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Wednesday, October 22, 2025

Grice e Giardini

 


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ELEMENTI 


DELL* 

ARTE R ETTO R I C A 

Tratti dalle Opere de’ migliori Maeftri , 
e rifchiarati ad ufo della gioventù 

D A 

ELIA GIARDINI 




Pubblico Professore d' Umanità' nelle 
Scuole Minori della Università' 

DI Pavia . 


DELLA ELOCUZIONE, 

% 

TOMO I. 



B AS S ANO Hot, 


APPiaSSO GIUSEPPE REMONDINI £ PIGLI. 

Cun Ragia Pamiffiona, 

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PREFAZIONE. 

. : ‘ » • 


L 





lA fhcoJtà di ragionare, e d’ cfpriincre con 
articolate voci i pròpri (èntimenti , c di co- 
ftiufiicarli per mezzo 'di quelle agii altri , è 
quellà , che diftingué T uomo dal recante degli 
animali, e che forma il principal vincolo dell* 
umana ibcietà(i}. Avvegnaché però quefto fu 
Un dono ^1 benefico Autore della natura a tut- 
ta la fpecie de^li uomini compartito ; pure non 
in tutti qualmente Una tal facoltà manìfefta le 
fue fòrze , e i fuoi'effctti produce , Tutti ragio- 
nano^ tutti parlano, e pochiflìmi fon quelli» 
che col proprio difcorfo arrivano a perfuadere; 
il che fenza dubbio è chiariffimo argomento, 
die qu^to incile lì è il parlare, altrettanto dif- 
fBcile iì è il parlare con vera Eloquenza ( 2 ). 

In- 


0 } Hoc UDO honincs maxime befliia praeflant .... Q.uz 
th alia potoit aur dirperfot homines unum in locum congrc. 
t*re, auc s fera, agreflique vita ad hunc humanum cnltum, 
«ìvilemqHe deducere, aut jam cooflitutìa civitatìbus legea 
iadieia , jura de&rtbere * Ctc. Lii. T; De Orat. eap. 8 . 9. 

Qaibus de caufis, quia non iure miretiir , fcriveTtil- 
liéiteti. cap.^ ^ ex omni memoria statum , lempo- 

rum , civiiatum , cam exiguura Oratorum nunerum iaveoi- 
rìf e eenténtde fimalmente al e. 5. quia enim.aiiad effe 
puter, nifi tei quandam iocrcdlbilem magniiudmcm , dim- 

a a ciii* 



Intefero quefto i primi fìlofofi , che attenta- 
mente confiderando i mirabili prodigi dalla na- 
tura operati ‘fpecialmeme nell’ uomo, .videro, 
che , ficcome in alcuni ella abbifognava di fti- 
iTiolo, cosi uopo aveva in altri di freno (0. 
Coir arte penfarono dunque di fupplire al difet- 
to della natura iftelTa ; e con profpero avveni- 
mento s’accinfero a fi)ggettare una libera eco- 
ii vantaggiofa facoltà a derte determinate leg- 
gi , per cui quelli eh’ erano troppo rigogliofi ed 
arditi per ubertofa facondia di parole, venllTe’- 
ro repreflì ; « quelli, al .contrario, cb’ erano^fo- 
verchio timidi e riguardofi , foffero incitati*. 

Quella fi fu la vera origine dell’ Arte Orato- 
ria , la- quale figliuola eflendo della natura , non 
già dell’artificio; feinpre.più bella e più lode- 
vole perciò appare , quanto più s’ avvicina alja 
primiera fua femplicità, e più al vivo ci rap- 
prefenta l’indole del cuore umano, e le di ver*? 
' fe paffioni che in lui fignoreggiano (4) . 

Non i 


cultatem , E nel Bruto offtrva che in tanta & tam vetart rcp, 
iTiaxiniis praemiis eloqueutias propofitis, omots cupifle dice. 
ae. non plutimos aatos efle , potuife^paiicos , &c. ILib^lT. D§ 


Offit. f. 14. ^ j . 

tfl *>«9 * ffTfiu onr» net^ 

X/rS". Così Longino nel eap. i. Del Sublime , Ifocrare infatti, 
comf rìfer-fee Cic. nel I. De Orar. c.p. diceva, /e celearibus ire 
Epborò^ cantra autem in Tbeepómpo frinir uti falere.’ 

(jf) Ófll'rva il C. Srg. Dortor Blair P. d’ Eloquenza nella U- 
i.irrrfità d’ Edimburpo nella fùa Dijfert. Crit. foprn i Poemi 
di Offtnn , che gli^uomini non hanno mai-ufate tante bellezze di 
liile, quanto ne* fecoli rozzi, nei quali oltre la forza d* una 
fervida immaginazione, la fcarfezza dei propri e precilì termi- 
ai per l’ idee," che volevano efprimere , gli obbligava a ricor, 
rere alla circonli>cuzjone , alla metafora, alia comparazion», 
c a tutte quelle forme, ette trasfondono nel difeorfo uo* vi* ' 
poetica. ^ - 


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)( V )( 

, Non v’ ha àlcuno, tra i moderni letterati , il 
^al pqnga in- dubbio < che gli Ebrei fianoftati 
i- popoli più colti deir antichità . La podia fpe; 
cialmente, compagna indiyifibile , anzi direi 
«juafi madfe,(5) dell’| Oratoria , venne da loro 
felicemente; coltivata li genio della nazione, 
V influenza del clima , il fervido loro immagi- 
nare, r arditezza dell’ efprdiione , e P indole d’ 
nna lingua fufcettibile, di qualunque metro , dol- 
ce, e.foave piucchè altra mai, a poetare natu- 
ralmente gli trafportava (6) . I Cantici de’ Pro- 
feti', i Salmi di Davide e di Salomone , e ta»t* 

. altri fagri libri, che tuttpr ci rimangono, ne 
fanno ampia teftimoniadza (7). Dagli' Ebrei 



O) E flatd detto, che la t»oefia è più antica delia proft » 
e . per quanto ftrana fembrac pofla una lale affVrzione y ella è 
juull^dimeoo yeriffima . Sin qui il cir. Sig. Blair. Predo tutte 
le naiioni a’ introduce prima la Poefia, che l’Oratoria. L* 
allettamento ftelTo , che quella porta feco di fuacatuJA fervi 
ad aprirle la ftiada , e dalla foave armonia dei verfo rapiti ì 
jpopolj ancora barbari , raddolcirono P indole loro feroce , e be- 
vettero le prime mamme di Religione e di, Società. <^aindi 
«e vennero quegli Atnfioai, e quegli Órfei tanto decadati , 

, i quali altro alfine non erano , che poeti . Roeti furono pure ' 

t primi Legislatori, ed i più antichi Filofoli ,■ e quei le leggi, 
quelli i loro presecti divoigarono in vcrlì, come in prù luoghi 
attefta Fintalo. Anai gli fiorici ifieffi ne’ primi tempi ftri- f 

veano in verfij e fe creder dobbiamo a Strabene , e ad altri, 
Ferecide, Cadmo, ed Eccateo furono i primi fcrittori «U profa 
tra i Greci, e ,trq i Romani Appio teco . E chi nonm fìoal- 
Bieme , che per tfctta I* Alia erano già noti c Omero, e Eliodo, 
ed altri, quando non s’ era per anco udito un Ifocrate, ed 
HI» Demofiene . f'. ktfitx. €rh^^ar P Abbé du Bof.Stà. 37. 

CO Leggali l’ cruditifiima Differt. di Savtrio Mattti pre- 
taied^a alla fua traduaione de’ Salmi . 

E' vero che i Profeti erano da Dio inrpirati ; ma que- 
Rotoon toglie, che gii Ebrei fòdero più atti degli altri popo- 
• 11, Cd t primi a coltivare«la poefia, nè che i Frofeci fieifi 
fodero scramente poeti anche fenza la divina iofpiraziooe . 

a 3 


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X VI X 

Mirarono le fcienze in Egitto : ìlall’ Egitto (8) 
in Grecia , e dalia Grecia poi nel Lazio , d’on* 
de fi propagarono coir Impero di Roma àtnt* 
te l’ altre foggìogate nazioni. - - 

L’Eloquenza però non era ancora fiata ridot- 
ta a precetti, nè prefib gli Ebrei, né prefib t 
Greci , quando fi fe' fentire , e col nuovo tito- 
lo di Arte comparve per la prima volta in 
Sicilia. Liberata Siracufa da’fuoi Tiranni,* e 
fatto arbitro il popolo di decidere delle caufe, 
e delle liti , che tutto giorno inforgevano , in- 
cominciarono alcuni di quegli ifolani acuti d* 
ingegno, e di lor natura contenziofi ad efercì- 
tarfi, pubblicamente nel foro(p) . Le cariche più 
riguardevoli , gli onori , e le dignità concede- 
vanfi a quc* foli, che procacciar (è le fapeva- 
no , capaci effendo di movere , e perfuadere 
col fuo difoorfo il popolo. Videfi allora, quan- 
to 


i 

Cfl) Piò fono antichi i Greci poeti , e pi& le loro poefic s* 
occoftaoo a quelle degli Ebrei, ficcomc offerva M. Caricncae 
Mffaif fur P Hifloir» tks bttUs Lstirts . Molte cote tuoltre 
trovann ra Omero, che fono mamfcaaaeate cavate dall» 
Bibbia : il che dimoftra che i primi maeflrt furono appunto 
gli Ebrei . Si fa poi , che Platone , e prtni» di lui Omero , 
quando la Grecia era ancor bambina ^ padarono io Egitto per 
apprendere da que* facerdoti quelle coguizioni , che tanto 
gelofbmcate coftodivane . Oioaoro perciò attribuirce a molti 
coiumi Egiziani l’origine di varie opinioni poetiche fparfe 
éA Omero Aedo ne’divini faoi libri, e nella Grecia poi in- 
trodotte. Tali fouo le pene del tartaro, i campi Eliii , il 
paSaggio dell’ombre, il dritto del peds^gid, le feAedi Bac- 
co , e di Cerere femiglianii a quelle d'ifide e di Ofifide ce. 
Jcbrati dai popoli dì Egitto. f 

(O .Cum rublatia io Sicilia Tfrannit rea privatat longo inter. 
vàlio indieiie rcpetcrentur , tum primum, qóod effet acuta iila 

K on & comroveffa natura, artcm & prmcepta Siculot Coracrn 
Ty6am coafttipiifr , alt ArìAoteics * Cic. D$ TA Or§i, i». 


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X VII X 

li potere cJell’ £ioqiien2a, e quanto 
vaotaggiofa e neceffarìa ella foiTe a chiunque 
afpirava al governo della repubblica. 

Corace e Tifia Stracufàni , e fopra tutti gli 
altri eloquenti adunque Scendo feria rifleflfione 
a tutto ciò che ma^ior forza aveva di com- 
movere P animo degli aicoltanti , penfarono di 
comunicare agli altri quanto per lunga efperi- 
enza, c colPaffìdua confidcrazione avevano ap-r 
prefo (io). Effi furono i primi, che, aperta 
fcuola d’ Eloquenza in Siracufà , fi fecero mae- 
ftri di quell’ arte , quanto nuova , altrettanto 
utile al buon governo della ' repubblica , ed alla 
conlcrvazione della libertà (n). 

■ Crebbe in Sicilia, e fi propagò con felice 
fuccelTo V Arte Oratoria a mifura , che crebbe 
fra que’ popoli la .libertà ifteflà ; ma quando 
poi inforfero = nuovi Tiranni, e che dai Carta- 
ginelì fu queir ifola occupata, r Eloquenza, che 
libera elTèr voleva, -fi rifuggiò nella Grecia. 

Lilia nato bensì in Atene, ma d’origine Si- 
racufano (12), e dìfcepolo di Tifia e di Nicia 

fa i* 


Ciò) DoOorci arti, feto jam & circa Tyfìam & Coraca psi- ' ^ 

mum repertes. Q^int. Inft. Reth. Lib. II, e. vj. III. e. i. 

Ctc. tl$ Invtnt. Lib. II. a. De Orat. I. ao. 

Cii) Sebbene Carmada preCo Cicerone al luogo^ cit. dell* 
Oratore , fecondo che ivi riferifee Antonio, fembri, che vo- 
glia dire, non eCere flati Conce e Tifia veramente eleqaen.^ 
ti; pure fi avverta, che Antonio cercava d’avvilire i precet- 
tori , volendo perfuadere a CraSb , eh’ erano flati Tempre piti 
eloquenti coloro, che non aveano apprefo i precetti dell’ Ar- 
te. Per altro Panfania e Oiooifio fanno menzioae dì Tifi» 
come d’ uoiho eloquentiflimo a tempi fuoi. 

00 t-rfi^r d/ce eie. nel Bruto ^ eft enim Atticus quo- 
niam certe Atbeais efl aatiis., k mortaas & fun^us omni ci- 

a 4 vian 


ì 

1 


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X'viii X 

fu il primo , che Teppe <attirarfi la pubblica am- 
mirazione degli Ateniefi con la fua eloquenza , 
la quale, fe non era piena ed impctuofa, per 
la . fua eleganza .e fottigliezza era tale però , .che 
nulla di più perfetto defiderar fi poteva (13) . 
Per quello egli meritolfi d’ elTere celebrato da 
Platone nel Fedro , come un oratore abile fom- 
ihamenre a perfuadere (14). . • 

Gorgia Leontino poi fpedito elTendo ad Ate- 
ne per chieder ajuto ,in favore della. fua patria 
contro la violenza de’Siracufani , fece tal pom- 
pa .di fua eloquenza , col mezzo d’uija taleifpe-. 
dizione, che s’ acquiftò maggior fama di Lifia 
preflfo* que’ cittadini , i quali chiamavan feflivi 
que’ giorni , in cui aveano la forte. di afcoltar- 
lo (15^. Stabilitoli pertanto in Atene, inco- 
mincio fuiréfempio di Lifia, già avanzato in 
età, ad inllrui.re. quella gioventù nell’Arte O- 
fatoria. Ma ficcome egli era d’indole fu perba, 
e troppo confidava ne’ fuoi .talenti, eneila for- 


viuiÀ munere : quamquam Titnaeusturo, quafl Licinia &Mu. 
eia leqe, repetit SyracuTas. 

Éyfias fubtilis acque elegans, & quo nihil , fi oratori 
fatis fit decere, quzras perfethus... puro lamen fonti, quam 
magnò flumint proptor. Quint, Lib. X.\. Lyfias egregie fubti- 
ité fcrrptor & elegaris... quem jam pmpe audeas perfeOum 
oratorem dicere.. ì^ic. in Brut.y c De Op. Geu. Orai, afferi- 
fcr «he iti motti Itioghi era magnifico ancora nel fuo parlare • 
(14) V. Plutarco''nelle ./Tr'lfe ae' X. Reto>i , , Quint. L.IX. 
r.'4. Aul. Geli. Noti: Attfc. L. 7T. e. i6. . . 

(153 Hute tantus' honos h.abitus eA a Grarcis, fcriveTullio 
mìilÌT. DtOrat, c. il- foli ut ex omnibus Delphis non inau- 
rata Aatua , fed aurea flafucretur . Queflo lo afferma Paufan. 
L. X. eVal. M. L. VITI. c. 15. Plinio però HìJÌ. Nat, /. XXXIl., 
e. I. tfìce , che quella (fatua nel tempie d’Apoliine fu poAa 
Don dalla Grecia, lAa'da Giorgia medefimo . 


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\ 


X Df'X 

t2 del fuo dire; perciò volendo aflumérerim- 
.pegno di ragionare* intorno a qualuoqu^; argo- 
mento gli veniiTe propofto imprpvvif^m'énte', ed 
accingendòfì a dimoftrar coCe anche impoilìbili 
e contrarie alla retta ragione, diventò capo de* 
sofifti ' .. 

Sorfe intanto, il cèlebre Ifocratè’, il quale fo- 
pra ogni altro, viene commendato da Cicero- 
ne (17). Era, egli ftatò. (colare di Gorgia (i8l), 
e da principio (ulle pedate del fuo, infti tutore 
inclinava anch'egli alla Sofìftica eloquenza; ma 
dopo, ficcome dotato era di fomnio giudizio; 
(ì moderò, in guifa che, ai dire delJp fteffo 
Tullio i fuperò tutti gli Oratori, che prima di 
lui erano (lati in Atene (19). Dalla di lui-TcUo- 

' -t , . . , i>> ■ ...J, 


uomini di^uon fetifo , e fra gli altri Piatone con un Dialoga, 
ed Ifocraré con una Oiazione . Tullio nel ì. deOrat.g\i chia- 
ma, Gratuios hominet conttntionis cttpidioMSy guamveritotis. 

E nel Bruro enumerandone alcuni <crive : Leontìnus G*rf(ias^ 
Trafimacus CalctHonius, Proiagoraj /Sbderites^ JProdicus t'h usy 
Hippias Bldtus in honort magno fuit , aliiqtu multi temporibus 
eifdem do€trt fe profite'oantur arrogantibuj fané verbi s, qvtm- 
admodum eaufa inferior dicendo , feri llftperior pojjit . V. 

^uinr. L.IT. c. ai.‘ Cic. DeOrat. t.'ad. ■Qjicll’elo. 

^uenza Sofiftica era piena di affettati ornarne 'tri'; fitioirie atre, 
fla /trifl. Rtth TU. e Cic. nel Brut, e Quintil. tìc. InB. Reth.- . ^ 

importa,, che Laerzio sella vita di Empedocle fui tefti. 
monio di Apolìodoro affVrifca , che Gorgia fu infìgtte nell' 
Oratoria, perchè infatti dalla maggior parte taTP veniva- ri- 
putato. Viffe Gorgia jo7. anni", ncque umquitm in fuo ftudio 
atout opere cejfivit. Cic. de J'e «e». Q_ulntil. Lib.lìl. c. i. 

C17) Horum retati fiicceflìt Ifucrates , qui praeter csecetose. 
pirdem generis Iftudatur a nobis. Cit. in Brut. 

, CJariflìmus ,Gor6>» atwHtotnm Ifocrates ; quamquam 
as prxceptore ejus ipter auOòres noti convenir . Nos auten 
Atilloien ctedimus. Qjtint. Lib. TU. c. l. 

CiO Gorgi^s <avidior eil his feffi vifatibitt quas Ifocratet 
cum lanten audiviffet iu TheS'aira adolvfcens fenera jatn Gor- 

Bianij 


i* • ' . y •,*),<.. 

Cóntro le afurditè di quelli SoAAt turorfero .tuttt eli 


X X )( ^ ^ 

ia , come dal cavallo di Troja , ufclrooo mnu» 
tnercvoli Principi (20) nell'Arte di ^n parla- 
re; ed avendo egli congiunto la foda fiiofofia 
all* oratoria facoltà , ritrovò di più la maniera 
di piacere agli afcoltanti , favellando con certa 
grazia ed armonìa , non mai da prima ufata ; 
lenza però cadere nel numero poetico (zi) , 
Tullio perciò ad Ifocratefpecialmente attribuifce 
la foavità del dire (22); e Platone, riputandolo 
fuperiore a Lilia, nel Fedro induce Socrate ad 
cfaltarlo come fommo tra gli oratori (23). 

Con la fcorta di tali maeftri , con tanti e si 
perfpicaci ingegni , e colia fperanza di premj 
si ragguardevoli fioriva T Eloquenza in Atene ; 
e in mezzo ad un gran numero d’uomini ftu^ 
diofi di quelP arte , dieci erano gli Oratori di 
^ grido , che trovavanfi in quella città'", allora 
quando cominciò a produrli 1’ incomparabile 
Demoftene, A quéfti era riferbata U gloria 
di portare la Greca Eloquenza al fommo gra- 
do. 


- fiiam , moderatiut temperavi». Cic. in (Tfat. ad Brut. Quint. 
II. 8 . Ifocrates tnagnus Orator & perfeftus magifter intra pa. 
rietes aluic eam gloriam , quam nemo quidcm meo }ndicio 
, eft poflea confecutui. In Brut. 

Ecce tibi exortus elt Ifocrates, magifler iftorum o- 
mnium , cuius e ludo, ramquam ex equo Troiano innumeri 
principes exierunt . Cie. deOrat.II. c.zi, Ejus Tchola princi* 
pes Oratorum dcdìt . i^ainr. XH. io. 

Ol) Hoc ia eius fummis laudibitfi , quod verbis Tolutisnu- 
tneros primus adjunxerit. Cie. in Brut. V. Jul. C.Scalig. L. 
If^. e. X. Pottie. 

Cai} Suavitatem Ifocrates , fubtilitatem Lyfias , acumen 
Hyperìdes, fonitum Aefchines , vim Demonhenes babuit 
Cic. de Orat. UI. Quint. X. i. 
faj} V. Cie. Orat. ad Brut, de Opt, gen. Orai, e M. 

L. mi. f. 7. 


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Xtt)C 

do, é'dr raccogliere in fe tutte quante leiloti» 
che ammira vanii negli altri (24). Era patetico 
Antifonte (25), chiaro e femplice Andocide, 
fottile Lifia , fòave Ifocrate , magnifico Ileo (*), 
acuto Iperidé (26) , pieno Elchine (27) , vibra* 
to Licurgo, veemente Dinarco’,'Demacfe affel-' 
tuofo ', e Ibmiglrante ad un fulminé Pericle (28); 
ma Demoftehe parlava con la lingua dì tatti , 
cd anche gli fup»ava*. Per tutte queftefue ra- 
re prerogative meritò d* elfer chiamato Otato- 
re'veramente perfètto (29), divino, e fiiperio- 
re a tutti gli altri, che, al dir di Longino 

• - ■ " ?"■ ré- 



Ct4) Oratorom ingeos numerua , cuoi- d«««ni Cnal Athenia 
fletas una tulerit , quorum longe Princeps t)emo|!1iebes ac pene 
lex Grandi fair . Tanta vis in eo , tam denta omnia . iti 

J uibafdam nervis intenta Tunt , tam nibtl Gck>rum , ia dicea» 
i modus, Bt nec quod deCc, nec quod redundet invenias , 
J2u/nt. X. X. Infi. 

Caj) V. Fiutare. f^h$ dt*X. Rttori. 

C*} V. Pint. ivi . ITeo fu maedro di DemoAcne, e Pila. 
Jun. nelPep. 3 . lib. IT. gli dì fomma lode. 

Dnicis in primis & acutusHyperides. Sltt*»t.X.i.Ci- 
Airone nel t. de Orat. lo mette a paro con Oemoftene\ • Piu. 
tarco afferma che molti lo filmavano a Demoftene fuperiore. 

Ca?) Aefehines lactiorft audentior& excelfior Ifeo, Antifon. 
te, l.y1ia, &c Quint. lib. II. io. Et erat Aerchines , fi Demoni 
ilheni credimus, (Mry»^o|a)»eT«T®-’ . Plin. L.II. ep.-j. Quefto' 
fii il grand* emoio di Demoflene , perchè Laeraio JL. Il, c. 7 . it* 
ferifee che molti furono gli Oratori , ed i Filofofi di tal nome. 

Ca8) Pericle verameate non fu coetaneo di Demofiene : ma 
xjon deve paCarfi folto filenzio , giacché di lui dice Quinti!. 
L.XJI. e. a. e. IO. Quid Pericleai Similem ne credimus Lyfia. 
ca gracilitati , nuem fulminihus & czlefii fragori compàrant 
■ Comici , dum illi convicianlur * Veggafi anche Plutarco nel. 
la di lui vita, e Val. M. tib. rllf. c. 9 . 

Cay^ Oratorem piane quidem perfeOum , & cui nihii admo.' 
dura defit Demofihenem facile dixeris. Cie. in Brut. Unas 
^ Demofibenes eminet inter omnes in omni, genere ^'cendi • 
Of»t. Demoflheaes Oratorum prtacepì judicataf A r/t. 

(io) Dtt Sublimi xxxrr. 


r ^ by Googk 



X XII X 

reftaroilo da Tuoi fulmini in certa guifa abbaf-* 
turi e da fuoi lampi abbagliati . Nelle di lui 
orazioni fi trova fottigliezza d’ invenzione , de* 
prezza d’ argomentare , chiarezza e purità di 
5ile, concilo ftefib tempo veemenza, fiiblimi* 
tà, ed eleganza tanto nelle parole, quanto nel-', 
le fentenze, ficchè nulla di più lembra porerfi. 
defiderarc (51). Ma nel legger Demoftene' gran, 
parte di lui vi manca, diceva Efchine. Imperpc-' 
cbè aveva egli oltre la forza del fuo dire, tale 
efficacia nel gefto, nella voce, negl inocchi , ed^ 
in tutta quanta la perfona, che diverfà cofa af*' 
fatto fi è il leggere le fue orazioni , e l’averlo 
udito, e veduto lui medefimb a perorare (52) . 

Ma la Grecia predo venne foggiogata dai 
Macedoni ; mori Demoftene , c con lui'fpirò 
la. libertà cT Atene; e l’ Eloquenza, che appun-, 
to figliuola era della libertà, incominciò fubito- 
a decadere O5), nè mai più fece luminofà com- 


C)i) Nifiìl acute ineeniri potdit ineis cstaRs, <)ua> rcrfpl^, 
nibil , ut ila dicaid, fiibdole , nihil vertute, ^uod ille non 
videric niiiil rubtiiiter dici, pibil prede, nihil enucleate 
9UO bere poifit ali^uid lioiatìus : nibil centra grande', aibil 
iflcitatum, nibil ofnatuiri vet verborum gravitate^ vel fen» 
ientiaruor., qao quìdquatli elTet elacius., tic. in Srùt. 

(jl) ^Qutd ii/iprum audivilTetìs. . expertus acerrìmum o-' 
cnlj^rum vigorem, terribile vulius, pondus accoriimortatum (ìn-‘ 
gulis vefbis , fonti ra ^ocia, efflcacilfìmos corporis moius. 
go etii dperi illius adfici nibil poteft , tanxen in Deitiolihene 
magna .pars Dcinofthenie abell, quod legitur pOtius quam au<<' 
ditur . Cit. t. tit. Plin. Hifi. Nat. L. f'iT. c. 30. 

C33) Succua nie & fanpuis incorruptus uf^Ue ad bancattarem 

(, ÒtnofihMis') OrarofAm fuù, in naturalis inelfet non fuw 
catus nicor. Pbal|ereut «niiti fUcceflìt ejs , eruditiflSmu» illtf 
quidem horum omnium , fed non ta'm.arRii's initicuius, quam pa- 
fienra . de. /. citi q nel II. De Óràt. c.ì). Poflea quam , ex- 
tinft)« bis, omaiseorura memoiia fe'uCm obrcdiaia 9Ì), & eva.^ 

r.uit , 


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parfa nel .inondo fe non allora quando 111 ac-i 
colta nel Lazio. ' . ' ’ 

' I Romani , che vantavanfi d’eflfer difcefì da. 
Romolo, /e da Remo allattati da una Lupa, 
fembrava , che da : principio avidi foltanto fof- 
fero di fangue e di ftragi (34). Tutte ledilo-, 
ro mire tendevano a dilatare i conhnidell’im-; 
pero, e nelle armi, e nell’arte militare impic-: 
gavano i miglior anni, e ponevano tutto ilio-, 
ro ftudio (35). Non folo niente curàvanfi del- 
le fcienze , ma erano a.quefte affatto -ayverfi ,- ✓ 

giudicandole dannofe.alla repubblica (36) . C?0: 
tali principi d’ orgoglio e di Leverà auferità> 


uiiit, quadatn dicendi molliora^ac remiffiora genera yf- 
ctrerunt. Quintiliano- perciò L. X. c. i. dice, che Demerito 
rallereo ultimai eft ftre ex AtticiSy qui dici pojpt Qrator. 

(ì4^ FeriiOC, conditores fuos, lup« uberibus alitos ; Cc o- 
mnem illum popalum iuporum animo* habere, inexplebiles 
rait&uiais . Jt/^im. Hifi. Lib. XXXVIU. 

O5) V. Salluft. De Con. Catil. in pria T. Liy. Hi/l. L. i. ec. 

Spetopio nel fuo libro Je Clar. Retb. riferifee due E- 
dlitti , per cui i Cenfori turono di parere , che i RettoWcition 
inregna 6 ^ero in Roma: enarrali fpeciaimcnte del rigido Ca, 
tone, che allora quando Carnearfe , Critolao , è .Diogene da 

f atene vennero ambaferadort a .Roma ^ perebò la gioventù aL 
ettata dalla di loro etoquenaa, li frequentava, ed inconrin. 
clava a darli alle feienae , egli fece ogni sforzo per diftogliet- 
la da quefta carriera , temendo , cheanteponeiTe Io Audio deU* 
oratoria all’arte della guerra; e quando poi fi permife, che 
Aquilio recitare le di loro orazioni , fi lagnò fbrtepiedte del. 
Ja ucgiigenia del Senato , perchè non ricercava di rimandar 
quauto prima que’ filofofi ad Atene. V. Cìfì Acead. Quafi. 
L. ti. Tufe. Difp. L IP^. Fiutar, nella vita di Catone Cenf. 
JPet. Crin. De Hon. D/fe^ L. XXII. c. a. tc. E|>pure chi n 
crederebbe ? dopo tanto rfgore Catone u»o «eg'lt nltiini filot 
unni apprefe la lingua greca, e formò alcuni ..editti di Tu- 
cidide, e. di Demoftenc,’e ne’ fuoÌ medefimi ferirti fparfe al- 
cune fentenze cavate dii Greci autori . il^int, Lib. XìT. e.lU 
Fiuuico oelU comparasi d' Arijtidc e di Catoni Cenf» 


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X XIV X 

arano' aftrrebbe potuto perfuacferfi , che 1^ Èlo^ 
quenza fbffe per (labilire in Roma la Tua fede ^ 
c p^ giugnervi a tant’alto grido (37). Eppu- 
re appena fU foggiogata la Grecia, dolcemente 
quefta Teppe domar T animo feroce del vinci* 
tore, e trafportò le arti ndl’ agrefte Lazio (38> 
a i^gpo che , quando da prima riputa vali delie» 
to il ibio far u{b della Greca favella (39)i do* 
po in Roma fi ricufava d’ a (col tare qualùnque 
maeftro > fe dalla Grecia (40) non era venuto * 
" Per i fovraccennad motivi noi non ritrosia» 
mo, che alcun Cratere veramente grande vi 
fi^e in' Roma prima della diftruzioò di Carta* 
gine C41). Ma vinta queft* emula città, e po- 


'CStO Aocfc* la Róifia' l’ÈIoquenia fu precfd&tf <faUa Poeflt * 
Sino dai tempi di Nuntoa Pompilio fi fecero alcuni veffi, eba 
dai Sacerdoti di Marte cantavanfi nelle lóro folenaifii. Do* 

5 6 divolaaronfi alcuni fnni in lode degli Dei, ed'ofcure pre- 
izioni ai P. 'Licinio Tegula, e di Marzio Poeti . Venne 
poi Liviq Andronico , che fcrlde intorno alla guerra Carta* 
ginclV ; e ntialmente Ennio, P'acuvio, Plauto, Nevio, ed 
altri mtnrre ancor Inatte Rettorica èra reonofeinta. , 

Gr*cia capta fcrum viftorem coepit, & arre# intnlflt 
agniii Lacio . Horat. Lib. If. *p. t. Cic. Tufc.Ùifp.Ltb.1f\ 
in principio . * 

Caro V. Tdl. Di Orar, th r. jd. Val. M. Ltb. il. e. i. Non foc 
lo i Màgi firati Romani guàrdaVanfi gelofaroentc dal rirponde^ 
ie ai Greci fe rtOn nella Itngtta latina ; ma ài più vofeVàno, 
che nel feoò delia ftelTa Grecia a loro fi ^^àrlide per via d’' in* 
terpreti per nón effer cofirerti ad ufare là lingua del paefe w 
E C cerone atretia d* edere fiato ^ravementeàccurato dai Ro- 
mani, perchè nel Senato di Siràcufa aveva ^nlrlaro in greco . 
Marco ]iOi di InijJenirore foi^va dire, che, Ut ftiiffìit bpti*» 
tàe gr^'t* f(it y iÌ4 ìjh niquijpinatm. Veeg.iR il ItU elt. ék 
Oftn'SticJót^ di C. Ktth. in vita Tibtrii H. pi, Dipde 
tik. S/ft. VT. ’ 

C'W Óvèlte ncivin aperraihetfte da W#. nf. Di Otat, 
im'pafiH^id’on^ di tiri Jwftòia' àTnwilftil? riferito 

di* tf, 'kitb. d. a. ■ - A ' ' ‘ 

(4O R'oRiiftir'plidìb^tHdeM ’totiaé ràtioishl iSnhfi, ■«. 

que 



X XV X 

Éa hi UDO fiato di jperfètta ,qui€t« ia repubbli- 
ca , che ibggeXti a k vedeva e tributar) potei|- 
ti/fimì re , feroci nazioni , e popoli innumere- 
voli (42), in feno alla pace incominciarono i 
Romani a fvolgere le opere de’ Greci maeftri, 
cd accolfero nella lor patria le raminghe lette- 
re, e le buone arti (43)^ . Allora apparvero i 
primi 'Oratori del Lazio ; e ben prefio s’ udiro- 
no in Roma gli Antoni (44), i Crailì, i Sul- 
picj , i Cotta , i Pilóni , 1 Lentuli , i Bruti , 
ed innumerevoli altri , che tra i chiari Orato- 

. . Al- 


IH I— «■— ■< lil I «I. ■ 

que •xercitationk ulUm viain , ntqne aliqnod przceptttin ar* 
tis effe arbitrarentur , tantum quantum ingenio & cogitatione 
potaraot confequcbaotur . Pofl antem auditie oratoribus Gr^« 
cis, cognitirque eorum litteria, incredibili ^uodam noiirt bo- 
mines difctadi flodJo flagravemnt. Cosi fcrive Tallio nel 1 . , 
Oc Orar. Olfatti nel Brut. 147. e 150. afferifce, cbe unila ' 
agli aveva ritrovato di pià antico in genere d*Yk)i;uroaa pi«f- 
fa i Romani, della orazione d* Appio Cera contro di Pirroi, . 
« dopo j febbene egli raedefimo lodi e Scipione, e Lelio, e 
Galba , e Carbone, e Gracco, a fopra ogni altro baione’, 
pure confeffa , che non fi potevano ancora dirA perfetti (Ora- 
tori , Siccome quelli , che non avevano mai apprefo la vera 
finezza dell'arte. Dt Ci. Orat. m i?. fifut.4. Laonde quella 
magnifiche parlate attribuite dalli Storfci a* primi Coolblt .9 
ad altri ragguardevoli perfonaggi della Rep. , devonfi credere 
da loro vrrofimilmente inventate per ornameato, ed a per* 
lezione iafieme delle cofe efpo&e. 

(41) V. Sailufiio DtCon.Catr!» in prime, e Tit. Livio A(/ 9 ^ 
t>ec. 111. .in fin. 

C 43 } Strvs <nim Gueeis admovit acumina ebitrtis^ 

Bt pofi Punica beila mietuti qtuertre cctpit 
Sutd Sophoctet Tbefpis & Acfekptusc$tilcfmtm* 
Hor. Lib. 11 . ep. 1. . 

(44) Vel. Patercalo £. 11 . Sifi. Rem. e Plutarco neiia«àM 
<Ar C. Mario fhuraao , che tale >cfa i* cloquenc» d* Aatomo , 
che^ allora quando fo tCaltto dai fcgnaci dr Merio c di Cieae 
pei efier ncofo, egli col Jua d^coifb gli ni*, immobili 
Roo » che fiii tenendo gli occhi a terra * picngendo amare* 
^Bte e iRttt fi lafiìiaroj» dedrr nano k aami» . ^ .• 


I 


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X XVI X 

ri vengono con fomma lode • dallo fteffb Cice- 
rone annoverati' (45) . 

di lui età però efìTcr dovea wftrbato di 
portar ìrf’Rotnana Eloquenza all’ ultima" fua pet- 
izione (46); e ficcome tra’ i Greci a Demofte- 
nè, così 'ttà i' Latini a lui folo fi dovea di que^ 
fta il Prihcipato(47) .• V’ erano Cefàre," ed Or- 
tenfioV r uno de’’^ùali veniva univerfalmente 
ammirato' per la fotza ed eleganza infìeme del 
fuo.. pacare (48); l’altro, oltre di' vantaggio d? 
averle preceduto nel foro, e d’ eflfere già in 
gran.-concettq prefib tutti li cittadini , era ma- 
gnifico jjel fgo dite,. ben comporto , ed uberto- 
fo ; cd avea di più una voce foave , e ancora 
un Atteggiamento efficaciflìmo', cd un mirabile 
portamcntó. di tutta quanta la perfona (49) . 



■ . ■ ■ . .. . 

C4O V. Di Cl. Orat. Dt Orar. Ili. 8 . 9. ed in più luoghi 
Brut. < 


C9O At Oratio ita univerfa fub Principe operis fui erupit 
Tallio, at delenari late eam pauciffimis, mirari vero nemi- 
nem poflh. f'. Pat. 7 . 17. - 

* C47) Quaarurn enim poelis ab Homero & Virgilio, tanratn 
faà^ium accepit eloqueatia a DcttioAhenc atque Cicerone . 
Quint. XII, e. il. . 'il 

(48yQuid oofter hic Csefar, gbi$ a dir Tullio fttffo ^ non- 
Ite navam quaadam rationem attulir oratioms , diceadi ge- 
nus ìpduzit prope (inculare? Dt Orat. III. 7. Nella Oraz. poi 
a favor di Lrgaeio adenna- d’ aver feco'lui trattato diverTe 
caufe : e Quint. Ctb. VII. c. 4. e X. c. 1. lo celebra per la. 
puritù «d, feiega'tiea delio Arie , del^che ne fanno ampia' fedo 
i divini Tuoi Comentari . Di tal mente era Ce fa re ddcaco , 
che Plinio Ifr/f. N. L. f^U. e. 15. aflefta , che nel me'ntre , 
eh* egli fcriveva', o leggeva^ dettava ancora ed afcoltava fen- 
za piwto confonderli e liel Lib. 1 ? finalmente il cit.' Quin>. 
di lui coct'fcrìve" Caefar fi foro tantum vacaffet, tioò aliue 
ex nonrif'CflHtm^iceratiem nominaretur.. Tanta in co ms 
cft , -id adóniM , «a -comiiatio , .ut illnm eodem animo dkif-r 
appareat . , 1 l'i 

C49)' Entr»«te vtpborniii fplcadorei elegans compo^tióae< 



X XVII X 

Ma appena Tullio apparve in campo, quelli 
s’ avvidero , che troppo difficile farebbe llaco 
il contendere a lui la palma ; ed il primo pen< 
sò di correre un’ altra via, onde giungere al 
colmo della gloria (50); ed il fecondo, che d* 
anni lo fopravanzava , elièndo già paffaco per 
tutti i pubblici gradi d’onore, dopo d’ aver ot- 
tenuto il Confolato , fra le fue ricchezze vi- 
vendolèla agiatamente , cominciò a dafeiar il 
campo al novello competitore (51). 

Era contemporaneo di Cicerone anche Sallu- 
ilio, il quale da principio frammifchiandofì co- 
gli altri ne’ pubblici affari , più e più volte a- 
vea dato faggio del fuo Oratorio valore , e par- 
ticolarmente contro di Tujlio (leffo aveva aguz- 
zato il fuo ftile (52); ma offefo poi da Appio 
il Cenfore, che ignominiofamente lo aveva 
(cacciato dal Senato : e fors’ anche vedendo , 


' «ptuc, ftcultatr copiofus ; nec prct«rmittefaat fert quìc^aatn , 
quod erat in cauta. Vox canora. & fnavis . Cie,,in Brut. Ta. 
le fi era Ja forza delibazione d’ Orteofio , che nell' Orar, lo 
fteffb Tullio ebbe a dire : Dicebat inelius quam fcripfir ; e 
jÙwior. XI. e. 3. E}us fcripra tantum intra famam Aint , qoi 
Prtnee^s Oratorum exillimatus eil... ut apparcat pia- 
cuilTe aliquid co diccnte, quod legentet non invenimiis-* V» 
Qtll. Lih. I. e. 5. Jtttic. 

Cso) Concedimus fané C. Csefari , ut {wpter magnitttdtnem 
cog.itatioiium, & occupattones rerum minut eloquentiaefièce. 
yh , quam divinum ejusingenium pofiulabat . Ticxtt Or ator$t» 
C51!) le poli Confulatum . .. . fummum illud foum fiudium 
remifit, quo a puero fuerat iocenfut , atque in omnium re- 
rum abundantia voluic beatiui, ut ipfe putabat , remifiBue 
citte vivere . de. in Brut. 

' .00 contrarie orazioni di Cicerone e di Saltc. 

flio,^hq tHttor ci rimangono, da alcuni vengono riputate a. 
poc^; il tdflimooio di Quintiliano però L,ii. 
comprova, che quella di Sailuftio a fuoi tràipi efiUefie.v- 


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X xvlii X 

che il Tuo genere di fcrivere, del quale peral-* 
tro nulla vi può effcre di più perfetto, mea 
atto riufciva a trattar le caufe (55), pensò an- 
ch’ egli di ritirarli dal foro , e di attendere a 
feri ver le getta del Popolo Romano (54). 

Rettò folo adunque Cicerone nel vafto teatro 
di Roma , anzi nel Lazio tutto a far pompa di 
fua eloquenza ; e col potere di quetta piegan- 
do a fuo talento l’animo del Senato e del po. 
polo, e sforzandogli in certa guifa a fecondare 
la fua volontà, tante vittorie, e tanti trionfi 
ottenne nelle più malagevoli circottanze , che 
ebbero à dire gli uomini di quell’età, ch’egli 
regnava ne’giudizj (55); e preffoi pofteri giun- 
fe a tanto grido, che Cicerone ormai non più 
iì confiderà come nome d’ un uomo , ma della 
fteffa Eloquenza (56) . Parlano tutti della di lui 
virtù ; tutti l’ ammirano , e lo ammireranno , 
fenza fperanza però di poterlo mai pareggiare 
Gli immortali di lui ferirti formeranno la 
delizia di tutti i fecoii , e tale fempre il dimo- 
ttreranno , quale egli è infatti fuperiore a qua* 

lun- 


* Cfì) Ncque illà Salluftiaua brevitas^ qua nihil apnd aureit 
,vacuas , atque eruditas potefl e<Te pcrfc-tlius , apud occupatom 
variis cogttationibus iudicem , & Aeptus ineraditnm captaoda 
nubis e/t. Cosi riflette Lib. X, c. l, 

CS4) Leggati il proemio alla Storia della Congiura di Cìl-^ 
tilina. 

.Css} Non immerito ab hominìbus aetatù fuse regnare in \iu 
diciis di£tus eft. Quint. X. i. 

CsO A pud pofteros.vero id confreutus e/t Cicero, ut jani 
non bominia^, Ted eloquentiae nomen habearur . Ivi, 

CO Etegantemente perciò di ini /'efiffe Catullo 
> tyifertiffime Romuii nepetunt 
Sìuot /unti ^uotqut fuert Marte ‘Tuili &C, ^ ' 


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X XIX X - 

Jufique lòde, e maggior d’ ogni encomio (57). 

Ma quanto è difficile il condurre tle cofe al- 
lo flato di' perfezione, altrettanto fembra ma- 
lagevole il confervarle in eflb. Il defidcrio d’ 
emulazione da' principio fpinge 1’ uomo a rag- 
gi ugnere quegli ingegni , che l'opra,, degli. al tri 
fpiegano il loro volo; ma fe per oltrcpafìàrli, 
o per eguagliarli almeno mancano le.fórze,eol- 
ia fpcranza viert meno ancora V impegno , ed a 
poco a poco s’abbandona quello^ che non fi 
può cdnfeguire (58) j L’ Eloquenza adunque che 
per l’Oratóre d’Arpino in Roma era giunta. al 
più alto fegno , dopo la di luir^ morte incomin- 
ciò tofto a decadere , e ficcome Demoftene con 
la’ Greca i còsi la Latina con Tullio fi può dir 
quali , che ‘rpiraffe. 

Due furono i principali motivi di queftode- 
Cddìitiento 4 T« La pèrdita della Romana, liber- 
tà, per cui ■ Venne chiufa àgli Oratori la via di 
far pompa de’ fuoi talenti parlando liberamen- 
te , e fenzà alcun timore ^ e di acc^parrarfi 1* 
amore del popolo per confèguire Je prime cà- 
b 2 . ' ' , ri- 


, Csf) L* eloquenza (ieffa vi vórrebbe per far il dovuto elogio ' 
ingegno di Cicerone.* ingegno, che al dire di Seneca IrL 
tr. Cont. Sohtm Pop. R/>m. par imptrio kabuit . V. lo.fiedb 
Seneca Lib. T. fuaforVi Pater. Lib. lì. n.òé. Uifi. P.om. Plip. 
•««A Nat. Lib. Pii. c. 30 . Plutarco nella Pita di de. Taclt. 
Orat, S. Hier. De Pita Cler. ad Nepot. e Ginft. Lipf. f^atiar. 

7/f. 4; *c. , ec. , , 

< Cs8^ Difficilis in perfeAo mora alt * /nataraliterque , quei 
V^^dere non porelt, recedi t ; & ut primo ad confequendos, 
pijorea ducimus , accendiinur, ita abi tut proteriri, 
dut libali «OS poffe defperavimni , Aodium ciun Cpe feoercir, 

* qubta^equì non potei!, fcqMì deiinic. Y» Patere. 
ecew, Lm L in fin, ■ . 


I 


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)( XX )C 

riche, e i più ragguardevoli onori della repulv; 
fcHca , che dopo non più dal favor de’ cittadi- 
ni , ma dalla grazia del Principe unicamente 
dipendevano (*). II. L’affettata eloquenza de- 
gli cmoli fteffi di Cicerone ,• i ^uali vedendo 
di non poter confeguire la di lui ubertofa fa- 
condia , il tacciavano di fuperfluità , e parlan- 
do con brevi e concifi periodi', e fpargendo i 
loro difcorfi di ricercate ed argute fentenze , 
credeanfi d’ imitare -gli Attici (59),. 

Coftoro non aveano potuto introdurre il gua- 
ito lor genio di fcrivere e di. parlare in Roma , 
quando vi vea Cicerone; ma appena egli mori, 
entrarono in campo, e prefo il poffelTo de’ro- 
ftri a poco a poco ne difcacciarono la vera E- 
Joquenza . Afinio Pollione , che fuccedette a 
Tullio, e che regnò nel foro a’ tempi d’Augu- 
fto, era egli bensì diligente, e fors’ anche trop- 

{ )o, nell’ invenzione, pieno di configlio, e di ya- 
ore ; ma di gran lunga inferiore a quello e per 
la grazia, e per la purità di favellare (do). 

Contemporaneo di Pollione era P. Valerio 
Meffala, il quale, effendo flato difcepolo di Ci- 

ce- 


CO Haec una ret in otnni libero popolò, maxìmeqae in pa. 
catic , trannnillifque civitatibus, pr«KÌpue femper floruit , 
-feraperque aomiwua eA. De Orat. T. 8. De CI. Orat. 

CsO Cbnflat nec Ciceroni quidetn bbtrenatores defaife , 
quibua inflatus. & tuntens, nec Tatis predile , fupra moduia 
i-xultaos ft fuperfluens & parum Atticuc videatur,. .Tatù, 
Orar. a. i8. iìmint. XII. i. ^ 

Cdo^ Multa in Afinio Pollione ìnventio, fnimna diligentia, 
> ad«o ut quiburdam.ettan nimia videatur , & cOnfilii & animi 
«falle; a nitore & jucunditate Ciceronic ita longe abeA , ut 
wìderi poSt AeciUo prior. Lek. X. $»l, yàLM.f'lH, 

t. 3 . Hor»$, Lih. //. 04$ z. 


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5C it< % 

Ctt'bite sfonavàfi di riceaere l’EIòquenza nella 
fua dignità mà tiulladìmeno,.- vincendoci 
contrario partito f qiifefta tempre più fi corrup- 
pe, e col ptoceder del tempo il buon gufto a 
tal fegtio decadde. Che fotto Tiberio, perduta 
bifàttò queir aria fenrlplice e naturale, che for- 
rtiàva il fuo belló, degenerò in una puerile e 
coinpàfliortevole affettazione (Ò2). 

Seneca tra gli altri ^ tiomb fornito di fom- 
iha dbttrina, è dotato di grand* ingegno per di- 
lli nguerfi i è per renderli mirabile e (ingoiare 
con un genere di feri vere tutto nuovo , e fuo 
proprio j inife a tortura i liioi penfieri e fi sfor- 
mò di parlar fempre in modo tanto conci fo, e 
ièntenziolb, che (lanca la mente, ed annoie- 
rebbe ancora i leggitori , fe non a velie avuta 
Tarte di (èdurre gl* incauti con T ingannevol 
dolcezza , di cui fbno afperfi i fuol vizj (63) 4 
b ^ Era 

i ... IM.. a .■I. rn a. > tu i r l 'V . .»■ 

Qb«Ro è ^atl àlefala io Unti loòglii encomiatò da 
Tibullo. Egli oltre 1* elo<]aenaa, in cui per la dolcezza ed 
Mcnratczta, venne da alenai creduto fnperiorc ài (no inae- 
ilrbf àvéva accoppiate tutte le beileaae, e perfeàioni delle 
altre arti liberati. Pure nella fna vecchia étii, indebolito 
dagli àbni , é dai Aalori , di cefi , che perdere i fentiibenti a 
fegoo di noU ricordarli pih neminen dei fuo none. V. ttj, 
ék. ad Srtit. IJ. TaHt. Orat. i8. Quint, X i. Plin. Uifl, Pii 

• Càrlèncaa Fffais far l’ Miftoìt* dts itUtt Letiret Ti 
I. Art. Cratm. 

ffiì) Adulte ineo, clareque fenteotie , tnnltaetiain tnofuftl 
gratti legenda; fed in eloquendo còrrtiptà pleraqué , att|ue 
eo perniciolìlfima , quod abundat dulcibut viti.it . ^lieb, euth 
fuo ingenio dixilTe , alieno judicio. tl^inu~ÌJb. X. c. i.‘ g* 
acòsrferd gaelt! aS'etrati fzriituri , che il loto dire, hon 'potè* 
va giacere cfiTendo privo di quella naturalezza, e'rffhpfici' 
tè, che tanto' beod t* infinua ntl.nofiro cuore ; e però“ cercai 
zono d*allctura aoo £giat btillanli , con tnocu vivaci , c Ten* 

tep- 


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X xxrr X 

Era egli fra' le mani di tuttavia giovcntìi 
Romana , la quale pollo in obbiio Cicerone , di 
lui folo dìlettavaiì, quando incominciò a fiori» 
re il gran precettore F. - Quintiliano (<54). Vi- 
de quelli l’irreparabile danno, che fofferto n’ 
avrebbe 1 ’ Eloquenza , fe ad un tal difordine 
ninno lì folfe oppollo ; e però s’ accinlè con 
tutto r impegno a trar d’ inganno que’ giovani 
che bramavano dillinguerfi nell’ arte Oratoria, 
mollrando loro colle lue Inftituzìoni la vera 
via, che batter doveano fulle traccie di De- 
moftene e di Cicerone per renderli veramente 
eloquenti (Ò5) . E quantunque , per colpa del 
fecolo già corrotto , non abbia potuto far rifio- 
.rire l’età d’ Augnilo, pure ebbe la gloria di 
vedere a giorni fuoi gli Oratori di gran lunga 
migliorati (ó 6 ): e quegli llelTi, che amavano lo 
flile arido, e fecco , approfittando dei di lui | 
infegnamenti , conduflTero poi quello fecondo ge- 

ne- 


tenze argute.* ma quelle pure noti provenendo dalla, natura, 
ma ricercate effendo dall’arte, pofono bensì fedurre gli in- 
cauti; a uomini però di buon fenfo riefeono Tempre inlìpide, 
,e difgunofe . 

(($4) Fu maeflro dei Nipoti di Domiziano; e le Tue Indi, 
.tuzioni Rettortche Tono così perfette, cbedamolti vengono 
preferite anche ai libri da Cicerone fcritti fu tal argomento . 
j.e Declamazioni , che ci reliano fotto il di lui nome, fiere, 
dono d’nn: fuo' Avo, del quale parla Seneca VJ. Divis» V. 
Alarziale , ed Ang. Polii, in Pr^efat. ad ìnfl. R. F. H- 

(65) In piò luoghi di quelle fue Infiìtuxioni- egli, parla fe- 
gnatamente contro di Seneca, come d’un corrompitore del 
buon guilo. Lo HeiTo fa Tacito nel 'Dialogo Orat.^ 

Q 66 y Tra gli ottimi Oratori de’fnoi tempi da lui vengono 
annoverati Domtzio Ad'ro, Celio Calvo, Suipiaio , Caffion^ 
Severo , Giulio Africano, Vibio Crìfpo, Tracallo, Giulio 
Secondo, ed.Aabdio Bado» V. Uh Xt f* 1, Xtl, e. 10. ix. 
Snjì, Retb. 


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X XXIII X 

aere d’EIoqu«iza alla fua maggior perfezione. 

Teftimonio ne Ga il Giovane ^Plinio, che 
vifTe in gran fama ai tempi diTrajano, edaf- 
^rma d’ eflTere flato difcepolo di Fabio (67) . 
Le fue lettere s fe non fi poflbno paragonare a 
quelle di Cicerone per la purità.ed eleganza del' 
lo ft/le , fono però concepite in maniera , e con 
tali fentimenci, che moflrano un grande inge> 
gno, e nel fuo genere meritano d’effer confide- 
rate come originali . Il Panegìrico poi di Plinio 
in lode dell’ Imperador Trajano comunemente 
fi reputa un capo d'opera, ed una veraimma' 
gine dello ftile Attico (< 58 ) ; cosi che ben a ra- 
gione fi può dire , che P Eloquenza Latina in lui 
taceffe gli ultimi sforzi , e quindi affatto periffe . 

Nella decadenza del Romano Impero le.fci- 
enze paffarono tra gli Arabi (^9)» e di nuovo 
fi difTufero nell’ Afia, fenzachè però in alcuna 
parte, di effa veramente fi ftabiliflcro. A que- 
llo loro paffaggio dieder moto fpecialmente , e 
contribuiron non poco. le turbolenze d' Italia, 
la divifion dell' Impero , e la noflra Cbiefa , 
che in Oriente più che mai andava fiorendo (70)^ 
b 4 So- 

•Cé?") Ved. Ef. 14. Lib. IL *p, 6. Lib, VI, 

(68) Giulio Lipfio fra gli altri nel Lib. V. $p. 15, Epijb, 
Quafi. ebbe a dire: ^idqiiid GicerQniani fentiant, ego vero 
plures orationes Plinit AipcrelTe vellem . Panegyrico ad Tra. 
janutn fané captor ; & fi ^uid judico, fpccies in co compa- 
ret veri Atticifmi . 

(69) Fiorirono allora gli Albufaragi, gli AIbnfeldi , gli A» 

vicenni « ed altri , de’ quali parla Jacopo Kettero MonarchiM 
Afiatieo-Saracfmtte Stasus . Balta leggere anche le ilorie 
Ver vedere , come la maggior parre degli Scrittori che ven« 
lìtio dopo, o furono Greci , o della Greca lingua pinttofio 
fht della Latina fi ferviroao . * 

1 primi Padri delia Ciitef* Cicca viSero io qarftìSe. 

coli, 


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X XXIV X 

Sopravenflcro poi anche gli Alani , ì Goti 2 
Vandali , i Longobardi , ed altre ftranieré bar» 
bare genti , le quali fpenfero affatto quali ogni 
cognizione di lettere; e Roma intanto occu* 
paca da quelle feroci ed incolte nazioni , op<* 
preffa dai tiranni j e tante volte efpugnatà e 
diftrutta da’ fuoi nemici , non folo aveva per-^ 
duto l’antico lullro e decoro, ma a si deplo- 
rabile ftato era ridotta, che aU’eftremo in lèi 
quali non lì trovava chi lettere Latine con al- 
cuna gentilezza fapeffe (^i). 

. Languivano già da gran tempo le fcienze inf 
tin miferabile obblio , quando finalmente fcoffe 
l’ Italia il fervil giogo , e cacciati i Longobar- 
di , ricuperò la defiderata libertà . Le città del- 
la Tofcana furon le prime j che incominciaro- 
no a ripulire, ed a limare il rozzo loro ftile< 
e che tentarono di richiamare le raminghe ab- 
bandonate lettere nell’ Europa , d’ onde erano 
fiate dalla inondazione de’ barbari dilcacciate {yi)^ 
Ma con tutto ciò lino a’ tempi di Dante Ali- 
ghieri non ricuperò mai 1’ Italia 1’ antico Uro 
vigore ; e febbene molti non fprezzabili inge- 
gni nel coltivar le Mufe 1’ abbiano preceduto , 

niu- ' 


con, ed e(G farottccbr coafcrvarono le fcieoee, emaffimel’ 
£lo<|uenca.' 

Czi) V. Leoo. Aretino nella vita di F. Petrarca. Cofa 
fnirabilc in vero, che da un mifio di lingue barbare , frqua* 
li corruppero la' latina, ne derivalTe poi quefia noftra Italia, 
che per grafia, c dolceaca a ntfl'un altra la cede. 

CzO Poefia, che tra noi parimente precedette l’orafo^ 
ria per teftimonio di L. Aretino, e d’altri molti, ci venne 
da’ Proveozali , e le pii antiche noftre canzoni fon qaetle , 
che ordinariamcote ‘cantavaniì da que’ barcaiuoli , le quaS 
vennero io feguto dai Tofc^ni apprefe, ed iraftate . 


r 


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\ 


X XXV X 

però fi ritrova , il quale prima dì lui 
Vera gentilezza > e buon gufto di romporre ab- 
bia confeguito (^?), Egli fu il primo , che ve- 
ratnente dotato di poetico valore, di finiffimo 
giudizio, e di rari ralenti moftrò alP Italia il 
modo di pareggiate Atene e Roma , e di alzarli 
. a quella nma , per cui eranfi quelle città relè 
cotanto illuftri . ' ^ 

Francefcó Petrarcà uomo, thè ie mufe aliai* 
iar ptit eh*' altro mai , fuccedette al divino A- 
lighieri ; e 'quelli ritrovate avendo P Opere di 
Tullio, ne' formò la fua delizia, e procurò di 
rivocar in luce P antica le^iadria dello Itile 
perduto e fpento,'adaltandou i per quanto ha 
potuto , a quella elegantiffìma fiicondia (74)^ 
L’ efquifitezza del fuo penfare, il fuo puigatilfi- 
mo Itile, la dolcezza, la gravità, e tutte P al- 
tre ’ot ti me fue prerogative lo renderanno lèm- 
pre ammirabile a tutti coloro , che fapranno gu- 
llar con piacere le mufeTolcanc. Nè Ibloegli 
(ì dimoftrò fublime Poeta, e gran Fiiolòfo , ma 
ancora purgatilfimo Storico, e nella Latina, e 
nell’Italiana favella fopra ogni altro eccellente * 
Contemporaneo ed amico del Petrarca fìi il 
Ch. Giovanni Boccaccio, il quale avvegnaché 
(ìafi non poco dilettato della poelìa, pure vob 
le particolarmente fegnalarfi nell’ Eloquenza , di 
' cui tra noi Italiani può coofiderarfi come pa^ 
.. . drcr 


^]) t pritni e pià anticlii rimatori Italiani per tefiimoDio 
dello fleSo Dante furono Gnido , Guinizerlli Bolo{;nere,,Gttit- 
tone Cavalier Gaudente d'Areszo, Bonagiunta da Liuca|C 
Guido da Meffina. V. L. Aret. nelia vita di Onilft, 

(74) V. Leon. Aret. nella vha M Pttrarfa, 


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)( XXVI X 

drè . Niano in fatti dei Tofcani fcrifle in pro- 
fa con uno Itile più purgato, piu dolce, ed e- 
legante di lui. Le fue .Novelle ci danno 11 idea 
di tutti i generi , di tutte le forme , di . tutti 
eli ftili , di tutte le materie , che polTon venir 
a bifogno; e nulla v’ ha di bello nè tra i Gre- 
ci,' nè tra i Latini, ch’egli non abbia fapuco 
leggiadramente in Italia rrafportare . Perciò eb- 
be a dire il Buommattei ( 75 ) , che fe Demolte- 
ne , e Cicerone aVefler potuto veder le fue pro- 
fe , non fi farebbono sdegnati di leggerle e rileg- 
gerle, con celebrarle poi per una delle finiili- 
jne opere che abbia l’ arte del dire . . 

Sulle traccie di qUeftì grand uomini , la di cut 
fama rifuonava ogni dove ., tutta la gioventù 
con fervore fi dava alio ftudio dell’Eloquenza. 
Ma ficcome comprende vafi la necefiìtà di ricor- 
rere a primi fonti per trarne pome dalla .vera 
forgente più puri c limpidi i rigagnoli , perciò 
tutti erano rivolti alio Itudio della Greca e qel- 
la Latina favella (76) : efaminavano attentamen- 
te gli antichi maeftri dell’ arte Rectonca ; e men- 
tre erano rapiti. dalla mirabile facondia di Tul- 
lio e di Demoftène, fcordavanfiquafidellapro- 

pria lingua, o almeno poco fi curavano di col- 
tivarla ( 77 )* •' Il 


C70 OraK- in lode delta Lingua Tofeana, 

(j6j II Petrarca fpecialmente avea inculcato a fuoi Oiice- 
poli io Audio delie lingue fud.; epperòGio. ^avvenate, Vit- 
torio da 'Feltre , Gafparino Barzizio, Francefeo Fielfo tra 
di àltri dì quell’età in effe fi fegnalarono. 

” C77^ Nel Secolo XV. l’Italia era popolata d un ^an nu- 
mero di ProftffVJri in eloquenza, ed innumerevoli Orazioni 
tulio giorno apparivano in luce, ma tutte latme . Bettuicllt 

^ tTéUt* 


X XXVI 1 )C 

Il Secalo d’oro dell’ Italia però elTerdoveail 
Séftodecimoj e Fiorenza y» che aveva avuto que- 
lla fingolar grazia dal Cielo d’ elTer la prima.^ 
che ritornaffè in ufo 1 ’ Arte Oratoria già quaó 
cftintà , dovea pure aver la gloria di mirarla 
afcendere al più alto grado fra le fue mura, e 
per opera de’ benefici Tuoi cittadini (78). Al 
Bembo ed al Cafa deve la fua ma^ior perfe- 
zione la noftra lingua ; e fe V uno ravvivò' il 
Petrarca ed il Boccaccio nella purità ed elegan- 
za del fuo feri vere, l’altro fc’rinalcere nel. fè- 
no della Tofeana la vera eloquenza d’ Atene e 
di Roma, A quelli vennero in lèguitq Jacopo 
Sadoleto, Pietro Vittorio, Latino Latini, Al- 
berto Lollio , Bartoiommeo Cavalcanti , Alef- 
fandro Minerbetti , Luigi Alamanni , i, Mìnu- 
zj , i Mureti , i Taifi , i Sannazzari , i Buom? 
mattei, i Tolomei, ed altri innumerevoli;., e 
dopo qualche tempo un Zappi, un Ménzini , 
un Lorenzini, unSàlvini, unLazarini, unFac- 
ciolati, un Volpi, un Mafièi, un Gravina, un 


Part. IT. cap. 2. Del Riforgimemo Jealia negli studj e 
pelle Arti, 

C78) V. Alb. Lollio Qraz. in lode della X-ingua Tofeana . 
Beninclli luog. eie. Vinc. Gravina Bp. ad Scip. Majfeitm , 
Lorenao de’ Medici 4 ’ immortale memoria aprila fua cafa il 
tempio delle Mute, ove s’ adunarono i pt& valenti uomini 
di quell’età. Tra quelli fono celebri Criftoforo Landino , 
Angelo Poliaiano, LaonicoCalcondila, MarlTlio Ficino , Gio. 
Lafcari y Ermolao Barbaro , Gio. Picco Mirandoiano, Gio. 
Aventino y Ger. Mercatore, G. Cef. Scaligero, Gio. Sleida. 
no, Gioach. Camerario , Giorgio Fabricio , Rafaelc Volalerra. 
no, ec. Piero, Giuliano, e Giovanni de’ Medici , il quale 
dopo fu Sommo Pontefice col nome di Leone Decimo figlino, 
li del prelod. Lorenzo feguirono 1 ’ efempio del Padre , e ftt» 
fono i Mecenati di ^uel Secolo, 



X XXVitl-X 

Zàiiotti , e cetìCa e mille altri , che vifleról , 6 
vivono anche ài prefente per gloria e decoro 
delle Italiane Mufè (79). 

Quelle furono le vicende ed' i progrelTi delP 
Arte Oratoria , della qiiale io intendendo, efpor- 
re i primi elementi nel feguito di quella Breve 
operetta dopo tanti e tanti , che in tutte le età 
ne trattarono elegantemente , parmì dòverofo ^ 
che primieramente colla maggior brevità pòflfi^ 
bile renda ragione del nuovo miodilègno. La- 
(cierò dunque dal riferire (jue* difetti che par^ 
mi aver notato in altri ò in q'Ùantò alla chia-* 
rezza, 0 rapporto all’ ordine ed alla brevità, e 
finalmente rifpetto alla mancanzd cT alcune par* 
ti neceflarie, perchè maggiori forfè faranno 
quelli ih €ui farò trafcorfo io medefimo , tiort 
dTendo al certo fi profoniiiofo di crederl’opTà 
mia in tutte le fue parti perfetta , ed irrepren* 
libile. DiròTolo, dìe dovendo io a tali ftudj 
fpecialmente appigliarmi per ragione dell’’ im« 
^ego, cui r Immortale ed AùgùstA Maria 
Teresa , fotto i di cui felicilfimi aulpicj fio- 
riscono nella noftra Infubria le Icienze , per (in- 
goiar fup benefizio deftinato mi volle,; neceflar- 
rio ho creduto ricorrere a’ primi fonti, ed efa- 
. mì- 

« Il II II I • ■I il. ì i t' M . [V l ~> *11 » '* 

». f 

(79^ tf peffimo guflo dii Sècolo fcorfo avea guafla , 

J uenza^ lAa levaronò la' voce, e n oppofero al nuovo diror.> 
ine uonifm' grandi, o'nd* e(Ta fì riebbe', è tornò al fuofpien. 
dorè. Piaccia però di Cielo, che il moderno genio d'a^uar 
lo itilé delie nazioni Òltratn'ontaot' , nón fàccia perder all* 
Italia la Tua' vera eloquenza^ ed' a fotiriglianza deU> Latina, 
non la tragga all^arido , concitò, e depravato parlare de'' . 
Tempi di Seneca . V. BeOiAdiM Prtfaìt. fòlit Btllt Lctttfò 
Tom. I. doth fyt Ofort EdU. 


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X XXIX X 

minare attentamente’ i precetti de’ migliori mae<^ 
Uri , per quindi comunicare a’ giovanetti coi^ 
quel metodo , che più fpediente mi fembrava ^ 

3 uanto da eifì aveva apprefo. Per la qual cofa 
opo mi fono accinto a (criverc i Precetti ele- 
mentari deir arre Rettorica , giacché quefti dif;^^ 
fìcilmente ritrovanti in un foio libro Separati 
Air altre parti che fervono a formar 1* prato- 
re, e di cui non è mio ufficio il favellarc^^E; 
perchè vegga ognuno, che quanto da me 5* in-; 
legna, fu già dottrina de’ grimi Padri delI’ÉA 
loquenza , ho voluto riportarne i tefiimonj ^ 
onde maggior pefo ne derivi alle mie àflèrzio-s 
ni , ed apprefi quelli , originalmente le còlè s\ 
imprimano nella mente de’i^udiofi dell’ Arte. < 
Nè credo, che mi condannerà. afcuno*, ^ -per- 
chè r italiana favella piuttofto che Ig latina io 
abbia adoperato . Imperocché ^dandofì ad: unql 
fcolaro fra le mani un libro , fi:ritto*in una liii^ 
’gua , di cui non è ancora perfettàmente al pof- 
lèffo, ognun vede, che o fi condanna alla dura 
iieceffità di non faper quello che legge, o gli fi 
toglie il frutto della lettura, perchè mentre egli 
iludia fui veri) fignifìcato de’ non ititefi vocaboli , 
perde il filo , e tutta la forza del fentimento . 
Ma s’aggiunga di più , che , effendo ferirti quelli 
precetti nel noftro idioma italiano, utili non 
^blamente faranno a’ giovanetti , da cui verranno 
più facilmente intefì , ma giovar potranno anche 
SI coloro, j quali laJlin^'Xatinà^afi^tto non 
intendono . Per tal motivò ho avuto egualmente 
cara di arrecare efempj cavati dai migliori ferir- 
loti Italiani e Latini , acciò, chi non éalcafo 



)( XXX X 

if à|)f>j‘òftttare dagli uni, vegga le ftefìTe co(c* 
Aegli altri ; e chi i’una e 1’ altra lingua appieno 
eapifce , ofièrvi , come fìanO amendue capaci 
delle ‘fteffe grazie ^ e'de’ nfiedefimi ornamenti. 

Molti piuttòfto m’ accuferanno d’ eflTere flato iri 
alcuni luòghi poco amante della brevità , e d* 
àvef abbondato foverchiamente negli eferhpj 
Ma,- oltreché lid fori certi punti, chenonfem- 
brano' mai abbaftanza fviluppati , e fchiariti , ad 
un principiante le cofe anche' più facili e chia- 
re, riefcono difficili ed ofcure: ed ho veduto 
in'efperienzà , che la moltiplicità degli cfimpj 
é vantaggiòfa , perché Ja gioventù approfitta af- 
fai più dalla confiderazione di quelli , che dai 
precetti . Quante figure pòi vi fono ed orna- 
menti del dire , che in varie e varie forme fi 
poffono concepire ed efprimere ? E quivi fo, 
che; 1’ Aut. ad Erennio (8o) era di parere, che 
non fi doveflero da altri prender ^Ir efempj , 
ma formarli a bella pofta. Io però i ri quello ho 
Voluto fèguir le traccie di Cicerone (8i) , fce^ 
^liendo dalli più accreditati Autori quello che 
Convenir potea al mio propofito * 


' (ScJ Libt TP^,' cap- l. 3. 4* ’ 

{fitj L/t. ir.’ De' favtnt. 'QuonUal nobis quoque Vofentibittf 
àcctdtt, ut artem dicendi ^erfcriberemus ; non unum aliquod 
propofuimus exeinpluin, cujus omnespnrtts, quocumque ct> 
fenC in genere « 'txprimendige nobis neceiTario vidcrentqr ffd 
«nnibus nonni io locunp coaéiis fcripioribus,. qnod quifque 
commodiflìme prsecipere videbatnr, excerpilmuf, & varila 
Ingrniis excellentiffima qucqne libavimus. Tanta piu quèfio 
fAr fi deve da noi «he non fiam Ciceroni ; piaffime cbè Iq coih 
trarie ragioni addotte dall’ Aut. ad Erennio, non fanno al 
noftro ptlpofito . 


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s 


t t 

)( XXXI )C 

Avrebber cert’ Uni anche defiderató maggior 
erudizione in quefta mia breve fatica , ed egua- 
Je intereffamento per i moderni , ficcome per 
gli antichi maeftri, de’ quali forfè mi diranno 
troppo fervile . Avvertano però coftoro , che io 
mi fon proteftato d* avere fcritto per i principi- 
anti , ai quali ^ ficcome devonfi proporre le co- 
fè più fode e fondamentali con tutta la pofTìbiie 
femplicità , per non opprimere e confonder Ja 
loro mente; cosi differir gli ii devono a mi- 
glior tempo quelle cognizioni, che da princi- 
pio per lo meno ad efii riufcirebbero affatto i- 
nutili (82) . Quantunque poi non poco da me 
fi apprezzino i moderni fcrittori d’ Arte Ret- 
torica, ed in più luoghi di loro abbia fatto u- 
fo , come vedraffi ; pure non ho voluto fcoftar- 
mi dagli antichi , si perchè quelli dal giudizio 
di tutte le età trafcorfè vennero approvati, si 
perchè ancora nulla v’ ha preffo i moderni in 
quello genere , che da loro non fia flato con 
eleganza e diligentemente trattato. Dicali pure 
adunque ch’io fui troppo fervile di Tullio e di 
Quintiliano, che quello mel recherò a gloria, 

e fa- 


C8i) Tra gli altri uomioi dottiintni, che formano M-pii 
ben; or..aihrnto di qmfla noftra R. C. Univcr/Ì^tà è celebre 
il Srg. Ab. D. Teodoro Villa Profeflbre d* Eloquenza Greca 
® Uatiiia , e per le fue moitiplici produzioni noto a tutta Ja 
Repubblica Letteraria.^ Di lui io dir potrei quello, che di 
Archia diffe già Tullio; e ficcome riconofco 3’ aver non pòco ^ 
•■pprofìtiato negli anni miei più verdi .dalle fue faagie infiru- 
yoKi , cosi dopo l’intero corfo della Rettorica''rimetto alla 
di lui Scuuia chiunque bramerà confegiiire la- vera Eloquen- 
za, ed arricchirti la mentjp di tutte le j>ià bpJIe «oetiMioni . 
che ad cfla apparccngooo . ' . . 


X X«1I )( 

t farà per nrc argomento di fpcrare la comune 

di por fine a qucfta Prefazione, 
non vo’ lafciar di , parlare della dignità , .c de’ 
vantaggi, dell’ Eloquenza , affinchè i giovani s 
applicSino'-con maggior impegno , ed aerazione 
allo ftudio della. medefima. „ E qual cofa infot- 
ti v’ha, diceva- Graffo (85), di più raro van- 
to del poter tenere ragionando attente le intere 
affembice, le- menti dilettare , e là condurre do- 
ve vi piace, le volontà, e ond^ pur piacciavi 
ritirarle ? Che cl può effere di più amimrabUe , 
che il ritrovarfi in una moltitudine infinita di 
popolo un uomo , il quale o folo poflfa , o con 
pochi far ciò , che a tutti è fiato per natura 
conceffo ? E qual diletto eguale a quello di a- 
fcoltare ed' intendere un’orazione di faggi lenii 
e aravi parole compofta , e adorna? ovvero qual 
cola è si magnifica e dimofirante potenza , co- 
me il vederfi gli affetti d’ un intero Popolo e 
le giurate fentenze de’ Giudici , e la gravità d^ 
Senato per lo parlare di un folo uomo volgerli 
.interamente, e mutar faccia? o qual atto e tan- 
to liberale e fplendido, ed a reale cofiume 10- 
migliante, quanto il far. mercè a fupplichev^ 
li , follevare dalla miferia gli opprcffi , recare 
altrui falutc, liberare da’ pencoli, e intendere gli 
uomini nel Soggiorno dolciffimo della Patria i 

• o le 


• - 

.. (83) E' CiceroM flefo eh* parla nella 
ZiA F e S D$ Orai, fecouéo la trad.,del C ® fin». 

'prò Mufépna rfe #c. , «c< 


\ 

V 


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4 


4 


X mu.i X *■ 

0. pecftffilià rigyardtamo, che ci ò e#i di 

pm Bec*fl»rio dell* aver fempr«,jf.Aro)i inva- 
ilo, ernie g^li.0 gwaiHirfi dailiì ^£f«r o6elì? , 
o mvelti^ I malvagi, e provooatr da e/Ti vea- 
drcara^ E per dal Fm>v dw trinali, 
jU.Ro^ri^^ d^Ia,Curiaf, qual puoM, ai- 
lorebi; dalle ^ocettpaaion* fi.imo liberi ,,«o più 
gi^onda tepore;, o .'piti ^péopria delja. nàcara' 
celi uomo, che ho parlare piacevole, e io a- ' 
gm fua p?rte puIko. c cokoi‘,f84} «. 

■ Facevi permeo corag^^o,;yi dirò o gjov^oT, 
« -con torto Rimp^*^ applicatevi a qoefto llu- 
dw,. accio, efter pòlTiate d’ oflore a voi medefi- 
di vantaggio ^li! 'amici, ^di Ibllieva alla 
repubblica C8 5) , NiuoQ^vi fu. pai .avido .vera- 
mente di lode il quale non dafi credixo m do^ 
-we d’ attendere con fomma diligenza ali’ arte 
(8(5). Non V’ aeterrifea dunque ia 
difficoltà di giugneroe al perfettopoflfe(fo* im- 
.perocebè, febbeoelpochi Ììano ftaii m. qualun- 
que età gli eccellenti oratori, pure a qualch’ 
uno di VOI effer potrebbe una tal gloria nferba- 
£ e C^niol^ne, Virgilio e Gicerooe, 

A alip ed Bembp , e qualunque altro de’ più 

' '■ •-. ^ ter 

" ' , 1 t ' I li t l I ^ 

' * 3 . ■ 

?«*■ « iniiabiir pradfei o. 

nr»n * eir» talòra oiUnpto quenV 

V AI i n?n ‘ formidabili Sferriti’ 

in^q Jì eflS incumW?..* * tdolefcMtea , at^ue in id Ihfdittm 

?/r. • 




xxxir X 

celebri Greci , ^ Latini , o Italiani- fcrìttdri vl>- 
vranno Tempre nella lor fama ; non è perciò 
ibnoflìbilé, che:forgano altri ingegni ca^ci di 
faperarli, o di pareggiarli almeno (87). Quelh 
che io vi prefcnto fon Que’ medefimi precetti , 
fui modello de’ qufali fi formarono in ogni teni^ 
DO i veri Oratori; concioffiachè quand’anco fi 
mutino i iTwdi dello ftile, r Eloquenza che è 
fÌRliiiola della natyra , è Tempre a IteiTa; ed il 
«enro degli' uomini può ben cambiarfi col vol- 
gere delle età , ma il buon gufto è Tempre il 
medefimo. Procurate dunque d’ approfittarne - 
per non render inutile <juel defiderio , eh 10 eb- 
bi di giovarvi , e per il maggiore ingrandimen- 
to delia ToTcana. Eloquenza . ^ • 

* Che (darò fine colle parole di Tullio (88)) 
nello Tcesliere le coTe da me m qucfto libro e- 
Tpofte, avrò adoperato tutta quella diligenza, 
che al buon efito dell’ opera fi ridriedeva , nè 
io avrò certamente- a -pentirmi , nè gli altri a- 
- , •• Vran 




Et pourquoi feroit-il impoffible, qu il S t de 
plus etartJs hommes que ceux qui ont deji paru? Quel eli 
ì«lHi\ui a fondd l'abìnie de l’.efpm humajn f Cosi 
C Younc. nel ■'In'o difetto a Richardfon Da Conjeaures 
jùr la Compofition ofiginalo ep. , dove ecccUentemenie dimo- 

Rra la Aid. verità. , , _ . . .-i . 

' C88) tib. IT- Df Jnvent. Quod fi ea qu« h'S l'bns «j«- 
nuntur, taotopcr? cligenda fuerunt , quanto Audio ele«a 
fmit profcfto ncque nos, ncque tiios mduftri» noflt» p<e- 
-ihebirrSin" ulem •temer^ali;oi^ pr*teriiffe 
eleeanter fecuti videbimur ; doftì ab aliquo 
ter^fententiam commmabimwj. Non enim parum c<«noffe, 
fed in parum cognito fioUe.acdiu peiftveraffe turpe clT; pr^ 
pterea quod atVerum communi hominnm infirmitati, altergm 
un{(uUri uuittfcui«f^«* vitto eft attributurii* ^ ^ 


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4 




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X XXXV X 

Vran motivo di dolerfì dell* induftrta mia . Sd 
poi ad alcuno fèmbrailè , che qualche cofa in» 
cautamente da lÀe fi fofjfè omefTa , ó che non 
troppo bene io Paveffi intefa ed efpofta, quan- 
do ila da quelli graziofatnente ammonito , ben 
volentieri procutetò d* emendarmi . Imperocché 
non è già colà turpe il cader in errore, ma ben- 
sì il volere in eifo lu^o tempo e con aninfb 
(pinato perièverare ; 1* uno emendo un difetto 
deil’ ùmana fragilità , l’ altro un vizio che dall’ 
orgogliofo arbitrio ,di ciàfcun paiticotore dipende / 


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.PROÈMIO. 

1£LV Arte Renorìca in generip, è fui divi- 


fioni 




PARTE 

..C A' P O t 

Della Elocuzione . 

Arjt. I. Della Eleganza. 

Art. II.^ Della Compofizione . 

Art. III. Della- Dignità !- 

ò A p 6 ^ ir. 

* * ^ ■■ — 

Dei Tr astati di Parole.' ^ ' 

§. I. Della Metafora'. . . 

§. II. Della Sinedoche. 

§. III. Metonimia. 

§. IV. Catacrefi . - - y 

§. V.' Della Metalefjì. 

§. VI. Della Nominazione . 

\ 

CAPO III.' 

2)« Traslati di^ Concetto. 

§. I. Allegoria . ' - 

§. Xl. Z)?//’ Ironia . 

§. III. Della Iperbole . . '• 

§. IV. Della Perifraft. 

§. V. Dell' Antononiafia", 

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I. 


Pag. r 


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21 

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■ X XUTJt X • , ‘ 

C A P ^ IV. 

• « 

Delie Figure dt Paroh. 

Art. I. Delle Figure per Aggiunghntìtfó 

I. Della Ripetizione . ’ 

II. Della Converfione . V ' • 

III. Della CompleJJione • * . i ; 

Della Conduplicazione • 

^ V» Della Traduzione, 

§. Vi. Della Sinonimia • 

§• Vii. Della Gradazione » 

" 9 * Vili. Del Poli/tnteto, 

§. IX. Dell' Apozeugma * 

Delle Figure di Difcioglhnefito , 
S» I. Della Disgiunizione , 

§. TT. Delln ^ , .. ^ 

§. III. Della Reticenza • 

Art. III. Delle Figure per SimiiftMhtt , 
§. I. Della Paronomafia , 

§. II. Dei Pari - Finienti , 

§. III. Dei Pari ~Qon fonanti , 

§. IV. Dell' Ifocolon , 

CAPO V, , 


* • 


' 48 

. 4 P 

^ .50 
. 51 

^ st 
: 54 

* 

58 

. 60 

ivi 

6t 

V ' Ò2 

64 

^5 
•«6 
67 


48 


Delle Figure di Concetto . • v . 

Art. I. Delle Figure di Concetto ptit Mti » 60 

§. I. Della Dubitazione, * • ... ,i«i. 


§. II. Della Comunicazione , 

§. III. Della ConceJJione , ‘ 

§. IV. Della Permijfione, 

§• V . Della Preoccupazione , 
VI. Z)?/ Defiderio . 
a. VII. Della Sentenza, 

Ì« Vili. Della Difiribuzione,- 
§. IX. Del Paffaggio , 

5. X. Dell' Epilogo , 

5 . XI, Della Similitudine • 


l.XIl 


^2 

7 ? 

74 

75 

P 

00 

81 

82 

84 


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* ' 


. X X . 

Xtl. Della Comp^traziànf * 

§, XIII. DeirEfempio . 

XIV. Del DialopifmO0 
r§. W.^DelP Etopeja . 

XVI. Della Profopografia » 

XVII. Della Diminuzione, 

Z -§. XVIII. Della Digrejfione . 

Art. II. Delle Figuve dt Concetto atte a 

$. L Della Interrogazione . 

> §. II. Dello Soggiungimento , . 

§. III. Della £ fclatp azione 0 
§. IV. Della Apojirofe 0 

V. Profopopeja, 

VI. Della Ipotìpofi . . ’ 

VII. Della Obfecrazione i 

• §. Vili- TìaUa 

IX. Correzione, 

f. X. Della Sofpenfione 0 ^ • . .. 

§. XI. Della Preterizione, - ' 

§, XII. Della Apofiopopefi - ■ 

§. XIII. Della Antitefi^ 

€. XIV. Della Efornazione^ 

'§, XV, Deir Enfaft, ^ 

§. XVI. Deir Epifonema / . ^ 

§. XVII. Della Immaginazione,' 
li, XVIII. Deir Impojfxbile 

XIX. - Della ^JLicenza * 

XX. Della Congerie^ , 


. ’ 82 
. . 21 
£2 

.24 

21 

eommoVere , . 06 
. / 

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. Ì 91 

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1.29 


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PAR^ 




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, )C XXXI xOC 


P A R T E IL 




C A P O I- 






LJ'ELIO Stile in genere , ' ' • Pàig.:i3» 

Art. I. Dello Stil Semplice , i?4 

Art. II. Dello Stil Magnifico, e Sublime, 

Art.' III. Dello Stil Mediocre, e Temperato, 146 
Art*. IV. Delle Proprietà Comuni dello Stile » 


e de* vizf a qi*efle oppofìi 
§. I. Della Chiarezza , 

II. Delia Brevità , 

III. Della Probabilità . 

■§. IV. Della Decenza , 

V. Della Soavità » 

CAPO II. 


Della Imitazione , 

\ ' 

CAPO 


lil. 


Dell* Efercizio, 

Art. I. Della Traduzione, 

§. I. Del Rapprefentare t concetti 
§. II. Del Rapportare le parole , 
§. III. Del confervar il carattere. 
Akt. II. Della Narrazione .• 

§. I. Della Narrazione Storica. 

5. II. Della Narrazione pavolofa 


III. Della Narrazione Oratoria. 

§. IV. 


15? 

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J57 

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170 


iSo 
x8i 
. 184 

189 

ipt 

ivi . 
194 

XOI 


S jLv. Delle Doti di una buona Narrazione, 204 
Art. III. Dell* Amplificazione , 

Della Definizione. 


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I .' II. DelP Èmtmirazion dslh pntti . tio 

. III. Degli Aggiunti, tu 

. IV. Dille Q'agfe, '7 \ r _ tiz 

. V. Degli Effetti * 2x5 

, VI. Del Genere e della Specie* 214 

. VII. Degli Opponi 

. Vili. Della Similitudine e della Diffami* 
litudine . , , 5 W 7 

%* ix. DelP Éfempif . • ' w8 





/ 






ELE^ 

%• V ^ • * 


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ELEMENTI 


DELL’ 


ARTE RETTORICA. 




PROEMIO. 


<^0TfC/T^ 


L a Rettorica è un* arte , la quale diTpoae 
r uomo ad efler perfetto dicitore, perchè lo 
rende capace di favellare in modo acconcio 
a perfuadere (i) . ’’ 

Affinchè egli pofla ottener quello fine , è necef- 
iario , che fappia ammaeflrare , dilettare , e row- 
movere(z)i laonde tutte le- parti della Rettorica , 
che fono cinque , Invenzione yÙìfpofizione^ Elocu- 
zione ^ Memoria^ t Pronunciazione (3), altro feo- 

po 


* Ars erit- qu* difciplina percipi debet; et eli bene di». 
*cendi feientit . Quinr. Lib. U. c. 15. In/ì. Rhtt. Cicero plu- 
rfbus loets fcripfìt, Orttoris officium efTe dlcere tppofite ad 
‘perfaadendutn . Ivi cap.ié. Cic. deinvtnt. Uh. I. ad Heren. 
1 . %. dt Orai. L )l. La comune definizione d’Arhtotete ab- 
braccia ugualmente la Rettorica, e l’arte Óratoria, febbene 
'quelle due arti fiaiio tra fé diverrà , quanto è diverta la teo- 
ria dalla pratica, liccome vedremo pib abbaco. 

' Optimus efl Orator, qui dicendo animos audlentium 

■A docet, ffe deletlat, & permovet, Cic. de Opt. Gen. Orat. 
'Ratio Offlnis dicendi tribus ad perfuadendum rebus elt niza ; 
tiC probemus vera efTe ea, quae defendimus ; ut conciliemus 
aiobia eos, qui audiunt ; ut animos eorum ad qurmeumque 
‘cauta portaiabit motum vocemus. Lih.II. de Orat. Ad Brut» 
■ n. Quinti/. Lih. Ut. e. 5. 

. l^rtes aatem hm tunt, quas plerique dizerunt . luv»?- 
tio* Elocatio, Memoria, & Pronunciativi 

j2* Orat, tib» ir, ad Hmn, 1; e, 2 , 

Gtard. B/tn» T. I. A 


Dt^iliiCd by Googic 


A 2 A 


po non debbono avere , nè fervire ad altro , che 
ad infegnare la maniera più atta per ammae(lrare|- 
dilettare , e muovere gli affetti , 

L* ammaeftrare però è proprio dell’Oratore non 1 
in quanto quefti la puramente i precetti dell’ Arte ; 
Rettorica, o pe ufa col dovuto artifìcio, ma in 
quanto nello ìleffo tempo égli è ancora imbevuto 
delle Filofofklie * Legali , o Teologiche cognizioni, 

■ lècpndo i vari at^onìenti , che deve trattare (4) • 

' Il^dilcrtare , ed il comraovere per lo contrario 
■^così>d effo appartengono, che in ciò tutta, quafi 
Jdirci , confifte la di lui arte , e Ha riporta la fua fa- 
*'^p 4 tà,i Sqlea perciò diré lo fteffo Cicerone che il 
ritrovare ed ordinar le cofe è proprio d’ un uo- 
mo prudente ; ma che il ùperle efporre eoo elo- 
quenza proprio è foltanto dell’Oratore C5)« 
li dileuq adunque, ed il movimento degli affetti 
avendo noi fpecialmente dr nrnra , colla feorta di 
Marco Tullio alla fola Elocuzióne ci rertringeremo 
nel dare quelli Elementi dell’Arte Rettcrica (.0) ; 
la qual parte avvegnaché in fé rteffa lia la più dii- 

fìci- 

iti — 11.1 - .. «m;— — A« ili I ■ 11*. Il I il . -mm 


CO Mea quidem fentcntii', nemo cflV potprit ornai lande 
cutnuUtus Orator, nifi eri t omnium rerum magnarum , atqaa 
artium rdentiam' confecutus. C/'e. 1 . dtOrat. Omnia qiia^uin> 
que in hominum' dirceptationem cadere polTunr , bene funi ci 
dicenda, qui hoc Te poffe profitetar. aut elnquentie ndoietl 
relinquendqni eft. /vr lib. Tf. c. a. IL r, aa. zjf. 3. 4^ 

(55 Itr. jrnllius inventionem quidem', & dirppfitiooem pfH- 
dentlé bominis putat, eioquentiam Oratnris. Quint. vijii. in 
^rin. Ad He»; 1. 181 Atteruih prùd'entiaJ efl pene tnediqcria , 
MÌd dicendum fit videre : alterum efi , in quo Oratoria và* 
illa divina, virtarqQe cernitur.. ca^ dicend» Uipt orng« 
te, copiofe', varieóue dicere. De Orat. II. 

. CO Jl’aitrc parti della Retfor.ca fervono pip^iriarteMtf 4 
formar P Oratore, quegli cioè, che deve efereiiarfi foltantp 
nel perorar le caufe';’ ma la Elocuziooe.fi efleode, ed abbrac- 
cia la Poefia, la Storia, J* OratorU ^tótohà , ed i di lei pre- 
cetti Crraonp a cùuo^ite ia fattmi hfÌV»*icrtfcrt , e farUfS* 
•BeiufiattOiitltte . ' , 

1 • -ìm < 


ncife Cj), nulla Jimeno per la fua varietà e fe^ 
piadria pià facilmente nell’ animo de’ giovani s’ 
imprime, c loro fommidiftra abbondanza di frali , 
facilità d’ erprelTione j c quell’idea di buon gufto, 
di CUI pur troppo giova, che per tempo la di lor 
mente s itnbeva i ammonendoci faggiamente Ora- 
rio nella piftola a. tib. I., che 

^0 femei ejl mbiità reoens^ fernrabit odorem 
Tejia dm . 

Siccome perb (appiamo, che in tutte le cofe 1 
l'enfio minor fòrza dell’ eTereizio (8) ; e 
che l’ arte può folo fi^rci comprendere , fe rette 
nano 6 no qnclle còfe i che veniamo a confeguire 
foli a;uto della natura, dello lìudio, odeU’eier- 
cfzio fteffb Cj) I ma che non può da per fc fola ren- 
arci eloquènti (io) ; perciò fa di mqftierl, cho 
dunque txrama daddoveco ajfrìvare aì fine della 
JRettorica, renderli cioè abile a perlhadere còl fuo 
diicorlo, alrarce, ed ai precetti congiunga una 

A 2 dili- 


Cz5 Difficiilimnia tft iavtntnai ezpolire . j/d Bergtt. f. 
genertt deinonftrttto eft, 9 dolina ipft vulparit ,* ufiis 
Mtem griviffimut, &in hoc toio diceodi Audio difficilliinut» 
w. iloént. nrr. in trine, 

Qoy Io omnibuf fere minut valvnt prccepta quato etper^ 
ncota . i(mtnté li. 5 . Artem /ine allìduitate dicendi non mul» 
tum luvare : ut intelligat, hanc racionetn prteceptionit ad 
T** il”** aecoUimodarl oportere. Jtd Heren. t. i. 
yfij In bis przeeptis hanc »im & hanc ntilitateio effe atbf- 
tror , non ut ad reperienduin quid dicamus arte dscamar, fed 
ut ea, que natica, qus Audio, qua exercitatione confequt.' 
mur, aut reuaeffe conAdamus, aut prava intelligaatutf , cuid« 
SUO referenda funt, didicerinius. De Orat. IT. * * 

i* vet* divetlitì, che paffa fra il Rettorico , e 
• • Rettorico diceff quegli che fa , ed infegns i pre- 

* t ‘f*®* «Uri poffa elegantemente parlate : O. 

more poi quegli, che gli applica, e riduce alla pratica per 

*‘"‘0 <<»"»- 

nlmilra 1 arte : al fecondo abbifognano inoltre alfpofi^ionir 
4t Biturs, Mie, «d efexeiaio . Ufilat, làk. tU 


diligente imitazione degli ottimi fcrittori , cd un 
continuo efercizio di fcrivere^cdi perorare (ii). 

Per la qual cofa due fono le parti di quella mia 
breve Operetta : 1 ’ una contiene i precetti dell’ar- 
te ; r altra infegna ii modo d’ efercitarfi vantag- 
gibfamente . Nella prima tratteremo della Elocu- 
zione in genere, poi dei Trasiatf) e delle Figu- 
re. Nella feconda , premelfo un breve trattato 
dello Stile , fi parlerà della Imitazione , c dell* 
Efercizio (12) . , , ' 


(il) Hacc oinnit tribus rebus adfeaui potcriraus, erte, imi- 
tatione ezercitattone . Ai Heren. T. x. de Orat. 1. 

' 00 Tale fi è la divifione , che fa Tullio nel L>b. II. dell 
Orat. c. ai. Hoc fit primum in praceptis meis^ vt dcmon-, 
Jtremus ^ quem imitemur y acque ita a», q^ maxime txctl-* 
lant in co , quem imitabimur ^ e a diligentijpme perfequamur i 
tum acetdat exercitatio y qua illum y quem ante delcgerit ^ 
imitando tffèngat , , 


. 1 


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; 4 » 


PARTE PRIMA. 


•, . c A f ,ò r. 

. Della Elocuzione. 

L a Èlocùzìone è quella jjarte della Rettori* 
ca ,^che ne fomminiftrà i termini propri , t 
che Vinfegna il modo pih atto e conveniente 
tanto a rapprefentar con parole le concepite idee, 
quanto à lignificar le còfe , di cui fi parla (12) « 
Perchè tale veramente ella dire fi poflTa , deve aver 
tre doti , Élèganta, CompofiTÀone e Dignità (i?)* 
JL’ Eleganza nafce dall* ottima, fcelta delle paróle: 
la Compofizione dall* artificiola collocazione delie 
inedefime: la Dipità dal retto ufo dei Traslati e 
delle Figure (14). 


ARTICOLO L 

<1* j ~ <0» 

■ ‘ Della Èieganza* - ‘ ■ 

INTeul A fcelta delle parole due cófe hifoghà confi- 
derare . Primo che fiano proprie della lingua^ in 
cui n fcrive , o fi parla , latine cioè o italiane pu- 


Eloctitió efl idoneòruln vérboruHi . & fentèntlirum ad 
fnventionem accommodatin . Ad Meren. J. t. de tnvent. t. 

Clì'y Elocutio commoda, & petfttla tréa ras io Te haberé 
dfbet , elrgantiam, compofìtfonem , digaitateita. Ad Htren, 
TP'. IX. Qjtiat. f. Arifl. ad Altaand. ketb. e. 24. 

' Eiegantia cA qu» facit, ut anuaiauidque pura ^ & a- 

pcrce dici videatur . Compofìtio eA vérootum conArnftio^ 
qua; facit omnet partes orationis «qnaliter pcrpol^aa. Dì- - 
gnitas eA, aa« reddit ornatam oratiOoaìn vatifUU 4 >Aia> 
gvens • Ad aertn, iK ti* ^ 


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x«x 

, e lontane affatto dal formar barbanfino « o - 
jccifnio , iìccome ififegna là Grammatica . secon- 
do , che fianó atte alla fpte^azione de' noflri fen^ 
timenti sì rapporto alle cofe ^ coi H riferifcono , 
che rapporto a quelli, ciìe ci afcoltano (15). 

Tutte le parole in oltre avv^nachè abbianole 
fnddette q[ualità, poffono effer nrepr/e, o traslate m 
. Proprie diciam quelle, che dall’uro, e dalia con- 
fuetudine venendo desinate a lignificar una cofa , o 
una determinata idea , a qnella da noi fono appli* 
cate . Trasfate per lo contrario chiamiamo quelle 
altre ,• che o per ntccirità , 0 per ornamento , o per 
brevità li adattano acofa^ a dinotar la quale pro- 
priamente non furono mlhtuite(i6). Cosìp. c. la 
voce ridere firk in fenfo proprio, quando « riferi- 
fea ad un nomo; ma fe fi riferiice ad un campo, 
allora farà in fenfo trasiato . Perché dunque la no- 
Ura Elocuzione dir 1 Ì polfa elegante , nella fcelta dei 
vocaboli li olTerveranno le quattro fegnenti regole. 

I. Imponfeifarli a fondo della lingua, della di lei 
(intani D coftruzionc , ed imbeverti perfettamente 
del Tuo genio per evitare ogni difetto d’ incolta e 
viziofa locuzione ; ai che giova rpecialmente la 
lettura degli ottimi autori (17 ) . 

Z.Sfng- 

W<|»|| M | Ì <|| J |ÌI.. ~ . J ,. J I H II H, 1 » 


fiO Elrgaat!» dividitqr in Utiniuten , & czplanationcm . 
Ma Mtren. W, la. la verbis iotutndum efl, ut fine Jatioa, 
ptrQ>icua , & ad id qnod efficere volumus accomraodata . Quim, 
vJil.i.x. tltcìnttr varbis aat ìis, qaae propria rDat, h carta 
quafi vocabula rcruip pene una nata cum rebns ipfis; ant ita, 

J ote tranaferuntor, ft auaS aliano in loco eoiipeantur. Cic, 
t Orar. Itt. io. 

C'd) Propria funt va|d>a cnm id ffgoffijEaat, inquod prìtoma 
denominata font. Ttaotiara con allon ^tàn int«lie£hiin , 
aliotn loco priebnÉt ; f, io. Citr Partit. 

tioy 04*Mf UMiieiidr eleganti!, qaiinquam ex poli tnr. fere». 
OtlttvriHllli, ^ònen anjetar Iniziai* Oratoribus, & Poetia, 


quorum fmanoe 
^tcruat loqai nifi 


afiiefkAi «ni erant, na cupieaKf «nidem 
6 ialiiifv De Orat» tiL ivi. 


» ’ 


x?x 

2/ Sfuggire tutte le efpreffioni ambigue , plebee, 
fordide , o meri che oncfte (i8) . 

3^ Lafeiar ratte Je parole troppo antiche edifu- 
fate, nò nica fervirfi di voci ftraniere, o affatto 
nuove (ip).. 

4. Nelle, parole proprie fceglier 'feropre le pilli 
illuftri , e le più atte a fpiegarc i noftri pen fieri ; 
nelle traslate, quelle , che hanno maggiore affinità 
e fimilitudine eón la cofa , che vuoili apprefenta- 
re ; e di quelle ancora farne affai parco ufo (20), 

Con tutto ci6 non vorrei , che fi inoftraffe un 
vano Audio di parole, nè che fi aflfettaffe di fcri- 
vere con tenpini fcelti, ninna cura poi avendo di 
tutto il rellante^ imperocché le parole primiera- 
mente non vogliono efferc né troppo comuni , nè 
troppo dotte , acciò da tutti fiano intefe , e poi 

A 4 non 

'" J .u . ' HJ., 



€F-— - Qjlf/IO sai wu |,|UUI&IV , 

fi vitu già radoper«re «gni termine antico: ma quelli fol- 
faoto, che a* giorni noftri fono aftàtto innditi » e che fono 
rigettati dagli ottimi Scrittori . Per la onal cofa Cefare nel 
Libro 0 ! Anatogin diffe: tamquam feof^hm Jic fugias inau- 
m’ÌV. !?*^.** infileas vtrhum ; e chi ne’ ffiol Icritti fi pregiaP. 
re d Hiferire tutte le pi^ %«iie- paiole , che troyanfi in. po- 
tilo o |n Dante, merit.erebbefì ai certo quel rimprovero, che 
^*®*.^*yprino il Filofòfo per teftimpnianaa di A> pelilo 
jfttie, M. T. c. 15. ad un giovane, che cosi la penfava ; Non- 
oe nomo intptu^ ut quQd vis abundt confequaris % tafertsì... 

moribus ^ 0 ttritis^: hquere vetbis prafinttbus . Circa 
al formar paróle nuove Cdel che parlano Cicerone, e<^in- 
ttliano j IO non mi efiendo, perchè quefto non f| g| ’iISliro 
ufo, e baila il dire, che tifitatit tutius utinutr ‘ 0^4' ówh 
fiy qusdam fgritulo fi^imus . <^uint. I. io. 

,.VW la propriis aptii^a eligamus, in translitis flmilitu- 
Catati verecnnde gtamgr ilienis . T/V, da Opt. gtn. 

«ftu* obfbieta fogiat, leftià, awwe 

fe ^ fiwwf 


i 


-i-.ii- ; / C- 


I 


X 8 , ■ 

non v’ha cofa piìi ftolta. dice Tullio,' d’nnvà^' 
ho ftrepito di parole anche le più ottime , quan-»' 
do quefte non Contengono yerun fcntimento , nè 
alcuna cognizÌ9ne ci Tòmminidrano (21). 

. ARTICOLO II. 

Della Compofiztone . 

3 [ 3 all’ artiliciora collocazione delle parole ne de^ 
riva la compolìzione , la quale, 'fìccome abbiamo 
detto , pollice , e rende uguali e connelTe infra 
di loro tutte le parti del ‘difcorfo . Perchè ciò li 
polla ottenere, tre cofe , dice Quintiliano (22), 
fono da olTervarfì , T órdine , la Connejftone , e 
P Armonìa . 

§. l, y 

L’Ordine confiderà 0 relati van)ente a ciafcun 
vocabolo , o in ouanto a tutto il concetto del dir 
fcorfo (2?) . ' Relativamente a ciàfcun vocabolo 
guardar ìi deve , che il nofiro dire Tempre vada 
crefcendo nel fuo progrclTo , così che alle cofe fem- 
plici e comuni fuccedano Tempre- le cofe più gra- 
vi e follevate ; laonde non fi direbbe giàp.e. un 
facrilego y un ladro ^ un petulante ^ ma tutto al 

' con- 


cili Rcfìnim tis, qui omifla rerum diligentia , quodam ini» 
ai circa voces (ludio fenefcunt, quod efi in dicendo pulcberri- 
aiunt , fed cum fequicur, non cum Vdeilatur . Qjtint. yitl. in 
frin. Q^uid eft enim tim furiofum , quam verborutn , vel o- 
ptimorum Tonitus inanis nulla Tubiera fententia, nec fcìen» 
tia ? Cic. de Orat. I. 5I. Aul, Geli. lib. I. e. IJ- NoSt. Attie. 

Cil^ In Omni compofitione cria funt neceffaria, Ordo, 
Juntiura, & Numerus . Lib. tX. 4. Q^uinf. 

Primum ìgitur de Ordine. E;us obfervatio eft in ver* 
b« nogulis, & concexiict Quiat, ivi» ad Hertn. 1^. la. 


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V 


'X 9 X 

contrario . Così par quelle cofe » ^ die pl 2 ^ nobili 
fono per dignità, o prime dì natura, devono èC- 
fer collocate a preferenza delle altre men degne,’ 
c per natura polìeriori; onde fi direbbe a cagion 
d*efempio il g torno ^ e la notte y P Oriente y efOc-' 
cidente* il Sovrano y ed il Suddito^ c non ai con- 
trario (24) . . 

In quanto al conteso poi 1 ’ Ordine vuole, che 
non fi confondano i tempi, é leperfone; che non 
fi facciano trafpofizioni improprie, quale p, e. fi 
quella di Lucilio: Has res ad te Jcriptasy tu- 
ci y mifimusy Aeli ; e che non folo fi fiia alla na- 
turai cofiruzione propria della lingua , ma che 
neppure i perìodi fi continuino tanto a lupgo, che 
fianchino e chi li dice, e chi gli afcolta (25); che 
in fomma nulla flavi che togliere o aggiugnere 
vi fi pofla . ^ 


La Connefiione 0 fia giuntura confifie nel col- 
locare, e dirporre le parole ed i fentimenti in ma- 
niera tale , che facili alla pronuncia, e non reo- 
Jefie air udito ricfcano le prime , e collegati fcara- 
bievolmente l’ un l’altro fuccedanfi li fecondi (26) . 
Nella collocazione delle parole farà neccflario l’at- 
tenerfì alle feguenti regole . / 

I. òfuggire la vicinanza di molte vocali, quàn- 
^afiìme fiano di tal natura , che la ' di loro 
collifione produca Tuono cattivo , xaexa^arW , co- 
me • 


14J Q,uint. IX. 4. Inp. Rhetor. 

Verborum trantjeAionein vitabìmus , nil! quae •rie 
concinna,... Item fugare oportet longam verborum conti> 
niittioaetn, quc & auditori! aurei, & oratoria fpiritum la. 
alt . Ad Btrtn. 

orationem efficit ,* co£«rentein , 
iev«m, ^qualiter flaetitcm. De Orat. Ili, I 


r 


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X w X 

me dicono i Greci p. c. Bacca ama ameentjfima 

impcndebant . 

2. Togliere il concorfo di certe confonanti , che 
accoppiare non fi poflbno fenza che generino afprcz- 
23 , e difficoltà ; del qual genere farebbero le fe- 
guenti p. c« ars [iudiorum^ rex Xerfes^ urbs Za- 
cynthos (27) . 

3. Guardarli dal ripetere molte volte le fielfe \ 
lettere , fillabe , o parole troppo da vicino ; nel ' 
qual vizio cadde Ennio in quel fuo verfo 

O T ite i tutte i T ati , ttbi tanta tyranne tuliJU • 

c fors* anche Cicerone in quell’ altro 

0 fortunatam natam me Confule Romam, 

ficcome pure bifogna evitare certe definenze fomi- 
gliantì > quali farebbero p. e. flentes , dolentes » 
plorantes , lacrymantes , ec. 

4. Separare in tal maniera i monofillabi , che 
le parole brevi mefcolate con le lunghe più grate 
c più facili ancora riefeano a pronunciarli (28) . 
Quello però appartiene in gran parte all’armonia, 
di cui (i parlerà nel paragrafo feguente . 

I fentimenti poi in guiia tale connettere e col- 
legare fi debbono , che 1’ uno dall’ altro feambie- 
volmente dipendendo , vengano col mezzo delle 
parole a formare un pieno c perfetto giro , del ^ua- 


4 • . • 

C17) CoIlocit»onÌ 8 eft componete, & Hruere verba fic , «t 
neve afper eorum concurfus , neve hiulcus fit , fed quodim- 
modo cotgmentJitus & levis ; De Orat. //t. od Heren.i «li» 

4* Rbet. ' , . 

?a8) AUe volte però certe ifpreize o rapidità , che altri- 
menti nei parlare farebbero viaiofe , vengono fatte ad arte , 
e formano Je principali belleaze maffimc de’ Poen : anzi da 
queRe bellezze a tempo ufzte fi conofee il loro finiRinio giUf 
dizio. Vedi parte 11. 4tìle Doti comunt dello flth» 


a 


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XuX 

[e ton piacere rerti foddisfatto I* * adito e V intelletto 
ancora C^). Triplice fi è la formi o la difpofizio- 
ne, che fi poò dare ai fentimenti nella fcne conti- 
nuata d undifcorfo; imperocché i ragionamenti li 
formano d" Incjfìy di Membri^ c di Periodi i^o) , 

Incili diconli quelle unioni di parole, le quali 
feparatamentc niun perfetto fentimento compren- 
dono , e che quantunque fra di loro fiano tutte di- 
flinte con alcuni intervalli, o fianr virgole, pure 
di lor natura vanno sì ftrettamente unite, che non 
ammettono pofa fe non in fine (5O. Così diffe 
Cicerone nel Lib. II. de Nat. Dcor. n. 98. Terrg 
vejlita floribus ^ herbis^ ar borì bus yfrugibus ^ e po- * 
co dopo : adde fontium gelfdas perenniiates , li- 
^uores perlucidos amnium^ riparum vefiìtus viri- 
di ffxmos pelurie arum corte avas altitudineSy faxorum 
ajperitates , impendentium montium altituàines , im- 
menfitatefgue campotum» Ed il Boccaccio nella ce* 

Jebre fua defcrizionc della Pelli lenza : Per le /pat- 
te vdle ^ ^ Ptf fi carnai f lavoratori mi feri ^ e po- 
veri , e te^ loro famiglie fenza alcuna fatica dì me- 
dico^ 0 ajuto ai fervìtore^ per le vìe y e per li Iota 
colti y e per le cafe y di a) y e dì nafte indifferen- / 
temente non come uomini y ma quafi come bejtie mo- 
tieno, I quali fentimenti ognun vede, cne fono 
fpezzari per così dire ad ogni tratto per mezzo 
delle virgole, ciafeuna delle quali non contiene ve- 
rna 


(sO CoIIocibuntur {gltur verbt ut {nter fc qaam aptifi- 
me cob^e^Dt estrema comprùnif, eague fintqaam fuaTÌfi- 
Aiis vocibni; aut ut forma ipfa concinaitaTque verboran co», 
ficiat orbem Oiani. Cie.'Ofàt. ad Brut. 

.00 '11* conaeza feriet tre* babet format : incifa, qom 

*iuftai 7 et dicuntur; membra, gu» xttAat , & vtpiotofy qo« 

*lt vel ambìtnt, vel ciricuibduAum, vel cootfauatio, vel 
COBclttfio . Huint. TX. 4. 

Articalui dicitur , cnm fingala verba iatirvalUf A* 
MiBguunxn c«f» oratioa* • Ad Mmn. 4. ip. 


i 


•3 


)C Ì 2 t 

futi fen/opofrtto f ma foiranto parole, che il finé 
poi mtti gli incili ricevono il oro compimento. 

U/incmbro è un breve giro di parole, le quali 
imprendono un fentimento in parte perfetto , al 
fine del quale perciò fi può prendere un breve 
refpiro ; ma che però eflendo ancora fofpefo , e 
npii pienamente dimofirato , duopo è quindi paf- 
fare con altro fimile giro a dar compimento al 
nofiro dire C32) . Cicerone a cagion d’ efempio 
nella Azione feconda contro di Verre incomin- 
ciò così : Quod erat optandum maxime , judices , 
& quod unum ad invidiam vejìri ordinis, Inf/^ 
mìafque iudicmum fedandam maxime penine- 
bat»,* Ed il Cafa nella Tua Orazione a Carlo V, 
Siccome noi Reggiamo intetventre alcuna volta ^ 
Sacra Maejtà , che quando 0 cometa , 0 altra nuo- 
va luce è spanta neW aria y il più delle genti 
tiVolte al Cielo , mirano colà , dove quel maravt- 
Sliofo lume rifplende .... Nell’ uno e nell’altro 
di quelli efemp; fi vede , che rella comprefo un 
fentimento per quanto egli è perfetto, perché ap- 
paga in qualche parte la nollra cognizione ; ma 
chc.non ancora però fi può dire compito e per- 
fetto in tutto' (33) . ^ 

j • I* I I è un pieno, c compito 
circuito di parole; le ^^uali comprendono un fen- 
timento così perfetto in tutte le Tue parti , che 
nulla piu halli a defiderare , nè dalla mente nè 

- dall’ - 

C3O Membram oratìonfi adpeltatur res brevitef ablbJuu 
fine totius Tcntentis deRionltratione, denuo alio meni- 
bro orationis cxci.pitur. Ivi. 

C33), I itiembri d’ordinario roglionfi diftingnere col pnntov 
• la virgola, o con i due punti: ntilladimeno però fe ne tro- 
vano ancora di duelli , che diflinti clTendo con la fola vir- 

5 [ola, non fi polTono chiamare incili, «u debbonfi cobfidvtare . 
ucome fono la fatti , veri membri . . . 


•V 


X 13 X 

dall’ orecchio (54) . Eccone infatti l’ efempio ; 
Qued erat^ optandum maxime , Judices , & quod 
unum ad invidi am vefiri or dinìs ^ infami amque ju~ 
diciorum fedandam maxime pertinebat y id non hu- 
mano conjiiioj fed prope divinitus datum -atq'ue olh 
■iatum vobis fummo reipublica tempore videtur , £ , 
iìmilmente quello del Cafa farà un perfetto pe- 
riodo, quando interamente fi profiegua in quello 
modo : Siccome noi vegliamo intervenire alcuna 
volta , S, M , , che quando 0 cometa 0 altra nova 
luce è apparita nelP ariay il pià delle genti ri~ - , 
volte al Cielo , mirano colà , dove quel maravì~ 
gliofo lume rifplende ; cosi avviene ora del vojiro 
fplendore y 0 di voi : perciocché tutti gli uomini y 
ed ogni popolo y e ciaf cuna parte della terra rif 
guarda tn verfo di Voi falò, >- • * 

OSSERVA Z Vo NI, 

Se il periodo è formato d’ un ' membro' fofo , 
chiamali femplicey altrimenti dicefi compojio . Ir» 
quello fecondo foglionfi confiderare due parti dette 
eepx^ c TtKeurv, principio cioè e f ne dà Arinotele y 
4 da Ermogene vpóraau , ed àvòloau vale a dire 
prolungamento o fofpenfione y e fcioglimento (35). 

/ t Principio o prolungamento fi chiama quella par- 
I te di periodo d’ uno , di due , o di piu membri 

Com- 


O4) Continnatio eft drafa , & continens frrqneotatio ver- 
DOrum cum abrolutìooc fenceatiarum . Ad Bertn. W. 19. 

.Ov Inouratrevoli Tobo qu«<! le divtfioni, che i Greci fpe- 
cuimeate fanno intorno al periodo, le quali qoivi'S trala- 
ftiano per non generare ma^iori difficoltà. .Voggafì Arj/f. 

C$c» dé Ofnt» litm Quifbte IXy QuAOtiin^uc 
predette due parti lì confiderino fpecialmente ne* pe- 
yodi conpolii, ciò nullaoflaate li trovano anebe’ né* periodi 
.femplid, comecliè Caso meno evidenti, e cbiare . 


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X 14 X 

^ompoih» cui il rentimento' rella cosi rofpefa^ 
che non fì fa ancora < per cosi dire^ T cHco delU 
cofa . Fine ó fcioglimento per lo contrario dicefil 
1* altra parte , in cui il periodo piega in certo nao- 
doy e n (doglie col terminare e perfezionarli della 
fentenza. Siane d’ efempio il feguente periodo di • 
Cicerone! con cui iocomincià T orazione prq^r* 

' 9RI«fQ!Pf04 

St qmà éfi in me hgimii judMeij quad /emU 
fit fMtguum; ^ut fi. qnq exer^iiam dUendif 
tn qua nv» tm4m^ìtef affé vwfatui»^ 

aut Jf ikuj^e rei ratì<i àliqùà ak Qpttmarum atf-» 
ùum tp fftfftfìtiaa profeta , a qua ^ fcm> 

fiteofj mdlum atatii akiwrruijfe » 

fl f K e# 

Sqrum nmm emnium %ei ht primis tic Aulus 
^icinius fruEium a ma repatertt prgpa /uà ^ure dtèet « 
Bifogna dunque procurare « che tutte le parti del 
' periodo abbiano una naturale concatenazione 
guifa che runa all’altra s’appoggi, e ncceflariai 
ineaceun membro l’altro richieda < Il (encimcnta 
poà foltaaco nel fjue dd periodo dcirer eKer perfetto 
qosl che nulla aggiungere, p .detrarre vi fi poi&« 

£ ficcome per erprimcrc i var; affetti dell’ ani- 
mo nouro I ora i periodi voglion effer pih veloci « 
ora più lenti , quando lavorati con artificio , e 
quando negletti e piani , fecondo che riceid^ft di' 
ammaeflrare , di dilettare , o di com^yere « per- 
ciò talvolta e oeceffario parlar par inc'ijà , talorg 
a membri ^ e non di rado con jperiodi^f^i ^ ^ 
con aruwvà periodìeba • 

. Dicefi parlar per incifi} ^uandq ftr ^a$crc qj. 


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, , X 15 X 

incalzar rawcrrario, o per ingrandire la cofa «?.* 
^ ] formafi quaJche periodo pieno d’^J 

ali, del qual genere U è quello di Tullio contro 
Tifone : iVaa emm color ijte fervilis , non pilaf d 

iilU’ ocuH, %pÌf. 

Zn! > “j ’ is’Wui dtnpit . 

/e////, m fraudem mduxtt , Panci tua ìRa ìutZ 

Jiuporctn y debtlttatemquc Imgux» * 

Allora poi parlali a membri, 'quando fpecial- 
jnente nelle narrazioni con tale femplicità fe cofe 
fi pongono, che, febbeoe i periol Sano cÒm! 
polli di varj membn , quelli perb fembrano d* a« 
vere niuna conneffione fra di loro, tanto fon pri- 
VI di artificio ; che anzi potrebbono adoperarlfda 
fono indipendenti V uno dall’ al? 

Ud). Così Saiiullip nella fua Storia della guerra 

Giuprtina : In d/vtjìong orBts terr^ plerìgue in 

r T* L AdAfrtcam /> Europa^ 

habet ab Occidente f return noUfì maris 
0^ Oceani : ab ortu folts declìyem lititudinem * 
quem locum Catabathmon tncoU appellante Marf 
fxvum , importuofum ; aaer frugum fertilis , b^. 
pecari, arbortbus tnfecundus: calo, telragut 

Salubri corpoT^ \ 
i pjerofque fene^us dlkoH 

bus haud /ape quemquam fuperat . ^ 

— Che 

P***’a»5ue narrabimus. aut ipfat t»rfn- 


Di 


^■'y -_jOOgU 


/ 


X X 

Che fe trattafi un argomento grandiofo e magni- 
fico , o bramafi movere gli affetti nell’ animo di 
chi ci afcolta , allora duopo è fervirfì del periodo 
pieno e rotondo , ovvero dell’ Orazione periodica 
(57), la quale non è altro, che un periodo com- 
porto di molti membri legati e conne/fi infieme con 
leggiadro artifìcio , ed aggradevole maertrìa (38). 
Innumerevoli efempj fe ne incontrano nelle Orazio- 
ni di Cicerone. Ecco in qual maniera egli comin- 
cia il fuo ragionare ai Romani dopo il ritorno dall* 
cfigliq : Qtioci precatus a J ove op. max . , cetenfquo 
Dììs immortalièus fum ^ ^utrìtes j eo tempore y cum 
me y fortuna fque meas prò vejìra incoi umit ate y otto y 
concordiaque devovì , ut y fi meas rattones unquam 
vejirx f aiuti antepo/uiffem fempiternam poenam fu- 
fiinerem mea voluntate fufceptam : fin & ea y qux 
ante gefieram , confervandx' civitatis caufa goffi f- 
fem , Ù" illam miferam profeSiionem vejìrx falutis 
gratin fufcepiffem y ut y quod odium fcelerati homi- 
nes & audaces in remp, & in omnes bonos conce^ 
ptum jamdiu continerent , in me unum potius , quam 
in optimum quemque & in univerfam remP. defle^ 
Eierent y hoc^ (i animo in vos , liberofque vejtros fui/- 
fem y ut aìiquando vos , P, C. Italiamque univer- 
fam memoria mei , mifericordia , defideriumque. te- 
neret : ejus devotionis me ejfe conviElum judicio 
Deorum tmmortalium ^ , tefiimonio fenatus , corifenfu 
Jtalix y confeffìone ìnimicorum , beneficio divino , 
immortalique vefiro , maxime lator , j^fivltes . 

Per formar qucrti periodi rotondi, e pieni bifo- 
gna prima concepir brevemente quel penfiero, che 

fi 


.C37D Pertodus apti prooemiis majorum caufarunit ubi ToUi. 
citudinci commendatione, miferatione rea eftet . Qjtint. ivi , 
- (38) Eft enim ante omaia oratto alia vinfta atdue contex. 
ta, folata alia. />/. 


•wam 


■srr 


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XI7X 

ii vuol 'cfprimere , e poi veftirlo di. parole grandi 
e magnifiche , foltenendolo Tempre per mezzo di 
particelle copulative, che unifcano infieme ii Prin- 
cipio ed il Hne , e che vengano a chiudere tutto 
quel giro armoniofamente , Guardar però ci dob- 
biamo dal riempire tali periodi di vocaboli inuti- 
li , o affettati , e di fentenze vane ed infulfc; fic- 
come ancora dal non far sì , che il giro delle pa- 
role chiudali più prefio di quel che l’udito richie- 
de, o più a lungo s* efienda di quello che foffre 
il petto (59) j nel che dobbiam confultarci coll’o- 
recchio, il di cui giudizio, al dire di Cicerone, 
è fquifitiffimo (40) . ^ . 

. Molto meno poi dobbiamo attenerci Tempre ad 
uno fieffo ftile e modo di favellare, ma duopo è 
variar teflitura e mefcolare periodi più brevi ad 
altri più lunghi, e fare, che abbiano variazione 
tanto nel numero, quanto nella difpofizione^ per- 
chè altrimenti vengono a noja, e riefcono molefti 
(4O , 

§. III. 

L’Armonia nel dire fi efiende alla fcelta ed alla 
difpofizione delle parole nonfolo, ma comprende 
ancora il loro tuono, brevìtik, o lunghezza; la di 

• ' lo- * 


00 Nec circnitus ipf« verboruM fic aut brevior quam au- 
rea cxpeAeflt, aut loasior, quam virea atque anima patia- 
tur. De Orat. IH. 

•<40) Aurium iadicinm ruperbiffimum . Cie. in Or ài. ad' 
Snttum. Aurium fenfua faftidiofiffimus . Ad prò 

Pont. ». a. • ^ } 

C4O .Qui fugerft t ut neque verbum ita traiiciat , ut id dt 
induftria faAum intelligatur ; neque infercicos verba, quali 
rimM.expieat : nec minuioi aumeros fequena concidat « de- 
lumbetque fcntentias; nec 6 ae alla commutatioae in eodent’ 
rejmpet etrfetur genere numeronua, i« omnia fere viti% vita*' 
verit . CìLm, 

ra,Bt4 


Giara» Eim, T. I. 


B 


X«8X 

loro conne/Tic^e e namero: la de’ perl^ 

di , la' loro coocateoazione , ed il modo di termi- 
nare pili grato e dilettevole; e ratta in fomixÉi 
l’ e^ooinia dei difeorfo relati vamentè all* adito $ 
e tutta Parte di difporre le voci tanto nella pro- 
fa 3 quanto nel verfo in maniera più atta e pi& 
acconcia alle immagini , ed alli fentimenti , che 
voglionfi rapprelentare ed efpriroere (42). 

Quella è una parte importantilTinia , confìHendD 
in ella quali tutta la diflèrenza, che vi palTa fra il 
buono ed il cattivo fcrittore (45) ; perilché di0u« 
famente fe ne tratterà nellaPartelL di quell* O- 
peretta parlandoli delle proprietà dello Stile, 
t Ora perchè di foverchio non s' affatichino i prin- 
cipianti nel ricercare quell* armonia , ed acciò nom 
cadano io difettofa e llocchevole cantilena 9 men- 
tre Hudianli di parlare con numerolicà , ^ovez 4 
brevensence ammonirli , che devono 

1. Avvezzare l’ orecchio all’ armonia dei periodi 
di Cicerone , che leggeranno diligentemente, con 
fpirito, e !voce elevata inveUeadou per quanto farà 
^ITibiìe del carattere , e del di lui fuoco (4^) . 

2. ' Mefcolare-in tal maniera le lilla he brevi alle 
lunghe, e le parole corte all’ altre più eilefe, che 
nè troppo, rapido, né troppo tardo feorra ri pe- 
rìodo . 

?. Conchindere i fentimenti con qualche voca- 
bolo grave , pieno ^ ed armoniofo . , 

. . ' 4. Pro- • 


(40 M. Marmontel. Popttq. chip. VI. ^ * 

143S Quint. in proeem. Li Ir. f'in. Infl. Ritt» 

C447 Apu«l pofleros i<l coi:fetutug ut Cictn jant eoa 
àomiait, fed el9qa»n;>« oMtttii <habeatur . Haac igUar fpe- 
Cl«iau« : hoc prapofitutn adbìs Ut Mie f* pro^ 

«UTe Cdatf cui Cicero ealde placcbtt. X.i. Sit autem 

ledilo virllie, & cum fìiaviUM 1. 14, 


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' X 19 X 

4« Procurare « che ia tutto il fuo conteso rplen>' 
^ido Gà il periodo, {laudo però alla codruzioue 
propria della lingua ^ in cui lì fcrive 4 

5. Sfuggire tutte le afprezze, chenafcono oda 
vocali ) che fì elidono , da confonanti , che male 
s[ accoppiano ^ o da certe cantilene e terminazio- 
ni che fono poca grate all’udito (46)4 

6 , Nella profa guardarli dal numero poetico, e 

nel verfo per lo contrario allontanarli dallo Hile 
oratorio (47)4 1 


* ARTICOLO ni. 1 

. . ■ ì.' J r 

De//a Dignità., 

L . 

A terza dote j che aver dee una buona JEIa«. 
cuzione lì é la Dignità., per la quale tutto quel- 
lo , che con eleganza e purità cu lingua, e con 
ottima difpolizione preparati ci liamo a dire, yienll 
ad abbdlire, e ad ornare. in modo che codlafua 
varietà dilettar polTa , e giovare al fine , xhe ci 
fìamo propollo (48) . Qu^a in fomma è quella 
parte , cui iì riferifeono .tutti x incolori ed .i fiori, 
deir eloquenza , e tutte le grazie ed ì modi piò 
efficaci, onde l’Oratore o il Poeta s’infinua nell*' 
animo di chi Pafcolta, dolcemente a Te il rapi- 
fee , e lignoreggia fui .cuore degli r uditori « 

Or ficcome r Eloquenza tutta é compolla di ’ 

B 2 pa- , 


C4<5 Veggafi Quintiliano nel hib. IX, àellt Infi. ReturU 
tit, dove minutamente cfamina. tutte quefie cofe, e Tullio 
nelle rur'Partst. Oraté , _ . 

C47) Verrns in oratione (i efficitur coajunftioue verl>ocafli, 
VJtiara ea . Da Orai. Lib. Ut. i. 

0,2.') Dignità» ea qun red<lit;oiaataia Qr4tioa«ia varUtatc , 
diftiiifiaeiu. Ai Htrtn. ty. • 


' , X 20 X 

parole^ e di concetti (49) , altro non eflendo il 
parlare con grazia ed aggjuftatamente , che il dire 
con ottime fentenze, e eoa fceltiffimi vocaboli 
C50); così anche tutta quella parte s a|gira in- 
torno air ornamento , di cui tanto fé parole,' 
quanto i concetti poffbn cflfer capaci CSiJ- • ■ 

L’ ornamento delle parole confifte in una j^erta[' 
grazia , che deriva al parlare dai foli vocaboU, 
così che, tolti o mutati quelli', pcrifce ogni ab- 
bellimento . Quello delle fentenze per lo con-^ 
trario non coglile nelle parole, ma propriamen- 
te nel penfiero ,' il quale in qualfivogha manieri 
g» efprima , fempre viene ad effer lo iteljo C52; . 

L’ ornamento delle parole poi o nafee dalle parole 
in fe aelTe, o dal di loro collocamento C53A 
primo genere fono i Traslati dì parole 1 del le-- 
condo le Figure di parole, E fimilmente 1 orna- . 
mento delle fentenze o deriva dal peniiero in le . 
flelfp , o dalla, forma, che fi da al parlare» mcn- • 
treìì vuol efprimere il concetto. Al primo riferì- . 
feonfi ITra'slati di concetto, al fecondo le Figure 
di concetto . Ne’ feguenti due Capi pertanto parie- - 
remo dei Traslati i negli altri due poi dellc^gore. - 

C4O Eloquenti» conflat ex verbis , & fententiis . Cie. de 

^^Cso 5 *Nikruh tnim alm pulchre , * 

nis fententiis, verbifqne lefliffimis dicere..rif. ' 

(sO Dignità^ in verborura > fedtentiarutn exornationem 

dividitur. Ad Hertn. IJ. _ . r 

Verborum exoraatio eft, qu* ipfius fetmonis J ' 
continetur perpolitione . Sentemiaruro exornatio eft , q 
in verbis, fed in ipfis rebus qnamdam habet 
Htrtn.ivi. Inter eonformationem verborum , & fcirt ^ ™ ^ 

hoc intereft, quod verborum tolliiur, fi verba muwr , ^ 

tiarum permaner quibufcumqoe verbis utivelis . ot ’ ^ 

05 ^ Ornatns verborum duplex, unusfimpHcuim, , 

locatomm . Cie. de Orai, ad Brut. Eft quidam 

tionip, qui ex fingulis verbis eft, alras, qui et cootmuatis, ^ 

coniuaOifque . Ordì. ‘ ' 


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X si X , - 

C A P O IXi . 

- ■ ■ ' > ,* ' * ’ [ . • • 

* Dei Tirasi Mti di Parole i 

I * * I' 

L Traslato in genere, che dai Gteci fu^ chia- 
mato rMvo't \ aitrò hoh é , che uria crafmjfdzione 
che fi » d* un vocabolo ^ o d’ un feritin«»jCfv 
proprio ad un altro lignifìcaco con qualche leg- 
giadria (i). Dal che fi cottìprende quello, che 
abbiam già detto, vale a dire che altri lori di 
parole, altri di concetto. I Traslati di parole, 
de* quali '-ora intendiaiu ragiotiare ; Conlìftono ia 
lina voce trafportata • dal iuo proprio fenfo a G- 
^nifìcar un’ altra cofa ^ con coi abbia qualche fì- 
militudine, e relazione ; e fono comunemente Tei, 
la Metafora y ìa Sinedoche y la Metonimia y laC^a- 
tacreft y la Metaleffì, t lì' Nominatone (2)* 


. §>.L 

■ • . . . . r- ■ V 

Deila Metafora ^ .. 




La Metafora itari^pd come dicobo i Greci , 
ed i Latici Translatio (3), fi fa coll’ appropriare 
il nome d’ una cofa ad 00* altra , con cui abbia 

' B 3. ' qual- 


. ». / ’? 

QO Tropos eft v«rbi, ve] fennonts » l^prìi iìgnificationc 
in aliàm cum viitnte mntstio . yttl. 3. Eornm pr». 

{ >rium eli uc ab nfltatft vertoram poteftate recedatur , a(quf 
a aliam ratloneiii culli quadaia t0Ma«te oratto conferStar. 
jld tSerem. ttr’. ai. 

^ rcrriano di niolté voci Qreche « giachi >Plilb tc ha 
refr faojìgUari , c aoalì prpptie della noara lingua . » > • , j 
CD. Tgpoglatio en cum .verbun 'in quandam rem craa^lhr^#' 
ex alia rr^i «aqd.proptpr lìmiUtudiàrm ruAari^tM MV 
uaoafrr,. ir. 34. , . ' 


Digiti^ by Coo^k 


X 22.X 

■ qualche fi'militadine o proporzione (4). Q?efto 

pub avvenire in 'quattro modi. . . . 

1. Col trasferire una voce propria di cola ani-, 

fnata ad un’altra pure animata, IJccome quando \ 
Cicerone difle contro di Fifone: ) 

Jamne vìdes bellua javnfit fentìs ì 
E Dante Cant. VI. del Paradifo : 

• Bruto con CaJJìo nel r Inferno latra , 

Ed il Petrarca : ' 

Volo con V ali de' penfieri al Cielo» 

2. Appropriando il nome di cofa inanimata ad 
altra pure inanimata. Così difle lo fteffo Cic. nel- 
la Orazione per la Legge Manilia : 

Uunc imperii nojiri fplendor ih gentibus lucet « 
Ed altrove: 

Virtus eji una altìffimìs defixa radìcìbus, 
Virgilio parimente nel VI. della Eneide difle; 

'clàjfique immìttìt habènas » . s 

Ed il Petrarca : 

Tornan d' argento \ ruf cellette e i fiumi • 

5. Coll* attribuire una voce propria di cofa inani- 
inata ad un’ animata , ficcome quando diffe Tmlio : 


<4) Dkendofi 
%a»aa è metafora per 

liiaim fra l’acqua, ed il criftallo: ma dicendofi 

M, e’ ha fole noa proporaioiw » perchè *** 

di rimile la pUi biofa parte d’hn monte col piede umano. 


f 


t 


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X 23 X 

Hhjms luBuoftJfimi beili ftmen tu futjìì , 

£ Catullo ; 

0 qui flof cui US es Juvenculqrum u 

Ed il Petrarca r 

E duo folgori feco di battaglia 
il maggior e V minor Scipio Africano . 

4* Tralportando per ultimo. quello che convie- 
ne a cofa animata ad una inanimata. Così Tul- 
lio nella prima contro Catilina : 

In hoc ipfoy in quo exultat & triumphat 0 ratio. 
Ed Orazio : 

Pofl'equitem fedet atra cura. 

Ed altrove ; 

Curas laqueata cìrcum 

Telia volantes . ' i-v-r- 

Ed il Petrarca : 

Ri don or per le piagge erbette e fiori ( 5 ), 

Molti fono i motivi , per cui lì fa ufo della me- 
tafora . Adoprafì per nece/fifà , quando la lingua 
non ci fomminiUra alfro termine , onde meglio ef- 
primere le noflre idee ; e così dilfero i Latini gem- 
vjtes ^ fttire fegetes ^ fruSius laèorare^ e noi 
Italiani voce chiara^ acuto ingegno y cofiumì rozzi, 
B 4 Per 

Cs) ultimo genere di metafora aggiunge grazia mira, 

bile al dife^'rfo, perchè dà forza di operare» e ci pone fott* 
^chio quello, che di operare , e d’efl'er veduto è incapace, 
r/ia Viro ocuìerum multo aeriora , dice Cicerone nel 111. dell* 

1 ponunt pene in eonfptSlu animi ^ qux cernere ^ ^ 
non pojjfimus . Quanto- non è bella iuaui qqefta, cU® 

USÒ Virgilio , Pontm indig^atut 4rax«t « 


X 24 X 


Per dar dijarezza *e forza al diicorfo , ^oafl- 
do lì dice inctnfum iray inflammatum cupidttate. 
Per brevità, come quando dicefi aurea indole' y 
fiume d* eloquenza , fecolo illuminato . Per un pu- 
ro vezzo e grazia della lingua p. e. far tefla Mr 
refiftere, fofpefo d^ animo in vece di dubbioiò . 
Per ingrandire o fminiiirc le cofe p. e. trafitto da 
. curoy cader in errore. Finalmente per maggior de- 
cenza ed oneftà p/e. lafciar là briglia alla paf- 
fionèy chiuder V orecchio alV appetito ytc. In lóna- 
ma, di<^ ;"M. T^ullio', le metafore da principio fu- 
rono ritrovate dalla neceflìtà , fearfa eflfendo là 
iingjtitf )di vocaboli; ma il diletto poi, che in effe 
.zii^varòno gli uomini, apri loro un pih vado e 
fpaziofo campo (6) . 

Bifogna però guardarli dal farne foverchio ufo , 
perchè troppo facile fi è l’ urtare in que’fcogli, 
nei quali ruppero molti de" nofiri Italiani nel pai- 
fato fecolo ; imperocché quanto beila e lodevole 
riefee la metafora , fe opportunamente s" adopri , 
altrettanto diventa viziola ' 

1. Se di lontano fia prefa cosi che ofeurità é 
non 'chia>elza appòrti al difeorfo , come fe alcuno 
dicelTe Syrtim patrimonii y Charpbdim honorum, 
Scorfe tutto il Zodiaco degli onori , ec. . 

2 . Se Ha troppo eccedente ; onde Longino ripren-, 
de quella di òorgia che diiamò gli avvoltoi 4- 
nimati fepolcri , e tali pur farebbero le feguepti 
mohtes belli fabticatus tifi y tempefias comeffatio-‘ 
nisy e qneHi d^^on noltro poeta, che parlando' 
di un gran guerriero , difle : 

A bronzi tuoi ferve di palla il mondo . 

- ' .. J.Se 


CO Modus transferendi verbi Ute patety ^uen neceffius 
aenuit y j'nopia cosila primum & angufttisy poft auteia dele*' 
^tio, jucMKiitarqtte celebravit. III. de Orat.. . .. i 


X 25 X / 

^ fnggerifce alla mente alcnna eofa ofeena 
o fpiacevole, qnale ih quella riferita da Orazio r 

Jupiter biòemas tana nive vonfpuU alpes • 

4. Se è a^tto impropria ed ii^oalélp. e. Cali 
ingeiìtes fornices. Porta lacr/marumpè^li,OQ^i]i^ 
ammarar h luci ’ per accì<^re'y le ^^^^^,ieapg 
per la canutezza • o dire del Sole càif^ÌKp|^ 

Che colla /cure taglia il collo all* 

5» Se fìa ofcura e . ripugnante) ^uale fi è reti- 
la, cke viene rìprefa dal* Muraton T. 1. 1 . 2. €.4] 
dilla perfetta Poefia : • 

• Se il criiK èunTa^ y e fon dia Soli i lumi^ 
Non vide nuN pm bel prodigio il Cielo ^ 
Bagnar co* Soli go 4 ^^i^ar, c(f 

6 . Se fia troppo balla tifp^o allVóggetto ^ i^|il 
fi "applica , come farebbe fe fi dìcefie d«la pìog^ 
pianto del Cielo j e per lo contrario fe f troppo alti 
p. c. fe fi dicèlfe de’ remiganti 'Principi af temi, 

7. Se fredda fia ed infulTay come fe alcuno di- 

denc di Davide fcettro penitente ^ o di S. Luca P 
Evangelico pennello y'.o fe finalmente con ^el poe» 
ta fi chiamane la bellezza « .1^,. 

La calamita degli umani cuori, ' . ... 

8. E viziofa per ultimo la metafora , fe con- > 
tiene una licenza troppo grande, ovvero fe è trop> 
po poetica ; laonde da alcuni non troppo è ap- 
provata quella d’ Orazio 

Eurus per ficulas eguitavit undas^ ' - 

e vien tacciato d’ ampollofità quel Sonetto che in- 
comincia ^ . 

Sudate 0 fuochi a liquefar metalli (7) • 

, §• ”• - . 

' Cz) Qpìatiliaoo per ultimo ci avvili , che la metafara da- 
va 


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■r r . 


,X 


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XitfX 

; §. n. . ; 

Deiia Sivedoche t 


\ 


{4 Sine^oche (nnx^^v y che dai Latini fu chia- 
paatà IntelleSiio è un Traslato, per cui norainan- 
dofì una parte di qualche cofa s’ intende il tutto, 
e nominandòfi il ' tutto fe ne intende una fol par- 
te («) . Si fa poi i» fri maniere . . .. .. 

Quando CI ferviamo del nome, che lignraca 
ia cofa iuteramente per dinotarne una parte, iìc- 
come quando dilfe Virgilio Egl. i. . 

jfut Araùm Parthus b'tbet^ aut Germania 
7 i^rtm • 

£ nel III* della Eneide : 

. • virìdemque ab humo eonvellere fylvam . 

Ed il Petr; - 

Come il fredd* anno oltre /’ ondofo mare 
Caccia gli augelli . 

2. Quando adoprafi quello di una parte per fi- 

f iifìcarc il tutto interamente . Cosi dille Virgil. 

n. I. . . 


. • . • fubmerfafque obrue puppes r • 

E nel II, 

Non anni domuere decem , non mille carina * 
%• Dante : ' ' 

Rìfpofi a lui con vergognofa fronte, 

Pren- 

. .11 ■ i> — ^ . — - 

ve Tempre aver maggior forra della voce propria, perchè al- 
trimenti farebbe inutile l’adoperarla. Metaphora aut vacan- 
tem occupare loeum debet ^ aut fi in alitnum ventt ptusva-' 
lire eo , quod expellit . Quint, Vili. 6. de Orat. IH- , 

<8) Intelleftlo eft tfum res tota parva de parte cognofcimr» 
aac de toto pars. Ad Heren, 1^. sj. dt Orat. Ili, ► 


V 


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' X Ì7 X ^ ’ 

5 . Prendendo/! il nome della rnateria , di cui 
una cofa è comporta per quello della cola fte/Ta , 
£ccotne quando di/fe Tibullo : 

^ Nondum caruieas pinus contempferat nnàos^ 

Ed Orazio: ' -, 

Non domusy & fundks , non ttrts acervus & 
auri , ^ . 

Ed il Petrarca : . “ ' 

•Non là bella' Romana i che col fetta 
jiprVl fuo cajìo e di/de^no/o' petto » , 

4 . Nominandoli il genere pet la fpezìe , o la fpe- 
eie per il genere, copie chi dic^e eoa 'Virgilio, 

. . . , pradamque ex minibus .alea ‘ \ 

Pro/ecie 'fluvio , ' • * ’ 

SauctusÒ' quadrupes nota intra te^a refùgit, 

.... loca foeta furentibus Auftris . ^ 

Hircanxque admorunt ubera Tigres, * 

O col Petrarca : 1 • 

E fui P augel , che piUt per l* aer poggia • * * 

O col Ta/To ; . . 

E le mamme allattar di Tigre Jmma • < , . • 

5< -Allorché ci ferviamo dei plurali in vece dei 
Angolari . o di quelli in cambio di quelli ^ ficcome 
fece Tullio nell!. Deprat, Fabricios mtht auBo~ 
ree 0“ Africano^, Maximosj. CatoneSf Lepìdos pro~ 
tulijli , £ nell’ Òrat. prò MiL Odultos Curtos , 
pabìos , Camìllos , nofmet ipfos Ó“c, e 1* Ariorto 

Crudel fecola , poiché pieno fei 
' Di Tiejìi f di Tantali , e a Atrei * 

Così per lo contrario lo rtertb Cicerone usb il rtR'* 
solare per il plurale quando di/Te; C/ir ab 


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; X 28 )(• 

hojle tuta hoc wa ejfet , quam nunc non vicmus Sa- 
tnnis urtt , Jea Fcenus advena . Ed il Pecrarcà : 

Ma fe il Latino ^ e il Greco • 

' Far fan di me dopo la motte f è un vento • 

^. Quando finalmente col nominare gli antece- 
denti fi dinotano i confesuentii o dalli confeguenti 
vuoili, che s’intendano gli antecedenti. Così Vir- 
gilio per dir che fi facea notte nell’ Egl. I. , f^crifie ; 

Et fam fumma procul villarum culmina fu- 
mane , 

Majorefque cadane altie de montibus umbra , 

È con’ varie Sinedochi diffe in quel fuo Sonetto il 

Petrarca: ' • 

Quando^ l Fìaneta<^ che dijìingue F or e\\ 

Ad albergar col Tauro fi ritorna y 
Cade virtà dalP infiammate corna ^ 

Che vefie il mondo di novel colore • 

§. Iir. . ; 

... . Della Metonimia • 

La Metonimia parurófiut dai Latini detta Ùenò- 
.minatio confifie del nominar le caufe in vece de- 
gli effetti, c gli effetti Jn vece delle caufe; op- 
pure fi fa quando nominandoli una cofa, altra fe 
ne intende, che ha con quella qualche affinità o 
relazione (9) . Qpefio Traslato pure fi può for- 
mare in fei maniere . ' , . 

I. Nominandoli la caufa in cambio del fuo ef- 
fetto , ficcome quando dilfe Cicerone : Quos amtfi- 

mus 


C9) Denominatio eft qui a propinqnis, 8c finitimis rebu« 
rrahit ^ationtm t qua pofBt iniell/gi res - q»* non fuo »o» 
tabulo fit adpeljuua . Heren. IK 32. d* Orar. Uh 

r> 


( 


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X 2p X* ^ ■ •; . 

mus ctves eos Martts vts perculU , non ira vtBo-^ 
ria . E Virgilio nel II. delU Eneide : 

Invadunt uròem fortino , v'moque fepuìtam . • 
Implentur veteris Bacchi , pingutfquc farina , 

Ed il Petrarca : ^ 

ed ha fatti fuoi Dei 

Non Giove i e Palla y ma Venere e Bacco f 
Ed altrove : . * • - 

E di bianca paura il vifo tinge., 

* 2. Servendoli per lo contrario, dell* effetto per 
dinotarne la caufa . Così Virgilio : 

LuElus , & ultrices pofuere cubìlìa cura , 

P allentefque habitant morbi , trijìifque feneHuSy 
Et metus Ù‘ malefuada famesy 0‘ turpis egefìar, 

£ Dante: 

e per 'la'mefia ^ 

Selva faranno i nojìri corpi appefì \ ^ 

Ed il Poliziano : 

£ */ cieco errore or qua y or là fvolazza, - 

3 , Quando lì nomina il continente per.il con- 
tenuto, ficcome fece Cicerone , quando dille; Mei 
capitis fervandi caufa Romam uno tempore quafi . 
Jigno dato Italia tota convenit . E Virgilio : 

Illum in Italiam portans viHofque Penates 

• • . \ . ille impiger haufit 

Spum'ofitem pateram . • - 

E Dante iel' XXIII. del Purg. 

Crijlo ne liberò colla fua vena , 

Ed il Petrarca Trionf, d' Amore Cap. III. 

S* Africa pianfe y Italia non ne rife , '' 

4* Col nomioare il poHeffore per la cola pólle* 

dura 


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X.'so )( ' 

data : 1’ antere per le fue opere , o il capitana 
per tutto il fuo elèrcito . 

Così nel IL della ‘Eneide Virgilio ; 

"Jam proximus ardet UeaUgon , 

I Tallio contro Vcrre: A^olVtnem ne tu De- 
Vtum fpoliare aufus ts ? Ed il Petrarca pariand» 
di Fabio Maffimo diffe r Coìtù % 

• Che con arte Annibale a bada tenne * 

(Quando fi clpone il vizio o la virtù in catn-. 
bio di nominare P uomo virtuofo o viziofo , fic-' 
come fece Cicerone nella z* contro Catilina r Cum 
ignai^a fypum luxuria i cum amenti a nobis certen- 
dum Terenzio: 

, Ubi ijlic Jcelus eji^ qui me perdidh? 

E Virgilio: ^ ' . . • . / ‘ 

Accipe nunc Danaum htfidias , (y crimine ab una 
‘ Difce omnes, 

Fedro nel Lib. IL Fav< L • ' 

Verum eji avidi tae dives , & .paupef.pudor m 
Catullo ; • 

Talis ifie meuS flupor nihil audtt , ^ - 

6. AlloitAè. fi nomina il fegno per la cofa li- 
gnificata , o al Contrario il lignificato in vece del 
fc^no * Così Tullio nella Orazione in 
Marcello : Sempetque mea confili a podi tog^ 
Soda non belli atque armorum fuerunt Alb^ 
Lollio nella fua^ Oraz* a Carlo V, Qj^efio fiarà 
quel lieto, e felidjjìmo giorno y in cui ^ V Aquila e 
$ Gigli Spiegheranno le fortunate, vtncitrjd , e 
dortoSe inSegne loro a benefido ed efal t amento deU 
a Cattolica Fede . Nè diverfamcnte Virgilio nel 
IL delle Georgiche : 

Uhm non populi fafeer, non purpura regum 
Fleìfit» . - ‘ ' 

E Dante C. I, dèi Paradilb: •. 

E 4 dme a.mejfagger che porta . 


E 

% 

£ 


f, 


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XjiX 

' §. IV. 



' 'Hjilia Catacrefi, • , 

La Catacrefi CÒ5I detti dai Greci , e 

dai Latini Aimfio fi ia ogni ^iiai vòlta naaiu^ndo* 
ci il termine proprio per lignificare una cofa , ci 
ferviamo di una metafora o fia d’ una voce tra- 
fportata da altra cola fomigliante con un po’ trop- 
po di iiccnia pò) rXosì leggiamo a cagion d’ c- 
lempio preflb i Latini 'granaem orattonem » minu~ 
tum antmuffi , tong'um confilium . E Virgilio fer- 
vendofi di quello Tradato chiamò .quello 
che 1 Greci fabbricarono fotto le mura di Troia • 

. divina Paliadis ■ 

Mdificant , &c, ' _ / ‘ - 

lebberre quello non folTe nn cavallo, ma foltanto 
un immagit^ di cavallo. Ancora noi Italiani di- 
ciamo cavalcar tm bajiom^ inferra/e con . ferri 
' ^Kgonto , ptfchìera vuota di pefee , ec. ne’ qualf 
elcmp; a ben riflettere fi trova una manifefia con- 
traddizione, e fi vede chiaramente, che le parole 
fi trasferiscono/ di una cofa ad un’ altra .per. via^ 
q una metafora affatto impropria, la quale perjy 
è foflenura dalla .necc/fità . ... ■. •; 

A que^ traslato alcuni riferifeono- ancora un 
altro modo di favellare improprio si, ma qualche 
volta nlato dai poeti , che da’ Greci vien detto 
nxnpoKoyitt cioè improprietà di parlare « Così Vir- 
gilio 

- * ' • 

— — — — . — ’i. ■■ , ■ , 1 


finw'It, * propi BOBON toro e«rto. 
bo*^uon"»*l AbutinmrfsispB etiani ver- 
«•iMiuV*.® * *®*”**'^^ qu«m in translrrendo; fed etiam fili. 
«•iKiut , (amen latcrdum non imprudentrr . I>t Orar, ZÌT. 




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X5*X ‘ 

fillio Qsh il verbo fperart in vece di Umete al- 
lorché diflc : 

Rune ega fi pttut - tantum /per are dolorem. 

Ed il Petrarca: , 

> . Nè contro morte /pero altro che morte , 

, i V. . ■ 

Della Metàieffi , ' , . 

Qaeflo Traslato f che fitret\e4'fs fu detto dai 
Greci , e dii Lsttini Particfpatio, confonde la Me- 
tonimia e la Metafora iniìeme , e fi forma in due 
maniere . < 

1. Quando uno Heiro oggetto facendo in nof due 
impreffioni diverfe nello Iteffo iffante , le proprie-^ 
tà deir una all’ altra indiffintamence attribuiamo» 
fìccome fwe Virgilio allorché diffe : fpeluncis ab- 
didU atrh f ih vece di dire /w/V.* frigus capta- 
mus opacum , in vece di dire captamus ad um- 
tram : caligantem nigra formidine lucum per di- 
notare, che il bofeo per la fua ofeurità facea ter- 
rore, cc. Non altrimenti fece Dante nel Canto V. 
del P Inferno y ' dove per dinotare, che' era venuto 
in Juogo tacito, ed opaco, diffe; 

’/ venni in luogo d* ogni luce muto . 

2 . Quando per fìgnifìcar una cofa , un’ altra ne" 
nominiamo, ma cosi lontana, che bifogna.afcen-^ 
dere come per diverfì gradi prima di arrivarne al- 
la intelligenza. Tali fono que’ modi ufati da Vir- 

' • . . . . d 

Ter ti a dum Latto regnantem viderit ajias , 

T ernaque tranjièrint Kutulis hiberna fubaflis . 

Fofl aliquot mea regna videns mirabor arijìas,. 

do- 


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X 33 X 

^vc ognuo ve^e , ch’egli è duopo ì^ontare dalle 
refte alle fpighe, dalle fpighe alle meffìv dalle melfi 
alla dace , dalla Ilare agli anni . Qiielio però è un 
Traoslato, che fi ufa dai Ibli poeti ;; ed anche par- 
camente. La nodra lingua poi difficilmente lo am- 
mette: laonde i nodri Italiani non dir^bero già 
con Vii^ilio|, dopo alquante fejìe o Mghé ^ ma 
pinttodo con Dante dopo molti Solt^ o dopo alquan- 
te Luncr A 

Ma. s* ella vìva' /otto molti foli , 

Ma non cinquanta volte fia raccefa 
JLa faccia della donna ^ chi qui re^ge ec, 

§. VI. 

Della Nominazione , 

4 » 

La Nominazione - detta dai Greci òvop^caut con- 
fide nel formare un vocabolo non prima nfa- 
tO) il- quale col Tuo Tuono imiti la cola, che vuold 
per edb lignificare ; oppure ancora fi fa col fervirlì 
di parole già ufate, ma in guifa tale difpOde o 
per metafora .trafportate a dinotare una cola , che 
abbia* con effe fimilitudine di Tuono (ii). Qpedo 
era un Traslato al dire di Quintiliano faroigliarlT* 
fimo ai Greci . perchè la di loro lingua era natat 
quali dalle cole dede, e tutte le di loro parole 
aveano una grande limilitodine con l’oggetto, che 
rappreTentavano: ma non così dire lì può della 
lingua latina , benché in queda pure molte yoci 
fi ritrovano di tal genere , come p, e, mugìte ^ 

Jibi- 


CiO Nominatio not admonrt , nt, etti ni nonen au| 
flon fit, aut fatis idoneum oon fit, tum oofnet idoneo var-- 

fco nomintmut. 'MC imitatieait> aHtÌìgttiiìc*tiMÌtc;4ttf«« M 

Uertn. tf'. n. ~ ' - • 

Géora, B/tm, T. I, C 


X34X 

mute, rudere, ec. cd ancora nella noftra italia- 
na , quali fon quelle raccolte da un Poeta efpri- 
menti le varie voci d* alcuni ammali : 

I Serpenti fifchìar, gracchiaro i Corvi . 

Le Rane gracidar , bajaro t ^ant , 

Belarono t Capretti , urlaro t , 
Ruggirono i Leon, mugghiato t lori, Cc. 

Tali parole adunque alle volte fi formano a Irelli 
Dofta, e così troviamo tra i Greci, che Anftofane 
nella fua Commedia intitolata le Rane Atto I. 
Se 4* formò, quelle voci 

cfirimere il loro gracidare; ed in quella degli Uc- 
celli usò quelle parole tìo tio toioto , rpioro moin 
•tovoiro per dinotare il canto , ficcome altrove li 
fervi del a><,ttTTOTpccT ro ^^cerro rpterroTpttr per 
lignificare il Tuono d’ uria chitarra. Ancora En- 
nio per efprimere il Tuono della tromba, <^*fle: 
•Cum tuba terribili fonitu taratantara dìxit , 


ed un italiano : 

£ quando udì tarapatà marciò • 

V ò)sì Catullo parlando del pafTero di Lesbia c« 
legantemente fcrive : 

Ad folam domtnam nfque ptptabat* 
e Dante per fignìficare il fuOTo d’ un Camjanel- 
lo nel Cant. x. del Paradifo • 

Tintin fonando con sì dolce mta^ 


t nel xtv. 

Di molte corde fan dolce fintino. 

Una tale imitazione di fqono la vediamo pure 
' nelle parole Bombarda , S chiappo , Cannone , Ram- 
pona r ed in altre fimiH non na molto nella no- 
to lingua introdotte , • 


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X J5 X 

Talora poi qaefto Traslato nafce o da una me- 
tafora a bella porta ufata, o dalla collocazione 
delle parole, Del primo genere fono quelle fami- 
gliari ai Latini : Fojìquam fech impetum in rem- 
publicam , franar civìtatis auditus ejl , dove la 
voce impetus , e fragor fono metaforiche , c nello 
rteflb tempo efprimono col loro fuono l’ azione 
che vuoili lignificare , Del fecondo fono quell’ al- 
tre di fpertb adoperate da Virgilio ; 

Et fecum fola ficca fpatiatur arena • 

Vela àabant Isti Ò" fpumas faìis sre ruebant , 

E quella del Taflb: 

Il rauco fuon della tartarea tromba , 

Di tutto ciò fi parlerà piò in diffufo nel Trat- 
tato dello Stile Parte II, (12).. Balli per ora il 
dire , che , malfime rifpetto alle voci da formarli 
a bella polla, non è ai tutti il far ufo di querto 
Traslato , 

C 2 CA- 


CIO A dire il vero io non fo , come il fuddettn p debbe 
^ mettere nel numero dei Traslati piuttoflo che tra le figure di 
'parole, che; fi fanno per via di fimilitodineà pure non ho vo« 
Juco in ciò fcoftarmi dagli altri , Agginngono alcuni a «ueiio 
luogo anche VAntifrafi e V Iperbato ovtpSitrof, 

Ancifrafi o contralocnziono chiamano una voce, la quale ab- 
bia lAi fignilìcaro contrario alla Tua etimologia , come fé fi di« 
Ce<Te* che le Parche fon cosi dette, perchè nenìni parcunt ^ 
che la guerra è detta belìum^ perchè non è bella, ec. MaoU 
trechè non è ih noftro arbitrio il formar nuove voci , chi non 
vede, che P etimologia a tai vocaboli àffegnatà è fiilfa, per., 
cbò la parola Parca viene dal Greco e non dal Latino perco» 
c la voce bellum per lo contrario è latina, e non ha che fare 
coll* Italiano bello*. Meglio piuttofto dircbbefi elTere antifrafi 
le feguvalt : un uom di fajfo , un orator muto , »» granpig- 
wnto z i*3Mli maniere di dire ognun vede però che u ponono 
ridurre alla Catarrefi , Iperbato poi chiamano la trafpo- 
CuipBè dWf M|^|e , che fi fa per evitare l’afpreeza , t per 
d«r ••raklll «HM Wtnonia al periodo; pè quella, a ben penlhn 
xe • parai , cht fi poflii inèttcrc nel numero dei Trafitti ^ 


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X3^X 

CAPO iir. 

Det Traslati dì Concetto, 

Siccome i Traslati di parole fi fenno col tra- 
fportare una voce dal fno ad un altro iignincato > 
così quei di fentenze confiftono in un pen^fiero el*' 
pofio fors’ anche con parole proprie, ma che vuole 
cffer intcfo diverfamcnte da quello che per le Itel- 
fe elleno dimofirano (i) . Quelli fono , 
P Ironìa , P Iperbole , la Perifraft , c PAntonomaJta . 

§. I. 

DelP Allegorìa . 

Ù Allegorìa ecM\,tfyop!ec f che dai Latini fu det^ 
Permutaùo non è altro, che una Vp 

nuata per modo che altro fi • è quello , che dall 
Oratore c dal Poeta fi dice , altro QueUo , che 
vuoili da eflb lignificare (2) Così Tullio nella 
Oraz. contro Fifone volendo dire, che non mai era 
flato atterrito dalle di lui inique trame, » lervc 
d’ una bellilfima Allegorìa: ^eque 
Àus , ut qui in maxtmts turbtnibus ac puwbus 
retp, navem guèernajfem , falyamque m portu <0/- 
ìocafCem, frontis tua nubeculam, aut coilegtc tue 
eontaminatum fpiritum perhorrefcerem , Altos ego 
vidi ventos : alias perjptxì ariimo mcetlas: ^tts 
ìmpendentibus tempeflatibus non cejfiyec, Hd ura- 



noDflraas, Heren, IV, 34* I* 


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. . w4« 



t 

210 per dlfìfuader M. Bruto dalla guerra civifcr 
fotto l’Allegoria d’una nave così defcrivela Rcp, 
Romana Ode XIII. Lib, I, 

O Navìs referent tn mare te novi 
FluSus: ó quid agisy forti ter occupa 
Fortumi nonne vides^ ut 
Nudum remigjio latus , 

Ft malus celeri faucius Africo , 

Antennxque gemant ? Ac fine funi bus 
Vix durare catinx 
Pojjint imperiofiuS 

JEquor ? non tibi funi integra Vmtea , eci 

e così anche il Petrarca fotto il fìmbolo d’ una 
nave narra le fue fVenture : 

Paffa la nave mìa colma d* oblio 
Per afpro mare a mezza notte il vèrno 
Infra Scilla , e C ariddi , ed al governo 
Siede il Signore t anzi 7 nemico mio è 

II Cafa nella Oralione per la Lep fotto i* a- 
^etto d’una fiera così ci defcrive la Tirannia ^ 
PfJJìma e crudeliffima fiera è fuberùa in 
vtfia^ è negli atti crudele ^ ed il morjo ha ingor-» 
do e tenace ^ e le mani ha rapaci ^ , é fanguinofe ^ 
ed ejfendo tl fuo intendimento di comandare di 
sforare , d* uccidere , cT occupare , e di rapire « 
conviene , che ella fia amica del ferro , e della 
violen^ , e del /angue . Ed il Salvitìi ufa l’ Al- 
legoria nell’ Oraz. Funeb. in morte del Maglia- 
bechi : Ah fe ognuno i principi d* onoro , ^che^ nelP 
animo nojlro feminati , 'e in certo modo impianta- 
ti fono coltivaffe j e a perfezion conducefie quelle 
picciole belle inclinazioni ^ che *oerfo qualche ono- 
rato efercizio ne f ergono ^ e per così dirè nel cuor 
nojlro quafi da fe JleJfe ge^ogliano i che rie- 

C 5 sa 


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X 58 X , _ 

ta ricolta d! uomini grandi in ogni genère »* 
ttbbe ! 

Se 1 ’ Allegorìa è corapofta di parole tutte me- 
taforiche , quale lì era quella Orazio , dicefi 
pura\ ma le tra quelle ve n’hanno alcune pro- 
prie, come nel citato efempio di Cicerone, allora 
diceli mijìa. Tre cofe pw devonfi fpecialrocnte 
aver di mira quando formiamo un’ Allegorìa . 

1. Che riefca focile e chiara ; imperocché , di- 

ce Tullio , quello Trasiato ferve di grande orna- 
mento al dilcorfo , quando per la fua ofcurità non 
diventi un Enigma (3) * ' 

2. Procurar dobbiamo di profeguire Tempre la 
fiefia metafora, q non far come cert’-uni ri prefi 
da Quintiliano (4), i quali incominciando a par- 
lar di burrafca , vanno a terminare con un in- 
cendio , o una mina (5). 

3. L’Allegorìa deve efier breve ed adattata alla 
cola ) che vuoili rapprefentare ; il che certamente 
non fi offervò da quell’ Oratore , che così inco- 
roin<fiò, certa fqa Orazione in lode di un Santo i 
Cedano i rivi dell* antica, facondi fi ritirino dai 
j^ 0 gbi delle loro correnti energie i fiumi dfHa pià 
piena, eloquenza : tacciano i cadùcèi degli Orato- 
ti % e fi nafcondajiQ gli ingegni nelle pid rimote. 

ca- . 


Cj) Ea. faoc kasigm^m ornamentura orationis , in quo obfcu- 
tìtas fugienda eft . Etenim ex hoc genere liunt ea , quas. di> 
cuntur enigmata . De Otat. III. 

C4) Quo genere cceperia translationis, hoc deuna». 
Multi eniin cnm initium a tempeflate fumprerunt, ioMnoio 
aut ruina fiotunt, qu« eft ioconfequentia rerun» foediffiina, 
Rhtt. lag. /. mi 6 . .. 

C5) Non va forfè efentc da quello difetto quello di Ciceroné 

nel II. De Orai, cum.iMot iihos ad Mtfewim fiudtofius tege. 
tim»/trniie «rmtonem meàra étlorum tuafi tantii colorare. E 
f«elU «^onkidi'; Et reale tarnam iéttdi reddtrt vttjus. ; 



V 


XJ9X 

cavirnt del filemjo , Veggo sboccare un Oceano di 
maraviglie , che rnetterehbero in naufragio le pen- 
ne de* pià provetti dicitori , ec, Cofa di piìi fcioc- 
co fi può dire , o immaginare (ó) ? 


Dell* Ironìa . ■ 

I Greci chiamarono tìpanU , ed i Latini DiJJì- 
mulatio quel Traslato, per cui con^ le parole di- . 
clamo una cofa , e vogliamo , che tutto al con- 
trario s' intenda o per le circofianze , o per il 
tuono della voce , o per la natura della cola Itef- 
fa , che ripugna con quello , che di lei fi dice • 
Volendo così Cicerone far intendere che tutti go- 
devano della noorte di P.Clodio, con Ironìa 
fe : Sed fluiti fumus , qui Drufum , qui Africa» 
ììum y Pompe fum , nojmetipfos cum P. C Iodio con» 
ferra audeamus . T oleraòilia illa fuerurn : . Ciodii 
mortem aquo animo forre nomo potefl ,^ Luget Se» 
natus : moeret eqitefler ardo .* tota civitas confella; 
fenio efl fqùqllent municipia : afflillantwr colo- 
nia : agri denique ipfi tam beneficumy tàtn fingu»^ 
larem , tam manfuetum civem àefiderant . Orar» 
pro Mil, E nella PhiL I, contro di Antonio: 
Qtdd tandem erat caufa , cur Senatum externo 
die tam acerbe cogeret , . . . , Hannibal credo erat 
ad portar , aut de Pyrrhi pace agebatur ; ad quam 
caufam etìam Appium ilium Ù‘ cacum & Jenem 
defatum effe memori a proditum efl» K prefTo Vir- 

C 4. siilo 



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X 40 X 

^ilio nel IV. 'della Eneide così Citinone ripren* 
de Venere : 

Bgrigiam vero ìaudem & /poli a ampia referth 
T uque , puerque tms : magnum & memorabile 
, nomea , ^ , 

Una dolo divum ft foemtna viEla duorum ejl , 

E Giovenale nella Satira XIV. deride gli Egi- 
ziani con la fegaente Ironìa ; 

Oppìda tota canem venerantur , nemo Dtanam .* 
Forrum & cape nefas violare ^ Ù" frangere 
morfu , 

O f anEias gentes ^ quibus hac nafcuntur in hortis 
Numìna ! 

Tale fi é ancora quella degan fi fiìma del Cafa od-’ 
la Orazione I. per la Lega , con cui cerca di 
fcuotere i Veneziani a prender 1’ armi in difefa 
della propria libertà : Ma egli dice , che in quejV v 
anno' non vuol far guerra^ ma vuol ripofarfi * 
Alziamo dunque le mani al Cielo , e poiché Sua 
Maejlà ce ne concede licenza ^ torniamo il capo . 
folto, e dormiamo ripof altamente ancora .quefiofpa-- 
ZIO breve di tempo. Così ancora Dante nel Can- 
to XXVI. deW Inferno . 

Godi Firenze, poiché fei sé grande. 

Che per mare e per terra batti P ale , 

E per P Inferno il nome tuo ft fpande . , j 

Se poi l’ Ircfnìa fia tale , che morda per così di- 
re vivamente , e contenga un crudele infolro , 
allora dai Latini dicefi SubfannatU e dai Greci 
aetpKttfffuof ) cioè amara , e mordente derifione . Di 

D uello genere fi è quella , con cui Aletto od VII^ 
ella Eneide riprende Turno • 

I 


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• • • 


;X4iX 

I nmey ìngraiis cffhr te trrìfe ptrtcVts*. 
Tyrrhenas^ i^Jierne acies : rege pace LathosJ 

£pi(i acre ancora quella di Turno {lelTo nèllib.Xir. 

En àgros , ^e//o , T rojane y petìjìt 

He/periam mettre jacens : hxc pramia , ^ui me 
Ferro aufi tentare ) ferunt ; Jic moenta cendunt • 

Anche preflb il Taflb Canto XIX. St, 5. e 5- del- 
la Gcmfalemroe avendo Argante infultato Tan- 
credi , che avea uccifo Clorinda col dirgli ; 

No non potrai dalle mie inani , 0 forte 
Delie donne uccifor » fuggir la morte , 

quelli gli rifponde con un* altra mordente Ironìa ; 

Vieni in difparte pur tu , che omicida 
Sei de' Giganti folo , e degli Eroi ,* , . 

L* uccifor delie fémmine tt sfida • 

i ’ ' 

§. III. 

' Della Iperbole, 

L* Iperbole Cvtp/Soxn detta dai Latini Superlatio 
(ì fa coir ingrandire ed efa^erar le cofe per modo 
ohe s* innalzano ^ o lì diminnifcono più affai di 
quello, che fono in fe ftefle (7). Tale fi è qùcl- 
ia lode, che Tullio dà a Celare neirOraz. prò 
Marcello^ : Domuìjli gentes immanitate barbar as j 
multitudine innumerabìles , locis infinitas , ^ omm 
copiarum genere abundantes , £ quell' encomio fet- 
to a Pompeo nella Oraz. per la L^ge Manifia : 

Fom~ 


Cz) Saptriatio eft oratio faperaos veritatem ali^ujaa augas*^ 
di , miaufiuUTt caufa. 4i Umn. IF, jg» Oe ùras. Uh 


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Pompe} US /<sp}i*s cum bofle couflixit , nmam 
qu9m cum inimico concertavit s p{ura bella 
quam aia legerimt : plures provincìas confeci t , 
quam olii' concupierunt &c» Così anche Virgilio 
ieirlib» VU, della Eaeide eoa unì^ Iperbole dif- 

fc deli’ Amazzone Camilla : 

**•" - 

llla Vii ìniaBa fegePÌs per fummo volaret 
Gromma > nec tenetas curfu hftffet arijìas : ^ 
Vel mare per medium fiuBu fufpenfa tumenti 
Ferrei jtery celeres nec tingerai aquore piantasi 

£d Alb. Lollio nella Tua Orazione in lode' della 
lingua Tofeana: Se la natura ifiejfa i fuoi concet- 
ti con umana voce efprimer volefje , ^ creder fi dee ' 
fermamente y che ella altre parole giammai non ti- 
ferebbe y. che le Tofeane, Il Salvini io’ morte del 
Maeliabechi: Che f e gli firani e più rimoti corfi- 
ni della terra , che lui y come della Repubblica del- 
le Lettere benemerito e benef attor fingolare amaro- 
no y della fua mancanza pur fenton duolo y ec. Dan- 
te pure usò della Iperbole nel Canto XXVII» 
del Purgatorio , dove difle ; 

In un bogliente vetro 
Gittato mi farei per rinfrefearmi . 

Ed il Petrarca in morte della. Tua Laura : 

Nel fuo partir y partì dal mondo amore 
F cortesìa | è V Sol cadde dal Cielo y 
dolce cominciò farfi la morte . 

Bifogna fare un ufo molto parco di quello Tras- 
lato; imperocché non ve,n’ ha forfè un altro piìL 
pericolofo , e piò facile à dar nel vizio. Longi- 
no perciò attefta , che i Comici di fpeffo fe ne fer- 
vivano ) perchè colle Iperboli facilmente moveano 

a- tifo; ei il Màrchefe Orli nelle fuc Confiderà- 
■ • zto- 


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X 4 3 )T 

Ziotti Sopra la maniera di ben penfare del P, Èours 
offerva , che migliori foa Tempre quelle Iperboli, 
le quali fi rifcrifcono a cofe fpirituali , o a qua- 
lità , i di cui gradi non cosi agevolmente fi pof- 
fono roifurare , anale fi è quella di Virgilio in- 
torno ai cavalli di Turno: 


Qui candore nives anteirent y curfibus auras , 

Dobbiamo adunque fil&rci in' animo , che V aggiu- 
ffatezza della Iperbole confifte in ftr credere , che 
la cofa fiali veduta quale fi dipinge , e qual fi de- 
fcrive fiali conceputa. Ogni qual volta perciò quam* 
to fi dice, avvegnaché falfo , non ecceda T idea,* 
che fi ha o fi può avere della cofa , ^ cui fi trat- 
ta , r Iperbole farà giufia ; ma' fe per lo contra- 
, rio dica di piò di quello, che naturalmente- penfar 
fi dovrebbe , allora farà falfa, c ridicola (8) * in- 
time per tanto fono quelle Iperboli , dice Longi- 
no cap. 38. Del Sublime , le quali nafcono da qual- 
che gagliardo affetto dell’ animo, e dalla gmndez- 
za degli aggiunti; e però, quando Tucidide nel 
/VA. VII. della fua Storia racconta, che i Siracu- 
fani nel bollore della battaglia calati^nel fiume 
trucidavano li nemici , e che bevendo quelle* ac- 
que tinte di fangue , e mille di fan^o tanti e tan- * 
ti fi uccidevano fino per e/Te, la cofa rendefi cre- 
dibile , fiégue a dire il cit, Longino , sì per il fq- 
rore di coloro, che per tante altre circofianze,. 
che accompagnarono quella fatale giornata • 

' §.IV. 


/ 


1^' TperhoU ^ dice il Salvini nella fua Lezione I. Critica 
al Sonetto: L* alto Fattor ec. non diflrugge affatto ta verità i 
teme quando la Pittura , o Scultura rapprefenta una figura 
maggior del naturale ^ non le tMlie la propria forma ^ ma la 
y*àere in grande^ che nella Juafmifuratezgjiba mi furale 

■ntmfitjfo trafaffme^ cke.faiaUaptoputgtow % laeonfetva^ 


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X 44'X' 

• • • 

§. IV. 

“ . , l 

De//a Pertfraft « 

La t’enfrafì mpi^puerif , come- dicono i Greci ^ 
ed i Latini Circuitto è un T raslato , per mezzo del 
quale con nn giro di parole facciam intender ciò 
che fors* anche potevafi erprimere con una fola (9).' 
Cicerone non volendo dire nudamente , che i fervi 
di Milone aveano uccifo Clodio , mitigò il fatto 
con una perifrafì ; Fecerunt id fervi Milonts , 
que imperante j ncque /dente y ncque prafente do^ 
mino , quod qutfque fervos in tali re tacere voluif- 
jd . Orat% prò Mil. E preflb T, Livio Hijì. lib, 
*XXVI. Vibio efortando i compagni a bever il ve- 
leno, nè volendo dire, quello ci darà la morte, lì 
fervi d’ una Perifrafi così : Fa patio corpus ab cru^ 
ciatu y animwn a contumeliis y oculos y aures a vi- 
dendisy audiendifque omnibus acerbis y indigni/^ y 
qua manent viElos y vindicabit , Così ancora il Car- 
dinal Commendone nella fua Oraz. in difefa d’ al- 
cuni Scolari dello Studio di Padova volendo con- 
felfare il loro delitto , ma in maniera fcufabiie , 
dilTe; Avvenne adunque dopo molta foffcrema * che 
pià della ragione potè lo /degno: nonji nega il fata- 
to » Ed il Salvini nell’ Oraz. V. Avendo il Mudo, 
al comun dritto della natura /(Adisfatto y cioè a 
dire, ejTendo morto. Usò della Perifrafi anche Dan- 
te Dell* Inf, Cant. XXXI V. dove chiamò Grillo • 

V uomo che nacque , e viffe /enza pecca , 

•£ . 


Cs) Cìrcuìtio eft orario rem fimpHcem adraraptaiq ctrcuni' 
/ciibeos «ioctttioie. Ad Hcren, IF. Di Ont, UL 


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X45X 


£ Cant. XII. 

Colui che la gran preda levò a Dite 

E>con molta grazia incomincia il Zappi un fuo 
oonecto cosi; 

In quella età , ch^ io mìfurar folea 
Me col mìo capro i e'I capro era maggiore. 

La Perifrafi ferve a maraviglia non fola per ab« 
beilire , ma ancora per dar chiarezza al difcorfo 
e per isfuggirc con grazia certe cofe, che non tot* 
na bene li dirle. Longino però ci avverte al 
VI, Del òubltme , che febbene quello Traslato 
renda magninco il difcorfo 4 pure le non fe ne u- 
fa con moderazione, e giudizio, fa, che cada in 
languidezza , ed in fuperfluità • 

§. V. 

* i 

DelV Antonomafia , 


L AntOTomafia «rrovoiiteaue , o fia come dicono 
1 Latim Promminatio ^ non è molto diverlà dalla 
Perifrafi , e fi fe , quando non potendoli , o non 
volendo noi ufare del nome proprio di qualche 
perfona, ricorriamo ad un di lei appellativo (io) . 
Quello fi può fare in fci maniere, 

‘ I. Col • 


00 Pfonominatu) eft, quas Senti cognonine quodam ex. 
■Tura demonltrat id,quod fao aomine adpellarinon poteS. 
» « 7 *^*** Quefto tratlato non è molto diverto dalia 

Ftrifrafi , e dalla Metonimia ; pure v’ba quella differeoea, 
«he quelle fi riferircono anche alle cofe, quello propriamen. 
te foio alle perfone; di più la Perifrafi ù unafrafe, che ne- 
riferire a quello, di cui fi parU, noo po. 
X “ hltra cofa appropriare; l’ Antonomafia per locon- 
iwrio è una frafe, ebe fi potrebbe ad altri applicare, ma 

che 


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X4«^X 

1. -Col fervirci de’ Patronimici, ficcome fa O- 
razio nella Pillola 2. Lib. I. dove in cambio di 
norainai-e Achille, ed Agamennone, dice: 

• . . Nejìot componete lites 
Inter Pelidem fejììnat & inter Atri 'dem \ 

2. Accennandone la patria , o il luogo in cui 

rifiede in vece di lui ihedefimo . ’ Così dicefi C/* / 

ttrea yDeìio ^ cc. in cambio di Venere, e di Fe-’ ^ 
bo. Ed il Petrarca parlando di Annibaie perciò/ 
diflè Cap, L T rionf, della Fama : 

Vidi olita un rivo il gran Cartaginefe , 

E Dante Del Purg, Cam, VI. di Licurgo e di 
Solone , difle ; . 

Atene ^ e Lacedemona che fenno 
X’ antiche Leggi , -e furon sì civili . 

Ufando un aggiunto in vece del nome pro- 
prio Virgilio nel IV. Della Eneide per Ènea 
dice impius ^ 

..... t baiamo qua fixa reliquie 
Impius . 

E Dante Cant. XXII. Del Purgatorio parlando 
di Oppierò: 

.... ftam con quel Greco 

Che U mufe lattar più ch^ altro mai . 

4. Po» 

che per eccelleaza, o fia come dicono i Greci xar , 

di quel fole s’intende, di cui fi tratta. Cosi quando Dante 
diffe Farad. Cant. XXII. Quegli^ cb'i Padrt d' ogni mortai 
vitSy quella Perifrafi non fi può intendere altro, che del So. ' 
le i ma dicendoli il Poeta potrebbefi intender quàlunqup al> 

Ito . f* l’ufo non voielfe, che per eccellenza s’ iotendclfera 
tia Greci Omero, e tra i Latini Virgilio, 


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' X ' 47 X 

4. Ponendo per ‘il nome proprio qnéllo dell’ ar-« 
te ) delia' dignità , e dell’ omeio di alcuno j come 
quando diceu a cagion d’erempio, il Poeta per 
Òmero o Virgilio, il Filofofo per Ariftotile, ec. 
Così nel Gap. III. Trionfo ddla Fama il Petrar- 
ca difle di Archimede: 

vidi dipìnto il nobil Geometra . f 
Ed altróve di Dante : 

Fiorenza avrìa fors* o££Ì il fuo Poeta . . ^ 

5. Servendoci di un nome proprio^ìn cambio di 
un appellativo , lìccome fece Ovidio, quando di/Te : 

Irus ejl fubito \ qui modo Crafus erat • 

E Gioven. 

Tertìus e calo cecidìt Caio, . - . : \ , 

< Anche il Salvini chiama il Magliahechi il novello 
F alereo j ed Alb. Lollio in morte dei Ferrino^ 
Io mi poteva con verità chiamar lo Acato , 0 per 
dir meglio il proprio cuore di Ferrino . 

6 . Finalmente quando lì nomina qualche popo- 
X lo o nazione in vece dell" attributo , che'foolfì 

ad eflì aferivere. Così diciam Grece in vece <U 
frodolento, Cretefe in cambio di bugiardo, Car~ 
taginefe per mancator di fede , ec, ; eppero face- 
tamente dilTc un nofiro poeta : 

Grecia non v' è y ma Greci fon per tutto , 

CAPO IV. 

Delle Figure di Paroh , ■ 

F iQURE di parole , ficcome abblàm detto , chia- 
manfì quc|[U abbellimenti del difeorfó , che nafeo- 

no 


Digitìzed hy C-- 


X4»X 

DO dalla collocazione <U ceni vocaboli , così cbe 
tolti e mutati quelli , o in djverfa maniera difpofti , 
avvegnaché intatto rimanga il fentimento , fvanifce 
però ogni figura CO. C&efie fono differenti dai 
Traslati in ciò , che quelli fi fanno col cangiare ia 
certo modo il fignificaco alle paròle , laddove quelle 
fi fanno egualmente e in parole proprie , e in trans- 
late « perchè non nel vocabolo in fé ^ o fia nel di lui 
fignifìcato , ma folo nella collocazione confifiono. 

Le figure di parole poi in tre maniere fi for- 
mano } o per v/a d* Aggtmg/rnento , o per Di-^ 
f dogi /mento y o per Similitudine , 

ARTICOLO r. 


Delle Figure per Aggiungimento • 

C^UESTE figure , cive d^ aggiungimento fi chiama- 
no , cpnufiono in certe parole , «che mutare 
o lafciar ancora fi potevano , e che per puro or- ~ 
namento , o per forza d’ efprelfione fi fono ripe- 
tute nel difcorfo ; e fono nove , la Ki^tidone^ ^ 
la Converfione , la Compie ffìoney la Conduplicadth 
ne y la Traduzione y la Sinonimia y li Gradaziene-^y 
il Polifinteto , c l’ Apozeugma . . 


\ 


r. 


co Collocata autrm verba habrnt ornatom » 6 aliquid con- 
danitatis cffidunt * quod verbii matatia aoafaaaeat« maaea. 
te featcntia • Cie» Ora/» 


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I 


X 49 X 

§. I. 

Della Ripetizione • 

La Ripetizione detta dai Greci fi fa , 

quando , con una fieffa parola s’ incominciano fem- 
ore alcuni brevi fentiroenti (2) in quefto modo r 
Tu in forum prodire y tu lucem confpicere ^ tu in 
horum confpetlum venire conaris ? Audes ver bum 
facere ? audes qujdquam ab ifiis petere ? audes fup- 
plicium deprecari ? Quid eji , quod poffis defende-^ 
re y quid eji quod audeas pqflulareì quid efly quod 
concedi oportete ? Non jusjurandum con- 
tempjjflt ? non amicos prodìdijìi ? non parenti ma- 
nus intulifiiì non deniaue in omni dedecore volu- 
tatus es ? ad Heren. I V. 13. Di quefta figura fi 
fervi pib volte Virgilio, ficcome quando nell* E- 
gloga X. difle : ’ . 

Hip gelidi fonte t y hio molila prata^ Lycoriy 
Hic nemus y hic^jo tecum confumerer eevo, 

E nel IjV. della Eneide : 

Num fletuingemuit nojìroì num lumina fiexiiì 
Num lacrymas viBus dedit y aut rriiferatus 
amantem ejìì 

Ed Orazio : v • 

HonTorquate genus y non te facundia y non te 
Refìituet pietits , 

Anche, Baitolom. Cavalcanti nella fua Orazione* 
alla mtltzta Fiorentina cosi parla r O amor della 

n- 


,50 Repftltio cft, cum «>atÌoenter sb uno ; atqae «od«in 

<Uvfriif principi» wmantar, 4é* 

aenn.mxi. De OfMt.m, ' . . . - 

Giard, Bìtm, T. 1. D 


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X 50 X 

libera, quanto feì efficace Ocarhà della patria * 
quanto Sei potente ! Tu fat che lo Splendore delle 
non più vedute barbare atmt t mjin occhi non ath- 
bagli: Tu infiammi i già ùeptdtnSri cuori : Tu 
armi e fortifichi i già nudi e deboli animi nojirt : 
Tu dalle più Spaventevoli cofie gl* ' rendi r* 

fu le crudeli ferite, tu l acerba morte ne fatlteU 
ricevere » E Dsinit^ nel Cint* V • Dell Inferno » 

Per me fi v3‘ nella città dolente : 

Per me fi va nell eterno dolóre: / 

Per me fi va fra la perduta gente • / 

§. IL 


• ' Della Converfione, 

CojnverCone , che i Greci chiamaBo wwpil • 
fi fa per lo contrario col ripetere fempre in fine 
di vari fentimenti la Itefla parola (3) , ficcomc ' 
qoando'diffe Cicerone nella II. Filippica contro 
di Antonio r Doletts , tres’^ìiercitus P. R. mter- 
feSlos ì interfecit jfntonius » Defideratts elanmm^ 
cives l, eos quoque eripuit vobis Antontus t Aupo- ^ 
ritas hujus ordini s affli Sla efi ì Afflixìt Antqnius é 
É r Autore ad Erennio : Ex quo tempore concor- 
dia de cìvitate Jublata efl , lìoertas S’^blata eli , 
ades Sublata efl, amicitia Sublata efl , reSpubltca 
Sublata efl.. Così anche Cornelio Frangipane nel- 
la fda volgariiza5!Ìonc della Oraz^ a favor di Li- 
gario , dice t Voi dunque andavate in una Pròvm» 

€ian la quak efip flirUttamente oppofla a Celare, 

’ . .. .. dxrve . 



;*|n>finttin re 
rr-M?ercinii 





j ■ XvyC 

qave era un Re molto poffente nemìcn Ai n r 
e dove 'era un efercitó grande e r > 

Cefare^ c Marziale nel 

grammi y de luci Epi- 

Capto p^dci heu, fed capto Maxime cce^ 

■ re^is ; * ^**^*^*^t4e anteamòulo 

Tu Comes alter tus é jam fumus, trgo pares .> 

5 . xrr. ' , , 

,• . .,. . ptUa ^imfiiejlìffie , 

«ohipetwl s’acMppiaSo infieo.e 

la-VS fÓl „ri5° pare- 

te rmpre fol'finri'T'’ « *<•’>? altra fimifmen- 

loriZSafi oaefta t >>- 

ethaxM t* ti'É Greci vien detta evia* 

sk0&ST‘‘Pr^S- 

H- oli funt : rZ' IV. 


»erbum’® „V ritmar 


t 


X 52 X . 

' ùui fihì pùfiulant ignofcì ì CaythagmUnfes '» 
che Alb. Lpllio in lode della Eloquenza cosi dii- 
fe : G,hi Wi Atenìefi a fottoporji alP ìmpe^^ 

ro di Piftjìrato , > «o» la facondia ì Chi fìce riu- 
fcir Temìjiocle fuperigre algiufio Arijlide .fenon 
la facondia ? E chi fal-vò la vita al medeftmo con- 
dottò al cofpetto del Re de^ Perfi , fe non la for- 
za della faeondia'l Chi fece confermar capitano 
alla gravi ffima efpedisaon. della Spagna Publio 
Scipione fe nm' la fflconaia ì'^Chi fece^ 

cader le aìrmi di mano agli arrabbiati inimici di 
M. Antonio , fe non là facondia ? Nè altrimenti 
Marziale in uh altro tuo bellifTimo Epigramma 
del Lib. IX. 


omm 


Rumpitur invidia quidam^ chariffìme Juli , 
Quod me Roma legit ; rumpitur invidia • 
.Rumpitur invidiai,^ quod turba femper in m 
'Mondramur digita y rumpitur invidia , . 

Rumpitur invidia, tribui f quod C afar ut erque 
Jus mihi natorum / rumpttur invidia • 


V’ 


‘IV. 


’ Della Conduplicazione t 

i • • 

Quella figura * che dai Greci fu detta 
eis , fi fa col ripetere la fteffa parola due o tre 
Volte immediatamente' runa preno dell* altra per 
aggiunger forza e magnificenza al noftro dire (j)* 
Così Tullio- nella I. contro diCatilina 
vis Ù" vivis non ad deponendam , fed ad cot^r- 

man- ^ 


O Conduplicatto eli, cn'ni ratione ainplifieetiodù »«♦ »i- 
féTattonis y èjafdem unius aut plurium . vciborun iteraUO .. 

dd Rmn. IV, 2$, t>$ ùrm, IIU 


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' K ss K 

minàam audaetam . « . « Fuh , fuit.ijia quondam 
in repuBlicd vlrtut 8cc, e . Virgilio ncir Egloga lì. 

Corydon , Corydon^ quts U dementìa capit i 

E nell* Eneide UBAtl. . j 

Italiamy Italiam primus conci amat Achates ^ 

• • IN I ^ 

'Anche Allh LoHio in; nda Tua Orazione a Paulo 
III. usò quella figura : , qui dico y B,P^yfi 

ricerca la céri t a y la gìujiiziay'e magnanimità vo^- 
fira , Ed ih lode' del" eloquenza: datthi 

con tutto il 'cuore e con . tutto l* animo y con tutto V 
animo datevi y dico," ài' belli fitmi fludj da meprth 
’pojìi . E Dante' del Cdnto XIX deir Inferno ,*! 

; Non fon co/ ut y , non fon colui y che ^cred/^ - 

Ed altróve: ■ v ' • • ■ ■ - . ’ 

• 1 * • ♦ . 

; Qf^rIì » nfpfpd in ttna il luogo mio , 

Il luogo mio y il luogo mio che vaca y ec, 

'A Quelh figura di parole fi pofibn ridurre ance»: 
quelle due altre , che i Greci chiamano atthiOi^o- 
yiety e xóxhoty cioè Riajfumimerno , e Corona . Del 
primo genere fono quelli modi di dire tifati da 
Virgilio Eneide lib. VI. e X. . ; 

Deiphobum vidit lacerùm crudeliter ora , 

Ora maàufque ambas *^ 

.... fequitur pulcherrtmus \^ur , 

AJiur equo fidenf , Ci* verficoìoribus armit ^ 

Del fecoÉdo quelli altri dallo .fielTo adopérati: 

Ambo fiorcntés atatib ’usy Arcades^ ambo . " 

• C re/ci t amor nummi y quantum ipfa pecunia 
cre/cit-t ^ . 

l/Ultar Super Prianfp rogitanSy fupet HeBore 
.. r; multai il . 


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Siccotne 'pure iuefto dell' Aut. ,ad Hetejin. C«di- 
motus non es , c 'um t\b't muter pedes amphxautur , 
rtòn es commotus ì . ' 

, Bella T radutone • . ’ 


iTa 't*raclù 2 foné'o CiSk'’ ro\ó^T6trSi^‘i come dicono 
r Greci ; è ima Figura', per cui ripetendòfi con 
iiùal'che variazione una ileffa parola -più volte;, 
non folo’non fi annoià ruditow, ma fi accrefce 
iànzi vaghezza al ùofird’ dire Eccone due e- 
fempj' di Ciceròde^ l’ udo'^della . Grazine à favor 
di Rofcio ‘Àmerinò , l’ altro di' 'quella in favor di 
Óiinzio. Sua quemque frausy fuus e>^f ojr ^^,axtmc 
vexat , fuum .O^emque fcelus agitai , fu^mjdàcO’^ 
ettaùones confcienitkque ^anttnùm terreni. Tu tt* 
/emper facis, quìa fempér pptes : ego m hac cau- 
M facìanp yptopterea^^quod m hac Videor poUe fa- 
lere SLuod iùit natura dai i ut /emper ppm^ td 
mthi cauffa daty ut hòdte Così anche nel 

'Jib. IV. ad Hercn. Ewn tu Tjomthérh adùeltas y 

^qut fi fui (f et horrio,, numquarri 't dm ^ erutti tter 

tam homìnts,petiinét , '£ ,prèflb Virgilio nell E*» 

jxtiL'm, II. c VI. • ; 

Una falus-vìBts(null'àm /per are "faìuiem . 
^Hìc ubi certd'domus : certi ne abfijiePehates, 

£d Orazio neil’ Ode i. dèi lib. II. ove fcrivc ; 

• Huì gurees f 'aut qui fluniifìa lu^ubris 
ignara oelìt ? quod mare UaunU • . • 

V V, . . .. •'T' ^ . • • . . " ' ’ ’ •/ 


Non 




" ^Ó^tradq<Ìi’« eft , " ^Iw' heìt; ut cntn'iaem; Versta 
brius poaatur , non modo offendat animiiw v CQU» 

finoiorem oiationem rcddftt •• 4it Btrtn, Ir, 


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X5SX 

Non decolor 'avere cades ? 

Qua caret ora cruore nofiro ì 

Nè altrimenti il Boccaccio Novella Gior. X. 
Se io fapeffì così ben operare , 'come voi fapete \ 

■ ed avete JaputOy io' prenderei quello, che m' offe- 
rite, E Dante così chiude l’ ultimo canto del F^ir- . 
^atono ' y 

‘ Io ritornai dalla fanùffim^ onda 

Rifatto sì come piante novelle ' 

Rinnoyellate di novella fronda. 


§. VI. 


Della Sinonimia , 

1* f* • ayvmvfiU , cioè comunione 

di nome , o di figqincato quella figura , per cui 
s’ unifcono infieme molte parole, che tutte ligni- 
ficano lo fteirp j fe non cne l’una è più lignifi- 
cante deir altra (7), Così difle Tullio nella Ca- 
tilinaria I. Qua quum ita fint , Qatiìina, perge 
, quo captjii : egredere aliquando ex urbe : patene 
porta: proficifcere , E nella IL ^biit , exceffit, 

< evajit , erupn , Tale lì è pure quella robulìa ia- 
-v€ttiva di Catone riferita da Gellio NoB/Attìc.' 
Xill. 22»^ T uum nefarium facinus priore facincre 
opertre po/lulas : fuccidias humanas j^is : decem 
funera facis: decem capita libera interficis: de- 
cem hominibus vitam eripis , indìBa caufa , injtt~ 
dicati ,indemnatis . Anche Alb, Lollio ndia O- 
,wz. in Kvor di Furio Crefino,‘dice: Tutto.que- 
fìo giorno intiero non mi ballerebbe , 0 Romani , 

« - -• - - - - Z). .4 per- 


Int«rpr*tatio «li, ^uat non ìtipuns ideta redititMrftt 

nufld 1“^ eomwiut^.quod pofitam cft, «lio v«w>« 

9ttoa Idem vaieat. Ad " 


\ 


i'f 



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I 


X- 5 <SX 


pir tacconuruì appieno, guanti laeciiali ti m' ha 
tefo , quante frauj, ordito , e quante infidie ordi- 

iìatn itptr tnrvnilt Hnala Ir ^ t Il « 



' rt> y»- 

:ì ftare Vm.'a'''lr "V'""'’ Pw ^ ^omp/utamentc 

il fup ojjicto efeguirey anzi fono tutte mutole,, fèn- 
za lingua,, fenzavoce , efenza fpmto . Dante an- 
cora usò quefta figura Canr. Ut delP Inferno : 
Dtverfe lìngue^ orribili favelle y 
Parole di dolore, accenti d^ ira y 
Voci alte e fiacche , e fuon di man con elle * 

Ed il Petr. 

^on /pero del mio affanno aver mai pofa 
Infin, eh i mi dt/offo, e /nervo , e /polpa a 

f §. VII. 


Della Gradazione t 

La Gradazione dai Greci detta fi fa a'f- 

Jora auando nel noftrò difeorfo andiam crefeendo 

$ « piò grandi in guifa che pe- 

rò non mai uifcendiamo alia feconda propofizione 
fenza ripeter parte della prima (8) in ouefio mo- 
do iQua reima /per manet libertatis , fi illis'& 
^uad Itbety Itcet ^ quod licet , poffunt y & quod ' 

]^ljunt , audent ; ^ quod audent , f aduni : & quod 
jaciunty •mbis molejtum non efi ì Così l’Autore ad 
Erenmo IV. 25. Di quefia figura fi fervi anche 
Tullio nella Oraz. a favor di Milone, dove diffe: 

Ne- 

b 


t BOB 4nte ad confteigirens verbam 

a*. Or S5/ f»PCTi»s «onfceafmn eft . ^dHeren.TK 


t 


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X57X 

ì^egae vero fe potuto Jolum^ fed ottam Senatuì 
tradidh ; Sehatuì modo ^ fed edam puòtich 
prffidìis , & armjs ; neoue his tantum , verum 
ttìam efus potejiati > cui Senatus tot am rempublt- 
cam commij^rat . td io una delle fne Piftole ad 
Attico : X# dormh , expergìfcere : fi fias , ingrt- 
■ dere : fi ingrederis , <curre : fi currhj adpola\ E 
così anche Orazio : ... - 

' ‘ ■ Ludusenim genuìt ilreptdumcertamenÒ*ìramy 
Ira truces inìmichìas , & funebre bellum . 

. E Virgilio Èglog.ir. 

Torva leena' lupum fequhur 7 lupus }pf e capeU 
lami ' ^ 

• Florentem tythifum fequttur lafcìva capella» ■ 

E Dante nei Canto XXX. del Paradifo ; 

Noi femo ufcitì fuore 

ì)et maggior corpo al Cìely cFè pura luce^ 
Luce inteìtettual piena d* amore ^ 

^mor di vero ben pien di letizia , 

Letìzia , che trafcende ogni dolzore . . 

t 

V osb anche il Taflb nel Canto fX. , dove difle : 

Non cade il ferro mai ^ che appien non colga ; 
Nè coglie appien , che piaga anche non faccia'; 
Nè piaga fa y che l* alma altrui non tolga {g) . 

§. Vili. 

. . f 


Alle volte la Gradazione tonlìRe propriamente, ed a> 
nicanente nei concetti , nob de’ quali crefce fopra dell’ al- 
tro fenza far veruna ripetizione di parole ; e quella i una 
ngura betlil&itta, e di prende efficacia. Non fì può però met- 
ter nel numero di queRe, che fi fanno per ^^iungimenta, 
nja ptuttoRo fra quelle di concetto . Eccone due efempi di 
Cicerone: Nik/ìagif, nikifmiirùt nikìt (ogàat ^ ouod 

•S* 


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oc 38 X 

, ■ '§. vili. ■ ' • 

/c Del Poliftntetoi 

r' y 

Qtiefta fi^ra , che dai Greci fa chiamata «xy- 
, cioè unione di mcdce conginnzioni , fi 
fa quando ripigliando noi in un difcorfo varie 
particelle /copulative o difgiuntive,, fchieriamo. 
quafi ' À'ftintamérite’ fott’ occhio degli afcoltanti 
molti oggetti nello fielTo ifiante. DiflTe p. e. Tig- 
lio parlando in favor della Legge Manilia-: Ee 
jufiUìet-i & liber alitate , & fortitudim ctterós 0 - 
mnes Irnperatores fuperavìt , E contro di Verre: 
Ncque privati , ncque pub! ici , ncque • profani , ne- 
que /acri tota in Sicilia quiaquam reliquiffe , E 
ùmilmente Virgilio- 

4- Afeaniumme y patremque meum ■ ^ _ fuxtaque 
Creufam . 

Ed in altro; luogo : 

.... ruit Oceano nox , 

Involvens umbra magna terramque^ polumqm^ 
Myrmidonumque dolos , 

Così anche Alb, Lolliq nella Tua Orazione in di- 
fefa di M. Orazio ; Ricordandoft , che a tre fal- 
dati foli e una guerra di tanta importanza ed il 
fatico di così grande imprefa, e la fomma dello 
. . Im- 


«go non modo audiam , fed etinm vìdeam , planegue fenttam i 
Orat. I. IH Catti. Paeinùs tjl vineiro Civtfn Romanum^ jet- 
ius vtrbtfor» ; prope pòrri cìdium necatt : ^«10 dieam tn 
crueim tolUrei Nihil addi videtur ad hanc amentiam « #»»• 
proiitatm f (rudtlitatemfue pdjfe* In C. Verrem. 


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, ... 59 X _ . 

’-Jmpero ^ è della fortuna pubblica fa fiata cùrtì^ 
fnejfa . Ed il Petrarca : . 

V acque parlan^ d' 'amore , e P ora ì e i rami , 

E glt augellettì^ a ipefci e i fiorì ^ et* 
erba, 

§..IX, 

. .a , ’ 

Dell* udpozeugma . ‘ ' • , . 

. L* Apozeugma diro^tOyfiety (ìccome dicono i 
Greci , è una figura), per cui quelle cof&, che 
andar potrebbero unite,, ed elTer regolate dà un 
Telo verbo, fi dìlfmeupno coll* apporvcne uno par- 
ticolare a ciafcuna lencenza (io) in quello modo: 
Populuc R,Numantitm delevit y Carthaginemfu- ' 
JluVt , Corinthum dis/ecit , Fragellas evertit • Ad 
Heren. IV. 27. Così dHTe anche il Salvini in una 
delie Tue Orazioni facre parlando di Sparta ; Ma 
poiché alla parfimonìa fuccedette la fazietà , e nel 
luogo della frugalitct s* introduce il lujfp j e V a- 
•varizìay fu djjiruttp quel buon ordine y perirono le 
loggi j jpirò fa liberta y e la città non fupià quel- 
la (il). Ed Alb. Loliio nella fua Orazione fo- 
pra le pompe:' L* emendare interamente i cojflumì 
di una città , il provvedere a* difordiniy rimedia- 
.re a* fc ondali , levar vìa gli abufi , efiirpare i vi- 
'%) , confervare tutto un popolo y ed a virtuofa vh 

.. ^ 

f. ___ __ ' r • ’ .. ^ 

OO. DìtjnnAio tft, cum eoruin , de qnibas dicinus, aut 
Btrumqae , aut nnumquodqne certo coactuditor verbo , Jd 
Mtrin, 4 . » 7 . Dt Orar. Ut. 

ili) QaeAa figura dagli altri vien polla nel numero dì 

? Belle, cbe fi fanno per difcioglimeuto ; ma febbene dai La. 
ini Ila cbiamata DiajanAio,^ b/chiaro ^erò , che ella deve 
P*BttOflo aver luogo tra, quelle d* Ageiungim'euto , perchà 
coafifte In accrtfccic noB io ifmjfattire le oardle ad un fenti* 
proto t 



. ^ 

ta ricondurlo , ftccome è cofa di molto maggiore 
importanza , così h fenza dubbio aliai più lodevth 
le^ e molto più glortofa , 

•ARTICOLO I. 

Delle Figure di’ Difcioglimento . 

F lOURE di Difcioglimento fi chiamano certi or- 
namenti , che nel parlare derivano da qualche vo- 
intralafciata , perchè' facilmente fi fottintende. 
Qqefio m tre modi foltanto può avvenire ; onde 
tre ancora fono quelte Figure , la Difgimzione , 
lo Z eugma 3 e la Reticenza • 


L 


‘ Della DifgiunzioHe i 

Quella figura dai Greci detta daurPiror è con- 
traria al Polifinteto, e fi fa quando volendofi dall’ 
Oratore o dal Poeta parlar con veemenza , ed u- 
nir molte cofc in un Còl punto -, fi tralafciano le 
congiunzioni C12), fiqcome fece Tullio nell’ O- 
razjone in favor d* Archia^ allorché dilTe: Mec 
^ adolefcenttam alunt , fene^utem 

obleEìant ^ , fecundas res ornant , adverjts perfugitan 
ac folatium prabent , delegane domi , non impe- 
dmnt foriSi p^noFiant nohifcum^ peregrinantur , 
rnjttcamw ; Ed in quella a favor 4 i Marcello r 
' Con~ 


j. t qn» conjanAìoiiibns verboram e medio 

rubUtis , partibue reparati « cSertur. Jtd Htrtn. tf^, 30. Con 

quene parole s* intende di dUt ftiMLa 

OQlltgamento^ come fpiega il Maai/o. 


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X X 

CànJlUuenda Sudicia ^ revotenda fides ^ eomprmen- 
dèe Itb'td'mes y propaganda foboUs . Così anche 
Virgilio : 

Monjlrum horrendum , informe , ingèns • 

£d altrove : 

Calum^ mare <t fydeta teflor , 

Anche Aib. Loilio nella fna Orazione a Carlo 
V. diflfc : Non i fupetbt tìtoli , la porpora , i* «- 

? fuile , le corom » e gli fcettrt ; ma la umanità , 
a manfuetudine , la clemenza , la liberalità e la 
^ujiizia fono le proprie doti , ed ornamenti d^ 
Ke ^ ' e té vere infegne. degli Imperatori , ’.Ed il * 
Cafa così incomincia quei Tuo celebre Sonetto ; 

O Sonno* o della queta* umida* ombrofa 
Notte placido figlio . 

§. ir. 

Dello Zeugma • 

* Lo Zeugma così detto dai Greci > e dai 

Latini ConjunHio o AdjunBio^ lì fa ogniqualvolta 
un folo verbo pollo in principio , o in line , o 
anche nel mezzo regge var; concetti Cn) • Così 
Tullio prò Cluentio : Vicit pudorem Ithido* ti- 
.unorem audiKÌa , rationem amentia . ' £ nella I. 
contro Catilina ; Ncque enìm , Catilina , h es y 
ut te aut pudor a turpitudine y aut metus a peri'- 

' cu- 


0.3) CpnÌHoAio eft, cara inttrpofitioBc verbi &fapcriorei 
oracionis partee comprebeoduntur , & infèriores . AdiunQio 
eli, com verbum quo ree comprehenditor non imerMnimus , 
fèd ant priinain, poftremam collocanai. M 
%7, Ot QtuAlt 



\ '■ . 


V 


t6it ' 

culo^^aut ratio a furore revocarit t Ecf Orazio liS< 1 

i« Ep. 2« . 

Qui cupit aut métuit^ juvat illtm fte dormisi 
aut res y 

Ut Ijppum piEla tabulfs , fomenta podagramf^ 

^ Aurtculas ctthara collega /orde dolentes c ' ' 

'"^^Anche Alb. Loliio lì fervi di quefìà figura nell’ 
Orazione a Paolo III* , allorché di/Te : E così 
nalmente la temerità alla ragione i la bugia àlloi, 
Terità 1 ^ le tenebre alla luce daran luogo ^ Ed lo 
difefa di Furio Crefino così chiude la fua orazio- 
ne : Molto meglio ' è fubitamerite. 'di qui fupgirjì e 
andare a viver fra bofchi, fra le Jolttudtni , e 
fra le fiere, che in quejìe mtferie , m quefie affli-, 
zioni , in quefli pericoli^ , in quejla fervttu , e irt | 
quejìa manìfejìa tirannide dimorare, ' , 

§. iir, j 

Delta Reticenza * 

^ La Reticenza j o fia come dicono i Ore- 

ci è una figura , per cui lalciafi nel difeorfo qual- 
che parola , che dal conteso , e dal fepro delfe 
altre agevolmente s’intende (14)» Cos] Cicerone 
contro Verre dilTe : ^ Huncine hominern l Han'ftne 
implodenti axn ? Hancinf audaci am ? e lalciò di pro- 
ierire il vprbo ferernùs . E Cefare lib, i. 

Guerra Gallica ; Divìtiacus multis cum lacryrnig ^ 
Cafarem compì exus 'obf ecfore càph , ne quid gra- 

viuf 


C14) ^ una delle figure, che s’infeenano anche da* 

Grammaoci ficcotne pure* lo zeugma; laonde 'preflo’ di 
f« iie pouòoo vedere innuinere,volI efemp}* ‘ ' 


/ 


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Ì)ìus in fratrem Jlatueret : /ciré fe illa .ejfe vera .• 
nec quem^uam ex eo plufquam fe àoloris capere 
in vece {li dire àicens fe fette , A querta fi- 
gura fi devono riferire ancora qnei modi di dire 
nfati dai Poeti , quali p. e. fono i feeuenti dì 
Virgilio ^n, I, e di Orazio /#>. JF, Od, 8,. . ‘ 

- Ut quamvtt avido parerent arva coierie^ 
Gtatum opus agricoiis , 

Cioè quod futt gtatum * • 

Donarem trtpodas pramìa fortium, '' ' 

Cioè qui funt prxmia fortiim , - . . 

A di cui, imitazione Dante Cant,XV, D^ì 
radifo difiTc : 

Non era giuntò ancor ^Sardanapaìo 
A mfìrar ah che in camera fi pu^ote . 

Cioè a dir commettere », 

ARTICOLO nr.' 

Deìle Figure per Similitudine » 

\ 

D . 

ICONSI Figure per fimilltudine quelle, che in 
altro non confifipno fe non fe in up le^iadro e 
graziofe fcherzo, il quale nafee da due o più pa- 
role fomiglianti di Tuono , e diverfe di fignifica- 

fono quattro , la Paronomafia, 
1 P ari~finienit * i Pari confonanti , e la Corri-' 
fponden^fie' Membri o fia Ifocoim, 


"Della -'Paronomajia , 


Quella che i Greci chiamano vttpepofieta'tet ^ ed 
i Latini Adnominaùo è una figura molto galante, 
fe a tempo ù ufa , e <^a qualche Tale . Si fa noi 
in due maniere; i. col ^rre in vicinanza due 
parole limili , o quali firoili di Tuono, edc^pofle 
di lignificato (15) , lìccome quando nella riiipp. 
3. diffe Tullio ; En cur magijler ejus ex oratore 
arator faEltts fit , E feri vendo ad Attico: Fue^ 
runt , qms magh fames , quam fama commovertt » 
Ed altrove; Con/ul tpf e parvo animo ^ ac pravo , 
facìe magis ^ quam facefiis ridiculus, E l’ Auto- 
re ad Erennio lib. I V. 14. Amari jucundum eji ^ 
fi curetur , ne quid inftt amari . Cur eam rem tam 
fiudiofe curaSi qua multas tihi dabit curasi Co- 
si anche Virgilio nel IV. della Eneide ; 

Lybicìs teris otia terris , 


Ed il Taflb : • ! 

rapido dìjferra 

Za porta , e porta inafpettata guerra . 

2. quando necelTanaraente fi ripete la medelìma 
parola nello Oeflb figni Acato , ma con qualche 
cambiamento, come quando dilTe Ovidio : 

Spe^atum ornata veniunt , fpeBentur ut g/e- 


\ 


Os) AdnoBiìaatio eli, cam ad idem verbum* & idem no- 
mea acceditar commutatione uaiut litterae aut litterarnm , 
fillabat, aut fillabarum : aut ad retdiffimiles fìmilia vciba ac- 
«oniiaodMtur . dé Utren, It, n. De Orat. lU, 


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Ed il Berni : ' . ’ 

Dugento miglia fon fuggito e fuggo , 

E fuggirò i che di fuggir mi Jìruggo Oó), 

IL 

Dei Pari-Finienti . ^ „ 

Formafi quella Figura dai Greci detta 
TOf quando congiungendofi infiéme nello ttelfo'pc* 
riodo due o.più parole tutte nello (leflfo cafo 
tempo , o perfona , ancorché nella loro termina»* 
2Ìone flavi qualche diverfltà , ■ e non ne nafca ri- 
ma (17). Così Cicerone nella i. contro di Cati- 
iina : hanc te amentiam natura peperit , vo~ 

hmtas exercuit , fortuna fervavit , E nella Ora- 
zione in favor di Rofcro Am. Quid tam com~^ 
mune , quam fpiritus vivis , terra mortuis , mare 
fluBuantihus , littus eieEiis ? Ed in favor d’ Ar- 
chia : Hunc ego non ailigam , non admirer , non 0- 
mni ratione defendendum p^tem? Nè altrimenti il 
Salvini in una delle fue Orazioni Sacre: O nome 
dolci [fimo ! te vogliamo fempre ne' nojlri hi fogni 
invocare , a te ricorrere , a te gridare mercè ; dì 
te gloriarci ed ornarci , teco vivere , teco refpira- 
re , teco morire , • 

§. nr. ' 


00 In q arilo cafo è molto limile alla Tradazionr; v’ha 
pcrV> la diverlith, che in quella per efler figura d’aggiungi- 
anento, la parola fi potrà lafciare di ripeterei il che non <4 
può fare in quella . Veggali il lib.iy. ad Jf ere». 14. ai. 

07 ^ Similiter cadens cxornatio dìcitur, cura in cade m con. 
firuCTione verborum duo, aut plora fnatverba, que limiliter 
iifdem calibus eHeruntur. Mtrtn, If', »o. Arffi> ad diaa* 
Rhtt. eap. 16. de Orat. Uh 

Qiari, Bim, T. I, E ' 


•• X<5<SX.' 

. iir. 

Dei "P arì-Con fonanti . 

(Quando le parole, che fi congiungono inficmé 
o fian effe nomi , o fianp verbi , abbenchè non 
trovinfi nello fieffo cafo , tempo , o perfona , pure 
formano confonan2a di Tuono , o fia rima , allora 
ne nafce quella figura dai Greci detta òfioiorìhtu- 
rov y e dai Latini fimiliter definens (i8). Tale fi 
è- quello di Cicerone nella Filippica 4. Hac vir~ 
tute major e s vejìri prtmum univerfam Itati am devi- 
cerunt , deinde Carthaginem exciderunt ,■ Numan- 
tiam everterunt , potenti ffmos Reges , òeliicojijji- 
mas gentes in ditionem nujus imperii redegerunt » 
E nella Orazione in favor di Rofcio : Multa pa- 
lam domum fuam auferebat ; plura cium de medio 
removebat : non pauca fuis aajutoribus farge éffu~ 
feque donabat :■ reliqua conjìituta auBtone vende-> 
bat £ lo Speroni in un tuo Dialogo : lì qual^ 
nome non ha molto ad andare , che a odio/o , di 
fc andai fo y di qbbomìnsvole ^ -di biaftmevole di 
dispregiato^ di perfeguitato ^ eh' egli è ^ farà per 
fanto adorato . Nè diverfamente usò tale figura 
Alb. Lolio in difefa di M. Orazio : Qjtal còfa fi 
può penfare y non che dire pià brutta y e pià bia- 
- fimevoley che attrifiare chi ci ha rallegrato vi- 
tuperare chi ci ha ef aitalo , affliggere chi ci ket 
liberato 'dar la morte a chi ci ha data la vita ì 

■ §.IV. 


Simiiiter defìnent eft, cura, canetfì cafus non {tifa tife 
verBis , tamcn (ìmiles c:dtus fw« t <rti Htrtn, W, ao, /Sri fi» 
ivi . Ot Orot. ivi . 




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§■ IV. 

DeW Ifocolon . 

♦ • • «w ' , 

Quella figura detta dai Greci. /Vo^xof^, e da noi 
eorr if pendenza dì membri confile in quella grazia > 
che ne deriva ai parlare, quando ì membri d’un 
periodo fon .tutti quali d*una ftelTa mifura , e ter- 
minano con una egualef armonia (19). Tale lì è 
quel di Cicerone per la Legge Manilla : Bellum 
extrema hyeme oaparatitt : ineunte vere fufeepit : 
media àjiate confecit . £ nella 2. Filippica: guod 
Sene co^itajit, alìquando laudo : gUod non indica- 
fliy gr alias ago .* quod non fecijìì , ìgnofeo . Così 
anche il Cafa nella Tua Orazione z. per la Lega ; 
Ogni jirepto , ch^ io fento , mi Pare /’ Imperatore , 

' cne mi /paventi: ogni voce i cip io odoy mi pare 
P Imperatore j che mi minacci : ed ogni movimen- 
to, eh* io veggo i mi paté P Imperatore ^ che mi 
aj/ali/caé Quello pero, dice F Autore ad Eren- 
nio, deve elfer fatto naturalmente, e non ricer- 
cato a bella polla ; imperciocché farebbe cofa af- 
fatto puerile , fe voleuìmo per cosi dire mìfurar 
col'filo i periodi, e pefar tutte le-fillabe, acciò 
un membro non oltrepalTalTe la quantità delF al- 
tro (20) ; ed il difeorfo allora privo elTendo di va- 
rietà rjufcirebbe anz| molello ed ingrato* 

De veli per ultimo intorno a quelle Figure di 
• ‘ E 2 pa- 


.00 pompar adpelUtor, qaod Iilbet in fr membra orathi. 
ais f qtfae conflant ex pari fere numero (ìllabarum . Ad He- 
ren. JP^.-ao. Oe Orat. tlL 

Oo) Hoc non de enumeratione nofira fiet: (nam id qnt- 
dem pderiie eft ") fed taatan adfert nfus & Mcrciutio facul* • 
tatù . Ad Htrtiu i?i . 


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X ^8 )C 

parole avvertire , che , ficcotne ufate eflcndo df 
rado' e con giudizio, aggiungono molta grazia, 
€ luflie al 'noftro dire ; così quando troppo di fpcf- 
fo vengono adoperate, ed a bello ftudio ricercate, 
degenerano facilmente in affettazione , c divengo- 
no infulfe affatto , ed inette (21) . 

. C A P O V. 

I • 

• ^ Delle Figure di Concetto . 

Figure di còncetto chiamanfi certe vivaci e nuo- 
ve forme , che fi danno ai noffri penfieri , per 
cui il difcorìb , giufta il bifogno , acquifta vee- 
menza e dignità , s’ infinua negli animi , diletta , 
rapifce , e commove il cuore di chi ci afcolta . I 
Greci le chiamarono <nc»(ieiTei , vai a dire forme , 
afpettì , perchè quelle appunto vedono e mettono 
nel pih vivo al’petto que’ penfieri , che efpor vo- 
gliamo colle parole ; e Tullio ci affìcura , che dal 
retto ufo di loro dipende la fomma lode di un Ora- 
tore (l). .ni 

. Sono poi di due fpecie al dire dello ffeffb Tul- 
lio (2): altre miti , c in certa guifa più famiglia- 


lo Qpomodo ifiitur, fi crebro bis generibus otemur , pue- 
rilt videbimur elocutione deleflari ; ita fi raro has infereimis 
exornationes & io cauta tota varie difpergemus, cotninode lu- 
ininibus diflinftfs illuftrabimus orationein . Ad 
CO Schemata enim , q^iae vocant Gratci , ea maxime ornane 
nratnrem .. . quo genere quia prattat omnibus Demonhewes, 
tccirco a doAis oratorum eft princeps judicatus. Tic. 

CO Duo trattata ab Oratore ado»jrabtiem •- 

loquentiam faciant ; quorum alterumefl, quod Oraci- sv 
vocant ad naturam , & ad mores, & ad omoem f «a - com ue- 
tudinem accommodatum ; alterumquod ijdem vnoaa-rxef no- 
minant : quo periurbantur %QÌni , coaciUQIUt , IO UBO 
rpguac oiatio . Cfp. ivi . 



X6gX 

ri al parlar degli uomini : altre veementi e fiwrl 
dai comun (iile . Le prime fervono ad acquiiìarci 
benevolenza, ed a perfua dere .vie feconde a cora- 
movere ed a convincere gli animi di que’ , che ci 
afcoltano (5) « 

/ 

A R T I C O L O L 


Delle Figwre dì Concetto pìà miti 

• 5. t , 


* Della Dubìta^oné . 

.Cov quella figura , che da tioi Dubitazione , a 
dai Greci fi chiama , moftrafi d’ effer in 

dubbio, d'onde abbiali ad incominciare, cofa a^ 
biafi a dire , o a qual configlio meglio fia appi- 
gliarli (4). Cicerone fi ferve di quella figura 
nell’ Orazione a favor di Sedo Rofeio , dove di- 
ce : ^id primum quèrar ? aut -fènde potìfftmum 
exordiar , /udices , aut quod , aut a qmbus auxi- 
litm petam ? Deorum ne ìmmortalium ? Populìnt 
Komani ? Vejiramne qui fummam poteftatem habetis 
hoc tempore fidem implorem ? ed in quell’ altra a 
favor di Cluenzio Equidem quo me vertam ntfeìo 4- 

\ ■ . 
r - — ■ > . , ^ 



•N 


ù") AfTt^iut igiturr bos Concitatos, illof tnitet atqu» coiH^ 
poutos effe dixtrunt : )a altero vehetneater commotos « iti ' 
altero lenifs: denique hos imperare, illós perruaderc : boi 
ad perturbationeifi , i Hot ad bene voleotiam pr« vaierà . Qaiat» ■' 

Tnft. Rtth. Jik. f'I.i. 

(aj Oubitatio eft cum qaatrere videtur Qrator , utrom a# . 
duobut, potine aui quod dà pluribua potimnbin dUat ^ M 
Jltr$n. ly. tf, de Orai. III. - . , * * , 


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X7oX 

Negem fuìjfe ili am infami am Judìcii conupti P 
Negem tllam rem agitatam in concionibus ? Così 
preffo Tito Livio nella Decad. III. Scipione par- 
ia a’ Soldati, ed ufa della dubitazione: Apudvos 
quemadmodum loquat , nec conjilium , nec or atto 
Juppeditat y quòs ne quo nomine quidem appellare 
debeam feto, Cives P qui a patria vejira defei- 
vijìis : an milites ? qut imperium , aufpiciumque 
abnuijìis , facramentt religionem ruptjiis . tìo- 
Jìes ? corpora , ora , veflitum , habìtum civium a- 
gnofeo i faEia , dìSla , conftlìa , animos hqflium 
video . 

Anche Virgilio nell’ Egl. Vili, fervefi di que- 
lla Figura, 

V .... crudelis tu quoque mater : 

Crudelìs mater magi: an puer improbi^ Hit ? 

£d Orazio nell’ Ode 12. Lib I. 

Quern virum aut heroa lyra vel acri 
Tibia fiimis celebrare Clio y 
Quem Deum ì cujus rettnet jocoftf, 

Nomen imago ? 


Nè diverfatnente Io Speroni nella Orazione fti- 
nebre in morte della DuchelTa d’ Urbino : Afa la 
mia orazione da qual parte delle fue laudi pren- 
derà il fuo principio I Ove arà ella il fue fine ? 
e con qual ordine ragionando trafeorrerà le altre 
doti di quejì a' il lujìr e Signora ì Éd il Peruzzi in 
morte del Salvini : E a a qual parte piglierà in- 
cominciamento il mio dire , fe cosi ampia , fc co~ 
si nobile , fe cosi fublime è la materia ebe mi 
fi para dP avanti j ebe io nelP affacciarmi fu tale 
fmifurata profonditade fento da una come vertigi- 
t^e affai irmi, ebe tutto pji ptrdo d* animo ^ e m* 
«wi/iAo. E PAriofto; 

Deb- 


\ 

I 

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X 7* X 

. "Debbo forfè ire in Frifia , ov* io potei 
E per te non vi- volft ejfer Regina ?... 

Tornerà in Fiandra? ove ho venduto il rejìo 
Di eh* io vivea benché non fojfe molto 

. Per foyvenirti , e di prigione trarte ì 
Mef china dove andrò ì Non fo in qual parte , 

Alla dubitazione talora viene in feguito la E- 
leziorie, la quale fi fa coll’ eleggere finalmente di 
fare o di dire una di quelle cofe , fu cui fi du- 
bitava . Così Didone nel IV, della Eneide dopo 
d’ efler luogo tèmpo fiata incerta , fe doveflTe le- 
guire Enea , oppure perfeguitarlo con una flot- 
ta , ^o ricorrere a Jarba, fi determina per ulti- 
mo col dire : ' ' • 

^ Qjfin morere , ut merita es , ferroque averte 
dolorem , 

f 

Così anche Catullo nel fuo primo endecafilla- 
bo'^fingendo di'- dubitare a chi confagrar doveflìf 
il fuo libro: 

Cui dono lepidum novum libellum 
Arida modo pumice expolitum ? 

fi determina poi coll* Elezione dicendo : Corneli 
tibi 

Ed il Petrarca nel Gap, I. Pel Trionfo d’ A- 
piore elegantemente fcriffe: , " 

Che debbo dir ? in un paffo men varco : 
fon qui prigìon li Dei dì Farro *, 


£ 4 






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X' 72 X 

§. if. 


' Ùella Comunicazione . 

. ♦ * 

Se confidato^ nella fua caufa l’Oratore finge di 
chieder configlio da quelli fiefiì , a cui , o contro 
cui parla , ben fapendo , che neceflariamentc de- 
vono cader nel fuo parere., allora viene a forma- 
re quella figura , che dicefi comunicazione e 
dai Greci «petxoiyuffii. Così fece Cicerone nella 2. 
contro di Verre col rivolgerfi ai Giudici, e dire; 
JQunc ego vos confuto quid mihi Jaciendum pute~ 
tis . E contro Cecinna : Qu^ero Jl te hodte domum 
tuam redeuntem homines armati non modo limine , 
leBoque medium tuarum , fed primo aditu , vejìibu- 
loque prohiberent ^ quid àBurus fisi ed in quella a 
favore di Rabido : quid tandem Cajo Rabirio fa- 
£tendum fuitì de te inquam Labiene quiro^^cum 
ad arma Confules ex SC. corrai (fint , quid tan- 
dem C. Rabirio facete conventi ì Ed Orazio : 

Rofciay die fodes^ melior lex an puerorum 
Nenia y qua regnum.re^e f adenti bus offerti 

Anche il Salvini nella fua Orazione VI. fi fer- 
vi di quella figura .dicendo : zwfirì purgati giu- 

dicj io me ne rapporto ^ 0 Signori y che da quanto 
finora ho detto , oen comprendete la qualità e ’/ ca- 
rattere delpaffatoArciconfolo. Ed altrove: A voi 
fieffi y 0 /apienti [fimi Giudici y chiedo configlio , 
cofa (ìlmate , eh* io debba fare . £ tale certo lo 
mi darete , quale fi è quello , eh* io fteffo intendo 
di dover prendere necejfari amente . 




§. III. 


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X7JX' 

§. III. . 

# • 

Della Concejfione ,\ , 

Qualora I* Oratore moHra liberalità concedendo 
a’ fuoi avverfarj alcune cofe, fu cui per altro a- 
, vrebbc che dire, acciocché poi o tanto più gravi 
raffembrino quelle altre, che viene a foggiungere, 
o ancor cllì corretti poi fiano a concederli quanto ‘ 
delìdera, quella dicen figura di Conce/Tione , e dai . 
Greci avvxàpfiffn (5) . Così Tullio nella Orazio- 
ne a favor di Cluenzio ; Dominetur { falfa invi- 
dia ) in concionibus , jaceat in 'judiciis , valeat in 
opinionibus , ac fermonibuc imperitorum , ab inge~ 
niis prtuUntiuyn repudietur . Éd in quella a £iyor 
di Fiacco/ Tribuo Gracis literas : do multar wn ar- 
tium difciplinam : non adimo fermonis leporem ^ in» 
geniorum acumen dicendi copiam y deniqut etiam 
p epia [ibi alia fumunt non repugno ; tejìtmoniorum 
religionem & fidem numquam ijia natio coluit . £ 
nella Oraz. V. contro di Verre / Sit fur , ftt fa^ 
crilegus , ftt flagitiorum omnium jvitiorumque Prin» 
reps ; at efi bonus Imperator , felix , Ò" ad du» 
bìa'Reip. tempora refervandus . Usò pure dì quefta 
figura il Cafa nella Oraz. a Carlo V. Ma poflo 
ancora quello^ che non è da concedere, nè da. con» 
fentire in alcun modo y cioè che i Principi , pqfìer» 
gaia la ragione , vadano dietro alla cuptdigia , ed 
all*avarizia y ancora ciò prefuppojlo , dico io, che V, 
M, non donerebbe negar di conceder Piacenza , ec, c 

ncl- 

■ I I— i— 

C5) Concetflo efl cum aliquid ftiam Jnìqaum vMeiaur eaiir* 
naucia pati , atque concedere . Quint. IX, i. de Or et, Itt, 


\ 


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X 74 X 

nella II, er la Lega : Ora ecco V Imperatore ripQi 
ferà quejf anno Ife cosìfia^ perocché neffunocene 
fa certi ): ma fe pur così fia , egli farà fermo 
irueH' anno .non per tardare , ma per andar più rat- 
to , Ed Aietc preffo il TaflTo . così parla a Gof- 
fredo ; • ^ 

Or quando pur ejilmiejfer fatale^ ^ 

Che vìncer non ti pop il ferro mai : 

Siati concejfo .... Vinceratti la fame , ec, 

§. IV, 

■ Della Permijftone, / 

/ 

Qaefta Figura detta dai Greci inrirpoorn da al- 
cuni fi confonde colla antecedente ; ma Quintiliano 
ci avverte', che ella è molto diverfa . Si fa poi 
quando V Oratore confidato nella bontà e clemen- 
Ja de’ Giudici , o de’ fuoi aVverfarj tutto fi rimet- 
te nelle loro mani ed in tutto fi rapporta alla lo- 
ro volontà (6), Eccone r efempio che ci fommini- 

ftra r Autor ad Erennio : Quoniam omnibus rebus 
ereptìs , fuperejì animus & corpus , h^c ipfa , qua 
mini de multis fòla reliHa funt , vobis & Vyff 
condono potejìati . Vos me vejìro quo patio vtdebt- 
tur utaminì'y atque abutàmini licebtt impune: in 
me quìdquid libet fìatuite , diche y atque obtempe- 
rabo. Così anche Tullio nella Orazione a favor 
del ReDejotaro: In tuis oculis y in tuo ore y 
tuquty C,C(efar% acquiefeo : te unum intueor : ad 


(6) Permiffio efl <um oftendìmu* in ‘•«ce»?**® » 
tem ’totam tradere & concedere alicsjM folanta*! • "<• 

rtn, ■Jf'. a?. Pe Or ah lU* 




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X75X . 

fe unum emnìs mea fpeBat oratfo, 'lE Virgilio ne! 
I. della Eneide cosi induce Eolo a parlar con 
Giunone : 

* 

Tuus y Ó Regina y qutd ^tes 

Explorare labor ; miht JuJja captare fas efi , 

II Salvia! fi ferve .di quella figura nella fM Ora- 
zione VII, Ma fapenao io dì^ ra£tonaÌK alludici 
difcreti y e favj y e che la ^iujiizia a) forò emimi 
incorrotti tengono fempre davanti , ni torcono mini- 
ma orma dal giujlo ; non occorre , che io con lun--^ 
go giro di parole , e con ingranaimentì mi sforzi^ 
di farvi apprendere un tale ecceffo . • • !‘y.' a* vojìri 
"purgati giudicj io me ne rapporto , ^ 








Della Preoccupazione t 


■V j, V 


• . 


Non di rado accade , che T Oratore previene , 
le obbiezioni, che far lì potrebbero gli avverfarj. 
o fgombra certi dubb; , che inforger pofibno neir 
animo degli afcoltanti ; e quella chiamali figura di 
Preoccupazione, 0' come dicono i Greci nrpoKaito^i'XU 
(7). Cosi Cicerone nell’Orazione in favore di Ar- 
chia : Quar^ a nobis Gr acche ^ cur tantopere hoc 
'hornine deleHemur : quia fuppeditat nobis , ubi 
animus ex hoc forenji Jirepitu ^ciatury Ò* auree 
convicio defejfx.conqute/cant . E contro di Vcrre: 
fortajfe dtces : Quid? ergo hxc in te funt omnia? 

Uti- 


C7^ Prcoccopatio eli qna & anditorara e;cìilimatioRes, & e<t. 
Ttjm , qnt contradiéluri funt verba pravenientec obvias diffi* 
caltatcs removcbiraus. Rbeu ai Alex. L*Autorc 

^ Ereanw oe fa hqs fola eoa quella ili fogaianginento# 



I 


X76X- 

Utinam, quìdem effent ! Ver unt amen ut- effe poffeni 
magno fiudto mìht a puerhia eji, elaboratum « JEd 
Orazio itb, I. epìjì, IO. 

■ Sì bene te novìy metuer y Uberrime Lolita 
- Scurrantìs fpecìem proferrè y profeffus amicum * 

Si fervi di quefta Figura anche il Cala nella Ora* 
^ .Elione I. per la Lega : Se voi mi direte y che egli et 
•vuol difenddi^^ io vi dimando y chi. lo minaccia.^ 
ehi lo ^ tdìì lo ajfali/ce ? E nella IL Io 

fento , tapìè^ffimì Padri , non fenza roffore , le 
JaMiiide t f^adey e morte parole d' alcuni , che con- 
feffandó ytt. Ed Alb. Lqllio nell’ orazione in lode 
dnla^ContÒrdia : Dico jo forfè quejie cofe , Acca- 
deniici , perchè io dubiti punto delta prudenza , é 
della cojlanza vojira ? no , ma dicolo Solamente 
Spinto dal grandijjìmo deftderio , eh* io ho , che que^ 
Jta bella y lodevote y fruttuofa ed onorata imprefa 
rìefea immortalò. Ed il Salvini con molta grazia 
così incomincia la fua Lezione I. Dura materia 
di ragionare n* ha oggi il nqflro' Ardconfolo da- 
ta . . sì perchè lontano io fui f^tnpre dal cen- 
furare P opere altrui , conofeendo pur troppo d* a- 
•ver che fare nelle mie , sì ancora, perchè , ec, 

A quella figura fi polTono ancne ridurre i fe- 
guenti modi ai dire ufad da Virgilio Eoeid. II. 
c IV. 

.... fi miferum fortuna Sinonem 
Finxh y vanum edam , mendacemque improba 
. fnget . \ 

Disdalus y ut fama efly fugiens Minoia regna 
Prapetibus pennìs aufus fé credere calo&c. 


' ' Vf. 



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'4 


X 77 X 

§. vr. 

Del Deftderio, 


Si à quefta Figura detta dai Greci oW/<ràoV 
quando auguriamo ad altri , o a noi fteffi qualche 
vantaggio o fortuna, ficcome fece Tullio parlan- 
do per la legge Manilla ; , 3u/mes/vi^ 

f^rum forttnm atque tmocentìum copi am tantam 

délibtr,tio Officili! tffet , 
E nella Filippi» Vili. Vunam l. cJfar vale- 
ret , òer. Sulptctus viveret : multo mel'tus hxc 
caujja ageretur a trtbus . qi^am nunc agitur ab «- 
no , Similmente prelTo Virgilio ; - ' 

' >' fi refpeElant' numina * - fi 

-, -quia ^ I 

f Ufquam iujììtìa ejl & mens fibt confcia reSli . 
r tamia digna feran(_, ^ 

Così anche il Cafa nelfa 'cit* Orazione a Carlo 

effendo egli fornma 

alla buona intenzione , chi alV umtl fòrtuna mai 
co^enevolt nel voftro animo fiano ' ricevute , Èd il 
^alvini m morte d’ Antoti-Maria Magliabecchi 

ai p^ert. fecondo 
arJtof eloqMnza mìa i fentimentì ^^che la 

S patria aver dee per uomo tanto infigne , tan-, 

lode 

tni rii' imitazione di Tullio ; Fo^ 

ftmn ornatijfimt Accademici ^ che -mi avef- 

d7mclu c eccellenti, che 

. ^ CM' Special- 

mente un u fatto ufficio fi dovejfe dare / Anche . 


V 




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' X78X* 

il Petrarca leggiadramente chiude cori quefta fieiiw 
fa un fuo Sonetto : x ^ 

"f/" ’/ W /■'«'•» ;»/«/« r/W , 

A7H leggindri ed alti, 

Jy/ella dolce ombra al fuòri deW acque feriva, 

È preflTo il TaiTo Cant. VI. così parla £rminia ; 

Ah perchè forti d me natura,, eV Cielo , 
Altrettanto non fer le membra o V petto • 

. Onde poteffì anch* io la gonna , e H velo* 
Cangiar mila corazza e nell* elmetto w 

. VII. . 

tielta Sentenza é 


Sertpnra tì eiiama quella , che i Greci dilTcra 
yvufAo , cioè a dire un ammaeilramento utile al 
buon governo di npftra vita (8) . Tale fi é quella 
di Tullio nell orazione a favor di Archia: Trahi- 
mur omnes landis Jludio f & optimum quifque ma-', 
xime gloria ducttùr rZà 2 l favor di Milone: Ma- 
gna vif eji confc.ientia & magna in utramque par- 
tit ncque timeant ^ qui nihil commi ferint , 
peenam femper ante oculoi ver fari putent • quf 
peccarmi . Ed Orazio nel lib. I, Ode 54. 


• • valet ima funtmis 

Mutare y & infignem attenuai Deus 

Obfciera promens, 

' ■ Go. 


C8) $vntnCÌA efl oritio runipts 
m}' oporwat in viu 


de viti, 5UC, ant quid 
brtviter otteadit. Ai He- 

V- • 


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% 


X79X' 

Così anche Virgilio nel VI. della Eneide ? 

Noóies atque dies patet atri janua Dith . 

Sentenziofamente difle anche il Cafa nell’Oraz. 
a Carlo V. Si fatto privilegio hanno ^ S, M.y le- 
giufle opere e magnammo y che effe fono eziandio 
nel e avverfità feltct j e nelle perdite utili , g ne* 
dolori Itetp y e contente * Ed m quella per la 
Lega : Qli uomini ajìuù ufano più Jpeffo corneo a 
coloro i a cut vogliono nuocer y le lujihghey che le 
mtnTcce : ed al lupo Selvatico non fi dee fidar la 
mànoy benché e^ita lecchi a guifa che i cani dth 
inejiici fanno , E Dante : 

Nm è V mondan romore altro che un fiato 
Di VBpto^ eh oT ^ie/i quiw$ ^td ot vìctì • 
d$ ^ 

E muta nomcy perché muta lato, 

Ed il Petrarca : 

La morte é fin Una prigion ofeura 
niK gentili y agli altri é rtoja, 

Ch hanno pofio nel fango ogni lor cura . 

Avvila r Autore ad Erennio, che le fentenze 
devono ^er di rado ufate , perchè non ferobri 
che vogliamo farla da precettori , e da regolatori 
della umana vira piuttoflo che da Oratori ( 9 ) . 


§. VII. 


Boa Taro conwait', ut rei anAore* , 
wa viveodi praceptoret effe videaiour. tvì, r 


► 


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. . • . . . >• 

' §. vili. 

Della Dìjìribuzjone , 

• 

La Di^ribuzione o Ha (ì forma col di- 

videre alcuna cofa in tutte le lue parti , o alfe- 
gnando a molte perfone diverfe azioni (ro). Ci- 
cerone l’ usò in quello modo nella I. contro Ca- 
tilina : Polliceor vobis ^ C. , tantam in npbis 
Con/ulibus fare diligentiam , tantam in equitibus 
R, virtutemy tantam in omnibus bonis confenfto- 
nem y ut y ec. E 1’ Autore ad Erennio : Senatus 
oj^cium eji confilia civitatem juvare : Magiflratus 
^cium efl opera & àiligentia confequi vmuntatem 
Senatus: Populi officium e/ì res opttmas & homi- 
nes idoneos maxime fuis fententiis eligere & pro- 
bare, E Virgilio così brevemente diftribuifce Tq-' 
pera fua delle Georgiche fui bei principio; 

Quid faciat latas fegetesy quo fydere terram 

Vertere , Mecoenas , ulmifque adjungere vites 

Conveniat : qua cura boum , quis cultus ha- 
bendo 

Sit pecori y atque apibus quanta experientia 
parcisy 

Hinc canore incipìam . ' 

Anche il Cafa nella fua Orazione per là Lega 
nfa di quella figura in tal maniera : Peroqchh per 
quattro ragioni fono le Città y e ciafcun Principe 
robujìe e pojfenti : cioè fe fon di danari copiofamen- 
' te 


(io) Dlftribmio eft eam ia plnres retaut perlbnts certas n»- 
lotia sluaedam (Uffcrtiuaur, Ad Mtren* iì. De Qrat. ìlh 


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X 8I X" 

té fornite : ' fe poffeggono molte città e /orti : fe 
fono abbondanti di uomini di guerra marittima e 
terrejìre : e fe fono dotate di cuore e di cordiglio, • 
£d Alb. Loliio Oraz. a Paolo III. La imprefa^ 
che io ho da proporvi , sì per la lode » , cù ftete 
per acquìflarne y che è grandi ffima y e * «- 

tilità , che di qui ritrarrà la Kep, Crìfnanay che 
è infinita , merita fommamente d* effer da voi ah* 
bracciata e favorita . ^ ; * • >. • 

’ • §. IX. 

J « • 

Del Paff aggio, 

. ' » 

Quell* ornamento del difcorfo chiamato da* Greci 
fttTeia-reta-if fì fa col palTare con grazia ed in ma- 
niera vaga da una cola ad un’ altra; ed elTeadovi 
anche in quello qualche artificio , merita perciò 
d’ clTere annoverato tra le Figure (i i). Se nel far 
quello palTaggio fi ammonifcc 1’ uditore di quello , 
che fi c già detto , e di quello che fi vuol dire , 
allora chiamafi perfetto ; ma fe foltanto fi fa men- 
zione di quello , che rella a dirli , o di quello , che 
fi è • detto , allora dicefi imperfetto. Del primo fi 
fervi Cicerone nella Oraz. per la Legge Manilla t 
Ottoni am de genere belli dixi , nunc de magnitudi- 
ne pauca dicam : e dopo : Sath mihi multa verba 
feciffe vtdeor y quare hoc bellum eff et genere ipfo 
neceffttrium y magnitudine- periculofum ; rsflat \ ut 
de Imperatore ad id bellum diligendo ac tanti s r«- 
bus perficiendo dicendum effe vìdeatur , Ed il Cafa 

Oraz. ■ 


(lO Traalìtio vocatur. quae cDm oftendit breviter quid di. 
Outn iit , proponit item brevi qqid fequatur . Ai ìftren, /f', ad. 
D« Orat. tW • \ 

Giard, Ehm. T, U F • * • ! 


F 



X 82 X 

Qraz, a CaHo V. AJfai chiaro è adumue, V, Mé 
ritener Piacenza con . /uo danno e 'con jua perdita» 
Vergiamo ora , fé il ìàfciarla le porge utile y o fé le 
reca maggior incomodo o difvant aggio» E odiai, 
per la Lega : Il pericolo dunque atrue noi fiamo nm 
puh efjere nè maggiore , nè più manifefio , nè pià 
da Vicino , Da vedere è ora come not lo pqffiame 
f chivare y e fé égli fi. puh per altra via fuggire» 
Del PafiTaggio imperfetto poi osò ló ftdfo Cice- 
rone nell* Oraz. a favor di Rofcio : jige nunc illa 
videamus y judices y qua confecùta funt , £d altro- 
ve : Sed arrogantiam homims infoienti amque cogno- 
fcite » Così anche 1’ usò il Cafa nella cit. Oraz. 
per la Lega ; Veg giamo ora quanto fia da credere 
al tempo , al quale , fi. dice y che voi cotanta fede 
avete . £d Alb. Lollio in lode dell’ £lo^uenza : 
Refi a y che della Dottrina y co fa di grande impor- 
tanza y e al Dittatore neceffaria fi ragióni » 

' ‘ X. ■ 

' DelP Epilogo » 

». V 

■ L’ Epilogo w'cMyot confile in una breve rtcapì- 
tplazione di tutto quello , che già fì è detto diffu- 
' ihtneate,' d’ onde poi' fe ne inferifce una necefTafia 
eoofegueazaCiz). Così Cicerone parlando a favore 
«di Archia : Quare confervatey fudices , hominem pu~ 
dorè eoy quem amico' umfìudiis videéis comprtéàri \ 
ingenio autem tanto , quantum id cenvenit eniftijrta- 
ri y qmà fummorum hominum ingeniis experhum 


(il) Conclufio pf),' quii brevi àrguQientationc ex ìis, qac 
ante dieta Tunr , aut fafta, conficic idt neceffaiio con- 
fec{aatar . Ad Heren. If'. 30. 


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X8^X 

e(Je Udeatt^: caufa vero eju/modì y qua òeneficto 
iegiSy auBotUate mmtàpìt y tejitmonto Luculit y ta- 
bults Metelìt comprobatur ^ Ed a favor di Milone.' 
f^/deo adhuc confi are omnia , judices ì Milani etiam 
utile fui O'e y Clodium vivere ì illi adeoy qua: con- 
CTtpierat , optatiJTimUm interitum Milohis fuiffe : 
oaium iilitts in nunc acerbijfimum y in illuni huius 
mtllum’^ cbnfaetudirtem illius perpètuam in vi in- 
■ tantum in repellendo ; mortem ab 

illb denunaatam palam Milani & prxdiBam , ni- 
hil umquam auditum ex Milane : profeBtonis hu- 
notum y reditum illius buie ignotum 
3 hujus iter necejjarium j illius etiam potius 
altenurn : hunc pYx fe tuliffe ilio die Roma exitu- 
, illum eo die fe dijjìmul affé rediturum y bum 
nulltus ret mutàffe confilium; illum caufam mu- 
tondi confiln finxifje i buie y fi infidi aretur y noBe 
prope urbem expeBandumy illi y etiam fi bunc non 
timeret y tamen acceffum ad urbem noBurnum fuiffe 
metuen^m . Così pure Alb. Lollio in lode della 
iiogua Tofeana ; Effendo dunque la lingua Tofea- 
Titty ficcome avete udito y Accademici y la pìà bella, 
la otU nobile y la piti, onorata^ la pià ricca y la 
pm tif ata , la miglior tntefoy e la più perfetta di 
tutte I altre che .vivano ’y e vedendo Voi qualmente 
non fólo tutte ^ le Accademie d" Italia y ma eziandio 
tutu gli lamini di feienza e d'^ ingegno , e di giu- 
dizio eccellenti , di lei onoratamente parlando , e 
Jtrtvendo per tale la lonofcono ; ed avendo io già 
fnbntfefiamenté mofirbto, in quanto grande errore 
tu^rrbno tutti quelli y chè abbandonando leiy che è 
^Jllfproprta è naturai favella y con le firaniere 
ejpbngèno i lor penjieri : volgetevi y volgetevi al le- 

^ acqui- 


■fr t- 


S. xr. 


V . 


( 


' . Della Similitudine , 

La Similitudine detta dai Greci ò^owait fi fa col 
dimofirare più ""chiaramente tfna cola col mezzo di 
un’altra, la quale, quantunque in fe fteffj^diver- 
l'a fia , pure molto le s’àlTomigli (ij). Così Ci- 
cerone diffe contro Vatinio ; Repente emm te tam- 
t]uam ferpens e latibulis , oculis eminentibus , /»- 
fiato collo , turni di s cervici bus intulijii y ut mihì 
renovatus^ &c. Ed Orazio nell’ Ode 2 . lib, IV. 

I Montem decurrens velut amnis , imbres 

\ Quem fuper notes aluere ripas , 

\ Fervei , immenfùfque ruit ,profundo, 

\ Pindarus ore , , ■ 

E Virgilio parlando di Didone: , 

111 a folo fiuos oculos aver fa tenebat , 

. Nec magts incepto vultus fermane movetur^ -- 
Quam fi dura jìlex jiet aut Marpefia cautes. 

Ed elegantemente Alb. Lollio in morte del €crn-- 
no : Egli a gui fa d* una chtara lampa. ^ che fjparge 
la fua luce d^ ogn' intorno avearenduto i fuoi mag- 
giori . ^ la cafa fua preffo a tutti magnifica , ri- 
guardevole^ ed onorata, ÌEd in lòde dell’ Eloquen- 
za : Sofienuti dal favore e dall' autorità di* una tan- 
ta maefira , e fiabtliti in voi fiejfi per opra de' pre - . 


Cij) Similitudo «fi oratio tradgrcens ad rem quamplam Alt» - 
quid in re dirpaii fiatile. M Mexeti. Jf^, 4^, De Or at, in. 


’ - X 85 X ' ' 

eèttt dì lei , a guìfa dì /cogli fai dì Jfimì né* pei^i* 
coli ^ e nelle avverfttà^ immobili y indefeffi y inft^ 
per abili rimarrete .* Così anche ii Salvini nella 
Oraz« V. Molta forza certamente ha il /angue de- 
avoli ) come torrente , eh' atta vena premei per 
fecondare dì genero/i*fentìmenti i cuori de* fuòi di* 
jeendenti * E Dante : 

•' ** , ^ 

l/f noi venia la creatuta beltà • • 

Bianco vefiità y e nella faccia, quale 
' Par tremolando mattutina /iella . 

dopo • • • è 

• Ella non ci diceva alcuna co/a 

Ma la/ciavane gir foto guardando 
A gutfa di Leon , quando fi po/a t 

i 

\ * 

Cinqtre cofe debbopfì confiderare nell’ ufo dellà 
fitnilitudine * . • > , . ^ 

1. Che fìa atta', e che da cofa illulìre il de» 
rivi . 

2. Che a tutti (la nota, penchè facilmente s* iti* • 

tenda . ■ • , r ' 

^4 Che faccia àdeguatamente al nollro propo» 
Eto. ’ ‘ . 

4. Che le pafole e le cfprcflloni pano conve- 
nienti sì alia fiiDÌlitudine , che alla 'cofa anfomi» - 
gliara . » 

| 5 ,. Per ultimo , che vi paflì veramente fra T una 
e P altra una perfetta ralfomiglianza • 

XIL . ' 

''Della Comparazione » 

La Comparazione p fa eoi paragonare inlleme 
due cofe diverfe mofìrandone in qualche, cofa una 

p- 3 ' • pcr- 


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X 8(5 X • 

perfetta fimilitudine (14). I Greci {a chiamarono 
fixcJy, €(i i Latini perchè appunto ci fonar 

miniitra come una imagine , in cui vediamo raffi- 
gurata quella cofa o queir azione , di cui fi trat- 
ta- (iS). Così Cicerone nella I. contro di Catilina 
diflfe : Ut fxpe homtnes agri ^ morbo gravi cura 
(cjìu , febrìgue jaHantur , fi aquam geltdam btbe^ 
rint f primo reìevifri viaentur , deinae multo era- 
vius ^ vehementiufque affìiEiantur : fiic hic moujus ^ 
qui efi in repubìica relevatu,s iflips pccna , vehe- 
mentius vìvis reliquis ingravefcet, E l’Autore ad 
Erennio : Ut irundines afiivo temporg prajio funty 
f rigore pulfa recedunt ijt\a falfi amici fereno vita 
tempore prafio funt^ fimulatgue hiemem fortuna vi- 
derint , devolant omnes . E Lucrezio nel Lib, III. 
de Nat, rer. 

Floriféìris ut àpes in faltfbus ornai a 'libante 
Omnia nos itidem depafcimur aurea diU:a . 

■ ■ B 


(14^ Egli è nrcelTario dimoflrare la differenza, che paffà tira 
la metafora, la fimiMtudiae, ed >1 Paragone. La metafora li 
fa col trasferire una parola da una cofa ad un’altra per qual- 
che fomiglianza , che VI pa^a fu loro. La lìmilituoiqe non 
è'diverfa dalla metafora f« non in'quantd che va congiunta 
a qualche particella, ckc ne e ditUiigac U rafbmi- 

plianza. La comparazione poi di piu vuole, che lì fpiegbi il 
fondamento della raffon^iglianza fteCa, e che lì efponga il 
perchè, ed in'qual modo l’-ona'e altra cofa convenga^ . 

Se p. e. dicefi ^ 'Pidone ; fUiìtA rttpe. al pa%latd' Enea $om 
fi commcJTe ^ quella è una iemplìce metafora: fé poi cosi : 
Untila a guifa d' una rupt^ nap fi eemmq/ft^ è una fimilitu- ' 
dine : Ma fe dicelì : tn atulur guifa ^ thè una rupi fia im- 
mobile in moKXfi aWonde^ nè cede alt* impeto di' flutti^ nè ■ 
si eontrafto di' venti , e delle proemila fi eommove ; coti Di- 
elone alle lagrime^ alte preghiere^ cà alle Suppliche di Enea 
punto non fi Scojfe «e. quella è una vera comparazione. < 

00 Imago eli forme cui», quadam colliuio . 

M^tren. W, ip^ Loqgin, «p.. Ua Subite^ hsì&»k/tfk* 

nt, 4. Quint. 5. ». ^ 




X8?x 

. £ 'Virgilio nel lib. IX. della Eneide defcrivefi- 
do i sforzi di Turno : . 

Ac veltri pJeno lupus infidtatus ovili 
Cum fremi t ad caulas i ventos perpejfus & 
imbres , < . - ' , 

No^e Super media 

Haud aliter Rutulo muros & caflra tuenti 
Ignefcum ira y Ù^ duris dolor ojfibus ardet , 

Anche il Cafa nella Oraz. I. per la Lega formò 
an' elegancifTinia comparazione dicendo ; Perocché 
come i figliuoli con troppa . tenerezza dalle madri 
allevati, crefcono per lo più poco /ani e poco ya- 
loroft , eosì ’la pace con trippa amóre delia Città 
ritenuta , poco franca , e poco ficura ejfer fuole . 
£d Alb. Lollio In lòde deir Eloouenza ; Siccome 
la: natura prbduffe il cane atto allo invejìi^are, e 
pigliar le fiere , i buoi allo arare , i pelei al nuo^ 
tare j gli uccelli al volare , i cavalli af carfo, ce- 
si creo t ancora gli uomini acciocché s* e/ercitaffero , 

£d il divino .Ariolto; 

/ * ' 

Ecco fono agli oltraggi , al grido , all' ire , 

Al trar de' brandi , al crudel fuon .de' ferri. 
Come vento , che prima appena Spire , 

Poi cominci a crollar frajfini e cerri , 

Ed indi ^ ofeura polve in cielo uggire j 
Indi gli alberi Jvtlla , e caft atterri, ec. 

^ ‘ §. XIIL v , 

Dell' Efempio • 

' , '•V 

L* Efempio , che i Greci chiamaaa ntatpdluyttce 
non è alerò che la fpoliziose di qualche fatto o di 

F 4 qual- 


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X88)C.‘ 

qualche detto altìrui , che tomi a! noftro pro^- ' 
lito (i5). Così Tullio nella I. contro di Carili-» 
na‘. vero vìr ' ampliJlfimj^s Corn, Scipio Pont, • 
Max. Tìberium Graccum- mediocriter 'laòefaBan- 
tem Jìatum reip. privatus interfech , . . . Q. Ser- 
vilius Ahala Sp. Melium novis rebus Jìudentem 
manu fua oeddit y &c. t per la Legge Matìilia : 
Majores nojlri fjepe mercatori bus ac navìculatori~ 
bus incuriojius traBatis bella gefferunt : vos tot ci^ 
vium Romanorum millibus uno nuntio necatis , quo 
tandem animo effe debetis ? E Giunone predo Vir- 
gilio nel L delia Eneide cosi va argomentando; ^ 

- P alias ne exurere claffem 
' Ar^ivum , atque ipfòs potuìt fubmergere ponto 
'Untus ob noxam Ò" furias Ajacis Oilei . , . . 
AJi ego y qua Divum incedo Regina , Jovif~ 
que y ec. ' - 

Ed .Albrf Lollio nella Oraz. a Paolo III, Che fe 
nella guerra C art aginef e i Dedali l' efaufio erario 
' de^ Romàni ajutaronoj e fe le rnatrone 'y acciocché, 
s' adempire il voto dt Camillo tutti i loro più rie- 
chi arneft alla Patria donarono ; e fe F abto Maf- 
Jtmo per rifeuotere i prigioni vendè fubito d fuoi 
terreni ; che Ji dovrà poi fare in una così grande 
e di tanto momento occorrenza.^ Ed il Salvini nella 
Oraz. 6. V abito e' la foggia del veflire à Pna di 
quelle cofcy che d dipinge V animo di chiccheffia , 
Arifiotile dal vejìire difprezxato de' Lacedemoni y 
ne argomentava il loro orgoglio . La toga de' Ro~ 

ma- 


0,0 Ezemdium eft alicalus fa£li aut preterì tr cun 
certi auAoris nomine propofìtio . Ad Jfere». W. 49. D» 
Orar, UT, 


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V 


)(S9X' ■ . 

mani in fnapnifiche pieghe ondeggiante^ ne adàhta^^ 
*ca la grandezza y e la maeftà. Il pallio più riJlreU 
to de Greci ne Jignificava la lindura s e la pulì* 
tezza . Il vejiire alla Perfiana di* AleQandro ne di- 
mojìrò la vanità ^ e la leggerezza ii Petrarca 
/ <}a un efempio incomincia quel i'uo Sonetto : 


Giunto Alejf andrò alla famofa tomba 
' Del fiero Achille fofpirando difje .* 

O fortunato , che sì chiara tromba 
Trovafli^ e chi di te sì alto fcriffe , 

>vXIV. 



* Del 'Dialogi/mo, '* ' ' . 

• • .*•**.' 

I ■ i ' 

Quefh Figura , che fa dai Greci chia- 

tnata > viene in ufo fpccialmente nelle narrazioni , 
e conlllle nell' introdurre quaich’ uno a parlar feco 
ftcflb, o con altri , riferendone le vicendevoli inter- 
rogazioni c rifpoltc (17) Così 1 ’ Autore ad Fren- 
nio: Sapiens p qui omnia reip. eaufa .fufcipienda 
■pericula putabit , fxpe ipfe fecum loquitur : Note 
mihi foli , fed etiam , atq, adeo multo pótius natus 
fum patria : vita , qua fatp debetur , fdlùti patria 
potijjimum folvatur » E Cicerone nel I. delle Tu- 
fculane : Cum ab amhis rogar etur Diogenes , ubi 
vellet ìnhumarì: Projicite me , ìnquit , inhumatum . 
Tum amici c Volucribus ne'Ù* ferts P Minime vero ^ 
inquit t fed bacillum prope me ^ quo abìgam^ poni^ 

’ te. 


/ 


O7) Sermocinfttro eft, in qua conflitaetur aficurus p«rfona 
orano accommodata ad drgnitatem . Ad Heren. Tf'. 4j. Srrmo. 
ctnatio eft cum alicui prribnz fermo attnbuitur,& ts esponi. 
tur cura, ratione difinitatis. Ad Berta. IK Oe Orat. IH. 

» 


4 




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I 


XpoX 

te» Qj^ipoterh P illi\ mn enm fenttes ^ Quid Ut- 
tur mihi ferurum lantatus obertt nihil fentientt ? 
£4 Orazio S9C. 8. lib, li. 

Ut Nafidient juvtt te ccena beati? 

/. Nam mihi qujtrenti convivami diSlus beri illic 
De medio potare die . S ic ut mihi numquam 
In vita fuerit melius , Da ^ fi ^rave non efl , 
Qu£ prima iratum ventrem placaverit efca . 
In primis Lueanus aper , &c. 

Il Boccaccio nelle Tue Novelle ufa di fpeflb il 
Dialogifrno , come nella 17. O , dijfe Calandrino , 
cqtefto è buon paefe / Ma dimmi , che fi fa d^ 
capponi y che cuocctm' coloro P'* KiJpof e Ma/o : man- 
ifiunfeli i Da/chi tutti D/JJ'e allora Calandrino t 
Jofiivi tu mai ? A cui Mafo : Dì tu , fe io vi fui 
mai? Si, vi fon fiato così una volta come milieu 
Diffe allora Calandrino : e quante miglia ci ha? 
Majo rifpofe : Haccene pià di millanta . ec, E 
preuo Dante una vedovella cosi parla all’ Impe- 
r?tor Traiano 4 . . * 

Signor fammi vendetta 

" Del mio figliuol I eh' è , morto , ond' io 

um accoro . 

Bd ^ l^j f i/pondere : Ora af peata y 
Tanto ch'io torni; ed ella. Signor mioy • 
Come perfona^ ^ in cui dolor s' affretta y 
Se tu mn torni ? ed ei : Chi fia, d<n>' io. . 
La tì farà : ed' ella /* altrùi bene 
A te che fia y fe il tuo metti in oblio ? 

1 ■ ' • 


§. XV. 


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f 


* 


X *» X 

XV. ■ ; ':. 

1 

. , ^ HeJP Etqpe/a , 

L’ Etopcia a^vniU così detta dal .Greci non è 
altro , che una chiani defcrizioqe deli* ìndole, de- 
gli anetti , e di tutte le doti, o di totti i difetti 
d’alcuno (i8). SallulHo oelU Tua Storia così de- 
ferivo 1’ indole di Catjlinar Htiìc ab 'adoUfeentta 
bella intifitna<^ eadis y rapinaci di/eardiacivtlis 
grata fatta ^ ibtque fav^n^mem ^uawk taeteutt .... 
Aìùmus audax , fukdolas , varius y cujuilìbet rei ' 
fimulator y ac d^fj^yulatqr y afiem- appetens y fui 
prof uf US y ardensrin cupiditatibus .... Vàftus a- • 
nimus immoderata y \ncrq4i^i^>a y' ninùs alta fem^ . 
per cupiebat . £ ÌPlauto nell^ Aulolaria cosi ci di- 
pinge i colìnmi di un j^v^ro : 

I 

Cave ^uemguarn àlienum in adem mtr(0Ì/erisi 
' St qui/piam ignem quarat , exttngui volo , . 
l^e c auffa quiaftt , qtiod te quifquam quaritet .* 
Tum aquam effugiffe dìcito: fi quis petet 
Cultrum y fecurtm , pifiilluìUy mortarìum y " 
Qua Menda vdfa femper vicini ro^itant : 

^ures venijfe , qtque abJUtltffe dicitq .1 

Così anche il Cafa nella Oraz. 2 . per la Itegft 
deferive la Tirannia qon una hellilTiina Etqpeja : 
Effenda it fuo intendimento di etmandare , di ucci- 
dere y di occupare e di rapire > convien che ella 
fia amica del ferra , delle fiamme , della violenza > 

' e del 


Voutio eft Vuin dicuius natura c«rtU delWibtt.Kr fi» 

{ •‘rt » snai, fifiutii nbt» , nai«i» fune «ttribiita . Ad 

Urtn. If\ 48. De Orat. tll» 

I 

/ 

; 

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V* 



Xgtt 

'_e del /angue ,»,%Ella chiama in ajuto gti efer* 
' chi dì barbare genti y /’ armate de' Corfalì , la cru- 
deltà , la bugìa , il tradimento ^ le erefte , lo fcìf- 
~ma, le minacce e lo /pavento ^ Ed il TaflTo nel 
ónto II. della Gcrufalemrne : 

» 

Alete è V un ^ che da principio indegno 
Tra le brutture delta plebe' e /orto; 

Ma r innalzaro à primi onor del regno 
Parlar . facondo , lufinghieto e /corto : 
Pieghevoli cqfìumi ^ accorto ingegno 
Al finger pronto , all' ingannare accorto : ^ 
Gran faobro di calunnie , adorne in modi 
'Nuovi che /ono accu/e > e pajon lodi . , . 

' XVL . 

Della Pro/opografia < 

Quella figura puè) farli in due maniere , o cori 
deferivere la perfona , il pòrtamerifo , e le azioni 
d* alcuno, perchè. fe ne capifea in certo modo l’a- 
nimo, o perché puramente fe ne venga in cogni- 
zione. La prinìa dicefi propriamente 
la feconda x^paxTnptofio ^ , e dai Latirii indillinta- 
mentc EfiiéiioU 9)» Cicerone nella Oràz. 2 , per la 
legge Agraria così deferi ve Rullo; Jam' defignatut 
allo vultu , alio vocis /ono, alio incejfu effe me- 
ditabatur ; ^veflitu ob/oletiore , • corpore inculto Ù" 
horrìdo , capillatìor , quam antea ^ barbaque majo- 
re^ ut oculis & a/peElu denunciare vim tribunitiam 
. . - • & 


00 Efiftio eft CUBI esprùnitar efflneittfr verbit cuiur. 
piam /òrma , auod fin» fìb ad iatelligenduBi . di Htrtn, ly. 
49> Orau tìL 


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^ minharì Retp, videretur , E I Aut. ad Eren- 
nio : Hunc dico , judices y rubrum , breve m , incur-< 
vum , canum , Jubcrìfpum , ctefium , c/// forte ma- 
gna efi in menta cicatti» , &c. Anche Marziale 
cosi deferive Zoilo : 



Crine ruber , niger ore breyis pede , ' lumìne. 
Idtfus ; _ , . ' \ 

Kem magnam prxjìas Zolle fi bonus ei , 

$ ‘ * - • i',. • 


Ed il Taflb nel Canto III. 'deferive Platone : 

Rojfeggian W# occhi , e dì veneno infetto ** . ^ 

, . Come tnfaujta cometa il guatda fplende : -, 

GP involve il mente ^ e fu V - ir fmo. petto 
Ifpida e folta , la gran barba jeende yf ,\ - 
E in guija di,vòraggine profónda * . 

' apre la bocca d* atro /angue immonda , 

■a a • 

I Poeti, A>ecialmente fi dilettano di deferiyereper 
via di queua Figura milla colla Prdb^peja i vi-, 
•zj e le virtù .. Cosi troveremo preflb Virgilia, O-, 
vidiò, il Taflb, e T Ariofto bellilfime deferizioni 
della Fama., della Invidia , ideila Gloria , della Fa-, 
ma , cc. , le quali quanto fervano maflTime a diler-., 
tare , lo fa beniflìmo chi da dovero le iotende (ao). 


^ A . ' §.XVIL ■' 

Ciò) Non fólo leperfone egliairetti, ma tolte l’ altre cote 
aoepra fi poffbno deferivere . La dercriaione delle virtà o dei 
via} fono una fembianaa fi chiama ùitiXoMvoii». Quella d’ 
un fatto, p. e. d’ una battaglia , od* ira trionfo *pttyu.»ftyfa- ' 
Qatila d’un lu(^o rvteypei9 i* . Quella de’ tempi p. e.» 
del giorno , della notte , della fiate , del verno, ec. '■ 

(f/ct, Quilia fioalncflce dfgH aoitnaU T«pi9yi»f/u» • • 



, . . §. xvir. 

* * * 

•Della D'trmmzhne « 

lu., . .1 

Figura di Diminuzione retrtipet<rtf chiamaii queU 
li, per cui fagacemente l^Oracore, cóhofcendo in' * 
fc iiefìfo, o ne’ Tuoi- clienti .qualche merito b fìnge 
di fÌDiftuirlo, |>ercoè ùonTembri , ehe egli u pafca 
di vana olkncazioae (zf). Tale artifìeio lo osb 
Ciceróne fui prihciDio della Orazione io favor d’ 
Archia : Si faid tjt h me hgeàii j fudhèsifuod 
fenùoj ijuam fti aaiguum ) } aut fi \qua eterni atto 
dfcendi ', in fàa nie, non i^eior , med'mriter effe 
wrfatum f àut/tù’c, E nella 2. Filippica contro 
di Antonio: ìfdn video, nec invitai nee in gra* 
tìa, fte'e in. tebns Mtfìis^ nec in bah mèa fhediecri- 
tate ingenii, quid aefptcere poffit Antonius , E V 
Autore ad Ererinio .* Ndni hòc prò meo fiire, Jk- 
dices , dico, Me labore^ indtdiri a Curale, indi* 
feiplinain miliihrertt nòn in pofirémis temterh ; do- 
vi! ogntm vede , ché fé avdfe detto tìpUnte tene^ 
rem; farebbelì giullaibcnte loerirato' la taecùt di 
arrecante ^ . 

Si fa ancora alle volte quella Figura c(^ raddoi** 
ciré certe proporzioni , che fi teme poflano offen- 
dere quelli , 1 quali ci afcoltano , nccome fece il 
Calè nella pih volte cit. Orazione a Carlo V« I 
minori ferimo V, M, { ficcarne io credo ) con mol“ 
ta fede; ma nondimeno per loro volontà, e tratti 

dal- 

y » » l.v » j < I . y t _ » » * « 4 f « » ' _r 


f à » u . **. ^ 

OO Cimiitfltio «S 4 . calli «JiqaKI, eCc in oobis MOt.tn ÌÌs ^ 
quo* defenaimu* nstura. aut. fortuna aut iddaitia dictlSus *• 
•regiumv quod oc quO agoifieétat.aiuogaDa.oftOatatio, dc|^ 
tiuitur 9t actcaiutttr ttacxoat. étU i9, 0§ Oria. uì» 


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l 

« 


' • X 93 X . 

dalle loro fperan^ .eie fono del tutto firàtiterì : t - •( 

i loro figliuoli e i loro comodi privati non dico d* ‘ ' 

mano più y ma certo a lorofla pìà di arnsrliy che 

quelli di lei . Usò della Dimìnnzìone ancora il 

Salvini nella fna Lez. XXXV. Se nulla in quella 

io vaglio \ almeno quanto ho potuto y dandomene f 

voi frequenti , ed a me grate occafioni , in ejfa mi 

fono ii^e^nato , giufla la tenuità mia d* e fer citata 

mi . Ed Alb. Lollio in difefa di Furio Crefino c 

Quai fieno al prefente i cojlumi , e le azioni mìe ^ 

ora , che ho paffuto fettantatrè anni , gli uomini 

della villa , benché con molto maggior onore , che 

io non merito , per la lor finpolare umanità e eor^ 

tefiuy ve ne fanno ampia feae ^ 

§. XVIII. ' 

*’ I 

’ ' I 

Della Digrejfione . 


Quella Figura , la quale coniale propriamente" 
neir allontanarli tutto ad un tratto dal noUro pro« 
{rafito, interponendo nel difcorFo un altro brevé fert- 
timento , lì forma in due maniere . Perocché o quei 
fenfo , che s’ interpone è un breve concetto , che 
ferve fole a fpiegar meglio una cofa , ed a correg> 
gere in certo modo quello., che abbiamo alTerito , 
ed allora i Greci chiamano tal lìgora v*ptr9iratf , e^ 
i Latini Declinatio: o s* interrompe il diicoriò per 
raccontare' qualche fatto o per deferivere qualche 
sofà , la quale cada a propolito , benché non ap- 
Mrtenga propriamente alla nollra e:(ufa ed allora 
MI Greci tal figura .dicefi évetKÀayif y c dai Latini 
Diàreffiò (iz) • Gli efempj addotti di iopra nella 

j Fì- 

— M I I ■■ ■■.!»> iii.M ... -*<11. 


I 




non loBgi tltàrélRo, iif 
Ho, tM>eèd4ipiÉ ii md ft cònetàiiM én d 


«Dit 
De- 


/ 


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Figura di Diminuzione 'fi poflTono riferire anche a 
fuetto primo genere di Digreffione. Del fecondo 
poi fe ne trovano molti efempj maffime preffo i 
poeti , e fpecialmente in Orazio ; e Tullio ftelìb fe 
ne fervi nella’Orazione a favor di Marcello, dove'' 
dopo d’ aver ringraziato Cefareper la relUtuzione 
dell’ amico palTa a parlare dei lofpetti , che nati 
gli erano in cuore , d’ aver predo a finire i giorni 
fuoi : Nmc venia ad gravi (firn am querelam & atro^ 
cijfintam Jiifpicionèm tuam , quce non libi ipft , &c, 

ARTICOLO ir. 

•‘ Ti «‘'LtV't . c. ' I 

^ i * . • 

'Delle Figure di 'Concetto atte a commo-' 

• ' vere (i). • 

• • 

§. r. . 

: - Velli Interrog azione . 

T* ’ • 

J—i* INTERROGAZIONE detta dai Greci ipolrHfin lì 
fa non già quando dimandiamo da^alcuno per fape- 
re cofa ignota , o dubbia , ma quando con una enu- 
merazione di cofc dringiamo , ed incalziamo l’av- 

. .ver- 


Declinario brevis a proposto, non ut Tuper^or Dicreflio. De 
Orat. Ili, Sluint. IX.' 3. ^ 

. Ci) Noi trattiamo degli affetti Tolo in quanto quelli eccitanff 
«ol «earo delle Figure: imperocché il dimoftianie le vario 
loro fedi ^ ed il modo di naneegiarii a dovere appartiene al 

I >erfetto Rettorico , effirndo quefta quella parte . in cui cnnfìffe 
a Tomma lode deli* Oratore , Cccome afferma Tullio : Infte~ 
Aendo vis ornnis Orateris e/i, Orat. ad Brut. dp. Si ajfeque. 

talis videatufy quatem fe videri voiet f ^ anitnos ita 
affi fiat , ut quocumque veiit vel tr abete . vel rapere pejfit z 
nikil profeto prapetea ad dittndwn requiret , De Orat, II, 


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X 97 X 

verfario in maniera eòe reHa in certo modo aSbat- 
tuto e convinto (2) Così fece Tullio nella f. con- 
tro Catilma tandem abutere , Caùlìnay 

pat entta npjìra ? mhd ne te noaurnum pr^idmm 
palatn : mhd urbts vlsìli^ : n,hU timor poptT: 
nthil confenjus bmorum omnium: nihil hiq muni- 
tijfimus habendt fmatus locus ; nihil horum ora vul- 
tufque mo-oerunt? td a favor di Ligario : Qidd 
emm tuus die. Tubero, dijiriaus inaciePì^rfa- 
lua gladtiis agebat ? cujus latus mucro il le pite- 
bat . qut fenfus erat armorum tuorum P qua tua 

quid cupiebas P quid 
eptaba,? E Didone nel IV. della incide predo 
Vjrgjlio così parla ad Enea; ^ 

pÉ'”!!!r P"fiàe, tmium 

^Ue nefas} tacnufym mea decedere terrai 
dam^^^ quon- 

Nec moritura tenet crudeli funere Didoì 

r Interrogazione anche il Cavalcanti 

Ha et fiorentina : Chi 

pa, che alle lor voct chtuda le orecchie ì Chi vorrà 

^ ^anno incredibile 
dlL ri concordia} Non gufiate voi la 

r^tud^nliirT^- ^.^on /entftevoi P ama- 

ritudwe del abominevole odio ì Non Sapete quanto 

ciéìcoJcrdTa, 

C quanto afprt e gravi t danni della di/cordia ? Ed 
Il Salvim nella Orax. VX. Staremo dJqZZi fem- 

fed h*cVu* ™*m*'enume^ 8'’avis eli , ncque concinna, 
vcrfatioruni confirmai’ Tu > *1“® obfunt caufas ad- 

jó. De O^uHI " * i«P«noreni orationem . AdHtrtn. ll\ 

Gmi. Etm. T, X, Q 


Dic,,-i-: by- - 


X 98 )( 

trt U amenità, infiori, in delizie di portare gen^ 
idei Profumi, unguenti, pf e faranno 
gomentìì talché la nojìra immort al favella To/ca^ 
na fia folamente , come propria di vezzi , di leggia- 
. drìe riputata, e a fol levitare di delicate orec^ d 
prurito piacevolmente condannai oÀ^fan s impugne^ 
mai dunque libero fide i NonWciràmaiificam^ 
po, non in abbigliamenti digala, ^ \ 

Wde armi fornita la nqflra Eloquenza ì Qpf* 

gura pob Servire a var; affetti ; imperocché non 
folo «lova a convincere , quale fi è quell interro- 
gazionrdi Menalca pvM Virgilio tgl. 3. 

JVo» ego te vidi Damonh , pejfime y caprum 
Excipere injidiis multum latrante Eyctfca ? 

Ma ferve ancora allo fdegno , come nel I. della 
Eneide : 

quifquam Numen Junonts odor et 
'Pràterea, aut fupplex aris impanai hanoremì 

Alla compaffione , come suell’ altra dello fteffo 
Virgilio : 

Quid meus JEneas in te commtttere tantum^ 
Quid Troes potuereì quibus tota pinerapam 
CunHus ob itjiHam terrarum clauditur orPis. 

A dinotar meraviglia : 

^Tanta ne animh cxlejiibus ir'afì 
Quid non mortalia pe^hra cogis 
Auri /aera fames ? 

' E talvolta dinota vero dubbio p. c. 

En quid agam ì tur/uf ne procos irri/a pnores 
Experiar ? Numidumque petam connuùia jup- 

Iliaéas igitur claffes otque ultima Teucrum 
■JuBd/equarl ^ 


\ 


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X 99 X 


§. IL 

Ùel Sof^funglmentOé. 

I Grwì chiamano 4i^t/9mpQp4 quella Figura, chtf 
dai Latini fu dmsk Suò/eato, c fi fa quando alla 
Kirerrogazionc foggmngiamo noi medcfimi li rifpo-. 
lta(i), /ìccome fece Tullio nella cit. Oraz. con. 
tro Catilina : Quid tandem impedii te ? mos ne ma- 
forum ì At perjape etiam privati in hac Kep, per- 
mctofos ctves morte muhavunt . An leges qua de 
K. ivtum Romanorum fupplicio rogata funt ? At num- 
quam m hac urbe u qui a Rep, defecerùnt civium 
fura tenuerunt , Ed a favor della Legge Manilla : 
ìdutd tam novum y qUam adolefcentulum privatum 
exercftum difficili reipub, tempore corfficereì Confe- 
Cit : huic ^deffeì ^afuit : rem opttme du^u fuo 
éorereì geffit . Ed Orazio liLl. i. 

Petvet avaritia , miferaque cupidine peSus ? 

Sunt veria & voces , quibus hunc lenire do- 
lorem 

Poffisy & magham morbi depomrt pattern ^ 

Laudis amore eumesì Sunt certa piaeu/ay qua te 

ter pure Uno poterum recreare libello . ' 

Cos) ancbe_ Alb. loWe Onz. a Paolo IH. F U 

iiummta da toniti travàgli tpprejfaì la guittere- 
te:trwafi dalC ambt^ofa fuperka ^ e g are de'Prin» 
api fieramente percoffa ed afflitta ì la ricreerete : 

- G a fo- 

Jnterrogannu adveffarlo» a«t qu»- 
tet aut nSl ®p®^»** * quod non opor. 


j 


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X 100 X 

fono t miferi popoli per le continue ef azioni , e gra- 
vezze confumati ^ e disfatti} li rijior crete: fenteft 
la maejlà delT Impero indegnamente offefa ì la ven- 
dicherete : hanno i malìziyt uomini co* loro capricci 
la verità delle fcritture offufcata ì la illuminerete . 

E Claudio Tolomei contro Leone fecretario : C^e 
dici tu, Leone } £* (juejìo vero , che tu abbi divol- 
gati i fecretì mifleri della virtù o noi Non rifpon- 
de y perché negar noi puh y confejfar noi vorrebbe» 
Certo debbe ejfer vero . Ed il Petrarca : 

Che parlo i O dove fono} E chi mi* inganna} 
Affri , ch'io jìejfo , e V deftar foverchio . 

' §. iir. 

4 

Della Efclamazione . 

Coll un improvvifo interrom'pimento del difcorfo ^ • 
o con un’ alzata di voce molte volte noi elprimia- • • 
mo un'pili ^.agliardo affetto dell’ animo, e la gra- 
vezza ed atrocità di qualche cofa ; c (quella chia- 
mafi fisura d’ Efclamazione, che dai Greci fu det- 
ta ix^drnatf (4)’, Cicerone p. e. nella 7. contro 
Verre dopo d’aver raccontato un di lui atroce, 
e crudele misfatto, pieno di fdegno prorompe a 
dire : O magnum , atque intolerandum dolorem } O 
g 'ravem acerbamque fortunam ! Non vitam liberum^ 
fed mortis celeritatem redimere cogebatur . E con- 
tro diCatilina: O tempora y 0 mores !»., prò Dii 
ìmmortales ubinam gentiurn fumus y quam remp. 
habemus , in qua urbe ‘liivimus ! ed in favor di Li- j 

ga- 1 


CO Exciamatio ef} , quaeconficit fignificationcindoloris, aut 
{ndignationis alicuius per homttiig . aut nrbis, aut loci, auc 
cpjufpiam compcllationea . Ad Utrtn, If^, 15. De Orat» UT, 


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X «01 X 

garlo avendo prima commendato la generolltà di 
Cefare , eiclama : O dernenttam admirabilem , atqiiÉ 
Omni laude ipradicatione^ literisy monumenti f gue de- 
cor andam ! Così pure Anchife nel f V. della Enei- 
de dopo d’ aver riprefo Enea con quelle parole : 

'tu nunc Carthagìnis alta 
Fund amenta locas\ pulcramque Uxortus urbem 
Extruis , fclama : fieu regni , rerumque oblile 
tttarum / 


altrimenti jl Boccaccio dopo d’aver raccontato 
della fua patria nella Deicrizione della 
• P^iienza j eiclama r o quanti gran palagi rtmaje- 
ro, vuoti y 4) quante memorabili J chiatte fi videro fen- 
,za fucceffer rimanere ' Èà Alb. Lollio nella Oraz^ 
m difefa di M. Orazio : Non poffo , non poffo , 
Romani , ritener^ lo impeto delle lagrime , che mi 
abbondano^ avvegnaché Orazào con le lagrime non 
^tioglta e\jer dife/o • O forte ed invi tdjfimo campio- 
ne y jìdoy e '/aldo foflegne, della gloria Romana ! O 
/opra ogm^ altro rnagnanimo, e vai orafo cavaliere ! 
O vero efempio di piet^ e di virtù! eCé H Dante 
cant^ II. del Purgatorio: 

. P ombre vane fuor che neW afpetto! ' 

Ed il Petrarca cap.ll. Triónfo della Morte: 

O umane Speranze , e cieche y e falfe ! 


Dalli efemoi fin qui addotti ben fi vede, che T E- 
fdamazione può.feryire non folo al dolore , ma 
anche alla meraviglia, allo fdegno, alla qompaC* 
none, alla gio;a , al defiderio , e a dinotare qua- 
lunque altro afietto deli’ animo nofiro . 



' X" IÒ2 X 

. IV, 

Della Apojìrofe , 

L* Apoftrofe òffoaTpopi così detta dai Greci è 
una figura belIi/Tima, ed al focniDo efficace. Sì fa 
poi allora Quando tutto ad un tratto da quello eoa 
cui , o verfo cui parlavafi fi rivolge il ctifcorTo ad 
altra cofa o perfona prefente oppur anche abfen- 
te (5). Tale fi è quella di Tullio nell’ Orazione 
fatta a favor di Milone : vos appello 

mi viri , multum prò rep, faneuìnem effadifits , 
Vos in viri Ù" civis inviBi appello periculo\ Cen* 
turtones , vo/gfte milites , , . vos enim jam Albani 
tumuli y iftque luci ^ vosj htquam y infioro atque 
ùbtefior , vofque Albanorum obruta ara /acrorum 
F.Rom, foci, e tV aquahs , E fui fine della i. Ca- 
tilinaria : Tum tu Juppttety qui iifdem y quibus 
hxc urbs aufpiciis a Romulo es conjiitutusy dVe, An- 
che Enea nel I. della Eneide con una Aj^firofe fi 
vols.e a parlare a* compagni defunti in Troja .* 

0 terque , quaterque beati , 

Queis antf ora patruqij Troja fub momib. altì$ 
Cmtigit oppetert y q Danaum jortijfime gentis 
1 yd'tae , 

£ Didone nel W, così parla alla Sorella ; 

Tu lactymis evfHa meisy tu prima furentem 
His germana rnalis oneraSy atque objicis hojìi , 

Cosi anche il Cafa nella Tua orazione a Carlo V, 

O 


Cs) Se noi ci volgiamo a perrona abfentef o ft cofa inani- 
mata, allora l^Apolirofe è mifla colla Profopopeìa , percbè 
fi fapponC} ebe oda chi aoo i in iftato 4’afcoiuici« 


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X 103 X 

ò glorUfey 0 btn nate y e bene avuenturof e anime y 
che nella pericolùfay ed afpra guerra della Magna 
feguìjìe il Duca y e di /uamiltzia fojìe ,, , vedete 
vot ora in che dolente Jlato il vojlro Signore è po- ^ 
Jìo. Ed Alb. LoIIio in morte di Ferrino; O ami- * 
chjay donoy e grazia veramente dì Dio 1 Tu fola 
con la venerabil tua prefenza ogni azione umana 
condifei y e fai perfetta ! fenza il tuo nome tutte le 
nofìre operaziont infaujìey infelici y imperfettiffime 
fi ritrovano. Ed il Salvini nella Oraz. Vili, in 
lode del Redi : Giovani voiy che dal dolce defio^ 
di gloria fpronatiy abbandonando genero/ amente li 
f puffi y ed i dilettofi invitti di vofir a f refe a età non 
afcolt andò all' erto y e faticofo^ poggio della virtà 
v^ incamminate y dite y chi vi fece dare i primi 
chi vi di è manoy chi vi guidò y chi vt feor^ 
fey chi vi confortò nel gran viaggio fe non il Re- 
di , Ed il Petrarca nel cap. I. del Trionfo della 
Fama fi volge alle Mufe, dicendo: 

O Polìmnìa ora prego , che m' aiti , 

* E tu Minerva ^l mìo Jlile accompagni , 

£d altrove : 

Valle che de' lamenti miei fei piena : 

Fiume y che fpefo del mio pianger crefei: 

Fiere filvejìrì y vaghi augelli y e pffoiy 
Che /* una e V altra verde riva tffrena > re. 


Della Frofopopeja , 

Allorché nel nofira parlare introdaciatno alcuna 
* perfona abfente , morta , o ancora qualche cofa 
inanimata a fare .ciò che proprio è foltanto di chi 
vive ed è prefente, o di chi per lo meno è uch 
mo , quella chiamafi dai Greci nrpoavimnM , e dai 

G 4 


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- XlC4X • 

Latini Conformatìo (6) . Cicerone p. e. tella pri- 
ma contro di Catiiina così fa parlar Roma : Nul- 
lum jam tot annos factnus extìtit , nifi per te t 
, nullum flagitium fine- te : tibi uni multorum civium 
t' neces: tibi p^c, E contro di Verre introduce a 
parlar la Sicilia : Q^od auri fuit , quod argenti ^ 
quod ornamentorum in meis urbìbus , fedibus , We- 
lubris fuit ^ id mihi'tu eripuifii atque abfiuìijii , 
Mirabile ed elegantiflìma è quella Profopopeja , 
con cui Lucano nel lib. L della fua Farfaglia ci 
defcrive la Città di Roma come una dolente Re- 
gina , e poi r introduce a parlare : 

Ingens vifa duci patria trepidanti^ imago 
Clara per obfcuram , vultu mocfiiffima noìlem ‘ 
Turrigero canos effundens vertice crineSy 
Caf arie lacera nudifque adjìare lacertis ^ 

Et gemi tu permixta loqid : quo tóndi tis ultfa^ 
Quo fertis mea figna' viri ? 

Anche il Cafa fi fervi d’una tal figura nella cit. 
Oraz. a Carlo V. f^uefla terra , S, M , , e quejìi li- 
di parca ^ che ave fiero vaghezza ^ e defiderio di far- 
viji allo'ncfintro ed il vojìro travagliato e com- 
battuto navilio /occorrere^ e nè' lof feni e né* lor 
‘ porti abbracciarlo . E poco dopo : ecco i vofiri fol- 
dati, S.Mr, e la nqftra forti (fima miltzja fin dal 
Cielo vi mojira le piaghe, che ella per' Voi rice- 
vette : e vi prega ora , che V voflro grave fdegrut 
s' ammoUifca , Ed il Salviati Orazione in morte 
dei Cardinale d’ Efie : Mi par quafi udirlo parlar 

te- 


CO Conforraatia eli, cum afiqua , <jua noti adefl, perfora 
con6ngitur, qnafi adfit , aat cam res muta aut informis fit lo- 
queosy & forma ei , &oratio attribuitur ad dignitatem accom- 
nrodaca, aut aftio ^uaedam , Miun, 55, Dt Orat. Uh 


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X 105 )C ■ 

tico di quejìo tenore: Sire y non pià angofce y non 
pià querele : la mia morte e ciò che è avvenuto di 
è Jlato per lo migliore . 

, A querta Figura pur fi riducono i feguenti modi 
di dire ufati da Tullio nella Oraz. a favor di Mi- ‘ 

Ione : quis ejl , qui quoquo modo quis interfeBus 
fit y puniendum putet , cum videat , aliquando già- 
dium mbis ad occidendum hominem ab ipjts porri- \ 

gi legìbus . . Silent enim leges inter arma , nec 
je expeSari jubeni . Ed i feguenti di Virgilio : 

. Atque indignatum magnis'Jlridoribus aquor , 

Mtraiurque novas frondes Ù" non fu a’ poma . 

♦ 

Siccome anche que’ del Petrarca : 

Amor y che nel penfier mio vive , e regna , 

E ’/ fuo feggio maggior nel mio cor tiene y 
T alor armato nella fronte viene , 

Ivi fi loca , ed ivi pon fua infegna . 

§: vL , ■ 

Della Ipotipofi, 

Mon v’ha forfè, altra Figura pih difficile e nello 
ftelTo tempo più utile per piegar l’animo altrui, 

' quanto quefia , che dai Greci vien detta òìtotÌvoìois , 
è dai Latini Demonjìratio . Si fa poi quando così al 
vivo fi defcrive alcun avvenimento, o anche alcuna 
perfona,- che non fembra già di udire, ma di veder 
co’ propri occhi quello che vien raccontato (7) . 

L’ Au- 


. ' I » • * 

C?ò Dfmondratio eft , cum ita rea verbis exprimitDr y aC 
peri neRocium & res ante oculoe ette videatur . jfd Hertn. 
. Qj*inx, IX, %. 


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X io<5 X 

V Astore ad Erennio così defcrlve il fatto della 
morte di C, Gracco; IJle tnterea fcelert , & ma- 
Ih cogitationibus redumanSy eyolat ex tempio Jo-, 
visy & 'JudanSy oculh ardentjbus y ere^o captilo y 
contorta toga ^ cum pluùbus alits ire celerius ccepit . 
Cum Gracchus deos inciperet precari , curftm ijii 
impetum faciunt : ex alits alttfque jpartibus convo- 
lant : atque e populo unui : fitgey tnquit y Tiberii 
: non vi desi refpiccy inquam , Deinde vaga 
multitudo y fubito timore perterrita , fugere capii . 
At ijie Spumane ex ore Jcelus , anhelans ex intimo 
péSlore crudelttatem ^ contqrquet brachium ; & du- 
bitanti Gracchoy qutd eQ et y ncque tamen locum ^ 
in quo conjliterat , relinquenti , percutit tempus , 
llle nullam vocem edens inftta vtrtute concidtt ta- 
ci tus. £ Cicerone con elefante Ipotipofi dei'crive 
la crudeltà di Verrc: Ip/e inflammatus federe & 
furore in forum venie, ^rdebant acuti f tota ex ore 
crudeittas emicabat , ExpeBabant omnes quo tan- 
dem progreff^urus , aut quidnam afìurus efjet , cum 
repente hominem corripi , atque in foro medio nu- 
dar i ac ddigari , Ó* virgas exùedtri Jubet . Cla- 
mai ille mijer , fe civem effe Romanumi9), Bel- 
Jiflìme Ipotipo/i s’ incontrano preffo Virgilio, qua- 
le fi è p, e. quella del ìib. IV\ della Eneide ; 

j^t trepida , ^ ceeptis immanibus tffera Dtdo 
Sangutneam volvens aciemy maculi f que' tre- 
mentes 

Interfufa genas , tT pallida morte futura y 

Con- 

. • ■, 


CO Quefta Ipotipofi di Cicerone viene rìpntt^^Btporepgia, 
Mie da Quiatiliaoo e da A. Gellio N. Attù, IC |. dove fa, 
cendone contrappofto coo an fimil facto raccootito da Gracco 
«ella (aa Oracioae dt tég- promut. ia qa«ao modo ; palus de, 
.Jhius $a in foro ; «ofM addn^us Jma eivitatit nobUifflmus 
kow H- Merius , veftinunta durala funt , virgU eejut , 

di- 


X *07 X 

Confcendit furìbunda rogos enfmqui recìudU 
Atque graves oculos^ conata attollere rurfus 
Deficit , irfixum firidet fttò pecore vulnus . 

Ter fe fe attoìlens ^ cubitorjue innixa levavi t y 
Ter revoluta toro ejl y oculifque erranti bus alto 
Qjftefivit calo lucem , ingemuitque reperto . 

E quell* altra dePLib. Vili, dove defcrive i Ci- 
clopi : 

f * Ter rum exercebant vaflo Cyclopes in antro 
^rontefque y Steropefquè y & nudus membra 
^ Pyracmon 

Alti ventofis follibus auras 
Aecipiunt , redduntyue : Élii Jiridentia tmgunt 
JEra^ lacu ; gemit tmpofitis tncudihus antrum . 
UH inter fefe multa vi brachi a tollunt 
In numerum , verfantque tenaci forcipe maffam . 

II Cafa nella cit. Orazione per la Lega usb del- 
la Ipodpolì defcrivendo lotto lembianza di una fie- 
ra r Alemagna , cosi : Egli agio avrà di dimejìi- 
care , e render manfueta , e quieta r Alemagna , la 
quale ora , come generofa fiera e non avvezza alle 
catene , mugghia forte y e fi dibatte , e di roderle , 
e di fyex.zarley e la fua libertà riprendere fi sfor- 
za . Ed il Tallo nel Canto IV. della fua^Geru- 
faletnme così ci dipinge il Re degli abilTi per via ' 
d’ una elegante Ipotipofi f 

Orrida maeflà nel fiero afpetto 
Terrore accrefccy e pià fbperbo il rende: 
Roffeggian gli occhi y e dt veneno infetto 

Co- 


lica ! Mac fola ytfha mediai fidius nudati , ac diligati , ^ 
virgat tM fiditi jabety tanti mttas ^ tmorifjM fuat , «f W9 

narrari, fei rem p/eri potitts videat» 


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• X io8 X 

Come irìfaujìa Cometa il guardo fplenàe i 
Gl' involve il mento ^ e fu V irfutQ petto 
Ifpida e folta la gran barba fcende ; 

È in guifa di vor aggine profonda 
y apre la bocca di* atro /angue immoì^ ^ 


• , . §. VIL^ 

, Ùella Obfecrazionè . 

Si fa quella figura, quando imploriamo 1’ ajufo^ 
la fede, e la giufiizia di quafch’unoy o c^fef- 
fando il noftro delitto, e chiedendone • perdio , 
ovvero amplificando le noftre miferie jjcr ottene- 
re pietà. Nel' primo ffiodo dai Latini fu detta 
Deprecatìo ig) i e dai Greci opta’Koyia^ nel fecondo 
da quelli Canquefiio {i6) , e da qudti S'iirffic. Ec- 
co, come ne ufa Cicerone nella .orazione a favor ^ 
di Ligario :. Ego ad, parentem loquor » Erravi y 
temere feci , poenitet , ad clementiani tuam confiti 
gio , delibi veni am petOy. ut ignofcas oro », * mo- j 
veant te horum lacrymx , moveat 'pietas , moveat 1 
germanitas y valeat tua vox illa qujt vicit , Ed in 
quella per il Re De;otaro : Hoc nos primum me- 
tu C, Cafar per fidem conjìantiam , & eie- 
mentiam tuam libera j ne refidere in te ullam par- 
tem iracundia fufpicemur . Per dexteram te’ ijìam 
oro quarn regi Dejotaro hofpes hofpiti porrexijìi : 
ijlam , inquam , dexteram non tam in bel li s Ó" ift 


(9) Deprecatto elt, coiti & peccafTe, & confulto reua 
ranfirptur , & tamen poftular, ut fui mifereatur. Ad Htren. 
ì. 14. Dt Orat. Iti. 

Conqueflio eft orario, quae inconinodoram amplifica, 
ticme aoimutn auditoris ad ipire'ricordiaiii perducit. Ad He- 
rta. III. 13, Oe Orar. UT. 


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)C 109 X 

pralits , quam in promijfis & fide firrtiiorem . E 
preflb Virgilio nel lib. III. della Eneide Acfaemc-'^ 
nide così fupplica Enea : ' ' ' 

. per fiderà teJìor\ 

Per fuperos y atque hoc cali /pira bile lumen 
T olVtte meT eucrj , quafcumque abduàte ter ras , 
Hoc fai erti . Scio me Danats e ciaffibUs ùnum 
Et bello Iliacos fateor petiìfie penapes 

E nel VI. Palinnro. 

%• 

Quod te per tjeli jucunàum lumen’ & auras 
Per genitòreni oro ^ per fpem ' /urgenti s luliy 
..Eripe me inviae y mahs ^ . . • . , 

Da dextram mi fero , & tecum rne folle per 

undas , . . • 

\ * / . 

Anche il Cafa per. movere a ..pietà Carlo V. Im- 
peratore verfo il Principe Ino nipote nnifee una e- 
legante Profopopeja alla Obfecrazione dicendo : 
Quelli le tenere braccia ed innocenti difende verfo 
V, M‘ timido , lagrimofo , t colla lingua ancora non 
ferma y mercè le chiede i perciocché le prime novel- 
le y che il fuo puerile animo ha potuto per le orec- 
chie^ ricevere fonò fiate morte y e J angue , ed eftlio y 
ed i primi vefiimenti , co' quali egli ha dopo le fa- 
fee ricopertole fue pìcciole membra fono fiati bru~- 
ni e di' duolo ; e le fejìe , e le carezze, che egli ha 
primieramente dalla fconfolata Madre ricevute f&no 
fiate lagrime e finghiòzzi , e pi et ofo pianto e dirèt- 
to , Ed Alb. Lollio in morte del Ferrino: Ma io 
ti prego. Signore y per quella immenfa inefiimàbìle 
carità, con la quale tu' abbracci , ed ami tutta la^ 
generazione degli uomini , per quella dico , che ti 
fece f tendere dal Cielo, in terra , a piglìflf le fpo' 
glie della nofira fragilità , che ti fe'^ancòra patir 
fame , fete , caldo, freddo , fatiche ,' f udori , villa- 
nie aif pregi y battiture, flagelli ^ e thè final- 

' men- 



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% tta )(■ ' 

mente fuW'altOy e duro le^no della Cróce s) afpra^ 
e così obbrobrtoja morte t$ fe' /offrire y per ^uel- 
la , per quella Signor mio^ ti prego y ti /upplicOf 
e ti /congiuro ,• non rnirare alla moltitudine » nk 
alla bruttezza dei miei peccati ^ li quali /ono orri^ 
bili ed infiniti» Vagliami vagliami ^ Signore y la 
virtà incomparabile di quel tuo preziofijjimo San^ 
gue , che con sì ardente zelo ver/afii fuW altare 
della nojlra redenzione , per liberarci dalla tiran- 
nide eterna. Ed Armida così fcongiura la elenien>‘ 
za di Goffredo prcfTo il Taflb 

Per quejìi piedi y onde i /uperbi e gli empj 

. Calchi: per quejìa man^ che il diritto aita; 
Per r alme tue vittorie ; e per que^ tempj 
Sacri y cui dejìi y e cui dar cerchi aita y 
Il mio de/tr tu y che puoi /oloy adempiy ec. 

§. Viri. 

Ùella Imprecazione ^ 

a 

La Imprecazione detta dai Greci fi 
cnando , accefo di giudo fdegno , l’ Oratore o i» 
Poeta cmatoa mt cadigo contro 


altrui 


anche 


fopra fe fteflb , ficcome fece Cicerone parlando a 
favor del Re Dejotaro : Dii te perdant y fugitive» 
Ita non modo nequam Ó* improbus y /ed etiam fa- 
tuus p‘ amene es , E contro Pilone: Ut tu nau- 
fragio expul/tts u/piam /axis fixus a/peris , evH 
/eeratus latere^ penderes , /axa /pargens tabo v /a“ 
niey & /anguine atro , E Priamo nel II. della E- 
«dde fa quella imprecazione contro di Pirro ; 

At tibi prò /celere ^ exclamat y prò talibus auji$ 
Si qua eft c^lo ptetas y qua talia curet y 
Fèr/olyant grates dignas pramia reddant » 

Va 


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X HI X 

£ Ditone oel IV. contro fé fleOà ; 

Sed mìhi vel tellus , ùptem ^prtus ima deUfcat, 
Veì Pater Omnìpotens aàt^at me fulmine ad 
umbras i 

£ dopo contro di Enea : 

Littcra littcrióus contraria , fiuBibus undas 
Imprecar « arma armis jpugnent ipfique nepotes • 

Anche Alb. Loilio nella orazione in difefa di Fo- 
no Crefina ufa di quella ^figura ; In tejimonio dell* 
integrità ed innocenza mìa y io chiamo la fede e la 

f 'iujtìzia degl* Iddìi immortali , e divotijfim amente 
i priego , fìe io f^pi mai ^ nè fo fare inamti^ o 
malìe di neffuna Jorta , che f opra dì me viJUtìi* 
mente mandino il fuoco dal Cielo -t dal quale alla 
prefenxM vojìra io fia fubìto ejìinto • E Dante Can- 
to VI. Del Purgat, 

Giuflo giudìcìo dalle flelle caggìa 
Sorvra V tuo f angue , e fta nuovo ed aperto , 
Tal che*l tuo Juceejfor 'temenza ri aggi a* 

Ed il Petr. 

Fiamma dal Ciel fu le tue treccie piova , 
Malvagia donna ^ ec, 

§. IX. 

Della Correzione* 

La Correzione, che i Greci chiamano hophaetc 
è nna Figura piena d’artificio, e lì fa quando a bel- 
la polla fi proferifce uiia parola o «n Icntimento» 
che poi fi ritratta , follituendone un altro pib ac- 
concio, acciocché fcriamcnte l’uditore a quello ri- 
flettcuao, lo confidai, e gli s’ imprima nell* ani- 
mo 


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Xn2)C 

mo (il). Così Tullio nella orazione a favor di Ce- 
lio dille : O Jiultìtiam ! Jìulttttam ne dìcam y an de- 
menttam fingularem ? e nella Filippica XIV. Num- 
quam entm in civili bello fupplicatio decreta ejl . 
Decretam dico ? ne viéìoris quidem literis pojìu- 
lata, E Terenzio nella Tua Commedia intitolata 
Heautontimorumenos fa che un vecchio così parli : 

. Fiitum unicum adolefcentulum 

Habeo . Ahi quid dixi habere me? Imo ha- 
bui y Chrème y 

Nunc habeam nec ne , incertum ejì . 

Ed Alb. Lollio nella Oraz. a Paolo HI. Non fa 
egli forfè , o non fi ricorda , voi efier Crijliano ? ' 
Crijiiano ? Anzi Religio foy e fommo Sacerdote • 
Religiofò ? Anzi minifìro della Cattolica Fede , 
Minijìro ? Anzi pur capo e Principe della Chiefa 
di Dio . Ed il Petrarca in lode di M. V. 

» • 

Vergine faggi a , e del bel numer una 
Delle beate Vergini prudenti ; 

Anzi la prima y e con più chiara lampa . 

E nel Sonetto ; • 

Paffa la nave mia ec, ■ 

Siede il Signore y anzi il nemico mio , 

Alle volte fi fa la correzione di un intero fenti- 
mento > ficcome fece /Tullio contro di Catilina : 
Quamquam quid loquor y te ut ulla res frangat : tu 
ut umquam te cqrrigas : tu ut ull am fug am medite- 
rò : tu ut ullum extlium cogitesì Utinam tibi ijlam 
mentem Dìi ìmmortales donar ent ! e per la Legge 

Ma- 


è 

Cil^ Corredilo ed quz tolli't id , quod di£lutn ed , & prò 
*o id quod tnagis idoneum vtdetur , reponit , Ad Htrtn. ir. 
ad, Dt Orar, 111, , . t , 


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V ' 


X 113 X 

Manilla : Sed quid hac longtnqua eommemùvo ^ fuit 
hoc quondam , fuit proprium F, R. long e a domo . 
òellarefO'c, E così anche Virgilio nella IV. dclr 
la Eneide : ' , 

» I 

Ferte chi flamrnas , date velày impelihe re- 
mas . 

Quid_ loquor ? aut> ubi funi ? qua mentem in- 
fanta mutai ? 

Ed il Cafa nella Orarione 2. per la Lega : Ma 
perchè vado io li fegni e gF indizj dèi nofiro ti- 
more raccogliendo y e raccontando , come Je la va- 
Jlra paura foffe dubbia , ed occulta ? Non confef- 
ftamo noi d' ejfere. avviliti , ed impauriti in quello 
che noi facciamo dì prefente? Ed il Petrarca cap. 
Il, Trionfo della Morte: 

Mifer chi fpeme in cofa mortai pone 

{ Ma chi non ve la pone ì ) e F ei fi trova 
Alla fine ingannato è ben ragione. 


§. X. 

Della S ofpenfionè , 


. r 


E* quella una Figura, per cui con un lungo di- 
fcorfo teniamo fofpefì gli animi degli uditori , pro- 
mettendo loro di manifeftar cofa intereflante; e fi- 
nalmente poi^ diciaro quello che da loro meno fi 
afpettaya . I Greci chiamano quella Figura •n-etpcii'i- 
^oy. Cicerone volendo , che il delitto di C. Ver- 
re folle confiderato dai giudici , e che appariflTc lo- 
ro veramente grave , fi fervi della Sofpenfione in 
quello modo : Quid deinde y quid cenfetisì furtum 
fortafe aut pradam expe6ìatts aliquam ? Nolite 
ufquequaque^ eadem quarere , . , Etiam num mihì 
expeUare vi demini . fudìces , quid deinde fafium 
Ciard, Elem, T. I, H fit ... 


..cium 

fit ••• 


Dl>,’ byCoQgie 


X 1*4 X 

fit , , , Expe^ate facìms quam yuUts mprobum / 
vifìcam tamen expe^atìonem omnium. Hommesfce- 
lerts . conìurat toni fque danmatt ^ad fuppitctum tra- 
diti' ad palum allibati E lepidamente cosi 

fcherzò Marziale in un fuo Epigramma: 

Quod convivati s fine me tam fxpey Luperce 
Jnveni . noceam qua ratione ubi . 

Ira fcat* licet ufque voces y mtttafquey rogefque ; 
^uid facies ) ìnquis. Quid faaamì ventam, 

BelIilTima fi è la feguente Sofpenfione fatta da Alb. 
Lollio neU’efordio della fua orazione m morte dei 
Ferrino : Quello elevato Spirito » quel perfpicace 
ingegno y quel giovane tanto^ vìrtuofo , ornato dt sì 
acconce maniere y e pieno dt coftumt candidtyim/ y 
quello dico y che mi era in amor fratello , net con- 
TiPli padre y e nella conformità del volere ajutOy e 
compagno gratifimcy quello in fomma , che r=on la 
umanità y la modefiia y la manfuetudtne y l^ affabi- 
lità y la gentilezza y e la còrtefia fua rapiva dol- 
cemente il cuore dt tutu gli uomini y fuor d ogni 
mia afpettazione nel più bel fiore degli anni fuoty 
quando ei Sperava di Soffre al maggior grado . e 
mentre, eh' egli era per coglier qualche frutto del- 
le onorate /«tf fatiche , in un giorno, in un ora . 
in un momento è morto. Si pofìTono ye<kre g i 
altri efempi de* poeti Italiani prelTo 
Sonetto , Pommi twe^ V Sol , e predo il Cafa 
quello, che incomincia, La bella tareca, ec. 


XL 

Della Preterizione • 




Li 
pilbre 


Preterizione fi b , quzndp fingia®<> <1! 
B folto filenzio, o di non fapcre, o 


7 ♦ 

, . - byCi.ogl 


* X ri5 K 

gnare di dir quello appunto, che allora manifeliia^ 
jno (i2>. Qucfta è una Figura, che richiede molta 
, deftrezza c fagacità, perchè ferve a palefar quelle 
cofe, che torna bene, che non fi dicano; a tron- 
car quelle che farebbero troppo lunghe; a render 
meno {piacevoli le cofe vili e bafie ; a fare in fom- 
ma . che in verun conto riprender non fi polla 
quello, che detto altrimenti forfè degno farebbe di 
riprcnuone (15). I Greci divifero quella Figura in 
due parti * Quando fingefi di tacere quello che fi 
dica^*la chiamarono ìtecpetkv 4 ‘tf ’• quando poi fde- 

S nofamente fi ributta alcuna cofa , come indegna 
a dirfi , là chiamarono' . Del primo ge^* 
nere fi è la feguente di Tullio per la legge Mani- 
iia •. Itaque non fum pradicaturus ^ Quirites^ quan- 
tas ille res domi , mtlttixque terra , marique , quan~ 
taque felicitate gcjjftrit ; ut ejus femper voluntatihus 
non moda^ cives ajjenfertnt , focii obtemperarint , ho^ 
Jìes obedìerint / fed etiam venti , tempeflatefque ob- 
fecundarint : hoc brevijjime dicam * E quella contro 
Vatinio : Illud tenebncqfiffimum tempus ineuntis £• 
tatìs tua pattar latere ; licet impune per me parie- 
tes in adolefcentia perfoderh j vicinos compiìarh ^ 
matrem verberarìs . Del fecondo genere poi quella 
di Scipione prelTo T. Livio i Horret animus referre 
quid crediderint homines , quid fperaverint , quid 
optaverint ; auferat omnia irrità oblivìo ^ fi potejì ^ 
fi non, utcumquefilentiumtegat, E quella ai Tul- 

H 2 lio 


<n) Occupatio fffi, cnm dtciain, noaprcttrir*, tut non 
fcirt , «ut noli» dirvr* id qnod tnnc naihnt dicimm . JLà 
Mfftn. vf. Dt Otar.'Tìt, • • • 

C13) H«c Btilit cft fi tot rrn enan non pcrtincat alt» o- 
Sendart, occnlie admoanilTr prodefl , auf fi loagom -«ft, aoe 
ignobile, tac ptonuin, am 400 patcii fieri, aut fiicJt* pouA 
ratrabfiadi. dW. . . ! 


.X Ii6t 

lio contro Verre: In Jluprtsvero, 0* fi agì ttìs ne-^ 
farias ejas Itbtdines commemorare pudore deterreor . 
Anche il Cala usò. di quella Figura nella Grazio-: 
ne a Carlo V. Io lafcìo fiore e Bologna , e Ytren^ 
ze , ^ Roma, e molti altri fiati . de quali voi^per 
avventura avrefie potuto 

tempi farvi Signore. Ed iUb. Lollio nella Graz* . 
a Paolo III. la reio per brevità que quattro rp,lie 
Svizzeri cattolici , che m poche ore ptà di fedtct 
wil le Eretici tagliarlo a pezzi . Taccio la mar a> 
vkliofa vittoria di Teodofio contro Ergobajté^i- 
mìlmente paffo i generofi fatti d, Gottifredo di 

Vittimino^ e di molti altri . Ed in lode dell Elo- 
quenza: io non temeffi di offendere fri ciò la 

fua fomma modefiia > direi arduamente , lui ( An- 
timaco) effere il vero efemPto , V.'Z' ’ 

pine di tutte le virtù . Ed il Tallo nel Canto 
Vili, della Gerulalemme liberata r 

Taccio , che fu dall\ armi e daW Ingegno' . 
Del buon Tancredi la Ciltcìa dorna , 

E eh' ora il Franco a tradigton la gode, . 

E i premi ufurpa del valor la frode . ^ 
Taccio, eh' ove il bifogno e 'I tempo chiede 
Pronta man, penfier fermo, animo audace, tQ. 

§. XIL ’ ; 

Della Apofiopefi . ^ 

Qnefta Figura non è molto di verfa dalla Prete- 
rizione (14). Dal Greci fu chiamata 


CX4^ <luell*,*cfc« i Greci Khitmiiiior Pereltpfi 
«nVele df non Vòltr dire io che appunto 
dioKi fi ch« fi «fiat* » « h*»!*»* • ““ JJe * 


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X ti7 X 

c dai Latini Trxctfio , perchè fi forma èoti tfoti» 
care tutto ad un tratto il difcorfo , lafciandolo 
imperfetto inafpettatamente , per dare motivo alli 
afcoltanti di V^nfar cofe affai maggiori (15). Così 
Cicerone contro diClodio diffe: An h'ujus leg'tS ^ 
quam Clodius a fe ìnvent am glori atur ^ mentionem 
facete aufus ejfet vivo Mtlone , ne dicam Confule^ 
Nojìrum enim omnium,.,, non audeo totum dicere , 

E i’ Autore ad Erennio ; Tu ifla nunc audes di- 
cere , qui nuper aliente domai .... non aufim dicere , 
ne cum te dtgna dixero , me indignum quidpiam 
dixi(fe vìdear , Anche Eolo preffo Virgilio nell, 
della Eneide ufa della Apofiopefi in quello modo: 

Jam calum & terram meo fine numine venti 
Mifcere ,ò“ tantas audetis t oliere moles ? 

Qjios ego... fed motos prajìat componete fluSìuf, 
tojì miht non ftmili pana commìjfa luetis . 

E nel II. così parla Sinone: 

f 

Nec requievtt enim , donec Calchanie minifiro . 

Sed quid ego-htec autem nequicquam ingrata 

revolvo ? ‘ - 

E nel V* 

Non jam prima peto Ndneflheusi net vincere certo* 

“ Quamquam 0 ! fed fuperent quiòus hoc , 

Neptune y dedijìi . 

H-5 è 


chf veramente fi dice^ o fi riferva a dire in altro tempo. La 
Retfeenza poi o Apofiopefi finge, che oppreflì dalla collera, 
dal dolore , o da altro affetto non pofTiattio piìl dire qv.eilo, 
che giii fi diceva . 

CiS) Przeifio eli, cutil , di^ia quibafdam reliquum , quod 
coeptum eli dici, reUnquitur in audientium judicio. Ad Ut» 
nn. ìf^. 30. Ùt Orai. III. 




I 


• it 


’ l . 


« '% 
%• 




X118X . 

E Tibullo in fuo Epigramma: 

Improbus ut fi quh nqfjrtm vwlarh agellum y 

Hunc tu ; fed tacco : fcts^puto , quod Jtquttur . 

• 

Anche il Salvini nella fua Lezione «17. fulla lin- 
gua Tofcana ufa dell’Apofiopefi così : Straniero 
non V ha , che colla punta per così dire delle 
labbra la gujìi , che non fen innamori ^ e che non 
ne fenta fino fui principio V 'mcompar abile foavi- 
Ma dove mi trafporta /’ amore a quejìa 


ta 


ec. Ed il TaflTo: 


Lingua 

.... Che s) , che^ sì .... ma intanto 
Conobbe ^ eh* e feguito era V incanto, ‘ 

XIII. 

"Della Antitefi , ’ * 

Antitefi ùvr'diTov o fia contrappolìo è una Fi- 
gura , per cui fi op^ngono parole a parole , e con- 
cetti a concetti (ló). Del primo genere fiè quefia . 
* di Tullio nella Catilinaria 1, Hoc vero quis ferro 
poffìty inertes homines fortijfimis infidiari y fiultijfi- 
ims prudentijfimis , ebriofos fobriis , dormientes vi- 
gii antibus Ex hac parte pugnat pudor y illinc ■ 

petulantia : bine pietas y illinc Jcelus : hinefidesy 
illinc fraudatio , &c. Del fecondo quella dello Itef- 
I0 nella Oraz. a favor di Rofeio : Accufant ii qu[ 
in fortunas ejus invaferunt \ caufam dixit età 
prater calamitatem nihil rèliquerunt , Accufant ii , 
quibus eccidi patrem S.Rj^cii bono fuit j caufam 
dicit isy cui non modo lunum mors patris attulit y 

ve- 


*. •» 


(16) Conteatio eft, cum e* contmiis verbis aut rebus o- 
ratio conficitur. Aa Htrtn, IV. li» De Or et. Ili, 


d 


I*. 

f 

* i 

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• • X IIP X 

ve/um ettam egejìatem . Scrvefi di qoefta Figura 
Ovidio nel I. deile Metamorfofì , dove dice ; 

Frigida pugnabant calidis^ humentia ficcisy 
Molli a cumdurisy/ine pondero lì abonti a pondus . 

£ Marziale in quel Tuo Epigramma : 

DifficUisy facilis y jucunduSy acerbus es idem : 
Nec tecum pojfum vivere , nec fine te , 

Antitcfi di parole fi è la feguenre di Alb. Lollio 
nella Oraz. a Paolo HI. E così finalmente la te- 
merità alla ragione y la bugia alla verità y le tene- 
bre alia luce aaran luogo . Antitefi di concetto poi 
quefi’ altra della fieffa orazione , Movefi /’ Impe- 
ratore non per cupidigia d* allargare i confini y ma^ 
per confervarli: non per difendere le membra deW 
Impero , ma per non perdere il capo : non per o^ 

' primer gl* innocenti , ma per correggere i dìfubbi- 
dienti . Così pure nell’ Oraz. in lode della Sapien- 
za : Molti altri Principi fi dilettano della guerra ; 
il prudenti (fimo nojìro Principe ama la face, jII- 
tri alla loro particolare utilità e proprio comodo 
intenti , poco o nulla curano il ben comune de* fuoi 
Cittadini / il benigni (fimo Duca nojìro altro non 
cerca , altro non deftdera , che di far fempre benefi- 
cio a ciafcuno. Altri fuperbamente y econfevertth 
comandano a* fudditi ; egli a guifa di buon pajlo- 
re y anzi qual amorevole padre cfin umanità , e con 
defirezza governa i fuoi popoli , Ed il Petrarca: 

Ve^io fenz* occhi ^ e non ho lingua y e grido 
È bramo di perir , e chieggio aita , 

Ed ho in odio me fle(fo , ed amo altrui : 

Pafcomi di dolor , piangendo rido , 

Egualmente ho in odio e motte y e vitOy cc. 

Due cofe dobbiamo aver di mira nel far ufo 

H 4 del- 


X 


X lio X • 

«Jclla Anfitcfi. i. Che non Hano troppo' fremen- 
ti (17): 2. Che vengano naturalmente, perchè 
altrimenti in cambio di dar forza , rendono ian- 
giiidd, e freddo il difcorfo (18).' 

§. XIV. 

Della Efornaztow . 

( 

, Quefta Figura che Efornazione o Efpolizione fi 
chiama» dai Greci fu detta sri^spyetatee y e ferve a 
meraviglia per in^randjre ed amplificare le cofe ; 
perocché fi fa quando una fentenza fie/fa fi fvolge , 
c.fi replica in varie maniere, così che, efiendo la 
flefla, raflembra fempre nuova, e vieppiù s’impri- 
me nell^^imo di chi ci afcolta (19) ^ Cicerone p. e. 
nella Oraz. a favor di Marcello volendo dire que- 
llo 


C173 hsqnidesi denr;tn(faeraiit nimis. Quint. 7 nT?. 

‘U Alle Antitefi di parole fi poffbno ridurre que’ modi 
di dire ufati rpecialmente dai Poeti , quali Tono queAi del 
Petrarca : 

0 viva morte, 0 dilettofo malef 
E gli atti fuoi Soavemente alteri 4 

1 dolci /degni alteramente Umili • 

> 

a qtxelle di concetto poi fi può riferire quefl* al trd Figura def* 
ta dai Greci »rri/u(Tir/!c\i , e dai Latini Commutatio , del 
qual genere farebbe queAa del Boccaccio : ma io voglio avan- 
ti uomo* ehi abbia bi fogno di rieebezgie, che riecBtgxf, «he 
abbian eifogno di uomo; le quiii maniere di parlare quanto 
fono graziufe, congiunte elTendo con qualche Tale, ed ufate 
jMrcamente e con giudizio, altrettanto fono fgradedoli , fe 
'fono infulfe, e troppo frequenti. 

C'9l) Exornatio efi , qua utimur rei honefiandie & coiioctt- 
pletandte caufa . Ad Seren. J. l8. Expollfio eft cuar in eo- 
dem loco manemus & alhid atque alii^ cKcere videmitr. ÌF, 
41 . He Orat> ITT, • . 


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* X I2I X ^ 

fto fentimento : Cefare , quefia gloria ^ tutta vo^ 
Jlra , così Io ingrandifce per via di Efornazione : 
hujus gloria , C. Ca/ar , ,quam es paulo ante 
adeptus , Jotium habes neminem . T otum hoc quan- 
tumcumque eli , totum ejì , inquam , tuum , N 'thil 
fihi ex ijìa laude Centurio ^ nthil prafeEius y nihìl 
cohors y nihìl turma decerpit , Quìn etiam tlla ìpfa 
rerum humanarum domina Fortuna in i/iius fe Jo- 
ctetatem gloria non cffert j tibi cedìt : tuum effe 
totum Ù" proprium fatetur . Ed Illioneo nel I. del- 
la Eneide per dire , fe vive Enea , così parla : 

* 

Qjtem fi fata virum fervant , fi vefcitur aura 
JEtheriay nec adhuc crudeli bus occubat umbris , 

E nel Xb in vece di dire morì y così Virgilio : 

Olii dura^ quies oculos , ferreus urget 
Somnus y in xternam clauduntur lumina noElem» 

Alb. LoHio nella fua Orai, a Carlo V, ufa ancor 
egli della Efornazione, così dicendo : qual fertili» 
tà d'ingegno è sì grande y qual fiume d' e^ 

loquenza è tanto ampio : qual maniera di parlare 
ù di fcrivere ì sì rara , e tanto eccellente , che 
po(fa j non dirò illufirare . ma narrare appieno le 
merittffime ed infinite lauaì dell' Altezza vofira ? 
ed in difefa di Furio CreCino : Purchò P onore y e 
la fama mia appreffo di voi rimangia illefa , ed 
intatta : purché la macchia di quefto finto delitto 
s' annulli : purché la mala impresone di quefie 
fal/e calunnie dagli animi vafirt interamente fi par- 
ta : e finalmente purché voi proveggiatCy che l' a- 
varizia , e fuperbta d' Albino non mi tenga op- 
preffo. Ed il Petrarca molto elegantemente con 
4 ina Efornazione incomincia quel fno Sonetto . 

Quel 


X. 122 X 

Quel eh* infinita paevìdenza ed arte 
r Mojìrò nel fuo mirabil magijiero , 

Che creò queflo^ e quell* altro emisfero^ 

E manfueto più Giove y che Marte» | 

E Tancredi preflb il TaflTo ad imitazion di Vir- 
gilio: 

Io vivo ? io Spiro ancora , e gli odiofi 
•» . . Rai miro •’ancor. di quejio infaifio die ? (20) . 

§. XV.’ 

Dell\Enfafi» 


Ejfi{2iCi iféfecffH diced un modo di parlare fenten- 
^iofo , e famigliare fpecialmente ai grandi' Poeti , 
per cui in breve s'efprime pii^ di quello ancora, 
«he dicono le parole C21 ) . Eccone un efempio dell' 
Autore ad Erennio : Noliy Saturnine , ntmium p(^ 
pulì reverentia fretus ejfe : inulti jacent Gracchi» 
Enfatica al fommo fu la pillola, che Anaibale fcrìC- 
fe ai Romani , ficcome narra Livio nella Decade 
. II. Hanmbal pacem peto» £ quel detto di Tullio 
nella Filippica 2. Id domi tua tfiy quod fuit ilio- 
rum utriaue fatale , c nella Oraz. a favor di Li- 
gario : Si in hac tatua tua fortuna lerùtas tanta ^ 

non . 

— ^ ■ ■ « I PI' ■■■■■■ ■ ■■ I — I ' — 


L* Erpolizìone è diverfa dalla Sioonimia , perché qfiefla 
COnfilfe foltanto in parole , e quella in Tentenze . Divfrfa è 
ancora dalla Perifra/ì, perchè la perifrafì fi fa colPufare una 
fola- ctrconloaizione per tfpiegar una cofa, che potrebbefi no- 
minar erprelTamente, e che peraltro non fi noipina^ 1’ Efor. 
nazione al contrario fi fa nominando la cofa ftefa» e poi ac- 
cumulando varie , e varie Perifrafi per mettrrU^n diverfi a. 
fiWt{i ed imprimerla fempre piò neil’ animo di chi ci afcolta . 

&0 Sigoificatio eli , qnc piua in furpiciooe relinquic » quant 
pontadl in io oratione. ^ Berta» tr. D$ Orat.Ili, 

» 

\ 


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I 


• V 


X 123 X > ^ 

non ejfet , quantam tu per te^ per te.}nduarn^ ob- 
tinesj intelUgOy quid foquar^ Nthtl habet nec 
fortuna tua majus quam ut pojjity nec natura tua 
meitus , quam ut velis confervare quamplurtmos . 
Belliffimi €fcmpjdi quefta Figura trovanfi fpccial- 
mcntc in Orazio» Così nell Ode 7» lib. IV» diccr 

Damna tamen celeres reparant cxlefita luna : 
Nos ubi decidimus 

Quo pius Mneas , quo T uUus dwes & Ancuc , 
Pulvis , Ù" umbra fumus » 

E Virgilio nel Ilì. della Eneide : 

Littora tum patria lacrymanc , portufque re* 

linquo , • r • / \ 

Et campos , ubi Troja fuit (22) » 

Anche il Cafa nella fua Orazione II. per la Le- 
ga diffe con Enfafi : Dunque avrem noi V anverfa- 
rio noflri) per Duccy e Capitano? e fui fine della 
ftelTa Orazione volendo riprendere di codardia quel- 
li , a cui parlava, perchè non rifolvevanfi a pren- 
der le armi, dilTe : Gli uomini favi , e d'alto af* 
fare fogliano fperar la pace , e diiporft alla guer- 
ra : e non , guerra temendo , alla pace apparec- 
chiarfi . Così il Petrarca con Enfali chiude quel 
fuo Sonetto , che incomincia : 

Chi vuol veder , quantunque può Natura , ec» 
Ma fe più tarda avrà aa pianger fen^re . 

§. XVI» 


> 


(ij) Giova tnoltiffimo ad un fenfo enfatico il notninare 
qualche gran Perfonaggio , o qualche gran cofa fenia nfar pe- 
rifrafi , o aggiunti. Coi} nell’ addotto efempio di Livio 1’ ef- 
ferfi detto H anni bai ^ ed iu quello di Virgilio, l’aver nomi- 
nato Troja fucclntamcnte ha refo pii» grandiofo il fentimen- 
to di quello , «ho fe tutte le lodi dell’uno , e le glorie deli 
altra fi fodero efpofte, , 




I 



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I. 


X 114 X 

•• §. XVI, - 

V ^ 

De//' Epifonema é 


V ’l 


Anche qUefta Figura detta non é al^ 

.tro , che una^efclamazione .fentenziola ,.la quale fì 
fu in fine di qualche narrazione , o altra cofa ri- 
'V)archevole,cheiìafi efpofta pcr an gagliardo affetto 
dall’animo noftro* Così Tullio nel libro t/e Sene- 
Siite avendo detto : SeneEiutem ut adipifcantùr omnet 
^ optaht ^eamdem accufant adeptgm j fclama. : tanta ^ 
inconjiontiafflu/titia atque perx^rfitasl E nella Ora- 
zióne a favor di Marcello: ReEle ìgitur tjnu^ fa'vi • 
Bus esy a quo etiam ipfius viBorìa conditto , vifque 
devila efi . E Virgilio nel IX. della fua Eneide : 

J^aBe nova virtute puer , ftc itur ad ajlra . 

E dopo aver raccontato l’ enorme delitto di Pig- 
malione, che per avarizia, uccifo- aveva il fratello 
fclama : ^ ^ 

7 4 . . . Quid non moti a/i a peBora cogis • . 

Auri f aera fames \ ' • 


• ' Così pure Orazio avendo nell’ Ode ^4 lil. I. ef- 
poìlo i var; attentati degli uomini dice ; Ni/ mor- 
ta/ibus arduum efi , Ed Alb. lollio nella Oraz. à 
Paòlò III. Di che non dobbiamo punto maraVÌA/iar-* 
ci ^ offendo che una picco/ a e aebì/e' fcintil/a ha 
fpeffo generato grandijjìmi incèndf t Ed il Salvini 
nella ina Oraz. III. avendo celebrate le virtù del- 
la gran Pucheffa Vittoria , dice ; Quifffi fono i ve- 
ri elementi del regnare , quefti i /aldi fondamenti 
del governo* Così pure il Petrarca con un epifo- 
nema chiude un Tuo Sonetto: 


Chi bel fin fa f chi ben amando muore . 

E 

\ 


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X 125 X 

E nel Capo II. del Trionfo della Morte: 

O pìechì , il tanto affaticar , che £Ìova ? t' 
Tutti tornate alla gran madre antica ,, 

E V nome vojìro appena fi ritrova . 

. §. XVII. 

Della Immaginazione . 

, Quella è una delle più vivaci Figure, che mai 
adoprarc fi poflTano, c dai Greci fu detta Cvoypaupn^ 
cioè Defcrìzìone , perchè fi forma col ddcnvcre 
gravemente , ed in breve le confcguenze di qualche 
cofa , come le già fi avefiero fotto degli occhi (23) .* 
Così TAut, ad Erennio; Si ijium , judices ^ vejiris 
fententiis liberaveritis , Jìatim , ficut e cavea leo 
emiffuSy aut aliqua teterrima belìua foluta ex ca^ 
tenis y volti abity vag abitar in foro , acuens den- 

tes in cujufque fortunas , in omnes amicos , atque 
inimi^s y notes y atque ignotos incurfans y aliorum' 
famam depeculans y aliorum caput oppugnans y alto- 
rum domum atque omnem familiam perfringens , 
remp, funditus labefaElans , E Tullio nella 4. con- 
tro Catilina: Videor enim mihi hanc urbern videro 
lucem orbis terrarum , atque arcem omnium gen- 
tium y fubito uno incendio concidentem : cerno animo 
fepultam p atri am y miferos , atque infepultos acer- 
vos civium : verfatur mihi ante oculos afpeBus Ce~ 
thegi y Ù* furor in vejìra cade bacchantis\„, tum 
l ameni ationem matrum f amili as y tum fugam virfft- 
num y atque puerorum , ac vexationem Virginum W- 

Jla- 


Deferiptio nominatùr, quae rerum tonfequentiuin con. 
tinet perfpicuain & dilucidam cum gravitate ezpofitionem .. . 
& cum rcs conrequentes comprthenras univerfz perfpicua bre- 

vitcr cspriimiQtut oratioae. 4à Hsrtri, Dt Orat. 


X I2<5 X 

(itltum perhorrefco . Così anche preffo Virgilio nel 
VI, della Eneide la Sibilla ufa di quella Figura: 

, , . , Bella , horrida bella, 

Et Tybrtm multo fpumantem fangume cerno ^ 

E prelTo Tibullo Lib, IL Eleg.^, là medefima dice: 

Ecce fuùer feffas volitai viSìoria puppes / 

• Tandem ad Tro/anoc^ diva fuperba venit ^ 
Ecce mihi lucenf Kutulis incendia cajlris ; 

Jam tibi pradico , barbare Turne, necern • 
Ante oculos Laurens cajirum ,muru fque Lavini ejl, 
Albaque ab Af canto condita long a duce. 

• Te quoque jam video Marti placitura Jacerdos 
Ilta veflales deferuijfe focos , ec. 

ElegantilTinii altri efempi s'incontrano fpecial- 
mentè preffo Orazio , Balla leggere tutta 1 * Ode 15^ 
del lib. I. e la 7. dell'Epodo per vederla polla nel 
fuo pib luminofo afpetto. Si fervi dell’ Immagina- 
zione anche 11 Cafa nella Oraz. I, per la Lega r 
Vera cofa è , che egli in tanta fiamma di defide- 
rio, e d^ avarizia a voi perdonerà, e firiiggendo , 
. ed ardendo i membri e t offa della fua f confolata 
e dolente Italia ad uno ad uno , /’ onorata fua^ te- 
fia, cioè quejìa regai città ed egregia rifparmterà 
forfè . Ma oimè , cA’ ella fuma già e sfavilla ,e 
voi foli pare', che f ar fura non fentiate . Ed Alb, 
Lollio Oraz, a Paolo III. Farmi di udir fin dt 
qua lo Jìrepito delV arme, il fremito de^ cavalli , 
il rumor de* tamburi , e lo flrtdor delle trombe » 
E Sueno preffo il Taffo Canto VIIL 

.... 0 quale ornai vicina^ abbiamo ^ 
Corona 0 di martiri» 0 di vittoria / 



è. XVIII, 


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/ 


X.I 27 X 

§/xvm. . 

' Dell^ Impojfiòile . 

Molte volte preflTo i poeti fpecialmente incon- 
triamo quella Figura detta Impoffibile, perchè ap- 
punto fi fa quando per vieppiù affermare una co- 
fa , come per una fpecie di giuramento , fi adduco-» 
no alcune impoffibilità , in quella maniera : Frius 
unda^Ù' fiamma tn grati am redeanty quam cum 
Antonio Refpuilica * Così dilTe Tullio contro di 
Antonio, e Titiro preflb Virgilio, Egl. i. 

Ante leves ergo pafcentur in athere cervia 
Et freta dejìituent nudos in littore pifces: 

Ante pererratis amborum finibus, exut 

Aut Ar arìm P art bus bibet , aut Germania T ìgrim^ 

Qjtam nojìro illius labatur peEiore vultus . 

Ed Ovidio nella 7. Elegia delle Trilli lib. I. 

In caput^ alta fuum labentur ab aquore retra^ 

F lumina , converfis folque recurret equi 5 : 
Terra feret fiellas : calum findetur aratro , 
Unda dabitflammas, & dabit ignis aquas &c. 

Ed il Sannazzaro Egloga IV. della fua Arcadia : 

*^^**^'* ondran per fecchi campi , 

£ / mar fa duro , e liquefatti i fajfi , 

Ergaflo vincerà Titiro tn rime y 
I^ notte vedrà V Sol , le felle il giorno^ 

^ta che gli abeti ^ e i faggi in monte 0 in valle 
Vdan dalla rma bocca altro che pianto. 


§. XIX. XIXXlA 


.. §. XIX. ; ‘ ■ • . 

; . 

M • , • •• 

\ ^ 

Della Licenza, 

* « 

Licenza > o ^ffappnffiet ^ come dicono i Greci, fi 
chiama un belliffimo artificio , per cui 1 ’ Oratore 
fidando nella bontà della Tua caufa parla con una 
certa libertà preflò di quelli, che deve temere, e 
venerare , che, l’cbbene fembri troppo ardita , pure 
non offende, anzi talvolta piace (24). Tale* fi è 
q^uella di Tullio nell’ Oraz, a favor di Ligario : 
Marcus Cicero apud te defendìt , alium in ea vo^ 
luntate non fuìffe , in qua feipfum confitetur fuif^ 

nec tuas tacttas cogitationes ext'tmefcit 

quantum potefo voce contendam , ut hoc P ,K. ex au- 
diat , Sufcepto belb , C^ar , gejio etiam ex ma- 

f na parte y nulla vi coaBus y judtcio meo y ac vo~ 
untate ad ea arnja profeBus fum j qu£ erant fum- 
pta contro te. E nella Filip. I. Ì^ìd de reliquts 
reip. malis licei ne dicere ? mihi vero licei , & fem- 
per lìcebit digni totem tuerì , mortem contemnere . E 
nella Catilinaria I, Non deejl Reip, confiliumy nc- 
que auBorìtas hujus ordinis . Nos nos , dico aperte y 
Confules defumus . Servefi di quella Figura anche 
il Cala nella Oraz, a Carlo V. E veramente egli 
pare da temer forte y che quefio atto pojfa recar al 
nome di V, M, fe non tenebre , almeno alcuna om- 
bra 


(14) Licrntta eft , cubi apud eos , quos aiit vereri , aut me- 
tuere debemns , tamen aliquid prò iure noftro dfcimu* , quod 
cot minime offenda!, aut quos ii dilieunt, cum in aliquoer- 
iato vere reprehendi poffe videantnr . . . Eft autem quoddan 
genus Lieentia in dicendo, quod aftntiore ratione compara» 
tur; cum ita obiurgamus eos, qui audiunt, quomodo ipu le 
cwpiuDt Qbjurgari fcc. rld Htren, W, Jdt De Orat, UI- 


Di^itiz'ed by Qpogk 


X 1^9 X 

hra per molte ragioni , Siccome anche il Salvini 
nella fua Lezione XXV.: Ma non fo come ^ quan- 
do fegue alcuna cofa contro alle Leggi : allora che 
ft dovrebbe parlare , fi fia cheti ( non vorrei dire ) , 
quafi avendo caro , che lo /concerto fegua , e poi 
fi /doglie y come volgarmente fi dice'y lo /cilingua- 
gnolo y quando non occorre. 


§. XX. 

Delia Congeri^^, • 


f > 


Quella Figura detta dai Greci «èt'aexi^ax«<W(r fi 
fa quando per efprimere- un gagliardo affetto dell* 
animo, e per opprimere in certo modo 1’ avver- 
fario unifeono infieme molte cofe , che difperfe 
erano in tuttavia caufa * e fi pongono tutte rac- 
colte fott’ occhio all’uditore (25), ficcome fece 1* 
Autore ad Erennio: Quid efiy JudiceSy cur velii 
tis eum liberare ? /uce pudicitice proditor e/i , infi/ 
diator aliena : cupidus , intemperans , petulans in 
amicos , Infefius cognatis y in /uperiores contumax^ 
in aquos^ & pares fafiidio/us , $n inUriores crude^ 
lis , denique tn omnes intolferabilis . E Tullio nell* 
Oraz. a favor di Milqne : Video adhuc cortfiare^ 0- 
mniay judiceSy Milani edam utile fui J/e , Clodium 
vivere; illi ad eay gux concupterat y optati (finoum 
tnteritum Milonis jutffe ; odtum illius tn hunc acer- 
òiffimumy in illum mjus nullum; con/uetudineni 
illius perpetuami in vi inferenda , hujus tantum 

in 


t 

(aj) Frcq«entaiio tA, cnm ret in tota cauta diCperr» co- 
gnntur ia unum «quo gravior, aut acrioFf a<it criminofìor 
otatio fit. jfd Herta. ir. 40. QucAa Figurat moJtc volte 
Bi«nte è diverrà dall’ Epilogo . ' 

Giard. Btm, T. 1. I 


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X 130 X 


tt7 rcpellenda; mortem ab ilio denunci at am pai am 
Milani & prcediBam , nihil umquam auditum ex 
Milane : profeElionis hujus diem illi notum , re- 
di tum illius buie i^ notum fuiffe ; hujus iter necef- 
farium , illius etiam potius alienum ; hunc prx 
fe tuliffe y ilio die Roma exiturum , iìlum eo die 
fe dijjimulafj'e rediturum ; hunc nullius rei mu- 
ta (fe confili um y illum caufam mutandi conftUi fin- 
xiffe ; mie , fi injìdiaretur y notìe prope urbem ex- 
peblandum y illi y etiamft hunc non timerety tamen 
acceffum ad urbem noHurnum fuiffe metuendum . 

Cosi anche il Cafa nella Oraz. I. per la Lega : 
Rgli vi ha nella guerra abbandonati nella bdt- 
taglia traditi, nella vittoria ingannati, nella pa- 
ce affediati , e nelP amicizia con gravifjma e me- 
morabil fame in tanta fua^ dovizia e fuperfluità 
tormentati y Cy quanto era in lui, ucciftw £d Alb* 
Lollio Oraz. a Carlo V, Alla generofità del for- 
te e pio animo vofiro bajìa P efferìi flato nellajguer- 
ra Superiore , P averlo rotto, P averlo vinto , P aver- 
to prefo, P averlo poffeduto^ prigione, e ftccome il 
lajciarfi vincere agli ef^etti c atto fervile, così il 
raffrenar P ira, da cui è impedito^ il configlio, il 
temperar la vittoria , la qual di fua natura ^ 
infoiente e fuperba , il dominar fe medeftmo , / ef- 
fer umano, benigno , e P ber ale verfo il nemico è 
co fa veramente regia, illufirey divina^ e degna 
di eterna laude . Anche il Petrarca così chiude il 
Cap. IIL dei Trionfo d Amore : 


E fo- i cojlumt , e i lor fofpiff , e i canti , 

E ’/ parlar rotto , e ’/ fubito Silenzio 
E'I breviffimo rifa , e i lunghi pianti, 

E qual è V miei temprato con P ajfenzio » 

Devefi per ultimo avvertire coli’ Autore ad E- 

^ i tot- 


Digìtized u, 


B 


X lii X 

reanio ii6) « che tutte le fuddette Figure agglun^ 
gono bensì grazia e decoro a qualunque genere 
di iìile ; oia che iìocome tifate di rado ed oppor- 
tunamente « a guifa di varj colori abbellifcono il 
difcorfo , così , fe troppo di fpcffo fuor di pro- 
TOiito, ed alla rinfufa vengono adoperate, lo ren- 
dono difettofo , ed ofiiifcato « 


(aó) Oran« fenu« Oratiotri* & grava, ft raediocra, & at. 
ienaatiin dignitate aAciunt exòrnationea qac fi rare difpo^ 
aantar, diainétum , ficmi coloribua, fi«rcbrai coiiocabBntur, 
•blitaa radduoK. erationem . IV. xx. 








\ ' I 1 ■ ' ■ 


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•V. 


PARTE SECONDA. 

\ ^ } 

CAPO I. 

DeUo Stìh 

N on bada, dice faggiamente Ariftotile (i), 

- Taver ia pronto le cofc convenienti da di- 
re, ma duopo è ancora dirle come fi con- ' 
viene; imperocché un difcorfo molto maggior for- 
za riceve dalle parole, che dai fentimenti. ^1 fa- 
pere adunjjue le Figure, i Traslati, e tutti gli al- 
tri Rettorici ornamenti ella è cofa lodevolilfima 
ma quello, che pih importa, e che veramente 
difficiliflìmo , fi è rnfarne a tempo opportuno (2). 

. £ chi potrebbe in fatti folTrire un Oratore , il qua- 
le indiftintamente , ed a i>icne mani , per così di- 
re verfalfe nella lua orazioqe tutti i fiori dell* e- 
loquenza , fenza confiderai prudentemente ciò , 
che ai tempi , alle perfone , ed a tutte le circo- 
fianze fi conveniffe: e colle An ti teli , con Pari-fi- 
nienti , ed altre fimili grazie ed abbelljmenti cer- 
cafie di piacere, quando dovelTe movere afdegnoL 
a pietà , od eccitare altri fomiglianti affetti nel 
cuore de’ Tuoi uditori (3) ì Eppure quanti vi fo- 
no, 


(1) Rhttor. lib.IIT. e. i. • Cic. nel II. DeOrat. c.41, VI- 
demus nequaquam fatis effe reperire quid dicas» nifitdinvea- 
tum tramare poffis. 

fa) Demonàratio & doftrina ipfa valgaris , ufus autetn 
eraviffimus, & in hoc toto dicendi ihidio difficillimui. IH, 
De Orat. 

-<ji) $«leaduBi inptimif quid qm'rque liroundo poflulctio. 

CHS , 


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X 15? X 

no 4 che fecltar fanno le regole ed i fuoi efemp) 
ordinatamente; ed in leggendo poi poche righe da 
loro fcritte , non fi trova in efle cofa , che giu- 
flcEza roofiri o difcernimento (4) . Lo Stile per- 
tanto» dice Tullio, è il più grande maefiro nell’ 
eloquenza ; ed egli folo può render il nofiro dt- 
feorfo perfetto i ed in ogni parte pulito (5) . In 
eflb diligentenaente efercitandoci, non folo verre- 
mo a faper i precetti , ma li iapremo a tempo 
ancora poi metter in pratica: e non tanto cono- 
feeremo gli otdmi efempJari , ma fapremo anco- 
ra la loro nobil maniera efprimcre ed imitare (6). 
Quintiliano perciò ci ammonifee a porre in que- 
fìo ogni nofiro fiudio , ed a non perdonarla a fa- 
tica ; imperocché dalla varietà dello Itile dipen- 
de , che più o meno piaccia un Oratore, e che 
un difcorlo migliore d’ un altro venga riputato é 
Nello Stile finalmente, egli dice, fia riporto ogni 
vanto e difetto dell’eloquenza (7); non potendofi 
veramente chiamar eloquente quegli , che colla 

f 3 va- 


cui, quid perdona, quid teitipus... ubi eniitì atrocitdté, ili- 
vidia , inireratione pugnandum eft, quis ferat contra pofitifl 
8c pariter cadentibus & coniìrtiilibus irafeentem , flentem , ro- 
gantem ; curii in bis rebus cura verborum deroget a^e£ltbus 
/idem . Hutnt. T. /-T. c. 3* 

(4) Cosi il Tagliaaucchi nella Dilfert. preliminare allà Ra«« 
colta di profe e poefìe , ec. 

(S^ Stylus optimus eft & praiftantillìmus dicendi effe£lof , 
atque magìfter. De Orat, il. Hanc igitur ad legem cunl exer> 
citatione, lum flylo, qui & alia, & hoc maxirne ornar , àd 
limar, formanda vobis orario eft, ivi, Lii, ITT. 

Cd*) Hzc omnia adipifeemur , (ì rationes przeeptionis dilM 
gentia confequemur etercitationis . Ueren. iK in finti 
^ C7) H nc nullut nifì arte affequi poteft , hoc ftudtum adfai' 
bendum : hoc exercitatio petit, hoc imitatio : hic omnis 
ras confumitur : hoc maHime orator oratore przftantior : hdc 
genara ipfa dicendi alla aliis potiora, ut appareat in hoc fc 
Tiiium & vitlHWm fff t f'Ul promm. 


Xi34X 

varietà dello ftile non fa uniformarli àllt diverfi 
argomenti , che deve trattare (8) , 

Stile dagli antichi pronamente chiamavalì quel- 
lo ftromento , di cui Icrvivanlì per incidere « e 
fcolpire fulle tavole incerate , o Tulle lamine di 
piombo i propri fentimenti . Ora poi vuoili per 
clTo intendere la ftelTa fpolìzione o per dir me- 
glio , il\modo e la forma con cui efprimiamo i 
noftri penfieri (9). Tre per tanto elTendo, fìcco- 
me abbianì detto da principio , i doveri d’ un O- 
ratore , ammaeftrare cioè, dilettare, e commove- 
re , tre ancora fono i generi d’ eloquenza , 0 fia 
dello liile : Semplice ed Infimo ; JMLagnffico e Su- 
blime : Mediocre e Temperato (io) . 

ARTICOLO I, 

t 

. I 

Dello Stìl Semplice ed' Infimo • 

Lo Stil femplice ed infimo è quello , il quale 
imita il parlar famigliare degli uomini civili e co- 
iiumati (iO, e viene in ufo nelle lettere , ne*dia- 

lo- 


C 8 ^ Is e\iiài eli eloa uens, qui ft hnmilia fubtilUer, ma. 
gna graviter , medioefia temperate poteA diccrc . Cic, in 
Brut. 

CO v*ha dubbio, che la varietà dello Aile, ficcome 
vedremo, non poco dipende dalle diverfità de’ penueri ; ma 
potendoli un penfier grande erprimere in modo femplice, ed 
una fentenza comune al contrario in modo che diventi ma- 
gnifica , perciò diciamo , che lo ftile rpecialmente confifte 
nella efpreffione , o nella fpoflzione de* noflri penfieri . 

Cio^ Quot officia Oratoris, tot funt genera dicendi : fub. 
tile in probando, modicum in deleftando , vebemciu in fle- 
Aendo. Cic. in Òrat. ». 69. né Hert». ty..S. 

00 Adtenuata eli, qa« demiffa eft ufqae ad ufitatiffimata 
pti fcnnonia coofuetndiiMn • dd Heren, ivi . 




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X IJ5 X 

Ioghi, ij.Cgl’ infegnaipenti , e dovunque fi tratta di 
cofe umili, tenui, e familiari ( 12 ). JL’ Oratore 
perciò deve a, quello fiile ^appigliarli , quando e- 
fpone la narrazione di qualche fatto , e quando 
maneggia le prove del fuo alTunto (13). 

Le doti , che formano il principal carattere di 
quello ftile , fono la chiarezza, la purità, la pre- 
cilìone Ò4)* i-i penfìeri per tanto non dcVon ef- 
fer ricercati : il. parlare deve effer elegante , fchiet- 
to y pulito ; ma privo affatto di fehtenze ma- 
gnifiche , e d’ ogni, ornamento affettato, e con- 
tento d’ una certa nobile ne.gligenza , che piace ed 
alletta. Tra le Figure ed i Traslati quelli foltan- 
to ammette, che fogliono cadere neTaraigliari di- 
fcorfi i c tutte l’ altre immagini piò veementi , c 
grandiofe affatto le ricufa(is)- Il numero dd pe- 
riodo poi deve bensì eller dolce , foave grato , 
ma non pienò , fonoro , nè trafportato à fegno , 
che mollri artificio, e che feorgafi, che 1* oratore 
fi ftudia di piacere (ló) . Tale per ultimo effer de- 
ve quello genere di Itile, al dire di M. Tullio, 
che gli flelTi fanciulli fi perfuadano di poter fai*e 
io fleflb , contuttoché a vero dire , mentre a tut- 

1 1 4 


00 Cosi il Corticelli De//a Tc/eana E/e^uenza , Gior. i. 
4 ifc. 9. ’ . , ^ 

C13) Ilio fubtili prsecipue rauo narrandi , probaodique con. 
Jiftet. Qjunt. XII. IO. I 

C14) Sermo purus crir & latinus: dilucide, planeque dice- 
tnr . ta Brut. 77. 

(15) Removebjrur omnis infignis ornatus quafi inargarita- 
runi , nec calamiliri adbibeancur : eicgantia & mundi eia rema, 
aebic. Orat. 78. Ctc. Slpint. hib. yi. 3. • 

Primum eum tamquam e vinculis numerorum exima. 
Wus, ut ii.grtdi libere, non ut Heenier videaiur errare. Ver- 
ità etiam verbis coagracntare negligat... Abérunt qt 
nuftates , ne elabwaca concinnìtas, & quoddamauc. ' .1 de- ' 

ieQaiÌQ9is manifeae depiehepfiiiii app^regt • Or ' ‘ , 


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X I3« X 

ti imitabile raffembra , nulla fiavi di piu difficife 
a confeguirfi (17). 

Non folo nelle pillole di Cicerone, ma nelle fue 
Tufculane, e nei libri degli offici ritroviamo bel- 
liffimi efempi di Stil femplice . I Commentari di 
Cefare fono inimitabili in quello genere (18) . 
Tra i poeti Latini balla leggere le Favole di Fe- 
dro , la Buccolica di Virgilio , e le Satire di O- 
razio : tra i nollri Italiani poi fceglier poffiamo 
il Boccaccio nelle fue Novelle , il Cafa nel fuo 
Galateo , il Bembo nelle pillole , l’ Alamanni , il 
Rucellai, il Sannazzaro , e molti altri ancora. 

Eccone un efempio datoci da Cicerone nel IL 
de Invent. In itinere quidam proficifcentem ad mer- 
catum quemdam^ Ù“ fecum aliquantum nummorum 
ferentem ejì comitatus : cum hoc , ut fere fit , in 
' via fermonem contulit : ex quo fallum eji , ut il- 
lud iter familiarius f^acere vellent . Quare cum in 
♦ quamdam tabernam d/vertiffent , fimul cocnare , & 
in eodem loco fomnum capere voluerunt . Caenati di- 
fcuùuerunt ibidem . Caupo autem (^nam ita dia tur 
po/l ìnventum , cum in alio maleficio deprehenfus 
eìt ) cum illum alterum , videlicet j qui nummos 
haberet ^ animadvertijfet ^ noBu pofiquam illos ar~ 

. iìiuf, ut fit , fam exlajjitudine dormire Jenfit , ac~ 
ceffit , Ù" alterius eorum , qui fine numrnis •, 

f 'ìadium propter appofitum e vagina eduxrt ^ & il- 
um alterum occidit , nummos abfiulit , gladium 
cruentum in vaginam ree ondi dit y ipfe fefe in /r- 
óìum fuum recepita &c, E Titiro il pallore par- 
lando Melibeo nell’ Egl. I, preflb Virgilio: 

Ur“ 


C17) Orationis Tubtilitas imltabilis illa qufdem vide^refft 
rxiflimanti , fed nihil eff experienti minus. Orar. 76. Slutnt, 
ir. X. Xì. X. 

(18) Qaeflo Io afferma lo fleCo Tullio nel Brut. n. 75. 


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• “» • • • V 

» ^ 

■ ' . ■ X ÌJ7 X 

Vrbem , quam dicunt Romam » Meltboet ^ pw- 
tavi ^ 

Stultus ego buie nq/ìra Jìmilem j quo fspe fa- . 

lemus ^ ' 

Paflores ovhm teneros depellere feetus . 

Sic canibus caiulos ftmìles^ Jic matribus ò^dos 
Noram y fic parvi s componere magna folebam , 

Scìeglier lì può per norma di quello •(HI femplf- 
ce nel Boccaccio fpeciaiméote la Novella ?. delia 
<^or. Vili. ) la quale così incomincia ; ffella no- 
fira città , la quale ftmpre di varie maniere y e di 
nuove genti è fiata abbondevole , fu ancora y non è 
gran tempo y un dipintore chiamato Calandrino y 
■uom femplice , e di nuovi cofiumi , il quale il più 
del tempo con due altri dipintori ufava , chiamati 
(T un Bruno , e altro Buffalmacco , uomini fai- 
lazzevoU motto , ma per ahro avveduti e fugaci . 

Zi quali con Calandrino uf avano , perciocché de* 
modi fuoiy e della fua femplicità Coniente gran fe~ 
fia prendevano. Era fimil mente allora in Firenze^ 
ec. Anche il Sannazzaro con belliflìma femplicità di 
llile così dà principio all’ £gl. 6, della fua Arcadia : 

Quantunque , Opico mio y fii vecchio e carico 
Di fenno , e di prenfier , che in te fi covano , 

Deh piangi or mecoy e prendi il mio rammarico, ^ 

Nel mondo oggi gli amici non fi trovano , 

La fede è morta , e regnano le invidie , 

E i mal cofiumi (gnor più fi rinovano ec. 

Alcuni però vi fono , i quali llodiandofi di fcrive- 
re con naturalezza e femplicità rifiutano ogni or* 
namento ^uafi che lo flil Icmplice effer dovelTc bar- 
barq c nrivo affatto d’ eleganza , quand’ ai con- 
trario lappiamo , che in effo fpecialmentc deve0 

ri- 


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X % 

■rìirpvav QQlilo > (Ile rirpettp a' Greci cblanaavan 
jìtticifmo , vale a dire una certa natia grazia, ed 
«Q certo colore d’urbanità ,' che ci faccia guitar 
con piacere per così dire il fapor della lingua , 
in cui fì-fcrive o fi parla (19). Colloro , dice Quin- 
tiliano , mentre temono d’ alzarfi collo Itile per 
non cadere , fempre giacciono , e radono vergogno- 
famente il Aiolo (20) . Imperocché non potendo 
xottfeguir graaia e la femplicità, che allo ftil in- 
fimo fi converrebbe, cadono in una maniera di Icri- 
vere arida eé efangue a fegno , che vengono a no- 
ia • pé fi jppfiboo afcoltare (21) . Del qual genere di 
y i^afnh » un efempip ci foraminiilra T Autore dei 
libri ad Erennio, dove fcrive: Nam ijlic ille in 
r$£fneas accedìt ; ad hunc pojìea dicit : htc tuus 
*'/ervus me pulfavit . Pojìea dicit htc illi : confide- 
fabo : Poft ille conviciam fecit & maps magifqufi 
frafentibM multis clujnavit^ Ù'c, Lib. IV. li. , 

. ‘ AR- 


‘ C19) Mume folum quidam voeant atticum , diffe Tullio nell’ 
Orar, e Quintil. nel VI. delle fue Inltituiioni al cap. 3. a^ 
ferma che gli Oratori della città di Rom.1 nveano ar.ch’ efi 
un non fo che, per cui fi di/tinguevano dalli foreftieri , quan- 
tunque eloquenti. Quello fquifito palato d’affapoiare una Un- 
gila perfettamente fu quello che fece dire ad Afinio PoUione, 
in T. Livio ^ mira faeundi0 viro^ ineffe ^u.tmdam Potavi» 
nitatem. In Plauto , in Tcrenaio , ed in Fedro per lo con- 
trario qoi’troviamo certe efpreflìoni naturali, certe frali de- 
licate e gentili, certi fall ingegnofi, che ci fanno guftar con 
piacere la Romana Urbanità. 

Cao} Huic quibufdam contrarium ftudium , qui fugiunt ac 
reformidant omnem hanc in dicendo voluptatem , nihii pro- 
bantes , nifi pianura & line conatu . Ita dura timent ne ali- 
buando cadant, fera per jacent. L. Vili. c. S- 

C *0 Qui "on poffunt in illa facettlEma verbornm attenua, 
tìone comiQOde verfari, veiUuot ad aridnm & eitaogue uenui 
watiouit, quod oop aliemim eft exile nominati, ^d Heren. 
tf'. II. . ' 4 ' 


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Xi59X 

AR ricólmo II. 

Dello Sùl Magnìfico e Sublime • 

Il Sablime (zz) è quello , che con la nobiltì dei 
penfieri , con lo fplcndore delle parole,, còn 1* ab- 
bondanza e magnificenza delle fentenze , e con la 
vivacità degli affetti non folo perfuade , ma a gai- 
fa appunto di r^ido impetnoro torrente , che fe- 
co traendo i fauì , e gli argini /degnando e le 
fponde, am{HO e maeflofo fleode il fqo letfó^ ra- 
pifce r animo degli uditori, e con meraviglia e 
diletto sforza e feco trae ancora phl altrimenti ri- 
cufa e fegnir noi vorrebbe (zj). 

Il Sublime, dice un dotti ITimo Autore, dà un no* 
bile vigore ed una forza invincibile al difcorfo , 
onde r animo di chiunque ci afcolta refta folleva- 
to j c convinto (24). Con quel tuono di macftà , c 
di grandezza : con quc’ moti vivi ed animati : con 
quella forza e Veemenza , che in effo regna , rapi- 
la r uditore , e lo lafcia come abbattuto da’ fuoi 
fulmini, e da’ fuoi lampi abbagliato (25)* 

Al” 


■CiO Alcun! diftinguono il Tublinie dallo flit -Tublime ^ noi 
però quivi intendiamo favellare particolarmente dello flile . 

C13) Tertiue tllc «nplui, copioius. gravi*, ornatus , in 
^no profeto vis maxima eft. in Brut. Cie. At ille qui faxa 
devoivat. &.poRtein indigoetur. & ripa* libi faciat. multus 
ft torren* . ludicetn vel nitentem contraferet , cogetqueire. 
^ua rapit . ^int. FU. Io. 

(34) M. Iloilln. Dt la manitr* d*enftign«r ^ d* itudier 
Ut btlltt Jtnru T. II. tap. 3. art. 1. $. x. n. i. 

(ij) Tantam vim babet illa. quas rene a bono^ poeta diOa 
«ft Atxanima . atque «mnium regina rcrum oratio. ut non 
nodo inclinantem erigere, aut itantem inclinare. led etiam 
adverfantem rcpugnanxem. ut ImpetatQr bonus ac foriis 
capere poSc. De Orat, II, ^7, I.«Dgia. g, g, pel Suilime. 


\ 


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X »40 X 

Allora poi i Poeti , e gli Oratori fervonfr di 
querto ftile , quando hanno a trattar cofe grandi , 
cd ogni qualvolta bramano muovere gli affetti , 
piegar V animo degli afcoltanti , e convincere gli 

avverfarj (26) . . ^ ^ 

Cinque fecondo la mente di Longino fono 1 foft- 

ti del Sublime (27) . 

t. Nobili e felici concetti, grandi idee, cd una 
certa elevatezza difantafia, e finezza di giudizio, 
per cui fcorgafi in chi ragiona una eenerofa magna- 
nimità (28) . * Ecco come prcffo T. Livio Muzio 
Scevola parla al Re Porfcna : Romams fum c/v/x, 
C. Mucium vocant : Hojìis hoflem occidere volui .* 
nec ad mortem m ’tnUs antrm eji , quam fuìt ad ne- 
cem . Et facete ^ pati forti a Romanum ejì , E 
Didone preffo Virgilio così dice fdegnata contro 
di Enea ; 

Exoriare aliquis nojìrts ex ojfièus ultot , 

Qui face Ùardanios ferròque fequare colonoS . 

Anche Porro Re delle Indie arditamente così par-^ 
-»la al vincitor AJcffandro preffo l’ impareggiabile 
Metaftafio: ^ . 

Nacqui fui Gange 4 / 

yiffi jfra /’ armi i Asbite m nome * Ancora 
Non fo y che fi a timor: più della vita 

Amar 


CaO tìujus eloquenti» eft tràftire anlitios, huiufomni mo- 
do perniovere. Cic, in BrUt. 91. H«c qua fufcipitur “b O- 
ra tote ad commutandos animos, atque omni ràtione llettea- 
dos intenta ac veheftiens cITe debet . Oe Orai, ÌI. 

(a?) Li prirtii due pofTono^ veramente chiamaiC fonti , 
eli altri tre fono femptici ajuti, che accompagnar devono il 
fublime ; e di quelli ultitbi foltanto parla l’ Autori ad £rio- 
nio nel iV. /iL c. 8 . , > - 

CiS^ vpSrof /Uff y.rt v:xrt<rroi tv vtpi Tm' mfpt» 

Triftkcr t. # 9. Del Suhlmt, 


by GoojiK 


X I4t X' , 

: Amat la gloria è mio cqflume antico : ^ 

, Stn di Porro. Seguace , e tuo nemico . 

* • V • 

Quefto fi otterrà , fiegue il citato Longino (29) » 
fc fciegÌicrcn)o foltanto le cofe piti grandi , trala-^ 
fciando tutte 4e circoftanze inutili , e frivole , e" 
quelle cofC' in fomma che pqfibno eccitare idei 

bafie troppo coniuni. . _ , i , 

2. Vivi e gagliardi affetti maneggiati r rappre-: 
Tentati nel di loro .pi ìi efficace afpetto (50) . Tale-, 
fi è il parlar della. Regina Didone , dove contro 
di Enea fi fcaglia » c dice: 

•• «, » 

Nec tibi Diva pattns i generii neo Dardanust 
auàor, . ' ^ i-n ^ ,V ,1, . 

Perfide i fed durh genuitje^cautibus hotrens 
Caucafus , Hitcan'iqu^ ad^ojrffnt ubèra tìgres . 

Ed Attilio Regolo potea forfè con'rhaggior gra- 
vità palefarc il luo fdegno contro Publia e Lici- 
nio di quello che fece irMetallafio, quando così 
1’’ induce a dire : . . ; . 


' • Taci: non è Romano 

0 Chi una viltà configlia » . ■ . , . ; 

Taci,: non è mia figlia 

Chi pià virtà non ha « 

. . . ^ . > . 

^ 3. Le Figure ed i Traslati porti a fuo luogo fen- 
za affettazione, o foverchio rtudio (31) . Così De- 
mortene in una Tua Orazione per animar quelli , 
che contro Filippo prefo avevano le armi , con una 
<Delliffima àpoftrofe fi volge a coloro , che battaglia- 
to . 


IO* #t*s« 

X 30 J ttivffOf #*' To'o’4>oJprf»X«<' tuSUS'lifTlKÒf 5» 8. 
rm.<rxHftté7Vf « I®» 



X 142 X 

to avevaflò nella celebre giornata di Maratona r 
No non trrajìe ; dice egli f non errafle o Atenìeft , 
^/ponendovi a{ cimento^ per la libertà , e per la /al- 
ijézza de* Greti : per quei lo giuro , - / quali alla 
pubblica difefa f^arfero il /angue e la/ci armi è 
•vita là /ui tampt di Maratona (*) # A di cui imi- 
taiiooe poi anche Tullio nella Oraaiooe fatta io 
difefa di A* Milonc diflef Vos vos appello, fortifi 
fimi viri, qui multum prorepuòlìùa /angHinemef- 
fudiflh: vos in viri Ù* civis inviali appello' peri-» 
culd, Genmrìmes j vo/que mìlites , &c^ 

4. La frafe nobile , elegante e pulita la quale 
accompagni la (bblimità dei penfìeri C32), Tale 1Ì 
è quel detto di Virgilio nel IV* delle Georgiche ; 

. . . • Ca/ar dune magnus ad altnm < ' 

Tuìminai Ettfrafem Sello* 

E quel d’ Oraaio ? ; 

Pallida mors aqua pul/at pedi pauperum ra- 
' ’ ' ' éetnas 


Regumque turres* 

5. Una compofizionc di periodo elevata ed ar- 
moniofa, ma non troppo elléfa 9 nè ricercata^^) # 

(•) Nuovo, pfllegrfno, flraordinarìof , e lòèVtvigllofO gia- 
n«eil» <lé«aaefn«ao Lomìoo. Già ire vittorie aveano n- 
poruto gli AtebkG contro Fjlippo. l’una à Maratona, ! al- 
tra fdttò IheMffo, t la teraa hi Platea. M« la fltaiegfor- 
nat* tU Ch»4iiea gli ai^ev* abbattuti * e Demoftene »♦ «»- 
.irèba vfbr cónfift) f eppure parlb con tal coraggio , e cosi à- 
niftib flli-Ateniefi eoo la Aia elo^iienza , che al rain^rtie''Wr 
dclje pàlftti iHttdrle qtfhllt allatto dimeBticàroao !• batualla 

^ynwToL 6*4- 

fAxrv* Tt tx\oyif i if rpevixi xetf g. 

8 , - - - 


e 30. In aneAo però molto-aflàticar non dobbiamo , pn- 
. , al dir di Tullio nel III. 2>e F»«*. C5»*r* retme JW«- 

Uforiius Usai Apfie riti vttht rapiuat. 

Gl) titni/Mri 5?¥t #jfP» 


. e 


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*é 


X 143 X 

Ciccront nell’ Orazione in favor di Marcello così 
parla a Celare: NuUiks eji tantum flumen inge^ 
nii , 'nulla^ dicendi , aut fcrìbendi tanta vis , tan^^ 
taque copia , qux non die am exornare ) fed enarra^ 

- re y Cajary res tuas gejias po(fit , Di quello gene- 
re fra i’ altre fi è ancora l* Ode 25. del Lib. Ilf, 
di Orazio ) la ‘quale incomincia : 

Quo me ) Bacche , rapis tuì 
Plenum ì qux in nemoruy aut quos àgor in fpteuty 
Veìox mente nova ì quibus 
Antris egreeii Ca/aris audiar 
Xiternum meditans decus 
Stellis in/erere & concilio Jovh l 

Allorché- poi fcriver vogliamo qnalche gran cofa^ 
ed alzarci ad uno fiile veramente fublime, dobbia* 
ino a parere del citato Longino immaginarci come 
in tal cafo parlato avrebbero Demoflene, Omero, 

Platone tra i Greci , e tra i Latini Vii^ilio, Ci- 
cerone, Orazio, 'ec., e rapprefentarccli come gin» / - 
dici prefenti e preparati a decidere della oofira 
taufa. Che fe vogliamo conofeere quale fia vera- 
mente fiil fublkne, fiegue lo fielTo Longino, farà 
quello che a tutti piacendo ci ■ reitera indelebil- 
mente fcolpito nella mente, e nel cuore (^4) . 

Guardiamei però da un falfo afpetto di fublimi- 
tà ; imperocché molti vi fono , i quali affettando 
di parlar Tempre in fili magnificò, vanno in ccrra- 
dj tutte le parole ampollofe, delle metafore piò 
viziofe , delle frali piu (frane a fegno che in vec« 
di generare meraviglia, muovono a fdegno o pe^ 

lo 

I ■ M lllllh 'ì à ll ì lll lì l» I II !■» liW» 

(34) S. 1 14. 


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X 144 X ■ 

' Io metto a rifo gli afcoltaoti (35) . locorfero in 
queQo vizio alcuni de’ poeti latini , e de’ noftri 
italiani ne’ fecoii corrotti per allontanarli da’ pro> 
fatori ; e quindi ufaronb un linguaggio ampollofo , 
ridicolo'', inetto , ed ofcurilfimo per ogni parte . 
Ne può elfer d’ efempio lo llelTo Claudiano , poe- 
ta per altro non fprczzabile, il quale per eìpri- 
mere quelle tre fole parole, Canto il rattodi Pro’- 
dille quello forfè, ch’egli medefimo non 
intendeva con que’ fuoi verlì (*) : 

Inferni raptoris equos , afflataque curru ■ 
Stdera Tenario ^ caìigantefque profundx 
Junonis talamos audaci promert cantu 
Mene congejìa jubet . 

D* un fomigliante fcrittorc detto già avea faceta* 
mente Orazio? • ^ 

Projicit ampulìas &' fefquipedalia verba, 

Abbiam di già olfervato , che non fono le fole 
parole quelle che conllituilicono il fublime , ma 
piuttoHo i fentimenti . £ Uccome quelli non fem- 
ore vogliono effer fublimi , perchè llancherebbero 
la mente degli uditori, e perchè non fempre la 
materia il richiede ; perciò ancora le parole de* 
vono talvolta elfere meno magnifiche e ricercate. 

Nè 


C3S) Pleriqne tninimit etiam inventiunculis gaudenf , qu» 
excuffz rifum habent , inventse facie ingenii biaadiuntur . 
Iluint. yiìì. S- Nam gravi figurae, que laudanda eft , pro- 
pinqua' eft ea , qu» fugienda eft , que rette videbitur appel- 
lar! li Tuperflua nominabitar . Nam ut corporis bonam ha- 
bitudinem tumor imitatur fmpe; ita gravis orario fepe impe- 
ritis viderur ea , que target, & infiala eli. yfJ Htrtn. 71^.8. 

1*) L’ oflervazione è di Saverio Marte! nella fua Dijfvrt. 
freliminart atta Traduzioni di’' Salmi» 




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X 145 X 

Nè mcn viziofo fi è lo Itile di coloro , i quali 
credendoli di fcrivere o di parlare con fublimità 
riempiono i propri difcorfi di fentenze declama- 
torie, che al fine fredde riefcono e del tutto I- 
nette: ed allorché il tempo non lo richiede rao- 
firano una fmoderata commozione d’ affetti , che 
gli fa fembrare come altrettanti ubriachi o ftoltì 
(3Ò) . Alcuni ancora vi fono a tempi nofiri di- 
cea Fabio, i quali fui fine d’ ogni periodo voglio- 
no qualche fentenza , la quale con la Tua novità 
ferifca l’animo, e rifcuota acclamazione, ed ap- 
plaufo . Quantunque però io fappia, effer le fen- 
tenze gli occhi , per così dire, del difeorfo , non 
vorrei per altro trovare occhi per tutte le parti 
del corpo ; maffìme che non può a meno di ca- 
dere in cofe vane , fredde , ed infulfe chi fi ftu- 
dia di fcrivere in cotal guifa (37) , 


CjO Vitiofum eft & corruptum dicendì genui , qaod aot 
verbocum liomia reraltat , aut paerilibus featentiolis lafci- 
vitf aut immodtco tumore turgefeit , aut inanibus loda bac- 
chatur , aut cafuris (ì leviter ezeutiantur flofculis nitet, auC 
prsEcipitia prò fublimibus habet . Cosi Quint. Uh. XII. io. •- 
Longino $. 3 . del Sub. 

Cì7^ Nunc illud volunt, ut omm's locuc, omnia fenfat in 
fines fermoois feriat aurea . Turpe autem ac prope nefas du- 
«unt refpirare ullo loco, qui acclamationem non petierit..* 
^o hzc lumina orationis veint oculos quofdam eloquentiz 
cHe credo ; fed neque oculoi effe toto corpore vclim . • • • 
Hoc quoque accidit, quod folas captanti fententiat multa* 
nccefle cu dicerc levea, frigidaì , iueptaa, Lih. mi. 6. 



Ciarl EUm* Tei. 


AR- 


K 


1 

% 


X )C 


A R T I C O L O , Iir. 


DeUo Stil Mediocre f e Temperato, 

ha un t«rzo genere d’ eloquenza tra l’ infi- 
mo ed il fublime , ebe liti niezzano , mediocre . 
e temperato s’ appella, Qacfto dice M. Tallio (i) 
non ha la femplicicà del primo , nè la forza ed 
i fulmini del lecon do ; avvicina e all’uno, e 
àir altro $ oppure a niuno di loro veramente fo-' 
miglia : partecipa d’ amendue j o per dir megUa 
da ambedue egu^mence è divcrfo . 

Dicefi ancora fiil fiorito e foave , perchè am-' 
mette tutti gli ornamenti dell’ arte tutti i fiori 
deir eloquenza , tutti li penfieri , e le immagini 
pih brillanti y le pìb amene digrefiìodi ; ama ar- 
monia nel numero' , e tutti li vezzi e le grazie 
proprie delia lingua , cos^ che a guifa d’ tm limpi- 
do fiume circondato all’ intorno' di verdeggianti 
felye fcorre dolcemente è pienamente alletta (z). 

viene egli in ufo nella Storia , ne’ difcorfi ac- 
^demici i quali fono i libri degli OiHcj , della 
Natura degli Dei» ed altri fimili di Cicerone; e 
dovunque trattano argomenti le^iadri , c cercali 
di dilettare Virgilio nella fua Ucorgica’ ci fora- 
mlnifira un’ ottima idea di quello lliie mezzano • 

' Nel- 

MI" L _1 II L_ X ; " ^ ^ ^ \ • 


co Eft inttrjetlas & iateriaedìus, & quali t'eftt'pe. 

ritus , nec acumine poàcriorum, nec fulmine ure ts fuperio- 
fnm , victnns amboram in neutro ezcellens, utriufqùe parti- 
ceps, vel utMufque, fi. verum quaerimus^ pòtius expe.a. O- 
rat. n aa. t 91. ad Heren. If^. 9. 

ÓO' 1» <dei»sernus orationiV verborum’ cadunf lamina iw 
■inia , liiulta fententiarùnr. . . .> Efi enim quoddaca Ke 

infigne & fTorercenn'oratidntf piAum & expolicum genus, in 
quo omnes verbdruin venerei , omuetrcatentìiltita} illlgantus 
lepotes.< C$c,- Ì9Ì,J^int, XH, io, - - 



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Xi4tX 

Nelle Novelle DelTe del Boccaccio talora Te ne m'*'' 
contrano belliffitni efeQipi;^ma la di lui Fiaramet' 
ta» e gli uffici del Cafa,..fipcome a me pare» pof- 
fono fppra tutti i libri girgli Scrittori Italiani ferr 
virci di norma in queficr genero drilile Le di lui 
4oti particolari i come fi pub; comprendere chi fin 
qui detto,'* fono una certa elegante 6«iìit4 ed u* 
guaglianza (?) 4 per cni efib^ nulla animette di ri* 
Cercato y nulla di firaniero ,* non che di baffo e 
troppo' comune . , , - , , 

. Ci ferva d* efempio irf quello luogo il primo de’ 
Paradoffi' di Cicerone, che così romincia: Vereor 
m eui vejìrum ex St 9 Ìcorum homtnum, dtfputatio- 
ni bus non ex ima fenfti depronipta haù videatur 
oratÌQ , Dienm tame» fentto; tT. dicarà bre- 
vius y- queim res tanta dici pojfit j Nunquam mcr 
bttcule ego ncque pecunias ijiorkm ^ ncque te^a m/f>^ 
gnijicoi ncque opes , ^ »e^«e imperia y ncque eas 
qutbus maxime adJìriEli funt , voluptates in btmip 
rebus 4 ^ (tut^ expetekdis effe duxi : quippe cum vi 4 er 
rem y òanfmes rebus hh, circumfiuéntes , ea tafnen 
deftderare minime % quibus abundàrent . Un altro 
efempio ci verrà fomroinifirato da Virgilip nellq 
Georgiche. 

Protinus aerii mellis calejììa dona 
Pxequar : hanc etiam , \Moecenas , adfptce 
pattern • . . , 

Admiranda tibi lepiunt fpcElaculà rerum y 
Magnanimofque dùcer y totiufque ordine genti s 
JAotes ^ Jìudia Ò* populos & ptalia di- 
* cam, 

K 2 in 

<'» ■■■ « • ' ■Ti— .^1 I . { ■ .i ■ l» !. 

* 

O) ts uao' ttfjiore', uf aiànt , fit dicendo fluir,’ aihit afle* 
rene prct«r f!i«nitMein , 9t Équaiitaccin . de, im Brut.n.9t* 
Quiot. JT/#, x*i , 



X t4» X 

In tenui laèar \ ac tenuis non gloria ; fi quem 
' Numina Ixva finunt , auditque vocatus jfpollo^ 
EkgantUfimo fi è il feguente luogo della Fiam- 
metta del Boccaccio Lib.iy,num.ioi, O fortuna 
aventevole nemica di ciafcun felice ^ e de mi fe- 
ri ftngolare f per ama. Tu permutatrice de" regni y 
e de' mondani caft adducitrice y foUievi^ y ed av- 
valli colle due mani y ftccome il tuo indi fcreto giu-^ 
die io ti porge : e non contenta dì ejfere tutta d$ 
alcuno od in un cafo /’ cfalti , o in un altro il 
deprimi y o dopo alla data felicità aggiungi agh 

ànimi nuove cure . « - , r »• 

Molti perb VI fono , i quali sforzandoli di con- 
feguire un tal genere di ftilc , cadono in un vi- 
2Ìofo gufto di compqrre', che fluttuante e feon- 
neffo fi chiama (4), appunto perchè non ha veru- 
na unione nè di membri, nè d’ incili, e palla da 
una in un* altra cofa fenz’ ordine e grazia , quale 
fi è r efempio feguente , che ci viene fomroiniftra- 
ta dall’ Autor ad Erennio nel Lib. IV. ii. Soete 
mjìri cum belligerare nobìfeum vellent y prof 
ratiocinati èjfent etiam atque etiam , 9^*^ poff^t 
facere , fi quidem fua fponte facerent , & non 
berent hic adjutores multos malès homines 
audaces. Solent enim diu cogitare omneSyqut ma- 
jena negotia volunt agere &c. Bada foltanto 
re un po’ di giudizio per intendere quanto ha 
cattivo un tal genere di comporre , 

Duopo è ancora guardarli dal cadere m pueri- 
lità affinchè volendo fcrivere con eleganza èd m 


C4^ Qai in mediocre genue orationU 

non poterunt , erraotes perveninnt ad confine ge- 
nus eiuf generis, quod appellamos flafluans & difiblutam, 
file^nervis’at arciculis flaauar bnc & 
cermete , ncque vixililer fe U cxpediie. Jd 


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' )( 149 X ^ 

Ait fiorito noa riufeiamo freddi, « e per eosì diftf 
.infipidi nelle noftre fpofiziom * Or quello avviene 
per quattro motivi, fecondo Arinotele nel Hf. 
dell’ Arte Rettorica cap. 5. i* quando all’ufo de* 
Greci voglionfi formar nomi comporti , p. e. pur- 
purocoUr , ignifiolor^ mul ti facies , e fim.Ui^altri , 
che non co» facilmente dalla lingua hinn^.^fono 
ricevuti * 2. adoperando frali e maniere di dire an* 
• tiquate, come fe mortrar ci voìtiVmo fautori deil* 
anticaglie , dice'»a AleflT. Taflbni . 3. per la trop- 
pa unione d’epiteti olTia d’aggiunti, malTime fe 
murili lìano , impropri, o troppo lunghi, p. e. 
fe lì dicerte in profa, iì bianco latte umido fu- 

dore , /’ amitonante Iddio , c fomigliantt altre fra- 
li , a’ Poeti appena forfè copcelff . 4.^ Finalmente 
per i traslari o inconvenienti , oecceiiRvi, o trop- 
po ricercati , e rimoti , de' quali fpecialmeUte ao> 
biam parlato, ove trattavart della metafora . ^ 
Non lì creda però, che di quelli tre generi di 
flile Tono Ha da anteporli all’ altro; imperocché, 
ficcome egli è chiaro , che uno rtelfo genere di di^ 
re non è fenrpre conveniente a tutte Te caufe 4 ad 
ogni qualità d* uditori, nè a’ tutti i tempi- (G j 
così dovrà miglior fempre riputarli quello flile , 
che a fuo tempo e luogo verrà adoperato , giac- 
ché fe l’ ano per l’altro s* impiegafle , diverrebbe 
fubito viziofo . Quindi è , che tanto 1 ’ Oratore , 

? [uanto il Poeta dee , fecondo la mifura della te- 
a , che teffe , e la capaciti di ciafeheduno a (fo- 
gnar la fua parte anche al mediocre , ed al buffo 

K 3 per 


Cs) Si qaidem p(rf|»iciiHm eft, non omni caufte , ntc and». 
ne« tempori congmere orMioais unum genns. tlt. do 
Crat. Q^uioam igitnr dicendi «fl modui melior . . ..^nun at 
latine, ut piane, ut ornate,. ut id ^Hodeuteqat agetur a- 
pte, congmenter^ duimus . rv»< ^ . 



X 150 X ^ , 

ftr apTtrft il canìpo d' efprìmere o^»i affettò^ ó- 
■jgni virtù , o£>ii vizio , o£ni ct^iume : sì perchè nor^ 
fi trae rnen diletto dal veder ben dipinte le^ ca- 
panne^ i prefepj ) e i tugurj, che le battaglie y $ 
palagi y e le /pm X<^). Anzi Tullio coftantejnen- 
te afferma che farebbe <ia xiifprczzarfi fornmamca- 
te quell’ Oratore, il jouale poneffe ogni Audio , 
c folo s’ efcrcitaffe nel fublime , nè procuraffe 
ancora poi di temperare lafua eloquenza col fram> 
mifcbiarvi / e paffare a fuo tempò ai mediocre , 
ed ali’ infimo (7) , 

L* uno ililc diverfò è dall’ altro , fecondo Ermo- 
gene per orto capi , per le fentenze cioè , per il 
metodo ^ , per le parole , per le figure , per i mem^ 
òri y per la cpnnejjìone , per le aaufule , ,C per il 
numero Per le lèn.tenze , perché una lleffa cola 
con più nobili idee concepir fi deve , jed efpri me- 
re , quando vogliali parlar in fili ' fubjime , che 
non quandp voglia/ì efpOrre con fili infimo, o 
mediocre. Per il metodo, perchè il fublime ri- 
chiede una Antaffi tral'por.tata , certi voli di fan- 
^tafia ed alcune cpAilozioni , che non fi devono 
ufare nel mediocre ; e quello ancora ammette cer- 
ti modi di favellare non permeili nello Ail infi- 
mo , P,er le parole perchè nel magnifico ufar fi 
devono termini grandiofi , nobili ed armonici , 
molti de’ quali non fi poffono adoperare nello llil 
femplice, ficcome pure molte, che atte fono allo 
fiil femplice non fi uferanno nel mediocre, e mol- 
to meno nel magnifico. Per le figure, perchè ab* 

‘ biam 

• ■ I « I — - 

èO!Bion> Crtteo, offia VÌDcrnzo Grdviaa Difcorf. 

At lite quem prìpcipem ponimo*, gravis, acèr, ardm, 
fS ad lioc uoum «il n^tas, ant in hoc fòTo fé exercuit , aut 
iuic generi fludet uni, aec fuam' copiam cuoi illis duohug 
^encrihas tempcravit , maxime cft cootettioeBdHi . fn Suttf 


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..... i- . 

« 

■ KiSìt 

J>iam già veAito , . che Io flil fcmplice riceve 
foltanto le figure più comuni , e fatnigliari, e que- 
lle ben di raro : il mediocre quelle folo che fer- 
vono a dilettare : ed il magnifico per lo contra- 
rio tutte r altre ancora, che più vivaci fono, ed 
affettuofe. Per i membri ,^ perchè quelli ancora 
più pieni , e più maefiofi fono in uno fiile , che 
in un altro. Per la connefiìone, perchè nell’ in- 
fimo le cofe efpongonfi con femplicità j con qual- 
che artificio nel mediocre ; ma nel fublime poi i 
fentimenti fono regolati , e congiunti infieme con 
tutta l’arte. Per le claufule , perchè fe nel ma- 
gnifico i membri, ed i periodi fi conchiudono in 
modo grandiofo c veemente ; nel mediocre per lo 
contrario folo fi ricerca grazia e dolcezza ; e nel 
fcmplice una fincera c candida naturalezza . Per 
il numero finalmente, perchè il magnifico in tut- 
to il fuo feguito vuol efier pieno e maefiofo ; fo- 
ave e grato ij mediocre; ed il fcmplice spiano e 
dilicato . Virgilio , che tanto bene fcrifle in tutti 
tre i generi d’ Eloquenza ci fomminifirerà efem- 
pj , d’ onde meglio pqffiam ponofeere la differenza . 

' SemphVe Egl. I, 

i * V 

O Melìboee p Deus nob'ts htec otta fecit ; - 
Namque ent ille m 'tht femper Deus ^ illius aratif 
Sape tener mjlris ab ov 'tltbus imbuet agnus. 

Mediocre , Georg, III, 

Jp/e caput tonfa foliis ornatus oliva 

Dona feram . Jant nane folemnes ducere pompai 

t/id delubra juvat , cafof^ue vìdere juvencos , 

Sublime. Encid. Vili, 

Dìxerat , Herculea bicoìor cum populus umbra 
V^lavitqHe comas ^folìi/gue innexa pependìt^ 

K 4 El^ 


% 


» * « 


by C- -Ogl 


- X is »» X ' 

Kt facer impjevit dextram.fcyphus : \cyus em\ies 
In menfam fati itbant , divofque precantur . 

Semplice. Egl. V. 

ExttnSlum nympha crudeli funere Daphntm 
Fleùant : vos coryli tejles , ^flumìna nymphts .• 
,Cum complexa fui corpus mi/er abile nati ^ 
\Atque Deos , atque ajìra vocat crudeli a mater • 

*. Mediocre Georg. 

Ipfe cava folans xgrum tejìudine amorem 
T e dulcis conjux , te fola in littore fecum 
Te veniente die, te decedente canebat. 

Sublime Eneid. XF. 

. ' At non Evandrum potis ejì vis ulla tenere : 
Sed venti in medios , pheretro Pai lama repofto 
Procubuit fuper, atque haret, lacrymanjque , 
gemenfqUe, 

• Et via vtx tandem voci laxata dolore eji , 

.ARTICOLO IV. 

Delle Proprietà Comuni dello Stile , e de' vh) 
a quejie oppofii . 

O^LTRE le doti e le proprietà particolari di cia- 
fcun genere di Stile, ve n’hanno alcune, che a 
tutti tre fono* comuni; e quelle fono, la Ghia- 
rezza, la Brevità, la Probabilità, la Decenza 
€ la Soavità (0. Ma ammonendoci l’Autore ad 
Erennio, che ci guardiamo dal cader nc’pro/Cmi 

vi- 


.0) Communia autem fan! bccquinquaquafì lumina . dilit. 
ciaam, br«ye, probabile, illaftrc, fnave. Orar. Partii, de* 


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I 


X isj X 

rkì, mentre ci sforziamo di conferir Ic'viitiiì^ * 
(2) i e delle noe,. e degli altri noi in feguitodi'' 
àintamente tratteremo (*) . 

§. r. 

^ I 

Della ChtareTxuiM , 

La cìiiarezza , al dir d’ Ariftotile , ^ la prin-' 
cipal dote d’ un ragionamento , perchè inatile fa- 
rebbe il favellare , fé colla ofctirirà fì cercalfe di 
non elTer i.ntefo . Chiaro pertanto efler deve il 
noftro ftile tanto nel penfiero , quanto nell’ efpref- 
fione , e neU* ordine . 

Primieramente dunque chi parla o feri ve , deve 
sforzarli di concepire idee chiare e diflìnte di quel- 
le cofe , che vuole efporre , affinchè poffa tali ec- 
citarle ancora in chi T afcolta o legge Le imma- ' 
gini fiano tolte da cofe a tutti’ note, acciò di leg- 
gieri ciafeuno Te poflTa intendere c rapprefentarlc- 
ìe alla mente . L’ efpreffione fia tale , che atta ve- 
ramente lìa a fpiegarc le concepite idee, e nien- 
te abbia di ftraoiero, d’ambiguo, d’ofeuro, co- 
me di già n è detto al Cap, I, Fart, I, (3) . In 

quan- 

(O Ed autem cavendum « ne dum hxc {waera confeOanar 
ia fìaitima, & propinqua vitia veniamu*. IV. io. ad Her. 

C*) PreiTo i Greci fpeciaimtnt* v* erano dne generi di Stile 
fra loro oppofti . L’ano diceafi Laconico per la Tua brpviti, 
edendo proprio 'de* Spartani di efprimer molte cofe eoa po- 
chi termini. L’altro chiamavafì Afìatico, e di quello cosi 
fcrive Tullio nel Bruto. Apud alias auttm O* afiatìeos ma- 
xima numero ferviantes , ineulppta raptrias inania quadam 
•verha^ quafi complimenta nameromm, 

.0) Oilucidum fit ttiitatis verbic, propriit, difpofitii. aat 
circumTcriptione conclura, ant interraiflione , aut commiffio- 
ne verborum . Cie. Orat.Partit. ACequi poCumutf ut ea quai 
dicamus , '«ntelltgantnr, latine fcilicet dicendo, verbi* unta, 
tic , ac proprie demonilrantibus et , qua* fignificari ac decUrn- 

ti 


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' X 154 X 

iqoàato 'airoT(finc poi daopo è thè fi pèfnSètti tut- 
to quclio . che pub cflere oeceflario a ben inreo* 
der la cola , di cui lì tratta ; che non fi conti- 
nuino più del dovere ^ lungo i periodi , nè le fi- 
militudini , 1’ allegorie , e le digreflìoni r che non 
lì fpezzino ed iotcrrompauo i fentimeuti ; e che 
per ultimo lì confervi la ferie de’ tempi , e dei 
luoghi i fi diftipguano le perfone , e talora anche 
àlcurte cofe lì ripetano , fé y’ ha motivo di teme- 
re di non elTer 'bra intefi , \ 

Viziofo per tanto farà il noflro flile non folo 
fe diremo meno, ma anche di più del dovere; È 
però coloro, i quali per sfuggire l’ofcurità infe- 
rifcono ne’ loro difcorfi certe minute circoHanze, 
che nulla importa , che lì fappiano , o che di leg- 
gieri s’ intendono j che ripetono mille volte le 
Iteffc cofe ; fhe perturbano’ tutto l’ordine de* 
loro difcorfi , o che li troncano tutto ad un trat- 
to per far qualche digrelfione, cadono in uno de- 
gli eilremi y e mentre cercano d’ eflere chiari , lì 
rendono vieppiù ofcuri ; e fiudiandofi d’efler inte- 
fi , parlano in maniera , che nilTuno gli intende , 

J. ir, 

f)elìa Brevità , 

La brevità o precifione confifie in non dire più 
del bifogno (i). Anche in un lungo e prolifid 

di- 

■ l i M . ■ I ... ■ . ■ , , . J . I — 

ti volenus fiae ambiguo verbo, aut fennone ^ non nimit 
longa cootinuatione verborum , nop valde produAit tis , quae 
ènilitiidiaia caufa ex alHg rebus transferuntur , non dtfcerpti$ 
fenteatiis, non proepoflcris temporibus , non confufis perfonif^ 
Bon perturbato ordine . Dt Of^t- 11j. 

Ct) Nos autem brevitatem in hoc pontmus, non ut ttiaUS, 
f«d ne ptds 4icftt«r , ofortrét . tf\ a. ~ 


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X 155 X 

4 ifcorfo, pertanto pub effervi quefta dote, quando 
nulla lìavi di fuperfluo , e d’ inutile . £ non fo- 
lo dobbiam' suardarci dal ripetere inutilrnente. le 
fteffe cofe , e dall’ inferire nc’ nollri ragionamenti 
quelle circoHanze , che agevolmente fi rilevano 
dal reftante del difcotfb (i) , jtomc jgìà fi 4 det- 
to ; ma i periodi ftèflS' via- di gtìwptd/ , e di 
participi in tal maniera fi cóftruiramitJV che bre- 
vemente e quali in un fol punto molte 
(pieghino fott’ occhio . . ' 

Nello fteflb tempo però , che il difeorfo devi 
cflcrc precifo non dee lafciat d’ elFer elegante ed 
ornato ; e quello fi può ottenere quando non gK 
manchino tutte quelle grazie, che aeceifarie fono 
per metter la cofa nel fuo migliore afpettoi ^ quan- 
do fia conforme alle leggi ed al' buon jgufto dellà 
lingua , in cui fi fcriwe ó fi parla (5). Sono pei^ 
ciò da biafimarfi non men coloro , che yoJfeKdb 
^adoperare la preci fipne , fu p pongono , che il tut- 
to fi .fotti ritenda , e fcriyopo con uno ftile cOsl a- 
rido , concilo e rillretto, che a gran llentoi lo- 
ro enigmi fi poflbno interpretare j ed il piii delle 
Volte anzi non fono affatto inteli,; che quelli al- 
tri , i quali per conlègnire 1’ .eleganza , cadono ih 
puerilità , dimorandoli in ornahienn fuperfloi, ò 
in fvolgère.in varie maniere la flelft idei, perchè 
fembri moltiplicata, confiftendo la vera eltóanzà 
in 'Una copiofità ben condotta, ed in una laggia 
dillribuzione de’ termini e de’ fentimenti (4) . 

/ . 5.IIL 

■ I ■■ . n . s - '-» 

CO Br«vitas antem cdnficitur fìihpllclbtis verbis, femél 
nnaquaquc ra dicanda , 'nulli rei, nifi Ut dlltfcide diclts, fer. 
triando . C/e. Orat. Partit. 

CO Q,uantain opus èli autein , non ita folbm iccìpi volo , 
quantum ad iudicandum Aifircit, quia noti inornata deb<C 
jrfie bravitas, alioqui fit tndoUa. ^uint. tP'. a. 

CO Eer bene Tcnvcio dicca Toiiio, bifognl prtmaaverbuod 

- giur 



1 


X IS<5 X 

r ■■ ■ §. Iir. ' . ' 

.1 \ 

Delia ProèaSilità • 

Probabile, dice Tallio^ farà il no/lro dllcor'- 
fo, quando abbellito non venga con foverchio 
{ludio , ed artificio , , ma tutte le parole abbiano 
il loro pefo ed autorità , né alcuna ve n' abbia 
che dir fi pofifa inutile; ed allorché finalmente 
tutto lo fiile fia conforme al carattere ed al pen> 
ftr di coloro, che vogliamo rapprefentare (^ 5 ) . 
Quello adunque , che chiamavafi dai latini genuf 
■ fmptex , ftncerum , natiyum , cand'tdum^ inpenuum^ 
e che da noi Italiani dicefi naturalezTMy oevefiri- 
V trovare non folo nello fiil tenue , ma ancora nel 
\ 'mediocre, e nel fublime; e quella confilie in una 
certa libera e femplice fpofizionc delle cofe , per 
cui il difcorfo non fembra in alcun modo fiudia> 
to, ma-fcorgefi, che il penficro nato é veramen- 
te dal fo^getto , e che le parole fon venute fpon- 
taneamente fui labbro {6) . La naturalezza in 
fomma^dà un certo colorito al parlare, per cui, 
fecondo la natura ed il carattere della perfona c 
dell* affetto , che fi rapprelenta , ciafcuno fi per- 
fuade, che in una taroccafione detto avrebbe lo 
fieffo . Ella fa , che ciafcuno parli il proprio lin- 
guaggio ; nel che bifogna imitare i pittori , i quali 

fin- 


giiulizto.* Dicere bene ntmo potejl^ nifi ^ui prudenter intel- 
ligit . In Brut, altrimenti ci (neritiftm ciò che dice Sali uiTi» 
di Catilina: mujtwm io^uentia^ fapientie parum. 

Cs) Probabile autem gcnut cS oratLonis , fi non BÌmia eil 
comptum atqae ekpolifum; fi eft autloritas & pondus inveì, 
bie; fi Tententis vel graves,.vcl apt« opiniooibas hominunt 
moribus. Cic. Orai* Panie. 

CO Quefio proviene dal Taperfi ben inveftir degli afiett) , 
e dei vero carattere delle perfone... ‘ . ^ 


I 


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X 157 X 


fingono le Najadi coronate di perle, e di corali, 
le paftorelle di fiori , le baccanti di pampini , U- 
rania di ftelle ; a tutte compartendo i loroparti- 
Qolari ornamenti . Per la qual cola ridicolo fareb- 
be , fe un pallore , che vifie mai Tempre fra le 
greggi e gli ovili parlaflc d’ arme e di magnifiche 
reggie, non meno che fe ùn principe ed un guer- 
riero parlaflTero d'aratri, e di armenti; o fe il 
primo ufalfe eleganza di frale , e mollrafiTe un a- 
nimo ed un penfar da eroe con grande ellenfione 
di cognizioni , e di dottrina , quando il fecondo 
al contrario piu dotto non apparilfe d’ un bifol- 
co , e niente diverfo da qualunque altro del voi- 


Decenza noi chiameremo quella dote del difcor-' 
fo , che da Cicerone fu chiamata /7/«/?r/V,la qua-' 
le qoafifle nello fcegliere le fràfi, le Figure, i Tra-^ 
siati j e nell* adornare in fomma il nollro difcor- 
fo di tutti quei lumi , che fecondo la di^erfa na-' 
tura dello ftile polTono meglio convenire per ef- 
primere , e porre fott* occhio quello , che defide- 
riamo (i) • Nel che però evitar bifogna il coHu- 


Cz) Perciò anche Orazio nell’arte poetica dice.* 

Jnttrtrh muttum Davut nt loquatuty an berot, 
Maturuftu fsntx ^ an adbue fiorenti juventa 
Fervidus ; an matrona potens y an/edula nutria ; . 
Mereator ne vaguSy cultor an virentis agetti l 
Cotchus y an Ajjìruty Thtbis nutritut y 'an ^rgis . 

(O lilaRrit autetn oratio eli , (ì & verba gravitate deleAa^ 
ponuntur, ac translata & fupcrlata, & ad nomen ad)un£la & 
duplicata, bc idem lìgoificantia , atque ab ipfa a£lione atquc 
ianitatione ceram non abhorreotia . £fl eoim h«c pars oratio- 
bà$, qw» rtny conftitaat pene ante ocalos. CiV. Qtat.Fdrtit. 


go ( 7 ) 


'S:- 


§. IV. 
Della Decenza 



me 


X IS8 X' 

me di cert’uni,' i quali dovendo fcrivere alcuna' 
cofa , pcnfano di confeguir quella dote, fe a (len- 
to v’introducono tutte quante mai fono le Figu- 
re e le bellezze Oratorie . Colloro non fanno, 
che può effer illullre anche lo llile più femplice 
in bocca di un paftorello / qualora vada adorno 
di quelle figure ed‘ abbellimenti , che alla di lui 
natura,- ed" all! di lui afiTetci fi convengono : e che 
rìOTi può dirli illuftre e decente qirello' llile , in 
^lii fi comprende dello (lento e dell’ aflTettazione . 

' La Decenza in oltre c’ìnfegna ad efporrò le co- 
fe in guifa che non difconvengono nè a. chi par- 
ia ,• nè a' chi afcqlta fceglieridofi fol tanto quello, 
che degno è di piacere, ed evitando tutto' ciò che 
può offendere e ripugnare ( 2 ) . Quando per tanto 
baffi y- per cagioir d’ efempio , a parlar d’ una pia- 
ga , quella fia viva, fe d’ un cadavere, quelio’fia 
' livido ed’ infangtìiilat’o ; ma nulla più ,• perchè 1* 
iramaginaziorìe ributta tutto ciò che farebbe (afti- 
dio alli fenfi,-e maffime all’odorato (s).- flTaf- 
fo’ perciò faggiamente dice ,> che dee /cellière il 
poeta cofe gntùjjxme alla vijla ed agli diri ' fen~ 
fi-; e fphivar quelle cofe ^ che fono f piacevoli ai 
alcun di loro y come dovea far Dante , il quale 
chiarhandó il Sole-, lucerna del mondo y ci fé* guafi 
fentir /’ odor dell* olio (*) . 

Nè folo la decenza vuole,- che in un erudito- 
ragionamento noa abbian luogo cofe fordide , ed 

igno- 

■ t f> . I ' I II n - l • I I T I - I. I. _ II - 

co o^ni parte oratioBìs, ut' vitv quid dece»t eif con. 
fiderandura . Quod & in re , de qu^ aeltur, pofìtum eSì & 
in perronts-& eorutn , qui dicunt, & eorum qui audiunt . 
Cie. in Brut 

(}) M. Mamibnter. Caf , 9: Ppetif"- sfp Qjtaù Uff, Ih 

59. < 5 o. jpurnr. 3. 

CO Véj. etiche il Caf> oel fiip Caljjfep cep. ZXU, 




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. . . ^ X 

ignobili pcnficri C4); ma anche le parole umili' 
tuttoché onelte , quando raaillme fuor di luogo 
fon collocate , rendono viziofo c men illuftre lo 
itile; Longino perciò riprende la defcrizionc del 
paflaggio, che fece. per l'.Egirta il Re della Per- 
lia j efpolta da T* eopompo j- il quale fenza verun 
ordine o fcclta di cole coll’ annumerare i doni-da 
que’ popoli giulia il cOltume al monarca prefenta- 
ti, incoihincia dalle biade, e dalli frutti ; indi 
parta alla porpora , alle preziofe verti : poi all’ 
oro, alle tazze, alle-gemme; quindi alle armi , 
ai giumenti , e finalmente ai Tacchi , all’ otri , ed 
altre fimili cole , per cui in mezzo alle ricchez- 
ze ^ ai telori ,' e ad un magnifico apparata ci da 
un immagine di cucina ; Duopo/fera dunque , dice 
lo ItcITo Longino , dalle cofe picciole ed umHi paf- 
iare alle pm grandi , e magnifiche : né tutte fe 
cole devonfi enumerare, e pofre fott’ occhio ; ma 
quelle foltanto, che degne fono d’dfer confiderà- 
te, ad imitazione della natura,* la quale vuole, 
che quelle parti, che onellamente nominai- non fi 
pollono ,• rtiano anche òcculte , e nafcofe « 

« 

Ciafcun genere di rtile deve ancora avere la fua 
particolare armonia; la quale ficcome abbiam det- 
to ^ nella /. Cap. I. rta riporta nella fcelta, e 
nella doliocazione delle parole in guila che quelle 
atte fiano a manifcrtar le nortre idee ,• e foavemen--’ 

te 




honefla quid«m patfora fem{>cr. atefordu 

a/s umquam la oratione erudita iocut . J2»fnr, t'Ul. 3. 


X 1^0 X 

te l’una all’altra, c con grafia fi luccedano(i). 
Di ^uefta proprietà importa ntifiìma , e che forma 
il piu bel carattere d’ uno fcrittore , dnopo è par- 
lare un po' pih diffuramente., 

. Armonia cbiamafì quell' allettamento , che Tu* 
dito ricerca in ogni genere di Itile, fenza del 
quaie s' annoia , fugge , ed abborrifce qualunque 
l^nchè erudito difcorfo*. Due pertanto lo.no le co- 
fe, che adefcano il noftro orecchio , a parere di 
Cicerone, ii Suono cioè ed il Numero (2). / 

In quanto al fuono due eofe fi pofibno conl> 
deràre : i. il tuono delie filiate in fé e nella lo- 
ro pronuncia ; 2. il rapporto che ha un tal tuo- 
no coir idea da quel vocabolo nella mente ecci- 
tata . 

I. Quanto al tuono delle Sillabe in fe dunque 
rifletter dobbiamo, che non tutte le vocali han- 
no un egnal Tuono ; e che alcune fono più atte a 
cofe grandi , altre a cofe tenui e delicate. Le vo- 
cali a ed i producendo un Tuono Toave e dolce , 
Virgilio a bello Audio le impiegò ne’Teguenti verfi : 

MoUia ìuteola pmgtt vactnia caìtha . 

^ JÌlbs rofa^ tafes virgo dabat ore colores , 

t • . vii mixta rubent ubi lilia multa, 

\ 

Ed il Petrar^ CCd incomincia il Tuo divin Can- 
zoniere ; ■ 

. Voi 


(i) Suave auten genui erit dicendi, prìmum elegaatù & 
jucunditatc verborutn fonantium & ieaium; detode con|un« 
Afone, qasB neque afperos habeac coacurfus, aeque disjun- 
Aos atque hiantes; & fit circumreripta nati longo atnfraAu , 

5 èd ad fpi ritma vocis apto. Cie. Orat. Parti». ^»g. Pan. /. 
^Mp. J. Art. a. §. 3. 

CO.btt» Tuat m, qu» permnlceot «ares, fonus & name. 
n» < Bnu,. 


\ 


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X X 

'Voi che' afcoltate in rime fparfe il /nono 
^ Di^ quei fofpiriy onci* io noariva il corcy ec. 

La e rende un fuorro mezzano; ma l’ altre due o ed 
u per lo contrario hanno un mono pieno grandiofo 
c tetro; c però altrove lo ftelTo Virgilio diffe: 

Vox quoque per lucos vulgo exaudita filentes, 
LuElantes ventos ^ tempejìatefque fonoras. 

Ed il Petrarca:. 

.0 /’ onda che C ariddi ajforbe > e mefce . 

£ minabilmente il Cafa ; ' 

O fanno , o della quieta umida ^ ombrofa 
Notte placido figlio , ec, 

' Quello poi, che diciam delle vocali, lì può an- 
cora oflTervare nelle confonanti, delle quali alcune, 
fono piò dolci , altre piò afpre , e da cui molto 
pende il tuono fteflfb delle fiìlabe . 

' L' armonia dunque , che noi ricerchiamo, vuole, 
che nella fcelta delle parole ufìam Tempre quelle , 
che fono comporte di fillabe, le quali rendano ui^ 
tuono corrilpondente alla natura della cofa, di cu! 
trattiamo . i Poeti fpecialrriente , dice Vincenzo 
Gravina, hanno fatto del numero ^ e della locuzione 
quel governai che è flatd phì convenevole alle cofe\ 
Jpiegandofi e variandofi con la locuzione e con /’ ar- 
monia fecondo lo fpirtto , e la natura di quello , 
che efprimevano : onde^ ficcarne radono il fuolo nel- 
le cofe baffe , e nelle mediocri poco in alto fi leva- 
no i così quando poggiano a f oggetto fublime , non 
è volo , che il raggiunga * di modo che tuonan col 
metro , e lampeggiano con le parole , Ed in que- 
ftp veder polliamo agevolmente quanto forte giudi- 
ziofo Virgilio dal cit, verlb Luùantef ventos 6(.c, ^ 
perchè avendo 'egli prima detto imperio premiti 
potca fembrar piò a proportto 1’ epiteto tebelles , 
Giatd, Ehm, T. I. ' L op- 


(T 


\: 

)• 


L 





X 162 X 

oppure mhàceSf ouando T armonia della vocale a 
non P avcfTc conugliato a preferire piuctollo la 
parola fomras, 

■ 2é I vocaboli effendo flati ritrovati a fine ò' efpri- 
rtierc 1 e comunicare agli altri le noflre idee , e 
da quelle in certa guifa efTeodo flati ricavati , mi- 
gliori Tempre fi riputeranno quelli , che nel loro 
ifuono hanno un fenfìbile rapporto o fìmilitudine 
cogli oggetti , che vengono a rappreferitare (3) , 
Ecco perciò di quali parole usò T incomparabile 
Virgilio, allorché parlando degli abifTì, vpUe de« 
fcriverci lo flrepitoy che ivi facevano i dannati : 

Hhc exaudiri gemnuS fava fonare 
Ver ber a .* tum firidor ferri traSaque catena *■ 

Oflcrvate adeffo l’ Idra , che apre fé fue fpaven-^ 
tevoli xannef 

QjiinquagirU'a atris immani t hiatibus hjtdra ,>r.- • 

E poi volgetevi ad afeoftare Enea ^ che fra l’ ot^ 
tùt della notte chiama la fmarrita fua Creufa : 

Aufui ^ttin eùam voces faElare' per umbras 
Implevt clameft vias^ masjlufque Creufarn 
Nequicquam èngeminans iterumque ^ iterumque' 
vacavi ^ 

'£ non vi par forfè, che il tuono folo delle pa» 
role vi ponga fott’ occhio in certo modo gli og- 
getti medefìmi ì Lo fleflb dite del fremito <fel ma- 
re , dello flridor d’ una fega , c del fuono d^ una- 
tromba, per erprimere le quali cofe difle eccel- 
lentemente Io fleflb poeta : . ^ ' 

ÙéH- 


Cs) Rtiiiis «trocibu vfrbt ttiaa ipfo ndica migis 
coovwiiBni . Qfiat. Fìlt, j. 


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X tS3 X 

Convttlfum remhf ro/ìris flrìdentiòtts aàuor r 

T um hrrt rigor y ataue arguts lamina ferra , 
Exttfht y O* rauco flrepuerunt xomua cantu , 

il cbe fu felicemente imitato dal Taflb nd 
XVrf della Gerufalemme,* ove dice : 

rauco fuon della tari are a tromba 
Treman le fpaftof e atre caverne. 

I^r confeguif qucft* armonìa , di cui parliamo a 
bella porta talvolta' fi fanno fuccedere delle dirti 
le quali ritardano il corfa alle parole , e rendono 
ia cofa più afpra o fpaventevole (4^ , Cosi Vir- 
gilio diffe del gigantt Polifemo : 

Morfìrum horrendum y informe y ingens y cc. 
£d il Taflb parlando di Cerbero : 

Gli occhi ha vermigli , e la barba unta ed atra « 

E per lo contrario talora a bello Audio s’unifcono 
molte fillabe brevi,- c fi sfugge ogni incontro di 
vocali per quanto è pofllìbile per dinotare la velo- 
cità di qualche cofa con la fterta rapidità del vcr- 
fo . Eccone gli efewpj cavati da Virgilio : 

Qpàdrupedante' putrem fonitu qnatit ' ungula 
etmpum . 

illa l evem fugiens rapìdis fecat athera pennis . 
Vaicy agty nate ^ voca tephpros y & Ubere 
pènnie.^ / 

Chiunque per tanto vorrà fcriveré con giudizio, 
e cònfeguire la vera armonìa di Tuono , tanto nel- 
la profa, quanto nel verfo dovrà procurare non 

E ^ Ib- 

^ -'-i . 

i 

acco^^àmJa , «t «T^rlsfirMros ét- 

lan» nurtérM àdhWl opèrtm^ ««me «qu« ^àd/en- 

t«n et^OTttfnre , Qpmt, /A". 4. 


^ I r.^0\utre ane’ vocaboli , che .più farjnno 
elOTrifwndenti allefue idee; "ja avrà cu- 
acconci e ,• in mamera tale, che il 

IX-'t ftcfl-0 ad eccitare c uiuovcrc quell’afa 

fom Jj"^’™^”^feona ' che T udito noftro è 
natura ft^ffa ce a’rmonìa , che nafee da 

portato a ricerca t} j m narolè * fenzala qua- 
Sn’ ottima ; ?endmenti, T uditore 

le, Ora quatta 

s’ annoia c prello laicw a a ^ gonfegpir. tut- 

tunque’ non VI fia » d’ una 

-to quello» ,„rXn- ed'aver óttenuto 

‘"'^’Tnifuri'®dìfpXfcM- pure .rarte.;,.,? 
una ancora ooflono contribuire . , 

r «ferculo m^tq artcc^ .f^ tant’ altri moftraronò 
Cicerone , Vir confeguif 

HrC ottima , ma i^roppp . ^ è quella «li regolar 

. r armonia fAgn'i dattm 

la prqfa con le Itelle ^ ci ferviamo nel na- 

e degli altri ’niaéllro pertanto' Cara lo 

mero poetico. Il • feriamente devonfi 

feffo Cicerone , d, J’ itupr™^', 

\fnoftra m”me il ’ou’limro eda pienezza de Ao. 

nt qu»dre«. Qu$nt.lX.^ .»- 


X »«5 X 

f 

periodi , e d’ avvezzare 1’ udirò noftro alla di ló- 
ro armoniofa cadenza . Imperocché , al dire dei- 
lo ftellb Tullio, non v’ha giudice più dperto in 
quelle cofe, quanto l’orecchio, il quale fubito 
$’ accorge, fé qualche cofa vi manca o fovrabbon- 
da (’) ; ed il petto del dicitore deve dar legge 
alla mifura del periodo, perchè non folo farebbe 
cofa difdicevole, fe gii mancafle lo fpirito e la 
Jena , ma ancora fe gli fovrabbondalTe (2) . Av- 
vezzati così alla lettura di Cicerone fenza (lento 
c fatica troveremo il modo di terminare i nollri 
periodi con varietà e con armonia per non atte- 
diare gli afcoltanti o con la llelfa cantilena, 0 con 
una ingrata union di parole (9). Da elfo appren- 
deremo a conchiudere i periodi ora in modo più 
dolce , e foave , ora in modo piu grave e mae- 
flofo (fecondo le varie materie , che avremo a trat- 
tare {*) ; e fenza fatica fapremo formare un pe- 
riodo foave e numerofo , mifurandone col folo 
orecchio perfettamente la cadenza , e comprenden- 

L 3 do 


C*) Mec qnideiti aures & perfr£Jo completo^ne 'verbortiln 
ambicu «audenr^ & curca^ fentiant, nec amant redundantia. 
Cic. in Bruto . Opcitne judicanc aures , quae & piena fenttunc , 
&paruni expleta deTìderant , & fragofìs offend.untur, & lenibus 
nulcentur, & contortis excitantar ttàbilia proBant , «lauda 
deprehendunt, redundantia & nimia faliidiunt . Quinta tX. 4. 

Ca^ Aures ipfae quid plenum, quid inane (rt judicant : & 
fpiritu, quali necelfìtate aliqua , verborum comprehenlio ter- 
nunatur ; in quo non modo defici , fed etiam;Jaborare turpe 
eli . Cic. ivi . ' . 

C3) Sjtint. Lib.II. Cap.I. Lii.T.ì^. Vegi'Part. I. Cap, i. 
Art. a. 3. Sunt enHn claurulai plures, .qu* nunerofe & i». 
cunde cadunt. Cic, in Brut. 

C*} Tum gravcs fumut, rum rubtile^.tuirt medium quid- 
dam tenemus : lìc infiitntam nofiram jntentiani Tequitur o- 
rationis genus. Dt Orai. III. 177 Qtnv^ JX. 4. Idem crebrre* 
^eri non oportet. Priroum enim nudierus cógnofcitur , deii> 
die fatiate poOtfa. cognUa iiicilitatd.coMeaiaitar. ImBnttf* 


n . 


x«^^x 

4q fubito, ft'tkuBa cofa 

vero farà fuj)crflua. Tj^ts tji S te tU a ^ quam muf-- 
tis undiaui fin 8 am pertf»lh , ^ non 

Jèd condii celéritgH exphcavtt^ diffe M. Tullio 
n ima delle fuc Orazioni ; ma quantunque potef- 
it fembrar meglio detto , pure offerva 

A* Gellio, che Cicerone amb piuttofto di dire 
0xpìieavh y perché il periodo non foffe mancante 

nell’ armonia (4K ' > r ■ rr • 

Ma contuttoché quena nuracrofità faa neceliaria 
in tutto il còntelte del periodo , devefi nulla di 
meno con maggior cura ricercare fui principio e 
nel fine , perchè allora 1’ uditore è più attento , 
t le paròle rdiano nel di lui animo più altamen- 
te impreffe (5) Guardiamoci però , come altrove 
abbiam detto, dal numero poetico , il quale fareb- 
be un grayiflìroo ' vizio fe dà un Qratore anche 
in minima parte fblcanto imitaflTc'Cd) . 

2.' Finora abbiam parlato di quell armonìa» che 
propriamente non ha altro fine, che il piacer dell 
udito; ma ve n’ha d’un altro genere, per cui l 
Oratore fpecialrocnte non »uto cerca di aggiunger 
grazia , quanto di dar forza al fuo difeorfo (?) • 



(a) N9O. Attit. ^ib. I. «. 7. 

Xl) Cam «urei txneoium Temper e*peS««t . ìb eoque acquie- 
fcaat, id vacare namero non pportec, fed ad huoc exitum t** 
piea a principio ferre debet verboram illa comprehenfio, « to* 
iz a capite ita fluere, ut ad extrpmuni venieas ipla coofiflat . 
Cit.inBrut. |n'pmni quidèni torpore totoqué, ut |ta djxe- 
lim , itaftu'numifris inferra «ft compofitio . Magis tamen deude. 
raturin cianfuii*. Qji»niJX.4. Prcxipiam claufulisdjligentiam 
pollulant jnitia’; nam & ad 'hxc iutentus auditor en. 

C<)^Ìpfa éoHocatió , coaformatioque verborutn pernator in 
fcribeado, non' poetico, fed quodam Oratorio numero «mo- 
do. D« €hra$. I. I. Verfu* enim in oratieoe fi ««cilur , vi- 
tiuB ed. ivi» Ltb. III.' \ ^ . 

Sed & v«rborum ili flruflura q««d*m duasres cBcieHSi 






^ X 167 X - 

Queda oonfide nel difporre le narole in tal ma- 
niera, che i« ultime (empre accrefcano forza alle 
precedenti , e facciano che il parlare in certa gui- 
fa vada crefcendo nel fuo vigore. Per efla alcune 
voci fi trafportano tal volta in fine dei periodi , 
dove fors’ anche_ malamente fembrano collocate, 
folo perchè ferifeano, e s’ imprimano più altamen- 
te nel cuore di quelli , che ci altoltano . Quanto 
necelfario fia e degno da confiderarfi ancora que- 
fio genere di numero , ben fi può comprendere 
dai leguenti efemp) di Cicerone . 

Nella fettima Orazione contro di Verre deferi- 
vendo egli un apparato di giufiizia, dice; Aderat 
janjtor carceris , carnìfex Prxtorìs , mors , terrorqut 
/ociorum, & c/v/um Romanoriim^ LìElor S extìus , 
Bada foto efaminare attentamente ad una ad una 
tutte quede parole per vedere, quanto colla loro 
afprezza rendano anche orribile l’idea d’un così 
trido e fpaventevole apparato , che va crefcendo di 
grado in grado. Quanto bene poi quelle parole, 
ZiHor Sexttus fono collocate in fine, per metter 
fott’ occhio colui , ch’eder dovea l’elecutore della 
fatale fentenza . E nella Filippica feconda così fcri- 
ve: Tu ijìts faucibus^ ijìtsìatertbus^ ìjìa ^ladta~ 
torta totìus corports firmitate ^ tantum vini tn Htp- 
pix nuptiis exhauferas y ut tipi necefje effet in Pop» 
Rom. con fpeElu vomere pofiridie . Si trafporti , dice 
Quintiliano^ qued’ ultima parola in altro luogo, e 
perderà ogni fuo vigore, perché ella é come la pun- 
ta del dardo, la quale ferifee, e reda confitta nel 
cuore degli aicoltanci . Udiamo in fatti la cofa me- 

L 4 glio 


aumefiun gt Iroitdtem; & renteatia Tuani compofitioDem ha- 
bene ad prob^odaaa reio ac«onuDoda(uta ordiaen . Ci(. dt Opf» 
^cn. orar. 


X X 

.qlio rpiegata dallo ftefTo Cicerone: 0 rem mn mò- 
do vi fu fatdam, fed etiam audlni(S). Si hoc tibi 
i riter cceriam in tuis imm ani bus ■illi s peculi s acci di f- 
fet , ijuis non turpe ducerei ì In ccetu vero Pop. Rom. 
'negotium publicum gerens ^ magijler etjuitum^ cut 
rubare turpe ef)et , is Vomens frufìis efculentis , 
vìnum redolentibus gremittm fuum 0 “ totum tri- 
bunal implevit .* Non folo ella fu cofa ofeena e 
turpe 1’ aver vomitato , e vomitato in una adu- 
nanza , ed àdunanza di popolo Romano in tem- 
po, che trattavafi di publico affare,' elTendo egli 
in dignità collituito; ma quello, che lo rende viep- 
più odiofo fi è r aver egli , che dotato era d’ una 
robuficzza di corpo pari a quella d’ un gladiato- 
re, vomitato tre giorni dopo, pojìridie {*) . 

A quello genere d’ armonia poffono ancora ap- 
partenere que’ verfi che a bella polla da Virgi- 
lio furono terminati con un monofillabo : 

ruit oceano nox . 

procumbit humi bos . 

nafeetur exiguus mus . 

ed altri limili , a’ quali la chiufa d’ nna fola filla- 
ba aggiunge una grazia, che non può abballanza 
cfTere fpiegata (9), 

AU • 


S* avvide forfè, dice il RoIIfn, in quefto luogo Cice- 
rone , che egli veniva a parlar meno decentemente ; e però 
volle prevenir l’animo degli afcoltantr con una efclamazio- 
aCf'febbene per l’uTo de’ vomitor), che in que’ tempi pren* 
devanli dopo il palio, tal cofa potea fembrar meno ofeena 
a* Romani : laonde vedefì che dopo Cicerone a bella polla 
lèmbra che cerchi d’ ingrandirla . 

CO Veggali Qjtint, Lib. yiU. cap. 4. delle Rtth. 

CO Epitheton exiguum aptum proprium , enecit , ne plus 
expedlaremus , & cafus fìngularis magra decurt , & clanfuli 
iplt unins filfnbz non alitata dedit gratiaia . è oJTtr- 

va^one di ilftinu Lib, mi. e. 3 . ■ > 


* 

. oc X 

Alcuni pcft» vi fono , i quali ftudiandiofi di fà- 
«vcllare , o di feri vere nunnerofamentc, non curan 
altro, che le parole , e vertono i propri fentimenti 
d* un abito così vano , ed inutile , che non fanno 
più veruna imprelfione nell’ animo di chi gli afcol- 
ta (*) . Abbiafi pur cura della elocuzione , dice 
Fabio, ma ricordiamoci, che nulla devei dire in 
grazia delle^ parole, perchè le parole rteffe non per 
altro furono ritrovate , che per efprimere i con- 
cepiti penfieri (lò). M^lio farà dunque l’ erter 
^fpro , duro , e privo affatto d’armonia nel nortro 
difeorfo, piuttofto che ufare uno (file molle, effe- 
minato, o cadere in rtucchevoli fuperfluità (ii); 
imperocché la principal cura , che aver fi deve , a 
parere dello (hdTo Quintiliano , fi è di fórey che il 
numero non fembri nè ricercato, nè sforzato, ..ma 
che fpontaneamente , e di fua natura apparifea , 
efler egli venuto in feguito alle parole C12). La 
troppa cura nella fcelta de’ vocaboli difatti de- 
roga agli affetti, e dovunque fi feorge artificio , 
manca fubito 1’ afpetto di verità (15). ^ ' 

Fiflb dunque fiiaci in mente quel faggio avvifo 
del celebre Vincenzo Gravina, il quale ci aflìcu- 
ra , che /’ Eloquenza non puh fiorire fe non qttan- 
do e pvtfieri , e negli abbellimenti delle paro- 
le y 


Q^orumdam éloctttio re« iptas efteminat, quacillover- 
borum habitu veftiuntur. Quint. Proettt. Lib.yill.^ ' j 

Ciò) $it cura elocutionis quam maxima, dura feiamus ta. 
men , nihil verborum caufa edie faciendum, cum verba ip(z 
rcrurn gratia fint reperta . Quint. in protm. Lib. f'Ilt, ^ e lib. 
XIT. e. IO. 

Cn) In univerfum duram potius atque afperam compofìtioarm 
fìialim e<T«, quam effeminatara & enervrm. Q^tint. IX. 4. 

CiO Dfflìmulatio curar prarctpua, ut numeri fponte fluxiSe , 
nec accerfiti & coaéli effe videantur . Quint. Lib. TX. in fin. 

(13) Càm cura verboruiS deroget affeftibus, & nbicumqut 
;tfs offendatur, veritas abtffs videatur. Qjtint, ÌT,i taf. f-.,i 


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X 170 X 

/#, t mW armonìa 4^/ numera gli Orgtari fieguo’ 
ito la natura ed a Iti fi conformano ; imperocché^ 
dice , fa vogliamo affaticar la mente con fùt^ 
tiglìexxa d' invenzione , e far pompa di belle paro-- 
l§y e di fcel fa armonia nel nofiro difeorfo così che 
vengafi ad efiingaere la fomiglianza 'della natu^ 
fa ; allora in luogo della vera elt^uenza fuccede- 
fà una verbafa fuperftuità peggiore della fleffa 
barbarie . 

^ A P Q IL 

Della ImitaTÙone f 

In qoèila guifa, dice Quintiliano , che i tnund, 
i pittori, ed i contadini, avvegnaché fappiano le 
regole deli’ arte fua , ppre lì studiano di feguir i’ 
efempio de* propri roacllri , per fa perle a tempo 
adoperare ; p (Quelli procurano d* imitarne le va- 
rie infleirioni di voce, quelli le polìzioni ed at- 
' teggiamenti delle figure, e quelli altri finalmente 
•lo fperimentaeo modo di coltivare la terra ; cos; 
ancora^ neir arte di ben parlare, dopo d’aver ap- 

I ircfo i precetti , bjfogna attendere ad imitar co- 
oro , che retto ufo avendone fatto , confeguironQ 
il fine , che eranfi proporto (t), 

L* imitazione pertanto , fecondo l’ Autore ad E- 
rennio . conrtrte nell’ applicarrt con ogni rtudio e 
cura a divenir fìmili nello rcrìvere>o nel dire a’ pib 


ec- 




Tn Epifl. ad S cip. Mafejum . 


fi) Omnis vita ratio fic conriaCf ut quas probamut in «• 
liiSf facer« veìiinua . Sic nufici vocepi docaatiuiQ ^ pi£to> 
rat «para priorum : ruftici probatam cxpariacataculturaio in 
«■•mplum intuentur : oimris daniquadifeiplioa initia ad pro> 

r »ataai fibi pr»Tcriptiun fòrmart videams . Lik X, fep, 
o«t. XIII. (Ui ^abUmc, Pliit. Unt, Eg, 9. 


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X 171 X 

jcccellenti maeftrl(a). Per la qual cofa dobbiamo pri* 
mieramente aver di mira, che l’efempio propqilq» 
ci da imitare fia .ottimo.C^) , e fcevro affatto di dU • 
fetti 1 perchè altrimenti correrelTimo perÌ6lio di con- 
trarre in un colle di lui virth ancora i vizj . Sic- 
come però non v’ ha forfè fcrittore, fe vogliamo 
dar retta ai critici, il quale Zìa in ogni fua parte 
irreprenfibilc , perciò Seguendo il parere di Quinti- 
liano e di Tacito, nell’ imitare non ci atterremo 
ad un folo; rna fcelto per guida il migliore di tut- 
ti gli autori di quella facoltà, in cui defìderiamo 
cfercitarci , raccorremo ancora i fiori degli altri, 
c ci feorteremo dal' primo , laddove meglio di lui 
qualcun altro abbia fcritto, od abbia parlato (4)* 
Nelle pillole adunque , ne’ dial^hi , e nello fcri- 
ver ^migliare feguiremo il folo Cicerone: Nella 
ftoria imiteremo la purità di Cefare, la chiarezza 
di Cornelio , la brevità diSalluftio, e Tefattezza 
di Livio : Nell’ .Oratoria ficurifTima feorta ci farà 
M. Tullio, quantunque non fi trafeureranno le O* 
razioni di Livio, e di Sallufiio , le quali fpeciai- 
mente poffono giovare a formar uno Itile più vi- 
brato e penetrante . Nell’ Epida poefia ci proporre- 
mo 


(0 I«itatio eft, qn» »«ìp#niinur ctim dUigenti rationr ut 
flìquoruua flmilei in diceodo velimus effe . IV. a. aliquorum 

idtfi Qptimorutn^ cosi il Manmio. ' ^ 

(5) Optimuf quifque iegtndus eft, fed dìIigfBter ac pene 
ad feribendì rqiiicitudia^ni . JT. h Lia. IL cap. 3. e ^ 

C4) Nel dar giudizio però oe’ uomini grandi, dice lo fteffo 
Fabio, bifpgna ufar gran moderazióne; Modejte tamen&‘ cir- 
cuvhfpt^o judicio tantif virif pionuntiandum f/t , m (^q'tod 
pltrijque aceidit") d/mmnt quét non inteliigunt .!' ^ih.X.c.i. 
Per la qual cofa, fìegue a dire^ fi necejft afi in aitar qvn er- 
rata partami entni a eortm Ugantibut placata^ guarà multa 
difpiitara maluarim ; e non avendo baiievoi giudizio fai'à 
ineqlio, ficcome dice Ti)llio, (umPlétxm* quameum 

sliif vara ftmirt . 


^ X 170 X 

fif t wdP armonta (kl numera gli Orgferi fitguo' 
m ia naturai ed a. lei fi confarm/tne ; imperocché f 
dice , /r vogliamo affatifar la mente con fot- 
tigliexxa ef inyenKÌone i ' e far j^mpa di helle paro- 
lai e di f colpa armonia net nqfiro difcorfo così che 
vengafi ad efiinguere la Somiglianza ^ dell a natu- 
ra ì allora tn luogo della vera eloguemna fuccedt- 
rà urna ver ho/a Juperfiuitd peggiore della fiejfa 
harharieii4), ' . 

a A p Q II, 

Della Imitazione • 

Ik quella guifa, dice Quintiliano , che i munci| 
i pittori, ed i coittadini, avvegnaché fappiano le 
regole deir l'uà , pure lì Hudiano di feguir T 
efempio de’ propri rpaellri , per Caperle a tempo 
adoperare ; p quelli procurano d’ imitarne le va- 
rie infleiriotli di voce, quelli le polìgoni ed at- 
teggiamenti delle ligure, e quelli altri lìaalmente 
do fperiiDeataeo modo di coltivare la terra ; cost 
ancora nell’ arte di ben parlare, dopo d’ aver ap** 

I ireCo i precetti , bjfogna attendere ad imitar co- 
oro, che retto ufo avendone fatto , confeguironq 
il fine , che eranlì propello (i), 

L’ imitazione pertanto , fecondo T Autore ad E- 
rennio . conlìlle nell’ applicarli con ogni lludio q 
cura a divenir limili nello fcrivereiO nel dire a’ pib 
’ ec- 

( 14 ) Tn Epijt. ai Seip. Mafejttm . 

( 1 } Omnis vita ratio fic conllat, ut qux probamot in a« 
liis, tacere veliinus . Sic tnafici vocefif docenpum : fìc pi6to> 
rea «pera pnorum : ruftici probatam esperimeoto culturam in 
CBeinpluiii intnentur ; omme deniijHe difeipiina initia ad prò- 
•oStHiR (ibi pratTcripciiar foriaart videnus . Uh. X, e»jf. 

XI If. dtt Sublime, Ptén, Ep, 9, 


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X 17 * X 

/eccellenti maeftrICi). Per la qual cofa dobbiamo pri* 
mieramente aver di miraj che Pefempio propello- 
ci da imitare fia ,otti^,(^) , e fcevro affatto di di- • 
fetti , perchè altrimenti correrelTimo periglio di con- 
trarre in un colle di lui virth' ancora i vizj . Sic- 
come però non v’ ha forfè fcrittore, fe vogliamo 
dar retta a» critici, il quale Zìa in ogni iba parte 
irreprenfibilc V perciò feguendp il parere di Quinti- 
liano e di Tacito , nell’ imitare non ci atterremo 
ad un folo; ma fcelto per guida il migliore di tut- 
ti gli au^ri di quella facoltà^ in cui defìderiamo 
efercitarci , raccorremo ancora i fiori degli altri , 
c ci fcolleremq dai prìmo , laddove meglio di lui 
qualcun altro abbia fcritto, od abbia parlato (4). 

Nelle pillole adunque , ne’ dial^hi , e nello Scri- 
ver famigliare feguiremo il folo Cicerone : Nella 
lloria imiteremo la purità di Cefare, la chiarezza 
di Cornelio, |a brevità di Sallullio, e Tefattezza 
di Livio : Nell’ .Oratoria ficuriffima feorta ci farà 
M. Tullio, quantunque non fì trafeureranno le Ò- 
razioni di Livio, e di Sallullio , le quali fpeclal- 
mente poffbno giovare a formar uno llile piu vi- 
brato e penetrante . Nell’ Epica poefia ci proporre- 

|no 


CO laitatio eft, iarptllimur ctitn diliaenti rationr nt 
qliquorun fimilet io dicendo veliiqas ede . IV. t. aliquorum 
idw Q^imorum^ cosi il Maouito. ' — 

C3) .Optimus' qoifqiie iecsndus eft. fed dilisedter ac pene 
ad ieribendi roilicitudioepi . ^int. X. J, Lib. IL eap. e 5. 

Nej dar giudizio però oc* uomioi grandi, dice lo fte^o 
Fabio, bifogna ufar gran noderaziÓDe; Modefle tatnenfìr cir- 
€UPtfpt(io sudicio (ì« tanti f viri^ pronumiandum eft ^nt(^q’‘od 
pltrif^ue accidit') 'dftmntnt qu» non intei/igunt J X.c.x. 
Per la qual cola, fìegue a dire, fi nec^o afi in altttqm er- 
rart partente omnia eorum Ugantibua placata^ quam multa 
difpfieara maluarim ; • non avendo baflevoi giudizio fa<’à 
ine|ijo, ficcone dice Tqllìo, eumPituvna arxM$o iuameum 
§hif vara famira . 


X 17* X 

mo il folo Virgilio ; nella Lirica Cafullo , ed Or»^ 
ilo ; Tibullo , Properzio , ed Ovidio nelle Ele- 
gie ; nelle E?,Ioghc Virgilio , e Pcdro nelle Fa- 
vole Tra i Comici imiteremo TerenZio, Plau- 
to e nelle Satire e nelle Pillole Orazio , e Giuve- 
naie . Siccome però Marziale nell’ Epigramtpa io. 
del Lib. V. lagnafi di certo collume , che hno a 
fuoi tempi regnava , per cui nel mondo fembra , 
che foltanro fi apprezzino gli antichi , e niun con- 
to fi faeda de’ piò recenti fcrittori , benché non 
inferiori a quelli ; noi non faremo cosi Icniavi deli 
antichità, che non Tappiamo approvare fe non 
quello che ci venne dalla Grecia o dal Lazio , ma 
fìudieremo egualmente li moderni autori , che da 
tutta quanta la letteraria repubblica riportarono 
approvazione» e che meritamente a quelli dell 
aureo fecolo fi poflbno paragonare . 

Scelti così gli efempi da imitarli , non dobbia- 
mo già contentarci di leggerli rapidamente, tM 
con ogni diligenza ed attenzione conlidcrar li dob- 
biamo ; e ficcome i cibi, dice Quintiliano^)» s 
inghiottifeono dopo d’ averli ben ben maliicati , e 
refi liquidi per facilitarne la digellione i cosi per 
abilirarfi ad imitar qualche autore duopo è legger- 
lo , e rileggerlo con diligenza in guifa che rem {pro- 
fondamente impreflb nella nollra mente . Quindi 
bifogna in primo luogo confiderare la forza di tut- 
te le parole da lui ufate , pofeia la di loro vana 
collocazione , la conneflìone , l’ armonia . E necef- 
fario imbeverli delle di lui frali , e renderli 


C5) Repetamus autem 4 iraftemus : & ut 
rtupe liqaefaftos dimittimus quo facilius 

non cruda, fed multa raiioue moIUta , & v«Ut confe«» 

^aimotùe imitacioniqus tradaiur. Quint. ivi. ^ 


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)t' m )C 

oliare la fua diverfa fintafTì : ponderarne le fenten- 
?e , efaminarne le figure ed i traslati , e procurare 
di ricavar il motivo , per cui in uno piuttofto che 
in altro modo fiafi efpreffo , e per cui queaa pmc- 
tofto che quell’ altra figura egli abbia adoperato ( 
Perchè poi la nortra imitazione venga ad elJere 
veramente buona, e lodevole , deve efìfer fatta con 
diligenza ed in retto modo . Sara diligente , le a 
tempo noi fapremo appropriarci quello , che tor- 
nerà bene al noltro propofito ; e le procureremo 
che l’ imitazione corrifponda in ogni parte all e- 
fempio imitato, ritenendone tutte le belkzze , 
e variandone con grazia e giuda la necejiita le 
circodanze , e gli aggiunti . Sarà poi fatta m ret- 
ro modo, fe venga tolta con dedrezza, licchè quah 
l’uditore, o il leggitore non fe ne avvegga. E 
quivi però è necelTariq didinguere tra Furro , /- 
rhttaztoney ed Emulazione, 

Furto fi può dire quel modo d’imitare, che ten- 
gono cert’ uni , li quali , quando lor torna bene, s 
appropriano qualche pezzo d’ altro autore , 1 inte- 
rifcono ne’ Tuoi fcritti , fenza mutarne pur paro- 
la 0 la minima circodanza . Di codoro al certo par- 
lò Orazio , quando dilTe : O ìmttatores fervum pe- 
cus ! Avvegnaché però tale imitazion fervile non 
fembri lodevole, pure quando fi faccia col tralpor- 
tare i fcnfi altrui in altra lingua , o dalla profa nel 
verfo . e vicendevolmente dal verfo nella prola, 
può avere il fuo merito . Così 
Loltinrmi pezii dell’ Iliade , e del Odiflea di O- 
mero nella fua Eneide ; Tullio nelle fue Oraxio- 

m 


m Nec Dtr partes modo fcrotanda omnia , fed perleaus li- 
» iii”ue ex imegro refumendus, 

inutesfrequcnter ex induftna quoque occuUantur. iiutat.x.J. 


XI74X 

hi in molti luoghi prcfc da Demoftette* c ne* fuoi 
libri filofofici da Platone cd il Cafa interi fquar- 
ci di Cicerone tradnnTey e gli inferì nelle fue ita- 
liane Orazioni. Ecco come 1’ Ariofto nei Canto 
XIX.' deir Orlando elegantemente imitb quella li- 
milicudine di Staxio Tneiaid; Xi 

Ut ^uam favo fatam prtfferé cubili 
Vinantec Numida natos eresia f^erfift 
Mente fuh incerta ^ torvam at mi/erabile firen- 
^ . dens .• , ^ 

Ùla qaideìH turbare gìvbos & frangere fn^j» 
Tela quarti , fed prolis amor crudelia yiwit 
Finora , ty in media tatulos circumfpicit ira « 
Qém'. orfa , che V aìpeflre Cacàiatpre 
.Nella pietrofa tana affalit^ abbia 
Sta.foprd i figli con imerto cerei 
E freme in fuano di pietà e di rabbia : 


Ira la invita t! naturai furere ^ 

A (piegar V unghiea infangutndr le labbia i 
Anièr la intenerì feti t la ritira , ^ 

A riguardar i figli in mexxo alP ira 


Li' itni imitazione richiede, laTciando hcoh 
fa' in (t lìefh qual è , matinlì le circoftaaze in gai- 
fa tale i thè non raHenibH pih quella ; oprare vuo» 
le ,» «he i (erbati dòli^ lo' fteffo' metodo , ed' óffatura 
per eosf dire del difeorfo,* eoa fi^«^ td in manie- 
ra tósi diVerfa* dàlP oirigioale la eofa G «Tponga i 
che aeqai^r né* aria di novità.' Tullio p.'e.' avea 
detto nella Orazioni a favor di Milonc : Vàc 
appe! là’ i fòrti (fimi viri , qui multUm prò republif a 
Janguinem effiùdifiu Vos in' viri O" cjyh inviBi 





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X'i7S X 

lixiOBe di Piacene: Oglorhfe^ o éen na$t^ t4^ 
ftt a7/ve»tur«ft anime f mila mriceltt/a ed afpr$ 

f ^uetra della Magna feguifle il Ùaed » e di fua mil- 
izia féfle : e le quali per la gloria y e per la /r- 
lute di Ce fare i corùi vojiri abbai^nando^ ed alla 
Tedefcd fiereyca^ proPm fdngué je dì qitel di 

hi tinti la/eiantMi j a al fé fatiche ^ ai dane mife* 
rie del monda -vi dip art ifie <, vedete voi vta ìd e ìfe 
dolente fiato il vofiro Signore è pofio ? Cosi QbU* 
Ode 4. dei Libro L Orazio avea cantato : ^ 

Pallida mors aquo pulfat pedo paupértm taèétniè^ 
Regumque ti^rres . - . 

Èd il Zanìpieri ra quei fuo Sonetto , cfce’ incomin- 
cia; Un\OmòraitCt cosi elegantemente lo imitò; 

curvi aratri, é colà f centi infranti 
In un mifii e confufi ; un eguahforte\^ ^ 
Correan ruflkhe lane , e tegj ammaftti . 

L* Emulazione per u/timo non folo' conlS^ nel- 
lo dudio e nella cura di renderli a qualche autor 
fomigliante , ma ancora nel defìderio e nei/a dili- 
genza d’ oltrcpaflTarlo ^ Quello è quello , che do- 
vrebbe ognuno procurar di confegùire (d) ; impe- 
rocché , fé r imitatore nulla tnai avelTe aggiuntò 
all’ efcmpio , dice Quintiliano (7 ) farelfimo an- 
cora nell’ antia barbarie w Siccome però il lar que- 

llo 

CO Licebit {nrerdom & noviffima etigere, & c«rta'rrciiiiìr ele- 
Clts . Plin. Lib. FUI. tp. 9. Sic imiterourf ut aiTeijut contenda- 
mus : no/tra detnum cootcntio omnls id refpicìat , ut qufm 
afecuti furrimus, etiam prgtertainnv . Bmib. Hi wp. mi Piam . 

C?) Turpe etiam iilud eft, coatentum effe id conrequi, 
^uod imfteni. NaiA rarfot quid craif futdftmr, (ì tremo pine 
eff^eciflPiet eo qa<e(iy fequrbatar 1 NIMl io rodtia ftrpra Livium 
Andronicnnr. tiibn tn faìAbrilC fyftd fotitigciini aaaftlva h*- 
bcrenut, Ub,X, e. ir 



ry.T7ÓX 

fio noti è di tutti, ma di coloro foltanto , che <H 
fommo giudizio ed ingegno fono dotati, i princi- 
pianti fi contenteranno di una efatta imitazione , 
perchè non vengano a cagione del troppo ardire 
a far deplorabili cadute . j* 

Ed affinchè vieppiù fi vegga la finezza di giudi- 
zio , di cui bifogna efler forniti per fare una b^ 
na imitazione , piacemi quivi addurre alcune ofier- 
vazioni fatte dal celebre Saverio Mattei nella fua 
Dijfertazicne 'fui Tragici Greci. Dice egli al nu- 
mero 52. ,,, Omero , eh’ è il primo pittar delle me- 
morie antiche , che han tutti cercato di copiare , 
così s’ erprime nel fello dell’ Iliade : 

n’f yòrt rii sretrof ìirnfo! ùìioiTufftcs vni , 

ecTTOppé^tts Qua wiS'tMo npottivcev , 

^ ^ 'E^a9a^s ho\Jta$cu tOpptios vorcefMio ^ 

^ mvS'ioaiy . v4^ov «Ts xapn ìì 

^pois ttìaffonTtiu . ò y ayKttiy^i <n‘(T0iS^s , ^ 

i yovvet (piptt ptrec t nétte , xtei voptoV <t- 
•xov (Ji) . *’ 

Eccone la traduzione Latina letterale . 

Ut vero cum jìabulans equus hordeo-pajius ad 
pttefepe y 

Vincìo rupto currit per campum terra pedwus 
pulfansy . 

Confuetus lavari in pulchre fluente fluvtoy 

SuperbienSy alte vero caput fert , arcumque 

a„_ 


C8) Omero fteffo forfè ricavò queAa fimilitudine dal cap.39, 
del libro di Giob « dove quell’ iipiiato Scrittore mirabiltnen- 
te ci deferive no cavallo, che libqfo corre ad tncouiiar la 
battaslla. ' • ^ 


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o 


X 177 X ‘ 

Humeros motamur : ipfe pulchrhud’me corporis 
fretus , . 

• Facile tpfum genua ferunt ad loca-confueta ^0* 
pafeua equ'orum . 

Ennio fu il primo fra ;i Latini, che' cercò di 
fcrvirti dell Omerica comparazione, e i fuoi ver- 
11 , che cl rimangono, fon quefli : 

Et tum ficut equus, qui de prxfepihus a^us 
, In nel a f ut s magms animi s abrupit ^ & inde 

Fert fe fe campi per aerulay Ijetaque peata 
Celjo pettore y fxpe jubam quajfatjìmul altam. 
òptnttti ex anima c alida /puma: agii albas ^ 
Virgilio nell’ undecimo : 

' ubi abruptis fugit pr afepia vhelis 

landem Itùer equus, campoque potkus aperto, 
^ut tlle mpajius , armentaque tendit equarurn, 
ulJuetus t^ua perfundi fumine noto 
hmtcaty arreStifque fremii cervi ci bus y alte 
LuxurtanSy luduntque juba per coll ay per armos, 

II Tafìfo nel canto IX. Ifanza 75. 

Come dejìrier , che da le regìe dalle 
Ove ald ufo dell' arme fi ri/erba ' 

Fugge y e libero al fin per largo calle 
Fa tra gh armenti al fiume ùfatOy 0 aW erba y 
òcherzan fui collo i crini ; e fu le f pai le , 
à* Jcuate la cervice altUy e fuperba : 
ugnano / pif nel corfoy e' par che 'avvampi 
Vt f onori nitriti empiendo i campi . 

u’ ninno de’ tre poe^i ha potuto dire 
quel, che ha detto Omero del. cavallo/ cioè 
7 ?, ed perchè nè la' lingua -Latina nè 

Lili » che non lien bàrti, per efpri. 

di fiali a y e \V cavallo ler\p a fiiu' - 
Qtard, Elem: T. L M ' to . 


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o 

• X 178 X 

Ì 6 tVorzo. Virgilio con quel tandem Vtber equus j 
c coll’aggiunto di aperto dato al campo, fa capi- 
re , che prima (fava rinferrato nella ftalla , ma 
dell’orzo non ha potuto far menzione. Taffo ha 
l'eguito fedelmente;Virgilio ,• fol che ha prefo da 
Omero , Suonano i piè nel corfo , che ha lafciato 
Virgilio. Ennio fu men ferv^iìe, ^ h /puma àéV 
ultimo Tuo verfo fu una fua bella giunta , che non. 
fo , perchè fu lafciata da Virgilio', e dal Tallo . 
L’ epiteto di regie dato alle Halle dal Talfo in- 
gentilifcé quello termine , eh’ è un poco baffo fra 
noi , e giova ad accrefeer il pregio del valorofo 
cavallo . Mefallafio reflringe quello paragone i» 
un’ aria del luo Alelfandro : 

Ì)ejìrier , che air armi ' ufato 
Fuggè da chiufo albergo , 

Scorre la felva^^ e il prato y 
Jgita il cria fui tergo , 

E fa co fuoi nitriti 
La valle rifonar. 

Ed ogni fuon che af colta 
Crede , che fta la voce 
Del Cava iter feroce , • ‘ . 

Che i anima a pugnar , 

Di tutti quelli poeti la comparazion di Omero 
febbene fi vegga nuda tradotta in. una profa difa- 
dorna gramaticale, pure oltre il pregio d’ effer 0- 
riginale, è forfè là più bella di tutte. Ennio'per 
verità non fidandoli di efprimcr tutto quel ,• che 
aveva detto Omero , aggiunfe qualche altra cm 
del fuo con felicità. Virgilio feguì fedelmente O- 
mero faenza aggiungere una parola , ma fupplendo 
con altri vocaboli la forza di alcune voci , che 
non potean ttadurfi’. Talfo tentò di migliorar la 

comparazione di Virgilio, ma fu alquanto impru- 

dea- 


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X 179 X 

dente , Egli ha creduto d’ ingrandir la comparsi- 
zrone del cavallo non Colo coll’ aggiunto di r^P/V 
dato alle Ihile, ma con quel verio , Ove all' ufo 
dell armi fi riferba y dipingendoci così un caval- 
lo , eh elee folamente per fervi r la truppa in bat- 
taglia; tutto va bene, ma per quefìo cavallo guer- 
riero tutte le circollanze , che Seguono fon fred- 

//>’ z ■ si f armenti al fiume ufato , o 

all erba ; Qp^/ìo cavallo’ guerriero non ha premu- 
ra fuggendo di andar all’erba, o di lavarfi nel 
fiume ufato fra gli armenti , co’ quali non" mai s’ 
accompagnò .* Quefie drcoftanze eran ottime per 

^ Per quella di 
^1^ f ^ «^^vallo riferbato 

firn ii™‘ '' Virgilio ci defcrif- 

fero un cavali, eh era folito a lavarfi di tanto 

jn tanto nel nume, e che da un pezzo non era 
Itato condotto, ma tenuto chiufo nella fialla, ove 
lenza ufcire avea mangiato molta biada : quello 
feappando corre al fiume , va ad infuriar tra le 
>^^^^»J^f9»arum , che troppo languida- 
inente Talfo yadulTe foio armenti^ Metafiafio vol- 
e eguir Taffo,* e darci F idea del cavallo guer- 
riero, ma ebbe quel giudizio, che al Tafib, poe- 
t per altro* foyerchiamente giudiziofo , in quella 

sii armenti, elela- 
duelf^-dM diede aggiungendo del fuo 

1 ; j guerriero, che TalTo non 

j- che la comparazione di 

tip! fin’o*^* Ennio, di Metafiafio , può ciafeuna 
Pilj chiamarfi originale, quella di Vir- 

f n?i “PJ^^clicilfima copia , che contraila coll’Ori- 

troann* f quella del TalTo una copia non 

troppo quella volta felice , 

‘^efio capitolo con quel 
celebre precetto di Orazio , il quale altro non fa- 

M 2 pea 


» • 


X i8o X 

pca nell’ Arte Poetica raccomandare a’ fuoi Fifo- 
ni, che di aver continuamente fra le mani r Gre- 
ci fcrittori . ' 

.... Vos exemplarìa grxca 

No^lurna ver fate manu , verfate d’iurna . 

Chiunque pertanto defidera confeguire eoo faci- 
lità il fine della imitazione, pareggiare cioè coi 
•fiK) dire i più eccellenti autori , non deve mai cef- 
farc dal leggerli, e meditarli; imperocché, ficco- 
me chi paleggia a’ raggi del Sole, avvegnaché per 
tutt’ altro motivo camolini, nullaortante contrae 
diverfo colore; così, dice Tullio (9), avvezzati 
noi alla di loro lettura, ci renderemo famigliare, 
ed in certo modo connaturale il fuo parlare , e 
fenzà'fludio e fatica ci fi offriranno alla mente, c 
ci verranno alla lingua le di loro frafi , ed ele- 
ganti manica di favellare, in guifa che anche non 
volendo, non potremo a meno di fervirci del lo- 
ro proprio linguaggio (io). 

CAPO iir. 

DelV Eferàzìo . 

chiunque vorrà uguagliare i più grandi 
poeti ed oratori, dopo d’aver fatto un diligen- 
te ftudio fui di loro icritti , dovrà fpeffo , dice 


CO Ut CHm in fole ambulem, etiamfì aliam ob caufam am- 
bu'em, fieri natura tatnen , ur coiorer ; fic cum iftos libros 
QQrecorum ^ itudiolìus legerini , fentio orationem 

meam iUorum lantu quafi colorari ; Dt Orat. II. 6o. 

Cio^ Horum fermone aflueiaCti , qaicmot, non potcrant Io- 
qui nifi Utine . XJjvrnt. l, c. 


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; . X 1^1 X 

M. TiilHd' CO j e cori impegno efercitarfi nel cfl* 
re e più ancor nello fcrivere, perchè 1’ cfercizio 
vale affai più che i precetti di tutti quanti i mae- 
Ori , e ferve a maraviglia per purificare , e ren- 
dere elegante il noftro difcorfo (2) . 

Quefi’.efcrcizio per tanto non è altro , che un 
ufo continuo , ed un’ aflìdua confuetudine di com- 
porre, e di parlare (5). Siccome però noi in que- 
lli precetti non ci cftendiamo oltre i Próginnaf- 
Inati , che così li chiamano , dell’Arte Rettorica , 
perciò a tre foli capi ridurremo tutta l’Efercita- 
zione , ai T radurre cioè , al Raccontare ^ ed all’ 
Efornare , oflia Amplificare (4) , 

• I i ' 

ARTICOLO r. 

Della T raduzione 4 . 

Se la fceira delle parole origine è d’ eloquenza , 
come diffe Cefare nel I. Libro dell’ Analogìa,- al 
riferire di Cicerone n^ Bruto, non fo come que- 
lla meglio fi poffa fare, che nel tradurre; eferci- 
zio praticato da Cicerone, commendato da Plinio 
' , , " M 5 no- 


CO'Hanc i^itur fìmilitudinem qui imitatione affequi vo. 
iet, tum czercitattpnibus crebris, atque magni $ , tum fcri- 
b<^ndo maxime perfequaiur. De Orat. IT. 96. Ad eam dotlri- 
nam , quam Tuo quifque flfudio confecutus eifet, adjunperp- 
tur ufus frequens, qui omaiuin magiltrorum przeepta i'upe- 
xaret . ivi 1. 15. ‘ 

fa) Tum ipfa collocatio conformalioque verborun» perfìci- 
tur »n fcribendo. ivi . 151. 

'CO Exeicitatio eil affiduns ufus, conruetudoque dicendi . Aà 
Heren. /. j. 

"CO Altri aggiungono ancora la Dercrir.ione^ ma noi per, 
brevità la tralafciamo, altro t^uella non eflendo , che una fpe* 
eie di Narrazione abbellita d^ila Ipotipolì , dall' Etopeja , o 
4aMa Profopografia , ’ 


% i82 X ■ , 

fiòvcllo (*) , e nella bella emulazione , e ticlfci 
^iudiziofa imitazione de’ Greci da per tutto, jì 

J )uò dire, meffo in opera da’ gloriofi Latini . Cosi 
ì fa una ricca provvifione di voci e di maniere ^ 
un apparecchio fertilififimo di efpreflTioni tanto di 
dilicatezza , quanto di forza per poterlo a fuo uo- 
po impiegare neirampliffìma varietà di iòggetti a 
trattare , che occor pofTono , aufteri , foavi , gra- 
vi , galanti , trilli , allegri , alti , umili, ferj. fa- 
ceti , di coifume , d’ affetto . Sin qui il Salvini 
nella fua Lezione L, Ed in fatti anche Quintilia- 
no (0 afferma, che l’Interpretazione o la Tra- 
duzione è uno de’ mezzi più facili e più ficuri 
per impoffeiTarfi a fondo d’ una lingua e per ac- 
quiftarfi facondia ,e facilità nel com*pprre . Il pri- 
mo efércizio dunque di un giovine, che brami di- 
venir (eloquente o nella Latina , o nell’ Italiana 
favella farà quello di tradurre gli ottimi autori 
dell’ una ne;ll’ altra lingua , fvolgendone con ogni 
diligenza- i fenfi , ponderandone le parole, c pro- 
curando' di renderfì famigliari le loro pfprertìoat 
così che con la fleffa facilità ed eleganza , ficco- 
me Quegli ha fatto nella propria , egli pure nella 
fua lingua poffa efprimere i medefimi concetti , e 
le lleffe imagini rapprefentare . Ma la difficoltà fta 
appunto nel faper ben tradurre ; imperocché ft . 

^ 

C) Lih. (^ir. tp.9. Utile fn primis, ut multi prascipiuot , 
Tei ex Grseco in Latinum, vel ex Latino vertere in Grar- 
cum : quo genere exercicacioitis , proprieras, fplendorque ver. 
borum , copia figurarum , yis e^plicandi , ptseterea iniitatioae 
pptimorum fimiiia inveniendi facultas paratur . 

Ci) Coerentemente a Cic. nel /. rfe 1 55. Mihiplacuit, 
eoque fum ufus adolefcens ut fummorum oratorum Gixcac 
prationes l'xplicarem, quiUus JcOis hoc altequebar , ut cum 
ca quar legerem Grxce , latine redderetn, noa folura optiinig 
verbis uterer, & tamen alitatisi (ed etiam cxprimereni quSt 
yUni yctba imitando,, qux nova nollris cRent # 


i 

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. ^ ' 



« 


X I8j X 

• \ 
ffirere del Oftclvetro (2) è piu diffidi cofa II 
jtraslatare che il comporre . ^ ^ 

Tre forte di traduzioni dirtingue il C. Taglia- 
ziicchi (3) . 'La prima fi è di tradurre gli Autori 
letteralmente, vale a dire parola per parola i.il 
qual modo, avvegnaché mofto giovi per impoflef- 
farfi della lingua, pure è troppo fervile, e bar- 
baro i ed inoltre è fempre poco fedele , perchè ' 
pon fomminillrandoci ancora l’idea del carattere, 
dello fpirito» e del buon gufio dell’ originale , fa 
che noi ne prendiamo un concetto molto divcr- 
fo da quello che è infetti , e che non rendiaraò 
Ja dovuta giuifizia al merito dell’Autore. 

La feconda maniera è quella di ritenere lo fiefib 
fentimcnto, e le med^fimc forme ma fpicgarle 
con tute’ ultre parole accomodate all* ufo^della pro- 
pria lingua, e quella maniera non Colo è pih' ele- 
gante , ma ancora è più vantaggiofa della prima , 

Q uantunque non fempre fia da adoperarli, perchè / 

’ efprelfion dello fpirico(4) rifultando fovente dall* 
ìunione di brevi, e non ben avvertiti concetti , e 
di certe figure , e dizioni , tolte le quali già più 
non fi ravvifa il genio , e ’l carattere dello fcrit- 
torc; noi quello modo nel tradurre adoperando, 
verreffimo forfè , come dice il Signor Tourreil (5), 
a formare un mollruofo comppllo , che non fa- 
rebbe nè originale , nè copia . 

‘ M 4 La 


(O Lettera a Gafpare Calori fui tramutare . Tom. 37. Rac« 

(tolta Calogeriana. • 

(3^ Diflert. Della maniera d' otnmaeftrare la gioventù ntU 
le umane lettere. 

CO Cantova. Pr/efaZf élla Ttaduxioae. de* tee libri dell* 

Oratore di M. Tul, v; 

Cs) Préface à U Tradu^lioa dfs iuraaguef de Demoflhenf 1 
ft à* Efcbine . - . 


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- ' X i84 X ■ : . 

La terza maniera di tradurre fìna/mente’/i é cfl 
non aiiontanarfi dal fen io dell’Autore, ma di cer- 
care , e fcegliere attentamente efprellioni , e figu- 
re nella lingua , in cui fi traduce e per proprie- 
tà, e per chiarezza , e per eleganza , e per for- 
za /numero, e fuono egualmente nobili , degne» 
e lomiglianti ', fe confeguir fi può , a quelle , che 
-dallo Scrittore originale furono adoperate ; e que- 
lla maniera è la più elegante , e la più ottima 
fra tutte l’ altre, ma ancora la più difficile a con- 
legtìirfi . -, 

Perchè dunque noi far Poffiamo, chelaTradu- 
^ zion-nofira fia veramente lodevole ed elegante tre 
cofe giuda rammaellramento di M. Huet riferito 
dal Salvini nella fua prefazione all’ Iliade d’ Ome- 
ro avremo fpecialmente di mira . i. Di rapprefen- 
tare fedelmente i concetti dell’Autare. 2. Di efat*!- 
tamente , per quanto fia poffibile , riportarne le 
parole, e le efpreffioni. 5. Di confervare l’aria, 
il colore, ed il di lui vero carattere, che da fen- 
timenti infieme, e dalle parole, e da qualche al- 
tra cofa ancora , che non s’ intende rifulfa ( 6 ) , 


* • 1 

^ . De/ tapprefentar / Concetti , ì 

Non v’ha dubbio, che per ben tradurre un Au- 
tore da una in un’altra lingua è necefiTario primie- 
ramente intendere a-perfezicnc il lentimento. Per 
lo che non bada legger le cofe così di fuga , c fu- 
bito quindi dar di piglio alla penna ; ma b/ìogna 

in- 


’ 0^ VeggafT tutta la fovrte. L. del C. Salvini /o»ra 

> / ttadurre . 


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■X i8j X . . , 

itìternaWì ndl* intelligenza deir OngmaJe , nè ri- 
foivcrfi a fcriver parola* prirtia che fiafi il vero Ten- 
(b dell’ Autore penetrato . Nè folo farà neceflario 
fapere a puntino la di lui lingua per dare il giu- 
ito fuo pefo e valore alle parole tutte, e per com- 
prenderne , dirò così, l’intima loro origine ; ma 
bifognerà inoltre informarli de’ vari fillcmi , del- 
ie favole , delle coftumanze , dei riti , e di tutto 
x:iò., che può contribuire alla vera intelligenza del 
própoftoci efemplare (7). Intefo poi che fiafi il 
lentimcnto , e penetrata la forza del concetto y 
duopo è rapprefen tarlo fedelmente, cioè a dire con 
quella efprelTione , che fenza ingrandirlo, od av- 
vilirlo li faccia fare la ftcffa ccrthparfa sì nell’uno, 
come nell’ altro idionia ; Imperocché, t^tte le lin- 
gue hanno le fue particolari bellézze ^ ed un pea- 
fiero raedefimo, che.efpofio in una lingua rinfci- 
va elegante, ben di fpelfo in un’altra vile divcii- 
ta e cattivo . Perciò procurar fi deve , che nella 
traduzione i fentimenti fiano rapprefentati con e- 
gual garbo ed eleganza , e che in fomma ci fommirti- 

Ifrino una vera ed efatta 'immagine dell’ Originale, 

* 

§. II.' 

De/ rapportar le parole. 

Per potere con fedeltà rapprefentare i concetti d* . 
un autore, che a tradurre ci appigliarne , bifogna 
confervarne con efattezza, per quanto fi può anco- 
ra 


Cz) Mabill. P.tì, dt fiud. Monafl. i$. Bafta leggere i 
Critici per vedere, quanti sbagli hannu prefo uomini per al> 
tro anche dotti, nell* intelligenaa .degli antiebi autori, per 
mancanxa delle fud. cognisioni . 



X X- 

ra le parole, e la efpreflìone ; imperocché da certf 
figure , e dizioni ‘in uno piuttoiio che in un altro 
modo collocate non di raro dipende tutto il genio 
ed il carattere d’unoScrittofe . Cotelto ftudio in- 
fatti di non trafcurar le parole , che fpeiTo racchiu- 
dono f9mma forma e bellezza, elìge fpe/To da’ Tra- 
duttori anche il Calle! vetro con dire, cheli far al- 
trimenti farebbe lo lleflb che acconciare in dolfo ad 
una perfooa altri panni da quelli , che le conven- 
gono (8), Siccome però non fi trova lingUi alcuna 
così copiofa e varia , che in tutto e per tutto con- 
cordi colle figure e maniere d’ un’ altra, quanto fi 
voglia povera , e fcarfa di vocaboli ; perciò non 
Tempre gli ornamenti e le figure d’ una lingua fi^ 
hanno ad efpriroer nell’ altra ; molto meno gli idior ' 
tifmi . perchè non è lecito, nè fi devono commet- 
tere lolecifmi , e barbarifmi per rapprefentare. con 
altrettante parole i fentimenti dì uno Scrittore f*) . 
Tullio pertanto fi procella , che nel tradurre le 
greche orazioni di El'chine, e di Dempflene usò le 
medefime fentenze, e le. llelfe figure ; feguì lo ilef- 
fo ordine, e per fino le medefime parole , quando 
però quelle non ripugnavano al genio della lingua 
latina (9). Nel tradurre adunque da un idioma in 

pn 


CV) Lttt. Cft. 

C*V Quello è precetto d’ Orazio, Nec verbum verbo eur^ 
bis reidero fidus interpres ; né per altro reraccHfìma tradu- 
{ione dell’Iliade e dell’Odjflea d’ Qmero fatta da Ant. Ma* 
ria Sai vini viene da alcuni riprefa , fe non perchè egli fi die- 
de cura di tradurre letteralmente anche quelli idiotifmi del. 
la Grecia, che non fuonan bene in Italia. 

(9) Quorum' orationes Q E/chinis & Demoflhenis') fi , ut . 
fpcro. Ita ex^reflero, virtutibos uteoi illorum omnibus, id. 
eli fententiis, & eorum figuris, & rerum ordinè verba perfe- 
^uens eatenus , ut ea oon abhorreant ^ more flollro &c. Di 
Opt> Orai. . . 


)( i87 X 

fin altro noi ci ferviremo delle ftefl*e parole ed ef*> 
prelIìOni dell’ originale, quando però il genio della 
nollra lingua non fia così diverfo, e quelle manie- 
re di dire non fiano così proprie , che non pofla- 
no in verun modo tralportarfi lenza un vano cir- 
cuito di parole, le quali rendar^:) languido, elner- 
vato il ftntimcqto (io). E così ancora quegli ag- 
giunti, e que’ vocaboli, che amme/fi Tono in una 
lingua e non inun’alrra, oche nobili, ed onefti 
nell’ una elTendo , vili per lo contrario e plebei 
nell’altra riefcono ,’ bilognerà piuttoflo cangiarli 
in altri, che ]a itelia forza confervando, fiano più 
atti a rapprefcntare la nobiltà del concetto . 

I Greci ^ cagion d’ efempio chiamavano Giove 
•npviìctpxuvos y cioè a dire che ^ ode del fulmine y 
ed Achilie' •n-ToKiiro prò: y cioè che guajìa le citta- 
di ; ma i Latini diranno Tonansy omnipotens y e gli 
Italiani altitonante y onnipoffente Giove y e non ^o- 
dijulmine j e del fecondo diranno bensì ferox y va- 
Jiator y invincibile y indomito y ma non guajiaqitta- 
dì , Lo fìeffo dir (ì può delli aggiunti, che dai 
Greci fono dati all’ aurora poS'oS'xKTuxof , poS'o’Xtf- 
y poS'offipupof y polle ditOy colle braccia y co' cal- 
cagni di rofa y i quali da noi farebbero tradotti 
giuda il genio di nollra lingua così , 1’ aurora 
^ ridente , fparfa di rofe ^ roffeggiante ec. 

Oflervano inoltre eruditi autori , che Virgilio non 
mai nomina, panisy triticum y ftumentum ; e che 
nelle fleffe Georgiche dice artjìa , Ceree , fpicas , 
quando al contrario nomina hordeum y avena y e 
parlando delle formiche, le quali nella fiate radu- 
nano il grano, dice populant ingentem farris acer- 

vum, 

rnm I... , .... y . , .1 , —I 1 ^ 

Cu) Ciuf. Qf. Salifero nel fii, Vf dclU f«a 


V* 


X isa X 

Convien dunque dire , che quelle paro/e noli 
foffero preffo i Latini egualmente nobili , c ricevu- 
te , come le feconde . Nulla di meno però fé noi 
dovdfimo fecondo il genio della nollra lingua tra- 
durne un palfo di Virilio, non direllimp già, po~ 
fero in fu la menfa Cerere , Oia il pane : non 
enfpirono di vecchio Bacca, ma di genero fo vino . 
Quant’ altre elprelFioni vi fono prelfo i Latini, e 
* gii Italiani , che fembrano moderate , e che poi 
trafportate in altra lingua farebbero audaciffime , 

€ viziofe ? Dice il Petrarca degli occhi fuoi: 

Che di lagrime fon fatti ùfeio e varco 4 

Ma chi aveire a farne una latina traduzione , di- 
rebbe forfè : oculi faSii funi porta lacrymafnm ì o 
piuttodo perpetuo madefcunt luBu, perpetuis ora ri- 
gane lacrymisec. i Non altrimenti Virgilio parlan- 
do della porta degli Avvocati , per cui s’ affolla 
turba di clienti , dice nel IL delle Georgiche: Ma- 
ne falutantum totis vomii xdibus undam. Ma non 
direbbefì già in Italiano : La porta vomita un'on- 
da di clienti . Lo llellb dir fi può di tant’ altre 
frafi adoperate fpecialmente da’ Popti Latini: Ales 
Moeonii carmini s : gravi s jìomackus telidx : Hercu- 
leus ìabor perrupit Acheronta : clafujue immittie » 
habenas cc. , le qu^li tutte non fi tradurrebbero let- 
teralmente , l' uccello del verfo Meonio: il grave 
Jlomaco di P elide: la fatica Erculea ruppe Ache- 
ronte : mette le briglie alla flotta , ec. , ma cort al- 
tre frafi corri fpon denti ed acconcie al genio dell* 
Italiana favella, cioè a dire: il Principe dell' E- 
pico poema: la fiera ira d* Achille : Ercole colle 
fue fatiche ruppe per fin le leggi di Acheronte : 
mette la flotta in corfo , ec, , 

Trovaofi 9ncora molte frafi, e maniere di dire 

ia 


» 


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I 


X 189 X 

in uttà lingua , ficcome oflTerva il Tagliazucchi (ii), 
che non poflrono egualmente in un’ altra adoperarli . 

,, I Latini dicono per efempio bubuìam » 'uttul't-' 
nam ^ porciriam ^ tacendo carnem, diremo noi mai 
dammt della bovina^ vitellina^ porcina P Taccio- 
no i Latini a^uaniy e dicono cahdam , frìeidam , 
diremo noi mai dammi della fredda y 0 della cal- 
da ? Dicono i Latini , paucis te volo , tacendo ver- 
his y e alloqtii'y diremo noi ti voglio con poche? 
non mai : il che diremmo benilfimo , fe quelle el- 
JilTi amalTe la nodra lingua , ec. “ Conchiudiamo 
dunque, che ogni qual volta nei tradurre un au- 
tore noi potremo confervare le delTe parole, eie 
mcdefime efprelTioni lenza offendere la purità , il 
genio, e l’eleganza di nodra lingua, allora non 
ci fcoderemo dall’ originale ; ma che altrimenti ci 
farà lecito variare non folo le figure , e gli orna- 
menti , ma ancora le frali e le parole ideile , fo- 
dituendone altre , che più llano unjformi all’ in- 
dole della nodra favella, e più atte' a rapprelen- 
tarci l’idea delio Scrittore, che li traduce, 

§; III. 

I • 

Del Confervare il Carattere • / • 

Siccome però la Traduzione d’ un autore non 
deve folo elTer fatta per intender i di lui lentimen-. 
' ti , ma per capirne perfettamente il carattere « lo 
fpirito, c la vera indole ; perciò nè deve elfer trop-- 
po libera, nè troppo fervile; ma convien procura- 
re, che efatcamente ci rapprefenti l’Originale, Il 

gc- 


(xÙPiSs, eiu Raecoltl di Prof e 0 Poefity ti» 


Di„ iZf" ‘'V GoOgL 


y(i9àx ■ 

^énio d* ana lingua pertanto coafiftendo in certe mà- 
aiere di coftrntti, in certi ufi deHe figure gramati- 
calt , dei' traslati y ed anche in certe forme proprie^ 

0 ^aafi proprie di favellare, che una lingua ama 
ed adopra e l’altra no, o molto più o' molto me- 
no (fi) V noi «lòvremo fcofiarci primieramente dal- 
la coitruzione deir Originale allora quando così por- 
ti órli fenfo V o la chiarezza ,■ o l’ armonìa Ha l’ 
orazioney diceTullio(ij), il colore fuo pròprio,- 
ed un’aria, e fifonomia tale', che la difiingue da 
ogn* altra : e quella nafce da’ concetti ,• dall’ ordine , 
dalle figure,' e dalle parole .• La traduriòne perciò 
richie^,' che fi cònfervi il carattere dell’ autore noti 
folo'*4uànto ai fénfimentt, ma quanto alle figure, 
ed, alle forme del dire, fe trovano luogo nella ìin- 
^a , itf cui lì traduce , quando' anche non corri-^ 
Inondano alla nobiltà, all'efficacia, e grandezza' 
dell’altra . Quindi corf altro (file fi farà la tradu- 
zione d’un poeta, con altro quella d’ un oratore,' 
e d’uno florico. 11 periodo, le figure, l’energia^ 

1 penfieri y e fatto finalm'enfte deve rapprefentare ed 
uniformarfi all’idea dell’ originale. Che anzi tra gli 
fieffi' iftoricr per efempio con' altro ftile devefi tra- 
sdurre T. Livio, con altro Corn. Nipote, e eoa' 
altro Sallttfiio » Per confervar veramente il carat- 
tere , ed il genio di qualche autore inoltre bifora 
jftvclUrfi delle fue idee ,- e peftetrar per così dire 
nella di lui -mente col raffigurarli i medefirtri og-, 
getti 1 fd eccitando V per quanto é pofiìbile,- nel 

prò- * 

X Cli) Taeliazùcchi ìu^'. eii, Caiitova prefaz- tìf- 
Cij} Si Baòitunr oratioiiis etiam, ftquafì co.'oreiB aii(}u*B» 
rcquifitis, efi & piena quasdam, fed tanien ceres, & tennig, 
& noit ffne nervie, ac viribua^ & ea quac parrjceps utrtirrqiie 
genwis , qadtitt iwdioAinitt tauilatur. ZI# fftàr. tIT. ii. 


\ 


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)( I9I X‘ 

proprio cuore col mezzo d’ una feria riftéflìone 
gli ftelfi affetti . Immaginarci in fortima dobbiamo 
di dover efprimere i fentimenti di quell’ originai? 
nella fleffa guifa, in cui efprelTi gli avrebbe un ec- 
cellènte fcrittor Italiano j e quando avvenga, che 
non fi trovino efpre/fioni corrifpondenti , proprie 
della nofira ling*ua, nobili egualmente e degne, 
prudentemente per ritrovarle fe ne allontaneremo , 
acciocché l’autore ora Italiano non parli , ora La- 
tino; ovvero, fc pure Italiano parla, molto no» 
perda della fua natia nobiltà . Così fece ancora 
M, Tullio , il quale fi pretella d’aver tradotto da 
Oratore, vale a dire d’aver efprefib gli lìeffi fen- 
timenti e le medefime figure, ma con parole con- 
formi al genio della fua lingua , conlervando la 
forza ed il vigor dell’ efpreffione , non già il nu- 
rhero , e la quantità delle' voci (14) . Laonde fc ri- 
vendo poi a Marco fuo figliuolo gl’ infinua d’ e- 
fprimere non folo al di fuori , ma nel midollo , e 
neir interno ancora la fua maniera di dire 05 )^ 
La principi noftra cura nel tradurre dunque farà, 
che parli Tullio , o Virgilio tofeano , ma chefem- 
pre però fi conofea, e fi fenta, che quegli é Tul- 
lio , oppur Virgilio; e come la fìfonomìa del vol- 
to non dagli occhi foltanto rilevali e dalle parti 
piò infigni , ma da piò minuti tratti eziandio e 

piò 

. . . _ . _ . X 

\ 

,00 Converti ex atticis duorum eio^uenritRinortim nòBl- 
liflìmas orationes inter fe contrarias, Aefebiuis, Oemofihe- 
nifque; nec converti ut interpres, fed i^orator, fentemlts 
lifdem 8c earunz forinis tan<)uaiii figiiWa, verbrs ad aoAratn 
cònfuetudìneih aptis : in <|uibuv non verbali) prò verbo necrA 
babai reddere , fed gc'nus omniiini verborum, vtmijtte ferva- 
vi: nón enim ea tue annumerare lettori putavi oportete, fleti 
laroqttà^ appendere. Dt opt. gtn. «rat. 

Neoue colorem foiuin, f«d ftKcnni.ctiaM Sr faabitaiiv 
fcujt» ornfoni» furrii naèus . 


X 192 X 

pili 6ni , così il parlare fi conofca e difiiogoa noa 
dalle cofe fcmplicemente , ma dalle qualità anco- 
ra , dal giro delle parole (i6), e da tutto ciòcia 
fomroa che può rapprefentarci la vera idea, efom^ 
ipiniftrarci un retto giudizio di quell’ originile , 
che a tradurre ci fiamo propófto , 

ARTICOLÒ ir. 

Della Narrazione 

X^A Narrazione, dice Tullio, è una efpofizione 
di cofa fatta , o quafi fatta, cioè a dire di cofa av- 
venuta , o tale almeno , che fi prefuppone poter be- 
niflìmo avvenire (i). Dalla qual definizione chia- 
ramente ricavali , che la Narrazione può elTere Sto^ 
rìcay Favolofoy e Probabile y olfia Oratoria 

§. I. 

Della Narrazione Storica . 

La Storia , al dire dello HelTo Cicerone, è quel- 
la che ci fa teflimonio de’ tempi , e delle età , è 
la luce della verità, la vita della memoria, la mae- 
flra del vivere, la melTaggiera dell’antichità (5). 
La narrazione illorica quella^ farà dunque, la qua- 
le ci efpone un fatto , che veramente è avveon- 

to 


Oe>) Cantova /nego fovrae. 

(O Narratio eft renim eenarom ant nt geflaram expofitfD. 
Be Invent. /. i. c. 19. 00 Heren. I. 8. 

(1) Pià ampia fi è la divifione che fa Tallio at* Hi. d* 
Inveii/, i ma non conviene al noftro propofito . 

Cj) Hifloria fft teftis temporum , Inx veritatis, vita me- 
morie, magiara vite, nuacia vetaflatis. De Orat. Tt. 3S. 


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Xm X 

to (4). Quefta ama Io ftil fcmplice C5), rifiuta tut- 
ti i colori dell’arte , contenta di piacere per la fcJa 
verità, che nudamente ci efpone . Lo dorico per- 
ciò non folo non deve oltrepafTare i limiti del ve- 
ro , ma neppur darne minimo fofpetto a’ leggito- 
ri (6); laonde bifogna , che fi moftri imparziale 
verfo tutti ; che non racconti fenon quello, che ò 
indubitatamente certo; e che nulla v’ accrcfca o 
diminuifca con le fue rifleffioni , fe non in quanto 
quelle fiano necefiarie all’intelligenza del fetto C/}. 

7» Ecco un efempio di narrazione iflorica tratto 
dal Libro I, di Livio , dove racconta l’afiuzia di 
L. jun. Bruto, che a Delfo in un coi figliuoli di 
Tarquinio erafi portato. a6 Tarquinìis du- 

tius Delphos y ludtbrhim verìus y quam Comes . au- 
rtum baculum tnclujum corneo cavato ad id bacu^ 
lo y tuhjje domm Apoi lini dici tur y per ambaees ef- 
figiem ìngenii fui . Quo poji^uam ventum ejty per- 
feBis pptrts mandatis , cupido ince/Jìt animos juve- . 
num fctfcitandi , ad tmem eorum Kegnurn Rema- 
num e-fjet venturum . Ex ìnfimo fpecu vocèm reddì- 
tam feruntj imperium fummum Roma habebityqut 
yefirum prtmus y ojuveneSy ofculum matti tulerit, 
iarqutntty itt SextuSy qui Roma reli^us ‘fuerat y 

fgna- 


(4^ Hiftona eft res gefla a/f Heren. 7 . 8 . De Tnveat, L. 19. 

Cs) gualche volta però .anche lo ftorico nelle cofe grandi 
o atroci alza il fuo per unifotmarli a] (bggetto . 

Quis nefcit primam eCe hiflorias legem , ne quid fall! 
Ulcere audeat : deinde ne quid vere non audeac , ne furpicio 
gratiz fit in fcribendo , ne qua (ìmultacis? De Òrat. ivi . 

(J 7 j Non modo fatis effe video , quod faflumedet. id pro- 
nunciare; fed etiam quo confiiio, quaque ratione geAa efrent 
demonftrare . , . quod Tenatus decrevit . aut qu* lex rogacive 
lata iit , neque quibus confìliis ea gefla fune iterare, id fabu- 
Jac puatit elt narrare , noa hillorias fcribere . A dei, Nvi?. 
jtne. r, 18. 

Giard, E lem. T.T. 


N 




tVOCI^s 


iiiizedby Qoqglp 


X 194 X 

tgnarus refponfiy escperfgue impera effet ^ remf^» * 
me ‘Ope taceri jubent y ipfi inter je uter prìor , 
ijuum Romam rediijfent , tpatri ofculim daret , for- 
ti permittunt , Brutus alio ratus fpeEiare Pythi- 
cam lìocem y yeluti Ji prolapfus cetsdijfety terrant 
ofculo contigit ; fctlicet quod ea communis mater 
omnium mortalium effet\ 

. Bellinimo efempio di borica aarrazione jpuò effe- 
re ancora il feguente deila Gior, Novell. 9, dell’ 
incomparabile Boccaccio: Il manto di Monna Gio- 
vanna infermo , e veggendoft alla morte venire , fe- 
ce tefiamento , ed effenda ricchijfimo , in quello la- 
fciò fuo’ erede un fuo figliuolo già grandicello ; e 
apprejfo quefioy avendo 'molto amata Monna Gio- 
vanna j lei y fe avvenijfe , che il figliuolo fenza ere- 
de legittimo morijfe y fuo erede J^ittù y e morijji . 

" ^ ■■ ,§.• lù' :-J 


Della Narrazion Favolofa • 


La narrazion favolofa ci, racconta un fatto po« 
radiente falfo, ed inventato dal bel capriccio di 
Gualche poeta per adombrare la verità (8). Qnc- 
ua può effere di tre fpecie, Parabola oÌCìZ Ragio- 
nevole: j^pologo oflìa Morale y e Mifia , Quando 
la'narrazrone é bensì inventata a capriccio , dia 
che però é tanto probabile. in. tutte le lue parti, 
che non ripugna', ch^ veramente fia avvenuta, o 
che. almeno poffa avvenire, 2Xipv2Là\ttf\ Parabola'. 

quan- * 


C8) Fabufa eft quae ncque veras, ncque vcriffniiiet continet 
Tcs. Jtd Hercn. f. 8. Pare, che l’Autore qofvi parli del fol* 
’Aiwloga, e della Favola nifta, non comprendendo nella de» 
fioixtone la Parabola , la quale e in tutte verofinilr . 


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• . X *95 X 

Ì [uàndo poi tal narrazione nè è vera , né è vero^ 
imile , perchè ci cfpone cofa , che moralmente 
parlando non può accadere^ induecndo a parlare 
o ad operare gli alberi , le fiere , o cofe prive di 
fenfo i -allora cbiamafi Apologo y fé poi la narra- 
2Ìone io parte è probabile , e verofimìle , in pgt* 
tt no • dicefi FawU MìJìm . 

' E uccoitìe ogni fayòla devefervire a correggere 
i cofiumi degli uomini , e deve contenere fotto di 
fe qualche precetto morale i onde amtnonirli a ben 
regolarli nella vita j perciò i maefiri dell* arte infc- 
gnano, che due parti trova]* li devono in qualun- 
que narrazione favolofa. La pritiia contiene l^eCpo* 
fizione del fatto ; la feconda la fua moralità , vale 
a dire una breve fentcnzafpcttante ilcofiume,la 
quale polla in principio chiamali Prefabul azione $ 
in fine Affabulaztone . Eccone gli efempj * 

Parabola riferita da A. Gellio No^* Attic, Lth* 

XIX» cap» 12. Homo Thracìus ex ultima barbaria ^ 
rurh colendi infoUns , qiùm in terrai cultìores , hu- 
mani or ir viix cupidine , commig rajfèt , fundum mer* 
catus ejl oleaj atque yìte conjitum : • qui ^ quia ni- 
hil admodum fuper vite ^ atte àrbore colenda feiret ^ 
vidft forte vicinurn rubos late , àtque alte obortos 
axeidentem, fraxinos ad fummum prope verticem 
depHtantem , fobedes vitium e radicibus caudicum 
fuper^ terram fufan revellentem , Jiolones in pomis % 
aut in oleii proceros y atque decerptos amputdntem ; 
àcceditque pro^e y ^ cur tantam Ijgni» at^ue fron- 
dium càdem faceret y percontatus ejt. Et vteinus ita 
r ef pondi t : ut ager , inquit ^ mundus y putufque fiat , 
ejùf^ue arbor , atqux vitis faecundior » Dijeedit ille 
a Vicino y gratias agtns y latus , tamquam ade- 
ptut rei rujlicà difciplinam» Turn falcem ìbìy ac 
fecttrim capit , àique ibi homo rnìfer imperitus vi~ 
ttf fuae fUdsmnec (y oleas detruncat »• comafque 

■ N z' ar- jr- -*» 

« 

. ■ ' ' Bfc3ii2«d by Google 

l ' 


V 


X I9<S X 

arhcrum Lttìffìmas , uberrtmofqut vìttum palmttef 
decìdit : & frutet a ^ atque vireulta fimul omnia 
pomtSy frugibufque ^ignendis f^icia cum fentibus^ 
^ rubts purijicandi agri gratia y coovellit j mala 
mercede dobius audaciam , fiduciamque peccandi 
imi fattone fai fa eruditus . a Sic ijìi apatnia feBa» 
tores , qui viderì fe effe tranquillos » & intrepido^ 
& immobiles volunt , dum nihtl cupiunt , nihil dih- 
lem , nihil irafcuntur , nihil gaudent , omnibus t>e- 
hementioribus animi offiqìis amputatisi in corpose - 
ignava & quafi enervata vita confenefcnnt , 
Apologo cavato 'dalla Satira VII. del divino 
Arioso , . • . 


Fu già una Zucca y che montò fublìme • 

In pochi giorni tanto , che coperfe 
A un Fero fuo vicin V ultime cime . 

Il Pero una mattina gli occhi aperfe , 

Che ave a dormito un lungo fonno j e vijìi 
I nuovi frutti fui capo federfe , 

Xff àiffe : chi fe'r tu , e come falijìì 
Qua J^u? dove eri dianzi* quando la(fo 
Al forno abbandonai quefii occhi' trijli ? 

Ella gli diffe il nome , e , dove al bafjo 
Fu piantata y mojìrogli y e che in tre mefi 
Quivi era giunta' accelerando il paffo , 

Ed io y V arbor foggtunfe , appena ajceft 

A quefia altezza , poiché a f caldo y e al gelo 
Con tutti i venti trenta anni conte] t . • 

Ma tu y cF a un volger d* occhi- arrivi in cielo ^ 
Renditi certa , chf non meno in fretta , 

Che fta crefcìuto mancherà il tuo Jìelo,*.. . 
Quejìa ftmilitudine fia indutta 

Più proprio a voi y che come vojìra gioja 
T ofìo montò , tofìo farà dijirutt,a . , 

Tutu morrete y ed P fatai che muofai ec. 

Fa- 


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_ X t9? X ' 

Favola niliita riferita da Orazio Lìb, I, epifi, 

• 

Cervus tquum pugna meli or communi bus etbii 
•Pellebat: donec minor in cert amine ìongo 
Imploravit opes hominis : frenumque recepii « 
Sed pojiquam viBor violens difcej^t ab hpjìe ; 
Non^ equitem dorfq , non frcenum aepulit ore * 
Sic qui pauperiem ventus f potiore metallis 
Liberiate carei ; dominum •behet improbus; atqUe 
Servici aternum y quia parvo nejciet uti . 

Dalli medefimi addotti efemp;. ben (i può corrt- 
Jsrendere, che a tal genere di narrazione fi con- 
viene io ftil femplic€5 perehè, trattandofi mafilma- 
xnente di Apologo, o di Favola Mifia , venga a 
riufcir vieppiù credibile > c da quel candore di 
femplicità riceva un’aria di maggior verità. 

Ma non Tempre il poeta nelle ("uè narrazioni ci 
porge cofc del tinto favolofe ; anzi talvolta anco- 
ra ci racconta la verità. Quefio però egli ha di 
differente dallo Storico e dall’ Oratore , che porto 
un fondamento vero*, v’aggiunge poi le, lue. in* 
ven^ioni , v’ inferifcc a capriccio nuovi accidenti , 
e, come dice Orazio 2 

S/C ver/f fai/a remi fé et j 

Primum ne medio , medium ne dtfcrepei imo i 
• ^ 

• 

Le |)detiche narrazioni adunque , che hanno fori-: 
damento fui vero , e che inferite fono ne’ grand? 
poemi per vieppiù dilettare, ficcome devono man-, 
tenere il carattere, che loro vien’daro dal poeta y 
c muovere in noi Quelli afietti, che egli delìdéra .' 
perciò non vanno rirtrctte tra le leggi dello ifii 
lemplice ; ma vogliono' cffer libere, c riceverò 
giurta il bifog^o tutti gii abbellimenti , *e le gràr 
y ^ i 2Ìè*j : 


X 198 X 


zie , che fa fèrvida idea del poeta può loro fotn* 
roiniHrare. Perchè meglio ’fì comprenda eoa quale 
diverfìcà racconti lo HelTo £itto fedelmente lo Ilo- 
rico, e favolofamente il poeta, piacemi direcare 
la narrazione della morte da Ercole data a Caco, 
fcritta da T. Livio nel primo delle fue Storie : c 
la flenfa narrazione fatta da Virgilio nell* ottavo 
della fua Eneide. 

Herculem in ea loca y Geryone inttrtmpto y bovts 
mira fpecie abegiffe memorant y ac prope Tiòerim 
fluvium y qua prx fe armentum agens , nanào traje- 
cerai , loco herbido , ut quiete , & pabulo letto refi~ 
cerei boveSy& ipjum Jejfum via procubuiffe , Ibi 
quum eum ciboy vinoque gravatum fopor oppre(fif- 

s loci , nomine Cacus , ferox 


ritu'dìne boum , quum aver- 
tere eam preedam vellet ; ^uia , fi agendo armen- 
tum in Jpeluncam compultjjet y ipfa vejiigia quee- 
rentem domimm eo deduÙura erant / aver/os bo- 
ves , eximium quemque pulchritudine , caudis in 
/jpeluncam traxit , Hercules ad primam auroram 
Jomno excitus , quum gregem perlufiraffet oculis , 
Cy partem abeffe numero JenfiJjet y pergit ad prò- 
ttirnam fptluncam , fi forte éo vefligia ferrent , 
ubi omma foras verfa vidit , nec in partem aliam 
/erre / confufus , atquè incertus animi , ex loco in- 
fefio agere porro armentum occepit . Inde quum allee 
hoves queedam ad defiderium’ (iUt fit ) reliEiarum 
mugiyent , reddito inclufarum ex fpelunca boum 
vox Herculem convertii ; quem quum vad^ntem ad 
Jpeluncam Cacus vi prohibere conatus effet , iHus 
clava , fidem pafiorufn nequicquam invocane y mòr- 
te occubuit t 

Hie fpelunca fuit y'vaflo fubmota receffu , 
Semìhominit Caci , facies quam dira tegebat 

So- 


' - . . Digiiized by GoogK 



X 199 X 

Solls ìnacceffam radìis , femperque récetiti 
Cade tepebat humus y foribufque ^ ajfixa Super- 
bis ‘ 

Ora virum trìjii tende bant pallida tabù . 

.Huic^ monjiro Vulcanus erat pater : illius atros 
Ore vomens ignes , magna fe mole ferebat , 
Attulit & nobis aliquando optanti bus etas ^ 
Auxilium , adventumque Det . Nam maximus 
ultor ^ 

’T erg emine nece Geryonis ^ ftoliifque fuperbus • 
Alcides aderat , taurofaue hac viBor agebat 
Jngentes : vallemque boves y^amnemque tene- 
bant . ^ 

At furìis Caci mene effera ^ ne quid inaitfum^i 
Aut intentatum fcelerijve , dolive fuijfet , 
Quatuor a JiabuHs prajìanti corpore tàuros 
Avertit , totidem forma Superante juvencas ^ , 
Atqne hos , ne qua forent pedi bus vejiigia re-> 
Hisi 

Cauda in Sp^lttricam traEioSy verSS^^^ vtarum 
• Indiciis raptos faxo occultabat opaco , 
Quicrentem nulla ad fpeluncam Jigna fer ebani 
Intereay quum jam jtabulis moveret 

Amphitryoniades armenta^ abìtumque pararci; 
Di/cejfu mugire boves y atque omne querelis 
Impleri nemus , colles clamore^ relinqut • 
Reddidit una boum vocem yvafloque antro 

‘ Mugiìt y & Caci Sp^pt cujlodita fefellit 
Hic vero Alcida furiìr exarSerat atro ' 

Felle dolor ; rapii arma manu , nodiSque gra- 
vatum 

Robur y & aerei curSu petit ardua montìs , 
Tum primum nojìri Cacum videre timentemy 
T urbatumque oeulis : fugit ilicet ocyor Euro , 
Speluncamque petit: pedibus thnor addidit alas » 
Vt SeSe inclufity ruptiSqt^ immane eatenis 

N 4 De* 


X 200 X‘ 

Tiejtch faxwfA^ ferro guodj 

J^endeéat , Jultojque emkniit obice Pj^s / x,-*> 

Ècce fitretts animis aderat Tirfktbbtcì omnem- 

.^e y . ' . 

. Accejjfum luflrans bue ora ferebat & tìlucy , 

. Dehtìbus infrèndens : *ter totum fervidus irà i 
' L^rat Aventini montem :■ ter faxea tentai 
i' Limina neqmcàmtn : ter feffus tialle rejfedit t 
Stabat acuta Jìlex pracìjts undique faxts 
Speluncje dorfo infurgens y àltì(fima vifu ^ . 

Dirarum niais domus opportuna volucrunH% ] 

Hanc y .ut prona jugo lavum incumbebat ad _a^ ‘ 

'mnemy _ 

^Jhutter in adverfum nttens concujfit^ Ù' imts ^ \ 
Avulfam folvìt radìcìbus . inde repente 
. Impuiii : impulfu quo maximus infonat ather y 
Dtffuitant rtpay feftuìtque exterritus amnis\ 

At fjpecus , & Caci deteSa apparuit ingens 
Hegtaj & umbrofa penitus patuere. caverna , 

JNon fecus , ac fi qua penitus vù terra dehifeens 
Infernas. referet fedes , & regna recludat 
Pallida , A>is ■ tmnja , fuperque immane bara-' 
thrum 'X . ■ r ' 

Cematurjy trepidentque immijfo lamine mams.,. 

Ergo infperata deprenfum in luce, repente , - 
Inclufumque cavo faxo , atque infueta rudentem , 
Defuper Ateides telis premiti omnia^ue arma 
Advocat , & ramis , vafiifque molartbas infiat , 

, lllè autem {ncque enim fuga /am fuper ulta pe- 
rieli tfi) " . . • . . : . 

Faucibus tngentem fumum {mirabile diSìuf) 

.Evomity involyitque domum caligine cacay X’ 
Pro/peBum eripiens oculrs y glomeratque /ób,n9a- 
tro * , , ^ j 

Fumiferam noBem commtjlis igne tenebria • ■ 

Fìon tulit Alcides. animis y /eque ip/e per ignsne 

Fra- 


Di„:;:^ici by Gi:-ogk 


N. 


X 201 X 

Precipiti in/et/t faltu^ qna plttrìmtts undam 
Fttmus agiti ntbulaque ingens fpecus djiuat atra» 
Mie Cacum in tenebris meendta vana vomentem 
a or ri pi t in nodum compìexuSi & angit inhxrens 
Eli f 05 bculos i Ù" ficcum fanguine g ut tur . 
Fanditur extemplo fori bus domus atra revulfist 
AbjiraBxque boves , abjuratxque rapina 
Caio ofìenduntur i‘ pedibufque informe cadaver 
Protrahitiir ; nequeunt expleri corda tuendo 
Terribìles oculos ^ vultum ^ villofaque fetis 
Pecora femiferi , atque extinBos faucibus ignes . 


• §. m. 

.. * * 

t)eììa l^atrazione Oratoria, 



L’Oratore ia neflun’ altra cofa dallo Storico fi 
diftingue nelle fue narrazioni y fe non in guanto 
che talvolta riferifee fatti folt^nto probabili > c 
verofimili : ingrandifee col Aio dire le cofe , le 
fvolge ) v’ aggiunge i fuoi rifleffì , ne deduce del- 
le confeguenze , c -procura di metterle nell’ afpet- 
to, che più gli è. favorevole (g),‘A lui perciò è 
lecito- di e^orre nella loro maggior chiarezza tut- 
te le circoltanze utili , e di l^ciar al contrario 
Quanto gli è pollìbile nella ofeurità > toccando 
(ol di paffaggio tutte l’ altre che gli fono piutto- 
fto contrarici il che ficcome abbiam detto, èvie- 
tato allo ftorico, il quale deve elTe fedele, ed, 
imparziale . Lo Alle della narrazione Oratoria de- 
ve 


f 

• . 

O) Expom'mus rem geAam & uauihquodque trabiirius ad 
utilitatem noAram vincendi caufa^ quod percinet ad eai cai^ 
fas, de qaibut judicium AitttrHm eA. Ad Htrth.'I. 8. 


X *02 X 

ve effer vario gìùfta il bifogno, c fecondò gli af- 
fetti , che il dicitore verrà eccitare nell* animo de- 
gli afcoltanti ; e però , febbenè effa non voglia 
avere tutte quelle bellezze , e quelli ornamenti, 
di cui farebbe ufo* il poeta , pure ammette tutte 
quelle figure , che polTono giovare , a rapprefen- 
tar.la cofa nel fuo piò luminofo afpettq. Eccone 
un efempio della VII, Oraz*. di Tullio contro 
Ver re . Includuntur in carcetem condtjnnati : fup- 
plictum conftituilur in illos : fumitur de mijeris 
pateniibus navarchorum . Prohibentur adire ad 
Hot fuos*: prohibentur lìberis futi cibum ^ vejiitum- 
que ferre , Patres hiy quqs videi isy jacebant in 
limine , matrefque miferét pernoHabant ad ojìium 
earceris ^ ab extremo complexu liberum excìuf£ s 
quee nihtl aliud orabant y nifi ut fìtiorum extremum 
Jpiritum ore excipere fibi liceret . Aderat janitor 
carcerisy carnifex pratorìsy morSy ttnorque /odo- 
rumy & civium , lidor Sextius , cui ex omni gt^ 
mitu y doloreque cfirta merces compar abatur . Ut 
adeaSy tantum dabis : ut cibum tibt^ intro ferre li^ 
ceat y tantum: nomo recufabat , Quidy ut uno ich< 
fecuris afferam mortem filio tuoy quid dabis ? ne 
dia crucietur ? he fiepius feriatur ? ne cum fenfu 
dolèris aliquoy aut cruciata fpiritus auferatur ? 
etiam ob hanc caufam pecunia Udori dabatur , O 
magnum , atque intolérandum dolorim ! O gravem , 
acerbamque fortunam / non ^ vitam liberum , fed 
mortis celeritatem pretto redimere cogebantur paren-* 
tes , Atque ipfi etiam adolefcentes cum Sextio de 
eadem plaga y & de uno ilio ìElu loquebàntur : id* 
que pojlremum parentes fuos lìberi orabant , ut , 
ìevandi cruciatus fui cauffuy Udori pecunia dare- 
tur. Multi y & graves dolores inventi parenti bus y 
propuaquis multi : veruni amen mors fit extre- 
ma; non erit , Efi ne aliqtdìf ultra , quo progredì 
• \ 


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X 203 X 

crudeVtUi pop teperhtur . Nam Ulofum Meff 
quum erunt fecurì perca (fi % ac necatt , corpyra fe- 
rh obitcìentur: hoc fi luBuofum eji parenti^ redi- 
màt pretto fepeliendi potefiatem • 

Batta Colo leggere \t Oraiiom di Cicerone , c 
fra l*. altre quelle in favor di Milone c di Ligario 
per vedere belliflìmi efempj di narrazioni orato- 
rie. Piacetni però quivi addurne un altro cavato 
.lall* orazione che fece il Card. Commendone in 
difefa d’ alcuni fcolarì dello ftudio di Padbva rei 

d’ omicidio . . . • ;i 

Vanno t male avventurati giovani alla caja m 

felice; anzi ivi a forte fi aUattono .come glt 
nò con il cofiume delio fiudio la loro fciagura . Ma 
non acqueta la feverttà ^ perché queflo folamenté 

h dica .'Die a fi , che minacciano d entrare , Ji pro- 
vano , gridando a coloro, che prigioni fi rendano. 
ÌZ p»h fin guì i nhntt dì ficccf, 

ZUU. mille %oUe . Che fegue po, ? Da .nfinm 
colpi fi difendono, molti ne f apportano , ^ 
mente feriti fon ia coloro .che /enza riguardo^ a^- 
Z ai numera dì chi glìafalìva, o f aficciel^- 
za del rimedio, onf efier potevano /alvi , troppo 
pjà prefumevano delle lor forze di quello, 

%ne flava. O quanto qui dovena ognuno .che fa 
d' ejfer uomo di carne, e à off a, feco '^o^fmo ri- 
pesare , di che potere fia lo fdegno , o prtnc^al- 
mente a'pprejjo di giovane armati, e allora fUffi.* 
7 qual furpfi preftf il /angue, che largamente dal^ 
ie^proprie ferite difiill a , e il vederci davanti agli 
occhi il nemico , che ci ba 4^fo , e ^ortalm^%/^ll^ 

fefo...n Avvenne, adunque dopo molta fofferen- 

M, che pià della r aitone poti io fdegno: ni fine- 
ga il fatto • 


§. IV. ■ <j. ri 


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t)eUe Doti ‘di una buona Narrazioni / 

Sèbbeiic parlando dello ftile abbiamo iofegnatW 
^aali’fiano le doti, che devono accompagnare uif 
elegante ragionamento ; e quelle flefTe cofe pot'reb- 
bonfi à qneAo Itiogo applicare ^ pure a ipaggioe 
chiarella, fegucndo fcmprc gli inTegnamenti di Ci- 
cerone, ripeterò quivi in breve quantò^uò conve- 
nire a formare una buona narrazione . Tre dunque 
faranno le fue doti effenziali, la Bréyità , là C/iV- 
rezza^ h Proòaóiiità (lo): Due poi le chiamere- 
mo accefTorie i la Soavità , 6 la Cojiumatezza (i i). 

I. Nnlla V- ha di piò grato in una lloria'," quan- 
to ona pura , e chiara brevità (iz). Sarà dunque 
breve la narrazione, fe di là y- incomincii , d’ on- 
de fa bffogoo, e fé tronehiH tolloché non v'ha piò 
cofa , la quale torni al noliro uopo : fé non af- 
lontaneremo dal noftro propofito con digreflìoni 
iantili , e Te tralafcieremo tutto ciò che nuoce , nè 
giova al noliro intento : fe racconteremo le coffe 
fommariaineote ,• lardando quello, che dalle circo- 
flanzc può facilmente cfler intefo : fe'pcr ultimo 
non ri^teremo le flelTe cofe, ma fe ordinatamen- 
‘ ' ; te 

■' • > ‘ ' . . . 

— I, i r I ■ I tu li I Oi t » 

Oq) OpóYt^t eatn. tYei hab>Ye r«r, nt. brevi», ut aperta , 
m probabili» titi De Invtnt. l. io. 4i Hertn- ì, 9 . 

Cii) Sed, afTuiQìinm rtiam fnavìtatem . Cosi lofleflb Tutiro 
nelle PartiaionI Òra'toiie. Arinotele poi nel Iti. del- 
la Tua Rettorìca aggiunge di pià che la narraziéoe deve eSer 
coliumata. 

CiaD NihiI eli in hifioila pura & illuflri brcvltatt duUhiaf 
Cie. iti Brut, ' ' 


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X 20$ X 

tc dalle prime pafferemo alle feconde , e da que- 
fte alle altre in feguito . La brevità in fomma con- 
cile nel non dir più di quello» che fi ricerca per 

narrar bene (13). ’ . 

IL La Principal dote di un difeorfo fi è la chia- 
rezza , al dire di*Quinriliano(i4) • Chiara pertan- 
to farà la narrazione , quando sfuggafi ogni am- 
biguità nel parlare , e fi adoprino voci da tutti 
ìntefe * quando cfpolte- tutte le circoltanze necefla- 
rie , fi olTervi anche T ordine delle azioni , de 
tempi de’ luogHi : non fi confondano le cofe , c 
molto men le perfone, nè. s’ incpmincii troppo di 
lontano : e quando finalmente fianli ben ^eleguitc 
le leggi della brevità, perchè quant’è piu breve, 
altrettanto è chiara la narrazione (15). 

III. Airailfirao importa ancora , che la Narra- 
zione fia probabile » olfia verofimile.» perchè al- 
trimenti niuno le prefta fede. Acciò dunque, tale 
venga giudicata , bifogna premettere tutte quelle 
arcofianze» che necelfarie fono per togliere ogni 
lofpetto d’ impolfibilità -, Se pertanto il fatto , che 
prenderemo a raccontare farà conveniente alle 
/ per- 


Guardiamoci però dal non cadere nel contrario men- 
tre ci nudiamo di effer brevi, perche dice Tullio- nel /. 
Jnvtnt. Multos imitatto decipit brevitatis , vt , eum fe tre. 
tfcs putitit tongijjifni : cujKt detit ut tts 

multas brevittr dieant ^ non ut 

ir non ptures y quam ntctfft fit. E nel II. deli Orar. 80, St 
tun tfi brtvitas , f«»» tantum verborum tjl » quantum necejjo 
tji, aiiquando id opus efl : Jtd f£p* oboli vtlmaxtme tnna*. 
randOf non fblum quod abfeuritatem affetta Jtd tttam quoa 
0 om virtuttm , ut jucunda , (Sr ad perfuadendum aceomv^dat 0 , 
fit^ tollit. E Quintiliano dicea infatti, dum brtvts tjjt vo- 
Jo , obfeurus fio . . ... - 

(14) Prima autem orationis virtus eft perfpicuitas . Lta. 
Jf'. X. Infl. Rbet. . , 

Quo brevior, eo dilucidior 4 cogmtu facilior narrati» 

fiet . Ad Htrtn, 


s 


. X *0^ 

perfoac , ai tempi , ai luoghi ; fe addurremo i 
ruotivi di quel tal detto o (atto ; fe riferiremo 1 
altrui autorità ; fe avremo il favore dell opinio- 
ne , delle leggi , de» coaumi , della religione : fe 
finalmente, farà nota la uo.ara probità , e fede * 
anche la Narrazione avrà quen^ dote di probabi- 
lità (i6). Tutte quelle cole fi dovranno offerva- 
re in un racconto vero 3 molto pià noi in un rac- 
conto fìnto (17)* E però ancora 1 Apologo , e 
la Favola mifia , contuttoché fiano narrazioni a- 
pertamente falfc , pure rendonfi probabili confer- 
vando l’ indole c la natura propria di ciafcun a- 
nimale, albero o altra cofa , che inducali a parla- 
re , o ad operare (18) ;• 

IV. Soave inoltre e gioconda deve efier la nar- 
razione • Per la qual cofa non folo colia purità 
ed eleganza dello (file, ma ancora colle vane fì- 

§tf- 


Cl 65 tosi l* Atttr ad Utftn, 1 . 9. Cic. dt Iffvtin. T. n«I(c 
ParsiV'Orat. t Qjiint. Lib. /A', eh. Quante cofe 
tanfi da Omero intorno a’ fuoi eroi , «he fembrano atfatt* 
jmpolfibilf a ehi non fa quali foffero gli nomini di que tem- 
pi, e quali le loro coAumanae . Virgilio,, il quale vine io 



Ut dall* «tribuire a’ fuoi capitam quello « che potea farli per- 
dere la dote di probabilità preffb ad un popolo di conurei 
affai più noWIt,^e.dilicati de’Grecf. Goal fe uno de nóftri 
poeti fcrìeendo d^una guerra prefente volene metter in c - 
po altrettanti Omerici eroi, ®jrarife! 

nar- 

_ • — 

razione irapròbabilc . e 

(17) SI vera res erit b*c omma coaferranaa: eo magi* h , 

Afìa. Ad Htrtn. ì. 9, 

(18) Che fe 
le che fembri 

mo del li afeOU , 

taf a dncrtdHilt j t ytra . 


po altrettanti Omerici eroi, o le raccontanoo una 
que’ tempi , voler# dare a’ capitani coAumi , forze , e<J J 
convenicnti'a* giorni noAri, egli fubito renderebbe U fu* 
mpròbabile. • 

I vera res erit Irne omma confcrvanda: eo mag 
] Htrtn. t, 9, 

he fe avvenua di dover taccont,af,cora vera,, ma ta. 
mbri incredibile, d’uopo farà prima, ani- 
afcoltaati ; coint ftc* Oaute « dove dio» ; ft »trt 


■Jr.ì . Góosi 


1 


• • * * X207X \ 

gure ) con i tràsiati , % eoa tutti .quelli abbelli- 
menti , che 1* arte può fomminiftrare giuda il bi- 
fogno , conviene adornarla in modo, che nulla 
perdendo della Tua probabilità', e confervando il 
fuo carattere pofla piacere alli afcoltanti (19). 

V. Sarà per ultimo codumàta , dice Ariltotjie, 
fe in efla apparirà la probità dello fcrittore , o 
del dicitore , nulla raccontandoli , che indecente 
fia , o men che onedo : fe a tempo fi moveranno 
gli affetti , rapendo con naturalezza cfprimcre i 
diverfi caratteri delle perfone, che a parlar s’in- 
ducono r e fe continuamente fi ferbcranno i loro, 
codumi buoni , o rei , che elfi fiano (20) . 


ARTICOLO III. 


iDe//’ Amplificazione . 


lA fomma lode dell’eloquenza confidc nel fapcr 

a tempo coll’ aimplificazione ingrandire , o dimi- 
nuir lecofeò)'- Imperocché r Amplificazione non 


è altro che un a certa più grave e veemente affe- 
vieranza y che fi fa di una cofa , acciò commolfi 
gli animi degli uditori , redin di quella pienamen- 


te 






( 19 ) Ricordiame i però, che non tntio quello che farà lecito 
al poeta t può effor lecito all*Oiatore, e molto meno allo 

Storico. • _ . , 

• (10) Ouefto è quello che piò importa, maffime ih uaa lui?, 
ga narrazione, ne Ile Commedie, e nelle Tragedie, il ftibat 
coflantementc i di verfi collumi delle perfone. 

•(0 Smnma aun?m laus eioquentic «Il amplintare rem or- 
nando .* quod vale t non folnm ad angendura aliquid « tolleiu 
dum altius dicend o , fed etiam ad exicnuaodum aique ab]i- 
cieudum • Dt 0*4i$, Ut* 


• V 


Digtìèèd'by Googlc/ 


I 


* 



' X io8 X ; . / 

amplificaudite pnb con^^' 
odf fendmcQto 0 ) . Uampiifi- 
quella, che fi fa coir ia^ran-. 
nr ima cofa'rpiegandola pìà chiara- 
di finoniiai , di perifrafi, di meca- 
coll’ abbellirla in tutti que’ modi figura- 
jd 'i che poflbn rendere la locuzione /elegante • U 
'Amplificazione di fentimento poi, che è quella, di 
coi noi Ipecialmente intendiamo trattare in quello 
luogo , u fa collo fvolgere , e dimoitrare per va- 
r; capi una propofiziooe , che detta così in breve: 
,« di paffaggig non aveva forza • di Vivere gU a- 
fcoltand ,,ilf é perfuaderJi . . i . fcu 
Nove fono i fonti d’ onde fi può Crar argomento 
d’ amplificare' una feqtenza, o um fatto fecondo 
Cicerone Z4 Definizione , V En^ erazion delle 

# . • t* ^ ^ ^ f • -r-» rr . • • • 

partt , 

Genere 



ili tratteremo partitamcnte ne 


; . 


§. I. 



- .11 


Della Definizione*^ 

La Definizione fi fa collo fpiegar fiireveraente ed 
afibJufamente tutte le proprietà d’ upa cofa , onde 
fi venga a beni intenderne fa naturai (5). Si farà 
\ ^ ^ ■ ' I .dnn- 

(i) Ett ijìtur any>liGcatio gravior quadaflj adfirnatio, fuaa 
■lotu aaimornia conctlirc-ia dicendo 6deai.‘ de. Ore*- Per- 
ti*, tee. 15. ► . , . 

C3) Èa & ««rborni» genere conficitur, ft trema . >v* • 

(4^ Veggafi Cicerone nelle Tue Oratone Pi rciaioni /uog. e/t- 
£ r Aut.'ad Erennio Lit. II. eep. 30. j ' 

Cs) Definitto eli quse rei nlicuiut proprias junpleditur pote> 
fiaies brevitcr Ut abrolHtc • A 4 Herea- 


/ 


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M 


y log Y. 

dunque primieramente 1’ amplificazione , quando 
uniremo infieme varie definizioni , Je quali tutte 
fervano a meglio dimofirare le proprietà e Ja na- 
tura d’ una fteffa cola . Così Tuilio nella Ora- 
zione a favor di Milone volendo porre fotr’ oc- 
chio 1* enorme delitto di coloro , che aveano in- 
cendiato la curia , per via di definizioni amplifica 
quefta propofizione: JÌbbìam vedutó incendiarjì la 
curia ^ e dice: Quo quid mtfertus^ quid, acerbius ^ 
quid luEluofius vidimus P Tempi um ' fatìSitatis , 
amplitudini^ , mentis , confilii publici , caput ur- 
bis , aram fociorum , portum omniurn gentium , fe- 
dem ab univerfo populo R. concejjam uni ordini 
inflammarì , etj'cindi , funejìari . Ed Orazio per 
via di definizioni moltra in che confile la terre- 
na felicità nell’ Ode 9. L. IV. 

Non poffidentem multa vocaveris 
ReHe beatum\ reBius occupai • 

• Nomea beati -t qui Deorum 
Muneribus faptenter uti ,, ' 

Duramque callet pauperiem patì ^ 

Pe'fufque letko flagittum timet , • 

, k 

* V 

£d il Boccaccio nella Nov. 8. Gior. X.^ così defi- 
nifee l’amicizia; Santijfima cof a è V amijlà e non 
fol amente di /ingoiar riverenza degna ^ ma cT'effer 
con perpetua laude commendata ; Jiccome diferetìf- 
Jima madre di magnificenza ^ e dì onejìà , forella 
di gratitudine ^ e di carità , e d*^ odio , e di ava- 
rizia nemica ; fempre^ /enza prego afpettar^ pron- 
ta a quello in altrui virtuof amente óperate , che in 
fe vorrebbe^ che fojfe operato* 


Giard, E lem, T. I, O §. Il» 

•'■S ■' 






I 

I 




i 


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§. ir. . 

Dcir Enumergzjon delle parti , 

FonMf. ramolifimione .P", 

Darti» Quando alcuna «oCa m tutte le lue parti a 
^iOriKnifce e Gueftc ad una ad una fi vai^o c- 

^"“oVcJ nella Oraz. IH- ““«<? 

Sa vXdo dir Tullio , vo, vedtu , chi ic h r»y 
r^ita U reptMlica , enumera tutti li “P>.j «I 
onde eira eira compoaa: Rempuhlicim, Qjicritcf , 
cmmum icflr«m , bma , Wtmip «n«- 
T^Tiìbcrcfyui vcflros , ctquc hcc dmutlmm da- 

n%mf imperii y fortmatijjmam y puldernmamguf' 

uròem hodierno die, Deorum tmmortalmm erga vos 
fummo amore y lahòrthus y 

meh ex hamma^ atque ferro, ac pene ex fauctbus 
Zi crcptL , & vclu cmfcrvatam «itoètl 

{ìdah . Ed Orrazio ne’ 

Lib IIL potendo dif brevemente, colui , cM reg 
ge il moJdog volle enumerare tutte le pam che 
lo, coftituifcono r 

I, ... Scimus , ut ìmpios 
Tìtanas, immammque turmam 
Fulmine ftfiulerit caduco ,• 

Qur terram htertem , qur marj temperat 
Vénto/um , Ù' urbes, regnape trtjiia v 
Bhofque , mprtalefque turéae 
Imperio regie unu^ xqm, - 

Ed il Cafa cella Ora?., a Carlo V. per 
2Ìone di Piacenza . Dt ah vi 
le mifm conpade£ Italia , e t vofin 
eijfimì popoli, e gli ^ftpt, ^ A. 
cri Luoghi , t le teUgiofe vergini , e gP * 


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-À 


X 211 X\ 

fanàuUì , t le tìmide e /paventate neadri di 
jìa rtolùte Provtaeia ; 

J. nr. . 

• #1 

Degli Aggiunti i 

gli a^iunti tutcé' quelle circollanze, ch^ 
precedono i at^mpagnano , e vengono ordinaria* 
mence in feguico ad una cofa i Forma Tullio un 
amplificazione cavata dagli aggiunti nella Oraz. 
contro Fifone: Non enim nos color ijie fervili f y 
non fìlb/ee gena ^ non dentes putridi deceperUnt .* 
pcuh i JUpercilia ,• frons j vultus denique totus ^ qui 
fermo qutdane tacitut mentis ejì , hic in ètrorem 
homines impulìt ^ hic, eos , quibus eras ignòtus , 
decepit ^ fefellit , iV fraudem induxit 4 Fauci iftft 
tua lutulenta vitia novèramus ^ paucì tarditatem 
ingeniìy fluporem debilitatemque lingua 4 Ed Ora- 
zio molira dagli aggiunti effer tempo di primave* 
ra fcrivendo a SeiTio nelF Ode 4. del Lib< I. 

Sol vi tur atris hyemi grata vice veris & Fa^ 
vanì y ^ . 

Trahuntque ficca f machinà cartnas y 
'Ac neque famJialmUs gaudet pecusy nec arU’> 
tot igni f ^ • 

Nec prata canit albicane pruinìs ^ ' 

J am Cytherea choros ducit v^enus , imminente 
luna : / „ . 

Jun&aque Nympbis^ Gratta decente^ 

Alterno ter r am quatiùnt pede y dum graves 
Cyclopum 

Vulcanus , ardersi urti offxcinas y Ó*c, 

la daTcrizione ddla Pedileoza , che abbia> 
mo del Boccaccio i «ina continua amplificazione 
via d^àggionri \ ikeome là dove, dice : Non fa' 

O 2 la^ 


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s 

. / • 

X 212 X 

lamsnte fervx.it avet molte dorme dattorno motivai^ 
le gBììti ^ ma affai ri' erano di quelli ^ che di qw- 
Jla vita fenza tejìimonio trapaffavano y e pochiffi- 
tilt ColoTO ^ (l QU£ll\ I piCtofi piQntt 6 / 

re lagrime de^ f^oi congiunti f afferò concedute : an- 
zi in luogo di quelle s' uf avano per lo più rifa e 
motti , e fejìeggiar compagnevole : la quale ufan- 
za le donne in gran parte , pofpojìa la aonrtefca pte- 
ta , per folate di loro avevano ottimamente appref 9 . 

- ■- §. IV.' 

Delle Caufe , ' • ' 

• L’ amplificazione dalle -caufe fi forma , quando fi 

•adducono tutti li motivi , e le cagióni j onde mo- 
lirare la cofa cfiere come fi dice . Cosi Cicerone 
fa veder le ragioni, per ^cui tutti quali fu ron d 
accordo lo efiliarlo: Cum alti me fufpicione pe- 

rieuli fui non defenderent , olii vetere odto honorum 
incitarentur , alti inviderent , olii obfiare ftbt me 
arbitrarentur , ahi tilcifci dolorem fiium altquem 
vellent ^ alti rem ipfam publicam atque hunc ho- 
norum Jìatum ociumque odiffent ^ & ob ha f ce c^- 
fas tot , tamque varias ,'we unum depofcerent , Ed 
. Orazio volendo provare, che la natura tutti ci fe- 
ce eguali, efpone le caufe, per cui l’uno è pm 
ricco, l’altro più povero, in quello modo: 

Nam propria teli uri s herum riatura ncque illunti 
X^ec me , nec quem^uàm jìatuit j noe expulit ule : 
lllum aut nequittes y aut vaf ri infetti a jurtSy 
Pojiremtm expellet certe vivacior hares . 

Sat. 2. Lib. n. 

• Ed il 'Boccaccio dimofira , • che ciafeuno dee ^yer 
cura di confervar fc fieffo con la feguente amplin- 
cazion dalle caufe: Naturai ragione è dt ctafcurwy 

che 


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X 213' X 

• chi nafce la fua vita^ quanto può^ ajutare e con-» 
•Jervare e (^fendere ; e concedejì quejìo tanto , che 
alcuna volta è più divenuto , che per guardar qiiel- 

■ ia fenza colpa alcuna fi fono uccifi degli uomini é 

■ E fe queflo concedono le leggi j nelle follecitudtni 
delle quali è il ben vivere à\ ogni mortale , quanto 
maggiormente fenza offefa di alcuno è a noi ^ e a 
qualunque altro onejioi alla con fervanone della no- 
jira vita prendere que^ rimedj ^ che noi pojjìame . 

, $. V. . , 

Degli Effetti . 

Si può ancora amplificar una cofiadimofìrandola 
per tutti gli effcfti o bboni , o battivi , eh’ ella pro- 
duce. Così Archita Tarcntino ai riferir di Cice- 
'fonc volendo provare, »»//f effervì di pià danno- 
•fo pel uomo quanto i divertimenti ^ così ne enume- 
rava gli effetti : Nullam capitaliorem pefiem^ quam 
€orpori$ voluptatem hominiius a natura datam fuìff 
fe dieebat : cujus voluptatis avidje libìdines teme- 
^T» f & efirenate ad potiundum incitarentur * Dine 
•patria proditioner ^ bine Rerumpublicarum everfio- 
.nes j htne cum hofiibus clandeflina colloquia nafet 
dieebat / nullum denique fcelus^ nullum malum fà- 
cinus effe , ad quod fu feipiendum non libido volu- 
ptatis impelleret.é Ed Orazio nell’ Ode ?i. del' 
i.ib. III. dagli , effetti cfalta il fuo vino Maffico : 
Tu lene tormenturri ingenio admoves 
Plerumque duro t ,tu fapientium 
Curar y arcanùm jocofo 
ConfiUum retegis Lyaof 
T M fpem reducis mentibus anitiis ^ 

, Virejque y Ù" addir cornua pauperi y 
Pofi'te ncque iraM frementi 
Regum epices y ncque militum arma-t 

V' ^ d An- 


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X 214 X 

Anche il Boccaccio' nei Laòer, nm,A 09 , dagli ef.- 
fVtd , che produce moftra doverfi deteftarc ogni oro- 
fano amore: Vedere adufiqm dovevi .amore ejere 

' una paffione accecatrice dfir anmOi 4i{vi0trtce del- 

lo'Zeino, ingroffatrUèy anzi prtvatnce della me- 

delle forze del corpo , nemica della 
■ della vecchiezza morte ; genitrice di vizy , e a^ 
tatrice di vacui petti: cofa Senza ragione, efenz 
orZe, e Senza Jlahifità alcuna; viZio delle menti 
non /tfwe, e Sommergitnce dell umana liberti . 

§. VI. 

.1 

Del Genere e della Specie, 

Si forma talvolta l’ aroplificaiione rol ,P>ffar ^ 
«enere alla fpecie , cioè prima parlando m genera. 
I fe! e poi difcendendo al particolare : o dalla fpe- 
cie ricorrendo ai genere, .PPr »‘*,PJ5i^,fP''®“M^ 
farla intendere agli uditori. Cosi Tpllio nella U- 
mione “favor ài Marcello poteva dir brevemen- 
te o«» 0 Ce/are , vincMi teflejjo; $1 che i mag- 
gìòre^' 9 gn' clttfi tua avlrtri. , Ed ecco 
maniera amplifica qnefto fentimento : Dmu^e gc^ 

TiZaJoe Jrdvrer, , n,ul,hud,9. 

lede infimuc, 

tes: fed tamen eù vicifti , quay naturam ^ co 
ditionemy ut vinci pojfent 

tanta vh fantaque copta . qua non ^ • 

debilitariy frangile poffit ,Veym antmum vince- 
re y iracundiam cMere , vtSorfam 
ZrSarium nobilitate , ingemo , ytrtute 
Znmo% extollere jacentem . 
tius prilitnam dignttatem ; hac qu$ » ”?!* 

TmKuT/unmfc ccmfm , }ed fmtHmum 


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X 215 X 


Dea fudico , Nella Orazione poi a favor Ji Li^a* 
rio pafla dalla fpecie al genere così : Nulla He vh~ 
tutibus tuìs plurimis ntc grattar ^ nec admirab'dìor 
mìfericordìa eji . Homtnes enim ad Deos nulla re 
propìus accedunt , quam falutem homìnibus dando . 
Lo {lefTo artifìcio li può ofìeryare nella orazione 
per Annio Milone, dove Tullio per moftrare, che 
Clodio giufìamence fu uccifo , prova primieramen- 
te , che le leggi permettono di uccidere un infidia- 
tore i ed in quella a favor d' Arcbia , dove , vo- 
lendo far vedere quanto conto s’ aveflTe a far di 
quell’ uomo , premette le lodi de’ poeti , c gli o- 
nori che vennero a loro dati da tutta l’ anti^ità . 
Anche il Boccaccio nella fua Nov. 3. Gior. IV. 
forma una Amplifìcazione dal genere alla fpecie : 
Oj^n/ v/zjo può in gravi (fima noia tornare di co- 
lui y che V ufa y e motte volte a' altrui } e tra gli 
altri y che con piti abbondante redine né* nojlri pe~ 
ricoli ne trafportay mi parey che Vira fia quello» 
La quale niuna altra cofa che un movimento fu- 
bitoed inconfiderato da f entità trifiizàa/of pinta y il 
quale ogni ragion cacciata , e gli occhi della men- 
te avendo di tenebre offufcatiy in ferventijjìmo fu- 
rore accende V anima nofira . E comechè qUeJio fo- 
vtnte negli uomini avvenga , e piti in uno , che in 
un altro , nondimeno già con maggiori danni fi è 
nelle donne veduto , perciocché più leggiermente in 
quelle fi accende y ed ardevi con fiamma più chia- 
ra y e con meno rattenimento le fpinge (6j , 


o 4 §. vir. 


(6) Avvertati però di non eftendere troppo • lungo il noflro 
dircorfo trattenendoci All generale, itiaflÌRie/e la propofìcione 
Particolare è chiara , perché altrimenti c verremo a 'fatlrdio , 
e non ci remerà poi tempo a dirccadcrk al noAro proposto. 



X 2I<5‘X 

/ §. VII. 

De£H OppoJU . ' 

fono ancora le amplificazioni , che ii 
f^nno per via d’ oppofti, quando cioè vieppiù fi di- 
rj/ofira una propofizione adducendo ragioni cavate 
da cofe contrarie . Cicerone nel VI, de’ Paradoffi 
vuol provare , che la parfimonia è una grande en- 
trata , e così dice : Capa die ex /uh prxdiìs fex- 
centa fejìertia : ego centena ex mets : Hit aurata te- 
da in villi s ^ & fola marmorea [adenti y & figna^ 
tabulas y fupclledilem y & vejìem infinite concupi- 
fcenti non modo ad fumptum ille fruElus^ ejì , Jed 
edam ad fcenus exiguus : ex meo tenui vedigaH y 
detradis fumptibus cupiditatis , ali^uid edam re- 
dundabit . Uter igitur efi dìtior P cUt deefi , an cut 
Juperat ? (jui eget ^ an qui abundat ? cujus poffef- 
fio , quo eJì major eo plus requirit ad fe tuen- 
dam y an qua finis vìribus fiufiinet ? Ed Orazio : 

/iter ne 

cafius diiùìos fidet fiibì csrdus ? tìic , quì 
Pluribus afjuerit mentem , corpufique fuperbum ; 
An qui contentus parvo , metuenfque futuri , 

In pace y ut fiapiens y aptarit idonea ' bello? 

Anche Alefiandro Minerbetti nell’Oraz. in lodecfi 
Frane. Medici argomenta da quello luogo così ; 
Perche fe Jironda cofia farebbe fiata y cke dal Greco 
Poeta fiojfe al faggio Nefiore la fortezza d' Achille 
attribuita y o a queflo la fapienzadi Nefiore; così 
chi. nell a verde etcì canuto fennoy e in giovane guer- 
riero la fenil prudenza y e P efperienza commenda y 
non le lodi loro y ma la mancanza y che eglino de^ 

‘ pro- 


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X *«7 X 


proprj pre^i hanno ^ dimoflra ^ Conctqffiachè fe^ dU 
f creta agrtcoltore non ricerca dall' arbore , che netta 
primavera i frutti dell' autunno gli produca ; ma 
JS quello di fiori adorno rimira y afpetta con pazien- 
' za nella matura Jìagione i dejtderati frutti r accor- 
te y così noi fcorgendo nell' animo del Principe Don 
Francefco le fperanzjC y ed i fiori y ec. Così nel Lib. 
IV. delia Fiammetta il Boccaccio ad imitazion di 
Tibullo dimoftra quanto bella folTe T età dell’ o- 
ro , perchè allora non v’ erano guerre , non v’ c- 
rano difeordie , i campi erano comuni , il mare 
non era flato ancor folca to , e renava la pace, 
e la concordia nel cuor di tutti i mortali. 


§. Vili. 

Della Similitudine y' e della Diffimilitudine ^ 

Per rifchfarare una cofa alle volte> fi ricorre a 
qual):he lìmilitudine, o dillìmiiitudine; e quello pu- 
re è un modo elegante di far V amplificazione (7). 
Così Tullio prova elferli permeflb difendere Mu- 
rena Conf, dei'. Quod fi e porta folventibus ii , qui 
jam inportum ex alto invehuntur, pracipere fum- 
mo Jludio ffìlent & tempefiatum rationem , pra- 
donum , & locar um y quod natura affert , ut eis fa- 
ve amus y qui eadem periculay qui bus nos perfun&i 
fumus y tngrediufìtur : quo tandem animo we effe 
oportet prope jam ex magna jaSatione terram videa- 
tern in hunc y cui video maximas Reip. tempeftates 
effe fubeundasì e Virgilio- nel IV. della Eneide : 

. Mi- . 


(.?') NeH’ufo però delle fifnilitudrtfTa ficcofne alttovt già 
abbiaoi aromonito, biroenà cCer parco, e guardarli dal uoa 
addurle di quelle, che uano frìk di loro contrarie.' 


I 




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t 


X 218 X 

MìgrgntfS cetHas y totaqiu ex ufbe ruentesx . 

' ' Ae ìfelathingémém formica farrh acervum 
Quum popuLant , hiemts mernores y teBoque repth 
nunt : 

It nìgrum campìs agmen , pradamque per herbas 
CónveBant calle angujìo : pars grandia trudunt 
Obnixa frumento humeris : pars agmina cogunty 
Cajiìgantque moras: opere omnis femita fervei. 

Ufo deila fimilitudiae anche il Boccacdo Nov. io. 
Gior. I. Come ne^ lucidi fereni fono le Jìelle orna- 
mento del Cièlo y e nella primavera i fiori ne* verdi 
prati y così^ de* (audevoli coftumi , e di ragionamen- 
ti piacevoli fono i leggiadri motti, E nella DiflTi' 
mifitudine nella 7. Gior. Vili. Ma prefuppofloy chf 
io jpur magnanimo foffiy non f^ tu di quelle y in 
cut la magnanimità debba i fuoi effetti mqfirare , 
La fine della penitenzxt nelle felvatiche fim^ ^ome 
tu fi* y e fmilmente della vendetta vuole ejfere la 
morte ; dove negli uomini quel dee bajìarey che tu 
dicefti . Perchè quantunque io aquila non fia , te 
non^ colomba y ma velenofa ferpe conofcendo , come 
antichijfimo nimico y con ogni odioy e con tutta la 
forza di profeguire interuk, 

§. IX. 

Dell* Efempio , 

PoffìaTQ Analmente trar materia di formare una 
amplificazione dagli efemp; coll* arrecare uno o pih 
efemp;. i quali confermino la nofira propofizione. 
Àvca detto Cicerone nel I. de* Farad. Ncque ego 
unquam bona per didi ffe dicam , fi quis pecus , aut 
fupelleBilem amiferit ; ed ecco ficcome dimoftra 
con un efempio la fut propofizione: Ncque non 

fx- 


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fape laudabo faptentem illunty Èjantem % ut opinar , 
tgui emmerfltuf inter feptem fapientes : cuf us quum 
ptttrtftm Prienem cepìfjet hojlìs , cxteri^ue ita fuge- 
fent^ ut multa de fui s rebus fecum afportarent ^ 
quum effet admonìtus a quodam y ut idem ipfe fa- 
ceret ; ego vrro ^inguit y facio : nam, omnia mea me- 
cum porto ^ L* Ode 3. del Lib. di Orazio è una 
continuata amplificazione per via d’efempi. An- 
che Alberto Lolljo nella fua elegantiflìma Orazio- 
ne fopra le pompe tra tant' altri efemp; , che ri- 
ferifee per dimoftrare cfTere il luflTo fempre flato ri- 
putato dannofo alfe città , dice: Meritarnente adun- 
que > per le loro affettate fogge del vefiirey furono 
di leggierezza taffatt Glìfiene y Ottetto y JiriJÌ ago- 
ra y Mecenate y Dfimojlene y MaffimintOy^ molti al- 
tri y come fu Cornelio Lentulo , Sur a . nobili (fimo 
cittadino: il quale y perciocché troppo delizio/amen- 
te vejltva y fu con grande ignorpmia dtf Ùenforì 
/cacciato dal Senato . Così Aurelio Fofeg dilettane 
doft per attillatura di portare gli anelli d* argen- 
to y fu privato della dignità della Cavalierini^) * 
Avvertali però, dice Tullio, che fatta èflendo 
l’amplificazione a fine d’ingrandire le cose, eper 
render magnifico il nollro dire, noq vuole, che 
fi fminuzzino con foverchio fludio tutte le circo- 
ftanze, ma che fi fcielgano quelle fole, che fanno 
al nollro cafo , ufando fempre una certa libertà , 
per cui affatto ne redi coperto l’ artificio (9) . 

, Per- 


(8^ Ouello, che li dice desìi eretnpj , intender li deeean* 
cera dell' altrui teflimonin; laonde li può beniffimo ricavare 
«rgomento d’ una amplificazione dalla autorità altrui, quan- 
do queAa Ca d’un perfpnaggio degno di tutta |afede,' c che 
torni al nodro cafo. 

( 3 ) Necquidquam.iu amplifieatione nimis etmcieanduin eli : 
jnittiKa cà cnim omnia dUigtntia ; hic autem locus grandia 
requtrit . Otat. Partir. ’ 


X 220 X ' 

Perchè poi di leggieri perfuader fi pofla agli 
ditori la verità di qualche detto, o fatto col met» 
zo d’ una fcmplice amplificazione, oflTia efortazió- 
ne , bifogna faperla ordinatamente difporre . Inp*- 
gnano pertanto i maefiri dell’ arte, cne 

1. Devefi lodare T autore di quel detto , o di 
quel fatto, perchè, dalle di lui lodi. ne derivi mag- 
giore autorità alla noftra propofiziòne . 

2. Efporre il detto o il fatto medefimo rifehià- 
randolo, e per via di perifrafi innprimendolo alta- 
mente nell’ animo degli. afcoltanti < 

3. Addurre le caule, onde ne rifulti la verità 

del nofiro afifunto^ . . 

4. Mollrar per via di contrari quello che av- 

verrebbe^, fe così la cofa non fofie , ficcome noi 
diciamo . * 

5. Rifcbiarare con qualche immagine o fimili- 
tudine quello di cui fi tratta. 

6. Riferire efemp; che facciano al nofiro propo- 
sto , e che confermino il nofiro aflTunto . 

7. Comprovarlo poi con tefiimonj d’ altri accre- 
ditati perlonaggi , che furono della liefia nollra 
opinione . 

. a. Conchiudere finalmente recapitulando in bre- 
ve tutto quello che fi è detto, o confermando la 
prima noltra propofizione . 

Non è però necefiario l’attcnerfi così fervilmen- 
te a quefte leggi, che s’abbia a porre alla tortura 
l’ingegno per ritrovare materia , onde feorrere per 
tutti li fuddetti otto capi; perchè quando l’ argo- 
mento aflTunto a trattarli per le IklTo fia chiaro,® 
non ci fornifea altrettante prove, allora tralafciere- 
mo di buon grado gue’ capi che poflPon clTergiadir 
cati'fuperfluin o fu cui non abbiam che dire, per 
non attediare o colla troppa p'rolilTità, o con inu- 
tili parole, c ricercati fentimenti i no«ri uditori. 


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X 221 X 

‘Di fatto ecco in qual maniera M. Tullio fervefi 
(dell* amplificazione per lodar l’ amicizia . Premcf- 
fa la fua definizione, arfrerifcc, eflTer ella la miglior 
• «fifa, che abbiano gli uomini, eccettuata però la 
ftpiehza: ^ autem amichi a nihil aliud j nifi a- 
mnium divinarum humanarumgue rerum cum be- 
nevolenthy & caritate fumma confenfio , Qua gui~ 
dem haud feto ^ excepta fapientia^: quidquam 
melius homini fit a Dii^ immortaìibus datum , - 
* Svolge poi , e conferma la fua propofiziofie para- 
' frafandola , ed amplificandola per via di ^araponi : 
Divitias aia praponunt , bonam alti valetudtnem , 
aiti potentìam ^ alti homreSy multi etiam volupta- 
tes : Belluarum hoc quidem extremum illa au-. 
tem fuperiora caduca incerta , pofita non tam 
in noflris confila s ^ quam in fortunie rtemeritate 
Paifa quindi alla caufa dell’ amicizia : onde ne 
rifulti la di lei dignità, e grandezza: Qui -autem 
virtute fummum bonum ponunt , preclare il li 
quidem ; fed hxc ipfa yirtus amicìtiam gignit 
& continet : nec fine virtute amicitia ej]e ullo pa- 
(lo potejì . • 

■ Prova di nuovo quefio con efempi : Viros bo~ 
nof^eos y qui habentur , numeremus, Paullos, Ca- 
tones ^ , G alias , Scipiones , Fhilos , bis comntunis 
[vita contenta efi . T ales igitur inter viros amich 
ita tantas opportunitates habet , quantas vix queo 
dicere . 

' Dagli effetti poi dimofira i vantaggi deiramici' 
zia ; Principio y qua potejì effe vita vitalis , ut ah 
'Ennius , qua non in amici mutua benevolentia con- 
' quiefeat ì Quid dulcius , quam habere , quhum omnia 
audeas Jic loqui , ut tecum ì Quis effet tantus fruflus 
in projperis rebus ^^nifi haberts , qui illis aqucy ac 
~ tu ipfe-\ gauderet ? Adverfas vero f erre difficile effet 
fine eoy qui illas gravius etiam, quam tu ferra. 

Per 


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y( 222 X 

Pct via di diflìmilitudine prova poi efler i’ ami- 
cizia maggiore di tutti gli altri beai : Dtntque et- 
ter a res ^ au4 expetuntur ^ opportuna fini fingala re- 
bus fere fingulis y divitia y ut ut are ; opes , ut 
lare; hofiores ^ ut laudere y voluptates^ ut gaudeas j 
valetudo y ut dolóri careasy & rnuneribus fùngare 
corporìs : Amtcitta plurimas re^ cpnti(jet / qupqup 
te verterti , praflo eji y uUo loco exclùditur j nun-r 
quarrt intempejiìvd % nunquara molefid 

Conferma Quello anche dagli oppo^ ; Qpod fi 
exemeris ex, natura rerum benevolenti^ cpnjmSior 
nem ,• nec domus uUa y nec urbs fiore ppterit , ne 
agri quidem cultus permanebit , Id fi rhtnus ìnteì- 
ìigitur y quanta vts amicitia y concordtaque fit , ex 
differfiovtbus y ptque ex dìfeordits percipi poteji . 
Qua entro domus tam fiabilts , qua t am firma ci~ 
vitas efi y qua non oditi > atque dififidits funditus 
pojfif everti? 

Siegnepoi coll’ altrui teftimonio ; Agrigentìnum 
quidetrty doBum quemdam virum , carmini bus Gra- | 
cis vaticinatum ferunty qua in rerum natura y to^ 
toque mando conjfiarent , guaque moverentur , eqt 
contrabere amìcitiam , 4i(jtpare difeordiam . At- 
que hoc quiderrt omnes mortples O* intelUguat , 
re probant , 

Ecco per ultimo (a conclulìone : Ex guibus omntr 
busy guam tum boni fit in amicitia y fiidic/tri potejì . 

Contuttoché pero in pib luoghi di queda mia 
èreve operetta io abbia ammonito di guardarli dà 
ogni fu périduità. tanto nel dire, quanto nello fcrì- 
vercy pure lafciar non veglio di riferir quivi il pa- 
rere dd gran macero Quintiliano» il quale» tratr 
tandoll di giovanetti , da cui non ancora C può cG- 
gece un perfetto e giudiziofo r^gionatpen^) i 

dera piattono , che peq:Ìiino nel foyx?|bbppdare * 
che nello fearfeggiare ; kaperpeebé jcfiome , 

di- 


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2Z^ K 

éw\ la tro|)f>a fecondità d’ un tert^Qd 
. te fì modera, cosi f|uc’ Inoghj, càc /bup .cil lor 
non iì^offono con veruna latina 
ittM| 9 lre (loli. Voglio ^nque facondia di jpenficiri 
e di parole in un giovanetto., dicea Tullio 
e qnola s*acqailkrà col leggere ^noto . e col 
renderli famigliari le di lui orazioniCia), neUetuaii 
lì trova tutto ciò che può formare la fomma lode 
di un oratore (rj)# Da tale efercizio di leggere* 
d’ interpretare, c di feri vere moltilTuni yant^g^ a 
ricaveranno, e quello rpecialmente, che dovepdp 
noi per forte all’ improvvifo d’ alcuna cofa parla- 
re , pur nondimeno ragioneremo in guifa , che 
fembrerà , che diciam cofe Icrittc ; ovvero fe ne 
avremo fcritta ona parte fola * profeguiremo a di- 
re il rimanente in modo , cne non parrà punto 
dilTimile dallo fcritto (14) • 

Eccovi per tanto, o giovani, conchiuderò anch’ 
k> colle parole deir Autore ad £n%nio , in que- 
llo 


^10) r« pueris oratiò perfetta ncc exigi , nec fpcrari potril : 
melior aatem eli indoirs Ixfageneroiique conatus , lfevclplu> 
ra jufto conciplensi interim fpiritui . Nec umquam me in bis 
difeentis annit oSendatf fi quid faperfuerit. . . Facile reme- 
dium efi obertttis : fierilia nullo labore vincuntur . L/ì. II. 
rap. 4 . Tnfl. Rtth. 

Clij ^od me de bis «tatibusfentire nemo mirabitur , qui 
apud Ciceronem legerit : ?olo enim fc efierat in adoleKentc 
foecunditae. Sluim. ivi, 

Cra) Orationena aotent ladnam legendis nofiris efficies pie- 
oioteih i De Offic. Lib. I. in prine, 

(13) Nulla eft ullo in genere lane oratorìt , cujus in aollrtt 
orationibse non fit aliqna , fi non perfeQio, at cooatus ta. 
neif « atque adnmbratio . de. in Brut. , 

(14} Qui a fcrìbendi confuetudine ad dicendum venir, hanc 
atfert facultatem, ut edam Cubito fi dicat, tameu illa qua 
dicantnr, fimitia fcrìptonini effe vidcantar ; atque etiam , fi 
quando indicendo fcriptam attalerlt aliquid , cum abeodificeC- 
ferit , reliqua iimilit oiatio confeqqctHr • De Ora», Lib. l, 151. 


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X 224 X 

do libro con fomma cura raccolti tutti que’ pre- 
"cetti , e quelle cognizioni , che fon necènarìe per. 
formare un’ elegante e bC;.n roftnmata ^"?.ionc ; 
nelle quali cofe , fe voi diiigeutemcnte vi %^i- 
terete, tale gravità, tal dignità c foavità nel par- 
lare verrete a’confeguire, che veri c perfetti Ora- 
tori' farete giudicati (15). 


(ji) Omnes rationes honeflandai elocutìonis ftudiofe collr- 
giraus, in quibus, Hercnni, fi te diligeoter exercoerti & gra. 
vitaten & dignitatem, & fuavitatem habere in dicendo pò- 
teric , CB oratorie piane loquaris . Léà. ly. in fine . 


• Fine del T omo Primo , 






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ELEMENTI 


DELL’ 


arte rettorica 


Tratti dalle Opere de’ migliori Maeflri , ^ 

e rifchiarati ad ufo della gioventù 


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ELIA 


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GIARDINI 




Pubblico Professore d' Umanità' nelle 
Scuole Minori della Università' 
di Pavia . 


DELLE PARTÌ NECESSARIE A FORMARE 
IL PERO ORATORE . 


TOMO 


II. 


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BASSANO 1801 . 



APPRESSO GIUSEPPE REMONDINI E FIGLI • 
Co» Rigf4 PemJJPcne. 


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INDI C £ 


F a o £ M i o, 

Déllè Parti del? Arte Rettorìe a • 

PARTE L 

Capo, l 




ROMA 


5 ® 


' * bell* Invenzione i li 

ÀKT ì L De' luoghi Interni o Artificiali * 14 

M I* Della Definizione 4 1$ 

j. IL Dell' Etimologia é \Z 18 

Ì« IIL Della Enumerazione* 21 

[i IVa Del Genere è della Specie è ; \ 25 

U V- Degli Antecedenti è dei Conseguenti * 28 

!; VL Degii Aggiunti* . 30 

!• VII# Caufe e degli Effetti 32 

VIIL Della Similitudtné e Di Somigliànzà * 36 
tv 6 4r 

4 Z 

46 

47 
47 


§; IX. D? 7 Centrar j 0 Ripugnanti * 

§; X. D<?/ Paragone * . 

ÀitT# IL Dei Luoghi Efìerni 0 Inartificiali 4 
§• I. Del Teflirrtonio Divino • . 

§i IL Del Teftimonio l/mano 4 

CAVO IL 


Delia Dtfpofizione 4 

Akt. I. Dell' E f or dio • . 54 

i. I. varie Specie e de' fonti dell 1 E fiord i&* 55 

t« lté Di ciò che dee preflarfi dall ' Oratore 
nell 1 Èfordio 4 64 

§. IIL ZW/* dell'Efordio « 68 

A % §• IV, 


« 


X 4 X 




«. IV. Della Propofiziane Oratoria. 

70 

S. V. Della Divisone . 


Art. II. Della Narrazione. 

1 77 

Art. III. Della Confermazione . 

Q-. 

I. Delle Frove . ‘ - * 

QQ 

L II. Della Confutazione . — 

OO 

•HI »-% *• 

M * 

§: III. Delle varie Specie e forme a arg 

Vfrfv /#'• 

tare . 

95 

<$. IV. Del Sillogi fino . 

94 

AA 

<S. V. Deir Entimema . T 1 ^ 

9^ 

nS 

<S. VI. De//’ Induzione . 

y° 

gin 

VII. Dell' Efempto . ^77 

t §. Vili. Df/ S orite . 

1 §. TX. Ite/ Dilemma . 

99 

100 
xor 

Art. IV. zw/rf Perorazione . 

. . ^ io? 


C A PO. ÌH- 

. * ' 

- Dèlia Memoria . / • « - 

; * T. Z)»//* Memoria Naturale . 

II. Della Memoria 'Artificiale . 

j;‘ ■ ■ C A P o. IV- 


107 

108 
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; . Della Pronunciazione • - \ 

f t Dèlia Voce . v 

. IL Del Volto . 

4. III. DW Gefio. j 

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CAPO 

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EGLI Affetti . 

J J; Amore 4 - \ . 

* TTT (W /0 . ♦ . 

*' tv/* Speranza * 

V. Del? fra , 

I* vti - D l* la Gompa filone) 1 
§• VII. -D*// Invidia . 

• yi^ # Dello Sdegno . * 

.* If'Jklla ManJuetudi ne ,• 

• • :; 

’* XIJI ‘ ***’ 4#«« di#, mutati . • 

C A P O li, 

Dei Co fiume • 

« TT D ll, C XH mt de ' Potenti, 
fi; ^ , C a-% w Nobili , 
f jti • CpAww <*’ A/Vci/ « 

I* tf‘ PfS°f ume tPPMei. 

I’ Vt ^ Coftumé de’ Dotti, 

Il VII D De?°cT e de * 1 * ApP*ff'on«tì. 

« vffi n F^n me de Giovani , 
l ryn Goflume de’ Vecchi . 

« delìe Donne. 

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CAPO 


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' ». 

Delle Quejlioni # 

Art. I. Ò3 Gs**r* Dimojlrativo . 

§. I. Del Panegirico . 

<f II. Delle Orazione Funebri . 

§. ìli. ÌM' Epitalami. 

«. IV. Df//? Orazioni Genetliache , 

«’ V. ZW/e Congratulazioni , 

§! VI. Z>*»* Condoglianze. 

« VII. J>//e Orazioni Eucarijltehe . 

1 Vili. De//? Orazioni di Biaftmo , . , 

Aht II. ZW G«w« Deliberativo. 

■§. I. Delle Conciliatorie. 

«. II. Delle Perfuafive » 

«. III. Z)e//e Orazioni Morali. 

ART. IH. Z)W G««r* Giudiziale . 

CAPO IV, 

J)ella maniera d* efercìtarfi nel comporre. 


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168 

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173 

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175 

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PROEMIO. 


Q uella fovrana virtà , che parlar facendo 
1’ uomo col vero linguaggio della natura , 
lo rende polente a fpiegar con parole in 
guifa tale i proprj fentimenti , che', infinuandolì - 
egli nell* animo di que’ , che 1* afcoltano , gli 
sforza , e li trae dove più ad effo aggrada (i) , 
abbifogna bene fpeflo pur troppo dell’ Arte, che 
prudentemente la guidi , e per via più diretta e 
iìcura al propofto fine la conduca (2) . 

A 4 Queft’ 


CO Eft Eloquenza una quaedam de fumiti js virtutibus . . . • 
quje fenfa mentis & confitta fic verbis explicat , ut eos qui 
audiunt qùocunque incubuerint , poflìt impellere. Cic . de O- 
rat . IIT. 14. 

CO Nella prefazione premeva al T. I. abbiamo già dima, 
firato baflevolmente come quell’ arte figliuola della natura 
lìa fiata poi ridotta a precetti ; epperò abbiadi Tempre vedu- 
to , che quanto più ella s’ a Somiglia al parlar della natura 
è Tempre più ammirabile . Diffe perciò ottimamente Tu 'io : 

De Orat . 1. a. Ut in ottetti id maxime excellit , quod lon - 
gijfftme fi t ab imptritorum intelligenti a , fenfuque disjun - 
&um , in dicendo autem vitium vel maximum tfi a vulga- 
ti genere or ottoni i , atquc a confuetudinc communi s fenfus H . 
abbonerò. 


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■ ■ . ■ X 8 x r< - ' 

Quell’ Arte a dovere poffeduta da utl . uomo , 
cui la Natura lìa fiata prodiga (3) de’ fuoi doni: 
coltivata pef merto d’ un non interrotto eférci- 
zio : corredata della vaga corona di tutte le altre 
fcienze e da faggia prudenza , e maturo configlio 
accompagnata (4) , ne fomminiftra il perfetto Ora- 
tore ; quello cioè , che a tempo fa col fuo dn 
‘fcorfo ammaefirare , dilettare, e trionfar con -gli 

affetti fui cuore defili JÉ w^ta n ti (5) . ■' f . 

Nè potrebbe ella; produrre - sì mirabile effetto 
nell’ uomo , od’ effer tanto poflente , fe .la , fola 
meiite informando , non . s’ efiendefle ancora co’ 
fuoi precetti a regolarne l’.efterno . Figliuola del- 
la ragione -, ' e maeftra di prudenza • la Kettorica 
infegna'collMovenzione a ritrovare gli argomen- 
ti forti ed efficaci : colla Difpofizione a collo- 
car le 'cofe in maniera ; che ordinatamente, ed 

• a tempo l 1 una all’ altra fuccedanfi . Padrona 

..... eJ . 

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■ — . . . . - * *- » ^ — — - - — — - — — — 


» * * » « • 

C 3 ) Sic fentio, naturami primum ad dicendum vim afferre 
maximam. Cic. de Orai, LI* Nihrl pr*cepra atque artes va- 
lere, nifi adjuvante natura . Quitte. 4. i. c. i. 

( 4 *) Multo labore % i affìduo Audio, oraria exercitatione * 
pluribus experimentis , altiffitna prudenti?, praeftantimmo 
confili© con fiat ars dicendi . Quint. Jib.i. f.lj. 

* (5) Per divenir perfetto Oratore non folo'iii fogna aver una 
difpofizione naturale all* eloquenza accompagnata dall arte 
e dall* efercizio ; ma conviene fecondo Tullio ener pratico e 
capace a parlar di tutte le coTe* «he pqffano cader- tn ^ue? 
ftiono* fVd. Pref, ai Tm* i. 


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X p X 

ed arbitra de’; cuori ci detta le efpreftìon? , ti 
i modi più vivi e penetranti colla . Elocuzio- 
ne . .E- perché, il tutto in ogni tempo, e do- 
ve abbifogna e nplle, maniere le pih efficaci di- 
re (ì polla , ci arricchisce ■ colia Memoria , ne av- 
viva la voce , ne cangia il volto , ne modera 
per fino il gello , ed il patto colla Pronunciazio- 
ne (<5). 

Il principal fuo intendimento quello però ef- 
fendo di fignoreggiare fui cuore umano ; non con- 
tenta quell’ Arte d’ aver dato le fue leggi alla 
mente , ed all’ azione , le vie del cuore ancora 
ella penetra , e fi sforza d’ indagare . I collumi , 
gli affetti Je fomminilìrano materia , onde perfe- 
zionare il fuo Oratore , e renderlo più facilmen- 
te padrone dell’altrui volontà. 

Leggi così utili , così portenti prefTo la fcorta 
de’ più grandi Maeftri io già m’ accinfi ad efpor- 


00 Omnis orandi rajto, ut plurimi, maximique auftores 
tradidcrunr quinque p^rlibus conila: , Inventionc , Difpofi - 
tionc , Elocutione , Memoria , Pronunciati one , five Anio- 
ne , uiroque euim modo dicitur.... Non enim tantum re- 
fert quid & quomodo dicamus, fed etiam quo loco. Opus 
ergo eft difpofitione. Sed neque omnia, qua; respoftulat di- 
cere, neque fuo quseque loco porerimus, nifi adjuvante me- 
moria ■ qua propter ea quoque pars quarta efit. Veruni h*c 
cunéH corrumpit, ape propcmodum perdit indecora vel vo- 
ce , vel geftu pronunciatio . Duini, Injiit . Rbet. Ili, a. Ctc* 
£ib. 4 . oc Inv. De Orai, IL Ore. 


X » X 

r * 

re . Avendo pertanto nel primo Libro Laftevol- 
mente padato della Elocuzione^ e di tutto ciò 
che ad effa appartiene ; dell’ altre parti necelfarié 
a formare il perfetto Oratore in quello ordinata- 
mente a trattar mi rimane'. 

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PAR- 


A 




PARTE PRIMA 


C A , P O I. 

DelP Invenzione , 


V 



Q uesta è la parte veramente eflenziale dell’' 
eloquenza ; e in quella guifa che le carni 
•ed il colore non fervono ad altro che n 
perfezionare ed abbellire il corpo umano , men- 
tre la fua vera bruttura e fermezza nell* offa , é 
nei nervi confìtte ; così ancora le parole, gii or- 
namenti « le figure , gli affetti , vertono , ador- 
nano , hanno bensì gran parte nel dilettare , e 
nel movere il cuore , ma la vera forza , ed il 
nerbo dell’ eloquenza tutto dall’ Invenzione di- 
pende (i) . # . 

jL’ Invenzione pertanto al dire di Tullio (2) è 

un 


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\ 


4 è * 

( 1 ) Catterà , quas continuo oratioms traftu magis decur- 
runt , in auxilium , atque ornameatum argumentorum com- 
parantyr, nervifque iilis , quibus cautTa coatinetur adjiciunt 

fuperindufìi corporis fpeciem Nec abnuerim effe ali. 

quid in dele&atìone , multum vero in commovendis affe&i- 
bus : fed h*c ipfa plus valenr, curi fe didicifle judex pu- 
tat : quod confequi nifi argumeutatione, aliaque ornai fide 
rerum poffumus . Quint. Jnjìit. Rbct , lib, P. C. 8. 

CO In vendo cft excogitatio rerum verarum aut verifimi- 
dura, quae cauffam probabilem reddant . De lnvent. I. ad 
Heren. hi. L’Oratore, come già fi è detto, parlando del- 
la Narrazione oratoria, talvolta tratta argomenti puramente 
probabili ; perciò difle beni fórno Cicerone aut yeréfimi lium 
qua eaujjam probabilem reddant . E quand* egli fofìenendo 
il partito piò debole, o difendendo il reo giunge a perfua- v 
dere ed a vincer la fua caufa, è molto piò apprezzabile U 
fua eloquenza t $he quando parla per la verità , o per cofa 
ftfù c ficura. 


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un litrotamento di cofe vere , o vèrifirfrili , té 
quali rendano probabile la noltra caufa . Or fic- 
come I^Oratorè deve fempte iter di mifìt. il fuo 
fine, che è quello di perfuadere sii afcoltanti ; e 
guefta perfuafione , acciocthè gli acuirti un per- 
fetto trionfo , non ha folò da confiture nel vin- 
cere colie ragioni l’intelletto, ma nel piegare an- 
cora la volontà cogli affetti ; perciò tutta l’ in- 
venzione fta riporta e nel faper ritrovare gli ar- 
gomenti atti ad appagare ii primo / e pel dettar 
coi medefimi a tempo tutti queVmoti , che fiano 
capaci a piegare , e vincere la feconda (3) . ‘ - 
. Gli argomenti., offiano le ragioni tolte da cofe 
certe, che Sì adducono, per dimottrare , la verità 
d’ lina p.raportzione ancor dubbia (4) , come rile- 
vali dalla fudderta definizione di Tullio, fono di 
due fpecie :• altri veri , o netejfarj ; altri veri fi-. 
• miti , ' 0 probabili . * f primi danno .certezz'a , e 
feienza ; i fecondi inducono foltanto opinione, e ( 
fede • Gii affetti poi altri fono di lor ^natura re- 
niti /. & ' : altri veementi , e gagliardi , fi c-* 

come altrove parlandoli delle Figure già fi è ac- 
cennato (5) . * - ..... 

7 ■ ’ ■ • •' . ;• ,■ 1 & » - X rao- 1 

. né*. .àmmmm „ m k m Il i .. «-.■■■y,..- » * 


(3) ftfcelttar O rrtror qupMadìrtodurti fide m fa cidi efs , quf- 
bus vpjet perfuadere ,, & quemadmoduin motum eoruiti anP 
«nis afterat. Cic. Partii, órat. Quello flremflimo vincolò' 
che pàffa tra l T intelletto e la volontà, che noe già due , 
~~~ un fplo' elTc*/e cofntUifco'nol feorgefi anche tra gli àrgo-* 
iti f e gli aflètti . Tendon* eflì a diverte potenze , ma 

r «• * .f 4 * # ^ % i • 1 • • a* 1 



tiene 


£4} Efl, arqumenfum r.1fìo probationenì praflans , q'oa càll?-" 
Ritur aliud per afiuVf, & qtia» quocf eft diibium' per id quod 
Bon>fì Uubiuin confirmat ùuint. ^. to: 'V' J r . J / 
" (s) A rre tapi fi può PidW ré tuffa 1 dòtltóli* degli 

* ”• * fi. 


X *3 X 

I morivi che dettano in noi gli affetti , rap- 
porto alla Invenzione fono gli fletti degli argo- 
menti , come infegna Quintiliano (6) ; e quelli fi 
ricavano da’ luoghi Topici, che* fedi degli argo- 
menti vengono perciò da Cicerone chiamati (7) . 
Tali luoghi o fono Interni , o EJierni , I primi 
diconfi ancora Artificiali , perchè non ci fommi- 
nittrano apertamente e da fe ftefli le ragioni , 
onde provare il nottro attunto \ ma c’ indicano 
folo una via come rintracciarle ed abbifognano 
poi sì dello Audio dell’ Oratore per cavarle dalie 
vifeere della caufa , che della di lui arte, per ap- 
plicarle opportunamente, I fecondi chiamanfi an- 
che Inartificiali , perchè fanno prova da fe indi- 
pendentemente , fie non dalla artificiofa diligenza, 
dall’ invenzione almeno dello fletto Oratore che 
non ha fe non a far ufo di ciò che il luogo fletto 
gli fuggerifee , e fomminiflra per quindi provare 
il fuo attuato (8) . 

AR- . 



per eccitarli.; quello dipende dalle ligure , di cut già fi è par. 
Iato nella elocuzione : fe finalmente cercali l’arte di collo, 
farli; quello appartiene, alla Difpofizipne v Noi affine di 
non interrompere l’ordine delle materie, datele* luòghi op- 
portuni le neceffarie e generali iftnuziom intorno agli affetti , 
<i riferbiamo a trattarne p$ a lungo, e fe paratamente nella 
i-I. Parte di quello libro » . 

CO Lib. V. 8. . ‘ 

C 7) Licer definire lojcum èffe argumenti fede ni ; arguxnen- 

V.! rl.-kioo 



’Topic. Argumenta ducuntur ex locis , aut in re ipfit infitis, 
*ut affa mptiz • Cie. Partit. Orat . . Alias proba tiones extra 
«liccadi rttionem acci pi t Orator : alias ex caufa tt,ahit ipfe 
U auodammqdo gignit % Ideo^ac iUas ut ideft i «arti- 
fici»- 


•X M 'X 

ARt|COI.O t 


De 1 Luoghi Interni o Artificiali 

Varie fono le opinioni degli autori circa al 
numero di quelli luoghi* per cui dall ^ intimo del- 
la caufa noi pofliamo trarre argomenti atti a per- 
vadere gli alcoltanti < Generalmente però a dieci 
lì poflono ridurre , e fono : La Definizione , L 
Etimologìa , X’ Enumerazióne , Il Generi e la 
Specie , Gli Antecedenti, ed i Confeguentty Glt 
A e giunti. Le Caufe e gli Effetti 9 La Similitu- 
dine e la Diffimilitudine t 1 Contrarj q Ripugnan- 
ti 7 lì Paragone CO « 



ficiales : has * rriy.ni idei! arlificiales vocaverant . Quint. r. 
3. Ad probandum autem duplex eft oratori fubiefla materie» . 
Una rtrum earum, quac noti excogiiarttur ab Oratore, fea 
in re pofitaè ratione tratfantùf . * altera eft quafc tota in di- 
sputatione & argumentatione Oratoris collocata elt . Ctc. Uc 

Credono alcuni inutile i Ì trattar de’ luoghi Oratori ? 
perchè, dicon’ eflì , come la maggior parte degli uomini 
cammina benitòmo fenza faper le regole del balla, a almeno 
fenza riflettervi attualmente, cosi utr buon Oratore prova 
egregiamente il fuo aifmito fenafa penfare nemmeno a luoghi 
f addetti» Ma fappiano cortoro che ì precetti feri votili per chi 
non fi fa, non per chi è già 1 buon oratore: e che filetti no* 
farebbero tali, fe prima con un continuo efercizia formate 
non f i fodero fu le regole iftefle/ in quella guifa appunto > , 
che chi fatto uomo* cammina 1 velocemente e fenza indugio 
(opra un rientrerò, ebbe da bambino bifogno d una iffano'g» 
tofa che lo feortaife, e dingeffe, araire che agallano noli 
c-adelfe rniferamente al fuo lo • / 

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Dàlia Definizione* 

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9 • 9 % 

Ogni ragionamento, che s’ inflituifce intorno a 
qualche cofa , deve aver principio dalla Definizio- 
ne , perchè da tutti intender fi pofia quello di cui 
.fi fa la quirtione (2) * Se quella fi trafcura , mol- 
te volte avviene , che parlafi invano , perchè o 
non fi è intefo , o fenza avvedetene fiamo dello 
flelfo fentimento coll’ avverfario , e fi deputato- 
lo per non convenire ne’ vocaboli . La Definizio- 
ne dunque è una breve , chiara , e propria spie- 
gazione che fi fa della cofa , o del vocabolo , fa 
cui cade il difcorfo (3) ♦ Quella dicefi di Nome 
quando noi fpieghiamo la vera e propria etimolo- 
gia , o il lignificato di un non intefo vocabolo : 
dicefi di Cofa , allor quando fi fpiega la natura 
ed il carattere della cofa che fi definifce (4) . 

Per formare una buona definizione infegnano i 
filofofi , che bifogna accoppiare al genere la diffe- 
renza , offia all 7 attributo comune e generale del- 
la cofa, che vien definita, un altro attributo fuo 

Pio- 

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4 A *• « • t « , • « « 

C a) Omnii aun 4 ritióne fufcipirur de aliqna re taftitatio, 
debet a definKiooe prò fi ci Tei - ut ìnteHigatur quid fit id de 
quo dìfputatur. Cic* Dé Offie, t: t* . . 

G) Definitio eft Oratio, qtise quid fit id 4* quo agitar o- 
fiendit quam bre vittime. Orat. Definitio eli earum return , qux 
’ funt ejus rei propri* , qqain definire voi am u* brevi? « cir- 
cumfcnpta qu*dam ^xplicatio ; Z>ff 6rai. 7. a. / 

. (d) Definitio eft oratio, quxid, quod defiaitur explicat 
.quid fit • Definitionum autem duo fnnt genera prima : unanx 
earum Tenuti , qu* funi } alternai tararti , qu« lutei Jigun-» 
tur. Topi* t . . v. \.-J . l • 


X ló X 

proprio , c particolare . Così fe fi definifce I* no* 
mo effere un animai ragionevole , fi fa intendere il 
genere eh’ egli ha comune con tutti gli altri ani - 
mali , e la differenza che tra tutti lo didingueper 
effer egli ragionevole • Untai modo di definire pe- 
rò balla, e. conviene al, filofofo, il quale non cer- 
ca altro che gli attributi effenziali della cofa per 
ammaertrare Con brevità; ma l’Oratore che ha da 
perfuàdere di più l , e di commovere , : non s’ ac- 
contenta di così angudi confini . Egli nelle fue 
definizioni giuda il bifogno fi eftende, amplifica, 
abbraccia in effe le caufe, gli effetti , gli aggiun- 
ti , le parti , gli offici ; ed; or con metafore , or 
con fimilitudini , or per via d’ opporti cerca di 
metter là cola nel fuo maggior lume, ficchè for- 
ma talvolta vere descrizioni . Ecco come Tullio 
definifee l’ uomo nel primo libro delle Leggi cap.j. 
Vtnimal hoc providum ^ fagax , multiple* , acu- 
tum, merrtor * plenutn tutionis , & conflliiy quem 
vocamus hominem preclara quadam conditione ge- 
nera tum efl a fummo Deo . Solum eft enim e* tot 
animdntium generibus atque naturis partictps ra- 
ti onte , & cogitai ionis , cum c estera sint omnia ex- 
per ti a. * Quid efl enim non die am in homine , fed 
in omni calo , atque terra ratione divinius ?, Dalla 
definizione pertanto fi trae una prova allorché 
argomentando fi deduce la verità del noftro af- 
funto dalla definizione della cofa di cui fi tratta • 
Così Tullio nella Orazione per Marcello perfua- 
de Cefare, non aver effo per anco abbartanza o- 
rperato per la fua gloria ~ Si rerum tuarum im - 
mortali um , C. Cafar , hic exitus futurus fuit , 
ut 5 deviclis advetfariis , rempublicam in eo flatu 
T P^tifcres , in quo nunc efl ; vide quafo , ne tua 
divina ^irtus aamirationis plus fit habitat a quam 
gloria , Stquidem gloria efl illuflxii , ac perva h 

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miti forum magnorum, vel in fuos csves 

velin patri am ^ vel fin omne genus honunum far 
ma meritorum . Hxc igitpr tibi *el'tqua pars ejl.f 
hic rejìat a chi? ; in hoc elaborandum ejl y ut rem - 
pubYtcam-conjìhuas , eaque in primis xum^fumma 
tranquillitate & otto per fatar e. E nel Bruto dal- 
la definizione prova qual fia l’ uomo veramente 
onorato ZZ Cum honos fit prxmium virtutis Jh4h 
ciò y Jludioque civium delatum ad aliqnem ; qui 
eum fententìis , qui fuffragìis adeptus ejì , is mi- 
hi &, honejìu f & honoratus vi de tur r qui auiem 
occafione alìqUa etiam invifis ci vi bus n fi Bus ejl. 
impèri um , hunc nomea honoris adeptum , , noli ho- 
norem y puto . Non altrimenti ^ Anfore della di-^ 
fefa delia Difcordia dalla definizione jmoftra^chfr 
ZZ La difcordia è cagione della bellezza del mon- 
do y e della confervazione degli animali j t ndeìle 
città. Perciocché , egli dice, chi. altro } dì fasti- 
dia 'nelle cofe create che diverjita dt cofe dijfimtli 
ed oppofle ? negli animali chi diria , che altra C0- 
J!a jta J~e non difparitd di cuori e di appetiti ? 


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Quindi 

confonde la difcordia colla' divifione, , feorre poi, 
tutto T ordiiie del I e cofe naturali e civili , e fa; 
vedere che dal contrailo e dalla varietà degli op- 
porti rie;, nafee P armonia, eia bellezza dell’ uni- 
verfo ; onde concbiude che ceflaodo tal difcordia 
tutto ritorneria al primiero caos . Ed il Salvini 
nell’ orazione in lode del Conte Ugo argomenta 
dalla definizione quando dice zi La pietà verfo 
Iddio altro n$n è che un diritto e una } giujlizia 
che dalP uomo fuo fervo, fi rende all* unico e vero /, 
Signore ; e allora t Principi alla greggia de* toy 
ro vaffalli perfettamente , e felicemente comanda- 

^ Giarde Eterne T, II. ^ ‘ B ; ' 


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»o quando al. comun Prìncipe Iddìo con umile t 
e devoto cuore fi Sottopongono . Che egli in ciò mi- 
rabilmente fi fegnalajje , non mi lafciano mentire 
il Tiranno di Roma cacciato >' il Pontefice nella 
fua fede refiituito ec. E altrove prova la gran 
Santità di S. Giufeppe dà quello {onte — La San- 
tità è un'' amicizia dell’ uomo con Dio , Or chi 
partecipò’, in maggior copia di quefia amicizia ? 
jSì conversò col Inerbo fatto carne f gli fu ccmpa- 

' V * . . t / 

gno ec, ' ’ * * / . V t f a • s ' 

? Abbiam detto* da principio che fa definizione 

è^una breve v chiara , e propina fpiegazione di 
nna cofa ; dal -che appare tre eflere le di lei doti 
principali . L La Brevità ,. nort già quella filofo^ 
fica , ma tale, che T Oratore non s 1 ertenda pitìr 
del bifogno v II. La Chiarezza così che egli met- 
ta veramente in chiaro la cofa che definifce r per- 
ché farebbe 'fciocchezza ,■ fe 'la definizione forte 
prò ofeura delia cofa definita.- II I, La Proprietà * 
cioè a dire /che la definizione ad altro, fe non 
alla cofa definita * appropriare non fi porta , . af- 
finchè non ci avvenga quello che narrali dVun fi- 
iofofo , il auale avendo definita l-uomo effere un 
animai di due piedi e fenza penne, fu dal Cinica 
derifo che fpiumato un gallo il gettò nella dfc 
lui fcuola dicendo : ecco il tuo uomo * 


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. . ir. 

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' , ' ' m'v 

Dell y Etimologia . 


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• s * » M W " * 

I nomi dai faggi furono* importi alle xdfe noir 
fenza qualche lignificato,, e 1’ Etimologia appun- 
to ( che altro non è N che una : definizióne del vo- 
cabolo tratta dalla di lui origine ) è quella , che 

* v 1^ A 


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X 19 X 

ne fpiega il lignificato ifteflb (5) ; laonde può 
fomminiftrare al dicitore largo campo a decorre- 
re ,■ fe da e/Ta egli trae argomento onde provar» 
il fuo allunto.' Tullio nel 2.' delle Tufculane qui-, 
flioni dall’ etimologia prova che la fortezza è la 
maflìma tra tutté le virtù che da lei prendono il, 
Home,’ e che ella è. la vera virtò propria deli’ 
uomo il quale fu chiamato vir a vi , come vir- 
tui a viro . Vide nè curri omnes reci/e animi affe- 
bliones vtrtutes ; appellèntur ,■ non Jit hoc proprium 
nomea oniniurri / /ed ab ea , qua: una .. cxteris ex- 
iellebat , omnes nominata: sint ; appellata ifl enim 
a viro virtus ‘ viri àittem propria ejì forti tudo : 
cujus rhunera duo maxima Junt ,■ mortisi dolori f- 
que' contemplo.; Per Ligario prova effer indegno 
del nome d uomo Tuberone per la l'uà inuma- 
nità conciofiachè homo derivi da kùmanus : Quid 
diets ? cave ignofeas i Hate nec hominis ,■ nec ad 
hominem vox. ejì / qua qui apud te C. Cxfar ute~ 
iur , fu am citine abjiciet humanitatem , quam ex~ 
torquebit tuarn ; Contro Pilone dimofira non el- 
le r egli Confolo col dire:’ Si Cònful ejì , qui 
retpùbl tea confulit / , non Conful Pi/o ,• qui eam 
ivertit . Il ci tv Autore della difefa della Difcor- 
dia ugualmente mortra, la verità di fua definizione 
còlla etimologia = Che di fardi a sia il defiderio- 
di dtver/e co/e,' la Jìeffa voce che dalla diver- 
“1 cuort e dì voleri fi deriva lo dimofira . 
iid Alo.; LoIIio nella fua Orazione fopra Je Pom- 
pe fa una belliffìma eiclaniazióne cavata da aliè- 
no luogo .• O tempi ! o cofiumi ! tempi dico ta- 
li 2 tem- 

_ _ . . • • . ■ ’ ■ - 

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$ # ^ — _ J . ^ j. , -jf ■ 1 « 

\S) Notano eft cuni ex vi nominis argumentuin 
Suam Graeci / rv/uc\oy /«» vocant, ideft 
veriloquimn % ivi . De Orar, U. 40, 41. & 


***— \ 


’1 


; X20X 

tcmperantiffxmi , e ccftumi fcofì urna ti (fimi , degni 
veramente di una buona riforma , e di molto fe- 
vera correzione . Quali dir volere non poterli più 
chiamar tempi , perchè fenz’ ordine ne’ cortami , 
perchè lenza modo , ed affatto opporti al loro e- 
timologico lignificato . Così anche il Salvini par- 
lando di Saturno come d’ un pianeta caduto in- 
faullo nella iua Le z. IV. dice: Siccome per de - 
j cri vere un uomo' cortefe , dolce , c driver fevol e y li- 
berale , grato , allegro ed affabile , lo dici am gio- 
viale , quafi tutta la virtù di Giove bevuta egli 
abbia , e incorporata ; così per /’ oppojlo gli uo- 
mini rtiejii , di rabbuffata chioma , di fopr acciglio 
aggrottato , J curi in vijla , e tenebrofi , orridi , ta- 
citurni , quafi ' allievi e figliuoli di quejlo Pianeta 
Saturni comunemente gli addomandiamo . Querto 
è un luogo molto atto alle facezie , ed agli fcher- 
zi, purché fiano uniti a qualche faleVTulIio co- 
sì lepidamente motteggiò Verre dicendo: Quid 
mirum , fi hic omnia rapit , & verri t , cum Ver- 
res appelletur ? . ' 

All’ etimologia fi devono riferire gli argomen* * 
ti cavati dai Ccn;ugati , cioè a dire da vocaboli 
che riconofcono una rtelfa radice ed origine (6). 
A favor di Marcello p. e. parlando Cicerone 
vuol provare che Celiare è veramente invitto: 
Cxteros quidem omnes vittore s bell or um civilium 
jam ante (Cquitate & mi feri cor di a viceras ; hodi er- 
ri a vero die te ipfum vicifli . . . Nam cum ipfius 
vittoria condizione vitti omnes occidiffemus , eie - 


men- 


Coniugati qu* orti ab uno varie commutantur, ut fa- 
pi ens , fapientia, fapienter &c. V. ’topie. Ùe Orai, IL 41. 
Quello che fi è detto delle figure di. Traduzione e di Para- 
jicmalia può fervi re ad il luftrar qucfto luògo, che ha oon ef* 
fe molto di illazione. . 1 


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• * » 


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• \ X *» X _ ■ 

fnentìa tua judìcìo confervati furto Us . Re eie igl» 
tur unus invi&us es , a quo ipftus ttiam vi eteri a 
conditi o ì vi fque deviala ejì . £ contro .Pi fon e: 
Cium e [Jet ornai s * ili a caufa confutar is & Jenato- 
ria ± ausilio mi hi opus erat & Confu lis . & Sena- 
tus / Dai coniugati ancora fi prende motivo di 
fcherzare itiaflime fe per figura di Paronomasia i 
vocaboli hanno diverte origine, ó diverfo lignifi- 
cato. Così nella 4. contro Verre fcherzò Tullio 
chiamandolo bonus Afirologus , qui non tam cali , 
quam argenti . datati cupidi tate duci tur . E Pro- 
perzio così fcriffe del Tuo Secolo : ,» * 

^ , 

Aurea nunc Vere funt S acuta : plurimus * auro : ; 

Venit honos : auro conciliai ut amor . 

Auro pt\lfa ftdes , auro venali a jura , : 

Aurum lex feqnitut , mox fine lege pudor , •; 

• ' • - • §, nr. , : 

• - \ * ' * » * * .. 

> , * • t 
- * >' « . « , ; 

Della Enumeratone , » • * . 


^ 1 


Catfafi argomento dalla Enumerazione quan- 
do per dirftofirare una propofizione, quefta.lì di- 
ftribuifee in tutte le fu e parti reali * o iritellcttuar 
li , affermate , 0 negate le quali refìa affermato 
o negato il tutto * Tale diftribuzione fecondp il 
bifogno può cadere falla materia , falla forma , 
fulle caufe o fagli effetti . Può anche farfi ri- 
fletto al tempo y al luogo « alle qualità , e tutto- 
ciò in fomnia * che in qualche modo appartiene 
alla cofa , di rffi fi tratta 4 Tutta la prima Cari-* 
linaria i cavata dalla .enumerazione . Incomincia 
Tullio nell’ Efordio ' a moftrap gli effetti della 
sfacciataggine e èt ì furore di Catilina * per cui 
nulla piu lo atterriva . Siegtfe poi a provare eh* 


poi a provare 
È 3 egli 


f 


X 12 X 

/ 

£g!i da tutti era. odiato, fuorché da’ fuoi iniqui 
compagni , per le fue turpitudini ; e quelle ff 
confiderà e* nella di lui perfona , e nella fua ca- 
fa, e rapporto alla Repubblica. Amplificate, è 
confermate col fatto tutte quelle cofe egli viene 
; a convincere Carlina,' che note fono; tutte le 
fue Tcelleraggini V che effetto é di Tua clemenza 
s* egli vive , che Roma da lui fi deve abbando- 
nare, 'v:H ; ; . 

In tre modi fi può formare argomento per vij 
.di Enumerazipne * I. Affermando tutte le parti 
perché quindi relti affermato il tutto. Così Tul- 
lio per la legge Manilia volendo provare <effer 
•Pompeo un gran generale, fa ^a,di“rihuzione col 
dire , Ego emm e tifi imo , in fummo Imperatore 
quatuor ha? res ineffe oportere; fetenti am rei mi- 
litari? , virtutem , aucloritatem , felici titem . Pro- 
va in feguito che in Pompeo quelle qualità fi tro- 
vano in fommo gradò 5 dunque conchiude effer 
egli un gran generale •. Nella orazione per Ar* 
chia volendo imparare effer quel poeta cittadino 
Romano , enumera i tre requisiti neceffarj ad ot- 
-*«ereTa cittadinanza: Data efifivitas Syllanì 
lege 0* Carboni? j fi qui feeder qtis civìtatibu? a- 
Jcripti fuiffent , fi tum cv,m lex ferebatur in Ita- 
lia domietlium habuiffent , & fi fexflgintq diebus 
àpud Prtetorem effent prof effi fXf Ù 'imofira quindi 
chè Archia era aferitto ad altre Cirtg confedera- 
te : che già da molt’ anni abitava in Roma : che 
aveva fatta la foletjpe profefiGone preffo del Pre- 

S ire: e conchiude' efler egli adunque cittadino 
ornano / Ed Alb. Loliio i tj morte del Sig. Mar- 
co Pio mpftra che V i)pn?o é Tempre infelice fa 
.quella terra così dicendo colla enumerazione: Ec- 
colo nella infanzia , nella quale in denfiffime te T 
fiebre vivendo , non ha conofcimesto di fe medefi ? 


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. X 2 3 X- 

( ' 

rno , .wè d’ alcun ’ d/rhz co/i rA’ ej/J fi vegga ed 
oda • Entra, nella puerizia , e quivi comincia un 
poco ad aprir gli occhi dello intelletto , ed /z d/~ 
J cerner e il ben dal male , dr^e /** vergogna ed il 
timore de* fuoi maggiori non gli l afri ano godere) 
i piaceri e le ricreazioni della vita . Perviene al - fc 
la g i oventtì ,, nella quale egli è /limolato^ da' di - 
verfi appetiti y e molti.no/oji pen fieri gli interrom- 
pono laiquiete dell 1 animo ^ In ultimo giunge alla 
vecchiezza . Oimèy o'tme da quante varietà di ma- 
li , \ da quanti incomodi , e d/* quante no/e viene 
•ella accompagnata ! ■ / j 

. 5 II. Negando ciafcuna delie parti perché , rerti 4 
negato il torto . Così Cicerone parlando a favor 
di Ligario dimoftra non aver qucfti offefo Cefa- 
re , benché forte nell* Africa al tempo della guer- 
ra civile : non nella fua partenza , perchè domo 
ejl egre/] us, non modo nullum ad bellum f Jed. ne 
ad minimum qui de m fufpicionem belli : non nella 
fua dimora^ in Africa , perchè Legafus in pace 
profeElus , in provincia pacatijfima ita fe gejfit ^ 
ut ei pacem effe, expediret ; non finalmente -quaiw 
do potea rertituirrt in patria dopo la fua Xega- 
zinne , perchè non era credibile , che ft potpìffet il - 
line ulto modo evadere , Urica potìus , quam ‘ fa- 
ma ; cum P. Aclio , quam cum concordimeli s fra- 
t ribus ; , cum alieni s , quam cuna fui s efjet mal ut/ 
Jet . Provate le quali cofe conchiudè.: : Nuli/ 
igitur habes Cafar in Qj Liguria, fignum* ( a 
a te voluntatis • $.d il Boccaccia ; m , una ]f 
al Priòr di S. Aportolo volendo provare 


ititi ve JojUnne ? Quanti e ferriti df 
~ r Quanti nt ha gi$ menati pti/ 


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' ¥ t pine , <7^// prede'), quali Spoglie ^ guati fegni 
militari Ji fece portare innanzi ? Quali *c ampi de* 
vernici prefe ? Quali pHvincie fottomife ? Dicalo 
egli : dicalo un altro : io niuna ne udii 4 . Che K à- 
‘ dunque Scriverò ?\ 

lU r Negando e rimoyendo alcune parti, per- 
chè 1 ’ altre nec diàri a ni ente fiano. affermate . : Così 
nella Filippica 4. prova Cicerone, che Antonio 
non potea cfler riparato Conlolo fe non dagli ini- 
qui Tuoi partigiani , col dire: Negat hoc D< Bru- 
j us Imperai or , Confai defignatus , natus reip , ri- 
vi s : negat Gal li a , negat cuntta Italia : negat Se- 
• ftatu* , negati*- ves < Qui* igitur illum Confuterà , 

. nifi' latrones putant ? E Q. Capitolino preflo Li- 
vio riprende fa plebe Romana molìrando che ella 
v é r origine d’ ogni male colle ingiùfle Tue prete- 
fe : ' Jrrob Deum fiderei ^ quid vobi* Vultis ? Tri* 
bunos plebi* concupijìis : Concordia caufa concef- 
fimt(S ■ 4 Decemviro * dèfideraflis : crear i paffi fu- 
mi* , Decemvirorum Voi per taf um' ejl t coegimu* 
dfire màgiflratu . Manente in eofdem privato* ira 
vedrà mori atque emulare nobili ffintof i?iro* ho - 
nejìijflrriofque paffi fumus , ' Tribuno* plebi* creare 
ite rum voluijìi* / creafli * . Confule* facere vefira* 
rum parttum , etfi Patribus videbamus iniquum / 
patri citim quoque magifirqtum plebi donum fieri 
'Vsdimus , Qui fini* eri t difeordiarum ? Ecquando 
innati? urbem habere , ecquando communém hanc ef- 
fe pàtri am licebit ? vitti no* aquiore animo quie* 
ycimuf , 'qttam vos vittore* • In no* viri , in no* 
jrttiatPc/ii* . Ed il Boccaccio prova non poterli 
dir fuga la fua partenza da Napoli ih quello ino-' 
>do : Ma perchè doveva io fuggire ? viveva io po* 
fio innanzi a Tiefie mangiando a menfa i figlino* 
li tagliati ) e cotti P- ì Aveva io nafeofiamente di 
notte a] Greti aperte le porte di Tro/a ? Aveva 
' ' io 


\ 


5 « 




r T' 


X 25 X • 


» * 

/ V 



„ofa fuori di regoL m .. 

JO ni fozzo giogo aveva fottratlo il. collo . Qui che 

C ’ è ÀÙ* ‘ , > "■ 

S’ avverta.' per ultimo nejla Enumerazione di 
ìion ofnmettere alcuna parte, perchè altrimenti 
ia cotifeguenza non vale (7) . 




• ■ §. . IV. •/• . ’ • 

• ' % , * 

. — 

ì)el tjenere , t della Specie , . 


* 


, ** __ , » 4 

Si argomenta ancora dal'Getìere alla Specie, 
parlando cioè prima gerieralmente di quello che 
molte cofe fotto di fe comprende, quindi difen- 
dendo alla particolar fioftra propofizione , e di- 
inoltrando convenire ad effa come ad una parte 
necelTariamente quello, che del tutto fi conce- 
de ( 8 ) • Quello è uno deMuoghi .più famigliar^ 
tìel Che perù bifogna guardare di non fermarli 
troppo a lungo fui generale per non attediar gli 
alcol tati ti prima' che al propofito # noltro fi difen- 
da . v Onde conviene ufar quello luogo con giudi- 
zio ; e' non toccare i generi lontani , ma il prof- 
ilino folametite, e quello con brevità. Nella 2. 
Àccufa contro Verre Cicerone da quello fonte 
inoltra ai Romani l’obbligo che loro corre di 
proteggere la Sicilia. Cum omnium fociorum , 
provine) arumque rùtionem diligenler balere debe - 


trs 


{ 7 ) Parlinone autem fic «tendimi eft , nullarji ut partem 
relinquas . Topie . Cic. 

00 Genus eft notio ad plures differentiaj pertinens , forma 
e fi notio cujus di&rentia ad caput generi* , qtia/ì fbntem , te- 
ff rri poteft. In Topic, Cif, 


./ 


n 


X26X 7 • 

tisi tum precipue Sicilia , Judices , plurimi * , /«- 
JìiJJimifgue de caufis , Primum quoa omnium na - 
tionum exter arum pirinceps Sicilia fe’ ad amici - 
' ti am. 9 fidemque Pop . applicuit ; Prima 0- 

, r mnium y ìd quod ornamentum Imperli efl , Provin- 
cia efl appellata : Prima docuit majores nojlros , 

’ praclarum effet exteris gentibus imperare ; 

Jola fuit e a fide, benevolenti aque erga Pop . Aow. , 
ut C i vitate* ejus infula , ^«4? femel in amicitiam 
noflram venifient , nunquam pofiea deficerent . E 
nella Ora/, per Archia dal genere alla fpecie pro- 
va doverli quel dotto poeta proteggere dai Ko- 
mani f 57 / igitur fav&um hoc' poeta nomen y quod 
nulla umquaYn bar bari a violavit , faxa & folitu- 
àk?JP VP# riefpondent j befìia fape immane* cantu 
fletluntur .atque coqjìjlunt ; no* inflittiti rebus opti- 
mi* non poetar um voce moie amar ì &c. Ed il 
- .Buomroattei in lode della £ipgua Tofana argo- 
menta dal Genere alla Spècie cpsì : E fenza fai- 
h fegny. di Wfa fffciola . nobiltà y e ricchezza in 
mtf h cofe create lo. f pi andar dell ’ origine y giac- 


chi puniverf ale confcnfo degli uomini - è fempre 
fato, che nobile pota dirfi quel , che da b 
nere fcaturifce » ^ talché quando fi pub provare 


buon ge - 


che una lingua derivi dà un* altra nobile y e quel- 
la dovrà dirfi nobile. v fe già ella- non degenerale 
dalla fua ragguardevole origine : come avviene ap- 
punto degli uomini , che nàf cendo di nobil fami- 
glia fon tenuti da tutti nobili « fino che per qualche 
proprio demerito non perdon la nobiltà y 0 che . da 
qualche cperazion poco degna ty)n refìi la chia- 
rezza loro ofcurata » E fe queJV è , yedete di quan- 
ta nobiltà potrà lodar fi la nofira lingua . Ella ri- 
cono f ce y ec 9 ’fc* < * ^ 

Qualche volta fi argomenta anche dalla fpecie 
al genere, .provando eioè eolia dimolfrazione di va- 

v ... . rie * 



1 


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> . • 

. } * 

X 27 X ' ■ | 

rie cofe particolari una verità generale. Così nella 
cit. Praz, per Archia Tullio moftra effer le preten- 
fioni avversarie affatto ridicole dalla enumerazione 
fpeciale di ciafcuna di effe : Hic tu tabulas defide - 
ras Heraclienfium public as , quas Italico bello , in- 
cenfo tabularlo , interine fctmus omnes . EJl ridi cu- 
ltori adea qua babemus nihil di cere , quxrere , 
habere non poffumus .* bominum memoria ta- 

cere , litcrarum memoriam flagitare ; & cum fia- 
be as ampli [fimi viri religìonem , integerrimi muni- 
cipi i jusjurandum , fidemque y ea qua depravar i nul - . ^ 

woafo poffunt , repudiare : tabulas , /dera d/- 
r/V falere corrumpi , defiderare ; Ed in quella per 
Dejoraro , polle fojtt’ occhio a Cefare varie parti- 
colari attenzioni a lui qfate da quel re, ne dedu- ' ... 

ce la verità della Tua generale propofìzione, non 
effer cioè credibile che gli fia llaro nemico : Ille 
Te Alexandrinum bellum gerente ptt il itati bus tuis 
paruit : file exercitum Cn, Domitii , ampli fimi vi- 
ri , f uis tetìis & copiis fujìentavit : il le Ephefum 
ad eum , quem tu ex tuis fide} iffirnum & probatifr 
fimum omnibus delegijii , pecuniam mifit ; il le ite- 
rum , ille tertioy auftioni bus fattis , pecunipm de-. • 

dit , qua ad bellum u ter eri s : ille corpus fuum pe- 
riculo objecit , tecumque in acie cantra Phamacem 
fuit y tuumque hojlem effe duxit fuum . Is i gì tur 
arguì tur domi te fua interficere voluiffe : quod tu 
nifi eum furiofiffìmum judicas , fufpìcari profetilo , < 

non potes . Ed il Cafa per inoltrare a Carlo V. 

<che egli era (lato gloriofo anche nell’ infelice Spe- 
dizione d’Algeri, dice nell’Orazione per la re- 
flit, di Piacenza: iVè i voftri nemici medefimi era- 
no arditi di rallegrarfi della vofira dif avventura , 
nè il y offro pericolo aver caro , del quale poiché 
la felici ffima novella venne , che Vofira Maejìà era 
fuori , ninna allegrezza fu mai sì grande , nè 

con - 

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. *• % f 

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1 • • • 


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. I 

* 


X 28 X " 

Conforme egualmente in ciafcuno , come quella , che 
tutti i buoni infiiemem ente fèntirono allora * Si fat« 
to privilegio hanno , JY A/. , le g iufle opere ^ e ma- 
gnanime ^ che effe fono eziandio atei te avverfità fe- 
lici , e nelle perdite utili , e ne’ dolori, liete f .* 
contente § * *• * < % * >rt v .• * * * * * • » t ‘ • 

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* , 


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, * -» x ■ , 

• ^ X » • , I* « « « A 

Degli Antecedenti t e dtt Confeguenti * 


^ * 


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Antecedenti chiamatili quelli * porti i quali. ne* 
ceffariamente altre cofe ne debbono avvenire e 
Confeguenti diconfi quegli altri,, che di neceflìtà 
dai primi derivano * Or quello £ un luogo, da cui 
traggonfi fortiffiftii ' argomenti p provare alcuna 
. propofizione ; , imperocché , dati que’ tali princi- 

E ;, le confeguertze fono in certa maniera innega- 
ili . Cralfocosì al riferir di Tullio nel* II* delK 
Oratore convinceva Carbone dalle antecedenze eh* 
egli noti poteva effer creduto buon cittadino: Non 
fi Opimium défèndifii Garbo , idei reti ifii te bonum 
ciyem putabunt * Simili afe te j & alitici quid qua- 
fiiffe , perfpicuum efi , qUod'T. Gracchi mortem 
/ape in concionibus deplorafii : quod F* Africani 
necis fociuC fui/li \ quod e am legem in tribunati 
fìlli fi i / quod fempèr a bonis diffenfifii 4 Ed egli . 
medefimo Cicerone all’ oppofto dalle confeguenze 
convinceva on altro d’ omicidio. Si & ferro in- 
terferì ut • ili e , & tu inimicus fejur cum gladio 
cruento comprehenfus es in ilio ipfo loco , & ne- 
mo prater te ibi vifus efi , & caufa ne mini , & 
tu fiemper audax ; quid ejl , quod de facinore du- - 
Sitare poffimus ? Ed in quella per la fua Cafa fa 
vedere i ‘ danni che ne verrebbero aila repubblica 
fe tutti, i patrie) voleflero eflcre Piebei dalle con- 

l€- 




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I 


Xa?X '/ 

feguenze : Itaque Pop. Rom, brevi tempore nequi 
Regem Sacrorum , ncque F l amine Sy nec Sa li or 
babebit , nec ex parte di mi di a reliquos Sacerdo- 
tes , neque AuSores Centuriatorum & Curiatorum 
comitiorum , aufpiciaque Pop . Rom . S i Magi - 
Jìraius Putridi creati non ftnt , intereant necef- 
'* fe ejl ; cum Interrex nullus fit , yuod & ipfum , 

? Pàtridum effe & a Patricio prodi , .necejfe ejl m j 

Anche Monfig. della Cafa dalle antecedenze mi- , - 

naccia a 7 Veneziani la iicura guerra : Se egli (1’ 

Imperatore ) amaffe la pace , anzi fe egli non • ( 

r odiafjey la fua vita farebbe lieta , e la fua vi- \ t\. 

fia Jerena y e la fua mente d? infinite cure libe- { 

r.a | e fcarica: perocché voi vedete y che ella è - 

v in fua mano , er/ in fuo potere . Cfe vogliono di- K 

sr* adunque tanti penjìeri , e vigilie ? Cer- 

ato , Sereni fimo Principe , cA/ dogli ofo è in pace , 

. /pera in guerra trovar letizia e chi le piu par- 
ti e le maggiori avendo non fi chiama pago , iwc;- 
/e // ttttro ; la qual cofa /’ Impera dorè fenza al- 
cun dubbio nelle fue lunghe e continue vigilie ftu- 
dia e procaccia . E nell’ altra fua Orazione mo- 1 

ftra dalle confeguenze ai medesimi Veneziani do- 
verli fare la Lega così : Perocché fe noi non con- 
** fentiamoalla Lega , che il Re ne manda profe- 
rendo , S . M. fenza alcun fallo dei due partiti 
prenderà t uno , che egli o fi fi ring era col P a- ; 

, pa y e con gli Svizzeri % o fi darà del tutto al for- 
tificamento del fuo Regno y ed alla^ difefa di fe 
Jìejfo fi apparecchierà j e così eziandio faranno gli 
- Svizzeri: e quale che egli prenda di quefii due 
partiti y apporterà a noi gravi (fimo danno , e gran- 
di (fimo pericolo . Perciocché .fe. al Papa , e fon 
gli Svizzeri fi congiunge , il nofiro fofpetto fia 
• incontinente raddoppiato : che dove ora noi temi a- I 

. . mo V Imper udore foto j allora ne converrà temere 

‘ /’ Im- 

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Ai * . . • y 

r Impefadàre y e /* Le gii , e raddoppiando la pah- 
fa ì raddoppieremo la fpefa 7 e V affannò ec; 


► V 


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• §; vi. . • /. ; 

/ V ‘ ‘ • * - . ’ 

*' ‘ ' ! Degli Aggiunti :• . • . . 

« * % * « < < * < . ^ 

. .. , • , • ^ <• , ' 1 

.Aggiunti diconfi tutte quelle circoflanzey che. 
non necetta riamen te y ma d’ ordinario vanno uni- 
te , Malmeno fi poffono confiderai in un fogget- : * 
. - fb w <$a èrto fonte fervè molrittìmo per trova rè gli 
' argomenti di congettura y i quali fi ricavano dal-, 
le circoflanzé che precedono che accompagnano, 
é che vengono' in feguito ad una cofa : Tutti gli 
' aggiunti a quefti fi pottono ; ridurre: Qui* , quid y 
ubi f per quos 7 quotiès , cur y quomòdo y quando ♦ 
Quis a confiderar cioè le qualità della perfonà di'. 
Cui fi parla , nel che concorrono le . circoflanzé . 
della' patria y dell’ età y del Tettò y della educazio- 

f ièy dei Tuo tenor di, vivere ,• de’ Tuoi Audj'y del- 
e fue forze y è ricchezze £ e dell’ abito anche e 
pórtarftento etteriore • Quid X ponderare if fattoi 
medefimo y‘ fe alia* perfona fletta convenga o no m t. 
Ubi alle cirtoflanze del* luogo / Per quos ai com- 
plici è compagni dell’azione j Qjwties ai replica- . 
ti attentati y o fatti 5 fletti ;** Cur allé caufe ed ai- 
motivi- che pottono avèr dato impullò alla medefi- 
roa azione r Qùomodo alla manièra’ tenuta nell’ o- 
perarè / Quando al 'tèmpo', in cui % fi è, commetto 
il tutro ^NelIa Orazione a favor di Milóne Tul- 
lio da quello luogo ricava i Tuoi argomenti onde 
inoltrare ettérè flaro CIodio l’ infidiatorev , Dalla 
perfona perchè Glodio fu Tempre iniquo y ufp / Tol- 
tan co a fare altrui violenza y Dal fatto' perchè lo 
affali apèrtamente a maìió armata y quando Milo-* 
nc nemmeno a ciò penfava v Dal iùógc perchè gli‘ 

. \ fi 


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. ' - . x 3 * x '*!?' 

jg' ''-ji v> - • 'Y * "«f - Vl » 4 , • ■ <l 

fi fece incontro fu d* una lira da circondata da v£- 
rie eminenze , dove agévolmente il potea opprr- 
mere.' Dai complici perché aveadifpoltì domi- 
ni armati Tulle balze, i quali ammazzarono r fer- 
vi di. Miione * altri feco ne rondatevi co’ quali 
circondò il cocchio , Dai replicati attentati , per- 
chè piu volte Clodio avea tramata e denunziata a 
Miione la morte* è perché finfe in quel giorno 
di dover cambiar penfiero fu Ila Tua venuta.' Dal* 
la cau fa , perchè Miione era quello che faceva ar- 

! ;ine alle federate mire di Clodio , e quelli perciò 
o odiava. Dal modo , perché Cfodio - contro il 
fuo collume venne incontrò a Miione sbrigai ftj 
degnerà ,• è quégli era eolia fia. famiglia chii 
ed idimantellatò irf coécjiio ; Dal tempo , perciò 
non jr era a/cunà ragione, per cpi Clódioy dqrefP 
ora , inf quel luogo * e fu quella via incontrar fi 
rfovefle , fe non quella f che egli afpettaffe infidio- 
fatnente il fuo avverfario (p); . 

. Anche il Salviti] dagli aggiunti deità tiafeita di 
Gesù Grillo fa vedere. 1* umiliazione maraviglici 
dell’ Eterno Verbo * e la ; fconòfcénza de* pèrfidi 
Ebrei Difc. 66.. T. i. Ben fi vede dalla fuk n/a- 
fcìta e dalla fua compatfà nel mondo * che confi ef- . 
fata p e adotàta da fiòchi /empiici e uomini di buon 
core v fu dagli altri con fuperho occhiò , e tróf cit- 
rato p affiata:' la notte del fuo natale con angeliche 
melodie fefieggiata e gareggiando Còlla fila illumi- 
nazione co\ giorni piò fumino/} y ac coffe in vii; y e 
poveri fi anni y trd viti e foxzà animali , iV un vi- 
le ed immondo tugurio la Verità che era nata . E 
nel tempo che le befiie ntedefime l } adoravano ,» nón 

tiro* 


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trovò ella tra gli uomini del Paefe alloggiamento j 
di quel fae/e f celti , e desinato da lei fin da' fe- 
coli antichi per fua propria eredita y e forte ; il 
chi Popolo era chiamato popolo di Dio j terra fa- 
vorita ? confolata , benedetta dalle grazie , è dalle 
maraviglie del Cielo P . " \ 

' • ‘ ;/v:.,r; vi *vrr, * : ; - ; 


•* k A * J 


.Delle \Caufe a degli Effetti . 


/• 

V r . 


0 
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Da quello luògo gli Oratori poffono cavare non 
pochi argomenti ed aprirli un vailo campo, on- 
de fpaziare col loro difeorfo • Caule diconfi quel- 
le , da cui come da loro origine altre cofe fono 
prodotté : Effetti poi chiamanti que’ che dalle Cait- 
fe derivano. Le caufe fono quattro, Efficiente y 
Materiale \ Formate > e Finale j ed altrettanti fo- 

4io pure gli effett^&VJ / . A k i 

Caufa efficiente'^ 'quella da cui la cofa ncono- 
tt fi fuò principio e la fua origine, 
effere neceffaria y . fe dall 1 ordine della 
volontaria .fe dalla volontà e dalParbi- 
uotoò dipende.! ^ ^ ^ 4 
àteriale è quella da cui , in cui , o intorno a 
. cpfa ha il fuo efferè V così l il . ferro è cau- 
ma feriale della fpada , V animo delle Ccienze , 

viltà: dòJia lode, ec. • ; .1 . .. % 

Formale é quella per cui la cofa^xiò che e 

infatto, e da tutte Tiri tre fi diihngue . QiJ e( j a 
ma può effere effenziate fe dalla datura della 
fa : accidentale , fe dal cafo : artificiale , fe 

arte è. prodotta . : ' r . fi 

Finale è quella per ultimo^ a . cui «g a * 
fa alcuna azione ; e quella Ir riduce all J 
ali’ Utile y al Dilettevole * * . >>c - ^ . jO 


> ’ . v s t 
j xr <>.- 




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:X 33 X 

— *> ▼ V # X.' 

‘ 'Dalla "Càófa' efficieitte *u argomenta quanto* fi 
vuol fingolarmente moltrare dalia grandezza, dal- 
la forza , ed efficacia della caufa , la perfezione 
dell’effetto, oppure . ^'contrario . Così. Cicero- 
ne nella Oraz. per <MarcèHo da §uefto fonte cava 
argomentò di molfrare la grandezza i deila azione 
di Cefare nei perdonar a’ nemici : Bellica s: laude s 
folent quidam estenuare ver bis , eafque detr ubere 
Ducibus , communicare cum militi buv , ne propria 
ftnt Imperatorum . Et certe in armis militum vir- 
tus , locorum * opportuni t at es 'f auxilia fociorum , 
claffes , cornine a tus multum juvant ; mabimam ve- 
ro partem quafi^fuo jure fortuna ftbi windicat 
& quidquid profpere geflum e fi , id pene omne du~* 
cit fuum . At vero hujus gloria GìCafar , quam 
es paulo ante adeptu$\ focium habés neminem .... 
Animum vincere , ir acund'tam cobi ber e $ vigori am 
temperare , adverfarium nobilitate , in genio t vir- 
tute pràjlantem non modo ext oliere jacentem , 
etiam amplificare e)us prifiinam dignitatem , 
qui f aci t , 00# ego eum cum fammi s viris comparo 9 : 
fed fimillimum Deo judico> . Dalla , caufa efficien- 
te anche Alb. Lollio moftra doverli deteftare- la. 
pompa ed il luffo ; Laonde y fe noi confiderà (fimo , 
che V origine del veflire venne dal peccato d'Ada 
rno , e che quanto più altri s' immerge nelle deli- 
zie , e nella pompa de' vefti menti , iiafo p//) fidi - 
mofirct egli lontano dalla fua primiera innocenza y 
forfè , forfè y che noi procederemmo a()ai più matura 
wéwfe . Ed il Cafa procura di rimoveré da fe o- 
gni fofpetto di adulazione neirefaltar le lodi del* 
la Rep.* di Venezia così dicendo . E certo s % io co? > 
rrftnciaffi ora ad abitare o dimorare con e[Jo voi y 
fi potrebbe' forfè dire da alcuno. , che io colle mie 
lujìnghe cerca (fi a'acquiflare la vójlra benevolen - 
za y ma 1 io fono coflretto'a partirmi , e a dii un - 
4 Giarda Elem , T, If. C . 


— 


Tua X > - 

garmi da voi E fe il mio cofiumi fojje infi - 
ni tot) e coperto , potrebbe per avventura alcuno fo- 
/picare i che la tefiimonianza , che io piglio a feri- 
vere ora. delle vofire divine laudi f offe inganno , e 
'' falfità f ma egli è /empite e , ed aperto e quefia 
oggi mai inchinata , -e canuta età ni una fraude prò» 
duffe giammai ; ni di ciò altra prova voglio , che 
• w/ vaglia i fuorché la vojlra Jcienza medefima • 
C^e io cono/c a adunque le magnifiche virtif della 
vojlra Patria , dee ciaf c uno attribuire a ven- 
tura; e che io le approvi , a bontà ; e che io pre- 
fuma di poterle acconciamente narrare ad altrui f 
ad amore ; e che in ciò fare n? affatichi * a gra- 
titudine 4 

Cavali argomento dalla eaufa maferiale * quarf- 
do dalla preziofità della materia di cui una co- v 
fa è comporta , oppure dalia vartità r e nobiliti 
della materia , r che in fe contiene» fe ne prova il 
pregio f c T eccellenza * Tcrllia così dalie materie 
efalta l’ apparato che Dionigi di Siracofa fece 
a Damocle nel V, delle Tufcul , -Collocati jjuffit 
hominem in aureo letto y firato pulcherrtmo » r ruti- 
li firagulo r m agni fi ci s operi bus pitto » abacofquo 
compì ter e s ornavi t argento f # aUroque calato 444* 
Aderant unguenta incorona r incendebantur odores f 
menfa conqtnfitiffxmis epulis extruebantur 4 E per 
Archia da quefto tnedefimo luogo cava argomen- 
to di moftrare ai Romani » che quel poeta^ rt me- 
ritava la cittadinanza : Quoties ego hunc vidi cum 
litter am fcripfiffet nuli am Y magnum numerum o» 
ptimorum ver fuum de his ipfis rebus r qua tum 
agerentur f dicere ex tempore ! quotici revocatum f 
tandem rem dicere commutatis ver bis atque fen- 
' tenti is f qua vero accurate cogitateque fcripfif» 
fet » ea ftc vidi probari y ut ad veterum fervuto» 
rum laudem pervenir ent Ed il Cafa parlati- 


/ 


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WS 


. 4 t . x 35 X 

do della Rep. di Venezia : . Per la qual co/a Voi 
foli tra tutte le Citta , che fono , o furono , 0 fa- 
tarino giammai , /«!£& , e fpazi afe porte avendo , 

* quelle il giórno , e la notti aperte . e fenza al- 
cuna cuflodta l afct andò , ftcuri i e fenzà alcun fo- 
f petto vivete : perciocché non uomini od armi , 
degl i elementi alla vofirà Cùjìodia vigila ed 
attende rt., Echi può a buona equità dunque 
negare , che co oro , a cui il mari è tranquillità , 
facente ? e ia tempejìa Schermo, ed 
il paludofo aere Salubrità , e le fierili valli dovi- 
zia t non debbano ctò rtconofcere j non per ^acci- 
denti di fortuna f ne per provvidenza di confi- • 

vile 'ioì ^ d,V,n ° m,rac °l° > e per ifpecial prì- 

««rtj^ 0rtÌe ” ta ^ .^ a ,^ a Armale dim'oftrando la 

àT^T ° !l lii d u c na cofa dalIa foa forma , ' 
dal tpodo, o dall’ artificio con cui ella è fatta . 

Tullio così nellib. II. della Natura degli Dei 

dalla forma mirabile dell’ Univerfo prova 1’ efi- 

. *a e jr Ca ,a grand’ opeta del Creatore. 
ifuid potejt effe tam apertura , tarriqUe perfpicuu m , 
cum cxlum fufpextmUs , calefliaque contemplati 
fumus i quarti effe altquod numen prx/ìamiffìmx 

Zi. . .. - I # * ^ » ^ • Qjiis eftiirì hunc 

hominem dtxent , qui cum tam certos tali motus . 

tam rata ajirorum ordina , tamque inter fé con- 

”'*f’ & *>** Vlder / t r. »eget in bis ullam ineffe 
nn° nem ’ f aque c f/ u fieri dicat i qux quanto con- 

L./ZTr ’ ffffeqUt peffumut} Lo 

iteffo egli fa nel L delle Tufculane cap. 28. Cum 

ZÌ emUr -tPeeiem prtmum , candóremque cali de- 
y* ronverftonts celentatem tantam , quantam co- 

%ZZ° n P f U T & r E r d t Cafa &«« 'odi di 

motn À ù P fL. e Ì U , a , l, , CO i( e top'*™ coloro , afe - 
mo -^ A * 11 * delle bellezze di quefìa verter an- 

C 2 . ' d a ’ 


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•M 'di. * ■> 


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. X 56. X 

da città di lontane parti movendofi peregrinando 
vengono a mirarla , e miratala , Jempre maggiori 
le lodi e la maraviglia di lei alle loro r cafe ' tor- 
nando riportano , r/;e e.ffi ?? 0>7 avevano il grido , « 
la fama dai loro paeft partendofi recata ; e f imi- 
nò , che Jìccome per mirare * * le bellezze del Cielo 
non hanno pii uomini 'triterà ' conofcenza dì Dio ; 
> 7 * 7/7 folamente prendono alcuno argomento quale deb- 
ba e[]er colui i che in s) nobile magione alberghi ; 
ics } , nè più nè meno , perciocché alcuno veduto < 
abbia, la bellezza di quefto sito y alla quale nìuna 
. cofa puri , ??£ fornì gli ante fecero , nè. far potreb- 
bero giammai le mani degli uomini , 770#* perciò 
ha colui perfetta cognizione della vojlra città , 
folamente alcun picciolo indizio prende , fte v- 

no gli abitatori di s) maravìgliofo albergo ... 

Cavali per ultimo argomento .dalla caufa fina-r* 
le, quando dal fine dell’ operante fi deduce il 
pregio ed il merito della fua operazione, oppure 
lì trae argomento per defedarla’ (tó) • Tullio co- 
sì nell’ Orazione per la legge Manilia prova do- 
verli fare la guerra dalle caùfe finali - Genus bel- 
li ejl ejufmodi quod maxime vejlros animos , excita- 
re , atr/ùe infiammare debet , •#» <77*0 agitur Popu- 
ii Romani gloria 4 ouce v*obis'a Màjoribus cum 
magna in rebus omnibus , tum fummo in re mili- 
tari tradita e/i . Agitur falus foci or una , atque a- 
\ micoYum , prò qua multa Majotés vefttj magna , 
&* gravia bella gs/ferunt . Aguntur certiffima Pop* 
Rom. vefiigalia , maxima y qui bus amiffis y & 

pacis ornamenta , fubfidia belli frufira requi- 

' • c ■ - • • ’ ref/i* 


> « 

« 

.Ciò) Quello che abbiani detto degli argomenti di lode de- 

*relì applicare all* oppofto ancora al biafimo in tutti i qt^ar* 
prq generi di cauta. 


/ 

/ 


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reùs &c ; Ed Alb. Lollio volendo egualmente i~ 
rimar Paolo III; alla guerra di Germania , dice ; 
Per la qual cofa j Padre Beaùjjimo , dovete voi 
ora con ej]o voi grandemente rallegrarvi , confde- 
rancio , che in quejìo . tempo non potè a nafcerc nè 
piu' grave y nè piti bella * nè prà ili afre oc cafone , 
che /offe più atta per farvi caro p Dio , e roride-' 
.. re^a 7 pojleri. la memòria del vojlr'o nome piu gra- 
ta ^ più chiara , piu onorata * e più lunga di qui- 
fla . Perciocché col favor dell ’ a) ut a vojlro aita 
Germania i éd alla Qriflianità pace recando , qitel- 
. la di fornma felicità , e eterna gloria riem- 


. pierete • . - ; 

Dagli effetti poi nella, fletta Oraz. per la Icage * 
Manilia Cicerone prende a lodar. Pompeo : • Te- 
tjiis èjl Italia* quam ilio ipfe.viflor Lucius Sylla 
hujus vi r tute- & confili o cónfefjus ef liberal am . 

* Tejlis e/1 Sicilia , quam multis undtque cinti am 
ppriculis non terrore belli , feci celerttate confiti 
^expltcavit . Tejlis eft Africa i qux magn'ts oppref- 
f* bojìium copti s eortim jp forum f angui ne r ed an- 
davi t . . «• . Itaque Ut plurà non dicam , . ncque à - 
Jiorum exemplis con fr mena , quantum hujus auflo- 
ritas valeat in bello , ab eodent Cn . Pompejò ò~ 
mnium rerum egrejgiurum exempla fumantur , qui 
quo die a vobis maximo bello prapofitus ejl Ivnpe- 
rator , tanta repente vilitas annona ex fumma ino- 
pia & eh' ari tate rei frumentari s confe quitta $Jt 
unius fpe , & nomine , quantum vix ex fumma 
ubertate agrcrum diuturna pax efficere poltri /jet 
Ed, Albi Lollio nella fua Oraz. a-Paoìo Ìli. da- 
gli effetti -prova ettere Je diffe.nfioni e le guer- • 
re tra’ Principi .Cattolici fatali alla Religione j 
Per le difeordie dei , noemondo y e T anc re do prj-, 
ma , e^pofeia degli altri™/ furono', i nofri daf 
Saladino j cacciati dall ’ Afta * e U fepolcro di Cri- 


3 


/»■ 




* 1 *M 


X* 

fio uri* altra volta t or nò nelle forra digli Infedeli. 
Così guerreggiando co* Paleologi $ Catacufirit entrò 
il primo Amurate in pofitjfionc d' una gran parte 
della Grecia. Così non fi accordando fra loro neU 
le xofe della Religione, i Principi Occidentali 9 
Sultan "Mac cornetto fi fece padrone di Cojiantino • 
poli , fpegncndo infieme il nome , e la gloria dell 9 
Impero Orientale » Così a* giorni nofiri il fuper- 
\biÙìmo, Solimano . ha ef pugnato Belgrado , prefo 
^ Modone , vinto Rodi , faccheggiata , \ e di - 

jìrutta l Ungberia . Sicché mentre i Crifiiani fra 
Lr combattono , perfeg aitano , * fi confumano 
egli trionfa y e fe ne ride , afpettando fenza fal- 
lo di riportare dell 9 ambizione f e pazzia loro opi - 
* vittoria , E contro la Pompa : Quanti nobili 
cittadini , e quanti onorati gentiluomini abbiamo 
noi conofciuto a* nofiri tempi t />«■ la fola col- 
pa dell 9 ecceffìve pompe fi fono disfatti , e caduti 
in ejlrema mi feri a . Quanti fe ne veggono tutto dì 
fu per le piazze orrevolmente ,veflitt , che in cafa 
poi alla moglie , a 9 figliuoli , alla famiglia lo- 

* ro patire duri filmi ed incredibili difagi ? 

Quanti hanno efpofto ,• quanti han veduto: ma non 

voglio contaminare ec. v ' 

' * 

vrir. 

* • , » . 

• * » , • 

Della Similitudine , e Di (f ornigli anza . 

X, 4 . | 

' . ' 

■ La Similitudine è una uguaglianza o propor- 
zione di due cofe diverfe in una o più parti . La 
diffomiglianza è una differenza che nafce da due 
. cofe fra di loro paragonate. Or anche da quefti 
' fonti l’oratore può cavare argomenti che fervali 
non foio a dilettare, ma a fchiarire e comprovare 
i fuoi fentimenti . À quello luogo fi riducono an- 
co- 


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* > 


a p- ■ 
* 1 


f X 39 X 

cora tutti gli argomenti cavati dagli efempj , dal- 
ie favole, e da tutto ciò in fomma da cui come 

* da cofa Umile,» o diffimile egli deduce qualche 

prova per il fuo attuato . Dalla fomiglianza così • 
nella Oraz, a favor di Sellio argomenta Cicero- 
ne . Ut fi gladius parvo puero , aut fi imbeciUo 
ferii , aut debili deaeri s , ipfe impetu fuo nerumi . 
noceat y fin ad nudum vel fortiffimi viri corpus 
acceQ'erit , poffìt aci e ipfa , ferri viribus vul- 
nerari : ita cum hominibus enervatis , e* 

guibus confulatus tamquam gladius ejjet datus , 

per fe pungere neminem unquam potuiffent , 
fummi imperii nomine armati Kempublicam truci* 
daverunt . E Giovenale nella Satira 8. da quello 
fonte prova che la vera nobiltà nella virtù confiite : 

Die mihi T eucrorum proles , ammalia muta , 

Qtiis generofa putet , nifi fortia ? nempe vo- 
lue rem 

Sic laudamus equum , facili cui plurima pai - 
jota . 

Fefvet , exultant rauco vittoria circo 

Nobili s hic , quocumqut venie de gr amine t 
cujus 

Clara fuga ante alios & primus in aquore 
pulvis . « . . # . s * 

£ m> mirtmur te , no» , . primum ali - 

* ^ ; # 

' • jjaod pojjìm titulis incidere prater honores 

, Quos tilt* damus , dedimus , qui bus omnia 

debes , , • . 

. ; ■* \ . f •. ** 

• ‘ . , * • * 

Ed il Cafa nella Oraz. per la Lega : JY alcuno - 
de’ vòflri Nobili Cittadini apparecchi affé e pietre , 
e légne, e calcina in grande abbondanza , ed 
r/wo £*/ fitto nettale , e fpianaffe , noi direm- 

C 4 W0, 


\ - 


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- -z >, 




. X4°X 

bit) * che egli mura i * f* un palazzi * quantunquè 
nói le pareti levate ancora in alto non vedtffìmo, y 
\coù adunque /’ Imperatore , " avendo , aghi, cqfa op- 
portuna apparecchiata , e difpojla per guerreggiar «j 
vi j dobbiamo' noi dire , egli , ha con ejjo voi 
guerra quantunque ■ é#// # 0 » abbia zuffa . ancora , ; 
wè battaglia , e alla difefa difporci : perciocché 
fe noi permettiamo ci. V egli il muro e /’ oprar aW- 
la fua Monarchia innalzi * e alla fommità condu- 
- Cd ) noi non b after enio poi in alcun modo a dìftrug- 
. gerla . ; ; r ‘ , . , . ' , 

■ Dalla diffomiglianza Tullio così ragiona nelià 
Oraz. a favor di Archia: iVarw c reterà artes neque 
temporum funt , ~neque atatum omnium , /o- 

corum . Hicc /ìndia literarum adolef centi am alunt , 
feneclutem obletlant y fecundas ree ornant , ard- 
* verfts per fugium & folatium prabent , dele&ant 
domi i non impedì uni forji , * pernoblant nobtfcum , 
peregrtnantur , rujlt cantar . E nei IlydclP Orato- 
re 5zSi bar bar or utn èft in diem vivere , nojìra con- 
fili a fempiternum ternpus fpeSlare debent . Ed il 
Gafa nelP Oraz* a Carlo V. Qual cagione adun- 
que mi ha moffo a f are' menzione nefle : mie parole 
della mi feri a degli . iniqui , ; e rapaci Principi ? 
ni una , Sacra Maeftà , Je non quefla ; acciocché po- 
nendo io dinanzi agli occhi voftri le altrui bruttu- 
re ,; Voi meglio , e più chiaramente conofciate la 
vojìra bellezza , e la voflra bontà ^ e di lei , e di 
; voi medeftmo rallegrandovi , e felice , e fortunato 
, tenendovi , procuriate di coti mondo , e di così fplen~ 
dido con fervar vi . Ed Alb. Lollio in lode dell’E- 
loquenza^,, Siccome per la ragione e per la,fa- 
vella principalmente fiamò differenti/ dalle beftre* 
così uomo che fa , e può copiofamente , dipinta- 
‘ mente, ornatamente, fecondo il. decoro e la op- 
portunità del tempo, .del "luogo , de’ negozi, e 

del- 


v v 


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X 4 . X ■ . 

f \ delle perfone decorrere, e ragionar di qualunque 
materia , non folo di grado, di autorità e di me- 
rito avanza tutti gli altri, ma è tenuto onora- 
to riverito come un Dio u à 


M f 


W-7* SU." 

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9 • • 


■ /r . *, : i §. IX. 

• • : • • . . • : ■ . 

" De’ Contrat) o Ripugnanti » 

• 

• Cótìtrarjr • diconfi .que dati, che. non pofiófto 1 
trovarli inlìeme uniti nello, fletto foggetto » Que- - 
fto luogo perciò è* ritolto efficace a provare una 
'cofa v perchè in elfo dall’ afférmàzion del contra- 
rio lì viene a confutare P altro contrario . Quat- 
tro fono le fpecie dei Contrari : Avverfi } Pri- 
vanti , Relativi , Negativi .. . • ; • i 

Avveri] diconli quei contrari che dello fteflo ge- 
mere offendo fono opporti di fpecie , còme il biai t- 
-co* ed il nero * . 

Privanti quelli, l’uno de’ quali neceffariamen- 
te l’altro elclude , come la luce j e le tenebre . . 

Relativi quelli che di neceflità vanno uniti, ma 
xhe V uno non può efler P altro, r p* e. Padre , e J 
figlio > ‘ , v ; . • 

Negativi o contraddienti quelli !* uno de 1 quali 
afferma ciò che P altro nega, p. e. voler effer dot- 
to fenza fi udì are * voler che una cofa fi a e non 
fi a nelle fieffo t fi ante , ec. J • v •. 

Dagli avveri] così argomenta Tullio a favor dì 
Milone y Quem igitur rum omnium gratin noluit ^ 
i)un<r voluit cum altqviorum querela : quem jure , 
quem loto , quem tempore y qitem impune non eft 
au fiis : hunc injuria i iniquo loco , alieno tempore , 
feri culo c apiti s y non dubitavit oc ci dere ? Dai pri- 
vanti in quella. per Marcello: Doleo * cum Refpu - 
ilica immortalis effe debeat * eam in unius morta - 

- . * a» 


• « 


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» 


• v : ’ \\ X4*% 

Ih anima confifitre . Dai Relativi nella fteffa t Ex 
quo , profeto intelligis , quanta in dato > beneficio fit 
iaus , cum in accepto tanta fit gloria Dai nega- 
tivi finalmente nell* Oratore : Cut antera di/cere 
turpe ejì , quod /ciré honefium efi ? Aut quod no - 
/cere pulcherrimum efi « id non glorio/um docère ? 
£ nella Filipp.IL cosi riprende Antonio — Tarn 
autem crac excor s t ut tota in orazione tua tecum 
ip/e pugnar es ; ut non modo non c oh (trenti a inter 
tjw diceres /ed maxime disjun&a s atque contraria • 
Vitricum tuumfuiffe intanto /celere fatebare y pea- 
na affeBum querebare , e dopo: Qjtid ejì enim de- 
mentine f quametm rei pubica pernici o/a arma ip/e 
cceperis , objicere alteri /aiutarla? Ed il Cafa nell] 
Orazione a Cario V*. dalla nobiliflìma indole di 
%quel gran Principe, il quale potendo più volte 
impadronirli di varj fiati, pure per alerei tare la 
giufiizia , gli aveva a’ loro padroni redimiti , trae 
di certo, eh’ ei non volefie ritener Piacenza : El- 
la potendo agevolmente /pogliar molti fiati della 
loro libertà , anzi avendola in /ua forza , /’ ha lo- 
ro rondata , ed hanneli riyefiitì ; ed ha voluto piut- 
tofio , u/ando magnanimità ,- provare la fede al- 
trui con pericolo , che operando iniquità , macchiar^ 
la /ua con guadagno • Avete adunque la/ciato i 
Genove / , ed i Lucchefi, e molte altre città nella 
loro franchezza . • • • non fofle voi . lungo tempo de- 
positario di Modena , e di Reggio Rendè 

eziandio V* M. T uni fi a quel Re Moro e barba- 
to ì Io la/cio fiare e Bologna , e Firenze , e Roma, 
e molti altri fiati , dei quali voi per avventura a- 
vrefie potuto agevolmente in diverfi tempi farvi 
Signore / ma non parendovi di far bene, e giufia - 
mente y ve ne fiete aflenuto . Perchè /e / utile vi 
conftgfia a ritener Piacenza j V onore e la gtufii- 
zia troppo migliori config iteri , e di troppo mag- 

• gtor 


\ 


/ 


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• 4f - - 


X 45 X 

g'tor fede degni àaìV altro lato ve ne /configli ano 
£ k j e non confentono , quell ’ invitto , ed i«- 

- vincibile animo , ee. E quello è il vero modo <T 
argomentare per via di Ripugnanti , dove non c ? è 
tra le cofe oppofte una vera contrarietà , ficchè 
non po/Tano ftare unite, ma una fola ripugnanza f 
per cui fembra , che chi fu d’ animo sì magnani- 
mo in altre circoftanze non debba prefumerfi tan- 
to ingiufto nelle prefenti . 




$. X.- 

u • J - 

• i . 

Del Paragone . 




t • t • • . • , * • t \ • 

' Formali argomento dal paragone allora Quando , 
«effe a confronto due cole diverfe di natura» in* 
tendiamo di moli rare che quello , che dt una con- 
cedei , dell’ altra pure conceder fi debba come ad 
amendue egualmente comune . Quelli argomenti 
fi poffono formare in tre maniere . Dal , ptà al 
meno , quando valiamo che quanto ^fi concede d 
una cola maggiore, conceder fi- debba tanto piu 
della minore. Dal meno al pìà quando all op- 
. pollo fi vuole che àmnsettafi della còla maggiore » 

S nello che fi ammette della minore . Per ragione 
i patiti ) o àe uguaglianza • qu <ftido non cucn- 
dovi differenza tra le due cofe paragonate inten- 
diamo . che negar non fi polla di una quanto dell 

altra fi concede . . _ ... . 

Dal più al meno così argomenta Tullio nell 

Orazione per Rofcio Amorino : Etenim fi Jupiter 
' O. M. cuj us nutu & arbitrio calumi t terra , ma • 
ri am, reguntur , /ape ventis vehernentierwus aut im- 
moderatts tempeflatibus , aut nimio calore » aut in- 
tollerabili f rigore honùnibus noeuit » uroes aelevft t 
fruges perdi àtt , quorum nihil permetti taufadt- 


% 


4 


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)( 44 )( ' 

. , • # ** • 

'lino confili o fed vi ipfa & magnitudine fefum fa* 
Elum putamus: at contra commoda quibus, ut 'tmur < 
lucem qua fruimur , Jptritum quem ducimus , ab 
eo nobis dari atque impertiri videmus ; quid mira- 
mur L. Syllam , cum folus Rempj regeret , orbem- 
que terrarum gubernarft y imperii que majejlatem , 
quam armìs rtceperat legibùs confyrmaret , aliqua 
[ an'tmadverterc non potuifje ? nifi Ìjoc mtrum efi , 
quod vis divina affequi non poffit y fi id mens hu- 
mana adepta non fit ? Ed il Gàrd. Comméndone 
nella Era difcfa degli Scolari di Padova prpva do- 
verli perdonare al giovane uccifore dicendo , con- 
ci ofifi ac he non vive uomo nel mondo sì faggio , e 
giufto y e moderato quanto all' età , che non tema y 
ó che non debba temer d' incorrer egli ancora quan- 
do che fiia in iati errori , e che di colui pietà non 
gli prenda , a cui in forte avvenne d' effer e in co - 
fe tali dalla fortuna fofpinto .... perciocché non 
C: legge così fevera , che acquieta lo sdegno y tor- 
mento così crudele ^ che raffreni /’ ira y pena tanto 
acerba , che fgomenti l ’ impeto , o tanto afpro fup - 
plicio , che ritardi il furore di chi pur allora off 
\fefo fi fente .* 

Dal meno al più così lo fteffo Tullio nell’ Ó- 
razione per Archia : Oiùs nojirùm tam animo d- 
grefii y ac duro fuit , ut Rofcri morte nuper nón 
commoveretur . TJ Qui cum ej]et fenex mortuus , ta- 
me L n propter excellentem artem , ac venufiatqm vi - 
,debatur ,omnino mori non de buffe ? Ergo ille co\~ 
p òri s motti tantum amorem Jtbi conciliaret a nobis 
omnibus f nos animorum irìcredibiles motus y celer 
rìtatemque ingeni or um negligemus ? E nell’ Graz, 
per Archia zz Etenim cum medìocribus multi s & 
aut nulla y a ut h umili alrqua arte pr cediti s gra- 
tuito civitatem in Grecia homines imperftebantur y 
Rheginos credo y aut Locrenfes y aut Neapolitanos , 

dui 


^ — * — 


X 45 X 

i -■ > - ■ « * . . i ■*" 

T arentinos , rjuod ficenicis artifictbus \ largir t * 
folebant , fumma ingerii pr adito glori fi ■ 

volai fife . Ed Alb. Loliio nella Oraz#. a Paolo III. 
Certamente ì P , 2 ?. , fe per edificare \ 2?»/* 'città fi 
merita tanto onore , d/ ^«<7/ degno colui , 

tfTJrÀ provveduto , che tante già edificate non 
cadano a terra ? Se per difendere un popolo foto 
in tanta gloria ft fiale , /* fialirà coluì^ che 
ne avrà molti infume .confervati ? .Se per moflra- 
re il bel vivere agli uomini cotanto pregio fi acqui - 
7?* , d/ quanto fi converrà ornar cedui 1 che non 
pur mofirato , ma con. tranquilliffim& fifuftà. fi fi 
urà /oro rendilo ? E fefefeo , ed Èrcoli; per jfe 
perpetue inimicizie , chepb fiero co] T irqnnty erano 
JUrnati degni di tanta riverenza , f he furono lóro 
drizzati T empj , fatti ^acrific/fi ^^1 tri divini ' 
onori ; quali laudi , <//'*/ titoli ^ ^fiM^graz\è 
uguali fi meriti Jì potranno mai rendere #W.oi 
’ P. É. èCé • • * {. . { ^ - • V . 

Dalla parità ed uguaglianza Cicerone pr<^£> 
che fe fu lecito aiOrtenfio , deve edere a lui pu- 
re permeilo il difendere la caufa di Siila , ro>? : 

juratio patefaEla per me efi , /<zw parto* Hortenfio y 
quam mi hi , quem cum videas honore hoc fi aut ho - 
ritate , - viri ut e , confidi ó .praditum non .dubita fife 
quin ìnnocentem Syllam difenderete qu$ro cur adì - 
/ztt* caufiam , Hortenfio patuìt , w/A/ /tftor- 
élufius effe debuertt Ed il Cala dalla parità mo- 
lira che la Rep. di Venezia deve durar perpetua- 
mente# Ed è fienza alcun dubbio da credere che 
Jiccome il Cielo perpetuo éfiendo , conferva quel 
tnedefìmo modo fiempre , e, la natura ^ fiimilmente 
perpetua , ritiene una fiefifa' legge ; così la vofira 
.nobile comunanza etèrna fi a * perciocché* ella un 
tnedefimo ordine , e uno fi efi 0 fide ha tenuto , e 
fonfiervato fiempre fienza mutarlo , 0 pure alterarlo r 
, ' giam- 


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giammai , la quale più fecolt vijfuta e (fendo , ché 
molte altre delle più illufirt non viJJ ero anni . piu 
frefca , e più vivace ofa attempata fi dimojtra , 
che quelle allora giovani non fi dtmojtrarono ,» 

! r *\ • ' v , , ' ♦ b*»,# 

articolo II, 

Dei Luogi Éfiernt 6 Inatti fidali* 


I 4 


.4 * 

Tutti i luoghi eterni da Ciecroné fi riducrf- 
no al Tefibnotito/ c quello fi divide in Divino ed 
Umano (i), Al fcftimonia divino fi riferuconor 
tutti gli argomenti cavati dagli Oracoji ,> dagli 
Aufpicf i dalle Profezie , dalle Rt/Pé e de -fp 
cerdoti , degli Arufpid , degli Indovini t e«, ( 2 ) , 
AI refiimonió umano poi rjdffcoufi tutte ouelle 
prove cavate da U h Autorità * dalla Volontà y dal 
Di f cor Co degli uomini i L’ Autorità è propria del- 
le pecfoae di Fede , e di Religione, dei Saggi , ? 
dei periti artefiti nella loro- arte , Fannia ancora 
tì i Proverbi f le opinioni comuni * e le (egftcn^ 
ze degli uomini grandi < Per volontà intendo* 
no le Leggi r -gM Statuti , i Teftamenti f c gli 
Scrìtti, Per dtfeorfa ogni teftifflomo verbale a 
libero , a lottata , Libera p. e. le Iodi f la fa- 
ma * le convenzioni « te promette. * ec. Forzata 
:• ■ ■ •• pr e* 



• V ^ I . ,• 

CO Teftimoniunt eft id oitfne quod ab' aliqua re extern t 
rumitur ad facìendam fidem . . . Teftimoniorum duo funt gè- 

aera divinum 8c hirnianum , Parti t. Orat. . » tS: 

(*) Quello che fi die# de’ falfi Tefiiirronj delle PRga'neDi. 
vinità , s r inteìida' per noi delle Divfne Scritture * del Tra- 
dii foni , de T Santi Padri , de* Concili f de’ Decreri de’ Ponte- 
fici , ec. 


X 




"■g- 


r £ 


X 45? X 

P» & i giuramenti * * le confeffioni de* rei , i tor-ì 
menti , ec. ( 3 ) . ». 


) > 


*» ’ * 


► # 


* • ^ 


§• .t*. 


*v 


* Del Tefiimmo Divino, . 

V v.£vk v ?-> : >-U • : ••• " x - 

Le prime prove* e le più efficaci fono quelle 
thè dai Divino tettimonio fi ricavano anzi w 
cileno fono chiare , ed evidenti , ficché non vi fià 
dubbio*, che intènder fi debbano nel nofiro ten- 
to , decidono; della càuta* perchè ^tffendo Iddio 
Infallibile * necefiàriamente i tuoi tefiimonj devo- 
no effer veri» Gli v antichi facevano adunque gran 
conto de* falli loro Oracoli* e dàlia fu periti ziofa 
o nervazione delle vittime * degli , augelli » o dei 

fegni celefii credeano di prendere linfallibi^ Sgo- 
menti del futuro » epperò Cicerone nella 4* con- 
tro, Catilina dice : :Nam ut ilio omittam % vtttasA 
fiata > ar dorema ue cali » fulminum jatlus &c+Hk 
pretto Virgilio .Melibeo nell’ £c. I* 

. . _ . • - - - x 

' : • » ' * », , * -* 

Siepe malum hoc rnbis » fi meni non lava fui fi- 
' fiet'> : • V-V ' 

De calo ta&as mimmi pradicere quercia , ■ * 

Sape finifira cava praaixit ab ilice cornix,- 


/ 


'•> r- 


Nei Cattolici abbiamo le noftre prove ficure ed 
irfallibili nelle Divine Scrirture > nelle Appoflo- 

iche Tradizioni , e nelle. Derilioni de* Concili 

• ’ ^ J / ** tt«; ” ' 

Ufll», 


i 9 * 




X 






* • * * * ir ^ v < v 

00 Quintiliano in ftf datò diftingue I lunghi «fltrat coiti 

* x llfogtnerc/unt Pr^udicia. Rumore * * Tormenta , IV*#. 

^ Noi abbiasi volu- 

to fegutre la divisione di Tullio» 


« 


-Jl ». 




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• ' , X 4* X ; • 

Univérfalì ; ed altre fe nòni infallibili alméno df 
fomma autorità, e poco men che certiffime nel te« 
flimonio de’ Padri , ne’ Decreti dei -Pontefici , ed 
in certe piè confuetudini .della Ghiefa . ; Non fa 
d’uopo, ch’io quivi ne adducagli efempj , per-' 
chè ognj giorno . s’ àfcplrano ' i Sagri Oratori che 
‘ con tali Divini teftimonj Confermano, e compro* 
vano i loro argomenti . Solo dirò che( nell’,ufo 
maffitne delle Divipe Scritture bifogtia j 

i. Softenerne la mSeftà e Ja grandézza , e farla 
comparire qual è, cioè èera. parola- di Dio. •. •* 

• ’Z. Non alterarne la . purità., .‘e quel femplipe' 

- candore efponendola colle fue genuine parole- e fi- 
gure fenza; certe fottigliezze o delicatezze ,d’ e- 

'.fpreflìone . ■'■■ ■/■ >• '■ * 

■ 5. Non trammifchiarvi alcuna cofa di profano, 

». e molto meno fervirfene a tal ufo ( 4 ) . . j 

■ 4. Guardarfi che diverfo non fia-il fenfo del 

Divino tefìimonio j' da quello a cui noi intendia-- 

mo applicarlo. • - . . , . 

- 5, Apportarlo tutto interamente e non già ac- . 

. • - , . • ■ . coz- 


' » , f • ’ 

(aVOuì giova brevemente riportare il fentimento del eh. 

Ab. Golf Romano nella l'uà .Di Aere, intorno alla meffcplan- 
, za. del fatro'e del profano 4 ove conchiude che quando V idea 
di chi legge , 0 afe ole a dà prontamente . nel vero , ed altro 
non refia di favolofo , che la corteccia dell' efprefjton* y la 
quali è il ' colorito poetico , fi riduce la.quiJUone a Jempltct 
nomi : epperò egli giudica non elfere allora deimo contro ,U 
fuddetta Legge, 'Cosi quando cattolicamente ferì vendo no- 
minane le Furie d* Averno, o Plutone come re degli Adi - 
fi, ficcome. r introduce nel fuo poema il T a Ho, * a c 5 >la ,® 
fabitonntefa: c non è r rfprerifibile ; ma quando Dante fa cne 
l’ Angelo rimbrotti i Demoni, che gli chtufero rn f ac 5 ,a * 
porte di Dite* ^Jorò rammentando Ercole che incateno epe- » 
•bero f 6 quando 1’ Ariolto fa giurar Dio per la palude Sftgta * v 
tale mifchianza di ;feaUcpPn(i f^voiofi in cofe facre inerii Q* 
gdi biafimo, . . ; t '* • .« .. : • 


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- è * T, 

• t 

t 

X 49 X 

cozzarlo a nottro talento con quelle fole parole, 
che tornano al nottro propofito. 

ó. Spiegarlo finalmente fecondo P autorità delia 
Chieia e de’ Padri non tanto attenendoci alla let- 
tera oflfia al fenfo verbale dell’ efpreffione , quan- 
to allo fpirito, ed allMaterno fuo lignificato. 

§. II. 

Del T efìimonio Umano . 

» * * 

Gli argomenti che fi deiumono dall’ umano te- 
fiimonio hanno or maggiore, or minore efficacia, 
fecondo che più o men degno di fede è il fonte 
da cui fi ricavano. Tutti quelli abbiam di già 
detto, cheli pottono ridurre zVC Autorità y alla 
Volontà , al Dtfcorfo . 

Circa all’Autorità noi dunque primieramente* 
potremo provare la nottra propofizione col tetti- 
monio di qualche uomo di Religione e Fede. Co-» 
sì Tullio per Archia : Adefi vir fumma autori- 
tate & religione & fide L % Lucullus , qui fe non 
opinar i , fed feire , non audiyiffe , fed vidijfe y 
non int er fui fife y fed egifi'e dicit . 

2. Coll’ autorità degli Storici , o di qualche,* 
Saggio, ficcome nella Òraz. per Milone fa TuK 
lio col tettimonio di Caffio : Itaque illud Cuffia- 
num cui beno fuerit &c. 

3. Con qualche trito , c comune proverbio , 
così nel II. degli Offici • ex quo illud fummum 
jus , fumma in) uri a , fatum efl tritum fermone 
proverbium & c . 

4. Così le opinioni inveterate , ed univerfali,» 
ficcome fa lo ttefiò Cicerone nel lib, I. delle Leg- 
gi per dimottrare ettervi il fupremo Creatore: De 
Uomini bus nulla gens neque tam immanfueta ne - 4 

Giard, Eleni, T, II, D que , 


X 50 X . ' 

que tam ferrea , qua non , etiamft ignoret qualerti 
Deum kabere deceat , tamen habendum fciat . 

Circa alla Volontà noi potremo defumere gli 
argomenti i. Dalle Leggi , dagli Statuti , e dalle 
Coftituzioni dei Principi, o dalle Sentenze pro- 
ferite in fimili cafi , come fa Tullio nell’ Orazio* 
ne per Archia ! Data efi Civitas Sillani lege & 
Carbonis &c * Ed in quella per Milone zr At in 
qua urbe hoc homines jlultiffxmi difputant ? riempe 
in e a qu<e prtmum judicium de capité M. Horatii 
vidit , qui P . Ré comitiis liberatus efif cum fua 
manu /or àrem interferi am effe fateretur 4 2 . Dalle 
ultime volontà , cioè dai Teftamenti , dai Codi- 
cilli, ec. ficcome ancora dalle Lettere, o da qua- 
Junque fcritto che fi porta produrre in teftimonio 
delia volontà d’ alcun vivente, o defunto 4 
Al Difcorfo fi riducono tutte le prove, che 
ricavar fi pofiono dai tcfrimon; verbali , e t. Dal- 
la Fama , la quale fe è in noftro favore fi efalta , 
perchè al dir di Plinio, finguli decipere , ac de - 
dpi poffunt v nemó omnes , neminem omnes fefelle - 
rum / fe è contraria fi deferta come fallace, e. 
menzognera , perchè dice Tullio nella Oraz< prò 
PJancio : Nihil ejì tam volucre , quam malediElum : 
nihil facilius emittitur : nihil citius eXcipitur : ni- 
hil lati us diffìpatur 4 • * 1 

7.4 Dalle Convenzioni , dai Patti , dalle Pro- 
mefle , dai giuramenti , le quali cole diremo ef- 
fere da ofTervarfi fe fono fatte rettamente, ma 
fe fono ingiufte, non produrre veruna obbliga- 
zione. # \ V 

3, Dai. Tertimon; , 1 quali hanno autorità fe 
fon uomini di fede , fe ertì ; hanno veduto, fe da 
niuna fperanza o guadagno, o timore fono indot- 
ti a teftificare, e fe convengono tutti nella cofa 
di cui fi tratta; altrimenti fi rigettano- come fa 
•••■ • • . ' . Tu!- 


! 


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,%n t reÌe" ro ’ Ìn ,U ' l,a ** 

.4' Xormeitti , o dalle confezioni de’ rei 
' *♦“« Pf r vja dl tortura , le quali Te ci fotìo con 
• lUI { - f°, trem ° d, 1 f ommamente incerte , per - 
l*n Ih* 1 hÌ ® fefl £ fce egualmente coi negare il 

generi! , e coll affermar d’ efer reo 

fono favorevoli , efalteremo i' tormenti comeuni- 
tt mezzi , e ven teiiittionj delia verità 

vviELi c 1 Hr ert ‘ M». tanto Interni, quanto 
If™! fi poffono i vedere innumerevoli efempj ih 

^nrrhA ’nnn a " che . ne nofiri Italiani Oratori f irn- 
fa, la duale a qualcuno dieffi non lì abbia a rife- 
* per rttroyar facilmen- 

liffnnn* r -n* P * mier ? I L en,!e quelli che a noi 
pqffono fonJitìinillrar , qualche ragione, lafciando 

P arte gl* altri ' i conciollìachè né tuffi femore 

vengano a propofito (5), né debba!] o PP rimere P il 

!KL C ° a , m0ke r u-° n ’ ’ acciò non gfi « arre- 

ganzarlo '(6). ^ 3 tcmere chc v0 § liafi in * 

Trovati poi gli argomenti fa d’ Uopo di giudi- 
aio- nel ributtare tutti « pii, deboli , e comuni , 
cioè quelli che don hanrto vera efficacia , o di cui 

^ *- ' • •• ' it r Pav* 

Cs) Iliud primum inteliigemfom pH i oec irllaw effe dirmi 

tnnéfi 0 fr^ne ^ H arn *? on a l»<?urs locus in cttmt, nec fereV 
»injs Iocos incidere so omnem «jt’fcftionem , & auibufd^m »r~ 
fe àltos aptidresi loco* .* de. in Topi c? ' **. Ó * l ** m ef * 

j u ; /^ tamea .°"I n,l>us ^wper su* invenerimud oneran, 

£ui»ì *T 'a* * w4 * t * diwn » * fl4«m d,trXn t : 

1 ‘ 


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'■ X 52 X 

r avverfario medefimo può fervirfi a noflro darri 
no, e nel lafciar anche talvolta i non neceffarj * 
cioè a dire quelli , che febbeae lòn veri , pure 
nel cafo noftro non danno una neceflaria conciti- 
none (7). In fomma devefi imitare ii buon Ge- 
nerale , che non tutti i Tuoi faldati egualmente 
lceglie a qualunque imprefa ; ma quelli piurtofto 
ad una che ad un’altra azione deftina: quelli piò 
infuno che in altro luogo va collocando: altri 
conduce all’ alfalro , altri lafcia in ripofa , così 
che nè egli manchi delle neceflarie, nè favrabbon- 
di d’inutili forze, o dia colla confufione vantag- 
gio al fuo nemico . < , 

capo" ir. 

Della Dìfpcfiztane . 

L a. Natura (iella c’ infegna , che in tutte le co- 
le è neceflario un certo ordine , ed una regolata 
difpofizione , fenza la quale nulla vi può elfere , 
che aggradevole ci riesca. E liccome alla perfetta 
bruttura dell’animale non falò richiedefi , che tut- 
te le parti fiano fra di loro, proporzionate, ma 
di più che a fuo luogo vengano difpofte (1) ac- 
ciò non ne rifulti quel ridicolo molìro , di cui 

P*r- 


( 7 ) Argumenta fcnUabimur , 8c quacremus ex omnibus lo. 
cis : fed adhibebimus judicium , ut levia femper rejiciamus, 
nonnunquani eriam communia prjetermittamus & non necef- 
. farta . Partii. Orat. 

CO Neqoje enim quanqnam fufis omnibus membris /tatua 
fit, nifi collocentur , & fi quam in corporibus noftris, alio, 
rumve animatimi! partem permutes, atque transferas, licet 
. habeat eadetn omnia , prodigium fit tamen, & artus ettaov 
leviter loco moti perdunt . q^io Yigueruot ufum * Quinti PII. 
tn proern . • 


* 


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parli Orazio fui principio dell’arte Poetica: có* 
sì ancora nell’orazione le parti devon effer collo- 
vcate in gdifa , che non membra* fconneffe e dif- 
giurtte, ma un corpo ordinato e perfetto ne retti 
tompotto (2). Torna affai meglio pertanto il for- 
mare uri* orazione non tanto ricca d’ ornamen- 
ti i e di prove, ma ordinatamente difpotta , che 
una molto copiofa ed elegante, ma dittefà giu al- 
la rinfila c lenza Ja convenevole ditttibuzione (3) , 

La difpofizione Oratoria è un’ordinata riparti- 
^ione, delle cofe. ritrovate a fine di perfuader più 
facilmente gli alcoltanti, e di metter nel fuo mi-* 
glior afperto la nottra caufa (4) . Ella è di due 
fpecie : Naturale , offia fatta fecondo i generali 
precetti dell’Arte, ed Artificiale , o fatta fecon- 
do la particolar efigenza della 'cauta (5). La' pri- 
ma vuole aver quattro parti Efordio , Narrazio- 
ne , Confermazione , e Perorazione , le quali al di- 

fi ? re 

«i nn i u .-A É É ■ > 1 ! — - — ...» i*i. ■■■ — 

# 

CO V. Quìrit. Lib. cit. in fin . Grazio perciò comanda nell 5 
A. P« Strigala quòque locttm tene ant fort ita decenter . 

C3Ì Cortic. Gior . 8. Dif. T. Della Toft . Eloq . 

(4} Dlfpofitio eli rerum inventarum in ordinem diftributio. 
De Invent. T . 7 * ad Herert. /. i, ITI. 9. 

* CO Collocationis rerum aut iocorum ratio duplex eli : al- 
tera quam aflfert natura caufarum : altera quae oratorum /u« 
dicio & prudentia comparatur . De Orat. lì. 76. Genera Di- 
fpofitionum funt duo: utìum ab inttitutioqe artis profeZfurfi 2 
alrerum ad caufam temporis accommodatum . Ex inllitufio- 
jie artis difponemu$, curi utemur principio, divisone , nar- 
ratone, confirirtatione , confutacione , conclusone.... alia 
difpofirio eli, quse cum ab ordine artjficiofo recedendum eli, 
nratoris iudicio ad tempus accommodatur . . . quorum nihil , 
nifi caufa poftulet fieri oportebìt . Ad Heren, Iti. Sembre* 
Tà forfè improprio il dire naturale quella difpofizione , eh» 
c fatta fecondo i generali precetti deli’ arte ; lira quando fi 
consideri quello che piò volte fi è detto nel T. I. che qu^li* 
arte è figliuola dejla. «atura, e che da efla apparò, e t ruffe 
! Tuoi precetti, à’ intenderò effer benitfìmo detta in tal Cento 
Ja voce naturale . * • 4 


•X 54 X 

re d’ Ariflotele, e, di Tullio 05)fòna le patti d f 
ordinario neceflarie in un ragionamento • L’ altra 
fenza confonder le cofe , perturba l* ordine delle 
Suddette parti , o alcuna ne tralafcia giuda il bi^ 
fogno (imperciocché, ficcome vedralC, talvolta è 
ben fatto di tralafciar i’ Efordio , o la Narrazio- 
ne : talora non fa d’ uopo della Perorazione ) ; e 
così fi difcoda alquanto dai precetti generali dell* 
Arte , per fervire alle particolari circoftanze dell’ 
Oratore. 

ARTICOLO I, ' 

k 

DelV Efordio . 

I * ' ' ' 

JL*’ Efordio è quella parte deldifcorfo, per mez- 
zo della quale 1’ Oratore difpónc , e prepara gli * 
) ani- 

V 

(6) AriA.- Jbta* IJT. 13. W(. de Orat . 77 . 75. Partes, ut 
plunmis autboribus placuit quinque font , proemium , nar- 
ratio, probatto , jrefutatio , peroratto ..His adjecerunt quidam 
partitionem , propofixionem , exceflum . Quint. III. 9. Jubent 
exordtri ita ut tum qui audiat benevolura nobis faciamus & 
docilem & attentum : deinde rem narrare ita ut verifimilis 
narrano fit % ut aperta .ut brevis : poft autem dividete cat»- 
fam aut proponere. Noftra confirmare argumentis ac rationi- 
bus, deinde, contraria refutare. Tum autem alti ,conclufio- 
|iem orationis , & quafi perorationem collocanti, àtri jubent 
aniequam peroretur oranti aut augendi capfa digredì , deinde 
concludere ac perorare . De Orat. 77 . 19. .Tutte quelle pani 
dell’ Orazione però alle quattro accennate fi riducono , Im- 
perciocché la propofizione e la divifione fi comprendono nell* 
efordio, o nella narrazione; confutazione alla conferma^ 
2tone fi riferifce , conciofftachè confutiamo gli altri confer- 
mando il noliro affunto : la digreflìone poi è una cofa acci- 
dentale , e niente quafi appartiene alla caufa . e perciò l'ab- 
bi am piuttosto annoverata tra le figure. Delle quattro parti 
jnecedirie, I* Efordio e la Perorazione fervono a movere gli 
offerti; La Narrazione e la Confermazione ad ammaeftrare; 
li dilettò poi rifulta dalla maniera di maneggiare, e di ab* 
ietfire tutte II parti ifte«Te. 

— i. 


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• x 55 x 

animi degli afcoltanti al reftante del ragionamen- 
to (i)w Quella è una parte importante ed effica- 
cilfima y sì perchè in qualunque difcorfo è necef- 
fario prima di procacciarli l’afFetto di chi ci de- 
ve afcoltare sì perchè da un buon efordio molte 
volte dipende in gran parte il felice elito d^lla 
caufa . Nell’ Areopago d’ Atene perciò era vieta- 
to tìgli Oratori di uiare 1’ Efordio , conciolfiachè 
que’ Saggi avellerò per efperienza veduto di qual 
forza , ed efficacia poffa edere fui cuor de’ Giudi- 
ci una tal parte dell’ orazione ufata a dovere , e 
con maeflria . Noi affine di trattarne più chiara- 
mente divideremo quell’articolo in tFe paragrafi, 
« prima vedremo le fpecie, ed i fonti dell’ Efordio; 
jjoi i doveri da predarli in elfo dall’ Oratore ; c 
finalmente le parti , che lo compongono . 

§. ( I. 

Delle varie fpecie , e de' fonti dell' Efordio . 

k - , V 

* * * I » 

* Altro dicefi Efordio Comune , altro ex Abru- 
pto . Il primo è quello, con cui l’Oratore a po- 
co a poco difpone placidamente gli uditori ali* . 
fua caufa: il fecondo è quello, per cui di lancio, 
ed a piè pari entra nella caufa ideila dando prin- 
cipio con qualche modo veemente , e con figure 
Impetuofe-^ e gagliardi -alletti * quale, fi è 1’ Efor- 
dio della prima contro di Catilina ( 2 ) . 

D 4 V E- 

^ — - — — - _ T - - - — - - — 

(0 Hxordium eft oratio animum auditori* idonee corri pa- 
tana ad reiiquarn di&ionera. De Inv. /. 15, ad Heren . ///. 5. 
Quinta IP. 1. w ^ • 

; CO efordj ex abrupto fi devono ufar di raro e Colo 

in caufe grandi ed inudite r oppure in occafione di qualche 
gran movimento d’affetti nell* Oratore ; e di ior natura vo*> 

glion edere piu brevi, « figurati , 

< 


I 


* * 





X stf X 


-* L’ Efordio comune^ di videfi in Principio z&rlnjU 
vuazione . Principio !! chiama quel modo di teie- 
re un efordio per cui Cubito fi nianifefta la nofira 
intenzione , chiaramente s'entra nella caufa, e li 
procura di acquifiare P amore ,* e P udienza de* 
circofianti, e de' Giudici, Infinuazione al contra- 
rio fi dice quella maniera difiìmulata , per. cui P 
oratore con giri , e con artificio cerca d' infinuarfì 
occultamente nell'animo degli uditori, e mofiran- 
do quali di voler tutt’ altro , fi sforza di tirarli 
lenza che le n'avveggano al iuo partito (3). • 

Se la caufa per fe fiefia è giufia , e ficura 1 * 
Efordio comune fi tefie per via di principio; ma 
fe P Oratore>fi avvede che P animo degli afcoltan- 
ti è contrario perchè la caufa loro fembra ingiufia y 
o che elfi fono già perfuafi diverfamente , o che 
fono fianchi per* aver a lungo udito 1’ avverfario > 
allora deve ricorrere alla Infinuazione" (4). Cice- 
rone così nella Orazione per la Legge Manilla 
dovendo trattar la caufa di Pompeo , non ufa ar- 
tificio, . ma.fi fpiega chiaramente ir Atque illud 
imprimi s-mihi latandum jure effe video , quod in 
hac infoltì a mini ex hoc loco r attorie dicendi , caufa 
talts oblata ejl y in qua or atto nemini deejffe poteJì + 

Di - 



« ^ 1 « 

(3) In duas pàrfes dividitur, in principium 8 c infìnantio - 
nem . Principium eli orario perfpicue 8 c protinus perfidenst 
auditorem benevolum , aut dccilem , aut attenrum . Infirma- 
rlo eft orario quadam dilfimularione , & circuitiope obfcuro 
fubiens auditoris animum . De Inv. T. ad Heren . 7 . 4. 7. 

£4} Infinuatione ntendum eli, cum admirabile genus cau fx 
eft, hoc eft cum animus auditori infeftu9 eft . De Inv . ivi» 
Tria funt tempora, quibus principio uti non pofTumus : auc 
cum furpem caufam habemus, hoc eft cum ipfa res animum 
auditor? a nobis alienat : aut cum animus auditoris perfua- 
sus videtur effe ab ira , qui ante contra dixertint : aut cum 
defedila eft audiendo qui ante dixerunt. Ad Heren . T. 6. 


§ 


v 


v 


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X 57 X 

Dicèudum efi tvitm de Cu. Pompei /iugulari exi- 
miaque virtute. Ma Cefare pretto Salluttio all’op- 
pofto volendo difendere i Congiurati ricorre alla 
tminuazione , e ftabilito avendo che un giudice 
debba aver un animo imparziale e fcevro di paf- 
fione> con fomma deprezza cerca di metter fof- 
petto che l’odio non domini nel cuor de’ Senato- 
ri , e mentre proteda degni di mille fupplicj i 
Congiurati , fi sforza però di provare che non de- 
vefi con loro ufare la vietata pena di morte , ' 
Sembrando adunque la caufa che fi prende a di- 
fendere , od a pervadere turpe in fe fletta , ed a 
prima vifla biafimevole , mottrerà l’ Oratore di 
Sdegnarla egli fletta, e di non pretender - mai di 
configliarla o proteggerla; ed intanto a poco a 
poco s’ infinuerà nell’ animo degli uditori , finché 
verrà a moflrare ell£ non etter tale auale da lo- 
to fi credei Così Tullio volendo difender Liga- 
rio, che contro di Cefare avea prefo le armi , nell* 
Efordio fu biro lo confeffa reo , protetta di non 
volerlo fcufare, chiede a Cefare fletto perdono per 
il fuo cliente , e finalmente viene a conchiudere 
che Ligario non era da dirfi però colpevole di 
quel delitto, che gli veniva imputato Ed il Ca- 
ia nell* Orazione per la Lega volendo configliare 
ai Veneziani la guerra a cui etti erano avverfi , 
prende a lodar nell’ Efordio la pace ed il ripofo, 
ed a commendar V odio , che etti portavano alle 
armi , poi feende a far vedere etter ombra di pa- 
ce quella ove temefi giuttamente rovina, e tale 
etter appunto quella di cui etti tanto fidavanfi f 
nè poterli fenza la guerra vera pace confeguire* 
» Se poi la caufa è difficile a perfuaderfi , per- 
chè gli uditori o i Giudici fon già prevenuti 
in contrario; allora per via d’Infinuazione deve 
T Oratore modeflamente diftruggerp la loro opimo* 


X 58 X 

ne • Tutte le prevenzioni o fonò contrarie per h 
natura ,ttefla della caufa , o per ragione della pei<- 
fona dell’ Oratore , - o per quella dell’ avverfario • 
Se la caufa per fe folle difficile a perfuaderfi o 
fembraffe incredibile, allora 1’ Oratore s* in fin u era 
col dire molte cole fembrar incredibili eppurefler 
veriffime; fe foffe tenue , e di poco momento, ne 
moftrerà la neceffità , 1’ equità, il vantaggio . Era 
difficile p. e, l’indurre Carlo V, a reftituire Piacene 
za ; epperò il Cafa nell’ Efordio della fua Orazio^ 
ne loda fommamente tutte le getta dell’ Imperato-* 
re , e maffime la fua clemenza , e dice che tutto 
il mondo io riguarda come un maravigliofo lume 
apparfo in Cielo, non altro da lui promettendoli 
che azioni nobili e generofe ; quindi viene a dire 
che tale forfè non potrebbe raffembrar quella di 
ritenerli Piacenza, e che fe non tenebre , almeno 
gualche ombra apporterebbe al di lui nome* Sono 
gli ascoltanti molte volte prevenuti contro all’O? 
ratoreper ragione della fua patria , della nazione, 
dell’età, dell’amicizia, della fua profeffione ec. * 
ed allora egli dovrà colla infinuazione toglier pri-» 
ma dalla lor mente ogni fofpetto , facendo credere 
eh’ ei parla fqlo per la verità, e per il dovere * 
Così Tullio nell’Orazione per Archia difende il 
fuo maettro , ma diraottra che è un puro fua do- 
vere d’ impiegar la fua eloquenza a favor di co* 
lui , da coi 1’ apprefe . Ed il Cafa fa le lodi 
della Republica di Venezia, ma toglie prima o r 
gni fofpetto che egli voglia parlare per adulazio- 
ne, e protetta di efler a ciò indotto da un obbli- 
go di gratitudine e dall’ amore della verità • Ed 
in quella per la Lega trattando di far unir I’ ar- 
mi Venete colle forze del Papa, ed effendo egli 
fofpetto perchè Ecclefiaftico , dice : Nè per voi Ji 
miri) chi io fia y nè di* che abito ve/i ito , ma odafi 

ciò 


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# 


' ' _ 

ri' u dicti pm$P. non &9i °J* m * d au t°* 

rità vi mova , ma le mie ragioni . Le prevenzio- 
ni favorevoli all’ avverfano nafcono negli afcoltan* 
ci o quando quello non è uomo di grande auto; 
Stà , ma con ftrepito di parole e con sforzo di 
eloquenza fi fa forte: o quando è_^ nomo celebre , 

Ji Irido, e degno di tutta la fede . Nel pruno 
^Ìfo l’Oratore dovrà render fofpetta t eloquenza 
dell’ Avvtrfario , ficcpme fece il Salvini nella le^ 

tt Se cM apparato > % 

colla eloquenza fi portàffero via t 

vinceffero le caute > io qnefia j* 1 * 

far parola , e darei per “ndwato &Jtoreoy 

Ma il mio felice dejttno ha voluto chi con 


alle ragioni riguardano , uaijte comqu^to empi- 
to - con quanta voga -> con $ u . a % 
ec. Nel fecondo calo dovrà loda re e pajw|*oa 
fommo rifpetto dell’ Avverfario medefimo, e nefc 
io fieflo tempo procurerà di moiare eh egli non 
ha però la ragione dal fuo canto ..Cosi lo fteP 

fo Salvini nella Lezione 4 - dice : P^ ,o non n { a ‘ 
rà Polo il ' mio , ma pietà di Sovvenire a- un ta- 
le amico poflo in pericolo , e da »» 
de' più antichi , de? più nguardevoli di ”tfrajc- 
epidemia fieramente attaccato , quale 11 f 
che udifie or ora da quefio medefimo luogo arringa- 
re" non meno di nome t che di fatti guerntto’, guety 

ino 7 autorità , guarnito di f opere , guermto dt 
eloquenza .... ma la. buona vettura ha voluto^, 
eh' 1 io fono alle > mani d' incorrotti Giudici y e che 
non fi taf ciano abbagliare da Splendore di dhgfil- 
tà . nè Sopraffare. da pefo di autorità , o af forza 
di farne piegare dalla dritta regola dii g< u fto , 
? del vero, •.< .'.-e., '■ -Jay- 


S 


J 


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X 6o X 

^ * » ». , 

. Si danno anche talvolta alcune ci^Cotlatire * iti, 
cui 1’ Oratore non deve , o a lui non conviene 
fpiegarfi chiaramente , eppur vuol farli intendere 
dai giudici , o dagli uditori . Un figlio p. e. ha 
da difender fe Hello, e noi può fare l'enea accular 
' il genitore : o un amico é coftretta aggravare un 
altro amico ; o finalmente un debole per dire la 
verità, deve parlar contro ad un potente. Allo- 
ra bifogna con fomma deprezza , e raggiro guidar 
il giudice, in guifa che necefTa ria mente indovini 
quello che l’Oratore non vuol dire, e far in mo- 
do anzi eh’ egli li pérfuada , e goda d’ aver Sco- 
perto quello che volcali occultare i oppure con 
un contrailo d’affetti, e con interrompimento di 

E role fìngere che la verità anche non volendo ci 
tppi di Socca , e voglia manifeflarfi (5). Cice- 
rone dovendo parlar contro la legge Agraria tan- 
to favorevole al popolo s’avvide elfer l’ irrtprefa 
pericolofa , nè convenirgli di palcfarfi apertamen- 
te ad efla contrario . Incominciò dunque a tefli- 
moniare la fua gratitudine verfo i Romani che lo 
aveano eletto Confolo: proreffò di voler effer po- 
polare , ma fpiegò quale fia il vero fenfo di un 
tale vocabolo . Efaltò i Gracchi zelanti difenfori 
di quella legge , ed a poco a poco fi conduffe a 
inoltrare che la legge propolla da Rullo era d y 
effrema rovina alla Republica • Così nella Oraz # 
per Ligario deve Tullio parlar con lode del par- „ 
rito Pompeiano alla prefenza di Celare iftelfo , cui 

pò- 

-, !.. ,» kà m .■ , „ > », , 

v # ' 

( s) Re* ipf* perducant judicem ad fufpicionem & àmolia- 
tnwr estera, ut hoc folum fuperfit, in quo mulrunt efiatn 
affe&us juvant & interrupta fìientio diftin, & cuntfatioae. 

Sic enim fier , ut jude* qusrat il! ud nefeio quid, quod ipfc? 

non crederei, fi audiret, & ei, quod a fe inventimi 
♦xifttmat , credut . Qtùnu Lib . /*. a. • 

\ 


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X 61 X 


fa , che aneli egli m aet P<* ll,lu u ‘ . 

ce eh’ altri, il chiamarono errore , altri rema , al_- 
Ui pazzia, biffano delitto. Egli il nomina defl- 
Z ed in guifa tale conduce il iuo ragionamento, 
che non foto non fa ingiuria a Pompeo «tonto-, 
o aCefare prefente, ma lodando quello, tutta la 
'gloria viene vietnaggiormente per quefto a ridon- 

^MoftiVono i fonti d’onde fi può “var rrfor- 
t3io, purché, ficcome dice Tullio, Tempre nafea 
e derivi dalle vifeere della caula, e non fla' affat- 
to feinneffo, e difgiunto dal tettante dell argo- 
mento ( 7 ). Chi vuole pertanto farli a parlare de- 
ve prima confiderar tutte le circoftanzc , e diche 
egli voglia trattare, e per chi , e dt quali perfo- 
ne alla prefenza e contro di chi : deve riflettete 
al tempo , al luogo , allo flato delle cote, alla 
opinione de’ Giudici , e del popolo , alle foe mi- 
® " e confiderai ben bene il tutto, la natura 
ftefia gli farà conofcere d’onde egli al^iaa ^rcft- 
dere il principio del fuo ragionamento ( 8 ). Qce- 



,A Oueft’ ultime offervaaioni le ho polle in quello luogo, 
“il- fi ap7 , e che d’ ordinar o cadono negli efoN 

■Ss ?ES= 5f ss -sstfafot 

^^"HxTaufem'T» duTndo extTnftcus «liuude qu«- 
-j, / j .. ìnfis vifeeribus caufac fumenda funt . • • ■ Con- 

rpnda, fed ex P ' r j nc j p j urn confluenti oratiom, ut tan- 

^rcumTm;rco , Jp P ore nC m P embtum effe videatur . Ce Or*. 

' ">«•? ftffturus iotueatur, quid, apud quem, prò quo, eoa- 
W V loco, quo rerum flatu, quo 

%ar«Si fóJtan % ; V» i“dicem Patire «edibile *t 


, • . . . X à% % 

tene p. è. dalla circoftanza del tempo fa V efofJ 
dio ddl’ Orazione a favor di M. delio , perché 
ebbe a trattar la di lui caufa in giorno fedivo * 
Per Dejotaro lo cava dal luogo inlolito * e priva-* 
to : per Milone dalle circoftanie tutte iriufare 
«nprovvife degli armati, del terrore ec^rper Li- 
gario da una chiara e (incera ipofizione dell? fu» 
caufa 4 $' incomincia talvolta ancora da qualche 
fèntenza, come preflò di Sallufiio faCatilina par-* 
landò a^fuoi foldati : da qualche fatto Storico a 
favolofo < o da qualche fimilitudine , . come fa il 
Cafa a Carlo* V. : dalla perforia fua propria dell 1 
Oratore, come fa il Guidiccioni parlando ai Lue* 
chqfi col dire che «fon fi meraviglino fe;effendo> 
egli Ecclefiafiico prende ad immischiarli in affari 
laici $ e finalmente dal rispondere alle parole deli* 
avverfario , come fa Tullio nella Filippica 9. Il 
miglior modo però di formar P efordio è tempre 
quello, con cui fi occupa l’ opinione de’ giudici à 
degli uditori, efaminando prima fe la caufa è otte- 
fia , maravigliofa , umile, dubbia , o ofeura (p) ; 
e fi procura quindi fui bel principio di togliere 
dal di loro animo tutte le contrarie prevenzioni * 

per 






anteguam incipumus, tum quid aut defideremus , aut depre- 
cemur.- ipfa illum natura eo ducet , ut feiat quid primun* 
dicendum fi t. Quinti IP. I. : > . * . . ; . 

Cpy Se la cauta è onefta 1* uditore I difpoffo per fe. fteffp ' 
a fecondarla ; onde l'oratore potrà in tal cafo impiegar me. 
no di artificio nell* Efordro : fe è maravigliofa Auditore è 8. 
lieno dal crederla , ed allora vi abbifogna tutta l’arte: ff 0 
umile quello la fprezza, e ne dubita, fe è dubbiofaj eppe. 
tò 1* orartele allora deve fmpegnarfi a farne vcde?> r impor- 
tanza , ed a toglierne ogni fini Ara opinione: fe finalmente U 
caufa è ofeura l’uditore lentamente fi induce « con .tufi* ad, 
afcoltare ; ed allora deve Foratore avvivarlo coll* eloquenza, 
e ùrgli fpetare non effer la cofa tanto malagevole , quitti’ et 
fe W tinge, ren, Cic. De Orauìhvs 4 . ad atren, 1 . 


X*jX ■ r- " . 

» | 

per pofcia condurli più facilmente à decìdere' in ; 
noffro favore , ficcome -fpelTe volte fi pratica da 
Cicerone nelle fue caufe giudiziali * 

L’ Efordio- può effer viziófo per fette motivi, L 
quando è volgare * cioè a dire che può adattarli 
egualmente a molte caufe- IL quando è comune* 
coficchè l’ avversario medefimo può fervirfene nel- 
la fua rifpofta i III- quando è commutabile , fe 1’ 
avverfàrio cioè può ritorcerlo * e prevalertene a - 
lioftro danno* IV- quando è lungo non folo pro- 
porzionatamente al recante della orazione (io) * 
ma tolto anche troppo di lontano - V- quando è 
fconnefiòj coficchè nulla ha che fare colla caufa % 
che prendefi a trattare- VI- quando è gonfio* ed 
ampolloso (u) * e promette cofa diverfa* o gran 
lunga maggiore di Quel che non fia 1’ affare , di 
cui fi parla* VIL finalmente quando è contràrio 
ai buoni precetti dell’ arte , ed a quel fine che dee 
l’Oratore aver preferite ( 12 )* 

§. II* * - 

■■>■■■ ■ ■■ <■■■■ — ..■ — ■ i ■ ■ ■■■-* 

* » » * 

(lo) Non fi può dare una mrfura certa intorno alla lun- 
ghezza dell* Efordio , dovendoti quella rimettere al giudizio, 
ed alla neceffìtà , in cui fi trova 1’ Oratore* (Quella propor- 
zione però che ha il capo con tutte 1* altre membra del cor- 
po umano, deve averla con il recante del difeorfo 1’ Efordio; 
che anzi fe U caufa non abbisogna d’ infinuazione, quello de- 
ve effer femplfce, e brevilfimo. Ecco il precetto di Fabio ; 
Vitanda eft immodica longitudo , ne in caput excret/Jfe vi- 
dcatur , ér quos preparare debet , fatiget . TV, i. 

Cli) Lo itile dell’ Efordio non folo non deve effer gonfio , 
ma nè meno artificiofo, e tutto magnifico sì perchè non ilan« 
chi fui bel principio gli afeoitanti, sì perchè non fembri , 
che l’Oratore cerchi di abbagliarli colla fua eloquenza;- la 

3 ual cofa al dire di Quintiliano è una defle if aggìori finezza 
eli’ arre r Diligenter ne fufpe&i fimtis ulta parte vitandum ; 
proptev quei minime ofientari debet in prtneiplis cura, quia 
vi de tur ars oranis di cent is cantra judicem aditi beri : fed ipfunt 
ijìud evitare fummte artis e/i . IV: I. * ■ • 

00 ^xordiorum vitia ; quod in piures caufat accemmodari 

por- 


/ 


i 


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X Ó 4 X 

§. II. * 

* \ 

Di ciò che dee preflarfi dall ’ Oratore 
nelV Efordio • - 

* * 

Formandoti T Efordio nel difcorfo affine di con- 
ciliarfi T animo degli ascoltanti , e per difporgli 
ad unir di buon grado tutto il recante del ra- 
gionamento , tre cofe devonfi principalmente iti 
effo pretore dall’ Oratore, i. renderfeli benevoli , 
2. docili , 5. attenti (13) . 

La benevolenza degli uditori fi procaccia o dal- 
la perfona dell’ Orator ifìeflò , o da quella degli 
Avverfarj , o da quella de’ Giudici, o dalla fleto 
natura della caufa, che halli a trattare (14) . Dal- 
la 



poteft, vulgare dicitur ; quo & adverfarfus uti poteil, cotti- 
muuis appellatur: quod adverfarius in fuam utiiitatem defle- 
ttere poteft , commutabile.* quodcauf* non cohaerec , fepara. 
tum : quod aliunde trahitur , translatum : prasterea quod lon- 
gum : quod coiitra praecopta. Quint. 1. De Inv. L ad 
Heren.I.j. Anche Orazio nell* Arre Poetica ci avverte: 

« . • • ' * 

Non fic incipits ut Seriptor Cycliws otim • 

Fortunata Priami cantalo , & nobile belìum . 

Quid dignum tanto feret bic promi Jf or hiatuì 
Parturient monte 5 , nafeetur ridiculus mus . 

t 9 *» * . 

(13) Exordium eft oratio animum audrtoris idonee còni, 
parans ad reliquam diftionem : quod eveniet fi eum benevo- 
Jum , attentimi, docilem fecerit . De Inv. T. 15. ad Her. I, 
Quelle tre doti fono neceflarie in tutto il feguito del difeor- 
fo ; ma fpecialmente le dee l’Oratore faper impiegare nell* 
Efordio: la prudenza però gli farà conofcere fin dove in ciò 
egli pofla eftenderfi per non cercar puerilmente con vane pa- 
iole ciò che non fe gli nega . 

0<0 Benevolenza quatuor ex locis comparatur, ab nollra, 
ab adverfariorum , ab judicum perfona, a caufa. De Inv ■ /. 
1 6. ad Her. I. 4. & Orat. Partii. Benevoientiam aut a per. 

ionia, aiu a caufis daci actepinms. Quint. 1K i> 

w » » ♦ » . 


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X <55 X 

la perfona dell’Oratore, quando egli ha fa'ma d* . 
; efTer uomo dabbene , e di merito ; epperò fen/a 
arroganza , e con ingenuità rammenta , ed efalta ie 
ifue azioni: allontana ogni fofpetto d’odio, d’in- 
*vidia, o di malevolenza, e moftra che per folo 
'dovere di officio, d’amicizia, di gratitudine, odi 
Sangue s’ indice a parlare, nè fi fa intender ma- 
ledico v o ingiuriofo contro di alcuno. Dalla per- 
fona degli Avverfarj , quando o quelli fono po- 
tenti , e di grado, e 1’ Oratore fìnge di temerne 
V eloquenza , il partito , la gràiia, e la rende a’ 
‘giudici fofpetta, come fa Tuli io- a favor di Quia- 
. zio , oppure detelia ed amplifica il di loro odio , 
Tingiultizia, e la perfidia contro del reo, fe que- 
lli malfime per ragione dell’ età, del feffof$C Addi- 
la miferia è incapace a difenderli , come per-De- 
}otaro . Dalla perfona del Giudice , quando fi e- 
ialta la fua pietà per gl’ infelici , la fua giurtizia 
per gli opprelfi , la feverità contro gli offenfori ; 
e fpiandone in tòmma V indole , e Fa mente , fi 
occupa in quella parte ch’egli è più facile ad ar- 
renderli , come fa tempre Tullio parlando a Ce- 
fare , di cui celebra la clemenza , e la generofi- 
tà , perchè egli fapeva , che tale Cefare appunto 
ambiva d’ effer creduto . Dalla natura della cau- 
fa, quando finalmente» fi moftra la caufa elfer di 
fomma importanza , oppure dover intereflare il 
giudice fteffo, e gli uditori la miferia, ol’ iniqui- 
tà di quello per cui , o contro curii parla. Di 
tal fatta fono gli Efordj delle orazióni per Ro- 
fcio A merino , per Milone , e per Dejotaro fpe- 
cialmente , nelle quali Cicerone ufa tutja l’ arte 
per acquiftarfi la benevolenza de’ giudici , affine 
•JdMnipegnargli in vantaggio, de’ fuoi clienti • # 4 

Docili fi rendono i giudici , e gli afcoltanti abi- 
litandogli ad intendere con brevità , $ chiarez* 
Gìard, Elem,* ì T'lL ‘“'E quel- 

^ v • r * 


« 


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/ " X 66 x 

quello di cui vogliam trattare (15) . Quello fi deC 
fare col proporre nudamente il noftro affranto,: 
formando in feguito un’efatta, e perfetta divifio- 
ne , onde effì con ordine poflano veder il tutto , 
ed afpettarne con defiderio le prove Giova inol- 
tre ad ottenere quella docilità 1!, tifar nell’ efordio 
una certa modeftia e di fentenze, e di parole , c 
di portamento , per cui fi fcorga , che anche in 
una caufa certiffrma I’ Oratore teme , e confida 
nella bontà degli uditori fuoi , i quali a ragione 
fdegnano la baldanza , e 1’ ardire ;di chi favella a 
loro in modo d’imporre (16). Che fe talvolta av- 
venga che la caufa fia di tal Torta che nell’ Efor- 
dio pofTa F Oratore ufare un po’ più di ardire e 
* di . gagliardi , Tempre però dovrà farlo con una 
cefta’ moderazione ad imitazion delia natura , dir 
ce Tullio, la quale ad ogni cofa, ed a quelle an- 
cora, che fannofi con violenza fomma, diede len- 
ti , e moderati principi (17) • Il mirabile artificio 
ufato da Cicerone fpecialmenre nella orazione per 
Ligario, dove il di lui fdegno contro di Tubero- 
ne va gradatamente manifeTlandofi , e crefcendo f 
e, di continuo retta temperata la riprenfione colla 
lode , può farci intendere quanto quelle offerva- 
zioni poffono giovare ad un dicitore per conciliar- 
li la docilità degli uditori . 

Sì 


' 4 t - ; 

(15) Docifes auditores faciemus, fi aperte, & bre v iter Arni - 
nani caute exponemus, hoc eit in quo confiftat controver- 
sa . £>r ìnv, 7. 1 6. ..... 

(x d) Procemium decebit & fententiarum & compofitromtf « 
& vocis , & vultus modeftia, adeo ut in genere caute etiam 
indubitabili, fiducia fe ipfa'miniuin exercre non debeat . Odìt 
euim judex fere litigami» fecuritatem , cumque jus fuum in* 
teJiigac, tacjtus reverentram poftulat. Quint . TJF' i. 

C*7) Omnia quse fiunt , quaeque aguntur acerrime, Ieviori* 
bus principili natura ìpfa pratexuit. Di Orai* IL 78. 


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1 


X X ' 

Si acquiflà V attenzione degli afcoltanti r. coi 
prometter loro di trattar cofe grandi , degne d" 
e/Ter intefe e vantaggiofe ad effi , non meno che a 
tutto l’uman genere (18). 2; pregandogli ad udirci 
benignamente , e ad ifcufare la rozzezza del no- 
flro ftile incapace a poter efprimere dégnamente 
cofe $1 grandii e maravigliofe*.- j, afficurandoli del- 
la brevità , con cui dimoftreremo il tutto (19) • 4*. 
finalménte con una cèrta gravità ed eleganza di 
dire i e vivacità di figure e di fentimenti * per cui 
T uditore fìa rapito dal diletto * e commoffo , fenza- 
che però abbia a formar fofpetto , che V Oratore 
il voglia ingannare (20) 4 A tal fine egli fui bel 
principio non fpiegherà già tutti gli affetti } ma 
nelì’efordio fi accontenterà di fpingere dolcemen- 
te il giudice, affinchè da fe fletto, e naturalmen- 
te nel feguito del difcorfo quello venga trafpor- 
tato ; ed allorché poi fta per piegare , gli anderà 
fopra con tutro il pefo delibazione (21), 

E 2 §« IIL 




(18) Cie fe la daufa di fud natura non foffe tale’ * l’drà- 
ttìre procurerà di farla comparir tale In quella fua citcòftao- 
ka. Cic. nella Fiiipp. VII. dice: Patvis di 
tajfc neaffariii tonfa limut P . C. de Appi a via & de ma» 
neta. E Quintiliano coti fa vedere impi rtaati®tha per un 
poverèlla U perdita delle Api avvelenategli da uo ricco nell’ 

Or. IJ* - s ‘ - A 

(.19) Attentos faciemuc , fi demonltràbirtiu* ed, quaè (detti- 
ti erimus magna, nova, incredibili effe aut ad omneà, auC 
ad atiquos iiluftres hnmines, aut ad Deo* immortales , aut 
ad fìnnmum reip. pertinere; & I pollicebimor noa brevi no* 
flrarrr caufam demonftraturoe • Ùe Inv. /. i 6 » De Orai» ih 
Òuint tv. fé 

Eaordiùrii fententiaruiti .& gravitati* pluriAfen debé t 
habere , & omnitro omnia qu* pertinent ad digiti tatett con* 
tinerc in fe,^. fplendoris & feftivitatii & concinnitudinls 
minimum ; propferea qood ex bit ftrfpicio qulédam appafatio- 
»is, atque arti6c<of* diligenti» nafcitor, qu* matJine ora* 
tioni fidem , oratori àdirtiit an&orftatcm • De lnv,t. 

Caj) Moni* animi totos'iit principio expi icari non oportO*. 

^ bit; 


1 


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*. 


X <58 X 

§. ur. 


•• 


' .15» 

^ S. I» 


Delle Parti delP E f orditi. 


<t 


• 1 » « * 

Tre fonò le parti principali , , che Ermogene 
confiderà in un Efordio . V introduzione Ti&roteis y 
PAffunzione narctaMvi ) , /’ Efito ifyuaris . L! In- 
troduzione è come la bafe del proemio , ed è quel 
mezzo termine , o quella prima fentenza , fopra 
di . cui s’incomincia a teflere il ragionamento .'U 
AfTunzione è quel fecondo* penfiero , che dal pri- 
mo derivando, ferve a comprovarlo , e fa che 1* 
Efordio vada in certo modo crefcendo nel fuo 
progreflb. L’ Elito finalmente fi èia conclufione , ‘ 
per cui' 1’ Efordio medefimo fi unifce , e collega 
al recante della orazione . Nella caufa per la 
legge Mapilia Tullio p. e.~, forma F introduzione 
dell’ Efordio. palefando il fuo antico rifpetto , e 
timore per il pubblico , ed in feguito la fua gra- 
titudine per gli onori a lui compartiti dai Ro- 
mani . PafTa quindi alla AfTunzione col dire, che 
intendendo egli beniffimo il fine per cui tanto lo 
aveàno voluto efaltare, fi trovava in obbligò d* * 
impiegare la fua eloquenza , e T autorità ottenu- 
ta. a vantaggio fpecialmente di coloro che glie la 
avéano conferita . Finalmente conchiude con ma- 
nifeftare il periglio della repubblica , e la necef- 
lìtà. di far la guerra contro di Mitridate , e di 
Tigrane. Così nella orazione per Archia 1* In- 
troduzione- confile inique! primo penfiero , con 


cui 


bit ; fed tantum impelli primo judicem leviter* ut jam in- 
clinato relìqua incurabar orario. De Orat. 11.79* 

*. * *-♦*•'* • - -r y 


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, . . 5 t*X , , 

cui Tullio afferma efler egli debitore ad Archisi 
di tutto il fuo fa pere: i’ Attenzione nel aimoltra- 
re efler doverofo di impiegare a favore del fuo 
maeffro queir- eloquenza, .che a tant’ altri avea 
apportato lalvezza: 1’ Efito finalmente r nel punto 
della -caufa, per cui egli s’ accinge a voler di- 
magrare , efler Archia cittadino Romano . ' .\.f 
Nella Introduzione, e nella Aflunzione altro 
non fi richiede che una «ertaarettitudine di pen- 
fare, e maeflria d’ amplificazione, per cui 1’ una 
cofa naturalmente venga in fegeito all’ altra , ed 
il tutto con eleganza infieme e brevità conduca a 
quel punto che è il vero fcopò del difcorfo , e che 
forma 1’ Efito dell’ Efordio , In quello poi d’or- 
dinario fuol cadere la Propofizione e la Bivifio- 
ne ( 22 ) di tutto il ragionamento,! le quali cole 
abbiam detto eflere neceffaric non jfolo per M' 
buon ordine , , e per la .chiarezza , ma molto pi% 
jer render docili ed attenti gli uditori ; E ficco-- 
me abbiam veduto, che la Propofizione,' e la Bi- 
vifione anch’ effe furono riputate da alcuni come 
due parti effenzialf e difiinte di un’orazione} per- 
ciò ne tratteremo dillintamente ne* due Paragrafi 
fegucnti. • > . • 



■!— ■ UHM . fT- • | 1 -1 ■ k , 

' " » * • T * 

* ** * K 

-WJ Wco d* ordinaria , perciòcefcè non feiflpre la propofi- 
aione fi pone nell* Efordio ; ma tal voi ri anche dopo la nar- 
razione; La divifione j£oi come fi può vedere in Tullio, ta- 
lora fi cralafcU . 


» 


T 




» 


' X 70 X 

• * 

• » 


» « » 

. . Della Propcfiztont Oratoria . 

» i * . . 

. La Proporzione in un difcorfo Oratorio è quel» 
la , per cui il Dicitore ci avvifa di ciò , che egli 
intènde trattare nel progredo del fuo ragionamen- 
to : odia quella che ci pone fott’ occhio lo dato 
della queftione , di cui fi parla , e che fida lo 
fcopo ed il fine della Orazione iflefla (2?) . 

Il determinare e dabilire queda proporzione ha 
da edere la prima e principal cura di chiunque 
brama tedere un difcorfo ; concioffiachè non fi pof- 
fano ritrovar le prove lenza fapere ciò che Ij. ha 
da dimodrare(?4). Nel fidar poi queda proporzio- 
ne bifogna avvertire, che anche in unacaufa ma- 
lagevole ella fia concepita in un modo che quan- 
to più è podibile inclini a nodro vantaggio (25). 
Tullio p. e. nella difefa. di. Milone vide , che l* 
unica via di falvarlo era quella di provare , che 
egli avea uccifo Ciodio con ragione , perchè co- 
firetto dalla necedìtà di difender fe iledo; epperò 

da- 


(13) Diviflo efl per quam aperimus quid eoo ventar , quid 
in controver/ia fit , & per quam exprimiraus , quibus de re» 
bus fimus difturi . Ad Heren, 7. 3. La propoffzione , e la dr. 
vinone vanno si Erettamente unite, phe Tullio quivi le com- 
prende fono di un folo nome ; 

(14) P.rvpofitio ìnclkiet ad id quod convenir in fuae cauf* 
com m od um . De Tnv. 7. ' 

0-5> Confuevi Òifciplin* noflre fe&atoribus dicere, ante 
omnia; iis confiderandum effe, quid oratione & partibus effi» 
ciendum Et; poi! quam vero id repererimus , & collegerimus 
accurate, quaerendas effe ajo orationis ideas live argumenta 
& ornamenta, quibus fineiu adipiftimur % quem nobis propo» 

riiimns . r/tcrat. tf. é. 


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* 


' -X 71 X 

flabilifce la fua propofizione non già col dire, M- 
‘ Ione non ucci f 'e C Iodio , oppure, a Mi Ione fu li- 
cito uccidere un cittadino Scellerato , ec. ma con 
quefte parole •• oculis videbìtis , infidi ac Milani 
a Clodio faElas . Che fé accade di difender un 
reo il quale difficilmente fi poffa feufare , allora 
■convien ' riflettere fe il delitto fi poffa ritorcere 
fuiP accufatore , ed in cotal guifa renderlo fofpet- 
to al giudice, e far che quelli diflolga la fua men- 
te dalla prima caufa , o almeno fminuifea il fuo 
fdegno verfo del nodro cliente, dividendolo? in 
certo modo con l’altro colpevole. Così Tullio non 
potendo ftabilire una propofizione colla quale di- 
nsoftrare che Ligario era innocente , dice- di voler 
confettare , che Ligario è reo : fed tamen ita , eum 
in ea parte fuiffe , qua te , • X ubero \ \Jma virum 
cmni laude dignum patrem tuum ; e quindi procu- 
rando Tempre d’ ifeufare Ligario aggrava moito piu 

gli accufatori . -, T* * 

Ogni propofizione di un dilcorfo poi deve ave- 
re quelle tre prerogative , i. ha da elfer unica e 
Semplice , acciocché avendo effa un folo oggetto , 
T uditore potta fiffare i termini dell’ argomento , 
ed intender facilmente filine di quanto li dice dall 
Oratore . z. Deve etter breve , acciò poffa piace- 
re, e mettere come in un fot punto di vilte il tut- 
to ; ed anche perchè agevolmente dagli afcoltann 
fia ritenuta . 3. Ha da etter chiara per modo-» che 
non potta non intenderli , concioflìachè da effa di- 
penda il buon efito della caufa , e 1’ uditore -fia 
inabilitato a giudicare del rellante del difeorfo , e 
ad afcoltare con attenzione , fe non ha prima chia- 
ramente concepito l’argomento di cui fi tratta (2 6), 

E 4 Nell 


ìKV 


Citi Divifa & fimpltx propofitio quotiet Utiliter Adhiberi 

* ' ' pet- 


1 


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i 


4 


\ 


■' X 72 )C . ■ 

Nell’Ora u prò Quint. ecco come Tulfìo ff fpis- 
£2 : Negamus , /e bona P. Quinti* , iVx Navi 
pofiediffe ex <edf£lo Pratoris . Ed-, Alb. Lollio all 
Accademia Ferrarefe : Della Concordia avende io 
oggi propojìo di ragionare , pregavi che benigna- 
mente afcoltar mi vogliate . 

Aggiunsero alcuni inoltre, che la propofizione' 
Ga nuova . Quella novità però s’ intende non quan- * 
to alla Soltanza \ che ciò non Sempre far fi potreb- 
be , ma quanto alla maniera d’ ef porla , coficchè 
la cofa venga- Sotto un afpetto graziola, ed abbia . 
una cert’ aria di novità . Nel che però guardia- 
moci di non cader nel vizio de 1 Sofiìti , e in quel 
contagio , che al tempo dei noflri padri , dice il 
Salvini (27) , avea infejlata V arte de 1 Panegirici , 
che quel Santo che fi pigliava a lodare chi un 
Fiore y e tale un Aquila , e quale un Sole , e al- 
tri una Colonna il facevano . Si fuggano in Som- 
ma le propofizioni metaforiche , e certi paradelli,;- 
che fon piò atti a movere =il rifa, che a -conci- ' 
liar T attenzione degli ascoltanti . - 


; §. V. 

• - j * r 

v t) eli a Divi fione 4 

\ . . * 

Se la Propofizione nella fua femplicità ci -fotti— 
miniera alcune parti , in cui fi poffa dividere , al- 
lora giova di formar la divifione , la quale non 
è altro che un’ordinata dittribuzione di que’ pun- 
ti , provati i quali retta ditnoftrata la propofizio-' 

ne 


K . k ' 

poreft, primutn effe de6et aperta, atipie Incida , ttjm brevi$ t 
nec allo fupervacuo concreta verbo. Quint. IP. 5. 

Ci 7 ) Lei. XXVI. Prof. Tofc. p. 318. 

•v 




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:X73'X 

ne ifféffa {28) . Se poi la caufaè cosi riftretta, ei 
unica la proporzione , che non ha più capi in cui 
dittingaerfi { allora fi tralafcia la divifione . Così 
Cicerone p, e. nella Orazione per la Legge Ma- 
nilia in tre parti divide il fuo ragionamento : Pri- 
mum mìèi vi detur de genere belli , deinde de ma- 
gnitudine , tum de Imperatore delìgendo effe diceria 
dum \ ed il Cafa in quelle a Carlo V. , e delie Lo- 
di di Venezia al contrario non forma alcuna di- 
vifione,* # 

Siccome poi la Divifione è utile , e neceffaria 
molte volte, tanto perchè rende più chiaro ed 
aggradevole il difcorfo, quanto perchè ricrea., ed 
anima l’uditore, il quale al finir di ciafcuna par- 
te (caccia il tediose gode prevenire in certo mo- 
do T efito della orazione (29)^ così quella riefce 
viziofa ed inutile per alcuni, i quali tratti dall v 
• amore di dividere, una propofizione che -non Ra- 
parti formano la partizione Lugli argomenti , che 
devono addurre nelle prove, e così tolgonfi la li- 
bertà di fpaziare, ed amplificare gli argomenti 
ifteflì^ e (coprono tutto 1’ artificio, e la forza del- 
la 

, t 

< 1 . ■■ tm,t - 

r . 0 

4 * 

Ó8) PartUìo eft noftrarum aut adverfari» propoli tionum aut 

utrarumque ordine collata enumeratio. Quint, IP. 5. £jus 

partes du« rune. Una pars eft , quae quid cuni adverfariis 

conveniate & quid in controversa relinquatur, oftendit : ex 
qua certuni quiddam defignarur auditori, in quo animum de- 
beat habere occupatum . Quella è la propofizione , che ficco-, 

«ie abbiam detto, da Tullio fi unifee fiotto di un fiol vocabo- 

lo colla divifione. Altera eft in qua rerum earutn , de qùibus 
erimus diruti breviter expofitio ponitur diftributa, ex qua’ 
conficirur, ut «ertas animo res teneat auditor, quibus dicìig 
intelligat, fiore peroratum . De Inv. fi. * * 4 * * * * * lo ‘ * 

(19) Quello è un difetto che accade fptcialmente a que» 
tali che oltre la divifione vogliono fubdividcre; la qual co* 
fa non fi dee mai fare dall’oratore , quando la esula non fit* 
tale, che il richiegga per la chiarezza. 


X 74 5( 

la loro eloquenza (30) ; Così non fece Tàllio nel- 
la Orazione per Archia . Si propofe egli di mo- 
ftrareche quegli era cittadino Romano, e che non 
eflendolo bifognava ascriverlo ; ma ficcome tutte 
le fue prove s’appoggiavano alla legge di Sfilano, 
e di Carbone, s’avvide, che, fatta la divifion 
fui tre requifiti di quella , la caufa in poche pa- 
role farebbe fiata decifa , nè egli avrebbe po- 
tuto dire del fuo maeftro e de’fuoi ftudj tutto ciò 
che defiderava . Tralafciò pertanto ogni divifione, 
tnofirò colla legge iftefia che Archia era cittadino 
Romane) , fi eftefe a parlare delle lodi de’ Poeti e 
tfe’ ftudj delle belle lettere , tornò quindi fu gli 
argomenti della ( legge, e in varie e varie manie- 
re amplificandoli dimoftrò in fatti eflere quel Poe- 
ta cittadino Romano , e degniffimo d’ eflere alia 
' cittadinanza aferitto, quando fiato noi fotte.. 
f Tre pure fono le leggi fecondo Tullio da of- 
fervarfi in una buona divifione (31). I. che fia 
breve , coficchè niuno dei punti fia comprefo nell’ 
altro, perchè allora l’un dei due farebbe inutile; 
nè alcuno di effi fia fuperfluo , perchè il dicitore 
verrebbe a fortir dai termini del fuo argomen- 
to (32). II. che fia perfetta y in modo che dimo- 
ftrate le parti nulla più manchi , e neceffariamente 
jrefti provata tutta la propofizione. IH. che fia con - 
pepita in poco , non folo cioè con poche parole , ma 
' «■ an- 




OO Ut non feraper neceffarìa, aut etjara fupervacua par- 
tìtio eli; ita opportune adhibita piurimum orationi Iucis & 
grattai conferì... reficit quoque audienrem certo fiugularura 
partium fine. Quint. TP. 5. Partjtiq. tasdium levat. ivi a. 

' Quae partir io rerum dUiribucam continct expofitionem 
-^habere debet , brevitatem , abfolutionem , paucìtatem . 

O Obtìnendum edam ne quid in ea defit, ne quid fu* 



X 75 X 

anche divifa in poche parti , le quali , fe è poffi- 
bile , non devon efTere più di tre , acciò 1’ udito- 
re fui bel principio non fi atterriica , e non lafci 
quindi d’ ascoltare con piacere ed attenzione (33). 
Ecco come nella Filippica VII. brevemente, e 
con chiarezza forma Tullio la divifione. Cur pa- 
cem nolo ì quia turpis e/l , quia periculofa , quia 
effe non potefl ; qua tria dum explico , peto a vo~ 
bis , P, C, , ut eadem benigni tate , qua foletis , 
verba mea audiatis . Ed il Card, Guidiccioni nella 
fua Orazione ai Lucchefi : Riprenderà primiera- 
mente /’ orazton mia le forme introdotte e adulte - 
Tate in quejla repubblica : dopo rapprefenterà /’ im- 
magine de' tempi e pericoli paffuti y e finalmente 
con 1' efempio de ’ no/tri avoli vi porrà avanti agli 
occhi la ficura e onejìq amminijlr azione della Re- 
. fublic a P • . \ 

Dovendo però quella diftribuzion delle parti ef- 
fere ordinata ; ed in qualunque caufa incontrane 
dofi certi argomenti effieacjffimi y uditi i quali il 
giudice, o gli afcol tanti rellano perfuafi, fi arren- 
dono, e con fpiacere soffrono tutte V altre prove 
che fi vogliono addurre (34) ; 1 ’ Oratore nella di- 
vifione del fuo ragionamento farà in modo che le 
parti gradatamente procedano , e guidino 1’ udito- 
re ad eflTer convinto della verità . Que’ punti a- 
dunque , che fono forniti di prove più efficaci per 
dimollrar la propofizione fi riferberanno in fine ; 
nel che però bilognerà offervare , che i pofteriori 
non rendano poi inutili i primi • Se a cagion d’ 

efem- 


(33) Evitanda maxime concila nimium $c velut articulofa 
pari! ciò . ivi . 

(34) Io omni partitioee eft utique aliquid potentiflìmum , 
quod cum audivit judex ««ter* lamqqam fupemca* gravaci 

foiet . ÙMinu ir. * 


' , ; X 76% 

efempiò Pellai difesa di Milone Tullio così avrf* 
fe dirtribuita la fua Orazione : Non v 1 è alcun in* 
dizio per fofpettare che Milone ammazzale Ciò-., 
dio : Non ebbe Milone . di \ far lo alcun motivo s 
Milone in quel giorno eira in Atene , ballava il di- 
mortrar quell’ ultima parte, la quale rende inuti* 
li le altre, conciofiiachè provato che Milone era 
così lontano da Roma in quel giorno , in queir 
ora in ; cui fu uccifo Clodio , refta provato, che 
Milone non l’ uccife , ancor *che • aveffe feco.-lui 
odio e nimicizia • Piuttofto fe noi temiamo qual- 
che oppofizione , o non fiamo in calo di provare 
con vera efficacia e ; con tutta V evidenza quella 
parte che è la pih forte del difeorfo allora ria-» 
forzar la portiamo con un’ altra per fe rtc/fa più 
debole, o che porta prima riuscirebbe inutile, c 
collocata in fecondo luogo viene a ricever forza * 
ed a comunicar infieme maggior pefo alia ante- 
cedente (35) . Còsi non potendoli dire , ' Milone 
non ebbe ragióne d ’ ammazzar Clodio , ed in quel 
giorno di più fi trovò affente , fi formerebbe ele- 
gantemente là divifione così : Milone non ammaz- 
zò Clodio , Perchè ^ in quel giorno fu aJJ'ente daRo- 
ma ; e fe P avefle anche uccifo P avrebbe, fatto con 
tutta ragione . Tullio in fatti nella Orazion per 
Archia prova che quel poeta é cittadino Roma- 
no ; ma perchè intorno ai requifiti della legge di 
Sfilano vi nafeono molte difficoltà , non dice già: 
Archia è da aferiverfi , e poi Archia è cittadino ; 
ma prova che -Archia è cittadino Romano e da- 
to ancora che noi forte fa vedere , che farebbe da 
aferiverfi alla cittadinanza • - 

Guar- 


Ql) St quid in eo quod eft fortius tirtiehinnifi , tttraqut 
ptobatione nitemur. ivi , 


^ — - , 


X 77 X 

V' « # 

Guardili finalmente l’Oratore nel feguito del 
fuo ragionamento dal cambiar quell 5 ordine rifpet- 
to alle parti , che nella divifione fi è proposto ; 
imperocché quello farebbe un graviamo difetto, 
e non potrebbe a meno di generar confufione nel- 
la mente degli afcoltanti (36). 

ARTICOLO IL ' 

^ • * * 


Della Narrazione » 

D . \ « * * • * * 

elia Narrazione confiderata per fe fieffa , of- 
fia come femplice fpofizione di un fatto fi parlò 
già dififufamente nella parte feconda del T. I ? O- 
ra fi tratta della Narrazione come parte di uni di- 
fcorfo oratorio, e come una di quelle cbe, appar- 
tengono alla buona difpofizione di un . perfetta ra-. 
gionamento . Quella dunque non è altroché im’ 
efatta dichiarazione di tutto ciò che appartiene al 
punto principale delia caufa , e dà cui nafcé la 
quiftione (0. , . . : 

Nelle orazioni di genere deliberativo (2) o non 
cade alcuna vera narrazióne, perchè npn fi pof- 
fono raccontar le cofe future , o fi narrano cose 1 

• : ; \ , : 




— - 


ClO Turpiffimum vero ed non eo ordine exequi, quo quid- 
q«e propofueris. Qitrnt. IP. 

CO Narratio eft rerum geliarum , aut ut geftarum expofi- 
t io , Così generalmente altrove /* abbi am definita con Tullio . 

S ucfia narratone Oratoria però meglio fi pub definire’ con 
uintiliano Lib. IP. c. a. Res de qua pronuncùturus elf >u- 
4ex r ; ea eli narratio • Dove convien avvertire t che nòn fa. 
|um voiunt effe illam negociì, de quo apud judices qu*ri. 
tur expofitiouem , Ted perfonarum , loci, tempori*, caufa. 
rum « &c. ivi . 

CO Quali lìano le orazioni di genere Deliberativo , Cimo- 
Arativo Giudiziale veggati tfella parte li. diqugfto libro. 

. • ■— <1 •. • ^ . >. . * » 

. V • .5 . 

■ * \ . ' 


/ 


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Ytft 

pattate, acciò da quelle s’apprenda a ben conful- 
tar delle cofe avvenire < Così il Cafa nella ora- 
zione per la Lega dalle pattate getta di Carlo V* 
prende la Tua narrazione f acciò da quelle s’argo- 
menti quali fiano le di lui mire , ed i iuoi defi- 
derj. Nel genere Dimoftrativo la narrazione è ne- 
cettaria ; ma quetta come ferve a formar la lode o 
il biafimo di quella perfona di cui fi parla i perciò 
conviene diftribuirla in tutta i’ orazione,* e rac- 
contar le cofe leparatamente , perchè altrimenti 
farebbe lo tteffo che fcrivere una ttoria > Nel ge- 
nere Giudiziale poi la narrazione può dirfi vera 

S arte del difeorfo * perchè da quella dipende lo 
ato della qniftione , ed è come il principio ed il 
fondamento delle prove, ottìa della Confermazione * 
Le leggi principali della narrazione le abbiati! 
vedute nel cit.- T\ L ora non retta altro da av- 
vertire , fé non che quetta in un difcorlo può ef- 
fere Civile e Digrefforia (i)* Civile dicefi quella 
che è come la bàfe dell’argomento* o che efpone 
il fatto j fu cui cade la queftione , Direttoria al 
contrario qualunque altra narrazione incidente che 
lì forma o per abbellire r o per dilucidare il fat- 
to, c che talvolta ha con etto relazione non per 
altro che per fimilitudine * paragone * o elem- 
pio (4), 

La 

* • %#.* » # f 

I I ' .■■■■itiw i III ■Ii imu . a J | 1 U 1 ■■ 1 1 1 I I - I !■ 1 I 

' • . • r 


{3) t)uas in ìudiciis narratfohurtt fpecies etiflinió • alteraci 
ipnus caufas : alterarci re rum ad caufam pertircentijim expofi- 
tionem . Qjuint. TP. • . 

C4) Cicerone diltfngue' tre fpecie dì narrazione Ari f. db 
Inyeor. c q&Ì : Narrationum trio fùnt genera . Vnum 
l/i, in quo ipfa caufa & omnis ratio c/irttroterfi* tonti - 
ntfur : alttrum f in quo digrejfto Oli qua tutina cayfam .. *hk# 
trimtnationis , aut fimilitudinis , aftt delitto ottanti non alio* 
ab ntgotio , quo di agitar & amplificai ionie touja interi 


X 79 X 

la Narrazione Civile , di cui noi propriamea- 
te trattiamo in quefto luogo , fe collocali fui prin- 
cipio come d’ introduzione alle prove deve efier 
femplice, e piuttofto illorica, ficcome fa Tullio 
a favor di Ligario ; e. fe il fatto appartiene ai di- 
vertì punti dell’ orazione , anche il racconto fi 
può dividere , apponendo a ciafcuna parte del Di- 
fcorfo quel tratto di narrazione che gli compete , 
purché quefto facciali con ordine, fenza confufio- 
ne, ed a luogo opportuno ( 5 ).* 

La Narrazion Direttoria poi, malfime allora 
quando ferve al puro diletto, o a dilucidar le co- 
le , deve effer abbellita con tutti i colori dell’ar- 
te , ed avvivata colle figure più opportune , con- 
ciofliachè in etta non polla cadere il fofpetto che 
l’Oratore cerchi di ingannare, e di persuadere il 
falfo , come potrebbe!! giuftamente temere nella 
fpofizione del fatto , di cui fi fa la queftione . , 
Siceome poi abbiam detto altrove che è lecito 
All* Oratore nelle fue narrazioni feguir anche quel- 
lo che é folo probabile e verofimile (6) , a diffe- 
renza dello Storico , il quale non deve efporre che 
la pura verità ; perciò raccontando egli un fatto 
fuo proprio dirà femplicemente il vero Jafciando 
tatto ciò che gli può elfere di fvantaggio : rac- 
contando un fatto dell’ avversario potrà accresce- 
re contro di lui i fofpetti colle fue rifleflioni f 

' : ” * • •• j po- 

« ■ ■■ ■" ■■■ — 


ponitur . Tertium gcntis efi remotum a civilibus caufis y quod 
de Uft attorti s caufa non inutili cum extreitationc dicitur , & 
fcribitur . E quefla terza fpecie è quella di cui abbiam par- 
lato nel T. I. P. II. , 

Cs) Confideràre oportebit, ne non loco narretur. ... Non 
loco dicitur, cum non in ea parte orationis collocatur in fu i 
rea podulat. Di ìnv. I, 

CO Non utique Orator propofitum habet femper Vera di- 
fendi , fed «tiara verifì milza , Quint. X % 3. 


X8oX ' 

potrà aggravar la cofa amplificandola, c peggiore 
dimoltrandola di quel che in farri non fia (7) • 
Diverfo per tanto fi è il metodo, che hanno ft 
tenere nelle narrazioni 1 * Accusatore, ed il Difen- 
fore . Quello racconterà le* cofe in modo Spezza- 
to e concifo, fpargendo qua e' là i femi delle fue 
prove, e de’ fofpetti contro T avversario, ofen- 
rando, e tacendo ad arte quei luoghi, d*ondee- 
gli potrebbe cavar lefuedifefe, eruttò procuran- 
do di rivolgere a di lui danno (8). - Il che però 
dee farlo fenza dar fofpetto di frode , e di men- 
zogna , con certa Semplicità , e naturalezza , che 
non da aftio e da malevolenza , ma dalla caufa 
lleffa il tutto fembri derivare (9). > 

Il Difenfore al contrario avrà Tempre mira di 
‘lafciar affatto, o d’accennare oscuramente quelle 
-cofe , che poflono generar fofpetto contro del fuo 
. cliente, e fi atterrà Solo a ciò che gli é 'favo re- 
vofe (io). Imperciocché, dice Tullio , ogni cofa 
egli deve procurar di volgere in fuo vantaggio . 
Quello fhe fi può tacere, fi taccia : quello che è 
utile al nemico, velocemente fi oltrepafli : fi rac- 
conti con chiarezza , fi amplifichi , ed efageri folo 
tt*to ciò che giova : in quello fi fermi , quello fi 

■" - j*t-t tr' eHen 4 Hr f 

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Jàm — — ; • ■ — ■■■ ■■ ■* ■ 

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(7) Sciamus , fi de nottro fatto quarratur, veruni nobis ef- 
fe dicendum , fi de alieno , mietere in plarimas /ufpiciooef 
lìcere . Quint . IP. i, 

(8) Narrano accufatoris erit quafi membratim getti nego- 
ciì rufpiciofa explicatio , fparfis omnibus arqumentis, obfcu- 
raris defenfionibus. Partii, Or at. Di Orat. IT. 151. 

CO Eflugienda in hac precipue parte omnis calliditatis fu* 
fpicio: nihii videatur fittum : nihil follicitum . Omnia potias 
a caufa quam ab Oratore profeta credantur. Quint. a. 

■ Ciò} Narratio Defenforis aut preterì tis, aut obfcuratis fu- 
fpicionum argumentis , rerum ipfartim eventus erunt, cafuf- 
que narrandi . Orat. Partii , 






‘ • t 


*# 4 * 


X 8r X , /. 

tftenda : ma quello che è contrario fi fuggg in 
guifa che però non s’ avvegga il. giudice che -ad 
ar . te “ tralafcia , ma refti in certa maniera fepolto 
ed offuicato da quello che fi adorna, ed efalca'(ri) 
In.fomma tanto chi accufa , quanto ' chi' difende 
deve tempre fcegltere, e dir quelle cofe-chc pii» 
utile che danno gli polfono arrecare; èdomet- 
tere al contrario quell’ alche che gli fon per- effe- 

xe A IU r 1 ife no che di van tasgio Ct2).' 

’ ! fe J Oratore nella narrazione vuol dir co> 
te di lua immaginazione, per non eflere fmentito 
dall avvertano fi avverta di appoggiarli a ciò , di 
cui non pofla addurli contrario tellimonio (i?) . 
Tali fono quelle co fe, di, cui egli folo può elfer- 
n$ confapevole, o altre perfone defunte: ‘quelle 
che fono utili ad alcuno , . ficchè non 1 vi fia peri- 
colo che quel tale le neghi : o quelle che. dipen- 
dono, da un tellimonio dell’ avverfario illelfo, al 

qua!e, benché le neghi , non farà predata alcuna 

fede (14J» ■ -• 

* ' >* 



» s. • 

Cll) Omnia torquenda funt ad commodum fu* cauf* 
^nf ra u a r qU * ? r!Bter ‘ n P^erunc pratereundo ; qua illius 
^ i fuadiligenter & enodate narrao! 

d °ì / P- * \*L f* ea autem ratiò in dicendo hac effe folet 

ut bon. quod habeam , id ampleftar, exornem ? 

Ibi commorer , ibi habitem y ibi haream : a malo aufem vii 

tioque caufa ita recedam , non ut id me defugere appareat 

^ur !°Xrnt ° rnand0 * a “ 8end ° d ! ffi "»“l«iwobrua: 

s. «tr, ■&■;£ -sr 

JK ftw* • « .«M» . .«*» rai<t» . DÌ 

.^03) Ciò fì dice per dimoftrar l’arte dell’Oratore ' nini 
m*n*oqn h a e . fe " e “ f ° * dan,fa altr “> Prev«l«àdofi dell» 

eadunt Ò'IVd UT' i* Fi r nfieilda lt,e, n , *nerzmus éa , qua non 

,u * noftro di «-‘« «»- 


t 


X 82 )(• 

• 

Molte volte ancora torna in acconcio il ribat- 
tere le accufe, e le oppofmoni degli avverfarj pri- 
ma di venire alla narrazione per togliere intanto 
dall’, animo degli uditori ogni opinione contraria 
C quello deéfi fare fpecialmente allora quando tali 
accufe ed oppofizioni non dipendono dalla fpofi- 
zione del fatto, ma le fono del tutto eftrinfeche. 
Tullio così nella Oraz. per Milone prima rifpon- 
de a ciò , che avean detto i partitanti di Clodio , 
cjoè che non debba vivere chi ha uccifo un altro 
mqwìo y c dimofirato avendo, che molte volte le 
fieflfejeggi ci danno l’autorità d’ammazzare un 
altro impunemente , difeende poi alla narrazione 
della morte a Clodio giuftamente da Milone ar- 
recata . 

Accade in oltre non di raro , che la narrazio- 
ne in un ragionamento fi tralafcia, o perché l’ar- 
gomento fieno non ce ne fomminifira alcuna ; o 
perchè la caufa è breve ed a tutti nota (15).; o 
perchè non cercafi della azione , ma folo fe lìafì 
fatta con ragione o no; o finalmente perchè noa 
torna bene il farla . In quell’ ultimo calo Ij co- 
nofee il buon fenfo , ed il giudizio del Dicito- 
re (16) . Devefi tralafciar la Narrazione « I. quan- 
do ella nuoce. IL quando è inutile il farla . Nuo- 
ce la narrazione al reo allorché egli nè può ne- 
gare 


Ì us i pfi tantum confai futnus: item quod a defan&is : nec 
toc enim eft qui neget : itemque ab eo cui idem cxpedtec , 
is.enim non negabit . Ab adverfario quoque, quia non eli 
habirurus in negando fidem « 

(15) Surtt quaedam tam b r eves caufa, ut prò pofìt ione m po- 

tius habeant, quam narrationem . Id accidie altquand 0 otri. 

que parti , cum vel nulla ex.olìiio eli, vel de re conltat, 

de )ùre quaritur . Quint. TP, a. 

OO Quando utendum fu aut non fit narratione, id eft 

<on(iliu Dt Orat. IT. 81. 

* . - '■' % 

. I « 

w 4 


• • 


Xfc,X 

v re il fattp, né può fcufarfi , oppure il tut- 
to s appoggia alia fola ragione (17)} eppérò egli 
d&ve lafciaria. per non aggravar la fua caufa fic- 
chè poi abbia a durai- fatica per mitigare, e cal- 
mar lo. /degno degli uditori . Se piuttofio allora 
egli vuol raccontare , . difponga la fua narrazione 
in modo /pezzato, difpergendo qua e là nelle va- 
rie parti delia caufa i divedi fatti (18), foggiun- 
genao fubito ad elfi la fua difefa , acciò predo al- 
le ferite li applichi il lunedio il colpo tutto 
m un tempo non difcend* fa gliafeoltanti (to) 
La narrazione poi è inutile allorché è già fiata 
efpoda dagli avverfar;, ed è già nota al giudice; 
purché però fia fiata el'pofia , ed a luilìa nota in 
modo a noi .favorevole, perchè in un difcorfo el- 
la ha lupgo non Colo a fine d’ informar gli udito- 
ri delle cole , ma d informargli a vantaggio di chi 
parla (ao),;^, - ;•« .* ~v> 

* 2 ■ . d-Laf»ì 


0, I» 


\ rv ivt»--* t. e •? • ■ , 

• < \ T w • » *.. . 

'-> i y 


..07) Reus t“«c narrationew fubtrahit , cum id quod obii- 
«nur , ncc regari, nec excufari potei» , fed in fola juris qus- 

(18) Expediet iterum expofitione* brevi interfatione di- 
flinquere „ De inv, 7, 

OO. Sfoderare oportebir, ne aut cum obfit narràtio , aut 
cunr mhil profi* tunc uuerponatur . . . Obett , cum ipfiua rei 
gefl* expofitro magnani excipit oflenfionem : quam argumen- 
taado, ^ caufaof. agendo lenire. oportcbit , quod cum acci»' 
dent membratim oportebit partes rei gefiar difpergere in cau- 
fa t & ad -unamquamque confertim rationem accommodare 
ut vulneri profilo medicamentum (it, & odium flatira defen- 
fio mitiget. De Inv . 7. 

C*°> NihiI prode (l narratio tunc cum ab adverfariis re ex- 
pofita, no lira nihiJ intere/l iterum , aut alio modo narrare 
aut cum ab iif , qui audiunt ita tenetur negotium , ut nofìra 
mhif interne ^ eoa alio pafto ducere. De Inv . ivi * Nec hoc 
quidem fimpliciter a*cipiendum, quod eft a me pofitum f u 
pervacuam effe narrationem rei, quam jude* noverif . Quod 
fic intelligi volo, fi modo fattura quod l?r, feieti fed ita fa- 
i um etiam ut nobis expedit* opinabitur* Ncque enim narv 


X 84 X , ... 

La Narrazione finalmente per Io più è quél!# 
che apre la via alle prove; epperò giova fpargere 
in ella occultamente que’ principi d’ onde effe de- 1 
vono derivare , fenzachè però fi oltrapaflino quél- ' 
le leggi di brevità, che le convengono (zi) . ' • 1 


>* < 


ARTICOLO IIL' 

. . * * “« « f 

*. » 

. , Della Confermazione , ' ’ 

La Confermazione è quella parte dell’Orazio- 
ne, in cui il dicitore argomentando dà alla fu* 
caufa credito-, autorità e fermezza (i). ‘Ella è 
la parte più importante, e principale di'un ra- 
gionamento, conciofiiachè in effa confida il ner- 
vo, e la forza dell’eloquenza, Lenza la quale 
non può 1’ Oratore ottenere il Ilio fine. Difatti 
come può fpcrar egli di pervadere agli afcoltanti. 
quanto defidera , fe non apporta argomenti , e 
prove atte, e bafievoli a convincergli ed a con- 
fermare quello che fi è affunto a dimoffrare (z) ? 

Due fono poi le vie, che fi poffono tenere per. 
confermar una propofizione : I 5 una di addur le 
Prove , • e quella dicefi propriamente la Confer- 

ma- 


ratio in hoc reperti cft , ut tantum cognofcat judcx , fcd ali- 
quando magia ut confentiat . Quint. ivi. 

(il) Ne illud quidem fuerit inutile feto ina qua»dam prò. 
bationu in fpargere , rerum ut oarrationem effe memi nerimus-, 
non probatiouem . Ostimi, rr. a. . 

CO Confirmatio eit , per quam argumentando noftrae cau. 
fa fidem , 1 & auftori tatem & firmamentum adjungit orario* 

De Inv.l. , ^ ' ‘ 

• CO Tota fpes vincend? , ratioque perfuadendi poma eli 
in confirmatione , & confutatione. Nani cum adjumenta no- 
ilra expofuerimus , contrariaque diffòluerimus. , abfolute ni- 
mirum munus oratori um confccerimus • M Hcrcih l, io • De 
Jnv . HI » 


. x 85 *' 

, inazione s l’ altra di ribattere le contrarie opimo- 
ni , e quella chiamali Confutazione (3) . Sebbene 
J>erò quefle fiano due ftrade diverfe, per cui lì 
arriva a perfuaderej pure ad un fol capo fi ri- 
ducono, e tendono ad uno fieffo fine , di confer- 
mare cioè 1’ affunto jepperò non vanno diftinte , 
effendo che , ai dir ai Tullio , confutando anche 
le altrui , contrarie .. ragioni altro non facciamo , 
che confermar vieppiù la noffra fentenza (4). Noi 
in quella luogo tratteremo e dell’ una e dell’ al- 
tra in due diffinti paragrafi, confiderandole però 1 
«otfle una fola ed ideila parte dell’Orazione. ■ 

* * “ À , e •tn > •• • . * 

{ u i * y a. ' — ; « * v - 

< §• . .* * * 


' ». 


... Delle Prove t 


_ .. •• 1 . i ' • . , . 

, .Ld prove confiflonp; in una efficace ed affever 
tante efpofizione delle ragioni, colle quali l’ora- 
tore intende di provare il fuo affunto (5). Per' 
_aprirfj.il campo a queffe prove , fe il difeorft» 
roaflìme non portava alcuna narrazione, egli de- 
ve formare, una breve introduzione tolta da qual- 
che luogo illuffre , od anche da una fimiiituainc , 
o da>up paradoffo in guifa che incominci a por- 
re in certo modo le fondamenta, fu cui brama 

' - F 3 , . . 1*- 

li. ■ * a i Bmrn - " - -i 


♦ \ \ * 

— 


•• 1 


(b) Qua ad facìendam fidem pertinent in confirmationent a 
& ri» rp pre h enfiò ne iH divldtfhtùf . Nani ut confidando n d- 
ftra probare volumus, ita repreheodendo redarguere contra- 
ria / Ctc. in fPorfit. ; 

..00 Hapc rtptehenfie fonte inventionic eodem utettfr , qno 
aiti tur con firmario : propteret quod qui bus et loci* aliquà 
f*« confirrtiari poteft, irfdem potei! 9X loci* infirmar! , Di 
Zini. T r ■■ y 

.. Cs) Coùfirraàtip nofirorum argumntomm capofitto culti 
afieveratione . Ad U ir fn. /. f<. / ' 


;x ss x * 

lavorare tutta la fua orazione . Alterto LoHio 
così parlando a Carlo V . per là refiituzione di 
Francefco J. introduce nella fua caufa con quel 
belliflìmo penfiero di Cicerone per Marcello , che 

Ì li uomini per nuli’ altro più s’ aflomigliano a 
>io che per la clemenza 3 eia roifericordia ; e 
quindi fi fa firada poi a provare la fomma gloria 
che ne farebbe all’ Imperatore Carlo V. ridonda- 
ta dall’ efercizio di tale virtù verfo del Monarca 
prigioniero » Cominciando adunque S. M. il mio 
r azionamento da quella parte , che è come il fuo- 
loye il fondamento di tutta quella materia , di- 
co 7 che non eflendo la infinita bontà di Dio , nè 
per altra via meglio , nè pili efpr eoamente , che 
per la grandezza , e frequenza de' beneficj dagli 
uomini conosciuta / quei Principi tanto più degli 
altri alla divinità far an creduti qppreffarfi 5 quan * 
to più gli altri di umanità 5 di clemènza , e di 
cortefia fi . sforzano d' avanzare ec. ( 6 )* 

\ Fatta l’ introduzione fi difcende alle prove. Ma 
liccome prima di fcoccar il dardo è neceffario fiffar- 
ne la. meta ed il fegno, perchè quello non cada 
inutilmente; così nell’ addurre le pròve ci vuole 
tutto il giudizio dell’ oratore per prevedere a qua- 
Je fcopo abbiano a fervire , onde facciano colpo 
fui cuore degli ascoltanti ; e quefió è quello che 
non fi può apprender coll’arte ( 7 ). Vogliono 
alcuni che le ragioni più efficaci * e convincenti 


» • 1 » * * , 

00 Oltre che P introduzione deve efler breviffima , e non 
già un altro efordio, come purtroppo cert’uni fanno, d’uo- 
po è guardar/i ancora che non fia cavata dallo fielfo fonte, 
dai quale già fi è tratto P Efordio ifteffb . 

C7) Ut tela fupervacua futft nefcienti quid petar; fic ar- 
gumenta nifi praevideris, cui rei adhibenda fint . Hoceft.quod 

«omprchendi arte non polfit . Jivm. T. io. • . 


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X 87 X 

s ? abbiano a collocare da principio , e fui fine del 
difeorfo, perchè nel principio 1’ uditore è ffiù at- 
tento, e la fua mente meno affaticata meglio in- 
tende le cofe ; e perchè tutto ciò , che dicefi in 
fine, retta più altamente impfeffo.. te prove poi 
xnen forti e neceffarie , dicon’ elfi , che. s’ hanno 
a difporre nel mezzo , in quella guifa che i fóK 
dati men coraggiofi tra 1 ’ altre fchiere' fi colloca- 
no , acciocché in mezzo alla turba abbiano quel 
vigore , che da per fe fteffi e feparati non avreb- 
bero (8). Altri al contrario infegnano. che V ora- 
zione deve Tempre crefcere nel Tuo progredii 
sì che T una prova aggiunga come un pefo mag- 
giore all’ ajtra , e vicendevolmente Tempre più fi 
rinforzi l’argomento (9); il clttjnon v’ha dub- 
bio , che potcndofi Tenza difetto praticare* è mol- 
to aggradevole, e vantaggiofo . Imperciocché con- 
fidente attentamente tutte le prove del fogget^ 
to ,* gli argomenti, da effe tratti con vien. dispor- 
gli in modo, che «non fittamente aggiungano una 
nuova ragione, qualunque ella fiafi , ma una tal 
ragione ancora, che renda più forte il -principale 
argomento, Nulladimeno però anche in quello 
deve 1 ’ Oratore ufar del Tuo giudizio , e difpor 
le cofe fecondo il particolar bifogoo della fua cau- 
fa , concioffiachè non di rado a lui poffa tornar 

F 4 van- 

* 


(8) In Confìrmatfoiie, & Confuratfone argumcntatiomim <Ji- 

fnofitiones hujufmodi convenir habere : firmiflìinas argumenta- 
tiones in primis & in poftremis caufae partibus collocare : me- 
diocre? , & neque inutile? ad dicendum , nequo neceffarias ad w* • 

probandum t qu* fi feparatim ac fingili* dicantur, infirmar •. 

line, cum caeteris conjunftae Urtate & probabile* F.ant , fatar- 

ponr & in medio eoUocari oporcet Ad Hcren . UT. 10. De ’*V 4, * 

Crat. IT. 77. Quitti. V. ji. MI. 4. 

( 9 ) Trapefunt. Rhtu.Lib. IP* > . 1 


\ 


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X 88 x 

vnntaggiofo il riferbar in fine una ragione meno 
efficace ; quando quefta fia per effer più gradita 
agii ascoltanti, tolta effendo dalle circofianze del- 
U loro patria , dello fiato, d’unefempio de’ mag- 
giori , d- un particolare avvenimento , ec. (io) « 
Così Tullio per Àrchia ferba in fine • gli argo- 
menti tolti dair.efempio di Pompeo, 'dì Siila, 
di Metejlo Pio , di D./Bruto, di Fulvio, i quali 
avevano, fatto gran conto de’ poeti , per convin- 
cere i Romani che doveano confiderar come cit- 
tadino colui , che aveva celebrato le di loro glo- 
rie. Ed, Alb. Lollio per la liberazione di France- 
filo I. .fopendo che Carlo V. ambiva d’ effe r cre-< 
duto un altro Cefare per la, clemenza , conchiu- 
de : Farò fine col dirvi /*, che ; neffuna cofa' fu di 
maggior momento , nè di più forte efficacia per con - 
fecrare il nome dt Giulio Cefare all' immortalità , 
e conciliare /’ Imperio ad Jìuguflo , che V avere egli 
a ' Cafsj , a ’ Ligarj , Bruti , a Marcelli , ea a 
molti altri donato la libertà , e confervato la vi -• 
ta y e la dignità colla fua clemenza * 

- §. ir, 

„ . , J 

r % . . 0 » ♦ ► * 

Della Confutazione 4 


La Confutazione è quella per cui argomen- 
tando s* indebolifcono , fi ribattono, s’ annullano 
le oppofizioni , e le prove contrarie degli avver- 

- M : far; 

» 


0<0 Lib.VIT. e . io. Jnft. &bet. Semper ordinem eoffocan- 
di quem volumusy tenere poffumus ? Non Tane. Nani audì- 
tores moderancur Oratori prudenti, & provido ; & quod re- 
fpount, immuundum eft. Cic . Partii, 1%, 


X 89 X 

far; (il) • Quefìa non ha luogo certo t determi- 
nato in un difcorfoj perchè talvolta fi premette, 
talvolta fi Dofpone.alle prove. Quintiliano infe- 
gna , che V Attore dee prima confermar * la fua 
propofizione , quindi confutare quanto gli fi po- 
rrebbe opporre dall’ avVerfario . Il Difensore poi 
deve incominciar dalla Confutazione, per togliere 
dairanimo de’ Giudici o degli ascoltanti ogni pre- 
venzione contraria, e difporgli ad udire con men- 
te favorevole le lue ragioni. (1*^ Tullio però 
col fuo efempio ci ammonirle di confiderar ben 
bene e 1’ una e l’altra parte, e fedeli confutar 
1’ avversario noi ritroviamo eflere 1’ orazione 
piò gagliarda, e forte, dobbiamo alla confutazio- 
ne interamente appoggiarci , c riferbarla ai fine 
della caufa ; fé poi egli è piò facile il provare la 
no/ira propofizione, che il confuta&Ie contrarie 
accufe ; allora dobbiam procurare di diftogliere da 
quelle la mente de’ Giudici, e degli ascoltanti, 
col trasportarli- ad udire la noftra* confermazio- 
ne (13) . Così effendo per lui difficile il dimoftrare 
I’ innocenza di Ligario , e di Dejotaro, in quel- 
le caufe egli impiega tutta la forza del fuo dire 
nel rifpoadere alle accufe degli Avverfarj. Per 
" Mi- ' 


* * * > 

00 Confutàtió èi! contr&riorum locorwm dilfolutfo. Ad 
tìtren. /. IJ Repreheofto e!t per quam argomentando adver- 
fari or um confirmatio dilui tur , aut infirmatur, aut allevatur . 
De Tnv. I, * t 

00 Si agimus nortra cenfirmanda fune primum T tum qua 
DObis opponuotur refutanda. Si refpondemus , prius incipien- 
dum eft a refutatione. Quìnt . P. tj. 

OO Summa denique hu)us generis hac eft, ut fi in refe!- 
lendo adverfario firmior effe orario, quam in conHrmaadit 
noftris rebus potei!, omnia in iliam conferam tela; fin no- 
ftra facilius probari, quam illa redarguì poffunt , abducere 
animo* a contraria defenfjonej de ad noftra conor traducere - 
De Orat. ìl, 7 *. 


f 


X 90 x 

Milone al contrario prima confuta le oppofizio* 
ni , poi « tutto fi riporta a provare che : le infidie 
da C-lodio erano fiate tefe, perchè in quefto egli 
aveva campo ad eftenderfi , ed a grandeggiare colla 
fua eloquenza , , ' • 

A quattro capi generalmente fi può ridurre la 
Confutazione* I. alla Riprenfione , la quale ri for- 
ma col dimofirare , che 1* aflerzione dell’ avversa- 
rio* è afiolutamente falfa , o non è almeno de! tut- 
to vera* Tullio così nella oraz. per Rofcio Amc- 
rino nega afiolutamente, che il padre da lui fia 
flato uccifo : ed in quella per Dejotaro concede 
che quefto Re avefle allefiito un elercito , ma ne- 
ga , che fofle preparato contro di Cefare . 

V IL Alla Contenzione , che fi fa col provare, 
che Sebbene P avversario non abbia détto aperta- 
mente il falfo, la nofira fentenza è però affai più 
probabile , e miglior della fua • Così Cicerone 
nella oraz, per la legge Manilia loda Q. Catulo, 
ed Ortenfio , ma dimoftra ch’effì non aveano pe- 
rò la ragione dal loro canto . Ed il Cafa nelle 
fue orazioni per la Lega loda il penfar di quelli 
che amavan la pace ; < moftra però che allora era 
più opportuna la guerra . . - . 

III, Alla Diffimul azione , che è quando non fi 
rifponde alle accuSe direttamente , ma fi sfugge 
con grazia, e fi ofeura la difficoltà col fare una 
digreffione, o col porla in ridicolo. Nella CauSa 
a favor di Ciuenzio Cicerone fi gloria d’ aver po- 
tuto fparger tenebre fulla mente de’ giudici . In 
quella a favor di Celio fa una belliflìma digreflìo- 
ne deplorando la morte di Q. Metello, ed eflen- 
do allo fteffo Celio fiata oppofia la famigliarità che 
égli tenea conCatilina, PÒrator le ne ferve per 
allontanaci] dal punto della difficoltà dimoflrando 
come tanti e tanti avefle coiài potuto ingannare ♦ 

Nel- 


? 


x 


_ Of*i X 

Nella caufa poi per L. Murena prende a derider 
re la fetta degli Stoici , di cui era P avverfario 
Catone , ficchè quelli ebbe a letamare : oh cjual 
Confalo ridicolo abbiamo noi mai ! e fi fciolfe il 
Senato fenza dare alcuna fentenza . 

IV. Alla Ritortone y la qual confitte nel ritor- 
cere P argomento contro P avverfario , fervendo- 
li delle fue armi i flette per ferirlo ; o col dimo- 
ftrare etter lodevole ciò che egli accula come de- 
litto . Cosi parlando per Ligario Tullio rivolge 
1 ’ accufa contro di Tuberone : per S. Rolcio con- 
tro degli accufatori ; e nella oraz. a favor di Mi- 
Jone concede edere flato Godio uccilo , ma storta- 
mente . Ed Alb. Lollio in favor di M. Orazio 
non potendo negar la colpa dimoftra , che s’egli 
uccife la Sorella è più degno di lode , che di ca- 
ftigo . 

Tanto nella Confermazione quanto nella Con- 
futazione per ultimo devonfi aver di mira le fe- 
guenti regole : I. Di non danneggiare alla noftra 
caula o coll’ ingiuriare in vece di rispondere alP 
Avverfario , o coll’ efaltar troppo ciò che può 
movere invidia, e che merita piuttofto d’ etter di- 
minuito , o coll’ elulcerare in vece di rilanar la 
ferita , o col dir cole apertamente falle , e ripu- 
gnanti (14)* 

II. Di non confondere le ragioni , e gli argo- 
menti quando Piano efficaci , ma efporli con ordi- 



(14) Omnis cura mea folct in hoc verfari femptr , dicam 
«nim faspius * fi poffira , ut boni aliquid efficiam dicendo; fin 
id minus , ut certe ne quid mali . De Crai. IT. 75. Non tam 
ut prò firn caufis, elaborare Coleo, quam ut ne quid obfim : 
non quin enitendum fìt in utroque, fed tamen multo eft 
turpius oratori nocuiffe videri caute, quam non profiuffe . ivi 
JM. Vedi c, 5. &e. 


T 


X9*X 

ne, e dlftirìtamente : fe non fon tàlr udirne rtioU 
ti alfieme acciò abbiano congiunti quella forza 
che non avrebber da foli , e fe non come fulmi- 
ne *• colpivano almen come gragnuola (15) • 

III. Di ufare varietà nell’ argomentare difpo- 
v nendo le cofe in maniera che ne retti- occulto 1’ 
artificio,: e nod fia così facile intendere, dove il 
dardo vada a colpire. (16) ; e veli ire di figure vi- 
vaci e brillanti quegli argomenti raaffime che fon 
meno convincenti , perchè ne retti in certo modo 
abbagliato 1’ uditore r e non s’avvegga della di 
loro inefficacia (17)4 - : 

* IV. Di inferire . dalle premette chiare le confe- 
renze guardandoli bene che gli argomenti non 
fia noi neon eludenti* o che quelle negar fi pollano 
' come fai fe (18)* # , ....... . - 

V. Di non lafciar giammai le forti oppofiziom 
lenza rifpofta, perchè non ferdbri o che fi appro- 
vino , e fi , con cedano , b che non lappiamo farne 

la difefa quali convinti elfendo delia verità # 

r vr 

..vi#. 






» t 

(15) FirtnifZrmis argumentorum fingulis inflfandum : infir. 
finora congrégànda fune; quia fila per fe fonia noni opoftef 
clrcumftantibus obfcarare, ut qualia firn: appareant : base im- 

| « | * , • ■ • /* /> * _ m ' A ' /« 



ne. Quintr tt 4 t* , -r * ' . . , . , „ > - , 

(i<0 yarietur argomentato , fié aut cognofcat atteri* qùt 
audit aut defatigerur fimilirodinis fatreràce . Z>e Orat. II. 
177. Variare atrtem orationem magnopere oporcebit . Nani 
omnibus in rebus fimilitudo eft fatteratis mater . Id fieri po- 
teri: ,• fi non fimiliter femper ingrediamur in argumentaria- 
nem . De tnv . t. 

(17) Qu»da*n etiam qu«e probare noti peflis figura po’ttuc 
fpargenda funt . Hseret enim nonntimquam telum ifiui "«caU 
^um 3 & hoc ipfo quod non appare: t eximi non potè#. QjiintS 

Ò*Ò r*à. Cie. a4 Her. II. tnv. /, 


\ 


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X 93 X 

r VI. Di paflàr Tempre con grazia e sfuggir quel» 
le cofe che ci fono contrarie, e difender da quel- 
le Tempre a parlar pofleriormence di quanto ci è 
utile , e favorevole (19) . , 

< ' ' t i • V ■ 

§. III. * . • . , 

Delle varie fpecie , e forme d' argomentate . *: 

? Nè tutte le propofizioni meritano d* effer pro- 
vate» nè tutte provar fi poflono con egual pefo* 
Non fon da * provarli quelle ,< che fono sì chiare 
ed evidènti, che non ammettono verna dubbio (20) 4 
Quelle poi che fi hanno a dimoftrare tutte s* appog- 
giano agli argomenti, i quali o ci' perfuadono ad 
evidenza , o per fola fcienza , o per efptrienza , 
o per fede ^ o anche per mera; opinione , . . 

-<Ci convincono ad Evidenza , quando pongon 
la * cofa sì in chiaro, che non ammette piò venia 
dubbio o difficoltà. Per Scienza allorché ci danno 
una certezza la quale da altro non fi deduce che 
da una chiara, e ficura dimoftrazione . Per Efpc- 
rienza , quando la dimoftrazione è comprovata col 
fatto. Per Fede allorché tutta la noftra certezza 
fi appoggia alle relazioni altrui foftenute però da 
fodi , e giudi fondamenti • Per fola Opinione fi* 
nalmente quando con puri argomenti dialettici re* 
ftiam convinti fenza che però ne fiarao , intima- 
mente perfuafi . • • - / . \ 

* ' • - , . . \ 1 


C19) IHud in univerfum praceptum fit , ut ab iis qua la* 
dune, ad e a. qua profuut refugiamus. Quint. IP. x, 

-•(io) Q.u* propofitio in fé quiddam contìnet perfpicuum 
quod coniare inrter omnei neceffe eft , hanc velie appio, 
bare & filmar e nihil aujaet . Dt ìnv . /. 


X 94 1 

■ Totti gli argomenti perciò o fono niceffarj , a ■ 
probabili (21). Neceffar; diconfj quelli, che di 
ipr natura non ammettùn negazione , ed allìcme 
congiunti sì l’un l’altro folle n gonfi , che non fi 
pollòno piò recar in dubbio . Probabili o verofi- 
mili fon quelli , che fervono a qualche prova o 
dimoftrazione , ma non fomminillrano altro che 
una giuda congettura , ed una ben fondata pro- 
babilità . ^ • 

Trovati gli argomenti , ed i luoghi dove col- 
locarli 'nel aifcorfo , conviene fapergli ancor di- 
fporre in quel modo piò atto a far che fiano in- 
teli , ed a perfaadere. Or quello sVottiene colle 
varie forme d’ argomentare. $ ofiia coll’ argomen- 
tazione," la quale non è altro, che una fpiega- 
zione concludente dell’argomento che.fi adduce» 

Le forme principali d’ argomentare fono lei Il 
Sillogi f ma y 1 ’ Entimema . l ’ Induzione , I’ Efem- 
pio , il Sorite , ed il Dilemma . , ' : 

, ' < • «4 •*•'*!* 

. - ‘ *• « „ * 

* . Del Sillogifmo ei , ». 

m e, • • . N 

II Sillogifmo é una forma d’ argomentare y per 
cui f polle due propofizioni , neceffariamente fc 
ae deduce una confeguenza * Tale è quel del Boc- 
caccia G/Vr. dv nov.%* Quanto gli uomini fono più. 
antichi 7 più fon gentili : I Bar onci fono piu an- 
tichi , >ch? ntun altra uomo r ficchi fon più gen- 
tili . Quefto è il vero Sillogifmo filosòfico * V O* 
ratoré però- che non deve palefar cosi cbiaramen- 


. ■ * ... » . 

C *0 Argnmerrtatia videtnrr effe Inventimi ex aliqirt? gette* 
r* * lem aliquan» aut probabiliter ollendens , aut neceffarìe de- 
monflran*. De Tnv. I. i nel /. de Orat. Probabile inventnm 
ad faciendam fidem * ‘ t ' * * 1 


) 


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I 



te l’artificio deile fue prove, e che ha da lafciat 
libero il corfo.alla eloquenza, non uia quello 
metodo, nè quefla pjrecifione del fiiofofo ; ma 
' cambia l’ ordine delle proporzioni : lafcia quella 
che facilmente fi lottintende , $* eflende , amplifi- 
ca > foggiunge a ciafcuna delle premette la fua di- 
moflrazione , e cosi d’ ordinario il Sillogifmo o- 
xatorio viene ad aver cinque parti ; due premef- 
fe colle loro refpettive pre”“ ~ la confeguen* 

/• v T T ir» • i /• / : 9 m jr • 


Ione così avrebbe argomenti er ? moftrare ef- 

Xere flato Clodio l’ aggreffor tiorba f[i a giu- 

dicare infidiqtore , fecondo _ >0 di C afflano , 

a di cui vantaggio torna la morte dell*. ucci fo y 
ma fitcome la morte di Milone era '.di gran van-' 
raggio a Clodio ; dunque Clodio deve effere fiato 
J' insidiatore della vita di Milone f Ecco com# 
quell’ argomento da Cicerone . viene maneggiata: 
Qvtonam igitur patto probari potefi , infidi as Mi - 
Ioni fecijje Clodium ? Satis efi qutdem in illa 
tam audaci , tam ne fari a bellua aocere , magnam 
ei caufam , magnam fpem in Milonis morte prò - 
* pofitam , magnar Utili tates , fuiffe * Itaque illud 
Caffianum , cui bono fuerit in bis Perforiti vale at ; 
& fi boni nullo emolumento impelluntur in * frau- 
derà , improbi fxfe parvo . Atqui , Milone mter - 
fetto , Clodius hoc affequebatur , non modo y ut 
Prator ejfet , wo# *0 Confuto ^ >quo fceleris nihil 
facere poffet ; fed ettam ut bis Confulibus Pr at- 
tor effet , quibus fi non adjuvantibus y at conni - 
ventibus certe fperajfet , fe poffe Rempublicam e - 
ludere in illis fuis cogitatis furori bus , la 


,m (22) . Un Filofofo razion per Mi 




dK 


• ( 


^ , * » 

00 Quefto fillogifmo dimoftrato in tutte le fue parti da 
alcuni è flato anche detto Epichtrtma • 


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X 96 X . . 

difefa di M. Orazio così avrebbe argomentato un 
filofofo per dimoftrar ai Romani V obbligo grande 
che loro correa di falcarlo . Quante è maggiore il 
beneficio ricevuto , maggiore deve ancor ejjere la 
gratitudine ; or ftccome il beneficio a voi da Ora - 
zio conferito , o Romani , è immenfo ; così dunque 
la yqjtra gratitudine » non » deve .rtconofcer alcun 
limite o termine , nè v ha mercede che bafli a ri- 
compenfarlo . Alb. Lollio così da Oratore tratta 
• quello fillogifmo . Che fe fi dee effer grato verfo 
tutti coloro y che ci fanno alcun beneficio , a quelli 
fenza dubbio fiamo tenuti maggiormente , che lo 
fanno - in tempo di bifogno opportuno . T alchè do- 
vendo ì a mercede corrifpondere al merito , quanto 
maggiore è il comodo , che fi riceve* tanto aee ef- 
Jer la rtcompenfa piti larga • ‘ Che guiderdone y 
che premio, che mercede potremo noi in fegno di 
gratitudine dare ad Orazio , che confiderata la 
grandezza dell' obbligo , che abbiamo con effo lui y 
non ci paja piccola , e poca ? ec. Ecco un Siilo- 

gifmo in un Epigramma di Marziale : 

• % 

* * . » * f * . 

Si quando leporem mi tris mi hi Gel Ha y dicis S- 
Formofus feptem , Marce , diebus eris . 

Si non aerides , fi verum , lux me a , narra* 
Edifii numquam , Gellia , leporem • 


.D*// 1 Entimema . • * 

• < V 

f ' é ' * '■ * * * * * 

L’ Entimema è un Sillogifmo imperfetto , nel 

? |uale da una fola propofizione fi deduce la con- 
eguenza 5 tacendoli V altra come. facile ad inten- 
derli • Così 1* afa il Boccaccio nella Gior. Vili . 
n- 9- 5* cotefiui fe ne fidava , we we fi- 
dare io, quali dir voi effe:. A quello , cut fi 
fida un altro y poffo dar fede ancor io.: ma dì co- 
te* 


■rr 


/ 


X 97 X 

tefiui altri fi fida ; dunque me ne pojfo fidare io. 
Anche in quella argomentazione per 1’ artificio 
oratorio fi può premettere la conseguenza,; fi pu?j 
eltendere, ed 'amplificare la propofizione anteceden- 
te con apporvi la fua dimoftrazione , fecondo che 
richiede il biftìgtìo.' Tullio così nell’ Oraz. per 
Sello Rofcio : Ergo idcirco turpis hcec culpa eft , 
quod duas rea fan&iffimas violat , amici ti am , & 
fidem . Nam neque mandat quifquam fere nifi a- 
mtcoj neque credit , nifi eì, q Uem fidelem patata 
Perda, Jfimi efi tgrtur hommis firnul amici ti am 
dijjol vere , & fall ere eum , qut l refusi non elle e , 
nifi credidifiet. Ei- Alb. Lollio agli Accademici 
di Ferrara : Effondo /’ Antimaco ornato di molti 
prudenza , dt fomma dottrinai efd'un giudi ciò a- 
cut turno, tn cu, r, lucono tanti lodevoli cojìumi y e 
rtfplendono tante belle virtà , quante forfè iidHol- 
tt altri non fi troverebbono di leggieri , come po- 
tremo noi dubitare eh' egli fópra oìftf al iró non 
. nienti, d ejjer eletto Dittatore e capo della notiti 
. Accademia ? Belli fra gli altri poi fono quegli en- 
timemi , le di cui conclufioni giungono inafpetta- 
te, perchè derivate da una antecedente, dalla qua- 
le fembrava doverfene dedurre una totalmente con- 
traria . II Cafa nella 2 . Oraz. per la Lega così 
prova doverli fubito preparar la guerra , perchè 
appunto 1 Imperatore in quell’anno volea ripo- 
sarti; e dopo non doveri Veneziani fidarli di Car- 
lo, V. appunto, perchè eflò moftrava di non aver 
odio con elfi ; i quali luoghi fi fono gii altrove 
riportati. Ecco un Entimema in un Epigramma 

■ Si memìni , fuerant libi quatuor Aelia dentea . 
fa'- t.xpun una duos tuffis & una duos . 

Potes totis tuffile diebus : • 

™'L fi tc . a S at tenia tuffis habet . 

Gtard. Elem. T. II. G Dèli* 


s . ^ 


X 98 X 

% 

» • f 

Dell ’ Induzione . 

. #• 

L’Induzione è una forma d’argomentare, col-» 
Ja quale enumerando molte cofe certe ed indubir 
tate , da quelle inferiamo poi una confeguenza fa- 
vorevole al noltro affunto . Tullio perciò dice ( 2 f) y 
che bifogna riflettere I. che le premette fiano in^ 
negabili % e che la cofa che vuoili ' dimoftrare fia 
in tutto Amile a quelle . II. che T induzione non 
ila troppo aperta e maniferta, e che V argomento, 
venga avvivato coti figure veementi . III. che fe 
v’ha dubbio che 1’ avverfario neghi alcuna delle 
premette, o la parità dell’induzione, fi convinca 
colla dimoflrazione . Eccone un efempiq nella Q - 
raz. a favor di Cor. Balbo - Si M, Craffus , ft\ 
Qj Metellus, fi L. Sylla , fi C. Maxius , fi Se- 
natuS y fi populus Romanus jure j ceder atos homines . 
rivi tate don aver unt ; & Cn . Pompe) us L • Cor- 
nelium fccc(eratum jure potuti rivitate donare * * An- 
che Enea pretto Virgilio così argomenta non do-, 
vergli etter vietato l’entrar negli abiffi : 

Si potai t manes arcejfere conjugis Orpheus 
Tbreicia fretus cithara^ fidibufque canoris ; 

Si fratrem Poi lux alterna morte redemit , 
Itque reditque viamtoties : quid T hefea , ma- 
gnum # . - 

Quid memorem Alcidftnl Et mi genus abjfo - 
ve fummo . . , 

Ed Alb. Loilio parlando a Paolo III, per la. 
guerra di Germania così argomenta doverli Ite- 
rar 

1 ' l- ■ ■■ - ^ 

• < 

(*35. De Inv. I, 31 . 

. » . . * 


V 




X 99’ X 

rar fa vittoria, benché potente e forte forte il ne- 
mico . E /fendo che non nella frotta di molti , ma 
nel cuore , e fortezza di pochi la vittoria confifle . 
Soflenne Agefilao con pochi compagni /’ impetuofo 
a [l'alto di più di fettunta mille perfone guidate 
da quel tanto terribil fulmine di guerra Epami- 
nonda . Ruppe e fracafso Milziade né' campi Ma* 
raton} con dieci mille foldati cento mille Perfi . 
Fu con pochi firne navi la grandiffima e forti [ffìma 
armata di Serfe da T emiflocle vinta . Quante vol- 
te fuperò Ale/} andrò con picciole / quadre i nume - 
rofi e forchi di Dario ? Quante illufìri vittorie ac -* 
quifio Cefare con pochi contro molti ? Quante Sci - 
pione , quante Annibaie , ec. In quefto modo leg- 
gefi pretto Plutarco che anche il figlio di'Temi- 
Hocle argomentava comandar egli a tutta la Gre- 
cia : Quello che voglio io , vuole mia madre: quel- 
la che vuole mia madre , vuole T emifiode : quello 
che vuole T emiflocle vuole il popolo Atenìefe -• 
quello che vuole il popolo Ateniefe lo vuol tutta la 
Grecia ; dunque -io comando a tutta la Grecia • 


Dell ’ E f empio , 

• ^ w ~ . *•> W f * 

• * > ^ 

L’ Efempio non è altro che una induzione im- 
perfetta concioflìachè quell* argomentazione fi for- 
mi col dimoftrare il noftro attunto con un efem- 
pio , il quale ci dia una conclufione favorevole o 
per fomiglianza , o per.diflòmiglianza , oper op-, 
porto . In quefto bifogna avvertire , che l’ efem-' 
pio, fe è vero, fia.fcéltó ed autorevole, e con- 
tenga tutte le circoftanze , di cui fi tratta le 
quali s y hanno da efpor chiaramente, applicando- 
le ancora alla cofa , che vuoili dimoftrare • Se poi 
1* efempio è favolofo (benché di quelli rare volte 
debba l’oratore fervirfene) anch’ egli fia in tutte le 

G 2 lue 


A 


X 100 X 

ftre parti atto al bifogno , e teffuto fecondo le leg- 
gi della favola. Cicerone coll’ efem pio dimoftra ef- 
tèrgi i lecito condannar a morte Catilina : An ve- 
ro vir ampli (fimus P. Scipio P. M. Ti Aeri um Grac- 
cbum meaiocriter labefattantem fiatum Reip.priva- 
tus inter fecit ; Catilinam vero orbem terra cade y 
atque incendii s vajlare cupientem nos Confules per - 
. feremus P E nell’ Orazione per Archia , dall’ effe- 
re (lato un tempo fatto cittadino Ennio, prova do- 
verfi far lo (letto d’ Archia : Ergo illum , qui hcec 
fecerat , Rudium hominem , majores nofìri in ci- 
vitatem receperunt y nos hunc Heraclienfem , mul- 
' tis civitatibus expetitum , in hac autem legibu? 
confiitutum de nofira civitate ejiciemus ? E Cato- 
ne pretto Salluftio nella Congiura di Catilina: A-' 
pud majores nofiros Aulus Manlius T or quatus bel- 
lo Gallico filium futim quod is contra imperium in 
hoflem pugnaverat , necari juJJit j atque ille egre- 
gi us aaolefcens immoderata fortitudinis morte pce- 
nas dedit y vos de crudeli (fimis parricidis quid Jìa- 
tuatis y cunttamini P Ed Alb. Loffio agli Accade- 
mici di Ferrara: Ma per cagione di brevità dirò 
foto che dove è maggiore il pentimento , quivi fili - 
mar fi dee che jia più grave il fallo . Or non Zap- 
piamo noi , che Caton Cen forino lucidiffimo Spec- 
chio della prudenza Romana venuto a morte , di niu- 
va altra cofa tanto acerbamente con gli amici fi 
dolfe , guanto di aver talora trafcurat amente in o- 
zio pajjato qualche giorno P 

t 

% 

« t 

Del S ori te . 

In quella argomentazione . da una premetta fi 
deducono molte confeguenze, le quali come una* 
catena 1* una dall* altra dipendono , fenzachè pe- 
rò vi fi aggiungane prove. Il Sorite viene ia 

ufo 


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X tot X 

tifo fpeciàlmefrèe nell’ epilogo , dove fi riafium^ 
no in breve tutti gli addotti argomenti , e fi di- 
feende gradatamente a quel punto che fu come 1$ 
lfleta , e lo feopo della noftra Orazione. Così 
Tullio nel V. delle Tufculane conchiude effer be- 
ne folo ciò che è onefto . Quod bonum fit , id ex* 
petendum : quod expetendum , id certe approban - 
dum : quod approbandum s id certe gratum , acce - 
ptumque habendum : ergo ettam dignitas ei tribuen- 
da efi : bonum igitur omne laudàbile : ex quo effi- 
gi tur j ut quod fit honefium , id fit folurh bonum . 
E Claudio Tolomei nella fua Orazione contro di 
Leone feg reta rio così argomenta’ : E vero , che tu 
abbi divolgatì i fecreti mifieri della virtù o no ? 

- Non rifponde , perchè negar noi può , t eonfeJfar noi 
dorrebbe . Certo' debbe efler vera* Còme fe dir va* 
Ielle: Cofiui non rifpondé ; dunque negare noi può e 
dunque noi v&rfebbe confeffare : dunque è vero f 
che ha divulgato i fegrett della virtù .• Il Sorite 
e la Induzione foftanzialmentc non hanno fra -di 
loro' molta diverfità ; quindi l’uno cón T altro tal- 
volta fi confondono.- Tullio però' ci avvifa,oel IL 
delle Tufculane che il Sorite propriamente" è. pi h 
' atto pel filofofo ch$ per V Oratore , portando di 
necefiità tin dire concilo e vibrato men convene- 
vole a (piegar rutta la forza dell 5 eloquenza neoeC* 
faria mamme nella perorazione * - • . 

,V ; *■ \ l W , 

«• * * ‘ ' w • 

Del Dilemma 4 • * » • 

Il Dilemma è uri* argomentazione detta cornuta , 
perchè polle due propofizioni tra di loro contra- 
rie , qualunque di effe dail’ T avverfario fi neghi , 
Tempre f« ne deduce una confeguenza favorévole . 
Ecco, come Tullio confonde Antonio 1 nella Fi- 
lipp. 2 . Irrterfeiìores Cafans vel funi patria l i he- 


I 



x ite y 

raferes , vet parricida : fi patria liberatore* ^ fitti - 
te arguor a te Jocium . eorum fuiffe : fi parricida 3 
male a te honoris caufa nominantur . VeU fluite /- 
gì tur a te teprehendor y vel male il li honoris cau- 
fa nominantur . Anche Demetrio predò Livio co* 
sì fi purga col padre dali’accufa del fratello Perr 
feo: Explica ut rum aperte y an clam te aggreffuri 
fuerimus f Si aperte , cur non omnes ferrum ha- 
burnus ; cur nemo prater eos qui tuum f peculato- 
rem pulfarunt ? Si clam , quis ordo confiti fuit ? 
Quatuor te fopitum aggr e derentur ? Quomodo tru- 
cidato te ^ ipfievaf uri fuerint ? Quatuor gl adii* 
domus tua capi & expugnari potuit ? Così Cato- 
ne predò Saliuflio prova contro V opinion di Ce- 
lare efler da condannarli a 'morte i complici di 
Cantina -r „ Vanum confilium Csefaris eft fi perir 
culum ex illis metuit : Sin in tanto omnium me- * 
tu folus ‘non timet , eo magis refert me mihi ac- 
que vobis timere “ . Anche il Cafa nella Oraz.1* 
per la Lega ufa del Dilemma . in quello modo t 
Conciofiachè le paci dell * Impera dorè fieno fiotto i 
r vefilimenti armate , e de mani abbiano adunche y e 
P unghie pungenti e fanguinofe y e che le fue ami- 
cizie non preghino y ma comandino • anzi sforzino y 
riè con lui poffa alcuno avere infieme concordia e 
libertà ; di neceffità conviene , che Voi de * due par- 
titi V unó abbracciate y cioè , che voi eleggiate d y 
e fere o nemici , o fi oggetti alV Impera dorè y e deli- 
beriate quale voi amiate meglio o la guerra , o la 
fervitù . E Marziale contro Cinna argomenta con 
un Dilemma’ cW ci non è uomo civile : 


. . . • 

Primtfm efiì , ut prafles y fi quid te , Cinna , 
rogabo y 

Illud deinde fequens y ut cito r Cinna y ne- 

' -gts. \ 

— ' * • - • . » 

Z>r- 


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X «Oi X 



Sed tu nèc prxflas , cito y Cinna , tff- 


/ew , , 


/ew , , 



»> . 

ARTICOLO IV. 


« Della Perorazione . 


T w . 

jLi a /Perorazione in 


in genere è queir artificiofo 


modo di finire e conchiudere un ragionamento j 
per cui con brevità fi ripete ed epiloga quanto già 
fi è detto , e fi movono giuda il bifogno anche 
gli affetti (i) . Due però fono le parti della vera 
Perorazione , r L 5 Enumerazione o Epilogo ± e P 
Amplificazione (2) . * 

' » •L’Enumerazione è quella; per cui il Dicitore 

raccoglie brevemente tutte le ragioni difperfe , e ♦ 
addotte «nella caufa comein un foL punto’, affine 
di rinovarne agli uditori la memoria, e d’ impri- 
merle nell’ animo loro (3). Nel . far quedo egli 
. deve . offervar le feguentf regole. ì. Sceglierà dal- 
le prove foltanto quelle cofe. che erano le più efc 
ficaci , ' e lafcierà tutte le altre . II. Le efporrà 
brevemente e di fuga, non già ripetendo una nuo- 
va orazione (4) .IH. tiferà nella efprefiìóne qual- 


(ì) Concitino eft artificiofus terminus oràtionfs . AdHeren. 
1. 3 . De Inv. 1. V w / u' 

CO Peroratio eft divifa in duas'^artes , amplificationem . 
Se enumerattònem . Orai: Partii. Oic. •*« - 
C 3) Enumerano eft , per quam rea difpetCè , & diffufe di- 
ftas unum in locum coguntur , & reminifeendi cauta un urti 
fub afpeftum fubjiciuntur . De Inv . 7. 

CO Coiflmuné autem praeceptum hoc datur ad enumeratfo- 
uem, ut ex unaquaque argumentatione , quonium tota i*e- 


G 4 . che 


rum 


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- ' X 104 X 

. che varietà per non attediare colle fteffe cantilene* 
IV. Finalmente fi concilierà di nuovo l’attenzio- " 
ne degli uditori, maffirae colla eleganza dello Iti- 
le, affinchè fiano più atti a ricevere il movimento 
degli affetti . 

Si guardi inoltre T Oratore nell’ Epilogo . dal 
inoltrare una certa ofientazione di memoria la qual 
i’arebbe cofa puerile (5) \ epperò fe la caufa è bre- 
ve , e chiara nel Tuo ordine, farà meglio, ch’egli 
lafci di. formar P enumerazione , che correr peri- 
glio di attediare gli afcoltanti. con inutili parole . 
Ècco come brevemente Cicerone epiloga tutto ciò 
che diffe in difefa di Archia: Quare confervatej u- 
dices hominem pudore eo quem ami cor um fludiis vi - 
detis comprobari , tum dignità te , tum etiam venur* 
fiate ; ingenio autem tanto , quanto id convenit e- 
xijìimare : caufa ver o-hujuj modi , qux benefìcio le- 

■v gis , au&oritate municipi i , teftimonio JLuculli tabu* 
ìis Metelli comprobetur . Ed Alb. Lollio a Pao 
Io III. nell’ orazione per la guerra di Germania : 
Senza efprimere il nome di Paolo Terzo bafli di* • 
re, quel Pontefice , che ha la ^Germania da lunga 
e pericolof a infermità ri fanata . . dagli errori pur* 
gata , dalle f alfe opinioni diflolta , dalla dura ti- 
rannide liberata , e finalmente all' obbedienza dell 9 
Impero e devozion della Ghiefa ridotta • * \ r " 


rum dici non poteft , id eligàtur, quod crìt graviflìmum , & 
unumquodque quam brevifiìme tranfeatti*v a* memoria ti'on 
orario renovata videatur. De Inv. I Qua? reperemus quant 
breviffime drtenda funt , & quod greco verbo pater , decur- 
rendum per capita . Nam fi morabimur non jam enumeriti 
fio ^ fed altera quafi fiet Orario. Qui ni . VI. ». Ad Heren^ 
IT - 31 * . . , 

.(5) Ent in enumeratione vitandum, ne oftentatio memo- 
riae fufcepra , videatur effe pueritis . CU. Orat. Patt. c. 15. 
Vojf. L. ìli. c. 9. Rhet. 


i 


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X IÒ5.X 


• ì.* Àfrtplificaiionc, oflia la Wfll Péròràtióne è 
la parte più difficile di un difcorfo ; epperò fi tro- 
vano molti oratori , che dopo d’ aver ottimamen- 
te trattate tutte le altre , mancano in quella , per- 
ché ella confitte nel movimento degli affetti , dal 
che dipende la fomma lode dell’ eloquenza , ed il 
buon efito della caufa(6) > Per ottener quello più 
facilmente , fecondo che infegna Ariftotile (7) , 
tre cofe devonfi prettare dall’ oratóre : I. Difporre 
gli afcoltanti a fentir bene di fe e della fila caufa, 
e male deir avversario . IL Ingrandire- ed amplifi- 
care , oppure diminuire, giufta il bifógnof* 'la co- 
fa , fopra di cui cade la queftioné. III. -Movere 
€ dettar quell’affetto che torna più opportuno per 
ottenere il trionfo e la vittoria • Ora per difpor- 
re gli uditori a fentir bene della caufa, egli deri- 
verà il tutto dai fonti dell’ onefto , del giufto , 
dell’ utile pubblico , ed avrà i dovuti riguardi al 
luogo, al tempo, alle perfone per cui, a cui, ^ 
corttro di cui parla , fempre dimoftrandofi amante 
del vero * Per ingrandire 0 diminuire la cofa e- 
gli fi figurerà di parlare per fuo proprio interef- 
fe, procurerà di prefentarfela al vivo e nel fuo 
più efficace afpetto alla mente, ed uferà uno ttile 
più magnifico e forte > A fine poi di movere gli 
affetti egli fi riferberà nella perorazione i tratti 
più Vivi ed efficaci , le immagini più penetran- 
ti (8) , e fi sforzerà in ogni modo di deftare in fe 

ftef-t 

i « • » * 


■ » 


■ 


Ma 


00 Peroratio & alia quidam habet , & maxime amplifica* 
tiooem , cujusefieftus is debet effe , ut aut perturbentur animi, 
aut tranquilientur; 8s fi ita jam affetti ante fune , bt augeac 
eorum motus , aut. fedet orario . Cic. in TopÌc % 


(7) Lib. XXL e, 19. Rhetor. 

W 


£a qu* exctllunc ferventfcr ad peroundum : fi qua 

«rune 


\ 



. X io6 x 

fletto prima ^uel movimento. che vorrà negli altri 
eccitare (9) , 4 

té ^ t/y* _ . • 


^ _ ... ^ V 1 f J 

Degli affetti parleremo Angolarmente nella Par- 
te II. Qui badi V avvertire 9 che effendo altri vee- 
menti , altri più miti , non in tutte le caufe di 
loro devefi ufare indifiintamente „ Se la caufa è 
di picciol rilievo bifogna ricorrere ai. fecondi : a- 
gii altri poi fé ella fo/Te di grande importanza,! 
come fe p. e. fi trattale delP onore , della vita, 
della ; libertà , o della Religione , E come quelli 
affetti nafcono da uno ftraordinario e forzato mo- 
vimento dell’ animo , così quello non potendoli 
lungo tempo .mantenere in . uno . fiato violento , 

f >refio cede, e ritorna alla fua primiera tranquil- 
li eppero conviene che l’amplificazione fia bre- 
ve, concioflìachè , dice Tullio., njuna cofa più 

{ >refto inaridita delle lagrime (io)./ Tuttoché poi 
a Perorazióne folle fiata veemente e gagliarda, 
allorché al Tuo termine fi avvicina deve a poco & 
poco* maeftofamente cedere così che venga a fini- 
re con gravità , ma con un tuono più umile e pla- 
cato; a guifa appunto di una nave, che fpinta 
velocemente dai venti , nell’ entrar in porto ral- 
lenta j>erò alquanto il fuo corfo , e con ifiupore 
di tutti i circoftanti placidamente al lido fi avvi- 
cina. .. ,t . t , - . j ■' 

• m 


m 


• * i 


ernnt mediocrìa C nam vitiofis nufquam effe oportet Iocum ) 

10 mediani turbam atque in gregeio conjiciantur • De Orar, 
//. 77 . 

C9) Cosi infegna Orazio nell» Arte Poet. Ti vis me fiere , 
dolendum tjì primum ipfi t ibi ; rune tua me infortuni a /£• 
dent - 

Ciò) Commiferationem brevem effe oportet . Nibll e nini 
lacryraa citius arefeit. fià Heren . IT. 31. quello che fi dice 
della pietà s’intende di tutti gli altri affetti ancora , perchè 

11 precetto di Tullio è generale , 


j 


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X *07 X 

M. Tullio ficcome è grande in tutto, cosi é im- 
pareggiabile , e divino nelle perorazioni . Lungo 
larebbe V addurne quivi gli efempj ; epperò veg- 
gafi il fine fpecialmente della Miloniana , della o- 
razion per Ligario , di quella per De jota ro, e d* 
altre fimili difefe , dove fi troveranno tutti gli af- 
fetti maneggiati nella maniera la piu efficace, che 
mai immaginare fi pofla . Tra le più volte citate 
orazioni de’ nofiri Italiani poi belli/fime fono le 

J perorazioni di Monfig. della Cafa nella oraz. per 
a rellit. di Piacenza; quella d’ Alb. Lollio in di- 
fefa di M. Orazio , e di Furio Crefino ; quella di 
Claudio Tolomei in difefa di Leone , e molt’ al- 
tre ancora di diverfo genere, nelle quali feppero 
efiì giulla il bifogno amplificar le cole , ed ecci- 
tar que’ movimenti , per cui 1’ eloquenza foltan- 
to può riportare un pieno e compiuto trionfo fui 
cuore degli uditori. v* r \ 

capo m. 

». ' # Q 

. . '* 

Della Memoria 

L’ altre parti della Rettorica fin qui efpofte fer- 
vono a teffere V orazione ; lé due che feguono 
piuttofio a formar V Oratore, perchè fono propria- 
mente neceflarie a chi vuol perorare le caule. La 
memoria pertanto non è altro che una ferma per- 
cezione che ha P animo delle materie, delle paro- 
le, e della difpòfizione di un difcorfo (i). Qae- 
liz è utile non folo ma neceffariffilrnà all’ Orato- 



• * # • 

CO Memoria «fi firma animi rerum , ac verborum Se di- 
rpofitionis ad inventionem perceptio. De Inv . L ed ticreo. 

a. T , . . » »' 


X 108 x 


fe , acciocché egir-poffa recitar fenza ithpedimen-' 
to e pretto la Tua orazione : perchè bene pronun- 
ci , e con franchezza agifca 5 . e fe la necettìtà il 
porta , poffa anche dire improvvifamente (2) . 

La memoria fi può conlìderare irt due afpctti , e 
come un dono avuto dalia natura , e come acqui- 
fera coll’ arte (3) • La memoria naturale è quella 
facoltà dell’ animo, per. cui ci ricordiamo del- 
le cofé avvenute , o lette , e quetta coltivandoli 
va fempre crefcendo , e fi rende più pronta e per- 
fetta (47. La memoria artificiale è quell’ artificio 1 - 
fa facoltà , per cui ci ricordiamo di molte cotte a 
cagione di var; fegni , de’ luoghi , dei. tempi > ec. 
D’ amendue parleremo diftinta mence » 

a ' » • * 


Se fa Natura affatto' ci ha fproweduti del bel 
dono di memoria , alIora non fi pub forfè in ve- 
runa maniera acquiftare ;■ ma fe. ella in quello ci 
fii propizia , benché di poca ne abbia dotati , pof- • j 
«amo accrefcerla e confervarla colla temperanza 
dfel vitto , col raccogli menta delio fpirito e. della 
perfora, e matti me col continuo ettercizio (5). L’ 



4 


Della Memoria naturale. 


O- 




ft arti» prsctptife 
fine 


X *09 X 

Oratore pertanto affine di perfetto renderli anche 
in quefta parte, e di confeguire una sì importan- . 
te facoltà , offerverà le fegucnti regole . 

I. Si eferciti di continuo coll’ apprendere cofe 
le pih ottime, perchè quelle piacendo affai di pili , 
facilmente s’ imprimono nella mente ». 

II. Ne filli prima l’ordine, la difpofizione, la 
divifione delle parti : ne confideri gli argomenti;, 
e non impari periodo per periodo , ma Icorra dal 

f rincipio fino al fine, fe l’ orazione è breve; fe 
lunga parte per parte , acciocché non. corra pe- 
riglio di perderli, e confonderli nella moltitudine. 

del pezzi apprefi {6) . . - -, ; 

III. Scriva la cofa dtv, proprio pugno , e non. 
cambi nell’ imparar lo ferino , perchè certi fegni, 
e le cancellature offervàte nel leggere molte vol- 
te giovano a far rifovvenir le cofe, ed i paffag- . 

^ | • * *• 4 * ' 

IV. Impari a ftomaco digiuno, o almeno non ' 

Cubito dopo il cibo ; e fpqcialmente in fui matei- 

; no , - 




fi n e fumma affiduitate exercitatioms , tum vero in tmuitu. 
ntit minimum valet dottrinarmi! induftria , Audio, labore , 
diligentia , comprobetur. Ad Heren. in fin. Si quis tameu 
imam , maximamque a me artem memori» qu»rat , e xe rei- 
etto eli, & laiior . Multa edifeere, multa cogitare, & fi 
fieri potefl quotidie, potentiflìmuni eft . Nihil *que vel au- 
cetur cura, vel negligenti» intercidit. Quint. XI. 2. 


*v 
•il t 


cura, vci m j. 

in his qu* fcripGmus complettendis multum valent di- 

ifio < 


i u ina *^**r M “* ,B " a 

& compofitio. Nam qui rette diviferit , nunouam pare- 
m in rerum ordine errare.... Si longior compiettenda me- 
moria fuerit Oratio , proderit per partes edifeere ; Se h*c . 
pjftes non fint perexigu», alioqui mmis multa erunt , & eam 
diftinguent, & concident. Quint* XI. i. . • . . 

lllud neminem non juvabit iifdem , quibug fcripferit 
ceris edifeere . . . Jam vero fi litura aut adjcttio aliqua aut 
mutatio mterveniat, figna funt quxdam , qua intuente» erra- 
re non poflgmus • Qui*** ivi % _ . 


* 


* ^ 


r 

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’^r 


X no X' 

no , ■ quando la mente non -è dillratta , e pel ri** 
pofo della notte é più placida e raccolta (8). 

V. Nell’ apprendere palleggi,: o almeno llia- rit«. 

to in piedi , e non legga con voce troppo eleva- 
ta , né fi agiti, fuor di modo per non flordirfì : 
ripeta poi le cofe apparate frequentemente feco 
fleffo' fra il filenzio , e roaflune prima di prender 
fbnno alla notte (9) . . \ 

VI. Se per ultimo il tempo è breve, eia me-, 

moria non può efartamente e con minutezza fer- 
vire, allora non fi obblighi ad imparar le paro-, 
le, ma bensì i fentimenti, acciocché sfuggendogli 
dalia mente un vocabolo egli non fiacoilretto ti-, 
tubare, confonderli , e tacere (io) * , 


Della Memoria Artificiale . , f 

♦ * * % a V 

* » l ' 

I / » ■ 

- Potendo molte volte accadere , che {e cofe ap- 
prefein privato per la divertirà della (cena o del- 
1’ apparato che ci fi prefenta allo lguardo , in pub- 
blico ci sfuggano dalla mente, è Itaro ritrovata 

un 

# / . • *■ * « * 1 

» — > .. ■■ 1- . 1. • 

. > 1 - - 


( 8 } Ilfud edifcendo : , fcribendoque commune eli, utrique 
pluri'mum conferre bonam valetudine^ , digeflum cibusn t 
animum cogl tati ani bus aliis iiberum . Ivi . 

( 9 ) Vox fri modica, & roagis murmur . . . Candì funt cer- 
ti quidam termini ut contestura verbormn continuec ere-, 
bra meditalo , partes deinceps ipfas repetitus ordo conjua- 
gat. Tyi * . n 

(to> Exercenda eft memoria edifeendis ad verbmti quanr- 
plurimis 8 c uoftris fcri.ptis,& alienis . De Orar . I. 34. Si ve^ 
ro auc memoria natura duriorerit* aut non fu agalli tur tem* 4 
pus, etiam inutile ertt ad omnia fé veiba. alligare 9 cum 
obiivio uni us eorum co/uslibet % auc deformem b»mationem ^ 
aut etiam filentium inducat. Quint, XI* a. , 


% 


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* 


* 


» 


X ni X 

un artificio pef cui V Oratore pub foccorrere f 
e confermare la fuà memoria, la quale allora* di- 
cefi Artificiale. Cicerone medefimo non la difap- 
prova , anzi gli piace , che dal Dicitore fi metta 
in pratica affinchè nel dire egli pofla effer pih fran- 
co e ficuro (ri). Quella memoria artificiale con- 
fitte neL portarci in quel fito , dove abbiamo a 
trattare la caufa^ed ivi confiderare, e fiffar nck 
hi mente con ordine alcuni luoghi , ed alcune im- 
magini , che fiano; poi capaci di farci rifovvenire 
de’ principali punti della caufa ifteffa (12) * Impe- 
rocché offerva lo IleflTo Tullio, che la memoria è 
fomigliante ad uno fcritto , il quale ficcome co 
fide nella carta fu cui formanlì le parole , e nel- 
le lettere efpreflfe ; così la mente confiderà il luo- 
go come una carta) eie immagini. in elio collo- 
cate come altrettante lettere , nelle quali legge in 
certa maniera quanto ella vuole egualmente come 
in uno fcritto (13). ‘ 

Per ottener quefto però è neceffario: I. Che i 
luoghi ) in cui noi vogliam fiffar la noftra mente 
fiano vari*, e fra* di loro diftinti , ed anche itlu-» 
ftri licchè torto fi portano prefentar allo fguardo , 



■ - ■ " , 1 ■ " -■ ' i . 

, ^ * / * • *• 

(11) In ea etercitatìone non mihi difplicet adhibere, fi 
cénfueris, etiam ipfam locorum, fìmulacrorumque rationem, 
quae in arre traditur. De Orat. I. 34. Simonide i.l poeta fu 
Il primo che ritrovò quell’ arte delia memoria per un av- 
venimento che da Cicerone fi racconta nel Ih deli’ Orar, 
cap. 86. , ^ 

£12) Conflat igi tur artificiofa memoria ex tocìs & imagi ni- 
bus. Ad Heren. ÌTT. 16. 

Gà) Memoria- eli gemma lirteratura quodammodet, & ijf 
diflìmili genere perfìnìilis. Natn ut illa conflat ex notis H- 
terarum, & ex eo in quo imprimuntur il la nota? : tic con- 
ferì io memoria? tanquam cera locis utirur, in his imagi, 
nes ut Ultra* col locar. Qrat* Partii* • * 


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»<' 


X tn X 


c ferirne la fantafia (14) , II. Chele immagini an- 
eh’ effe fiano vivaci , nè di cofe troppo comuni , ac- 
ciocché poffano commovere l’animo; ed in oltre 
che abbiano qualche almen rimota relazione colla 
cofa , di cui devono farci, rifovvenire (15) . w 
Se P Oratore p. e. ha da parlare, in un . Tem- 
pio , può diftribuirlo in altrettante parti , quante 
fon quelle del fuo ragionamento . Quindi nell 5 a - 
trio li prefigga PEfordio : neli’.ingreffo la narra- 
zione: nelle varie cappelle il numero degli argo- 
menti per la confermazione : nel Santuario per 
ultimo la fua Perorazione . Stabiliti i divertì luo- 
ghi , in effì confederi poi , o . faccia egli collocare 
a bella porta alcune immagini , .0 /imboli , o let- 
tere, le quali facilmente poffano rammentargli .ciò 
che aefidera di dire, e così presentandoli quelle 
ordinatamente al di lui Sguardo, noa correrà .pe-. 
riglio di errare (1 6). . v : # ; u 

Perchè poi ufati anche tutti.querti mezzi lame- 
moria non tradifea l’Oratore, egli nè deve trop- 
po fidarli di *effa , nè troppo temere . V ardire fa 
.che egli fia dirtratto, fvaghi colle idee , e contem- 

{ jli altri oggetti fuor di quelli che ha da aver pre- 
ènti epperò facilmente .fi pèrda. La temalo 
confonde , gli otfufca la memoria , e fa che ad un 
minimo accidente lì perda di coraggio , ed am- 
‘ mu- 


Ci 4) Locis eli utendum multis, illuftribus, explicatis ma- 
dicis intervallis : imaginibus aliquid agentibus, a^ribus, in.- 
tignitis , qua? occurrere , celeriterque percurrere aninium pof- 
fint .Qui tn.Xl. i. 

(15) Décet natura fe vulgari & utitata re non exfufcitarj : 

S ovitate vero, & intigni qupdam negotio comraoveri . . Ai 
ter eh. ITT. il. » . . 

OO Rerum memoria propria eft Orataris ; cum fingulis 
perfouis bene pofitis notare pofTiimus, ut fententias imagi» 
nibtts, ordinem locis comprehendamus . Ù e Orai* U % 68. 


I 


r 


X ii? x 

^ * 

• mutolifca . Perciò deve egli non alterarli, o con- 
► turbarli , fe alcuna cola di finilfro mai gli avvie- 
nile: deve ftar raccolto e colla mente, e cogli oc- 
chi j e far in modo che in quel luògo , dove egli 
ha a perorare, il lume nè troppo vivo, nè fuor' 
di modo fia tenebrofo , perchè tutto quello gli 
può generar confufione . 

CAPO IV. 

<« ' « * 

. Della Pronunci azione • . „ 

J-sa Pronunciazione è una parte importaqtiffi- 
ma , anzi la principale , ‘ e la prima dote , che 
deve aver un Oratore, perchè r fenza di erta i fen- 
timenti tutto che eleganti riefeon languidi , e non 
fanno veruna impreffione . A lei tocca di fare , 
che quelli penetrino V animo degli uditori, Io 
movano , lo vincano , e che V Oratore raflembri 
tale , quale defidera (0. Quella confitte in un ag- 
gradevole governo che fi fa della voce, del ge- 
ito , e del volto fecondo la dignità delle parole e 
delle cofe, che fi efprimoao ( 2 ). 

- Non . 

/ 

CO Earum rerum omnium , ut ardificiorum memoria eft 
quali fundamenrum ; lumen a&io. De opt. gen. orar. Demo, 
ilhenem ferunt ei qui quaefiffet quid primum eflet in dicen- 
do, aftionem: quid fecundum, idem, & idem tertium re- 
fpondifle . Nuli» res magis penetra: in animos, eofque fin- 
git, format, fleftit, talefque oratores videri facit , quaks 
ipfi fe videri volunt . Csc. in Brut. Affe&us omnes iaguefeant - 
neceffe eft, nifi voce, vultu, totius prope habitu corporis 
inardefeant . Qttint. XT, 3 . 

CO Pronunciano eft ex rerum & verborum dignitate vocis 
Jk corporis moderatio. De Invent .7. Pronunciano eft vocis, 
vultns, geftus moderatio cum venuftate . Ad Heren . 7. 2 . 
III. li. V, De Orat . 7. 15 . Eft aftio quafi corporis quidam 
eloquenza, cum conftet e wee atque mota. Orat. 

Giar4. Eltm. T. II. H 


X ”4 X 

Non v’ ha dubbio che in queftò pute^ fi richio- 

• • r Z' • v /* * ** ■ f i • 


v Ul JL Ullivy } VU V UlViiV# uu j-'ililiu VMVUWVT Ulivi WV14 

nella ' pronunciazione , collo Iludio. fi reiero poi 
sì perfetti oratori, ci fa comprendere, che l’arte 
anche in effa ha una gran parte, e che può cor- 
reggere ogni mancamento della natura* Tutta la 
Pronunciazione adunque alla .Voce > al Volto , ed 
al Geflo riducendofi , offa all’ Azione > di tutte tre 
quelle cofe parleremo dilìintamentc • 


§. I. 

* ' ♦ 

, . Della Voce • 

; * * » 

4 «r 

0 

4 • * , ' . * 

Confile la voce irì fina chiara ed atta pronun* 
ciazione delle parole fatta ne 5 varj tuoni or gra- 
vi , or veementi , or placidi, fecondo che richie- 
dono le perfone , il luogo , la materia di cui fi 
parla . Per ottener quello dovrà l’ Oratore 

I, Efaminar la propria voce , e s’ ella foffe a* 
fpra di natura , troppo acuta , o diffamante pro- 
curar d’ emendarla* e come leggiam di Detnofte* 
ne ufar ogni Sodio per renderla più eh’ è poli- 
ti le pi^hevoIé i'Toave; e grata (g). ' ' 

IL Pro/er ir le parole fenza affettazione e con 
chiarezza , ‘ nè compitando ad una ad una le fil- 
iate y nè ingoiandone alcuna , ma il tutto efpri- 
ì. men* • 

» \ 9 -V. - • • 

" ,, M ” - 1 — *— , 

. . ^ * • * ' 

• fi) t» primis vitia , fi qua funt oris «mendet : or expref* 
fa finr verb» , ut fuis qti&que litfre fonis emincientur s ne 
Tyllfebar intcresdam , ut par fibi tornò dt* Suine. 

** M I# « i ^ * » * / 


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XlfS X 

inendo difiintataente , e con certa facilità natu- 
rale (4). .'•> 

• III. Sodener il periodo fino al fine, e fecon- 
dar col diverfo tuono di vocé la varietà de’ fen- 
timenti , fenza cader in languidezza o in nna me- 
tile declamazióne (5) . ' ’ • » 

- 'IV. Evitar turtele cantilene , variando piit 
-fpeiTo che fia potfibile la voce' ifiefia per non at- 
tediate gli afcoltanti (6) i . . 

’’ . V. Non eflfer troppo veloce , nè troppo lento 
nel pronunciar- le eofe per non toglier il fenìo 
alle parole nè la forza agli affetti . 

VI, Dimoftrare un -certo rifpetto per il pub- 
blico , che il renda timido in fui principio , e 
far in modo che la voce a poco a poco vada cre- 
feendo fecondo il bifogno j il che gioverà moltif- 
fimo anche per non stancare ed indebolire di trop- 
po il petto Ì 7 ) + - • 

'•* Hi .01,. 


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• * 


* ■ è 


(4) Dilucida erit pronnnoiatìo fi verbà tota exegerit, quo- 
rum pars deyorari, pars defiitui folce, pleiifque extremas 
fyllabas non proferentiòus , dum priorum fono induJgent * 
Ut eft autetn neceffaria verborum explanatio , itaomnes com- 
putare & velut enumerare literas moleftum & odiofum eft. 
Qjtint. XI. 3 . 

(5) Apta eft vor quac iis , de quibus dicimus accommoda- 
tur ; quod quidem maxima ex parte prseltant ipfi , mutus *- 
nimorum , fonatque vox ut feritur. Quint. ivi. 

( 6 ) Ad aftionis ufum atque laudem, maximam fine dubio 
partem vox obtinet . . . ad vocem obtinendam ni hi 1 ' eft uti- 
iius quam crebra mutatio^ ni hi i perniciofius quarti efftifa fine 
intermiffìone contentio. De Orat. III. do. Volet igirur ille 
qiji eloquenti principatum petet & contenta voce atrociter 
dicere, & fubmilfa ieviter, Jfc inclinata videri gravis , & in- 
flexa miferabilis . Cit. Orat. * i 

(7) A principio clamare àgrefte quidem eft . De Orat. Uh 
Quid infuavius quam clamor in exordio caute ? Ad Her . 

IJI 12. Qui oprime dicunt, quique fd facillime atque orna- 
tole falere pofliint . t*mcn nifi timide ad dUeadum acce* 

dunt. 


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: Del Volta 0 

•T r •* . . * : ‘ # , \ . ■* 

Tutti i gagliardi movimenti deli’ animo nati** 
Talmente fi manifettano in noi per via della vo- 
ce , o del getto * . ma molto piìl per via del vol- 
to , fui quale dai diverfi colori 1 e cambiamenti lì 
dipingono in certo modo i più reconditi fenfi deli* 
animo (8), Il volto pertanto, ha una grande effi- 
cacia nella efpreffion delle: cofe, fe P Oratore , 
malfime coll’ aggirar degli occhj , fa a tempo ac- 
compagnar ciò che dice , ; e dinotare in ;fe i; di- 
verti affetti (9) . Dovrà egli dunque fludiarfi *v 

I. Di (ottenere in volto una cercaria di deco- 
ro , e di gravità , per cui imponga , -feoza ch« 
però egli poffa tacciarfi di fuperbia , o di ardi- 

re (io). ^ * * 

II. D J efporre le cofe liete con volto giocon- 

do 


diuit , & in ordienda otattone perturbante , pene imprudetu 
tes videntur . De Orat»III»i 6 . Quello timore Tullio confef» 
fa di provarlo nel principio maffime nelle orazioni per Mi- 
Ione, per Dejotaro, e Ugario . . 
w* £8) Omms motus animi ftium quemdam a natura habet 
vultum & fonum & geltum . De Orai, IH. 58. Oculi, fu- 
percilia, frons, vultus denique totus fermo quidam tacitus 
mentis eft. Cont. Pifon. 

(9) Vultus vero, .qui fecundum vocem plurimum poteft* 
q u an t am after t tum dignitatem , r tum venuftatem , in quo 
cutn eft'eceris, ne quid ineptum aut voluptuofum fit' , tum 
oculorum eft qu sedam magna tnoderatio. Nara ut imago eft 
animi vultus, tic indices oculi, quorum & hilaritat/s & vi- 
qftfim trilliti* modum res ipfae, de quibus agetur , tempera- 
✓bunt. Orai, , 

Cio> PraEcipuum in anione, (icut in corpqre ipfo caput 
eft, cum ad ìllum , de quo dixi decorem, tam.etiam ad 1U 
gaificationem decoris. Quinta XI, jj* 

'• ì • — - ' • " * '• ‘ 


X ii? X 

do ed ilare , le trilli con volto melanconico , t 
così uniformarli a tutti gli affetti per non {men- 
tire quanto egli dice. ... 

III. Di mollrare in tatto naturalezza , e di e- 
vitare ogni benché minima affettazione , perché 
altrimenti correrà periglio di movere gli uditori 
a rifa , e non otterrà il fuo intento * 

- Gli occhi perciò fìccome quelli , che hanno 
grandìflìma' efficacia nello fpiegar i fentimonti dell’ 
animo', s’ hanno ad elevare e deprimere giuda il 
bifogno ; ma é grave difetto fe collantemente al 
cielo o alla terra tengonlì rivolti, o filli mai Tem- 
pre in qualche luogo . Le ciglia anch’ effe aon de- 
von tenerli immote , nè le palpebre fi hanno a 
liringere di fpeffo in maniere viziofe^ La fronte, 
e le guancie col vario colore , e co’ diverlì mo- 
vimenti dinotino ilarità , . sdegno , raccapriccio , 
«c. • La faccia rivolgali Tempre colà , dove s’ ad- 
erizza il gefto, fenon incafo d’odio, o d’ avver- 
inone . .Procuri in fomma 1’ Oratore . d’ invertirli 
bene della cofa e degli affetti , e quelli fenza Àu- 
dio o fatica dalj cuore fuggiranno, e gli appa- 
ri ran fui volto (n).. 

Guardili inoltre dall’ asciugarli troppo 'di fpeffo 
« fenza neceffità il volto, dallo fpurgarfi oltuz- 
zicarfi di frequente le nari , dai rullare , o gonfiar 
le guancie, dal fregarfi.il capo, dallo llorcere, o 
morderli le labbra , dal digrignare co’ denti ó‘ far 

■ - H 3 ■ fimi- 


y 

y . , , 

"00 Cbfervanduro erft ftiam ut refla fit facies dicentis, ne 
labra diiìorqueantur , ne immodicus hiatus ri£lum dìitendat , 
ne fupinus vultus , ne dejefti in terram ocuii , ne inclinata 
uuolibet cervix . . . . ^ nfin * tum aulem ìn quoque re- 
b»s moine munì eit . Et nihtt potdt piacere quod non dece* « 
Quint. tu. - 


* **8 t 

fenili atti ferini, e ridicoli , benché tale fia il fi» 

g iocato delle parole , concioffiachè tatto quello 
contro la decenza , e più proprio* d’ un buffo-* 
nè, che d’ un Oratore (ti)v y 

r ;r ' : / 

% 
4 

l % 


Il Certo ,'offia T Azióne è un. governo di tut- 
ta quanta la perfona nel portamento , e nel mo- 
to uniforme alle cofe concepite' j e pronunzia- 
te (13) ♦ Quanta fia la fua efficacia il poffiam in- 
tender dai Pantomimi , i quali col folo gerto ef- 
primon talvolta le cofe più al vivo di quel che 
non farebbero colle parole « ^ j 

“ Anche l’Azione ha' da aver la fua origine dal*- 
la natura; ma Parte poi la deve perfezionare ed 
abbellire, fenzaehè però vi apparifea (14X Perciò 
. P Oratore* dovrà primieramente offervare a • chi 
parla, dove parla > e di che parla (15). Per la 
prima ragione s’ egli parla a perfone grandi * de- 
ve effer più parco , moderato , e grave nella fua 

- azio- 

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$. III. 

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Del Gejlo .< 


(iO Vitiofa funt illa intueri lacunaria, perfricare fa ciem , 
& quali improbara Tacere: tendere confidenti vultum , aue 
quo fit magis torvus fuperciliis adftringere, digitorum , la* 
biorumque moru commentare, fcreare, &c. Quint. XI.$, 
fcr 03) Motus eli corporis, & geftus moderano quxdam quar 
pronunciationi convenir, & probabiliora reddit ea quse prò- 
fiuncianti^r . Ad Heren - Ì7Z. 15 . 

(14) Si 1 qua in bis eli ars dicentium , ea prima efl , ne ars 
« 0 e videatur. Quint . 7. li. 

(15} Multa cogitare debet orator . Primttm quod apad 
quos , qui b us prsefentibus fit afturus . Nam ut ditene alia 
atti» « apud alias magis souvenir, Ck etiam tacere . Quint* 


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X II 9 X‘ 

azione, acciò tal compoftezza palefi ii Tuo rifpet- 
*o, e la fua venerazione verfo di loro. S’ egli 
ragiona al popolo, ed alla plebe, ufi nel geuire 
maggior licenza , concioffiachè quella voglia effer 
commotfa cori ftrepito ed efficacia. 

Per la feconda , s’ egli parlerà in luogo anguflo 
e rirtretto deve effer più moderato nella voce 
non folo , ma anche nell’ azione , perchè nelle 
• anguftie del luogo dibattendoli , e ftrepitando con- 
fonderebbe gli uditori, gli ^ordirebbe, e verria 
loro a falcidio . Se al contrario egli fi troverà a 
parlare in luogo ampio e fpaziofo, potrà moverli 
liberamente, e fare (piccare maeftofo il gefto, - 
Per la terza egli dovrà adattare tutti i fuoi 
-movimenti alla materia ed alle cofe che dice, nni- 
formandofi , e fecondando , non precedendo col 
gelfo le parole ; effendo in effo naturale e non 
studiato, nè troppo eiprelfivo, o imitativo , per- 
chè allora la farebbe da Comico non da Orato- 
^re (16) 

- Monterà egli per tanto nel luogo d’ onde ha da 
parlare con palio grave: fi collocherà nel mezzo, 
C fatte le debite protrazioni o inchini fi fermerà 
alquanto , acciò tutti col filenzio fi preparino ad 
udirlo, e volgerà intanto l’occhio modellamente 
all’ intorno per offervare i 'varj ordini delle per- 
sone , onde non errare al bifogno di rivolger ad 
effe il difeorfo . 

H 4 . Stia 

' . . w 1 * * 


Ciò) Omnes hos motus fu b requi deber geftus, non hic ver. 
ba exprimens fcenicus , fed univerfam rem & Tentennati] non 
demonftratione , fed fignificatione declarans , laterum inflexio- 
ue hac forti , ac virili , non ab feena & hiftrionibus , fed ab 

* aut «tiam a pa!*ftra . De Orat . UT. 59. Aftio non tra- 

gica oec feeni^a , fed modica frazione cor po ri* . Cic . Orat* 
Sluinty l, n. - 


X 120 X 

Stia rittò Culla perfona co’ piedi egualmente ffe* 
fi , o piattello in atto di palleggiare i Porti alto 
il capo, ma non in maniera ardita e sfacciata . Le 
inaile fiano raccolte, nè volganfi mai agli udito*- 
ri (17) • Le braccia* non fi dibattano , nè troppo 
s’alzino o s’abbaflìno indecentemente é Tenganfi 
le mani appoggiate non penzoloni, e ficcome in- 
numerevoli fono i loro movimenti , e da effe di- 
pende la maggior parte dell’azione, così guar- 
dili 1 * Oratore di fforcerle in modo affettato * o 
fconcior di fare flrepito , o far giuochi colle dita , 
di batterli la fronte, il petto, o palma a palma; 
ma al più in atto di fdegno appoggi la mano fui 
fianco. Avverta finalmente, che non * tutto ciò 
che fi nomina deefi dalla mano additare , o tocs 
care coi dito , perchè quella farebbe una minutcz- 
.za ridicola (18) 

E' neceffario ancora, che l’Oratore fi mova in 
tutta quanta la perfona per non raffembrare un 
tronco , o una ftatua . Quello però deve farlo con 
moderazione, nè fempre continuando lo lleffo paf- 

* ' fo, 

r 

— » - aui v • 

* * 

O 7) Status ere&us Se celta* , rarus inceffuà , Rec ita lort- 
S us » excur/io moderata, eaque rara, nulla mollitia cervicum , 
imi la? arguti* digitorum , non ad numerimi articulus cadens, 
trunco tnagfs toto fe ipfe itioderans , Se virili laternm fle- 
ttane &c. Orator» * Sic primo re&um Se lecundùm nàfuraiir. 
Nam dejefto humilitas Se tapino arroganza, & in latus ia- 
clinato languor, Se prseduro ac rigente batbaria quaedam men- 
its oftenditnr. Tum accipiat aptos ex rpfa anione moti», 

• ut cum peftu concordet Se minibus, ac lateribus obfequatur. 
Quint. XI. 3 . ^ • • • 

ClS) Tolli autem manum artefice* tapra oculos , dimittì 
infra peftus vetanr ; adeo a capite eam petere aut ad imum 
ventrem dedurre vitiofum habetur . Quint. XI. I.H. Ma» 
nus autem minus arguta, digitis tabfcquens , verba non ex- 
primens: brachium procertus proiettimi quali guoddam tei uni 
orattoms. D c Orau III . 59 . ” • 


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X 12? X 

fo, nè correndo fai pergamo , ma fermaftdofi brat- 
to tratto , e fedendoli ancora in que’ luoghi , do- 
ve 1’ orazione è narrativa fe però 1’ ufo il per- 
mette rifpetto maffime alle perfone avanti le. qua- 
li egli parla . Non farà Crepito co piedi benché 
jb atto di fdegno , fe non quando parla al vol- 
go : ma quello batter del piede deve mode- 
rato , ed appena è da ufarfi in un gaghardb *£• 

- $€ttO -v • _~ 

la (brama il getto alla. voce, il volto al getto 
i s’ accordi , e s’ uniformi (19) ; e tutto in .tal ma- 
niera, e con tal . naturalezza fi faccia» che nel 
mentre che l’ Oratore cerca di piacere , e d* ef- 
primer con eleganza , non perda quella gravità » 
e quella decenza , che gli convien manifeftare (20). 
Vi vuole perciò in quello non tanto d’ arte , quan- . 
fco di fatica; per evitare maffime colia ofiervazio- 
jie <}egli altri quello che è difettofo , e che univer- 
salmente difpiace (21) . Tullio per ultimo ci am- 
monilce, che non bitte le cofe colla azione s han- . 
no da efprimere con la ftelfa efficacia, é col me- 
defimo impegno ; conciolfiachè a bella polla un 

Ora- 


• 

Ci9) Aftio oratori Se cum rerum & cura verborum momen- 
ti* commutanda maxime eft. Facit enim & dilucidam ora- 
tionem, & iUuftrem , & probabilem , & fuavem non verbis 
fed veritate vocum , mota corporis, vultu , qu* plunmum 
valcbunt , fi cum orationis genere confentient , ejufque vin^ 
ac varietatem fubfequentur , Cic . in Partit . Gertus ad vo- 
cera, vultus ad geftum accommodetur . Quint. 7. n. 

fio) Ita tamen aftio tempeianda, ne dum aftoris capta- 
ne elepantiam, perdamus viri boni, & gfavis authoritatem» 
Quint. XI. 3. ad Hercn. TTT . 15. . r ’• 

CaO J ara vocis & fpiritus, & totius corporis, & ipfxus iin- 
guae motus & exercitationes non tàm artis indigene, quarti 
laboris . . . Intuendi . nobis funt non fOlum oratores , fed et- 
iam a&ores, ne mala confuetudine ad aliquam deformitatera» 
pravitatetnque veuiamus» Dt Orat • /• 34» 


ì 


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I 

X m x 

Oratcr fogace meno debba avvivar certi tratti , 
per dar quindi forza , e fare , che rifaltino > vie- 
tnaggiormente quelle cofe, ie quali egli vuole im- 
primere, e fcolpir nel cuore degli uditori (22). 


j|iO Habet tamen iila in dicendo ^admiratio acfumma laus 
ombrami aUquam , & recetfum , quo magis id , quod erit il- 
luminatimi exftare, atque eminere videatur . De Orat. ITT. 26. 
Erano ai fcrupolofi e delicati i Romani in genere dell’ Aeio- 
ne, che innumerevoli fono qnafi i difetti anche più minuti, 
che Quintiliano avvifa doverti evitare da -'un Oratole oel 
Lib. XI. delle fue Iiifti turioni cap. 13 . 



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\ 



«I 


CAPO . I. 

+ , 

• / 

- Degli Affetti. * • 

• • y ? ( * • 

... ' ■ - '•••' ' 

S iE P Oratore parlar fempre doveffe a uomini 
che la ragione feguiffero, d’uopo non avreb- 
be di ricorrere agli affetti; ma d’ordinario 
egli' è coftretto favellare a perfone, che o per 
ignoranza , o per prevenzione credon vero , e ra- 
gionevole tutto ciò che la pafiìone loro prefenta 
fotto di un afpetto piacevole (i). Non può egli 
pertanto allora ottener il fuo intento , e perva- 
der la di loro mente colle ragioni anche le piè 
evidenti fe non ne cangia il cuore cogli affetti t 
e fe non le sforza in certo modo , e con violen- 
za non le trae ai fuo partito {2). IL trionfo dell* 
eloquenza pertanto tutto dagli affetti dipende, é 
giovò più a Tullio nella difefa di L. Fiacco V aver 
conamoffo a pietà il cuor de’ giudici col prefentar 


(0 Nihil eli in dicendo m.ijus , quam ut faveat oratori 
js, qui audiet , acque ipfe fic moveatur , ut jmpetu quodam 
animi, Se perturbatone magis, quam judicio , aut confilio 
regatur. Plura enim multo homines judicant odio aut amore , 
aut cupiditate , aut iracundia, aut dolore, aut Iaetitia, aut 
fpe, aut timore, aut errore, aut aliqua perturbatone men- 
tis, .quant veritate, aut prsCcripto, aut juris norma aliqua , 
aut judicii formula, aut iegibus . De Orau il, 41. 

(0 Nobis ad aliorum judicia componenda eli oratio ; & 
faspius apud omnino imperitos, atque aliarum certe ignaros 
literarum loquendum eli: quos nifi & delegatone allìcimus. 
Se viribiw trahimus & nonnunquam turb&miis afte&ibus, ipfa 
qu* jufta & vera fuat tenere noti pofliimus. Quént. P* 14* 


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<; ■ X X - 

ia mezzo al foro il tenero figliuolo dell* infelice 
reo, che tutte le ragioni che prima egli avea ad- 
dotte per ifcufarlo (?) . • - '• ■ • . 

Sono gli affetti fecondo Ariftotele (4) alcuni 
più gagliardi movimenti dell’ animo ,5 per cui l’uo- 
mo lcoffo in certo modo più, non vede gli ogget- 
ti in quell’ afpetto , e non intende più le cofe 
nella maniera di prima . Quelli lecondo gli Stoi- 
ci , non fono che quattro, /’ Allegrezza , il Do - 
/ere» il Timore , e la Sperate* , dai quali tutti 
rii- altri poi derivano (5) . .Virgilio nel VI. dell’ 
fineide così elegantemente in. un verfo efprefle la* 

fentenza degli Stoici : • 

- , • . . ; / 

Hinc metuunt , cupiuntque , doltnt ^ gaudente. 
9***- ■ : - . • - : / ! 


Noi però feguiremo Tullio che i principali a que- 
lli li riduce : Ardore y Otf io y Speranza y Timore # 
Ira y Compaffioner+Ànvidia y M anfuet udine y Alle * 
grtzza « Gratitudine y Pudore ( 6 ). 

■ ;<rJOTr * * * * 4 5 6 ’ §. I* 

< * ' ■ 

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- ' • ' jT ” r ' w «•••#** «r 4 ^ -r » • * • * - %ì 

Cuin dua fummaeque fiat in oratore laudes, una fub- 
tilirer difputandi ad docendum ; altera graviter agendi ad a^-' 
nimos audientium permovendos : multo plus proficit is, qdt 
inflammat judicem, quam illequi dncet. Cic. in Brut. Id uu 
num ex omnibus ad obtinendas caufas poteft plurimum 
in hoc uno vis omais oratoris eft. Orator . Hoc unum in o- 
ratore dominatur. Di Orai, T 14. IT. 51. Ubi anrmis iudì- 
cum vis afferenda eft , & ab ipfa veri contemplatone abduceu* 
da mens % ibi proprrum oratoris opus eft. Quint . VI. 2. 

00 * • t * 

(5) Motus eft animi incìtatio aut ad voiuptatem , ait ad 

moleftum Y aut ad. metum , aut ad cupiditatem Tot cairn 
futit motus genere ; partes plures generum fingulorum . ' Ci$ 9 
Partit. ' ' ' * . \ ' 

(6) Hac fere maxime funt in judicum animis, aut qui* 
cuaque illi erunt 9 apud quos agemus , oraiione moliendd, 

‘ - ; amor-, ■*’ 


4 


4 


X 125 X 

* 'f 

§. r. ;• « 

l 

; Dell 1 Amore . 

. 

t 

,'- 1 / Amore è un affetto, per cui defideriatno 
ogni bene alla perfona' amata , e per quanta 
(la in noi glielo procuriamo non a noftro , ma 
a fuo unico riguardo . Tre fono adunque le 
condizioni dell’ Amore . I. che defideriatno all’ 
amico tutto ciò che realmente è bene, o che 
almeno tale ci raflembra . IL Che per quan-./ 
to ffa in noi coli’ > opra glielo procuriamo* 
III. Che non facciam quello per noftro interef- 
fe , ma per vantaggio foitanto della perfona che 
amiamo . ^ 

Se pertanto noi col noffro difeorfò vorremo in- 
durre gli afed tanti a concepir, amore per alcu- 
no, ne raoftreremo I. La rara virtù e 1’ eccel- 
lenza de’ cofturai . IL I vantaggi ed i benefici a . 
noi o a loro arrecati e le future fperanze . IIL 
L’ amor vicendevole, che quella tal perfona ad sffi 
porta . IV. Anche il merito efteriore , che nafee 
dall’ avvenenza di tutta quanta la perfona ( 7 ) . 
Così TulKo dopo d’aver efpofti i meriti di Mi- 
lone verfo della patria , e verfo di fe , fiegue : 

O me t 

.. V * 


amor, odi uni , iracundia, invidia, mifericordia , fpes, Isti, 
tia , timor, &c. De Orar. II. 51. Veggafi il IV. delle T«- 
fculane c. 6 , dove egli divide i quattro principali affetti in 
tutte le lue parti . 

O) Q*l*l che fi dice del modo di conciliare amore ad una 
perfona, dicali relativamente anche ad una cofa , inoltran- 
done il pregio, l’ importanza, r vantaggi, ec% 


k 


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X 1*5 X 

* » 4 , , 

0 me miferum : o me infetkem ! Revocare tu ffté 
in patti am , Milo , potuijii per hos , ego te in pa- 
tria per eojfdem retinere non potere ? Quid refpon - 
debo li beri s meis , qui te parentem alterum pu- 
tant ? Quid ti hi £?. Frater , qui nunc abes , con- 
forti mecum temporum illorum ? me non potuijfe 
Milònis falutem tueri per eofdem , per quos no- 
ftram il le fervaffgt ? at in qua caufa non potuifx 
fe ? qua efi grata genti bus « A qui bus non potutj^ 
fe ? i alt tis qui maxime P^ Clodii morte acquie - 
rant * f Quo deprecante?? me . Qitod * nqm concepì 
tantum fee/us y aut quod' in me tantum faci nus ari- 
mi fi judites y cum il la. indici a communi s exitii in- 
dagavi} paté feci , protali * extinxi ? Ùmnes in me « 
meofque redundant ex ilio fonte dolor?s &c. E a 
Alb, Lollio per dettar ne’ cuori de’ Romani P a** 
more verfo di Qrazio - onde P affolvàpo dàlia 
morte così s’ induce a dire i Certamente , Roma- 
ni ^ a me tolgono ! anima , * e trafiggono il cucina 
quefie parole ni Orazio t vìvano. n dice egli , viva* 
no ì miei cittadini , fiano finivi. y fiano L contenti y 
fi ano felici 0 Piaccia agli Dei , che lungamente jt 
mantenga * ed aumenti fempre qutjìa illufire. Cit- 
tà a me patria c ari ffxm a * in qualunque modo ella 
deliberi nella mia vita ? Godano i miei cittadini 
la dolcezza , e i comodi della pace 0 Gufino $ 
frutti della gloria y . e della libertà , filino . la fi - 
curezza , e la tranquillità dello Stato da me con- 
fervuto ». Io , fe così piace loro , morirò nou meno 
volontieri y che per /’ onore , e la fai vezzo di tut- 
ti /pontone amente mi offerfi alla morte , ne m ’ in- 
cre/cerà mai di aver, lóro fatto quefto gran bene- 
jicio'ec. 

^jEffli è però da avvertire, che volendo mette. 
t? u Cliente in grazia degli' uditori col ricordar- 
ne 1 benefici > non le a’ efalti troppo ii inerito, 

po T 


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x m x 

*ot»tt(ì« cflcre ciò piò d’ogn’ altra cote cagione 
d } invidia (8). 


'\ 


* > • 


, §. IL 

> • 

» » ■ 

Dell'Odio. 


* 4 < 


* L'Odio dice Tullio (9) è un’ ira invecchiata, 
offìa un 1 avversione collante concepita contro di 
xiò che ci fi rapprefenta (otto afpetto di male, 
©ai, fonti contrari a quelli, per cui deftafi V a- 
ttiore , fi eccita V odio (io) . Così Cicerone mo- 
ve l’animo di Cefare ad odio contro deH’accu- 
fato re di Dejotaro . Crudelis Caflor , ne die am 
feeleratum & impium , qui nepos avum in diferi- 
men capiti adduxerit ; adolefcentiteque fu*. terra - 
#em intuì eri t ei , cujus fene&utem tueri , & mege- 
re debebat f . commendati onetn. ineunti s , atatis . ab 
impiotate ^ & f celere duxerit ; avi ferpum eorrìb 
ptum prtemiis ad accufandum dominum impulerit , 
& a Ugatorum p e dibus abduxerit &c . . E Ader- 
bale pretto Sallufiio così parla contee di Giugur- 
ta : Utinam illum , cujns impio facitore in has 
miferias projetius fum , tadem hcec fimul antem vi- 

.. , v' deamj\ 



. * (85 Quid ? cum perfotiarum, tfim-'defehdunt , rationcnt 
non habent ? fi, quai funt in. ius iuvjdiofa non mUigant cxv 
tenuando , fed laudando, & aderendo invidiofiora faciunt , 
qUantum in co tandem mali ? De Orai . '‘ft. 

. ( 9 ) Tufi. ni. c. 9. 

(io) Siccome dai fonti oppofli à quelli d’onde cavali mo- 
tivo di amore, ne nafee l’odio; cosi fe queft’òdio e già 
concepito, volendo l’Oratore diminuirlo nel cuore degli it^ 
ditori , moftrerà non concorrere nella perfona odiata i detti 
notivi: e ciò che dell’odio fi dice* fi riferifea a tutti gli 
altri affetti, quando in vece di dei^arli , fi tiattaifé anzi di 
togliceli. dall’ animo altrui, • ♦ { * ^ « r 




•" T 


4» 
• * * 


* '^ ♦ ■ * * ' 7 ♦ * 4 l 

t «8 X . 

* k , # ♦ 

ileam ì & aliquando aut apud vos , aut apud 
Deos immortale s rerum human arum cura oriatur , 
ut ille , qui nunc fc elevi bus fuis ferox y atque pra- 
vi arus eft , omnibus malis excruciàtus impietatis in 
t * parentem nojlrum , fratris mei necis y mearumque 

miferi arum graves pcenas reddat . E Catilina pref- 
fo AJb. Lollio così fi fcaglia contro di Cicerone. 
Allora con grandi ffìmà letizia ef ulcera Cicerone y e 
J limerà avere ottenuto il fuo de fiderio , allorché ve- , 
drà quefta patria rifplendere d y arme y e quefl a Re- 
pubblica tutta ardere a V incendj , e di guerre in- 
terne . Allora loderà i fuo i configlj ; e innalzando 
i l' animo invitto y affai delle ricevute ingiurie fe * e 
, i fuoi maggiori avere vendicati giudicherà t Peroc- 
ché alle 'volte é ufato dire , la fua generazione a- 
vere avuto origine dalla famiglia di Tulio Ofiilio 
per addietro Re de* V ol f ci y dello , Imperio Romana 
fempre inimici ([ima . La quale otre afone fola a tut- 
ti fa noto , che a lui è odiofo il nome della Re- 
pubblica , e che quefla Città egli abbia fempre tm 
di f petto e abbonimento : dalla potenza della quale 
è fiata ofeurata la fama de* fuoi maggiori , ed il 
fuo imperio diJlrutto y e rumato . Guardili però 
l’Oratore parlando ad un Giudice di non inveire 
v contro que’ vizj , di cui il giudice fteffo è colpe- 
vole , o prendercela contro di persone a lui care 
ed amiche, perchè allora forfè P irriterebbe a dan- 
no di fe. fteffo , e. farebbe fracciata « come petu- 
lante , o come pazzo non farebbe da lui merita- 

mente udito (ii) * % 

. - « 

• • • 7 . . §. in. • 


K , * ' ’ ♦ , * « 

* i* * , * 

C n) Quid fi In homfnes caros , jadicibufque jucundos fine 
ulla premunì tione orationis acerbius, & conrumeiiofius inve- 
lare ; non ne abs te judices abalwnes ? Di Orar, fl. 7S» 


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% " -■ Della Speranza • * 

' ' i *■■ ■ 1 ■ » 

la Speranza non è altro che uri piacere, che 

£ rova P animo alla immaginazione di - un vicino 
ene . Si eccita quell’ affètto dimoiando : I. La 
grandezza, e la vicinanza del bene illeflò , e la 
lontananza del male . II. Ponendo fott’ occhio i 
facili mezzi 'per arrivare a ciò che fi defidera . 
III. Moltrandò eflerfr’ altre volte fuperati quegli 
oftacoli , che poflbno impedirne il confeguimento . 
IV. Colla confidenza dèi Divino ajuto , dovendo 
, la ragione ed il giufto maifempre trionfare . Cice- 
rone così nella 2. Catilinaria incoraggifce i Ro- 
mani alla guerra : ''Infimi te nuncy Quirite s , cov- 
erà has tam prjeclaras Catilinje copias vefira pr<e- 
M* y vefirofque exercitus , & primum gladiatori 
fili confettò Ó* fauci 0 Confale s 3 Imperatorefque ve- 
firos opponi te y deinde contra ili am naufragorurn 
èjettam ac debilitatam manum florem fot tu s Itali ce 
à re robtir educite . 'E. nella Filipp. IV. Jam enim 
non folum homines , fed etiam Deos immortales , 
ad Rempi fervandam , arbitrar confenfiffe . Si ve e- 
n$m prodigiis , atque portentis Dir immortales no- 
bis futura pradicunt y ita funt aperte denunciata 
ut tilt poena & libertas nobis appropinquet : Jvve 
tantus confenfus omnium , fine impulfu Deorum ef- 
fe non potuit y quid eflry quod de calefiìum volun- 
tate dubitare po (firn us ? Così anche Annibaie par- 
la a’ fuoi prefTo Livio : Quidquid Romani tot 
triumpbis partum congefiumque pojfident , id omne 
vefirum cum ipfis f ut urum efi * In hanc tam opi - 
nùtm mercedem agile r curri Dih 'bene juvanìibus 
arma capite .... Naw> dempto hoc uno fulgore no- 
Ùiard. Etera. T. II. ' I mi - 


X *30 x < ~ 

fri ni s Romani , quid ejì , cur ,i Ili vobis compar dii* 
di fint ? • • . • Pugnabitis cum exercitu tyrone , bac 
ipfa defilate cafo , vitto , circumfefifo a Galli s , /- 
gnoto adhuc duci fuo y ignor antique ducem &c. Ed 
Enea preffò Virgilio Eneid. L anima i fuoi com- 
pagni dicendo : 

* V 

Opali gravi or a , da bit Deus bis quoque finem • 
Fox Scyllxam rabiewiy penitufque fonantes 
Accefilis fcopulos : vos & Cyclopea faxa 
Experti : revocate animos , mcefilumque timor em 
i Matite : forfan & bac olim meminifife juva - 
Àir . . s_ 

Per varice cafus , per tot difcrimina rerum 
Tendimus in Latium , ubi fata quietai 

Ofilendunt : illic fas regna ref urgere Troia* 
Durate y & vofmet rebus fervute fecunais « 

Ed Alb. Lollio nell’ oraz. per la guerra di Ger- 
mania : Egli » egli Iddio farà il nojflro capitano 


nt y cht non vede , che per ejjer t ej eretto de ne- 
mici di molti capi compofilo , non farà poffibile f 
eh ' egli fi mantenga % ne duri lungamente ? ec* 

La fperanza molte volte , ne’ <cafi maflìme piu 
perigiiofi diventa ardire r Tale fi é il parlar di 
Turno Eneid. X. 

In mani bus Mars ipfe f viri ; nunc conjugis efio 

Qpifque fu# y tettique memor / nunc magna 
referto • . 

Fatta patrum f laude fque t nitro occurremus 
ad undam y * . • ' . 

Dum tropi di \ egreffifque labant vefiigia prima « 

Audentes fortuna iufitat * • • , 

V . UV, 


I 


# 


X «51 X 


§. IV. 

t 

Del Timore . 




Oppofto 
le non è altro che 
glia ette dedali nel 
zione di un Vicino 


è il Timore , il qua* 
perturbazione ed una do* 
nodro alla immagina- 

_ _ __ ____ __ Per eccitar il Timore 

bifogna I. Amplificar*; fa gravezza del male. 
II. Dirtìodrarlo imminente . III. Allontanare o- 
gni fperanza di ajutoodifefa contro di cflò . IV. 
Kapprefen tarlo più privato di coloro , ai quali G 
parla, che comune a tutti. Ecco come Cicerone 
neila 3, contro di Cadimi mette fott’ occhio ai 
Romani le imminenti loro fciagure . Vidtor mibi 
bave ut ber» videre lucem orbis terrarum , atque ar - 
etm omnium gentium Cubito' v.no incendio conci den- 
tem , Cerno animo fepultam patriam : mi/eros at- 
que infepultos acervo s civium . Verfatur mibi an- 
te oeulos afpeBus ■ Cethegi Veftra cade bacchantis . 
' rtìptir de flemma f alate vejìra , Populique Ro- 
y de toejirh conjugibus ac libèrti y de fanis y 
ac témplis , de libertati ac folate Italia } dequè 
univerfa rep, decernite ailigenter , Ut inflituifits , 
ac fortitir . Non altrimenti Orazio induce Nereo 
ad atterrire Paride dpP Ode 15. del Lib. 1. 

’ "• » X] -1 •, j T ' ■* 

< • » • .... 

tìeu qùantus écjfuh , quaritus ade/l viri a 
Sudor ! quanta moves funera Darà ance 
Centi ! Jam galeam r alias & agi da 
Curtufqut & rabiem parat . 

Xv Nequicquam Venèrit pr afidi o fero X 
Pe&er cafariem 9 grataque fùeminis 
Imbelli citharà carmina dividea / . i • 

I 2 Ne- 


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X: r$2 X’ 

Nequicquam t hai amo grave* * 

Hafias & calami, fpicul a Gnosii 
Vitabis &c m 

. • • 
- • , 1 

Ed il Cafa nella oraz. 2. per la Lega così atteri 
rifce i Veneziani : E noi crediamo , che egli in 
tanta fiamma di defiderio , e di avarizia a noi per- 
donerà ? e firuggendo , e ardendo i membri , e V of- 
fa della /con folata y e dolente Italia ad uno ad * 
uno j r onorata fua tefia ( cioè guefia regale Cit- 
tà ed egregia ) rifp armi èra forfè ? Oimè che ella 
fuma già , e sfavilla , e noi foli pare che I* ar fu- 
ra non ne f enti amo . Effo ha non foto propoflo di 
cacciar la Serenità voflra di Stato , ma ancora pen- 
fato al modo di farlo , e vuole non folo a(falÌr Ir- 
membra di guefio dominio , ma ferire la fronte - 
e c % ( 1 2 .) % 

' 4 uiarqJE 

V. : : ■ ' ; * 


DeW Ira. 


‘ * 1 • . ». * " 1 » \ " • * • _ 

L’Ira è un ardente defiderio di punirò questa-; 
li che ci hanno offéfo. Si eccita quell’affetto, I; 
Col dimoftrare la dignità della perfona offefa, pa-- 
ragotiata colla ingratitudine, <o!ia viltà , o imo-' 



ingiuria e lo fprez- 
zo che lenza motivo è fiato arrecato « Aderbale 

_ * m . '* * V 

cò- 


1 » 


— — 

• • ) • 




OO defcrizioni patetiche • fatte per. via ci’ Ipotipofi, 

• le figure di Immaginazione, per cui già fi rapprefentano 

come prefehti i futuri mali, fervono a maraviglia ;>er deft** 
re glieli* affetto neh* animo degli ascoltanti ► 


— f 


X *33 5t 

Così parìa nel Settato di Roma cóltro ; <Ji Giugtif* 
ta pretto Salluflio : Iùgurt a homo omnium y quos tèt- 
ra fiuflinet , fic eierati flint ii$ contempio imperio ve-, 
filro , Majjnijfe me nepotem utfaue a Jlirpe fiotium 
atque àmi'cum iV R. regno , f or tùfitfqué' òmnibus 
expulit è . • : Heu me mìferum / Huccine Micipsa 
pater y beneficia tua " ei) a fere y Ut quem tu parem 
cum liberi $ tuisy régni que parti cipem fecifii i is 
potijjìmum jlìrpis tua extinftor fit ? Nunquam ne 
ergo fami Ha rtofir a quieta eritì Semper ne in fan- 
gitine y ferro , fuga y verfabimur ? &c, E pretto 
Tacito Germanico morendo così favella a’ fuoi 
amici* Si fato concederemy juflus mihi dolor etiam 
adverfus Deós e/fet , quod me par enti bus , li beri s y 
patri x intra juvcntam prematuro exitu\ raperent * 
filane /celere Pifionis & Plancia té inter ceptus , ul- 
tima s preces pe fiori bus vefiris relinquo * Referati S 
patri y ac jràtrìy quibus atenèi lètti bus di tacer atus % 
qui bus infidi ìs circkmventus , miferriniarn * vitam 
pé filma morte finierim * • 9 J Flebunt Germanicum 
etiàm ignoti i vindic abiti* vosfifi me potius , quàm 
fiortunam me am fovebatìs , Ofiendite populo Roma- 
no divi AugUfii neptém% eandemque tonjugenf meam : 
7iumetate fex liberos &c . Piena di quell’ affetto è 
tutta ' l x orazione di Catiliba coatro Tullio pref- 
io Alb. Lolliò , e maffime dóve dice : Meco da pri- 
vate inimicizie era fi molato ; e per ej] erg li fiata 
la novità rimproverata , tutta la nobiltà gravemen- 
te ha in odio , e fecondo il cofiume per tal cagio- 
ne dif càrdie y e perturbazioni del Continuo* appare c* 
chi a , fiemitiàficandali , nè mài il j uo impazienti fi* 
fiimo àftimò al nqfìro male , e ruina fit tipo fa . Àc* 
cu fa primieramente come traditore della Pàtria me y 
Romano y Patrizio * e Senatóre g- del quale tante 
opere y tanti magiflrati , tariti berteficj d£ mici an- 
tecedati con ampli ffxmo fp tender e di tutta la Re- 
✓ I 3 pub- 


» • 


X *34 X 


pubblica fono evidentijfimi y ea me per ingiuriali t 
povertà rimprovera > /n quale^in una Città ricchi fi- 
sima ancora ain 


cere . Avete 



vifcere : avete la calamità di tanta repubblica in 
quefi? ordine ferrata , e rinchiufa , la quale vegghia 
a J empiterno eflerminio del P. R, Poi quella in 
fommo onore avete collocata • Guardate che tal ma - 
le tutto P altro corpo della Repub . ??ew abbracci , 
e quafi come contagtone intra voi fi difenda . Z)//^ 
cacciate bentofio collui , altro, non è che un ri - 
cenacolo di tutte le fceller aggine , ec. er. 


La Compaffione £ uno fpiacere concepito fu! 
rifleffo della miferia altrui , maffime fé ingiufta- 
mente da quello venga fofferta • Affine di eccitar* 
la conviene I* Amplificar dagli aggiunti il male 
o vero , o apparente eh’ ci fia • H. Diraoftrarnc 
la gravezza, e la virtù cd i meriti per i’oppofto 
di chi lo fonre immeritevolmente* III. Minaccia* 
re che lo fteffo a noi o a’ noftri polla avvenire » 
e additarne il periglio non molto lontano , Puh» 
Orazio predo di Livio fi sforza di movere a pie- 
tà i Romani per il fno figlinolo così dicendo : 
Huneine , quem moda decor atum , ovantemque vi * 
Scria incedentem vidifiis , Quirìte$ % tumfiub furca 
vinBum , inter ver ber a & cruci atus vedere pote- 
flis? Quod vix Albamrum oculi tam deforme fife • 
Baculum ferre poffent l I LiBor , collèga manus , 
panilo ante armata imperium populo Romano 
pepererunt . J obnube liberatorie hujus urbis : 
4rr^r# infelici fuf penda ; V ubera vcl intra poma - 



De//* CmpaJJìone . 


jriw» > 


i 


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X 115 x 


riunì) modo inter il la pila & /poli a hofiium : vel 
extra pomxrium , modo intra fiepulcra Cur iat io- 
rum ^ &c. Cicerone in quell* affetto Tempre trion- 
fa, come fi può vedere lpecialtnente nelle Orazio- 
ni per Fiacco, Quinzio, Murena, \Rofcio, e 
Dejòtaro, dove move Cefare a pietà nel grave 
periglio di quel Principe innocente foggiungen- 
do che niuno più potea efler ficuro , fe concede- 
vafi ai fervi la libertà di accnfare i loro padroni . 
Anche predo Virgilio così Ilioneo fupplica Bido- 
ne' nel i. della Eneide: . ' 


Troes te mi feri , venti s maria omnia ye&i % 
Oramus ? prohibe infandos a navi bus ìgnes : 
P arce pio generi , & propi us res adspice no - 
Jìras • * 

Quod genus hoc hominum , queve hunc tam 
' barbara morem 

Permittit patria ? ho f pi ti o prohibemur arena) 
Bella cient , primaque vetant confi fi ere terra . 
Si genus humànum & mortali a temnitis ai*ma ; 
At Sperate Deos memores fandi atque nefandi • 


‘Tenera al fommo è tutta la perorazione del Ca- 
ra nell’ Orazione a Carlo V . per la refiituzione 
di Piacenza , ? maffime dove per commoverlo gli 
pone al vivo fotto degli occhi lo fiato infelice 
della di lui innocenté figliuola , c del piccolo Tuo 
^bambino. Nè meno efficace fi è quella di F. Cre- 
ano preffo Lollio * ove dice: Nella bontà , nella 
clemenza , e magnanimità voflra , fortijfimi citta- 
dini ) ogni confi dazione della paffuta , e tutta la 
Speranza del rimanente della mia Vita ripongo • 
\P tacci avi per f umanità , e cortefia voflra d' ab- 
bracciare la mìa protezione contro la perfidia y e 
iniquità di' chi a torto cerca dì minarmi* Non 

I 4 coni - 


5C isó )( 

comportate * la malevolenza , e ficellerita de* mìei 

nemici , abbia più forza nel travagliarmi , che 
r autorità vofilra nel difendermi , * conservar- 
mi . Da molti oltraggi infiefilato , dar 'uar/V ojffe- 
*fie percoli o , e . da gravififime ingiurie trafitto / 
d’ alcuna colpa macchiato , wj povero , mtfie - 
re, nel fieno della giufiizi a e benignità vofilra fi- 

■ fttggO ) ^ • 

Aflaiffimo per eccitar queft’ affetto non meno 
che il contrario dell’Ira, giova molte .volte por- 
re fott’ occhio le fieffe perfone infelici , o li mo- 
numenti e le reliquie delle di loro difgrazie, fiè- 
come fece M. Antonio, che moftrando ai Romani 
la* verte di Cefare infanguinata , talmente li com- 
moffe , che corfero tutti ad incendiare immanti- 
nente le cafe de’ Congiurati . Si figuri inoltre, 
dice Quintiliano ? e, fi perfuada il dicitore, che 
vuol eccitare gli afcoltanti alla compaflione, d’ef- 
fer egli medefimo quello sventurato, delle di cui 
fciagure fi tratta . Penfi di perorar la fua fiefla 
caufa, non già di parlar per altrui; ed allora la 
natura gli prefterà quelle maniere di dire più effi- 
caci, e gli fuggerirà quelle cofe , che in fimili 
circortanze appunto egli direbbe per.fe rteflfo (13). 

Devefi per ultimo avvertire che queft’ affetto 
vuol effer maneggiato brevemente , ed in guifa 
che Tempre vada crefcendo , ficchè giunto al col- 
mo Jafci P uditore in quello fiato come forprefo 
ed abbattuto. Imperciocché, difficile effendo che 
v ' * al un- ; 


(13) Ubi vero tniTeratione opus erit , nobis ea de 4«ibo* 
‘tjuentur accidiffe credamus, atque id animo noftro perfua- 
deamus » No$ illi (ìmus , qui gravia, indigna paffòs queraf- 
mur. Nec agamus rem quah alienam , fed aCamamus illuni 
dolorem ; nà dicemus , quat in fimili noftro cafu di&uri effe- 
imis .Qfint.rii. : • 


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X 137 X 

a lungo fi piangano le altrui (Venture , fe l’Ora- 
tore troppo fi eftende col Tuo dire , quello inco- 
comincia a raffreddarli , ed a poco a poco perde 
. ogni Tentazione di pietà ? nulla effendovi che più 
facilmente delle lagrime inaridisca (14) . , 

- s- vii. • 

'* Dell' Invidia • 

* 

E* V Invidia un difpiacere concepito per il be- 
ne, di cui altri gode, non perchè fe he foffre 
danno, ma per fola malevolenza, che all’ invi- 
diato fi porta . Dettali l’ invidia dimoftrando, I* 
non effer quel bene frutto della virtù ; bensì del 
vizio . IL Amplificando con parole 1 ’ orgoglio , 
e la fuperbia di chi lo gode. ìli. Se la perfona 
è irreprcniibile dicendo non e/Ter per b tali i me- 
riti fuoi , che di tanto onore la faccia n degna ; 
oppure invidiandone anche la forte. Così Tullio 
nell’ Oraz. per Sedo Rofcio detta invidia contro 
Crilogono per le fue mal acquiftate ricchezze : 
Rogat , oratque te y Chryfogonc , fi nìhil de fa- 
tris forturits amplijfimis in fuam rem convertit ; 
fi muta in re te fr andavi t / fi tibi opti ma fide 

M: 


* i 

(14) Commotfs autem animìs diuttus in conqueftione mot 
rari non ^oportebit . Quemadmodum enim dixit RhetorApol- 
lonius : Lacryma nìhil citius arefcit . De ìnv. /. Nunquam 
tanicn debet effe Jonga miferatio : nec (ine caufa diftum eli* 
»ihil facilius quam lacrymas inarefcere . Non patiamur igi- 
tur frigefcere hoc opus, & aff.&um cu«n ad fummum perda- 
xerimus, relìnquamus , nec fperemus fore ut aliena quia* 
quam dm pioret . ldeoque cum in aliis , tumf maxime in héc - 
parte debet crescere oratio , quia quidquid non adjicit prio- 
ribus, etiam detrabere videtur, & facile deficit «fòli ut, qui 
defcendit . Quint* VI* A 


^«7» * 


X 138 X 

fua omnia conctffit , adnumeravìt , appendi* ; fi 
t vefiitum , i/>/e , anulumque de di- 

gito fUum tibi tradidit ; ft ex omnibus rebus fe 
ìpfum nudum , neque prateria quidquam , excepit * 
ut fibi per te liceat innocenti amicorum optbus vi - 
/tf/w iw egeflate degere . . Pradia mea tu poffides .• 
aliena mifericordia vivo.» Concedo . Afe* da- 
nza* tibi fat et y mibi clauf a efi . Fero . F umilia 
mea maxima uteri s * fervum habeo nullum . 

P attor y & ferendum puto&c . Ed Aderbale così 
preffo Salluftio invidia la morte dei Fratello: 
Jam/am , frater animo meo carijjìme , quamquam 
-tibi immaturo & unde minime aecuit , erepta 
’ ejl y tamen latandum magis quam dolenàum puto 
cafum tuum . , 2Ve>» e?*/#* regnum fed fugamy exi- 
lium y egejìatem &* omnes has , 1 »# premunt 9 

arùmnas cum anima fimul amifijti . At ego infe- 
lix in tanta mala pracipitatus , pulfus ex patrio 
r regno \ rerum humanarum fpeElaculum prabeo . . . 
TJ unum emori , fortunis meis honejìus exitus ef- 
fe* : ne vivere contemptus viderer , fi defeffus malis 
infuria conceffijfem &c. 

Aache Furio CreGno preffo Alb. Follia così 
parla contro di Albino esagerando Alila, di* lui 
alterigia : Godafi r gpdafi per . fua fe le magnifi- 
che y ed ampie poffeffiont acquifiate da' fuot mag- 
giori . Ufi le fue ricchezze con quella maggior 
pompa d y ambizione y che più gli aggrada . Trionfi 
della fublimità del grado y in cui fi trova . iVo* 
ifiimi che fia in Roma uomo , fappia , a 

di lui» Gonfift largamente di cotefla 
fua Jmifurata grandezza ec» t Ed il Salvini nella 
Oraz. VI. così move invidia contro di un Ar- 
ciconfolo : Tutto dunque egli pieno di fe flefjc , e 
parendogli ejfere tutto niente , e coni figlio y J de- 
gna in cofa di fomma importanza , fa confabula* 


zio- 


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OC 1 39 X 

xìonegiufla, e dovutale la neceffaria , ed utilif- 
ftma conferenza con quelli , «tfff £// ,/oho a# 
comune confentimento per reggerlo , per affifierlo , 
configliarlo... Con fopr acciglio aggrottato , e 
Tènero <7 farro afcoltava , /» farro rifpondeva , et. 

All’Invidia fi riduce la Emulazione, la quale 
è uno fpiacere concepito alla villa dei beni , e 
degli onori de’ nollri limili non già perchè li 
vorreflimo di quelli privati, ma perchè noi pure 
vorreffimo efferne fatti degni . Quella può efier 
biafimevole , fe è origine di od/ , di diflenfiom , 
e di partiti; ma fe è ftimolo alla virtù è. buona, 
c lodevole . II modo di eccitarla fi è il rammen- 
tare le glorie degli antenati , le Loprefe degli 
Eroi il lullro ed il decoro della patria , o del- 
la famiglia . Tullio coll’ efempio de’ maggiori 
move così i Romani a prender l’ armi contro di 
Mitridate nella Oraz. per la legge Manil. Ma- 
iores veliri fxpe mercatoribus , ac navicai atortbus 
injuriofius traclatis bella gefferunt vos tot ^ civtunt 
Romanorum millibus uno mine io interfeklis , quo 
tandem animo effe debetis ? Ed il Caia così.^con- 
chiude la fua I. Oraz. per la lega : Quefi incli- 
ta città a divino miracolo , e non ad opra umana 
fimile , e tanto naviglio , e tanto , e sì guermto 
Imperio del mare , e della terra , /owo opere e 
frutti non di lentezza , nè di tardità , nè d ozio > 
ma di travaglio , e di vigilie , ed’ affanno , ed 
armi . Quell ’ arte adunque , colla quale i vojtn 
nobili e gloriofi avoli f acquiftarono , ora la con- 
fervi , e difenda . Noi per ’ certo , o vincendo , o 
morendo la nofìra dignità riterremo. 


S 


I 


§. Vili. 


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Dello Sdegno. * 

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• * A 

to Sdegno è un dolore concepito in Vida *deU 
k profperità, di cui gode chi ne è indegno . Si 
della quell 1 affetto, I. paragonando la fordidezza * 
e viltà de 1 coflumi panati di quel tale colla pre* 
ien te felicità . II. Mollandone la fua indegnità 
a fronte del merito di coloro, che a lui vengonó 
pofpotti^ Servefi di quell’ affetto Cantina preffo 
di Salinaio per animare i fuoi compagni alla. con- 
giura : Pofiquam refp< in pauCorum potentium jus , 
atque ditionem conceffìt , femper illis reges , te- 
trarchie vettigales effe : populi , nationes y JU pendi à 
pendere .*•' ceteri omnes , Jìrenui y ioni , nobile s , at- 
que -ignobiles vulgus fuimus, fine gratin , fine . au~ 
cì or ita te y bis obnoxii r * qui bus Y fi refpé valer et y 
formi dirti' efiemus . Itaqtie omnis gratta y potenti a t 
honos divitia apud illos funt , a ut ubi illi vo- 
limi : nobis reliquerunT peri cui a , repulfas , sudi- 
cia , egeflatem • Qua quoufgue .tandem patiemim 
fortijfimi viri ? Nonne : emort per virtutem prafiat y 
quam vitammiferam y atque inhonefiam 7 ubi alie- 
na Superbia ludibrio fuerts , per dedecus amitte- 
re? &*c;. BeUiffima' poi in quello genere fi . è l’ oite 
di Orazio contro Mena liberto di Pompeo : 

■ ' - ‘ \ ‘ . ■ ' . .► 

Ibericis perufie funi bus latus • > 

- Et crura dura compede • ^ 

Licei fuperbus ambules pecunia / • * . , 
Fortuna non mutat genus . 

Vide fine facram mettente te vìam 
Cum bis ter utnarum toga r 
Ut ora vertat huc Ó* bue euntiwn 

Li- 


/ 


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X 14* X 

' * 

Liberrima indignatio ? 

ScElus flagelli s hic triumvtralibus 
Prceconis ad fafiidium 
Arat Falerni mille funài jugera ; ' 
Et Appiam mannis terit ; 

S edili bufque magnus in primis eques 
. Oìhonc contempi q fedet &c, . - 


» 


E preffo AJb. Lollio lo ftcflb Catilina cosi eccita 
f degno contro di Cicerone : Pertacer degli altri , t 
tfi foto y Cicerone , mi fe manifeflo , e attijfimo 
ef empio , il quale qua fi innanzi a jeri in quefta* 
città venuto $ di ciafeuna cofa mendico y e bifogno*. 
fpi dappoi che i Magifirati hai ottenuto , tanta, 
moltitudine di ricchezze qua fi in un ] momento hai. 
radunate , che tutte le Colonie e Vii Ce di quefla. 
Città appena /ariano a fufficienza a'.tuoi contrai-,' 
ti y e fontuofi mercati y ec. Allofde&no viene itrfe- 
guito Io /prezzo , che è un avvilimento che fi fa 
di quella cofa * o perfona contro la quale fi par- 
la. Tullio così dopo d* eflerfi fdegnato nella 2 . 
Catilinaria contro la truppa infame de’ congiurati y 
uè enumera le varie claui* e j>li ordini, di perfo-. 
ne , di cui quell’ efercito era compofto , . lo deri-; 
de , lo Iprezza, acciocché / Romani più coraggio- 
samente vengano alla Battaglia*. E Mario preda 
Salluftio così parla contro la . Nobiltà Romana ; 
Bellum me ger ere cum. Tuguri a juffiftis ; quam rem 
nobtlitas cegerrime tulit . Quceroy reputate cum a- 
ntmts vefiris , num id mutar i melius fit : fi quem 
ex ilio globo nobilitati r ad hoc aut aliud tale ne r * 
gotium mtttatisy hominem . veteris prof apice , ac 
muìtnrum imagi num , & nulliùs Jìi pendìi ; scili 
city ut in tanta re ignarus omnium trepidet yfc* 
flinet y fumat aliquem ex populo rrionitorem officii 

/Ut • ' • ' v. ' 

; ' ' * c ; ' 5, IX, 


X t4J X 

I . , 

§. IX. 

' « t 

- ' *> 

Della Manfuetudine » 

' Allo Sdegno è contrarla la Manfuetudine 5 ep- 

S ecò ella non è -altro che una mitigazione dello 
elfo fdegno , la quale fi ottiene in varie manie- 
ré, fecondo la varia indole degli nomini, ai qua- 
li fi parla . Imperciocché alcuni fi placano colla 
dolcézza , altri colle minaccio-, - altri col timore , 
come vedraffì parlandosi del collume . Getterai- . 
mente però volendo eccitar quell’ affetto l’ Orato- * 
re dovrà li Sceglier il tempo pii) opportuno , 
quando p. e. la pOrfona fdegnata è in allegrezza , 
oppure ebbe qualche fortuna , e in lei ledati fo- 
no i primi bollori della collera » II; Servirli , é 
porre fott’ occhio quelle perfotto , io quali boa 
poflono dar fofpetto diófmieà ò violenza, p. t. la 
donne, r fanciulli >- i fa eri roinifìri ec. III. “Mo- 
ftrare che l’ offefa é fiata fitti nell’ impeto dèlia 
collera, 0 per cefo, o imprudentemente, non già 
con animo cattivo e deliberato» IV. Paragonato 
i paffati benefici' del reo;, ed i meriti foni colla 
picciolezza dell’ ingiuria arrecata . V» Cotìfcfljfé 
finceramente il fello, e chiederne perdono } t fé 
queftb non ammette fctlfa , dimofirare quanto fia 
cofa gloriofa il dimenticar le ingiurie. Tullio co- 
sì placa Cefare verfo Ligario : Ad fudiceni fìt àgi 

folet ;fed ego ad p arem érti loquùt . Érràid , temi» 
re feci , pcenitet i ad tlemtntìatfi tuatn confugto t 
delitti vini arti peto , ut igne fiat oro. Si nerbo ito* 
fetràtit arrogante^ } fi plùrimi, tù idem fèr opéfft 
qui fpem deaifti. Ed Orazio cérca di placar Tift- 
daride nell’ Ode XVI. Lib. I. coli’ attribuire ad ita* 
cui nulla reiìfie, il torto fattole, e conchiude: ■- 

** ' * Cent* 

• 


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X x. 

Compefce ntentem . Me quoque ptBoris 
Tentavit in dulci inventa r 

Fervor* & in celeres iambos # 

Mifit fwrenum . Nunc ego mitibus , 

. Mutare quaro trijlia i dum mtht 
Fias ree arstàtis amica • 

Opprobriis , animumqut r eidos 0 ^ 

Ed Alb< Lcillio parlando a CaxIo V. per la lib£ 
razione di Francefco I» Ma ecco il giorno del nfr 
tal vojìro , Sacra Maefta , nel qkale^PpuMo fU 

prefo il Re . £»#> <w *. ltet0 » W* 

rio vi ricorda a dovere immanente metterlo tn lfc 
farti , non volendovi in ciò fcofiare dalla ^ beiltjp* 
ma, e lodevolijfma confuetudine de' Principi gran* 
di , i quali nello entrare in alcuna città > . fanno 
/abito aprire tutte le porte delle pngtont* ec, td 
il Cafa per la reftir. di Piacenza : Di. età vi prie- 

s* *1 i - f m jm /I m fa' T+mÌ a JO ' , à i 


1 utttejc f e t /acri tuogff9 f c t® "•"o'v o . ' 

gli innocenti fanciulli , e le timide j ef paventati 
madri di quefia nobile Provincia . ..Di f 
f amente vt prìega la vojìra umile ferva e pguuo* 
la... ed tl bambino che le tenere braccia ed in- 
nocenti difiende ver/o V. M. ec. 


, $ v •. X# 

DelP Allegrezza 


, / 


Allorché ci fi rapprefenta qualche vicino bene, 
l’ animo a quella immaginazione fi .commove , ed 
tm tal movimento chiamali Allegrezza . Per de- 
ttare in noi , oppure in altri quell’ affetto bafta 

confiderai * o dimofirare la grandezza del bene 

ìftef- 




*44 - v 

ifteflo o addato , o relativo al male , che fi vie- 
ne a fuggire.. Così Tullio fi rallegra nella Ora- 
zione contro Pifone alla contemplazione dell* ac- 
coglimento, che ebbe nel fuo ritorno dall’ efilio * 
Unus tilt aie s mi hi quidem immortala atis infìar 
fuit y cum in Patriam redii : cum Senatum egre f- 
Jum vidi , P opulumque Rom. univerfum : cum mi - 
hi ipfa Roma prope convulfa fedibus fuis ad con- 
fervatorem fuum progredì vi fa, ejl ; qua me ita 
accepit , Ut' non modo omnium generum , atatum , 
ordinum omnes viri , ac mulieres omni fortuna ac 
loci , fed etiam mania ipfa viderentur , te Sìa 

ipfa , ac Tempia tatari Ó*c. £ nella feconda con- 
tro di Catilina così eiulta per la di lui partenza r. 
T andém al i quando , Quirites , j Z. C atilinam furen- 
tém * audacia , fcelus anhel antem , peflem patti# 
nefarie molientem , vobis atque buie urbi ferrurrt 
fiammamque minitantem , ex urbe vel ejecimus , vel 
e mi firn us , vel ipfum egredientem urbe proj ecuti fu~ y 
mus . * Abiti , ex ce fu . evafit , erupit . Nulla jum 
pernicies a monjjro ilio atque prodigio K > moenìbus 
ipfis intra moenia compar abitur . E Pub. Scipione 
preffo Aib. Lollio così efprfme il fuo godimento 
per edere fiato confermato Proconfolo e per i van-i 
taggi riportati dai Romani fopra de’ Cartaginefì c 
I prò Speri avvenimenti , e i felici facce fi mi forn- 
irne ni fideranno il valore , l* induflria , la fortuna , 
a perizia de* fol dati Romani ; e far annomi di tem- 
po in tempo conceduti dalla bontà , e provvidenza 
de ' medejtmi Dei , i quali oggi vi pofero in ani- 
mo , che mi eleggejìe capo di quefia imprefa . E 
pofciachè per /ingoiar -grazi a loro , le cofe noftre 
al pre fonte fono a fai liete , e vanno tuttavia pro- 
cedendo di bene in meglio , - e fendo/i già in Siri -, 
Ita racqui/ìata Siracufa , prefo Agrigento » e f cac- 
ti ati i nemici di tutta quella provincia , avendo 

noi 


■ ■** 


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X 145 X 

noi con tanta nojìra riputazione , riavuta la citrft 
di Arpi , e [pugnato Capua , e .fatto ritirare An- 
nibaie' negli ultirni confini della Calabria , dove 
altro non cerca , che di poterfi a Salvamento con- 
durre in luogo ficuro ; in memoria , e per grati- 
tudine di tanti , e così il luftri benefizj , -.venite, 
andiamo tutti con purità di cuore , con facrifizj , 
e laudi a ringraziarli devotamente , ed infieme a 
; pregarli , ec. - 

Non 1 è molto diverta V allegrezza dall’ ammi- 
razione, la quale propriamente non è altro, che 
una certa folpenfìonc dell’ animo , il quale, tutto 
fi ferma ed è rapito nella confiderazione d’ una 
cofa ffraordinaria ed infolita , e per il confegui- 
mento d’ un impenfato bene • Cosi Cicerone ri- 
flettendo alla fovraumana clemenza di Celare, che 
non folo avea perdonato a’ Tuoi nemici’, ma re- 
fluita a molti ed amplificata avea di più la v ioro 
dignità , fclama pieno di meraviglia nella fuddet- 
ta Oiraz. per JLigario * O clementi am admirabilem , 
atquè omni laude , predicanone , literis , monumen- 
tifnue decorandam ! ' * * *, - • , 

§. xr. 

• * ^ __ 

* Della Gratitudine • 

E* la Gratitudine una volontà efficace di rime- . 
ritare per quanto ila in noi gli ufficj , ed i rice- 
vuti benefici . Per movere alcuno a quell’ affetto 
conviene I. Dimoftrare la grandezza del benefi- 
cio , che gli viene conferito . II. Ingrandire il 
beneficio medefimo argomentando dalla pedona che 
lo fa , a quella che lo riceve . Tullio così eccita 
in fe fletto i fentimcnti di, gratitudine per i ber 
nefici ricevuti da Cefàfè nella Oraz. per Ligario: 

- Ciard. Elem, T, IL K * JV 


V 


. X‘I4* X 

Sufcepto bello , Cafar , gefto edam ex magna pat* 
te nulla vi coafius judicio meo , ac voluntate ad 
e a arma profeflus fum , qua erant fumpta contra 
te . Apud quem . igitur hoc dico ? nempe apud 
eum , qui , cum hoc fciret , tamen me antequam . 
vidit , rei public a r ed di di t ; qui ad me ex JEgy- . 
pto Jiteras mifit * ut effem idem , qui fui [fem: qui 
cum ipfe imperato* in toto imperio populi R. unus 
efl'et, effe me alterum paffus ejl : a quo hoc ipfo 
C. Fanfa mihi nuncium perferente , conceffos fa - 
fces laureatos tenui quoti d tenendo* * putavi : qui 
mihi tum denique fe falutem putavit reddere , fi 
e am nulli s /poli a t am ornamenti s redderet . Ed 
Enea predò Virgilio così parla a Didone eoa ' 
fenfi di gratitudine : 

* $ 

O fola infando s T rojtc miferata labore * , 

Qua nos , relliquias Danaum , terraque ma -* 
rifque # > 

Omnibus exhaufios jam cafibus * omnium ege- 
nos y 

Urbe , domo focias 1 grate s petfolvere dignaf 
y iVo» opis efi noflra j Dido : nec quidquid u- 
bique efi ^ " 

Genti s Dardania j magnum qua f par fa per 
orbem , 

i 

Ed Alb. Lollio inoltra il dovere che hanno i Ro- 
mani d’ effer grati a M. Orazjo così dicendo .• 
Quejla illufire 1 e glorio/ 'a Città , la quale col tem- 
po f pero r che debba effer e di tutto il mondo Capo 
t Reina , in pochijfime ore farebbe divenuta f chia- 
va degli Albani : e noi faremmo flati sforzati a 
laf dar e gli amati campii abbandonare le proprie 
taf e ,/ fori 9 i templi y gli Dei penati , e final- 
mente lajciar tutte le magnificenze , e grandezze 

•- - * - - * di 




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I 


X 147 t 

di Roma , ed andare ad abitare in Alba 
qual maggior dolore , o più efprejfa . infelicità fi 
può immaginare , non che . trovare di quefia ? Il 
quale vicino , e manifefio pericolo , come tutti /ap- 
pi amo è filato tanto grande y tanto fpaventevole , 
e pieno di sì gravitimi mali , che fiolo a penf ar- 
iti #7 ror / àgghiàccia } e T animo fi fmarrifce . 
Però coluti, che colla mar àvigliofia fua virtù da 
tanti affanni y e mi fèrie rAe r/ foprafi avano , we 
ha liberati , ?7o» all ’ eflremo fupplicio condannare , 
fna con divini , «f immortali onori infino al Cielo 
èfaltarè dobbiamo ; kt 

• • i - ' A . . « • ** 4v 

‘ . §, Xlt 


' ’ Dei Pudore 

V 4 * . * • I 

1 * • I - 

lì Pudore oflìa la Verecondia è uri riferiti meri- 
to dell’animo full’ appresone del danno che ne 
fovrada alla fama. Dedali quell’ affettò negli ani- 
mi béri nati dimodrarido lai bruttezza dell’ anione , 
la di lèi viltà > e l’ ingiuria che a le , alla fami- 
glia, ed agli altri fi arreca ; e P ignominia inse- 
guito che ce , ne potrebbe derivare . Tullio così 
parlando in favor della legge Manilla* dopo aver 
détto ai Romani : . Majores veftrì /ape mercatori - 
hus ac navicul at ori bus injuriofius traElatis bella 
j^efferunt : vos tot Romànarunt mi Ili bus uno nuncio 
ini erf etti S f quo tandem ànimo effe depeti s ? fie- 
'èue ; . i ì Iftdete , né ut il/is pulcherrimum fuit , 
tantam vobis imperii glori arri relinquere : fic vobis 
turpijfiimurri fittj ili ita quod accepitis tUeri , de cori - 
fervore non pójje .* E V èturia cosi predo Livio fa 
rirrolfiré il ìuó. figlio Coriólario : Sine priufquatn 
cómplexum riccipio , fetam * ad/hofierri an ad fi* 

K 2 lium 


» 


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J 


t\um venerimi cattiva materne in cajlris tuisfm. 
In hoc me long a vita & Mx/eneSa traxtt 
ut exulem te , . deinde hoflem vtderem ? Potinftf 
populari hanc terram , qua te genutt atque aiuti i . 
Non ti bi , quamvis infefio antmo & -minaci per - 
venerar , ingredienti fines ira cectdtt . Non pam» 
in confpehu Roma fuit , fuccurrtt , intra ma ma- 
rna domus, ac Penate* mei fum , mater , con- 

iux , /i&rifw >' Ergo ego' nifi pefenjffem , Roma, 
non oppugnare^ : wftfihum haberern liberata 
libera patria -mortua effem ? Ed Alb. Lo IO co- 
sì fi sforza di far arroflìre 1 Romani delia fea- 
tenza di morte proferita contro di M. Orazio : 
Egli per rifpetto , ed amor, della patria , Jt get- 
tò dietro le /palle /’ amore , e l rifpetto del /an- 
gue proprio , ed effóndo di ciò -proceduto il g ron- 
di fimo frutto , che ì proceduto, dove lodare , e 
ringraziare, onorare infinitamente il dovreobono , 
lo vorranno punire ? A queflo modo m cambio dt 
guiderdone lo pagheranno A\ ingratitudine? In luo- 
go di premio gli daranno la pena ? ed avendo da 
lui fi può dire ricevuta la vita , gli daranno la 
morte ? O cieli ove *' intefi materna sì. grande 
. fcortefia ! Chi farà quello di voi , genetofi Ro- 
mani , tanto inumano , tanto ingrato , o tanto, cru-.. 
dele , che poffa non dirò comportare , ma pure a- 
fcoltare una tanta empietà ? I fa/fi, fe aveffero. 
vita e Sentimento ‘ fi Spezzerebbero in mille pezzi 
per non vederla « c noi avremo il cuor sì ajpro j 
sì fiero, sì crudo, che /’ efeguitemo? ec. - 



I 


,k 1 49 X 

( 

§. XII t. 


W 




t - / / ,. begli Affetti dijjbnuìàti i r ’ * 

• * * . k 
: * » \ * 

fc' ^ ^ « * y ' » ^ 

Oltre i modi: fuddetti * per cui deflanfi nel curi- 
te degli ascoltanti. :o, de’ Giudici i diverfi affetti 
ttfcendo per così dire in aperto campo ad affalir- 
li , vi fono ancora certe maniere, diurni ala te, col- 

- le quali d y improvvifo l’Oratore occupa l’animo 

- loro, quando meno fe T afpettano, Quello fi pub 

; fare Ibecialmente in tre m°di /. . #k ‘- 

I. Col trafportare : il cafo noftro iti altra perfò- 
iia da. quella , f che vo&liam movère * Così preflb 
il Boccaccio Gior, L Nqv . 7. volendo Bergamino 
far arroflìre di fua avarhia Ciane della Scala, nè 
. convenendogli riprenderlo liberamente per effer 
, quegli un gran Signore , racconta un fatto deli’ 
jfihzte Gligni cotanto Amile aLcafo fùo, che M. 
Cajne l’intende, e fi vergogna di # fua avarizia/. 

. -Il* Col proferire a tempo certi motti piccanti, 
t graziofamente detti , i quali vadano a ferire co- 
lorò che ftoi intendiam di commovere * Così preflb 
lo fteffo Boccaccio G. L h. 8, interrogato il Bor- 
fiere da [Érminiò dè’ Gfiifraldi , uomo avariflìmo 9 
che cofa egli potette far dipingere in 1 ima fua fa- 
5 la, che non foffe : rtiài fiata veduta, gli rifpofe : 
.Tateci dipingere la cortefià . ‘ * . 1 ' 

' III. Gol dimoftrare parlando giuntimi fenfi deli’ 
/ànimo nóftro . Quello fi efeguifce a meraviglia da 
-Tullio, benché dà taluni piuttollo a vizio che a 
* Virtù gli fi voglia attribuire. .Egli difpetto nel- 
; le fuè orazioni palefa i fuoi fentimenti di equità , 

■- di giuilizia, d’amore verfo la Repubblica, e ram- 
’ tóma i fervigi a lei preftati per affezionarli i cir- 

* St * J’*" tà~ 


X i$o X 

ladini, e farli perfuafi, che quanto egli dice, oon 
può effer loro che di vantaggio. # •' 

Tre .cofe per ultimo ha da avvertire chi brama 
movere gli affetti • I* Di lafciar libero il cono ^ 
all’ impeto della paflìone , e per confeguenza di 
non ricercar feeltezza di frali , o artificio di pa- 
role , perchè in quello «afo è la natura fola quel- 
la che deve operare e 1’ arte toglie fublto 1 a- 
fpetto di verità alle cofe . II. Di commovere fe 
‘Ileffo e' di procurare prima che fi feorgano m 
’lur quegli affetti che vuole dellar negli altri, im- 
perocché , dice Tullio 1 , non è poffibile di fare 
che fi fdegni , odii , ami , o a pietà fi mova un 
giudice, fe chi parla e colle parole, e co lenti- 
menti,- e colla voce , e col volto , e colle lagri- 
me ancora non dà fegno di una egual fonazio- 
ne ( 15 ). III. Di non effer troppo proliffo nel 
trattare gli affetti medefimi , ma di nfare varietà 
nello ftile acciocché quelli facciano impresone, 
" l’ animo avvezzo ad* un tuono di dire patetico 
non fi fianchi , o non ne divenga infenfibile . 


Ctsì Neque fieri potali, ut doleat is qui audit, *t,odenf , 
ut invidear, ut periimefeat aiiquid, utadfletum, mifencor- 
diamque deducatur , nifi omws illos motus , quos orator ad- 
hibere volet judici, in ipfo oratore ira pretti effe atque muftì 
videantur. Neque facile eft perficere , ut irafeatur , cui tu 
’velis iudex , fi tu ipfe id lente ferre videare, neque ut ode. 
tir eum, quem tu velia, nifi te ipfum flagrante™ odio ante 
viderit , neque ad mifericordiam adducetur , nifi ei tu fifjna 
doloris tui verbis , fententifs , voce, vultu, collacrymatio- 
ne oftenderis, Oe Orat. 11. 45- Summa circa movendosaf- 
feftus in hoc polita eft , ut moveamur ipfi * Nam & tuttus 
& ir* & indignationis aiiquando ridicula fuerit imitano, li 
verba , vultumque tantum , non etiam animum accommoda- 
verimus . . . Primum eft igitur, ut apud nos vakant ea , qu* 
valere apud judicem volinnus ; affi ciani urque s antequam am. 
^ere conemur. Quint , PI. a. 


% 


X tst X 

-capo ir. 

Del Coflume . 

INFotf vi è cofa nel perorare non folo , ma in 
tutte le azioni di noftra vita più valevole della 
prudenza, dice Quintiliano; e nulla giovano tut- 
ti i precetti , le di quella fiam privi (i) . Impe- 
rocché , ficcome nè a tutti i gradi delle perfone , 
nè a tutti i luoghi, nè a tutti i tempi conviene 
Io fteffo itile ; così la prudenza infegna all’ Ora- 
tore il modo di adattare il difcorfo alla partico- 
lar efigenza della fua caufa (2) . Quello dunque è 
un gran fegreto : e chi ne faufare, può dirli con 
verità Eloquente (3). 

K 4 ' Par- 


(1) Tllud dicere fatis habco , nihil effe non modo in orati- 
do , fcd in omni vita prius confìiio ; fruftraque fine co tradi 
cseteras artes, plufque vel (ine dottrina prudcntiam , quam 
fine prudentia Tacere dottrinati! A ptare etiam oiationem lo. 
cis , temporibus , perfonis effe ejufdero virtutis . Quint . £ 7 . 
sn fin . 

* ’ CO Quid aptum fi t , hoc eft quid maxime deceat in ora. 
tione videamus, quamquam id quidem perfpicuum eft, non 
omni caute , nec auditori, ncque perfori* , ncque tempori 
congrucre oratìonis unum genus . De Orai. lì 7 . 55. Non e. 
nini omnis fortuna, non omnis honos , non omnis aetas , non 
omnis auttoritas , nec vero locus , aut tempus, aut auditor 
omnis eodem aut vcrborum genere trattandus eft , aut fe n- 
tentiarum ; fempcrque in omni parte orationis, ut virae,quid 
deceat eft confidcandum : quod & in re d» qua agitur, pofi- 
tum eft, & in perfonis, & eorum qui dicunr, & eorum qui 
audiunr . Orato c. " j ’ 

CO Probabo primum cum, qui quid deceat videbit. Haec 
enim fapicntia maxime adhibenda eloquenti eft, ut fit tem- 
porum, pcrfonaruroque moderator. Nam necffemper, nec 
apud o timer* nec coutra omnes,* nec prò omnibus, nec Q- 
mnibus eoacnr modo dicendom arbitror . Is erta ergo elo- 
qui*, qui ad id quodcumqne decebit poterit acctyrimó^re 
Vi^ùom m , Tvt Cic . . , . . • : * 


X 152 X 

Parlando della Decenza che fi conviene allo fti- 
le abbiam veduto , che V Oratore, e chiunque par- 
la o fcrive dee aver tre riguardi . Il primo a fe 
lleffo: il fecondo .agli uditori : il terzo a que 1 tali 
ch’ei vuole rapprefentare . Del primo ne abbiam 
detto ivi battevolmente , e gioverà folo avvertire, 
che in tutto egli deve /are fpiccare Prudenza col 
non dir cofa apertamente falfa , nè indecente^) , 
e rapportandoli Tempre al configlio di chi ne fa 
.di pili per acquittarfi maggior fede : Probità dan- 
do. ovunque legno di fua riverenza alle divine ed 
alle umane leggi , e guardandofi di non correr la 
taccia di frodolento o infidiofo, perchè allora per- 
derebbe affatto il credito : Benevolenza mottrando 
di parlare a vantaggio di chi afeolta , per interef- 
farli vieppiù ad udire , e difporgli ad arrenderli an- 
cora fu la fiducia , che fi ricerchi il loro bene (5)* 

Non retta dunque a trattar in quello luogo che 
del riguardo che V Oratore ha da avere agli udi- 
tori parlando o fcrivendo fecondo il loro cottu- 
me, «perche così il fuo dire riefea più grato, e 
perciò atto maggiormente a perfuadcre ; ‘e di quel 
riguardo che dee aver a que 1 tali eh 1 ei vuole rap- 
prefentare facendogli operare , e difeorrere leeone 

do ? 

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« * # * * 1 . 

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H I 11^1 l ì .1. I I — — — 1 1 ■■■ ■ ■ Jh 

‘ ># * > 

• » » * 

(4) Molte cofe non fono per fe ftefle Convenevoli , e le 
divengono per le circoftanze ; e quefto non fi. può infegnar 
co* precetti , ma vi vuole giudizio nel dicitore per faper co- 
uofeere quando si, e quando no le fiefle cofe dire fi,, pofl’a- 
no . Tullio peiò dice : Ne dedeceat ejì maxime vitandttm i 
& de hoc uno minime ejì facile pisci pere non mi hi medo % 
fed et i dm illi ipfi Rofcio , quem fspe studio di cere , caput 
effe artis decere: quod tomen unum id tjfe^ quod tradi arte 
non pojpt . De Orar. T. 19. v ' 

, C5y Tutto quello nella pift. 22, L. II. ad Attico diviene 
lofegnato da Cicerone . Nane mihi & confìliis opus ejì , & 
amore , & fide , &c . . * 


X 153 X 

-do 11 lor coftume, concioflìachè non farebbe mèn 
'difetcofo fe egualmente egli parlaffe alla .prelenza 
'di un Principe come 1 fi fa prefio di un contadino, 
( che fe indiffintamente ad 'amendue daflfc * le ftefie 
-Idee, ed 'attribuiffe imedefimi fentimenti . 

1 In quella gaffa per tanto che un Medico dili- 
gente prima d" intraprender la -cura di un infer- 
mino , non dee lolamente iaperne la malattia , cui 
fludiafi d’ applicare il rimedio* ma eziandio ha da 
informarli della compteffione, del tenor di vivere 
€ di tutto ciò che può influire alla falutq del ma- 
lato ; così anche l’erator "prudente pra- 

tico delle confuetudini , degl’ inflittiti degli affet- 
ti , e delle inclinaziohi di coloro, a cui parla, 
perchè altrimenti egli non arriverà giammai a per- 
suaderli ( 6 )v Tullio perciò ebbe a dire che gli 
affetti , ed il coftume olila la fcienza del cuore 
Tono le due cofe che rendono l’eloquenza ^tnroi- 
'rabile, e vittoriofa ( 7 ) . Ed in : fatti fcoperta che 
noi abbiamo l’ indole i e T inclinazione di quelli , 
che vòglia tri pervadere * Tappiamo anche ufare dei 






1 j . 


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». f. • » % « 




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♦ X - * . 

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(6) Skùt" medico diligenti 4 pti u fq ua toner ur segro ad- 

hibere medicinam, non folum morbus ejus, cui mederi vo- 
ler, fcd etiam confuetudo vaientis, & natura cordóni co- 
goofcenda e/t ; tic e^uidem rum agaredrÒT ancipirem caufam , 
& gravem ad animos judicum pertraUandos , omni mente in 
ca cogl tatione , curaque verfor,"ut odorer, quam fagaciffime 
poffim , quid exiftiment , quid expeftent , quid velint , quo 
deduci oratione factilime po/Te videantur . De Orat. 77 . 44. 
Loci Oratori prode/To po/Tunt qui eli verfàtus in rebus , vel 
ufu, quem a>tas auditione , cogiratione , & Audio aflert .• Si 
erit idem in confuetudine Civitatis, in excmplis, in inAi- 
ttflrs , in omnibus voluntatibut civjum fuórung hofpes, non 
multimi ei loti proderunt i Uà ex quibus arguraenta prom un- 

Tuf »: De Orat. I. *• - » 1 * . > . • • ; 

. (7) Duo fune quae admirabilem eloquentiam frciunt v Qio» 
tus & mores . Ivi. " ' .« . - 


c 


X 154 x 

mezzi più opportuni ai noftro intento, e trovan- 
doli favorevoli , balta foltanto che ii .fecondiamo 
piegando le vele colà dov’ effi tendono ; fe noi ci 
avvediamo , che eglino fono contrari , o affatto 
indifferenti , allora fiam anche pronti a ricorrere 
a tutti quegli ajoti , ed artifici , che 1’ arte ne fom- 
miniera, ove manca il foccorfo della natura (8). 

Varia effendo adunque l’ indole degli uomini , 
fecondo la diverfità della lor condizione , del gra- 
do , dell’ età ^ del fello , e della nazione , breve- 
mente ragioneremo del coftume d’ ognuno in al- 
trettanti diftinti paragrafi . 


Del Coftume de % Potenti . 

• • * . • • > ; . 

L’ uomo potente è amante di nobili e generofe 
imprefe : è gelofo di conservare la fua dignità : è 
d’ animo grande e magnifico * ma non imperiofo • 
L* Oratore pertanto la vincerà colla dolcezza* 
col ^proporgli immortai fama, colla magnanimità , 
ec. Così Tullio s’ infinua nel cuor diCefare par- 
lando a favor di Ligario : e così anche fa Àlb. 
Lollio parlando a Carlo V. per la libcrazion di 

Franceico I. 

* * ) . , 

/ »’ f * 4 » * f ‘ 1 # » « * 


§. II. 


) . 




1 ■ ■ 1 - — 


(8) Si judices fe dant , & fua fponte, quo impellimus in. 
clinant, atque propendunt , acci pio quod datar , & ad ìd. 


linde aliquis flatus oftenditur, vela do . Sin eft integer , quie- 
tufque judex, plus eft operisi font enim omnia dicendo «x- 
citanda , nihil adjuvante natura • De Or ah }f* 44* 


\ * 


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X 155 X 

* . \ 

— » i » • « • • 

§. ri. . 

Del Coflume de' Nobili. 

i 

< 

E* ia Nobiltà bramofa di gloria , e d’ efier nel 
mondo tenuta in pregio . D’ ordinario poi è fu- 
perba , e fprezzarrice degli inferiori , è delicata 
quando trattali di onore ; Epperò chi parla deve 
porre fott’ occhio all* uomo nobile tutti que’ mo- 
tivi , che poflòno dettare in lui quelli Pentimenti 
di onore e di gloria , e guardarli di non metterlo 
a paro con perfona a lui di grado inferiore. 

§. III. 

Del Cojlime de Ricchi • 

' . * V 

Sono i Ricchi Toperchievoli ed orgogliofi; bili- 
cati perchè nodriri in mezzo ai comodi , è gran- 
diofi nelle fpefe, concio/Tìachè amino di oftentare 
le loro dovizie. Con elfi adunque conviene ufar 
umiliazione . fecondarli nelle onefte voglie , e lo* • 
darli nelle loro fpefe, e ne’ loro refori , quali che 
jfoffero i più beati della terra . 

. ■ . i » . . i t « . * 

§. iv. 

« * N 

Del Coflume dà Plebei * ‘ v 

\ 

Il plebeo è poco curante di fama,, e -di ono- 
re : cerca folo ciò che gli può elTer ai vantaggio 
o di follazzo . E' d’animo vile, e piccolo , fo- 
fpettofo, vendicativo, inftabile , ignorante. Per- 
ciò l’ Oratore deve convincerlo dimoftrandogli il . 
fuo utile o il piacere ; non tanto alando le ra- 


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X I5<* X 

gioni , quanto il timore , le contumelie * e le ttiU 
mede y e ricorrendo in óltre agli efempj o veri 

o favoloiì ( 9 ) . 

* ' ' , 

§. V.' 

f ■ • • • t -, <•*•»» > j *' 

t ' t ' 

Del Cqflume de ’ Dotti a 

* f t • 1 

* ■ % « ♦ * 1 

I Letteràri conofcono il ìor fapere , ed amanfo 
la gloria * fono piuttofto iracondi , e non voglio- 
no rifar deprezzati : fono leali e /inceri f ed al>- 
- borrifeono ogni battezza o viltà. Chi dunque de- 
ve parlar ad ricorderà di lodarli, roode- 

ftamente, di convincerli coll’ on erta e colla ra- 
gione . Sarà breve nella fpófizion delle cofe, per- 
chè rili prontamente intendono ; e per ultimo li 
guarderà da|t’ irritarli e propor loro ciò che con- 
tenga motivo d’ interrite , o che fenta di eofa 
tuen nobile e virtuofa (io) * . ’ ' ‘ - 

* ► * r 1 l 

. • §. VL •-••• 

% 

r » 

» , y * 

/. Del Coftume degli j4ppa (fionati < 1 * 

Qualunque ella fia la pattfone, che occupa .0 
cuor dell’ uomo , ne altera per tal modo i feati- 

’ ! • ' men- 


r M 


— . 


( 9 ) Àpud indoAos irhperkofque * frutta* , emolunienta 4 
voluptares vltltiodcfque dòlorum proferantur : addantur et- 
iam contumeiise atque igaominias . Cic, Partit. Macrob. Sa - 
tur. VlW 4' : V*‘* * > v* ' 

♦ ' (io) Quoniai» itoti ad veritatem foluin Ted etiam ad optato- 
nes eorum qui audiùut accommodanda eft orario ^ Hoc primum 
loteHigamus homkium duo effe gertera ; alterarti indoflum 
«grette , quod anteferat femper urrlitatenr honeftati : alterutnr 
expolitum quod rebus omnibus dignitatem anteferat. . . A pud 
liomines bene inftitnros plmirnuiri de laudò & hoaeft'-ate di- 
<emus . Cic, Partir, Orai / *, *• * 


s 


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X 137 X 

menti , che gli rapprefenta le cofe Tempre mag- 
giori di quello ,, che effe non fono . Vi vuole 
perciò molta deftrezza a pervaderli : conviene ge- 
neralmente moftrar loro con placidezza la veri- 
tà ; non affalirgli impetuofamente o con roburte 
invettive , perchè allora lì corre periglio di pre- 
cipitarli : lafciar ancora , che tratto tratto fi sfo- 
ghino , ed amorevolmente ribatter Tempre le lo- 
ro ragioni . 


1 V * * ^ , 

Del Coflume. di Giovani « - t 

» » • * 

I Giovani , dice Arirtotelè , fohq incollanti , 
iracondi . e nc» foffrono d’ effer vilìpefi . Ama- 
no di fovrallare agli altri:' non curano il dana- 
ro : fdegnano d’ effere ammoniti : credono facil- 
mente, e fperano Tempre bene ,' perchè non «an- 
no esperienza del mondo . Sono ancora coraggio- 
fi amorevoli degli amici , prefontuofi , compaf-: 
fionevoli, ed in coTe di niun rilievo trovano 
bene fpeffo motivo di trattenerli , 1 o di prender 
follazzo . Per vincerli convien dunque metter Io-; 
ro dinanzi il punto d’ onore , I’ emulazione , la 
gloria . Bifogna dertarli coll’ animofità , co pre-' 
' mj : far loro apprender i pericoli » e le disgrazie 
che poffono fopravvenire . . ' ' . ... - ; ! 

. ’ . ‘ '• . §. vnr. ” • •• • < 

• * . • i * !♦ 

, t , . - * V .y - / 

Del Cofiume di Vecchjt. » : . ' -t «* 

4 . * * - *> ^ \ 

- . 

Sono i Vecchi di coltomi affatto opporti alla 
Gioventù , perchè 1’ efperienza di molti anni gli 
ammaeflrò nelle umane vicende-, Si lamentano 

v ogni 


* 


V 


• X;h#X ' 

d’ ogni, cofa temort di tutto : fono avari , fofpef- 
tofi , dubbipfi , di poco animo, ed amatiti folo 
de’ propr; comodi * .Vogliono effer riveriti : rac- 
contano volontieri , c godono , che fi applaudi- 
sca a quello , che hanno operato ne’ tetripi di lo- 
ro gioventù. Amano la vita Tempre maggiormen- 
te, quanto ne fon più vicini al termine; è fon 
meno fufcettibili degli affetti veementi , perchè 
hanno perduto il fuoco, e l’impeto giovanile w 
Se voglionfi adunque perfuadere convien accre- 
. fcer i loro timori , fecondarli nelle loro opinio- 
ni , accarezzarli , e convincerli coi motivi di fa ■> 
jote , o d’ intereffe 


- - t 
* • < ‘ + 



, §. IX, 

ojìum delle Donne e 




; ' < 


A * 1 » , A è 0 % • 

-.Di Inai natura fa ; Donna è d’< ingegno fottifey 
. accorta Scaltra , ma volubile ed incollante .• . A- 
aaa , e loda più del dovere fe.fteffa : è loquaci , 
e timorofa j ma più facile degli altri allo' Sdegno »■ 
e vendicativa . Siccome poi è fornita di fentimen- 
ti più delicati ,• così ancora fi' commove più di 
leggieri a pietà , ed a conceder perdono Con- 
lfera pertanto colle Donne molèràre (lima del loro* 
wffo , e delle loro perfone : ufar dolcezza nel pér- 
f crederi e con ragioni facili e chiare,- e molto più' 
cogli affetti : non far loro aperta refillenza , ma 
fìnger di fecondarle , e delira mente poi conviti'- 4 
cerle def Suo inganno Senza 1 mai perù offendette y 
o molìrar di volerle Sopraffare .• ... 





I 


, Del Coflume delP uomo per ragion della : 

. j Nazione , o del Secolo « 

• # - 4- * ' 

»« , , , , ♦ 

' : Il Genio delle Nazioni è diverfo , come fon di- 
verfe le lingue • Una ama la femplicità , ed ab- 
borrifce qualunque vezzo : un’ altra vuole folo 
millerj , maeltà , e cofe maravigliofe : quella cer- 
ca il bello, il brillante, e fi diletta ai penfieri 
vivaci , e di gioconde immagini ; quella è tutta 
nerbo al contrario , e gravità * Il perfetto Ora- 
tore pertanto ha da aver l’ arte ancora di adat- 
tarsi al genio de’ popoli , a cui egli parla . I. Ad- 
unque fi uniformerà alle maffime del Governo » 
alle quali i fudditi facilmente s 1 accordano . IL 
. All’ indole propria della nazione , e allo fpirito 
fuo predominante (u)* IIL Al gatto del: fecolo, 
a cui fe voleffe opporli , farebbe riputato ridicolo, 
E fe quello gullo è depravato potrà correggerlo , 
e lludiarfi di parlare nella miglior, maniera , ma 
non mai fcollarfene affatto , per non fare che gli 

. - ^ . udi- 

• % 

• • ' 

— - - - - --- — - - -- — — 

• , k * ' / * ^ 

* * - 

Cu) I Tedefchi p. e. fono fchiettl, forti , coraggio^ an- 
sile uè* maggiori reticoli, veri amici, e affai ferrai nelle lo- 
ro rlfoluaioui . I Fràncefi fono umani, civili, liberali y bel- 
li cofi , pronti d’arrimo nell* intraprendere le imprefe diffici- 
li, impacienti della dimora, e affai vaghi di co fe nuove. 
Gli Spagnuoli fono collanti, confederati , tolleranti, onora- 
ti , e da non poterli condur giammai a commettere alcuna 
viltà. Gl’Italiani fono ingegnofì , di gran mente, di grand* 
animo, diffimulantl, e indugiatori. I Fiamminghi, e gli 
Olandefì fono (inceri , di retta ferma , che reggono alla fa- 
tica, moderati, e pazienti ec. Boccacci# Cìor, Pii, Difc. 4* 
Dccam . 


X I6p X 

uditori V afcoltino- di mala voglia , o gli volgano 
a un tratto con difprezzo le, Spalle. ( . 

Per ultimo fe l’Oratore confidererà la propria 
età, il Tuo grado, V opinione che di lui corre, il 
tempo , il luogo , e la circofìanza in cui parla , la 
diverfità degli uditori e per V età e pel feffo, e 
- per le loro fortune , e pei lumi di cui poffon effer 
dotati, vedrà che gli -è duopo ufar vprie maniere 
d’ eloquenza per mifurarfi a norma della loro ca- 
pacità, e de’ loro coftumi (12). Così effendo egli 
giudiziofo intenderà per fe fteffo non effervi cofa 
più ftolta quanto il rapprefentar gli oggetti, piti 
grandi del dovere , prènder un tono di magnifi- 
cenza in cofe piccole , affettar grandi efpreffioni. 
in umili foggetti , far il bello fpirito col baflo 
popolo, voler effer impetuofo e patetico in argo- 
menti che noi richiedono , opprimere con manie- 
re veementi uditori di fpirito debole e limitato, 
e finalmente* pretender d’imporre a perfone di 
capacità e carattere non effendofi ancora meritata 
una certa (lima ed autorità (13). ; 

— r capo nr. ; ' 

" Ì ' 1 * ' • 

' — * * * *** • • * 

Delle Qteejìioni . 

Il perfetto Oratore deve effer abile, e pronto 
a parlare intorno a qualfivoglia argomento . - Ora 
tutte quelle cofe , che a lui poffono fomminiftra-. 



■ ' • , 

(li) Refert edgnofeere qui firn audientium mores , que pu- 
bi i^t rectpta perfuafio .. Quiot. I. 3. Inft. Conditione tempo* 
rum ac diverfitate aurium formanti orationis effe mutandam . 
Quìnt. Dial. Orat. . 

Ci>) Rapia Reflex, fur i' Ehquence §. 6. x 


X T6i x 

I 

re matèria di diré, noi le intendiamo fotto que-» 
fio nome di Quelìione , che propriamente non è 
altro che una proporzione dubbiota che nafce dalla 
ilìanza e dalla contraddizione di que’ che difputano 
fra di loro. Primieramente dunque le queftioni o fo- 
no generali, e diconfi Tefi , o fono particolari, e 
diconfi Ipoteft . Le prime, non fon limitate a verna 
tempo, o luogo, o perfona, p. e. E' più utile la pa- 
ce , che la guerra . Le feconde fon rifirette a cer* 
te determinate circofianze, p. c. A noi qne]V an- 
no è più utile la guerra , che la pace (i). 

; Tutte lequelìioni inoltre s’inftituifcono a qual- 
che fine; laonde hanno per ifeopo o h Cognizio- 
ne 9 o V Azione . Quelle non tendono ad alrro che 
ad informarci , e a feoprire qualche verità ; que- 
lle mirano a farci operare , o ad intralciare al- 
cuna operazione (2) . , Così fc fi propone a de- 
ciderli fe movafi il Sole 0 la terra , quéfta farà 
queftione di pura cognizione ; ma fe fi proporrà 

a di- 


T 

00 Qu*ftionum duo funt genera.* alterimi infinitum, 
alterum definitum. Definitimi eiì , quod Grsci, 

nos caufam . Infinitum , quod j] |{ appellane, nos pro- 

pofirum polfumus nominare. C ic. Topic. Duo prima gencia 
quasfiionum, in qutbus eloquenti^ verfatur : unum infinitum, 
alterum certum . Infinitum mihi videtur, in quo aliquid ge- 
neratiti] qu*reretur . Certum autem in quo quid in perfonis 
& in cohftituia re & definita .quaereretur . De Orar, II. io. 
Quint. III. s» 

(Ó Quseftionum autem quacumque de re fint , duo funt 
generai unum cognitionis , alterum atHonis . Topit. A ut 
ipfa cognitio rei , feientiaque petquiritvr, ut, virtus fuam 
ne propter digniiatem , an propter fruftus aliquos expeia- 
tur i aut a^endi confilium exquiri/ut , ut fit ne fapienti cav 
pelfenda refpublica . , De Orae. III. 19. Abbiam lattiate altre 
diviuooi o perchè, fon da fe lìcite chiare, come la diverfitì} 
della queftion principale, dall’ incidente , o perchè fon arte 
/oJo a produrre maggior, coufufioae , • 9 ' .* ... 

Ciard, E lem . T. II, 


1 


1 


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X IÓ2 X 

a dimofirare doverfi perdonare al nemico y la quC* * 
ftione farà d’azione. 

Di qualunque fpecie elleno fiaoo poi le queftio» 
ni) fi devono ridurre a qualche punto principale, 
dimofirato il quale* lacaufao in tutto* o in par- 
te refti decifa; e quello dicefi Stato della queftio - 
ne . Quello Stato adunque * che nel genere giudi- 
ziale ipecialfflente fi manifefta , non è altro che 
quel punto, e quella contefiaziortc* che rifulta dal 
primo contrailo * che fra di loro infiituifcono T 
accufatore e il difenfore j olila quella propofizio- 
ne che l’uno o l’altro s’ affarne a ditnoftrare nel 
fuo ragionamento (3); propofizione ancor dub- 
biofa* ma che in breve determina il punto del- 
la difficoltà che fi fottomette al giudizio * Cosi 
gli accufatori di Milone dicono: Milone dee mo* 
rire per aver ucci/o un cittadino Romano è Tullio 
rifponde : Non deve egli morire perchè uccife un 
ingiuflo aggreffore* Lo fiato dunque della quiftio- 
ne qui fi riduce a vedere : Se cada f otto la pena 
di morte chi ammazza un ingiuflo aggreffore * o 
no. Cefare preffo Sallufiio dice: I compagni diCa - 
ti lina non fono da punir fi colla morte * perchè fon 
cittadini Romani . Catone rifponde: Si devon pu- 
nir colla morte * perchè fi fon ribellati alla patria* 
Lo fiato della quefiione farà dunque di vedere : 
Se un cittadino Romano ribelle alla patria goda 
ancora i privilegi della legge Porica 0 no* 

Quattro pertanto fono i gradi offrano gli fiati * 

a cui 


.CO Statum quidam dizerunt priitlam caufarum conflitf io- 
ne m : quos rette fenfi/Te , parum elocutos, puto. Non eft 
«nim flatus prima conflittio ; fed quod ex prima conflimo- 
ne nafcitur . id eft genus quseitionis • . Status cauf* quod 
& Orator precipue fibi obfinendutti , & judex fpe&andum ma- 
xime iutelligit; in hoc cairn wuf* confiflel . Sjtint. HI. 6. 


* 


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/ 


. .. . X 163 X . . 

^ * - I . ► • ^ 

à cui una queftione fi può ridurre. Imperocché L 
o fi cerca della verità del fatto fé è vero o no j 
e quello chiàmafi Stato di Congettura i Ili o fi trat- 
ta della natfrra è condizione del fatto fletto fe è 
giuflo o ingiallò * e dicefi Stato di qualità . III. 
o fi difputa Alila impofizione del nome e fulla 
tlatte in cui il. fatto devefi riporre, e chiamali Sta- 
to Definitivo (4) ; IV; o finalmente fi tratta della 
maggiore o minore grandezza o reità dèi fatto , 
dicefi Stato di quantità (5) ; Così fe 1 ’ Oratore 
fi allume a provare! Che Milane abbia, 0 non ab- 
biti uccifo Clodio i la fua caufa farà Congetturale: 
Se non impugnando che T abbia uccifo * follitne: 
Che Milane non deve éffer punito per r uccifione 
di Clodio perchè ammazzo un irtgiujìó àggreffore j , 
la Caufa farà di Qualità; Se poi noti potendo ne- 

L z 


ga- 




rr 


^4*. Dello fiato d*l quantità Tullio non né parla, ma ne fa 
menzione Arinotele . Per altro febbene qualche volta po 0 a 
ridurli allo flato definitivo producendo imendue in foft anaa 
io fìeffo effetto ; pure non. e inùtile il diftingùerlo . 

(5} Cognitionis Qhaeftionés triperrit* fune, cum an Ut , 
£ut quid fìt, aut qua'e fir quèritur . Horum primum confe- 
ttura i fecmliuixr definitiofte, tertiuih juris & injuriae diflin- 
Oione eaplicatur .. Cic . Topic, Cum fatti controversa eli , 
quoniam conjetturis cauta nrtaatur , conflitutiò conjettùràlis 
appeliàttfr . Cum atttem nomini* , quia vis vocàbuli definien- 
da vcrbis eft, conflitutio definitiva nominatore Cum vero, 
quali* tic res, qusèritur, quia de vi & dé genere negocif con- 
troversa elt, conflitutio generali* v òcàtur . Ot Ini;. L Aat 
ita Confiflendùm eft, nt quoti objicitur fattutn neges , aut il- 
luda quod fattuni fateare , neges eairt vim habere, atque id 
effe, quod ad Vertati tìs crittiinatur . Aut fi neque de fatto, 
nequè de fatti appellatone ambigi pote.it, id quod arcuare, 
tt*ge* talè èffe , quàlé 1 Ile dicat , de rettum effe , quod fece. 
fiS co nc ed end atti ve défendas , . ita primus ille flatus & quali 
conftiftio Curo id verta rio ccmjetfura qu ad atti : fecundus defi- 
nitone, acque defcfiptiotte verbi: terttus acqui & veri & re- 
tti & humani ad ignofeendum deputatone trattandus eft. 
Orai, Persia V, Oc Orai, ITT. 19. Or. n . aoa. 


% 


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X ió4 

gare edere tale omicidio un véro delitto, difeecJe- 
rà folo , che non fi deve mettere nella cl affé degli ' 
tffaffin) /’ ùccifitene di Clodio , la Caufa Tara De-' 
Unitiva*. . Se finalmente convenendo’ le parti fulla' 
definizione del delitto 15 difputerà fqlo falla drlur 
gravezza : Se V uccifione di Clodio fia omibidi# 
femplice y o proditorio , la Caufa farà di Quantità.’ 
L’Oratore dimane deve procurare primieramen- 
te , fe gli è poifibìfeY di ridurre la fua queftione^ 
allo fiato di Congettura j poi a quello di Qualità J 
poiché,' quand’egli giunga, a ben dimoftrare if 
fuo affunto , nell’uno ò nell’ altro cafo può total- 
mente liberare il reo. Che fe egli dalia necefiltà 
trovafi obbligato a non poter oftare pienamente 
all* avverlàrio ; allora deve pattare allo fiato De- 
finitivo , per cui fe non potrà Tempre toglier del 
tutto il fuo cliente dalla pena, almeno ne lo fal- # 
vera in parte. Finalmente quando la colpa fia co- 
sì evidente , che nulla negar fi poffa di ciò che 
dall’ avvedano viene oppofio , tenterà almeno dì 
ricorrere allo fiato di Quantità per diminuire pii* 
che fia poflftbiTe la gravezza delia colpa , e confe^ 
guentemente anche la pena. ■* 4 

' Provali una caufa di Stato Congetturale cacati- 
do gli argomenti dalla caufa , dalla per fona * e 
fial fatto (6). Cosi Tullio * : ficcome abbiamo di- 
inoltrato altróve Quella difesa di Milone Compro- 
va edere fiato Clodio non già Milone i’ infidia- 
tore dalle congetture della caufa , perchè Clodio 
già da gran tempo odiava Milone, f e*dato a v$à 
indizi delia fua efpretta volontà > d* ammazzarlo : 


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coiti confettura igitur accusatori hmc duo prima fuot ì 
Caufa , Se eventus . Caufam appello rationem efficienti ; evea* 
tìun i4 ^uod «ft effettuai* Cic. Partii. Orai***»*-' 

v. 1 .vera 




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perche dalla al lui morte fperava grandi vantaggi ? 
toglieva di vita colui che lo teneva a freno, e fi 
apriva la lirada ad opprimer più facilmente la Re- 
pubblica, e perchè finalmente fperava <ìi pattartela 
impunemente * come eragli riufeito in tanti., altri 
delitti Da ‘quelle >4 deiia Perfona > perchè Clodio 
era .Tempre fuco avvezzo a far violenza a tutti i 
buoni,:.. perché era Tempre viffuto da iniquo , étf 
ufo èra a trattare falò con federati . Da quelle def 
fatto per r fe circoftanze tutte del;iiiogo^ del tem- 
po, e della maniera colla quale incontrò, è ven- 
ne alle' mani- non Miione 17) „ ^ r / 
r . Nelle caufe di' Stato ci qualità , 6 fofiìerifi af- 
folutaroente , che l’azione era lecita e grulla; è 
quello fi* prova colla legge naturale, o. conile leg- 
gi civili ^ o cori le confuetudini *6 con T equità * 
i patti , ec. o fi fofiiene .come decita in quella da- 
j|a circottanza , dimoftrando a cagioh , eferhpio ^ 
che de*, due mali duopo.era ad uno appigliarli ; o 
yimQverido anche da fe la colpa , e la caufa , ftoii 
iLdeiitto; o finalmente"mollrando d^ettere fiato ai 
ciò sforzato dalla * necettìtà > dalla violenza altrui y 
dal tintore, o-trafportato da giufto sdegno . 

Le caufe di Stato Definitivo fi, dimollrano fpe- 
cialmente arrecando un’efatta definizione della ,c 9- 

4 -r . r /« ; C l 

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(7) Quello che qui fi dice delle congetture cototrarié, 
cafì per I’ óppofto delle congetture vantaggiofe ,, q^uand 


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dii 

n do (r 



qusdam figna preteriti, & quafi impre/fa fatti yeftigja v ^iraer 
quidem vel maxime fufpicionetp niovent, & quafi tacita fune 
crimioum Teftimonia- .. Partit, Otat. come p. e. fe uno vierf 
colto in’ fuga fpr.uZzato di fangue in tempo, che refta uccifò* 
un uomo'; da ciò fi può pigliar congettura eflert»e r egli iterò’ 
Pucci fòie .> 


% i 66 x 

fa o del fatto fu di cui cade la quefiione ; e que- 
lla in feguito fi illuftra con efempj , i quali prò- 
vino , che in fomiglianfi cafi in uno piuttofto che 
_ fn altro modo è flato definito . Nella Orazione a 
favor di Rabirio così Cicerone concede all’ av- 
verfario Labieno , che Rabirio abbia prefe Je armi . 
contro di Saturnino; nega però efler quello un 
' delitto di maellà ; e lo dimollra col far vedere , e 
col definire eofa fia delitto di Maellà . In quella 

S er Cecinna poi fi fa quiftione , fe balli 1’ efiere 
ato coll’ armi atterrito dall’ invadere un fondo al- . 
trui per acculare alcuno di violenza , o fe di piò 
fi richieda che violentemente il padrone ne fia fia- 
to dal poflelTo (cacciato ; e ciò fi determina colla 
definizione dell’ azione de vi , _ _ 

Per dimollrare finalmente lo Stato di Quantità 
fi efamina la cagione che molle il reo a far il de- 
litto , la quale fe è lieve , aggrava la di lui col- 
pa : fi mette fott’ occhio il danno da lui arreca- 
to , l’ ingratitudine , la qualità dell’ offefa con tut- 
te le circoftanze che la polfono prefentare mag- 
giore , o minore : Ja temerità onde fi violò la leg- 
ge , o per lo contrario 1’ inconfideratezza , colla 
quale fi cadde nell’ errore . Così Tullio nella O- 
raz. per Ligario confelfa che quelli anche fia reo 
preflo di Cefare; ma però intende che fia fcufa- 
bile il di lui fallo , perchè feguì un partito ab- 
bracciato da tanti nomini illufiri . E Cefare pref- 
fo Sajluflio non nega che i Congiurati fiano degni 
di caftigo , ma vuole che non s’ imponga (oro una 
- pena ftraordinaria ; e Catone all’ oppofio foftiene 
effer il delitto loro sì grave , che efpiar fi deve 
colla morte (8 ) , 


♦ • ( l | • ^ 4 f # * #• | 

(8) Un nitro Surto ancora, die Twist ivo .6 nomina, 

vrcn 


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X 1&7 X 

Tutte le queftioni poi che inflituire , c trattar 
fi poflono da un oratore, di qualunque lpecie , ò 
flato elleno fìano , fi riducono al genere Dimo- 
Jirativo , o al Deliberativo , o al Giudiziale . Le 
caule Ditnoftrati ve fono quelle , che contengono la 
lode , o il biadino d’ una cola o d’ una perdona 
fecondo le fue virtù , o i Tuoi vizi (9) . Le Deli- 
berative rifguardano la perfuadone , o la diffuafio- 
ne d’ un’ affare per rapporto ai vantaggi , o ai 
danni che può arrecare . Le Giudiziali tendono 
ad acculare o a difendere alcuno fecondo la §iu- 
ftizia , e l’equità (io). Le prime fi riferifeono al 
predente ed al palTato : le feconde rifguardan folo 
il futuro : le altre foitanto ciò che già è accadu- 
to (11). Di tutti e tre quefli generi di caule noi 
parleremo in feguito didimamente , 

• L 4 AR- 


vieti riconofciuto e da Tullio, e da Quintiliano» Quello 
però non nafte dalla caufa propriamente : ma le è affatto 
eflrinfeco ed accidentale; nè in efTo trattali della qualità o 
Ingiuftiaia del fatto, ma della femplicc legalità dell* azione % 
laftiandofi da parte il punto della queftion principale • Si 
ricorre a quello Stato Traslativo, allorché non potendoli in 
verun modo follare o difendere il reo, fi cerca di provare, 
che l’azione iilituita è irregolare o per l’inabilità dell'at- 
tore, o per cagion del reo, o per l'incompetenza dei giu- 
dice, o per rapporto ai tempo, alle leggi, al delitto, alla 
pena , ec. 

(9) Omnis vis laudandi , vituperandique ex his fùmetur 
Virtutum , vitforumgue pàrtibu*. Partita Ota% % * 

(10) Tria funt genera caufarum, judicii , deiibetationis , 
laudationis , . . . judicii finis jus : deliberando fini* utilitas : 
laudandi finis honeflas . Topic. V. de Ino» Ih OH Or at, /. 3 1. 

ad Htrcn. /. j. 

(pO Omne Oratoris officium ant in judicitt eli aut extra 
judteia , Eorum de quibus judicio quaerirur , manileftum ge- 
uus eli : ea quse ad judicem non veniunt aut praetcrirum ha. 
bent tempus aut futurum . Pretèrita Uudamus aut vitupera, 
mus ; de futurìs deliberamus . Item omnia de qaibus dicen- 
dum clt aut certa fint itecele eft, ant dttbia» Certa, Qt cui. 

que 


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ARTICOLO I. 


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<, < • ♦ 




Del Genere Dimqftrativo . 

T . ✓ . • : ** * ' • . x*. ‘ - .* - 

utte quelle Orazioni , nelle quali trattafi di 
lodare , o di biafimare qualche perfona , o quaL 
che azione , o altra cofa , fi comprendono fotte il 


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lìm 


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ZIO*- 




* % : * » # t 

que eft animus laudat aut culpat: ex dubiis partim nobis 
ipfis ad ele&ionem funr libera , de his deliberatur : partim a- 
liorum fententiae commilTa, de his lite coittenditur . . . . Eft 
Igitur unum geNus quo laus ac vituperano coptinerur, fed 
eft appellatum a parte meliore laudativum : idem al i i detnon* 
ftrativum vocant . Alterum eft deiiberativum . Tertium ju- 
diciale. Quint. Ili . 4. . , ; •„ y 

CO Demonftrativum eft, quod tribuifur iu alicu;us certa 

f ierfonae iaudem aut vituperationem • De trrv . 7.^ Ad tleren * 

• Si pofTono lodar le beftie, le città, i fiumi, le cafe * 
«c. , e tatto riduce!» a quello genere. , 


* 

i 


genere Dimofirativo , che da’ Greci fu detto ive* 
S'ux.TiTtèy (i) • Siccome dunque in quelle caufe folo 
fi ricerca di far comprendere la natura , e ie buo- 
ne , o cattive qualità della cofa o della, perfona , 
che pigliali a lodare , *o a biafimare, nè il ragio- 
namento tende ad alcuna azione degli afeoltanti ; 
perciò è neceflario die 1’ Oratore in effe piti che 
altrove fi sforzi di guadagnarli la di loro- benevo- 
lenza , perchè egljno.'non hanno a giudicar d’ aL 
rro , che della di lui abilità .. 

Cinque fono pertanto le generali avvertenze , 
che devonfi avere nel genere Dimoftrarivo, I. Che 
tanto le lodi, quanto i biafimr fiano veri e ben 
fondati , per non renderli - ridicolo , e per non per- 
der il credito colla bugia e la fallirà .. IL Che le 
lodi fiano proprie di quello, a cui s r applicano * 
non già comuni ad altri ancora * HI. Che le a- 


3 

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Digitìzed by Google 


iiofti elle fi lodano non fiano già picdole 9 é df 

f oco pregio ; ma bensì grandi e rimarchevoli (2) . 

V. Che il difeorfo fia uniforme a quella opinio- 
ne , che corre pretto di tatti , e che fi lodino, ,0 
biasimino quelle cofe appunto, che di lode o. di 
biafimo degne vengono comunemente dagli udito- 
ri riputate (3) . V. Finalmente, che alle. iodi del 
foggettò, fe è pottìbile, fi unifeano quelle de’ giu- 
dici , e s’ impegnino ad afcoltare ancora colla fpe- 
ranza del loro proprio intereffe (4) . h 

Siccome poi, al dire di Favorino il filofofo, è 
cofa affai peggiore il lodar freddamente , che il 
biafirtiare con acerbità , perchè fembra , che npn 
trovi materia di lode nel fuo (oggetto quell’ ora- 
tore, che nel difeorfo non fa - campeggiar F elo- 
quenza (5); perciò dovrà egli abbellir le cofe con 
eleganza di frafe, con vivacità di fentenza , con 
elevatezza di concetti, con figure efficaci, e con 
tutto ciò in fomma che può render 1 ’ elocuzione 
piò vaga , piò dilettevole, e piò grave.;. . ; . N 
I motivi di lode e di biafimo fi ricavano dalle 




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• (2) Sumendx autem res eruht aut rtiagnltttcfine' pfaeflnbt- 
le s , ' aut novitate primae, aut genere ipfo fingulares . Ne- 
que enim parvae, ncque uHtatae , neque vulgares admiratione f 
aut omtiìno laude dign* viderì folent. De Orat. IT.ó’j. 

(?) Plurimum refert qui nnt audientium mores, qu* po- 
llice recepta perfuafio, ut itla maxime, qua! probant , effe 
in eo ,quì laudabirur, credànt, aut in eo con tra quelli difci- 
rous , ea qua: oderint. Quinta Lib. Ili . % 

C4) Ipforufn etiam judicum permifeenda Uusfemper; nan*. 
id benevolo* facit : quoties auteitt fieri poterit, cum raateri*- 
uri lirate jungenda. ivi . : ‘ »• ■ *.•* » ...... 

, C5) Turpiua effe dicebat Phavorinus philofophus esìgue 
atque frigide laudari y quam infèttanter & gravrter vitupera- 
ci • . . Nam qui infaconde atefue jejone laudat , defittili a cau- 
fa vìdetur y & niFiil poffe reperiri . quod jure laude*. A*Geh 
L. XL & 3- Nolf. Atti', ■ * 


X »7® X 

tt 

doti dell* àttimo t dai heni di fortuna t e dalle cor* 
potali prerogative ancora, fecondo l’ufo buono, 
o cattivo , che quella perfona ne ha fatto (<5) . 
Quanto però 1’ Oratore può eftenderlì col fuò di* 
fcorfo parlando delle virtù e delle doti dell’ ani- 
mo, le quali fomminiflrano vero argomento di lo- 
de ; altrettanto deve andar cauto parlando di que’ 
beni di fortuna, i quali non dipendono da verun 
inerito aoffra, ma puramente dalla forte. Quelli 
fi poffono ridurre alla S tirpe , alla Patria , alle 
Rucbtxze, ed agli Onori, 

Se pertanto la perfona che vuoili lodare è di 
nobile lignaggio , fi pofTono brevemente rammen- 
tare le glorie de’ Tuoi antenati, non facendo però 
il loro panegirico , nè ofcuranao con lo fplendo- 
re di quelli il nome di chi fi è prefo ad encomia- 
re. Che fe quella poi fofTe di ofcuri natali, o fi 
tralafcierà di parlar della nafcita , o fi dirà con 
Patercolo , che optimtis quifque nobilijjimus efì , e 
con Seneca : Non facit nobitem atrium plenum 
fumofis imaginibus , Nomo in no/ìram gl or t am vi~ 
xit ; nec quod ante noe fuit , nojtrum ep. Animus 
facit nobitem , cui ex quacumque conditi one Jupr a 
conditionem licet J urgere , &c. 

La Patria fe è celebre , ed illuffre per aver pro- 
dotti uomini grandi può fomminiflrar anch’ erta ar- 


CO Qui laudabit quempiam, intelliget, exponenda (ibi ef- 
fe fortuna bona. Ea funt generis, pecunia, propinquorum , 
amicorum , opum , valetudini, fornii, virium, ingenii,cz- 
terarumque rerum, quz funt, aut corporis , aut estranea fi 
habuerit bene bis ufum : fi non habuerit , fapienter caruiffe." 
fi amiferit , moderate tuIifTe. Denique quid fapienter, quid 
liberai iter , quid fortiter, quid jufte, &c. De Orat. II. II* 
Videre autem in laudando, &in vituperando oportebit, non 
txm , quz in corpore , aut in externis rebus habuerit is , de 
quo agetur, quam quo ratto his rebus ufus ftc , De Inv . II. 


r 


X 17* X 

gomento di lode ; ma non per quello può avve- 
nire, che ancora in barbaro fuolo crefcano gli e- 
roi , e molti efempj fe ne poffono addurre . Se per- 
tanto avelfimo a lodar uno, che in paefe incolto 
fegnalato fi foffe nelle arti 0 nelle fcienze , ciò 
v potrebbe effer un motivo per lui di maggior com- 
mendazione f 

Gli onori , quando fiano frutti della virtù , c 
che bene alcuno abbiane ufato , o generofamente 

f li abbia rifiutati fomminiftrano materia alla lode. 

e Ricchezze poi anch’ effe , fe furono acquiftate 
cpn onefii fudori , ed impiegate negli ufi neceffa- 
r; della vita, o nel beneficare altrui, non già 
fcialacquate nell’ozio, fono motivo di lode. Che 
fe nella perfona che vuoili lodare non concorrono 
quelle cofe , fi può efaltare la fua non curanza di 
quelli caduchi beni : la coltanza e la virtù dimo- 
strata nell’ efferne fiata priva immeritevolmente ec. 

E ficcome dalla bellezza del corpo , al dir d* 
Eumenio (7), e della perfetta difpofizion delle 
membra fi può argomentar della eccellenza dello 
fpirito ; perciò anche quelle doti efteriori poffono 
fomminiftrare materia alla lode , o per 1’ oppofto 
al biafimo , fecondo che furono colla virtù , o con 
i vizi congiunte . Che fe alla bellezza dell’ ani- 
mo non corrifpondeffe quella del corpo, allora fi 
può dire con Salluftip , che Preclara facies , ma» 
eroe diviti* , ad * hoc vis corporis & alia omnia 
hujufcemodi j brevi dilabuntur ? e dimoftrare co- 

; me 

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. * ' ~ » ■ » I 


(7) Natura ipfa magnis mentibus dpmiciifg magna meta* 
tur , & ex vujtu homiijis , decoreque membro rum , colligi 
potei!, quantus fpiritup Murari* habtiator. InPatug* 

Gonfia mini M* * 


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* • , r » 

tfie affai Hfcgfio fiano (lati . compenfari i difètti 
dell* uno colla virtù dell’altra 1 * ' 

Lo fieflb proporzionatamente fi può applicare 
élla lode d’ nna Città , a d’’ un paefe ^ cavandone' 
gir argomenti dai celebri fondatori y dalla* faa an- 
tichità -, dalla vantaggiofa fituazione , dàlia elegan- 
te bruttura, dagli ottimi abitatori , ec. Ai gene-» 
re Dimofirativo poi fi riducono i Panegirici : Lef 
Orazioni Funebri Le Genetliache * Gli Epitala- 
mi : Le Congratulazioni : Le Grazie il 


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Del Panegirico Y 

■ * >0 il 4 * 


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^reffo f Greci erano* i Panegirici; alcune oraur 
lioni , che con folénne apparato reci fevanfi in oc** 
Cafione de’ pubblici giuochi in lode del Nume ,> 

. che a' qtoelli prefiedeva y o in lode de’ Magiftrati,, 

. e del vincitore •- Preffo f Laftini il panegirico' era 
ùn’ orazione, la quale d’ ordinario facevafi* in Sc< 
nato* ili onore del Principe, o de IP Imperatore.; 
Predo di noi pòi non è altro che un ragionamen-i 
to , ih “cui fi celebrano le glorie di D io,* e le vii>-\ 
tuofe gefta de’ fuòi Santi , 1 * ^ * * : : 

In quelli T Oratore deve:* f. Efaltare le virtèr 
dei fuo'eroe.in mòdo che gli afcoltanti ne refiino' 
comriibfli, V ammirino } e vengano ecc!tati»ad> i- 
xnitarlo ;? ma noh per quefto' ha* da’ ulbir dal fuo 
pit>pofito , come fanno cert’ uni , per volerla far 
dia. nlofofi , o da moralifii r sferzando il cofiume r 
e dimenticandoli poi delle lodi del Santo. IL Ri- 
durre tutte le gloriole gefta dell’Eroe, che pren- 
de a .celebrare ,. ad. un lo! capò', óflia ad una prò- 
poliziotte., la quale dia .il vero e (ingoiate di luì 
carattere ; c q,uefie o trattarle a fua talento > o 

„ etpor- 




X: m X. 

fifpork anche cronologicamente ; ma m manieri 
adorna , e vaga . Ili,' Ufare uno ftile colto , ed 
ornato, ed inferirvi le fue digreflioni , le quali 
con grazia vengano ad unirli all 5 argomento prin- 
cipale . 




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• Delle Orazioni. Funebri . 


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r.li Rlooi che fi fanno in morte di qualche 
gran * perfonaggio diconfi orazioni Funebri Vo- 
plion ouefti efler incominciati in maniera luttuo-, 
fa e flebile * ficchè ne redi no da principio fubi-; 
to’commoffi gli afcoitanti . Devefi in feguito com-: 
piangere la perdita del defunto, e lodarne le 
virtù , e le grandi imprefe : confidare le perfone 
a lui congiunte filila lperanza di fua falute colla 
fiducia de’ rimafti Tuoi figliuoli, e fulla confiderà-, 
■zione della fua fama. Convieite per ultimo ani- 
mare gli altri tutti ad imitarne la virtù . Si può 
conchiudere coll’ eccitare un vivo deiìderio del 
Defunto : col prometterne preflo 1 poderi 1 im- 
mortalità : col dettare la gratitudine In cuor di 
quelli che furono da lui beneficati ; e col inoltrarti 
perfuafo 'effer egli già in Cielo a godere il frut- 
to di fue fatiche , e di là vegliare a nottro van- 
taggio e per la nottra falute (8)» - , 


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C8Ì V Orazione funebre fi può fare anche nell’ anniverfiu 
rio d’ alcuno; ed allora la confolazione può effer Anche ìnu- 


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Epitalami fono que’ componimenti , che lì for* 
mano in occafione delle nozze de’ grandi perfo- 
na°gi i In quefii primieramente fi . poflbno loda- 
re^ vantaggi, che ne vennero alla focietà in ogni 
tempo dalle nozze: qùiridi pattare a tefferé un e- 
logio ai novelli fpofì cavato dalle loro virtù , ed 
ottime 'prerogative - V apparato' ancora e I’ alle- 
grezza de’ congiunti ,• de’fudditi* cc * può fómrni- 
nifirar materia di encomio . Finalmente fi devt 
conchiadere con pfofperi auguri, e per la con-- 
cordia degli fpofi , e per la futura prole j da cui 
fi fpera , che lo fiato o la patria abbiano a rice- 
vere nuovo lufiro * e grandi vantaggi 

- f f y . . . .i '• I . »’ ' H fJ r * ■ 


Delle Ór azioni Genetliache * 

. ♦ * ' * . . J : . . 1 

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tMcefl Orti Ione Genetliaca quella y in cui fi 
celebra il giorno , natalizio di alcuno * In effa 
1» Oratóre deve primieratiieflce dimoflrarc lòtfima 
allegrezza* e contentò per. la venuta di si fau- 
fio giorno: quindi palpando alle lodi del nato 
bamjnaa deve dedurne i motivi dalla gloria de* 
fuoi maggiori * che in Certo modo per eredità a 
lui appartiene , e dalla fperanza della futura fua 1 
educazione * per cui riufeirà vero di loro imita-* 
tore . Rallegrerai in feguito coi genitori per la 
prole felicemeote ottenuta; e conchiuderà col por* 

ger 


X 175' X 

gcr voti al Ciclo per la profperità degli uni , e 
dell’ altra (9) . 

§. V. •' 

» > 

Delle Congratulazioni # 

ter più inorivi pub accadere di dover teffcrt 
Un difcorfo di congratulazione , o per una ripor- 
tata vittoria , o per la ricuperata falute , o per 
una dignità conseguita , o per un profpero ritor- 
no , ec. Generalmente perb in quelle orazioni con* • 
, viene: I. Dimoftrare un trafporto d’allegrezza 
per la felicità di colui, col quale ci congratulia- 
mo. II. Amplificare la felicità ideila, ed il pro- 
spero avvenimento , dovuto ai ineriti fuoi . III. 
Éfprimere il vivo noltro defiderio , acciò perpe- 
tuo e durevole fia il motivo di noltra congratu- 
lazione . Si potrà ancora , trattandoli maffime 
d’ una vittoria , mollrare la difficoltà dell’ imprc» 
fa: la celerità nell’averla condotta a buon fine: 
la prudenza nel difporre le cole , il valore nell’ 
efeguire il tutto , ec. 

§. VI. 

Dille Condoglianze, 

Alla partenza di qualche illuftre Perfonaggio 
talvolta ci dogliamo pubblicamente con una Ora- 


C9) Anche quelle orazioni fi poflono fare ricorrendo il di 
natalizio d* alcuno; ed allora parlandoli ad un adulto fi tef- 
ferà l’elogio delle di lui virth , accennando la pubblica al- 
legrezza al ritornar 4* un si bel giorno, in cui elfo nacque* 


X 17<* X 

ilone della di lui perdita . la limili occafioni de* 
veli I. .Palefare 1’ univerfale fpiacere -per la det- 
ta proffima partenza di quel Signore . II. Ram- 
mentare i di lui benefìci , .e teffere 1’ elogio del- 
le fue virtù. III. Efaltare il grado cui effo vie- 
ne innalzato, e rallegrarci di, fua fortuna moftran- 
doci incoraggiti a far quel fagrificiò per il pub- 
blico bene , e per la gloria^deUo fleffo Perfonag- 
gio. IV. ^Augurargli profperità , e - raccoman 7 , 
darci alla fila protezione col fupplicarlo a ferba- 
re di noi memoria , promettendogli dal canto uor 
Uro gratitudine eterna ( 19 ) *. :.:*««• **o» 

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$. VII. 


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Deile Orazioni Eucarrjliche ..." 1 . 


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< , ‘ 1» 

- - Furon dette Eucarilliche da’Greci tutte quelle 
Orazioni , nelle quali trattali di ringraziare alcu- 
no per i favori , ed i benefici a noi compartiti . 
Quelle devono contenere I. una fincera dimoura* 
zione d’allegrezza per il ricevuto beneficio .II. 
un’ amplificazione del beneficio ifteflo cacata dal- 
la perfona , che lo fece , .e da quella che lo ha 
ricevuto ; dalla natura della cola , e dal teni- 
po , e dal modo , in cui venne. conferita . III. 
una ferma prometta di confervarne indelebile la 
memoria • IV. Finalmente fi può aggiungerei una 
preghiera per la contipuazion.de! favore, ed una, 
fupplica al Cielo che ricoinpenfi il beneficio , 
r - giac- 



cio) Cosi fe alcuno parlale per la propria' partenza deve 
adattare ai bifogno quelli .tnedefinji penlìeti , ed n 

tiò fi dità delie •* 


' X 177 X 

4 • N 

giacché noi infufficienti ci riconofciamò a render 
Je dovute grazie . . 

. , ì ' • * * * • 

' Vili. / 

* ' ' » . K 

Delle Orazioni di Biafimo 

: • . : * * * ' v ■ 

~ Quando accade di teflere un difcorfo per biafi- 
mare una perfona vera o finta a cagione de’ fuoi 
vìzi y fa duopo I. non dimoflrare odio , o inimi- 
cizia contro di efla con forti efagerazioni per non 
renderci indegni di fede. IT. Addurre prove chiare 
ed evidenti dei danni, ficchè fembri‘non poterfi 
dire altrimenti , ed effere noi a far ciò neceffira- 
ti . III. Chiuder, per quanto è polli bile , ogni 
adito a qualunque ragionevole fcufa, che arrecar 

fi potefle dall’ avverfario . 

. . . - -• • 

ARTICOLO II. 

* • ' 

■ rt Del Genere Deliberativo . * 

Le caufe di Genere Deliberativo , da’ Greci det- 
to av[jt,j3ouXi'jrntor , fono quelle , in cui trattali di 
confuitare intorno a ciò che è da farfi, o da non 
farli. Il fine per tanto dell* Oratore in quelle 
caufe ha* da diere di perfuadere [■ onelto , e di 
dtffuadere per - contrario tutto .ciò che è ingiu- 
rio (i). Per ottener quello egli dovrà fpecialmen- 
te aver di mira , e confederare : I. Di che abbiafì 
a deliberare. II. Chi fiano coloro che hanno a 

far 


CO Deliberafivura eft, quod pofitum in civili difceptatione 
& confultatione habet in fé tementi» difòooem . De Inv, I. 
Habet in f*? fuafionem , & difuafiouem , Ad lì cren. 7. a, 
Gtard. EJem. T. il. M 


X 178 X 

far la deliberazione . III. Chi fia quegli cbe'vust 
perfuadere ( 2 ) . ,/ t ; é . ^ k - pi 

Rifpetto alla cofa dunque * fii cui tiaflf! a deli- 
berare l’Oratore fi sforzerà di rapprefen tarla: L 
Onejìa , e degna d’ abbracciarli , o per 1’ oppofto 
inonefta , e da fuggirli ♦ IL Vantaggiofa le la . 
confeguiamo , e per lo contrario dannofa , fe la 
abbandoniamo, lll^NecsforU così che anche no- 
firo malgrado, faremo corretti a fofFrirla , perchè: 
néceflariamente deve avvenire. IV. Facile dimo- 
tirando i mezzi opportuni per ottenerla , oppure, 
evitarla. V. Dilettevole ponendo fott’ occhio il 
piacere che ne proveremo giunti al confeguimen- 
to del bene, o sfuggito che avremo il male.. 
VI. Gloriofa per la fama e l’onore, che ce ne 
ridonderà abbracciando la virtù , e deteliaodp il 
vizio (?). v - .V , . . 

Le perfone poi, le quali hanno a deliberare, 
fi devono condurre al propofio fine per linea ret- 
ta , fe è potàbile: quando no ^obliquamente otàa 
coll’artificio dell’ infinuazione. Perciò è necefla- 
rio , che l’Oratore prima ne conofca l’indole** 
il cofiume, le opinioni; e le affaiifca in' quella, 
parte che fono più facili a_d efferente* .Se egli 
farà .rifletto fulla diverfità del loro grado , della , 
nafcita , dell’educazione:, della patria., del fello* 
ec. tutte quelle cofe potranno a lui contribuire : 
facilità di vittoria , come abbiamo detto parlando . 
del coflume. 

Chiunque finalmente brama configljare o diflua- 

der 


• . , 

CO In fuadendo, & difluadfndo tria primum fpe&aitda e- 



- -M 




% x?Ò % ' 

dei* alcuna' còfd'i dèvé effefr àomtf d f àtftorità j §è$ 
chè altrimenti non arriverà giammai a perfuà* 
derè (i);. frioftrè conviénè cfré egli fia\rtiriufànien^ 
fe,àl rattcf della cofa * fa di cui tì^rfì à deliberai- 
èc y é fià capace' a darne giudizio . Déve anche fard 
fpiccare la firiccrità parlando Con uno ftile grave* 
ina non ftudiató*, nè troppo proliffo td strtificio- 
fo 7 Ariftòtélé per quello reputa le caufe di ge- 
nere Deliberativo piu* difficili dell’ altre * perchè! 
in effe tutto s’ appòggi? alle ragiotìi ; e perchè rie- 
(ce affai pii màlagevole il parlar delld cofe futu- 
re ché delle, paffate' (^).; / ; i . . 7 : 7 .. 

Per guanto fpetta alla difpofizione, le caufe di' 
queffò gènere non efigonò di neceffità che la pro- 
porzióne, le pròve , e la perorazione.- Tullio nel- 
le fue Partizioni Orat. c. 4. crede inutile in effe V 
Efordio , perchè V uditore , che viene pér delibe- 
rare , è già per fe fteffó difpólio àd udire ; Nul- 
ladimeno potrà 1 ’ Oratóre premettere un breve e- 
fòrdio per corìciliarfì Tèmpre più la di lóro atten- 
zione* maffime fui dubbio, ch’eglino non fianó 
beri informati dèlia caùfa * o per conciliarli ino- 
deliamente credito ed autorità preffo di loro , fic- 
come vedèfi praticata^ dà Cicerone iffèffò e nella 
Ora^pèr la* Lègge Manilia* e nelle Filippiche p 
tf. La Narrazione ancora fembra tìon cadere iri 
quelle caufe di genere Deliberativo * perchè rioni 
11 poffono raccontar le còfe avvenire * Dalle par- 
ivi 1 fate 




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V , 'W I , 


-, m ■ liì. fa.. ..*. 


.(4) Su-nt pleraque comrrtunia : fed tamen fondere aliquid, 
àyt diffondere,, graviffim» mihi videtur efTe perfonae. De 
Orat. m ff- 81. Valer ameni in confiliis aurhoritas pluri- 
inum. Nam & prudentiffìmus effe, Kaberiqu? optimu s is de. 
bet , qui fentenrijè fujè de utiiibus atque bonertis credere o- 
mnes welit. Quint. Ut. q. 

(5) Rhit. HI. 17. 


- 1 ■V « • *4 


1 


s ‘ 

X 180 x 

fate però , abbiatn già detto altroye , cftfl fi pu?> 
argomentar delle future; e così nella detta Oraz.pej? 
la Legge Manilia fi fa la narrazione delle pattate 
crudeltà di Mitridate; ed in quella per la Lega 
fi raccontano le getta di Carlo V. y acciocché gli 
uditori fi determinino a prender F armi contro di ; 
loro . Nella Confermazione poi le prove devono - 
etter avvalorate còiz efemp; collanti e lìcuri , io, 
guifo che rettino abbattute tutte le contrarie op- 
pofizioni, che formar fi potettero. Nella Perora- 
zion finalmente 1* eloquenza deve ufare ogni fuo 
sforzò , e con il foccorfo degli affetti procurare di 
ottener il fuo trionfo , traendo coloro, i quali 
hanno a deliberare nell’ opinione e nel partito di 
chi favella . Molte fono le Orazioni che a quefto 
genere ridurre fi pottono ; ma noi fpecialmente 
parleremo deile Conciliatorie ^ delle Per/uafive x c 
delle Orazioni Morali (6), 


, Delle Conciliatorie . 

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0 f J M Mi * » 

Quanto è facile l’eccitar gli uomini alla difcor- 
dia , altrettanto è malagevole il poterli fra loro* 
dopo riconciliare . L’Oratore però che vorrà ciò 

' '.r * * - 5 ' con- • 


(fl Si poffono a quello capo ridurre le Orazioni Commen- 
datizie , ammonitone, quelle che riguardano una Confoia. 
2Ìone , o una Preghiera; ma ficcome tutto ciò che fi può di- 
re di effe è già flato da me efpoflo nella mia Breve IflruZ,**- 
nè Sullo $ tilt Epiftolare premetta alla edizione delle Lettera 
Scelte de' Migliori Italiani ; non effondo le lettere che bre- ' 
vi orazioni , cola rimetto i Leggitori, dove fotto vari para-* 
grafi trovar poffono accennato quanto baffi a preilare n&’ fud* 
detti ca fi od in altre fiatili circoflanze. » • t . 


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X X 

èonfegulre, ttioftrerà I. La gloria che fi aeqùifta 
ne! perdonar le offefe* 'IL I danni che dalle di* 
fcordie derivano. HI* Farà prefenti *i meriti vi- 
cendevoli delle perfone o de’ popoli nemici * ed i 
'vantaggi che ottener poffono f dalla loro concor- 
dia. ÌV. Maneggierò gli affetti della Commife- 
razione, o del timore fecondo il bifogno, e mo- 
: Arerà il*. pubblico defiderio della loro pace. Il 
Cafa nella Oraz. per la rdlituzion di Piacenza , 
ed Alb. Lollio in lode della Concordia ci porgo- 
no efempio in quello genere. 

• * • ■ . ?• • • ì- •: G ì .• ■ if , 

' §. IL . 

* * ** 

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* J : * 7 Delle Perfuafròe * 

4 ^ % 

Quando l’Oratore voglia perfuaderé gli AfcoL 
tanti a deliberare alcuna cola* fi sforzerà L di 
conciliarli la benevolenza di loro con lodarne la 
virtù , e moftraddo efferfi moffo pd foio dovere 
avariare di cofa la di cui importanza efli troppo 
bene intendono . IL Moflrerà i vantaggi della co- 
là ifteffa, e la facilità d’efegùirla* Che feàU’òp- 

f rollo fi trattaffe di diffuader alcuna cofa , allora 
e ne mofirerà il danno, laftoltezza di chi la con- 
figlia , la difficoltà della riùfcita , e col timore fi 
allontaneranno gli uditori dall’ intraprenderla . 

• • a * • # 9 

*** ** • *• 0 

. ~ JflL - ** 

• * > 

Dèlie Orazioni Morali, *. ** *- 

Al deliberativo fi riducono le orazioni dette. dai 
Greci di genere ÌMh>i&i*rixov t S'iS'xo-xctxixòp cioè 
à dire concionatorio , ed i/iruttivo , quali fono le 
Prediche, ed iCatechifmi* In effi oltre le gene- 

• M 3 tali 

Ai 

v 


i 


x^x 

faij avvertenze dovrà 1’ oratore Tempre aver mi** 
ra I. Di uniformarli alla ¥ o/toipanza di co oro, a 
cui favella, infittendo lui di loro, non full altrui 
collume, e togliendo fpectalmente quelle falfe opi- 
nioni , che regnano ne} paete , II. Di parlare con 
chiarezza, e femplicità di metodo fenza tante fot- 
tigliezze, o divifioni fpeculanve , per adattarfi 
alta capacità , ed all’ intendimento di chi afcolta. 
Ili, Di ufpr brevità ne' precetti , confermandoli 
con elentpf autorevoli , e riducendoh femore alle 
cofe pratiche, IV, Finalmente di efpor le cofe 
con uno Itile conveniente alla materia ed agli af- 
fetti, ch’egli vorrà dettare, fenza però defrauda- 
re con i vezzi dell’arte a quella venta e alla 
celefte unzione , thè in tali argomenti deve ap* 

sparire (7) ♦ 

Artic oro in, 

* . . , * , . . • r > t , I * 1 * • • I * 

: t -, , pfì.àmrt Qttftàfih.r 

It Genere Gemale da’ Greci fo chiamato *£ 
xctviw fiioè appartenente al foro , e dai Lattpipu- 



■ $££ iMm 

pufil^nv iu judit io ha K' “pj 
fatiouem & defenfione*J » àut petltionem & • Pjt 

ìnv, t, ad w ~ * 


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: X is 3 X 

' Chi decide di quefle caufe d f ordinario è un fo- 
Io , .e per effer uomo dotto non fi può coll^arte 
così facilmente abbagliare • Convien dunque , che 
1’ oratore .primieramente in effe faccia pompa d’ 
ingenuità , e nafconda più che mai é poflìbile ogni 
artifìcio , perchè quegli non tema d* effer inganna- 
to , e non lì prepari alla difefa • Duopo è in ol- 
tre porre in opera tuttofi pefo de’ più efficaci ar- 
' gomenti, e tutta la forza delle più vive efpreflìo- 
ni ; e tutto quello accompagnare con un’ azione 
varia , e veemente , piena di coraggio , piena di 
fpirito , piena di paffione , e di verità (3), con- 
< cioflìàchè nelle caufe giudiziali non di rado s’ab- 
bia a convincere, o ad ammollire, chi è perfuafo 
diverfamente , 0 e fdegnato , o i avverfo ; e gli 
animi più che altrove s’ abbino a maneggiare, c 
a piegare ai varj affetti giuda il bifogno (4) . Dif- 
fe perciò a ragione Antonio preffo Cicerone , che 
l’impegno di trattar una cauta giudiziale è gran- 
de più , che non credefi , e che forfè tra le uma- 
ne imprefe non v’ha la pari (5). 

Tre fono i principali riguardi che in tali caufe 
deve aver un buon Oratore f. Riflettere chi fia 
Toffefo , e chi i’ offenfore* IL Confiderare l’of- 
fefa iteffa, ed il motivo , da cui il reo è flato Spin- 
to a commetterla . III. Vedere qual inclinazione 
abbiano i giudici , e da che più facilmente fiano 
per effer com molli.’ 

M 4‘ Con- 


• * * 

(3) Omnium fententiarum gravitate, omnium verborum 
ponderibus, eft utendum « Accedat oportet a&iò varia vche* 
. «nens, piena animi, piena fpiritus, piena dolori*, piena ve- 
jitaris . De Orai . ZI, 17. 

C4) Cic . ivi . ^ 

(y In caufarum contentionibus magma» eft quoddam o* 
pus, at^ue haud fciara , *a de humanifc operttas longe ma» 
ximum . ivi . 


X 184 X 

Confidente ben bene tutte quelle cofe , ed un?- 
, formandoli egli col fuo dire a tutto ciò, che di 
Copra abbiam infegnato e rifpetto alle parti . deir 
orazione, e intorno al cofiume, vedrà il. diverto 
m erodo eh’ ei deve tenere fecondo le perfone , a 
. cui, per cui , o contro di cui parla , onde ripor- 
tar più. di leggieri il trionfpeia vittoria . Le ora- 
zioni di Tullio in oltre r la maggior parte delle" 
quali fono di quello genere , poffono fervire d’ una 
gran fcuola piucchè tutti i precetti per farci in- 
tendere come debba regolarfi un buon dicitore e 
nelle accufe, e nelle difefe._ y-, s : 

Siccome però al dire di Quintiliano egli è tanto 
.più ferite;!’ acculare del difendere, quanto è piò 
’ facile inferire che il rifanar la ferita (6) perciò 
deve Oratore diverfamente procedere nel di- 
feorfo , fecondo che foftiene le parti di accufato- 
. re , o di Avvocato -• k r ■' 

Ù accufatore nel fuo efordio ha da mafirare , 
di non effer già indotto a parlare, per odio , ven- , 
detta , o malevolenza eh’ egli abbia contro del 
reo foto dall’ amore dell’ onefto e del vero ; 
ed anzi, farlo di malavoglia. Il reo non; deve flù- 
.diarfi altro , che di conciliare a fé la. benevolenza 
.de’ giudici con tutteJe maniere più umili, edpb- 
bligantf, fpargendoJnranro fofpetti di odio e ma 1- 
‘dicenza argentatore . , ^ 

La narrazione del primo vuoi effer veemente, 
chiara , priva d’ ornamenti artificiofi , è tale che 
accrefca i fofpetti contro del reo . Quelia-del fe- 
condo ha da effere affettuofa, e fé l’ accufatore ha 
raccontato freddamente, egli ha da ripetercele 


\ " W-f- 








.v>l 



00 Ut quad ffotto fpniel finiam , tanto -eli accufare, quarti 
oe/Vodere * quanto lacere. quarti fanare. vulnera- /acilius , 

Lìb . r. 13 . ’ ' * ' ' ^ 


X 18 S x 

! fleffe cofe ; fc quegli al contrario è flato iorte ed 
acre nella narrazione , quelli deve mitigarla con 
termini men gravi (7). •; h&i: 

Le prove di quello devon effer difpofte contat- 
ta l’arte, così che vadano crescendo, e movano 
a fdegno gli afcoltanti. Quelli è in obbligo di dif- 
fipare tutte le opppfizioni ; e quando non poffa, 
le deve almeno ofcurare o fìnger di non curarle, 
come di niffun valore (8) ; e fe gli torna bene; 
ancora cambiar Bordine tenuto dall’ avverfarió , 
e feparare q uè’ punti , xhé uniti* aggravano il fuo 
. delitto (p). • V?* V 

Le perorazioni d’ ambedue hanno ad effer pieqe 
di gagliardi movimenti. Ma fe 1 ’ accufatore deve 
„ iofìftere perchè il reo fia condannato aggravando- 
ne coll’ amplificazione il delitto ; il difensore per 
io contrario ponendo fott’ occhio i di lui meriti , 
e la fua virtù , con gli affetti di pietà e di gra- 
titudine deve procurarne l’ affoluzione . t 

A quello genere di caufe giudiziali , oltre mol- „ 
te prediche de’noftri fagri dicitori ., , nelle, quali fi 
tratta di. accufare qualche ,vizio , é di far, che. fia 
deteinato eprofcritto, o di difendere la virtù con- £ 
tro la taccia degli empi » che la vorrebbero ;op- 
preffa , fi poffon ridurre le Riptenjioni ,, le La- 
gnanze , le Preghiere , le Scufe , ed altre Oraziò- 


T 'V 


ni 






-IV 


* > : * *- 


C 7 ) Si accufator eft mious efficàcster elocutus , ipfa ejus 
verba pooantur ; fi acri Se vehementi fuerit ufus o rat Ione , ean- 
<tem rem noftrig verbis mitioribus proferamus . Quint. P'I i j. 

(8} Noununquam qusedan» bene contemnuntur., vel tam- 
quam levia, vel tamquam ad caufam ni hi l pertinenza . % . . 
Haec fimulatio huc ufque procedit , ut qu* dicendo refuta* 
re non pofTumus , quali faftidiendo caleraus . svi Fi Cjc • Par • 
tit. Orat. 4. 18 1. de lnv. IL Ijr. &c» 

(9) Ioterroi per partes diffol vitur , quod contexttt nocet, 
& plcrumque id eft tutius. Quint. ivi , * v ^ 


$ 




< 


.X;*84 X 

I ni di Hmrl fatta ,1e di cai avvertènze .principali 
fi fono date nel citatp T/a t tato, dello Stile Epi- 
ftolare folto’ i rifpettivi capi, e devonfi qui ai 
< :bifogao applicare . 


*• ' i 



C A P O IV. 

' 

Della mariterà d 1 efer citar fi nel comporre . 


fUANTO fia neceffario 1’ efercitarfi nello feri- 
^-vere, e nel tradurre, le vuoili confeguire 
vera lode nell 4 eloquenza , 1 ’ abbiamo dimostrato 
nel Tom. I. P. II. c. 3 . Ma avvertendoci Quinti- 
liano, che per abilitarli a fcrivere con facilità ed 
eleganza, non giova tanto il continuo efercizio * 
quanto la maniera di farlo (r); giacché ivi abbia- 
mo parlato dell’ efercizio , in quello luogo breve- 
ttante tratteremo della maniera da tenerli in effo 
perchè riefea più facile e vantaggiofo . # 

Allorché dunque vogliamo accingerci a fcrive- 
re alcuna cofa , dobbiam, fecondo il fuddetto gran 
maeltro dell’ arte , aver mira di fcegliere il Luo- 
go , il Tempo , il Modo . 

Il Luogo deve edere rimoto dagli Strepiti , fo- 
iitario, -Sicché niuno (lavi, che poSTa arrecaci di- 
sturbo o foggezione, e per quanto è polfibile ta- 
cito, e quieto. Non è però da crederli che attif- 
fimi fiano a chi deve comporre i luoghi ameni, e 
deliziosi, dove aure libere e Serene follevino in 
certo modo l’animo nolìro ; imperocché anzi que- 
lli con var; oggetti piacevoli diilraggono piuttosto 

la 

» *.*'*• . » •. • 

, »IP IJ 1 1» , ■ '■■■■■' 

‘ . • ' • 1 * 

CO Ut poffiottis àutem fcribere etiam plura. k celerini 
non exercìUtio modo praeftabir , in qua fine dubio xùuUnnt 
eli, fed etiam ratio 4 Svini* X* |.“ 




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tW7* 

la mente i e la difiolgono da quelle idee , che pri- 
ma ella avea concepite (2). __ , • 

Il Tempo per le fteflfe ragioni vuol effer quel- 
lo della notte , come più atto al filenzio , in cui 
racchiufi nella danza con un fol lume non ci li 
parano davanti quegli oggetti .che molte volte ci 
fviano dal propofito la mente <?); oppure quello 
dell’ aurora , quando lo fpinto è ancor raccolto , 
e quieto, e più liberamente puh applicarli a quan- 
J deferiamo . Nè bilogna lavarci vincere dalla 
pigrizia , o dai comodi , perchè fe vorremo farci 
f comporre Colo allora quando forno a,kgu<i, 

animo , o ben palciuti , 9 Uberi * ; nrra iafciare 
Tempre ritroveremo preteftì di dover entrala c e 

* l Circa°il (4 Modo finalmente 1 ’ Efercizio devefi fa- 
re con diligenza , con pazienza , con ordine . 

Tutto quello pertanto , che fuggerifce alla men- 
te nel fervor delle idee fi può fcrivere j ma dopo 
conviene ufar del giudizio non tanto nello fee- 
oliere quelle cofe che fi hanno a lafciare , e nel 
togliere le altre tutte, quanto accora nel dar lo- 
ro una convenevole difpolizione . Avvegnaché 
• dun- 


Secretum atque iiberura arbitris locum, 8c quam altif- 
f ; ri Kentibus max me convenire nemo non 

rteceffe eft avocent ab intentione operis deftinati . Quint. t • 
CO Ideoque lucubrantes filentium noftis , & clausura cubi- 
«ulum, * Wen unum v.lut tetto. >»>»«•• tenent. fl». 

( 4 ) Non eft indulgendum caufis defid^. 3 Nam fi nònmfi 
tefefti , nonnifi hilares, nuirtufi omnibus alti» curv va<;antes 
ftudendum exiftimav«rimus, feroper «rie propter quod noLis 

Tgnofomitf • ivi • 


i 


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X «SS X 

dunque neMuoghiyimpetuofi giovi fegmr gli a#e*v 
ti, che valgono affai più che la diligenza (5) 
non bi fogna però dopo accontentarci di riandare 
e correggere k fole parole sfuggite dalla penna , 
o di dilporle nella maniera più numerofa ; ma 
conviene emendar, anche , fe abbifogna, gli (ìeffi 
fentimenti (6). Epperò non importa , dice Fabio , 
che noi-fiam lenti, e tardi nel comporre, purché 
fiam diligenti ; e/Tcndoché collo feri ver prefio non 
avviene che fi feriva elegantemente ; ma piuttoflo 
fcrivendo con eleganza prefio fi viene a le ri ve re , 
perchè la diligenza ci toglie il tedio di dover e- 
mendare (7). Siccome però non è di tutti parla- 
re in modo grande e magnifico ; ognuno -perciò 
deve accontentarfi di quello, che le forze gli fom- 
minifirano. Per la qual cofa quanto è da lodarti 
lo Audio e la diligenza di coloro, che procurano 
di parlar nel miglior modo a loro pofiìbile ; al- 
trettanto fono da biafimarfi quegli altri che non. 
mai contenti di fe fiefii , fempre mutano, cancel* 
iano, e fi fanno tale difficoltà, che alla fine ogni 
cofa confondono, e privi fi rendono di grazia , e 
di naturalezza (8) . 


F 


ne- 


— « 


(5) AliquJlndo a fleftq s fequemur, in quibus fere plus ca~ 
lor , quam diligenria valer, (vi. c •' 

( 6 ) Diverfum di Vòmiti vitium, qui primo decurfere per 
materiam flyio quam velocitfìmo volunt, reperunr deinde Se 
componunt qua? efludefunt rfed verba emendantur, & ni/me. 
ti, manet in rebus temere congeftis , q*2e fuit levitai, ivi 

( 7 ) Sit primo ve! tàrdus/dum diligens lìylus : quseraimi* 
opeima, nec. proìinos Te óflerentibus gaudeamus : adhibeatur 

tu di cru rh iirventis , difpofitio probatis . w . Cito fcribendo noa , 
fit, ut bène fcribatur : bene fcribendo, fit ut cito, ivi . 

($) Suur autèm quibus nihil Taris : f omnia mutare , omnia 
alicer ditrere, quam occurrit , velint : increduli quidam , &de 
ingen.’o f»o peffìrne meriri , qui diligenlinm putant , licere 

(ibi rtribettdf dj^cuftarem . . . turandum ift, ut quam optirne 
dicamus, dìcendum tanieit prò facultate. ivi . -i»e 


• n 


r 


x r% x: 

‘ E* -neceflatìa ancóra Ai- pazienza "nel concorre ; 
epperò nè dobbiamo fdegnarci facilmente , o Jafciar- 
ci diftrarre da altri penfieri , nè: fiancar di fover- , 
chio la» noftra mente; ma avvezzarci a vincere 
tutto quello , che pub* impedire V attenzione , o 
alterare la , fantafia ($?)•. Giova nello fcrivere il 
riaffumere anche tratto trattp, .erileggere quanto 
già fi è efpofto , perchè così e, le materie’ fucce~. 
donfi più ben connette , -e v ia mente alcun poco* 
fianca e raffreddata , corna ad accederli deljjpri^, 
miero fuoco # c ripiglia forza Xy vigore <*0^ Per 
tal motivo è più utile lo feri ver; le cofe di proprio 
pugno, ette il dettarle, conciottìachè feri vendo la; 
mente' nello (letto tempó confidcri , e, la mano fe 
abbifogna, fi arredi; quando al contrario nel det- 
tare ad altri , o lo fcrittore è veloce ,’ e ci irtcal- . 
za ; e noi fdegnando di fermarci , o di cambiare 
lo ferino , non folo cofe indigefte ,, e rozze , ma 
improprie ancora veniamo a dire: o egli è tardo, 
ed allora ci, fiurba colle fpette domande, non leg-^ 
ge coi debito tono, ci fa arredare nell’impeto 
del dire , ci confonda,' ci irrita , ed intanto ne 
sfugge dall’ idea tutto quello, che già avevamo or- ; 
dinato nella mente (11). 


« _ 9 * • 

{9) Obliar diligenti* fcribendi etiam fatigatio ... Fatiendus 
ajfiis , ut omn*a quae impediunt vincar intenrio. Quint. ivi. • 
Ciò) Repeienda faepius erunt fcriptorum proxima . Nam pra?- 
ter id quod Ite melius junguntur prioribus fequenria , calor ' 
quoque il le cogitationis , qui fcribendi mora refrixit ,recipit ex 
integro vires , & velut reperito fpatio fumit imperum . ivi.-' 
00 In llyio quidem quamliber properato dat aliquem co- * 
gitarioni moram non confcquens celeritatem ejus manus ; il- 
le cui di&amus, urget, atque interim pudet etiam dubitare ^ 
aut refiflere, aur mutare quali confcium infirmitatis no fi ras 
timentes, quo fìt, ut non cruda tantum & fortuita , fed im- ■ 
propria interim effluanr . At idem ilie qui eveipit, lì tardtor 
in ferite rido atu inertioi ialegendo velut offe n fatar fuerit y 

* ’m .4 * I » 1 i .* — * V 


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X *90 t 

: Circa' àtl’ ordine per ultimo da tenerfi nello feri- 
Vere noa bifagna primieramente imitare cere’ uni ^ 
che lungo tempo f tarmo fdrajati * guardando il tet- 
to , e mormorando^ fecó fteifi afpettando checché 
Joro fuggerifea alla mente ; ma conviene fubita 
riflettere alle circoftanie della caufa : che haffì a. 
trattare, alle perfonie ,• al luogo , al tempo; e ra^ 
gionando da uomini quindi appigliarli a compor- 
re Ci 2) ordinatamente o Bifogna in oltre lcriver le 
materie fertza confufione , lanciando molto margi- 
ne, dorè aggiungere, o mutare fi porta 0 acciocché 
per 1 ? anguilla del luogo o non c’ increfca l’emen-. 
’ dare, o non fi confonda il tutto (13)^ £, ficcome 
nel comporre molte volte fuggerilcóno alla mente: 
altre cole * che o nori fono dell’ argomento , o 
non fanno attualmente albifogno; perciò, sì per^r 
chè quelle non sfuggano,- sì anche per non inter- 
romper T ordine delie materie torna bene F aver 
in pronto un altro libro, nel quale riportinfi que’ 
fentimenti , che non fono allora di propofito ed 
alle mani (14), . , 

T precetti firt qui efpofti fori' quelli , fui qualr 
formaronfi ir* ogni tempo i più grandi oratori ; e . 

fa- 

• • 

• • •* • > « 

irvbibetur ctfrta^^atque omnis qua erat conqept* mentis ini* 
temio, mòra & interdum ìràcundia excutitur. ivi, 

(ix} Non fefupini, fpeflfantefque tetfum , Se cogita*fonent 
murmure agitantes expe&averimus, quid obveniat ; fed quid 
les pofeat, quid perfonam deceac , quod fi t tetfipUs, qui ju- 
dicis animus , intuiti , hutnano quodaih modo ad fctibeodumT 
acceleri mu*. Quint, Xc, g, 

Cl 3 ? Relinquendse auterrt in utrolibet genere vacua* 1 tabel- 
le,, in quibus libera adjicienti f?c excurfio . Nam interim pi- 
gritiam emendandi anguftiag faciunt, aut certe novorunrin- 
terpofitÌQ<wr priora confundunt. ivi i 
(14) Deb et vacare etram .iocus , itf quo' àofcfifùf,' qttSjf 
fcribentibus foJent cttra ordinem , idelì in alifs, qilfctn qui 
funaio minibus, loci Occurrere. Qtuat, ivi. 


X 191 X 

Seguendoli noi pure ci renderemo capaci a ritrovar 
gli argomenti , a difporli con ordine , a parlare 
con grazia e dignità, ed ' acquifteremo fermezza di 
memoria , leggiadria di portamento , e Soavità di 
pronundazione (15). Ma perchè l’arte può velo- 
cemente incamminarci Sulla retta via , e Sommini- 
strarci Solo i tefori dell’ eloquenza ; ed al noftro 
giudizio poi appartiene il Saperne a tempo far 
ufo ed applicazione (16) ; perciò quelli precetti 
( conchiuderò con Tullio) vi (ìatio-, o giovani, 
come indi tj di que’ fonti , ai quali Se voi pofcia 
con nn diligente efercizio fatto Sulle opere di lui 
e degli altri ottimi autori arriverete , allora e que- 
lle 11 effe cofe affai meglio, ed infinite altre di mol- 
to maggior rilievo ed importanza , verrete anco- 
ra a comprendere (17). 

1 

II* » — —■'« * ■■ ■ ■ «l'H l»l , . 

(is5'H*c fi fequimur , acute & cito reperiemus: dtflinfte 
& ordinate difponemus; graviter & venUffe pronunciabimus ; 
firme & perpetuo tneminerimus : ornate , & fuaviter epoque- 
mur . Ad Heren . 7^1 in fin . 

0 6*) Viam demonftrare velociter ars poteft, fi qua eft : ve- 
rum ars fatis praftat, fi copias eloquenti* ponit in medio: 
noftrum.eft uti eis Tetre* Quint. Vii. in fin. 

Ci7) Hate tibi fiat, mi Cicero, quaexpofui, quafi indicia 
fontmm illorum , ad quos fi nobìseiTdem ducibus , aliifve per*: 
veneri*, tum & haec ipfa mellus & multo majora alia cogno- 
me*. Casi conchiude dettone le fut Partizioni Oratorie ./ - 



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