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Sunday, October 26, 2025

Grice ed Adami

 





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PRECETTI 


D I 


R ETTO - RICA 

Dettati a’ suoi Discepoli>^UCT£C4^ n 

r»ATT* A • T> A rr, „ r ' . 


DALL’ ABATE W$0 y 

D. ANTONIO ADAMI, 

E adattati alla capacità de’ Giovanetti . 

AL VIRTUOSISSIMO GIOVANE 

SIGNOR 

r 

Da DOMENICO 

MASTELLONE. 



IN NAPOLI MDCCLXX. 
Per Vincenzo Mazzola-Vocola. 
Con licenza de Superiori » 


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XjO&J rois ) M £ ilTSI fate '.(ù TXTU9 • 

Ifocrates Orat. 2. 

* * : * 4 

Ut ere < 6 / 5 , vel quccre mcliora . t 


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LETTERA DELL’AUTORE 

/ % 

ALL’ TLLUSTRISS. SIGNOR 

D a DOMENICO 

MASTELLONE- 




» A Rettorica pei Giova- 
netti a niun altro , gen- 
tiliffimo Signor D. Domenico 7 
* 2 fuor- 




-À-è- \ 

5 ) 







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fuorché a Voi, che liete un ot- 
timo Giovane , dedicar fi dovea. 
Voi , che già nel corfo di fei an- 
ni onorafte la mia Scuola, tal 
profitto facefte colla mia debole 
fcorta nello ftudio delle belle let- 
tere , e delle fcienze , che ora 
non effendo ancor giunto al 
quarto luftro dell 5 età voftra , e 
pel fapere , e per altre nobiliffi- 
me doti , onde liete fregiato , 
vi rendete a chiunque ha la 
forte di conofcervi affai caro ed 
amabile . Egli è quello un 
effetto così del voftro raro talen- 
to , e dell’ indole nobile al buo- 
no , ed all 5 onefto inclinata , che 
dalla natura fortifte, come ezian- 
dio dell 5 ottima educazione ? e 

dell* 


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dell’ affettuofa- cura , che han 
ferbato per voi Ja voftra ,one(tif- 
fìma e virtuofa Madre 5 e ’1 
degniffimo i voftro) Signor Zio 
D. Francesco, che per ìa Tua in- 
tegrità y dottrina , e zelo per la 
giuftizia è giunto finalmente per 
molti gradi d’ onori dir inclito 
eccelfo pregio di leder togato tra 
ifupremi Àlìniftri del noftro glo- 
riofo Regnante . Egli il faviffi- 
mo Uomo ben conofcendo qual 
grave danno recar fogliono ai 
Giovanetti i Teatri , le Veglie ? 
le Converfazioni ? i Feftini , i 
Corteggi , vi ha Tempre allonta- 
nato da que* luoghi > che il vo- 
ftro bel coftumepotean macchia- 
re , e corrompere; Vi ha fem-^ 

* 3 pre 


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prc con amore , e con gelofia cu* 
ftodito ? affinchè non mai dal 
dritto fenderò della Virtù devia- 
fte , Coftui certamente , affai 
meglio di me , pub dirfi il fortu- 
nato Agricoltore d’ una pianta 
sì nobile , qual fiete Voi , che 
fotte degno germoglio di un Pa- 
dre fantiffiino , il quale già fino 
all’ ultimo de’ fuoi giorni fu del- 
la pietà criftiana , e d’ ogn’ altra 
Virtù il modello , e F efempio . 
Or fe nel più verde fiorito Apri- 
le dell’ età vottra imitando le 
belle doti e del Genitore , e 
del Zio fate rifplendere in Voi 
quel fenno, quella faviezza ? e 
quel fapere , che appena in altri 
d’età già matura fogliono ammi-. 

rar- 


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rarfi , oh quai frutti di verace 
onore, e di gloria Voi produr- 
rete nel fertiliffimo Autunno de- 
gli anni voftri ! Se non temetti 
d’ offender la rara modeftia , e 
la bella umiltà , che vi adorna , 
oh quanto eftendermi potrei nel- 
le voftre lodi ! Taccio adunque 
per non difguftarvi $ e vi priego 
foltanto a gradir F offerta , che 
vi fo , di queff Operetta in pic- 
ciol fegno di quel {incero affetto, 
e di quella ftima , con cui fin 
dalla voftra fanciullezza vi ho 
riguardato . Sarà proprio di un 
cuor tenero e gentile , quaF è il 
voftro , il non ifijegnar il picciol 
dono d’ un affettuofo Mae- 
ftro , il di cui nome , oltre il 

* 4 fuo 


Tuo merito , di molta luce avete 
arricchito : Sarà gran vanto di 
quefto mio libricciuolo il portar 
in fronte il bel nome di un Gio- 
vane bennato , che nello Audio 
delle ottime difcipline , e nelFac- 
quifto di ogni V irtù potrà folo 
fervir di norma a quanti altri 
Giovanetti lo avran tra le mani . « 
A me intanto rimane F obbligo 
di porger fuppliche al Cielo, per- 
chè Fano e falvo vi confervi per 
gloria della voftra 'oneftijflìma 
Cafa , per mio dolce ornamen- 
to , e decoro , e per alto fre- 
gio di quefta Città noftrà , al 
di cui bene , e vantaggio - fe- 
licemente nafcefte . Così farò 
io fino a tanto che avrò fpirito 

e vi- 


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c vita , gloriandomi ài efler 
fempre 
Voftro 

, Di Cafa 27 Aprile 1770, 







« 




k \ 

l V 
I 

t ; 


Divoti/s . Obbltgàtifs. Serv, ver* 

Antonio Adami* / 


PRE- 


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PRE FAZIONE 

AL LETTORE-, 


D Ovrai certamente al primo afpetto 
maravigliarti , o Amico Lettore , 
che ritrovandofi già pubblicati tanti ot- 
timi Metodi per apprender l' Eloquenza, 
abbia voluto anch' io pubblicar quelli po- 
chi precetti , e replicar in ejji quel che 
tanti valent Uomini avean prima di me 
dottamente infegnato . Ma cejferà fenza 
dubbio la meraviglia , fe gentilmente ti 
compiacerai di udir infteme , ed appro- 
var le ragioni , che a cib fare mi han 
mojfo . 

lo per verità farei giujìamente ripu- 
tato uno fciocco , Je non confejfajjì , cbe 
oltre agli antichi Mae/ìri di Re teorica , 
quali furono già Arijlotile , e Demetrio 

F alereo nella Grecia , Cicerone , e Quin- 

ti- 


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tìlìano in Roma , parecchi altri recenti 
Autori vi fiano , che colla /corta de 
primi felicemente compofero , ed a noi 
lafciarono compiuti metodi per appren- 
der /’ Arte di pervadere . Gherardo VoJJio y 
Domenico de Colonia , Martino de Cygne r 
Carlo Majello , Marcellino de Luca y il dot - 
tijftmo Bernardo Lami , ed altri molti f/ì-^ 
mi fono flati eccellenti nel dar precetti 
di ben ragionare . Non pub negarfi pe- 
ro , che le dette e lodevoli Op ere di co- 
floro , ftccome ben adattate farehbono al- 
la capacità de' Giovani provetti y dai 
quali il /olito corfo degli fludj fiafi già 
terminato , così difficili , anzi che no y 
rie/cono ai Giovanetti , che non ancora 
al terzo luflro dell' età loro fon perve- 
nuti . Ejfendo adunque in Italia invec- 
chiato il co fiume d' in/e gnar fi l' Eloquen- 
za non già ai Giovani in età matura 
( il che forfè affai piu profittevole riti- 
fcirebbe ) ma a coloro , che appena han- 
no apprefa la fintajfi , fia i.il giudo 
fituamento delle patti dell' Orazione la- 
tina , ho ftimato ejfer meglio il porre 
nelle di loro mani il preferite facili fi- 

fune 


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fimo Metodo per Apprender la Retto- 
ria , che al di loro intendimento mi 
è fembrato piu acconcio , e meno intri- 
gato . 

Nel ciò fare io non ho pretejo di ac- 
quifìar lode o per la novità della ma- 
teria , o per la maniera ingegnofa di 
nobilmente trattarla . Imperocché Cicco- 
me r umana ragione è fata , e farà 
fempre la fiejfa , e tutti gli Uomini fono 
fiati fino ad oggi , e faranno in avveni- 
re dalle medefime pajfioni agitati , così 
non può inventar fi un arte nuova di 
pervadergli , che in foftanza fa diver- 
ga da quella , che finora fi è praticata . 
Darò dunque i precetti medefimi , che 
han dati gli altri , ma in certa manie- 
ra piu facile ; ed in tutte le parti del- 
la mia Rettorica feguirò /’ ordine fìeffo , 
che quafi tutti han feguito . 

Dirà forfè taluno , che nella f celta 
degli efempj , * quali giovano incredi- 
bilmente a render chiari i precetti , io 
molti ne ho prefi dai tefìé lodati Maefìriy 
che mi han preceduto . Ingenuamente il con- 
ancorché potrei rifpondere d’aver- 


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gli tratti da que fonti medefimi , onci 
EJfi ricavati gli aveano . Mi perfuado , 
cbe ciò non mi ft debba imputar a col- 
pa , ftccome nè pure t aver tradotti dal 
latino in tofcano alcuni de ' cennati efem - 
pj : avendo' io ciò fatto non già per 
vana pompa di comparir poeta , ma fol- 
tanto affinché meglio dai Giovanetti in- 
tender fi potejfero . 

Qui potrebbe altri foggiugnere : E per- 
chè mai dar precetti di Rettorie a nell 
italiana favella , ed allontanar fi dall'ufo 
antico e comune di tanti altri Mae/lri , 
che del latino linguaggio ft fon piutto- 
fìo ferviti ? Rifpondo , che due motivi 
a ciò fare mi hanno indotto : il primo , 
affinché quejlo picciolo libro ai Giovani 
italiani , che qui in Napoli da me fono 
iflruiti , riufeiffe piu facile : il fecondo , 
per così uniformarmi a moltiffimi dotti 
Uomini , che già da piu anni nell Ita- 
lia nofìra privatamente infegnano , ed 
han pubblicate ancora molte opere loro 
per far apprender le belle arti , e le 
fetente nel noflro volgar idioma . Tan- 
to per /’ appunto inculcava mai femprei 


ed Egli fleffo infegnando face a il mio 
éostijjtmo Maeflro y il cbiarijftmo , e non 
mai per la fu* profonda dottrina bafìe- 
•vclmente lodato Sintonia Genovefe . Per- 
chè mai y diceva Egli , farci noi ammae - 
firar da una lingua y che come ftraniera 
ft confiderà qual tioftra Madrigna , an - 
zi che dall italiana , che nofìra Madre 
può dirft ? Egli è per avventura la no- 
jlra favella meno feconda , meno efpref- 
ftva di quanti altri linguaggi fono fla- 
ti , e fono nel Mondo , così che col di 
lei mezzo le ottime Difcipline apparar 
non ft pojfano ? I Greci una volta , e 
ì Romani del proprio idioma fervivanf y 
ed oggi le nazioni piu cult e d ’ Europa 
nell ifìruir la Gioventù della propria 
lingua f antri ufo . Noi foli farem così 
vili y che imitar non vogliamo un co/lu- 
me sì bello y che riefee di tanta gloria 
alla nofìra lingua , e d' incredthil van- 
t aggio a coloro , che nell Italia allo /ìn- 
dio delle lettere fono applicati ? 

. A quello mio fentimento f oppongo- 
no alcuni y i quali credono , che di gran 

giovarne tifo farebbe 1 ifìruir i Gipvani 
... co l 


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col metodo latino , poiché così nel tetri- 
po feffo e i precetti , che lor s * info- 
gnano , e quella lingua eziandio appren- 
derebbono . Come? Stimati forfè coforo y 
che il latino apprender fi pojfa , o che 
taluno pojfa in quello perfezionarft coi 
precetti dell ’ Arti , f ^//<? Scienze ? Se 
penfano così , oltremodo s ingannano . 
Dai fonti , 7/0» g/tf Rufcelli la ve- 
tta e pura lingua del Lazio apprender 
fi deve . Egli è tf uopo , che i Giovani 
dopo lo Jludio della Gramatica , per lun- 
go tempo abbian per le mani gli ottimi 
latini Scrittori del buon fecola , e colla 
fcorta degli eruditi Maejìri , e coll'aju- 
to de migliori Interpetri di quella lin- 
gua giungano a gufarne il fapore: nien- 
te importando , che la Rettorica , o al- 
tra facoltà con altro linguaggio fia loro 
infegnata . 

Io certamente indovinar non faprei 
qual giudizio fi abbia a formare di que- 
fla mia picciola Operetta . Spero alme- 
no , o difcreto Lettore y che fa per in- 
contrar il tuo gradimento , il quale avrà 
rapporto , fe non ad altro } al buon de- 

Jì<k- 


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fiderio , cbe in me ritnvafi , di giovar 
al Pubblico colla debolezza del mio ta- 
lento , e di render pik agevole , e men 
faticofo ai Giovanetti lo /ìndio delC 
Eloquenza . Addio , 

i . 

' ; • « v 



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^ MfSÈiaSSCtìSJ!^^ 

^s^&w&pSjlw^ài 

DELL’ ARTE RETTORICA 


PROEMIO.. 


CAP. 


~ ^LT'¥U|U". 

Della natura , e del fine della Rettorie a . 


A Rettorica è un’ Arte, o fiauna 
facoltà di ragionar bene, cioè or- 
natamente amn di perfuadere . Vien 
detta così dal Verbo greco p*« y 
che lignifica dico , poiché quell’ 
arte infegna la maniera di dire , o fia di 
ragionar con affluenza di parole , e di fen- 
timenti . 

Differifcono tra di loro la Rettorica, e 1* Elo- 
quenza, perchè la Rettorica contiene i pre- 
cetti di ben ragionare , 1* Eloquenza fa ufo 
di que precetti medefimi per formarne un’ 
Orazione . Di qua anche fi vede qual dif- 
ferenza palli tra il Rettorico , e l’ Oratore. 

A II 



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2 ; 

Il fine , e l’uffizio dell’uno , e dell’altro 
non fono gli fteffi. Il fine del Rettoria) è 
il formare un perfetto Oratore : l’uffizio 
è lo fpiegar con chiarezza , e 1* infegnar i 
precetti di ben ragionare . Il fine dell’ Ora- 
tore è appunto il perfuadere : 1 uffizio è il 
formare un Ragionamento , che perfiiada . 

Qjiefta voce perfuadere non altro lignifica , fe 
non f? difporre gli animi degli Afcoìtanti 
o a credere, o a fare, o a fuggir qualche 
cofa. Or l’ Oratore ottiene ilfuo fine, cioè 
perfuade, fe in ragionando dimoftra , dilet- 
ta , e muove . Dimoftra cogli argomenti , 
e coll* argomentazione : diletta col parlare 
adorno e fiorito : muove coll’ amplificazio- 
ne, e cogli affetti. 

Noi qui {limiamo fuperfluo il far parola della 
dignità della Rettorica , e del vantaggio , 
che dall’ Eloquenza alla Repubblica gior- 
nalmente ridonda . Ballerà leggere il libro 
primo de Oratore , in cui Cicerone , affai 
meglio di quel che potremmo far noi, con 
maravigliofa facondia innalza al Cielo con 
lodi quell’ arte sì nobile , ed alla civil fo- 
cietà così neceffaria , e vantaggiosa. 


CAP. 


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/ *f 


‘3 


CAP.. II. 

Della materia dell ’ Eloquenza . 

D Icefi materia di un Arte quell’ appunto, 
intorno a cui 1’ arte ftefla raggirali . Così 
la materia della Pittura fono i colori , della 
Scoltura il marmo, il legno &c. 

Siccome tutte le Arti aver lògliono una certa 
e determinata materia , così 1’ Eloquenza 
non ha una materia determinata e finita. 
Imperocché quanto ritrovali, e quanto av- 
viene nella natura delle cole create , e ’i 
Creatore medefimo con tutti i Tuoi divipi 
attributi poffono fervir di materia all* Ora- 
tore , intorno a cui può Egli ornatamente 
ragionare . Così Cicerone nel lib. z. de Orat. 
Bene dicendi xArs non habet definitala ali. 
quam regionem , cujus tenninis Jepta conti, 
neatur . 

Tutte le cofe adunque poflono effer materia 
dell’Eloquenza , non già della Rettorica , 
come volgarmente s’infegna . Imperocché 
la Rettorica ha foltanto per materia i pre- 
cetti medefimi di perfuadere , intorno a cui 
fi aggira. 

Da ciò fegue , che ogni queftione , o fia cau- 
fa , che all’ Orator fi propone , dicefi mate- 
. A a ria 




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4 

ria dell’Eloquenza : e quella può edere o 
infinita, cioè univerfale, che dai Greci chia- 
mali Thefts , o finita , cioè particolare, che 
in greco dicefi Hypotbejìs . Queftione uni- 
verlale, o fia Tefi dicefi quella , che non 
è limitata da alcuna circoftanza o di per- 
fona , o di luogo, o di tempo. Tal fareb- 
be quella pròpofizione : Le lettere fon di gio- 
vamento alle Repubbliche . Si dice all’ incon- 
tro propofizione particolare , o fia Ipotefi 
quell’ appunto , che vien limitata da qual- 
che circoftanza o di luogo , o di tempo , o 
di perfona . Tal farebbe quella: Le lettere 
fon di giovamento ai Giovani , che ora Jlu - 
diano in quejìa Città di Napoli . 

Tutte lequeftioni, o fiancaufe, che può trat- 
tar l’Oratore , fi polfono ridurre a tre ge- 
neri , che dai Rettorici fon detti delibera- 
tivo, dimoftrativo, e giudiziale . Nel pri- 
mo l’ Oratore o perfuade , o difluade : Nel 
* fecondo o loda , o vitupera : Nel terzo o 
accula } o difende * 


GAP. 

I 

I 


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s 


CAP. III. 

• Degli ajuti delP Eloquenza. 

S iccome la maniera di perfuadere può dirli 
naturale , ed innata in tutti gli Uomini , 
i quali naturalmente col folo ajuto della 
ragione ritrovano i mezzi di muover gli ani- 
mi altrui , così quella , che Rettorica na- 
turale può dirli , non è ballevole a formar 
un eloquente e perfetto Oratore - Egli è 
d’ uopo , che la natura venga ajutata dall’ arte, 
dall’ efercizio , e dall’ imitazione . Nell’ ap- 
prendere qualunque difciplina , come inde- 
gna Gherardo Volito , natura incipit , ars di - 
rigit , ufus , & imitatio perficit . 

L’ arte confille ne’ precetti , che vengono in- 
fegnati dai Rettoria : 1’ elercizio nell’ ufo 
continuo di leggere le opere degli Oratori 
più dotti , di l'crivere , e di aringare . Fi- 
nalmente F imitazione confitte nel render fi 
eguale nel dire a qualche ottimo Oratore . 
Nell’ Eloquenza fovra tutti imitar fi dee il 
noftro Tullio , di cui parlando Quintiliano 
così lafciò fcritto : Ille fe profecijje fciat , 
cui Cicero valde placebit . 

Nell’ imitare dobbiamo fcegliere quel ch’c ot- 
timo aie’ buoni Scrittori : nè fi debbon le- 
A 3 gui- 


> 


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6 \ 

guire appuntino le parole , e 1* efpreflioni 
altrui , la qual farebbe un’ imitazione fcioc- 
ca e fervile , ma a quel , che imitiamo , 
dobbiamo aggiugnere qualche cofa del no- 
ftro . Così Demoftene fu imitato da Cice» 
^rone, Omero da Virgilio, Pindaro da Ora- 
zio . 

Può farfi l’imitazione in tre maniere: 

I. Con lafciar il fenfo dell’ Autore , e pren- 
derne le parole , mutando foltanto quelle , 
che non fono adattate al foggetto , di cui 
fi ragiona . Eccone 1* efempio . Difle una 
volta Cicerone contro di Catilina : Quou- 
fque tandem abutere , Catilina , patientia nojlra? 
quandiu nos etiam furor ifie tttus eludet ? 
qttem ad finem fe fe effrenata ja&abit auda- 
cia ? Nibilne te noBumum praftdium Pa- 
latti , nihil "Urbis vigilia , nihil timor Po- 
' pulì , nihil confenfus honorum omnium , nihil 
hic munitijjimus habendi Senatus locus , nihil 
horum ora , vultufque moverunt ? Patere tua 
confili a non fentis? Tutto ciò ragionandoli 
contro un Uomo viziolo e malvagio imi- 
tar fi potrebbe in quella guifa : Quoufquc 
tandem abutere, "Hominum fcelejliffime, patien- 
tia divina ? Quandiu hanc etiam tua ifta 
eludet improbitas ? Qttem ad finem fe fe in- 
veterata jaSabit audacia ? Nibilne te im- 
pendens mortis periculum , nihil atema im-- 
piorum pana , • nihil tot fcelerum confricati a, 

nihil 


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7 . 

nibil feverifjimum Dei Judicis tribunal , ni- 
hil hujus os , vultufque movcbunt ? Patere 
tua flagitia non fentis? 

II. Si fa l’imitazione con lafciar le parole di 
qualche Scrittore, e prenderne /olamente il 
lenfo . Se a cagion d’ efempio imitar vor- 
rai quel fentimento d’ Orazio : Mors equo 
fede pulfat pauperum tabernas , Regumque 
turres , potrai fcrvirti o di quelle , o di fi- 
ntili efpreflioni : La morte colla fua falce 
ineforabile miete alla rinfufa te Vite degli 
Domini : non vi è for^a , non vi è potenza , 
che le refifla : i gran Prencipi egualmente 
che i poveri al di lei colpo fatale fono ine- 
vitabilmente f oggetti . 

III. Finalmente ottima farà l’ imitazione , le 
lafciando fenfo, e parole imiterai foltanto il 
periodo , lo Itile , i palfaggi , e tutto il fi- 
lo dell’ Orazione . Ma per ciò fare egli è 
d’ uopo , che per lungo tempo fi abbia tra 
le mani , e fpelfo rileggali quell’ Autore , 

, che prendefi ad imitare. 


CAP. 


IV. 


Delle Parti della Rettorica . 

# . 

T Re fono le parti principali della Retto- 
rica , cioè l’ Invenzione , la Difpofizio- 
ne, e l’Elocuzione: imperocché dee l’Ora- 
tore I. Ritrovar gli argomenti , che fiano 
atti a perfuadere: II. Dee ben ordinare , c 
difporrt gli argomenti medefimi, e tutte I* 
altre parti dell Orazione : III. finalmente 
deve adomar con parole tutte le cofe ordi- 
natamente difpofte. A quelle tre parti co- 
munemente fi aggiugne la quarta , cioè il 
pronunciamento dell’ Orazione medefima. 
Quindi noi divideremo in quattro Libri que- 
lle Inllituzioni rettoriche. Nel primo trat- 
teremo dell’ Invenzione , nel fecondo della 
Difpofizione, nel terzo dell’ Elocuzione, nel 
quarto finalmente della maniera di ben pro- 
nunciare . 


Dell’ 


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9 


Dell’ Arte Rettorica 

LIBRO I. 

Dell' Invenzione in generale. 

L * Invenzione non è altro , che il ritrova* 
mento delle ragioni , o fia degli argo- 
menti veri , o probabili , i quali vagliono 
così a dimoftrar vero, o verifimile quel che 
fi è propofto , come anche a muover gli 
animi degli Afcoltanti. 

Or ficcome a dimoftrare noi ci ferviamo de- 
gli argomenti, ed a mudver gli animi fac- 
ciati! ufo dell’Amplificazione, e degli affet- 
ti , così procedendo con ordine divideremo 
quello primo Libro della Rettorica in tre 
parti: nella prima tratteremo degli argo- 
menti, nella feconda dell’ Amplificazione , 
e nella terza della Mozion degli affetti 
ragioneremo . 

Dopoché dell’Invenzione in generale degli ar- 
gomenti, dell’Amplificazione, e degli Af- 
fetti ragionato avremo , brevemente da noi 
fi tratterà dell’ Invenzione in particolare , 
che fpecialmente rapportafi ai tre generi de- 
. liberativo, diraoftrativo, e giudiziale. 

DELL 1 


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IO 


DELL’ INVENZIONE 
PARTE L 
Degli Argomenti . 

L * Argomento fi definifce : Una ragion ve- 
ra, o probabile, che giova a pervadere. 
Si ricavano gli argomenti dai luoghi Ora- 
torj, i quali da Cicerone fon detti argu- 
mentorum fedes , m quibus latent , & ex 
quibus funt depromenda. 

Que’ luoghi Oratorj , onde ricavanfi gli argo- 
menti , poffono effere o intrinfici , o eftrin- 
feci . Si dicono intrinfici quei , che fono 
uniti e congiunti colla cofa medefima , di 
cui fi tratta. Si dicono eftrinfeci, o rimoti 
quei , che fi prendono fuor della cofa , di cui 
fi ragiona . L’ argomento e. g. , che prendefi 
dalla numerazion delle parti , dicefi ricavato 
da un luogo intrinfico , perchè le parti fono 
unite, e congiunte col tutto . Ma 1’ argo- 
mento prefo dalla teftimonianza altrui , fi 
dice ricavato da un luogo eftrinfeco , per- 
chè i teftimonj fon fuori del fatto , che 
cade in giudizio. 

Quindici fono i luoghi * che fi chiamano in- 
trinfici , cioè la Definizione , la Numera- 

zio- 


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zione delle parti, l’Etimologia del Nome, 
i Derivati, il Genere, la Forma, la Somi- 
glianza, la Diffomiglianza , la Comparazio- 
ne, i Repugnanti, gli Aggiunti , gli An- 
tecedenti , i Confeguenti, le Cagioni, e gli 
Effetti . 


CAP. I. 

Della Definizione, 

L A Definizione è un difeorfo , che breve- 
mente fpiega la Natura della cofa . 

Per effer perfetta la Definizione dee collare 
di due termini, che fi dicono dai Filofofi 
genere , e differenza . Uno di elfi dee 
■ convenire così alla cofa definita , come 
ad altre cofe , che fono fotto il genere me- 
delimo: l’altro deve effer particolare e pro- 
prio della cofa definita . Se dicefi , che 1’ 
Uomo è un animale ragionevole , ottima fa- 
rà la definizione. Imperocché P effere ani- 
male è il termine generico , per cui l’Uo- 
mo conviene con tutti gli altri viventi : 1’ 
effere ragionevole è il termine proprio c 
particolare, che all’Uomo compete , e per 
cui da tutti gli altri animali Effo dilli n« 
guefi . 

Il Filofofo, e 1’ Oratore diverfamente definì- 
« ' ' ) fcQp 


fcono le cofe . Il primo dovendo definir 1* 
Uomo, brevemente dirà : Homo ejl animai 
ratione praditum . Il fecondo ornatamente y 
e più alla lunga dovrà dire : Homo efl exi- 
tnium opus a Deo ^iformatum , rationis par- 
ticeps , ad ipjìus Dei imaginem conditum , at~ 
que ad immortalitatis gloriam natura . Que- 
lla chiamar fi dovrebbe deferizione orato- 
ria , anzi che accurata definizione . 

Tullio nell’Orazione prò domo fua dalla defi- 
nizione del Popolo Romano dimoltra, che 
nella legge di P. Clodio , ond’ egli fu con- 
dannato all’efilio, diedero il voto non già 
i veri Cittadini di Roma, ma una molti- 
tudine di Schiavi prezzolati , di Uomini 
poveri e facinorofi : 0 fpeciem , dignitatem - 
que Populi Romani , quam Reges , quam na - 
tiones exter a , quam gentes ultima pertime- 
■ feunt , multitudinem bominum ex fervis con - 
• duStis, ex facinorojìs , ex egentibus congrega - 
tam ! . . . Ille populus efl Dominus regum y 
-wiftor , atque imperator omnium gentium. 


» 

V 


CAP. 


» 


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f 




CAP. II. 

• Della Numerazione delle parti . 

L A numerazione delle parti fi fa quando il 
tutto fi diftribuifce nelle fue parti . Qui 
per tutto s’ intende o il tutto materiale , 
come la Cafa , che contiene il tetto , le mu- 
raglie, il pavimento &c. o il tutto Civile, 
come il popolo , che comprende i Vecchi, 
i Giovani , le Donne , i fanciulli , i nobi- 
li , i plebei &c. o il Genere , che contie- 
ne le fpezie , come la virtù , che abbrac- 
cia la prudenza, la giuftizia , la fortezza &c. 
o finalmente la fpezie, che può diftribuirfi 
ne’ fuoi individui . 

Si ricava argomento da quello luogo , fe af- 
fermando, o negando le parti , fi afferma, 
o fi nega il tutto. Affermandoli le parti , 
non è auopo, che tutte fiano annoverate , 
ballerà, che fi affermino le principali . Co- 
sì Cicerone nell’ Orazione prò lege Manilla 
dimollrò, che nel gran Pompeo rifplendea- 
no la fcienza militare, il valore, l’autori- 
tà, e la felicità* e quindi conchiufe bene, 
che in Elfo lui eran tutte le doti di un 
gran Comandante. 

Che fe le parti fi negano , per quanto fi può, 1 

ne- 




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negar fi debbono tutte . Nell’ Orazione pofil 
reditum ad Qutrites provò Cicerone, che in 
Roma non vi era Repubblica allorché Egli 
fu efiliato , perchè non vi erano Confoli , 
nè Senatori , il popolo non era libero , non 
fi facea conto de’ Magiftrati , delle leggi , 
e delle coftumanzc de’Maggiori. 


CAP. III. 

g t 

Dell ’ Etimologia del Nome. 

Q Uefto luogo vien detto dai latini Nota- 
tio nominis . Può alle volte 1* * Oratore 

* ricavar 1’ argomento dall’ Etimologia , 
cioè dall’ origine di un nome . Eccone 1’ 
efempio di Cicerone in Pifonem : Conful efl 
ili e , qui patria confulit ; non igitur Pifo 
Confitti i qui eam evertit. 

Si fa ufo di quello luogo allorché 1’ Oratore 
dal nome di alcuno ricava o lode , o vi- 
tupero . Cicerone fcherzando affermò , che 
Verre non fenza ragione era così chiama- 
• to, perchè omnia ver re re t , cioè tutto fco- 
• pava , dichiarandolo così un gran ladro. 


CAP. 


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De Derivati, 


D Ai latini conjugata , da noi derivati fi 
dicono quelle voci , che hanno l’origi- 
ne da un folo vocabolo , e variamente fi 
mutano nell’Orazione, come viBus , invi - 
Bus , deviBus , viBor , viBoria &c. che tut- 
te derivano dal verbo Vinco . Da quello luo- 
go egregiamente dimoftrò Cicerone nell’ O- 
yione prò Marcello , che il folo Cajo Cela- 
re meritava il titolo di Eroe veramente in- 
vitto. Ecco le fue nobili efpreflioni : Ce - 
teros quidem omnesViBores bellorum Civilium 
jam ante a qui tate , & mifericordia viceras: 

hodierno vero die te ipfum vicijli 

Ipfam ViBoriam vicijfe videris , cum eaipfa , 
qua illa erat adepta , v'tBìs remifijli . Nam 
cum tpfius viBorite conditione jure omnes vi - 
Bi occidiffemus , clementi a tute judicio con- 
fervati fumus, ReBe igitur unus inviBus es y 
a quo etiam ipfìus viBoria conditio , vifque 
deviBa ejl. 


GAP. 


* i 


C A . P. 


V. 


Del Genere , e della Forma . 

D A’ Rettorici chiamati Genere quel Nome, 
che a molte cote è comune , e che lot- 
to di fé molte cote comprende; La Virtù 
è voce generica , perchè è comune alla pru- 
denza , alla fortezza , alla giuftizia , alla 
pietà , ed a tutte 1* altre virtù particolari . 
Ricavati l’ argomento dal Genere allorché l’ Ora- 
tore volendo dimoftrar vera un’ ipoteti , cioè 
una propofizione particolare , ricorre alla tefi, 
cioè alla generale , che fotto di te la par- 
ticolare comprende . Nell’ Orazione prò *4r- 
chia volendo provar Cicerone , che codefto 
gran Poeta dovea tenerti in gran conto , 
con arte maravigliofa patsò da quell’ ipoteli 
alla tefi , e generalmente lodò la poeta., e 
■gli altri lludj , che all’ umanità appartengo- 
no , per quindi conchiudere , che Archia 
qual dotto Poeta dovea dai Romani tom- 
. inamente ftimart . 

La Forma , o Ila la Spezie è quella cota par- 
ticolare , che fotto la generale condenti . 
Tale è la voce fortezza , che fi contiene 
t fotto il nome generico della virtù. 

Prendefi l’ argomento dalla fpezie allorché l’Ora- 
. to- 


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tare per dimoftrar la verità di una Teli , 
cioè di una propofizione univerfale , ricorre 
all’ipotefi , cioè alla particolare . E.g. fi 
vuol dimoftrare , che generalmente le belle 
arti, e le fcienze giovano alla Repubblica, 
prende!! l’argomento dalla Rettorica , dalla 
Logica, dalla Geometria, dalle Scienze fi- 
fiche , dallo ftudio delle Leggi , e da altre 
* particolari difcipline , che tutte alla civil 
focietà fono giovevoli. 


t 

CAP. VI. 

; 

Della Somiglianza , e della Diffomiglian^a . 

L A fomiglianza è il paragone di due cofe 
diftinte , che in qualche qualità fra di 
loro convengono . E. g. 1* Uomo fdegnato , 
e la Tigre lòn due animali diverfi, ma con- 
vengono nel furore , e nella crudeltà ‘ quin- 
di tra 1* Uomo fdegnato, e la Tigre vi è 
la fomiglianza. 

Nell’ Orazione po/l redi tura ad Quirites da que- 
llo luogo cosi Cicerone argomenta : Tan. 
quam bona valetudo jucundior ejl «V, qui e 
gravi morbo recreati funt , quam qui ntmquam 
agro corpore fuerunt ; ftc ea omnia ( cioè le 
cofe da lui perdute coll’ efilio da Roma , e 

JB poi 



18 . 

poi riacquifhte ) deftderata maga, quanta/- 

fidtie percepta deleBant . 

Ecco una fomiglianza belliffima, che Ovidio 
ritrovò tra l’oro, e tra la fedeltà d* un ve- 
ro Amico: - 

Scilicet ut fulvum [peBatur in ignibus aurum , 
Tempore fi: duro eli infpicienda fides . 
Come appunto del fuoco entro 1 ardore 
-:.i L’Oro h feorge fe fia puro c fchiettoi 
Così tra le feiagure 
Tutto fi feopre il core 
r D’ un Amico fedel vero e perfetto . 

La Diflòmiglianza è un difcorfo,con cui tra due 
cofe diftinte dimoftrafi un’ affezione , o fia 
una qualità difuguale . Così Catullo car. 5 . 

. Soler decidere , & redire folent : - 

LJobis cum femel occidit brevis lux , 

No* eft perpetua una dormiettda . 

Si foggiugne un altro d'empio , che addita la 
, diiùguaglianza, che paflà tra la Virtù, e 1 
Vizio : Il Vizio , e la Virtù portan j eco ama - 
e pi^ere.’ La virtù fui principio re- 
ta un a*iar«zZ a 1 che P* 0 dnra * wa P oi P r0 ' 
duce un piacere , che non ha fine , Il vigio 
parta fico un piacere , che ben tofto [vani - 
fee j ma poi cagiona un affanno infinito t 
perpetuo . 


* 


CAP. VÌI. 

Della Comparatone . 

• ) 1 i .£ • • « 

L A comparazione fi fa quando due , o più 
perfonc , o pure due * o più cofe fi pa- 
ragonano infieme in una qualità , che loro 
è comune. 

Si argomenta da quello luogo o a pari , o a 
majori ad minus , o a minori ad majus . 
pari . Cic. prò P. Sylla : Potè Ortenfio di- 
fender P. Siila reo di congiura * dunque pel 
medefimo delitto può difenderlo ancor Ci- 
cerone . ' ' • n *. ' 

majori ad minus . Ovid. Trijh . 1 ». 

Cur ego pojfe negem leniri Cafarir iram y 
Cum videam mites hoftibus effe Deos ? 

-A minori ad majus. Cic. prò leg. Man: Ma - 
jores vefiri ftepe Mercatoribus , ac Navicttla- 
toribus injurioftus tractatis bella gefferunt : 
Vos tot Civium Romanorum millibus uno 
nuncio , atque uno tempore necatis , quo tan- 
dem animo effe debetis ? 

Qui è da notarfi , che la comparazione far fi 
dee fra due cofe del medefimo ordine * quin- 
di fe a majori ad minus io dicefli .• Tigio 
ha potuto fare un gran Palagio ; dunque po- 
trà formare un picciol poema , la compara- 
li 2 zÌ 0 - 


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IO 

zione farebbe falfa ed inetta , perchè il Pa- 
lagio , e’1 poema fon cofe di differente na- 
tura . 

Differifce la Comparazione dalla fomiglianza, 
perchè nella fomiglianza fi ha riguardo fol- 
tanto alla qualità fimile : nella Compara- 
zione fi bada alla quantità di una terza 
cofa , che fra due , o fra più ritrovali o egua- 
le, o maggiore., o minore. 


• C A P.' , Vili. 

• « * *« , . , 

Df Repugnanti . 

X • 

S I dicono repugnanti quelle cofe , che nel 
tempo fteffo non poffono ritrovarfi infie- 
me nel medefimo Soggetto , come 1* odio , e 
l’amore verfo una medefima perfona. 
Quattro fono le fpecie de’ repugnanti , cioè 
Contrarj , Relativi , Privativi , e Contrad- 
dicevi . 

I. Contrarie fon dette quelle cofe, che mol- 
to tra di loro differirono , ancorché fìano 
fotto il medefimo -genere . Così il Vizio, 
e la Virtù, benché fiano fotto il medefimo 
. genere di qualità , fono contrarj , perchè 
molto differifcono tra di loro . Dai contrarj 
fi argomenta così : la Virtù rende l'Uomo 
. beato ; dunque il Vi^to lo rende infelice . 

- ' Ih 


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2.1 

II. Sono relative quelle cofe , delle quali una 
non può Stenderli lenza dell’altra . Tali 
fono il Padre, eì Figlio, il Marito, e la 
Moglie, il Principe, e ’l Suddito, il Ser- 
vo, e’i Padrone, il Maeftro, e’1 Difcepo- 
lo &c. Da quello luogo così può argomen- 
tarli : II Principe può comandare ; dunque il 
Suddito dee ubbidire . £’ cofa onejla /’ infe- 
gnar le lettere ; dunque onejla cofa è anche 
' V apprenderle . 

III. Privativi fi dicono gli abiti , e la priva- 
zione di efli, come la Vita, e la Morte» 
le tenebre , e la luce , la feienza , e l’ igno- 
ranza . Così Tullio nell’ Orazione prò Mar- 
cello r Cefare dopo la civil difeordia conferva 
in vita i fuoi nemici , a cui potrebbe dar la 
morte • dunque fe foQe pojfibile , richiamereb- 
be in vita i fuoi Nemici già ejlinti . 

IV. Contraddicevi fon detti due termini , un§ 
de’ quali nega l’ altro , come dotto , e non 
dotto, beato, c non beato, ricco, e non 
ricco . Ecco 1* argomento ricavato da que- 

- fio luogo : Se Clodio tramò infidie a Milo - 
ne , perchè non dovrà chiamarfi injidiatoreì 


B 


3 


CAP. 


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Degli. Aggiunti. • • 

• • * I 4 « » . 

G Li Aggiunti , o iìan le Circoftanze fon 
quelle cofe , che necclfariamentc , o. pro- 
babilmente accompagnano quel l'oggetto, o 
quel fatto , di cui li parla . Da quello 
piuechè da ogn’ altro luogo può ricavar 1* Qra-^ 
, tore argomenti, e ragioni. La perfona , il 
luogo, il tempo, ed altre moltiflime circo- 
ftanze pofiòno a lui fomminiftrar abbondan- 
te materia di perl'uadere . Qui non v* ha 
bifogno d’ elcmpj r balla legger le Orazioni 
di Cicerone , per aver folto gli occhi infi- 
niti argomenti , che da quello fertilifiimo 
> luogo lbn da lui ricavati. 

Per ajuto della memoria qui li foggiugne un fol 
vedo per altro notiflimo nelle fcuole de’ 
Rettorici , in cui fi comprendono i princi- 
pali aggiunti , ai quali tutti gli altri fi pof- 
- tono rapportare: . ....... 4 

Quii, quid , ubi ì per quos , quotiti , cur, quo - 
modo , quando . 

Quii lignifica la perfona, e tutte le circoftan- 
ze, che alla perfonà appartengono , come 
la famiglia, l’educazione, gli ftudj, la pa- 
tria , f ìndole , l’ età , il felTo , la parente- 

. ‘ , la > 


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2 3 


la , la fama , le virth , i vizj & c. 

Quid addita il fatto, l’azione, o l’affare, di 

' cui trattafi . 

Ubi diiegna il luogo , dove il fatto è fucce- 
duto . 

Per quos dimoftra i compagni , che han dato 
ajuto ad effettuar qualche cofa : oltracciò 
i mezzi , gli {frumenti &c. 

Quoties dinota quante volte una cofa fi ah fatta. 

Cur efprirac il fine o buono , o cattivo di un’ 
azione. 

Qttomodo lignifica la maniera , con cui f* * è 
fatta una colà . 

Quando dinota la circoftanza del tempo. 


CAP. X. 

Degli Antecedenti , e de ’ Confeguenti . ■ 

• ‘ r • . • 

Q uantunque da Cicerone lì dicano pro- 
priamente antecedenti, e confeguenti quel- 
• ’ le cofe , che neceflarianvente precedono, 

• o fegoono un’ altra , come appunto la na- 
feita di neceflità precede la morte , e la 
morte neceffariamente fegue la naferta : non- 
dimeno vi fono antecedenti , e confeguenti, 
che folo probabilmente polfon precedere , o 
feguire . Un arbore , a cagion d’ efempio , t ca- 
rico di fiorii dunque probabilmente , non gid 

B 4 di 

» 


34 

di necejfità produrrà molte frutta . Cajo in 
quefta Città è fiato uccifo , nè fi sa Facci- 
fiore: Ti^io nel tempo fiefifo è fuggito in fret- 
ta di qua col volto pallido e timorofio ; dun- 
que è probabile , non è già indubitato , c/j Egli 
fia F Om ic ida . 

Davo preffo Terenzio nell’Andria Att. 2. Scen.i. 
dagli antecedenti argomenta , che non fon 
vere , ma finte dal Padrone le nozze del fuo 
figlio : Solitudo , egli dice , ante ofiium , & 
introire neminem tjideo , exire neminem : in 
éedibus nihil ornati , nibil tumulti / & puer 
olera , & pificiculos minutos fert obolo in ca- 
nam Seni. 

Cicerone dall’inimicizia, dall’odio, dalle con- 
: tefe , che Clodio ebbe già con Milone , dal- 
le minacce di Clodio fatte al fuo nemico, 
dai peflimi collumi , e dalle ribalderie di 
quel furiolìflimo Uomo , dal luogo , ove li 
pofe in aguato , dagli Uomini armati , che 
feco condufle , dimoflrò ad evidenza , che 
Clodio ufcì con animo rifoluto di uccider 
Milone . Egli è quello un’ efempio ben chia- 
ro dell’ argomento prefo dagli antecedenti* 


CAP. 

i 


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le 


Velie Cagioni. 


L A cagione è quella , che di fua natura , 
ovvero colla fua forza , ed abilità pro- 
duce un effetto , come il Sole è cagion del- 
la luce , lo Scultore della ftatua &c. 

Può effer la cagione o efficiente , o materia- 
le, o formale, o finale. 

I. La Cagione efficiente è quella, che giàab- 
biam definita . Ecco 1* efempio dell’ argo- 
mento prefo dalla Cagione efficiente : Il 
Mondo è flato creato da Dio dunque è un 
opera perfettiffima . 

Marziale ad fe ipfum nel lib. io. dimoftrala 
felicità dell’ Uomo dalle molte cagioni, che 
la poflono produrre . Ecco i fuoi verfi , che 
per intelligenza de’ Giovani fi fon tradotti in» 
italiano : 

Vitam qua faciant beatiorem , 

JucundijJìme Martialis , hac funt.' 

Res non parta labore , fed relitta, 

Non ingratus ager , focus perenni s , 

Lis nunquam , toga rara , mens quieta , 
Vi res ingenua , falubre corpus : 

Prtidens flmplicitas , pares Ornici, 

• C<»». 


SonviBus facilit , fine arpe menfa , 

Nox non ebr!a y fed foluta curis , 

* 'To fi** bri f*s, **«•*'* 

# Somntts , qtt'r fac'tat breves 'tenebrai : 
Quod fts y effe velis y mhilque malis , 
Summum nec metuas diem , «se optes. 

Le Cagioni, onde l’Uom falli beato, 

Dolce diletto Marzial , fon quelle : 

Roba con sran fatica; e lungo ftento 
Non acquietata, ma in retaggio avuta: 

Un fertile podere, e un Focolajo, 

In cui fempre fi vegga il fuoco accefo: 
Non aver mai litigj, e ben di rado 
Trattar faccende , e fiiora ufeir di cada: 
Forze robufte, ed animo tranquillo. 

Il Corpo fono, e non foggetto a’ morbi: 
Efler femplice si, ma ufar prudenza: 

Non difuguali aver gli Amici , e fpeffo 
Starne amfo con Efli in lieta menfa , 

Che imbandita con arte eflèr non deve: 
Placide aver le notti, e fenza cure: 
fr Dormir quieto , e non fentir la noja 
Delle tenebre lunghe : Elfer contento 
Del proprio fiato , e non aver giammai 
Alcun defio di migliorar la forte: 

Non mai temer , non mai bramar la morte. 

H. La Cagion Materiale è la materia ftefia, 
da cui una cofa è formata , come il mar- 
mo è la cagio» materiale della Statua , le 
pietre dell’ edifizio , il corpo umano dell* 

Uomo 


e a^R.>*XK 


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Uomo. Dalla cagion materiale fi argomen- 
ta cosi : II Corpo dell L'onto è /oggetto alla 
corruzione , ed alla morte ; dunque è ragio- 
nevai e , che ferva, e fia fottopoflo all ’ ani* 
ma immortale ed incorruttibile . 

.Così Ovidio deferive lodando la Reggia del 
Sole per la materia , ond’ era formata : 
Met. li’o. z. 

Regia Salis erat fublimibus altaColumnis, 
Clara micante auro , fiammafque imitante 
Pyropo , 

Cujus ebur nitidumfafligia fumma tegebat: 
sergenti bifores radiabant lumino valva. 
Materia»» fuperabat opus. 

III. La Cagion formale è quella forma, o fia 
quel fegno imprelfo dalla Natura nelle co- 
le di quello Mondo , per cui la cofa è 
quel che è» e da tutte 1* altre fi diftingue. 
C051 la mente , o fia 1* anima ragionevole 
è la cagion formale dell’ Uomo, per cui da 
tutti gli altri viventi 1’ Uomo diftingueii . 
Se aleuto dicefle : L y anima ragionevole di 
fu<\ natura è molto eccellerne ; adunque fer - 
vm nm dive ai terreni piaceri , farebbe 
quello un. argomento ricavato dalla cagion 
formale dell Uomo - Si afcolti a propo- 
sto il gran Cicerone, che nel lib. z. de 
• Offic. così dice : Si aonfiderare velimus qua 
fit in. heminis natura ex celienti a , & digni- 
tas , intelligemus quam. fa turpe diffiuerclu- 

xu- 


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ì8 

xuria , ac delicate , molltter vivere . 

IV. La Cagion finale è il fine medefimo T 
per cui qualche cofa prendefi a fare . Cosi 
• la vittoria , e la pace fono la cagion fina- 
le della guerra, poiché per la pace , e per 
la vittoria la guerra intraprendefi . Ecco 1* 
argomento , che Cicerone ricava da quefto 
luogo Philip. 7 . Si pace volumus frui , 
bellum gerendum ejl ; fi bellum omittimtis , 
pace nunquam fruemur . 


C A P. XII. 

* * ’ 

Degli Effetti . 

G Li Effetti fon quelli , che vengon pro- 
dotti dalle Cagioni . Cicerone nell’ Ora- 
zione prò leg. Manil. efpofe agli occhi de’ 
Romani i buoni effetti , che dovea produr- 
re la guerra nell’ Afia , cioè il confervar la 
gloria del Popolo Romano , la falvezza de* 
Confederati , i Dazj piu ricchi della Re- 
pubblica coi beni di molti Cittadini pri- 
vati ; e così dimoftrò , che quella guerra, 
come neceffaria , non era da trafeurarfi . 

In quefto luogo ritroverà prove abbondantif- 
fime chi prende a lodar la virtù , o a vi- 
tuperar il vizio, col dimoftrar i buoni ef- 
fetti, che derivano dalla virtù , gli effetti 

per- 


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perni ciofi , e i mali , che dal vizio proven- 
gono . 


C A P. XIII. 

. • . 

De luoghi ejlrinfeci . 

S Eì luoghi eftrinfeci , o fian rimoti fi am- 
mettono da Quintiliano, cioè le Leggi', 
la Fama , le Scritture , il Giuramento , i 
Tormenti, e i Teftimonj . 

I. Se ragionando abbiam qualche legge , che 
lìa favorevole alla noftra caufa , ne farem 
ufo, rapportando le parole medefime , con 
cui la legge vien efprefla . Gioverà anche 
addurre (autorità dei pili dotti Giurecon- 
fulti , che l’hanno a favor noftro interpe- 
. trata , e quafi adattata al noftro cafo . ■ 

Se mai in qualche caufa confimile da qualche 
Supremo Tribunale fiali fatto decreto, che 
ci favorifce , anche quello da noi fi pprte- 
rà in giudizio . I decreti già fatti nelle cau- 
fe fimili dai Romani eran detti pr<ejudicia % 
ed avean forza di leggi . . - 

Ohe fe vi farà qualche legge, che forfè fem- 
bra elfer contraria alla noftra caufa, dovrà 
da noi confutarfi . In tre maniere fi può 
. confutare una legge : 

x. Col dimoftrare , che la legge da lungo tem* 

po 


3 ° . „ 

po non o (ferrata è andata indifufo, e quiiw 

di non ha più vigore. 

2. Coll’ opporre alla legge un’altra legge piu 
recente, da cui la prima è fiata o in tut- 
to, o in parte annullata. 

3. Col dimoftrare , che una tal legge nelle 
circoftanze prefenti non più giova , anzi è 
perniciofa alla Repubblica , e per confeguen- 
aa non deve offervarfi . 

II. La Fama è una voce fparfa tra il popo- 
lo , fenza faperlene l’autore. Se k fama è 
a noi favorevole, diremo, che il fentimen- 
to comune del popolo è di grande ancori- 
ti, e fi dee riguardare come una fpèzie di 
oracolo . Sogghigneremo con Plinio nel Pa- 
negirico a Trajano.* S'ingaii dectptrt , oc vie- 
cip i poffnnt , netno onvtes , Menti toM orttnes 
fefellerunt. 

All’incontro fe la Fama ci è contraria, dob- 
biamo amplificar la di lei malignità , ed in- 
coftanza . Diremo , che ordinariamente là 
Fama oltremodo ingrandire le cofe , e fa 
comparir Colomba chi è Corvo, Corvo chi 
è Colomba. Rapporteremo cosi ilfentimen- 
To di Seneca , il quale ditte ; pelimi argti - 
Mtntum turba #/?, come la definizione della' 
Fama, che ci lafciò Quintiliano .' EJi fa. 
ria , egli dice , finto valgi fi» tt itilo auBo. 
re, & capite difperfiis , cui malignìtds ini- 

- fin/» dederit, iflcreMcntum credulità s. 

• -■ III. 


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flL Sotto il nome di fcritture , che dai lati- 
ni diceanfi Tabulo : , s’ intendono le conven- ’ 
zioni in ifcritto , i contratti , i teftamemti , 
i codicilli , ed altre fcritture di fimi! fatta, 

* che prefentandofi in giudizio pofTono fervir 
. di pruova alla tioftra caufa. 

Le fcritture fi poffon confutare dimoftrando , 
che fian falfe , o falfificate , oppur latte fen- 

• ' za le folennità legittime . 

Se mai portanfi in giudizio le carte antiche, 
come Privilegj , Diplomi , ed altre fimili 
fcritture de’fecoli andati , per conofcere , che 
non fiano fuppofte, o falfificate , è d'uopo 
oflervar le regole critiche propofte da Mon- 
fauconc nella fua Paleografìa , e la Diplo- 
matica de’ PP. Benedettini . 

IV. Il Giuramento è un atto di Religione, 

e fi fa quando in giudizio fi chiama Dio 
in teftimonianza della verità , che fi alTe- 
rifee. Vale molto quello luogo a perfuade- 
re , fe chi ha giurato fia Uomo dabbene 
ed onefto . , . .. .. < 

Il giuramento fi può confutare col dimolìrarfi, 
che fiafi fatto da perfoae indegne di credi- 
to, e folite a mentire. 

V. Per qualche atroce misfatto non può il 
Reo condannarli alla morte , fe di fua boc- 
ca non confefli il commelfo delitto . Il Re 0 

- non confeflàndo fi efamina coi tormenti } 
purché però vi fian pruoVe Sufficienti per 

la 


3 Z , 

la tortura . S’ Egli confetta nell’ atto , eh’ è 
tormentato , affinché tal confeflione abbia 
forza di pruova , dee da lui ratificarfi fuor 
de’ tormenti . Che fe con replicata tortura 
>1 Reo non può indurfi a confeffare , egli 
è quello un grand’argomento della fua in- 
nocenza . 

Se alcuno ne’ tormenti abbia già confettato , 
potrebbe difenderft col dire , che vana e fal- 
lace è la confettione , che fi fa nella tor- 
tura . Imperocché fe taluno può tollerar i 
tormenti , non confetta , benché fia reo : Se 
non può tollerargli , confetta , benché fia in- 
nocente , come piò volte è avvenuto . Quin- 
di fondatamente dicea il dottiffimo Ugon 
Grazio , che tra i tormenti mentìtur qui 
ferro potefi , mentìtur qui ferre non potejl. 
VI. I Teftimonj fon coloro, che in giudizio 
fono efaminati affin di provar la verità di 
qualche fatto . Si aggiugne gran pefo alla 
teftimonianza, fe i teftimonj fiano oculati, 
fe fiano efaminati con giuramento , fe fia- 
f no Uomini onefti , e di buona fede , fe il- 
luftri, e doviziofi, e fe finalmente non fia- 
no indotti a far teftimonianza da qualun- 
que paflione. 

Cosi Tullio in difefa di Archia Poeta , ad- 
« duce la teftimonianza di L. Lucullo , e dei 
t Deputati di Eraclea t ^fdeji Vìr fumma au - 
• pi ori tate , & religione ., & fide L. Lucullus , 

qui 


I 


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ss 


qui fe non opinasi , feci [ciré , non- audivi jfe, 
fed vidiffe , non interfuijfe , fed egiffe dicit : 
sAdfunt tìeraclienfes Legati nobilitimi tìo- 


mmes. 

Si può confutar la tellimonianza col dimoftra- 
rc , che i teflimonj fono Uomini o infa- 
mi, o incollanti, e facili a mentire, o fer- 
vi , o domeftici , o amici , o in qualunque 
maniera fofpetti . Se non convengono - tra 
di loro , o pur l’uno contraddice all’altro 
nelle circoftanze del fatto , è fegno mani- 
» fello della lor falfità . Se fiapo' di' vii con- 
dizione , e poverelli , diremo , che probabil- 
mente fono flati fubornati co’ prem j. 


rm 



r 


DELL’ INVENZIONE 


PARATE II. 


Dell * Amplificazione . 

L " 1 Amplificazione è una parte la più im- 
i portante dell’ Eloquenza , e a guifa del 
fangue, che fcorre per tutto il corpo uma- 
no , deve elfere fparfa e diffida per tutta 
l’Orazione. Vien definita da Tullio: gra - 
vior qucedam affirmatio , qute motti animortim 
concili at in dicendo fidem : cioè 1’ Amplifi- 
ca ca- 


cazione è una certa maniera più copiofa 
e più veemente di ragionare , che muove gli 
animi , e perfuade , 

Siccome amplificar fi poflòno o le cofe, o le 
paròle , cosi noi qui prima tratteremo deH’am- 
plificazione delle cofe, indi della maniera, 
con cui le parole fi amplificano. 

* « r 

CAP, I, 

. . • < - , 

Dell' Amplificazione delle cofe. 


I N otto maniere fi poflono amplificar le 

cofe. . . 

i. Con molte definizioni unite infieme , le 
quali tutte alla cofa medefima poffono con- 
venire . Cosi Cicerone prò Mil. ampli- 
fica la Maeftà del Senato Romano : Cu- 
ria templum fan&itatis , amplitudini s ì men- 
tis , confilii publici , caput Orbis , ara focio- 
rum , portus omnium geriti ab univerfo 
populo Romano conceda uni ordini . 

2. Per gli aggiunti, cioè per le circoftanze.. 
Tullio fteflò prò Marcel, amplifica mirabil- 
mente la clemenza di C. Cefare dalle cir- 
coltanze della perfona , del luogo , e del 
tempo . La perfona era C. Cefare , contro 
di cui i fuoi Nemici avean guerreggiato, e 
per légge di guerra dovean tutti morire ; 


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* Egli però in tempo della fua vittoria , al- 
lorché il Vincitore fuol effer infoiente e 
fuperbo, in mezzo alla Città di Roma , ove 
allora fi ritrovava nella poteftà fommà di 
tutte le cofe, frenò il gi urto sdegno contro 
i Cittadini già vinti, e generofamentc lor 
diede il perdono. 

3. Colla numerazion delle parti . Amplifica Ci- 
cerone il gran valore di G. Pompeo nell’ Ora- 
zione prò leg. Man. numerando diverfi luo- 
ghi del Mondo, cioè l’Italia, la Sicilia, 
1 Africa, la Gallia, la Spagna, tutti i mari, 
tutti i porti , tutti i golfi , e le fpiagge ma- 
rittime , in cui quell’ invitto Eroe lafciò 
fegni del fuo divino incredibil valore. 

4. Le cagioni , e gli effetti uniti inficme gio- 
vano anche all’ amplificazione delle colè . In 
quella maniera amplificar fi potrebbe l’ igno- 
ranza de’ Giovani d’ oggidì , annoverando 
cosi le cagioni di quella , come gli effetti 
cattivi , che ordinariamente proti uce : V ozio, 
il fonno, la crapula , il ballo , i giuochi , la 
ratifica, la fc berma , i fe/iini , i team , i pub. 
bltci spettacoli , il tempo , che inutilmen- 
te fi perde nel fregiar la chioma con af- 
fettata diligenza, per imitar la moda cf In- 
ghilterra , e di Francia , e fovratutto la 
Soverchia indulgenza , che hanno i Genitori 
pei loro Figli , la di cui educazione trafeu- 
rano, fono appunto le funefte cagioni , onde i 

C a Gio - 


3 6 , . 

'Giovani marcifcono nell ’ ignoranza , m ck» 
nacquero . _D<* ciò infelicemente avviene , che 
in età più adulta sforniti di quelle doti , c/fo 
/’ intelletto adornano , fpregiati fono e vilipefi 
da tutti .* e dall ’ o^/’o trafeinati ne ’ più abbo- 
minevoli vigj riefeono perniciofi alla Repub- 
blica , £ fon forcati a vivere tra le infelici - 

- fi , e le mi ferie . 

5. Si poflbno anche amplificar le cofe da ciò , che 
lor fegue . Così Virg. nel 4. dell’ Eneide 
deferive Ja notte amplificando le cole , 
che ordinariamente quel tempo foglion fe- 
guire : 

Nox erat , & placidum carpebant feffa foporem 
Corpora per terras,/ìlvaque , & fava quierant 

' . JEquora , cum medio volvuntur fiderà lapfu, 
Cum tacet omnis ager &c. 

6 . Si fa l’amplificazion delle cofe con aggiu- 

> gnere ad.eflé una fomiglianza, o un clem- 
pio. Virgilio medefimo nel lib. 4. dell’ Enei- 
de amplifica il vivace afpetto del Giovane 

> Pallantc poco prima uccifo da Turno , pa- 

- ragonandolo ad un fiore appena l’velto dal 
fuo gambo: 

Hic Jtivenem agrejli fublimem in firn mine 
. ponunt , > < > 

Qiir.lem Virgineo demeffum pollice florem 

\ Seu mollis viola , feti languentis kyacintbi. 
Cui neque fulgor adhv.c , needum fua forma 
recejpt . 

1 - , Così 


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I 

I 

1 


I 

I 




Così Torquato Tallo nel Canto 3. della 
lua Gerufalemme amplifica con una Ibrni- 
glianza il gran piacere dell’ Elercito Cri- 
ftiano , allorché giunfe a veder la bramata 
Città , che volea conquidere : 


Ecco apparir Gerufalem fi vede , 
Ecco additar Gerufalem fi feorge .* 


Ecco da mille voci unitamente 


Gerufalemme f aiutar fi fente. 

Così di Naviganti audace fiuolo , 

Che muova a ricercar efiranio lido , • 1 

E in mar dubbiofio fiotto ignoto polo 
Provi l' onde fallaci , e 7 mar infido .* 

Se al fin di f copra il defiato fiuolo , • ■ 

Il fialuta da lunge in lieto grido , 

E /’ uno al! altro il mofira , e intanto oblia 
La noja , e 7 mal della paffuta via . 

7. Dai contrarj ancora può farli l’amplifica- 
zione delle cofe . Così Cicerone in Catili- 


nam c-Qmsferre poffit inertes homines forti fi 1 
fimis infidiari > Jlultijfimos prudentififimis , 
ebriofios fiobriis , dormientes vigil antibus . 

8» Finalmente fi fa quell’ amplificazione per 
incrementum , come dicono i latini , cioè 
quando l’Orazione quafi per gradi va cre- 
. feendo, finché giunga al fommo . In que- 
lla maniera Cicerone amplifica l’empietà 
di Verre: Facinus efi vincite Civem Roma - 


num , prope parricidium necare , quid dicam 
in Crucem tollero ? Nihil addi jam videtur 

C 3 . ad 


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3 » .... 

ad hanc amenti ara , improùitatem , cmàdita- 

temque poffe . 


CAP. II. 

Dell? Amplificazione delle parole . 

L E parole amplificar fi poflono in cinque 
maniere . 

I. Con altre parole metaforiche . Virg. nel 
lib. i %. dell’ Eneide così amplifica lo fde- 
gno di Enea: 

. . . . irarumque omnes effundit habenas. 

2. Con altre parole iperboliche, le quali efpri. 
mono affai più di quel che in fatti è la 
cofa » Ne abbiamo l’efempio in Cicerone 
. prò lege Man. Pompejus cum hojle conflixit 
fapius quant quifquam cum inimico concerta - 
vite plura bella geffit , qnam alii legerunt .* 
plures provincias conjecit , quam alii conca « 
pivernnt . 

3. Con altre parole Anonime, che quafi haru* 
no il medefimo fignificato . Cicerone par- 
lando di Catilina , che già era ufcitq di 
Roma così diffe : Abiit , exeejfit , evaftt , 
erupit . 

4. Con parole più efpreHive e. piu nobili. 

Quel che da Cicerone femplicemente polca 
■ dirli : Vicifii , Cafar , innumerof barbarti , 

ac 


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39 

ac fortijpraas populos , pili nobilmente fu 
efpreflò cosi .• Domuifli gentes immanitate 
barbara* y multitudine innumerabiles , locis in- 
finita * 1 omni copiarum genere abundante* . 

. Finalmente fi amplificano le parole colla 
parafrafi , che dai latini fi dice Circumlocu- 
tio , allorché con un lungo giro di parole 
fi efprime quel che con una fola parola efpri- 
mer fi potea . Virg. nell’ Egl. I. in vece 
del fo!o verbo advefperafcit usò quella pa- 
rafrafi : 

Et jam fumma procul Vili arnia culmina 
fumant y 

Majorefque caclunt alti s de Montibus umbra. 


DELL* INVENZIONE 

PARTE III. 

Degli Affetti. 

N On balla , ficcome altrove dicemmo , che 
l’ Oratore fi sforzi a perfuader colle ra* 
, gioni » e cogli argomenti y è d.’ uopo ezian- 
dio , che muova gli animi degli Uditori ; 
nel che confilte la Vittoria , e ’1 trionfa 
dell’ Eloquenza. Ciò egli ottiene per mez- 
zo, deli’ amplificazione, e della mozionde- 
c 4 gli 


4° . f . . 

gli affetti , o fia delle pa filoni dell’animo. 

Dell’ amplificazione abbiam ragionato ne’ 
due precedenti Capitoli : qui degli affetti 
dobbiamo didimamente trattare . 

L’ Affetto, cioè la paffione , fi definifce un 
certo impulfo veemente dell’ animo , onde 
V Uomo fi muove o a defiderare , o ad ab- 
borrir qualche cofa . 

Quattro fono gli affetti primarj : due riguar- 

• dano il bene s cioè la fperanza, c ’l godi- 
mento : altri due han per oggetto il male, 
cioè il timore , e ’l dolore . Dai Filofofì 
fi ftabilifce un gran numero di affetti, ma 

• fe ben fi riflette , tutte le pafiioni dell’ani- 
mo ad una fola fi potrebbono rapportare , 
cioè all’ Amor proprio . Noi qui trattere- 
mo foltanto di quegli affetti -, che per lo 
più fogliono muoverfi dagli Oratori. 

• . * * * • # 

C. A P. I. 

• « 

Dell' jfmore , e dell ’ Odio. 

- ' * r * • » f i 

I T ’ Amore è un affetto dell’ animo , che 

• J i ci muove a defiderar bene ad altrui , 

; ed a procurarcelo fenza fperarne ricompenfa. 

Si muove 1’ affetto dell’ amore dimoftrando 

• agli Afcoltanti f utite , che in cfli ridon- 
da dall’ oggetto amabile , e i benefizj , che 

ne 


\ 


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w .. . . , 41 . 

ne han ricevuti . Cosi Cicerone per conci- 
liar la benevolenza de’ Giudici verfo di Mi- 
lone, efaggera i molti benefizj da quell’ot- 
timo Cittadino conferiti alla Patria . 

Si muove anche 1* amore da una virtù rara 
ed eccellente, la quale ha sì gran forza fu 
g'i animi noftri , che fpefle fiate ci movia- 
mo anche ad amar coloro , che non mai 
abbiam veduti : ut fepe eos , quos nunquam 
vidimus , diligamus .> Cic. prò Marcel. 

II L’ odio è un affetto dell’animo , che ci muo- 
ve ad abborrire quel che fi fiima efier ma- 
le . Si muove quella pa filone col deferì ve- 
re agli Uditori qualche oggetto abbomine- 
vole da cui efli han ricevuto , o poflon 

- ricevere alcun danno . 

Con quell’ arte Cicerone accefe un grand’ odio 
contro di Catilina , di Verre, di M. Anto- 
‘ . nio , di Clodio , c di Pifone , efaggerando 

• ai * Romani i vizj enormi di coftoro , e i 
graviflimi danni da efii cagionati alla Re- 
pubblica . 

Non così dobbiamo far noi , che generalmen- 
te poflìamo eccitar l’ odio contro i vizj , 
non già contro i viziofi, i quali ancorché 
ci abbiano offefi, da noi amar fi debbono, 
fecondo i dettami della Religione , che 

• profefliamo . ’ t -■ • 


CAP. 


4 i 


CAP. II. 

Del Timore. 

m 

S I definisce il timore un dillurbo, che na- 
fte nell’animo dell’Uomo per l’idea del 
male , che gli fovrafta . 

Per eccitar quell’ affettò , fi dee dimoftrare , 
che il male da temerli non folamente è gra- 
ve , ma anche imminente . Imperocché 
gli Uomini non fogliono temer alcun male 
ancorché graviflimo , anzi neppur la ftefla 
morte , qualora fe la figuran lontana . 

Nell’ Orazione z. in Catti. Cicerone efagge- 
rando al vivo le ftragi , gl’ incendj , e i lac- 
cheggiamenti minacciati da Catilina al/a 
Patria, dimoftrò, che quelli mali gravilfi- 
mi fovrallavano già alla Città di Roma* 
e così mode i Romani a temer quell’ em- 
pio infamiflimo Cittadino . 


— . — ■ ■ .11 , . 

C A P. HI. 

Della Speranza , e dell' Ardimento . 

> 

ITA Speranza è un defiderio di confeguir 
I u il bene, che non ancor fi pofliede. 

Si muove quell’ affetto con amplificar il bene, 

che 


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. .J 



. che fperafi , e col clini pftrare efler quello un 
bene grande ed onorto . E’ d’ uopo ancora 
propone i mezzi facili , e ficuri per confc- 
guirlo. Tali efler poflono le ricchezze , le 
forze, l’ indolir ia , la prudenza, gli amici, 
il divino ajuto , e la debolezza degli Av- 
verfarj . 

T ullio nella 2 . Oraz. in Catilinam efiendo già 
ufcito di Roma quel Congiurato , eccitò ne’ 
Romani, la fperanza di fuperarlo colle armi, 
dimoftrando il gran bene, che in cfli ridon- 
dava dgUa di lui (confìtta.. (Stracciò pro- 
pofe i mezzi facili per foggiogarlo , cioè 
le truppe della Repubblica affai valorofe, 
e avvezze al combattere , ed al contrario 
l’efercito di Catilina comporto di Uomini 
. effeminati vili e codardi . 

II L’ Ardimento , che dai latini dicefi Au- 
dacia , Confiàentia , è quell’ affetto , che ani- 
ma f Uomo a l'uperar un gran male . Dif- 
ferirti dalla fperanza , perchè quella fya per 
oggetto il bene da confeguirfi , quello il 
male da fiiperarfi . 

Si muove l’ardimento col minorar la gran- 
dezza del male , e col, proporre i mezzi piii 
facili a fuperarlo. Così Annibaie pr-eflo di 
. T. X-ivio dee. 3 . avendo già valicato il fiu- 
me Rodano incoraggi i Ipoi Soldati , che 
diffidavano di pafTar le Alpi Monti altirti, 
mi, e tutti pieni di ghiaccio: Quid al sud 
.... ... ~4lpes 


44 .< . 

dlpes effe eredita , quam Montium altitudì - 
«m ? F ingite al ti ore s Pireeneis : ^fn Terras 
aliquas Calura contingere , & inexpugnabiles 
bimano generi effe ereditisi 
Cosi parimente il Re Turno animò i fuoi 
Soldati a combatter coraggiofam.ente con 
Enea. Virgil. lib. io. dell’ Eneide: 

In mani bus Mars ipfe , Viri: nunc Coniu- 
gi s ejlo 

Qiiifque [tue , teclique memor : nunc magna 
referto 

Fatta Patrum , laudefque: ultra occurramus 
ad undam , 

Dum trepidi, egrefftque labant vejiigia prima: 
y/fudentes fortuna juvat . 


C A ' P. IV. 

Della Mifericordia . 

L A Mifericordia è un’ afflizione dell’ animo 
cagionata dal male altrui . Si muove 
quell’ affetto dai feguenti motivi : 

Dal cambiamento dello flato felice in un al- 
tro infeliciffimo . 

Dall’ efler alcuno abbandonato dagli Amici nel- 
le fue feiagure. 

Dai tormenti, che foffre nel corpo. 

Dalla fua povertà , fpeciajmente fe prima fi| 
• ricco e doviziofo. Dal- 


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45 

Dalle circoftanze della perfona , che patifcrt 
E. g. fe fia Perfonaggio illuftre, innocente, 
e benemerito della Patria. 

Dagli aggiunti del luogo . E. g. fe taluno ri- 
trovali in ofcuro Carcere , oppur nell’efi- 
lio , tra popoli, barbari , o in una folitudi- 
ne privo di tutti X comodi della vita?. 
Dalle circoftanze del tempo , ccJme fe fia vec- 
chio , o giovanetto , o da molti anni ri- 
trovafi fra le miferie. o. i ; _ •. i 

Dal fine , per cui patifce -* E. g. per difender 
la Religione, o la Patria. 

Cesi preflò di T. Livio P. Orazio il vecchio 
muove il popolo Romano a compalfione di 
Orazio fuo Figlio Vincitor dei Curiazj con- 
- dannato alla morte per aver uccifa la fua 
Sorella : Hunccine quem modo decoratum , 
ovantemque vittoria incedentem vidijlis , Qtii- 
rites , eum fub furca vinttum inter vergerà, 
&• cruciatus videre potejlis ? QuoA vix *Al- 
banorum oculi tam deforme fpettaculum ferre 
poffent . I Littor , colliga manus , qua paulo 
ante armata Intperium populo Romano pepe- 
rerunt: I caput obnube Liberatori bujus Ur~ 
> bis, arbori infelici fufpendc , 


.-CAP. 




* 


CAP. V. 

Dello Sdegno i e dell ’ Indignazione . 

• » " . /• > s~ ' . .. •. 

I. T ejl ftiror : Così Orazio defini- 

JL fce lo fdegno Noi diciamo , che lo 
ìdegno è un aceefo defiderio di vendicarli 
per qualche affronto ricevuto. 

Si eccita lo fdegno col far menzione dell’ in- 
giuria , fpecialmertte fe ; fi dimoftra , che all’ 
ingiuria fu unito anché il difpregio . Ci- 

• cerone muove V fdegno i Romani contro il 
^ Re Mitridate nell’ Orazione ptrv log. man. 

Et quoniam femper appetente s gloria prater 
•> ceteras gentet , atqtte avidi laudis fltiftis, de- 
, tenda ejl vobis illa macula Mitridatico bel - 
lo fuperiore fufcepta , qua penitus jam infe- 
. dit , atqtte inveteravi in populi romani no- 

- mine . Indi rammenta al popolo il grave 
affronto a lui fatto da Mitridate, che con 
infolita crudeltà fece'- uccidere in un fol 

• giorno molte migliaja di Cittadini Roma- 

- ni j che fi ritrovavano nell’ Afta . 

II. L’Indignazione è un dolor , che fi fente 

per la profperità di un Uomo , che (limali 
indegno di tal fortuna . Differifce 1’ indi- 
gnazione dall’ invidia , la quale è un dolo- 
re , che nafce dalla felicità di alcun Uomo, 
che per altro è meritevole di quel bene , 
che- gfrde. Fa- 


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Facilmente fi muove quell’ affetto col metter 
fotto gli occhi degli Uditori la fuperbia , 
la potenza, e le ricchezze di alcuno , che 
prima nella fua viliflima condizione era po- 
vero ignobile e tapino. Così Orazio con- 
tro di un certo Mena , che fu liberto di 
Pompeo il Grande : 

Licet fuperbus ambula pecunia . 

Fortuna non mutat genus . 

Videfne , fatram mettente te via>n 
Cum bis ter ulnarum toga , 

Ut ora vertat bue & bue euntium 
Liberrima indignatiti 
SeElus fiagellis bit triumviralibus 
Pr aconi s ad fajlidiutn * . 

vfrat Falerni mille fundi jugera , 

Et o4pptam mannis ferita 
Sedilibufqtte magnus in primis Equa , 
Othone contento fedet . 

Noi , che proferiamo una Religione fanti/fi- 
ma , da cui fi vieta non folamente la ven- 
detta , ma anche il defiderio di vendicarli, 

- non dobbiamo ( come praticavano gli an- 
tichi Gentili ) accender negli animi altrui 
lo fdegno, e f indignazione. Polliamo fol- 
tanto eccitar quelle paliioni contro del vi- 
zio , ficcome abbia m cernuto nell’ affetto 
dell’ odio . 


CAP/ 


CAP. VI. 

i • 

, il . • 

Della Clemenza . 

' v.' . 

L A Clemenza, o fia la manfuetudine, è un 
affetto dell’ animo , per cui lo fdegno fi 
placa , e fi perdona l’ ingiuria . . 

Si placa lo fdegno, e fi muove la clemenza: 
i. Colla fincera confeflione della colpa. Così 
Cicerone placò C. Cefare fdegnato contro 
di Ligario : Patrem loquor: erravi te- 

mere feci , paenitet: ad clementiam tuam con- 
f ugio i delitti veniam peto , ut ignofcas oro . 
I. Col dimoftrar la gloria, che ricavafi dal- 
la clemenza , la quale è propria di un Cuor 
magnanimo e generofo , ed all’ incontro i 
danni , che porta feco la vendetta proibi- 
ta perciò dalle leggi umane e divine. 

3 . Con ifcufar la colpa, dicendofi, che fiali 
. commeffa non già con animo deliberato dì 
offendere , ma per errore , per inganno , per 
umana debolezza, per certo dettino &c. Si 
può leggere 1’ Orazione di Cic. prò Mar- 
cello , ove con fomma deftre^za il gran 
Maeftro degli Oratori tratta quello luogo 
in prefenza di C. Cefare. 4 


GAP. 


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49 


C A P;' VII,: 

* * Dell? Emulazione . 

L ’Emulazione è un certo affanno, chefen- 
• riamo per le virtù , per gli- onori , per 
* la dottrina , e per la gloria altrui , non già 
‘ perché altri fia fregiato di quelle doti , ma 
perchè noi ne fiamo privi . E’ quella una 
' paflione lodevole,' perchè coll* efempio degli 
altri ci sforziamo anche noi a far acquillo 
' di que’ pregi sì nobili . "1 -r; 

Si muove 1’ Emulazione col celebrar le glo- 
‘ riofe azioni degli Uomini grandi , e Col 
‘ proporre i premj , che fon dovuti ai vir- 
; tuofi . Cicerone nell’ Orazione prò Sextio 
muove i Giovarti Romani ad imitar la 
gloria de’ loro Antenati Vos ^fdalefcentès, 
qui nobtles ejlis ad majorum veftrorum imi- 

tationem excitabo Hate ejl una vìa! 

mi hi credite , & laudis , & digiiitatis , & 
honoris . . . . Hate imitamini per Deos im- 
mortale* , qui dignitatem , qui laudem , qui 
< gloriam quanti s . Hac ampia funt : hac di- 
vina , hrec immortalia : hac fama celebr/M- 
tur f monumenti s annalium mandantur , pò- 
fter itati propagantur. 1 ■ 

' ' ’ • ... . fC. . 

- • • • , * y 

D CAP. 


\ 


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Del Godimento , e del Rojfore . 

I. TL Godimento , o fia V Allegrezza fuol- 
I nafcerc dall’ idea del bene prefente . Si 
muove queft’ affetto con amplificar il be- 
ne, che. prefentemente fi gode -, dimpftran- 
do agli Uditori effer effi felici ed aventu- 
rofi , perchè; godono un bene vero ed one- 
fto , come fono le virtù, la pace, la tran- 
quillità, la grazia di Dio, e generalmen- 
te tutti i beni , che nel Mondo concorro- 
no a felicitar alcun Uomo. Si muove an- 
che queft’ affetto con efaggerar il male gra- 
ve % o qualche gran periglio , che fi è fu- 
peratb. Cicerone muove 1’ allegrezza nell 
Offtz. iw Pifonem , e nell’ E lord io della z. 

. in Catilim*-. r \ a ' r 

U. Il Roffore,®. fiala Vergogna fi definiice un 

dolor, che fi fonte per aver commeffi que* 
«ìali , che portan feco difonore , ed infa- 
mia. Si eccita queft’ affetto col rammenta- 
re agli Abitanti le lor vergognofe azioni, 
^pur quegli affronti , che con infamia, han 
. ricevuti dagli ditti . Ciclone muove no 
Romani il roffore nell Or-az. ifr in- Vt*\ 
dove racconta la viltà delle truppe di C. 
Verre , che furono disfatte da’ Corfali , ed 


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infegitìte fin dentro il porto di Siracufa : 
indi così efclama : 0 fpetiacufam miferum , 
atque acerbumì ludibrio effe Urbis gloriar n , 
populi Romaài nonrefi ! : 

Nelle Orazioni, che riguardano i coftumi può effer 
la mozione di quell affetto a fiat vantaggiofa 
agli Afcoltanti , fe lor fi dimoftri il gran di- 
fonore,a cui fi efpongoòo i viziofi , allorché 
agii altri fi manifeflano le lor cattive fichi» 

* fiale azioni . 

Generalmente per la mozione degli Affetti 
Cicerone dà quello avvertimento: che tutti 
i movimenti dell’ animo , che 1’ Oratore 
vuol eccitar negli Afcoltanti , prima in elfo 
lui fi veggano impreffi . Non mai certa- 
mente coloro, che afcoltano , fi moveran- 
. no a fdegno, a timore, a compalfione, fe 
prima 1’ Oratore coi fentimenti , colle pa- 
role , colla voce , e coll’ afpetto non dimO- 
ftrerà, che quegli affetti fianfi in eflb già 
eccitati . Quindi dicea Orazio nell’ arte 
poetica : . ; 

... Si vis me fiere , dolendum e/l 
Priraum ipfi tibi . 


i 


D 2 


I 


Dell’ 


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5 * 


Dell’ Invenzione' in particolare . 

C A P. I. . 

Del Genere dimojlrativo . 

... ;; 1 ...i. .. j ./, ; . . . 

S I rapportano al Genere dimoftrativo , co- 
me altrove abbiam detto , le Orazioni , 
che contengono o la lode , o il vitupero 
di alcuno . 

Primieramente fi poflon lodare Iddio , e gli 
Angioli . Gli argomenti per lodar Dio fi 
prendono dai Tuoi divini attributi . Gli An- 
gioli fi lodano dalle lor proprietà , e dagli 
uffizj , a cui da Dio fon deftinati . 
Secondariamente lodar fi poffono o le perfo- 
ne , o le cofe . 

I. Nella lode di qualche perfona 1’ Oratore 
dee diftinguere tre tempi : il tempo della 
nalcita , della vita , e della morte . 
x. Nel tempo della nafcita fi potran lodare 
tre cofe : la famiglia, la patria, e le pro- 
fezie , o i fegni , che forfè han predetta la 
nafcita di colui, che fi loda. 

Se la famiglia , e la patria fiano nobili ed 
illuftri , ? una , e f altra potranno breve- 
mente lodarli . Si è detto brevemente , per- 
chè il nafeere in una Città celebre , e da 
nobili Antenati, giufla T opinione de’Savj, 

• • - 0 nien- 


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* . 53 - 

o niente , o poco ridonda a gloria di un 
Uomo . A propofito dicea Seneca : Qui ge- 
nus laudai fuum , aliena laudat. Ed Ovidio 
nel lib. 13. delle Metamorf. 

Et genus , & proavos , & qua non feci- 
mus ipji ' ■ 

Vix ea noflra puto . 

Un certo Anacarfe della Scizia per difpre- 
gio fu chiamato barbaro da un Greco , a 
cui egli così rifpofe Mi hi quidem patria 

probro efl , tu vero patria. 

Che fe la famiglia, e la patria fiano ignobi- 
li e ofcure , fi dirà , che ciò ridonda a 
maggior gloria di colui , che lodali , il qua- 
le colle lue virtù è fiato il primo ad illu- 
ftrar la fua patria , e la fua famiglia . , 

a. Nel tempo della vita fi lodano in primo 
luogo le virtù morali , e tra quelle prin- 
cipalmente la Religione , e la pietà verfo 
Dio, verfo i Genitori , e verfo la patria: 
'' indi la clemenza , la beneficenza , la libera- 
lità , la moderatezza dell’ animo , la giu- 
• ftizia &c. 

In fecondo luogo fi lodano le virtù intellet- 
tuali , quali fono le fcienze , e le belle ar- 
. ti . Finalmente tutte le azioni illuftri ma- 
ravigliofe ed eroiche . 

Qui ci fi permetta avvertire i Sacri » Ora- 
tori , che lodando i Santiflimi Crifiiani 
Eroi del la noftra Religione, prender debbo- 

D 3 no 


I 


54 . . : 

no gli argomenti della lode dalle loro vir- 
'tU, non già dai miracoli. Baderà, che que- 
fti fian cennari ne’ Panegirici de’ Santi , i 
quali {blamente fi confiderano come mezzi, 
e d rum enti di quell’ opere portentofe , che 
oltrepaflano le forze della Natura , e che 
immediatamente a Dio fi debbon rifondere. 

Nel corpo fi lodano le naturali ederiori fat- 
- tezze , come la robudezza , la fanità &c. 
Se taluno abbia avute quede doti , fi dirà, 
che ne abbia fatto buon ufo, accoppiando- 
le colle virtù . 

Può anche taluno lodarfi dai beni di fortuna. 
Tali fono le ricchezze , e gli onori . Ri- 
guardo alle ricchezze potrà dirli , che fi Co- 
no acquidate con onede fatiche, ed impie- 

' gate in opere lodevoli di carità in fovve- 
nimento de’ poveri. 

Riguardo poi agli onori fi dirà , che quedi 
fi fono acquidati per merito . Sarà degno 
di maggior lode, chi abbia avuti gli ono- 
ri, « gli abbia per umiltà rirufati. 

3. Nel tempo della morte fi pollono confide- 
rar due cole, cioè il modo , e la cagion 
di morire . Il modo r fe taluno morendo 

- abbia dati legni di pietà, e di Religione, 
e fe abbia riguardato con intrepidezza il 
volto orribile della morte . La cagione , fo 
fiafi ridotto a morire per difender la Re- 

- ligione, o la patria. 

Se 


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J 


Se la morte di taluno abbia recato gran lut* 
to agli Uomini onefli , fe al Defunto fian- 
fi fatti pubblici onori , e fe fianlì eretti 
- monumenti al di lui nome , fon quelle cir- 
coftanze , che accrefceranno la gloria del 
’ foggetto , che vien lodato . Cicerone nell’ 
Ora^. prò lejr. man. lodando il gran Pom- 
peo ci ha lanciato pjefempio di un perfetto 
Panegirico . Dopo di quello abbiamo anche 
il gran Panegirico di Plinio ali’ Imperator 
Tra j ano . 

IL Oltre alle perfone , fi poflbno anche lodar 
le cole onelte , come fono le Virtù, le Scien- 
ze , e le Arti in allratto . Oltracciò polfo- 
no lodarli gli animali irragionevoli dalle 
lor proprietà , come i Cani , i Cavalli &c. 

. e le cofc eziandio inanimate, come le pro- 
vince , i regni , le Città Òcc, 

La lode delle Città fi prende dai lor fonda- 
tori , dall’ antichità , dai Cittadini , e dall*? 
lor gella , dall’ amenità del clima , dal fito, 
dalla fertilità delle campagne , dalle ric- 
chezze , dalle arti , dalla forma del gover- 
no , c dalle leggi , con cui vengono rego- 
late . Gio: della Cafa ha celebrate le glo- 
rie della Città , e Repubblica di Venezia 
in un pregiatiflimo Panegirico , a cui man- 
ca il compimento con grave danno dell’ 
Eloquenza . 

Nel vituperar le cofe , o le perfpne ci fervi- 
D 4 re- 


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5 * . 

“ remo degli argomenti contrarj a quelli, eher 

' fervono per lodare . Si leggano per efem- 
pio le Orazioni di Cicerone contro di M. 
‘Antonio, diC. Verre , di Pifone, di Ca- 
* tilina , e di Vatinio . , 

* ' ’ -•* ■ *. • 


■° c a p. • ir. 


Del Genere deliberativo . 


S Ono di quello genere le Orazioni , con cui 
o fi perfuade , o fi diffuade qualche cofa. 
Pervadendoli una cofa , dee dimoftrarfi effer 
•onefta , utile , neceflaria , polfibile, facile, 
-e gioconda. All’incontro dilTuadendofi , fi 
■' dimoftrerà efler la cofa difonefta , inutile , 
non neceflaria , impoflibile , difficile , e di- 
fpiacevole . » 

Dicefi one/lo quel che in fe fteflo è lodevole, 
e defiderabile: Tali fono le virtìi. Si dice 
■ utile quef che per comodo fi ricerca , o por- 
‘ ti con le decoro , come la gloria , 1’ ono- 
* re , la dignità , o pur non fia decorofo , 

* come le ricchezze , e la falute del corpo . 

1 Neceffaria fi chiama una colà , fenza di cui 
~ la falute , e ’1 decoro non può confervarlì. 
Si dice pojfibìle quel che può eflere, o può 
farfi: Facile quel che può farfi con picciol 
travaglio . Finalmente gioconda fi dice quel? 

.. la 


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la cofa , che porta con fe onefto piacere . 

Nelle Orazioni , che appartengono a quello 
genere , fi deve aver riguardo a chi ragio- 
na , alla cofa , di cui ragionafi , ed agli: 
Afcoltanti . 

Chi ragiona deve elfere Uomo onefto pru- 
dente ed affezionato agli Uditori , affin-' 
che fia creduto . . 

La cofa , di cui fi ragiona , come già ab- 
biam detto , deve elfere onefta , utile , ne- 

, ceffona , facile , e gioconda . 

Riguardo poi agli Afcoltanti fommamente im- 
porta il badare all’ indole , alla condizione, 
al felfo, all’età, ai collumi di coloro, che 
fi han da perfuadere . Ragionandofi in pre- 

- fenza de’ Prencipi , d’ Uomini nobili , o 
virtuofi , conviene , che lor fi ufi rifpetto, 
e che fi propongano ad elfi cofe onefte e. 
lodevoli . Siccome quelli con agevolezza fi 
fan perfuadere , cosi molto difficile riefce 

- il perfuader la plebe , che fuol chiamarfi 
una bcllia di molte telle . Suole il volpo 
ignorante amar 1’ utile, e ’I piacevole affai 
più, che il decorofo, e l’onefto. Ciò fapen-i 
dosi dal prudente Oratore procurerà , come 

-..fuol dirsi , di prender tutti coll’ efca pro- 
pria . 

Molto ancora gioverà a chi deve in pubblico^ 

, ragionare il conofcere i collumi, e l’incli- 

i fazioni di quel popolo ? a. cui s’ indrizza 

il 


s* 

il fuo ragionamento. A tal fine qui noi bre- 
vemente faremo il carattere di alcuni Po- 
poli Europei . 

Gl’ Italiani fono ingegnosi , di mente fubli- 
me , atti a governare , affabili , bellicosi , 
abiliffimi ad apprender 1’ arti , e le feien- 
ze , ma non molto amanti della fatica . 

I Francesi fono avvenenti, amici de’ foraflie- 
ri , fplendidi , applicati agli ftudj , « buoni 
foldati . 

I Popoli della Germania fon forti, coraggio- 
fi , fofferenti del travaglio , fedeli , e come 
dice Scaligero , veri amici , verique hojìes . 

Gli Spagnuoli fono collanti , favj , e tandi nel 
conxigliare : foffrono volentieri la fatica , e 
la difciplina : fono alteri , e non mai in- 
traprendono impiego , che fia vile . 

I Polacchi fono bellico!!, e feroci. 

Gl’ Inglefi fono uomini ferj , e buoni guer- 
rieri : lodevolmente fono applicati così al- 
la cultura dell’ ottime Arti , e delle Scien- 
ze , come alla navigazione , ed al com- 
merzio . 

I Mofcoviti fono afiuti , ardimentofi , e ben 
efercitati nella milizia . Chi brama faper i 
collutni delie altre nazioni legga il tratta- 
to de Icone animorum di Gio: Berclajo . 

Dovrà inoltre 1’ Oratore difeernere delle varie 
età degli uomini l’ indole , le propenfioni , 
e i coftumi . . Quelli al vivo fon deferitti 

da 


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. 59 

da Orazio nell’ art. poet. ne’ feguenti verfi, 
che da noi rozzamente li fon tradotti in 
tofcano .* 

Reddere qui vocts jam fcit puer , & pe- 
de (erto 

Signat humum , gejlit paribui colludere , 
& tram 

Colligit , & ponit temere , & mutatttr in 
bora! . 

Imberbi! Juvenis , tandem cujlode remoto , 

Gaudet Equis , Canibufque , & aprici gra- 
mine campi ; 

Cereus in vitium fletti , monitoribus afper, 

Utilium tardar provifor, prodigai aris , 

Sublimi! , cupidufqtte , & amata relinque - 
re pernix , 

ConverJÌ! Jludiis <etas , animufque virili! 

Quterit opes , & amicitias , inferii t bonari’. 

Commijjjfe cavet , qttod mo * mutare laboret. 

Multa fenem circumveniunt inconmoda , ve l 
quod , ... 

Quarti , & inventis mifer abjlinet , ac ti - 
met ufi 

Vel quod res omnet fimide , gelideque mi- 
nifirat : 

Dilatar ,fpe lottgus , inori y avi dufque futuri , 

Difficili! y querului , laudator tempori! atti 

Se p nero y cenfor } caftigatorque minorum . 
Il Fanciul, che già parla , e già ficure 
* L’orme imprime pel fwol. Ieri corre lieto 
. A icher- 


6o . 

A fcherzar co’ fuoi pari : Egli ben torto 
D’ ira fi accende , ed incollante ognora 
Torto fi placa, e’1 fuo furor depone. 
Colui , che appena nell’ età più verde 
Di lanugine bionda il volto ha fparfo. 

Se dal fuo Direttor lungi fi trova. 

Ne’ Cavalli , e ne’ Cani alto piacere 
Incontra , e allegro follazzarfi gode 
Dell^aprica Campagna infra l’ erbette. 

Ben prefto al vizio inclina , e de’ più faggi 
Con amara impazienza ode i configli . 
Tardo nel prevedere al fuo vantaggio, 
Prodigo del quattrin , fuperbo , altèro : 
Delle fue brame Egli ha diverfi oggetti. 
Ma di quel , che bramò, torto fi anno) a. 
L’ Uomo , che giunto è nell’ età virile , 
Cangia voglie , e penfieri , e con prudenza 
Cerca ricchezze , ed amicizie , e afpira 
Con mezzi onefti a degno fin d’ onore : 
Schiva il cammino , onde diffidi vede 
Ritrarre il piè fenza roflore . Al vecchio 
Stuolo di cure intorno erra , e fi aggira 
Egli fi affanna in acquiftar , ma poi 
Sparmia le fue doviziè , ed ufar teme 
Le cofe , di cui feo lunga ricerca : 
Timido fempre -, e con freddezza ei tratta 
Le fue faccende , e andar d’ oggi in domane 
Suole il ; mefehino , e molte cofe fpera , 
Ancorché fian dal fuo defio lontane 
Pigro , e bramofo d’ aver lunga vita , 

, : - . ' Afpro 


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6 1 

Afpro così , che mai non è contento ; - 
Ognor grida , e fi lagna , e al Ciel con lodi 
Ergendo il tempo antico , allorché egli era 
Fanciullo ancor , de’ Giovani riprende 
Rigorofo Cenfor 1’ opre , e i coftumi , 


CAP. 


n\> 


Del Genere giudiziale 


S iccome nel genere giudiziale 1’ Oratore o 
accufa , o difende , così la materia de’ 
Ragionamenti ,*• che fi fanno in giudizio fo- 
no le caufe , che dai Forenfi fi dicono ci- 
vili , o criminali . Primachè da noi fi efpon- 
gàno i luoghi particolari , onde rica vanii 
gli argomenti in quello genere di aringa- 
re , fa d’ uopo llabilir qual fia lo fiato del- 
la queftione, che cade in giudizio . 

Di tre fpezie diverfe può elfer lo fiato della 
queftione . 

I. Se trattafi d’ inveftigare fe da taluno fiali 
fatta qualche cofa , e. g . fe Clodio abbia 
tramate inftdie a Milone , dicefi fiato di 
Congettura . . . 

a. Se poi fi tratta di veder fe la cofa fia ta- 
le , qual appunto fi afferifce , e. g. fe C. Ce - 
fare fu Tiranno di Roma , fi dice fiato di 
Definizione . ... 

. 3- 


6i 

3 . Se finalmente trattali di ftabilire , fe una 
cofa fiali fatta rettamente , e con ragione, 
e. g. fe Milone ragionevolmente uccife Clodio y 
fi dice fiato di qualità . 

Nello fiato di Congettura , in cui devefi di- 
moftrare' fe da taluno fiafi fatta qualche co- 
fa , e. g. fe Tizio abbia commeflo un omi- 
cidio , gli argomenti fi ricavano dall’ indo- 
le , dal cofiume di Tizio, che reo fi fup- 
pone : dai mezzi , e dagli finimenti , di 
cui potea fervirfi : dalle circoftanze o ante- 
cedenti , come dalle inimicizie , che già 
avea colf uccifo , dalle minacce &c. o con- 

- feguenti , come dalle armi , e dalle fue ve- 
fti tinte di fangue , dalla fua pallidezza, e 
timore , dalla fua fuga Scc. < Gioverà an- 
cora il ricercare fe la morte di quell’ Uo- 
mo potea giovare al fuppofto ucciforc , fe- 

■ condo 1* antica regola del Giureconfulto 
Caflio : Cui botto . > 

Nello fiat» di Definizione è d’ uopo conofcer 
bene la natura , e le proprietà delle cofe , 

: per ben faperle definire . E. g. fr dubita fc 

- C. Cefare debba chiamacfi Tirano© , o Re 

: j legittimo di Roma : è necefiàrio aver pron- 
te le definizioni del Re , e del Tiranno , 
per quindi dedurne qual delle due conven- 

- gaia C. Celane , e cosi determinare fe con 
: ragione a. lui competa il titolo di Tiran- 
no , o di Re. 

Nel- 


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6 3 

Nello flato di qualità , in cui ricercali fe una 
cofa fiafi fatta regionevol mente , e con giu- 
fliria , egli è d’ uopo , che fi abbia una 
piena notizia del dritto naturale , e delle 
leggi divine , ed umane , fiano quelle o 
leggi univerfali delle Genti , o fian civili, 
cioè particolari di qualche popolo . Con 
quella faenza legale farà facile flabilirfi fe 
un fatto fia lecito e ragionevole , o ille- 
cito ed ingiufto , - , 


Deh’ Arte Rettorica. 

L I B. II. 

. r .. /» -4» 

Della Difpofizjcttc . 

L A Difpofizione , come da Tullio fi defi- 
nite , è un ordinato diftribuimento del- 
le cofe già ritrovate dall’Oratore per otte- 
ner il fuo fine . Egli è quella una parte im- 
portantiffima , e neceifaria a perfuadere. Im- 
perocché ficcome non bafta a riportar vit- 
toria del nemico che un efperto Capitano 
abbia foidati forti e generali , ma inoltre 
richiede^ , che quelli fiano in battaglia ben 
ordinati e difpofti , così l’ Oratore non mai 
trionferà su gli animi degli Uditori 1 fe non 
fappia ben difporre , ed ordinare Je pruove, 


*4 . , 

f le ragioni , e generalmente tutte le parti 
del fuo Ragionamento. 

Tutta T Orazione può ordinatamente diftribuir- 
fi in quattro parti , le quali fono : Efordio, 
Narrazione , Confermazione , e Perorazio- 
ne . ’ * * 

La Narrazione ha luogo foltanto nelle Caufe 
giudiziali , in cui dopo l’ Efordio fi efpone 
il fatto , che cade in giudizio . Nell’ altre 
Orazioni del genere deliberativo , e dimo- 
flrativo folo accidentalmente a me fembra 
poter quella aver luogo : e piuttofto di- 
greflione , che narrazione chiamar fi do- 
vrebbe , come quella , che ferve non già ad 
efporre il fatto , ma a dilucidar meglio la 
materia , che trattafi . 

Vogliono alcuni, che la Propofizione, e la Con- 
futazione fi debbano anche annoverar fra le 
parti dell’ Orazione . Ma eflì non riflettono, 
che la Propofizione fi contiene nell’ Efordio, • 
e la Confutazione ( che non fuol cadere in 
' tutte le Orazioni ) alla Confermazione rap- 
' portafi . Quindi conchiudiamo , che nel ge- 
■ nere giudiziale le parti dell’Orazione lbn 

* quattro ; cioè l’ Efordio , la Narrazione , la 
Confermazione , e la Perorazione : Nel ge- 
nere Dimoftrativo , e Deliberativo non lò- 
no più che tre : l’ Efordio, la'Conferma- 

* zione , t la Perorazione. 

vi ‘ C A- 


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Dell ’ Efordio . 


L * Efordio , o fia il Proemio , fi definifce da 
Cicerone : pars Orati onis auditorum ani- 
mos idonee comparans ad reliquam diftionem, 
cioè una parte dell’ Orazione , che acconcia- 
mente difpone gli animi degli Afcoltanti ad 
intender bene quel che dir fi deve in tut- 
to il corfo dell’Orazione. 

Può effer l’ Efordio di due forte : dicefi uno 
Efordio giufto e legittimo : l’altro dai la- 
tini vien detto Exordium abruptum , o pu- 
re ex abrupto . Il primo è quello , che vien 
formato giufta le leggi dell’Arte : il fecon- 
do , che impropriamente dicefi Efordio r fi 
fa quando 1’ Oratore quafi rapito fuor di se 
da qualche veemente affetto , fenza difpor- 
re gli animi degli Uditori , a ragionare in- 
comincia . Tal fu 1’ Efordio della prima 
Orazione di Tullio contro di Catilina : 
Quoufque tandem abutere , Catilina , patien- 
tia nojlra ? &c. 

Quattro fono le doti principali dell’ Efordio 
vero e legittimo : la proprietà , l’accura- 
tezza , la modeftia , e la brevità . 

1. L’ Efordio deve effer proprio, cioè adatta- 
to alla materia , che trattafi . Sarà viziofc, 

E fe 


66 

fe fia comune , e ad altre caufe poTTa adat- 
tarli . 

Z. Deve elfere accurato , cioè formato con 
fomma accuratezza , e diligenza . L’ Efor- 
dio è il capo dell’ Orazione r se non farà 
perfetto , gli Afcoltanti annojati dalle prime 
cofe , che odono , tutto il retto udiranno con 

, tedio . 

3 . Deve efler modello, cioè dee l’Oratore fui 
principio del ragionare far comparire in se 
ftelTo una certa modeftia, e verecondia così 
nei volto , come nel getto , e nelle parole; 
il che giova a conciliarli la benevolenza 
degli Uditori. 

4. Deve elfer breve, anzi che lungo : in ma- 
niera però , che 1’ Elordio effendo il capo 
fia proporzionato a tutto il corpo dell’Ora- 
zione . 


CAP. II. 


De varj fonti , onde Jì pub pruder 
l'Efardio. 


E Ssendo molti e varj que’ luoghi , onde 
f Oratore può premiere il principio del 
luo difcorfo , noi qui cenneremo i fonti 
principali , da cui per lo più 1’ Efordio 
può ricavare. 

I. Pri- 


/ 


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i. Primieramente fi può prender l’Efordio dal- 
le circoftanze del luogo, del tempo, e del- 
la perfona ✓ Il gran Maeftro dell’ Eloquen- 
‘ za quafi Tempre da quello luogo incomincia- 
va a ragionare , ficcome olfervar fi può quafi 
in tutte le fue Orazioni. 

Che fe nell’ Efordio oltre alle circoftanze, che 
fono proprie della materia , che trattali , fi, 
vanno ancora fpargendo alcuni Temi di quel- 
le ragioni , in cui fpecialmente la caula fi 
appoggia , un tal Elòrdio dai Rettorici fi 
dice ricavato ab intimis confa: vifceribus . 
z. L’ Efordio fi può prendere da qualche detto 
fentenziofo , o da qualche efempio il’uftre, 
che leggefi nella Storia sacra, o profana . Così 
incominciò C. Cefare prelfo di Salluftio in 
difefa di Catilina : Omnes bcmines , qui de 
rebus dubiis confultant , ab odio , amentia , 
ira , atque mifericordia vacuos effe decet . Co- 
sì anche oggidì gli Oratori l'acri fogliono 
incominciare da qualche fentimento , o da 
qualche efempio prefo dalla Sacra Scrittura . 
3. Si può prender l’Efordio da qualche nobi- 
le queftione . Cicerone così principiò il fuo 
libro de inventione Rhet. S<epe , & multum 
hoc mecum cogitavi boriine , an mali plus at- 
tui eri t homiuibus , & Civitatibus copia di- 
cendi , ac fummum Eloquenza Jludium y &c. 
Da quello luogo il poeta Claudiano cominciò 
il fuo poema contro a Rufino: 

E l S<e- 



ÓS 

S<epe mihi dubiam traxit fententia mentem , 
Curarent fuperi Terras, an nullus inejjet 
ReBor , & Incerto flucrent mortalia cafu . 
lAbftulit bunc nobis Rufini paena tumultum y 
lAbfolvttque Deos .J am non ad culmina rerum 
Injujlos crevijfe queror : tolluntur in altum , 
Ut lapfu graviore ruant . 

4. Può farli T Efordio colla figura fofpensio- 
ne , cioè col tener fofpefi per qualche tem- 
po gli Afcoltanti , e col non farfi fubito ad 
elfi intendere qual fia la materia , che dall’ 
Oratore fi abbia a trattare. Tale è l’ Efor- 
dio della prima Orazione di Cicerone con- 
tro di C. Verre. 

5. Si può prender 1 ’ Efordio dalla propofizio- 
ne contraria a quella, che fi vuol dimoftra- 
re . Quell’ Efordio , che richiede arte, ed in- 
dullria, fuol elTer bellilfimo, allorché l’Ora- 
tore aftuto e giudiziofo fui principio rap- 
porta quelle cofe , che fono oppolle alla fua 
Caufa, e poi col mutar fentimento a poco 
a poco procura di trarre gli Afcoltanti nel- 
la verità della cofa , che ad elfi vuol per- 
fuadere . 

Alelfandro il Grande preflo di Q. Curzio vo- 
lendo efortar i fuoi Soldati a continuar la 
guerra nell’ Indie , nell’ Efordio del fuo di- 
Icorfo fa moftra di approvar il defiderio, 
eh’ elfi aveano di ritornar alla Patria : Ecco 
le fue parole : Magnìtudinem rerum , qv.as 


; 


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6 9 

geffi/lis , Mllites , intuenttbus vobis , minime 
mirum ejl & defiderium quietis , & J atleta - 
tem glori* occurrere ; Ma poi con diverfc ra- 
gioni a poco a poco gli perfuadc a prol'e- 
guir le conquide in que’paefi ricchiffimi. 


CAP. III. 

Dell' Ufficio dell ' ' Efordio . 

N EH’ Efordio dee 1’ Oratore conciliarfi la 
benevolenza , e l’ attenzione degli Afcol- 
tanti , ed oltracciò dee far la propofizione, 
a cui rapportali tutto ciò, che vuol dimo- 
ftrare . 

I. Per conciliarfi la benevolenza , 1’ Oratore 
dovrà parlar con modedia della fua perfo- 
na , e con molta dima degli Afcoltanti . 
Gioverà anche il dire , che la fua Caufa ri- 
guarda il di loro bene, e vantaggio. 

2. Per conciliarfi 1’ attenzione dovrà promet- 
tere , che nel fuo ragionamento tratterà di 
cote grandi , maravigliofe , gioconde , ed 
utili agli Uditori , purché realmente fian 
tali , perchè altamente fi dirà di lui quel 
che Orazio dicea d’ un certo antico Scrit- 
tore : 

Quid dignum tanto feret bicpromlffor hiatu ? 
Parturient montes , nafcetur ridicuhis mur . 

E 3 Dell’ 


7 ° 

Dell’ attenzione alle volte foglion pregarli gli 
Afcoltanti nel fine dell’ Efordio . Così Ci- 
cerone 'nell’ Orazione prò Se*. Rofcio: Qua- 
propter vos oro , atque obfccro , Judices , at- 
tente , bonaque cura venia verba mea audia- 
tis . 

In quelle Caufe , in cui l’ Oratore non dubi- 

' ta della benevolenza , e dell’ attenzione di 
chi l’ afcolta , il conciliarli l’ una , e 1 altra 
non farà neceffario. 

3. Nel far la propofizione dee badar l’ Orato- 
re , che quella fia femplice , ed una , cioè 
che contenga un fol fentimento : in oltre che 
fia fatta con chiarezza , e facilmente s 1 in- / 
tenda . 

Alle volte affinchè la propofizione fi renda più 
chiara , fi fuole dividere in due , o tre par- 
ti , che volgarmente fi dicono punti . Così 
Cicerone nella Filip. 7. Cur pacem nolo ? 
Qiiia turpis ejl , quia periculofa , quia ejje 
non potejl . 


CAP. IV. 

Della Narrazione . 

L A Narrazione può efiere o Storica, o Poe- 
tica, o pure Oratoria . Lo Storico efpo- 
ne il fatto così come è avvenuto , e non 

de- 




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7 » 

j deve punto dipartirli dal vero , Il Poeta 

. efpone un fatto o tutto da lui finto , o in 

parte vero , in parte favolofo . Finalmente 
1 ’ Oratore efpone il fatto , che cade in giu- 
. dizio . 

Qualunque Narrazione deve effer chiara , pro- 
babile , breve , e piacevole . 
i Sarà chiara , fe farà ben ordinata , e fe fi fa- 

i rà con parole proprie , nè fia interrotta da 

lunghe digrelfioni . 

Sarà probabile , cioè facilmente farà creduta , 

> fe colui , che narra , farà Uomo degno di 

. fede , e fe fi racconti il fatto colle lue cir- 

coftanze fenza ornamenti affettati , ma fem- 
plicemente ficcome è avvenuto. 

, Sarà breve , fe non avrà principio da circo- 
ftanze affai lontane , e come fuol dirli ab 
odo : e fe nel fatto fi tralafcino quegli ag- ' 
giunti , che non fono a propofito . Chi rac- 
conta però dee badare , che la foverchia bre- 
vità non offenda la chiarezza , e che con 
Orazio non abbia a dire : 

. . . . Brevit effe labaro , 

Obfcurus fio. 

Sarà finalmente piacevole la Narrazione , fe 
in effa il parlare farà acconcio ed ornato , 
e fe fi farà ufo di quelle figure , che fono 
piU proprie al racconto de’ fatti . Tali fo- 
no la fofpenfione , la reticenza , e l’ ipoti- 
pofi , di cui parleremo nel 3. lib. 

E 4 Nel- 


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7 1 

Nelle Caufe giudiziali dopo l’Efordio dovrà 
feguir la Narrazione , purché prima non fi 
abbia a rifpondere ai pregiudizj , ficcome in 
difefa di Milone già fece il gran Tullio . 
In quella Orazione abbiamo l’ elempio di 
una perfettiffima Narrazione Oratoria . 

Della Confermazione. 

L A Confermazione è quella parte dell’ Ora- 
zione , in cui non folo fi portano gli ar- 
gomenti per dimoftrar vera la noftra propo- 
lìzione , ma anche fi confutano le ragioni , 
che fon contrarie alla noftra Caufa. 

Si fa la Confermazione cogli argomenti , c 
coll’ argomentazione . Degli argomenti cosi 
intrinfici , come rimoti già abbiam tratta- 
to nel primo libro. 

L’ argomentazione differifce dall’ argomento , 
come la cofa dal modo . Imperocché l’ ar- 
gomento è la materia fteffa dell’ argomenta- 
zione , l’ argomentazione è la maniera , con 
cui l’argomento fi tratta. . .. 

Le fpezie dell’ argomentazione fono fette : Sil- 
logismo , Entimema, Induzione, Efempio, 
Dilemma, Sorite, ed Epicherema . 




CAP. 


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I 


73 


CAP. I. 

Del Sillogifmo. 

I L Sìllogìfmo , che dicefi anche Ratiocina- 
tio , preffo* i Filofofì cofta di tre propofi- 
zioni , di cui la prima dicefi maggiore , la 
feconda minore , la terza conchittflone , o con - 
feguenga . E.g. 

Omne bonum efl amandum .* 

Virtus efl bona • 

Ergo Virtus efl amanda. 

Preffo gli Oratori il Sillogifmo può collare di 
cinque parti , di cui la prima dicefi propo- 
fizione maggiore , la feconda prova della 
maggiore , la terza propofizione minore , la 
quarta prova della minore , e la quinta 
conchiufio ne . 

Nelle Scuole de’ Rettorici si fatto Sillogifmo 
fi dice Oratio quinquepartita , e la propofi- 
zione minore fi dice anche s/f[ fumtio. 

Se nel Sillogifmo la propofizione maggiore, o 
la minore fia così chiara , ed evidente , che 
non abbia bifogno di prova , quella fi può 
tralafciare. •- 

Qui vogliam foggiugnere l’ efempio di un Sil- 
logifmo Oratorio , in cui fi vuol dimo- 
- ftrare , che Cicerone fu un perfettilfimo 
Oratore . 

• Da 


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Da un Filofofo un tal Sillogifmo così breve- 
mente farebbe propofto : Il le ejl perfettivi, 
mut Orator , qui de omnibus rebus diferte , 
& copiofe difputare poteft: fed Cicero de omni- 
bus eloquenter difputavit ; ergo fuit perfe- 
ttijjimus Orator . 

Da un Oratore però quello medefimo Sillogismo 
farebbe trattato nella maniera feguente: 

Proporzione maggiore.' 

N Eminem profetto ignorare arbitrar Virum 
illum , qui eloquenter de qualibet re difpu- 
tare poffit , verum ,, perfettumque Oratorem 
effe exifiimandum . 

Prova della maggiore . 

Is entra mihi eloquens , difertufque yidetur , 
qui de omnibus rebus , qua in difceptatio- 
nem veniant , prò rei cujufque natura , pof- 
fit copiofe , ornateque dicere : qui rerum o- 
mnium , de quibus dici potefi , fcientiam com- 
plettatur : qui demum ad hanc ipfam ernnt- 
genam fcientiam ornatwn etiatn elegantiffima 
erationis adjiciat . Qua omnia ita in Orato- 
rem corweniunt , ut fi quid horum in eo for- 
taffe defideretur, perfettus ì confummatufque nul- 
lo modo poffit baberi. ✓ Pro» 


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75 


Proporzione minore . 

Quod cum ita fit , quis unquam po/l homines 
natos inventus ejl , qui uno Tullio excepto 
univer/am hanc rerum omnium feientiam com- 
plexus , dulci quodam facundite flamine y ac 
fumma dicendi vi , copiaque quibusvis de re- 
bus mirifice di/putaritl 

Prova della minore. 

Unus ille litteris omnibus imbutus vere , perfe- 
cieque Eloquenti e difficillimum iter confe- 
cit . Quid enim in hac f acuì tate difficilius , 
quam hominum mentes in quameumque par • 
tem , prout Oratori libet , impellere ? Cicero 
impellit : Jlb ira ad lenitatem , ab odio ad 
bettevolenti am revocare? Cicero revocate Ju- 
ra Civium moderari ? Populo leges prò uni- 
verse Reipublica falute , ac dignitate con/li - 
tuere ? Omnes ingenuas artes , queeque ad vi- 
tam human am vel tuendam , vel ornandam 
pertinent , oratione illujlrare ? Cicero modera- 
tur , conflituit , illu/lrat . J am vero ampli/, 
flmorum hominum res geftas , qua veteri coti- 
tinentur memoria , Tullius nitide , ornate - 
que commemorat . Bhyflca,, Morali a , Civu 

Ha, 


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Ita , omnia demum tum bumana , tum etiam- 
divina [eletta verborum copia , & Orationis 
venujlate perfequitur . Dono quodam Provi - 
dentile genitus vifus ejl , in quo fuas omni- 
no vires Eloquentia experiretur. Par imperio 
Romano ingenium , os magnum , fapiens , bea- 
tum , ac nettare diffiuens , quo profetto ni - 
hil potefl effe facundius . Tot effulget virtù - 
tibus , quot funt genera dicendi : quot ejus 
fententiie , tot ornamenta , quot verba , tot 
fiores . In ejus Orationibus omnes Rbetorum 
colore*, omnes elegantiarum delicite, omnes in- 
geniorum dote s mira quadam varietate luxu - 
riant . 


Conchiufione . 

« 

O fummum , perfettumqde Eloquentia fpecimen ! 
O maximum Oratorem omnium , qui funt , 
fuerunt , eruntque facile eloquenti jfmum ! 


CAP. IL 

Dell' Entimema . 

L * Entimema è una fpecie di argomentazio- 
ne , che corta di due parti , di cui la 
prima vien detta dai Logici Antecedente , 

la 


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77 

la feconda Confeguente . Dicefi anche Sillo- 
gifmo imperfetto , perchè manca in eflò o 
la maggiore , o la minore . E. g. 

Orane Corpus efl grave • 

Ergo jfer ejl gravi s . 

Qui manca la minore. 
t/ler ejl Corpus ; 

Ergo ejl gravis . 

Qui manca la maggiore. 

Prpndefi anche l’Entimema per una maniera 
di argomentare , in cui dai fegni vuol di- 
moftrarfi qualche cofa . E. g. Cajo afcolta 
con tedio il Maeftro , che infegna • dunque 
non ha volontà di fapere. 


CAP. III. 

Dell' Induzione , e dell' Efempio. 

S I fa l’ Induzione , allorché da molte cofè 
particolari numerate infieme qualche cofa 
per fomiglianza fi conchiude. E. g. fi vuol 
provare , che niun Principe può tollerare, 
che un altro gli fia compagno nel Trono, 
con quella induzione potrà ciò dimoftrarfi: 
Romolo J offrir non poti , che Remo fuo Fra - 
fello feco regnaf/e y nè Cefare potè foffrir Pom- 
peo nell' Impero , nè Jtugujlo /offrì M. Anto- 
nio • adunque ninno può tollerare , che al- 


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7 * 

tri gli fia compagno nel Trono. 

L* Induzione filofofica differifce alquanto da 
quella , come nella Logica s’ infegna . 

Se in quella fpecie di argomentare 1’ efempio 
farà uno , fi dirà induzione imperfetta , o 
femplicemente efempio . Così Cicerone coll* 
«fempio di M. Orazio , il quale perchè fi 
credea, che con ragione avea uccifa la fua 
forelja, dal popolo fu alfoluto , dimollrò , 
che anche Milone non dovea foggiacere ad 
alcuna pena , perchè fupponeafi , che ragio- 
nevolmente avea tolta a Clodio la vita. 


CAP. IV. 

'Del Dilemma . 

I L Dilemma è un argomentazione , che co- 
lla di due propofizioni contrarie , tra le 
quali non effendo alcun mezzo , a cui l’Av- 
verfario polla fuggire , per neceflità fi ri- 
trova nelle anguftie di elfer convinto o dall’ 
una , o dall’ altra . Così Cicerone in Pifo- 
nem .* Vel triumpbi , vel prada cupiditas te 
ad provinciam petendam rapiebat : JNon trium- 
pbi , ut tute profitetis ; ergo pneda . 

Uno Schiavo baftonato dal fuo Padrone , a lui 
così dicea : Io o fon buono , o fon cattivo.’ 
- Se fon buono , perche mi bafloni ? Se fon 

cat. 




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cattivo , perché mi tieni in cafa tua ? 

II Dilemma difficilmente fi può fciogliere. In 
due maniere fcioglier fi potrebbe .* o col 
rivolgerlo contro dell’ Avverlario , da cui 
fi è propofto , o col ritrovar qualche mez- 
zo tra le due propofizioni contrarie , 

Un’Infermo diceva.* Io con quejlo morbo o mor- 
rò , o fuperandolo rimarrò in vita : Se ho 
da morire , i medicamenti fono inutili .* Se 
rimarrò in vita , fono fuperjlui . Ma rivol- 
to quello dilemma contro di lui , fu fciol- 
to così : Nel dubbio fe hai da morire è pru- 
denza far ufo de ’ medicamenti / dunque non 
fono inutili : Se hai da foprawtvere , i me- 
dicamenti con più faciltà ti faran fuperar 
quejlo morbo ; dunque non fono fuperjlui . 

Allo Schiavo ballonato così fu rifpollo dal Pa- 
drone : Io non intendo baflonarti , perchè fei 
tu buono ; ma ti gajligo , affinchè da catti- 
vo , qual fei , buono diventi . Così ritrova- 
to un mezzo tra 1’ efler buono , e 1* effer 
cattivo , rellò fciolto il Dilemma . 


CAP. V. 

Del Sorite , e dell ’ Epicherema . 

I L Sorite , che vien detto da Cicerone Syl* 
logifmus acervalis , è un’ argomentazione 

in 


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8o 

in cui fi unifcono infieme molte propofizio- 
ni difpofte in modo , che il predicato del- 
la propofizione antecedente fia foggetto di 
quella, che fegue, fino a tanto che il (oggetto 

* della prima fi accoppi col predicato dell’ 
ultima . 

Serva d’ efempio il feguente Sorite , in cui 
dimoftrafi , che il Sole è neceffario alla ve- 
getazione delle piante: >Alla vegetazione del- 
le piante è nece faria la pioggia : per la 
pioggia fon neceffarie le nubi ; per le nubi 
i vapori : per follevar i vapori è neceffario 
il Sole ; dunque il Sole è neceffario per la 
vegetazione delle piante . 

jj Epicherema è un fillogifmo accorciato, che 
fi efprime con una fola propofizione , nel- 
la quale però fi contiene un perfetto Sillo- 
gifmo . E. g. "Perché mai non deve V Uomo 
feguir la virtù , che lo rende felice ? In que- 
lla fola propofizione il feguente sillogifmo 
fi racchiude : V Uomo dee feguir tutto cib y 
che lo rende beato : ma la virtù beato lo 
fende ; dunque /’ Uomo dee fegtiirla , 

.7 .i r > 



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Si 


CAP. VI. 

Della Confutatone . 

L A Confutazione è quella parte dell’ Ora- 
zione , in cui fi fciolgono , e fi confu- 
tano le ragioni contrarie .alla noftra caui’a . 
In tre maniere fi può rifpondere alle obbie- 
zioni dell’ Avverfario . 

1 . Col negare affolutamente la cofa , che a noi 
•* fi oppone , di inoltrando efler quella incre- 
dibile ripugnante falla ed affurda . 
Cicerone nell' Orazione prò Dejotaro cosi con- 
futa il delitto oppofto a quello Re, il qua- 
le fra 1’ altre cole fu accufato, che ubbria- 
co erafi meifo a faltar in prefenza de’ fuoi 
convitati pel gran piacere di aver faputo , 
che C. Celare era aflèdiato in un Coltello. 
Non è credibile , egli dice , che un Re 
vecchio prudente ferio e moderato in tali 
debolezze trafportar fi facelfe. 
a. Si fa la confutazione con ammettere il 
fatto a noi oppofto , e col dimoftrare non 
effer contrario alla ragione , alle leggi , ed 
all’ oneftà . Cicerone medefimo concede , e 
confefta , che Milone uccife Clodio ; ma 
lo feufa col dimoftrare , che giallamente 
1’ uccife . 

T 3* Al- 


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Si 

3 . Alle volte effendo 1’ oppofizione cosi de- 
bole , che o niente , o poco può nuocere 
alla noftra caufa , quali da noi difpregian- 
dofi ad efla non • fi rifponde , o pur fi mette 
in dcrifo 1’ Oppositore . Tullio in difefa di 
Murena in tal maniera confutò le colpe op- 
pofte al fuo Clientolo dagli accufatori Ca- 
tone , e Sulpi^io , che feguivano la fetta 
degli Stoici . . 


CAP. VII. 

1 

Della "Perorazione . 

L A Perorazione , o fia l’ Epilogo , è 1’ ul- 
tima parte dell’ Orazione , in cui l’Ora- 
tore con maggior veemenza procura per- 
fuader agli Alcoltanti la verità della fua 
propofizione . 

In quella parte due cofe far fi debbono dall’ 
Oratore : 

I. Deve egli ripetere in compendio , e quafi 
efporre ad un folo afpetto tutto ciò , che 
alla lunga ha dimollrato in tutta l’Orazio- 
ne , affinchè le prove , e gli argomenti 
reftino più impreffi negli animi degli Udi- 
tori . 

2 . Deve muover gli affetti , i quali fpecial? 
mente nella perorazione aver debbono la 

lor 


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8q 

lor fede . Qui con ifpecialitk dee I’ Orata- 
re aprir tutti i fonti dell’ Eloquenza , e 
per mezzo dell’ amplificazione , e colla mo- 
zion degli affetti ular deve tutta 1’ arte 
e l’ indultria , per accender gli animi degli 
Afcoltanti , e quafi forzargli a pervaderli. 

Sono varj gli affetti , che nella Perorazione 
muover fi poffono fecondo i varj generi 
dell’ Orazioni . Nel genere dimoftrativo , 
allorché fi loda, fi muovono gli affetti dell’ 
amore , e dell’ emulazione : allorché fi vi- 
tupcra 1’ odio , lo sdegno , e 1’ indignazio- 
p ne . Nel genere deliberativo fi muove la 
fperanza , 1' ardimento, e’1 timore. Final- 
mente nel genere giudiziale pofTono con- 
correre tutti gli affetti . 

In quella parte l'pecialmente fi vide rifplen- 
dcre 1’ incomparabile Eloquenza del gran 
Tullio . Si o Iter vi la perorazione da lui fat- 
ta nella difefa di Milone , che ha princi- 
pio dalle parole : Sei finis fit , ncque enim 
prce lacrimi s jam loqui poffum Ò“c. , nella 
quale con artifizio così mirabile egli muo- 
ve f affetto della mifericordia , che le fue 
elpreffioni anche da noi legger non fi pof- 
fono fenza un’ interna commozione. 


f .2 Dell’ 


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Dell’ Arte Rettorica 


L I B. II L 

« 

) 

Dell' Elocuzione . 

Q Uelta parte della Rettorica fi definifce : 
la maniera di adattar parole fcelte , e 
nobili fentimenti a tutto ciò , che nell* 
Orazione fi efprime . Ciò far fi deve colle 
figure , col periodo , e collo Itile , poiché 
quelli fono i tre mezzi , onde 1’ Oratore 
ornatamente ragionando può recar diletto 
agU Afcol tanti . In quello libro adunque 
delle figure , del periodo , e dello Itile dob- 
biam trattare • e ciò facendo procureremo 
di ufar fempre quella chiarezza , e brevità, 
che abbiamo ufata finora . 


Delle Figure . 

L A figura è un certo ornamento dell’Ora- 
zione , o fia una maniera di ragionare 
piu nobile , che differifcc dal difcorfo fa- 
migliare e comune . Con !altro termine 
dicefi fchema , che prelfo i Greci lignifica 
habitus , perchè la figura è come un abito, 
e un fregio dell’ Orazione . 

So» 


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... . «5 

Sono le figure di due fpezie : Altre fervono 
• a fregiar i fenti menti , o fiano i concetti 
della mente : altre ad Ornar le fcmplici pa- 
role . Dell’ une , e dell’ altre ne’ feguenti 
Capitoli noi ragioneremo . 


CAP. I. 

Delle Figure de ’ pentimenti . 

L E Figure , che fpecialmente poffon fervi- 
re adornar i fentimenti dell’animo, fo- 
no quindici : 1* Efclamazione , la Dubit'azio- 
r ne la Preghiera , 1’ Interrogazione , la 
' Preterizione , la Reticenza , 1’ Epifonema , / 

- T Apoftrofe , 1’ Ipotipofi , la Profopopeja , 

• 4 !’ Etopeja , 1’ Antitcfi , la Sofpenfione , la 
Comunicazione , e la Correzione . 

I. L’ Efclamazione è un alzamento, e sforzo 
• della voce , con cui fi efprime la grandez- 
• za di una cofa , e qualche veemente affet- 
to dell’ animo . Così Cicerone in Catil. O 
'tempora , o mores ! Senatus hac intelligit , 

Confai videt ! hic tamen vivit ! / 

Quefta figura ufar fi deve dopoché fi è dimo- 
ftrata , o narrata una cofa grande , e ma- 
ravigliofa , poiché 1 * efclamazione nelle co- 
te picciole e minute riefce fredda e pue- 
* • rile . 

F 3 a. La 


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Só . 

a. La figura dubitazione fi fa quando 1* Ora- 
tore dubita , e per qualche tempo fta fo- 
fpefo non fapendo quel che abbia a dire , 
o a fare . Eccone un efempio in Cicerone 
prò Rofc. xA'mer. Quid primum querar * aut 
unde potijfimum exordiar Judices ? aut quod y 
aut a quibus auxilium petam ? Deorumne 
immortai ium , Populine Romani , tejlramne y 
qui fummam potejlatem babetis , hoc tempo- 
re fìdem implorem ? 

3 . La preghiera fi fuol fare per quelle perfo- 
ne , o per quelle cofe , che piU care rie- 

. fcono a colui , a cui la preghiera s’ indriz- 
za Così Cicerone a C. Cefare nell’ Oraz. 
prò De/ot. Per dexteram te ijlam oro , quam 
Regi Dejotaro hofpes hofpiti porrexijli : ijlam 
inquam dexteram non tam in belli s , & in prie- 
liis , quam in promijjis , & jìde firmiorem . 

4. L’ Interrogazione non è figura , allorché 
s’ interroga per faper una cofa , che non 
fi fa : ma far fi dee per aggiugnere mag- 
gior foiza al difcorfo , Se Cicerone aveffe 
detto a Catilina: Patent .tua confili a , con - 
juratio tua omnium confcientia conjìrifìa te - 
nctur , quid egeris nemo ignorai , al certo il 
fuo parlare non avrebbe avuta tanta forza, 
quanta n’ ebbe col dire : Patere tua conftlia 
non fentis ? ConJìriBam jam borum omnium 
cflnfcientia generi conjurationem tuam non vi- 
de* ? quid egeris , ubi fueris , quos convoca - 

• ris 


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8 ; 

ru quei» noftrum ignorare arbitrarli ? 

Che fe all’ interrogazione iì foggiugne la ri- 
fpofta , quella dai latini fi dice fubjeclio . 
Cic. prò Icg. man. Quid tam novum , quarti 
i/fdolefcentulum privatum exercitum difficili 
Reipubliece tempore confìcere ? confecit : buie 
praeffe ? prajuit : Rem optime duciti fuoge- 
rere ? geffit . 

5. La Preterizione fi fa quando 1 ’ Oratore fin- 
ge o di non volere , o di non faper dire 
una cofa , ma nel tempo fteflò la dice . 
Così Cicerone nell’ Orazione medefima lo- 
dando G. Pompeo : Non fum pradicaturus, 
Quirites , quantas ille res domi , mìliti a: que, 
terra, mari que , quantaque felicitate ge [ferite 
ut ejus femper voluntatibus non modo Cives 
affenfcrint , focii òbtemperarint , hofles obe- 
dierint , fed etiam venti , tempejlatefque ob - 
fecundarint . 

6 . La Reticenza fi 'fa quando taluno ragio- 
nando interrompe il fuo difeorfo , e lafcia 
di dir qualche cofa , che può intenderfi da- 
gli Uditori . Virg. nel lib. 1. dell’ Eneide 
introduce a parlar Nettuno Dio del Mare 
ai Venti , che fenza il fuo permeilo avea- 
no rifvegliata nell’ onde una fiera tempefta: 

Jam Caelum , Terramque meo fine numine , 
Venti , 

Mifcere , & tantas audetis tollere moles } 
Qua Ego . . . Sed motos prerfiat componete 
fluttui . F 4 Qui 


88 

Qui Nettuno interrompendo il fuo parlare ta- 
ce il gaftigo , che vuol dare ai Venti , 
perchè ora affai più gli cale il mettere in 
calma il Mar tempeftofo . 

7. L’ Epifonema è un’ Efclamazione fenten- 
ziofa , che far fi fuole dopoché fi è prova- 
ta una cofa mirabile e grande . Virg. nel 
medefimo lib. dopo aver narrati i travagli 
dell’ armata navale d’ Enea cosi efclama : 

Tanta mol'ts erat Romanam condere gente m ! 
E nel 2. della Georg. 

. i . . *Adeo a teneri s ajfuefcere magnata eft ! 

8 . L’ Apoftrofe fi fa qualora rivolgefi il par- 
lare o a qualche perfona , o a qualche cofa 
inanimata . Così Cic. prò Balbo .• Vos muta 
Regiones imploro , & fola terrarum ultima - 

• rum : Vos maria , portus , infui a , & litora : 
qua ejl enim ora, quce fedes , qui locus , in 
quo non exjlent bujus cum fortitudinis , tura 
vero bumanitatis , tura animi , tum confiti 
imprejfa vejligia ? 

Quella figura fi ufa fpeffo dai Poeti . Qui per 
tralafciar ogn’ altro elempio , un folo ne ad- 
durrò del nollro Jacopo Sannazzaro , che 
nel famofo Epigramma in lode della Città 
di Venezia finge , che Nettuno con Apo- 
llrofe bclliflima rivolga a Giove il fuo par-, 
lare: 

Viderat ^Adriaci s Venetam Neptunus in ttndis 
Stare Urbem , & foto ponere jura Mari 

, JSunc 


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8p' 

Thtnc mihìTarpejas quantumvis ,Juppiter , >Arce& 
Objice, & illa tui Mirila Martis , ait : 
SÌ Tibrim Pelago prtefers , Urbem afpice utramque; 

lllam Homines dices , batic pofuiffe Deos . 
p. L’ Ipotipofi è una figura , che fi fa quan- 
do le cole fi efpriniono con colori si vivi, 
che fembrano non già udirfi cogli orecchi, 
ma vederli cogli occhi . Cicerone nella 4. 
Aringa contro a Catilina defcrive al vivo 
r que’ mali , che da lui fi temeano : Videor 
mibi bone Urbem videre lucem Orbis Terra- 
rum , atque jfrcem omnium Gentium fubito 
‘ uno incendio concidentem : Cerno animo fepul - 
’ tam Patri am, miferos , atque infepultos acer- 
vos Civium: Ver fatar mibi ante oculos afpe - 
Bus Cetbegi , & furor in vedrà cade bac - 
ebantis. 

Qui vogliam fermarci alquanto in quella no-* 
biliflima figura , la quale dovrebbe aver 
luogo in tutte le parti , che nell’ Orazione 
fi vogliono al vivo deferì vere . Ella fi ap- 
poggia fu la perfetta imitazione così de* 
coftumi , e delle azioni degli Uomini , co- 
me delle proprietà , e qualità delle cofe na- 
turali . Chi fa bene ftudiàr la natura , fa- 
prà eziandio dal di lei feno ricavar imma- 
gini cosi vive , che poi dipingendole fem- 
brerà , che dagli Afcoltanti le cofe fi e (fé 
originalmente fi veggano . I colori , che fi 
adoprano per formar codefte immagini fono 

ap- 



. 5 >° 

appunto le parole proprie ed efpreffive . 
Anche le verità note e volgari con diletto 
di chi afcolta per mezzo di quella figura 
fi poffono egregiamente dipingere . Per ciò 
fare , ficcome abljiam detto , fa d’ uopo 
fludiar la natura ; e perciò dicea Quinti- 
liano nel cap. 3. lib. 8. Hujus fummo; vir- 
tutis faciliima ejl via : Naturam intueamur , 
batte fequamur . Allorché noi fcrivendo ci 
rapprefentiamo nella fantafia le azioni di 
• un Uomo sdegnato , gli affetti di un timo- 
rofò , i coflumi d’ un prode Guerriero , 
d’ un Eroe coraggiofo e magnanimo , e cen- 
to e mille altri oggetti diverlì , facilmen- 
te ne fapremo copiar con evidenza , e con 
energia le figure di maggior rifalto , e piu 
meravigliofe , ficcome dalla natura medefi- 
ma da noi ben intefa ci farà infegnato. 

Tra gli antichi Scrittori , che abbian faputo 
far vive deferizioni colla figura ipotipofi , 
e che abbiano ancora ben imitata la natu- 
ra , rifplende a meraviglia il gran Virgi- 
lio . Egli , per qui traìafciar infiniti altri 
efempj , nell’ 8. lib. dell’ Eneide al vivo 
deferive i Ciclopi nell’ atto che lavoravano 
nella fucina di Vulcano , e col fuono flef- 
fo de’ verfi efprime la forza , con cui efli 
innalzavano i martelli , e fa quafi afcoltar 
i colpi , che davano fu le incudini : 

ufiii ventojts /alliba auras 


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9 1 

. vfccipiunt , redduntque : alti Jìridentia tingunt 

JEra lacu: gemit impojitis incudibus antrum. 

UH inter Je [e multa vi bracbia tollunt 

In numerum^verfantque tenaci forcipe majfam. 

Nel gran numero degli Scrittori moderni, per 
quanto noi Tappiamo , uno de’ primi nel 
descrivere mirabilmente le cofè colla figu- 
ra , di cui prefentemente fi tratta , è fiato 
il celebre Tommafo Ceva cotanto lodato 
dal dotto Autore della perfetta Poefia lib.i. 
cap. 14. Egli per efempio nel poema inti- 
tolato Puer Jefus defcrive un Conduttor di 
Cammelli , il quale ritornato da Egitto in 
Nazzarette , vien interrogato da que’ Cit- 
tadini , e dà lor le rifpofte intorno alla 
Vergine Madre, che col fuo Figlio colà fi 
era ricoverata . Ecco una circqftanza natu- 
raliflima , che in tal contingenza felicemen- 
te defcrivefi dalla fantafia del Poeta: 

Nane fequar, Hofpes alt , fitccis permittite 
labris , 

f ( Nam erudii coepis vox afpera faucibui 
htefit ) 

Tanti [per liquido verba irrorare lyceo . 

Sic ait , appofitoque mero , ut gens prifea 
folebat , 

Implevit pateram , manibufque utrinque prò 
ben f am 

( Qp°d foli* , fotti , fau/ÌUmque fi t omni- 
bus ) baufit , . 

Bif- 


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9 * . 

Blfque interrupit finceris laudibus haufiunt r 
Inverfaque manu barbar » , atqne ora bifpida 
terftt . 

Il dottiffimo Ludovicantonio Muratori do- 
po aver rapportati i cennati verfi del Ceva, 
cosi foggiugne.* Avendo la fantafia del for- 
tunato Poeta ben affi [fato lo J guardo in quel 
co/lume , in quell' atto Pajlorale , ha pofcia 
efpreffo il tutto con parole mirabilmente figni- 
ficanti . Quel chieder del vino per bagnar le 
parole , effendofegli irruvidita la voce per aver 
mangiate cipolle crude , quel prendere con amen- 
due le mani la tagga , bere alla falute di tutti , 
due volte interromper la bevuta per lodar il 
vino , quelP aggiunto di Jìncere alle lodi , 
quell' afciugarfì la barba col roverfcio della 
mano , fon viviffme immagini , e colori fiam- 
meggianti , che dipingono con evidenza , e 
fan vedere le cofe . 

Io. La Profopopeja fi fa quando per bocca 
dell’ Oratore s’ introduce a parlare una per- 
fona morta , o lontana , o vero una cofa 
inanimata . Ecco 1’ efempio molto vivo di 
quefta figura propoftoci dall’ Autore ad He- 
rennium : Quid fi nunc L. ille Brutus revi - 
vifcat , & heic ante pedes veflros adfit , 
* non hac utatur oratione ? Ego Reges ejeci , 
vos Tyrannum introduciti s Ego libertatem , 

qua non erat , peperi , vos partam férvare 
non vultis .* Ego capitis mei periculo patriam 

li- 


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liberavi , vos liberi Jìne periculo effe non cu • 
ratis . 

E’ belliflimo il feguente Epitaffio , in cni l’Au- 
tore fa parlar dal fepolcro una giovane Don- 
na al fuo Conforte rimafto in vita : 
Immatura peri , [ed tu felicior annos 

Vive tuos , Conjux optime , vive meos. 
Sventurata' io dalla morte 
Giovanetta fui rapita.* 

Reità intanto , o mio Conforte , 

Più di me felice in vita ; 

Ed a’ tuoi fi aggiungan gli anni 
Tolti a me dai Dei tiranni . 
il. L’ Etopeja è una viva efpreflione de’ co- 
ltumi , dell’ indole , delle inclinazioni , e 
dell’ altre qualità dell’ animo di alcuno . 
Plauto in ^'ulularla efprime al vivo i 
coftumi d’ un Vecchio avaro , il quale 
ufcendo di cafa cosi ordina ad un fuo Ser- 
vidore : ' 

Cave quemquam al'tenum in eedem intra - 
miferis .* 

Si quifpiam qucerat ignem , ex tingui volò , 
Ne caufte quidjìt , quod te quifque quaritet: 
T.um aquam effugiffe dicito .* Si quii petet 
Cultrum , fecurim , pijlillum , mortarium , 
Qua utenda vafq femper vicini rogitant , 
Fures veniffe , atque abjluliffe dicito. 

Che fe fi voglia al vivo defcrivere il volto , e 
là difpofizione di tutto il corpo , fi farà col- 

1 » 


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la figura , che dicefi Profopograpbia . Mar- 
ziale cosi dipinge un certo Zoilo difforme: 

Crine ruber , niger ore , brevi s pede , lamine lafus : 
Rem magnam prajlas , Zolle , fi bonus es. 
Roflo , o Zoilo , il crin ritieni , 

Nero il volto , e zoppo un piede: 

Lefo ancora un occhio tieni * 

Un portento ognun ti crede, 

Se in queft’ orrida perfona 
Si nafconde un’ alma buona . 

12. L’ Antitefi, o fia Opposizione , fi fa quan- 
do o fentimenti a fenti menti , o parole a 
parole fi contrappongono . Cic. prò Mura- 
ria : Vigilai tu de notte , ut tuis Confulto- 
ribus refpondeas , il le , ut co , quo intendi t y 
mature cum exercitu perveniat .• te gallorum y 
illum buccinarum cantus exfufcitat : tu attio- 
nem injlituis , ille aciem inftruit : tu caves 
ne tui Confultores , ille ne urbes , a ut cajlra 
capiantur : ille tenet , & fcit ut bojlium co- 
pia , tu ut aqua pluvia arceantur. 

13. La figura fofpenfione fi fa quando l’Ora- 
tore per qualche tempo ritiene gli Afcol- 
tanti dubbiofi ed incerti intorno a ciò, che 
ha da dire , e che poi finalmente da lui fi 
dice . Così Cic. nella 7. Oraz. in Verrem: 
Quid deinde ? quid cenfetis ? furtum fortaJfe y 
aut pradam aliquam ?... Etiamnum mi- 
hi exfpettare videmini , Judices , quid deind' 
fattttm fit t Exfpettate facinus quarti vultis 

im- 


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improba*» , vinca*» tamen e^eBationem ve - 
ftram ; e poi finalmente fa fapere a’Giudi- 
ci il gran delitto da C. Verre commeflb . 

Marziale ci lafciò 1’ efempio di quella figura 
nel feguente Epigramma del lib. 6. 

Quod convivaris fine me tam fajie , Luperce , 
Inveni noce am qua rat ione tìbi . 

Irafcar , licet ufque voces , mittafque , rogefque : 
Quid facies ? inquis : faciam ? veniam. 

Spello avvien , Luperco mio , 

Che tu fai de’ bei conviti , 

E a cenar me non inviti ! 

Io farò pagarti il fio 
Per codello , 

Che a me rechi , amaro fcorno i 

Se richiello 

Forfè un giorno 

Con illanze , e con fincere 

Tue preghiere 

Io farò da te invitato , 

Teco irato 
Oh che farò . 

Mi dirai : 

Tu che farai ? 

Vuoi faper ciocché farò ? 

A cenar con te verrò . 

14 . La Comunicazione fi fa quando 1* Orato- 
re dimanda configlio o agli Afcoltanti , o 
ai Giudici , o anche agli Avverfarj ..Co- 
sì Cic. prò Rabirio .• Tu denique > Labiene t 
/ 


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9& m V 

quid faceres tali in re , ac tempore ? E nel- 
la feconda in Verrem : Nunc Ego , Judices y 
jam vos confalo , ’ quid mihi faciendum pu~ 
tetis ? 

15 . La Correzione è una figura , con cui 
1’ Oratore ritratta , ed emenda quel che pri- 
ma avea detto . Cic. prò Caelio : 0 fiulti- 
tiam ! Jlultitiamne dicam , an impudentiam 
fingularem ? 


CAP. IL 

Delle Figure delle parole . 

L E Figure, che fervono ad ornar le paro- 
le , fono di due forte : fe cade la figu- 
ra in qualche parola , che non ritiene il li- 
gnificato proprio, fi dice tropo: fe cade fu 
la parola , che non muta fignificato , fi di- 
ce femplicemente figura nella parola . E. g. 
Se dicefi prata rident , - quella figura farà 
tropo , perchè la voce rident non ritiene il 
Lignificato proprio , e {fendo il ridere non 
già proprio de’ prati , ma degli Uomini . 
All’ incontro fe dicefi xArator faBus efi Ora- 
• tor , farà quella una femplice figura , che 
, confitte nelle due parole rat or , ed Orator y 
■ le. quali fon quafi fimili . Che le in vece di 
t «4’rator, ; fi dirà «Agricola , la figura fvanifce- 


i 


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97 

Il tropo adunque è un cambiamento , che fi 
fa d’ una voce , o d’ un fentimento intero 
dal lignificato proprio in un’ altro . Code- 
fto cambiamento far fi deve in maniera , 
che aggiunga all’ Orazione maggior leggia* 
dria , ed ornamento , poiché le mai avvi- 
lire , o difforma il difcorfo , farà meglio 
che non fi faccia. 

In quattro maniere può trafportarfi una paro- 
la a fignificarne un’ altra ; onde quattro fo- 
lio i tropi primarj , a cui tutti gli altri fi 
polfono rapportare , cioè la Metafora , la 
Metonimia, la Sinecdoche, e rironia. Noi 
qui prima de’ tropi , indi dell’ altre figure, 
che propriamente fi dicono delle parole , ne’ 
feguenti Capitoli ragioneremo. 


CAP. III. 

Della Metafora. 

L A Metafora è un tropo , in cui qualche 
voce dal fignificato proprio fi trafporta 
a fignificarne un altro per certa fomiglian- 
za , o proporzione , che palTa tra la cofa , 
da cui la voce fi prende , e tra quella , a 
cui fi trasferifee . Dicendofi i prati rido- 
no , fi fa una Metafora : perchè la voce 
«ridere dagli Uomini ai prati vien trafpor- 

G ta- 


P* 

tata per la fomiglianza , che pafla tra l’Uo- 
mo , che ride , e tra i prati adorni di er- 
bette , e di fiori, avendo così l’uno, come 
gli altri un afpetto lieto cd ameno. 

Generalmente può prenderfi la Metafora da 
tutte le cofe , da cui li prende la fomiglian- 
za . Quintiliano riduce a quattro i fonti 
principali di qualunque Metafora . Quelli 
fono : 

1. Da una cofa animata ad un’ altra anche 
animata . E. g. Scipionem a Catone folitum 
allatrari , come dicea T. Livio . Tal Me- 
tafora farebbe ancora chi dicefle : Quefio è 

. un Cavallo , che vola. 

2. Da una cofa inanimata ad un’ altra anche 
inanimata . E. g. il freno delle leggi . 

3. Da una cofa inanimata ad un’ altra ani- 
mata . Tal farebbe quella: il fiore de' Gio- 
vani, in vece di un Giovane adorno di vir- 
tù nobili e rare : E quell’ altra : lo fplen- 
dor de' Cittadini , in vece di un Cittadi- 
no eccellente ed illuflre . 

4. Da una cofa animata ad un’ altra inani- 
mata , dandoli a quella quafi il fenfo , e la 
vita . Virgilio parlando dell’ Aralfe fiume 
dell’ Armenia così dilfe : 

. . . Pontem indignatus Jfraxcs . 

Così anche Cicerone prò big. Quid enim , 
Tubero , tuus ilio diflriShis in acie Pharfa~ 
lica gladi ut agebat ? Cujus latas mucro il le 

pe- 


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petebat ? Qui fenjus erat armotum tuorum ? 

La Metafora non deve prenderti dalle cofe 
fordide e vili , che difformano l’Orazione, 
anziché adornarla. Perciò Cicerone rimpro- 
verò chi dicea , che un certo Glaucia era 

10 fterco del Senato Jlercus Curi <e, per di- 
notare un Senatore viliflìmo. 

Si han da fuggire eziandio le Metafore , che 
fon troppo dure, come quelle, che si pren- 
dono da cofe troppo lontane , e che non 
han fomiglianza con quell’ altra , a cui si 
trafportano . Inetto e ridicolo farebbe chi 
lodando un grand’ Eroe diceffe : Le virtù, 
e le ge/ìa di queJV Uomo incomparabile ,firi- 
«r fi dovrebbono fu le pergamene de Cielt 
a caratteri di Jlelle . Il noftro Orazio usò 
una Metafora affai dura , allorché diffe , che 

11 vento Euro 

Per fieni as equitavit undas' y 
Ma a lui , perchè Poeta , una tal durezza 
può condonarsi. 

Benché la Metafora sia il più bello , e’1 più 
nobile di tutti i tropi , nondimeno non de- 
ve effer molto frequente nell’Orazione. Im- 
perocché gli ornamenti più ricchi quanto 
fono più rari , tanto più fogliono recar di- 
letto, e piacere. 

Alla Metafora si rapporta 1’ Allegoria, la qua- 
le è Una Metafora continuata, in cui altro si 
dice, ed altro s’intende. Così Cicerone in 

G 2 ' Pi. 


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IOO 

Pifonem : \Alios Ego vidi ventos , alias prò- 
: fpexi animo procellas , aliis impendentibus 
tempejlatibus non ceffi , Jed unum me prò 
omnium falutf obtuli . Qui 1’ Oratore pei 
venti , e per le tempefte intende le fciagu- 
re, e i perigli, a cui era flato l'oggetto per 
difender la Patria . 

E’ nota a tutti l’Allegoria di Orazio in un’ 
Ode del lib.i. che principia: 

O Navis referent in mare te novi 
FluBus &c. 

In quella perfettiflima Allegoria prende 
Orazio la Nave per la Repubblica, le on- 
de procellofe per la guerra Civile , il por- 
to per la pace, i remi pei Soldati & c. 


CAP. IV. 

Della Metonimia . 

L A Metonimia è un tropo , che fi fa in 
quattro maniere: . . 

i. Allorché fi ufa la cagione per 1’ effetto, o 
l’ inventore per la cofa inventata , o pur 1’ 
Autore per l’Opera da lui fatta . E. g. Il 
Sole rifcalda la Terra , cioè il calore del 
Sole : Noi leggiamo Cicerone , cioè 1’ Opere 
di Cicerone . Così alle volte fi ufa da’La- 
tini Mars prò bello , Vulcanus prò igne , 

Bac - 


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IOI 

Bacchus prò Vino , perchè codefti falfi Nu- 
mi dagli Antichi fi credeano inventori del- 
la guerra, del fuoco, del Vino &c. 

A quella prima maniera fi riduce la Metoni- 
mia , allorché fi ufa il polfelfore per la co- 
fa polfeduta . Così Virg. lib. 2. dell’ Eneid, 
. . . Jam proximus ardet 
Ucalegon , 

cioè la Cala di Ucalegonte . 

2. Si fa la Matonimia quando fi prende l’ef- 
fetto per la cagione . Virg. nel med. lib. 
Recipe nunc Danaum injtdias , & orimi - 
ne ab uno 
Difce omnes , 

Qui la voce crimen , che fi confiderà come 
un’ effetto dell’ Uomo fcellerato , fi prende 
per la cagione, cioè per l’Uomo fteffo mal- 
vagio e ribaldo . Dicendosi la Virtù è fil- 
mata , la fuperbia è abborrita, per la Vir- 
tù s’intende l’Uomo Virtuofo , per la fu- 
perbia 5’ intende l’Uomo fuperbo. 

Così anche farà Metonimia fe quel eh’ è pro- 
prio dell’ effetto si attribuifee alla cagione. 
Ciò fpecialmente si ufa dai Poeti. Da Virg. 
nel 6 . dell’ Eneide fi chiamò malinconica la 
Vecchiaja triftis Seneftus , pallidi i Morbi 
pallentes morbi . Da Orazio si diffe anche 
mors pallida , perchè la malinconia è un’ 
effetto della Vecchiaja , la pallidezza è un 
effetto della morte , e de’ morbi . . 

G 3 3. Si 


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102 

3. Si fa la Metonimia allorché la cofa , che 
contiene, si prende per la cofa contenuta. 
E. g. Roma pei Romani , 1 ’ Italia per gl* 
Italiani . 

4. Finalmente farà Metonimia, fe si ufa il fe- 
. gno per la cofa fegnata. Cic. prò Marc. No- 
Jìra confitta toga Jocia, non armorum fuerunt. 
Qui per dinotar la pace , e la guerra si 
ulano le voci arma , e toga , che fono fe- 
gni della guerra , e della pace . 

I Romani per dinotare alcuni Magiftrati ufa- 
vano le voci fafces ì fecures , perchè in Ro- 
ma i fafci di verghe , e le fcuri di certi , 
Magiftrati erano infegne . 


C 4 P. V. 

Della Sinecdocbe . 

L A Sinecdoche si fa in quattro maniere. 
Quando si ufa la parte pel tutto. Cosi 
. dai Latini fi pone tetìum prò domo , mucro 
prò enfe , puppis prò Navi . Così anche al- 
lorché si ufa il singolare pel numero del 
più . Virg.lib. a. dell’En. 
tìojlis habet muros . Hofiis invece di Hojles. 
2. Si fa la Sinecdoche quando il tutto si ufa 
per la parte. Virg. nel 12 dell’En. 

. . . Yontemque , ignemque ferebant . 

Qui 


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103 

Qui ' fontem si uia per l’acqua. 

Così parimente quando si pone il plurale pel 
numero del meno. Dille Cicerone: Nospo - 
pulo impofuimus , & Oratores vi fi fumus , 
ancorché Egli parlava di Te folo. 

3. Si fa quello tropo allorché si prende la ma- 
teria, di cui è formata una cofa perla co- 
fa medesima. Così dicefi dai Latini ferrum 
prò enfe , pinus prò navi , argentum prò pe- 
cunia ex argento. 

4.. Si fa la Sinecdoche quando fi adopra il ge- 
nere per la fpecie , o la fpecie pel genere. 
Virg. Prcedamque ex unguibus *Ales projecit 
fluvio : qui ^4les voce generica è ufata per 
l’ Aquila . Orazio usò Mare Myrtoum , Ma- 
re Carpathium per qualunque Mare . 

A quello Tropo rapportafi 1’ Antonomafia , 
che fi fa quando fi ufa un nome per un* 
altro, come il Dillruttor di Cartagine, in 
vece di Scipione Africano: il Principe del- 
la Romana facondia, invece di Cicerone. 
\ 

« 1 ' 1 : ' I 

CAP. VI. 

J)ell' Ironia. 

L ’ Ironia è un tropo , che fi fa quando s’ 
intende l’ oppollo di ciò che fi dice , e 
dalla maniera Itefia , con cui fi pronunzia, 

G 4 fi 


fi fa conofcere , che altro fi dice , altro s’ 
intende - Cicerone prò Mil. parlando della 
morte di Clodio ironicamente dice così r 
Clodii mortem aquo animo nemo forre poteft: 
luget Senatus , mceret equefler orcio , tota Ci- 
vita* confetta fenio efl : fqualent Municipi a, 
afflittane Colonia ! , agri denique ipfi tam 
beneficierà , tam falutarem , tam manfuetum 
Civem defiderant.' 


CAP. VII. 

Delle Figure delle parole , che non fono 
T ropi . 

L E Figure propriamente dette delle parole 
poflòno ridurfi a dieci , e dai latini fi di- 
cono : Repetitio , Gradatio , Synonymla, Po - 
lyfyntheton , Reticentia , <Ad)unttio , Disjun- 
ttio , Paronomafta , Similiter cadens , e Si- 
militer definens . 

I. Repetitio si fa quando nel difeorfo piti 
volte fi replica una voce . Cic. prò Marcel. 
Omnes nojlrorum imperatorum , omnes exter a- 
rum gentium , omnes clarifflmorum Regum rei 
ge(l<e &c. E contro di Catilin. Vivis , &, 

' vivis , &c. 

z. Gradatio si fa quando una, o piti parole, 
talmente fi trafportano da un tenti mento 

ali’ 


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I°s 

all’altro, che quali per certi gradi va ere- 
feendo 1 ’ Orazione . Eccone un efempio : 
Neque vero fe populo folunt , fed etiam Sena* 
tui commi fit , nec Senatui modo , fed publi - 
co pr cefidio , & armis , neque bis tantum , 
fed etiam ejus potefiati , cui Senatus totam 
Rempublicam commi fit . Cic. prò Mil. 

3. Synonymia è 1 ’ unione di più parole , che 
hanno il medefnno lignificato . Così Cic. in 
M. ofntonium : Non feram , non pattar , non 
finam : e nell’ Orazione prò Mil. >An vero 
vos foli ignoratis ? Vos hofpites in hac Ur- 
be verf amini ? Veflra peregrinantur aurea , 
neque in hoc pervagato Civitatis fermone ver* 
fantur ? 

4. Polyfyntheton è una figura , che fi fa col 
ripetere più volte una Congiunzione. E. g. 
Ctefar & juftitia , & fortitudine , & cle- 
menti a , & bonitate , & ceterarum Virtutum 

■ laude fioruit . 

5. Reticentia si fa quando avanti all’ infinito 
li tace il verbo finito . Virg. lib. 12. dell’ 
Eneid. 

%At vero Rutulis impar ea pugna videri , 
Qui fi fottintende il verbo capit. 

E nel lib. 5. 

. . . Mene incepto de fi fiere virami 
Qui dee fupplirfi il verbo decet. 

6 . tAdjun&io si fa quando nel periodo ritro- 
yafi un fol verbo , il quale è retto da più 

« no- 


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io 6 

nomi foftantivi . E.g. Vieti pudorem libido , 
timorem audacia , ratienem amentia. 

7. DisjunEiio è una figura , che fi fa col ta- 
cer nel difcorfo tutte le Congiunzioni . Cic. 
prò yA'rcbia : Hxc Jludia adolefcentiam alunt , 
fenefìutem obleblant , fecundas res ornant , ad- 
1 verfis perfugium , ac folatiutn prtebent : De- 
leftant domi, non impediunt foris: pernoctant 
nobifcum , peregrinante , rufticantur . Quelli 

• lludj delle lettere l'ervon di alimento agli 
animi de’ Giovani , recan piacere ai Vec- 
chi : fon di ornamento nelle profperità , por- 
gon follievo , e rifugio nelle fciagure : Di- 
lettano in Cafa , fuor di Cafa non fono d’ 
impedimento : fon con noi in tempo di 

notte , con noi ne’ viaggi , con noi nelle 
Ville . 

8. Paronomafìa si fa quando fi ufano voci , che 
quafi fon Umili nel fuono , ma differifcono 
nel fignificato . Cic. Ex aratore faftus Ora- 
tor. 

p. Similiter cadens è una figura, che fuol farli 
allorché nel periodo i nomi terminano nel 
medefimo cafo , o i verbi nel medefimo 
tempo . Cic. prò leg. man. >A'c primum quan- 
ta innocentia debent effe Imperatores , quan- 
ta deinde omnibus in rebus temperantia , quan- 
to ingenio , quanta humanitate\ 

IO. Similiter dejìnens si fa quando nel perio- 
do terminano le parole col medefimo fuo- 

no. 


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i©7 

no . 'Cic. prò leg. man. Pompejus bellum ex - 
trema bieme apparavit , ineunte vere fufcepit y 
media refiate confecit. 

Dopoché per uniformarci a tutti coloro , che 
han dati precetti di Rettorica , abbiamo già 
efpofte quelle figure , che fon di ornamen- 
to all’ Orazione , crediamo effer qui neceffa- 
rio il dar a’ Giovani ftudiofi della vera Elo- 
quenza il feguente avvertimento. 

Egli è vero , che così i Tropi , come l’ altre 
figure concorrono a formare un nobil fregio 
al difeorfo , ma ufar non fi debbono con 
induftria , e con arte , quali a forza trafei- 
nandole nell’ Orazione . Egli è d’uopo , che 
naturalmente vi cadano, allorché debbon fer- 
vire o a render più fenfibili quelle cofe, dì 
cui trattiamo , o a ricrear gli Afcoltanti 
colla lor vaghezza , o a muover gli affetti, 
o ad amplificar le parole , e le cofe . 

Si è detto , che le figure naturalmente cader 
debbono nell’ Orazione , Imperocché ficco- 
me naturalmente avviene , che un’Uomo 
commoffo da qualche veemente affetto dell’ 
animo ufa le metafore , e l’ altre figure , co- 
sì è permeilo anche agli Oratori di ulàrle, 
allorché fono o accefi di sdegno , o ricolmi 
d’allegrezza , o di dolore , o da altre paffio- 
ni agitati . In fatti le figure non altro fo- 
no , che il naturai linguaggio degli affetti i 
. Se taluno è addolorato, efclaraa, rivolge il 

fuo 


io8 

fuo parlare al Cielo , interroga , accrefce , 
o ingrandire gli oggetti , e naturalmente 
fa ufo di altre figure , che rendono più vi- 
ve le fue efpreflioni . Così far dee l’ Orato- 
re , allorché anch’ eflo da qualche gagliardo 
affetto fi fente invertito . 

Che se la materia non porta feco codefto mo- 
vimento di paffioni , nè 1’ Oratore da alcun 
affetto vien agitato , non dovrà affatto ufar 
certe maniere di parlar figurato , per non 
offender la natura , eh’ egli deve imitare . 
Vi fono taluni , che a fangue freddo, cioè 
■quando la materia noi comporrà , ufano le 
fclamazioni , le apoftrofi , ed altre forme di 
ragionare , che fon proprie di coloro , che 
da qualche paflione fono commofli . Non 
fanno coftoro ben imitar la natura , le di 
cui orme in ragionando fi debbono mai fem - 
pre feguire, ficcome colla feorta del gran 
Tullio noi non ha guari neH’Ipotipofi roz- 
zamente infegnammo. 

Un guazzabuglio di figure , e di tropi , che 
troppo fpeffo, e quali cogli argani vengon 
tirati nell’Orazione , additerà , che F Ora- 
tore non è ben iftruito nella Scuola della 
natura, ed anzi che Orator dotto e pruden- 
te, lo farà comparire uno fciocco ed inet- 
to Declamatore . 

Sono le figure, come faviamente dice il dot- 
tifiimo Bernardo Lami , nelle mani dico» 

lui, 


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I0(? 

lui , che a luogo , e a tempo non sa ado- 
prarle, come le armi nelle mani de’ matti 
più furiofi , i quali alla rinfufa le rivolgo- 
no contro ad ognuno, che lor fi para da- 
vanti. L’ Orator favio ed accorto con giu- 
dizio farà ufo dei traslati , e delle altre fi- 
gure, non tanto per aggiugner puerili orna- 
menti al fuo Difcorfo , quanto per infinuarfi 
con più agevolezza negli animi di coloro, 
a cui la verità , che ha propofta , vuol 
perfuadere . -, . . 


CAP. Vili. 

Del Perìodo . 

I L Periodo fi definifce un breve e perfetto 
fentimento , che colla di certe parti , che 
diconfi membri , una delle quali fcambie- 
volmente dipende dall’ altra , e tutte fono 
infieme connelfe e ligate . Dicefi periodo 
dal vocabolo greco vipioìos , che fignifica 
circolo , o giro. 

Ariftotile lib. 3. Rbet. definifce così il perio- 
do : periodus ejl oratio , qua habet princi- 
pìum , & finem , qua uno qua fi afpeBuper - 
luflrari facile poffit . La qual definizione ot- 
timamente conviene colla noftra. Imperoc- 
ché il principio , . di cui parla Ariftotile , 

aj- 

• 1 



no 

altro non è , elle il primo membro del pe- 
riodo, il quale aver deve il fenfo fofpefo 
in maniera , che di neceflità debba eflerfe- 
guito da un altro membro . Il mezzo poi, 
e ’1 fine fono appunto gli altri membri, che 
con certo giro di parole han da conchiude- 
re tutto il periodo, il quale deve efler breve 
anzi che lungo, affinchè quali ad un’occhia- 
ta porta tutto oflervarfi. 

Per fomiglianza dunque il periodo dai latini 
dicefi ambitus , cioè circolo , o giro : per- 
chè ficcome il Cerchio è una figura , che 
formasi col far intorno girare una linea cur- 
va , la quale termina col ritornar in fe ftef- 
sa in quel punto , ond’ era partita ; così nel 
periodo debbono le parole andar girando in 
maniera , che l’ultimo membro vada a con- 
netter col primo , e tutti i membri uniti 
infieme facciano un fenfo perfetto e com- 
piuto . 

Colla il Periodo di certe parti , di cui altre 
fono maggiori , altre minori . Le parti mag- 
1 giori , come abbiam cennato , fi dicono 
membri, e con termine greco xiv* : le mi- 
' nori dai latini fi dicono ìncifa , in greco 
* zón[i*rx . " * ' ’ 

Il membro adunque è una parte maggiore del 
periodo , che contiene il fenfo fofpefo ed 
' imperfetto . E. g. J Se i Cittadini Romani 
r non fojferv fiati atniì^jofi di regnare : Egli 

è que- 


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rii 

è quefto il membro di un periodo , in cui. 
fi vede il fenfo fofpefo : Si farà poi un pe- 
riodo perfetto , fe a quel primo membro fi 
aggiunga quell’ altro : al certo le civili di- 
scordie non avrebbono rovinato quel va/liffi - 
mo Impero . 

Siccome il membro è parte del periodo, co k 
si gl’ incifi fono picciole parti del membro, 
che fono efprefTe con un fol verbo . Ecco 
1’ efempio di un membro , che tre incifi 
contiene : nibil e/l virtute formo/tus , nihil 
pulchrius , nibil amabilius . 

Per conofcere quanti membri contenga un pe- 
riodo , bifogna offervare quanti fiano i fen- 
ti menti , che in quello fi efprimono con 

<• varj verbi differenti . E. g. Nunquam enim 
temeritas cum fapientia commifcetur , ncque 
ad con/ìlium cafus admittitur Quefto è un 
periodo di Cic. prò Marc. , che coda di 
due membri , perchè in eflò fi efprimono 
due cofe coi due verbi differenti commifce- 
tur , e admittitur . 

Segue l’ efempio di un periodo di tre mem- 
bri : Nam cum antea per retatem nondum 
hujus auBoritatem loci contingere auderem .* 
fiatueremque nibil bue nifi perfeBum inge- 
nio , elaboratum tnduflria afferri oportere ; 
omne meum tempus amicorum temporibus tranf- 
mittendum putavi . Cic. prò leg. man. 

Ecco finalmente 1’ efempio di un periodo di 

quat- 


\ 


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ira 

quattro membri : Si quantum in agro , lo - 
- cifque deferti* audacia poteft , tantum in fo- 
ro , atque judiciis impudenti 'a valeret .• non 
minus in caufa cederet Jf. Ctecinna Sex. JEbu- 
tii impudenti/e , qu3[itum in vi facienda cef- 
ftt audacia . Cic. prò Jf. Cacinna . 

Un periodo di un fol membro , ancorché que- 
llo fia lungo , non può dirli propriamente 
periodo . Ordinariamente il perfetto perio- 
do non conterrà meno di due membri , nè 
più di quattro . Alle volte in Cicerone 
s incontrano periodi di cinque , e di più 
membri , qual appunto è il primo periodo 
nell’ Orazione prò jSrchia ; ma non fonò 
da imitarfi - Imperocché il periodo perfet- 
to non deve eccedere i quattro membri , 
ficcome infegnò Cicerone ftelfo , e ’1 cele- 
bre Demetrio Falereo , che dal greco fu 
tradotto in latino da Pietro Vittorio , e 
poi felicemente commentato da Francesco 
. Panicarola . 


CAP. IX. 

, 

Del fuono del Periodo , e della maniera 
. di amplificarlo . 

I L Periodo facilmente potrà amplificarli, le 
avrà nel principio alcune di quelle parti- 
, : celle. 


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I 


celle , che fi dicono fofpenfive , le quali 
neceffariamente da altre debbon elfer fe- 
guite . Tali fono jn latino : Et fi , quam- 
•vis , quamquam , quemadmodum , fi cut , cu>n, 

, quoties , quantum , quali * , non m'tnus &c. 

. alle quali corrifpondono : tante w , verumta- 
mcti , m.bilomwus , , tum , 

- tum , tali* , 

Inoltre chi fa bene amplificar fé cofe , e le 
parole , facilmente fa anche amplificar il 
periodo . E.g. non farebbe un periodo per- 
. ietto chi dicefie: Cicerone efiiiato da Roma 
fempre afflitto piangea . Perfetto il farebbe, 
fe amplificando un tal fentirnento dicefle 
così : // gran Principe della Romana Rio* 
quercia ingiufiamente efiiiato da Roma di 
affanni fol tanto , e di fofpiri pafceafi, e nel- 
la ftia funefia feiagura la notte , e 7 dì fpar- 
geva un fiume di amaro pianto dagli occhi . 
J1 fuono del Periodo oratorio non è già quel 
concento , e quell’ armonia , che fi ricerca 
ne’ componimenti poetici . Egli è tale , che 
da noi non fa definirfi : fi può dire fol tan- 
to efier quello un certo fuono , che nafGe 
dal fituamento delle parole , e efie piacen- 
do agli orecchi fommamente diletta . Gra- 
tifiimo , a cagion d’ efempio , è il fuono, 
che fentefi in quello . periodo di Cicerone 
prò Marc. Tantus efi enint fplendor in laude 
'vera , tanta in magnitudine animi , & confilii 

H di- 


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dignità! , ut btec a virtute donata , estera a 
fortuna commodata effe videantur . Che fe 
quefte parole medefime fiano diverfamente 
limate , il Tuono dei periodo fi vedrà affat- 
to fvanito . Così avverrebbe fe taluno di- 
cefle : Tantus entra in vera laude fplendor 
ejl 1 tanta dignità s in magnitudine confitti, 
& animi , ut hac a virtute videantur dona - 
nata , a fortuna commodata cetera . 

Il Periodo farà fonoro , fe farà terminato con 
voce , che abbia buon fuono , e fe in effo 
fi farà la trafpofizione delle parole , filman- 
dole in maniera , che una dolce e dilette- 
vole fenfazione all’ orecchio producano . 

Noi qui filmiamo fuperfluo il dar altre rego- 
le , onde il periodo far fi poffa fònoro, lic- 
come han fatto altri Maeftri d’ Eloquenza: 
imperocché portiamo opinione , che ri- 
ouardo al fuono del periodo , in paragone 
di quante regole fi poflon mai dare, la piti 
facile , e la più profittevole fia quella di 
legger di continuo qualche ottimo Orator 
latino , o tofeano , il di cui periodo fi vo- 
glia imitare . Senza quello efercizio ogni 
precetto farà vano ed inutile . 

i 

/ 


CAP. X. 


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CAP. X. 

Dello Stile Oratorio . 

L A voce Sttlus preflo de’ Romani dinota- 
va un ago , o fia uno ftrumento acuto , 
con cui formavano le lettere fu le tavolet- 
te incerate . Si prende ancora dai Rettorici 
per la maniera ftefla di fcrivere. 

Di tre fpecie è lo Itile , cioè fublime , fcm- 
plice , e mediocre . 

Lo Itile fublime è quello , che colta di fen- 
timenti nobili , di parole fcelte , e di ot- 
time frafi ; e perciò fommamente diletta , 
e quasi per meraviglia rapifce fuor di fe gli 
Afcoltanti . 

Per acquiltar quello Itile fa d’ uopo amplifi- 
car le circoltanze più illultri della cofa , 
che trattasi , e lafciar quelle , che fono vi- 
li y da cui 1’ Orazione non può ricavare 
alcun frégio . Oltracciò 1’ ufo delle meta- 
fore giova incredibilmente alla grandezza 
dello Itile . 

Sovratutto per acquiltarlo è necelfario , che 
fpelTo si leggano gli eccellenti Scrittori , 
che 1’ hanno ufato . Gli efempj dello Itile 
fublime s’ incontrano nell’ Eneide' di Vir- 
gilio , e nelle Orazioni di Cicerone , fpe- 
H 2 , cial- 


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\i6 

cialmenfe in quelle , che fi dicono fcelte . 

Lo ftile femplice è quello , che fi ufa nelle 
materie umili e balfe , come fono le let- 
tere , che fi mandano agli Amici , i Dia- 
loghi , i precetti delle Arti , e delle Scien- 
ze . 

Il periodo nello ftile femplice nòn deve efler 
lungo : 1’ ufo delle figure farà in eflb mo- 
derato . Molto fi loda in quefto ftile la 
chiarezza infieme , e la purità della lin- 
gua . Virgilio nell’ Egloghe , e Fedro nel- 
le lue favole ci han lafciato il modello del- 
lo ftile femplice e baffo . 

Lo ftile mediocre è quello , che tiene il luogo di 
mezzo tra i! fublime, e ’l femplice. fu que- 
llo non dee ritrovarli quell’ altezza di [en- 
timemi , e quella nobiltà di parole , che 
fi richiede nel fublime : nè il parlare effer 
deve cosi ballo ed umile , come fi ufa ntf 
femplice . Abbiamo F eferttpio di quefto 
ftile nella Georgica di Virgilio y in T. Li- 
vio , in Salluftio , e negli altri Scrittori di 
Storie . 


CAP. XI. 


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*1 



CAP. 


XI. 


Dello Jlile Laconico ed affatico . 

L O ftilé Laconico è mi! parlar breve acm» 
to rìftrettò e cohdtfo , che in poche 
parole efprime molto . Prefe il nome da- 
gli Spartani, che anche diceaitfi Lacones , i 
quali molto abborrivano il parlar lungo e 
diffufo . C. Gelate in- una lettera indrizza- 
ta al Senato Romano dopo la {confitta di 
Farnace Re di Ponto , ci diede V efempio 
dello ftile Laconico . Contertca la fila let*' 
tera tre fiale/ parole : Veni vidi vici .. 
Lo ftile Afiatico è quello , chie abbonda di 
parole foverchie , di coffe troppo amplificai 
te ,<■ e di periodi molto lunghi e diffufi . 
Dicefi anche ftile ampollofo . Diedero il 
nome a quello ftile i popoli dell* Alia , a 
etri molto piacer la lòverchia e fmoderatt* 
affluenza di ragionare . Il prudente Orato, 
re dovrà fuggir quello ftile , in cui molto 
in apparenza } ma in foftanza affai poco fi 
dice . 


CAP.XIL 


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CAP. 


XII. 


Dello Stile Vi^iofo . 

S Arà viziofo lo Itile , fe fia gonfio, o fred- 
do , o troppo fciolto , o fecco . . 

Lo Itile gonfio è quello , in cui ritrovafi un* * 
affettata magnificenza di fentimenti , ,e di 
parole . 

Lo Itile freddo abbonda di ornamenti pueri- 
li , d’ infipide lepidezze , e di fciocche al- 
lufioni . 

Lo ftile alTai fciolto è quello , in cui le pa- 
role fon fituate fenza fuono , fenz* arte , e 
fenz’ alcun ligamento . 

Finalmente lo Itile fecco è quello , in cui le 
parole , e i fentimenti fono umili baffi e 
volgari . 


Dell’ Arte Rettorica 

* *4 . 

L I B. - IV. .. 

Del Pronunciamento. 

I L Pronunciamento può definirsi un’ accon- 
cia maniera di porgere l’Orazione col ge- 
tto, 


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1 


fio , e colla voce . Cicerone ftimò quella 
parte dell’Eloquenza così importante, che 
fu chiamata da lui ad Brut. Senno cor- 
poris .* e nel trattato de Orat. così lafciò 
fcritto .* Ncque tam refert qualia ftnt , qua 
dicas , quam quomodo dicantur . 

Tre cofe concorrono a recitar bene un’ Ora- 
zione : la memoria , la voce , e ’I gelto . 


CAP. I. 

Della memoria , e della voce. 

L A memoria è una pronta facoltà di rite- 
ner 1’ idee delle cofe , e di efprimerle 
per mezzo delle parole. Elfendo quella una 
naturai potenza dell’anima , si dee ricono- 
fcer dalla natura . A colui , che non ha 
memoria molto felice , potrà fommamente 
giovare il leggere una volta il giorno tut- 
ta intera quell’orazione , che ha da reci- 
tare . Coll’ efercizio di quella replicata le- 
zione egli vedrà , che dopo alquanti gior- 
ni con picciol travaglio laprà tutto a me- 
moria il fuo Componimento. 

Intorno alla voce notar fi poflòno tre cofe : 

I. Che le parole fian pronunziate con chia- 
rezza in maniera , che 1’ una non fi confon- 
da coll’ altra , e tutte le fillabe si facciano 
interamente fentire. a. Che 


/ 


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4 


120 

z: Che ria voce non abbia Tempre il me- 
desiato tuono, e le parole non si profferi, 
fcano quasi cantando. 

g. Che si varj .la voce fecondo ,la varietà de- 
gli argomenti , e degli affetti , che si han 
da muovere. .Devesi anche variar la voce 
fecondo le varie parti dell’ Orazione . 

L’ Efordio richiede una voce più tofto baffa, 
che alta . Dopo l’ Efordio feguendo la nar- 
razione , quella far fi deve con voce fem- 
plice e chiara , quafi come fi ufa ne’ fa- 
miliari difcorfi. Nella confermazione ado- 
prar fi deve una voce più alta ,e più for- 
te . Finalmente nella Perorazione fidato T 
Oratore alla bontà , ed alla prudenza degli 
Afcoltanti, e già credendo di avergli per- 
fuafi , quafi trionfante ufar deve tutto lo 
sforzo della fui voce. Ma fi ricordi , co- 
me già abbiam detto , di variarla fecondo 
i varj affetti , che fpecialmeote in queft’ 
ultima parte dell’ Orazione muover fi deb- 

• , tono . \ 

» i 

j ' ' ■ * • ; ~ T | — -r! 

C A P. II. 

J)d Cejlo. 

L A voce deve accompagnarli dal Getto, il 
quale non è altro 3 che 1’ anione , e’1 mo- 
vimento del Corpo. Il 


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/ 


121 

Il Getto non fia molle ed effeminato , nè 
deve affettarli, ma fia femplice e naturale. 
Al contrario non fia rozzo ed incivile. 

Tutto il Corpo ftia dritto , e non fia qua e 
là agitato con ifmoderati movimenti . Si 
guardi l’Oratore dallo ftar immobile agui- 
fa di Statua , come fe aveffe inghiottito 
uno fchidone, potendo il corpo con mode- 
ratezza o davanti , o lateralmente piegarfi. 

Il Capo non deve agitarfi fpeffo . Si può muo- 
ver però moderatamente con far fegno odi 
sì , o di nò . 

Il Volto fi moftri or lieto, or metto, or pia- 
cevole, or accefo di fdegno fecondo la di- 
verfità degli affetti , e degli argomenti . 

Le Braccia non si han da tener pendenti ed 
immobili , nè 1 moderatamente si han da 
agitare . 

La mano siniftra non dee geftir fola , come 
può far la delira : può quella foltanto ac- 

compagnar il moto di quella. Le mani col 
gellire non mai eccedano il Capo , anzi 
nè pur giungano a coprir il volto . 

E’ cofa fconcia e ridicola 1’ alzar inegualmen- 
te , e’1 piegare fpclfo le dita . Si può fo- 
lamente coll’ indice qual che cofa additare * 


I Ec 


\ 


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122 


m 


E Ccoci al termine dei precetti , che foglion 
darsi intorno all’ Arte Rettorica . An- 
corché quelli sian facili e chiari , per- 
chè tutti illuftrati cogli efempj più vivi de- 
gli Scrittori più celebri , non fono però ba- 
ftevoli da per le foli a far si , che un Gio- 
vane dopo avergli ben intefi , formi con elfi 
un compiuto Ragionamento . A ciò fare , 
oltre all’ efercizio da noi più volte incul- 
cato , come quello , eh’ è necefiario per tut- 
te le difcipline , e fpecialmente per 1’ arte 
, di perfuadere , vi bifogna ancor la materia, 
fenza di cui chi Icrive rimarrà Tempre nel 
fccco , nè mai dalla fua penna ufeir potrà 
. un perfetto periodo. E come mai potrà uno 
Scultore, ancorché fia efpertiflimo nell’arte 
fua, formar una Statua, fe a lui manca il 
marmo, e’i legno, che fon la materia, on- 
de può quella formarli ? 

II Giovane dunque non ifperi con quelli foli 
precetti diventar dotto ed eloquente Oratore, 
l'c la fua mente non fia prima arricchita di 
. quelle varie cognizioni , che formano general- 
mente la materia del ragionare . Egli deve 
. per tanto applicarfi prima allo ftudio della 
Filol'ofia , c da tutte le fuc parti acquiftar 
le idee, e le notizie di quelle cole , che 
dall’ Uomo fi polfon fapere , ed intendere . 
Tal fu anche ii fentimcnto di Orazio, il 
• < 1! qua- 


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. . I2 3 

’ quale gii nell’Arte poetica infognò, chela 

materia di fcrivere ricavai» li dee dalle Car- 
te di Socrate, cioè dai libri di coloro, che 
fono flati Maellri in Filolofia : 

Rem ùb 't Socratica poterunt oflendere chartx . 

Oltracciò per giugner taluno all’ eccellenza 
<li quell’ arte , deve attendere a legger di 
continuo non l'olamente i primi Oratori Gre- 
ci , Latini , e Tofcani , ma anche ^ ficco- 
me avverti Cicerone) i Poeti più fcienzia- 

• ti e più dotti . Sogliono quelli , allorché 
parlano Effi , o introducono altri a parla- 

• re , non ufar que’ fentimenti noti e trivia- 
li , che per lo più nafeono in niente agli 
Uomini , o fi afcoltano ne’ ragionamenti ci- , 
vili : ma quelli , che più feelti, più nobi- 
li , più pellegrini , pofiòno ufeir di mente 
ad un Eroe , ad un Uomo erudito , e ad 
altre fimili perfone . 

Adopranfi in oltre dai Poeti, per efprimer i proprj, 
o gli altrui concetti, non già le frafi volgari, e 
le comunali parole , ma quali Tempre le più vi- 
ve , le più armoniofe , le più efpreflive , le 
più maellofe , che pollano convenir al l'og- 
getto , eh’ effi han per le mani , e che con 
maggior vaghezza , e nobiltà poffimo ador- 
narlo . Laonde farà fommo il vantaggio, 
che 1* Oratore ricaverà in leggendo 1 i più 

• eccellenti Poeti ; poiché nel delcri ver le co- 

’• fe , e nel muovere gli affetti , uferà egli 

<. la una 


una certa vivezza , un certo brio, ed una 
> maeftà , che non uferebbe , fe mai fermato 
non fi folle a converfar colle Mufe . 

Qui però non è mio intendimento il propor- 
re ai Giovanetti alla rinfufa tutti i Poeti, 
le di cui opere facilmente potrebbono allon- 
tanargli dal fentiero della virtù, e del buon 
collume . Gli Scrittori di quella forta leg- 
ger fi debbono con cautela , e con riferba : 
nè i Giovani fi faccian lecito di fcorrerc 
alla cieca per ogni campo , affinchè men- 
tre cercano di raccoglier mele , non tran- 
gugino il veleno . Gli antichi Poeti Gre- 
ci , e Latini egualmente che molti Tofca- 
ni i quali già in amorofe ciance , e fra- 
fcherie i lor fublimi ingegni indegnamente 
logorarono , mal fi confanno all’età frefca 
e giovanile . 

Per efercizio così della Poefia , come dell’ Elo- 
quenza fi polfono con ficurezza aver tra le ma. 
ni le Poefie facce di Girolamo Vida, di Tomma- 
fo Ctva, di Francefco Itemene.' rilegger fi pof- 
fono le Rime del Senator Vincenzo da Fi - 
licaja . Imperocché effendo codelli Poeti e 
puri e netti , non può temerfi , che delfi- 
no negli animi altrui alcun penfiero, che 
all’ onellà fia contrario . Le cennate Poe- 
lie, con altre confimili, han per materia fol- 
tanto cofe facre , ed eroiche : i lor dottif- 
fimi Autori non offendono punto il collu- 
me. 


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-J 



me , ficcome han Fatto tant’ altri , che ufan- 
do Foverchia libertà nello fcrivere han cre- 
duto di acquiftar gloria, o con isFogar can- 
tando le proprie , o col deFcrivere al vivo 
le altrui difordinatc p a fiioni. 

Or da ciò , che abbiam detto , conchiudeFi 
che quattro coFe affolutamente concorrono a 
formar un perfetto Oratore : i precetti del- 
1’ Arte , lo Audio della Filofofia , la lettu- 
ra degli Oratori , e dei Poeti , e’i conti- 
nuato Efercizio. 

il fine 

Lode a Dio. 


f 

EMI- 


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* EMINENTISSIMO SIGNORE . 

*Y T Incenzo Mazzola- Vocol a fupplicando efpo- 
'V' ne à V. Em. come defidera ftampare i 
Precetti di Rettorica dettati a ’ fuoi Difcepoli 
dall'\Abate D. Antonio cAdami . Per tanto l'ap- 
plica V. E. a commetterne la revifione a chi 
meglio le parerà , e 1 * avrà a grazia ut Deus.' 
■ Jfctm. Rev. Dominus D. Salvator %Aula S.Th. 
P. & in xAula jfrch'tep. litterarum bumanarum 
D. revideat , & in fcriptis referat . Datum die 
24. xAprilis 1770. 

Jofeph Sparanus Can. Deput. 
EMINENTISSIME DOMINE. 

O Pus , hunc prae fe ferens titulum : Pre- 
cetti di Rettorica dettati a' fuoi difcepoli 
dall' lAbate D. ^Antonio ^Adamt , tuo , Eminentif- 
lime Princeps , imperio legi : in eoque cum ni- 
hil Catholicae Fidei , morumve probi tati abfo- 
num , tum vero plurimum in virtutem ftudium 
pallini emicans deprehendi . Cum autem ad 
eam fit ipfum oratoria artis tradendaz rationem 
comparatum , ut commendandum non minime 
effe videatur ; e re adolefcentium fore cenfco , 
fi, accedente E. Tuse nutu, inpublicum produ- 
cano*. Neapoli xiv. Kal. Sextil. an. mdcclxx. 
Em. T. 

• t/Tddi&ifs. & Obfequentifs . 

Salvator Àula . 

Attenta relatione Domini Reviforis imprima* 
tur. Datum die zi. Julii 1770. 

Jofeph Sparanus Can. Dep. 

S.R.M. 


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S. R. M. 



V incenzo Mazzola-Vocola Stampatore , fup- 
plicando efpone a V. R. M. come de, 
fiderà (lampare i Precetti di Rettorie a dettati 
a ’ ftioi Difcepoli dall ’ aliate D. Antonio Adami : 
Per tanto lupplica V. R. M. a commetterne 
la revifione a chi meglio le parerà , e 1’ avrà 
a grazia . ut Deus . , 

Magnificat U. J.D. D. Janaarius Vico in 
hac Regia St odiar um Univerfitate Profejfor , re- 
videat , & in fcriptis referat . Datum Ncapoli 
die 23. menfis Martii 1770. 

. . » V 

Nicolaus Epifcopus Put. C. M. 

ILLUSTRISI E REVEREND. SIGNORE.' 

P Er ordine di V. S. Illuftrifiima con fommo, 
mio piacere ho letto 1 ’ Opera intitolata , 
Precetti di Rettorica \ di D. Antonio Adami .*, 
F ifteflo argomento, la giuflifica . da ogni qua-, 
lunque menomo fofpetto : anzi ho grandemen- 
te ammirato la giudiziofa condotta del nobile 
Autore, che ha voluto ingegnofamente dimo- 
ftrare , che le Arti anche nella di loro ftrut- 
tura poflono la natura imitare ;, la quale ne’ 
piccioliffimi corpi sa egualmente efprimere 
tutte le parti , di cui i più valli ed enormi 
fono comporti . Cosi Egli da abile Maeftro 
con fomma brevità e chiarezza infieme ha 

Cer- 


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cercato raccorre in un’ Enchiridio T quanto da- 
gli altri Retori in ampj Volumi fi è mai in- 
ternato . Quindi la ftimo degniflima della pub- 
blica luce , ove V. S. Illuftriflima così fi com- 
piaccia . Napoli 12. Giugno 1770. 

Di V. S. Illuftrifs. , e Reverendifs. 

Divotifs ., ed Obbligatifs. Servidore 
Gennaro Vico. 


Die 20. Menjìs Julii 1770. Neap, 

Vifo refcripto fu<e Regalis Maje/latis fub die 
14 . correnti s menfis anni , ac relatione U.J.DoB. 
D.Januarii Vico de commiflione Reverendi Regii 
Cappellani Major il , ordine prafata Regalis Ma- 
jejlatis 

Regalis Camera S.' Clare providet , decernit , 
atque mandat , quod imprimatur cum inferta for- 
ma prafentis fupplicis libelli , ac approbatione 
difti Reviforis • Verum in publicatione fervetur 
Regia Pragmatica , hoc fuum &c. 

- ' r » . < . 1 1 # 

Gaeta . Paoletti . 

Vidit Fifcus R.C. 

III. Marchio Citus Pr^sidens , & 
esteri Illuflres Aularura Praefeéìi tempore 
fufefcriptionis imped. 

Reg. fai. 

». ■* .i ' \ 

Carulli . Athanafius . 


WG 2c\A^éZ 


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