ji prolapfus cetsdijfety terrant
ofculo contigit ; fctlicet quod ea communis mater
omnium mortalium effet\
. Bellinimo efempio di borica aarrazione jpuò effe-
re ancora il feguente deila Gior, Novell. 9, dell’
incomparabile Boccaccio: Il manto di Monna Gio-
vanna infermo , e veggendoft alla morte venire , fe-
ce tefiamento , ed effenda ricchijfimo , in quello la-
fciò fuo’ erede un fuo figliuolo già grandicello ; e
apprejfo quefioy avendo 'molto amata Monna Gio-
vanna j lei y fe avvenijfe , che il figliuolo fenza ere-
de legittimo morijfe y fuo erede J^ittù y e morijji .
" ^ ■■ ,§.• lù' :-J
Della Narrazion Favolofa •
La narrazion favolofa ci, racconta un fatto po«
radiente falfo, ed inventato dal bel capriccio di
Gualche poeta per adombrare la verità (8). Qnc-
ua può effere di tre fpecie, Parabola oÌCìZ Ragio-
nevole: j^pologo oflìa Morale y e Mifia , Quando
la'narrazrone é bensì inventata a capriccio , dia
che però é tanto probabile. in. tutte le lue parti,
che non ripugna', ch^ veramente fia avvenuta, o
che. almeno poffa avvenire, 2Xipv2Là\ttf\ Parabola'.
quan- *
C8) Fabufa eft quae ncque veras, ncque vcriffniiiet continet
Tcs. Jtd Hercn. f. 8. Pare, che l’Autore qofvi parli del fol*
’Aiwloga, e della Favola nifta, non comprendendo nella de»
fioixtone la Parabola , la quale e in tutte verofinilr .
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• . X *95 X
Ì [uàndo poi tal narrazione nè è vera , né è vero^
imile , perchè ci cfpone cofa , che moralmente
parlando non può accadere^ induecndo a parlare
o ad operare gli alberi , le fiere , o cofe prive di
fenfo i -allora cbiamafi Apologo y fé poi la narra-
2Ìone io parte è probabile , e verofimìle , in pgt*
tt no • dicefi FawU MìJìm .
' E uccoitìe ogni fayòla devefervire a correggere
i cofiumi degli uomini , e deve contenere fotto di
fe qualche precetto morale i onde amtnonirli a ben
regolarli nella vita j perciò i maefiri dell* arte infc-
gnano, che due parti trova]* li devono in qualun-
que narrazione favolofa. La pritiia contiene l^eCpo*
fizione del fatto ; la feconda la fua moralità , vale
a dire una breve fentcnzafpcttante ilcofiume,la
quale polla in principio chiamali Prefabul azione $
in fine Affabulaztone . Eccone gli efempj *
Parabola riferita da A. Gellio No^* Attic, Lth*
XIX» cap» 12. Homo Thracìus ex ultima barbaria ^
rurh colendi infoUns , qiùm in terrai cultìores , hu-
mani or ir viix cupidine , commig rajfèt , fundum mer*
catus ejl oleaj atque yìte conjitum : • qui ^ quia ni-
hil admodum fuper vite ^ atte àrbore colenda feiret ^
vidft forte vicinurn rubos late , àtque alte obortos
axeidentem, fraxinos ad fummum prope verticem
depHtantem , fobedes vitium e radicibus caudicum
fuper^ terram fufan revellentem , Jiolones in pomis %
aut in oleii proceros y atque decerptos amputdntem ;
àcceditque pro^e y ^ cur tantam Ijgni» at^ue fron-
dium càdem faceret y percontatus ejt. Et vteinus ita
r ef pondi t : ut ager , inquit ^ mundus y putufque fiat ,
ejùf^ue arbor , atqux vitis faecundior » Dijeedit ille
a Vicino y gratias agtns y latus , tamquam ade-
ptut rei rujlicà difciplinam» Turn falcem ìbìy ac
fecttrim capit , àique ibi homo rnìfer imperitus vi~
ttf fuae fUdsmnec (y oleas detruncat »• comafque
■ N z' ar- jr- -*»
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V
X I9<S X
arhcrum Lttìffìmas , uberrtmofqut vìttum palmttef
decìdit : & frutet a ^ atque vireulta fimul omnia
pomtSy frugibufque ^ignendis f^icia cum fentibus^
^ rubts purijicandi agri gratia y coovellit j mala
mercede dobius audaciam , fiduciamque peccandi
imi fattone fai fa eruditus . a Sic ijìi apatnia feBa»
tores , qui viderì fe effe tranquillos » & intrepido^
& immobiles volunt , dum nihtl cupiunt , nihil dih-
lem , nihil irafcuntur , nihil gaudent , omnibus t>e-
hementioribus animi offiqìis amputatisi in corpose -
ignava & quafi enervata vita confenefcnnt ,
Apologo cavato 'dalla Satira VII. del divino
Arioso , . • .
Fu già una Zucca y che montò fublìme •
In pochi giorni tanto , che coperfe
A un Fero fuo vicin V ultime cime .
Il Pero una mattina gli occhi aperfe ,
Che ave a dormito un lungo fonno j e vijìi
I nuovi frutti fui capo federfe ,
Xff àiffe : chi fe'r tu , e come falijìì
Qua J^u? dove eri dianzi* quando la(fo
Al forno abbandonai quefii occhi' trijli ?
Ella gli diffe il nome , e , dove al bafjo
Fu piantata y mojìrogli y e che in tre mefi
Quivi era giunta' accelerando il paffo ,
Ed io y V arbor foggtunfe , appena ajceft
A quefia altezza , poiché a f caldo y e al gelo
Con tutti i venti trenta anni conte] t . •
Ma tu y cF a un volger d* occhi- arrivi in cielo ^
Renditi certa , chf non meno in fretta ,
Che fta crefcìuto mancherà il tuo Jìelo,*.. .
Quejìa ftmilitudine fia indutta
Più proprio a voi y che come vojìra gioja
T ofìo montò , tofìo farà dijirutt,a . ,
Tutu morrete y ed P fatai che muofai ec.
Fa-
Digitizedby jOOgl
_ X t9? X '
Favola niliita riferita da Orazio Lìb, I, epifi,
•
Cervus tquum pugna meli or communi bus etbii
•Pellebat: donec minor in cert amine ìongo
Imploravit opes hominis : frenumque recepii «
Sed pojiquam viBor violens difcej^t ab hpjìe ;
Non^ equitem dorfq , non frcenum aepulit ore *
Sic qui pauperiem ventus f potiore metallis
Liberiate carei ; dominum •behet improbus; atqUe
Servici aternum y quia parvo nejciet uti .
Dalli medefimi addotti efemp;. ben (i può corrt-
Jsrendere, che a tal genere di narrazione fi con-
viene io ftil femplic€5 perehè, trattandofi mafilma-
xnente di Apologo, o di Favola Mifia , venga a
riufcir vieppiù credibile > c da quel candore di
femplicità riceva un’aria di maggior verità.
Ma non Tempre il poeta nelle ("uè narrazioni ci
porge cofc del tinto favolofe ; anzi talvolta anco-
ra ci racconta la verità. Quefio però egli ha di
differente dallo Storico e dall’ Oratore , che porto
un fondamento vero*, v’aggiunge poi le, lue. in*
ven^ioni , v’ inferifcc a capriccio nuovi accidenti ,
e, come dice Orazio 2
S/C ver/f fai/a remi fé et j
Primum ne medio , medium ne dtfcrepei imo i
• ^
•
Le |)detiche narrazioni adunque , che hanno fori-:
damento fui vero , e che inferite fono ne’ grand?
poemi per vieppiù dilettare, ficcome devono man-,
tenere il carattere, che loro vien’daro dal poeta y
c muovere in noi Quelli afietti, che egli delìdéra .'
perciò non vanno rirtrctte tra le leggi dello ifii
lemplice ; ma vogliono' cffer libere, c riceverò
giurta il bifog^o tutti gii abbellimenti , *e le gràr
y ^ i 2Ìè*j :
X 198 X
zie , che fa fèrvida idea del poeta può loro fotn*
roiniHrare. Perchè meglio ’fì comprenda eoa quale
diverfìcà racconti lo HelTo £itto fedelmente lo Ilo-
rico, e favolofamente il poeta, piacemi direcare
la narrazione della morte da Ercole data a Caco,
fcritta da T. Livio nel primo delle fue Storie : c
la flenfa narrazione fatta da Virgilio nell* ottavo
della fua Eneide.
Herculem in ea loca y Geryone inttrtmpto y bovts
mira fpecie abegiffe memorant y ac prope Tiòerim
fluvium y qua prx fe armentum agens , nanào traje-
cerai , loco herbido , ut quiete , & pabulo letto refi~
cerei boveSy& ipjum Jejfum via procubuiffe , Ibi
quum eum ciboy vinoque gravatum fopor oppre(fif-
s loci , nomine Cacus , ferox
ritu'dìne boum , quum aver-
tere eam preedam vellet ; ^uia , fi agendo armen-
tum in Jpeluncam compultjjet y ipfa vejiigia quee-
rentem domimm eo deduÙura erant / aver/os bo-
ves , eximium quemque pulchritudine , caudis in
/jpeluncam traxit , Hercules ad primam auroram
Jomno excitus , quum gregem perlufiraffet oculis ,
Cy partem abeffe numero JenfiJjet y pergit ad prò-
ttirnam fptluncam , fi forte éo vefligia ferrent ,
ubi omma foras verfa vidit , nec in partem aliam
/erre / confufus , atquè incertus animi , ex loco in-
fefio agere porro armentum occepit . Inde quum allee
hoves queedam ad defiderium’ (iUt fit ) reliEiarum
mugiyent , reddito inclufarum ex fpelunca boum
vox Herculem convertii ; quem quum vad^ntem ad
Jpeluncam Cacus vi prohibere conatus effet , iHus
clava , fidem pafiorufn nequicquam invocane y mòr-
te occubuit t
Hie fpelunca fuit y'vaflo fubmota receffu ,
Semìhominit Caci , facies quam dira tegebat
So-
' - . . Digiiized by GoogK
X 199 X
Solls ìnacceffam radìis , femperque récetiti
Cade tepebat humus y foribufque ^ ajfixa Super-
bis ‘
Ora virum trìjii tende bant pallida tabù .
.Huic^ monjiro Vulcanus erat pater : illius atros
Ore vomens ignes , magna fe mole ferebat ,
Attulit & nobis aliquando optanti bus etas ^
Auxilium , adventumque Det . Nam maximus
ultor ^
’T erg emine nece Geryonis ^ ftoliifque fuperbus •
Alcides aderat , taurofaue hac viBor agebat
Jngentes : vallemque boves y^amnemque tene-
bant . ^
At furìis Caci mene effera ^ ne quid inaitfum^i
Aut intentatum fcelerijve , dolive fuijfet ,
Quatuor a JiabuHs prajìanti corpore tàuros
Avertit , totidem forma Superante juvencas ^ ,
Atqne hos , ne qua forent pedi bus vejiigia re->
Hisi
Cauda in Sp^lttricam traEioSy verSS^^^ vtarum
• Indiciis raptos faxo occultabat opaco ,
Quicrentem nulla ad fpeluncam Jigna fer ebani
Intereay quum jam jtabulis moveret
Amphitryoniades armenta^ abìtumque pararci;
Di/cejfu mugire boves y atque omne querelis
Impleri nemus , colles clamore^ relinqut •
Reddidit una boum vocem yvafloque antro
‘ Mugiìt y & Caci Sp^pt cujlodita fefellit
Hic vero Alcida furiìr exarSerat atro '
Felle dolor ; rapii arma manu , nodiSque gra-
vatum
Robur y & aerei curSu petit ardua montìs ,
Tum primum nojìri Cacum videre timentemy
T urbatumque oeulis : fugit ilicet ocyor Euro ,
Speluncamque petit: pedibus thnor addidit alas »
Vt SeSe inclufity ruptiSqt^ immane eatenis
N 4 De*
X 200 X‘
Tiejtch faxwfA^ ferro guodj
J^endeéat , Jultojque emkniit obice Pj^s / x,-*>
Ècce fitretts animis aderat Tirfktbbtcì omnem-
.^e y . ' .
. Accejjfum luflrans bue ora ferebat & tìlucy ,
. Dehtìbus infrèndens : *ter totum fervidus irà i
' L^rat Aventini montem :■ ter faxea tentai
i' Limina neqmcàmtn : ter feffus tialle rejfedit t
Stabat acuta Jìlex pracìjts undique faxts
Speluncje dorfo infurgens y àltì(fima vifu ^ .
Dirarum niais domus opportuna volucrunH% ]
Hanc y .ut prona jugo lavum incumbebat ad _a^ ‘
'mnemy _
^Jhutter in adverfum nttens concujfit^ Ù' imts ^ \
Avulfam folvìt radìcìbus . inde repente
. Impuiii : impulfu quo maximus infonat ather y
Dtffuitant rtpay feftuìtque exterritus amnis\
At fjpecus , & Caci deteSa apparuit ingens
Hegtaj & umbrofa penitus patuere. caverna ,
JNon fecus , ac fi qua penitus vù terra dehifeens
Infernas. referet fedes , & regna recludat
Pallida , A>is ■ tmnja , fuperque immane bara-'
thrum 'X . ■ r '
Cematurjy trepidentque immijfo lamine mams.,.
Ergo infperata deprenfum in luce, repente , -
Inclufumque cavo faxo , atque infueta rudentem ,
Defuper Ateides telis premiti omnia^ue arma
Advocat , & ramis , vafiifque molartbas infiat ,
, lllè autem {ncque enim fuga /am fuper ulta pe-
rieli tfi) " . . • . . : .
Faucibus tngentem fumum {mirabile diSìuf)
.Evomity involyitque domum caligine cacay X’
Pro/peBum eripiens oculrs y glomeratque /ób,n9a-
tro * , , ^ j
Fumiferam noBem commtjlis igne tenebria • ■
Fìon tulit Alcides. animis y /eque ip/e per ignsne
Fra-
Di„:;:^ici by Gi:-ogk
N.
X 201 X
Precipiti in/et/t faltu^ qna plttrìmtts undam
Fttmus agiti ntbulaque ingens fpecus djiuat atra»
Mie Cacum in tenebris meendta vana vomentem
a or ri pi t in nodum compìexuSi & angit inhxrens
Eli f 05 bculos i Ù" ficcum fanguine g ut tur .
Fanditur extemplo fori bus domus atra revulfist
AbjiraBxque boves , abjuratxque rapina
Caio ofìenduntur i‘ pedibufque informe cadaver
Protrahitiir ; nequeunt expleri corda tuendo
Terribìles oculos ^ vultum ^ villofaque fetis
Pecora femiferi , atque extinBos faucibus ignes .
• §. m.
.. * *
t)eììa l^atrazione Oratoria,
L’Oratore ia neflun’ altra cofa dallo Storico fi
diftingue nelle fue narrazioni y fe non in guanto
che talvolta riferifee fatti folt^nto probabili > c
verofimili : ingrandifee col Aio dire le cofe , le
fvolge ) v’ aggiunge i fuoi rifleffì , ne deduce del-
le confeguenze , c -procura di metterle nell’ afpet-
to, che più gli è. favorevole (g),‘A lui perciò è
lecito- di e^orre nella loro maggior chiarezza tut-
te le circoltanze utili , e di l^ciar al contrario
Quanto gli è pollìbile nella ofeurità > toccando
(ol di paffaggio tutte l’ altre che gli fono piutto-
fto contrarici il che ficcome abbiam detto, èvie-
tato allo ftorico, il quale deve elTe fedele, ed,
imparziale . Lo Alle della narrazione Oratoria de-
ve
f
• .
O) Expom'mus rem geAam & uauihquodque trabiirius ad
utilitatem noAram vincendi caufa^ quod percinet ad eai cai^
fas, de qaibut judicium AitttrHm eA. Ad Htrth.'I. 8.
X *02 X
ve effer vario gìùfta il bifogno, c fecondò gli af-
fetti , che il dicitore verrà eccitare nell* animo de-
gli afcoltanti ; e però , febbenè effa non voglia
avere tutte quelle bellezze , e quelli ornamenti,
di cui farebbe ufo* il poeta , pure ammette tutte
quelle figure , che polTono giovare , a rapprefen-
tar.la cofa nel fuo piò luminofo afpettq. Eccone
un efempio della VII, Oraz*. di Tullio contro
Ver re . Includuntur in carcetem condtjnnati : fup-
plictum conftituilur in illos : fumitur de mijeris
pateniibus navarchorum . Prohibentur adire ad
Hot fuos*: prohibentur lìberis futi cibum ^ vejiitum-
que ferre , Patres hiy quqs videi isy jacebant in
limine , matrefque miferét pernoHabant ad ojìium
earceris ^ ab extremo complexu liberum excìuf£ s
quee nihtl aliud orabant y nifi ut fìtiorum extremum
Jpiritum ore excipere fibi liceret . Aderat janitor
carcerisy carnifex pratorìsy morSy ttnorque /odo-
rumy & civium , lidor Sextius , cui ex omni gt^
mitu y doloreque cfirta merces compar abatur . Ut
adeaSy tantum dabis : ut cibum tibt^ intro ferre li^
ceat y tantum: nomo recufabat , Quidy ut uno ich<
fecuris afferam mortem filio tuoy quid dabis ? ne
dia crucietur ? he fiepius feriatur ? ne cum fenfu
dolèris aliquoy aut cruciata fpiritus auferatur ?
etiam ob hanc caufam pecunia Udori dabatur , O
magnum , atque intolérandum dolorim ! O gravem ,
acerbamque fortunam / non ^ vitam liberum , fed
mortis celeritatem pretto redimere cogebantur paren-*
tes , Atque ipfi etiam adolefcentes cum Sextio de
eadem plaga y & de uno ilio ìElu loquebàntur : id*
que pojlremum parentes fuos lìberi orabant , ut ,
ìevandi cruciatus fui cauffuy Udori pecunia dare-
tur. Multi y & graves dolores inventi parenti bus y
propuaquis multi : veruni amen mors fit extre-
ma; non erit , Efi ne aliqtdìf ultra , quo progredì
• \
' DIgitizeO uy Google
X 203 X
crudeVtUi pop teperhtur . Nam Ulofum Meff
quum erunt fecurì perca (fi % ac necatt , corpyra fe-
rh obitcìentur: hoc fi luBuofum eji parenti^ redi-
màt pretto fepeliendi potefiatem •
Batta Colo leggere \t Oraiiom di Cicerone , c
fra l*. altre quelle in favor di Milone c di Ligario
per vedere belliflìmi efempj di narrazioni orato-
rie. Piacetni però quivi addurne un altro cavato
.lall* orazione che fece il Card. Commendone in
difefa d’ alcuni fcolarì dello ftudio di Padbva rei
d’ omicidio . . . • ;i
Vanno t male avventurati giovani alla caja m
felice; anzi ivi a forte fi aUattono .come glt
nò con il cofiume delio fiudio la loro fciagura . Ma
non acqueta la feverttà ^ perché queflo folamenté
h dica .'Die a fi , che minacciano d entrare , Ji pro-
vano , gridando a coloro, che prigioni fi rendano.
ÌZ p»h fin guì i nhntt dì ficccf,
ZUU. mille %oUe . Che fegue po, ? Da .nfinm
colpi fi difendono, molti ne f apportano , ^
mente feriti fon ia coloro .che /enza riguardo^ a^-
Z ai numera dì chi glìafalìva, o f aficciel^-
za del rimedio, onf efier potevano /alvi , troppo
pjà prefumevano delle lor forze di quello,
%ne flava. O quanto qui dovena ognuno .che fa
d' ejfer uomo di carne, e à off a, feco '^o^fmo ri-
pesare , di che potere fia lo fdegno , o prtnc^al-
mente a'pprejjo di giovane armati, e allora fUffi.*
7 qual furpfi preftf il /angue, che largamente dal^
ie^proprie ferite difiill a , e il vederci davanti agli
occhi il nemico , che ci ba 4^fo , e ^ortalm^%/^ll^
fefo...n Avvenne, adunque dopo molta fofferen-
M, che pià della r aitone poti io fdegno: ni fine-
ga il fatto •
§. IV. ■ <j. ri
■ri by Google
t)eUe Doti ‘di una buona Narrazioni /
Sèbbeiic parlando dello ftile abbiamo iofegnatW
^aali’fiano le doti, che devono accompagnare uif
elegante ragionamento ; e quelle flefTe cofe pot'reb-
bonfi à qneAo Itiogo applicare ^ pure a ipaggioe
chiarella, fegucndo fcmprc gli inTegnamenti di Ci-
cerone, ripeterò quivi in breve quantò^uò conve-
nire a formare una buona narrazione . Tre dunque
faranno le fue doti effenziali, la Bréyità , là C/iV-
rezza^ h Proòaóiiità (lo): Due poi le chiamere-
mo accefTorie i la Soavità , 6 la Cojiumatezza (i i).
I. Nnlla V- ha di piò grato in una lloria'," quan-
to ona pura , e chiara brevità (iz). Sarà dunque
breve la narrazione, fe di là y- incomincii , d’ on-
de fa bffogoo, e fé tronehiH tolloché non v'ha piò
cofa , la quale torni al noliro uopo : fé non af-
lontaneremo dal noftro propofito con digreflìoni
iantili , e Te tralafcieremo tutto ciò che nuoce , nè
giova al noliro intento : fe racconteremo le coffe
fommariaineote ,• lardando quello, che dalle circo-
flanzc può facilmente cfler intefo : fe'pcr ultimo
non ri^teremo le flelTe cofe, ma fe ordinatamen-
‘ ' ; te
■' • > ‘ ' . . .
— I, i r I ■ I tu li I Oi t »
Oq) OpóYt^t eatn. tYei hab>Ye r«r, nt. brevi», ut aperta ,
m probabili» titi De Invtnt. l. io. 4i Hertn- ì, 9 .
Cii) Sed, afTuiQìinm rtiam fnavìtatem . Cosi lofleflb Tutiro
nelle PartiaionI Òra'toiie. Arinotele poi nel Iti. del-
la Tua Rettorìca aggiunge di pià che la narraziéoe deve eSer
coliumata.
CiaD NihiI eli in hifioila pura & illuflri brcvltatt duUhiaf
Cie. iti Brut, ' '
Digitized by Google
X 20$ X
tc dalle prime pafferemo alle feconde , e da que-
fte alle altre in feguito . La brevità in fomma con-
cile nel non dir più di quello» che fi ricerca per
narrar bene (13). ’ .
IL La Principal dote di un difeorfo fi è la chia-
rezza , al dire di*Quinriliano(i4) • Chiara pertan-
to farà la narrazione , quando sfuggafi ogni am-
biguità nel parlare , e fi adoprino voci da tutti
ìntefe * quando cfpolte- tutte le circoltanze necefla-
rie , fi olTervi anche T ordine delle azioni , de
tempi de’ luogHi : non fi confondano le cofe , c
molto men le perfone, nè. s’ incpmincii troppo di
lontano : e quando finalmente fianli ben ^eleguitc
le leggi della brevità, perchè quant’è piu breve,
altrettanto è chiara la narrazione (15).
III. Airailfirao importa ancora , che la Narra-
zione fia probabile » olfia verofimile.» perchè al-
trimenti niuno le prefta fede. Acciò dunque, tale
venga giudicata , bifogna premettere tutte quelle
arcofianze» che necelfarie fono per togliere ogni
lofpetto d’ impolfibilità -, Se pertanto il fatto , che
prenderemo a raccontare farà conveniente alle
/ per-
Guardiamoci però dal non cadere nel contrario men-
tre ci nudiamo di effer brevi, perche dice Tullio- nel /.
Jnvtnt. Multos imitatto decipit brevitatis , vt , eum fe tre.
tfcs putitit tongijjifni : cujKt detit ut tts
multas brevittr dieant ^ non ut
ir non ptures y quam ntctfft fit. E nel II. deli Orar. 80, St
tun tfi brtvitas , f«»» tantum verborum tjl » quantum necejjo
tji, aiiquando id opus efl : Jtd f£p* oboli vtlmaxtme tnna*.
randOf non fblum quod abfeuritatem affetta Jtd tttam quoa
0 om virtuttm , ut jucunda , (Sr ad perfuadendum aceomv^dat 0 ,
fit^ tollit. E Quintiliano dicea infatti, dum brtvts tjjt vo-
Jo , obfeurus fio . . ... -
(14) Prima autem orationis virtus eft perfpicuitas . Lta.
Jf'. X. Infl. Rbet. . ,
Quo brevior, eo dilucidior 4 cogmtu facilior narrati»
fiet . Ad Htrtn,
s
. X *0^
perfoac , ai tempi , ai luoghi ; fe addurremo i
ruotivi di quel tal detto o (atto ; fe riferiremo 1
altrui autorità ; fe avremo il favore dell opinio-
ne , delle leggi , de» coaumi , della religione : fe
finalmente, farà nota la uo.ara probità , e fede *
anche la Narrazione avrà quen^ dote di probabi-
lità (i6). Tutte quelle cole fi dovranno offerva-
re in un racconto vero 3 molto pià noi in un rac-
conto fìnto (17)* E però ancora 1 Apologo , e
la Favola mifia , contuttoché fiano narrazioni a-
pertamente falfc , pure rendonfi probabili confer-
vando l’ indole c la natura propria di ciafcun a-
nimale, albero o altra cofa , che inducali a parla-
re , o ad operare (18) ;•
IV. Soave inoltre e gioconda deve efier la nar-
razione • Per la qual cofa non folo colia purità
ed eleganza dello (file, ma ancora colle vane fì-
§tf-
Cl 65 tosi l* Atttr ad Utftn, 1 . 9. Cic. dt Iffvtin. T. n«I(c
ParsiV'Orat. t Qjiint. Lib. /A', eh. Quante cofe
tanfi da Omero intorno a’ fuoi eroi , «he fembrano atfatt*
jmpolfibilf a ehi non fa quali foffero gli nomini di que tem-
pi, e quali le loro coAumanae . Virgilio,, il quale vine io
Ut dall* «tribuire a’ fuoi capitam quello « che potea farli per-
dere la dote di probabilità preffb ad un popolo di conurei
affai più noWIt,^e.dilicati de’Grecf. Goal fe uno de nóftri
poeti fcrìeendo d^una guerra prefente volene metter in c -
po altrettanti Omerici eroi, ®jrarife!
nar-
_ • —
razione irapròbabilc . e
(17) SI vera res erit b*c omma coaferranaa: eo magi* h ,
Afìa. Ad Htrtn. ì. 9,
(18) Che fe
le che fembri
mo del li afeOU ,
taf a dncrtdHilt j t ytra .
po altrettanti Omerici eroi, o le raccontanoo una
que’ tempi , voler# dare a’ capitani coAumi , forze , e<J J
convenicnti'a* giorni noAri, egli fubito renderebbe U fu*
mpròbabile. •
I vera res erit Irne omma confcrvanda: eo mag
] Htrtn. t, 9,
he fe avvenua di dover taccont,af,cora vera,, ma ta.
mbri incredibile, d’uopo farà prima, ani-
afcoltaati ; coint ftc* Oaute « dove dio» ; ft »trt
■Jr.ì . Góosi
1
• • * * X207X \
gure ) con i tràsiati , % eoa tutti .quelli abbelli-
menti , che 1* arte può fomminiftrare giuda il bi-
fogno , conviene adornarla in modo, che nulla
perdendo della Tua probabilità', e confervando il
fuo carattere pofla piacere alli afcoltanti (19).
V. Sarà per ultimo codumàta , dice Ariltotjie,
fe in efla apparirà la probità dello fcrittore , o
del dicitore , nulla raccontandoli , che indecente
fia , o men che onedo : fe a tempo fi moveranno
gli affetti , rapendo con naturalezza cfprimcre i
diverfi caratteri delle perfone, che a parlar s’in-
ducono r e fe continuamente fi ferbcranno i loro,
codumi buoni , o rei , che elfi fiano (20) .
ARTICOLO III.
iDe//’ Amplificazione .
lA fomma lode dell’eloquenza confidc nel fapcr
a tempo coll’ aimplificazione ingrandire , o dimi-
nuir lecofeò)'- Imperocché r Amplificazione non
è altro che un a certa più grave e veemente affe-
vieranza y che fi fa di una cofa , acciò commolfi
gli animi degli uditori , redin di quella pienamen-
te
( 19 ) Ricordiame i però, che non tntio quello che farà lecito
al poeta t può effor lecito all*Oiatore, e molto meno allo
Storico. • _ . ,
• (10) Ouefto è quello che piò importa, maffime ih uaa lui?,
ga narrazione, ne Ile Commedie, e nelle Tragedie, il ftibat
coflantementc i di verfi collumi delle perfone.
•(0 Smnma aun?m laus eioquentic «Il amplintare rem or-
nando .* quod vale t non folnm ad angendura aliquid « tolleiu
dum altius dicend o , fed etiam ad exicnuaodum aique ab]i-
cieudum • Dt 0*4i$, Ut*
• V
Digtìèèd'by Googlc/
I
*
' X io8 X ; . /
amplificaudite pnb con^^'
odf fendmcQto 0 ) . Uampiifi-
quella, che fi fa coir ia^ran-.
nr ima cofa'rpiegandola pìà chiara-
di finoniiai , di perifrafi, di meca-
coll’ abbellirla in tutti que’ modi figura-
jd 'i che poflbn rendere la locuzione /elegante • U
'Amplificazione di fentimento poi, che è quella, di
coi noi Ipecialmente intendiamo trattare in quello
luogo , u fa collo fvolgere , e dimoitrare per va-
r; capi una propofiziooe , che detta così in breve:
,« di paffaggig non aveva forza • di Vivere gU a-
fcoltand ,,ilf é perfuaderJi . . i . fcu
Nove fono i fonti d’ onde fi può Crar argomento
d’ amplificare' una feqtenza, o um fatto fecondo
Cicerone Z4 Definizione , V En^ erazion delle
# . • t* ^ ^ ^ f • -r-» rr . • • •
partt ,
Genere
ili tratteremo partitamcnte ne
; .
§. I.
- .11
Della Definizione*^
La Definizione fi fa collo fpiegar fiireveraente ed
afibJufamente tutte le proprietà d’ upa cofa , onde
fi venga a beni intenderne fa naturai (5). Si farà
\ ^ ^ ■ ' I .dnn-
(i) Ett ijìtur any>liGcatio gravior quadaflj adfirnatio, fuaa
■lotu aaimornia conctlirc-ia dicendo 6deai.‘ de. Ore*- Per-
ti*, tee. 15. ► . , .
C3) Èa & ««rborni» genere conficitur, ft trema . >v* •
(4^ Veggafi Cicerone nelle Tue Oratone Pi rciaioni /uog. e/t-
£ r Aut.'ad Erennio Lit. II. eep. 30. j '
Cs) Definitto eli quse rei nlicuiut proprias junpleditur pote>
fiaies brevitcr Ut abrolHtc • A 4 Herea-
/
Digili^elJ by Google
M
y log Y.
dunque primieramente 1’ amplificazione , quando
uniremo infieme varie definizioni , Je quali tutte
fervano a meglio dimofirare le proprietà e Ja na-
tura d’ una fteffa cola . Così Tuilio nella Ora-
zione a favor di Milone volendo porre fotr’ oc-
chio 1* enorme delitto di coloro , che aveano in-
cendiato la curia , per via di definizioni amplifica
quefta propofizione: JÌbbìam vedutó incendiarjì la
curia ^ e dice: Quo quid mtfertus^ quid, acerbius ^
quid luEluofius vidimus P Tempi um ' fatìSitatis ,
amplitudini^ , mentis , confilii publici , caput ur-
bis , aram fociorum , portum omniurn gentium , fe-
dem ab univerfo populo R. concejjam uni ordini
inflammarì , etj'cindi , funejìari . Ed Orazio per
via di definizioni moltra in che confile la terre-
na felicità nell’ Ode 9. L. IV.
Non poffidentem multa vocaveris
ReHe beatum\ reBius occupai •
• Nomea beati -t qui Deorum
Muneribus faptenter uti ,, '
Duramque callet pauperiem patì ^
Pe'fufque letko flagittum timet , •
, k
* V
£d il Boccaccio nella Nov. 8. Gior. X.^ così defi-
nifee l’amicizia; Santijfima cof a è V amijlà e non
fol amente di /ingoiar riverenza degna ^ ma cT'effer
con perpetua laude commendata ; Jiccome diferetìf-
Jima madre di magnificenza ^ e dì onejìà , forella
di gratitudine ^ e di carità , e d*^ odio , e di ava-
rizia nemica ; fempre^ /enza prego afpettar^ pron-
ta a quello in altrui virtuof amente óperate , che in
fe vorrebbe^ che fojfe operato*
Giard, E lem, T. I, O §. Il»
•'■S ■'
I
I
i
Digitized by Googit
§. ir. .
Dcir Enumergzjon delle parti ,
FonMf. ramolifimione .P",
Darti» Quando alcuna «oCa m tutte le lue parti a
^iOriKnifce e Gueftc ad una ad una fi vai^o c-
^"“oVcJ nella Oraz. IH- ““«<?
Sa vXdo dir Tullio , vo, vedtu , chi ic h r»y
r^ita U reptMlica , enumera tutti li “P>.j «I
onde eira eira compoaa: Rempuhlicim, Qjicritcf ,
cmmum icflr«m , bma , Wtmip «n«-
T^Tiìbcrcfyui vcflros , ctquc hcc dmutlmm da-
n%mf imperii y fortmatijjmam y puldernmamguf'
uròem hodierno die, Deorum tmmortalmm erga vos
fummo amore y lahòrthus y
meh ex hamma^ atque ferro, ac pene ex fauctbus
Zi crcptL , & vclu cmfcrvatam «itoètl
{ìdah . Ed Orrazio ne’
Lib IIL potendo dif brevemente, colui , cM reg
ge il moJdog volle enumerare tutte le pam che
lo, coftituifcono r
I, ... Scimus , ut ìmpios
Tìtanas, immammque turmam
Fulmine ftfiulerit caduco ,•
Qur terram htertem , qur marj temperat
Vénto/um , Ù' urbes, regnape trtjiia v
Bhofque , mprtalefque turéae
Imperio regie unu^ xqm, -
Ed il Cafa cella Ora?., a Carlo V. per
2Ìone di Piacenza . Dt ah vi
le mifm conpade£ Italia , e t vofin
eijfimì popoli, e gli ^ftpt, ^ A.
cri Luoghi , t le teUgiofe vergini , e gP *
Digitizud by Googk
-À
X 211 X\
fanàuUì , t le tìmide e /paventate neadri di
jìa rtolùte Provtaeia ;
J. nr. .
• #1
Degli Aggiunti i
gli a^iunti tutcé' quelle circollanze, ch^
precedono i at^mpagnano , e vengono ordinaria*
mence in feguico ad una cofa i Forma Tullio un
amplificazione cavata dagli aggiunti nella Oraz.
contro Fifone: Non enim nos color ijie fervili f y
non fìlb/ee gena ^ non dentes putridi deceperUnt .*
pcuh i JUpercilia ,• frons j vultus denique totus ^ qui
fermo qutdane tacitut mentis ejì , hic in ètrorem
homines impulìt ^ hic, eos , quibus eras ignòtus ,
decepit ^ fefellit , iV fraudem induxit 4 Fauci iftft
tua lutulenta vitia novèramus ^ paucì tarditatem
ingeniìy fluporem debilitatemque lingua 4 Ed Ora-
zio molira dagli aggiunti effer tempo di primave*
ra fcrivendo a SeiTio nelF Ode 4. del Lib< I.
Sol vi tur atris hyemi grata vice veris & Fa^
vanì y ^ .
Trahuntque ficca f machinà cartnas y
'Ac neque famJialmUs gaudet pecusy nec arU’>
tot igni f ^ •
Nec prata canit albicane pruinìs ^ '
J am Cytherea choros ducit v^enus , imminente
luna : / „ .
Jun&aque Nympbis^ Gratta decente^
Alterno ter r am quatiùnt pede y dum graves
Cyclopum
Vulcanus , ardersi urti offxcinas y Ó*c,
la daTcrizione ddla Pedileoza , che abbia>
mo del Boccaccio i «ina continua amplificazione
via d^àggionri \ ikeome là dove, dice : Non fa'
O 2 la^
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s
. / •
X 212 X
lamsnte fervx.it avet molte dorme dattorno motivai^
le gBììti ^ ma affai ri' erano di quelli ^ che di qw-
Jla vita fenza tejìimonio trapaffavano y e pochiffi-
tilt ColoTO ^ (l QU£ll\ I piCtofi piQntt 6 /
re lagrime de^ f^oi congiunti f afferò concedute : an-
zi in luogo di quelle s' uf avano per lo più rifa e
motti , e fejìeggiar compagnevole : la quale ufan-
za le donne in gran parte , pofpojìa la aonrtefca pte-
ta , per folate di loro avevano ottimamente appref 9 .
- ■- §. IV.'
Delle Caufe , ' • '
• L’ amplificazione dalle -caufe fi forma , quando fi
•adducono tutti li motivi , e le cagióni j onde mo-
lirare la cofa cfiere come fi dice . Cosi Cicerone
fa veder le ragioni, per ^cui tutti quali fu ron d
accordo lo efiliarlo: Cum alti me fufpicione pe-
rieuli fui non defenderent , olii vetere odto honorum
incitarentur , alti inviderent , olii obfiare ftbt me
arbitrarentur , ahi tilcifci dolorem fiium altquem
vellent ^ alti rem ipfam publicam atque hunc ho-
norum Jìatum ociumque odiffent ^ & ob ha f ce c^-
fas tot , tamque varias ,'we unum depofcerent , Ed
. Orazio volendo provare, che la natura tutti ci fe-
ce eguali, efpone le caufe, per cui l’uno è pm
ricco, l’altro più povero, in quello modo:
Nam propria teli uri s herum riatura ncque illunti
X^ec me , nec quem^uàm jìatuit j noe expulit ule :
lllum aut nequittes y aut vaf ri infetti a jurtSy
Pojiremtm expellet certe vivacior hares .
Sat. 2. Lib. n.
• Ed il 'Boccaccio dimofira , • che ciafeuno dee ^yer
cura di confervar fc fieffo con la feguente amplin-
cazion dalle caufe: Naturai ragione è dt ctafcurwy
che
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X 213' X
• chi nafce la fua vita^ quanto può^ ajutare e con-»
•Jervare e (^fendere ; e concedejì quejìo tanto , che
alcuna volta è più divenuto , che per guardar qiiel-
■ ia fenza colpa alcuna fi fono uccifi degli uomini é
■ E fe queflo concedono le leggi j nelle follecitudtni
delle quali è il ben vivere à\ ogni mortale , quanto
maggiormente fenza offefa di alcuno è a noi ^ e a
qualunque altro onejioi alla con fervanone della no-
jira vita prendere que^ rimedj ^ che noi pojjìame .
, $. V. . ,
Degli Effetti .
Si può ancora amplificar una cofiadimofìrandola
per tutti gli effcfti o bboni , o battivi , eh’ ella pro-
duce. Così Archita Tarcntino ai riferir di Cice-
'fonc volendo provare, »»//f effervì di pià danno-
•fo pel uomo quanto i divertimenti ^ così ne enume-
rava gli effetti : Nullam capitaliorem pefiem^ quam
€orpori$ voluptatem hominiius a natura datam fuìff
fe dieebat : cujus voluptatis avidje libìdines teme-
^T» f & efirenate ad potiundum incitarentur * Dine
•patria proditioner ^ bine Rerumpublicarum everfio-
.nes j htne cum hofiibus clandeflina colloquia nafet
dieebat / nullum denique fcelus^ nullum malum fà-
cinus effe , ad quod fu feipiendum non libido volu-
ptatis impelleret.é Ed Orazio nell’ Ode ?i. del'
i.ib. III. dagli , effetti cfalta il fuo vino Maffico :
Tu lene tormenturri ingenio admoves
Plerumque duro t ,tu fapientium
Curar y arcanùm jocofo
ConfiUum retegis Lyaof
T M fpem reducis mentibus anitiis ^
, Virejque y Ù" addir cornua pauperi y
Pofi'te ncque iraM frementi
Regum epices y ncque militum arma-t
V' ^ d An-
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X 214 X
Anche il Boccaccio' nei Laòer, nm,A 09 , dagli ef.-
fVtd , che produce moftra doverfi deteftarc ogni oro-
fano amore: Vedere adufiqm dovevi .amore ejere
' una paffione accecatrice dfir anmOi 4i{vi0trtce del-
lo'Zeino, ingroffatrUèy anzi prtvatnce della me-
delle forze del corpo , nemica della
■ della vecchiezza morte ; genitrice di vizy , e a^
tatrice di vacui petti: cofa Senza ragione, efenz
orZe, e Senza Jlahifità alcuna; viZio delle menti
non /tfwe, e Sommergitnce dell umana liberti .
§. VI.
.1
Del Genere e della Specie,
Si forma talvolta l’ aroplificaiione rol ,P>ffar ^
«enere alla fpecie , cioè prima parlando m genera.
I fe! e poi difcendendo al particolare : o dalla fpe-
cie ricorrendo ai genere, .PPr »‘*,PJ5i^,fP''®“M^
farla intendere agli uditori. Cosi Tpllio nella U-
mione “favor ài Marcello poteva dir brevemen-
te o«» 0 Ce/are , vincMi teflejjo; $1 che i mag-
gìòre^' 9 gn' clttfi tua avlrtri. , Ed ecco
maniera amplifica qnefto fentimento : Dmu^e gc^
TiZaJoe Jrdvrer, , n,ul,hud,9.
lede infimuc,
tes: fed tamen eù vicifti , quay naturam ^ co
ditionemy ut vinci pojfent
tanta vh fantaque copta . qua non ^ •
debilitariy frangile poffit ,Veym antmum vince-
re y iracundiam cMere , vtSorfam
ZrSarium nobilitate , ingemo , ytrtute
Znmo% extollere jacentem .
tius prilitnam dignttatem ; hac qu$ » ”?!*
TmKuT/unmfc ccmfm , }ed fmtHmum
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X 215 X
Dea fudico , Nella Orazione poi a favor Ji Li^a*
rio pafla dalla fpecie al genere così : Nulla He vh~
tutibus tuìs plurimis ntc grattar ^ nec admirab'dìor
mìfericordìa eji . Homtnes enim ad Deos nulla re
propìus accedunt , quam falutem homìnibus dando .
Lo {lefTo artifìcio li può ofìeryare nella orazione
per Annio Milone, dove Tullio per moftrare, che
Clodio giufìamence fu uccifo , prova primieramen-
te , che le leggi permettono di uccidere un infidia-
tore i ed in quella a favor d' Arcbia , dove , vo-
lendo far vedere quanto conto s’ aveflTe a far di
quell’ uomo , premette le lodi de’ poeti , c gli o-
nori che vennero a loro dati da tutta l’ anti^ità .
Anche il Boccaccio nella fua Nov. 3. Gior. IV.
forma una Amplifìcazione dal genere alla fpecie :
Oj^n/ v/zjo può in gravi (fima noia tornare di co-
lui y che V ufa y e motte volte a' altrui } e tra gli
altri y che con piti abbondante redine né* nojlri pe~
ricoli ne trafportay mi parey che Vira fia quello»
La quale niuna altra cofa che un movimento fu-
bitoed inconfiderato da f entità trifiizàa/of pinta y il
quale ogni ragion cacciata , e gli occhi della men-
te avendo di tenebre offufcatiy in ferventijjìmo fu-
rore accende V anima nofira . E comechè qUeJio fo-
vtnte negli uomini avvenga , e piti in uno , che in
un altro , nondimeno già con maggiori danni fi è
nelle donne veduto , perciocché più leggiermente in
quelle fi accende y ed ardevi con fiamma più chia-
ra y e con meno rattenimento le fpinge (6j ,
o 4 §. vir.
(6) Avvertati però di non eftendere troppo • lungo il noflro
dircorfo trattenendoci All generale, itiaflÌRie/e la propofìcione
Particolare è chiara , perché altrimenti c verremo a 'fatlrdio ,
e non ci remerà poi tempo a dirccadcrk al noAro proposto.
X 2I<5‘X
/ §. VII.
De£H OppoJU . '
fono ancora le amplificazioni , che ii
f^nno per via d’ oppofti, quando cioè vieppiù fi di-
rj/ofira una propofizione adducendo ragioni cavate
da cofe contrarie . Cicerone nel VI, de’ Paradoffi
vuol provare , che la parfimonia è una grande en-
trata , e così dice : Capa die ex /uh prxdiìs fex-
centa fejìertia : ego centena ex mets : Hit aurata te-
da in villi s ^ & fola marmorea [adenti y & figna^
tabulas y fupclledilem y & vejìem infinite concupi-
fcenti non modo ad fumptum ille fruElus^ ejì , Jed
edam ad fcenus exiguus : ex meo tenui vedigaH y
detradis fumptibus cupiditatis , ali^uid edam re-
dundabit . Uter igitur efi dìtior P cUt deefi , an cut
Juperat ? (jui eget ^ an qui abundat ? cujus poffef-
fio , quo eJì major eo plus requirit ad fe tuen-
dam y an qua finis vìribus fiufiinet ? Ed Orazio :
/iter ne
cafius diiùìos fidet fiibì csrdus ? tìic , quì
Pluribus afjuerit mentem , corpufique fuperbum ;
An qui contentus parvo , metuenfque futuri ,
In pace y ut fiapiens y aptarit idonea ' bello?
Anche Alefiandro Minerbetti nell’Oraz. in lodecfi
Frane. Medici argomenta da quello luogo così ;
Perche fe Jironda cofia farebbe fiata y cke dal Greco
Poeta fiojfe al faggio Nefiore la fortezza d' Achille
attribuita y o a queflo la fapienzadi Nefiore; così
chi. nell a verde etcì canuto fennoy e in giovane guer-
riero la fenil prudenza y e P efperienza commenda y
non le lodi loro y ma la mancanza y che eglino de^
‘ pro-
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X *«7 X
proprj pre^i hanno ^ dimoflra ^ Conctqffiachè fe^ dU
f creta agrtcoltore non ricerca dall' arbore , che netta
primavera i frutti dell' autunno gli produca ; ma
JS quello di fiori adorno rimira y afpetta con pazien-
' za nella matura Jìagione i dejtderati frutti r accor-
te y così noi fcorgendo nell' animo del Principe Don
Francefco le fperanzjC y ed i fiori y ec. Così nel Lib.
IV. delia Fiammetta il Boccaccio ad imitazion di
Tibullo dimoftra quanto bella folTe T età dell’ o-
ro , perchè allora non v’ erano guerre , non v’ c-
rano difeordie , i campi erano comuni , il mare
non era flato ancor folca to , e renava la pace,
e la concordia nel cuor di tutti i mortali.
§. Vili.
Della Similitudine y' e della Diffimilitudine ^
Per rifchfarare una cofa alle volte> fi ricorre a
qual):he lìmilitudine, o dillìmiiitudine; e quello pu-
re è un modo elegante di far V amplificazione (7).
Così Tullio prova elferli permeflb difendere Mu-
rena Conf, dei'. Quod fi e porta folventibus ii , qui
jam inportum ex alto invehuntur, pracipere fum-
mo Jludio ffìlent & tempefiatum rationem , pra-
donum , & locar um y quod natura affert , ut eis fa-
ve amus y qui eadem periculay qui bus nos perfun&i
fumus y tngrediufìtur : quo tandem animo we effe
oportet prope jam ex magna jaSatione terram videa-
tern in hunc y cui video maximas Reip. tempeftates
effe fubeundasì e Virgilio- nel IV. della Eneide :
. Mi- .
(.?') NeH’ufo però delle fifnilitudrtfTa ficcofne alttovt già
abbiaoi aromonito, biroenà cCer parco, e guardarli dal uoa
addurle di quelle, che uano frìk di loro contrarie.'
I
Digitized by Google
t
X 218 X
MìgrgntfS cetHas y totaqiu ex ufbe ruentesx .
' ' Ae ìfelathingémém formica farrh acervum
Quum popuLant , hiemts mernores y teBoque repth
nunt :
It nìgrum campìs agmen , pradamque per herbas
CónveBant calle angujìo : pars grandia trudunt
Obnixa frumento humeris : pars agmina cogunty
Cajiìgantque moras: opere omnis femita fervei.
Ufo deila fimilitudiae anche il Boccacdo Nov. io.
Gior. I. Come ne^ lucidi fereni fono le Jìelle orna-
mento del Cièlo y e nella primavera i fiori ne* verdi
prati y così^ de* (audevoli coftumi , e di ragionamen-
ti piacevoli fono i leggiadri motti, E nella DiflTi'
mifitudine nella 7. Gior. Vili. Ma prefuppofloy chf
io jpur magnanimo foffiy non f^ tu di quelle y in
cut la magnanimità debba i fuoi effetti mqfirare ,
La fine della penitenzxt nelle felvatiche fim^ ^ome
tu fi* y e fmilmente della vendetta vuole ejfere la
morte ; dove negli uomini quel dee bajìarey che tu
dicefti . Perchè quantunque io aquila non fia , te
non^ colomba y ma velenofa ferpe conofcendo , come
antichijfimo nimico y con ogni odioy e con tutta la
forza di profeguire interuk,
§. IX.
Dell* Efempio ,
PoffìaTQ Analmente trar materia di formare una
amplificazione dagli efemp; coll* arrecare uno o pih
efemp;. i quali confermino la nofira propofizione.
Àvca detto Cicerone nel I. de* Farad. Ncque ego
unquam bona per didi ffe dicam , fi quis pecus , aut
fupelleBilem amiferit ; ed ecco ficcome dimoftra
con un efempio la fut propofizione: Ncque non
fx-
Digilized by LiOO ^
fape laudabo faptentem illunty Èjantem % ut opinar ,
tgui emmerfltuf inter feptem fapientes : cuf us quum
ptttrtftm Prienem cepìfjet hojlìs , cxteri^ue ita fuge-
fent^ ut multa de fui s rebus fecum afportarent ^
quum effet admonìtus a quodam y ut idem ipfe fa-
ceret ; ego vrro ^inguit y facio : nam, omnia mea me-
cum porto ^ L* Ode 3. del Lib. di Orazio è una
continuata amplificazione per via d’efempi. An-
che Alberto Lolljo nella fua elegantiflìma Orazio-
ne fopra le pompe tra tant' altri efemp; , che ri-
ferifee per dimoftrare cfTere il luflTo fempre flato ri-
putato dannofo alfe città , dice: Meritarnente adun-
que > per le loro affettate fogge del vefiirey furono
di leggierezza taffatt Glìfiene y Ottetto y JiriJÌ ago-
ra y Mecenate y Dfimojlene y MaffimintOy^ molti al-
tri y come fu Cornelio Lentulo , Sur a . nobili (fimo
cittadino: il quale y perciocché troppo delizio/amen-
te vejltva y fu con grande ignorpmia dtf Ùenforì
/cacciato dal Senato . Così Aurelio Fofeg dilettane
doft per attillatura di portare gli anelli d* argen-
to y fu privato della dignità della Cavalierini^) *
Avvertali però, dice Tullio, che fatta èflendo
l’amplificazione a fine d’ingrandire le cose, eper
render magnifico il nollro dire, noq vuole, che
fi fminuzzino con foverchio fludio tutte le circo-
ftanze, ma che fi fcielgano quelle fole, che fanno
al nollro cafo , ufando fempre una certa libertà ,
per cui affatto ne redi coperto l’ artificio (9) .
, Per-
(8^ Ouello, che li dice desìi eretnpj , intender li deeean*
cera dell' altrui teflimonin; laonde li può beniffimo ricavare
«rgomento d’ una amplificazione dalla autorità altrui, quan-
do queAa Ca d’un perfpnaggio degno di tutta |afede,' c che
torni al nodro cafo.
( 3 ) Necquidquam.iu amplifieatione nimis etmcieanduin eli :
jnittiKa cà cnim omnia dUigtntia ; hic autem locus grandia
requtrit . Otat. Partir. ’
X 220 X '
Perchè poi di leggieri perfuader fi pofla agli
ditori la verità di qualche detto, o fatto col met»
zo d’ una fcmplice amplificazione, oflTia efortazió-
ne , bifogna faperla ordinatamente difporre . Inp*-
gnano pertanto i maefiri dell’ arte, cne
1. Devefi lodare T autore di quel detto , o di
quel fatto, perchè, dalle di lui lodi. ne derivi mag-
giore autorità alla noftra propofiziòne .
2. Efporre il detto o il fatto medefimo rifehià-
randolo, e per via di perifrafi innprimendolo alta-
mente nell’ animo degli. afcoltanti <
3. Addurre le caule, onde ne rifulti la verità
del nofiro afifunto^ . .
4. Mollrar per via di contrari quello che av-
verrebbe^, fe così la cofa non fofie , ficcome noi
diciamo . *
5. Rifcbiarare con qualche immagine o fimili-
tudine quello di cui fi tratta.
6. Riferire efemp; che facciano al nofiro propo-
sto , e che confermino il nofiro aflTunto .
7. Comprovarlo poi con tefiimonj d’ altri accre-
ditati perlonaggi , che furono della liefia nollra
opinione .
. a. Conchiudere finalmente recapitulando in bre-
ve tutto quello che fi è detto, o confermando la
prima noltra propofizione .
Non è però necefiario l’attcnerfi così fervilmen-
te a quefte leggi, che s’abbia a porre alla tortura
l’ingegno per ritrovare materia , onde feorrere per
tutti li fuddetti otto capi; perchè quando l’ argo-
mento aflTunto a trattarli per le IklTo fia chiaro,®
non ci fornifea altrettante prove, allora tralafciere-
mo di buon grado gue’ capi che poflPon clTergiadir
cati'fuperfluin o fu cui non abbiam che dire, per
non attediare o colla troppa p'rolilTità, o con inu-
tili parole, c ricercati fentimenti i no«ri uditori.
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X 221 X
‘Di fatto ecco in qual maniera M. Tullio fervefi
(dell* amplificazione per lodar l’ amicizia . Premcf-
fa la fua definizione, arfrerifcc, eflTer ella la miglior
• «fifa, che abbiano gli uomini, eccettuata però la
ftpiehza: ^ autem amichi a nihil aliud j nifi a-
mnium divinarum humanarumgue rerum cum be-
nevolenthy & caritate fumma confenfio , Qua gui~
dem haud feto ^ excepta fapientia^: quidquam
melius homini fit a Dii^ immortaìibus datum , -
* Svolge poi , e conferma la fua propofiziofie para-
' frafandola , ed amplificandola per via di ^araponi :
Divitias aia praponunt , bonam alti valetudtnem ,
aiti potentìam ^ alti homreSy multi etiam volupta-
tes : Belluarum hoc quidem extremum illa au-.
tem fuperiora caduca incerta , pofita non tam
in noflris confila s ^ quam in fortunie rtemeritate
Paifa quindi alla caufa dell’ amicizia : onde ne
rifulti la di lei dignità, e grandezza: Qui -autem
virtute fummum bonum ponunt , preclare il li
quidem ; fed hxc ipfa yirtus amicìtiam gignit
& continet : nec fine virtute amicitia ej]e ullo pa-
(lo potejì . •
■ Prova di nuovo quefio con efempi : Viros bo~
nof^eos y qui habentur , numeremus, Paullos, Ca-
tones ^ , G alias , Scipiones , Fhilos , bis comntunis
[vita contenta efi . T ales igitur inter viros amich
ita tantas opportunitates habet , quantas vix queo
dicere .
' Dagli effetti poi dimofira i vantaggi deiramici'
zia ; Principio y qua potejì effe vita vitalis , ut ah
'Ennius , qua non in amici mutua benevolentia con-
' quiefeat ì Quid dulcius , quam habere , quhum omnia
audeas Jic loqui , ut tecum ì Quis effet tantus fruflus
in projperis rebus ^^nifi haberts , qui illis aqucy ac
~ tu ipfe-\ gauderet ? Adverfas vero f erre difficile effet
fine eoy qui illas gravius etiam, quam tu ferra.
Per
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y( 222 X
Pct via di diflìmilitudine prova poi efler i’ ami-
cizia maggiore di tutti gli altri beai : Dtntque et-
ter a res ^ au4 expetuntur ^ opportuna fini fingala re-
bus fere fingulis y divitia y ut ut are ; opes , ut
lare; hofiores ^ ut laudere y voluptates^ ut gaudeas j
valetudo y ut dolóri careasy & rnuneribus fùngare
corporìs : Amtcitta plurimas re^ cpnti(jet / qupqup
te verterti , praflo eji y uUo loco exclùditur j nun-r
quarrt intempejiìvd % nunquara molefid
Conferma Quello anche dagli oppo^ ; Qpod fi
exemeris ex, natura rerum benevolenti^ cpnjmSior
nem ,• nec domus uUa y nec urbs fiore ppterit , ne
agri quidem cultus permanebit , Id fi rhtnus ìnteì-
ìigitur y quanta vts amicitia y concordtaque fit , ex
differfiovtbus y ptque ex dìfeordits percipi poteji .
Qua entro domus tam fiabilts , qua t am firma ci~
vitas efi y qua non oditi > atque dififidits funditus
pojfif everti?
Siegnepoi coll’ altrui teftimonio ; Agrigentìnum
quidetrty doBum quemdam virum , carmini bus Gra- |
cis vaticinatum ferunty qua in rerum natura y to^
toque mando conjfiarent , guaque moverentur , eqt
contrabere amìcitiam , 4i(jtpare difeordiam . At-
que hoc quiderrt omnes mortples O* intelUguat ,
re probant ,
Ecco per ultimo (a conclulìone : Ex guibus omntr
busy guam tum boni fit in amicitia y fiidic/tri potejì .
Contuttoché pero in pib luoghi di queda mia
èreve operetta io abbia ammonito di guardarli dà
ogni fu périduità. tanto nel dire, quanto nello fcrì-
vercy pure lafciar non veglio di riferir quivi il pa-
rere dd gran macero Quintiliano» il quale» tratr
tandoll di giovanetti , da cui non ancora C può cG-
gece un perfetto e giudiziofo r^gionatpen^) i
dera piattono , che peq:Ìiino nel foyx?|bbppdare *
che nello fearfeggiare ; kaperpeebé jcfiome ,
di-
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2Z^ K
éw\ la tro|)f>a fecondità d’ un tert^Qd
. te fì modera, cosi f|uc’ Inoghj, càc /bup .cil lor
non iì^offono con veruna latina
ittM| 9 lre (loli. Voglio ^nque facondia di jpenficiri
e di parole in un giovanetto., dicea Tullio
e qnola s*acqailkrà col leggere ^noto . e col
renderli famigliari le di lui orazioniCia), neUetuaii
lì trova tutto ciò che può formare la fomma lode
di un oratore (rj)# Da tale efercizio di leggere*
d’ interpretare, c di feri vere moltilTuni yant^g^ a
ricaveranno, e quello rpecialmente, che dovepdp
noi per forte all’ improvvifo d’ alcuna cofa parla-
re , pur nondimeno ragioneremo in guifa , che
fembrerà , che diciam cofe Icrittc ; ovvero fe ne
avremo fcritta ona parte fola * profeguiremo a di-
re il rimanente in modo , cne non parrà punto
dilTimile dallo fcritto (14) •
Eccovi per tanto, o giovani, conchiuderò anch’
k> colle parole deir Autore ad £n%nio , in que-
llo
^10) r« pueris oratiò perfetta ncc exigi , nec fpcrari potril :
melior aatem eli indoirs Ixfageneroiique conatus , lfevclplu>
ra jufto conciplensi interim fpiritui . Nec umquam me in bis
difeentis annit oSendatf fi quid faperfuerit. . . Facile reme-
dium efi obertttis : fierilia nullo labore vincuntur . L/ì. II.
rap. 4 . Tnfl. Rtth.
Clij ^od me de bis «tatibusfentire nemo mirabitur , qui
apud Ciceronem legerit : ?olo enim fc efierat in adoleKentc
foecunditae. Sluim. ivi,
Cra) Orationena aotent ladnam legendis nofiris efficies pie-
oioteih i De Offic. Lib. I. in prine,
(13) Nulla eft ullo in genere lane oratorìt , cujus in aollrtt
orationibse non fit aliqna , fi non perfeQio, at cooatus ta.
neif « atque adnmbratio . de. in Brut. ,
(14} Qui a fcrìbendi confuetudine ad dicendum venir, hanc
atfert facultatem, ut edam Cubito fi dicat, tameu illa qua
dicantnr, fimitia fcrìptonini effe vidcantar ; atque etiam , fi
quando indicendo fcriptam attalerlt aliquid , cum abeodificeC-
ferit , reliqua iimilit oiatio confeqqctHr • De Ora», Lib. l, 151.
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X 224 X
do libro con fomma cura raccolti tutti que’ pre-
"cetti , e quelle cognizioni , che fon necènarìe per.
formare un’ elegante e bC;.n roftnmata ^"?.ionc ;
nelle quali cofe , fe voi diiigeutemcnte vi %^i-
terete, tale gravità, tal dignità c foavità nel par-
lare verrete a’confeguire, che veri c perfetti Ora-
tori' farete giudicati (15).
(ji) Omnes rationes honeflandai elocutìonis ftudiofe collr-
giraus, in quibus, Hercnni, fi te diligeoter exercoerti & gra.
vitaten & dignitatem, & fuavitatem habere in dicendo pò-
teric , CB oratorie piane loquaris . Léà. ly. in fine .
• Fine del T omo Primo ,
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ELEMENTI
DELL’
arte rettorica
Tratti dalle Opere de’ migliori Maeflri , ^
e rifchiarati ad ufo della gioventù
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GIARDINI
Pubblico Professore d' Umanità' nelle
Scuole Minori della Università'
di Pavia .
DELLE PARTÌ NECESSARIE A FORMARE
IL PERO ORATORE .
TOMO
II.
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BASSANO 1801 .
APPRESSO GIUSEPPE REMONDINI E FIGLI •
Co» Rigf4 PemJJPcne.
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F a o £ M i o,
Déllè Parti del? Arte Rettorìe a •
PARTE L
Capo, l
ROMA
5 ®
' * bell* Invenzione i li
ÀKT ì L De' luoghi Interni o Artificiali * 14
M I* Della Definizione 4 1$
j. IL Dell' Etimologia é \Z 18
Ì« IIL Della Enumerazione* 21
[i IVa Del Genere è della Specie è ; \ 25
U V- Degli Antecedenti è dei Conseguenti * 28
!; VL Degii Aggiunti* . 30
!• VII# Caufe e degli Effetti 32
VIIL Della Similitudtné e Di Somigliànzà * 36
tv 6 4r
4 Z
46
47
47
§; IX. D? 7 Centrar j 0 Ripugnanti *
§; X. D<?/ Paragone * .
ÀitT# IL Dei Luoghi Efìerni 0 Inartificiali 4
§• I. Del Teflirrtonio Divino • .
§i IL Del Teftimonio l/mano 4
CAVO IL
Delia Dtfpofizione 4
Akt. I. Dell' E f or dio • . 54
i. I. varie Specie e de' fonti dell 1 E fiord i&* 55
t« lté Di ciò che dee preflarfi dall ' Oratore
nell 1 Èfordio 4 64
§. IIL ZW/* dell'Efordio « 68
A % §• IV,
«
X 4 X
«. IV. Della Propofiziane Oratoria.
70
S. V. Della Divisone .
Art. II. Della Narrazione.
1 77
Art. III. Della Confermazione .
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I. Delle Frove . ‘ - *
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L II. Della Confutazione . —
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§: III. Delle varie Specie e forme a arg
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tare .
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<$. IV. Del Sillogi fino .
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<S. V. Deir Entimema . T 1 ^
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<S. VI. De//’ Induzione .
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VII. Dell' Efempto . ^77
t §. Vili. Df/ S orite .
1 §. TX. Ite/ Dilemma .
99
100
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Art. IV. zw/rf Perorazione .
. . ^ io?
C A PO. ÌH-
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- Dèlia Memoria . / • « -
; * T. Z)»//* Memoria Naturale .
II. Della Memoria 'Artificiale .
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; . Della Pronunciazione • - \
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. IL Del Volto .
4. III. DW Gefio. j
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§• VII. -D*// Invidia .
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I* tf‘ PfS°f ume tPPMei.
I’ Vt ^ Coftumé de’ Dotti,
Il VII D De?°cT e de * 1 * ApP*ff'on«tì.
« vffi n F^n me de Giovani ,
l ryn Goflume de’ Vecchi .
« delìe Donne.
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Delle Quejlioni #
Art. I. Ò3 Gs**r* Dimojlrativo .
§. I. Del Panegirico .
<f II. Delle Orazione Funebri .
§. ìli. ÌM' Epitalami.
«. IV. Df//? Orazioni Genetliache ,
«’ V. ZW/e Congratulazioni ,
§! VI. Z>*»* Condoglianze.
« VII. J>//e Orazioni Eucarijltehe .
1 Vili. De//? Orazioni di Biaftmo , . ,
Aht II. ZW G«w« Deliberativo.
■§. I. Delle Conciliatorie.
«. II. Delle Perfuafive »
«. III. Z)e//e Orazioni Morali.
ART. IH. Z)W G««r* Giudiziale .
CAPO IV,
J)ella maniera d* efercìtarfi nel comporre.
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173
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175
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PROE*
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PROEMIO.
Q uella fovrana virtà , che parlar facendo
1’ uomo col vero linguaggio della natura ,
lo rende polente a fpiegar con parole in
guifa tale i proprj fentimenti , che', infinuandolì -
egli nell* animo di que’ , che 1* afcoltano , gli
sforza , e li trae dove più ad effo aggrada (i) ,
abbifogna bene fpeflo pur troppo dell’ Arte, che
prudentemente la guidi , e per via più diretta e
iìcura al propofto fine la conduca (2) .
A 4 Queft’
CO Eft Eloquenza una quaedam de fumiti js virtutibus . . . •
quje fenfa mentis & confitta fic verbis explicat , ut eos qui
audiunt qùocunque incubuerint , poflìt impellere. Cic . de O-
rat . IIT. 14.
CO Nella prefazione premeva al T. I. abbiamo già dima,
firato baflevolmente come quell’ arte figliuola della natura
lìa fiata poi ridotta a precetti ; epperò abbiadi Tempre vedu-
to , che quanto più ella s’ a Somiglia al parlar della natura
è Tempre più ammirabile . Diffe perciò ottimamente Tu 'io :
De Orat . 1. a. Ut in ottetti id maxime excellit , quod lon -
gijfftme fi t ab imptritorum intelligenti a , fenfuque disjun -
&um , in dicendo autem vitium vel maximum tfi a vulga-
ti genere or ottoni i , atquc a confuetudinc communi s fenfus H .
abbonerò.
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4
■ ■ . ■ X 8 x r< - '
Quell’ Arte a dovere poffeduta da utl . uomo ,
cui la Natura lìa fiata prodiga (3) de’ fuoi doni:
coltivata pef merto d’ un non interrotto eférci-
zio : corredata della vaga corona di tutte le altre
fcienze e da faggia prudenza , e maturo configlio
accompagnata (4) , ne fomminiftra il perfetto Ora-
tore ; quello cioè , che a tempo fa col fuo dn
‘fcorfo ammaefirare , dilettare, e trionfar con -gli
affetti fui cuore defili JÉ w^ta n ti (5) . ■' f .
Nè potrebbe ella; produrre - sì mirabile effetto
nell’ uomo , od’ effer tanto poflente , fe .la , fola
meiite informando , non . s’ efiendefle ancora co’
fuoi precetti a regolarne l’.efterno . Figliuola del-
la ragione -, ' e maeftra di prudenza • la Kettorica
infegna'collMovenzione a ritrovare gli argomen-
ti forti ed efficaci : colla Difpofizione a collo-
car le 'cofe in maniera ; che ordinatamente, ed
• a tempo l 1 una all’ altra fuccedanfi . Padrona
..... eJ .
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» * * » « •
C 3 ) Sic fentio, naturami primum ad dicendum vim afferre
maximam. Cic. de Orai, LI* Nihrl pr*cepra atque artes va-
lere, nifi adjuvante natura . Quitte. 4. i. c. i.
( 4 *) Multo labore % i affìduo Audio, oraria exercitatione *
pluribus experimentis , altiffitna prudenti?, praeftantimmo
confili© con fiat ars dicendi . Quint. Jib.i. f.lj.
* (5) Per divenir perfetto Oratore non folo'iii fogna aver una
difpofizione naturale all* eloquenza accompagnata dall arte
e dall* efercizio ; ma conviene fecondo Tullio ener pratico e
capace a parlar di tutte le coTe* «he pqffano cader- tn ^ue?
ftiono* fVd. Pref, ai Tm* i.
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X p X
ed arbitra de’; cuori ci detta le efpreftìon? , ti
i modi più vivi e penetranti colla . Elocuzio-
ne . .E- perché, il tutto in ogni tempo, e do-
ve abbifogna e nplle, maniere le pih efficaci di-
re (ì polla , ci arricchisce ■ colia Memoria , ne av-
viva la voce , ne cangia il volto , ne modera
per fino il gello , ed il patto colla Pronunciazio-
ne (<5).
Il principal fuo intendimento quello però ef-
fendo di fignoreggiare fui cuore umano ; non con-
tenta quell’ Arte d’ aver dato le fue leggi alla
mente , ed all’ azione , le vie del cuore ancora
ella penetra , e fi sforza d’ indagare . I collumi ,
gli affetti Je fomminilìrano materia , onde perfe-
zionare il fuo Oratore , e renderlo più facilmen-
te padrone dell’altrui volontà.
Leggi così utili , così portenti prefTo la fcorta
de’ più grandi Maeftri io già m’ accinfi ad efpor-
00 Omnis orandi rajto, ut plurimi, maximique auftores
tradidcrunr quinque p^rlibus conila: , Inventionc , Difpofi -
tionc , Elocutione , Memoria , Pronunciati one , five Anio-
ne , uiroque euim modo dicitur.... Non enim tantum re-
fert quid & quomodo dicamus, fed etiam quo loco. Opus
ergo eft difpofitione. Sed neque omnia, qua; respoftulat di-
cere, neque fuo quseque loco porerimus, nifi adjuvante me-
moria ■ qua propter ea quoque pars quarta efit. Veruni h*c
cunéH corrumpit, ape propcmodum perdit indecora vel vo-
ce , vel geftu pronunciatio . Duini, Injiit . Rbet. Ili, a. Ctc*
£ib. 4 . oc Inv. De Orai, IL Ore.
X » X
r *
re . Avendo pertanto nel primo Libro Laftevol-
mente padato della Elocuzione^ e di tutto ciò
che ad effa appartiene ; dell’ altre parti necelfarié
a formare il perfetto Oratore in quello ordinata-
mente a trattar mi rimane'.
• * «
1
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4
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PAR-
A
PARTE PRIMA
C A , P O I.
DelP Invenzione ,
V
Q uesta è la parte veramente eflenziale dell’'
eloquenza ; e in quella guifa che le carni
•ed il colore non fervono ad altro che n
perfezionare ed abbellire il corpo umano , men-
tre la fua vera bruttura e fermezza nell* offa , é
nei nervi confìtte ; così ancora le parole, gii or-
namenti « le figure , gli affetti , vertono , ador-
nano , hanno bensì gran parte nel dilettare , e
nel movere il cuore , ma la vera forza , ed il
nerbo dell’ eloquenza tutto dall’ Invenzione di-
pende (i) . # .
jL’ Invenzione pertanto al dire di Tullio (2) è
un
\
\
4 è *
( 1 ) Catterà , quas continuo oratioms traftu magis decur-
runt , in auxilium , atque ornameatum argumentorum com-
parantyr, nervifque iilis , quibus cautTa coatinetur adjiciunt
fuperindufìi corporis fpeciem Nec abnuerim effe ali.
quid in dele&atìone , multum vero in commovendis affe&i-
bus : fed h*c ipfa plus valenr, curi fe didicifle judex pu-
tat : quod confequi nifi argumeutatione, aliaque ornai fide
rerum poffumus . Quint. Jnjìit. Rbct , lib, P. C. 8.
CO In vendo cft excogitatio rerum verarum aut verifimi-
dura, quae cauffam probabilem reddant . De lnvent. I. ad
Heren. hi. L’Oratore, come già fi è detto, parlando del-
la Narrazione oratoria, talvolta tratta argomenti puramente
probabili ; perciò difle beni fórno Cicerone aut yeréfimi lium
qua eaujjam probabilem reddant . E quand* egli fofìenendo
il partito piò debole, o difendendo il reo giunge a perfua- v
dere ed a vincer la fua caufa, è molto piò apprezzabile U
fua eloquenza t $he quando parla per la verità , o per cofa
ftfù c ficura.
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JC X* x
un litrotamento di cofe vere , o vèrifirfrili , té
quali rendano probabile la noltra caufa . Or fic-
come I^Oratorè deve fempte iter di mifìt. il fuo
fine, che è quello di perfuadere sii afcoltanti ; e
guefta perfuafione , acciocthè gli acuirti un per-
fetto trionfo , non ha folò da confiture nel vin-
cere colie ragioni l’intelletto, ma nel piegare an-
cora la volontà cogli affetti ; perciò tutta l’ in-
venzione fta riporta e nel faper ritrovare gli ar-
gomenti atti ad appagare ii primo / e pel dettar
coi medefimi a tempo tutti queVmoti , che fiano
capaci a piegare , e vincere la feconda (3) . ‘ -
. Gli argomenti., offiano le ragioni tolte da cofe
certe, che Sì adducono, per dimottrare , la verità
d’ lina p.raportzione ancor dubbia (4) , come rile-
vali dalla fudderta definizione di Tullio, fono di
due fpecie :• altri veri , o netejfarj ; altri veri fi-.
• miti , ' 0 probabili . * f primi danno .certezz'a , e
feienza ; i fecondi inducono foltanto opinione, e (
fede • Gii affetti poi altri fono di lor ^natura re-
niti /. & ' : altri veementi , e gagliardi , fi c-*
come altrove parlandoli delle Figure già fi è ac-
cennato (5) . * - .....
7 ■ ’ ■ • •' . ;• ,■ 1 & » - X rao- 1
. né*. .àmmmm „ m k m Il i .. «-.■■■y,..- » *
(3) ftfcelttar O rrtror qupMadìrtodurti fide m fa cidi efs , quf-
bus vpjet perfuadere ,, & quemadmoduin motum eoruiti anP
«nis afterat. Cic. Partii, órat. Quello flremflimo vincolò'
che pàffa tra l T intelletto e la volontà, che noe già due ,
~~~ un fplo' elTc*/e cofntUifco'nol feorgefi anche tra gli àrgo-*
iti f e gli aflètti . Tendon* eflì a diverte potenze , ma
r «• * .f 4 * # ^ % i • 1 • • a* 1
tiene
£4} Efl, arqumenfum r.1fìo probationenì praflans , q'oa càll?-"
Ritur aliud per afiuVf, & qtia» quocf eft diibium' per id quod
Bon>fì Uubiuin confirmat ùuint. ^. to: 'V' J r . J /
" (s) A rre tapi fi può PidW ré tuffa 1 dòtltóli* degli
* ”• * fi.
X *3 X
I morivi che dettano in noi gli affetti , rap-
porto alla Invenzione fono gli fletti degli argo-
menti , come infegna Quintiliano (6) ; e quelli fi
ricavano da’ luoghi Topici, che* fedi degli argo-
menti vengono perciò da Cicerone chiamati (7) .
Tali luoghi o fono Interni , o EJierni , I primi
diconfi ancora Artificiali , perchè non ci fommi-
nittrano apertamente e da fe ftefli le ragioni ,
onde provare il nottro attunto \ ma c’ indicano
folo una via come rintracciarle ed abbifognano
poi sì dello Audio dell’ Oratore per cavarle dalie
vifeere della caufa , che della di lui arte, per ap-
plicarle opportunamente, I fecondi chiamanfi an-
che Inartificiali , perchè fanno prova da fe indi-
pendentemente , fie non dalla artificiofa diligenza,
dall’ invenzione almeno dello fletto Oratore che
non ha fe non a far ufo di ciò che il luogo fletto
gli fuggerifee , e fomminiflra per quindi provare
il fuo attuato (8) .
AR- .
per eccitarli.; quello dipende dalle ligure , di cut già fi è par.
Iato nella elocuzione : fe finalmente cercali l’arte di collo,
farli; quello appartiene, alla Difpofizipne v Noi affine di
non interrompere l’ordine delle materie, datele* luòghi op-
portuni le neceffarie e generali iftnuziom intorno agli affetti ,
<i riferbiamo a trattarne p$ a lungo, e fe paratamente nella
i-I. Parte di quello libro » .
CO Lib. V. 8. . ‘
C 7) Licer definire lojcum èffe argumenti fede ni ; arguxnen-
V.! rl.-kioo
’Topic. Argumenta ducuntur ex locis , aut in re ipfit infitis,
*ut affa mptiz • Cie. Partit. Orat . . Alias proba tiones extra
«liccadi rttionem acci pi t Orator : alias ex caufa tt,ahit ipfe
U auodammqdo gignit % Ideo^ac iUas ut ideft i «arti-
fici»-
•X M 'X
ARt|COI.O t
De 1 Luoghi Interni o Artificiali
Varie fono le opinioni degli autori circa al
numero di quelli luoghi* per cui dall ^ intimo del-
la caufa noi pofliamo trarre argomenti atti a per-
vadere gli alcoltanti < Generalmente però a dieci
lì poflono ridurre , e fono : La Definizione , L
Etimologìa , X’ Enumerazióne , Il Generi e la
Specie , Gli Antecedenti, ed i Confeguentty Glt
A e giunti. Le Caufe e gli Effetti 9 La Similitu-
dine e la Diffimilitudine t 1 Contrarj q Ripugnan-
ti 7 lì Paragone CO «
ficiales : has * rriy.ni idei! arlificiales vocaverant . Quint. r.
3. Ad probandum autem duplex eft oratori fubiefla materie» .
Una rtrum earum, quac noti excogiiarttur ab Oratore, fea
in re pofitaè ratione tratfantùf . * altera eft quafc tota in di-
sputatione & argumentatione Oratoris collocata elt . Ctc. Uc
Credono alcuni inutile i Ì trattar de’ luoghi Oratori ?
perchè, dicon’ eflì , come la maggior parte degli uomini
cammina benitòmo fenza faper le regole del balla, a almeno
fenza riflettervi attualmente, cosi utr buon Oratore prova
egregiamente il fuo aifmito fenafa penfare nemmeno a luoghi
f addetti» Ma fappiano cortoro che ì precetti feri votili per chi
non fi fa, non per chi è già 1 buon oratore: e che filetti no*
farebbero tali, fe prima con un continuo efercizia formate
non f i fodero fu le regole iftefle/ in quella guifa appunto > ,
che chi fatto uomo* cammina 1 velocemente e fenza indugio
(opra un rientrerò, ebbe da bambino bifogno d una iffano'g»
tofa che lo feortaife, e dingeffe, araire che agallano noli
c-adelfe rniferamente al fuo lo • /
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Dàlia Definizione*
J • . .
9 • 9 %
Ogni ragionamento, che s’ inflituifce intorno a
qualche cofa , deve aver principio dalla Definizio-
ne , perchè da tutti intender fi pofia quello di cui
.fi fa la quirtione (2) * Se quella fi trafcura , mol-
te volte avviene , che parlafi invano , perchè o
non fi è intefo , o fenza avvedetene fiamo dello
flelfo fentimento coll’ avverfario , e fi deputato-
lo per non convenire ne’ vocaboli . La Definizio-
ne dunque è una breve , chiara , e propria spie-
gazione che fi fa della cofa , o del vocabolo , fa
cui cade il difcorfo (3) ♦ Quella dicefi di Nome
quando noi fpieghiamo la vera e propria etimolo-
gia , o il lignificato di un non intefo vocabolo :
dicefi di Cofa , allor quando fi fpiega la natura
ed il carattere della cofa che fi definifce (4) .
Per formare una buona definizione infegnano i
filofofi , che bifogna accoppiare al genere la diffe-
renza , offia all 7 attributo comune e generale del-
la cofa, che vien definita, un altro attributo fuo
Pio-
, 1 -iy ■■■■- yy
* »
4 A *• « • t « , • « «
C a) Omnii aun 4 ritióne fufcipirur de aliqna re taftitatio,
debet a definKiooe prò fi ci Tei - ut ìnteHigatur quid fit id de
quo dìfputatur. Cic* Dé Offie, t: t* . .
G) Definitio eft Oratio, qtise quid fit id 4* quo agitar o-
fiendit quam bre vittime. Orat. Definitio eli earum return , qux
’ funt ejus rei propri* , qqain definire voi am u* brevi? « cir-
cumfcnpta qu*dam ^xplicatio ; Z>ff 6rai. 7. a. /
. (d) Definitio eft oratio, quxid, quod defiaitur explicat
.quid fit • Definitionum autem duo fnnt genera prima : unanx
earum Tenuti , qu* funi } alternai tararti , qu« lutei Jigun-»
tur. Topi* t . . v. \.-J . l •
X ló X
proprio , c particolare . Così fe fi definifce I* no*
mo effere un animai ragionevole , fi fa intendere il
genere eh’ egli ha comune con tutti gli altri ani -
mali , e la differenza che tra tutti lo didingueper
effer egli ragionevole • Untai modo di definire pe-
rò balla, e. conviene al, filofofo, il quale non cer-
ca altro che gli attributi effenziali della cofa per
ammaertrare Con brevità; ma l’Oratore che ha da
perfuàdere di più l , e di commovere , : non s’ ac-
contenta di così angudi confini . Egli nelle fue
definizioni giuda il bifogno fi eftende, amplifica,
abbraccia in effe le caufe, gli effetti , gli aggiun-
ti , le parti , gli offici ; ed; or con metafore , or
con fimilitudini , or per via d’ opporti cerca di
metter là cola nel fuo maggior lume, ficchè for-
ma talvolta vere descrizioni . Ecco come Tullio
definifee l’ uomo nel primo libro delle Leggi cap.j.
Vtnimal hoc providum ^ fagax , multiple* , acu-
tum, merrtor * plenutn tutionis , & conflliiy quem
vocamus hominem preclara quadam conditione ge-
nera tum efl a fummo Deo . Solum eft enim e* tot
animdntium generibus atque naturis partictps ra-
ti onte , & cogitai ionis , cum c estera sint omnia ex-
per ti a. * Quid efl enim non die am in homine , fed
in omni calo , atque terra ratione divinius ?, Dalla
definizione pertanto fi trae una prova allorché
argomentando fi deduce la verità del noftro af-
funto dalla definizione della cofa di cui fi tratta •
Così Tullio nella Orazione per Marcello perfua-
de Cefare, non aver effo per anco abbartanza o-
rperato per la fua gloria ~ Si rerum tuarum im -
mortali um , C. Cafar , hic exitus futurus fuit ,
ut 5 deviclis advetfariis , rempublicam in eo flatu
T P^tifcres , in quo nunc efl ; vide quafo , ne tua
divina ^irtus aamirationis plus fit habitat a quam
gloria , Stquidem gloria efl illuflxii , ac perva h
8 *
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X 5r X
miti forum magnorum, vel in fuos csves
velin patri am ^ vel fin omne genus honunum far
ma meritorum . Hxc igitpr tibi *el'tqua pars ejl.f
hic rejìat a chi? ; in hoc elaborandum ejl y ut rem -
pubYtcam-conjìhuas , eaque in primis xum^fumma
tranquillitate & otto per fatar e. E nel Bruto dal-
la definizione prova qual fia l’ uomo veramente
onorato ZZ Cum honos fit prxmium virtutis Jh4h
ciò y Jludioque civium delatum ad aliqnem ; qui
eum fententìis , qui fuffragìis adeptus ejì , is mi-
hi &, honejìu f & honoratus vi de tur r qui auiem
occafione alìqUa etiam invifis ci vi bus n fi Bus ejl.
impèri um , hunc nomea honoris adeptum , , noli ho-
norem y puto . Non altrimenti ^ Anfore della di-^
fefa delia Difcordia dalla definizione jmoftra^chfr
ZZ La difcordia è cagione della bellezza del mon-
do y e della confervazione degli animali j t ndeìle
città. Perciocché , egli dice, chi. altro } dì fasti-
dia 'nelle cofe create che diverjita dt cofe dijfimtli
ed oppofle ? negli animali chi diria , che altra C0-
J!a jta J~e non difparitd di cuori e di appetiti ?
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Quindi
confonde la difcordia colla' divifione, , feorre poi,
tutto T ordiiie del I e cofe naturali e civili , e fa;
vedere che dal contrailo e dalla varietà degli op-
porti rie;, nafee P armonia, eia bellezza dell’ uni-
verfo ; onde concbiude che ceflaodo tal difcordia
tutto ritorneria al primiero caos . Ed il Salvini
nell’ orazione in lode del Conte Ugo argomenta
dalla definizione quando dice zi La pietà verfo
Iddio altro n$n è che un diritto e una } giujlizia
che dalP uomo fuo fervo, fi rende all* unico e vero /,
Signore ; e allora t Principi alla greggia de* toy
ro vaffalli perfettamente , e felicemente comanda-
^ Giarde Eterne T, II. ^ ‘ B ; '
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»o quando al. comun Prìncipe Iddìo con umile t
e devoto cuore fi Sottopongono . Che egli in ciò mi-
rabilmente fi fegnalajje , non mi lafciano mentire
il Tiranno di Roma cacciato >' il Pontefice nella
fua fede refiituito ec. E altrove prova la gran
Santità di S. Giufeppe dà quello {onte — La San-
tità è un'' amicizia dell’ uomo con Dio , Or chi
partecipò’, in maggior copia di quefia amicizia ?
jSì conversò col Inerbo fatto carne f gli fu ccmpa-
' V * . . t /
gno ec, ' ’ * * / . V t f a • s '
? Abbiam detto* da principio che fa definizione
è^una breve v chiara , e propina fpiegazione di
nna cofa ; dal -che appare tre eflere le di lei doti
principali . L La Brevità ,. nort già quella filofo^
fica , ma tale, che T Oratore non s 1 ertenda pitìr
del bifogno v II. La Chiarezza così che egli met-
ta veramente in chiaro la cofa che definifce r per-
ché farebbe 'fciocchezza ,■ fe 'la definizione forte
prò ofeura delia cofa definita.- II I, La Proprietà *
cioè a dire /che la definizione ad altro, fe non
alla cofa definita * appropriare non fi porta , . af-
finchè non ci avvenga quello che narrali dVun fi-
iofofo , il auale avendo definita l-uomo effere un
animai di due piedi e fenza penne, fu dal Cinica
derifo che fpiumato un gallo il gettò nella dfc
lui fcuola dicendo : ecco il tuo uomo *
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. . ir.
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V
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' , ' ' m'v
Dell y Etimologia .
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• s * » M W " *
I nomi dai faggi furono* importi alle xdfe noir
fenza qualche lignificato,, e 1’ Etimologia appun-
to ( che altro non è N che una : definizióne del vo-
cabolo tratta dalla di lui origine ) è quella , che
* v 1^ A
c
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X 19 X
ne fpiega il lignificato ifteflb (5) ; laonde può
fomminiftrare al dicitore largo campo a decorre-
re ,■ fe da e/Ta egli trae argomento onde provar»
il fuo allunto.' Tullio nel 2.' delle Tufculane qui-,
flioni dall’ etimologia prova che la fortezza è la
maflìma tra tutté le virtù che da lei prendono il,
Home,’ e che ella è. la vera virtò propria deli’
uomo il quale fu chiamato vir a vi , come vir-
tui a viro . Vide nè curri omnes reci/e animi affe-
bliones vtrtutes ; appellèntur ,■ non Jit hoc proprium
nomea oniniurri / /ed ab ea , qua: una .. cxteris ex-
iellebat , omnes nominata: sint ; appellata ifl enim
a viro virtus ‘ viri àittem propria ejì forti tudo :
cujus rhunera duo maxima Junt ,■ mortisi dolori f-
que' contemplo.; Per Ligario prova effer indegno
del nome d uomo Tuberone per la l'uà inuma-
nità conciofiachè homo derivi da kùmanus : Quid
diets ? cave ignofeas i Hate nec hominis ,■ nec ad
hominem vox. ejì / qua qui apud te C. Cxfar ute~
iur , fu am citine abjiciet humanitatem , quam ex~
torquebit tuarn ; Contro Pilone dimofira non el-
le r egli Confolo col dire:’ Si Cònful ejì , qui
retpùbl tea confulit / , non Conful Pi/o ,• qui eam
ivertit . Il ci tv Autore della difefa della Difcor-
dia ugualmente mortra, la verità di fua definizione
còlla etimologia = Che di fardi a sia il defiderio-
di dtver/e co/e,' la Jìeffa voce che dalla diver-
“1 cuort e dì voleri fi deriva lo dimofira .
iid Alo.; LoIIio nella fua Orazione fopra Je Pom-
pe fa una belliffìma eiclaniazióne cavata da aliè-
no luogo .• O tempi ! o cofiumi ! tempi dico ta-
li 2 tem-
_ _ . . • • . ■ ’ ■ -
— — ■ — — — ! b ■ ■ - —
$ # ^ — _ J . ^ j. , -jf ■ 1 «
\S) Notano eft cuni ex vi nominis argumentuin
Suam Graeci / rv/uc\oy /«» vocant, ideft
veriloquimn % ivi . De Orar, U. 40, 41. &
***— \
’1
; X20X
tcmperantiffxmi , e ccftumi fcofì urna ti (fimi , degni
veramente di una buona riforma , e di molto fe-
vera correzione . Quali dir volere non poterli più
chiamar tempi , perchè fenz’ ordine ne’ cortami ,
perchè lenza modo , ed affatto opporti al loro e-
timologico lignificato . Così anche il Salvini par-
lando di Saturno come d’ un pianeta caduto in-
faullo nella iua Le z. IV. dice: Siccome per de -
j cri vere un uomo' cortefe , dolce , c driver fevol e y li-
berale , grato , allegro ed affabile , lo dici am gio-
viale , quafi tutta la virtù di Giove bevuta egli
abbia , e incorporata ; così per /’ oppojlo gli uo-
mini rtiejii , di rabbuffata chioma , di fopr acciglio
aggrottato , J curi in vijla , e tenebrofi , orridi , ta-
citurni , quafi ' allievi e figliuoli di quejlo Pianeta
Saturni comunemente gli addomandiamo . Querto
è un luogo molto atto alle facezie , ed agli fcher-
zi, purché fiano uniti a qualche faleVTulIio co-
sì lepidamente motteggiò Verre dicendo: Quid
mirum , fi hic omnia rapit , & verri t , cum Ver-
res appelletur ? . '
All’ etimologia fi devono riferire gli argomen* *
ti cavati dai Ccn;ugati , cioè a dire da vocaboli
che riconofcono una rtelfa radice ed origine (6).
A favor di Marcello p. e. parlando Cicerone
vuol provare che Celiare è veramente invitto:
Cxteros quidem omnes vittore s bell or um civilium
jam ante (Cquitate & mi feri cor di a viceras ; hodi er-
ri a vero die te ipfum vicifli . . . Nam cum ipfius
vittoria condizione vitti omnes occidiffemus , eie -
men-
Coniugati qu* orti ab uno varie commutantur, ut fa-
pi ens , fapientia, fapienter &c. V. ’topie. Ùe Orai, IL 41.
Quello che fi è detto delle figure di. Traduzione e di Para-
jicmalia può fervi re ad il luftrar qucfto luògo, che ha oon ef*
fe molto di illazione. . 1
-I • e
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I
• \ X *» X _ ■
fnentìa tua judìcìo confervati furto Us . Re eie igl»
tur unus invi&us es , a quo ipftus ttiam vi eteri a
conditi o ì vi fque deviala ejì . £ contro .Pi fon e:
Cium e [Jet ornai s * ili a caufa confutar is & Jenato-
ria ± ausilio mi hi opus erat & Confu lis . & Sena-
tus / Dai coniugati ancora fi prende motivo di
fcherzare itiaflime fe per figura di Paronomasia i
vocaboli hanno diverte origine, ó diverfo lignifi-
cato. Così nella 4. contro Verre fcherzò Tullio
chiamandolo bonus Afirologus , qui non tam cali ,
quam argenti . datati cupidi tate duci tur . E Pro-
perzio così fcriffe del Tuo Secolo : ,» *
^ ,
Aurea nunc Vere funt S acuta : plurimus * auro : ;
Venit honos : auro conciliai ut amor .
Auro pt\lfa ftdes , auro venali a jura , :
Aurum lex feqnitut , mox fine lege pudor , •;
• ' • - • §, nr. , :
• - \ * ' * » * * ..
> , * • t
- * >' « . « , ;
Della Enumeratone , » • * .
^ 1
Catfafi argomento dalla Enumerazione quan-
do per dirftofirare una propofizione, quefta.lì di-
ftribuifee in tutte le fu e parti reali * o iritellcttuar
li , affermate , 0 negate le quali refìa affermato
o negato il tutto * Tale diftribuzione fecondp il
bifogno può cadere falla materia , falla forma ,
fulle caufe o fagli effetti . Può anche farfi ri-
fletto al tempo y al luogo « alle qualità , e tutto-
ciò in fomnia * che in qualche modo appartiene
alla cofa , di rffi fi tratta 4 Tutta la prima Cari-*
linaria i cavata dalla .enumerazione . Incomincia
Tullio nell’ Efordio ' a moftrap gli effetti della
sfacciataggine e èt ì furore di Catilina * per cui
nulla piu lo atterriva . Siegtfe poi a provare eh*
poi a provare
È 3 egli
f
X 12 X
/
£g!i da tutti era. odiato, fuorché da’ fuoi iniqui
compagni , per le fue turpitudini ; e quelle ff
confiderà e* nella di lui perfona , e nella fua ca-
fa, e rapporto alla Repubblica. Amplificate, è
confermate col fatto tutte quelle cofe egli viene
; a convincere Carlina,' che note fono; tutte le
fue Tcelleraggini V che effetto é di Tua clemenza
s* egli vive , che Roma da lui fi deve abbando-
nare, 'v:H ; ; .
In tre modi fi può formare argomento per vij
.di Enumerazipne * I. Affermando tutte le parti
perché quindi relti affermato il tutto. Così Tul-
lio per la legge Manilia volendo provare <effer
•Pompeo un gran generale, fa ^a,di“rihuzione col
dire , Ego emm e tifi imo , in fummo Imperatore
quatuor ha? res ineffe oportere; fetenti am rei mi-
litari? , virtutem , aucloritatem , felici titem . Pro-
va in feguito che in Pompeo quelle qualità fi tro-
vano in fommo gradò 5 dunque conchiude effer
egli un gran generale •. Nella orazione per Ar*
chia volendo imparare effer quel poeta cittadino
Romano , enumera i tre requisiti neceffarj ad ot-
-*«ereTa cittadinanza: Data efifivitas Syllanì
lege 0* Carboni? j fi qui feeder qtis civìtatibu? a-
Jcripti fuiffent , fi tum cv,m lex ferebatur in Ita-
lia domietlium habuiffent , & fi fexflgintq diebus
àpud Prtetorem effent prof effi fXf Ù 'imofira quindi
chè Archia era aferitto ad altre Cirtg confedera-
te : che già da molt’ anni abitava in Roma : che
aveva fatta la foletjpe profefiGone preffo del Pre-
S ire: e conchiude' efler egli adunque cittadino
ornano / Ed Alb. Loliio i tj morte del Sig. Mar-
co Pio mpftra che V i)pn?o é Tempre infelice fa
.quella terra così dicendo colla enumerazione: Ec-
colo nella infanzia , nella quale in denfiffime te T
fiebre vivendo , non ha conofcimesto di fe medefi ?
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. X 2 3 X-
( '
rno , .wè d’ alcun ’ d/rhz co/i rA’ ej/J fi vegga ed
oda • Entra, nella puerizia , e quivi comincia un
poco ad aprir gli occhi dello intelletto , ed /z d/~
J cerner e il ben dal male , dr^e /** vergogna ed il
timore de* fuoi maggiori non gli l afri ano godere)
i piaceri e le ricreazioni della vita . Perviene al - fc
la g i oventtì ,, nella quale egli è /limolato^ da' di -
verfi appetiti y e molti.no/oji pen fieri gli interrom-
pono laiquiete dell 1 animo ^ In ultimo giunge alla
vecchiezza . Oimèy o'tme da quante varietà di ma-
li , \ da quanti incomodi , e d/* quante no/e viene
•ella accompagnata ! ■ / j
. 5 II. Negando ciafcuna delie parti perché , rerti 4
negato il torto . Così Cicerone parlando a favor
di Ligario dimoftra non aver qucfti offefo Cefa-
re , benché forte nell* Africa al tempo della guer-
ra civile : non nella fua partenza , perchè domo
ejl egre/] us, non modo nullum ad bellum f Jed. ne
ad minimum qui de m fufpicionem belli : non nella
fua dimora^ in Africa , perchè Legafus in pace
profeElus , in provincia pacatijfima ita fe gejfit ^
ut ei pacem effe, expediret ; non finalmente -quaiw
do potea rertituirrt in patria dopo la fua Xega-
zinne , perchè non era credibile , che ft potpìffet il -
line ulto modo evadere , Urica potìus , quam ‘ fa-
ma ; cum P. Aclio , quam cum concordimeli s fra-
t ribus ; , cum alieni s , quam cuna fui s efjet mal ut/
Jet . Provate le quali cofe conchiudè.: : Nuli/
igitur habes Cafar in Qj Liguria, fignum* ( a
a te voluntatis • $.d il Boccaccia ; m , una ]f
al Priòr di S. Aportolo volendo provare
ititi ve JojUnne ? Quanti e ferriti df
~ r Quanti nt ha gi$ menati pti/
l
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X 24 X '•
•# 1 * • » « * » . »'•>■
' ¥ t pine , <7^// prede'), quali Spoglie ^ guati fegni
militari Ji fece portare innanzi ? Quali *c ampi de*
vernici prefe ? Quali pHvincie fottomife ? Dicalo
egli : dicalo un altro : io niuna ne udii 4 . Che K à-
‘ dunque Scriverò ?\
lU r Negando e rimoyendo alcune parti, per-
chè 1 ’ altre nec diàri a ni ente fiano. affermate . : Così
nella Filippica 4. prova Cicerone, che Antonio
non potea cfler riparato Conlolo fe non dagli ini-
qui Tuoi partigiani , col dire: Negat hoc D< Bru-
j us Imperai or , Confai defignatus , natus reip , ri-
vi s : negat Gal li a , negat cuntta Italia : negat Se-
• ftatu* , negati*- ves < Qui* igitur illum Confuterà ,
. nifi' latrones putant ? E Q. Capitolino preflo Li-
vio riprende fa plebe Romana molìrando che ella
v é r origine d’ ogni male colle ingiùfle Tue prete-
fe : ' Jrrob Deum fiderei ^ quid vobi* Vultis ? Tri*
bunos plebi* concupijìis : Concordia caufa concef-
fimt(S ■ 4 Decemviro * dèfideraflis : crear i paffi fu-
mi* , Decemvirorum Voi per taf um' ejl t coegimu*
dfire màgiflratu . Manente in eofdem privato* ira
vedrà mori atque emulare nobili ffintof i?iro* ho -
nejìijflrriofque paffi fumus , ' Tribuno* plebi* creare
ite rum voluijìi* / creafli * . Confule* facere vefira*
rum parttum , etfi Patribus videbamus iniquum /
patri citim quoque magifirqtum plebi donum fieri
'Vsdimus , Qui fini* eri t difeordiarum ? Ecquando
innati? urbem habere , ecquando communém hanc ef-
fe pàtri am licebit ? vitti no* aquiore animo quie*
ycimuf , 'qttam vos vittore* • In no* viri , in no*
jrttiatPc/ii* . Ed il Boccaccio prova non poterli
dir fuga la fua partenza da Napoli ih quello ino-'
>do : Ma perchè doveva io fuggire ? viveva io po*
fio innanzi a Tiefie mangiando a menfa i figlino*
li tagliati ) e cotti P- ì Aveva io nafeofiamente di
notte a] Greti aperte le porte di Tro/a ? Aveva
' ' io
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X 25 X •
» *
/ V
„ofa fuori di regoL m ..
JO ni fozzo giogo aveva fottratlo il. collo . Qui che
C ’ è ÀÙ* ‘ , > "■
S’ avverta.' per ultimo nejla Enumerazione di
ìion ofnmettere alcuna parte, perchè altrimenti
ia cotifeguenza non vale (7) .
• ■ §. . IV. •/• . ’ •
• ' % , *
. —
ì)el tjenere , t della Specie , .
*
, ** __ , » 4
Si argomenta ancora dal'Getìere alla Specie,
parlando cioè prima gerieralmente di quello che
molte cofe fotto di fe comprende, quindi difen-
dendo alla particolar fioftra propofizione , e di-
inoltrando convenire ad effa come ad una parte
necelTariamente quello, che del tutto fi conce-
de ( 8 ) • Quello è uno deMuoghi .più famigliar^
tìel Che perù bifogna guardare di non fermarli
troppo a lungo fui generale per non attediar gli
alcol tati ti prima' che al propofito # noltro fi difen-
da . v Onde conviene ufar quello luogo con giudi-
zio ; e' non toccare i generi lontani , ma il prof-
ilino folametite, e quello con brevità. Nella 2.
Àccufa contro Verre Cicerone da quello fonte
inoltra ai Romani l’obbligo che loro corre di
proteggere la Sicilia. Cum omnium fociorum ,
provine) arumque rùtionem diligenler balere debe -
trs
{ 7 ) Parlinone autem fic «tendimi eft , nullarji ut partem
relinquas . Topie . Cic.
00 Genus eft notio ad plures differentiaj pertinens , forma
e fi notio cujus di&rentia ad caput generi* , qtia/ì fbntem , te-
ff rri poteft. In Topic, Cif,
./
n
X26X 7 •
tisi tum precipue Sicilia , Judices , plurimi * , /«-
JìiJJimifgue de caufis , Primum quoa omnium na -
tionum exter arum pirinceps Sicilia fe’ ad amici -
' ti am. 9 fidemque Pop . applicuit ; Prima 0-
, r mnium y ìd quod ornamentum Imperli efl , Provin-
cia efl appellata : Prima docuit majores nojlros ,
’ praclarum effet exteris gentibus imperare ;
Jola fuit e a fide, benevolenti aque erga Pop . Aow. ,
ut C i vitate* ejus infula , ^«4? femel in amicitiam
noflram venifient , nunquam pofiea deficerent . E
nella Ora/, per Archia dal genere alla fpecie pro-
va doverli quel dotto poeta proteggere dai Ko-
mani f 57 / igitur fav&um hoc' poeta nomen y quod
nulla umquaYn bar bari a violavit , faxa & folitu-
àk?JP VP# riefpondent j befìia fape immane* cantu
fletluntur .atque coqjìjlunt ; no* inflittiti rebus opti-
mi* non poetar um voce moie amar ì &c. Ed il
- .Buomroattei in lode della £ipgua Tofana argo-
menta dal Genere alla Spècie cpsì : E fenza fai-
h fegny. di Wfa fffciola . nobiltà y e ricchezza in
mtf h cofe create lo. f pi andar dell ’ origine y giac-
chi puniverf ale confcnfo degli uomini - è fempre
fato, che nobile pota dirfi quel , che da b
nere fcaturifce » ^ talché quando fi pub provare
buon ge -
che una lingua derivi dà un* altra nobile y e quel-
la dovrà dirfi nobile. v fe già ella- non degenerale
dalla fua ragguardevole origine : come avviene ap-
punto degli uomini , che nàf cendo di nobil fami-
glia fon tenuti da tutti nobili « fino che per qualche
proprio demerito non perdon la nobiltà y 0 che . da
qualche cperazion poco degna ty)n refìi la chia-
rezza loro ofcurata » E fe queJV è , yedete di quan-
ta nobiltà potrà lodar fi la nofira lingua . Ella ri-
cono f ce y ec 9 ’fc* < * ^
Qualche volta fi argomenta anche dalla fpecie
al genere, .provando eioè eolia dimolfrazione di va-
v ... . rie *
1
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> . •
. } *
X 27 X ' ■ |
rie cofe particolari una verità generale. Così nella
cit. Praz, per Archia Tullio moftra effer le preten-
fioni avversarie affatto ridicole dalla enumerazione
fpeciale di ciafcuna di effe : Hic tu tabulas defide -
ras Heraclienfium public as , quas Italico bello , in-
cenfo tabularlo , interine fctmus omnes . EJl ridi cu-
ltori adea qua babemus nihil di cere , quxrere ,
habere non poffumus .* bominum memoria ta-
cere , litcrarum memoriam flagitare ; & cum fia-
be as ampli [fimi viri religìonem , integerrimi muni-
cipi i jusjurandum , fidemque y ea qua depravar i nul - . ^
woafo poffunt , repudiare : tabulas , /dera d/-
r/V falere corrumpi , defiderare ; Ed in quella per
Dejoraro , polle fojtt’ occhio a Cefare varie parti-
colari attenzioni a lui qfate da quel re, ne dedu- ' ...
ce la verità della Tua generale propofìzione, non
effer cioè credibile che gli fia llaro nemico : Ille
Te Alexandrinum bellum gerente ptt il itati bus tuis
paruit : file exercitum Cn, Domitii , ampli fimi vi-
ri , f uis tetìis & copiis fujìentavit : il le Ephefum
ad eum , quem tu ex tuis fide} iffirnum & probatifr
fimum omnibus delegijii , pecuniam mifit ; il le ite-
rum , ille tertioy auftioni bus fattis , pecunipm de-. •
dit , qua ad bellum u ter eri s : ille corpus fuum pe-
riculo objecit , tecumque in acie cantra Phamacem
fuit y tuumque hojlem effe duxit fuum . Is i gì tur
arguì tur domi te fua interficere voluiffe : quod tu
nifi eum furiofiffìmum judicas , fufpìcari profetilo , <
non potes . Ed il Cafa per inoltrare a Carlo V.
<che egli era (lato gloriofo anche nell’ infelice Spe-
dizione d’Algeri, dice nell’Orazione per la re-
flit, di Piacenza: iVè i voftri nemici medefimi era-
no arditi di rallegrarfi della vofira dif avventura ,
nè il y offro pericolo aver caro , del quale poiché
la felici ffima novella venne , che Vofira Maejìà era
fuori , ninna allegrezza fu mai sì grande , nè
con -
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X 28 X "
Conforme egualmente in ciafcuno , come quella , che
tutti i buoni infiiemem ente fèntirono allora * Si fat«
to privilegio hanno , JY A/. , le g iufle opere ^ e ma-
gnanime ^ che effe fono eziandio atei te avverfità fe-
lici , e nelle perdite utili , e ne’ dolori, liete f .*
contente § * *• * < % * >rt v .• * * * * * • » t ‘ •
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Degli Antecedenti t e dtt Confeguenti *
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Antecedenti chiamatili quelli * porti i quali. ne*
ceffariamente altre cofe ne debbono avvenire e
Confeguenti diconfi quegli altri,, che di neceflìtà
dai primi derivano * Or quello £ un luogo, da cui
traggonfi fortiffiftii ' argomenti p provare alcuna
. propofizione ; , imperocché , dati que’ tali princi-
E ;, le confeguertze fono in certa maniera innega-
ili . Cralfocosì al riferir di Tullio nel* II* delK
Oratore convinceva Carbone dalle antecedenze eh*
egli noti poteva effer creduto buon cittadino: Non
fi Opimium défèndifii Garbo , idei reti ifii te bonum
ciyem putabunt * Simili afe te j & alitici quid qua-
fiiffe , perfpicuum efi , qUod'T. Gracchi mortem
/ape in concionibus deplorafii : quod F* Africani
necis fociuC fui/li \ quod e am legem in tribunati
fìlli fi i / quod fempèr a bonis diffenfifii 4 Ed egli .
medefimo Cicerone all’ oppofto dalle confeguenze
convinceva on altro d’ omicidio. Si & ferro in-
terferì ut • ili e , & tu inimicus fejur cum gladio
cruento comprehenfus es in ilio ipfo loco , & ne-
mo prater te ibi vifus efi , & caufa ne mini , &
tu fiemper audax ; quid ejl , quod de facinore du- -
Sitare poffimus ? Ed in quella per la fua Cafa fa
vedere i ‘ danni che ne verrebbero aila repubblica
fe tutti, i patrie) voleflero eflcre Piebei dalle con-
l€-
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I
Xa?X '/
feguenze : Itaque Pop. Rom, brevi tempore nequi
Regem Sacrorum , ncque F l amine Sy nec Sa li or
babebit , nec ex parte di mi di a reliquos Sacerdo-
tes , neque AuSores Centuriatorum & Curiatorum
comitiorum , aufpiciaque Pop . Rom . S i Magi -
Jìraius Putridi creati non ftnt , intereant necef-
'* fe ejl ; cum Interrex nullus fit , yuod & ipfum ,
? Pàtridum effe & a Patricio prodi , .necejfe ejl m j
Anche Monfig. della Cafa dalle antecedenze mi- , -
naccia a 7 Veneziani la iicura guerra : Se egli (1’
Imperatore ) amaffe la pace , anzi fe egli non • (
r odiafjey la fua vita farebbe lieta , e la fua vi- \ t\.
fia Jerena y e la fua mente d? infinite cure libe- {
r.a | e fcarica: perocché voi vedete y che ella è -
v in fua mano , er/ in fuo potere . Cfe vogliono di- K
sr* adunque tanti penjìeri , e vigilie ? Cer-
ato , Sereni fimo Principe , cA/ dogli ofo è in pace ,
. /pera in guerra trovar letizia e chi le piu par-
ti e le maggiori avendo non fi chiama pago , iwc;-
/e // ttttro ; la qual cofa /’ Impera dorè fenza al-
cun dubbio nelle fue lunghe e continue vigilie ftu-
dia e procaccia . E nell’ altra fua Orazione mo- 1
ftra dalle confeguenze ai medesimi Veneziani do-
verli fare la Lega così : Perocché fe noi non con-
** fentiamoalla Lega , che il Re ne manda profe-
rendo , S . M. fenza alcun fallo dei due partiti
prenderà t uno , che egli o fi fi ring era col P a- ;
, pa y e con gli Svizzeri % o fi darà del tutto al for-
tificamento del fuo Regno y ed alla^ difefa di fe
Jìejfo fi apparecchierà j e così eziandio faranno gli
- Svizzeri: e quale che egli prenda di quefii due
partiti y apporterà a noi gravi (fimo danno , e gran-
di (fimo pericolo . Perciocché .fe. al Papa , e fon
gli Svizzeri fi congiunge , il nofiro fofpetto fia
• incontinente raddoppiato : che dove ora noi temi a- I
. . mo V Imper udore foto j allora ne converrà temere
‘ /’ Im-
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r Impefadàre y e /* Le gii , e raddoppiando la pah-
fa ì raddoppieremo la fpefa 7 e V affannò ec;
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*' ‘ ' ! Degli Aggiunti :• . • . .
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.Aggiunti diconfi tutte quelle circoflanzey che.
non necetta riamen te y ma d’ ordinario vanno uni-
te , Malmeno fi poffono confiderai in un fogget- : *
. - fb w <$a èrto fonte fervè molrittìmo per trova rè gli
' argomenti di congettura y i quali fi ricavano dal-,
le circoflanzé che precedono che accompagnano,
é che vengono' in feguito ad una cofa : Tutti gli
' aggiunti a quefti fi pottono ; ridurre: Qui* , quid y
ubi f per quos 7 quotiès , cur y quomòdo y quando ♦
Quis a confiderar cioè le qualità della perfonà di'.
Cui fi parla , nel che concorrono le . circoflanzé .
della' patria y dell’ età y del Tettò y della educazio-
f ièy dei Tuo tenor di, vivere ,• de’ Tuoi Audj'y del-
e fue forze y è ricchezze £ e dell’ abito anche e
pórtarftento etteriore • Quid X ponderare if fattoi
medefimo y‘ fe alia* perfona fletta convenga o no m t.
Ubi alle cirtoflanze del* luogo / Per quos ai com-
plici è compagni dell’azione j Qjwties ai replica- .
ti attentati y o fatti 5 fletti ;** Cur allé caufe ed ai-
motivi- che pottono avèr dato impullò alla medefi-
roa azione r Qùomodo alla manièra’ tenuta nell’ o-
perarè / Quando al 'tèmpo', in cui % fi è, commetto
il tutro ^NelIa Orazione a favor di Milóne Tul-
lio da quello luogo ricava i Tuoi argomenti onde
inoltrare ettérè flaro CIodio l’ infidiatorev , Dalla
perfona perchè Glodio fu Tempre iniquo y ufp / Tol-
tan co a fare altrui violenza y Dal fatto' perchè lo
affali apèrtamente a maìió armata y quando Milo-*
nc nemmeno a ciò penfava v Dal iùógc perchè gli‘
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. ' - . x 3 * x '*!?'
jg' ''-ji v> - • 'Y * "«f - Vl » 4 , • ■ <l
fi fece incontro fu d* una lira da circondata da v£-
rie eminenze , dove agévolmente il potea opprr-
mere.' Dai complici perché aveadifpoltì domi-
ni armati Tulle balze, i quali ammazzarono r fer-
vi di. Miione * altri feco ne rondatevi co’ quali
circondò il cocchio , Dai replicati attentati , per-
chè piu volte Clodio avea tramata e denunziata a
Miione la morte* è perché finfe in quel giorno
di dover cambiar penfiero fu Ila Tua venuta.' Dal*
la cau fa , perchè Miione era quello che faceva ar-
! ;ine alle federate mire di Clodio , e quelli perciò
o odiava. Dal modo , perché Cfodio - contro il
fuo collume venne incontrò a Miione sbrigai ftj
degnerà ,• è quégli era eolia fia. famiglia chii
ed idimantellatò irf coécjiio ; Dal tempo , perciò
non jr era a/cunà ragione, per cpi Clódioy dqrefP
ora , inf quel luogo * e fu quella via incontrar fi
rfovefle , fe non quella f che egli afpettaffe infidio-
fatnente il fuo avverfario (p); .
. Anche il Salviti] dagli aggiunti deità tiafeita di
Gesù Grillo fa vedere. 1* umiliazione maraviglici
dell’ Eterno Verbo * e la ; fconòfcénza de* pèrfidi
Ebrei Difc. 66.. T. i. Ben fi vede dalla fuk n/a-
fcìta e dalla fua compatfà nel mondo * che confi ef- .
fata p e adotàta da fiòchi /empiici e uomini di buon
core v fu dagli altri con fuperho occhiò , e tróf cit-
rato p affiata:' la notte del fuo natale con angeliche
melodie fefieggiata e gareggiando Còlla fila illumi-
nazione co\ giorni piò fumino/} y ac coffe in vii; y e
poveri fi anni y trd viti e foxzà animali , iV un vi-
le ed immondo tugurio la Verità che era nata . E
nel tempo che le befiie ntedefime l } adoravano ,» nón
tiro*
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trovò ella tra gli uomini del Paefe alloggiamento j
di quel fae/e f celti , e desinato da lei fin da' fe-
coli antichi per fua propria eredita y e forte ; il
chi Popolo era chiamato popolo di Dio j terra fa-
vorita ? confolata , benedetta dalle grazie , è dalle
maraviglie del Cielo P . " \
' • ‘ ;/v:.,r; vi *vrr, * : ; - ;
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.Delle \Caufe a degli Effetti .
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Da quello luògo gli Oratori poffono cavare non
pochi argomenti ed aprirli un vailo campo, on-
de fpaziare col loro difeorfo • Caule diconfi quel-
le , da cui come da loro origine altre cofe fono
prodotté : Effetti poi chiamanti que’ che dalle Cait-
fe derivano. Le caufe fono quattro, Efficiente y
Materiale \ Formate > e Finale j ed altrettanti fo-
4io pure gli effett^&VJ / . A k i
Caufa efficiente'^ 'quella da cui la cofa ncono-
tt fi fuò principio e la fua origine,
effere neceffaria y . fe dall 1 ordine della
volontaria .fe dalla volontà e dalParbi-
uotoò dipende.! ^ ^ ^ 4
àteriale è quella da cui , in cui , o intorno a
. cpfa ha il fuo efferè V così l il . ferro è cau-
ma feriale della fpada , V animo delle Ccienze ,
viltà: dòJia lode, ec. • ; .1 . .. %
Formale é quella per cui la cofa^xiò che e
infatto, e da tutte Tiri tre fi diihngue . QiJ e( j a
ma può effere effenziate fe dalla datura della
fa : accidentale , fe dal cafo : artificiale , fe
arte è. prodotta . : ' r . fi
Finale è quella per ultimo^ a . cui «g a *
fa alcuna azione ; e quella Ir riduce all J
ali’ Utile y al Dilettevole * * . >>c - ^ . jO
> ’ . v s t
j xr <>.-
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:X 33 X
— *> ▼ V # X.'
‘ 'Dalla "Càófa' efficieitte *u argomenta quanto* fi
vuol fingolarmente moltrare dalia grandezza, dal-
la forza , ed efficacia della caufa , la perfezione
dell’effetto, oppure . ^'contrario . Così. Cicero-
ne nella Oraz. per <MarcèHo da §uefto fonte cava
argomentò di molfrare la grandezza i deila azione
di Cefare nei perdonar a’ nemici : Bellica s: laude s
folent quidam estenuare ver bis , eafque detr ubere
Ducibus , communicare cum militi buv , ne propria
ftnt Imperatorum . Et certe in armis militum vir-
tus , locorum * opportuni t at es 'f auxilia fociorum ,
claffes , cornine a tus multum juvant ; mabimam ve-
ro partem quafi^fuo jure fortuna ftbi windicat
& quidquid profpere geflum e fi , id pene omne du~*
cit fuum . At vero hujus gloria GìCafar , quam
es paulo ante adeptu$\ focium habés neminem ....
Animum vincere , ir acund'tam cobi ber e $ vigori am
temperare , adverfarium nobilitate , in genio t vir-
tute pràjlantem non modo ext oliere jacentem ,
etiam amplificare e)us prifiinam dignitatem ,
qui f aci t , 00# ego eum cum fammi s viris comparo 9 :
fed fimillimum Deo judico> . Dalla , caufa efficien-
te anche Alb. Lollio moftra doverli deteftare- la.
pompa ed il luffo ; Laonde y fe noi confiderà (fimo ,
che V origine del veflire venne dal peccato d'Ada
rno , e che quanto più altri s' immerge nelle deli-
zie , e nella pompa de' vefti menti , iiafo p//) fidi -
mofirct egli lontano dalla fua primiera innocenza y
forfè , forfè y che noi procederemmo a()ai più matura
wéwfe . Ed il Cafa procura di rimoveré da fe o-
gni fofpetto di adulazione neirefaltar le lodi del*
la Rep.* di Venezia così dicendo . E certo s % io co? >
rrftnciaffi ora ad abitare o dimorare con e[Jo voi y
fi potrebbe' forfè dire da alcuno. , che io colle mie
lujìnghe cerca (fi a'acquiflare la vójlra benevolen -
za y ma 1 io fono coflretto'a partirmi , e a dii un -
4 Giarda Elem , T, If. C .
—
Tua X > -
garmi da voi E fe il mio cofiumi fojje infi -
ni tot) e coperto , potrebbe per avventura alcuno fo-
/picare i che la tefiimonianza , che io piglio a feri-
vere ora. delle vofire divine laudi f offe inganno , e
'' falfità f ma egli è /empite e , ed aperto e quefia
oggi mai inchinata , -e canuta età ni una fraude prò»
duffe giammai ; ni di ciò altra prova voglio , che
• w/ vaglia i fuorché la vojlra Jcienza medefima •
C^e io cono/c a adunque le magnifiche virtif della
vojlra Patria , dee ciaf c uno attribuire a ven-
tura; e che io le approvi , a bontà ; e che io pre-
fuma di poterle acconciamente narrare ad altrui f
ad amore ; e che in ciò fare n? affatichi * a gra-
titudine 4
Cavali argomento dalla eaufa maferiale * quarf-
do dalla preziofità della materia di cui una co- v
fa è comporta , oppure dalia vartità r e nobiliti
della materia , r che in fe contiene» fe ne prova il
pregio f c T eccellenza * Tcrllia così dalie materie
efalta l’ apparato che Dionigi di Siracofa fece
a Damocle nel V, delle Tufcul , -Collocati jjuffit
hominem in aureo letto y firato pulcherrtmo » r ruti-
li firagulo r m agni fi ci s operi bus pitto » abacofquo
compì ter e s ornavi t argento f # aUroque calato 444*
Aderant unguenta incorona r incendebantur odores f
menfa conqtnfitiffxmis epulis extruebantur 4 E per
Archia da quefto tnedefimo luogo cava argomen-
to di moftrare ai Romani » che quel poeta^ rt me-
ritava la cittadinanza : Quoties ego hunc vidi cum
litter am fcripfiffet nuli am Y magnum numerum o»
ptimorum ver fuum de his ipfis rebus r qua tum
agerentur f dicere ex tempore ! quotici revocatum f
tandem rem dicere commutatis ver bis atque fen-
' tenti is f qua vero accurate cogitateque fcripfif»
fet » ea ftc vidi probari y ut ad veterum fervuto»
rum laudem pervenir ent Ed il Cafa parlati-
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. 4 t . x 35 X
do della Rep. di Venezia : . Per la qual co/a Voi
foli tra tutte le Citta , che fono , o furono , 0 fa-
tarino giammai , /«!£& , e fpazi afe porte avendo ,
* quelle il giórno , e la notti aperte . e fenza al-
cuna cuflodta l afct andò , ftcuri i e fenzà alcun fo-
f petto vivete : perciocché non uomini od armi ,
degl i elementi alla vofirà Cùjìodia vigila ed
attende rt., Echi può a buona equità dunque
negare , che co oro , a cui il mari è tranquillità ,
facente ? e ia tempejìa Schermo, ed
il paludofo aere Salubrità , e le fierili valli dovi-
zia t non debbano ctò rtconofcere j non per ^acci-
denti di fortuna f ne per provvidenza di confi- •
vile 'ioì ^ d,V,n ° m,rac °l° > e per ifpecial prì-
««rtj^ 0rtÌe ” ta ^ .^ a ,^ a Armale dim'oftrando la
àT^T ° !l lii d u c na cofa dalIa foa forma , '
dal tpodo, o dall’ artificio con cui ella è fatta .
Tullio così nellib. II. della Natura degli Dei
dalla forma mirabile dell’ Univerfo prova 1’ efi-
. *a e jr Ca ,a grand’ opeta del Creatore.
ifuid potejt effe tam apertura , tarriqUe perfpicuu m ,
cum cxlum fufpextmUs , calefliaque contemplati
fumus i quarti effe altquod numen prx/ìamiffìmx
Zi. . .. - I # * ^ » ^ • Qjiis eftiirì hunc
hominem dtxent , qui cum tam certos tali motus .
tam rata ajirorum ordina , tamque inter fé con-
”'*f’ & *>** Vlder / t r. »eget in bis ullam ineffe
nn° nem ’ f aque c f/ u fieri dicat i qux quanto con-
L./ZTr ’ ffffeqUt peffumut} Lo
iteffo egli fa nel L delle Tufculane cap. 28. Cum
ZÌ emUr -tPeeiem prtmum , candóremque cali de-
y* ronverftonts celentatem tantam , quantam co-
%ZZ° n P f U T & r E r d t Cafa &«« 'odi di
motn À ù P fL. e Ì U , a , l, , CO i( e top'*™ coloro , afe -
mo -^ A * 11 * delle bellezze di quefìa verter an-
C 2 . ' d a ’
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. X 56. X
da città di lontane parti movendofi peregrinando
vengono a mirarla , e miratala , Jempre maggiori
le lodi e la maraviglia di lei alle loro r cafe ' tor-
nando riportano , r/;e e.ffi ?? 0>7 avevano il grido , «
la fama dai loro paeft partendofi recata ; e f imi-
nò , che Jìccome per mirare * * le bellezze del Cielo
non hanno pii uomini 'triterà ' conofcenza dì Dio ;
> 7 * 7/7 folamente prendono alcuno argomento quale deb-
ba e[]er colui i che in s) nobile magione alberghi ;
ics } , nè più nè meno , perciocché alcuno veduto <
abbia, la bellezza di quefto sito y alla quale nìuna
. cofa puri , ??£ fornì gli ante fecero , nè. far potreb-
bero giammai le mani degli uomini , 770#* perciò
ha colui perfetta cognizione della vojlra città ,
folamente alcun picciolo indizio prende , fte v-
no gli abitatori di s) maravìgliofo albergo ...
Cavali per ultimo argomento .dalla caufa fina-r*
le, quando dal fine dell’ operante fi deduce il
pregio ed il merito della fua operazione, oppure
lì trae argomento per defedarla’ (tó) • Tullio co-
sì nell’ Orazione per la legge Manilia prova do-
verli fare la guerra dalle caùfe finali - Genus bel-
li ejl ejufmodi quod maxime vejlros animos , excita-
re , atr/ùe infiammare debet , •#» <77*0 agitur Popu-
ii Romani gloria 4 ouce v*obis'a Màjoribus cum
magna in rebus omnibus , tum fummo in re mili-
tari tradita e/i . Agitur falus foci or una , atque a-
\ micoYum , prò qua multa Majotés vefttj magna ,
&* gravia bella gs/ferunt . Aguntur certiffima Pop*
Rom. vefiigalia , maxima y qui bus amiffis y &
pacis ornamenta , fubfidia belli frufira requi-
' • c ■ - • • ’ ref/i*
> «
«
.Ciò) Quello che abbiani detto degli argomenti di lode de-
*relì applicare all* oppofto ancora al biafimo in tutti i qt^ar*
prq generi di cauta.
/
/
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reùs &c ; Ed Alb. Lollio volendo egualmente i~
rimar Paolo III; alla guerra di Germania , dice ;
Per la qual cofa j Padre Beaùjjimo , dovete voi
ora con ej]o voi grandemente rallegrarvi , confde-
rancio , che in quejìo . tempo non potè a nafcerc nè
piu' grave y nè piti bella * nè prà ili afre oc cafone ,
che /offe più atta per farvi caro p Dio , e roride-'
.. re^a 7 pojleri. la memòria del vojlr'o nome piu gra-
ta ^ più chiara , piu onorata * e più lunga di qui-
fla . Perciocché col favor dell ’ a) ut a vojlro aita
Germania i éd alla Qriflianità pace recando , qitel-
. la di fornma felicità , e eterna gloria riem-
. pierete • . - ;
Dagli effetti poi nella, fletta Oraz. per la Icage *
Manilia Cicerone prende a lodar. Pompeo : • Te-
tjiis èjl Italia* quam ilio ipfe.viflor Lucius Sylla
hujus vi r tute- & confili o cónfefjus ef liberal am .
* Tejlis e/1 Sicilia , quam multis undtque cinti am
ppriculis non terrore belli , feci celerttate confiti
^expltcavit . Tejlis eft Africa i qux magn'ts oppref-
f* bojìium copti s eortim jp forum f angui ne r ed an-
davi t . . «• . Itaque Ut plurà non dicam , . ncque à -
Jiorum exemplis con fr mena , quantum hujus auflo-
ritas valeat in bello , ab eodent Cn . Pompejò ò~
mnium rerum egrejgiurum exempla fumantur , qui
quo die a vobis maximo bello prapofitus ejl Ivnpe-
rator , tanta repente vilitas annona ex fumma ino-
pia & eh' ari tate rei frumentari s confe quitta $Jt
unius fpe , & nomine , quantum vix ex fumma
ubertate agrcrum diuturna pax efficere poltri /jet
Ed, Albi Lollio nella fua Oraz. a-Paoìo Ìli. da-
gli effetti -prova ettere Je diffe.nfioni e le guer- •
re tra’ Principi .Cattolici fatali alla Religione j
Per le difeordie dei , noemondo y e T anc re do prj-,
ma , e^pofeia degli altri™/ furono', i nofri daf
Saladino j cacciati dall ’ Afta * e U fepolcro di Cri-
3
/»■
* 1 *M
X*
fio uri* altra volta t or nò nelle forra digli Infedeli.
Così guerreggiando co* Paleologi $ Catacufirit entrò
il primo Amurate in pofitjfionc d' una gran parte
della Grecia. Così non fi accordando fra loro neU
le xofe della Religione, i Principi Occidentali 9
Sultan "Mac cornetto fi fece padrone di Cojiantino •
poli , fpegncndo infieme il nome , e la gloria dell 9
Impero Orientale » Così a* giorni nofiri il fuper-
\biÙìmo, Solimano . ha ef pugnato Belgrado , prefo
^ Modone , vinto Rodi , faccheggiata , \ e di -
jìrutta l Ungberia . Sicché mentre i Crifiiani fra
Lr combattono , perfeg aitano , * fi confumano
egli trionfa y e fe ne ride , afpettando fenza fal-
lo di riportare dell 9 ambizione f e pazzia loro opi -
* vittoria , E contro la Pompa : Quanti nobili
cittadini , e quanti onorati gentiluomini abbiamo
noi conofciuto a* nofiri tempi t />«■ la fola col-
pa dell 9 ecceffìve pompe fi fono disfatti , e caduti
in ejlrema mi feri a . Quanti fe ne veggono tutto dì
fu per le piazze orrevolmente ,veflitt , che in cafa
poi alla moglie , a 9 figliuoli , alla famiglia lo-
* ro patire duri filmi ed incredibili difagi ?
Quanti hanno efpofto ,• quanti han veduto: ma non
voglio contaminare ec. v '
' *
vrir.
* • , » .
• * » , •
Della Similitudine , e Di (f ornigli anza .
X, 4 . |
' . '
■ La Similitudine è una uguaglianza o propor-
zione di due cofe diverfe in una o più parti . La
diffomiglianza è una differenza che nafce da due
. cofe fra di loro paragonate. Or anche da quefti
' fonti l’oratore può cavare argomenti che fervali
non foio a dilettare, ma a fchiarire e comprovare
i fuoi fentimenti . À quello luogo fi riducono an-
co-
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* >
a p- ■
* 1
f X 39 X
cora tutti gli argomenti cavati dagli efempj , dal-
ie favole, e da tutto ciò in fomma da cui come
* da cofa Umile,» o diffimile egli deduce qualche
prova per il fuo attuato . Dalla fomiglianza così •
nella Oraz, a favor di Sellio argomenta Cicero-
ne . Ut fi gladius parvo puero , aut fi imbeciUo
ferii , aut debili deaeri s , ipfe impetu fuo nerumi .
noceat y fin ad nudum vel fortiffimi viri corpus
acceQ'erit , poffìt aci e ipfa , ferri viribus vul-
nerari : ita cum hominibus enervatis , e*
guibus confulatus tamquam gladius ejjet datus ,
per fe pungere neminem unquam potuiffent ,
fummi imperii nomine armati Kempublicam truci*
daverunt . E Giovenale nella Satira 8. da quello
fonte prova che la vera nobiltà nella virtù confiite :
Die mihi T eucrorum proles , ammalia muta ,
Qtiis generofa putet , nifi fortia ? nempe vo-
lue rem
Sic laudamus equum , facili cui plurima pai -
jota .
Fefvet , exultant rauco vittoria circo
Nobili s hic , quocumqut venie de gr amine t
cujus
Clara fuga ante alios & primus in aquore
pulvis . « . . # . s *
£ m> mirtmur te , no» , . primum ali -
* ^ ; #
' • jjaod pojjìm titulis incidere prater honores
, Quos tilt* damus , dedimus , qui bus omnia
debes , , • .
. ; ■* \ . f •. **
• ‘ . , * • *
Ed il Cafa nella Oraz. per la Lega : JY alcuno -
de’ vòflri Nobili Cittadini apparecchi affé e pietre ,
e légne, e calcina in grande abbondanza , ed
r/wo £*/ fitto nettale , e fpianaffe , noi direm-
C 4 W0,
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- -z >,
. X4°X
bit) * che egli mura i * f* un palazzi * quantunquè
nói le pareti levate ancora in alto non vedtffìmo, y
\coù adunque /’ Imperatore , " avendo , aghi, cqfa op-
portuna apparecchiata , e difpojla per guerreggiar «j
vi j dobbiamo' noi dire , egli , ha con ejjo voi
guerra quantunque ■ é#// # 0 » abbia zuffa . ancora , ;
wè battaglia , e alla difefa difporci : perciocché
fe noi permettiamo ci. V egli il muro e /’ oprar aW-
la fua Monarchia innalzi * e alla fommità condu-
- Cd ) noi non b after enio poi in alcun modo a dìftrug-
. gerla . ; ; r ‘ , . , . ' ,
■ Dalla diffomiglianza Tullio così ragiona nelià
Oraz. a favor di Archia: iVarw c reterà artes neque
temporum funt , ~neque atatum omnium , /o-
corum . Hicc /ìndia literarum adolef centi am alunt ,
feneclutem obletlant y fecundas ree ornant , ard-
* verfts per fugium & folatium prabent , dele&ant
domi i non impedì uni forji , * pernoblant nobtfcum ,
peregrtnantur , rujlt cantar . E nei IlydclP Orato-
re 5zSi bar bar or utn èft in diem vivere , nojìra con-
fili a fempiternum ternpus fpeSlare debent . Ed il
Gafa nelP Oraz* a Carlo V. Qual cagione adun-
que mi ha moffo a f are' menzione nefle : mie parole
della mi feri a degli . iniqui , ; e rapaci Principi ?
ni una , Sacra Maeftà , Je non quefla ; acciocché po-
nendo io dinanzi agli occhi voftri le altrui bruttu-
re ,; Voi meglio , e più chiaramente conofciate la
vojìra bellezza , e la voflra bontà ^ e di lei , e di
; voi medeftmo rallegrandovi , e felice , e fortunato
, tenendovi , procuriate di coti mondo , e di così fplen~
dido con fervar vi . Ed Alb. Lollio in lode dell’E-
loquenza^,, Siccome per la ragione e per la,fa-
vella principalmente fiamò differenti/ dalle beftre*
così uomo che fa , e può copiofamente , dipinta-
‘ mente, ornatamente, fecondo il. decoro e la op-
portunità del tempo, .del "luogo , de’ negozi, e
del-
v v
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X 4 . X ■ .
f \ delle perfone decorrere, e ragionar di qualunque
materia , non folo di grado, di autorità e di me-
rito avanza tutti gli altri, ma è tenuto onora-
to riverito come un Dio u à
M f
W-7* SU."
, t •
v. W>
•• » **• t
• -Jti
9 • •
■ /r . *, : i §. IX.
• • : • • . . • : ■ .
" De’ Contrat) o Ripugnanti »
•
• Cótìtrarjr • diconfi .que dati, che. non pofiófto 1
trovarli inlìeme uniti nello, fletto foggetto » Que- -
fto luogo perciò è* ritolto efficace a provare una
'cofa v perchè in elfo dall’ afférmàzion del contra-
rio lì viene a confutare P altro contrario . Quat-
tro fono le fpecie dei Contrari : Avverfi } Pri-
vanti , Relativi , Negativi .. . • ; • i
Avveri] diconli quei contrari che dello fteflo ge-
mere offendo fono opporti di fpecie , còme il biai t-
-co* ed il nero * .
Privanti quelli, l’uno de’ quali neceffariamen-
te l’altro elclude , come la luce j e le tenebre . .
Relativi quelli che di neceflità vanno uniti, ma
xhe V uno non può efler P altro, r p* e. Padre , e J
figlio > ‘ , v ; . •
Negativi o contraddienti quelli !* uno de 1 quali
afferma ciò che P altro nega, p. e. voler effer dot-
to fenza fi udì are * voler che una cofa fi a e non
fi a nelle fieffo t fi ante , ec. J • v •.
Dagli avveri] così argomenta Tullio a favor dì
Milone y Quem igitur rum omnium gratin noluit ^
i)un<r voluit cum altqviorum querela : quem jure ,
quem loto , quem tempore y qitem impune non eft
au fiis : hunc injuria i iniquo loco , alieno tempore ,
feri culo c apiti s y non dubitavit oc ci dere ? Dai pri-
vanti in quella. per Marcello: Doleo * cum Refpu -
ilica immortalis effe debeat * eam in unius morta -
- . * a»
• «
\ <
i .
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»
• v : ’ \\ X4*%
Ih anima confifitre . Dai Relativi nella fteffa t Ex
quo , profeto intelligis , quanta in dato > beneficio fit
iaus , cum in accepto tanta fit gloria Dai nega-
tivi finalmente nell* Oratore : Cut antera di/cere
turpe ejì , quod /ciré honefium efi ? Aut quod no -
/cere pulcherrimum efi « id non glorio/um docère ?
£ nella Filipp.IL cosi riprende Antonio — Tarn
autem crac excor s t ut tota in orazione tua tecum
ip/e pugnar es ; ut non modo non c oh (trenti a inter
tjw diceres /ed maxime disjun&a s atque contraria •
Vitricum tuumfuiffe intanto /celere fatebare y pea-
na affeBum querebare , e dopo: Qjtid ejì enim de-
mentine f quametm rei pubica pernici o/a arma ip/e
cceperis , objicere alteri /aiutarla? Ed il Cafa nell]
Orazione a Cario V*. dalla nobiliflìma indole di
%quel gran Principe, il quale potendo più volte
impadronirli di varj fiati, pure per alerei tare la
giufiizia , gli aveva a’ loro padroni redimiti , trae
di certo, eh’ ei non volefie ritener Piacenza : El-
la potendo agevolmente /pogliar molti fiati della
loro libertà , anzi avendola in /ua forza , /’ ha lo-
ro rondata , ed hanneli riyefiitì ; ed ha voluto piut-
tofio , u/ando magnanimità ,- provare la fede al-
trui con pericolo , che operando iniquità , macchiar^
la /ua con guadagno • Avete adunque la/ciato i
Genove / , ed i Lucchefi, e molte altre città nella
loro franchezza . • • • non fofle voi . lungo tempo de-
positario di Modena , e di Reggio Rendè
eziandio V* M. T uni fi a quel Re Moro e barba-
to ì Io la/cio fiare e Bologna , e Firenze , e Roma,
e molti altri fiati , dei quali voi per avventura a-
vrefie potuto agevolmente in diverfi tempi farvi
Signore / ma non parendovi di far bene, e giufia -
mente y ve ne fiete aflenuto . Perchè /e / utile vi
conftgfia a ritener Piacenza j V onore e la gtufii-
zia troppo migliori config iteri , e di troppo mag-
• gtor
\
/
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• 4f - -
X 45 X
g'tor fede degni àaìV altro lato ve ne /configli ano
£ k j e non confentono , quell ’ invitto , ed i«-
- vincibile animo , ee. E quello è il vero modo <T
argomentare per via di Ripugnanti , dove non c ? è
tra le cofe oppofte una vera contrarietà , ficchè
non po/Tano ftare unite, ma una fola ripugnanza f
per cui fembra , che chi fu d’ animo sì magnani-
mo in altre circoftanze non debba prefumerfi tan-
to ingiufto nelle prefenti .
$. X.-
u • J -
• i .
Del Paragone .
t • t • • . • , * • t \ •
' Formali argomento dal paragone allora Quando ,
«effe a confronto due cole diverfe di natura» in*
tendiamo di moli rare che quello , che dt una con-
cedei , dell’ altra pure conceder fi debba come ad
amendue egualmente comune . Quelli argomenti
fi poffono formare in tre maniere . Dal , ptà al
meno , quando valiamo che quanto ^fi concede d
una cola maggiore, conceder fi- debba tanto piu
della minore. Dal meno al pìà quando all op-
. pollo fi vuole che àmnsettafi della còla maggiore »
S nello che fi ammette della minore . Per ragione
i patiti ) o àe uguaglianza • qu <ftido non cucn-
dovi differenza tra le due cofe paragonate inten-
diamo . che negar non fi polla di una quanto dell
altra fi concede . . _ ... .
Dal più al meno così argomenta Tullio nell
Orazione per Rofcio Amorino : Etenim fi Jupiter
' O. M. cuj us nutu & arbitrio calumi t terra , ma •
ri am, reguntur , /ape ventis vehernentierwus aut im-
moderatts tempeflatibus , aut nimio calore » aut in-
tollerabili f rigore honùnibus noeuit » uroes aelevft t
fruges perdi àtt , quorum nihil permetti taufadt-
%
4
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)( 44 )( '
. , • # ** •
'lino confili o fed vi ipfa & magnitudine fefum fa*
Elum putamus: at contra commoda quibus, ut 'tmur <
lucem qua fruimur , Jptritum quem ducimus , ab
eo nobis dari atque impertiri videmus ; quid mira-
mur L. Syllam , cum folus Rempj regeret , orbem-
que terrarum gubernarft y imperii que majejlatem ,
quam armìs rtceperat legibùs confyrmaret , aliqua
[ an'tmadverterc non potuifje ? nifi Ìjoc mtrum efi ,
quod vis divina affequi non poffit y fi id mens hu-
mana adepta non fit ? Ed il Gàrd. Comméndone
nella Era difcfa degli Scolari di Padova prpva do-
verli perdonare al giovane uccifore dicendo , con-
ci ofifi ac he non vive uomo nel mondo sì faggio , e
giufto y e moderato quanto all' età , che non tema y
ó che non debba temer d' incorrer egli ancora quan-
do che fiia in iati errori , e che di colui pietà non
gli prenda , a cui in forte avvenne d' effer e in co -
fe tali dalla fortuna fofpinto .... perciocché non
C: legge così fevera , che acquieta lo sdegno y tor-
mento così crudele ^ che raffreni /’ ira y pena tanto
acerba , che fgomenti l ’ impeto , o tanto afpro fup -
plicio , che ritardi il furore di chi pur allora off
\fefo fi fente .*
Dal meno al più così lo fteffo Tullio nell’ Ó-
razione per Archia : Oiùs nojirùm tam animo d-
grefii y ac duro fuit , ut Rofcri morte nuper nón
commoveretur . TJ Qui cum ej]et fenex mortuus , ta-
me L n propter excellentem artem , ac venufiatqm vi -
,debatur ,omnino mori non de buffe ? Ergo ille co\~
p òri s motti tantum amorem Jtbi conciliaret a nobis
omnibus f nos animorum irìcredibiles motus y celer
rìtatemque ingeni or um negligemus ? E nell’ Graz,
per Archia zz Etenim cum medìocribus multi s &
aut nulla y a ut h umili alrqua arte pr cediti s gra-
tuito civitatem in Grecia homines imperftebantur y
Rheginos credo y aut Locrenfes y aut Neapolitanos ,
dui
^ — * —
X 45 X
i -■ > - ■ « * . . i ■*"
T arentinos , rjuod ficenicis artifictbus \ largir t *
folebant , fumma ingerii pr adito glori fi ■
volai fife . Ed Alb. Loliio nella Oraz#. a Paolo III.
Certamente ì P , 2 ?. , fe per edificare \ 2?»/* 'città fi
merita tanto onore , d/ ^«<7/ degno colui ,
tfTJrÀ provveduto , che tante già edificate non
cadano a terra ? Se per difendere un popolo foto
in tanta gloria ft fiale , /* fialirà coluì^ che
ne avrà molti infume .confervati ? .Se per moflra-
re il bel vivere agli uomini cotanto pregio fi acqui -
7?* , d/ quanto fi converrà ornar cedui 1 che non
pur mofirato , ma con. tranquilliffim& fifuftà. fi fi
urà /oro rendilo ? E fefefeo , ed Èrcoli; per jfe
perpetue inimicizie , chepb fiero co] T irqnnty erano
JUrnati degni di tanta riverenza , f he furono lóro
drizzati T empj , fatti ^acrific/fi ^^1 tri divini '
onori ; quali laudi , <//'*/ titoli ^ ^fiM^graz\è
uguali fi meriti Jì potranno mai rendere #W.oi
’ P. É. èCé • • * {. . { ^ - • V .
Dalla parità ed uguaglianza Cicerone pr<^£>
che fe fu lecito aiOrtenfio , deve edere a lui pu-
re permeilo il difendere la caufa di Siila , ro>? :
juratio patefaEla per me efi , /<zw parto* Hortenfio y
quam mi hi , quem cum videas honore hoc fi aut ho -
ritate , - viri ut e , confidi ó .praditum non .dubita fife
quin ìnnocentem Syllam difenderete qu$ro cur adì -
/ztt* caufiam , Hortenfio patuìt , w/A/ /tftor-
élufius effe debuertt Ed il Cala dalla parità mo-
lira che la Rep. di Venezia deve durar perpetua-
mente# Ed è fienza alcun dubbio da credere che
Jiccome il Cielo perpetuo éfiendo , conferva quel
tnedefìmo modo fiempre , e, la natura ^ fiimilmente
perpetua , ritiene una fiefifa' legge ; così la vofira
.nobile comunanza etèrna fi a * perciocché* ella un
tnedefimo ordine , e uno fi efi 0 fide ha tenuto , e
fonfiervato fiempre fienza mutarlo , 0 pure alterarlo r
, ' giam-
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giammai , la quale più fecolt vijfuta e (fendo , ché
molte altre delle più illufirt non viJJ ero anni . piu
frefca , e più vivace ofa attempata fi dimojtra ,
che quelle allora giovani non fi dtmojtrarono ,»
! r *\ • ' v , , ' ♦ b*»,#
articolo II,
Dei Luogi Éfiernt 6 Inatti fidali*
I 4
.4 *
Tutti i luoghi eterni da Ciecroné fi riducrf-
no al Tefibnotito/ c quello fi divide in Divino ed
Umano (i), Al fcftimonia divino fi riferuconor
tutti gli argomenti cavati dagli Oracoji ,> dagli
Aufpicf i dalle Profezie , dalle Rt/Pé e de -fp
cerdoti , degli Arufpid , degli Indovini t e«, ( 2 ) ,
AI refiimonió umano poi rjdffcoufi tutte ouelle
prove cavate da U h Autorità * dalla Volontà y dal
Di f cor Co degli uomini i L’ Autorità è propria del-
le pecfoae di Fede , e di Religione, dei Saggi , ?
dei periti artefiti nella loro- arte , Fannia ancora
tì i Proverbi f le opinioni comuni * e le (egftcn^
ze degli uomini grandi < Per volontà intendo*
no le Leggi r -gM Statuti , i Teftamenti f c gli
Scrìtti, Per dtfeorfa ogni teftifflomo verbale a
libero , a lottata , Libera p. e. le Iodi f la fa-
ma * le convenzioni « te promette. * ec. Forzata
:• ■ ■ •• pr e*
• V ^ I . ,•
CO Teftimoniunt eft id oitfne quod ab' aliqua re extern t
rumitur ad facìendam fidem . . . Teftimoniorum duo funt gè-
aera divinum 8c hirnianum , Parti t. Orat. . » tS:
(*) Quello che fi die# de’ falfi Tefiiirronj delle PRga'neDi.
vinità , s r inteìida' per noi delle Divfne Scritture * del Tra-
dii foni , de T Santi Padri , de* Concili f de’ Decreri de’ Ponte-
fici , ec.
X
"■g-
r £
X 45? X
P» & i giuramenti * * le confeffioni de* rei , i tor-ì
menti , ec. ( 3 ) . ».
) >
*» ’ *
► #
* • ^
§• .t*.
*v
* Del Tefiimmo Divino, .
V v.£vk v ?-> : >-U • : ••• " x -
Le prime prove* e le più efficaci fono quelle
thè dai Divino tettimonio fi ricavano anzi w
cileno fono chiare , ed evidenti , ficché non vi fià
dubbio*, che intènder fi debbano nel nofiro ten-
to , decidono; della càuta* perchè ^tffendo Iddio
Infallibile * necefiàriamente i tuoi tefiimonj devo-
no effer veri» Gli v antichi facevano adunque gran
conto de* falli loro Oracoli* e dàlia fu periti ziofa
o nervazione delle vittime * degli , augelli » o dei
fegni celefii credeano di prendere linfallibi^ Sgo-
menti del futuro » epperò Cicerone nella 4* con-
tro, Catilina dice : :Nam ut ilio omittam % vtttasA
fiata > ar dorema ue cali » fulminum jatlus &c+Hk
pretto Virgilio .Melibeo nell’ £c. I*
. . _ . • - - - x
' : • » ' * », , * -*
Siepe malum hoc rnbis » fi meni non lava fui fi-
' fiet'> : • V-V '
De calo ta&as mimmi pradicere quercia , ■ *
Sape finifira cava praaixit ab ilice cornix,-
/
'•> r-
Nei Cattolici abbiamo le noftre prove ficure ed
irfallibili nelle Divine Scrirture > nelle Appoflo-
iche Tradizioni , e nelle. Derilioni de* Concili
• ’ ^ J / ** tt«; ” '
Ufll»,
i 9 *
X
* • * * * ir ^ v < v
00 Quintiliano in ftf datò diftingue I lunghi «fltrat coiti
* x llfogtnerc/unt Pr^udicia. Rumore * * Tormenta , IV*#.
^ Noi abbiasi volu-
to fegutre la divisione di Tullio»
«
-Jl ».
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• ' , X 4* X ; •
Univérfalì ; ed altre fe nòni infallibili alméno df
fomma autorità, e poco men che certiffime nel te«
flimonio de’ Padri , ne’ Decreti dei -Pontefici , ed
in certe piè confuetudini .della Ghiefa . ; Non fa
d’uopo, ch’io quivi ne adducagli efempj , per-'
chè ognj giorno . s’ àfcplrano ' i Sagri Oratori che
‘ con tali Divini teftimonj Confermano, e compro*
vano i loro argomenti . Solo dirò che( nell’,ufo
maffitne delle Divipe Scritture bifogtia j
i. Softenerne la mSeftà e Ja grandézza , e farla
comparire qual è, cioè èera. parola- di Dio. •. •*
• ’Z. Non alterarne la . purità., .‘e quel femplipe'
- candore efponendola colle fue genuine parole- e fi-
gure fenza; certe fottigliezze o delicatezze ,d’ e-
'.fpreflìone . ■'■■ ■/■ >• '■ *
■ 5. Non trammifchiarvi alcuna cofa di profano,
». e molto meno fervirfene a tal ufo ( 4 ) . . j
■ 4. Guardarfi che diverfo non fia-il fenfo del
Divino tefìimonio j' da quello a cui noi intendia--
mo applicarlo. • - . . , .
- 5, Apportarlo tutto interamente e non già ac- .
. • - , . • ■ . coz-
' » , f • ’
(aVOuì giova brevemente riportare il fentimento del eh.
Ab. Golf Romano nella l'uà .Di Aere, intorno alla meffcplan-
, za. del fatro'e del profano 4 ove conchiude che quando V idea
di chi legge , 0 afe ole a dà prontamente . nel vero , ed altro
non refia di favolofo , che la corteccia dell' efprefjton* y la
quali è il ' colorito poetico , fi riduce la.quiJUone a Jempltct
nomi : epperò egli giudica non elfere allora deimo contro ,U
fuddetta Legge, 'Cosi quando cattolicamente ferì vendo no-
minane le Furie d* Averno, o Plutone come re degli Adi -
fi, ficcome. r introduce nel fuo poema il T a Ho, * a c 5 >la ,®
fabitonntefa: c non è r rfprerifibile ; ma quando Dante fa cne
l’ Angelo rimbrotti i Demoni, che gli chtufero rn f ac 5 ,a *
porte di Dite* ^Jorò rammentando Ercole che incateno epe- »
•bero f 6 quando 1’ Ariolto fa giurar Dio per la palude Sftgta * v
tale mifchianza di ;feaUcpPn(i f^voiofi in cofe facre inerii Q*
gdi biafimo, . . ; t '* • .« .. : •
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- è * T,
• t
t
X 49 X
cozzarlo a nottro talento con quelle fole parole,
che tornano al nottro propofito.
ó. Spiegarlo finalmente fecondo P autorità delia
Chieia e de’ Padri non tanto attenendoci alla let-
tera oflfia al fenfo verbale dell’ efpreffione , quan-
to allo fpirito, ed allMaterno fuo lignificato.
§. II.
Del T efìimonio Umano .
» * *
Gli argomenti che fi deiumono dall’ umano te-
fiimonio hanno or maggiore, or minore efficacia,
fecondo che più o men degno di fede è il fonte
da cui fi ricavano. Tutti quelli abbiam di già
detto, cheli pottono ridurre zVC Autorità y alla
Volontà , al Dtfcorfo .
Circa all’Autorità noi dunque primieramente*
potremo provare la nottra propofizione col tetti-
monio di qualche uomo di Religione e Fede. Co-»
sì Tullio per Archia : Adefi vir fumma autori-
tate & religione & fide L % Lucullus , qui fe non
opinar i , fed feire , non audiyiffe , fed vidijfe y
non int er fui fife y fed egifi'e dicit .
2. Coll’ autorità degli Storici , o di qualche,*
Saggio, ficcome nella Òraz. per Milone fa TuK
lio col tettimonio di Caffio : Itaque illud Cuffia-
num cui beno fuerit &c.
3. Con qualche trito , c comune proverbio ,
così nel II. degli Offici • ex quo illud fummum
jus , fumma in) uri a , fatum efl tritum fermone
proverbium & c .
4. Così le opinioni inveterate , ed univerfali,»
ficcome fa lo ttefiò Cicerone nel lib, I. delle Leg-
gi per dimottrare ettervi il fupremo Creatore: De
Uomini bus nulla gens neque tam immanfueta ne - 4
Giard, Eleni, T, II, D que ,
X 50 X . '
que tam ferrea , qua non , etiamft ignoret qualerti
Deum kabere deceat , tamen habendum fciat .
Circa alla Volontà noi potremo defumere gli
argomenti i. Dalle Leggi , dagli Statuti , e dalle
Coftituzioni dei Principi, o dalle Sentenze pro-
ferite in fimili cafi , come fa Tullio nell’ Orazio*
ne per Archia ! Data efi Civitas Sillani lege &
Carbonis &c * Ed in quella per Milone zr At in
qua urbe hoc homines jlultiffxmi difputant ? riempe
in e a qu<e prtmum judicium de capité M. Horatii
vidit , qui P . Ré comitiis liberatus efif cum fua
manu /or àrem interferi am effe fateretur 4 2 . Dalle
ultime volontà , cioè dai Teftamenti , dai Codi-
cilli, ec. ficcome ancora dalle Lettere, o da qua-
Junque fcritto che fi porta produrre in teftimonio
delia volontà d’ alcun vivente, o defunto 4
Al Difcorfo fi riducono tutte le prove, che
ricavar fi pofiono dai tcfrimon; verbali , e t. Dal-
la Fama , la quale fe è in noftro favore fi efalta ,
perchè al dir di Plinio, finguli decipere , ac de -
dpi poffunt v nemó omnes , neminem omnes fefelle -
rum / fe è contraria fi deferta come fallace, e.
menzognera , perchè dice Tullio nella Oraz< prò
PJancio : Nihil ejì tam volucre , quam malediElum :
nihil facilius emittitur : nihil citius eXcipitur : ni-
hil lati us diffìpatur 4 • * 1
7.4 Dalle Convenzioni , dai Patti , dalle Pro-
mefle , dai giuramenti , le quali cole diremo ef-
fere da ofTervarfi fe fono fatte rettamente, ma
fe fono ingiufte, non produrre veruna obbliga-
zione. # \ V
3, Dai. Tertimon; , 1 quali hanno autorità fe
fon uomini di fede , fe ertì ; hanno veduto, fe da
niuna fperanza o guadagno, o timore fono indot-
ti a teftificare, e fe convengono tutti nella cofa
di cui fi tratta; altrimenti fi rigettano- come fa
•••■ • • . ' . Tu!-
!
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,%n t reÌe" ro ’ Ìn ,U ' l,a **
.4' Xormeitti , o dalle confezioni de’ rei
' *♦“« Pf r vja dl tortura , le quali Te ci fotìo con
• lUI { - f°, trem ° d, 1 f ommamente incerte , per -
l*n Ih* 1 hÌ ® fefl £ fce egualmente coi negare il
generi! , e coll affermar d’ efer reo
fono favorevoli , efalteremo i' tormenti comeuni-
tt mezzi , e ven teiiittionj delia verità
vviELi c 1 Hr ert ‘ M». tanto Interni, quanto
If™! fi poffono i vedere innumerevoli efempj ih
^nrrhA ’nnn a " che . ne nofiri Italiani Oratori f irn-
fa, la duale a qualcuno dieffi non lì abbia a rife-
* per rttroyar facilmen-
liffnnn* r -n* P * mier ? I L en,!e quelli che a noi
pqffono fonJitìinillrar , qualche ragione, lafciando
P arte gl* altri ' i conciollìachè né tuffi femore
vengano a propofito (5), né debba!] o PP rimere P il
!KL C ° a , m0ke r u-° n ’ ’ acciò non gfi « arre-
ganzarlo '(6). ^ 3 tcmere chc v0 § liafi in *
Trovati poi gli argomenti fa d’ Uopo di giudi-
aio- nel ributtare tutti « pii, deboli , e comuni ,
cioè quelli che don hanrto vera efficacia , o di cui
^ *- ' • •• ' it r Pav*
Cs) Iliud primum inteliigemfom pH i oec irllaw effe dirmi
tnnéfi 0 fr^ne ^ H arn *? on a l»<?urs locus in cttmt, nec fereV
»injs Iocos incidere so omnem «jt’fcftionem , & auibufd^m »r~
fe àltos aptidresi loco* .* de. in Topi c? ' **. Ó * l ** m ef *
j u ; /^ tamea .°"I n,l>us ^wper su* invenerimud oneran,
£ui»ì *T 'a* * w4 * t * diwn » * fl4«m d,trXn t :
1 ‘
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'■ X 52 X
r avverfario medefimo può fervirfi a noflro darri
no, e nel lafciar anche talvolta i non neceffarj *
cioè a dire quelli , che febbeae lòn veri , pure
nel cafo noftro non danno una neceflaria conciti-
none (7). In fomma devefi imitare ii buon Ge-
nerale , che non tutti i Tuoi faldati egualmente
lceglie a qualunque imprefa ; ma quelli piurtofto
ad una che ad un’altra azione deftina: quelli piò
infuno che in altro luogo va collocando: altri
conduce all’ alfalro , altri lafcia in ripofa , così
che nè egli manchi delle neceflarie, nè favrabbon-
di d’inutili forze, o dia colla confufione vantag-
gio al fuo nemico . < ,
capo" ir.
Della Dìfpcfiztane .
L a. Natura (iella c’ infegna , che in tutte le co-
le è neceflario un certo ordine , ed una regolata
difpofizione , fenza la quale nulla vi può elfere ,
che aggradevole ci riesca. E liccome alla perfetta
bruttura dell’animale non falò richiedefi , che tut-
te le parti fiano fra di loro, proporzionate, ma
di più che a fuo luogo vengano difpofte (1) ac-
ciò non ne rifulti quel ridicolo molìro , di cui
P*r-
( 7 ) Argumenta fcnUabimur , 8c quacremus ex omnibus lo.
cis : fed adhibebimus judicium , ut levia femper rejiciamus,
nonnunquani eriam communia prjetermittamus & non necef-
. farta . Partii. Orat.
CO Neqoje enim quanqnam fufis omnibus membris /tatua
fit, nifi collocentur , & fi quam in corporibus noftris, alio,
rumve animatimi! partem permutes, atque transferas, licet
. habeat eadetn omnia , prodigium fit tamen, & artus ettaov
leviter loco moti perdunt . q^io Yigueruot ufum * Quinti PII.
tn proern . •
*
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parli Orazio fui principio dell’arte Poetica: có*
sì ancora nell’orazione le parti devon effer collo-
vcate in gdifa , che non membra* fconneffe e dif-
giurtte, ma un corpo ordinato e perfetto ne retti
tompotto (2). Torna affai meglio pertanto il for-
mare uri* orazione non tanto ricca d’ ornamen-
ti i e di prove, ma ordinatamente difpotta , che
una molto copiofa ed elegante, ma dittefà giu al-
la rinfila c lenza Ja convenevole ditttibuzione (3) ,
La difpofizione Oratoria è un’ordinata riparti-
^ione, delle cofe. ritrovate a fine di perfuader più
facilmente gli alcoltanti, e di metter nel fuo mi-*
glior afperto la nottra caufa (4) . Ella è di due
fpecie : Naturale , offia fatta fecondo i generali
precetti dell’Arte, ed Artificiale , o fatta fecon-
do la particolar efigenza della 'cauta (5). La' pri-
ma vuole aver quattro parti Efordio , Narrazio-
ne , Confermazione , e Perorazione , le quali al di-
fi ? re
«i nn i u .-A É É ■ > 1 ! — - — ...» i*i. ■■■ —
#
CO V. Quìrit. Lib. cit. in fin . Grazio perciò comanda nell 5
A. P« Strigala quòque locttm tene ant fort ita decenter .
C3Ì Cortic. Gior . 8. Dif. T. Della Toft . Eloq .
(4} Dlfpofitio eli rerum inventarum in ordinem diftributio.
De Invent. T . 7 * ad Herert. /. i, ITI. 9.
* CO Collocationis rerum aut iocorum ratio duplex eli : al-
tera quam aflfert natura caufarum : altera quae oratorum /u«
dicio & prudentia comparatur . De Orat. lì. 76. Genera Di-
fpofitionum funt duo: utìum ab inttitutioqe artis profeZfurfi 2
alrerum ad caufam temporis accommodatum . Ex inllitufio-
jie artis difponemu$, curi utemur principio, divisone , nar-
ratone, confirirtatione , confutacione , conclusone.... alia
difpofirio eli, quse cum ab ordine artjficiofo recedendum eli,
nratoris iudicio ad tempus accommodatur . . . quorum nihil ,
nifi caufa poftulet fieri oportebìt . Ad Heren, Iti. Sembre*
Tà forfè improprio il dire naturale quella difpofizione , eh»
c fatta fecondo i generali precetti deli’ arte ; lira quando fi
consideri quello che piò volte fi è detto nel T. I. che qu^li*
arte è figliuola dejla. «atura, e che da efla apparò, e t ruffe
! Tuoi precetti, à’ intenderò effer benitfìmo detta in tal Cento
Ja voce naturale . * • 4
•X 54 X
re d’ Ariflotele, e, di Tullio 05)fòna le patti d f
ordinario neceflarie in un ragionamento • L’ altra
fenza confonder le cofe , perturba l* ordine delle
Suddette parti , o alcuna ne tralafcia giuda il bi^
fogno (imperciocché, ficcome vedralC, talvolta è
ben fatto di tralafciar i’ Efordio , o la Narrazio-
ne : talora non fa d’ uopo della Perorazione ) ; e
così fi difcoda alquanto dai precetti generali dell*
Arte , per fervire alle particolari circoftanze dell’
Oratore.
ARTICOLO I, '
k
DelV Efordio .
I * ' ' '
JL*’ Efordio è quella parte deldifcorfo, per mez-
zo della quale 1’ Oratore difpónc , e prepara gli *
) ani-
V
(6) AriA.- Jbta* IJT. 13. W(. de Orat . 77 . 75. Partes, ut
plunmis autboribus placuit quinque font , proemium , nar-
ratio, probatto , jrefutatio , peroratto ..His adjecerunt quidam
partitionem , propofixionem , exceflum . Quint. III. 9. Jubent
exordtri ita ut tum qui audiat benevolura nobis faciamus &
docilem & attentum : deinde rem narrare ita ut verifimilis
narrano fit % ut aperta .ut brevis : poft autem dividete cat»-
fam aut proponere. Noftra confirmare argumentis ac rationi-
bus, deinde, contraria refutare. Tum autem alti ,conclufio-
|iem orationis , & quafi perorationem collocanti, àtri jubent
aniequam peroretur oranti aut augendi capfa digredì , deinde
concludere ac perorare . De Orat. 77 . 19. .Tutte quelle pani
dell’ Orazione però alle quattro accennate fi riducono , Im-
perciocché la propofizione e la divifione fi comprendono nell*
efordio, o nella narrazione; confutazione alla conferma^
2tone fi riferifce , conciofftachè confutiamo gli altri confer-
mando il noliro affunto : la digreflìone poi è una cofa acci-
dentale , e niente quafi appartiene alla caufa . e perciò l'ab-
bi am piuttosto annoverata tra le figure. Delle quattro parti
jnecedirie, I* Efordio e la Perorazione fervono a movere gli
offerti; La Narrazione e la Confermazione ad ammaeftrare;
li dilettò poi rifulta dalla maniera di maneggiare, e di ab*
ietfire tutte II parti ifte«Te.
— i.
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• x 55 x
animi degli afcoltanti al reftante del ragionamen-
to (i)w Quella è una parte importante ed effica-
cilfima y sì perchè in qualunque difcorfo è necef-
fario prima di procacciarli l’afFetto di chi ci de-
ve afcoltare sì perchè da un buon efordio molte
volte dipende in gran parte il felice elito d^lla
caufa . Nell’ Areopago d’ Atene perciò era vieta-
to tìgli Oratori di uiare 1’ Efordio , conciolfiachè
que’ Saggi avellerò per efperienza veduto di qual
forza , ed efficacia poffa edere fui cuor de’ Giudi-
ci una tal parte dell’ orazione ufata a dovere , e
con maeflria . Noi affine di trattarne più chiara-
mente divideremo quell’articolo in tFe paragrafi,
« prima vedremo le fpecie, ed i fonti dell’ Efordio;
jjoi i doveri da predarli in elfo dall’ Oratore ; c
finalmente le parti , che lo compongono .
§. ( I.
Delle varie fpecie , e de' fonti dell' Efordio .
k - , V
* * * I »
* Altro dicefi Efordio Comune , altro ex Abru-
pto . Il primo è quello, con cui l’Oratore a po-
co a poco difpone placidamente gli uditori ali* .
fua caufa: il fecondo è quello, per cui di lancio,
ed a piè pari entra nella caufa ideila dando prin-
cipio con qualche modo veemente , e con figure
Impetuofe-^ e gagliardi -alletti * quale, fi è 1’ Efor-
dio della prima contro di Catilina ( 2 ) .
D 4 V E-
^ — - — — - _ T - - - — - - —
(0 Hxordium eft oratio animum auditori* idonee corri pa-
tana ad reiiquarn di&ionera. De Inv. /. 15, ad Heren . ///. 5.
Quinta IP. 1. w ^ •
; CO efordj ex abrupto fi devono ufar di raro e Colo
in caufe grandi ed inudite r oppure in occafione di qualche
gran movimento d’affetti nell* Oratore ; e di ior natura vo*>
glion edere piu brevi, « figurati ,
<
I
* *
X stf X
-* L’ Efordio comune^ di videfi in Principio z&rlnjU
vuazione . Principio !! chiama quel modo di teie-
re un efordio per cui Cubito fi nianifefta la nofira
intenzione , chiaramente s'entra nella caufa, e li
procura di acquifiare P amore ,* e P udienza de*
circofianti, e de' Giudici, Infinuazione al contra-
rio fi dice quella maniera difiìmulata , per. cui P
oratore con giri , e con artificio cerca d' infinuarfì
occultamente nell'animo degli uditori, e mofiran-
do quali di voler tutt’ altro , fi sforza di tirarli
lenza che le n'avveggano al iuo partito (3). •
Se la caufa per fe fiefia è giufia , e ficura 1 *
Efordio comune fi tefie per via di principio; ma
fe P Oratore>fi avvede che P animo degli afcoltan-
ti è contrario perchè la caufa loro fembra ingiufia y
o che elfi fono già perfuafi diverfamente , o che
fono fianchi per* aver a lungo udito 1’ avverfario >
allora deve ricorrere alla Infinuazione" (4). Cice-
rone così nella Orazione per la Legge Manilla
dovendo trattar la caufa di Pompeo , non ufa ar-
tificio, . ma.fi fpiega chiaramente ir Atque illud
imprimi s-mihi latandum jure effe video , quod in
hac infoltì a mini ex hoc loco r attorie dicendi , caufa
talts oblata ejl y in qua or atto nemini deejffe poteJì +
Di -
« ^ 1 «
(3) In duas pàrfes dividitur, in principium 8 c infìnantio -
nem . Principium eli orario perfpicue 8 c protinus perfidenst
auditorem benevolum , aut dccilem , aut attenrum . Infirma-
rlo eft orario quadam dilfimularione , & circuitiope obfcuro
fubiens auditoris animum . De Inv. T. ad Heren . 7 . 4. 7.
£4} Infinuatione ntendum eli, cum admirabile genus cau fx
eft, hoc eft cum animus auditori infeftu9 eft . De Inv . ivi»
Tria funt tempora, quibus principio uti non pofTumus : auc
cum furpem caufam habemus, hoc eft cum ipfa res animum
auditor? a nobis alienat : aut cum animus auditoris perfua-
sus videtur effe ab ira , qui ante contra dixertint : aut cum
defedila eft audiendo qui ante dixerunt. Ad Heren . T. 6.
§
v
v
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X 57 X
Dicèudum efi tvitm de Cu. Pompei /iugulari exi-
miaque virtute. Ma Cefare pretto Salluttio all’op-
pofto volendo difendere i Congiurati ricorre alla
tminuazione , e ftabilito avendo che un giudice
debba aver un animo imparziale e fcevro di paf-
fione> con fomma deprezza cerca di metter fof-
petto che l’odio non domini nel cuor de’ Senato-
ri , e mentre proteda degni di mille fupplicj i
Congiurati , fi sforza però di provare che non de-
vefi con loro ufare la vietata pena di morte , '
Sembrando adunque la caufa che fi prende a di-
fendere , od a pervadere turpe in fe fletta , ed a
prima vifla biafimevole , mottrerà l’ Oratore di
Sdegnarla egli fletta, e di non pretender - mai di
configliarla o proteggerla; ed intanto a poco a
poco s’ infinuerà nell’ animo degli uditori , finché
verrà a moflrare ell£ non etter tale auale da lo-
to fi credei Così Tullio volendo difender Liga-
rio, che contro di Cefare avea prefo le armi , nell*
Efordio fu biro lo confeffa reo , protetta di non
volerlo fcufare, chiede a Cefare fletto perdono per
il fuo cliente , e finalmente viene a conchiudere
che Ligario non era da dirfi però colpevole di
quel delitto, che gli veniva imputato Ed il Ca-
ia nell* Orazione per la Lega volendo configliare
ai Veneziani la guerra a cui etti erano avverfi ,
prende a lodar nell’ Efordio la pace ed il ripofo,
ed a commendar V odio , che etti portavano alle
armi , poi feende a far vedere etter ombra di pa-
ce quella ove temefi giuttamente rovina, e tale
etter appunto quella di cui etti tanto fidavanfi f
nè poterli fenza la guerra vera pace confeguire*
» Se poi la caufa è difficile a perfuaderfi , per-
chè gli uditori o i Giudici fon già prevenuti
in contrario; allora per via d’Infinuazione deve
T Oratore modeflamente diftruggerp la loro opimo*
X 58 X
ne • Tutte le prevenzioni o fonò contrarie per h
natura ,ttefla della caufa , o per ragione della pei<-
fona dell’ Oratore , - o per quella dell’ avverfario •
Se la caufa per fe folle difficile a perfuaderfi o
fembraffe incredibile, allora 1’ Oratore s* in fin u era
col dire molte cole fembrar incredibili eppurefler
veriffime; fe foffe tenue , e di poco momento, ne
moftrerà la neceffità , 1’ equità, il vantaggio . Era
difficile p. e, l’indurre Carlo V, a reftituire Piacene
za ; epperò il Cafa nell’ Efordio della fua Orazio^
ne loda fommamente tutte le getta dell’ Imperato-*
re , e maffime la fua clemenza , e dice che tutto
il mondo io riguarda come un maravigliofo lume
apparfo in Cielo, non altro da lui promettendoli
che azioni nobili e generofe ; quindi viene a dire
che tale forfè non potrebbe raffembrar quella di
ritenerli Piacenza, e che fe non tenebre , almeno
gualche ombra apporterebbe al di lui nome* Sono
gli ascoltanti molte volte prevenuti contro all’O?
ratoreper ragione della fua patria , della nazione,
dell’età, dell’amicizia, della fua profeffione ec. *
ed allora egli dovrà colla infinuazione toglier pri-»
ma dalla lor mente ogni fofpetto , facendo credere
eh’ ei parla fqlo per la verità, e per il dovere *
Così Tullio nell’Orazione per Archia difende il
fuo maettro , ma diraottra che è un puro fua do-
vere d’ impiegar la fua eloquenza a favor di co*
lui , da coi 1’ apprefe . Ed il Cafa fa le lodi
della Republica di Venezia, ma toglie prima o r
gni fofpetto che egli voglia parlare per adulazio-
ne, e protetta di efler a ciò indotto da un obbli-
go di gratitudine e dall’ amore della verità • Ed
in quella per la Lega trattando di far unir I’ ar-
mi Venete colle forze del Papa, ed effendo egli
fofpetto perchè Ecclefiaftico , dice : Nè per voi Ji
miri) chi io fia y nè di* che abito ve/i ito , ma odafi
ciò
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' ' _
ri' u dicti pm$P. non &9i °J* m * d au t°*
rità vi mova , ma le mie ragioni . Le prevenzio-
ni favorevoli all’ avverfano nafcono negli afcoltan*
ci o quando quello non è uomo di grande auto;
Stà , ma con ftrepito di parole e con sforzo di
eloquenza fi fa forte: o quando è_^ nomo celebre ,
Ji Irido, e degno di tutta la fede . Nel pruno
^Ìfo l’Oratore dovrà render fofpetta t eloquenza
dell’ Avvtrfario , ficcpme fece il Salvini nella le^
tt Se cM apparato > %
colla eloquenza fi portàffero via t
vinceffero le caute > io qnefia j* 1 *
far parola , e darei per “ndwato &Jtoreoy
Ma il mio felice dejttno ha voluto chi con
alle ragioni riguardano , uaijte comqu^to empi-
to - con quanta voga -> con $ u . a %
ec. Nel fecondo calo dovrà loda re e pajw|*oa
fommo rifpetto dell’ Avverfario medefimo, e nefc
io fieflo tempo procurerà di moiare eh egli non
ha però la ragione dal fuo canto ..Cosi lo fteP
fo Salvini nella Lezione 4 - dice : P^ ,o non n { a ‘
rà Polo il ' mio , ma pietà di Sovvenire a- un ta-
le amico poflo in pericolo , e da »»
de' più antichi , de? più nguardevoli di ”tfrajc-
epidemia fieramente attaccato , quale 11 f
che udifie or ora da quefio medefimo luogo arringa-
re" non meno di nome t che di fatti guerntto’, guety
ino 7 autorità , guarnito di f opere , guermto dt
eloquenza .... ma la. buona vettura ha voluto^,
eh' 1 io fono alle > mani d' incorrotti Giudici y e che
non fi taf ciano abbagliare da Splendore di dhgfil-
tà . nè Sopraffare. da pefo di autorità , o af forza
di farne piegare dalla dritta regola dii g< u fto ,
? del vero, •.< .'.-e., '■ -Jay-
S
J
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X 6o X
^ * » ». ,
. Si danno anche talvolta alcune ci^Cotlatire * iti,
cui 1’ Oratore non deve , o a lui non conviene
fpiegarfi chiaramente , eppur vuol farli intendere
dai giudici , o dagli uditori . Un figlio p. e. ha
da difender fe Hello, e noi può fare l'enea accular
' il genitore : o un amico é coftretta aggravare un
altro amico ; o finalmente un debole per dire la
verità, deve parlar contro ad un potente. Allo-
ra bifogna con fomma deprezza , e raggiro guidar
il giudice, in guifa che necefTa ria mente indovini
quello che l’Oratore non vuol dire, e far in mo-
do anzi eh’ egli li pérfuada , e goda d’ aver Sco-
perto quello che volcali occultare i oppure con
un contrailo d’affetti, e con interrompimento di
E role fìngere che la verità anche non volendo ci
tppi di Socca , e voglia manifeflarfi (5). Cice-
rone dovendo parlar contro la legge Agraria tan-
to favorevole al popolo s’avvide elfer l’ irrtprefa
pericolofa , nè convenirgli di palcfarfi apertamen-
te ad efla contrario . Incominciò dunque a tefli-
moniare la fua gratitudine verfo i Romani che lo
aveano eletto Confolo: proreffò di voler effer po-
polare , ma fpiegò quale fia il vero fenfo di un
tale vocabolo . Efaltò i Gracchi zelanti difenfori
di quella legge , ed a poco a poco fi conduffe a
inoltrare che la legge propolla da Rullo era d y
effrema rovina alla Republica • Così nella Oraz #
per Ligario deve Tullio parlar con lode del par- „
rito Pompeiano alla prefenza di Celare iftelfo , cui
pò-
-, !.. ,» kà m .■ , „ > », ,
v # '
( s) Re* ipf* perducant judicem ad fufpicionem & àmolia-
tnwr estera, ut hoc folum fuperfit, in quo mulrunt efiatn
affe&us juvant & interrupta fìientio diftin, & cuntfatioae.
Sic enim fier , ut jude* qusrat il! ud nefeio quid, quod ipfc?
non crederei, fi audiret, & ei, quod a fe inventimi
♦xifttmat , credut . Qtùnu Lib . /*. a. •
\
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X 61 X
fa , che aneli egli m aet P<* ll,lu u ‘ .
ce eh’ altri, il chiamarono errore , altri rema , al_-
Ui pazzia, biffano delitto. Egli il nomina defl-
Z ed in guifa tale conduce il iuo ragionamento,
che non foto non fa ingiuria a Pompeo «tonto-,
o aCefare prefente, ma lodando quello, tutta la
'gloria viene vietnaggiormente per quefto a ridon-
^MoftiVono i fonti d’onde fi può “var rrfor-
t3io, purché, ficcome dice Tullio, Tempre nafea
e derivi dalle vifeere della caula, e non fla' affat-
to feinneffo, e difgiunto dal tettante dell argo-
mento ( 7 ). Chi vuole pertanto farli a parlare de-
ve prima confiderar tutte le circoftanzc , e diche
egli voglia trattare, e per chi , e dt quali perfo-
ne alla prefenza e contro di chi : deve riflettete
al tempo , al luogo , allo flato delle cote, alla
opinione de’ Giudici , e del popolo , alle foe mi-
® " e confiderai ben bene il tutto, la natura
ftefia gli farà conofcere d’onde egli al^iaa ^rcft-
dere il principio del fuo ragionamento ( 8 ). Qce-
,A Oueft’ ultime offervaaioni le ho polle in quello luogo,
“il- fi ap7 , e che d’ ordinar o cadono negli efoN
■Ss ?ES= 5f ss -sstfafot
^^"HxTaufem'T» duTndo extTnftcus «liuude qu«-
-j, / j .. ìnfis vifeeribus caufac fumenda funt . • • ■ Con-
rpnda, fed ex P ' r j nc j p j urn confluenti oratiom, ut tan-
^rcumTm;rco , Jp P ore nC m P embtum effe videatur . Ce Or*.
' ">«•? ftffturus iotueatur, quid, apud quem, prò quo, eoa-
W V loco, quo rerum flatu, quo
%ar«Si fóJtan % ; V» i“dicem Patire «edibile *t
, • . . . X à% %
tene p. è. dalla circoftanza del tempo fa V efofJ
dio ddl’ Orazione a favor di M. delio , perché
ebbe a trattar la di lui caufa in giorno fedivo *
Per Dejotaro lo cava dal luogo inlolito * e priva-*
to : per Milone dalle circoftanie tutte iriufare
«nprovvife degli armati, del terrore ec^rper Li-
gario da una chiara e (incera ipofizione dell? fu»
caufa 4 $' incomincia talvolta ancora da qualche
fèntenza, come preflò di Sallufiio faCatilina par-*
landò a^fuoi foldati : da qualche fatto Storico a
favolofo < o da qualche fimilitudine , . come fa il
Cafa a Carlo* V. : dalla perforia fua propria dell 1
Oratore, come fa il Guidiccioni parlando ai Lue*
chqfi col dire che «fon fi meraviglino fe;effendo>
egli Ecclefiafiico prende ad immischiarli in affari
laici $ e finalmente dal rispondere alle parole deli*
avverfario , come fa Tullio nella Filippica 9. Il
miglior modo però di formar P efordio è tempre
quello, con cui fi occupa l’ opinione de’ giudici à
degli uditori, efaminando prima fe la caufa è otte-
fia , maravigliofa , umile, dubbia , o ofeura (p) ;
e fi procura quindi fui bel principio di togliere
dal di loro animo tutte le contrarie prevenzioni *
per
anteguam incipumus, tum quid aut defideremus , aut depre-
cemur.- ipfa illum natura eo ducet , ut feiat quid primun*
dicendum fi t. Quinti IP. I. : > . * . . ; .
Cpy Se la cauta è onefta 1* uditore I difpoffo per fe. fteffp '
a fecondarla ; onde l'oratore potrà in tal cafo impiegar me.
no di artificio nell* Efordro : fe è maravigliofa Auditore è 8.
lieno dal crederla , ed allora vi abbifogna tutta l’arte: ff 0
umile quello la fprezza, e ne dubita, fe è dubbiofaj eppe.
tò 1* orartele allora deve fmpegnarfi a farne vcde?> r impor-
tanza , ed a toglierne ogni fini Ara opinione: fe finalmente U
caufa è ofeura l’uditore lentamente fi induce « con .tufi* ad,
afcoltare ; ed allora deve Foratore avvivarlo coll* eloquenza,
e ùrgli fpetare non effer la cofa tanto malagevole , quitti’ et
fe W tinge, ren, Cic. De Orauìhvs 4 . ad atren, 1 .
X*jX ■ r- " .
» |
per pofcia condurli più facilmente à decìdere' in ;
noffro favore , ficcome -fpelTe volte fi pratica da
Cicerone nelle fue caufe giudiziali *
L’ Efordio- può effer viziófo per fette motivi, L
quando è volgare * cioè a dire che può adattarli
egualmente a molte caufe- IL quando è comune*
coficchè l’ avversario medefimo può fervirfene nel-
la fua rifpofta i III- quando è commutabile , fe 1’
avverfàrio cioè può ritorcerlo * e prevalertene a -
lioftro danno* IV- quando è lungo non folo pro-
porzionatamente al recante della orazione (io) *
ma tolto anche troppo di lontano - V- quando è
fconnefiòj coficchè nulla ha che fare colla caufa %
che prendefi a trattare- VI- quando è gonfio* ed
ampolloso (u) * e promette cofa diverfa* o gran
lunga maggiore di Quel che non fia 1’ affare , di
cui fi parla* VIL finalmente quando è contràrio
ai buoni precetti dell’ arte , ed a quel fine che dee
l’Oratore aver preferite ( 12 )*
§. II* * -
■■>■■■ ■ ■■ <■■■■ — ..■ — ■ i ■ ■ ■■■-*
* » » *
(lo) Non fi può dare una mrfura certa intorno alla lun-
ghezza dell* Efordio , dovendoti quella rimettere al giudizio,
ed alla neceffìtà , in cui fi trova 1’ Oratore* (Quella propor-
zione però che ha il capo con tutte 1* altre membra del cor-
po umano, deve averla con il recante del difeorfo 1’ Efordio;
che anzi fe U caufa non abbisogna d’ infinuazione, quello de-
ve effer femplfce, e brevilfimo. Ecco il precetto di Fabio ;
Vitanda eft immodica longitudo , ne in caput excret/Jfe vi-
dcatur , ér quos preparare debet , fatiget . TV, i.
Cli) Lo itile dell’ Efordio non folo non deve effer gonfio ,
ma nè meno artificiofo, e tutto magnifico sì perchè non ilan«
chi fui bel principio gli afeoitanti, sì perchè non fembri ,
che l’Oratore cerchi di abbagliarli colla fua eloquenza;- la
3 ual cofa al dire di Quintiliano è una defle if aggìori finezza
eli’ arre r Diligenter ne fufpe&i fimtis ulta parte vitandum ;
proptev quei minime ofientari debet in prtneiplis cura, quia
vi de tur ars oranis di cent is cantra judicem aditi beri : fed ipfunt
ijìud evitare fummte artis e/i . IV: I. * ■ •
00 ^xordiorum vitia ; quod in piures caufat accemmodari
por-
/
i
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X Ó 4 X
§. II. *
* \
Di ciò che dee preflarfi dall ’ Oratore
nelV Efordio • -
* *
Formandoti T Efordio nel difcorfo affine di con-
ciliarfi T animo degli ascoltanti , e per difporgli
ad unir di buon grado tutto il recante del ra-
gionamento , tre cofe devonfi principalmente iti
effo pretore dall’ Oratore, i. renderfeli benevoli ,
2. docili , 5. attenti (13) .
La benevolenza degli uditori fi procaccia o dal-
la perfona dell’ Orator ifìeflò , o da quella degli
Avverfarj , o da quella de’ Giudici, o dalla fleto
natura della caufa, che halli a trattare (14) . Dal-
la
poteft, vulgare dicitur ; quo & adverfarfus uti poteil, cotti-
muuis appellatur: quod adverfarius in fuam utiiitatem defle-
ttere poteft , commutabile.* quodcauf* non cohaerec , fepara.
tum : quod aliunde trahitur , translatum : prasterea quod lon-
gum : quod coiitra praecopta. Quint. 1. De Inv. L ad
Heren.I.j. Anche Orazio nell* Arre Poetica ci avverte:
« . • • ' *
Non fic incipits ut Seriptor Cycliws otim •
Fortunata Priami cantalo , & nobile belìum .
Quid dignum tanto feret bic promi Jf or hiatuì
Parturient monte 5 , nafeetur ridiculus mus .
t 9 *» * .
(13) Exordium eft oratio animum audrtoris idonee còni,
parans ad reliquam diftionem : quod eveniet fi eum benevo-
Jum , attentimi, docilem fecerit . De Inv. T. 15. ad Her. I,
Quelle tre doti fono neceflarie in tutto il feguito del difeor-
fo ; ma fpecialmente le dee l’Oratore faper impiegare nell*
Efordio: la prudenza però gli farà conofcere fin dove in ciò
egli pofla eftenderfi per non cercar puerilmente con vane pa-
iole ciò che non fe gli nega .
0<0 Benevolenza quatuor ex locis comparatur, ab nollra,
ab adverfariorum , ab judicum perfona, a caufa. De Inv ■ /.
1 6. ad Her. I. 4. & Orat. Partii. Benevoientiam aut a per.
ionia, aiu a caufis daci actepinms. Quint. 1K i>
w » » ♦ » .
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X <55 X
la perfona dell’Oratore, quando egli ha fa'ma d* .
; efTer uomo dabbene , e di merito ; epperò fen/a
arroganza , e con ingenuità rammenta , ed efalta ie
ifue azioni: allontana ogni fofpetto d’odio, d’in-
*vidia, o di malevolenza, e moftra che per folo
'dovere di officio, d’amicizia, di gratitudine, odi
Sangue s’ indice a parlare, nè fi fa intender ma-
ledico v o ingiuriofo contro di alcuno. Dalla per-
fona degli Avverfarj , quando o quelli fono po-
tenti , e di grado, e 1’ Oratore fìnge di temerne
V eloquenza , il partito , la gràiia, e la rende a’
‘giudici fofpetta, come fa Tuli io- a favor di Quia-
. zio , oppure detelia ed amplifica il di loro odio ,
Tingiultizia, e la perfidia contro del reo, fe que-
lli malfime per ragione dell’ età, del feffof$C Addi-
la miferia è incapace a difenderli , come per-De-
}otaro . Dalla perfona del Giudice , quando fi e-
ialta la fua pietà per gl’ infelici , la fua giurtizia
per gli opprelfi , la feverità contro gli offenfori ;
e fpiandone in tòmma V indole , e Fa mente , fi
occupa in quella parte ch’egli è più facile ad ar-
renderli , come fa tempre Tullio parlando a Ce-
fare , di cui celebra la clemenza , e la generofi-
tà , perchè egli fapeva , che tale Cefare appunto
ambiva d’ effer creduto . Dalla natura della cau-
fa, quando finalmente» fi moftra la caufa elfer di
fomma importanza , oppure dover intereflare il
giudice fteffo, e gli uditori la miferia, ol’ iniqui-
tà di quello per cui , o contro curii parla. Di
tal fatta fono gli Efordj delle orazióni per Ro-
fcio A merino , per Milone , e per Dejotaro fpe-
cialmente , nelle quali Cicerone ufa tutja l’ arte
per acquiftarfi la benevolenza de’ giudici , affine
•JdMnipegnargli in vantaggio, de’ fuoi clienti • # 4
Docili fi rendono i giudici , e gli afcoltanti abi-
litandogli ad intendere con brevità , $ chiarez*
Gìard, Elem,* ì T'lL ‘“'E quel-
^ v • r *
«
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/ " X 66 x
quello di cui vogliam trattare (15) . Quello fi deC
fare col proporre nudamente il noftro affranto,:
formando in feguito un’efatta, e perfetta divifio-
ne , onde effì con ordine poflano veder il tutto ,
ed afpettarne con defiderio le prove Giova inol-
tre ad ottenere quella docilità 1!, tifar nell’ efordio
una certa modeftia e di fentenze, e di parole , c
di portamento , per cui fi fcorga , che anche in
una caufa certiffrma I’ Oratore teme , e confida
nella bontà degli uditori fuoi , i quali a ragione
fdegnano la baldanza , e 1’ ardire ;di chi favella a
loro in modo d’imporre (16). Che fe talvolta av-
venga che la caufa fia di tal Torta che nell’ Efor-
dio pofTa F Oratore ufare un po’ più di ardire e
* di . gagliardi , Tempre però dovrà farlo con una
cefta’ moderazione ad imitazion delia natura , dir
ce Tullio, la quale ad ogni cofa, ed a quelle an-
cora, che fannofi con violenza fomma, diede len-
ti , e moderati principi (17) • Il mirabile artificio
ufato da Cicerone fpecialmenre nella orazione per
Ligario, dove il di lui fdegno contro di Tubero-
ne va gradatamente manifeTlandofi , e crefcendo f
e, di continuo retta temperata la riprenfione colla
lode , può farci intendere quanto quelle offerva-
zioni poffono giovare ad un dicitore per conciliar-
li la docilità degli uditori .
Sì
' 4 t - ;
(15) Docifes auditores faciemus, fi aperte, & bre v iter Arni -
nani caute exponemus, hoc eit in quo confiftat controver-
sa . £>r ìnv, 7. 1 6. .....
(x d) Procemium decebit & fententiarum & compofitromtf «
& vocis , & vultus modeftia, adeo ut in genere caute etiam
indubitabili, fiducia fe ipfa'miniuin exercre non debeat . Odìt
euim judex fere litigami» fecuritatem , cumque jus fuum in*
teJiigac, tacjtus reverentram poftulat. Quint . TJF' i.
C*7) Omnia quse fiunt , quaeque aguntur acerrime, Ieviori*
bus principili natura ìpfa pratexuit. Di Orai* IL 78.
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1
X X '
Si acquiflà V attenzione degli afcoltanti r. coi
prometter loro di trattar cofe grandi , degne d"
e/Ter intefe e vantaggiofe ad effi , non meno che a
tutto l’uman genere (18). 2; pregandogli ad udirci
benignamente , e ad ifcufare la rozzezza del no-
flro ftile incapace a poter efprimere dégnamente
cofe $1 grandii e maravigliofe*.- j, afficurandoli del-
la brevità , con cui dimoftreremo il tutto (19) • 4*.
finalménte con una cèrta gravità ed eleganza di
dire i e vivacità di figure e di fentimenti * per cui
T uditore fìa rapito dal diletto * e commoffo , fenza-
che però abbia a formar fofpetto , che V Oratore
il voglia ingannare (20) 4 A tal fine egli fui bel
principio non fpiegherà già tutti gli affetti } ma
nelì’efordio fi accontenterà di fpingere dolcemen-
te il giudice, affinchè da fe fletto, e naturalmen-
te nel feguito del difcorfo quello venga trafpor-
tato ; ed allorché poi fta per piegare , gli anderà
fopra con tutro il pefo delibazione (21),
E 2 §« IIL
(18) Cie fe la daufa di fud natura non foffe tale’ * l’drà-
ttìre procurerà di farla comparir tale In quella fua citcòftao-
ka. Cic. nella Fiiipp. VII. dice: Patvis di
tajfc neaffariii tonfa limut P . C. de Appi a via & de ma»
neta. E Quintiliano coti fa vedere impi rtaati®tha per un
poverèlla U perdita delle Api avvelenategli da uo ricco nell’
Or. IJ* - s ‘ - A
(.19) Attentos faciemuc , fi demonltràbirtiu* ed, quaè (detti-
ti erimus magna, nova, incredibili effe aut ad omneà, auC
ad atiquos iiluftres hnmines, aut ad Deo* immortales , aut
ad fìnnmum reip. pertinere; & I pollicebimor noa brevi no*
flrarrr caufam demonftraturoe • Ùe Inv. /. i 6 » De Orai» ih
Òuint tv. fé
Eaordiùrii fententiaruiti .& gravitati* pluriAfen debé t
habere , & omnitro omnia qu* pertinent ad digiti tatett con*
tinerc in fe,^. fplendoris & feftivitatii & concinnitudinls
minimum ; propferea qood ex bit ftrfpicio qulédam appafatio-
»is, atque arti6c<of* diligenti» nafcitor, qu* matJine ora*
tioni fidem , oratori àdirtiit an&orftatcm • De lnv,t.
Caj) Moni* animi totos'iit principio expi icari non oportO*.
^ bit;
1
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*.
X <58 X
§. ur.
••
' .15»
^ S. I»
Delle Parti delP E f orditi.
<t
• 1 » « *
Tre fonò le parti principali , , che Ermogene
confiderà in un Efordio . V introduzione Ti&roteis y
PAffunzione narctaMvi ) , /’ Efito ifyuaris . L! In-
troduzione è come la bafe del proemio , ed è quel
mezzo termine , o quella prima fentenza , fopra
di . cui s’incomincia a teflere il ragionamento .'U
AfTunzione è quel fecondo* penfiero , che dal pri-
mo derivando, ferve a comprovarlo , e fa che 1*
Efordio vada in certo modo crefcendo nel fuo
progreflb. L’ Elito finalmente fi èia conclufione , ‘
per cui' 1’ Efordio medefimo fi unifce , e collega
al recante della orazione . Nella caufa per la
legge Mapilia Tullio p. e.~, forma F introduzione
dell’ Efordio. palefando il fuo antico rifpetto , e
timore per il pubblico , ed in feguito la fua gra-
titudine per gli onori a lui compartiti dai Ro-
mani . PafTa quindi alla AfTunzione col dire, che
intendendo egli beniffimo il fine per cui tanto lo
aveàno voluto efaltare, fi trovava in obbligò d* *
impiegare la fua eloquenza , e T autorità ottenu-
ta. a vantaggio fpecialmente di coloro che glie la
avéano conferita . Finalmente conchiude con ma-
nifeftare il periglio della repubblica , e la necef-
lìtà. di far la guerra contro di Mitridate , e di
Tigrane. Così nella orazione per Archia 1* In-
troduzione- confile inique! primo penfiero , con
cui
bit ; fed tantum impelli primo judicem leviter* ut jam in-
clinato relìqua incurabar orario. De Orat. 11.79*
*. * *-♦*•'* • - -r y
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, . . 5 t*X , ,
cui Tullio afferma efler egli debitore ad Archisi
di tutto il fuo fa pere: i’ Attenzione nel aimoltra-
re efler doverofo di impiegare a favore del fuo
maeffro queir- eloquenza, .che a tant’ altri avea
apportato lalvezza: 1’ Efito finalmente r nel punto
della -caufa, per cui egli s’ accinge a voler di-
magrare , efler Archia cittadino Romano . ' .\.f
Nella Introduzione, e nella Aflunzione altro
non fi richiede che una «ertaarettitudine di pen-
fare, e maeflria d’ amplificazione, per cui 1’ una
cofa naturalmente venga in fegeito all’ altra , ed
il tutto con eleganza infieme e brevità conduca a
quel punto che è il vero fcopò del difcorfo , e che
forma 1’ Efito dell’ Efordio , In quello poi d’or-
dinario fuol cadere la Propofizione e la Bivifio-
ne ( 22 ) di tutto il ragionamento,! le quali cole
abbiam detto eflere neceffaric non jfolo per M'
buon ordine , , e per la .chiarezza , ma molto pi%
jer render docili ed attenti gli uditori ; E ficco--
me abbiam veduto, che la Propofizione,' e la Bi-
vifione anch’ effe furono riputate da alcuni come
due parti effenzialf e difiinte di un’orazione} per-
ciò ne tratteremo dillintamente ne* due Paragrafi
fegucnti. • > . •
■!— ■ UHM . fT- • | 1 -1 ■ k ,
' " » * • T *
* ** * K
-WJ Wco d* ordinaria , perciòcefcè non feiflpre la propofi-
aione fi pone nell* Efordio ; ma tal voi ri anche dopo la nar-
razione; La divifione j£oi come fi può vedere in Tullio, ta-
lora fi cralafcU .
»
T
»
' X 70 X
• *
• »
» « »
. . Della Propcfiztont Oratoria .
» i * . .
. La Proporzione in un difcorfo Oratorio è quel»
la , per cui il Dicitore ci avvifa di ciò , che egli
intènde trattare nel progredo del fuo ragionamen-
to : odia quella che ci pone fott’ occhio lo dato
della queftione , di cui fi parla , e che fida lo
fcopo ed il fine della Orazione iflefla (2?) .
Il determinare e dabilire queda proporzione ha
da edere la prima e principal cura di chiunque
brama tedere un difcorfo ; concioffiachè non fi pof-
fano ritrovar le prove lenza fapere ciò che Ij. ha
da dimodrare(?4). Nel fidar poi queda proporzio-
ne bifogna avvertire, che anche in unacaufa ma-
lagevole ella fia concepita in un modo che quan-
to più è podibile inclini a nodro vantaggio (25).
Tullio p. e. nella difefa. di. Milone vide , che l*
unica via di falvarlo era quella di provare , che
egli avea uccifo Ciodio con ragione , perchè co-
firetto dalla necedìtà di difender fe iledo; epperò
da-
(13) Diviflo efl per quam aperimus quid eoo ventar , quid
in controver/ia fit , & per quam exprimiraus , quibus de re»
bus fimus difturi . Ad Heren, 7. 3. La propoffzione , e la dr.
vinone vanno si Erettamente unite, phe Tullio quivi le com-
prende fono di un folo nome ;
(14) P.rvpofitio ìnclkiet ad id quod convenir in fuae cauf*
com m od um . De Tnv. 7. '
0-5> Confuevi Òifciplin* noflre fe&atoribus dicere, ante
omnia; iis confiderandum effe, quid oratione & partibus effi»
ciendum Et; poi! quam vero id repererimus , & collegerimus
accurate, quaerendas effe ajo orationis ideas live argumenta
& ornamenta, quibus fineiu adipiftimur % quem nobis propo»
riiimns . r/tcrat. tf. é.
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*
' -X 71 X
flabilifce la fua propofizione non già col dire, M-
‘ Ione non ucci f 'e C Iodio , oppure, a Mi Ione fu li-
cito uccidere un cittadino Scellerato , ec. ma con
quefte parole •• oculis videbìtis , infidi ac Milani
a Clodio faElas . Che fé accade di difender un
reo il quale difficilmente fi poffa feufare , allora
■convien ' riflettere fe il delitto fi poffa ritorcere
fuiP accufatore , ed in cotal guifa renderlo fofpet-
to al giudice, e far che quelli diflolga la fua men-
te dalla prima caufa , o almeno fminuifea il fuo
fdegno verfo del nodro cliente, dividendolo? in
certo modo con l’altro colpevole. Così Tullio non
potendo ftabilire una propofizione colla quale di-
nsoftrare che Ligario era innocente , dice- di voler
confettare , che Ligario è reo : fed tamen ita , eum
in ea parte fuiffe , qua te , • X ubero \ \Jma virum
cmni laude dignum patrem tuum ; e quindi procu-
rando Tempre d’ ifeufare Ligario aggrava moito piu
gli accufatori . -, T* *
Ogni propofizione di un dilcorfo poi deve ave-
re quelle tre prerogative , i. ha da elfer unica e
Semplice , acciocché avendo effa un folo oggetto ,
T uditore potta fiffare i termini dell’ argomento ,
ed intender facilmente filine di quanto li dice dall
Oratore . z. Deve etter breve , acciò poffa piace-
re, e mettere come in un fot punto di vilte il tut-
to ; ed anche perchè agevolmente dagli afcoltann
fia ritenuta . 3. Ha da etter chiara per modo-» che
non potta non intenderli , concioflìachè da effa di-
penda il buon efito della caufa , e 1’ uditore -fia
inabilitato a giudicare del rellante del difeorfo , e
ad afcoltare con attenzione , fe non ha prima chia-
ramente concepito l’argomento di cui fi tratta (2 6),
E 4 Nell
ìKV
Citi Divifa & fimpltx propofitio quotiet Utiliter Adhiberi
* ' ' pet-
1
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i
4
\
■' X 72 )C . ■
Nell’Ora u prò Quint. ecco come Tulfìo ff fpis-
£2 : Negamus , /e bona P. Quinti* , iVx Navi
pofiediffe ex <edf£lo Pratoris . Ed-, Alb. Lollio all
Accademia Ferrarefe : Della Concordia avende io
oggi propojìo di ragionare , pregavi che benigna-
mente afcoltar mi vogliate .
Aggiunsero alcuni inoltre, che la propofizione'
Ga nuova . Quella novità però s’ intende non quan- *
to alla Soltanza \ che ciò non Sempre far fi potreb-
be , ma quanto alla maniera d’ ef porla , coficchè
la cofa venga- Sotto un afpetto graziola, ed abbia .
una cert’ aria di novità . Nel che però guardia-
moci di non cader nel vizio de 1 Sofiìti , e in quel
contagio , che al tempo dei noflri padri , dice il
Salvini (27) , avea infejlata V arte de 1 Panegirici ,
che quel Santo che fi pigliava a lodare chi un
Fiore y e tale un Aquila , e quale un Sole , e al-
tri una Colonna il facevano . Si fuggano in Som-
ma le propofizioni metaforiche , e certi paradelli,;-
che fon piò atti a movere =il rifa, che a -conci- '
liar T attenzione degli ascoltanti . -
; §. V.
• - j * r
v t) eli a Divi fione 4
\ . . *
Se la Propofizione nella fua femplicità ci -fotti—
miniera alcune parti , in cui fi poffa dividere , al-
lora giova di formar la divifione , la quale non
è altro che un’ordinata dittribuzione di que’ pun-
ti , provati i quali retta ditnoftrata la propofizio-'
ne
K . k '
poreft, primutn effe de6et aperta, atipie Incida , ttjm brevi$ t
nec allo fupervacuo concreta verbo. Quint. IP. 5.
Ci 7 ) Lei. XXVI. Prof. Tofc. p. 318.
•v
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:X73'X
ne ifféffa {28) . Se poi la caufaè cosi riftretta, ei
unica la proporzione , che non ha più capi in cui
dittingaerfi { allora fi tralafcia la divifione . Così
Cicerone p, e. nella Orazione per la Legge Ma-
nilia in tre parti divide il fuo ragionamento : Pri-
mum mìèi vi detur de genere belli , deinde de ma-
gnitudine , tum de Imperatore delìgendo effe diceria
dum \ ed il Cafa in quelle a Carlo V. , e delie Lo-
di di Venezia al contrario non forma alcuna di-
vifione,* #
Siccome poi la Divifione è utile , e neceffaria
molte volte, tanto perchè rende più chiaro ed
aggradevole il difcorfo, quanto perchè ricrea., ed
anima l’uditore, il quale al finir di ciafcuna par-
te (caccia il tediose gode prevenire in certo mo-
do T efito della orazione (29)^ così quella riefce
viziofa ed inutile per alcuni, i quali tratti dall v
• amore di dividere, una propofizione che -non Ra-
parti formano la partizione Lugli argomenti , che
devono addurre nelle prove, e così tolgonfi la li-
bertà di fpaziare, ed amplificare gli argomenti
ifteflì^ e (coprono tutto 1’ artificio, e la forza del-
la
, t
< 1 . ■■ tm,t -
r . 0
4 *
Ó8) PartUìo eft noftrarum aut adverfari» propoli tionum aut
utrarumque ordine collata enumeratio. Quint, IP. 5. £jus
partes du« rune. Una pars eft , quae quid cuni adverfariis
conveniate & quid in controversa relinquatur, oftendit : ex
qua certuni quiddam defignarur auditori, in quo animum de-
beat habere occupatum . Quella è la propofizione , che ficco-,
«ie abbiam detto, da Tullio fi unifee fiotto di un fiol vocabo-
lo colla divifione. Altera eft in qua rerum earutn , de qùibus
erimus diruti breviter expofitio ponitur diftributa, ex qua’
conficirur, ut «ertas animo res teneat auditor, quibus dicìig
intelligat, fiore peroratum . De Inv. fi. * * 4 * * * * * lo ‘ *
(19) Quello è un difetto che accade fptcialmente a que»
tali che oltre la divifione vogliono fubdividcre; la qual co*
fa non fi dee mai fare dall’oratore , quando la esula non fit*
tale, che il richiegga per la chiarezza.
X 74 5(
la loro eloquenza (30) ; Così non fece Tàllio nel-
la Orazione per Archia . Si propofe egli di mo-
ftrareche quegli era cittadino Romano, e che non
eflendolo bifognava ascriverlo ; ma ficcome tutte
le fue prove s’appoggiavano alla legge di Sfilano,
e di Carbone, s’avvide, che, fatta la divifion
fui tre requifiti di quella , la caufa in poche pa-
role farebbe fiata decifa , nè egli avrebbe po-
tuto dire del fuo maeftro e de’fuoi ftudj tutto ciò
che defiderava . Tralafciò pertanto ogni divifione,
tnofirò colla legge iftefia che Archia era cittadino
Romane) , fi eftefe a parlare delle lodi de’ Poeti e
tfe’ ftudj delle belle lettere , tornò quindi fu gli
argomenti della ( legge, e in varie e varie manie-
re amplificandoli dimoftrò in fatti eflere quel Poe-
ta cittadino Romano , e degniffimo d’ eflere alia
' cittadinanza aferitto, quando fiato noi fotte..
f Tre pure fono le leggi fecondo Tullio da of-
fervarfi in una buona divifione (31). I. che fia
breve , coficchè niuno dei punti fia comprefo nell’
altro, perchè allora l’un dei due farebbe inutile;
nè alcuno di effi fia fuperfluo , perchè il dicitore
verrebbe a fortir dai termini del fuo argomen-
to (32). II. che fia perfetta y in modo che dimo-
ftrate le parti nulla più manchi , e neceffariamente
jrefti provata tutta la propofizione. IH. che fia con -
pepita in poco , non folo cioè con poche parole , ma
' «■ an-
OO Ut non feraper neceffarìa, aut etjara fupervacua par-
tìtio eli; ita opportune adhibita piurimum orationi Iucis &
grattai conferì... reficit quoque audienrem certo fiugularura
partium fine. Quint. TP. 5. Partjtiq. tasdium levat. ivi a.
' Quae partir io rerum dUiribucam continct expofitionem
-^habere debet , brevitatem , abfolutionem , paucìtatem .
O Obtìnendum edam ne quid in ea defit, ne quid fu*
X 75 X
anche divifa in poche parti , le quali , fe è poffi-
bile , non devon efTere più di tre , acciò 1’ udito-
re fui bel principio non fi atterriica , e non lafci
quindi d’ ascoltare con piacere ed attenzione (33).
Ecco come nella Filippica VII. brevemente, e
con chiarezza forma Tullio la divifione. Cur pa-
cem nolo ì quia turpis e/l , quia periculofa , quia
effe non potefl ; qua tria dum explico , peto a vo~
bis , P, C, , ut eadem benigni tate , qua foletis ,
verba mea audiatis . Ed il Card, Guidiccioni nella
fua Orazione ai Lucchefi : Riprenderà primiera-
mente /’ orazton mia le forme introdotte e adulte -
Tate in quejla repubblica : dopo rapprefenterà /’ im-
magine de' tempi e pericoli paffuti y e finalmente
con 1' efempio de ’ no/tri avoli vi porrà avanti agli
occhi la ficura e onejìq amminijlr azione della Re-
. fublic a P • . \
Dovendo però quella diftribuzion delle parti ef-
fere ordinata ; ed in qualunque caufa incontrane
dofi certi argomenti effieacjffimi y uditi i quali il
giudice, o gli afcol tanti rellano perfuafi, fi arren-
dono, e con fpiacere soffrono tutte V altre prove
che fi vogliono addurre (34) ; 1 ’ Oratore nella di-
vifione del fuo ragionamento farà in modo che le
parti gradatamente procedano , e guidino 1’ udito-
re ad eflTer convinto della verità . Que’ punti a-
dunque , che fono forniti di prove più efficaci per
dimollrar la propofizione fi riferberanno in fine ;
nel che però bilognerà offervare , che i pofteriori
non rendano poi inutili i primi • Se a cagion d’
efem-
(33) Evitanda maxime concila nimium $c velut articulofa
pari! ciò . ivi .
(34) Io omni partitioee eft utique aliquid potentiflìmum ,
quod cum audivit judex ««ter* lamqqam fupemca* gravaci
foiet . ÙMinu ir. *
' , ; X 76%
efempiò Pellai difesa di Milone Tullio così avrf*
fe dirtribuita la fua Orazione : Non v 1 è alcun in*
dizio per fofpettare che Milone ammazzale Ciò-.,
dio : Non ebbe Milone . di \ far lo alcun motivo s
Milone in quel giorno eira in Atene , ballava il di-
mortrar quell’ ultima parte, la quale rende inuti*
li le altre, conciofiiachè provato che Milone era
così lontano da Roma in quel giorno , in queir
ora in ; cui fu uccifo Clodio , refta provato, che
Milone non l’ uccife , ancor *che • aveffe feco.-lui
odio e nimicizia • Piuttofto fe noi temiamo qual-
che oppofizione , o non fiamo in calo di provare
con vera efficacia e ; con tutta V evidenza quella
parte che è la pih forte del difeorfo allora ria-»
forzar la portiamo con un’ altra per fe rtc/fa più
debole, o che porta prima riuscirebbe inutile, c
collocata in fecondo luogo viene a ricever forza *
ed a comunicar infieme maggior pefo alia ante-
cedente (35) . Còsi non potendoli dire , ' Milone
non ebbe ragióne d ’ ammazzar Clodio , ed in quel
giorno di più fi trovò affente , fi formerebbe ele-
gantemente là divifione così : Milone non ammaz-
zò Clodio , Perchè ^ in quel giorno fu aJJ'ente daRo-
ma ; e fe P avefle anche uccifo P avrebbe, fatto con
tutta ragione . Tullio in fatti nella Orazion per
Archia prova che quel poeta é cittadino Roma-
no ; ma perchè intorno ai requifiti della legge di
Sfilano vi nafeono molte difficoltà , non dice già:
Archia è da aferiverfi , e poi Archia è cittadino ;
ma prova che -Archia è cittadino Romano e da-
to ancora che noi forte fa vedere , che farebbe da
aferiverfi alla cittadinanza • -
Guar-
Ql) St quid in eo quod eft fortius tirtiehinnifi , tttraqut
ptobatione nitemur. ivi ,
^ — - ,
X 77 X
V' « #
Guardili finalmente l’Oratore nel feguito del
fuo ragionamento dal cambiar quell 5 ordine rifpet-
to alle parti , che nella divifione fi è proposto ;
imperocché quello farebbe un graviamo difetto,
e non potrebbe a meno di generar confufione nel-
la mente degli afcoltanti (36).
ARTICOLO IL '
^ • * *
Della Narrazione »
D . \ « * * • * *
elia Narrazione confiderata per fe fieffa , of-
fia come femplice fpofizione di un fatto fi parlò
già dififufamente nella parte feconda del T. I ? O-
ra fi tratta della Narrazione come parte di uni di-
fcorfo oratorio, e come una di quelle cbe, appar-
tengono alla buona difpofizione di un . perfetta ra-.
gionamento . Quella dunque non è altroché im’
efatta dichiarazione di tutto ciò che appartiene al
punto principale delia caufa , e dà cui nafcé la
quiftione (0. , . . :
Nelle orazioni di genere deliberativo (2) o non
cade alcuna vera narrazióne, perchè npn fi pof-
fono raccontar le cofe future , o fi narrano cose 1
• : ; \ , :
— -
ClO Turpiffimum vero ed non eo ordine exequi, quo quid-
q«e propofueris. Qitrnt. IP.
CO Narratio eft rerum geliarum , aut ut geftarum expofi-
t io , Così generalmente altrove /* abbi am definita con Tullio .
S ucfia narratone Oratoria però meglio fi pub definire’ con
uintiliano Lib. IP. c. a. Res de qua pronuncùturus elf >u-
4ex r ; ea eli narratio • Dove convien avvertire t che nòn fa.
|um voiunt effe illam negociì, de quo apud judices qu*ri.
tur expofitiouem , Ted perfonarum , loci, tempori*, caufa.
rum « &c. ivi .
CO Quali lìano le orazioni di genere Deliberativo , Cimo-
Arativo Giudiziale veggati tfella parte li. diqugfto libro.
. • ■— <1 •. • ^ . >. . * »
. V • .5 .
■ * \ . '
/
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Ytft
pattate, acciò da quelle s’apprenda a ben conful-
tar delle cofe avvenire < Così il Cafa nella ora-
zione per la Lega dalle pattate getta di Carlo V*
prende la Tua narrazione f acciò da quelle s’argo-
menti quali fiano le di lui mire , ed i iuoi defi-
derj. Nel genere Dimoftrativo la narrazione è ne-
cettaria ; ma quetta come ferve a formar la lode o
il biafimo di quella perfona di cui fi parla i perciò
conviene diftribuirla in tutta i’ orazione,* e rac-
contar le cofe leparatamente , perchè altrimenti
farebbe lo tteffo che fcrivere una ttoria > Nel ge-
nere Giudiziale poi la narrazione può dirfi vera
S arte del difeorfo * perchè da quella dipende lo
ato della qniftione , ed è come il principio ed il
fondamento delle prove, ottìa della Confermazione *
Le leggi principali della narrazione le abbiati!
vedute nel cit.- T\ L ora non retta altro da av-
vertire , fé non che quetta in un difcorlo può ef-
fere Civile e Digrefforia (i)* Civile dicefi quella
che è come la bàfe dell’argomento* o che efpone
il fatto j fu cui cade la queftione , Direttoria al
contrario qualunque altra narrazione incidente che
lì forma o per abbellire r o per dilucidare il fat-
to, c che talvolta ha con etto relazione non per
altro che per fimilitudine * paragone * o elem-
pio (4),
La
* • %#.* » # f
I I ' .■■■■itiw i III ■Ii imu . a J | 1 U 1 ■■ 1 1 1 I I - I !■ 1 I
' • . • r
{3) t)uas in ìudiciis narratfohurtt fpecies etiflinió • alteraci
ipnus caufas : alterarci re rum ad caufam pertircentijim expofi-
tionem . Qjuint. TP. • .
C4) Cicerone diltfngue' tre fpecie dì narrazione Ari f. db
Inyeor. c q&Ì : Narrationum trio fùnt genera . Vnum
l/i, in quo ipfa caufa & omnis ratio c/irttroterfi* tonti -
ntfur : alttrum f in quo digrejfto Oli qua tutina cayfam .. *hk#
trimtnationis , aut fimilitudinis , aftt delitto ottanti non alio*
ab ntgotio , quo di agitar & amplificai ionie touja interi
X 79 X
la Narrazione Civile , di cui noi propriamea-
te trattiamo in quefto luogo , fe collocali fui prin-
cipio come d’ introduzione alle prove deve efier
femplice, e piuttofto illorica, ficcome fa Tullio
a favor di Ligario ; e. fe il fatto appartiene ai di-
vertì punti dell’ orazione , anche il racconto fi
può dividere , apponendo a ciafcuna parte del Di-
fcorfo quel tratto di narrazione che gli compete ,
purché quefto facciali con ordine, fenza confufio-
ne, ed a luogo opportuno ( 5 ).*
La Narrazion Direttoria poi, malfime allora
quando ferve al puro diletto, o a dilucidar le co-
le , deve effer abbellita con tutti i colori dell’ar-
te , ed avvivata colle figure più opportune , con-
ciofliachè in etta non polla cadere il fofpetto che
l’Oratore cerchi di ingannare, e di persuadere il
falfo , come potrebbe!! giuftamente temere nella
fpofizione del fatto , di cui fi fa la queftione . ,
Siceome poi abbiam detto altrove che è lecito
All* Oratore nelle fue narrazioni feguir anche quel-
lo che é folo probabile e verofimile (6) , a diffe-
renza dello Storico , il quale non deve efporre che
la pura verità ; perciò raccontando egli un fatto
fuo proprio dirà femplicemente il vero Jafciando
tatto ciò che gli può elfere di fvantaggio : rac-
contando un fatto dell’ avversario potrà accresce-
re contro di lui i fofpetti colle fue rifleflioni f
' : ” * • •• j po-
« ■ ■■ ■" ■■■ —
ponitur . Tertium gcntis efi remotum a civilibus caufis y quod
de Uft attorti s caufa non inutili cum extreitationc dicitur , &
fcribitur . E quefla terza fpecie è quella di cui abbiam par-
lato nel T. I. P. II. ,
Cs) Confideràre oportebit, ne non loco narretur. ... Non
loco dicitur, cum non in ea parte orationis collocatur in fu i
rea podulat. Di ìnv. I,
CO Non utique Orator propofitum habet femper Vera di-
fendi , fed «tiara verifì milza , Quint. X % 3.
X8oX '
potrà aggravar la cofa amplificandola, c peggiore
dimoltrandola di quel che in farri non fia (7) •
Diverfo per tanto fi è il metodo, che hanno ft
tenere nelle narrazioni 1 * Accusatore, ed il Difen-
fore . Quello racconterà le* cofe in modo Spezza-
to e concifo, fpargendo qua e' là i femi delle fue
prove, e de’ fofpetti contro T avversario, ofen-
rando, e tacendo ad arte quei luoghi, d*ondee-
gli potrebbe cavar lefuedifefe, eruttò procuran-
do di rivolgere a di lui danno (8). - Il che però
dee farlo fenza dar fofpetto di frode , e di men-
zogna , con certa Semplicità , e naturalezza , che
non da aftio e da malevolenza , ma dalla caufa
lleffa il tutto fembri derivare (9). >
Il Difenfore al contrario avrà Tempre mira di
‘lafciar affatto, o d’accennare oscuramente quelle
-cofe , che poflono generar fofpetto contro del fuo
. cliente, e fi atterrà Solo a ciò che gli é 'favo re-
vofe (io). Imperciocché, dice Tullio , ogni cofa
egli deve procurar di volgere in fuo vantaggio .
Quello fhe fi può tacere, fi taccia : quello che è
utile al nemico, velocemente fi oltrepafli : fi rac-
conti con chiarezza , fi amplifichi , ed efageri folo
tt*to ciò che giova : in quello fi fermi , quello fi
■" - j*t-t tr' eHen 4 Hr f
/ ^ ^ • é •
’ . * 4 ’ - H
Jàm — — ; • ■ — ■■■ ■■ ■* ■
* *
f . « ' • ^ ' /
(7) Sciamus , fi de nottro fatto quarratur, veruni nobis ef-
fe dicendum , fi de alieno , mietere in plarimas /ufpiciooef
lìcere . Quint . IP. i,
(8) Narrano accufatoris erit quafi membratim getti nego-
ciì rufpiciofa explicatio , fparfis omnibus arqumentis, obfcu-
raris defenfionibus. Partii, Or at. Di Orat. IT. 151.
CO Eflugienda in hac precipue parte omnis calliditatis fu*
fpicio: nihii videatur fittum : nihil follicitum . Omnia potias
a caufa quam ab Oratore profeta credantur. Quint. a.
■ Ciò} Narratio Defenforis aut preterì tis, aut obfcuratis fu-
fpicionum argumentis , rerum ipfartim eventus erunt, cafuf-
que narrandi . Orat. Partii ,
‘ • t
*# 4 *
X 8r X , /.
tftenda : ma quello che è contrario fi fuggg in
guifa che però non s’ avvegga il. giudice che -ad
ar . te “ tralafcia , ma refti in certa maniera fepolto
ed offuicato da quello che fi adorna, ed efalca'(ri)
In.fomma tanto chi accufa , quanto ' chi' difende
deve tempre fcegltere, e dir quelle cofe-chc pii»
utile che danno gli polfono arrecare; èdomet-
tere al contrario quell’ alche che gli fon per- effe-
xe A IU r 1 ife no che di van tasgio Ct2).'
’ ! fe J Oratore nella narrazione vuol dir co>
te di lua immaginazione, per non eflere fmentito
dall avvertano fi avverta di appoggiarli a ciò , di
cui non pofla addurli contrario tellimonio (i?) .
Tali fono quelle co fe, di, cui egli folo può elfer-
n$ confapevole, o altre perfone defunte: ‘quelle
che fono utili ad alcuno , . ficchè non 1 vi fia peri-
colo che quel tale le neghi : o quelle che. dipen-
dono, da un tellimonio dell’ avverfario illelfo, al
qua!e, benché le neghi , non farà predata alcuna
fede (14J» ■ -•
* ' >*
» s. •
Cll) Omnia torquenda funt ad commodum fu* cauf*
^nf ra u a r qU * ? r!Bter ‘ n P^erunc pratereundo ; qua illius
^ i fuadiligenter & enodate narrao!
d °ì / P- * \*L f* ea autem ratiò in dicendo hac effe folet
ut bon. quod habeam , id ampleftar, exornem ?
Ibi commorer , ibi habitem y ibi haream : a malo aufem vii
tioque caufa ita recedam , non ut id me defugere appareat
^ur !°Xrnt ° rnand0 * a “ 8end ° d ! ffi "»“l«iwobrua:
s. «tr, ■&■;£ -sr
JK ftw* • « .«M» . .«*» rai<t» . DÌ
.^03) Ciò fì dice per dimoftrar l’arte dell’Oratore ' nini
m*n*oqn h a e . fe " e “ f ° * dan,fa altr “> Prev«l«àdofi dell»
eadunt Ò'IVd UT' i* Fi r nfieilda lt,e, n , *nerzmus éa , qua non
,u * noftro di «-‘« «»-
t
X 82 )(•
•
Molte volte ancora torna in acconcio il ribat-
tere le accufe, e le oppofmoni degli avverfarj pri-
ma di venire alla narrazione per togliere intanto
dall’, animo degli uditori ogni opinione contraria
C quello deéfi fare fpecialmente allora quando tali
accufe ed oppofizioni non dipendono dalla fpofi-
zione del fatto, ma le fono del tutto eftrinfeche.
Tullio così nella Oraz. per Milone prima rifpon-
de a ciò , che avean detto i partitanti di Clodio ,
cjoè che non debba vivere chi ha uccifo un altro
mqwìo y c dimofirato avendo, che molte volte le
fieflfejeggi ci danno l’autorità d’ammazzare un
altro impunemente , difeende poi alla narrazione
della morte a Clodio giuftamente da Milone ar-
recata .
Accade in oltre non di raro , che la narrazio-
ne in un ragionamento fi tralafcia, o perché l’ar-
gomento fieno non ce ne fomminifira alcuna ; o
perchè la caufa è breve ed a tutti nota (15).; o
perchè non cercafi della azione , ma folo fe lìafì
fatta con ragione o no; o finalmente perchè noa
torna bene il farla . In quell’ ultimo calo Ij co-
nofee il buon fenfo , ed il giudizio del Dicito-
re (16) . Devefi tralafciar la Narrazione « I. quan-
do ella nuoce. IL quando è inutile il farla . Nuo-
ce la narrazione al reo allorché egli nè può ne-
gare
Ì us i pfi tantum confai futnus: item quod a defan&is : nec
toc enim eft qui neget : itemque ab eo cui idem cxpedtec ,
is.enim non negabit . Ab adverfario quoque, quia non eli
habirurus in negando fidem «
(15) Surtt quaedam tam b r eves caufa, ut prò pofìt ione m po-
tius habeant, quam narrationem . Id accidie altquand 0 otri.
que parti , cum vel nulla ex.olìiio eli, vel de re conltat,
de )ùre quaritur . Quint. TP, a.
OO Quando utendum fu aut non fit narratione, id eft
<on(iliu Dt Orat. IT. 81.
* . - '■' %
. I «
w 4
• •
Xfc,X
v re il fattp, né può fcufarfi , oppure il tut-
to s appoggia alia fola ragione (17)} eppérò egli
d&ve lafciaria. per non aggravar la fua caufa fic-
chè poi abbia a durai- fatica per mitigare, e cal-
mar lo. /degno degli uditori . Se piuttofio allora
egli vuol raccontare , . difponga la fua narrazione
in modo /pezzato, difpergendo qua e là nelle va-
rie parti delia caufa i divedi fatti (18), foggiun-
genao fubito ad elfi la fua difefa , acciò predo al-
le ferite li applichi il lunedio il colpo tutto
m un tempo non difcend* fa gliafeoltanti (to)
La narrazione poi è inutile allorché è già fiata
efpoda dagli avverfar;, ed è già nota al giudice;
purché però fia fiata el'pofia , ed a luilìa nota in
modo a noi .favorevole, perchè in un difcorfo el-
la ha lupgo non Colo a fine d’ informar gli udito-
ri delle cole , ma d informargli a vantaggio di chi
parla (ao),;^, - ;•« .* ~v>
* 2 ■ . d-Laf»ì
0, I»
\ rv ivt»--* t. e •? • ■ ,
• < \ T w • » *.. .
'-> i y
..07) Reus t“«c narrationew fubtrahit , cum id quod obii-
«nur , ncc regari, nec excufari potei» , fed in fola juris qus-
(18) Expediet iterum expofitione* brevi interfatione di-
flinquere „ De inv, 7,
OO. Sfoderare oportebir, ne aut cum obfit narràtio , aut
cunr mhil profi* tunc uuerponatur . . . Obett , cum ipfiua rei
gefl* expofitro magnani excipit oflenfionem : quam argumen-
taado, ^ caufaof. agendo lenire. oportcbit , quod cum acci»'
dent membratim oportebit partes rei gefiar difpergere in cau-
fa t & ad -unamquamque confertim rationem accommodare
ut vulneri profilo medicamentum (it, & odium flatira defen-
fio mitiget. De Inv . 7.
C*°> NihiI prode (l narratio tunc cum ab adverfariis re ex-
pofita, no lira nihiJ intere/l iterum , aut alio modo narrare
aut cum ab iif , qui audiunt ita tenetur negotium , ut nofìra
mhif interne ^ eoa alio pafto ducere. De Inv . ivi * Nec hoc
quidem fimpliciter a*cipiendum, quod eft a me pofitum f u
pervacuam effe narrationem rei, quam jude* noverif . Quod
fic intelligi volo, fi modo fattura quod l?r, feieti fed ita fa-
i um etiam ut nobis expedit* opinabitur* Ncque enim narv
X 84 X , ...
La Narrazione finalmente per Io più è quél!#
che apre la via alle prove; epperò giova fpargere
in ella occultamente que’ principi d’ onde effe de- 1
vono derivare , fenzachè però fi oltrapaflino quél- '
le leggi di brevità, che le convengono (zi) . ' • 1
>* <
ARTICOLO IIL'
. . * * “« « f
*. »
. , Della Confermazione , ' ’
La Confermazione è quella parte dell’Orazio-
ne, in cui il dicitore argomentando dà alla fu*
caufa credito-, autorità e fermezza (i). ‘Ella è
la parte più importante, e principale di'un ra-
gionamento, conciofiiachè in effa confida il ner-
vo, e la forza dell’eloquenza, Lenza la quale
non può 1’ Oratore ottenere il Ilio fine. Difatti
come può fpcrar egli di pervadere agli afcoltanti.
quanto defidera , fe non apporta argomenti , e
prove atte, e bafievoli a convincergli ed a con-
fermare quello che fi è affunto a dimoffrare (z) ?
Due fono poi le vie, che fi poffono tenere per.
confermar una propofizione : I 5 una di addur le
Prove , • e quella dicefi propriamente la Confer-
ma-
ratio in hoc reperti cft , ut tantum cognofcat judcx , fcd ali-
quando magia ut confentiat . Quint. ivi.
(il) Ne illud quidem fuerit inutile feto ina qua»dam prò.
bationu in fpargere , rerum ut oarrationem effe memi nerimus-,
non probatiouem . Ostimi, rr. a. .
CO Confirmatio eit , per quam argumentando noftrae cau.
fa fidem , 1 & auftori tatem & firmamentum adjungit orario*
De Inv.l. , ^ ' ‘
• CO Tota fpes vincend? , ratioque perfuadendi poma eli
in confirmatione , & confutatione. Nani cum adjumenta no-
ilra expofuerimus , contrariaque diffòluerimus. , abfolute ni-
mirum munus oratori um confccerimus • M Hcrcih l, io • De
Jnv . HI »
. x 85 *'
, inazione s l’ altra di ribattere le contrarie opimo-
ni , e quella chiamali Confutazione (3) . Sebbene
J>erò quefle fiano due ftrade diverfe, per cui lì
arriva a perfuaderej pure ad un fol capo fi ri-
ducono, e tendono ad uno fieffo fine , di confer-
mare cioè 1’ affunto jepperò non vanno diftinte ,
effendo che , ai dir ai Tullio , confutando anche
le altrui , contrarie .. ragioni altro non facciamo ,
che confermar vieppiù la noffra fentenza (4). Noi
in quella luogo tratteremo e dell’ una e dell’ al-
tra in due diffinti paragrafi, confiderandole però 1
«otfle una fola ed ideila parte dell’Orazione. ■
* * “ À , e •tn > •• • . *
{ u i * y a. ' — ; « * v -
< §• . .* * *
' ».
... Delle Prove t
_ .. •• 1 . i ' • . , .
, .Ld prove confiflonp; in una efficace ed affever
tante efpofizione delle ragioni, colle quali l’ora-
tore intende di provare il fuo affunto (5). Per'
_aprirfj.il campo a queffe prove , fe il difeorft»
roaflìme non portava alcuna narrazione, egli de-
ve formare, una breve introduzione tolta da qual-
che luogo illuffre , od anche da una fimiiituainc ,
o da>up paradoffo in guifa che incominci a por-
re in certo modo le fondamenta, fu cui brama
' - F 3 , . . 1*-
li. ■ * a i Bmrn - " - -i
♦ \ \ *
—
•• 1
(b) Qua ad facìendam fidem pertinent in confirmationent a
& ri» rp pre h enfiò ne iH divldtfhtùf . Nani ut confidando n d-
ftra probare volumus, ita repreheodendo redarguere contra-
ria / Ctc. in fPorfit. ;
..00 Hapc rtptehenfie fonte inventionic eodem utettfr , qno
aiti tur con firmario : propteret quod qui bus et loci* aliquà
f*« confirrtiari poteft, irfdem potei! 9X loci* infirmar! , Di
Zini. T r ■■ y
.. Cs) Coùfirraàtip nofirorum argumntomm capofitto culti
afieveratione . Ad U ir fn. /. f<. / '
;x ss x *
lavorare tutta la fua orazione . Alterto LoHio
così parlando a Carlo V . per là refiituzione di
Francefco J. introduce nella fua caufa con quel
belliflìmo penfiero di Cicerone per Marcello , che
Ì li uomini per nuli’ altro più s’ aflomigliano a
>io che per la clemenza 3 eia roifericordia ; e
quindi fi fa firada poi a provare la fomma gloria
che ne farebbe all’ Imperatore Carlo V. ridonda-
ta dall’ efercizio di tale virtù verfo del Monarca
prigioniero » Cominciando adunque S. M. il mio
r azionamento da quella parte , che è come il fuo-
loye il fondamento di tutta quella materia , di-
co 7 che non eflendo la infinita bontà di Dio , nè
per altra via meglio , nè pili efpr eoamente , che
per la grandezza , e frequenza de' beneficj dagli
uomini conosciuta / quei Principi tanto più degli
altri alla divinità far an creduti qppreffarfi 5 quan *
to più gli altri di umanità 5 di clemènza , e di
cortefia fi . sforzano d' avanzare ec. ( 6 )*
\ Fatta l’ introduzione fi difcende alle prove. Ma
liccome prima di fcoccar il dardo è neceffario fiffar-
ne la. meta ed il fegno, perchè quello non cada
inutilmente; così nell’ addurre le pròve ci vuole
tutto il giudizio dell’ oratore per prevedere a qua-
Je fcopo abbiano a fervire , onde facciano colpo
fui cuore degli ascoltanti ; e quefió è quello che
non fi può apprender coll’arte ( 7 ). Vogliono
alcuni che le ragioni più efficaci * e convincenti
» • 1 » * * ,
00 Oltre che P introduzione deve efler breviffima , e non
già un altro efordio, come purtroppo cert’uni fanno, d’uo-
po è guardar/i ancora che non fia cavata dallo fielfo fonte,
dai quale già fi è tratto P Efordio ifteffb .
C7) Ut tela fupervacua futft nefcienti quid petar; fic ar-
gumenta nifi praevideris, cui rei adhibenda fint . Hoceft.quod
«omprchendi arte non polfit . Jivm. T. io. • .
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X 87 X
s ? abbiano a collocare da principio , e fui fine del
difeorfo, perchè nel principio 1’ uditore è ffiù at-
tento, e la fua mente meno affaticata meglio in-
tende le cofe ; e perchè tutto ciò , che dicefi in
fine, retta più altamente impfeffo.. te prove poi
xnen forti e neceffarie , dicon’ elfi , che. s’ hanno
a difporre nel mezzo , in quella guifa che i fóK
dati men coraggiofi tra 1 ’ altre fchiere' fi colloca-
no , acciocché in mezzo alla turba abbiano quel
vigore , che da per fe fteffi e feparati non avreb-
bero (8). Altri al contrario infegnano. che V ora-
zione deve Tempre crefcere nel Tuo progredii
sì che T una prova aggiunga come un pefo mag-
giore all’ ajtra , e vicendevolmente Tempre più fi
rinforzi l’argomento (9); il clttjnon v’ha dub-
bio , che potcndofi Tenza difetto praticare* è mol-
to aggradevole, e vantaggiofo . Imperciocché con-
fidente attentamente tutte le prove del fogget^
to ,* gli argomenti, da effe tratti con vien. dispor-
gli in modo, che «non fittamente aggiungano una
nuova ragione, qualunque ella fiafi , ma una tal
ragione ancora, che renda più forte il -principale
argomento, Nulladimeno però anche in quello
deve 1 ’ Oratore ufar del Tuo giudizio , e difpor
le cofe fecondo il particolar bifogoo della fua cau-
fa , concioffiachè non di rado a lui poffa tornar
F 4 van-
*
(8) In Confìrmatfoiie, & Confuratfone argumcntatiomim <Ji-
fnofitiones hujufmodi convenir habere : firmiflìinas argumenta-
tiones in primis & in poftremis caufae partibus collocare : me-
diocre? , & neque inutile? ad dicendum , nequo neceffarias ad w* •
probandum t qu* fi feparatim ac fingili* dicantur, infirmar •.
line, cum caeteris conjunftae Urtate & probabile* F.ant , fatar-
ponr & in medio eoUocari oporcet Ad Hcren . UT. 10. De ’*V 4, *
Crat. IT. 77. Quitti. V. ji. MI. 4.
( 9 ) Trapefunt. Rhtu.Lib. IP* > . 1
\
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X 88 x
vnntaggiofo il riferbar in fine una ragione meno
efficace ; quando quefta fia per effer più gradita
agii ascoltanti, tolta effendo dalle circofianze del-
U loro patria , dello fiato, d’unefempio de’ mag-
giori , d- un particolare avvenimento , ec. (io) «
Così Tullio per Àrchia ferba in fine • gli argo-
menti tolti dair.efempio di Pompeo, 'dì Siila,
di Metejlo Pio , di D./Bruto, di Fulvio, i quali
avevano, fatto gran conto de’ poeti , per convin-
cere i Romani che doveano confiderar come cit-
tadino colui , che aveva celebrato le di loro glo-
rie. Ed, Alb. Lollio per la liberazione di France-
filo I. .fopendo che Carlo V. ambiva d’ effe r cre-<
duto un altro Cefare per la, clemenza , conchiu-
de : Farò fine col dirvi /*, che ; neffuna cofa' fu di
maggior momento , nè di più forte efficacia per con -
fecrare il nome dt Giulio Cefare all' immortalità ,
e conciliare /’ Imperio ad Jìuguflo , che V avere egli
a ' Cafsj , a ’ Ligarj , Bruti , a Marcelli , ea a
molti altri donato la libertà , e confervato la vi -•
ta y e la dignità colla fua clemenza *
- §. ir,
„ . , J
r % . . 0 » ♦ ► *
Della Confutazione 4
La Confutazione è quella per cui argomen-
tando s* indebolifcono , fi ribattono, s’ annullano
le oppofizioni , e le prove contrarie degli avver-
- M : far;
»
0<0 Lib.VIT. e . io. Jnft. &bet. Semper ordinem eoffocan-
di quem volumusy tenere poffumus ? Non Tane. Nani audì-
tores moderancur Oratori prudenti, & provido ; & quod re-
fpount, immuundum eft. Cic . Partii, 1%,
X 89 X
far; (il) • Quefìa non ha luogo certo t determi-
nato in un difcorfoj perchè talvolta fi premette,
talvolta fi Dofpone.alle prove. Quintiliano infe-
gna , che V Attore dee prima confermar * la fua
propofizione , quindi confutare quanto gli fi po-
rrebbe opporre dall’ avVerfario . Il Difensore poi
deve incominciar dalla Confutazione, per togliere
dairanimo de’ Giudici o degli ascoltanti ogni pre-
venzione contraria, e difporgli ad udire con men-
te favorevole le lue ragioni. (1*^ Tullio però
col fuo efempio ci ammonirle di confiderar ben
bene e 1’ una e l’altra parte, e fedeli confutar
1’ avversario noi ritroviamo eflere 1’ orazione
piò gagliarda, e forte, dobbiamo alla confutazio-
ne interamente appoggiarci , c riferbarla ai fine
della caufa ; fé poi egli è piò facile il provare la
no/ira propofizione, che il confuta&Ie contrarie
accufe ; allora dobbiam procurare di diftogliere da
quelle la mente de’ Giudici, e degli ascoltanti,
col trasportarli- ad udire la noftra* confermazio-
ne (13) . Così effendo per lui difficile il dimoftrare
I’ innocenza di Ligario , e di Dejotaro, in quel-
le caufe egli impiega tutta la forza del fuo dire
nel rifpoadere alle accufe degli Avverfarj. Per
" Mi- '
* * * >
00 Confutàtió èi! contr&riorum locorwm dilfolutfo. Ad
tìtren. /. IJ Repreheofto e!t per quam argomentando adver-
fari or um confirmatio dilui tur , aut infirmatur, aut allevatur .
De Tnv. I, * t
00 Si agimus nortra cenfirmanda fune primum T tum qua
DObis opponuotur refutanda. Si refpondemus , prius incipien-
dum eft a refutatione. Quìnt . P. tj.
OO Summa denique hu)us generis hac eft, ut fi in refe!-
lendo adverfario firmior effe orario, quam in conHrmaadit
noftris rebus potei!, omnia in iliam conferam tela; fin no-
ftra facilius probari, quam illa redarguì poffunt , abducere
animo* a contraria defenfjonej de ad noftra conor traducere -
De Orat. ìl, 7 *.
f
X 90 x
Milone al contrario prima confuta le oppofizio*
ni , poi « tutto fi riporta a provare che : le infidie
da C-lodio erano fiate tefe, perchè in quefto egli
aveva campo ad eftenderfi , ed a grandeggiare colla
fua eloquenza , , ' •
A quattro capi generalmente fi può ridurre la
Confutazione* I. alla Riprenfione , la quale ri for-
ma col dimofirare , che 1* aflerzione dell’ avversa-
rio* è afiolutamente falfa , o non è almeno de! tut-
to vera* Tullio così nella oraz. per Rofcio Amc-
rino nega afiolutamente, che il padre da lui fia
flato uccifo : ed in quella per Dejotaro concede
che quefto Re avefle allefiito un elercito , ma ne-
ga , che fofle preparato contro di Cefare .
V IL Alla Contenzione , che fi fa col provare,
che Sebbene P avversario non abbia détto aperta-
mente il falfo, la nofira fentenza è però affai più
probabile , e miglior della fua • Così Cicerone
nella oraz, per la legge Manilia loda Q. Catulo,
ed Ortenfio , ma dimoftra ch’effì non aveano pe-
rò la ragione dal loro canto . Ed il Cafa nelle
fue orazioni per la Lega loda il penfar di quelli
che amavan la pace ; < moftra però che allora era
più opportuna la guerra . . - .
III, Alla Diffimul azione , che è quando non fi
rifponde alle accuSe direttamente , ma fi sfugge
con grazia, e fi ofeura la difficoltà col fare una
digreffione, o col porla in ridicolo. Nella CauSa
a favor di Ciuenzio Cicerone fi gloria d’ aver po-
tuto fparger tenebre fulla mente de’ giudici . In
quella a favor di Celio fa una belliflìma digreflìo-
ne deplorando la morte di Q. Metello, ed eflen-
do allo fteffo Celio fiata oppofia la famigliarità che
égli tenea conCatilina, PÒrator le ne ferve per
allontanaci] dal punto della difficoltà dimoflrando
come tanti e tanti avefle coiài potuto ingannare ♦
Nel-
?
x
_ Of*i X
Nella caufa poi per L. Murena prende a derider
re la fetta degli Stoici , di cui era P avverfario
Catone , ficchè quelli ebbe a letamare : oh cjual
Confalo ridicolo abbiamo noi mai ! e fi fciolfe il
Senato fenza dare alcuna fentenza .
IV. Alla Ritortone y la qual confitte nel ritor-
cere P argomento contro P avverfario , fervendo-
li delle fue armi i flette per ferirlo ; o col dimo-
ftrare etter lodevole ciò che egli accula come de-
litto . Cosi parlando per Ligario Tullio rivolge
1 ’ accufa contro di Tuberone : per S. Rolcio con-
tro degli accufatori ; e nella oraz. a favor di Mi-
Jone concede edere flato Godio uccilo , ma storta-
mente . Ed Alb. Lollio in favor di M. Orazio
non potendo negar la colpa dimoftra , che s’egli
uccife la Sorella è più degno di lode , che di ca-
ftigo .
Tanto nella Confermazione quanto nella Con-
futazione per ultimo devonfi aver di mira le fe-
guenti regole : I. Di non danneggiare alla noftra
caula o coll’ ingiuriare in vece di rispondere alP
Avverfario , o coll’ efaltar troppo ciò che può
movere invidia, e che merita piuttofto d’ etter di-
minuito , o coll’ elulcerare in vece di rilanar la
ferita , o col dir cole apertamente falle , e ripu-
gnanti (14)*
II. Di non confondere le ragioni , e gli argo-
menti quando Piano efficaci , ma efporli con ordi-
(14) Omnis cura mea folct in hoc verfari femptr , dicam
«nim faspius * fi poffira , ut boni aliquid efficiam dicendo; fin
id minus , ut certe ne quid mali . De Crai. IT. 75. Non tam
ut prò firn caufis, elaborare Coleo, quam ut ne quid obfim :
non quin enitendum fìt in utroque, fed tamen multo eft
turpius oratori nocuiffe videri caute, quam non profiuffe . ivi
JM. Vedi c, 5. &e.
T
X9*X
ne, e dlftirìtamente : fe non fon tàlr udirne rtioU
ti alfieme acciò abbiano congiunti quella forza
che non avrebber da foli , e fe non come fulmi-
ne *• colpivano almen come gragnuola (15) •
III. Di ufare varietà nell’ argomentare difpo-
v nendo le cofe in maniera che ne retti- occulto 1’
artificio,: e nod fia così facile intendere, dove il
dardo vada a colpire. (16) ; e veli ire di figure vi-
vaci e brillanti quegli argomenti raaffime che fon
meno convincenti , perchè ne retti in certo modo
abbagliato 1’ uditore r e non s’avvegga della di
loro inefficacia (17)4 - :
* IV. Di inferire . dalle premette chiare le confe-
renze guardandoli bene che gli argomenti non
fia noi neon eludenti* o che quelle negar fi pollano
' come fai fe (18)* # , ....... . -
V. Di non lafciar giammai le forti oppofiziom
lenza rifpofta, perchè non ferdbri o che fi appro-
vino , e fi , con cedano , b che non lappiamo farne
la difefa quali convinti elfendo delia verità #
r vr
..vi#.
» t
(15) FirtnifZrmis argumentorum fingulis inflfandum : infir.
finora congrégànda fune; quia fila per fe fonia noni opoftef
clrcumftantibus obfcarare, ut qualia firn: appareant : base im-
| « | * , • ■ • /* /> * _ m ' A ' /«
ne. Quintr tt 4 t* , -r * ' . . , . , „ > - ,
(i<0 yarietur argomentato , fié aut cognofcat atteri* qùt
audit aut defatigerur fimilirodinis fatreràce . Z>e Orat. II.
177. Variare atrtem orationem magnopere oporcebit . Nani
omnibus in rebus fimilitudo eft fatteratis mater . Id fieri po-
teri: ,• fi non fimiliter femper ingrediamur in argumentaria-
nem . De tnv . t.
(17) Qu»da*n etiam qu«e probare noti peflis figura po’ttuc
fpargenda funt . Hseret enim nonntimquam telum ifiui "«caU
^um 3 & hoc ipfo quod non appare: t eximi non potè#. QjiintS
Ò*Ò r*à. Cie. a4 Her. II. tnv. /,
\
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X 93 X
r VI. Di paflàr Tempre con grazia e sfuggir quel»
le cofe che ci fono contrarie, e difender da quel-
le Tempre a parlar pofleriormence di quanto ci è
utile , e favorevole (19) . ,
< ' ' t i • V ■
§. III. * . • . ,
Delle varie fpecie , e forme d' argomentate . *:
? Nè tutte le propofizioni meritano d* effer pro-
vate» nè tutte provar fi poflono con egual pefo*
Non fon da * provarli quelle ,< che fono sì chiare
ed evidènti, che non ammettono verna dubbio (20) 4
Quelle poi che fi hanno a dimoftrare tutte s* appog-
giano agli argomenti, i quali o ci' perfuadono ad
evidenza , o per fola fcienza , o per efptrienza ,
o per fede ^ o anche per mera; opinione , . .
-<Ci convincono ad Evidenza , quando pongon
la * cofa sì in chiaro, che non ammette piò venia
dubbio o difficoltà. Per Scienza allorché ci danno
una certezza la quale da altro non fi deduce che
da una chiara, e ficura dimoftrazione . Per Efpc-
rienza , quando la dimoftrazione è comprovata col
fatto. Per Fede allorché tutta la noftra certezza
fi appoggia alle relazioni altrui foftenute però da
fodi , e giudi fondamenti • Per fola Opinione fi*
nalmente quando con puri argomenti dialettici re*
ftiam convinti fenza che però ne fiarao , intima-
mente perfuafi . • • - / . \
* ' • - , . . \ 1
C19) IHud in univerfum praceptum fit , ut ab iis qua la*
dune, ad e a. qua profuut refugiamus. Quint. IP. x,
-•(io) Q.u* propofitio in fé quiddam contìnet perfpicuum
quod coniare inrter omnei neceffe eft , hanc velie appio,
bare & filmar e nihil aujaet . Dt ìnv . /.
X 94 1
■ Totti gli argomenti perciò o fono niceffarj , a ■
probabili (21). Neceffar; diconfj quelli, che di
ipr natura non ammettùn negazione , ed allìcme
congiunti sì l’un l’altro folle n gonfi , che non fi
pollòno piò recar in dubbio . Probabili o verofi-
mili fon quelli , che fervono a qualche prova o
dimoftrazione , ma non fomminillrano altro che
una giuda congettura , ed una ben fondata pro-
babilità . ^ •
Trovati gli argomenti , ed i luoghi dove col-
locarli 'nel aifcorfo , conviene fapergli ancor di-
fporre in quel modo piò atto a far che fiano in-
teli , ed a perfaadere. Or quello sVottiene colle
varie forme d’ argomentare. $ ofiia coll’ argomen-
tazione," la quale non è altro, che una fpiega-
zione concludente dell’argomento che.fi adduce»
Le forme principali d’ argomentare fono lei Il
Sillogi f ma y 1 ’ Entimema . l ’ Induzione , I’ Efem-
pio , il Sorite , ed il Dilemma . , ' :
, ' < • «4 •*•'*!*
. - ‘ *• « „ *
* . Del Sillogifmo ei , ».
m e, • • . N
II Sillogifmo é una forma d’ argomentare y per
cui f polle due propofizioni , neceffariamente fc
ae deduce una confeguenza * Tale è quel del Boc-
caccia G/Vr. dv nov.%* Quanto gli uomini fono più.
antichi 7 più fon gentili : I Bar onci fono piu an-
tichi , >ch? ntun altra uomo r ficchi fon più gen-
tili . Quefto è il vero Sillogifmo filosòfico * V O*
ratoré però- che non deve palefar cosi cbiaramen-
. ■ * ... » .
C *0 Argnmerrtatia videtnrr effe Inventimi ex aliqirt? gette*
r* * lem aliquan» aut probabiliter ollendens , aut neceffarìe de-
monflran*. De Tnv. I. i nel /. de Orat. Probabile inventnm
ad faciendam fidem * ‘ t ' * * 1
)
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I
te l’artificio deile fue prove, e che ha da lafciat
libero il corfo.alla eloquenza, non uia quello
metodo, nè quefla pjrecifione del fiiofofo ; ma
' cambia l’ ordine delle proporzioni : lafcia quella
che facilmente fi lottintende , $* eflende , amplifi-
ca > foggiunge a ciafcuna delle premette la fua di-
moflrazione , e cosi d’ ordinario il Sillogifmo o-
xatorio viene ad aver cinque parti ; due premef-
fe colle loro refpettive pre”“ ~ la confeguen*
/• v T T ir» • i /• / : 9 m jr •
Ione così avrebbe argomenti er ? moftrare ef-
Xere flato Clodio l’ aggreffor tiorba f[i a giu-
dicare infidiqtore , fecondo _ >0 di C afflano ,
a di cui vantaggio torna la morte dell*. ucci fo y
ma fitcome la morte di Milone era '.di gran van-'
raggio a Clodio ; dunque Clodio deve effere fiato
J' insidiatore della vita di Milone f Ecco com#
quell’ argomento da Cicerone . viene maneggiata:
Qvtonam igitur patto probari potefi , infidi as Mi -
Ioni fecijje Clodium ? Satis efi qutdem in illa
tam audaci , tam ne fari a bellua aocere , magnam
ei caufam , magnam fpem in Milonis morte prò -
* pofitam , magnar Utili tates , fuiffe * Itaque illud
Caffianum , cui bono fuerit in bis Perforiti vale at ;
& fi boni nullo emolumento impelluntur in * frau-
derà , improbi fxfe parvo . Atqui , Milone mter -
fetto , Clodius hoc affequebatur , non modo y ut
Prator ejfet , wo# *0 Confuto ^ >quo fceleris nihil
facere poffet ; fed ettam ut bis Confulibus Pr at-
tor effet , quibus fi non adjuvantibus y at conni -
ventibus certe fperajfet , fe poffe Rempublicam e -
ludere in illis fuis cogitatis furori bus , la
,m (22) . Un Filofofo razion per Mi
dK
• (
^ , * »
00 Quefto fillogifmo dimoftrato in tutte le fue parti da
alcuni è flato anche detto Epichtrtma •
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X 96 X . .
difefa di M. Orazio così avrebbe argomentato un
filofofo per dimoftrar ai Romani V obbligo grande
che loro correa di falcarlo . Quante è maggiore il
beneficio ricevuto , maggiore deve ancor ejjere la
gratitudine ; or ftccome il beneficio a voi da Ora -
zio conferito , o Romani , è immenfo ; così dunque
la yqjtra gratitudine » non » deve .rtconofcer alcun
limite o termine , nè v ha mercede che bafli a ri-
compenfarlo . Alb. Lollio così da Oratore tratta
• quello fillogifmo . Che fe fi dee effer grato verfo
tutti coloro y che ci fanno alcun beneficio , a quelli
fenza dubbio fiamo tenuti maggiormente , che lo
fanno - in tempo di bifogno opportuno . T alchè do-
vendo ì a mercede corrifpondere al merito , quanto
maggiore è il comodo , che fi riceve* tanto aee ef-
Jer la rtcompenfa piti larga • ‘ Che guiderdone y
che premio, che mercede potremo noi in fegno di
gratitudine dare ad Orazio , che confiderata la
grandezza dell' obbligo , che abbiamo con effo lui y
non ci paja piccola , e poca ? ec. Ecco un Siilo-
gifmo in un Epigramma di Marziale :
• %
* * . » * f * .
Si quando leporem mi tris mi hi Gel Ha y dicis S-
Formofus feptem , Marce , diebus eris .
Si non aerides , fi verum , lux me a , narra*
Edifii numquam , Gellia , leporem •
.D*// 1 Entimema . • *
• < V
f ' é ' * '■ * * * * *
L’ Entimema è un Sillogifmo imperfetto , nel
? |uale da una fola propofizione fi deduce la con-
eguenza 5 tacendoli V altra come. facile ad inten-
derli • Così 1* afa il Boccaccio nella Gior. Vili .
n- 9- 5* cotefiui fe ne fidava , we we fi-
dare io, quali dir voi effe:. A quello , cut fi
fida un altro y poffo dar fede ancor io.: ma dì co-
te*
■rr
/
X 97 X
tefiui altri fi fida ; dunque me ne pojfo fidare io.
Anche in quella argomentazione per 1’ artificio
oratorio fi può premettere la conseguenza,; fi pu?j
eltendere, ed 'amplificare la propofizione anteceden-
te con apporvi la fua dimoftrazione , fecondo che
richiede il biftìgtìo.' Tullio così nell’ Oraz. per
Sello Rofcio : Ergo idcirco turpis hcec culpa eft ,
quod duas rea fan&iffimas violat , amici ti am , &
fidem . Nam neque mandat quifquam fere nifi a-
mtcoj neque credit , nifi eì, q Uem fidelem patata
Perda, Jfimi efi tgrtur hommis firnul amici ti am
dijjol vere , & fall ere eum , qut l refusi non elle e ,
nifi credidifiet. Ei- Alb. Lollio agli Accademici
di Ferrara : Effondo /’ Antimaco ornato di molti
prudenza , dt fomma dottrinai efd'un giudi ciò a-
cut turno, tn cu, r, lucono tanti lodevoli cojìumi y e
rtfplendono tante belle virtà , quante forfè iidHol-
tt altri non fi troverebbono di leggieri , come po-
tremo noi dubitare eh' egli fópra oìftf al iró non
. nienti, d ejjer eletto Dittatore e capo della notiti
. Accademia ? Belli fra gli altri poi fono quegli en-
timemi , le di cui conclufioni giungono inafpetta-
te, perchè derivate da una antecedente, dalla qua-
le fembrava doverfene dedurre una totalmente con-
traria . II Cafa nella 2 . Oraz. per la Lega così
prova doverli fubito preparar la guerra , perchè
appunto 1 Imperatore in quell’anno volea ripo-
sarti; e dopo non doveri Veneziani fidarli di Car-
lo, V. appunto, perchè eflò moftrava di non aver
odio con elfi ; i quali luoghi fi fono gii altrove
riportati. Ecco un Entimema in un Epigramma
■ Si memìni , fuerant libi quatuor Aelia dentea .
fa'- t.xpun una duos tuffis & una duos .
Potes totis tuffile diebus : •
™'L fi tc . a S at tenia tuffis habet .
Gtard. Elem. T. II. G Dèli*
s . ^
X 98 X
%
» • f
Dell ’ Induzione .
. #•
L’Induzione è una forma d’argomentare, col-»
Ja quale enumerando molte cofe certe ed indubir
tate , da quelle inferiamo poi una confeguenza fa-
vorevole al noltro affunto . Tullio perciò dice ( 2 f) y
che bifogna riflettere I. che le premette fiano in^
negabili % e che la cofa che vuoili ' dimoftrare fia
in tutto Amile a quelle . II. che T induzione non
ila troppo aperta e maniferta, e che V argomento,
venga avvivato coti figure veementi . III. che fe
v’ha dubbio che 1’ avverfario neghi alcuna delle
premette, o la parità dell’induzione, fi convinca
colla dimoflrazione . Eccone un efempiq nella Q -
raz. a favor di Cor. Balbo - Si M, Craffus , ft\
Qj Metellus, fi L. Sylla , fi C. Maxius , fi Se-
natuS y fi populus Romanus jure j ceder atos homines .
rivi tate don aver unt ; & Cn . Pompe) us L • Cor-
nelium fccc(eratum jure potuti rivitate donare * * An-
che Enea pretto Virgilio così argomenta non do-,
vergli etter vietato l’entrar negli abiffi :
Si potai t manes arcejfere conjugis Orpheus
Tbreicia fretus cithara^ fidibufque canoris ;
Si fratrem Poi lux alterna morte redemit ,
Itque reditque viamtoties : quid T hefea , ma-
gnum # . -
Quid memorem Alcidftnl Et mi genus abjfo -
ve fummo . . ,
Ed Alb. Loilio parlando a Paolo III, per la.
guerra di Germania così argomenta doverli Ite-
rar
1 ' l- ■ ■■ - ^
• <
(*35. De Inv. I, 31 .
. » . . *
V
X 99’ X
rar fa vittoria, benché potente e forte forte il ne-
mico . E /fendo che non nella frotta di molti , ma
nel cuore , e fortezza di pochi la vittoria confifle .
Soflenne Agefilao con pochi compagni /’ impetuofo
a [l'alto di più di fettunta mille perfone guidate
da quel tanto terribil fulmine di guerra Epami-
nonda . Ruppe e fracafso Milziade né' campi Ma*
raton} con dieci mille foldati cento mille Perfi .
Fu con pochi firne navi la grandiffima e forti [ffìma
armata di Serfe da T emiflocle vinta . Quante vol-
te fuperò Ale/} andrò con picciole / quadre i nume -
rofi e forchi di Dario ? Quante illufìri vittorie ac -*
quifio Cefare con pochi contro molti ? Quante Sci -
pione , quante Annibaie , ec. In quefto modo leg-
gefi pretto Plutarco che anche il figlio di'Temi-
Hocle argomentava comandar egli a tutta la Gre-
cia : Quello che voglio io , vuole mia madre: quel-
la che vuole mia madre , vuole T emifiode : quello
che vuole T emiflocle vuole il popolo Atenìefe -•
quello che vuole il popolo Ateniefe lo vuol tutta la
Grecia ; dunque -io comando a tutta la Grecia •
Dell ’ E f empio ,
• ^ w ~ . *•> W f *
• * > ^
L’ Efempio non è altro che una induzione im-
perfetta concioflìachè quell* argomentazione fi for-
mi col dimoftrare il noftro attunto con un efem-
pio , il quale ci dia una conclufione favorevole o
per fomiglianza , o per.diflòmiglianza , oper op-,
porto . In quefto bifogna avvertire , che l’ efem-'
pio, fe è vero, fia.fcéltó ed autorevole, e con-
tenga tutte le circoftanze , di cui fi tratta le
quali s y hanno da efpor chiaramente, applicando-
le ancora alla cofa , che vuoili dimoftrare • Se poi
1* efempio è favolofo (benché di quelli rare volte
debba l’oratore fervirfene) anch’ egli fia in tutte le
G 2 lue
A
X 100 X
ftre parti atto al bifogno , e teffuto fecondo le leg-
gi della favola. Cicerone coll’ efem pio dimoftra ef-
tèrgi i lecito condannar a morte Catilina : An ve-
ro vir ampli (fimus P. Scipio P. M. Ti Aeri um Grac-
cbum meaiocriter labefattantem fiatum Reip.priva-
tus inter fecit ; Catilinam vero orbem terra cade y
atque incendii s vajlare cupientem nos Confules per -
. feremus P E nell’ Orazione per Archia , dall’ effe-
re (lato un tempo fatto cittadino Ennio, prova do-
verfi far lo (letto d’ Archia : Ergo illum , qui hcec
fecerat , Rudium hominem , majores nofìri in ci-
vitatem receperunt y nos hunc Heraclienfem , mul-
' tis civitatibus expetitum , in hac autem legibu?
confiitutum de nofira civitate ejiciemus ? E Cato-
ne pretto Salluftio nella Congiura di Catilina: A-'
pud majores nofiros Aulus Manlius T or quatus bel-
lo Gallico filium futim quod is contra imperium in
hoflem pugnaverat , necari juJJit j atque ille egre-
gi us aaolefcens immoderata fortitudinis morte pce-
nas dedit y vos de crudeli (fimis parricidis quid Jìa-
tuatis y cunttamini P Ed Alb. Loffio agli Accade-
mici di Ferrara: Ma per cagione di brevità dirò
foto che dove è maggiore il pentimento , quivi fili -
mar fi dee che jia più grave il fallo . Or non Zap-
piamo noi , che Caton Cen forino lucidiffimo Spec-
chio della prudenza Romana venuto a morte , di niu-
va altra cofa tanto acerbamente con gli amici fi
dolfe , guanto di aver talora trafcurat amente in o-
zio pajjato qualche giorno P
t
%
« t
Del S ori te .
In quella argomentazione . da una premetta fi
deducono molte confeguenze, le quali come una*
catena 1* una dall* altra dipendono , fenzachè pe-
rò vi fi aggiungane prove. Il Sorite viene ia
ufo
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X tot X
tifo fpeciàlmefrèe nell’ epilogo , dove fi riafium^
no in breve tutti gli addotti argomenti , e fi di-
feende gradatamente a quel punto che fu come 1$
lfleta , e lo feopo della noftra Orazione. Così
Tullio nel V. delle Tufculane conchiude effer be-
ne folo ciò che è onefto . Quod bonum fit , id ex*
petendum : quod expetendum , id certe approban -
dum : quod approbandum s id certe gratum , acce -
ptumque habendum : ergo ettam dignitas ei tribuen-
da efi : bonum igitur omne laudàbile : ex quo effi-
gi tur j ut quod fit honefium , id fit folurh bonum .
E Claudio Tolomei nella fua Orazione contro di
Leone feg reta rio così argomenta’ : E vero , che tu
abbi divolgatì i fecreti mifieri della virtù o no ?
- Non rifponde , perchè negar noi può , t eonfeJfar noi
dorrebbe . Certo' debbe efler vera* Còme fe dir va*
Ielle: Cofiui non rifpondé ; dunque negare noi può e
dunque noi v&rfebbe confeffare : dunque è vero f
che ha divulgato i fegrett della virtù .• Il Sorite
e la Induzione foftanzialmentc non hanno fra -di
loro' molta diverfità ; quindi l’uno cón T altro tal-
volta fi confondono.- Tullio però' ci avvifa,oel IL
delle Tufculane che il Sorite propriamente" è. pi h
' atto pel filofofo ch$ per V Oratore , portando di
necefiità tin dire concilo e vibrato men convene-
vole a (piegar rutta la forza dell 5 eloquenza neoeC*
faria mamme nella perorazione * - • .
,V ; *■ \ l W ,
«• * * ‘ ' w •
Del Dilemma 4 • * » •
Il Dilemma è uri* argomentazione detta cornuta ,
perchè polle due propofizioni tra di loro contra-
rie , qualunque di effe dail’ T avverfario fi neghi ,
Tempre f« ne deduce una confeguenza favorévole .
Ecco, come Tullio confonde Antonio 1 nella Fi-
lipp. 2 . Irrterfeiìores Cafans vel funi patria l i he-
I
x ite y
raferes , vet parricida : fi patria liberatore* ^ fitti -
te arguor a te Jocium . eorum fuiffe : fi parricida 3
male a te honoris caufa nominantur . VeU fluite /-
gì tur a te teprehendor y vel male il li honoris cau-
fa nominantur . Anche Demetrio predò Livio co*
sì fi purga col padre dali’accufa del fratello Perr
feo: Explica ut rum aperte y an clam te aggreffuri
fuerimus f Si aperte , cur non omnes ferrum ha-
burnus ; cur nemo prater eos qui tuum f peculato-
rem pulfarunt ? Si clam , quis ordo confiti fuit ?
Quatuor te fopitum aggr e derentur ? Quomodo tru-
cidato te ^ ipfievaf uri fuerint ? Quatuor gl adii*
domus tua capi & expugnari potuit ? Così Cato-
ne predò Saliuflio prova contro V opinion di Ce-
lare efler da condannarli a 'morte i complici di
Cantina -r „ Vanum confilium Csefaris eft fi perir
culum ex illis metuit : Sin in tanto omnium me- *
tu folus ‘non timet , eo magis refert me mihi ac-
que vobis timere “ . Anche il Cafa nella Oraz.1*
per la Lega ufa del Dilemma . in quello modo t
Conciofiachè le paci dell * Impera dorè fieno fiotto i
r vefilimenti armate , e de mani abbiano adunche y e
P unghie pungenti e fanguinofe y e che le fue ami-
cizie non preghino y ma comandino • anzi sforzino y
riè con lui poffa alcuno avere infieme concordia e
libertà ; di neceffità conviene , che Voi de * due par-
titi V unó abbracciate y cioè , che voi eleggiate d y
e fere o nemici , o fi oggetti alV Impera dorè y e deli-
beriate quale voi amiate meglio o la guerra , o la
fervitù . E Marziale contro Cinna argomenta con
un Dilemma’ cW ci non è uomo civile :
. . . •
Primtfm efiì , ut prafles y fi quid te , Cinna ,
rogabo y
Illud deinde fequens y ut cito r Cinna y ne-
' -gts. \
— ' * • - • . »
Z>r-
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X «Oi X
Sed tu nèc prxflas , cito y Cinna , tff-
/ew , ,
/ew , ,
»> .
ARTICOLO IV.
« Della Perorazione .
T w .
jLi a /Perorazione in
in genere è queir artificiofo
modo di finire e conchiudere un ragionamento j
per cui con brevità fi ripete ed epiloga quanto già
fi è detto , e fi movono giuda il bifogno anche
gli affetti (i) . Due però fono le parti della vera
Perorazione , r L 5 Enumerazione o Epilogo ± e P
Amplificazione (2) . *
' » •L’Enumerazione è quella; per cui il Dicitore
raccoglie brevemente tutte le ragioni difperfe , e ♦
addotte «nella caufa comein un foL punto’, affine
di rinovarne agli uditori la memoria, e d’ impri-
merle nell’ animo loro (3). Nel . far quedo egli
. deve . offervar le feguentf regole. ì. Sceglierà dal-
le prove foltanto quelle cofe. che erano le più efc
ficaci , ' e lafcierà tutte le altre . II. Le efporrà
brevemente e di fuga, non già ripetendo una nuo-
va orazione (4) .IH. tiferà nella efprefiìóne qual-
(ì) Concitino eft artificiofus terminus oràtionfs . AdHeren.
1. 3 . De Inv. 1. V w / u'
CO Peroratio eft divifa in duas'^artes , amplificationem .
Se enumerattònem . Orai: Partii. Oic. •*« -
C 3) Enumerano eft , per quam rea difpetCè , & diffufe di-
ftas unum in locum coguntur , & reminifeendi cauta un urti
fub afpeftum fubjiciuntur . De Inv . 7.
CO Coiflmuné autem praeceptum hoc datur ad enumeratfo-
uem, ut ex unaquaque argumentatione , quonium tota i*e-
G 4 . che
rum
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- ' X 104 X
. che varietà per non attediare colle fteffe cantilene*
IV. Finalmente fi concilierà di nuovo l’attenzio- "
ne degli uditori, maffirae colla eleganza dello Iti-
le, affinchè fiano più atti a ricevere il movimento
degli affetti .
Si guardi inoltre T Oratore nell’ Epilogo . dal
inoltrare una certa ofientazione di memoria la qual
i’arebbe cofa puerile (5) \ epperò fe la caufa è bre-
ve , e chiara nel Tuo ordine, farà meglio, ch’egli
lafci di. formar P enumerazione , che correr peri-
glio di attediare gli afcoltanti. con inutili parole .
Ècco come brevemente Cicerone epiloga tutto ciò
che diffe in difefa di Archia: Quare confervatej u-
dices hominem pudore eo quem ami cor um fludiis vi -
detis comprobari , tum dignità te , tum etiam venur*
fiate ; ingenio autem tanto , quanto id convenit e-
xijìimare : caufa ver o-hujuj modi , qux benefìcio le-
■v gis , au&oritate municipi i , teftimonio JLuculli tabu*
ìis Metelli comprobetur . Ed Alb. Lollio a Pao
Io III. nell’ orazione per la guerra di Germania :
Senza efprimere il nome di Paolo Terzo bafli di* •
re, quel Pontefice , che ha la ^Germania da lunga
e pericolof a infermità ri fanata . . dagli errori pur*
gata , dalle f alfe opinioni diflolta , dalla dura ti-
rannide liberata , e finalmente all' obbedienza dell 9
Impero e devozion della Ghiefa ridotta • * \ r "
rum dici non poteft , id eligàtur, quod crìt graviflìmum , &
unumquodque quam brevifiìme tranfeatti*v a* memoria ti'on
orario renovata videatur. De Inv. I Qua? reperemus quant
breviffime drtenda funt , & quod greco verbo pater , decur-
rendum per capita . Nam fi morabimur non jam enumeriti
fio ^ fed altera quafi fiet Orario. Qui ni . VI. ». Ad Heren^
IT - 31 * . . ,
.(5) Ent in enumeratione vitandum, ne oftentatio memo-
riae fufcepra , videatur effe pueritis . CU. Orat. Patt. c. 15.
Vojf. L. ìli. c. 9. Rhet.
i
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X IÒ5.X
• ì.* Àfrtplificaiionc, oflia la Wfll Péròràtióne è
la parte più difficile di un difcorfo ; epperò fi tro-
vano molti oratori , che dopo d’ aver ottimamen-
te trattate tutte le altre , mancano in quella , per-
ché ella confitte nel movimento degli affetti , dal
che dipende la fomma lode dell’ eloquenza , ed il
buon efito della caufa(6) > Per ottener quello più
facilmente , fecondo che infegna Ariftotile (7) ,
tre cofe devonfi prettare dall’ oratóre : I. Difporre
gli afcoltanti a fentir bene di fe e della fila caufa,
e male deir avversario . IL Ingrandire- ed amplifi-
care , oppure diminuire, giufta il bifógnof* 'la co-
fa , fopra di cui cade la queftioné. III. -Movere
€ dettar quell’affetto che torna più opportuno per
ottenere il trionfo e la vittoria • Ora per difpor-
re gli uditori a fentir bene della caufa, egli deri-
verà il tutto dai fonti dell’ onefto , del giufto ,
dell’ utile pubblico , ed avrà i dovuti riguardi al
luogo, al tempo, alle perfone per cui, a cui, ^
corttro di cui parla , fempre dimoftrandofi amante
del vero * Per ingrandire 0 diminuire la cofa e-
gli fi figurerà di parlare per fuo proprio interef-
fe, procurerà di prefentarfela al vivo e nel fuo
più efficace afpetto alla mente, ed uferà uno ttile
più magnifico e forte > A fine poi di movere gli
affetti egli fi riferberà nella perorazione i tratti
più Vivi ed efficaci , le immagini più penetran-
ti (8) , e fi sforzerà in ogni modo di deftare in fe
ftef-t
i « • » *
■ »
■
Ma
00 Peroratio & alia quidam habet , & maxime amplifica*
tiooem , cujusefieftus is debet effe , ut aut perturbentur animi,
aut tranquilientur; 8s fi ita jam affetti ante fune , bt augeac
eorum motus , aut. fedet orario . Cic. in TopÌc %
(7) Lib. XXL e, 19. Rhetor.
W
£a qu* exctllunc ferventfcr ad peroundum : fi qua
«rune
\
. X io6 x
fletto prima ^uel movimento. che vorrà negli altri
eccitare (9) , 4
té ^ t/y* _ . •
^ _ ... ^ V 1 f J
Degli affetti parleremo Angolarmente nella Par-
te II. Qui badi V avvertire 9 che effendo altri vee-
menti , altri più miti , non in tutte le caufe di
loro devefi ufare indifiintamente „ Se la caufa è
di picciol rilievo bifogna ricorrere ai. fecondi : a-
gii altri poi fé ella fo/Te di grande importanza,!
come fe p. e. fi trattale delP onore , della vita,
della ; libertà , o della Religione , E come quelli
affetti nafcono da uno ftraordinario e forzato mo-
vimento dell’ animo , così quello non potendoli
lungo tempo .mantenere in . uno . fiato violento ,
f >refio cede, e ritorna alla fua primiera tranquil-
li eppero conviene che l’amplificazione fia bre-
ve, concioflìachè , dice Tullio., njuna cofa più
{ >refto inaridita delle lagrime (io)./ Tuttoché poi
a Perorazióne folle fiata veemente e gagliarda,
allorché al Tuo termine fi avvicina deve a poco &
poco* maeftofamente cedere così che venga a fini-
re con gravità , ma con un tuono più umile e pla-
cato; a guifa appunto di una nave, che fpinta
velocemente dai venti , nell’ entrar in porto ral-
lenta j>erò alquanto il fuo corfo , e con ifiupore
di tutti i circoftanti placidamente al lido fi avvi-
cina. .. ,t . t , - . j ■'
• m
m
• * i
ernnt mediocrìa C nam vitiofis nufquam effe oportet Iocum )
10 mediani turbam atque in gregeio conjiciantur • De Orar,
//. 77 .
C9) Cosi infegna Orazio nell» Arte Poet. Ti vis me fiere ,
dolendum tjì primum ipfi t ibi ; rune tua me infortuni a /£•
dent -
Ciò) Commiferationem brevem effe oportet . Nibll e nini
lacryraa citius arefeit. fià Heren . IT. 31. quello che fi dice
della pietà s’intende di tutti gli altri affetti ancora , perchè
11 precetto di Tullio è generale ,
j
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X *07 X
M. Tullio ficcome è grande in tutto, cosi é im-
pareggiabile , e divino nelle perorazioni . Lungo
larebbe V addurne quivi gli efempj ; epperò veg-
gafi il fine fpecialmente della Miloniana , della o-
razion per Ligario , di quella per De jota ro, e d*
altre fimili difefe , dove fi troveranno tutti gli af-
fetti maneggiati nella maniera la piu efficace, che
mai immaginare fi pofla . Tra le più volte citate
orazioni de’ nofiri Italiani poi belli/fime fono le
J perorazioni di Monfig. della Cafa nella oraz. per
a rellit. di Piacenza; quella d’ Alb. Lollio in di-
fefa di M. Orazio , e di Furio Crefino ; quella di
Claudio Tolomei in difefa di Leone , e molt’ al-
tre ancora di diverfo genere, nelle quali feppero
efiì giulla il bifogno amplificar le cole , ed ecci-
tar que’ movimenti , per cui 1’ eloquenza foltan-
to può riportare un pieno e compiuto trionfo fui
cuore degli uditori. v* r \
capo m.
». ' # Q
. . '*
Della Memoria
L’ altre parti della Rettorica fin qui efpofte fer-
vono a teffere V orazione ; lé due che feguono
piuttofio a formar V Oratore, perchè fono propria-
mente neceflarie a chi vuol perorare le caule. La
memoria pertanto non è altro che una ferma per-
cezione che ha P animo delle materie, delle paro-
le, e della difpòfizione di un difcorfo (i). Qae-
liz è utile non folo ma neceffariffilrnà all’ Orato-
• * # •
CO Memoria «fi firma animi rerum , ac verborum Se di-
rpofitionis ad inventionem perceptio. De Inv . L ed ticreo.
a. T , . . » »'
X 108 x
fe , acciocché egir-poffa recitar fenza ithpedimen-'
to e pretto la Tua orazione : perchè bene pronun-
ci , e con franchezza agifca 5 . e fe la necettìtà il
porta , poffa anche dire improvvifamente (2) .
La memoria fi può conlìderare irt due afpctti , e
come un dono avuto dalia natura , e come acqui-
fera coll’ arte (3) • La memoria naturale è quella
facoltà dell’ animo, per. cui ci ricordiamo del-
le cofé avvenute , o lette , e quetta coltivandoli
va fempre crefcendo , e fi rende più pronta e per-
fetta (47. La memoria artificiale è quell’ artificio 1 -
fa facoltà , per cui ci ricordiamo di molte cotte a
cagione di var; fegni , de’ luoghi , dei. tempi > ec.
D’ amendue parleremo diftinta mence »
a ' » • *
Se fa Natura affatto' ci ha fproweduti del bel
dono di memoria , alIora non fi pub forfè in ve-
runa maniera acquiftare ;■ ma fe. ella in quello ci
fii propizia , benché di poca ne abbia dotati , pof- • j
«amo accrefcerla e confervarla colla temperanza
dfel vitto , col raccogli menta delio fpirito e. della
perfora, e matti me col continuo ettercizio (5). L’
4
Della Memoria naturale.
O-
ft arti» prsctptife
fine
X *09 X
Oratore pertanto affine di perfetto renderli anche
in quefta parte, e di confeguire una sì importan- .
te facoltà , offerverà le fegucnti regole .
I. Si eferciti di continuo coll’ apprendere cofe
le pih ottime, perchè quelle piacendo affai di pili ,
facilmente s’ imprimono nella mente ».
II. Ne filli prima l’ordine, la difpofizione, la
divifione delle parti : ne confideri gli argomenti;,
e non impari periodo per periodo , ma Icorra dal
f rincipio fino al fine, fe l’ orazione è breve; fe
lunga parte per parte , acciocché non. corra pe-
riglio di perderli, e confonderli nella moltitudine.
del pezzi apprefi {6) . . - -, ;
III. Scriva la cofa dtv, proprio pugno , e non.
cambi nell’ imparar lo ferino , perchè certi fegni,
e le cancellature offervàte nel leggere molte vol-
te giovano a far rifovvenir le cofe, ed i paffag- .
^ | • * *• 4 * '
IV. Impari a ftomaco digiuno, o almeno non '
Cubito dopo il cibo ; e fpqcialmente in fui matei-
; no , -
fi n e fumma affiduitate exercitatioms , tum vero in tmuitu.
ntit minimum valet dottrinarmi! induftria , Audio, labore ,
diligentia , comprobetur. Ad Heren. in fin. Si quis tameu
imam , maximamque a me artem memori» qu»rat , e xe rei-
etto eli, & laiior . Multa edifeere, multa cogitare, & fi
fieri potefl quotidie, potentiflìmuni eft . Nihil *que vel au-
cetur cura, vel negligenti» intercidit. Quint. XI. 2.
*v
•il t
cura, vci m j.
in his qu* fcripGmus complettendis multum valent di-
ifio <
i u ina *^**r M “* ,B " a
& compofitio. Nam qui rette diviferit , nunouam pare-
m in rerum ordine errare.... Si longior compiettenda me-
moria fuerit Oratio , proderit per partes edifeere ; Se h*c .
pjftes non fint perexigu», alioqui mmis multa erunt , & eam
diftinguent, & concident. Quint* XI. i. . • . .
lllud neminem non juvabit iifdem , quibug fcripferit
ceris edifeere . . . Jam vero fi litura aut adjcttio aliqua aut
mutatio mterveniat, figna funt quxdam , qua intuente» erra-
re non poflgmus • Qui*** ivi % _ .
*
* ^
r
!
!
J
’^r
X no X'
no , ■ quando la mente non -è dillratta , e pel ri**
pofo della notte é più placida e raccolta (8).
V. Nell’ apprendere palleggi,: o almeno llia- rit«.
to in piedi , e non legga con voce troppo eleva-
ta , né fi agiti, fuor di modo per non flordirfì :
ripeta poi le cofe apparate frequentemente feco
fleffo' fra il filenzio , e roaflune prima di prender
fbnno alla notte (9) . . \
VI. Se per ultimo il tempo è breve, eia me-,
moria non può efartamente e con minutezza fer-
vire, allora non fi obblighi ad imparar le paro-,
le, ma bensì i fentimenti, acciocché sfuggendogli
dalia mente un vocabolo egli non fiacoilretto ti-,
tubare, confonderli , e tacere (io) * ,
Della Memoria Artificiale . , f
♦ * * % a V
* » l '
I / » ■
- Potendo molte volte accadere , che {e cofe ap-
prefein privato per la divertirà della (cena o del-
1’ apparato che ci fi prefenta allo lguardo , in pub-
blico ci sfuggano dalla mente, è Itaro ritrovata
un
# / . • *■ * « * 1
» — > .. ■■ 1- . 1. •
. > 1 - -
( 8 } Ilfud edifcendo : , fcribendoque commune eli, utrique
pluri'mum conferre bonam valetudine^ , digeflum cibusn t
animum cogl tati ani bus aliis iiberum . Ivi .
( 9 ) Vox fri modica, & roagis murmur . . . Candì funt cer-
ti quidam termini ut contestura verbormn continuec ere-,
bra meditalo , partes deinceps ipfas repetitus ordo conjua-
gat. Tyi * . n
(to> Exercenda eft memoria edifeendis ad verbmti quanr-
plurimis 8 c uoftris fcri.ptis,& alienis . De Orar . I. 34. Si ve^
ro auc memoria natura duriorerit* aut non fu agalli tur tem* 4
pus, etiam inutile ertt ad omnia fé veiba. alligare 9 cum
obiivio uni us eorum co/uslibet % auc deformem b»mationem ^
aut etiam filentium inducat. Quint, XI* a. ,
%
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*
*
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X ni X
un artificio pef cui V Oratore pub foccorrere f
e confermare la fuà memoria, la quale allora* di-
cefi Artificiale. Cicerone medefimo non la difap-
prova , anzi gli piace , che dal Dicitore fi metta
in pratica affinchè nel dire egli pofla effer pih fran-
co e ficuro (ri). Quella memoria artificiale con-
fitte neL portarci in quel fito , dove abbiamo a
trattare la caufa^ed ivi confiderare, e fiffar nck
hi mente con ordine alcuni luoghi , ed alcune im-
magini , che fiano; poi capaci di farci rifovvenire
de’ principali punti della caufa ifteffa (12) * Impe-
rocché offerva lo IleflTo Tullio, che la memoria è
fomigliante ad uno fcritto , il quale ficcome co
fide nella carta fu cui formanlì le parole , e nel-
le lettere efpreflfe ; così la mente confiderà il luo-
go come una carta) eie immagini. in elio collo-
cate come altrettante lettere , nelle quali legge in
certa maniera quanto ella vuole egualmente come
in uno fcritto (13). ‘
Per ottener quefto però è neceffario: I. Che i
luoghi ) in cui noi vogliam fiffar la noftra mente
fiano vari*, e fra* di loro diftinti , ed anche itlu-»
ftri licchè torto fi portano prefentar allo fguardo ,
■ - ■ " , 1 ■ " -■ ' i .
, ^ * / * • *•
(11) In ea etercitatìone non mihi difplicet adhibere, fi
cénfueris, etiam ipfam locorum, fìmulacrorumque rationem,
quae in arre traditur. De Orat. I. 34. Simonide i.l poeta fu
Il primo che ritrovò quell’ arte delia memoria per un av-
venimento che da Cicerone fi racconta nel Ih deli’ Orar,
cap. 86. , ^
£12) Conflat igi tur artificiofa memoria ex tocìs & imagi ni-
bus. Ad Heren. ÌTT. 16.
Gà) Memoria- eli gemma lirteratura quodammodet, & ijf
diflìmili genere perfìnìilis. Natn ut illa conflat ex notis H-
terarum, & ex eo in quo imprimuntur il la nota? : tic con-
ferì io memoria? tanquam cera locis utirur, in his imagi,
nes ut Ultra* col locar. Qrat* Partii* • *
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»<'
X tn X
c ferirne la fantafia (14) , II. Chele immagini an-
eh’ effe fiano vivaci , nè di cofe troppo comuni , ac-
ciocché poffano commovere l’animo; ed in oltre
che abbiano qualche almen rimota relazione colla
cofa , di cui devono farci, rifovvenire (15) . w
Se P Oratore p. e. ha da parlare, in un . Tem-
pio , può diftribuirlo in altrettante parti , quante
fon quelle del fuo ragionamento . Quindi nell 5 a -
trio li prefigga PEfordio : neli’.ingreffo la narra-
zione: nelle varie cappelle il numero degli argo-
menti per la confermazione : nel Santuario per
ultimo la fua Perorazione . Stabiliti i divertì luo-
ghi , in effì confederi poi , o . faccia egli collocare
a bella porta alcune immagini , .0 /imboli , o let-
tere, le quali facilmente poffano rammentargli .ciò
che aefidera di dire, e così presentandoli quelle
ordinatamente al di lui Sguardo, noa correrà .pe-.
riglio di errare (1 6). . v : # ; u
Perchè poi ufati anche tutti.querti mezzi lame-
moria non tradifea l’Oratore, egli nè deve trop-
po fidarli di *effa , nè troppo temere . V ardire fa
.che egli fia dirtratto, fvaghi colle idee , e contem-
{ jli altri oggetti fuor di quelli che ha da aver pre-
ènti epperò facilmente .fi pèrda. La temalo
confonde , gli otfufca la memoria , e fa che ad un
minimo accidente lì perda di coraggio , ed am-
‘ mu-
Ci 4) Locis eli utendum multis, illuftribus, explicatis ma-
dicis intervallis : imaginibus aliquid agentibus, a^ribus, in.-
tignitis , qua? occurrere , celeriterque percurrere aninium pof-
fint .Qui tn.Xl. i.
(15) Décet natura fe vulgari & utitata re non exfufcitarj :
S ovitate vero, & intigni qupdam negotio comraoveri . . Ai
ter eh. ITT. il. » . .
OO Rerum memoria propria eft Orataris ; cum fingulis
perfouis bene pofitis notare pofTiimus, ut fententias imagi»
nibtts, ordinem locis comprehendamus . Ù e Orai* U % 68.
I
r
X ii? x
^ *
• mutolifca . Perciò deve egli non alterarli, o con-
► turbarli , fe alcuna cola di finilfro mai gli avvie-
nile: deve ftar raccolto e colla mente, e cogli oc-
chi j e far in modo che in quel luògo , dove egli
ha a perorare, il lume nè troppo vivo, nè fuor'
di modo fia tenebrofo , perchè tutto quello gli
può generar confufione .
CAPO IV.
<« ' « *
. Della Pronunci azione • . „
J-sa Pronunciazione è una parte importaqtiffi-
ma , anzi la principale , ‘ e la prima dote , che
deve aver un Oratore, perchè r fenza di erta i fen-
timenti tutto che eleganti riefeon languidi , e non
fanno veruna impreffione . A lei tocca di fare ,
che quelli penetrino V animo degli uditori, Io
movano , lo vincano , e che V Oratore raflembri
tale , quale defidera (0. Quella confitte in un ag-
gradevole governo che fi fa della voce, del ge-
ito , e del volto fecondo la dignità delle parole e
delle cofe, che fi efprimoao ( 2 ).
- Non .
/
CO Earum rerum omnium , ut ardificiorum memoria eft
quali fundamenrum ; lumen a&io. De opt. gen. orar. Demo,
ilhenem ferunt ei qui quaefiffet quid primum eflet in dicen-
do, aftionem: quid fecundum, idem, & idem tertium re-
fpondifle . Nuli» res magis penetra: in animos, eofque fin-
git, format, fleftit, talefque oratores videri facit , quaks
ipfi fe videri volunt . Csc. in Brut. Affe&us omnes iaguefeant -
neceffe eft, nifi voce, vultu, totius prope habitu corporis
inardefeant . Qttint. XT, 3 .
CO Pronunciano eft ex rerum & verborum dignitate vocis
Jk corporis moderatio. De Invent .7. Pronunciano eft vocis,
vultns, geftus moderatio cum venuftate . Ad Heren . 7. 2 .
III. li. V, De Orat . 7. 15 . Eft aftio quafi corporis quidam
eloquenza, cum conftet e wee atque mota. Orat.
Giar4. Eltm. T. II. H
X ”4 X
Non v’ ha dubbio che in queftò pute^ fi richio-
• • r Z' • v /* * ** ■ f i •
v Ul JL Ullivy } VU V UlViiV# uu j-'ililiu VMVUWVT Ulivi WV14
nella ' pronunciazione , collo Iludio. fi reiero poi
sì perfetti oratori, ci fa comprendere, che l’arte
anche in effa ha una gran parte, e che può cor-
reggere ogni mancamento della natura* Tutta la
Pronunciazione adunque alla .Voce > al Volto , ed
al Geflo riducendofi , offa all’ Azione > di tutte tre
quelle cofe parleremo dilìintamentc •
§. I.
* ' ♦
, . Della Voce •
; * * »
4 «r
0
4 • * , ' . *
Confile la voce irì fina chiara ed atta pronun*
ciazione delle parole fatta ne 5 varj tuoni or gra-
vi , or veementi , or placidi, fecondo che richie-
dono le perfone , il luogo , la materia di cui fi
parla . Per ottener quello dovrà l’ Oratore
I, Efaminar la propria voce , e s’ ella foffe a*
fpra di natura , troppo acuta , o diffamante pro-
curar d’ emendarla* e come leggiam di Detnofte*
ne ufar ogni Sodio per renderla più eh’ è poli-
ti le pi^hevoIé i'Toave; e grata (g). ' '
IL Pro/er ir le parole fenza affettazione e con
chiarezza , ‘ nè compitando ad una ad una le fil-
iate y nè ingoiandone alcuna , ma il tutto efpri-
ì. men* •
» \ 9 -V. - • •
" ,, M ” - 1 — *— ,
. . ^ * • * '
• fi) t» primis vitia , fi qua funt oris «mendet : or expref*
fa finr verb» , ut fuis qti&que litfre fonis emincientur s ne
Tyllfebar intcresdam , ut par fibi tornò dt* Suine.
** M I# « i ^ * » * /
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XlfS X
inendo difiintataente , e con certa facilità natu-
rale (4). .'•>
• III. Sodener il periodo fino al fine, e fecon-
dar col diverfo tuono di vocé la varietà de’ fen-
timenti , fenza cader in languidezza o in nna me-
tile declamazióne (5) . ' ’ • »
- 'IV. Evitar turtele cantilene , variando piit
-fpeiTo che fia potfibile la voce' ifiefia per non at-
tediate gli afcoltanti (6) i . .
’’ . V. Non eflfer troppo veloce , nè troppo lento
nel pronunciar- le eofe per non toglier il fenìo
alle parole nè la forza agli affetti .
VI, Dimoftrare un -certo rifpetto per il pub-
blico , che il renda timido in fui principio , e
far in modo che la voce a poco a poco vada cre-
feendo fecondo il bifogno j il che gioverà moltif-
fimo anche per non stancare ed indebolire di trop-
po il petto Ì 7 ) + - •
'•* Hi .01,.
mém
• *
* ■ è
(4) Dilucida erit pronnnoiatìo fi verbà tota exegerit, quo-
rum pars deyorari, pars defiitui folce, pleiifque extremas
fyllabas non proferentiòus , dum priorum fono induJgent *
Ut eft autetn neceffaria verborum explanatio , itaomnes com-
putare & velut enumerare literas moleftum & odiofum eft.
Qjtint. XI. 3 .
(5) Apta eft vor quac iis , de quibus dicimus accommoda-
tur ; quod quidem maxima ex parte prseltant ipfi , mutus *-
nimorum , fonatque vox ut feritur. Quint. ivi.
( 6 ) Ad aftionis ufum atque laudem, maximam fine dubio
partem vox obtinet . . . ad vocem obtinendam ni hi 1 ' eft uti-
iius quam crebra mutatio^ ni hi i perniciofius quarti efftifa fine
intermiffìone contentio. De Orat. III. do. Volet igirur ille
qiji eloquenti principatum petet & contenta voce atrociter
dicere, & fubmilfa ieviter, Jfc inclinata videri gravis , & in-
flexa miferabilis . Cit. Orat. * i
(7) A principio clamare àgrefte quidem eft . De Orat. Uh
Quid infuavius quam clamor in exordio caute ? Ad Her .
IJI 12. Qui oprime dicunt, quique fd facillime atque orna-
tole falere pofliint . t*mcn nifi timide ad dUeadum acce*
dunt.
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: Del Volta 0
•T r •* . . * : ‘ # , \ . ■*
Tutti i gagliardi movimenti deli’ animo nati**
Talmente fi manifettano in noi per via della vo-
ce , o del getto * . ma molto piìl per via del vol-
to , fui quale dai diverfi colori 1 e cambiamenti lì
dipingono in certo modo i più reconditi fenfi deli*
animo (8), Il volto pertanto, ha una grande effi-
cacia nella efpreffion delle: cofe, fe P Oratore ,
malfime coll’ aggirar degli occhj , fa a tempo ac-
compagnar ciò che dice , ; e dinotare in ;fe i; di-
verti affetti (9) . Dovrà egli dunque fludiarfi *v
I. Di (ottenere in volto una cercaria di deco-
ro , e di gravità , per cui imponga , -feoza ch«
però egli poffa tacciarfi di fuperbia , o di ardi-
re (io). ^ * *
II. D J efporre le cofe liete con volto giocon-
do
diuit , & in ordienda otattone perturbante , pene imprudetu
tes videntur . De Orat»III»i 6 . Quello timore Tullio confef»
fa di provarlo nel principio maffime nelle orazioni per Mi-
Ione, per Dejotaro, e Ugario . .
w* £8) Omms motus animi ftium quemdam a natura habet
vultum & fonum & geltum . De Orai, IH. 58. Oculi, fu-
percilia, frons, vultus denique totus fermo quidam tacitus
mentis eft. Cont. Pifon.
(9) Vultus vero, .qui fecundum vocem plurimum poteft*
q u an t am after t tum dignitatem , r tum venuftatem , in quo
cutn eft'eceris, ne quid ineptum aut voluptuofum fit' , tum
oculorum eft qu sedam magna tnoderatio. Nara ut imago eft
animi vultus, tic indices oculi, quorum & hilaritat/s & vi-
qftfim trilliti* modum res ipfae, de quibus agetur , tempera-
✓bunt. Orai, ,
Cio> PraEcipuum in anione, (icut in corpqre ipfo caput
eft, cum ad ìllum , de quo dixi decorem, tam.etiam ad 1U
gaificationem decoris. Quinta XI, jj*
'• ì • — - ' • " * '• ‘
X ii? X
do ed ilare , le trilli con volto melanconico , t
così uniformarli a tutti gli affetti per non {men-
tire quanto egli dice. ...
III. Di mollrare in tatto naturalezza , e di e-
vitare ogni benché minima affettazione , perché
altrimenti correrà periglio di movere gli uditori
a rifa , e non otterrà il fuo intento *
- Gli occhi perciò fìccome quelli , che hanno
grandìflìma' efficacia nello fpiegar i fentimonti dell’
animo', s’ hanno ad elevare e deprimere giuda il
bifogno ; ma é grave difetto fe collantemente al
cielo o alla terra tengonlì rivolti, o filli mai Tem-
pre in qualche luogo . Le ciglia anch’ effe aon de-
von tenerli immote , nè le palpebre fi hanno a
liringere di fpeffo in maniere viziofe^ La fronte,
e le guancie col vario colore , e co’ diverlì mo-
vimenti dinotino ilarità , . sdegno , raccapriccio ,
«c. • La faccia rivolgali Tempre colà , dove s’ ad-
erizza il gefto, fenon incafo d’odio, o d’ avver-
inone . .Procuri in fomma 1’ Oratore . d’ invertirli
bene della cofa e degli affetti , e quelli fenza Àu-
dio o fatica dalj cuore fuggiranno, e gli appa-
ri ran fui volto (n)..
Guardili inoltre dall’ asciugarli troppo 'di fpeffo
« fenza neceffità il volto, dallo fpurgarfi oltuz-
zicarfi di frequente le nari , dai rullare , o gonfiar
le guancie, dal fregarfi.il capo, dallo llorcere, o
morderli le labbra , dal digrignare co’ denti ó‘ far
■ - H 3 ■ fimi-
y
y . , ,
"00 Cbfervanduro erft ftiam ut refla fit facies dicentis, ne
labra diiìorqueantur , ne immodicus hiatus ri£lum dìitendat ,
ne fupinus vultus , ne dejefti in terram ocuii , ne inclinata
uuolibet cervix . . . . ^ nfin * tum aulem ìn quoque re-
b»s moine munì eit . Et nihtt potdt piacere quod non dece* «
Quint. tu. -
* **8 t
fenili atti ferini, e ridicoli , benché tale fia il fi»
g iocato delle parole , concioffiachè tatto quello
contro la decenza , e più proprio* d’ un buffo-*
nè, che d’ un Oratore (ti)v y
r ;r ' : /
%
4
l %
Il Certo ,'offia T Azióne è un. governo di tut-
ta quanta la perfona nel portamento , e nel mo-
to uniforme alle cofe concepite' j e pronunzia-
te (13) ♦ Quanta fia la fua efficacia il poffiam in-
tender dai Pantomimi , i quali col folo gerto ef-
primon talvolta le cofe più al vivo di quel che
non farebbero colle parole « ^ j
“ Anche l’Azione ha' da aver la fua origine dal*-
la natura; ma Parte poi la deve perfezionare ed
abbellire, fenzaehè però vi apparifea (14X Perciò
. P Oratore* dovrà primieramente offervare a • chi
parla, dove parla > e di che parla (15). Per la
prima ragione s’ egli parla a perfone grandi * de-
ve effer più parco , moderato , e grave nella fua
- azio-
• ’ 1 * * ' • *»
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$. III.
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Del Gejlo .<
(iO Vitiofa funt illa intueri lacunaria, perfricare fa ciem ,
& quali improbara Tacere: tendere confidenti vultum , aue
quo fit magis torvus fuperciliis adftringere, digitorum , la*
biorumque moru commentare, fcreare, &c. Quint. XI.$,
fcr 03) Motus eli corporis, & geftus moderano quxdam quar
pronunciationi convenir, & probabiliora reddit ea quse prò-
fiuncianti^r . Ad Heren - Ì7Z. 15 .
(14) Si 1 qua in bis eli ars dicentium , ea prima efl , ne ars
« 0 e videatur. Quint . 7. li.
(15} Multa cogitare debet orator . Primttm quod apad
quos , qui b us prsefentibus fit afturus . Nam ut ditene alia
atti» « apud alias magis souvenir, Ck etiam tacere . Quint*
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X II 9 X‘
azione, acciò tal compoftezza palefi ii Tuo rifpet-
*o, e la fua venerazione verfo di loro. S’ egli
ragiona al popolo, ed alla plebe, ufi nel geuire
maggior licenza , concioffiachè quella voglia effer
commotfa cori ftrepito ed efficacia.
Per la feconda , s’ egli parlerà in luogo anguflo
e rirtretto deve effer più moderato nella voce
non folo , ma anche nell’ azione , perchè nelle
• anguftie del luogo dibattendoli , e ftrepitando con-
fonderebbe gli uditori, gli ^ordirebbe, e verria
loro a falcidio . Se al contrario egli fi troverà a
parlare in luogo ampio e fpaziofo, potrà moverli
liberamente, e fare (piccare maeftofo il gefto, -
Per la terza egli dovrà adattare tutti i fuoi
-movimenti alla materia ed alle cofe che dice, nni-
formandofi , e fecondando , non precedendo col
gelfo le parole ; effendo in effo naturale e non
studiato, nè troppo eiprelfivo, o imitativo , per-
chè allora la farebbe da Comico non da Orato-
^re (16)
- Monterà egli per tanto nel luogo d’ onde ha da
parlare con palio grave: fi collocherà nel mezzo,
C fatte le debite protrazioni o inchini fi fermerà
alquanto , acciò tutti col filenzio fi preparino ad
udirlo, e volgerà intanto l’occhio modellamente
all’ intorno per offervare i 'varj ordini delle per-
sone , onde non errare al bifogno di rivolger ad
effe il difeorfo .
H 4 . Stia
' . . w 1 * *
Ciò) Omnes hos motus fu b requi deber geftus, non hic ver.
ba exprimens fcenicus , fed univerfam rem & Tentennati] non
demonftratione , fed fignificatione declarans , laterum inflexio-
ue hac forti , ac virili , non ab feena & hiftrionibus , fed ab
* aut «tiam a pa!*ftra . De Orat . UT. 59. Aftio non tra-
gica oec feeni^a , fed modica frazione cor po ri* . Cic . Orat*
Sluinty l, n. -
X 120 X
Stia rittò Culla perfona co’ piedi egualmente ffe*
fi , o piattello in atto di palleggiare i Porti alto
il capo, ma non in maniera ardita e sfacciata . Le
inaile fiano raccolte, nè volganfi mai agli udito*-
ri (17) • Le braccia* non fi dibattano , nè troppo
s’alzino o s’abbaflìno indecentemente é Tenganfi
le mani appoggiate non penzoloni, e ficcome in-
numerevoli fono i loro movimenti , e da effe di-
pende la maggior parte dell’azione, così guar-
dili 1 * Oratore di fforcerle in modo affettato * o
fconcior di fare flrepito , o far giuochi colle dita ,
di batterli la fronte, il petto, o palma a palma;
ma al più in atto di fdegno appoggi la mano fui
fianco. Avverta finalmente, che non * tutto ciò
che fi nomina deefi dalla mano additare , o tocs
care coi dito , perchè quella farebbe una minutcz-
.za ridicola (18)
E' neceffario ancora, che l’Oratore fi mova in
tutta quanta la perfona per non raffembrare un
tronco , o una ftatua . Quello però deve farlo con
moderazione, nè fempre continuando lo lleffo paf-
* ' fo,
r
— » - aui v •
* *
O 7) Status ere&us Se celta* , rarus inceffuà , Rec ita lort-
S us » excur/io moderata, eaque rara, nulla mollitia cervicum ,
imi la? arguti* digitorum , non ad numerimi articulus cadens,
trunco tnagfs toto fe ipfe itioderans , Se virili laternm fle-
ttane &c. Orator» * Sic primo re&um Se lecundùm nàfuraiir.
Nam dejefto humilitas Se tapino arroganza, & in latus ia-
clinato languor, Se prseduro ac rigente batbaria quaedam men-
its oftenditnr. Tum accipiat aptos ex rpfa anione moti»,
• ut cum peftu concordet Se minibus, ac lateribus obfequatur.
Quint. XI. 3 . ^ • • •
ClS) Tolli autem manum artefice* tapra oculos , dimittì
infra peftus vetanr ; adeo a capite eam petere aut ad imum
ventrem dedurre vitiofum habetur . Quint. XI. I.H. Ma»
nus autem minus arguta, digitis tabfcquens , verba non ex-
primens: brachium procertus proiettimi quali guoddam tei uni
orattoms. D c Orau III . 59 . ” •
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X 12? X
fo, nè correndo fai pergamo , ma fermaftdofi brat-
to tratto , e fedendoli ancora in que’ luoghi , do-
ve 1’ orazione è narrativa fe però 1’ ufo il per-
mette rifpetto maffime alle perfone avanti le. qua-
li egli parla . Non farà Crepito co piedi benché
jb atto di fdegno , fe non quando parla al vol-
go : ma quello batter del piede deve mode-
rato , ed appena è da ufarfi in un gaghardb *£•
- $€ttO -v • _~
la (brama il getto alla. voce, il volto al getto
i s’ accordi , e s’ uniformi (19) ; e tutto in .tal ma-
niera, e con tal . naturalezza fi faccia» che nel
mentre che l’ Oratore cerca di piacere , e d* ef-
primer con eleganza , non perda quella gravità »
e quella decenza , che gli convien manifeftare (20).
Vi vuole perciò in quello non tanto d’ arte , quan- .
fco di fatica; per evitare maffime colia ofiervazio-
jie <}egli altri quello che è difettofo , e che univer-
salmente difpiace (21) . Tullio per ultimo ci am-
monilce, che non bitte le cofe colla azione s han- .
no da efprimere con la ftelfa efficacia, é col me-
defimo impegno ; conciolfiachè a bella polla un
Ora-
•
Ci9) Aftio oratori Se cum rerum & cura verborum momen-
ti* commutanda maxime eft. Facit enim & dilucidam ora-
tionem, & iUuftrem , & probabilem , & fuavem non verbis
fed veritate vocum , mota corporis, vultu , qu* plunmum
valcbunt , fi cum orationis genere confentient , ejufque vin^
ac varietatem fubfequentur , Cic . in Partit . Gertus ad vo-
cera, vultus ad geftum accommodetur . Quint. 7. n.
fio) Ita tamen aftio tempeianda, ne dum aftoris capta-
ne elepantiam, perdamus viri boni, & gfavis authoritatem»
Quint. XI. 3. ad Hercn. TTT . 15. . r ’•
CaO J ara vocis & fpiritus, & totius corporis, & ipfxus iin-
guae motus & exercitationes non tàm artis indigene, quarti
laboris . . . Intuendi . nobis funt non fOlum oratores , fed et-
iam a&ores, ne mala confuetudine ad aliquam deformitatera»
pravitatetnque veuiamus» Dt Orat • /• 34»
ì
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I
X m x
Oratcr fogace meno debba avvivar certi tratti ,
per dar quindi forza , e fare , che rifaltino > vie-
tnaggiormente quelle cofe, ie quali egli vuole im-
primere, e fcolpir nel cuore degli uditori (22).
j|iO Habet tamen iila in dicendo ^admiratio acfumma laus
ombrami aUquam , & recetfum , quo magis id , quod erit il-
luminatimi exftare, atque eminere videatur . De Orat. ITT. 26.
Erano ai fcrupolofi e delicati i Romani in genere dell’ Aeio-
ne, che innumerevoli fono qnafi i difetti anche più minuti,
che Quintiliano avvifa doverti evitare da -'un Oratole oel
Lib. XI. delle fue Iiifti turioni cap. 13 .
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«I
CAPO . I.
+ ,
• /
- Degli Affetti. * •
• • y ? ( * •
... ' ■ - '•••' '
S iE P Oratore parlar fempre doveffe a uomini
che la ragione feguiffero, d’uopo non avreb-
be di ricorrere agli affetti; ma d’ordinario
egli' è coftretto favellare a perfone, che o per
ignoranza , o per prevenzione credon vero , e ra-
gionevole tutto ciò che la pafiìone loro prefenta
fotto di un afpetto piacevole (i). Non può egli
pertanto allora ottener il fuo intento , e perva-
der la di loro mente colle ragioni anche le piè
evidenti fe non ne cangia il cuore cogli affetti t
e fe non le sforza in certo modo , e con violen-
za non le trae ai fuo partito {2). IL trionfo dell*
eloquenza pertanto tutto dagli affetti dipende, é
giovò più a Tullio nella difefa di L. Fiacco V aver
conamoffo a pietà il cuor de’ giudici col prefentar
(0 Nihil eli in dicendo m.ijus , quam ut faveat oratori
js, qui audiet , acque ipfe fic moveatur , ut jmpetu quodam
animi, Se perturbatone magis, quam judicio , aut confilio
regatur. Plura enim multo homines judicant odio aut amore ,
aut cupiditate , aut iracundia, aut dolore, aut Iaetitia, aut
fpe, aut timore, aut errore, aut aliqua perturbatone men-
tis, .quant veritate, aut prsCcripto, aut juris norma aliqua ,
aut judicii formula, aut iegibus . De Orau il, 41.
(0 Nobis ad aliorum judicia componenda eli oratio ; &
faspius apud omnino imperitos, atque aliarum certe ignaros
literarum loquendum eli: quos nifi & delegatone allìcimus.
Se viribiw trahimus & nonnunquam turb&miis afte&ibus, ipfa
qu* jufta & vera fuat tenere noti pofliimus. Quént. P* 14*
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<; ■ X X -
ia mezzo al foro il tenero figliuolo dell* infelice
reo, che tutte le ragioni che prima egli avea ad-
dotte per ifcufarlo (?) . • - '• ■ • .
Sono gli affetti fecondo Ariftotele (4) alcuni
più gagliardi movimenti dell’ animo ,5 per cui l’uo-
mo lcoffo in certo modo più, non vede gli ogget-
ti in quell’ afpetto , e non intende più le cofe
nella maniera di prima . Quelli lecondo gli Stoi-
ci , non fono che quattro, /’ Allegrezza , il Do -
/ere» il Timore , e la Sperate* , dai quali tutti
rii- altri poi derivano (5) . .Virgilio nel VI. dell’
fineide così elegantemente in. un verfo efprefle la*
fentenza degli Stoici : •
- , • . . ; /
Hinc metuunt , cupiuntque , doltnt ^ gaudente.
9***- ■ : - . • - : / !
Noi però feguiremo Tullio che i principali a que-
lli li riduce : Ardore y Otf io y Speranza y Timore #
Ira y Compaffioner+Ànvidia y M anfuet udine y Alle *
grtzza « Gratitudine y Pudore ( 6 ).
■ ;<rJOTr * * * * 4 5 6 ’ §. I*
< * ' ■
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- ' • ' jT ” r ' w «•••#** «r 4 ^ -r » • * • * - %ì
Cuin dua fummaeque fiat in oratore laudes, una fub-
tilirer difputandi ad docendum ; altera graviter agendi ad a^-'
nimos audientium permovendos : multo plus proficit is, qdt
inflammat judicem, quam illequi dncet. Cic. in Brut. Id uu
num ex omnibus ad obtinendas caufas poteft plurimum
in hoc uno vis omais oratoris eft. Orator . Hoc unum in o-
ratore dominatur. Di Orai, T 14. IT. 51. Ubi anrmis iudì-
cum vis afferenda eft , & ab ipfa veri contemplatone abduceu*
da mens % ibi proprrum oratoris opus eft. Quint . VI. 2.
00 * • t *
(5) Motus eft animi incìtatio aut ad voiuptatem , ait ad
moleftum Y aut ad. metum , aut ad cupiditatem Tot cairn
futit motus genere ; partes plures generum fingulorum . ' Ci$ 9
Partit. ' ' ' * . \ '
(6) Hac fere maxime funt in judicum animis, aut qui*
cuaque illi erunt 9 apud quos agemus , oraiione moliendd,
‘ - ; amor-, ■*’
4
4
X 125 X
* 'f
§. r. ;• «
l
; Dell 1 Amore .
.
t
,'- 1 / Amore è un affetto, per cui defideriatno
ogni bene alla perfona' amata , e per quanta
(la in noi glielo procuriamo non a noftro , ma
a fuo unico riguardo . Tre fono adunque le
condizioni dell’ Amore . I. che defideriatno all’
amico tutto ciò che realmente è bene, o che
almeno tale ci raflembra . IL Che per quan-./
to ffa in noi coli’ > opra glielo procuriamo*
III. Che non facciam quello per noftro interef-
fe , ma per vantaggio foitanto della perfona che
amiamo . ^
Se pertanto noi col noffro difeorfò vorremo in-
durre gli afed tanti a concepir, amore per alcu-
no, ne raoftreremo I. La rara virtù e 1’ eccel-
lenza de’ cofturai . IL I vantaggi ed i benefici a .
noi o a loro arrecati e le future fperanze . IIL
L’ amor vicendevole, che quella tal perfona ad sffi
porta . IV. Anche il merito efteriore , che nafee
dall’ avvenenza di tutta quanta la perfona ( 7 ) .
Così TulKo dopo d’aver efpofti i meriti di Mi-
lone verfo della patria , e verfo di fe , fiegue :
O me t
.. V *
amor, odi uni , iracundia, invidia, mifericordia , fpes, Isti,
tia , timor, &c. De Orar. II. 51. Veggafi il IV. delle T«-
fculane c. 6 , dove egli divide i quattro principali affetti in
tutte le lue parti .
O) Q*l*l che fi dice del modo di conciliare amore ad una
perfona, dicali relativamente anche ad una cofa , inoltran-
done il pregio, l’ importanza, r vantaggi, ec%
k
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X 1*5 X
* » 4 , ,
0 me miferum : o me infetkem ! Revocare tu ffté
in patti am , Milo , potuijii per hos , ego te in pa-
tria per eojfdem retinere non potere ? Quid refpon -
debo li beri s meis , qui te parentem alterum pu-
tant ? Quid ti hi £?. Frater , qui nunc abes , con-
forti mecum temporum illorum ? me non potuijfe
Milònis falutem tueri per eofdem , per quos no-
ftram il le fervaffgt ? at in qua caufa non potuifx
fe ? qua efi grata genti bus « A qui bus non potutj^
fe ? i alt tis qui maxime P^ Clodii morte acquie -
rant * f Quo deprecante?? me . Qitod * nqm concepì
tantum fee/us y aut quod' in me tantum faci nus ari-
mi fi judites y cum il la. indici a communi s exitii in-
dagavi} paté feci , protali * extinxi ? Ùmnes in me «
meofque redundant ex ilio fonte dolor?s &c. E a
Alb, Lollio per dettar ne’ cuori de’ Romani P a**
more verfo di Qrazio - onde P affolvàpo dàlia
morte così s’ induce a dire i Certamente , Roma-
ni ^ a me tolgono ! anima , * e trafiggono il cucina
quefie parole ni Orazio t vìvano. n dice egli , viva*
no ì miei cittadini , fiano finivi. y fiano L contenti y
fi ano felici 0 Piaccia agli Dei , che lungamente jt
mantenga * ed aumenti fempre qutjìa illufire. Cit-
tà a me patria c ari ffxm a * in qualunque modo ella
deliberi nella mia vita ? Godano i miei cittadini
la dolcezza , e i comodi della pace 0 Gufino $
frutti della gloria y . e della libertà , filino . la fi -
curezza , e la tranquillità dello Stato da me con-
fervuto ». Io , fe così piace loro , morirò nou meno
volontieri y che per /’ onore , e la fai vezzo di tut-
ti /pontone amente mi offerfi alla morte , ne m ’ in-
cre/cerà mai di aver, lóro fatto quefto gran bene-
jicio'ec.
^jEffli è però da avvertire, che volendo mette.
t? u Cliente in grazia degli' uditori col ricordar-
ne 1 benefici > non le a’ efalti troppo ii inerito,
po T
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x m x
*ot»tt(ì« cflcre ciò piò d’ogn’ altra cote cagione
d } invidia (8).
'\
* > •
, §. IL
> •
» » ■
Dell'Odio.
* 4 <
* L'Odio dice Tullio (9) è un’ ira invecchiata,
offìa un 1 avversione collante concepita contro di
xiò che ci fi rapprefenta (otto afpetto di male,
©ai, fonti contrari a quelli, per cui deftafi V a-
ttiore , fi eccita V odio (io) . Così Cicerone mo-
ve l’animo di Cefare ad odio contro deH’accu-
fato re di Dejotaro . Crudelis Caflor , ne die am
feeleratum & impium , qui nepos avum in diferi-
men capiti adduxerit ; adolefcentiteque fu*. terra -
#em intuì eri t ei , cujus fene&utem tueri , & mege-
re debebat f . commendati onetn. ineunti s , atatis . ab
impiotate ^ & f celere duxerit ; avi ferpum eorrìb
ptum prtemiis ad accufandum dominum impulerit ,
& a Ugatorum p e dibus abduxerit &c . . E Ader-
bale pretto Sallufiio così parla contee di Giugur-
ta : Utinam illum , cujns impio facitore in has
miferias projetius fum , tadem hcec fimul antem vi-
.. , v' deamj\
. * (85 Quid ? cum perfotiarum, tfim-'defehdunt , rationcnt
non habent ? fi, quai funt in. ius iuvjdiofa non mUigant cxv
tenuando , fed laudando, & aderendo invidiofiora faciunt ,
qUantum in co tandem mali ? De Orai . '‘ft.
. ( 9 ) Tufi. ni. c. 9.
(io) Siccome dai fonti oppofli à quelli d’onde cavali mo-
tivo di amore, ne nafee l’odio; cosi fe queft’òdio e già
concepito, volendo l’Oratore diminuirlo nel cuore degli it^
ditori , moftrerà non concorrere nella perfona odiata i detti
notivi: e ciò che dell’odio fi dice* fi riferifea a tutti gli
altri affetti, quando in vece di dei^arli , fi tiattaifé anzi di
togliceli. dall’ animo altrui, • ♦ { * ^ « r
•" T
4»
• * *
* '^ ♦ ■ * * ' 7 ♦ * 4 l
t «8 X .
* k , # ♦
ileam ì & aliquando aut apud vos , aut apud
Deos immortale s rerum human arum cura oriatur ,
ut ille , qui nunc fc elevi bus fuis ferox y atque pra-
vi arus eft , omnibus malis excruciàtus impietatis in
t * parentem nojlrum , fratris mei necis y mearumque
miferi arum graves pcenas reddat . E Catilina pref-
fo AJb. Lollio così fi fcaglia contro di Cicerone.
Allora con grandi ffìmà letizia ef ulcera Cicerone y e
J limerà avere ottenuto il fuo de fiderio , allorché ve- ,
drà quefta patria rifplendere d y arme y e quefl a Re-
pubblica tutta ardere a V incendj , e di guerre in-
terne . Allora loderà i fuo i configlj ; e innalzando
i l' animo invitto y affai delle ricevute ingiurie fe * e
, i fuoi maggiori avere vendicati giudicherà t Peroc-
ché alle 'volte é ufato dire , la fua generazione a-
vere avuto origine dalla famiglia di Tulio Ofiilio
per addietro Re de* V ol f ci y dello , Imperio Romana
fempre inimici ([ima . La quale otre afone fola a tut-
ti fa noto , che a lui è odiofo il nome della Re-
pubblica , e che quefla Città egli abbia fempre tm
di f petto e abbonimento : dalla potenza della quale
è fiata ofeurata la fama de* fuoi maggiori , ed il
fuo imperio diJlrutto y e rumato . Guardili però
l’Oratore parlando ad un Giudice di non inveire
v contro que’ vizj , di cui il giudice fteffo è colpe-
vole , o prendercela contro di persone a lui care
ed amiche, perchè allora forfè P irriterebbe a dan-
no di fe. fteffo , e. farebbe fracciata « come petu-
lante , o come pazzo non farebbe da lui merita-
mente udito (ii) * %
. - «
• • • 7 . . §. in. •
K , * ' ’ ♦ , * «
* i* * , *
C n) Quid fi In homfnes caros , jadicibufque jucundos fine
ulla premunì tione orationis acerbius, & conrumeiiofius inve-
lare ; non ne abs te judices abalwnes ? Di Orar, fl. 7S»
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la Speranza non è altro che uri piacere, che
£ rova P animo alla immaginazione di - un vicino
ene . Si eccita quell’ affètto dimoiando : I. La
grandezza, e la vicinanza del bene illeflò , e la
lontananza del male . II. Ponendo fott’ occhio i
facili mezzi 'per arrivare a ciò che fi defidera .
III. Moltrandò eflerfr’ altre volte fuperati quegli
oftacoli , che poflbno impedirne il confeguimento .
IV. Colla confidenza dèi Divino ajuto , dovendo
, la ragione ed il giufto maifempre trionfare . Cice-
rone così nella 2. Catilinaria incoraggifce i Ro-
mani alla guerra : ''Infimi te nuncy Quirite s , cov-
erà has tam prjeclaras Catilinje copias vefira pr<e-
M* y vefirofque exercitus , & primum gladiatori
fili confettò Ó* fauci 0 Confale s 3 Imperatorefque ve-
firos opponi te y deinde contra ili am naufragorurn
èjettam ac debilitatam manum florem fot tu s Itali ce
à re robtir educite . 'E. nella Filipp. IV. Jam enim
non folum homines , fed etiam Deos immortales ,
ad Rempi fervandam , arbitrar confenfiffe . Si ve e-
n$m prodigiis , atque portentis Dir immortales no-
bis futura pradicunt y ita funt aperte denunciata
ut tilt poena & libertas nobis appropinquet : Jvve
tantus confenfus omnium , fine impulfu Deorum ef-
fe non potuit y quid eflry quod de calefiìum volun-
tate dubitare po (firn us ? Così anche Annibaie par-
la a’ fuoi prefTo Livio : Quidquid Romani tot
triumpbis partum congefiumque pojfident , id omne
vefirum cum ipfis f ut urum efi * In hanc tam opi -
nùtm mercedem agile r curri Dih 'bene juvanìibus
arma capite .... Naw> dempto hoc uno fulgore no-
Ùiard. Etera. T. II. ' I mi -
X *30 x < ~
fri ni s Romani , quid ejì , cur ,i Ili vobis compar dii*
di fint ? • • . • Pugnabitis cum exercitu tyrone , bac
ipfa defilate cafo , vitto , circumfefifo a Galli s , /-
gnoto adhuc duci fuo y ignor antique ducem &c. Ed
Enea preffò Virgilio Eneid. L anima i fuoi com-
pagni dicendo :
* V
Opali gravi or a , da bit Deus bis quoque finem •
Fox Scyllxam rabiewiy penitufque fonantes
Accefilis fcopulos : vos & Cyclopea faxa
Experti : revocate animos , mcefilumque timor em
i Matite : forfan & bac olim meminifife juva -
Àir . . s_
Per varice cafus , per tot difcrimina rerum
Tendimus in Latium , ubi fata quietai
Ofilendunt : illic fas regna ref urgere Troia*
Durate y & vofmet rebus fervute fecunais «
Ed Alb. Lollio nell’ oraz. per la guerra di Ger-
mania : Egli » egli Iddio farà il nojflro capitano
nt y cht non vede , che per ejjer t ej eretto de ne-
mici di molti capi compofilo , non farà poffibile f
eh ' egli fi mantenga % ne duri lungamente ? ec*
La fperanza molte volte , ne’ <cafi maflìme piu
perigiiofi diventa ardire r Tale fi é il parlar di
Turno Eneid. X.
In mani bus Mars ipfe f viri ; nunc conjugis efio
Qpifque fu# y tettique memor / nunc magna
referto • .
Fatta patrum f laude fque t nitro occurremus
ad undam y * . • ' .
Dum tropi di \ egreffifque labant vefiigia prima «
Audentes fortuna iufitat * • • ,
V . UV,
I
#
X «51 X
§. IV.
t
Del Timore .
Oppofto
le non è altro che
glia ette dedali nel
zione di un Vicino
è il Timore , il qua*
perturbazione ed una do*
nodro alla immagina-
_ _ __ ____ __ Per eccitar il Timore
bifogna I. Amplificar*; fa gravezza del male.
II. Dirtìodrarlo imminente . III. Allontanare o-
gni fperanza di ajutoodifefa contro di cflò . IV.
Kapprefen tarlo più privato di coloro , ai quali G
parla, che comune a tutti. Ecco come Cicerone
neila 3, contro di Cadimi mette fott’ occhio ai
Romani le imminenti loro fciagure . Vidtor mibi
bave ut ber» videre lucem orbis terrarum , atque ar -
etm omnium gentium Cubito' v.no incendio conci den-
tem , Cerno animo fepultam patriam : mi/eros at-
que infepultos acervo s civium . Verfatur mibi an-
te oeulos afpeBus ■ Cethegi Veftra cade bacchantis .
' rtìptir de flemma f alate vejìra , Populique Ro-
y de toejirh conjugibus ac libèrti y de fanis y
ac témplis , de libertati ac folate Italia } dequè
univerfa rep, decernite ailigenter , Ut inflituifits ,
ac fortitir . Non altrimenti Orazio induce Nereo
ad atterrire Paride dpP Ode 15. del Lib. 1.
’ "• » X] -1 •, j T ' ■*
< • » • ....
tìeu qùantus écjfuh , quaritus ade/l viri a
Sudor ! quanta moves funera Darà ance
Centi ! Jam galeam r alias & agi da
Curtufqut & rabiem parat .
Xv Nequicquam Venèrit pr afidi o fero X
Pe&er cafariem 9 grataque fùeminis
Imbelli citharà carmina dividea / . i •
I 2 Ne-
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X: r$2 X’
Nequicquam t hai amo grave* *
Hafias & calami, fpicul a Gnosii
Vitabis &c m
. • •
- • , 1
Ed il Cafa nella oraz. 2. per la Lega così atteri
rifce i Veneziani : E noi crediamo , che egli in
tanta fiamma di defiderio , e di avarizia a noi per-
donerà ? e firuggendo , e ardendo i membri , e V of-
fa della /con folata y e dolente Italia ad uno ad *
uno j r onorata fua tefia ( cioè guefia regale Cit-
tà ed egregia ) rifp armi èra forfè ? Oimè che ella
fuma già , e sfavilla , e noi foli pare che I* ar fu-
ra non ne f enti amo . Effo ha non foto propoflo di
cacciar la Serenità voflra di Stato , ma ancora pen-
fato al modo di farlo , e vuole non folo a(falÌr Ir-
membra di guefio dominio , ma ferire la fronte -
e c % ( 1 2 .) %
' 4 uiarqJE
V. : : ■ ' ; *
DeW Ira.
‘ * 1 • . ». * " 1 » \ " • * • _
L’Ira è un ardente defiderio di punirò questa-;
li che ci hanno offéfo. Si eccita quell’affetto, I;
Col dimoftrare la dignità della perfona offefa, pa--
ragotiata colla ingratitudine, <o!ia viltà , o imo-'
ingiuria e lo fprez-
zo che lenza motivo è fiato arrecato « Aderbale
_ * m . '* * V
cò-
1 »
— —
• • ) •
OO defcrizioni patetiche • fatte per. via ci’ Ipotipofi,
• le figure di Immaginazione, per cui già fi rapprefentano
come prefehti i futuri mali, fervono a maraviglia ;>er deft**
re glieli* affetto neh* animo degli ascoltanti ►
— f
X *33 5t
Così parìa nel Settato di Roma cóltro ; <Ji Giugtif*
ta pretto Salluflio : Iùgurt a homo omnium y quos tèt-
ra fiuflinet , fic eierati flint ii$ contempio imperio ve-,
filro , Majjnijfe me nepotem utfaue a Jlirpe fiotium
atque àmi'cum iV R. regno , f or tùfitfqué' òmnibus
expulit è . • : Heu me mìferum / Huccine Micipsa
pater y beneficia tua " ei) a fere y Ut quem tu parem
cum liberi $ tuisy régni que parti cipem fecifii i is
potijjìmum jlìrpis tua extinftor fit ? Nunquam ne
ergo fami Ha rtofir a quieta eritì Semper ne in fan-
gitine y ferro , fuga y verfabimur ? &c, E pretto
Tacito Germanico morendo così favella a’ fuoi
amici* Si fato concederemy juflus mihi dolor etiam
adverfus Deós e/fet , quod me par enti bus , li beri s y
patri x intra juvcntam prematuro exitu\ raperent *
filane /celere Pifionis & Plancia té inter ceptus , ul-
tima s preces pe fiori bus vefiris relinquo * Referati S
patri y ac jràtrìy quibus atenèi lètti bus di tacer atus %
qui bus infidi ìs circkmventus , miferriniarn * vitam
pé filma morte finierim * • 9 J Flebunt Germanicum
etiàm ignoti i vindic abiti* vosfifi me potius , quàm
fiortunam me am fovebatìs , Ofiendite populo Roma-
no divi AugUfii neptém% eandemque tonjugenf meam :
7iumetate fex liberos &c . Piena di quell’ affetto è
tutta ' l x orazione di Catiliba coatro Tullio pref-
io Alb. Lolliò , e maffime dóve dice : Meco da pri-
vate inimicizie era fi molato ; e per ej] erg li fiata
la novità rimproverata , tutta la nobiltà gravemen-
te ha in odio , e fecondo il cofiume per tal cagio-
ne dif càrdie y e perturbazioni del Continuo* appare c*
chi a , fiemitiàficandali , nè mài il j uo impazienti fi*
fiimo àftimò al nqfìro male , e ruina fit tipo fa . Àc*
cu fa primieramente come traditore della Pàtria me y
Romano y Patrizio * e Senatóre g- del quale tante
opere y tanti magiflrati , tariti berteficj d£ mici an-
tecedati con ampli ffxmo fp tender e di tutta la Re-
✓ I 3 pub-
» •
X *34 X
pubblica fono evidentijfimi y ea me per ingiuriali t
povertà rimprovera > /n quale^in una Città ricchi fi-
sima ancora ain
cere . Avete
vifcere : avete la calamità di tanta repubblica in
quefi? ordine ferrata , e rinchiufa , la quale vegghia
a J empiterno eflerminio del P. R, Poi quella in
fommo onore avete collocata • Guardate che tal ma -
le tutto P altro corpo della Repub . ??ew abbracci ,
e quafi come contagtone intra voi fi difenda . Z)//^
cacciate bentofio collui , altro, non è che un ri -
cenacolo di tutte le fceller aggine , ec. er.
La Compaffione £ uno fpiacere concepito fu!
rifleffo della miferia altrui , maffime fé ingiufta-
mente da quello venga fofferta • Affine di eccitar*
la conviene I* Amplificar dagli aggiunti il male
o vero , o apparente eh’ ci fia • H. Diraoftrarnc
la gravezza, e la virtù cd i meriti per i’oppofto
di chi lo fonre immeritevolmente* III. Minaccia*
re che lo fteffo a noi o a’ noftri polla avvenire »
e additarne il periglio non molto lontano , Puh»
Orazio predo di Livio fi sforza di movere a pie-
tà i Romani per il fno figlinolo così dicendo :
Huneine , quem moda decor atum , ovantemque vi *
Scria incedentem vidifiis , Quirìte$ % tumfiub furca
vinBum , inter ver ber a & cruci atus vedere pote-
flis? Quod vix Albamrum oculi tam deforme fife •
Baculum ferre poffent l I LiBor , collèga manus ,
panilo ante armata imperium populo Romano
pepererunt . J obnube liberatorie hujus urbis :
4rr^r# infelici fuf penda ; V ubera vcl intra poma -
De//* CmpaJJìone .
jriw» >
i
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X 115 x
riunì) modo inter il la pila & /poli a hofiium : vel
extra pomxrium , modo intra fiepulcra Cur iat io-
rum ^ &c. Cicerone in quell* affetto Tempre trion-
fa, come fi può vedere lpecialtnente nelle Orazio-
ni per Fiacco, Quinzio, Murena, \Rofcio, e
Dejòtaro, dove move Cefare a pietà nel grave
periglio di quel Principe innocente foggiungen-
do che niuno più potea efler ficuro , fe concede-
vafi ai fervi la libertà di accnfare i loro padroni .
Anche predo Virgilio così Ilioneo fupplica Bido-
ne' nel i. della Eneide: . '
Troes te mi feri , venti s maria omnia ye&i %
Oramus ? prohibe infandos a navi bus ìgnes :
P arce pio generi , & propi us res adspice no -
Jìras • *
Quod genus hoc hominum , queve hunc tam
' barbara morem
Permittit patria ? ho f pi ti o prohibemur arena)
Bella cient , primaque vetant confi fi ere terra .
Si genus humànum & mortali a temnitis ai*ma ;
At Sperate Deos memores fandi atque nefandi •
‘Tenera al fommo è tutta la perorazione del Ca-
ra nell’ Orazione a Carlo V . per la refiituzione
di Piacenza , ? maffime dove per commoverlo gli
pone al vivo fotto degli occhi lo fiato infelice
della di lui innocenté figliuola , c del piccolo Tuo
^bambino. Nè meno efficace fi è quella di F. Cre-
ano preffo Lollio * ove dice: Nella bontà , nella
clemenza , e magnanimità voflra , fortijfimi citta-
dini ) ogni confi dazione della paffuta , e tutta la
Speranza del rimanente della mia Vita ripongo •
\P tacci avi per f umanità , e cortefia voflra d' ab-
bracciare la mìa protezione contro la perfidia y e
iniquità di' chi a torto cerca dì minarmi* Non
I 4 coni -
5C isó )(
comportate * la malevolenza , e ficellerita de* mìei
nemici , abbia più forza nel travagliarmi , che
r autorità vofilra nel difendermi , * conservar-
mi . Da molti oltraggi infiefilato , dar 'uar/V ojffe-
*fie percoli o , e . da gravififime ingiurie trafitto /
d’ alcuna colpa macchiato , wj povero , mtfie -
re, nel fieno della giufiizi a e benignità vofilra fi-
■ fttggO ) ^ •
Aflaiffimo per eccitar queft’ affetto non meno
che il contrario dell’Ira, giova molte .volte por-
re fott’ occhio le fieffe perfone infelici , o li mo-
numenti e le reliquie delle di loro difgrazie, fiè-
come fece M. Antonio, che moftrando ai Romani
la* verte di Cefare infanguinata , talmente li com-
moffe , che corfero tutti ad incendiare immanti-
nente le cafe de’ Congiurati . Si figuri inoltre,
dice Quintiliano ? e, fi perfuada il dicitore, che
vuol eccitare gli afcoltanti alla compaflione, d’ef-
fer egli medefimo quello sventurato, delle di cui
fciagure fi tratta . Penfi di perorar la fua fiefla
caufa, non già di parlar per altrui; ed allora la
natura gli prefterà quelle maniere di dire più effi-
caci, e gli fuggerirà quelle cofe , che in fimili
circortanze appunto egli direbbe per.fe rteflfo (13).
Devefi per ultimo avvertire che queft’ affetto
vuol effer maneggiato brevemente , ed in guifa
che Tempre vada crefcendo , ficchè giunto al col-
mo Jafci P uditore in quello fiato come forprefo
ed abbattuto. Imperciocché, difficile effendo che
v ' * al un- ;
(13) Ubi vero tniTeratione opus erit , nobis ea de 4«ibo*
‘tjuentur accidiffe credamus, atque id animo noftro perfua-
deamus » No$ illi (ìmus , qui gravia, indigna paffòs queraf-
mur. Nec agamus rem quah alienam , fed aCamamus illuni
dolorem ; nà dicemus , quat in fimili noftro cafu di&uri effe-
imis .Qfint.rii. : •
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X 137 X
a lungo fi piangano le altrui (Venture , fe l’Ora-
tore troppo fi eftende col Tuo dire , quello inco-
comincia a raffreddarli , ed a poco a poco perde
. ogni Tentazione di pietà ? nulla effendovi che più
facilmente delle lagrime inaridisca (14) . ,
- s- vii. •
'* Dell' Invidia •
*
E* V Invidia un difpiacere concepito per il be-
ne, di cui altri gode, non perchè fe he foffre
danno, ma per fola malevolenza, che all’ invi-
diato fi porta . Dettali l’ invidia dimoftrando, I*
non effer quel bene frutto della virtù ; bensì del
vizio . IL Amplificando con parole 1 ’ orgoglio ,
e la fuperbia di chi lo gode. ìli. Se la perfona
è irreprcniibile dicendo non e/Ter per b tali i me-
riti fuoi , che di tanto onore la faccia n degna ;
oppure invidiandone anche la forte. Così Tullio
nell’ Oraz. per Sedo Rofcio detta invidia contro
Crilogono per le fue mal acquiftate ricchezze :
Rogat , oratque te y Chryfogonc , fi nìhil de fa-
tris forturits amplijfimis in fuam rem convertit ;
fi muta in re te fr andavi t / fi tibi opti ma fide
M:
* i
(14) Commotfs autem animìs diuttus in conqueftione mot
rari non ^oportebit . Quemadmodum enim dixit RhetorApol-
lonius : Lacryma nìhil citius arefcit . De ìnv. /. Nunquam
tanicn debet effe Jonga miferatio : nec (ine caufa diftum eli*
»ihil facilius quam lacrymas inarefcere . Non patiamur igi-
tur frigefcere hoc opus, & aff.&um cu«n ad fummum perda-
xerimus, relìnquamus , nec fperemus fore ut aliena quia*
quam dm pioret . ldeoque cum in aliis , tumf maxime in héc -
parte debet crescere oratio , quia quidquid non adjicit prio-
ribus, etiam detrabere videtur, & facile deficit «fòli ut, qui
defcendit . Quint* VI* A
^«7» *
X 138 X
fua omnia conctffit , adnumeravìt , appendi* ; fi
t vefiitum , i/>/e , anulumque de di-
gito fUum tibi tradidit ; ft ex omnibus rebus fe
ìpfum nudum , neque prateria quidquam , excepit *
ut fibi per te liceat innocenti amicorum optbus vi -
/tf/w iw egeflate degere . . Pradia mea tu poffides .•
aliena mifericordia vivo.» Concedo . Afe* da-
nza* tibi fat et y mibi clauf a efi . Fero . F umilia
mea maxima uteri s * fervum habeo nullum .
P attor y & ferendum puto&c . Ed Aderbale così
preffo Salluftio invidia la morte dei Fratello:
Jam/am , frater animo meo carijjìme , quamquam
-tibi immaturo & unde minime aecuit , erepta
’ ejl y tamen latandum magis quam dolenàum puto
cafum tuum . , 2Ve>» e?*/#* regnum fed fugamy exi-
lium y egejìatem &* omnes has , 1 »# premunt 9
arùmnas cum anima fimul amifijti . At ego infe-
lix in tanta mala pracipitatus , pulfus ex patrio
r regno \ rerum humanarum fpeElaculum prabeo . . .
TJ unum emori , fortunis meis honejìus exitus ef-
fe* : ne vivere contemptus viderer , fi defeffus malis
infuria conceffijfem &c.
Aache Furio CreGno preffo Alb. Follia così
parla contro di Albino esagerando Alila, di* lui
alterigia : Godafi r gpdafi per . fua fe le magnifi-
che y ed ampie poffeffiont acquifiate da' fuot mag-
giori . Ufi le fue ricchezze con quella maggior
pompa d y ambizione y che più gli aggrada . Trionfi
della fublimità del grado y in cui fi trova . iVo*
ifiimi che fia in Roma uomo , fappia , a
di lui» Gonfift largamente di cotefla
fua Jmifurata grandezza ec» t Ed il Salvini nella
Oraz. VI. così move invidia contro di un Ar-
ciconfolo : Tutto dunque egli pieno di fe flefjc , e
parendogli ejfere tutto niente , e coni figlio y J de-
gna in cofa di fomma importanza , fa confabula*
zio-
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OC 1 39 X
xìonegiufla, e dovutale la neceffaria , ed utilif-
ftma conferenza con quelli , «tfff £// ,/oho a#
comune confentimento per reggerlo , per affifierlo ,
configliarlo... Con fopr acciglio aggrottato , e
Tènero <7 farro afcoltava , /» farro rifpondeva , et.
All’Invidia fi riduce la Emulazione, la quale
è uno fpiacere concepito alla villa dei beni , e
degli onori de’ nollri limili non già perchè li
vorreflimo di quelli privati, ma perchè noi pure
vorreffimo efferne fatti degni . Quella può efier
biafimevole , fe è origine di od/ , di diflenfiom ,
e di partiti; ma fe è ftimolo alla virtù è. buona,
c lodevole . II modo di eccitarla fi è il rammen-
tare le glorie degli antenati , le Loprefe degli
Eroi il lullro ed il decoro della patria , o del-
la famiglia . Tullio coll’ efempio de’ maggiori
move così i Romani a prender l’ armi contro di
Mitridate nella Oraz. per la legge Manil. Ma-
iores veliri fxpe mercatoribus , ac navicai atortbus
injuriofius traclatis bella gefferunt vos tot ^ civtunt
Romanorum millibus uno mine io interfeklis , quo
tandem animo effe debetis ? Ed il Caia così.^con-
chiude la fua I. Oraz. per la lega : Quefi incli-
ta città a divino miracolo , e non ad opra umana
fimile , e tanto naviglio , e tanto , e sì guermto
Imperio del mare , e della terra , /owo opere e
frutti non di lentezza , nè di tardità , nè d ozio >
ma di travaglio , e di vigilie , ed’ affanno , ed
armi . Quell ’ arte adunque , colla quale i vojtn
nobili e gloriofi avoli f acquiftarono , ora la con-
fervi , e difenda . Noi per ’ certo , o vincendo , o
morendo la nofìra dignità riterremo.
S
I
§. Vili.
• % i ^
• > ’h
,, . \ -Xi4o'X
* * i
-. * 4 « * \ * * Ù V
• * ' ■ §, vnr< ' • ■
Dello Sdegno. *
. - » *
• * A
to Sdegno è un dolore concepito in Vida *deU
k profperità, di cui gode chi ne è indegno . Si
della quell 1 affetto, I. paragonando la fordidezza *
e viltà de 1 coflumi panati di quel tale colla pre*
ien te felicità . II. Mollandone la fua indegnità
a fronte del merito di coloro, che a lui vengonó
pofpotti^ Servefi di quell’ affetto Cantina preffo
di Salinaio per animare i fuoi compagni alla. con-
giura : Pofiquam refp< in pauCorum potentium jus ,
atque ditionem conceffìt , femper illis reges , te-
trarchie vettigales effe : populi , nationes y JU pendi à
pendere .*•' ceteri omnes , Jìrenui y ioni , nobile s , at-
que -ignobiles vulgus fuimus, fine gratin , fine . au~
cì or ita te y bis obnoxii r * qui bus Y fi refpé valer et y
formi dirti' efiemus . Itaqtie omnis gratta y potenti a t
honos divitia apud illos funt , a ut ubi illi vo-
limi : nobis reliquerunT peri cui a , repulfas , sudi-
cia , egeflatem • Qua quoufgue .tandem patiemim
fortijfimi viri ? Nonne : emort per virtutem prafiat y
quam vitammiferam y atque inhonefiam 7 ubi alie-
na Superbia ludibrio fuerts , per dedecus amitte-
re? &*c;. BeUiffima' poi in quello genere fi . è l’ oite
di Orazio contro Mena liberto di Pompeo :
■ ' - ‘ \ ‘ . ■ ' . .►
Ibericis perufie funi bus latus • >
- Et crura dura compede • ^
Licei fuperbus ambules pecunia / • * . ,
Fortuna non mutat genus .
Vide fine facram mettente te vìam
Cum bis ter utnarum toga r
Ut ora vertat huc Ó* bue euntiwn
Li-
/
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X 14* X
' *
Liberrima indignatio ?
ScElus flagelli s hic triumvtralibus
Prceconis ad fafiidium
Arat Falerni mille funài jugera ; '
Et Appiam mannis terit ;
S edili bufque magnus in primis eques
. Oìhonc contempi q fedet &c, . -
»
E preffo AJb. Lollio lo ftcflb Catilina cosi eccita
f degno contro di Cicerone : Pertacer degli altri , t
tfi foto y Cicerone , mi fe manifeflo , e attijfimo
ef empio , il quale qua fi innanzi a jeri in quefta*
città venuto $ di ciafeuna cofa mendico y e bifogno*.
fpi dappoi che i Magifirati hai ottenuto , tanta,
moltitudine di ricchezze qua fi in un ] momento hai.
radunate , che tutte le Colonie e Vii Ce di quefla.
Città appena /ariano a fufficienza a'.tuoi contrai-,'
ti y e fontuofi mercati y ec. Allofde&no viene itrfe-
guito Io /prezzo , che è un avvilimento che fi fa
di quella cofa * o perfona contro la quale fi par-
la. Tullio così dopo d* eflerfi fdegnato nella 2 .
Catilinaria contro la truppa infame de’ congiurati y
uè enumera le varie claui* e j>li ordini, di perfo-.
ne , di cui quell’ efercito era compofto , . lo deri-;
de , lo Iprezza, acciocché / Romani più coraggio-
samente vengano alla Battaglia*. E Mario preda
Salluftio così parla contro la . Nobiltà Romana ;
Bellum me ger ere cum. Tuguri a juffiftis ; quam rem
nobtlitas cegerrime tulit . Quceroy reputate cum a-
ntmts vefiris , num id mutar i melius fit : fi quem
ex ilio globo nobilitati r ad hoc aut aliud tale ne r *
gotium mtttatisy hominem . veteris prof apice , ac
muìtnrum imagi num , & nulliùs Jìi pendìi ; scili
city ut in tanta re ignarus omnium trepidet yfc*
flinet y fumat aliquem ex populo rrionitorem officii
/Ut • ' • ' v. '
; ' ' * c ; ' 5, IX,
X t4J X
I . ,
§. IX.
' « t
- ' *>
Della Manfuetudine »
' Allo Sdegno è contrarla la Manfuetudine 5 ep-
S ecò ella non è -altro che una mitigazione dello
elfo fdegno , la quale fi ottiene in varie manie-
ré, fecondo la varia indole degli nomini, ai qua-
li fi parla . Imperciocché alcuni fi placano colla
dolcézza , altri colle minaccio-, - altri col timore ,
come vedraffì parlandosi del collume . Getterai- .
mente però volendo eccitar quell’ affetto l’ Orato- *
re dovrà li Sceglier il tempo pii) opportuno ,
quando p. e. la pOrfona fdegnata è in allegrezza ,
oppure ebbe qualche fortuna , e in lei ledati fo-
no i primi bollori della collera » II; Servirli , é
porre fott’ occhio quelle perfotto , io quali boa
poflono dar fofpetto diófmieà ò violenza, p. t. la
donne, r fanciulli >- i fa eri roinifìri ec. III. “Mo-
ftrare che l’ offefa é fiata fitti nell’ impeto dèlia
collera, 0 per cefo, o imprudentemente, non già
con animo cattivo e deliberato» IV. Paragonato
i paffati benefici' del reo;, ed i meriti foni colla
picciolezza dell’ ingiuria arrecata . V» Cotìfcfljfé
finceramente il fello, e chiederne perdono } t fé
queftb non ammette fctlfa , dimofirare quanto fia
cofa gloriofa il dimenticar le ingiurie. Tullio co-
sì placa Cefare verfo Ligario : Ad fudiceni fìt àgi
folet ;fed ego ad p arem érti loquùt . Érràid , temi»
re feci , pcenitet i ad tlemtntìatfi tuatn confugto t
delitti vini arti peto , ut igne fiat oro. Si nerbo ito*
fetràtit arrogante^ } fi plùrimi, tù idem fèr opéfft
qui fpem deaifti. Ed Orazio cérca di placar Tift-
daride nell’ Ode XVI. Lib. I. coli’ attribuire ad ita*
cui nulla reiìfie, il torto fattole, e conchiude: ■-
** ' * Cent*
•
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X x.
Compefce ntentem . Me quoque ptBoris
Tentavit in dulci inventa r
Fervor* & in celeres iambos #
Mifit fwrenum . Nunc ego mitibus ,
. Mutare quaro trijlia i dum mtht
Fias ree arstàtis amica •
Opprobriis , animumqut r eidos 0 ^
Ed Alb< Lcillio parlando a CaxIo V. per la lib£
razione di Francefco I» Ma ecco il giorno del nfr
tal vojìro , Sacra Maefta , nel qkale^PpuMo fU
prefo il Re . £»#> <w *. ltet0 » W*
rio vi ricorda a dovere immanente metterlo tn lfc
farti , non volendovi in ciò fcofiare dalla ^ beiltjp*
ma, e lodevolijfma confuetudine de' Principi gran*
di , i quali nello entrare in alcuna città > . fanno
/abito aprire tutte le porte delle pngtont* ec, td
il Cafa per la reftir. di Piacenza : Di. età vi prie-
s* *1 i - f m jm /I m fa' T+mÌ a JO ' , à i
1 utttejc f e t /acri tuogff9 f c t® "•"o'v o . '
gli innocenti fanciulli , e le timide j ef paventati
madri di quefia nobile Provincia . ..Di f
f amente vt prìega la vojìra umile ferva e pguuo*
la... ed tl bambino che le tenere braccia ed in-
nocenti difiende ver/o V. M. ec.
, $ v •. X#
DelP Allegrezza
, /
Allorché ci fi rapprefenta qualche vicino bene,
l’ animo a quella immaginazione fi .commove , ed
tm tal movimento chiamali Allegrezza . Per de-
ttare in noi , oppure in altri quell’ affetto bafta
confiderai * o dimofirare la grandezza del bene
ìftef-
*44 - v
ifteflo o addato , o relativo al male , che fi vie-
ne a fuggire.. Così Tullio fi rallegra nella Ora-
zione contro Pifone alla contemplazione dell* ac-
coglimento, che ebbe nel fuo ritorno dall’ efilio *
Unus tilt aie s mi hi quidem immortala atis infìar
fuit y cum in Patriam redii : cum Senatum egre f-
Jum vidi , P opulumque Rom. univerfum : cum mi -
hi ipfa Roma prope convulfa fedibus fuis ad con-
fervatorem fuum progredì vi fa, ejl ; qua me ita
accepit , Ut' non modo omnium generum , atatum ,
ordinum omnes viri , ac mulieres omni fortuna ac
loci , fed etiam mania ipfa viderentur , te Sìa
ipfa , ac Tempia tatari Ó*c. £ nella feconda con-
tro di Catilina così eiulta per la di lui partenza r.
T andém al i quando , Quirites , j Z. C atilinam furen-
tém * audacia , fcelus anhel antem , peflem patti#
nefarie molientem , vobis atque buie urbi ferrurrt
fiammamque minitantem , ex urbe vel ejecimus , vel
e mi firn us , vel ipfum egredientem urbe proj ecuti fu~ y
mus . * Abiti , ex ce fu . evafit , erupit . Nulla jum
pernicies a monjjro ilio atque prodigio K > moenìbus
ipfis intra moenia compar abitur . E Pub. Scipione
preffo Aib. Lollio così efprfme il fuo godimento
per edere fiato confermato Proconfolo e per i van-i
taggi riportati dai Romani fopra de’ Cartaginefì c
I prò Speri avvenimenti , e i felici facce fi mi forn-
irne ni fideranno il valore , l* induflria , la fortuna ,
a perizia de* fol dati Romani ; e far annomi di tem-
po in tempo conceduti dalla bontà , e provvidenza
de ' medejtmi Dei , i quali oggi vi pofero in ani-
mo , che mi eleggejìe capo di quefia imprefa . E
pofciachè per /ingoiar -grazi a loro , le cofe noftre
al pre fonte fono a fai liete , e vanno tuttavia pro-
cedendo di bene in meglio , - e fendo/i già in Siri -,
Ita racqui/ìata Siracufa , prefo Agrigento » e f cac-
ti ati i nemici di tutta quella provincia , avendo
noi
■ ■**
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X 145 X
noi con tanta nojìra riputazione , riavuta la citrft
di Arpi , e [pugnato Capua , e .fatto ritirare An-
nibaie' negli ultirni confini della Calabria , dove
altro non cerca , che di poterfi a Salvamento con-
durre in luogo ficuro ; in memoria , e per grati-
tudine di tanti , e così il luftri benefizj , -.venite,
andiamo tutti con purità di cuore , con facrifizj ,
e laudi a ringraziarli devotamente , ed infieme a
; pregarli , ec. -
Non 1 è molto diverta V allegrezza dall’ ammi-
razione, la quale propriamente non è altro, che
una certa folpenfìonc dell’ animo , il quale, tutto
fi ferma ed è rapito nella confiderazione d’ una
cofa ffraordinaria ed infolita , e per il confegui-
mento d’ un impenfato bene • Cosi Cicerone ri-
flettendo alla fovraumana clemenza di Celare, che
non folo avea perdonato a’ Tuoi nemici’, ma re-
fluita a molti ed amplificata avea di più la v ioro
dignità , fclama pieno di meraviglia nella fuddet-
ta Oiraz. per JLigario * O clementi am admirabilem ,
atquè omni laude , predicanone , literis , monumen-
tifnue decorandam ! ' * * *, - • ,
§. xr.
• * ^ __
* Della Gratitudine •
E* la Gratitudine una volontà efficace di rime- .
ritare per quanto ila in noi gli ufficj , ed i rice-
vuti benefici . Per movere alcuno a quell’ affetto
conviene I. Dimoftrare la grandezza del benefi-
cio , che gli viene conferito . II. Ingrandire il
beneficio medefimo argomentando dalla pedona che
lo fa , a quella che lo riceve . Tullio così eccita
in fe fletto i fentimcnti di, gratitudine per i ber
nefici ricevuti da Cefàfè nella Oraz. per Ligario:
- Ciard. Elem, T, IL K * JV
V
. X‘I4* X
Sufcepto bello , Cafar , gefto edam ex magna pat*
te nulla vi coafius judicio meo , ac voluntate ad
e a arma profeflus fum , qua erant fumpta contra
te . Apud quem . igitur hoc dico ? nempe apud
eum , qui , cum hoc fciret , tamen me antequam .
vidit , rei public a r ed di di t ; qui ad me ex JEgy- .
pto Jiteras mifit * ut effem idem , qui fui [fem: qui
cum ipfe imperato* in toto imperio populi R. unus
efl'et, effe me alterum paffus ejl : a quo hoc ipfo
C. Fanfa mihi nuncium perferente , conceffos fa -
fces laureatos tenui quoti d tenendo* * putavi : qui
mihi tum denique fe falutem putavit reddere , fi
e am nulli s /poli a t am ornamenti s redderet . Ed
Enea predò Virgilio così parla a Didone eoa '
fenfi di gratitudine :
* $
O fola infando s T rojtc miferata labore * ,
Qua nos , relliquias Danaum , terraque ma -*
rifque # >
Omnibus exhaufios jam cafibus * omnium ege-
nos y
Urbe , domo focias 1 grate s petfolvere dignaf
y iVo» opis efi noflra j Dido : nec quidquid u-
bique efi ^ "
Genti s Dardania j magnum qua f par fa per
orbem ,
i
Ed Alb. Lollio inoltra il dovere che hanno i Ro-
mani d’ effer grati a M. Orazjo così dicendo .•
Quejla illufire 1 e glorio/ 'a Città , la quale col tem-
po f pero r che debba effer e di tutto il mondo Capo
t Reina , in pochijfime ore farebbe divenuta f chia-
va degli Albani : e noi faremmo flati sforzati a
laf dar e gli amati campii abbandonare le proprie
taf e ,/ fori 9 i templi y gli Dei penati , e final-
mente lajciar tutte le magnificenze , e grandezze
•- - * - - * di
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I
X 147 t
di Roma , ed andare ad abitare in Alba
qual maggior dolore , o più efprejfa . infelicità fi
può immaginare , non che . trovare di quefia ? Il
quale vicino , e manifefio pericolo , come tutti /ap-
pi amo è filato tanto grande y tanto fpaventevole ,
e pieno di sì gravitimi mali , che fiolo a penf ar-
iti #7 ror / àgghiàccia } e T animo fi fmarrifce .
Però coluti, che colla mar àvigliofia fua virtù da
tanti affanni y e mi fèrie rAe r/ foprafi avano , we
ha liberati , ?7o» all ’ eflremo fupplicio condannare ,
fna con divini , «f immortali onori infino al Cielo
èfaltarè dobbiamo ; kt
• • i - ' A . . « • ** 4v
‘ . §, Xlt
' ’ Dei Pudore
V 4 * . * • I
1 * • I -
lì Pudore oflìa la Verecondia è uri riferiti meri-
to dell’animo full’ appresone del danno che ne
fovrada alla fama. Dedali quell’ affettò negli ani-
mi béri nati dimodrarido lai bruttezza dell’ anione ,
la di lèi viltà > e l’ ingiuria che a le , alla fami-
glia, ed agli altri fi arreca ; e P ignominia inse-
guito che ce , ne potrebbe derivare . Tullio così
parlando in favor della legge Manilla* dopo aver
détto ai Romani : . Majores veftrì /ape mercatori -
hus ac navicul at ori bus injuriofius traElatis bella
j^efferunt : vos tot Romànarunt mi Ili bus uno nuncio
ini erf etti S f quo tandem ànimo effe depeti s ? fie-
'èue ; . i ì Iftdete , né ut il/is pulcherrimum fuit ,
tantam vobis imperii glori arri relinquere : fic vobis
turpijfiimurri fittj ili ita quod accepitis tUeri , de cori -
fervore non pójje .* E V èturia cosi predo Livio fa
rirrolfiré il ìuó. figlio Coriólario : Sine priufquatn
cómplexum riccipio , fetam * ad/hofierri an ad fi*
K 2 lium
»
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J
t\um venerimi cattiva materne in cajlris tuisfm.
In hoc me long a vita & Mx/eneSa traxtt
ut exulem te , . deinde hoflem vtderem ? Potinftf
populari hanc terram , qua te genutt atque aiuti i .
Non ti bi , quamvis infefio antmo & -minaci per -
venerar , ingredienti fines ira cectdtt . Non pam»
in confpehu Roma fuit , fuccurrtt , intra ma ma-
rna domus, ac Penate* mei fum , mater , con-
iux , /i&rifw >' Ergo ego' nifi pefenjffem , Roma,
non oppugnare^ : wftfihum haberern liberata
libera patria -mortua effem ? Ed Alb. Lo IO co-
sì fi sforza di far arroflìre 1 Romani delia fea-
tenza di morte proferita contro di M. Orazio :
Egli per rifpetto , ed amor, della patria , Jt get-
tò dietro le /palle /’ amore , e l rifpetto del /an-
gue proprio , ed effóndo di ciò -proceduto il g ron-
di fimo frutto , che ì proceduto, dove lodare , e
ringraziare, onorare infinitamente il dovreobono ,
lo vorranno punire ? A queflo modo m cambio dt
guiderdone lo pagheranno A\ ingratitudine? In luo-
go di premio gli daranno la pena ? ed avendo da
lui fi può dire ricevuta la vita , gli daranno la
morte ? O cieli ove *' intefi materna sì. grande
. fcortefia ! Chi farà quello di voi , genetofi Ro-
mani , tanto inumano , tanto ingrato , o tanto, cru-..
dele , che poffa non dirò comportare , ma pure a-
fcoltare una tanta empietà ? I fa/fi, fe aveffero.
vita e Sentimento ‘ fi Spezzerebbero in mille pezzi
per non vederla « c noi avremo il cuor sì ajpro j
sì fiero, sì crudo, che /’ efeguitemo? ec. -
I
,k 1 49 X
(
§. XII t.
W
t - / / ,. begli Affetti dijjbnuìàti i r ’ *
• * * . k
: * » \ *
fc' ^ ^ « * y ' » ^
Oltre i modi: fuddetti * per cui deflanfi nel curi-
te degli ascoltanti. :o, de’ Giudici i diverfi affetti
ttfcendo per così dire in aperto campo ad affalir-
li , vi fono ancora certe maniere, diurni ala te, col-
- le quali d y improvvifo l’Oratore occupa l’animo
- loro, quando meno fe T afpettano, Quello fi pub
; fare Ibecialmente in tre m°di /. . #k ‘-
I. Col trafportare : il cafo noftro iti altra perfò-
iia da. quella , f che vo&liam movère * Così preflb
il Boccaccio Gior, L Nqv . 7. volendo Bergamino
far arroflìre di fua avarhia Ciane della Scala, nè
. convenendogli riprenderlo liberamente per effer
, quegli un gran Signore , racconta un fatto deli’
jfihzte Gligni cotanto Amile aLcafo fùo, che M.
Cajne l’intende, e fi vergogna di # fua avarizia/.
. -Il* Col proferire a tempo certi motti piccanti,
t graziofamente detti , i quali vadano a ferire co-
lorò che ftoi intendiam di commovere * Così preflb
lo fteffo Boccaccio G. L h. 8, interrogato il Bor-
fiere da [Érminiò dè’ Gfiifraldi , uomo avariflìmo 9
che cofa egli potette far dipingere in 1 ima fua fa-
5 la, che non foffe : rtiài fiata veduta, gli rifpofe :
.Tateci dipingere la cortefià . ‘ * . 1 '
' III. Gol dimoftrare parlando giuntimi fenfi deli’
/ànimo nóftro . Quello fi efeguifce a meraviglia da
-Tullio, benché dà taluni piuttollo a vizio che a
* Virtù gli fi voglia attribuire. .Egli difpetto nel-
; le fuè orazioni palefa i fuoi fentimenti di equità ,
■- di giuilizia, d’amore verfo la Repubblica, e ram-
’ tóma i fervigi a lei preftati per affezionarli i cir-
* St * J’*" tà~
X i$o X
ladini, e farli perfuafi, che quanto egli dice, oon
può effer loro che di vantaggio. # •'
Tre .cofe per ultimo ha da avvertire chi brama
movere gli affetti • I* Di lafciar libero il cono ^
all’ impeto della paflìone , e per confeguenza di
non ricercar feeltezza di frali , o artificio di pa-
role , perchè in quello «afo è la natura fola quel-
la che deve operare e 1’ arte toglie fublto 1 a-
fpetto di verità alle cofe . II. Di commovere fe
‘Ileffo e' di procurare prima che fi feorgano m
’lur quegli affetti che vuole dellar negli altri, im-
perocché , dice Tullio 1 , non è poffibile di fare
che fi fdegni , odii , ami , o a pietà fi mova un
giudice, fe chi parla e colle parole, e co lenti-
menti,- e colla voce , e col volto , e colle lagri-
me ancora non dà fegno di una egual fonazio-
ne ( 15 ). III. Di non effer troppo proliffo nel
trattare gli affetti medefimi , ma di nfare varietà
nello ftile acciocché quelli facciano impresone,
" l’ animo avvezzo ad* un tuono di dire patetico
non fi fianchi , o non ne divenga infenfibile .
Ctsì Neque fieri potali, ut doleat is qui audit, *t,odenf ,
ut invidear, ut periimefeat aiiquid, utadfletum, mifencor-
diamque deducatur , nifi omws illos motus , quos orator ad-
hibere volet judici, in ipfo oratore ira pretti effe atque muftì
videantur. Neque facile eft perficere , ut irafeatur , cui tu
’velis iudex , fi tu ipfe id lente ferre videare, neque ut ode.
tir eum, quem tu velia, nifi te ipfum flagrante™ odio ante
viderit , neque ad mifericordiam adducetur , nifi ei tu fifjna
doloris tui verbis , fententifs , voce, vultu, collacrymatio-
ne oftenderis, Oe Orat. 11. 45- Summa circa movendosaf-
feftus in hoc polita eft , ut moveamur ipfi * Nam & tuttus
& ir* & indignationis aiiquando ridicula fuerit imitano, li
verba , vultumque tantum , non etiam animum accommoda-
verimus . . . Primum eft igitur, ut apud nos vakant ea , qu*
valere apud judicem volinnus ; affi ciani urque s antequam am.
^ere conemur. Quint , PI. a.
%
X tst X
-capo ir.
Del Coflume .
INFotf vi è cofa nel perorare non folo , ma in
tutte le azioni di noftra vita più valevole della
prudenza, dice Quintiliano; e nulla giovano tut-
ti i precetti , le di quella fiam privi (i) . Impe-
rocché , ficcome nè a tutti i gradi delle perfone ,
nè a tutti i luoghi, nè a tutti i tempi conviene
Io fteffo itile ; così la prudenza infegna all’ Ora-
tore il modo di adattare il difcorfo alla partico-
lar efigenza della fua caufa (2) . Quello dunque è
un gran fegreto : e chi ne faufare, può dirli con
verità Eloquente (3).
K 4 ' Par-
(1) Tllud dicere fatis habco , nihil effe non modo in orati-
do , fcd in omni vita prius confìiio ; fruftraque fine co tradi
cseteras artes, plufque vel (ine dottrina prudcntiam , quam
fine prudentia Tacere dottrinati! A ptare etiam oiationem lo.
cis , temporibus , perfonis effe ejufdero virtutis . Quint . £ 7 .
sn fin .
* ’ CO Quid aptum fi t , hoc eft quid maxime deceat in ora.
tione videamus, quamquam id quidem perfpicuum eft, non
omni caute , nec auditori, ncque perfori* , ncque tempori
congrucre oratìonis unum genus . De Orai. lì 7 . 55. Non e.
nini omnis fortuna, non omnis honos , non omnis aetas , non
omnis auttoritas , nec vero locus , aut tempus, aut auditor
omnis eodem aut vcrborum genere trattandus eft , aut fe n-
tentiarum ; fempcrque in omni parte orationis, ut virae,quid
deceat eft confidcandum : quod & in re d» qua agitur, pofi-
tum eft, & in perfonis, & eorum qui dicunr, & eorum qui
audiunr . Orato c. " j ’
CO Probabo primum cum, qui quid deceat videbit. Haec
enim fapicntia maxime adhibenda eloquenti eft, ut fit tem-
porum, pcrfonaruroque moderator. Nam necffemper, nec
apud o timer* nec coutra omnes,* nec prò omnibus, nec Q-
mnibus eoacnr modo dicendom arbitror . Is erta ergo elo-
qui*, qui ad id quodcumqne decebit poterit acctyrimó^re
Vi^ùom m , Tvt Cic . . , . . • : *
X 152 X
Parlando della Decenza che fi conviene allo fti-
le abbiam veduto , che V Oratore, e chiunque par-
la o fcrive dee aver tre riguardi . Il primo a fe
lleffo: il fecondo .agli uditori : il terzo a que 1 tali
ch’ei vuole rapprefentare . Del primo ne abbiam
detto ivi battevolmente , e gioverà folo avvertire,
che in tutto egli deve /are fpiccare Prudenza col
non dir cofa apertamente falfa , nè indecente^) ,
e rapportandoli Tempre al configlio di chi ne fa
.di pili per acquittarfi maggior fede : Probità dan-
do. ovunque legno di fua riverenza alle divine ed
alle umane leggi , e guardandofi di non correr la
taccia di frodolento o infidiofo, perchè allora per-
derebbe affatto il credito : Benevolenza mottrando
di parlare a vantaggio di chi afeolta , per interef-
farli vieppiù ad udire , e difporgli ad arrenderli an-
cora fu la fiducia , che fi ricerchi il loro bene (5)*
Non retta dunque a trattar in quello luogo che
del riguardo che V Oratore ha da avere agli udi-
tori parlando o fcrivendo fecondo il loro cottu-
me, «perche così il fuo dire riefea più grato, e
perciò atto maggiormente a perfuadcre ; ‘e di quel
riguardo che dee aver a que 1 tali eh 1 ei vuole rap-
prefentare facendogli operare , e difeorrere leeone
do ?
* • #♦ **'.4 y
« * # * * 1 .
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H I 11^1 l ì .1. I I — — — 1 1 ■■■ ■ ■ Jh
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• » » *
(4) Molte cofe non fono per fe ftefle Convenevoli , e le
divengono per le circoftanze ; e quefto non fi. può infegnar
co* precetti , ma vi vuole giudizio nel dicitore per faper co-
uofeere quando si, e quando no le fiefle cofe dire fi,, pofl’a-
no . Tullio peiò dice : Ne dedeceat ejì maxime vitandttm i
& de hoc uno minime ejì facile pisci pere non mi hi medo %
fed et i dm illi ipfi Rofcio , quem fspe studio di cere , caput
effe artis decere: quod tomen unum id tjfe^ quod tradi arte
non pojpt . De Orar. T. 19. v '
, C5y Tutto quello nella pift. 22, L. II. ad Attico diviene
lofegnato da Cicerone . Nane mihi & confìliis opus ejì , &
amore , & fide , &c . . *
X 153 X
-do 11 lor coftume, concioflìachè non farebbe mèn
'difetcofo fe egualmente egli parlaffe alla .prelenza
'di un Principe come 1 fi fa prefio di un contadino,
( che fe indiffintamente ad 'amendue daflfc * le ftefie
-Idee, ed 'attribuiffe imedefimi fentimenti .
1 In quella gaffa per tanto che un Medico dili-
gente prima d" intraprender la -cura di un infer-
mino , non dee lolamente iaperne la malattia , cui
fludiafi d’ applicare il rimedio* ma eziandio ha da
informarli della compteffione, del tenor di vivere
€ di tutto ciò che può influire alla falutq del ma-
lato ; così anche l’erator "prudente pra-
tico delle confuetudini , degl’ inflittiti degli affet-
ti , e delle inclinaziohi di coloro, a cui parla,
perchè altrimenti egli non arriverà giammai a per-
suaderli ( 6 )v Tullio perciò ebbe a dire che gli
affetti , ed il coftume olila la fcienza del cuore
Tono le due cofe che rendono l’eloquenza ^tnroi-
'rabile, e vittoriofa ( 7 ) . Ed in : fatti fcoperta che
noi abbiamo l’ indole i e T inclinazione di quelli ,
che vòglia tri pervadere * Tappiamo anche ufare dei
1 j .
- «É. ■*.,
». f. • » % «
' i 1
meZ'
♦ X - * .
> '■J
(6) Skùt" medico diligenti 4 pti u fq ua toner ur segro ad-
hibere medicinam, non folum morbus ejus, cui mederi vo-
ler, fcd etiam confuetudo vaientis, & natura cordóni co-
goofcenda e/t ; tic e^uidem rum agaredrÒT ancipirem caufam ,
& gravem ad animos judicum pertraUandos , omni mente in
ca cogl tatione , curaque verfor,"ut odorer, quam fagaciffime
poffim , quid exiftiment , quid expeftent , quid velint , quo
deduci oratione factilime po/Te videantur . De Orat. 77 . 44.
Loci Oratori prode/To po/Tunt qui eli verfàtus in rebus , vel
ufu, quem a>tas auditione , cogiratione , & Audio aflert .• Si
erit idem in confuetudine Civitatis, in excmplis, in inAi-
ttflrs , in omnibus voluntatibut civjum fuórung hofpes, non
multimi ei loti proderunt i Uà ex quibus arguraenta prom un-
Tuf »: De Orat. I. *• - » 1 * . > . • • ;
. (7) Duo fune quae admirabilem eloquentiam frciunt v Qio»
tus & mores . Ivi. " ' .« . -
c
X 154 x
mezzi più opportuni ai noftro intento, e trovan-
doli favorevoli , balta foltanto che ii .fecondiamo
piegando le vele colà dov’ effi tendono ; fe noi ci
avvediamo , che eglino fono contrari , o affatto
indifferenti , allora fiam anche pronti a ricorrere
a tutti quegli ajoti , ed artifici , che 1’ arte ne fom-
miniera, ove manca il foccorfo della natura (8).
Varia effendo adunque l’ indole degli uomini ,
fecondo la diverfità della lor condizione , del gra-
do , dell’ età ^ del fello , e della nazione , breve-
mente ragioneremo del coftume d’ ognuno in al-
trettanti diftinti paragrafi .
Del Coftume de % Potenti .
• • * . • • > ; .
L’ uomo potente è amante di nobili e generofe
imprefe : è gelofo di conservare la fua dignità : è
d’ animo grande e magnifico * ma non imperiofo •
L* Oratore pertanto la vincerà colla dolcezza*
col ^proporgli immortai fama, colla magnanimità ,
ec. Così Tullio s’ infinua nel cuor diCefare par-
lando a favor di Ligario : e così anche fa Àlb.
Lollio parlando a Carlo V. per la libcrazion di
Franceico I.
* * ) . ,
/ »’ f * 4 » * f ‘ 1 # » « *
§. II.
) .
1 ■ ■ 1 - —
(8) Si judices fe dant , & fua fponte, quo impellimus in.
clinant, atque propendunt , acci pio quod datar , & ad ìd.
linde aliquis flatus oftenditur, vela do . Sin eft integer , quie-
tufque judex, plus eft operisi font enim omnia dicendo «x-
citanda , nihil adjuvante natura • De Or ah }f* 44*
\ *
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X 155 X
* . \
— » i » • « • •
§. ri. .
Del Coflume de' Nobili.
i
<
E* ia Nobiltà bramofa di gloria , e d’ efier nel
mondo tenuta in pregio . D’ ordinario poi è fu-
perba , e fprezzarrice degli inferiori , è delicata
quando trattali di onore ; Epperò chi parla deve
porre fott’ occhio all* uomo nobile tutti que’ mo-
tivi , che poflòno dettare in lui quelli Pentimenti
di onore e di gloria , e guardarli di non metterlo
a paro con perfona a lui di grado inferiore.
§. III.
Del Cojlime de Ricchi •
' . * V
Sono i Ricchi Toperchievoli ed orgogliofi; bili-
cati perchè nodriri in mezzo ai comodi , è gran-
diofi nelle fpefe, concio/Tìachè amino di oftentare
le loro dovizie. Con elfi adunque conviene ufar
umiliazione . fecondarli nelle onefte voglie , e lo* •
darli nelle loro fpefe, e ne’ loro refori , quali che
jfoffero i più beati della terra .
. ■ . i » . . i t « . *
§. iv.
« * N
Del Coflume dà Plebei * ‘ v
\
Il plebeo è poco curante di fama,, e -di ono-
re : cerca folo ciò che gli può elTer ai vantaggio
o di follazzo . E' d’animo vile, e piccolo , fo-
fpettofo, vendicativo, inftabile , ignorante. Per-
ciò l’ Oratore deve convincerlo dimoftrandogli il .
fuo utile o il piacere ; non tanto alando le ra-
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X I5<* X
gioni , quanto il timore , le contumelie * e le ttiU
mede y e ricorrendo in óltre agli efempj o veri
o favoloiì ( 9 ) .
* ' ' ,
§. V.'
f ■ • • • t -, <•*•»» > j *'
t ' t '
Del Cqflume de ’ Dotti a
* f t • 1
* ■ % « ♦ * 1
I Letteràri conofcono il ìor fapere , ed amanfo
la gloria * fono piuttofto iracondi , e non voglio-
no rifar deprezzati : fono leali e /inceri f ed al>-
- borrifeono ogni battezza o viltà. Chi dunque de-
ve parlar ad ricorderà di lodarli, roode-
ftamente, di convincerli coll’ on erta e colla ra-
gione . Sarà breve nella fpófizion delle cofe, per-
chè rili prontamente intendono ; e per ultimo li
guarderà da|t’ irritarli e propor loro ciò che con-
tenga motivo d’ interrite , o che fenta di eofa
tuen nobile e virtuofa (io) * . ’ ' ‘ -
* ► * r 1 l
. • §. VL •-•••
%
r »
» , y *
/. Del Coftume degli j4ppa (fionati < 1 *
Qualunque ella fia la pattfone, che occupa .0
cuor dell’ uomo , ne altera per tal modo i feati-
’ ! • ' men-
r M
— .
( 9 ) Àpud indoAos irhperkofque * frutta* , emolunienta 4
voluptares vltltiodcfque dòlorum proferantur : addantur et-
iam contumeiise atque igaominias . Cic, Partit. Macrob. Sa -
tur. VlW 4' : V*‘* * > v* '
♦ ' (io) Quoniai» itoti ad veritatem foluin Ted etiam ad optato-
nes eorum qui audiùut accommodanda eft orario ^ Hoc primum
loteHigamus homkium duo effe gertera ; alterarti indoflum
«grette , quod anteferat femper urrlitatenr honeftati : alterutnr
expolitum quod rebus omnibus dignitatem anteferat. . . A pud
liomines bene inftitnros plmirnuiri de laudò & hoaeft'-ate di-
<emus . Cic, Partir, Orai / *, *• *
s
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X 137 X
menti , che gli rapprefenta le cofe Tempre mag-
giori di quello ,, che effe non fono . Vi vuole
perciò molta deftrezza a pervaderli : conviene ge-
neralmente moftrar loro con placidezza la veri-
tà ; non affalirgli impetuofamente o con roburte
invettive , perchè allora lì corre periglio di pre-
cipitarli : lafciar ancora , che tratto tratto fi sfo-
ghino , ed amorevolmente ribatter Tempre le lo-
ro ragioni .
1 V * * ^ ,
Del Coflume. di Giovani « - t
» » • *
I Giovani , dice Arirtotelè , fohq incollanti ,
iracondi . e nc» foffrono d’ effer vilìpefi . Ama-
no di fovrallare agli altri:' non curano il dana-
ro : fdegnano d’ effere ammoniti : credono facil-
mente, e fperano Tempre bene ,' perchè non «an-
no esperienza del mondo . Sono ancora coraggio-
fi amorevoli degli amici , prefontuofi , compaf-:
fionevoli, ed in coTe di niun rilievo trovano
bene fpeffo motivo di trattenerli , 1 o di prender
follazzo . Per vincerli convien dunque metter Io-;
ro dinanzi il punto d’ onore , I’ emulazione , la
gloria . Bifogna dertarli coll’ animofità , co pre-'
' mj : far loro apprender i pericoli » e le disgrazie
che poffono fopravvenire . . ' ' . ... - ; !
. ’ . ‘ '• . §. vnr. ” • •• • <
• * . • i * !♦
, t , . - * V .y - /
Del Cofiume di Vecchjt. » : . ' -t «*
4 . * * - *> ^ \
- .
Sono i Vecchi di coltomi affatto opporti alla
Gioventù , perchè 1’ efperienza di molti anni gli
ammaeflrò nelle umane vicende-, Si lamentano
v ogni
*
V
• X;h#X '
d’ ogni, cofa temort di tutto : fono avari , fofpef-
tofi , dubbipfi , di poco animo, ed amatiti folo
de’ propr; comodi * .Vogliono effer riveriti : rac-
contano volontieri , c godono , che fi applaudi-
sca a quello , che hanno operato ne’ tetripi di lo-
ro gioventù. Amano la vita Tempre maggiormen-
te, quanto ne fon più vicini al termine; è fon
meno fufcettibili degli affetti veementi , perchè
hanno perduto il fuoco, e l’impeto giovanile w
Se voglionfi adunque perfuadere convien accre-
. fcer i loro timori , fecondarli nelle loro opinio-
ni , accarezzarli , e convincerli coi motivi di fa ■>
jote , o d’ intereffe
- - t
* • < ‘ +
, §. IX,
ojìum delle Donne e
; ' <
A * 1 » , A è 0 % •
-.Di Inai natura fa ; Donna è d’< ingegno fottifey
. accorta Scaltra , ma volubile ed incollante .• . A-
aaa , e loda più del dovere fe.fteffa : è loquaci ,
e timorofa j ma più facile degli altri allo' Sdegno »■
e vendicativa . Siccome poi è fornita di fentimen-
ti più delicati ,• così ancora fi' commove più di
leggieri a pietà , ed a conceder perdono Con-
lfera pertanto colle Donne molèràre (lima del loro*
wffo , e delle loro perfone : ufar dolcezza nel pér-
f crederi e con ragioni facili e chiare,- e molto più'
cogli affetti : non far loro aperta refillenza , ma
fìnger di fecondarle , e delira mente poi conviti'- 4
cerle def Suo inganno Senza 1 mai perù offendette y
o molìrar di volerle Sopraffare .• ...
I
, Del Coflume delP uomo per ragion della :
. j Nazione , o del Secolo «
• # - 4- * '
»« , , , , ♦
' : Il Genio delle Nazioni è diverfo , come fon di-
verfe le lingue • Una ama la femplicità , ed ab-
borrifce qualunque vezzo : un’ altra vuole folo
millerj , maeltà , e cofe maravigliofe : quella cer-
ca il bello, il brillante, e fi diletta ai penfieri
vivaci , e di gioconde immagini ; quella è tutta
nerbo al contrario , e gravità * Il perfetto Ora-
tore pertanto ha da aver l’ arte ancora di adat-
tarsi al genio de’ popoli , a cui egli parla . I. Ad-
unque fi uniformerà alle maffime del Governo »
alle quali i fudditi facilmente s 1 accordano . IL
. All’ indole propria della nazione , e allo fpirito
fuo predominante (u)* IIL Al gatto del: fecolo,
a cui fe voleffe opporli , farebbe riputato ridicolo,
E fe quello gullo è depravato potrà correggerlo ,
e lludiarfi di parlare nella miglior, maniera , ma
non mai fcollarfene affatto , per non fare che gli
. - ^ . udi-
• %
• • '
— - - - - --- — - - -- — —
• , k * ' / * ^
* * -
Cu) I Tedefchi p. e. fono fchiettl, forti , coraggio^ an-
sile uè* maggiori reticoli, veri amici, e affai ferrai nelle lo-
ro rlfoluaioui . I Fràncefi fono umani, civili, liberali y bel-
li cofi , pronti d’arrimo nell* intraprendere le imprefe diffici-
li, impacienti della dimora, e affai vaghi di co fe nuove.
Gli Spagnuoli fono collanti, confederati , tolleranti, onora-
ti , e da non poterli condur giammai a commettere alcuna
viltà. Gl’Italiani fono ingegnofì , di gran mente, di grand*
animo, diffimulantl, e indugiatori. I Fiamminghi, e gli
Olandefì fono (inceri , di retta ferma , che reggono alla fa-
tica, moderati, e pazienti ec. Boccacci# Cìor, Pii, Difc. 4*
Dccam .
X I6p X
uditori V afcoltino- di mala voglia , o gli volgano
a un tratto con difprezzo le, Spalle. ( .
Per ultimo fe l’Oratore confidererà la propria
età, il Tuo grado, V opinione che di lui corre, il
tempo , il luogo , e la circofìanza in cui parla , la
diverfità degli uditori e per V età e pel feffo, e
- per le loro fortune , e pei lumi di cui poffon effer
dotati, vedrà che gli -è duopo ufar vprie maniere
d’ eloquenza per mifurarfi a norma della loro ca-
pacità, e de’ loro coftumi (12). Così effendo egli
giudiziofo intenderà per fe fteffo non effervi cofa
più ftolta quanto il rapprefentar gli oggetti, piti
grandi del dovere , prènder un tono di magnifi-
cenza in cofe piccole , affettar grandi efpreffioni.
in umili foggetti , far il bello fpirito col baflo
popolo, voler effer impetuofo e patetico in argo-
menti che noi richiedono , opprimere con manie-
re veementi uditori di fpirito debole e limitato,
e finalmente* pretender d’imporre a perfone di
capacità e carattere non effendofi ancora meritata
una certa (lima ed autorità (13). ;
— r capo nr. ; '
" Ì ' 1 * ' •
' — * * * *** • • *
Delle Qteejìioni .
Il perfetto Oratore deve effer abile, e pronto
a parlare intorno a qualfivoglia argomento . - Ora
tutte quelle cofe , che a lui poffono fomminiftra-.
■ ' • ,
(li) Refert edgnofeere qui firn audientium mores , que pu-
bi i^t rectpta perfuafio .. Quiot. I. 3. Inft. Conditione tempo*
rum ac diverfitate aurium formanti orationis effe mutandam .
Quìnt. Dial. Orat. .
Ci>) Rapia Reflex, fur i' Ehquence §. 6. x
X T6i x
I
re matèria di diré, noi le intendiamo fotto que-»
fio nome di Quelìione , che propriamente non è
altro che una proporzione dubbiota che nafce dalla
ilìanza e dalla contraddizione di que’ che difputano
fra di loro. Primieramente dunque le queftioni o fo-
no generali, e diconfi Tefi , o fono particolari, e
diconfi Ipoteft . Le prime, non fon limitate a verna
tempo, o luogo, o perfona, p. e. E' più utile la pa-
ce , che la guerra . Le feconde fon rifirette a cer*
te determinate circofianze, p. c. A noi qne]V an-
no è più utile la guerra , che la pace (i).
; Tutte lequelìioni inoltre s’inftituifcono a qual-
che fine; laonde hanno per ifeopo o h Cognizio-
ne 9 o V Azione . Quelle non tendono ad alrro che
ad informarci , e a feoprire qualche verità ; que-
lle mirano a farci operare , o ad intralciare al-
cuna operazione (2) . , Così fc fi propone a de-
ciderli fe movafi il Sole 0 la terra , quéfta farà
queftione di pura cognizione ; ma fe fi proporrà
a di-
T
00 Qu*ftionum duo funt genera.* alterimi infinitum,
alterum definitum. Definitimi eiì , quod Grsci,
nos caufam . Infinitum , quod j] |{ appellane, nos pro-
pofirum polfumus nominare. C ic. Topic. Duo prima gencia
quasfiionum, in qutbus eloquenti^ verfatur : unum infinitum,
alterum certum . Infinitum mihi videtur, in quo aliquid ge-
neratiti] qu*reretur . Certum autem in quo quid in perfonis
& in cohftituia re & definita .quaereretur . De Orar, II. io.
Quint. III. s»
(Ó Quseftionum autem quacumque de re fint , duo funt
generai unum cognitionis , alterum atHonis . Topit. A ut
ipfa cognitio rei , feientiaque petquiritvr, ut, virtus fuam
ne propter digniiatem , an propter fruftus aliquos expeia-
tur i aut a^endi confilium exquiri/ut , ut fit ne fapienti cav
pelfenda refpublica . , De Orae. III. 19. Abbiam lattiate altre
diviuooi o perchè, fon da fe lìcite chiare, come la diverfitì}
della queftion principale, dall’ incidente , o perchè fon arte
/oJo a produrre maggior, coufufioae , • 9 ' .* ...
Ciard, E lem . T. II,
1
1
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X IÓ2 X
a dimofirare doverfi perdonare al nemico y la quC* *
ftione farà d’azione.
Di qualunque fpecie elleno fiaoo poi le queftio»
ni) fi devono ridurre a qualche punto principale,
dimofirato il quale* lacaufao in tutto* o in par-
te refti decifa; e quello dicefi Stato della queftio -
ne . Quello Stato adunque * che nel genere giudi-
ziale ipecialfflente fi manifefta , non è altro che
quel punto, e quella contefiaziortc* che rifulta dal
primo contrailo * che fra di loro infiituifcono T
accufatore e il difenfore j olila quella propofizio-
ne che l’uno o l’altro s’ affarne a ditnoftrare nel
fuo ragionamento (3); propofizione ancor dub-
biofa* ma che in breve determina il punto del-
la difficoltà che fi fottomette al giudizio * Cosi
gli accufatori di Milone dicono: Milone dee mo*
rire per aver ucci/o un cittadino Romano è Tullio
rifponde : Non deve egli morire perchè uccife un
ingiuflo aggreffore* Lo fiato dunque della quiftio-
ne qui fi riduce a vedere : Se cada f otto la pena
di morte chi ammazza un ingiuflo aggreffore * o
no. Cefare preffo Sallufiio dice: I compagni diCa -
ti lina non fono da punir fi colla morte * perchè fon
cittadini Romani . Catone rifponde: Si devon pu-
nir colla morte * perchè fi fon ribellati alla patria*
Lo fiato della quefiione farà dunque di vedere :
Se un cittadino Romano ribelle alla patria goda
ancora i privilegi della legge Porica 0 no*
Quattro pertanto fono i gradi offrano gli fiati *
a cui
.CO Statum quidam dizerunt priitlam caufarum conflitf io-
ne m : quos rette fenfi/Te , parum elocutos, puto. Non eft
«nim flatus prima conflittio ; fed quod ex prima conflimo-
ne nafcitur . id eft genus quseitionis • . Status cauf* quod
& Orator precipue fibi obfinendutti , & judex fpe&andum ma-
xime iutelligit; in hoc cairn wuf* confiflel . Sjtint. HI. 6.
*
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/
. .. . X 163 X . .
^ * - I . ► • ^
à cui una queftione fi può ridurre. Imperocché L
o fi cerca della verità del fatto fé è vero o no j
e quello chiàmafi Stato di Congettura i Ili o fi trat-
ta della natfrra è condizione del fatto fletto fe è
giuflo o ingiallò * e dicefi Stato di qualità . III.
o fi difputa Alila impofizione del nome e fulla
tlatte in cui il. fatto devefi riporre, e chiamali Sta-
to Definitivo (4) ; IV; o finalmente fi tratta della
maggiore o minore grandezza o reità dèi fatto ,
dicefi Stato di quantità (5) ; Così fe 1 ’ Oratore
fi allume a provare! Che Milane abbia, 0 non ab-
biti uccifo Clodio i la fua caufa farà Congetturale:
Se non impugnando che T abbia uccifo * follitne:
Che Milane non deve éffer punito per r uccifione
di Clodio perchè ammazzo un irtgiujìó àggreffore j ,
la Caufa farà di Qualità; Se poi noti potendo ne-
L z
ga-
rr
^4*. Dello fiato d*l quantità Tullio non né parla, ma ne fa
menzione Arinotele . Per altro febbene qualche volta po 0 a
ridurli allo flato definitivo producendo imendue in foft anaa
io fìeffo effetto ; pure non. e inùtile il diftingùerlo .
(5} Cognitionis Qhaeftionés triperrit* fune, cum an Ut ,
£ut quid fìt, aut qua'e fir quèritur . Horum primum confe-
ttura i fecmliuixr definitiofte, tertiuih juris & injuriae diflin-
Oione eaplicatur .. Cic . Topic, Cum fatti controversa eli ,
quoniam conjetturis cauta nrtaatur , conflitutiò conjettùràlis
appeliàttfr . Cum atttem nomini* , quia vis vocàbuli definien-
da vcrbis eft, conflitutio definitiva nominatore Cum vero,
quali* tic res, qusèritur, quia de vi & dé genere negocif con-
troversa elt, conflitutio generali* v òcàtur . Ot Ini;. L Aat
ita Confiflendùm eft, nt quoti objicitur fattutn neges , aut il-
luda quod fattuni fateare , neges eairt vim habere, atque id
effe, quod ad Vertati tìs crittiinatur . Aut fi neque de fatto,
nequè de fatti appellatone ambigi pote.it, id quod arcuare,
tt*ge* talè èffe , quàlé 1 Ile dicat , de rettum effe , quod fece.
fiS co nc ed end atti ve défendas , . ita primus ille flatus & quali
conftiftio Curo id verta rio ccmjetfura qu ad atti : fecundus defi-
nitone, acque defcfiptiotte verbi: terttus acqui & veri & re-
tti & humani ad ignofeendum deputatone trattandus eft.
Orai, Persia V, Oc Orai, ITT. 19. Or. n . aoa.
%
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X ió4
gare edere tale omicidio un véro delitto, difeecJe-
rà folo , che non fi deve mettere nella cl affé degli '
tffaffin) /’ ùccifitene di Clodio , la Caufa Tara De-'
Unitiva*. . Se finalmente convenendo’ le parti fulla'
definizione del delitto 15 difputerà fqlo falla drlur
gravezza : Se V uccifione di Clodio fia omibidi#
femplice y o proditorio , la Caufa farà di Quantità.’
L’Oratore dimane deve procurare primieramen-
te , fe gli è poifibìfeY di ridurre la fua queftione^
allo fiato di Congettura j poi a quello di Qualità J
poiché,' quand’egli giunga, a ben dimoftrare if
fuo affunto , nell’uno ò nell’ altro cafo può total-
mente liberare il reo. Che fe egli dalia necefiltà
trovafi obbligato a non poter oftare pienamente
all* avverlàrio ; allora deve pattare allo fiato De-
finitivo , per cui fe non potrà Tempre toglier del
tutto il fuo cliente dalla pena, almeno ne lo fal- #
vera in parte. Finalmente quando la colpa fia co-
sì evidente , che nulla negar fi poffa di ciò che
dall’ avvedano viene oppofio , tenterà almeno dì
ricorrere allo fiato di Quantità per diminuire pii*
che fia poflftbiTe la gravezza delia colpa , e confe^
guentemente anche la pena. ■* 4
' Provali una caufa di Stato Congetturale cacati-
do gli argomenti dalla caufa , dalla per fona * e
fial fatto (6). Cosi Tullio * : ficcome abbiamo di-
inoltrato altróve Quella difesa di Milone Compro-
va edere fiato Clodio non già Milone i’ infidia-
tore dalle congetture della caufa , perchè Clodio
già da gran tempo odiava Milone, f e*dato a v$à
indizi delia fua efpretta volontà > d* ammazzarlo :
* ■— —
. , , » c-
A
, , i, — t— ,
i K *y wU%*i|5***» *• l
» *
coiti confettura igitur accusatori hmc duo prima fuot ì
Caufa , Se eventus . Caufam appello rationem efficienti ; evea*
tìun i4 ^uod «ft effettuai* Cic. Partii. Orai***»*-'
v. 1 .vera
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perche dalla al lui morte fperava grandi vantaggi ?
toglieva di vita colui che lo teneva a freno, e fi
apriva la lirada ad opprimer più facilmente la Re-
pubblica, e perchè finalmente fperava <ìi pattartela
impunemente * come eragli riufeito in tanti., altri
delitti Da ‘quelle >4 deiia Perfona > perchè Clodio
era .Tempre fuco avvezzo a far violenza a tutti i
buoni,:.. perché era Tempre viffuto da iniquo , étf
ufo èra a trattare falò con federati . Da quelle def
fatto per r fe circoftanze tutte del;iiiogo^ del tem-
po, e della maniera colla quale incontrò, è ven-
ne alle' mani- non Miione 17) „ ^ r /
r . Nelle caufe di' Stato ci qualità , 6 fofiìerifi af-
folutaroente , che l’azione era lecita e grulla; è
quello fi* prova colla legge naturale, o. conile leg-
gi civili ^ o cori le confuetudini *6 con T equità *
i patti , ec. o fi fofiiene .come decita in quella da-
j|a circottanza , dimoftrando a cagioh , eferhpio ^
che de*, due mali duopo.era ad uno appigliarli ; o
yimQverido anche da fe la colpa , e la caufa , ftoii
iLdeiitto; o finalmente"mollrando d^ettere fiato ai
ciò sforzato dalla * necettìtà > dalla violenza altrui y
dal tintore, o-trafportato da giufto sdegno .
Le caufe di Stato Definitivo fi, dimollrano fpe-
cialmente arrecando un’efatta definizione della ,c 9-
4 -r . r /« ; C l
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(7) Quello che qui fi dice delle congetture cototrarié,
cafì per I’ óppofto delle congetture vantaggiofe ,, q^uand
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dii
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qusdam figna preteriti, & quafi impre/fa fatti yeftigja v ^iraer
quidem vel maxime fufpicionetp niovent, & quafi tacita fune
crimioum Teftimonia- .. Partit, Otat. come p. e. fe uno vierf
colto in’ fuga fpr.uZzato di fangue in tempo, che refta uccifò*
un uomo'; da ciò fi può pigliar congettura eflert»e r egli iterò’
Pucci fòie .>
% i 66 x
fa o del fatto fu di cui cade la quefiione ; e que-
lla in feguito fi illuftra con efempj , i quali prò-
vino , che in fomiglianfi cafi in uno piuttofto che
_ fn altro modo è flato definito . Nella Orazione a
favor di Rabirio così Cicerone concede all’ av-
verfario Labieno , che Rabirio abbia prefe Je armi .
contro di Saturnino; nega però efler quello un
' delitto di maellà ; e lo dimollra col far vedere , e
col definire eofa fia delitto di Maellà . In quella
S er Cecinna poi fi fa quiftione , fe balli 1’ efiere
ato coll’ armi atterrito dall’ invadere un fondo al- .
trui per acculare alcuno di violenza , o fe di piò
fi richieda che violentemente il padrone ne fia fia-
to dal poflelTo (cacciato ; e ciò fi determina colla
definizione dell’ azione de vi , _ _
Per dimollrare finalmente lo Stato di Quantità
fi efamina la cagione che molle il reo a far il de-
litto , la quale fe è lieve , aggrava la di lui col-
pa : fi mette fott’ occhio il danno da lui arreca-
to , l’ ingratitudine , la qualità dell’ offefa con tut-
te le circoftanze che la polfono prefentare mag-
giore , o minore : Ja temerità onde fi violò la leg-
ge , o per lo contrario 1’ inconfideratezza , colla
quale fi cadde nell’ errore . Così Tullio nella O-
raz. per Ligario confelfa che quelli anche fia reo
preflo di Cefare; ma però intende che fia fcufa-
bile il di lui fallo , perchè feguì un partito ab-
bracciato da tanti nomini illufiri . E Cefare pref-
fo Sajluflio non nega che i Congiurati fiano degni
di caftigo , ma vuole che non s’ imponga (oro una
- pena ftraordinaria ; e Catone all’ oppofio foftiene
effer il delitto loro sì grave , che efpiar fi deve
colla morte (8 ) ,
♦ • ( l | • ^ 4 f # * #• |
(8) Un nitro Surto ancora, die Twist ivo .6 nomina,
vrcn
Digltlzed by (jjogle
X 1&7 X
Tutte le queftioni poi che inflituire , c trattar
fi poflono da un oratore, di qualunque lpecie , ò
flato elleno fìano , fi riducono al genere Dimo-
Jirativo , o al Deliberativo , o al Giudiziale . Le
caule Ditnoftrati ve fono quelle , che contengono la
lode , o il biadino d’ una cola o d’ una perdona
fecondo le fue virtù , o i Tuoi vizi (9) . Le Deli-
berative rifguardano la perfuadone , o la diffuafio-
ne d’ un’ affare per rapporto ai vantaggi , o ai
danni che può arrecare . Le Giudiziali tendono
ad acculare o a difendere alcuno fecondo la §iu-
ftizia , e l’equità (io). Le prime fi riferifeono al
predente ed al palTato : le feconde rifguardan folo
il futuro : le altre foitanto ciò che già è accadu-
to (11). Di tutti e tre quefli generi di caule noi
parleremo in feguito didimamente ,
• L 4 AR-
vieti riconofciuto e da Tullio, e da Quintiliano» Quello
però non nafte dalla caufa propriamente : ma le è affatto
eflrinfeco ed accidentale; nè in efTo trattali della qualità o
Ingiuftiaia del fatto, ma della femplicc legalità dell* azione %
laftiandofi da parte il punto della queftion principale • Si
ricorre a quello Stato Traslativo, allorché non potendoli in
verun modo follare o difendere il reo, fi cerca di provare,
che l’azione iilituita è irregolare o per l’inabilità dell'at-
tore, o per cagion del reo, o per l'incompetenza dei giu-
dice, o per rapporto ai tempo, alle leggi, al delitto, alla
pena , ec.
(9) Omnis vis laudandi , vituperandique ex his fùmetur
Virtutum , vitforumgue pàrtibu*. Partita Ota% % *
(10) Tria funt genera caufarum, judicii , deiibetationis ,
laudationis , . . . judicii finis jus : deliberando fini* utilitas :
laudandi finis honeflas . Topic. V. de Ino» Ih OH Or at, /. 3 1.
ad Htrcn. /. j.
(pO Omne Oratoris officium ant in judicitt eli aut extra
judteia , Eorum de quibus judicio quaerirur , manileftum ge-
uus eli : ea quse ad judicem non veniunt aut praetcrirum ha.
bent tempus aut futurum . Pretèrita Uudamus aut vitupera,
mus ; de futurìs deliberamus . Item omnia de qaibus dicen-
dum clt aut certa fint itecele eft, ant dttbia» Certa, Qt cui.
que
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ARTICOLO I.
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<, < • ♦
Del Genere Dimqftrativo .
T . ✓ . • : ** * ' • . x*. ‘ - .* -
utte quelle Orazioni , nelle quali trattafi di
lodare , o di biafimare qualche perfona , o quaL
che azione , o altra cofa , fi comprendono fotte il
imim
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* % : * » # t
que eft animus laudat aut culpat: ex dubiis partim nobis
ipfis ad ele&ionem funr libera , de his deliberatur : partim a-
liorum fententiae commilTa, de his lite coittenditur . . . . Eft
Igitur unum geNus quo laus ac vituperano coptinerur, fed
eft appellatum a parte meliore laudativum : idem al i i detnon*
ftrativum vocant . Alterum eft deiiberativum . Tertium ju-
diciale. Quint. Ili . 4. . , ; •„ y
CO Demonftrativum eft, quod tribuifur iu alicu;us certa
f ierfonae iaudem aut vituperationem • De trrv . 7.^ Ad tleren *
• Si pofTono lodar le beftie, le città, i fiumi, le cafe *
«c. , e tatto riduce!» a quello genere. ,
*
i
genere Dimofirativo , che da’ Greci fu detto ive*
S'ux.TiTtèy (i) • Siccome dunque in quelle caufe folo
fi ricerca di far comprendere la natura , e ie buo-
ne , o cattive qualità della cofa o della, perfona ,
che pigliali a lodare , *o a biafimare, nè il ragio-
namento tende ad alcuna azione degli afeoltanti ;
perciò è neceflario die 1’ Oratore in effe piti che
altrove fi sforzi di guadagnarli la di loro- benevo-
lenza , perchè egljno.'non hanno a giudicar d’ aL
rro , che della di lui abilità ..
Cinque fono pertanto le generali avvertenze ,
che devonfi avere nel genere Dimoftrarivo, I. Che
tanto le lodi, quanto i biafimr fiano veri e ben
fondati , per non renderli - ridicolo , e per non per-
der il credito colla bugia e la fallirà .. IL Che le
lodi fiano proprie di quello, a cui s r applicano *
non già comuni ad altri ancora * HI. Che le a-
3
J
i
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i
f
c
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Digitìzed by Google
iiofti elle fi lodano non fiano già picdole 9 é df
f oco pregio ; ma bensì grandi e rimarchevoli (2) .
V. Che il difeorfo fia uniforme a quella opinio-
ne , che corre pretto di tatti , e che fi lodino, ,0
biasimino quelle cofe appunto, che di lode o. di
biafimo degne vengono comunemente dagli udito-
ri riputate (3) . V. Finalmente, che alle. iodi del
foggettò, fe è pottìbile, fi unifeano quelle de’ giu-
dici , e s’ impegnino ad afcoltare ancora colla fpe-
ranza del loro proprio intereffe (4) . h
Siccome poi, al dire di Favorino il filofofo, è
cofa affai peggiore il lodar freddamente , che il
biafirtiare con acerbità , perchè fembra , che npn
trovi materia di lode nel fuo (oggetto quell’ ora-
tore, che nel difeorfo non fa - campeggiar F elo-
quenza (5); perciò dovrà egli abbellir le cofe con
eleganza di frafe, con vivacità di fentenza , con
elevatezza di concetti, con figure efficaci, e con
tutto ciò in fomma che può render 1 ’ elocuzione
piò vaga , piò dilettevole, e piò grave.;. . ; . N
I motivi di lode e di biafimo fi ricavano dalle
* - k ' ' . s» « , -
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• (2) Sumendx autem res eruht aut rtiagnltttcfine' pfaeflnbt-
le s , ' aut novitate primae, aut genere ipfo fingulares . Ne-
que enim parvae, ncque uHtatae , neque vulgares admiratione f
aut omtiìno laude dign* viderì folent. De Orat. IT.ó’j.
(?) Plurimum refert qui nnt audientium mores, qu* po-
llice recepta perfuafio, ut itla maxime, qua! probant , effe
in eo ,quì laudabirur, credànt, aut in eo con tra quelli difci-
rous , ea qua: oderint. Quinta Lib. Ili . %
C4) Ipforufn etiam judicum permifeenda Uusfemper; nan*.
id benevolo* facit : quoties auteitt fieri poterit, cum raateri*-
uri lirate jungenda. ivi . : ‘ »• ■ *.•* » ......
, C5) Turpiua effe dicebat Phavorinus philofophus esìgue
atque frigide laudari y quam infèttanter & gravrter vitupera-
ci • . . Nam qui infaconde atefue jejone laudat , defittili a cau-
fa vìdetur y & niFiil poffe reperiri . quod jure laude*. A*Geh
L. XL & 3- Nolf. Atti', ■ *
X »7® X
tt
doti dell* àttimo t dai heni di fortuna t e dalle cor*
potali prerogative ancora, fecondo l’ufo buono,
o cattivo , che quella perfona ne ha fatto (<5) .
Quanto però 1’ Oratore può eftenderlì col fuò di*
fcorfo parlando delle virtù e delle doti dell’ ani-
mo, le quali fomminiflrano vero argomento di lo-
de ; altrettanto deve andar cauto parlando di que’
beni di fortuna, i quali non dipendono da verun
inerito aoffra, ma puramente dalla forte. Quelli
fi poffono ridurre alla S tirpe , alla Patria , alle
Rucbtxze, ed agli Onori,
Se pertanto la perfona che vuoili lodare è di
nobile lignaggio , fi pofTono brevemente rammen-
tare le glorie de’ Tuoi antenati, non facendo però
il loro panegirico , nè ofcuranao con lo fplendo-
re di quelli il nome di chi fi è prefo ad encomia-
re. Che fe quella poi fofTe di ofcuri natali, o fi
tralafcierà di parlar della nafcita , o fi dirà con
Patercolo , che optimtis quifque nobilijjimus efì , e
con Seneca : Non facit nobitem atrium plenum
fumofis imaginibus , Nomo in no/ìram gl or t am vi~
xit ; nec quod ante noe fuit , nojtrum ep. Animus
facit nobitem , cui ex quacumque conditi one Jupr a
conditionem licet J urgere , &c.
La Patria fe è celebre , ed illuffre per aver pro-
dotti uomini grandi può fomminiflrar anch’ erta ar-
CO Qui laudabit quempiam, intelliget, exponenda (ibi ef-
fe fortuna bona. Ea funt generis, pecunia, propinquorum ,
amicorum , opum , valetudini, fornii, virium, ingenii,cz-
terarumque rerum, quz funt, aut corporis , aut estranea fi
habuerit bene bis ufum : fi non habuerit , fapienter caruiffe."
fi amiferit , moderate tuIifTe. Denique quid fapienter, quid
liberai iter , quid fortiter, quid jufte, &c. De Orat. II. II*
Videre autem in laudando, &in vituperando oportebit, non
txm , quz in corpore , aut in externis rebus habuerit is , de
quo agetur, quam quo ratto his rebus ufus ftc , De Inv . II.
r
X 17* X
gomento di lode ; ma non per quello può avve-
nire, che ancora in barbaro fuolo crefcano gli e-
roi , e molti efempj fe ne poffono addurre . Se per-
tanto avelfimo a lodar uno, che in paefe incolto
fegnalato fi foffe nelle arti 0 nelle fcienze , ciò
v potrebbe effer un motivo per lui di maggior com-
mendazione f
Gli onori , quando fiano frutti della virtù , c
che bene alcuno abbiane ufato , o generofamente
f li abbia rifiutati fomminiftrano materia alla lode.
e Ricchezze poi anch’ effe , fe furono acquiftate
cpn onefii fudori , ed impiegate negli ufi neceffa-
r; della vita, o nel beneficare altrui, non già
fcialacquate nell’ozio, fono motivo di lode. Che
fe nella perfona che vuoili lodare non concorrono
quelle cofe , fi può efaltare la fua non curanza di
quelli caduchi beni : la coltanza e la virtù dimo-
strata nell’ efferne fiata priva immeritevolmente ec.
E ficcome dalla bellezza del corpo , al dir d*
Eumenio (7), e della perfetta difpofizion delle
membra fi può argomentar della eccellenza dello
fpirito ; perciò anche quelle doti efteriori poffono
fomminiftrare materia alla lode , o per 1’ oppofto
al biafimo , fecondo che furono colla virtù , o con
i vizi congiunte . Che fe alla bellezza dell’ ani-
mo non corrifpondeffe quella del corpo, allora fi
può dire con Salluftip , che Preclara facies , ma»
eroe diviti* , ad * hoc vis corporis & alia omnia
hujufcemodi j brevi dilabuntur ? e dimoftrare co-
; me
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f -
. * ' ~ » ■ » I
(7) Natura ipfa magnis mentibus dpmiciifg magna meta*
tur , & ex vujtu homiijis , decoreque membro rum , colligi
potei!, quantus fpiritup Murari* habtiator. InPatug*
Gonfia mini M* *
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' ' Kin-f
* • , r »
tfie affai Hfcgfio fiano (lati . compenfari i difètti
dell* uno colla virtù dell’altra 1 * '
Lo fieflb proporzionatamente fi può applicare
élla lode d’ nna Città , a d’’ un paefe ^ cavandone'
gir argomenti dai celebri fondatori y dalla* faa an-
tichità -, dalla vantaggiofa fituazione , dàlia elegan-
te bruttura, dagli ottimi abitatori , ec. Ai gene-»
re Dimofirativo poi fi riducono i Panegirici : Lef
Orazioni Funebri Le Genetliache * Gli Epitala-
mi : Le Congratulazioni : Le Grazie il
t*
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Del Panegirico Y
■ * >0 il 4 *
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^reffo f Greci erano* i Panegirici; alcune oraur
lioni , che con folénne apparato reci fevanfi in oc**
Cafione de’ pubblici giuochi in lode del Nume ,>
. che a' qtoelli prefiedeva y o in lode de’ Magiftrati,,
. e del vincitore •- Preffo f Laftini il panegirico' era
ùn’ orazione, la quale d’ ordinario facevafi* in Sc<
nato* ili onore del Principe, o de IP Imperatore.;
Predo di noi pòi non è altro che un ragionamen-i
to , ih “cui fi celebrano le glorie di D io,* e le vii>-\
tuofe gefta de’ fuòi Santi , 1 * ^ * * : :
In quelli T Oratore deve:* f. Efaltare le virtèr
dei fuo'eroe.in mòdo che gli afcoltanti ne refiino'
comriibfli, V ammirino } e vengano ecc!tati»ad> i-
xnitarlo ;? ma noh per quefto' ha* da’ ulbir dal fuo
pit>pofito , come fanno cert’ uni , per volerla far
dia. nlofofi , o da moralifii r sferzando il cofiume r
e dimenticandoli poi delle lodi del Santo. IL Ri-
durre tutte le gloriole gefta dell’Eroe, che pren-
de a .celebrare ,. ad. un lo! capò', óflia ad una prò-
poliziotte., la quale dia .il vero e (ingoiate di luì
carattere ; c q,uefie o trattarle a fua talento > o
„ etpor-
X: m X.
fifpork anche cronologicamente ; ma m manieri
adorna , e vaga . Ili,' Ufare uno ftile colto , ed
ornato, ed inferirvi le fue digreflioni , le quali
con grazia vengano ad unirli all 5 argomento prin-
cipale .
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f • $Uv II. .*<*>
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• Delle Orazioni. Funebri .
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r.li Rlooi che fi fanno in morte di qualche
gran * perfonaggio diconfi orazioni Funebri Vo-
plion ouefti efler incominciati in maniera luttuo-,
fa e flebile * ficchè ne redi no da principio fubi-;
to’commoffi gli afcoitanti . Devefi in feguito com-:
piangere la perdita del defunto, e lodarne le
virtù , e le grandi imprefe : confidare le perfone
a lui congiunte filila lperanza di fua falute colla
fiducia de’ rimafti Tuoi figliuoli, e fulla confiderà-,
■zione della fua fama. Convieite per ultimo ani-
mare gli altri tutti ad imitarne la virtù . Si può
conchiudere coll’ eccitare un vivo deiìderio del
Defunto : col prometterne preflo 1 poderi 1 im-
mortalità : col dettare la gratitudine In cuor di
quelli che furono da lui beneficati ; e col inoltrarti
perfuafo 'effer egli già in Cielo a godere il frut-
to di fue fatiche , e di là vegliare a nottro van-
taggio e per la nottra falute (8)» - ,
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C8Ì V Orazione funebre fi può fare anche nell’ anniverfiu
rio d’ alcuno; ed allora la confolazione può effer Anche ìnu-
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Epitalami fono que’ componimenti , che lì for*
mano in occafione delle nozze de’ grandi perfo-
na°gi i In quefii primieramente fi . poflbno loda-
re^ vantaggi, che ne vennero alla focietà in ogni
tempo dalle nozze: qùiridi pattare a tefferé un e-
logio ai novelli fpofì cavato dalle loro virtù , ed
ottime 'prerogative - V apparato' ancora e I’ alle-
grezza de’ congiunti ,• de’fudditi* cc * può fómrni-
nifirar materia di encomio . Finalmente fi devt
conchiadere con pfofperi auguri, e per la con--
cordia degli fpofi , e per la futura prole j da cui
fi fpera , che lo fiato o la patria abbiano a rice-
vere nuovo lufiro * e grandi vantaggi
- f f y . . . .i '• I . »’ ' H fJ r * ■
Delle Ór azioni Genetliache *
. ♦ * ' * . . J : . . 1
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tMcefl Orti Ione Genetliaca quella y in cui fi
celebra il giorno , natalizio di alcuno * In effa
1» Oratóre deve primieratiieflce dimoflrarc lòtfima
allegrezza* e contentò per. la venuta di si fau-
fio giorno: quindi palpando alle lodi del nato
bamjnaa deve dedurne i motivi dalla gloria de*
fuoi maggiori * che in Certo modo per eredità a
lui appartiene , e dalla fperanza della futura fua 1
educazione * per cui riufeirà vero di loro imita-*
tore . Rallegrerai in feguito coi genitori per la
prole felicemeote ottenuta; e conchiuderà col por*
ger
X 175' X
gcr voti al Ciclo per la profperità degli uni , e
dell’ altra (9) .
§. V. •'
» >
Delle Congratulazioni #
ter più inorivi pub accadere di dover teffcrt
Un difcorfo di congratulazione , o per una ripor-
tata vittoria , o per la ricuperata falute , o per
una dignità conseguita , o per un profpero ritor-
no , ec. Generalmente perb in quelle orazioni con* •
, viene: I. Dimoftrare un trafporto d’allegrezza
per la felicità di colui, col quale ci congratulia-
mo. II. Amplificare la felicità ideila, ed il pro-
spero avvenimento , dovuto ai ineriti fuoi . III.
Éfprimere il vivo noltro defiderio , acciò perpe-
tuo e durevole fia il motivo di noltra congratu-
lazione . Si potrà ancora , trattandoli maffime
d’ una vittoria , mollrare la difficoltà dell’ imprc»
fa: la celerità nell’averla condotta a buon fine:
la prudenza nel difporre le cole , il valore nell’
efeguire il tutto , ec.
§. VI.
Dille Condoglianze,
Alla partenza di qualche illuftre Perfonaggio
talvolta ci dogliamo pubblicamente con una Ora-
C9) Anche quelle orazioni fi poflono fare ricorrendo il di
natalizio d* alcuno; ed allora parlandoli ad un adulto fi tef-
ferà l’elogio delle di lui virth , accennando la pubblica al-
legrezza al ritornar 4* un si bel giorno, in cui elfo nacque*
X 17<* X
ilone della di lui perdita . la limili occafioni de*
veli I. .Palefare 1’ univerfale fpiacere -per la det-
ta proffima partenza di quel Signore . II. Ram-
mentare i di lui benefìci , .e teffere 1’ elogio del-
le fue virtù. III. Efaltare il grado cui effo vie-
ne innalzato, e rallegrarci di, fua fortuna moftran-
doci incoraggiti a far quel fagrificiò per il pub-
blico bene , e per la gloria^deUo fleffo Perfonag-
gio. IV. ^Augurargli profperità , e - raccoman 7 ,
darci alla fila protezione col fupplicarlo a ferba-
re di noi memoria , promettendogli dal canto uor
Uro gratitudine eterna ( 19 ) *. :.:*««• **o»
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Deile Orazioni Eucarrjliche ..." 1 .
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- - Furon dette Eucarilliche da’Greci tutte quelle
Orazioni , nelle quali trattali di ringraziare alcu-
no per i favori , ed i benefici a noi compartiti .
Quelle devono contenere I. una fincera dimoura*
zione d’allegrezza per il ricevuto beneficio .II.
un’ amplificazione del beneficio ifteflo cacata dal-
la perfona , che lo fece , .e da quella che lo ha
ricevuto ; dalla natura della cola , e dal teni-
po , e dal modo , in cui venne. conferita . III.
una ferma prometta di confervarne indelebile la
memoria • IV. Finalmente fi può aggiungerei una
preghiera per la contipuazion.de! favore, ed una,
fupplica al Cielo che ricoinpenfi il beneficio ,
r - giac-
cio) Cosi fe alcuno parlale per la propria' partenza deve
adattare ai bifogno quelli .tnedefinji penlìeti , ed n
tiò fi dità delie •*
' X 177 X
4 • N
giacché noi infufficienti ci riconofciamò a render
Je dovute grazie . .
. , ì ' • * * * •
' Vili. /
* ' ' » . K
Delle Orazioni di Biafimo
: • . : * * * ' v ■
~ Quando accade di teflere un difcorfo per biafi-
mare una perfona vera o finta a cagione de’ fuoi
vìzi y fa duopo I. non dimoflrare odio , o inimi-
cizia contro di efla con forti efagerazioni per non
renderci indegni di fede. IT. Addurre prove chiare
ed evidenti dei danni, ficchè fembri‘non poterfi
dire altrimenti , ed effere noi a far ciò neceffira-
ti . III. Chiuder, per quanto è polli bile , ogni
adito a qualunque ragionevole fcufa, che arrecar
fi potefle dall’ avverfario .
. . . - -• •
ARTICOLO II.
* • '
■ rt Del Genere Deliberativo . *
Le caufe di Genere Deliberativo , da’ Greci det-
to av[jt,j3ouXi'jrntor , fono quelle , in cui trattali di
confuitare intorno a ciò che è da farfi, o da non
farli. Il fine per tanto dell* Oratore in quelle
caufe ha* da diere di perfuadere [■ onelto , e di
dtffuadere per - contrario tutto .ciò che è ingiu-
rio (i). Per ottener quello egli dovrà fpecialmen-
te aver di mira , e confederare : I. Di che abbiafì
a deliberare. II. Chi fiano coloro che hanno a
far
CO Deliberafivura eft, quod pofitum in civili difceptatione
& confultatione habet in fé tementi» difòooem . De Inv, I.
Habet in f*? fuafionem , & difuafiouem , Ad lì cren. 7. a,
Gtard. EJem. T. il. M
X 178 X
far la deliberazione . III. Chi fia quegli cbe'vust
perfuadere ( 2 ) . ,/ t ; é . ^ k - pi
Rifpetto alla cofa dunque * fii cui tiaflf! a deli-
berare l’Oratore fi sforzerà di rapprefen tarla: L
Onejìa , e degna d’ abbracciarli , o per 1’ oppofto
inonefta , e da fuggirli ♦ IL Vantaggiofa le la .
confeguiamo , e per lo contrario dannofa , fe la
abbandoniamo, lll^NecsforU così che anche no-
firo malgrado, faremo corretti a fofFrirla , perchè:
néceflariamente deve avvenire. IV. Facile dimo-
tirando i mezzi opportuni per ottenerla , oppure,
evitarla. V. Dilettevole ponendo fott’ occhio il
piacere che ne proveremo giunti al confeguimen-
to del bene, o sfuggito che avremo il male..
VI. Gloriofa per la fama e l’onore, che ce ne
ridonderà abbracciando la virtù , e deteliaodp il
vizio (?). v - .V , . .
Le perfone poi, le quali hanno a deliberare,
fi devono condurre al propofio fine per linea ret-
ta , fe è potàbile: quando no ^obliquamente otàa
coll’artificio dell’ infinuazione. Perciò è necefla-
rio , che l’Oratore prima ne conofca l’indole**
il cofiume, le opinioni; e le affaiifca in' quella,
parte che fono più facili a_d efferente* .Se egli
farà .rifletto fulla diverfità del loro grado , della ,
nafcita , dell’educazione:, della patria., del fello*
ec. tutte quelle cofe potranno a lui contribuire :
facilità di vittoria , come abbiamo detto parlando .
del coflume.
Chiunque finalmente brama configljare o diflua-
der
• . ,
CO In fuadendo, & difluadfndo tria primum fpe&aitda e-
- -M
% x?Ò % '
dei* alcuna' còfd'i dèvé effefr àomtf d f àtftorità j §è$
chè altrimenti non arriverà giammai a perfuà*
derè (i);. frioftrè conviénè cfré egli fia\rtiriufànien^
fe,àl rattcf della cofa * fa di cui tì^rfì à deliberai-
èc y é fià capace' a darne giudizio . Déve anche fard
fpiccare la firiccrità parlando Con uno ftile grave*
ina non ftudiató*, nè troppo proliffo td strtificio-
fo 7 Ariftòtélé per quello reputa le caufe di ge-
nere Deliberativo piu* difficili dell’ altre * perchè!
in effe tutto s’ appòggi? alle ragiotìi ; e perchè rie-
(ce affai pii màlagevole il parlar delld cofe futu-
re ché delle, paffate' (^).; / ; i . . 7 : 7 ..
Per guanto fpetta alla difpofizione, le caufe di'
queffò gènere non efigonò di neceffità che la pro-
porzióne, le pròve , e la perorazione.- Tullio nel-
le fue Partizioni Orat. c. 4. crede inutile in effe V
Efordio , perchè V uditore , che viene pér delibe-
rare , è già per fe fteffó difpólio àd udire ; Nul-
ladimeno potrà 1 ’ Oratóre premettere un breve e-
fòrdio per corìciliarfì Tèmpre più la di lóro atten-
zione* maffime fui dubbio, ch’eglino non fianó
beri informati dèlia caùfa * o per conciliarli ino-
deliamente credito ed autorità preffo di loro , fic-
come vedèfi praticata^ dà Cicerone iffèffò e nella
Ora^pèr la* Lègge Manilia* e nelle Filippiche p
tf. La Narrazione ancora fembra tìon cadere iri
quelle caufe di genere Deliberativo * perchè rioni
11 poffono raccontar le còfe avvenire * Dalle par-
ivi 1 fate
I »
V , 'W I ,
-, m ■ liì. fa.. ..*.
.(4) Su-nt pleraque comrrtunia : fed tamen fondere aliquid,
àyt diffondere,, graviffim» mihi videtur efTe perfonae. De
Orat. m ff- 81. Valer ameni in confiliis aurhoritas pluri-
inum. Nam & prudentiffìmus effe, Kaberiqu? optimu s is de.
bet , qui fentenrijè fujè de utiiibus atque bonertis credere o-
mnes welit. Quint. Ut. q.
(5) Rhit. HI. 17.
- 1 ■V « • *4
1
s ‘
X 180 x
fate però , abbiatn già detto altroye , cftfl fi pu?>
argomentar delle future; e così nella detta Oraz.pej?
la Legge Manilia fi fa la narrazione delle pattate
crudeltà di Mitridate; ed in quella per la Lega
fi raccontano le getta di Carlo V. y acciocché gli
uditori fi determinino a prender F armi contro di ;
loro . Nella Confermazione poi le prove devono -
etter avvalorate còiz efemp; collanti e lìcuri , io,
guifo che rettino abbattute tutte le contrarie op-
pofizioni, che formar fi potettero. Nella Perora-
zion finalmente 1* eloquenza deve ufare ogni fuo
sforzò , e con il foccorfo degli affetti procurare di
ottener il fuo trionfo , traendo coloro, i quali
hanno a deliberare nell’ opinione e nel partito di
chi favella . Molte fono le Orazioni che a quefto
genere ridurre fi pottono ; ma noi fpecialmente
parleremo deile Conciliatorie ^ delle Per/uafive x c
delle Orazioni Morali (6),
, Delle Conciliatorie .
f * »
0 f J M Mi * »
Quanto è facile l’eccitar gli uomini alla difcor-
dia , altrettanto è malagevole il poterli fra loro*
dopo riconciliare . L’Oratore però che vorrà ciò
' '.r * * - 5 ' con- •
(fl Si poffono a quello capo ridurre le Orazioni Commen-
datizie , ammonitone, quelle che riguardano una Confoia.
2Ìone , o una Preghiera; ma ficcome tutto ciò che fi può di-
re di effe è già flato da me efpoflo nella mia Breve IflruZ,**-
nè Sullo $ tilt Epiftolare premetta alla edizione delle Lettera
Scelte de' Migliori Italiani ; non effondo le lettere che bre- '
vi orazioni , cola rimetto i Leggitori, dove fotto vari para-*
grafi trovar poffono accennato quanto baffi a preilare n&’ fud*
detti ca fi od in altre fiatili circoflanze. » • t .
/
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X X
èonfegulre, ttioftrerà I. La gloria che fi aeqùifta
ne! perdonar le offefe* 'IL I danni che dalle di*
fcordie derivano. HI* Farà prefenti *i meriti vi-
cendevoli delle perfone o de’ popoli nemici * ed i
'vantaggi che ottener poffono f dalla loro concor-
dia. ÌV. Maneggierò gli affetti della Commife-
razione, o del timore fecondo il bifogno, e mo-
: Arerà il*. pubblico defiderio della loro pace. Il
Cafa nella Oraz. per la rdlituzion di Piacenza ,
ed Alb. Lollio in lode della Concordia ci porgo-
no efempio in quello genere.
• * • ■ . ?• • • ì- •: G ì .• ■ if ,
' §. IL .
* * **
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> • ty • • • • «r • ( ^
* J : * 7 Delle Perfuafròe *
4 ^ %
Quando l’Oratore voglia perfuaderé gli AfcoL
tanti a deliberare alcuna cola* fi sforzerà L di
conciliarli la benevolenza di loro con lodarne la
virtù , e moftraddo efferfi moffo pd foio dovere
avariare di cofa la di cui importanza efli troppo
bene intendono . IL Moflrerà i vantaggi della co-
là ifteffa, e la facilità d’efegùirla* Che feàU’òp-
f rollo fi trattaffe di diffuader alcuna cofa , allora
e ne mofirerà il danno, laftoltezza di chi la con-
figlia , la difficoltà della riùfcita , e col timore fi
allontaneranno gli uditori dall’ intraprenderla .
• • a * • # 9
*** ** • *• 0
. ~ JflL - **
• * >
Dèlie Orazioni Morali, *. ** *-
Al deliberativo fi riducono le orazioni dette. dai
Greci di genere ÌMh>i&i*rixov t S'iS'xo-xctxixòp cioè
à dire concionatorio , ed i/iruttivo , quali fono le
Prediche, ed iCatechifmi* In effi oltre le gene-
• M 3 tali
Ai
v
i
x^x
faij avvertenze dovrà 1’ oratore Tempre aver mi**
ra I. Di uniformarli alla ¥ o/toipanza di co oro, a
cui favella, infittendo lui di loro, non full altrui
collume, e togliendo fpectalmente quelle falfe opi-
nioni , che regnano ne} paete , II. Di parlare con
chiarezza, e femplicità di metodo fenza tante fot-
tigliezze, o divifioni fpeculanve , per adattarfi
alta capacità , ed all’ intendimento di chi afcolta.
Ili, Di ufpr brevità ne' precetti , confermandoli
con elentpf autorevoli , e riducendoh femore alle
cofe pratiche, IV, Finalmente di efpor le cofe
con uno Itile conveniente alla materia ed agli af-
fetti, ch’egli vorrà dettare, fenza però defrauda-
re con i vezzi dell’arte a quella venta e alla
celefte unzione , thè in tali argomenti deve ap*
sparire (7) ♦
Artic oro in,
* . . , * , . . • r > t , I * 1 * • • I *
: t -, , pfì.àmrt Qttftàfih.r
It Genere Gemale da’ Greci fo chiamato *£
xctviw fiioè appartenente al foro , e dai Lattpipu-
■ $££ iMm
pufil^nv iu judit io ha K' “pj
fatiouem & defenfione*J » àut petltionem & • Pjt
ìnv, t, ad w ~ *
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: X is 3 X
' Chi decide di quefle caufe d f ordinario è un fo-
Io , .e per effer uomo dotto non fi può coll^arte
così facilmente abbagliare • Convien dunque , che
1’ oratore .primieramente in effe faccia pompa d’
ingenuità , e nafconda più che mai é poflìbile ogni
artifìcio , perchè quegli non tema d* effer inganna-
to , e non lì prepari alla difefa • Duopo è in ol-
tre porre in opera tuttofi pefo de’ più efficaci ar-
' gomenti, e tutta la forza delle più vive efpreflìo-
ni ; e tutto quello accompagnare con un’ azione
varia , e veemente , piena di coraggio , piena di
fpirito , piena di paffione , e di verità (3), con-
< cioflìàchè nelle caufe giudiziali non di rado s’ab-
bia a convincere, o ad ammollire, chi è perfuafo
diverfamente , 0 e fdegnato , o i avverfo ; e gli
animi più che altrove s’ abbino a maneggiare, c
a piegare ai varj affetti giuda il bifogno (4) . Dif-
fe perciò a ragione Antonio preffo Cicerone , che
l’impegno di trattar una cauta giudiziale è gran-
de più , che non credefi , e che forfè tra le uma-
ne imprefe non v’ha la pari (5).
Tre fono i principali riguardi che in tali caufe
deve aver un buon Oratore f. Riflettere chi fia
Toffefo , e chi i’ offenfore* IL Confiderare l’of-
fefa iteffa, ed il motivo , da cui il reo è flato Spin-
to a commetterla . III. Vedere qual inclinazione
abbiano i giudici , e da che più facilmente fiano
per effer com molli.’
M 4‘ Con-
• * *
(3) Omnium fententiarum gravitate, omnium verborum
ponderibus, eft utendum « Accedat oportet a&iò varia vche*
. «nens, piena animi, piena fpiritus, piena dolori*, piena ve-
jitaris . De Orai . ZI, 17.
C4) Cic . ivi . ^
(y In caufarum contentionibus magma» eft quoddam o*
pus, at^ue haud fciara , *a de humanifc operttas longe ma»
ximum . ivi .
X 184 X
Confidente ben bene tutte quelle cofe , ed un?-
, formandoli egli col fuo dire a tutto ciò, che di
Copra abbiam infegnato e rifpetto alle parti . deir
orazione, e intorno al cofiume, vedrà il. diverto
m erodo eh’ ei deve tenere fecondo le perfone , a
. cui, per cui , o contro di cui parla , onde ripor-
tar più. di leggieri il trionfpeia vittoria . Le ora-
zioni di Tullio in oltre r la maggior parte delle"
quali fono di quello genere , poffono fervire d’ una
gran fcuola piucchè tutti i precetti per farci in-
tendere come debba regolarfi un buon dicitore e
nelle accufe, e nelle difefe._ y-, s :
Siccome però al dire di Quintiliano egli è tanto
.più ferite;!’ acculare del difendere, quanto è piò
’ facile inferire che il rifanar la ferita (6) perciò
deve Oratore diverfamente procedere nel di-
feorfo , fecondo che foftiene le parti di accufato-
. re , o di Avvocato -• k r ■'
Ù accufatore nel fuo efordio ha da mafirare ,
di non effer già indotto a parlare, per odio , ven- ,
detta , o malevolenza eh’ egli abbia contro del
reo foto dall’ amore dell’ onefto e del vero ;
ed anzi, farlo di malavoglia. Il reo non; deve flù-
.diarfi altro , che di conciliare a fé la. benevolenza
.de’ giudici con tutteJe maniere più umili, edpb-
bligantf, fpargendoJnranro fofpetti di odio e ma 1-
‘dicenza argentatore . , ^
La narrazione del primo vuoi effer veemente,
chiara , priva d’ ornamenti artificiofi , è tale che
accrefca i fofpetti contro del reo . Quelia-del fe-
condo ha da effere affettuofa, e fé l’ accufatore ha
raccontato freddamente, egli ha da ripetercele
\ " W-f-
.v>l
00 Ut quad ffotto fpniel finiam , tanto -eli accufare, quarti
oe/Vodere * quanto lacere. quarti fanare. vulnera- /acilius ,
Lìb . r. 13 . ’ ' * ' ' ^
X 18 S x
! fleffe cofe ; fc quegli al contrario è flato iorte ed
acre nella narrazione , quelli deve mitigarla con
termini men gravi (7). •; h&i:
Le prove di quello devon effer difpofte contat-
ta l’arte, così che vadano crescendo, e movano
a fdegno gli afcoltanti. Quelli è in obbligo di dif-
fipare tutte le opppfizioni ; e quando non poffa,
le deve almeno ofcurare o fìnger di non curarle,
come di niffun valore (8) ; e fe gli torna bene;
ancora cambiar Bordine tenuto dall’ avverfarió ,
e feparare q uè’ punti , xhé uniti* aggravano il fuo
. delitto (p). • V?* V
Le perorazioni d’ ambedue hanno ad effer pieqe
di gagliardi movimenti. Ma fe 1 ’ accufatore deve
„ iofìftere perchè il reo fia condannato aggravando-
ne coll’ amplificazione il delitto ; il difensore per
io contrario ponendo fott’ occhio i di lui meriti ,
e la fua virtù , con gli affetti di pietà e di gra-
titudine deve procurarne l’ affoluzione . t
A quello genere di caufe giudiziali , oltre mol- „
te prediche de’noftri fagri dicitori ., , nelle, quali fi
tratta di. accufare qualche ,vizio , é di far, che. fia
deteinato eprofcritto, o di difendere la virtù con- £
tro la taccia degli empi » che la vorrebbero ;op-
preffa , fi poffon ridurre le Riptenjioni ,, le La-
gnanze , le Preghiere , le Scufe , ed altre Oraziò-
T 'V
ni
-IV
* > : * *-
C 7 ) Si accufator eft mious efficàcster elocutus , ipfa ejus
verba pooantur ; fi acri Se vehementi fuerit ufus o rat Ione , ean-
<tem rem noftrig verbis mitioribus proferamus . Quint. P'I i j.
(8} Noununquam qusedan» bene contemnuntur., vel tam-
quam levia, vel tamquam ad caufam ni hi l pertinenza . % . .
Haec fimulatio huc ufque procedit , ut qu* dicendo refuta*
re non pofTumus , quali faftidiendo caleraus . svi Fi Cjc • Par •
tit. Orat. 4. 18 1. de lnv. IL Ijr. &c»
(9) Ioterroi per partes diffol vitur , quod contexttt nocet,
& plcrumque id eft tutius. Quint. ivi , * v ^
$
<
.X;*84 X
I ni di Hmrl fatta ,1e di cai avvertènze .principali
fi fono date nel citatp T/a t tato, dello Stile Epi-
ftolare folto’ i rifpettivi capi, e devonfi qui ai
< :bifogao applicare .
*• ' i
C A P O IV.
'
Della mariterà d 1 efer citar fi nel comporre .
fUANTO fia neceffario 1’ efercitarfi nello feri-
^-vere, e nel tradurre, le vuoili confeguire
vera lode nell 4 eloquenza , 1 ’ abbiamo dimostrato
nel Tom. I. P. II. c. 3 . Ma avvertendoci Quinti-
liano, che per abilitarli a fcrivere con facilità ed
eleganza, non giova tanto il continuo efercizio *
quanto la maniera di farlo (r); giacché ivi abbia-
mo parlato dell’ efercizio , in quello luogo breve-
ttante tratteremo della maniera da tenerli in effo
perchè riefea più facile e vantaggiofo . #
Allorché dunque vogliamo accingerci a fcrive-
re alcuna cofa , dobbiam, fecondo il fuddetto gran
maeltro dell’ arte , aver mira di fcegliere il Luo-
go , il Tempo , il Modo .
Il Luogo deve edere rimoto dagli Strepiti , fo-
iitario, -Sicché niuno (lavi, che poSTa arrecaci di-
sturbo o foggezione, e per quanto è polfibile ta-
cito, e quieto. Non è però da crederli che attif-
fimi fiano a chi deve comporre i luoghi ameni, e
deliziosi, dove aure libere e Serene follevino in
certo modo l’animo nolìro ; imperocché anzi que-
lli con var; oggetti piacevoli diilraggono piuttosto
la
» *.*'*• . » •. •
, »IP IJ 1 1» , ■ '■■■■■'
‘ . • ' • 1 *
CO Ut poffiottis àutem fcribere etiam plura. k celerini
non exercìUtio modo praeftabir , in qua fine dubio xùuUnnt
eli, fed etiam ratio 4 Svini* X* |.“
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tW7*
la mente i e la difiolgono da quelle idee , che pri-
ma ella avea concepite (2). __ , •
Il Tempo per le fteflfe ragioni vuol effer quel-
lo della notte , come più atto al filenzio , in cui
racchiufi nella danza con un fol lume non ci li
parano davanti quegli oggetti .che molte volte ci
fviano dal propofito la mente <?); oppure quello
dell’ aurora , quando lo fpinto è ancor raccolto ,
e quieto, e più liberamente puh applicarli a quan-
J deferiamo . Nè bilogna lavarci vincere dalla
pigrizia , o dai comodi , perchè fe vorremo farci
f comporre Colo allora quando forno a,kgu<i,
animo , o ben palciuti , 9 Uberi * ; nrra iafciare
Tempre ritroveremo preteftì di dover entrala c e
* l Circa°il (4 Modo finalmente 1 ’ Efercizio devefi fa-
re con diligenza , con pazienza , con ordine .
Tutto quello pertanto , che fuggerifce alla men-
te nel fervor delle idee fi può fcrivere j ma dopo
conviene ufar del giudizio non tanto nello fee-
oliere quelle cofe che fi hanno a lafciare , e nel
togliere le altre tutte, quanto accora nel dar lo-
ro una convenevole difpolizione . Avvegnaché
• dun-
Secretum atque iiberura arbitris locum, 8c quam altif-
f ; ri Kentibus max me convenire nemo non
rteceffe eft avocent ab intentione operis deftinati . Quint. t •
CO Ideoque lucubrantes filentium noftis , & clausura cubi-
«ulum, * Wen unum v.lut tetto. >»>»«•• tenent. fl».
( 4 ) Non eft indulgendum caufis defid^. 3 Nam fi nònmfi
tefefti , nonnifi hilares, nuirtufi omnibus alti» curv va<;antes
ftudendum exiftimav«rimus, feroper «rie propter quod noLis
Tgnofomitf • ivi •
i
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X «SS X
dunque neMuoghiyimpetuofi giovi fegmr gli a#e*v
ti, che valgono affai più che la diligenza (5)
non bi fogna però dopo accontentarci di riandare
e correggere k fole parole sfuggite dalla penna ,
o di dilporle nella maniera più numerofa ; ma
conviene emendar, anche , fe abbifogna, gli (ìeffi
fentimenti (6). Epperò non importa , dice Fabio ,
che noi-fiam lenti, e tardi nel comporre, purché
fiam diligenti ; e/Tcndoché collo feri ver prefio non
avviene che fi feriva elegantemente ; ma piuttoflo
fcrivendo con eleganza prefio fi viene a le ri ve re ,
perchè la diligenza ci toglie il tedio di dover e-
mendare (7). Siccome però non è di tutti parla-
re in modo grande e magnifico ; ognuno -perciò
deve accontentarfi di quello, che le forze gli fom-
minifirano. Per la qual cofa quanto è da lodarti
lo Audio e la diligenza di coloro, che procurano
di parlar nel miglior modo a loro pofiìbile ; al-
trettanto fono da biafimarfi quegli altri che non.
mai contenti di fe fiefii , fempre mutano, cancel*
iano, e fi fanno tale difficoltà, che alla fine ogni
cofa confondono, e privi fi rendono di grazia , e
di naturalezza (8) .
F
ne-
— «
(5) AliquJlndo a fleftq s fequemur, in quibus fere plus ca~
lor , quam diligenria valer, (vi. c •'
( 6 ) Diverfum di Vòmiti vitium, qui primo decurfere per
materiam flyio quam velocitfìmo volunt, reperunr deinde Se
componunt qua? efludefunt rfed verba emendantur, & ni/me.
ti, manet in rebus temere congeftis , q*2e fuit levitai, ivi
( 7 ) Sit primo ve! tàrdus/dum diligens lìylus : quseraimi*
opeima, nec. proìinos Te óflerentibus gaudeamus : adhibeatur
tu di cru rh iirventis , difpofitio probatis . w . Cito fcribendo noa ,
fit, ut bène fcribatur : bene fcribendo, fit ut cito, ivi .
($) Suur autèm quibus nihil Taris : f omnia mutare , omnia
alicer ditrere, quam occurrit , velint : increduli quidam , &de
ingen.’o f»o peffìrne meriri , qui diligenlinm putant , licere
(ibi rtribettdf dj^cuftarem . . . turandum ift, ut quam optirne
dicamus, dìcendum tanieit prò facultate. ivi . -i»e
• n
r
x r% x:
‘ E* -neceflatìa ancóra Ai- pazienza "nel concorre ;
epperò nè dobbiamo fdegnarci facilmente , o Jafciar-
ci diftrarre da altri penfieri , nè: fiancar di fover- ,
chio la» noftra mente; ma avvezzarci a vincere
tutto quello , che pub* impedire V attenzione , o
alterare la , fantafia ($?)•. Giova nello fcrivere il
riaffumere anche tratto trattp, .erileggere quanto
già fi è efpofto , perchè così e, le materie’ fucce~.
donfi più ben connette , -e v ia mente alcun poco*
fianca e raffreddata , corna ad accederli deljjpri^,
miero fuoco # c ripiglia forza Xy vigore <*0^ Per
tal motivo è più utile lo feri ver; le cofe di proprio
pugno, ette il dettarle, conciottìachè feri vendo la;
mente' nello (letto tempó confidcri , e, la mano fe
abbifogna, fi arredi; quando al contrario nel det-
tare ad altri , o lo fcrittore è veloce ,’ e ci irtcal- .
za ; e noi fdegnando di fermarci , o di cambiare
lo ferino , non folo cofe indigefte ,, e rozze , ma
improprie ancora veniamo a dire: o egli è tardo,
ed allora ci, fiurba colle fpette domande, non leg-^
ge coi debito tono, ci fa arredare nell’impeto
del dire , ci confonda,' ci irrita , ed intanto ne
sfugge dall’ idea tutto quello, che già avevamo or- ;
dinato nella mente (11).
« _ 9 * •
{9) Obliar diligenti* fcribendi etiam fatigatio ... Fatiendus
ajfiis , ut omn*a quae impediunt vincar intenrio. Quint. ivi. •
Ciò) Repeienda faepius erunt fcriptorum proxima . Nam pra?-
ter id quod Ite melius junguntur prioribus fequenria , calor '
quoque il le cogitationis , qui fcribendi mora refrixit ,recipit ex
integro vires , & velut reperito fpatio fumit imperum . ivi.-'
00 In llyio quidem quamliber properato dat aliquem co- *
gitarioni moram non confcquens celeritatem ejus manus ; il-
le cui di&amus, urget, atque interim pudet etiam dubitare ^
aut refiflere, aur mutare quali confcium infirmitatis no fi ras
timentes, quo fìt, ut non cruda tantum & fortuita , fed im- ■
propria interim effluanr . At idem ilie qui eveipit, lì tardtor
in ferite rido atu inertioi ialegendo velut offe n fatar fuerit y
* ’m .4 * I » 1 i .* — * V
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X *90 t
: Circa' àtl’ ordine per ultimo da tenerfi nello feri-
Vere noa bifagna primieramente imitare cere’ uni ^
che lungo tempo f tarmo fdrajati * guardando il tet-
to , e mormorando^ fecó fteifi afpettando checché
Joro fuggerifea alla mente ; ma conviene fubita
riflettere alle circoftanie della caufa : che haffì a.
trattare, alle perfonie ,• al luogo , al tempo; e ra^
gionando da uomini quindi appigliarli a compor-
re Ci 2) ordinatamente o Bifogna in oltre lcriver le
materie fertza confufione , lanciando molto margi-
ne, dorè aggiungere, o mutare fi porta 0 acciocché
per 1 ? anguilla del luogo o non c’ increfca l’emen-.
’ dare, o non fi confonda il tutto (13)^ £, ficcome
nel comporre molte volte fuggerilcóno alla mente:
altre cole * che o nori fono dell’ argomento , o
non fanno attualmente albifogno; perciò, sì per^r
chè quelle non sfuggano,- sì anche per non inter-
romper T ordine delie materie torna bene F aver
in pronto un altro libro, nel quale riportinfi que’
fentimenti , che non fono allora di propofito ed
alle mani (14), . ,
T precetti firt qui efpofti fori' quelli , fui qualr
formaronfi ir* ogni tempo i più grandi oratori ; e .
fa-
• •
• • •* • > «
irvbibetur ctfrta^^atque omnis qua erat conqept* mentis ini*
temio, mòra & interdum ìràcundia excutitur. ivi,
(ix} Non fefupini, fpeflfantefque tetfum , Se cogita*fonent
murmure agitantes expe&averimus, quid obveniat ; fed quid
les pofeat, quid perfonam deceac , quod fi t tetfipUs, qui ju-
dicis animus , intuiti , hutnano quodaih modo ad fctibeodumT
acceleri mu*. Quint, Xc, g,
Cl 3 ? Relinquendse auterrt in utrolibet genere vacua* 1 tabel-
le,, in quibus libera adjicienti f?c excurfio . Nam interim pi-
gritiam emendandi anguftiag faciunt, aut certe novorunrin-
terpofitÌQ<wr priora confundunt. ivi i
(14) Deb et vacare etram .iocus , itf quo' àofcfifùf,' qttSjf
fcribentibus foJent cttra ordinem , idelì in alifs, qilfctn qui
funaio minibus, loci Occurrere. Qtuat, ivi.
X 191 X
Seguendoli noi pure ci renderemo capaci a ritrovar
gli argomenti , a difporli con ordine , a parlare
con grazia e dignità, ed ' acquifteremo fermezza di
memoria , leggiadria di portamento , e Soavità di
pronundazione (15). Ma perchè l’arte può velo-
cemente incamminarci Sulla retta via , e Sommini-
strarci Solo i tefori dell’ eloquenza ; ed al noftro
giudizio poi appartiene il Saperne a tempo far
ufo ed applicazione (16) ; perciò quelli precetti
( conchiuderò con Tullio) vi (ìatio-, o giovani,
come indi tj di que’ fonti , ai quali Se voi pofcia
con nn diligente efercizio fatto Sulle opere di lui
e degli altri ottimi autori arriverete , allora e que-
lle 11 effe cofe affai meglio, ed infinite altre di mol-
to maggior rilievo ed importanza , verrete anco-
ra a comprendere (17).
1
II* » — —■'« * ■■ ■ ■ «l'H l»l , .
(is5'H*c fi fequimur , acute & cito reperiemus: dtflinfte
& ordinate difponemus; graviter & venUffe pronunciabimus ;
firme & perpetuo tneminerimus : ornate , & fuaviter epoque-
mur . Ad Heren . 7^1 in fin .
0 6*) Viam demonftrare velociter ars poteft, fi qua eft : ve-
rum ars fatis praftat, fi copias eloquenti* ponit in medio:
noftrum.eft uti eis Tetre* Quint. Vii. in fin.
Ci7) Hate tibi fiat, mi Cicero, quaexpofui, quafi indicia
fontmm illorum , ad quos fi nobìseiTdem ducibus , aliifve per*:
veneri*, tum & haec ipfa mellus & multo majora alia cogno-
me*. Casi conchiude dettone le fut Partizioni Oratorie ./ -
I
*
V
f
4
I
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