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MANUALETTO
bI RETORICA
GIN NUMEROSI ESEMPI E DICHIARAZIONI
DI ALFREDO PANZINI *% %
-+1) USO DELLE SCUOLE SECONDARIE INFERIORI
UNDICESIMA EDIZIONE
—_———————@@E rr es.
R. BEMPORAD & FIGLIO - Epirori - FIRENZE
==
PROPRIETÀ LETTERARIA I
DEGLI EDITORI R. BeMPoRAD & FIGLIO |
|
Ogni copia del presente volume deve portare
la firma dell’ Autore.
1926 - Stab. Tipografico FRATELLI STIANTI, Sancasciano Val di Pesa (Fire
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926
PREFAZIONE
Questo Manualetto di Retorica, che si ristampa
sull’edizione 1922, è stato rinnovato, direi ringiovanito,.
rispetto alle prime edizioni: la qual cosa si può ben fare
con un manualetto. |
Però il critèrio che informò la prima edizione, cioè
di fare un libro che sia sèmplice e chiara quida allo
scolaro, rimane. |
La esperienza della scuola mi conforta sempre più
nel ritenere poco profittèvoli le molte e sottili distinzioni
dei precetti letteràti: molto ùtili invece le buone letture,
sotto buon maestro.
A. P.
PARTE PRIMA
ee end
CHE COSA SI INTENDE PER RETORICA 0 STILISTICA
E QUALE È IL SUO UFFICIO.
1_ PANZINI, Manvaletto di Reròrica.
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PARTE PRIMA
Che cosa si intende per retorica o stilìstica
e quale è il suo ufficio
Lo stùdio che ci dà gli ammaestramenti sull’arte
di parlare e scrìvere în modo intelligibile e hello
fu chiamato, fin da antico, retòrica (parola greca che
significa appunto arte del dire): ed oggi da molti si
sì dice sfilìstica (1) e anche precettìstica (2).
Ma badate : se voi credeste che, imparando tutte le
règole della retorica, imparerete anche a scrivere in
modo da diventare scrittori o fin anche poeti, com-
mettereste un errore di giudizio.
(1) Da stile. Vedi il capìtolo a pag. 49.
(2) Per la storia di questa scienza, si avverta che molte sue leggi, nomi,
definizioni, partizioni sono quali le stabilirono i Greci. Essi tòlsero le rè-
gole dalle dpere dei loro grandi poeti, i quali scrìssero prima che esistesse
la retorica e la grammAtica. La retòrica, quale fu creata dai Greci, passò
ai Latini, e fu onorata poi nelle scuole dell’evo méèdio, dove insieme con
la grammàtica e la dialèttica, era il fondamento dei buoni studi; e fu ono-
rata per tutte le passate età, presso tutti i pòpoli civili.
In orìgine, dunque, queste règole fùrono ricavate dallo stùdio della na-
tura (i grandi scrittori, come Omero, Pindaro, Sòfocle ecc.): poi si stabi-
llrono per .forza di tradizione e di scuole, anzi. talvolta questa forza di
tradizione e di scuole esercitò una specie di tirannia sul pensiero degli
scrittori. Da ciò nacque il cattivo senso che alcuni danno a questa nòbile
8cienza, e le ribellioni di molti letterati contro la retòrica. Noi pure ri-
Apettando la tradizione, non dobbiamo dimenticare il Vero e la Natura
| che sono i maestri che vèngono prima di ogni legge.
— 4-
Scrivere bene vuol dire pensare bene e pensare
molto ; avere molti studi, molla esperienza della vita
insieme con molto ingegno, sentimento e fantasia.
Tutte cose piuttosto difticili e rare.
Non tutti, dunque, pòssono èssere poeti o scrittori,
e non è nemmeno cosa necessària. Tutti però possiamo
scrivere con pulitezza e con garbatezza. Possiamo, e
perciò anche dobbiamo, giacchè scrivere in modo con-
forme alla dignità della gloriosa nostra lingua italiana
è anch’esso un dovere di buon cittadino.
La retorica — che è una specie di grammatica del
pensiero — può aiutare a raggiùngere questo scopo.
Invenzione, Disposizione, Elocuzione.
Chi di noi non ricorda quante volte siamo rimasti
li, con la penna in ària su la carta bianca, senza scri.
vere ? « Perchè ? » « Perchè non ho idee. » « Pèasaci e
le idee verranno. » « SÌ, forse qualche idea l’ avrei, ma
non so come cominciare. » > |
«Ecco dunque: quando noi vogliamo scrivere un
tema o fare un discorso, dobbiamo necessariamente
prima trovare le idee, poi ordinarle, ed infine cercare
le parole adatte, perchè queste sono come il vestito
delle idee. © |
Certo, il giovanetto che rivolge alla mamma questo
discorso : « Mamma, per il mio compleanno mi farai
un bel regalo, » non sì accorge di aver trovato le idee,
di averle poi disposte, e vestite con le parole. Tutto
è venuto fuori dalle labbra così naturale e spontàneo!
Ma se io òbbligo quel giovanetto ad espormi per
iscritto, bene ed ordinatamerite, « perchè la mamma
non ha fatto nessun regalo al suo figiiuolo nel giorno
del compleanno di lui, » la cosa non è più così facile. f
e. >
Queste tre operazioni che deve compiere la mente,
prima di scrivere, si chiàmano, invenzione, disposi-
zione, elocuzione (da elbquio, vocàbolo latino che
vuol dire parola o lingudggio).
Invenzione.
L’ invenzione è .la ricerca e la scelta delle idee
(pensieri) convenienti a svdlgere bene un argomento.
Questa ricerca delle idee non è cosa fàcile, special-
mente per un giovanetto (1). Cercare le idee vuol
dire pensare, € pensare vuol dire osservare, sentire.
Queste facoltà di pensare, (osservare e sentire) sono
rare nei giovanetti: vèngono di sòlito più tardi, con
gli anni più maturi; tuttavia pòssono èssere acqui-
state in certa misura, un poco per volta, con un poco
di ginnàstica mentale, cioè sforzando la intelligenza
a rifléttere. |
Alessandro Manzoni, interrogato in che cosa con-
sistesse tutta l’arte dello scrivere, rispose con una
famosa parola: pensarci su. Ma siamo sinceri! Pen-
sarciîi su è presto detto; ma è tanto difficile per gli
uomini grandî, figurarsi poi per i.ragazzi!
E allora? Ecco: se i vostri temi saranno fàcili, di
cose vedute o sentite, o che possiate vedere e sen-
tire, allora sentirete nàscere certi pensieri che prima
non avevate. E questi pensieri faranno nascere le pa-
role che prima vi sembràvano così difficili a venir
fuori.
(1) Gli antichi maestri di retòrica insegnàvano prima a definire la cosa
di cui 8si deve trattare; poi esaminàvano se l’argomento del tema potera
èssere diviso in più parti ed enumeràvano queste parti; esaminàvano le
circostanze di luogo, di tempo e di modo che si accompàgnano all’argo-
mento; cercavano le cause e gli effetti attinenti. all'argomento; infine, con
esempi e sentenze autorèvoli, insegnàvano ad-illustrarlo.
SEE E
Per questa ragione riportiamo le parole di un an:
tico e grande maestro, che fu anche grande poeta,
Orazio. Egli dice così, press’ a poco : Quando scrivete,
scegliete un argomento che sia adatto alle vostre
forze: osservate il peso che le vostre spalle pòssono
portare, e quello, invece, che rifiutano di portare.
Quando voi avrete ben capito l argomento, le pa;
role per espiìmervi verranno senza sforzo (1).
(1) Generalmente oggi prevale l’uso di offrire ai giovanetti una sen-
tenza da svolgere, ove si tratta di virtù civili, sociali, patriòttiche, o di
argomenti educativi e morali. Dimostrare che, eco. Il giovanetto che deve
tare venti o trenta righe di così detto ragionamento, comincia di sblito
con un, verìssima è la sentenza espressa nel tema, e dice verìssima anche
se non è convinto. Poi raccatta qua e là pensieri dal Mazzini, dal Pèllico,
dallo Smiles, dal De Amicis, se pure non li còpia; e li cuce insieme come
può; con la lògica dei ma e degli e, spesso mettendo il ma disgiuntivo,
dove val’e congiuntivo, e viceversa. Dopo aver fatto il suo ragionamento,
8pesso vione all’esèmpio ; ed è raro che non compaia la solita famìglia,
compostà dei soliti tre o quattro figliuoli, ai quali si attribuìscono avven-
ture e sentimenti inverosìmili, tanto perchè aiùtino alla dimostrazione.
E quando allo scolaro pare di avere dimostrato, conclude: Così resta
dimostrata la verità della sentenza, ecc.
Supponiamo il tema: Za ricchezza non rende l’uomo felice. E il giova-
netto crede suo dovere lodare la più cruda povertà; il pane conquistato
col sudore della sua fronte. La sentenza è vera, ma non conviene eccèdere.
La virtù è il maggior bene per l’uomo: e il giovanetto, con un’ enfasi
non sincera, tesse le lodi della virtù, ripetendo le Stesse cose, ritornando
a ricalcare una stessa idea.
Il dolore è un grande maestro : e il giovanetto desidera ardentemente
il dolore per potere avere questo grande maestro. Verrà purtroppo da sè
senza invocarlo!
Ebbene, osiamo dirlo con aperta parola: quest’àbito alla non sincerità
è sommamente pernicioso. Certe sentenze sono dimostrative di per sè. .
ovvero il dimostrarle bene richiede una sottigliezza di pensiero che non
è cosa pròpria delPetà giovane. Da ciò proviene quello scrìvere impao-
ciato, legato, grottesco, sì che pare che il giovanetto scriva in una lingua
non sua, e deriva il tèdio negli insegnanti che debbono corrèggere 0 ri-
vedere tanti lavori calcati su lo stesso stampo di falsità.
Se il tema è patriottico, e parla di doveri sublimi e di sacrificio, si ri-
corre alla storia. Ma, purtroppo, tanto la storia antica, quanto la contem-
porànea, sono scarsamente conosciute dai giovanetti. Per questa ragione
si sògliono ripètere senza sentimento, e con poco discernimento, nomi @
fatti erdici: le Cinque Giornate, i fratelli Bandiera, Giuseppe Mazzini,
San Martino, Solferino, i Martiri dello Spielberg..., dei quali fatti e pers0-
naggi i giovanetti hanno nozione sicura come dei Gracchi, della Battaglia
ati
Ma voi direte: i temi non li scegliamo noi. Ed io
vi_àuguro che vi siano dati temi adatti alla vostra
età e alla vostra intelligenza.
Vedete un po’ se questi temi, ad esèmpio, vi riu-
scirèbbero bene: |
Luigino si vergogna, trova scuse per non portare
a casa un grosso pacco che il babbo gli disse di an-
dare a prendere. — I buoni frutti della campagna, —
Descrizione di una bella cucina, — Ritratto di me
stesso,“— La vetrina di un pasticciere, — Quello che
avviene in un giardino fra il marzo ed il màggio, —
Il vecchio orologio a cucù, — Le lezioni che più vi
piacciono e vi interèssano, — La mia cameretta, —
I maestri di cui serbate qualche caro ricordo, — Le
malìzie degli scolari, — Nella guida & Italia (Bae-
decker, introduzione) fra i molti avvertimenti dati
ai forestieri, si tròvano queste parole: « Chiedendo :
stanze negli alberghi, converrà munirsi di pòlvere
insetticida onde cospàrgere il letto, la camera, le
vesti ». È detto che non v’ è paese del mondo in cui
— più di sovente occorra ullargar le mani per le mance,
di Legnano, che si introdùcono in altri temi. Non parliamo poi di temi
vanamente sentimentali che sarebbe discorso troppo lungo.
Questi temi svolti di maniera, sono cosa assai peggiore dei temi svolti
per imitazione e per tràccia, che sono tanto ripudiati da alcuni moderni.
Una volta usàvano molto, come avviamento, i temi per imitazione: rac-
oontini, anèddoti, fàvole. Oggi più non usa. Leggo in un libro scolàstico:
Voi potete riprodurre un racconto, un pensiero, un’'imdgine altrui; ma
se questo materiale non è entrato nel vostro spirito, non si è trasformato
dentro di vot; non è stato novamente rifuso e creato con tutti i carditeri
dell'anima vostra, voi non avete imitato, avete < copiato ». .
‘Ebbene, questa del copiare noir mi pare cosa grave. Soltanto questo ri-
fondere e creare con i caràiteri dell’danima pròpria, mi pare difficile, anche
perchè quest’anima è in via di formazione; ea è allora che si prende in
prèstito dagli altri, e si cuce con dei ma e degli e, con dei vuoti paroloni,
cioè con una retòrica assai brutta, anche se moderna; o almeno pari al-
’antica, quando dàvano per tema: Il discorsc di Coriolano a sua madre,
Ciare che passa il Rubicone, Annibale che scende in Itàlia..
MR. FRS
e che dopo aver dato una volta, conviene dare una
seconda volta. È detto che la mendicità è una delle
grandi piaghe d° Italia, sà per la crescente misèria
degli abitanti, sì per la generosità degli stranieri.
Queste elembsine non sèrvono che a conservare la
pigrìzia degli Italiani e conviene astenersi dall’ of-
frire soldi ai bambini. Liberarsi da tutti questi îim-
portuni con un segno o con la parola « niente ». Che
ne pensate ?, — Che vita felice conduce il mio gatto
di casa!, — Per una via deserta di campagna (di
notte), — I giorni della settimana, — Immaginate
alcuni dialoghie ragionainenti degli animali intorno
agli uòmini, — Il negòzio della fruttaiola, — Quali
libri avete letto? — Quanti difetti hanno i miei com-
pagni! (Tu vedi il fuscello nell’occhio del tuo com-
pagno, e non vedi la trave negli occhi tuoi), — Avete
mai osservato attentamente le formiche ?, — Il com-
pagno diligente dovrebbe èssere amato da tutti. E in-
vece? — Che babbo cattivo! Egli ci dice: io mangio
arrosto e voi mangiate i fagioli ; e non viceversa, —
Giudizi su la parsimònia della forinica, e la spen-
sieratezza della cicala, — Diario Ccuo vacanze di
Natale.
»
* *. : .
Il sentimento aiuta molto a trovare i pensieri e an-
che le parole. Sentite quali commoventi parole un
bambino dissé a sua mamma! Questo bambiro aveva
un agnellino ; e l’agnellino, come quasi sempre ac-
cade a questi innocenti animali, fu messo arrosto : ma
il bambino non ne volle mangiare affatto e disse : ;
« Ho conosciuto quegli occhi! »
Il bambino certo non sapeva di aver trovato parole
n —_— 9 —
belle e commoventi; ma le trovò perchè aveva sen-
timento. i
Il sentimento, cioè la prontezza a sentire generosi
> nòbili affetti, è una gran bella qualità dell’ animo; -
na sarebbe anche più bella se tutte le altre persone
ivèssero questa stessa qualità.
La verità è che questa qualità è piuttosto rara;
> quello che si trova così di frequente nei libri, spe-
‘ialmente dei ragazzi, o si ode nei discorsi, per cui
utti sono buoni, pietosi, generosi, disposti ad amare
l.pròssimo, a perdonare, ecc. ecc., non sempre è sin-
‘ero sentimento. Da questo sentimento non sincero
lisogna guardarci, perchè esso conduce alla falsità e
ffettazione' nello scrivere, e ci impedisce di vedere
‘ose .e persone per quello che esse sono..
Disposizione. ...
La disposizione consiste nell’ ordinare dene (1) le
dee raccolte.
Anche per la disposizione, come per l’ invenz zone,
\ci possiamo dare pochi precetti.
Tuttavia questi pochi avvertimenti pòssono tornare
itili. Essi sono:
I. — Entrare sùbito nell'argomento: spesso il
riovanetto s’ accorge del tema da svòlgere quando è
rerso la fine. |
II. — Non divagare in cose troppo estrànee al-
argomento; (stare al tema, come si suole dire).
(1) Questo dente vuol dire con logica, cioè con idee giustamente colle-
tate con proporzione, con òrdine.
II. — Trattàndosi di tre ‘0 quattro pàgine di la-
voro, fissare una spècie di piano o disegno, cercando
la proporzione delle parti. (Si potrebbe, ad esèmpio,
méttere una figura grande al vero in un quadretto
di pochi centimetri ?)_
IV. — Distinguere le idee ed i fatti principali
dai secondari.
=
| V. — Passare per gradi, non bruscamente, da un
fatto ad un altro, da un’ idea ad un’altra.
VI. — Abbiate il coràggio di tagliare via ciò che,
dopo attenta lettura, vi pare inùtile ; evitate di ripè-
tere più volte le stesse cose e le stesse parole (£au-
tologia), ed è un difetto in cui si cade spesso. Do-
mandate a voi stessi: Capirebbe un altro quello che
io ho scritto?
VII. — State attenti alla collocazione delle pa-
role. Un semplice emendamento 0 trasposizione basta
a rèndere chiaro ciò che prima era oscuro.
EsbMpi: Appena gli parve ora da potersi presentare al cu-
rato, senza indiscrezione, vi andò. Ma poi il Manzoni corresse:
Appena gli parve di poter, senza indiscrezione, presentarsi al
curato, vi andò. Alessandro, lira vinse: meglio: L'ira vinse
Alessandro. Piede mai i muli in fallo non méèéttono, è un’ in-
versione falsa: Z muli non méttono mai il piede în fallo. La
mala collocazione di una parola può anche dare senso groi-
tesco: Biscottini per bambini col burro ; ti mando queste salsicce,
fatte con le mie mani di vèro maiale, e simili bizzarrie o ri
dicolezze. |
° VIII. — Non fate troppe paréntesi, o almeno non
troppo lunghe. Esse sviano dall’argomento. Quanto al
lunghezza del periodo, tratteremo più avanti (pag. 46
ma, come règola generale, il periodo brevè è consi
gliàbile al giovanetto perchè più facile.
n |
Nei periodi lunghi può accadere di pèrdere la di-
rezione dell’òrdine delle proposizioni (anacoluto).
Un mezzo materiale di cui può valersi il princi-
| piante, è quello di andare a capo a ogni periodo, così
ne vede la lunghezza.
IX. — L'aggettivo serve a dare il colore, la fiso-
nomia al nome o alla cosa, e si dice epèlelo. Lo stesso
si può dire dell'avvèrbio. Non buttate là una fila di
aggettivi come farebbe un cattivo pittore che stende
a casàccio diversi colori, e gran biacca, sperando
quasi che ne venga fuori il miràcolo di Apelle, il
quale scagliò la spugna e ne sortì la schiuma al morso
del cavallo. L’epìfeto va cercato con molta cura e
buon gusto, e spesso basta un solo aggettivo. I buoni
scrittori vi pòssono offrire splèndidi esempi. Un epi-
teto trovato bene ci fa quasi vedere una figura (1). Ma
non abusate troppo dell’ uso dell’ aggettivo (2).
. X. — Evitate di amplificare un concetto, tor-
nando a ripetere la stessa parola. Esèmpio: Era una
bella giornata, una giornata piena di sole, una di
quelle giornate ecc. Queste amplificazioni piàcciono
molto oggidi, ma sarà buon consiglio astenèrsene, o
almeno non abusarne.
n
XI. — State attenti al modo di ragionare, cioè
lla lògica. Vi porgo alcuni periodetti in cui la lògica
> sbagliata.
(1) Non se ne rècano esempi, perchè converrebbe portare tutto un
asso per sentire la bellezza e la forza di certi epìteti.!
(2) < Chi mette un aggettivo con un sostantivo per esprìmere un’idea
>la, è uno che scàrica le due canne della doppietta per ammazzare un
ccello solo. Ora.... Dio mio! scarìcano un intero fucile a ripetizione per
nmazzare un pettirosso ». PÀSCOLI. (Sentenza a posta un poco esagerata,
a vera!) . :
=
La péècora non è feroce, ma è un quadrùpede.
Gli uccelli volano perchè sono dìipedi.
Egli non ha bisogno di istruirsi perchè è ricco.
L’acqua è diàfana, dunque è liquida (1).
Il contadino pota le viti affinchè î prati non ina
ridiscano. —
Il sole tramonta e lo sùcchero è dolce.
Se l’uomo si mettesse le ali sarebbe un uccello.
Come la' terra gira intorno al sole così la luna
è tonda.
L'uomo è un eroe 0 è uno scellerato.
Giannetto dorme e stùdia la lezione.
L’oro è un metallo, dunque è prezioso.
La luna è un satéllite della terra e noi studiamo
il francese. | |
— Colei è bella, dunque è anche duona.
Il cielo è sereno e il piombo è pesante.
Questa bugia non reca danno a nessuno, dunque
è lècita.
XII. — Per quanto è possibile, cercate di èssere
brevi (2). Questo è un consiglio che anche Oràzio
dava ai suoi scolari. Badate però che per èssere brevi
non cadiate nell’altro difetto di non farvi intèndere,
perchè questa è la cosa più importante quando uno
scrive: farsi. intendere.
LI
XIII. — Spesso, però, il giovanetto teme di esporre
i suoi sentimenti perchè li crede puerili, comuni 0
(1) Qui la deduzione è errata: la liquidità non proviene dalla diafanità.
Allora anche il vetro sarebbe lìquido.
(2) « Non credo agli esercizi scolàstici. Ma voice li fanno, iò ne met-
terei uno di gènere nuovo: prèndere un autore italiano, di quelli gonfi,
- che non màncano, e ridurlo prima alla metà, poi a un quarto, ed infines
poche righe. Il componimento è esercìzio di amplificare: io metterei l’eser-
cìzio del restringere» (GIUSEPPE PREZZOLINI).
Pei
— 18-
volgari, e va « nel difficile, » credendo di fare meglio;
ma è un errore di giudizio.
XIV. — State attenti a certe frasi vive e discorsi
anche di gente del pòpolo. È anche un divertimento,
oltre che una ginnàstica di osservazione. Molti grandi
scrittori ebbero il pòpolo per loro maestro !
XV. — Spesso sentirete dire: « scrivete come
detta il cuore!» Ciò fu detto da Dante in una famosa
terzina.
. Io mi son un che, quando
Amore spira, noto, e a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
È una mAssima buona; però osservate che, per scrì-
vere come detta il cuore, bisogna averlo questo cuore,
nel senso- non fisiologico, ma nel senso popolare di
sentimento. Ma purtroppo molti hanno un cuore così
piccino che si sente appena, e v’è chi ha un sasso
invece di un cuore. Ma di questo abbiamo già detto
innanzi. Inoltre, il cuore è spesso come un cavallo biz-
zarro e balzano che domanda di essere guidato dalla
ragione. i
XVI. — E infine un ultimo avvertimento : impa-
rate a lèggere bene. È uno dei più ùtili esercizi. Non
soltanto le poesie, ma anche le belle prose sono mu-
sicali, e questa mùsica bisogna sentirla e farla sen-
tire. Lèggere bene vuol dire, leggere a voce alta,
forte, facendo ben suonare le sillabe, segnando il
temr.v delle pause, abbassando la voce, quando è il
e Pa Leggendo bene, direi quasi che si impara la
grammatica e la sintassi da sè, e si impara anche ad
amare la nostra lingua italiana.
.
— 14 —
Questo esercizio di lèggere bene è molto trascurati,
e spesso avviene che persone anche adulte si rifiì
tano di lèggere in pùbblico, dicendo: « Oh, io non s0
fare a lèggere! » i
Diamo qui un esèmpio di bellissima e sincera nar |
razione di uno che non fu scrittore, ma pittore. Aveva
però sentito, pensato, osservato. È Giovanni Segan-
tini che racconta un episòdio della sua fanciullezza
Avevo allora sei anni e vivevo con la sorella in ùn abbaino
. d'una casa in via San Simone (1). La sorella partiva alla mat
tina di buon'ora lasciàndomi qualche cosa da mangiare, e non
ritornava che all'imbrunire: anche gli altri inquilini del pis-4
neròttolo non li vedevo mai durante il giorno.
Le due camerette “che abitavamo avèvano due finestrine
molto in alto, sicchè io anche in piedi .su la tàvola non rie
scivo a veder che il cielo. Perciò non stavo solo volentieri; mifl
prendèvano spesso dei brividi di un’ indefinibile paura; ed a-f
lora scappavo per uno stretto corridòio che metteva gul pis
neròttolo della scala, là dove per una finestra quadrata poter
discèrnere una lunga stesa di tetti e di campanili, e, sotto, u
cortiletto chiuso e profondo che pareva un pozzo. A quelli
finestra stetti le lunghìssime giornate di molti mesi; e per w
pezzo aspettavo sempre il babbo, che m’aveva detto sarebbe
tornato presto: invece non lo vidi più. Nei giorni di piòggi?
o nei giorni di sole il mio ànimo era triste e rassegnato: noi
comprendeva ancora se questa esistenza potesse èssere lungi
all'infinito o se avesse sùbito un fine. Quando le campane delle
chiese vicine sonàvano a festa, mi si raddoppiava l'affanno ©
provavo come una tortura dell’ànima. Pensavo? Non so: mi
sentivo fortemente : soffrivo, ma non conoscevo il dolore.
Un giorno, non so come, mi trovai in possesso di una cerl
quantità di carta; credo fosse un libro: giocai qualche po’
quindi cominciai a stracciarla in pezzetti, sempre più minut+
mente, come tante falde di neve.
1) Oggi Cesare Correnti (Milano).
— 15 — ù
E mi venne Un'idea. Fàttomi alla finestra del pianeròttolo,
incominciai a gettare la mia provvigione giù nella corte. Que-
‘sto giuoco mi piacque. Quelle bianche cosine danzàvano e tur-
binàvano nell’ària, s'appoggiàvano mollemente ai davanzali
delle finestre, calavan lente e gravi giù giù fino sul selciato,
come persone vive che temèssero di farsi male. Era già un
po'che mi trastullavo così, quando dal fondo scoppiò una voce
terrìbile d'uomo infuriato. Non comprendevo che cosa dicesse
.perchè non capivo ancora il dialetto; ma dal tono pensai che
forse il mio gioco non gli piaceva; e quando tacque e pàrvemi
che se ne fosse andato, mi affrettai a consumàre in un colpo
solo tutta la raccolta dei pezzettini di carta, che non era poca.
Una meraviglia! La nevicata si sparse per l’aria e nascose per
un momento il cortiletto. Mi feci mèglio al davanzale per go-
der lo spettacolo ed accompagnai la nuvolàglia danzante sin
al fondo del viaggio, quando scorsi un uomo con una scopa
. fra le mani intento a guardar in su dalla mia parte.
Doveva esser lui che poco prima aveva gridato; ma siccome
ora non diceva più nulla: ed anzi si moveva “per andàrsene,
ne dedussi che non ero stato io la cagione della sua fùria. In-
tanto qualche finestra si apriva sul cortiletto e si sporgeva
qualche testa a guardare, ed io provavo una certa qual com-
piacenza di esser stato l’autore di quello spettàcolo.
D'un tratto mi sento afferrare bruscamente per la cìntola da
una mano di ferro e sollevare, e rivoltar con la testa fra due
gambe, una morsa; e sento scèndere sui miei calzoni dei forti
colpi a tempo misurato e non troppo lenti. Poi quando fui depo-
‘sto a terra ed ebbi ripreso la posizione normale, pieno di làgrime
che non scendèvano e di spavento che superava la scottatura
delle botte, scorsi un uomo, lui, l’uomo della scopa, che fis-
sàndomi con due occhi tremendi, alzò la mano a riepilogare il
sonoro castigo in un'ultima minàccia, finchè poi, voltato a un
tratto il dorso, se ne andò gobboni borbottando (1).
Seppi più tardi che quel demònio era il portinaio,
.
(1) Si noti l’arte di questa narrazione il Segantini si mette nello stato
d'animo: in cui era a sei anni. -
aa 16 —
Elocuzione (lingua e dialetti).
L’ elocuzione è quella parte della retbrica ch
insegna ad esprimere con la parola 0 lingudàggio
in modo pròprio ed efficace, le idee. ;
Qui molte sono le norme che addèstrano la ment
del giovanetto a scrivere e parlare bene (1): le esporg
‘remo ordinatamente.
Ma prima di tutto diciamo qualche cosa della lingu
Lìngua è la parlata particolare di ciascun pòpolo
Lingua viva è quella che è paniataro e scritta tut
tora, conforme l’ uso.
Lingua morta è quella che fu parlata e scritta dagli
antichi: tale il greco antico ed il latino (2).
L’ italiano è /a nostra lingua nazionale » esso
parlato e scritto in modo presso che uguale da tuttef
le persone appena mediocremente istruite. Sàppis
inoltre il giovanetto italiano che le città italiane de
Venèzia Giùlia e della Dalmazia, specialmente Zaraf
Trieste, Fiume, Traù, sostènnero eroicamente controf
le’ minacce, le persecuzioni, le lusinghe dell’ Impero]
(1) Presso gli antichi, specie nell’evo-medio, uno dei principali ufficif!
della retòrica era l’imparare a scrìvere ornato: e questo serìvere ornate
serviva a distìnguere i dotti dal volgo. dé
--1 Questo scrìvere ornato spesso è gonfiezza e affettazione: e molti del
tempo nostro sono ornati anche senza studiare retòrica.
I veri ornamenti dello scrìvere sono la chiarezza, la semplicità, la bre
vità, e questi ornamenti voi li trovate in tutti i grandi scrittori di tuttif
i tempi e di tutti i paesi. Dunque sono veri ornamenti /
(2) TAangua artificiale: cioè creata ad arte con le radici di varie lingu
allo scopo, assai dùbbio e discusso, di potere comunicare con tutto Ìl
mondo. Tale oggi l’esperanto. Ma una lingua artificiale non potrà msi
produrre òpere d’arte. Lingue quasi universali scono quelle dei grandi pè
poli dominatori: tale fu un tempo il latino. Il Jatino fu ed è il linguAggi0?
universale della Chiesa Cattòlica; fu il linguAggio universale dei dotti dif
tutto il mondo.
_— 17-
d’Austria-Ungheria, la lingua italiana, perchè così so-
stenèvano la loro Anima. Il linguàggio è come l’ànima
di un pòpolo! È lo stemma della sua nobiltà! L’ita-
liano è parlato dai molti italiani emigrati nelle Ame-
riche. Negli scali del Levante l’italiano era una volta
lingua comune e ben nota.
Una società patriòttica, che prende nome da Dante
; Alighieri (1), cura la diffusione e l’ onore della nostra
cara lingua. Ma ogni italiano non dimèntichi che
essa è patrimònio sacro, ricevuto dagli avi, ed è
nostro dovere trasmètterla non diminuita nè cor-
rotta ai nostri figli e nipoti.
— Questa gloriosa lingua, che fu madre di civiltà per
l'Europa nel sécolo XVI, nacque dal latino, e perciò
è sorella di altre lingue pur nate dal latino, cioè dalla
lingua di Roma che dominò il mondo antico. Queste
| lingue sono perciò dette romane (romanze) o nuove
lingue latine (neolatine) (2).
Dialetto o vernàcolo è il lingudggio parlato
specialmente dal pòdpolo delle campagne in una data
regione d’ Itàlia. (Ligùria, Piemonte, Lombardia, Ve-
neto, Emilia, Romagna, Toscana, Marche o Piceno,
Abruzzo, Pùglie, Campània, Calabria, Sicilia, Sar-
degna).
Noi abbiamo il dovere di parlare in italiano; ed è
riprovèvole l’uso che le persone civili, specialmente
dell’ alta Italia, fanno dei loro dialetti.
Ma non per questo si dèvono disprezzare i dialetti,
anzi studiare e conoscere, perchè essi sono più antichi
(1) La Dante Alighieri fu ideata nel 1889 da italiani fuorusciti dall'À u-
stria. Il nome le fu dato dal poeta Giosue Carducci.
(2) Esse sono: l’ italiano, il francese, il provenzale, il catalano, lo spa-
gnolo o castigliaro, il portoghese, il rumeno, il romàancio 0 ladino, cioè la-
tino (parlato nel Friuli, e nel cantone dei Urigioni).
2. — PANZINI, Manual di Ectòrica.
e 18 o x
della lingua nazionale, la quale da essi provenne; €
perchè sono come la forza, la miniera, la conserva.
zione della lingua ialicna
I dialetti non sono regolati dalle grammaAtiche, non
sono usati generalmente nelle scritture : sono abban
donati all’uso del pòpolo. Però i dialetti sono vivi, forti,
efficaci. Vi furono grandi poeti che scrissero in dia
letto, come Carlo Porta, milanese; Gioacchino Belli,
romano ; Antònio Meli, siciliano ; Carlo Goldoni, v vene:
ziano, Pietro Zorutti, friulano, ecc,
Vi sono inoltre .i dizionari dei vari nostri dialetti.
Ma come, — direte — anche il toscano è un dialetto?
Col dovuto rispetto, sì. E vi spiego: fra i vari dia
letti, quello toscano (Firenze, Siena, Pistoia e contadi)
è il più vicino, per compiutezza dei suoni, al latino;
dalla Toscana, anzi da Firenze (1) quasi in un medè-
simo tempo (secolo XIV), provènnero all’ Itàlia i tre
nostri più ha scrittori, Dante, il Petrarca, il Boc-
càccio.
Essi, un poco per volta, sì impòsero con la loro
autorità ai dotti ed alle scuole, tanto che sino a pochi
decenni or sono, si diceva Iingua toscana per. dire
lingua italiana (2).
Regoliàmoci pure, come a modello delle frasi e delle
parole (Come sî dice?) su la parlata toscana, spéècie
nei casi dubbi, ma con discrezione; ma guardiàmoci
dal prèndere come gemme parole e frasi che sanno
di dialetto e di volgare, pure essendo cosa toscana.
Eccellenti scrittori, pur toscani, se ne astènnero, €
vòllero anzi tutto èssere italiani.
(1) Aggiungete poi l’importanza polìtica, guerresca econòmica, artistica
che ebbe Firenze in tutta Itàlia.
(2) In Romagna il pòpolo dice toscaneggiare non nel senso di affettari
modi toscani, ma di parlare in italiano.
MESE: RS
Ma anche gli altri dialetti non sono così discosti
dalla lingua italiana come può giudicarsi dai suoni:
Giàcomo Leopardi, che è uno dei nostri scrittori più
schietti, confessava che la sua lingua era quella della
natia Recanati (Marche).
Purità e proprietà. .
Quando noi parliamo o scriviamo, quello che più
ci importa è di farci capire bene, di èssere chiari.
Non è così? Ora come faremo ad èssere chiari? Cer-
tamente adoperando le parole ed i modi della nostra
lingua, e questa si dice purità; e secondariamente
chiamando le cose col loro nome sì che tutti ci in-
tèndano; e questa si dice proprietà.
— Purità e proprietà, ecco, dunque, le due doti in-
portantìissime del linguaggio, perchè da esse nasce
la chiarezza, la eleganza, cioè la bellezza, ed anche
la brevità.
Voi andate al ristorante... (Ecco una parola straniera, lo so:
alla Zocanda, si dice, o alla trattoria; ma, purtroppo, noi ab-
biamo il brutto vezzo di chiamare con parole straniere una cosa
quando è più elegante! Dunque rassegnatevi, anche di malavo-
glia, alla parola ristorante, che è accolta dall'uso). Qui il came-
riere in frac..:. (In marsina! Avete ragione: questo frac è una
vociàccia che non l’usano più nemmeno i francesi) il cameriere
vi offre il menu. ]
La Lista. È avete ragione voi; la Zisfa e non il menu. Noi
abbiamo la nostra parola, ed è'stolto usare menu. Anzi, il no-
stro Re ha fatto il possibile per togliere questa brutta parola.
Probabilmente, vedete, quel cameriere ignorava le lodèvoli in-
tenzioni del nostro Re.
Mi sono permesso questa divagazione per dimo-0
strare come spesso vi sia contrasto tra la purità e la
proprietà; e la proprietà, anche se si tratta di parola.
— 20 —
straniera, finisce con l’avere ragione su la puritd. La
gente poi di commèrcio e di aftari, non sta a badare
-- tanto per il sottile: adopera la parola dell’uso, o no-
stra, o straniera, o del dialetto, purchè sia nettamente
intesa, cioè pròpria.
— Ragioniamo ora della purità, e poi vedremo mbéglio
della proprietà.
Purità.
Si dice pura una parola quando essa appartiene
alla lingua nazionale.
Ma questa definizione non è completa. I vari lin
guaggi si aiutano scambievolmente ; e i linguaggi dei
_ pòpoli grandi e potenti mandano per il mondo le loro
parole.
Esempi: Poesia, RITA diàlogo, dramma, pol
tica, democrazia, geografia, filosofia, stratega, €
infinite altre sono parole greche. |
Giardino, rozza (cavallo magro, brutto), stocco,
borgo, strale, bicchiere, guerra, gas, snello, lan:
da ecc. sono parole tedesche (1):
Il don (2) ai preti ed ai nòbili, l’uso del Ze? ci venne
dal lungo dominio spagnuolo (sècolo XVI e XVII).
Ammirdglio, zero, zenit, alcool (àlcole), meschi
no ecc. sono parole àrabe, e potrei proseguire a lungo.
Ma voi usate queste parole come italiane: non è così?
Bisognerà, dunque, definire mèglio :
Una parola è pura quando essa è universalmente
(1) 11 latino ha dato al tedesco il linguàggio della filosofia e della legge;
cioò le espressioni della civiltà, ben altra-glòria che il linguàggio musi-
cale italiano, ricordato come vanto itàlico in tutti i testi di Retòrica! Le $
città marinare dell’evo medio hanno dato all'Europa le voci di commèrecio
e di banca.
(2) Don, da donno, latino dòminus = = fignore. Confronta donna da dè
mina = signora.
SR)
ricosciuta dall’ uso (che è « àrbitro e norma del par-
lare », come dice Orazio); quando ha esempi nei buoni
scrittori; quando è stata registrata nei dizionari
(Vedi, Il trattato) (1).
Ed ora veniamo ad un argomento più grave e diffi-
cile. Tutte le cose umane hanno lor morte — come
dice Dante; — perciò anche i linguaggi sono sotto-
posti ad una lentissima trasformazione. Orazio, sin da
antico, ci ha dato in proposito questo bel paragone:
Come verso il finire dell’ autunno cadono le foglie
delle selve, così cadono le vècchie parole, e le parole
nuove fiorìscono vigorose a modo di giòvani. Tutte
le nostre cose — dice anche lui come Dante — sono
soggette alla morte.
Vi sono, dunque, parole che càscano in disuso, 0
mùtano significato, o mudiono anche (queste parole sì
chiamano arcaismi = voci antiche): vi sono parole
che nàscono per significare le cose nuove (e si chia-
mano neologismi = parole nuove). Questo morire e
nascere delle parole viene regolato dalla conversazione
civile, dalla scuola, dagli scrittori, dai giornali, dal-
l’òpera anche del Governo; il quale essendo alfine,
come oggi è, Governo nazionale, ha o deve avere
sommo interesse perchè in ogni manifestazione (Par-
lamento, Esèrcito, Uffici) la lingua della nazione sia
rispettata ed onorata.
Ai tempi nostri moltissime sono le cose nuove, le
scoperte e le invenzioni, e perciò moltìssimi sono i
neologismi. Pensate quanti neologismi ha creato questa
terribile guerra (1914-1918)! quanti neologismi hanno
creato gli stessi soldati !
———
(1) I dizionari sono sempre in ritardo nel registrare. Nel mio Dizionario
Moderno (edizione Hoepli), oltre a molte parole nuove, riconosciute dal-
l'uso, fùrono registrate anche molte parole non nuove, ma omesse dai
comuni dizionari. ©
. nome della Francia) e molti di essi per la somiglianza
E,
N eologismi.
Come si formano i neologismi?
In vari modi.
« Le nazioni, come si giòvano scambievolmente coi
commerci e con le arti della civiltà, così non c’è ra-
gione al mondo che non si pòssano giovare anche
coi vocàboli, col mezzo dei quali si comùnicano vi-
cendevolmente quei beneficî. Ne segue come cosa
naturale che le cose trovate e inventate da un pòpolo
vàdano in giro col loro.nome di battèsimo e non lo
mùtino al confine » (1)..
Le parole delle corse e dei giuochi (sport) ci vèn-
nero dall’ Inghilterra (anglicismi); dell’automobilismo,
dell’aviazione, della moda, spècie femminile, ci vèn-
nero dalla Frància. Anche molte parole dell’ ammi-
nistrazione civile e della politica ci vènnero dalla
Frància, perchè questa nazione nel sècolo passato
ebbe un grande influsso su la stòria d’ Itàlia. Questi
neologismi sono detti gallicismi (da Gdllia, antico
delle due lingue, francese e italiana, sì sono vestiti,
per così dire, all'italiana, cioè hanno preso desinenza
e forma italiane, e per questa ragione sèmbrano parole
di nostra lingua (2).
(1) RIGUTINI, Elementi di Retòrica.
Dovrem forse aspettar che torni Dante
A insegnarci a chiamar la cioccolata,
Il the, la paladina, il guardinfante ?
SACCENTI (Dell’Arte Poetica d' Orazio).
(2) Un mezzo fàcile per riconòscere il neologismo di provenienza stra
niera è questo : d’mandare a se stesso: come direi in dialetto ?
Pur derivando dal francese e talora anche dall’ inglese, la etimologia,
cioè la origine della parola, spesso è latina, avendo questa gloriosa lìngui
generato — come dicemmo — le lingue neo-latine ed entrando in gran
parte anche nell’ inglese.
— 23 —
I neologismi della scienza, di cui soltanto pochi ap-
partèngono al linguàggio comune(telègrafo, dinamite,
telèfono, ecc.), sono quasi tutti formati dai dotti con
l’aiuto della lingua greca. Essa è antichissima e me-
ravigliosa lingua, che diede e dà il battèsimo a tante
cose nuove; e sono parole universali dia nota al
capitolo Doppioni, pag. 49).
Molti neologismi nàscono dal pòpolo; oppure è una
voce del dialetto che sale a galla, ed è accolta nella
lingua nazionale. Qualche volta è una parola antica
che prende un nuovo senso.
Qualche volta è anche un dotto, un flosofo, un
poeta che crea qualche parola nuova (1).
Avvertenza: non tutti i neologismi sono destinati
a lunga vita: molti hanno vita breve, specialmente
quelli nati dal mutèvole gergo della moda e anche
dei costumi politici. |
‘ Diamo qui un lungo elendo di neologismi, e sarà
ùtile esercizio distinguere la loro vària provenienza
ed origine, spiegarne il significato.
EsBMPI ED ESERCIZI SUI NEOLOGISMI: Fotografia, psicologia,
sanatòrio, idroterapia, ferroviere, pùttino, fonogramma, tranvai
(tramvia o tram, abbreviazione dell'inglese framway), antro-
pologia, socialismo, travetto, siluro, torpèdine (ordigni esplosivi
| natanti, dal nome di pesci), darricata, ballottàggio (secondo scru-
tinio), aviazione (avis = lat. uccello), corazzata (nave), forpe-
diniera, bicicletta, motocicletta, gabinetto, autombdbile, laburista,
mattonella (gelato), dinamo (màcchina elèttrica), telefono, mo-
noplano, biplano, burocrazia, tramviere, scartòffia, rivincita,
cinematògrafo, isolatore (sopporto per isolare dalla terra un
(1) Esempio. Estètica (la scienza del bello), voce coniata da Baumgarten
(secolo XVIII); Socialismo, voce, pare, coniata da Pietro Leroux (1835);
muattdide (che ha apparenze di matto), Lombroso; Velìvolo (aeroplano),
D’Annùnzio; Sociologia, voce usata da Augusto Comte per indicare il modo
come si organizza la umana società. Dante pure creò non poche parole.
suo -—
dd
conduttore elèttrico), garantire, giornalismo, articolo, soffietto,
impiegato, locomotiva, locomòbile (macchina fissa), percentuale,
ristorante, ritardatàrio, teppista, camorra, alpinista, màfia,
transatlàntico, umorista, antisepsi, carrello, dinamite, mitra-
gliatrice, tubercolosi, estètica, neurastenia, ghigliottina, gas (1),
equipdggio, elettricista, bazar, sofà, draga (cavafango) il trico-
lore, valzer, operetta, polca, vandalismo, grossista, quotare (as-
segnare il valore), ràncio, etichetta, budino, nord, sud, est,
ovest, cassaforte (forziere), sigaretta, toscano, virgìnia, collut-
tazione, vermut, massacro, miseràbile (sciagurato), monopòlio,
agitazione, turlupinare, normale, prevenire (avvisare), ardito,
(fiamme rosse, fiamme nere), alpino, incidente, sanzionare, 8uc-
cesso, insuccesso, risorsa, brindare, bissare, situazione, allarme,
inquietante, organizzare, intransigenza, cotoniere, setificio, co-
tonificio, ecc., montura, grissini (pane a fòggia di baston-
cìni, Torino), silo (fossa da grano o foraggi), sirena (specie di
tromba o fischio acùstico), grdfico, spostato, stabilimento, mas-
soneria, mistificare, massdggio, cabotàggio, trucco (inganno),
marionetta, marmellata, rosbiffe, bistecca, ponce, bivacco, di-
staccamento, marciare, ambulanza, militarizzare, mobilitazione, |
battaglione, motore a gas, macao (giuoco d’azzardo, dal nome
della città di Macao), înìzio, iniziale, iniziativa (latinismi), mo-
.gzione (proposta), radicale, liberale, legalitàrio, legislatura, le-
gislazione, coalizione, destra, sinistra, ordine del giorno (cose
da trattare ?), colpo di stato, collègio elettorale, interpellanza,
inchiesta, amnistia, litografia, stereotipia, fototipia, eliogramma,
appannàggio, abrogare, latitante, coatto, nichilista, bolscevico,
socialdemocrazia, estremista, boicottare, debutto (princìpio, prima
comparsa), blindare, blocco, bloccare, furgone (carro chiuso), in-
tervista, squalificare, rubinetto (chiavetta), sciovinismo (cam pa-
nilismo ?), moto-aratrice, telefèrica, avanzata, camminamento,
‘offensiva, contro-offensiva, sabotaggio, sabotare, silurare, idro
volante, aeronave, sottomarino, futurismo, ecc.
(1) Voce creata da Van Helmont, belga, nel 1600 (dal tedesco Geist - = [I
spìrito).
a
Neologismi ritenuti cattivi
‘e barbarismi.
Questi che abbiamo trascritto e moltissimi altri
sono neologismi, più o meno recenti: molti di essi
sono registrati dal più autcrèvole diziònario italiano
(La Nuova Crusca) e molti sono confermati dall’uso,
perciò sono dai più degli italiani ritenuti OSGSLS.
buoni, perchè necessari.
I Puristi. È bene però sapere che se anche con-
fermati dall'uso, non sempre tutti i neologismi sono -
accettati da coloro che desiderano che la lingua ita-
liana conservi, quanto più è possibile, la sua indole
e, per così dire, la sua fisonomia. Costoro sono detti
puristi.
A giusta ragione i puristi condànnano quei neolo-
gismi che non sono strettamente necessari; che sono
adoperati per ignoranza della pròpria lingua, o per
stolta vanità di parere più eleganti usando parole fo-
restiere. E questo pur troppo è un gran brutto vizio,
non del pòpolo, ma delle classi ricehe e mondane.
Brutto vizio, perchè rivela mancanza di dignità na-
zionale !
Certo questi neologismi non buoni o meno buoni
rtano via la vita, cioè méèttono fuori dell’ uso altret-
te parole italiane che hanno un significato uguale
quasi uguale. Ma basta questo piccolo quasi, basta
forza dell’ uso perchè le buone norme dei puristi
no tenute in piccolo o nessun conto. La stessa bre-
della parola neològica (nuova) è un motivo per
ere essa prevalenza su la parola italiana.
er esèmpio noi diciamo assegno bancàrio; ma
"uso, molti dicono check (inglese).
CoD
Nell’ uso pràtico di questa tumultuosa vita moderna
io credo che, gli stessi puristi si troverèbbero nella
riecessità di adoperare molti di quei neologismi che
in teoria dicono. non essere necessari. si
Eceo tuttavia un elenco di neologismi che con un
poco di buona volontà si dovrèbbero evitare, perchè,
o sono deformi ovvero hanno il loro equivalente in
italiano : di |
EseMPI ED ESERCIZI: Timbro (sigillo), mondo (tutto il mondo
per tutti, il mondo elegante per il ceto, la società, la gente ele
gante), demolire(in senso morale per denigrare, rovinare), scul-
tore în legno (intagliatore), coperto (posata), espletare (compiere,
sbrigare), capo d’òpera (capolavoro), pantaloni (calzoni), rim-
piazzare (sostituire), piazza (posto), blusa, blusetta (camìcia 0
camicetta), blonda (trina di seta), firetto (cassetto), lingeria
(biancheria), emozionante, flacone, griglia (persiana), cotoletta
(costoletta), al dettàglio (al minuto), bordo (orlo), lasso di tempo
(spazio di tempo), bonetto (berretto), carta (biglietto), azzardo
(rischio: ma e la espressione, giuoco d'azzardo ?), razzia (retata,
ma nel senso di rapina con incursione?), drendggio, tampone
(stuello), mussare-(spumare), /’ indomani (dimani, il dimani, il
giorno dopo), civilizzare (incivilire), perméttersi (arrogarsi, ar-
bitrarsi, tarsi lècito, prender la libertà di), deragliare (uscire
dalle rotàie), controllare (verificare, riscontrare, sindacare), pre-
venuto (accusato, imputato), chiaro di luna (lume di luna),
preoccuparsi (darsi pensiero?), salvietta (tovagliolo), affittare
(prèndere in affitto, mentre vuol dire soltanto, dare in affitto),
modìfica, moltiplica, verifica, bonifica, ritenute brutte abbre-
viazioni (1). |
(1) La lìngua francese tende ad abbreviare le parole troppo lunghe (aus
=qautomòbile, tari = tarimètre, aero = aerodrome, ecc.
L’ italiano, lingua più vocale ed artìstica, non si presta bene a queste '
abbreviazioni; però se osserviamo le parole dei vari dialetti, vedremo che ,
la tendenza generale è di troncare le parole, cioè abbreviare: ca = casa,!
pa= papà, be = bere, magnà = mangiare, ecc.
Spesso la parola è italiana, ma l’uso è francese. Esempi. Miraggio (il-
lusione), talento (ingegno), toccante (commovente), miseràbile (abbietto,
mentre in buon italiano vale, sciagurato, degno di pietà), articolo (oggetto
_ 27 _-
Non sempre però le parole straniere si sono potute
travestire all’ italiana: molte parole straniere hanno
conservato la loro forma originària, con quella desi-
nenza in consonante che è così diversa dalle parole.
nostre. Molte di queste parole prettamente straniere
sono usate per vizio: qualcheduna però si può diffi-
cilmente sostituire; qualche altra acquistò forza per
effetto dell'uso.
ESEMPI ED ESERCIZI: Consolle (mènsola), buffet e buffè (cre-
denza? rinfresco? caffè ?), bar (mèscita), breloque (ciòndolo),
crochet (uncinetto), contratto à forfait (a rischio e pericolo),
kulm (cima, vetta), Xrem o cren (erba forte, ràfano tedesco,.
barba-forte), sport e suoi derivati (i), huditué (frequentatore),
kursaal (casino), alpenstock (bastone da montagna o alpistocco),
hétel, menu (lista), paltò (fatto italiano come comò, ragù, ca-
barè, burò), bonne (bambinàia), consumè (fr. consommé, brodo),
foot-ball (fut bol, gioco del calcio o càlcio, antico giogo fioren-.
tino), tennis (pallacorda), dessert, tender (carro di scorta), ou-
verture(nel linguaggio musicale, diverso da sinfonia e prelùdio),
attaché (addetto), pendant (riscontro), lunch (colazione), frac
(marsina), gilè (gilet, sottoveste o panciotto), réclame (difficil-
mente sostituibile da grido, richiamo, stamburata), toilette (fatto
spesso-italiano in toletta o feletta), garden-party (festa in giar-
lino), check (assegno bancàrio), coupon (cedola, tradotto anche
in tagliando, cupone), atterrare (scèndere a terra dei dirigì-
ili o aeroplani), record, parvenu (2) (arricchito, villan rifatto),
‘aid (corsa, incursione), brum (carrozza chiusa?), Zandeau,
‘harrette (carrozzella ?), vis-d-vis (dirimpetto, e nel senso di
rettura ?), tunnel (traforo, galleria), referendum (referendo ?),
critto di giurnale), effetto (cose, oggetti, cambiali), armata (esèrcito) sa-
rificio (rinùncia, seccatura, pena, nòia), sortire (uscire), ritirata (latrina,
esso), travdglio (lavoro), in italiano vuol dire affanno, dolore, fatica, do-
ere (Compito di scuola), flero per orgoglio.
(1) A_propòsito di sport (che etimologicamente vuol dire diporto ed è
itraducIbile) v’ è chi propone ludiginnastica; ma chi l’usa? l giòvani non
mòrano, purtroppo, l’abuso delle voci straniere nei giuochi di corse e
ì gare.
(2) La gente nuova e i sùbiti guadagni (Dante). La Guerra ha oreato
iche la parola nuovo ricco, dal fr. nouveau riche.
entrati nell’ uso:
. nòscono gli amici. (Gli amici si conòscono nelle sven*ure).i
SER. PA
reporter (riportista), ferry-boat (pontone? ma è già un franc
sismo. Altri propone, pontenave), hinterland (retroterra), cli
(cìrcolo, casino), camion, cabarè (vassoio), yacht, sky, chau
feur (meccànico, conduttore di automòbile), tourisfe o turis
e turismo (viaggiatore, viàggio per diporto), atelier (officin
laboratòrio, studio), défilé (sfilata), boudoir (salottino), souveni
(ricordo), tirebouchon (cavatappi), buli-dog (cane toro o dot
abrégé (sunto, compèndio), brochure (libro legato alla rus
ca?), plafond (soffitto), parquet (pavimento), stop (punto, ne
dispacci), ecc., ecc.
Vi sono poi alcune parole e costrutti così bàrb:
che l’usarli indica rozzezza ed ignoranza.
Esempi: Vengo di lèggere (ho letto, ho terminato di lègger:
si va a cominciare (si comincia, si sta per cominciare), de‘
nare il nome (dire il nome), guardare il letto, prèndere piaz
(prender posto), piatto (volgare), fantomdàtico (fantàstico),
bido (ammalato), ecc., ece.
Si riprèéndono come modi e costrutti alla france
i seguenti ; benchè alcuni, come in per di, fortement
Man mano (di mano in mano), poco a poco (a poco a por
uno ad uno (ad uno ad uno), cravatta in seta (di seta), pui
in ferro (di ferro), uova al burro (col burro), bistecca ai fe
(su i ferri o in graticola), sacco a pane (da pane), insieme
(insieme con), /avorare all’uncinetto (con l’uncinetto), farsi:
dovere, coprire una carica, sforzarsi a fare (di fare), cartai
bollo (bollata), l’uomo il più bello (l'uomo più bello o it $
bell’uomo), al di Zà del fiume (di là del fiume), parlo per pri@
(parlo primo o il primo), festa da ballo, biglietto da vis
messa da rèquiem (di ballo, ecc.). È nelie sventure che sit
spettivo (nelle frasi come, rutftì andàruno alle rispettive star:
alle loro stanze) (1). Turno, aspettare il pròprio turno (voll
La parola è ell’onorevole, per: deve parlare, o: ora parli,
(1) Si noti però che spesso alcuni barvarismi o voci interamente &
niero sono usate anche da buoni scrittori, per ragioni di evidenza:
im 99
Concludendo. Molti di questi neologismi non buoni,
sì pòssono scusare per la loro necessità: ma moltis-
simi fra essi sono adoperati per incùria, per lezio-
| sàggine di falsa signorilità, per mancanza (è bene
ripetere!) di dignità nazionale.
Giustamente, in tale caso, sono detti dbardarismi (1),
perchè prevalendo, finiscono con l’imbarbarire la
lingua. Il giovanetto deve cercare, per quanto può,
di evitarli. La pedanteria nella scuola non è un male!
Arcaismi.
Arcaismi: le parole che oggi non sono più usate,
si dicono arcaismi (parole antiche). È necessàrio co-
nòscerle per chi vuole studiare i grandi nostri scrit-
tori dei sècoli passati, specialmente del Trecento.
ESEMPI ED ESERCIZI di arcaismi affatto scomparsi: Dottanza
(timore), sirdechia (sorella), avvacciare (affrettare), chente (quale),
otta (ora), allotta (allora), sezzàio (ùltimo), ruga (strada), la sa-
lute (il saluto), suto (stato) (2), famiglia (servitù), cavelle (qual-
effetto. In tale caso il barbarismo ha una ragione d’arte. Vedi, per esem-
pio, quante parolette spagnuole mette il Manzoni in bocca del cancelliere
Ferrer! La gente ricca e di mondo, pur troppo, abusa di parole francesi
ed inglesi credèndole più eleganti. Ora uno scrittore che li vòglia rap-
presentare al vivo codesti signori, potrà usare tali barbarismi per èssere
secondo il vero.
È inùtile in un libro elementare discùtere se si può sostituire sport,
toilette, réclame, ecc.: Be timbro è o non è sigillo, se fraternizzare è o non
è uguale ad affratellare, 86 Si può dire o no, giuoco d’azzardo, progetto
di legge, ordine del giorno.
È un entrare in un labirinto da cui non si esce. Buona norma è cho
lo scolaro Si abitui, quanto più è possìbile, alla purità. Non si deve però
ecrèòdere nemmeno che lo scrìvere male in italiano dipenda totalmente
dall’uso di qualche parcla straniera e di qualche brutto neologismo. C° è
ben altro!
(1) I Greci chiamàvano barbari, quasi zòtici e mal parlanti, quelli che
non èrano di pura stirpe ellònica.
(2) Lol stesso si dica di certe forme verbali come vestuto avieno an-
— 30 —
che cosa), pascore (primavera), la comune, la costuma, pulcella
(fanciulla), frate (fratello), pràtora (prati), issa (ora), gibetto
(forca), mislea (mischia), villa (antico francesismo per città),
latino (fàcile, scorrèvole), magione (casa), peso (penzoloni), sanza
(senza), pistore (fornàio), soldano (sultano), imbolare (rubare),
fisico (mèdico), dacalaro (bacelliere, primo grado di dottore),
credenza (segreto), mercè (grazia), torneamento (torneo), orrè-
vole (onorèvole), arringhiera (arringa), chièrico (dotto), fran:
cesco 0 franzese (francese), mercadante, cittade, vertude, parato
(preparato), ferra (città), sendo (essendo), virtù (valore fisico),
bèrbici (pecore) atare (aiutare), se (= voglia Dio a e mol
tissime altre.
E così, poco si ùsano eziandio, laonde, con ciò sia che.
E così poco o nulla si ùsano oggi le enclissi: diìssegli, an:
dòssene, dardgline, fècesi, dii emmi (mi è), holli (gli ho),
fecionsegli, ecc.
Il linguaggio della poesia ha conservato, tuttavia,
certe voci antiche, come si dirà a suo luogo, e l’usof
delle enclisi: ma è pur vero che la poesia dei moder:
nissimi èvita le une e le altre.
Uno scrittore, però, che racconti fatti antichi e in
troduca personaggi e cose di altre età, può usare le
antiche denominazioni, allo scopo di èssere più prò
prio e più efficace. .
EsumpPi: Siniscalco (maggiordomo), drafo (orèfice), Zapidaro,
lettore (professore), studio (le prime università), disante, age
staro, tarì, fiorino (antiche monete), uomo di corte (giullare,
buffone), lanzo, lanzichenecco (soldato di ventura), galèa, go
leone, caravella (navi), colubrina (specie di cannone), connésta
bile (generale), celliere (guardaroba), legato (ambasciatore), me
dorno, ito, volsuto (voluto), fussi, aranno, rimàsono (rimasero), possi
(potuto), dicieno (dicevano), vennono (venuero), ecc., che pure hanno esem
in ottimi scrittori, e che tuttora sono vive nei dialetti i quali consèrvan
molte voci antiche.
— 831 —.
| sere (signore), madonna (signora), roba (àbito), faida (vendetta),
lucco (àbito maschile del Trecento, in Firenze), ilota, bargello,
| gonfaloniere, birro, ecc. ecc. E così certe parole greche e latine:
arce (rocca), urbe (Roma), delubro (tempio), clìipeo (scudo), vélite
‘(soldato romano armato alla leggera), peltasta (soldato greco),
trireme (nave), eféèbo, GrovinoMo), dèspota (signore), basilissa
(regina), occ.
Si avverta infine come alcune parole antiche cam-
| biàrono significato : saccente (già sapiente, ora sapu-
tello), cortigiano (già in buon senso, ora in cattivo
senso), tiranno (prìncipe, ora in cattivo senso), fa-
miglia (i servi, i domèstici di una casa) (1).
Solecismi.
La purità della lingua è offesa non soltanto dai
barbarismi, ma anche dai solecismi. Che cosa è un
solecismo ? Il solecismo è un errore di grammàtica.
In Soli, antica colònia greca dell’ Àsia Minore, gli
abitanti avèvano guastata la loro parlata mescolàn-
dola con quella del luogo; perciò sin da quei tempi
antichi si disse solecismo per indicare una parlata
guasta e scorretta. Il solecismo è, dunque, una . pa-
rola o un modo corrotto e guasto, nato o da trascu-
ratezza di gente mal parlante o da certe forme libere
dei dialetti, i quali vivono, come dicemmo, fuori della
sorveglianza della grammatica. Il solecismo nasce da
ignoranza, tanto è vero che quando vogliamo méttere
in burletta qualcuno come mal parlante, ripetiamo
certi grossolani solecismi. Fa come îo. Ho scritto ad
Ella. Venghi pure. Vadi sùbito fuori. Se io potrei,
(1) Carità (amore); Virtù (forza fisica); Drudo (amante); Satellite (guar-
dia); Gentile (nòbile); Parente (genitore). Vedi il bel libro di G1USEPP®
Manno, Della Fortuna delle parole.
pF
- 32 —
verrei. Ci dico che non è vero! (1) Gigino contra
fava © compagni. Ha mangiato un pero, un pesco?
Davvero ? Potiamo per possiamo, ecc.
ESEMPI ED ESERCIZI: Crederèssimo, dirèssimo, avrèssimo, po-
tette, ho potuto andare, si ha vergognato, andiedi, lodarò, an
detti, facci, dasse, stasse, volsuto, rifava, venghi, vadi, pòssino,
scrivèvono, suo (per loro), di questi (singolare), le pàgini, fare
gli andlisi, le fila, le grida (i bandi), abbuonamento, giuocavo,
cuoceva, cuociuto (2), tu sei molta buona, non fidarsi (non aver
(1) Ci per gli, le, è davvero orrìbile. Però si avverta che la forma let-
terària Zoro, a loro, è in tutti i dialstti sostituita da un’ùnica forma al sin-
golare: e i toscani dicono, nel comune parlare, gli non soltanto per Ze, ma
anche per a Zoro: e alcuni scrittori non tèòmono di usare questo g?i per
a loro anche in pulite scritture.
(2) Vedi la legge grammaticale sui dittonghi mòbili se, uo, che comu-
nemente si scòmpiano in e ed o quando su essi non cade l’accente.
NB. È inùtile avvertire che vi sono certe irregolarità grammaticali
che dònano anzi eleganza, Se sapute usare bene, e tuttora le usiamo, ed
hanno esempi nei buoni scrittori. Cosa credi di farmi, a me? (pleonasmo).
Te ne voglio dar tante da farti pentire. A me? (elissi).
Egli ed ella (per aferesi gli è la) sono comuni in Toscana, e quasi en-
trati nell'uso comune: Za dica, egli è tempo. Mi.hanno significato che vos
signoria illustrìissima mi voleva me, ma io credo che abbiano sbagliato
(bellissimo pleonasmo e felice sgrammaticatura messa in bocca dal Man-
zoni a Don Abbondîo).
Dio mi venne in mente anche a me (NIEVO).
Chi non sa come dolce ella sospira
E come dolce parla e dolce ride.
Famosi versi del Petrarca, in cui l'aggettivo sta per l’avvèrbio; e si
dice endllage, cioè scambio. Dante scrisse: Credo che 8’ era inginocchion
levato (altra endllage, cioè l’indicativo per il congiuntivo).
« Poco si tenne che ambedue non li uccise » (BoccÀccio). « Molta gente
vennero >, <« Ella è molto duono » (più comune che « ella è molto duona >,
e questa è costruzione a senso o apparente sconcordanza).
Che sotto l’acqua ha gente che sospira
E fanno pullular quest’ acqua al sommo.
(DANTE).
« Fiera matèria di ragionare ne ha oggi il vostro re data » (BoccÀccio)
e questa trasposizione si dice ipèrbato.
Dell’ anacolàto, parleremo nel capìtolo che tratta del Periodo.
Terminiàmo col ricordare che col nome di endllage 0 scàmbio, si giu-
st\ficano certi scambi nell’ uso dei tempi e dei modi, spècie del congiun-
tivo invece del condizionale che son frequenti anche in perfetti scrittori
: — 338 —
forza, coràggio, volontà, tengo fame, ho fame: napoletano), ma-
gazzeno, gli uovi, due pai, cinque mille, vossignoria sì sedesse
(si segga: siciliano). È
Andorno, gnene (glielo, gliela, ecc.), voi dicevi (dicevate), enno
(sono), mi’ (mio), poino (pochino), un (non), èramo (eravamo),
pole, vai (va), poi (puoi), noe (no): solecismi toscani.
Il Giùlio, così tanto, scherzare uno (minchionare, beffare uno),
fare il savio (esser buono), saper niente, più mèglio, esser dietru
a fare una cosa, scusar senza (far senza), stortato (storto), die-
ciotto, nonanta, dietro la strada (lungo), dare indietro (restituire),
vivere su la pensione, stare su l'albergo, ecc. solecismi lombardi
ed emiliani.
Sto ammalato (sono); mì son fatto un | cappello (mi son com-
prato); ho imparata la lezione a mio fratellino (ho insegnato),
solecismi romani.
Solecismi si rides considerare anche certi gros-
solani. errori di pronùncia, frequenti in ispècie nelle
terre lombarde e subalpine; mbllica, utènsile, àratro,
testàmone, 3àffiro rùbrica, règime, ecc.
Idiotismi.
Che cosa è l’idiotismo? |
Idiotismo (= cosa pròpria o privata) indica una
parola o locuzione pròpria e speciale di una lingua,
che dà la fisonomia a questa lingua e non trova
l’ uguale in altra lingua. |
Osservate : tutti i volti umani sono sìmili, ma non
uguali: tutte le foglie delle piante della stessa pianta
sono simili, non uguali.
« Renzo si immaginò che sarèbbero amiche e comari, venute a far cor-
tèggio a Lucia > (che fòssero). MANZONI, Promessi Sposi, II. < Non posso
esprìmere con quanto amoro ei fosse (sarebbe) ricevuto ». (MACHIAVELLI,
Principe, in fine). < Se noi avèssimo a còrrere insieme il pàlio, non so chi
delle due Si vincesse (vincerebbe) la. prova ». LEOPARDI, La Moda e la
Morte.
3. — PANZINI, Manualetto di Retòrica.
— 84 — —
Così è dei linguaggi. Per esèmpio, se voi, richiesti
se sapete fare una data cosa, rispondete : « Io me la
cavo >»; tutti capiscono; ma se dite a un francese:
Oh, je me la cave !, vedrete che non capirà.
L’ idiotismo, dunque, è la parola o la locuzione ca.
\ratteristica di una lingua.
Esunxei: Noi si fa, Darla vinta o di vinta, Mangiare il pan
pentito, Giocare a scaricalàsino, Farla in barba ad uno, Non
c’ è sugo, Ammalati non ce n’ è, Non c’ è che dire, Fare all’amore,
Il pòverobabbo (morto), Tutti si può mancare, Il dolce far niente,
Alla larga! Fare il mèdico, Il suo nome, se è lecito? Cammin
facendo, Non avere il becco di un quattrino, Essere aì verde,
Alzare i tacchi, Ricco sfondato, Correr la cavallina, Star fa- $
cendo, Mangiar la foglia, Camorra, Mafia, Teppista, Pantalone
paga, ecc. La mùsica stessa di certe care parole italiane, da
cui si svègliano come certe immdàgini, il modo stesso di collo-
care le parole nella proposizione si pòssono considerare come
idiotismi. Ne volete una prova? Traducete una poesia italiana
in francese. Sentirete che non ha più quel sapore.
Ma noi comunemente intendiamo per idiotismo
certe parole e anche locuzioni particolari, non
. della lingua nazionale, ma di un dialetto o di una
provincia che, senza accòorgercene, tanto siano abi-
tuati, frasportiamo facilmente nella nagnia nazio
nale. E ciò non sempre è bene.
In questo caso l’idiotismo si dice anita provin
cialismo, e non è sempre fàcile distinguerlo dal so-
lecismo.
_ Ogni provincia ha i suoi idiotismi,
EsRMPI ED ESERCIZI: Palta (fango), notes (taccuino), rdccolo
(paretàio, uccellatòio), bomboni (chicche), michetta (panino),
giandiia (cioccolatino), pollino (tacchino), il chiaro (il lume),
mantino (il tovagliolo) pusterla (seconda porta), ftrìfola (tar-
tufo), sgarzino (raschino), critico (pedante), angùria (cocòmero),
— 35 —-
tota,tosa(ragazza), tola(latta), tomate (pomidori), baggiane (fave),
cornetti (fagiolini), dusecca, pèrtica (misura agrària), cascîna,
| casèra, crescenza (specie di càcio dolce), risotto, agnellotti, mi-
nestrone, teppista, naviglio, verziere, galletta, (bozzolo), bru-
ghiera (scopeto), prestino (fornàio), bara (carro), cuffino (cuf-
fietta). Idiotismi lombardi e subalpini. x
Pizza, cottio (vendita del pesce), buono per bello e viceversa,
camorra, guappo, guaglione, caciocavallo, pròvola (càcio), moz-
. zarella (càcio dolce), paranza, strùscio (la visita dei sepolcri a
piedi, in Napoli, il venerdì santo), està, ciùccio (Asino), carteria,
cannolo (cannello), fiumara (fiumana), inquietitùdine (inquie-
tudine), stare (per èssere, es. sta ammalato), paglietta (AYYOERIO);
tenere per avere ecc. Idiotismi napoletani.
Caruso (ragazzo, manuale), accompagno (accompagnamento),
zàgara (fiore d’aràncio), mdfia, cassata (gelato) ecc. Idiotismi
siciliani.
Zucca (fiasco), avvisarsi (crèdere), diolca, tornatura (misure
di terreno), mdttera (màdia), /asagnolo (matterello), soma, ca-
stellata (misure di vino), tignoso (ostinato), ghRignoso (brutto,
antipàtico), canfino (petròlio), mortadella, tagliatelle, cappelletti,
| piada (specie di pane àzimo cotto sul testo), rola (focolare),
cappare (scègliere), bordello (ragazzo), far la pòlvere (dar la
polvere), anno (anno scorso), ecc. Idiotismi emiliani e romagnoli.
Polenda, pigna (gràppolo d’uva), pandio (fornàio), imbaffare
(insudiciare), affittare (prèndere in affitto, mentre vuol dire dare
in affitto), castro (porcile), infuriato (frettoloso), le meta, citto,
citta, cittino (bambino), mezzano (sensale), carnesecca (lardo).
Idiotismi di alcuni paesi toscani. Oserei mettere tra gli idiotisti
tutta una serie di parole e modi del dire di cui molti scrittori si
compiàcciono, come doventare, acchiappare (prendere), firùgolo, -
omo, în tralice (di traverso), staîì (imperativo per sfa), spiacci-
| care, noi si andava (andavamo) di buzzo buono (di lena) messi
(misi) ecc. e certa esagerazione nei diminutivi, negli accresci-
tivi, e certa insistenza nell’uso di particolari voci, belle e prò-
prie senza dubbio, ma che sanno di provincialismo.
Barba (zio), trabàccolo (nave), gondola, peota, burchiello (spe-
‘cie di barche) traghetto, calle, fondamenta, risi e bisi (riso -e
piselli), gastaldo (fattore), uccellanda, campo (misura di terreno),
lido, felze (copertura della gondola), gondoliere, bora (forte vento
— 36 —
di tramontana), caligo (nebbione), dindo (tacchino), fritole (frit-
telle), fegoline (fagiolini) baicoli dia sottili o biscotti) ecc.
Idiotismi veneziani.
Befana (Epifania), botte casa abbacchio (capretto),
supplì (frittelle, crocchette (?) di riso), fettuccine (tagliatelle),
ciòcie (sàndali), pupo, pupa (bambino), dbuzzurro (chi non è re-
mano), bùtfero (mandriano a cavallo), paino (elegante, quasi
pavoncino), gli stigli (le vetrine di un negòzio), pila (la pèntola),
sbafare (mangiare a spese altrui), bagarino (incettatore), ecc.
Idiotismi del Lazio (1).
Avvertenze sugli idiotismi. — Molti idiotismi
sono deformazioni e deviazioni delle parole, dovute ai
dialetti che si svolgono da sè, senza leggi di scuola:
da ciò il cattivo senso della parola idiotismo. Dèvono
evitarsi. |
Molti idiotismi indicano cose, costumi, uffici propri
di una città o regione o più regioni. Questi idiotismi
si pòssono usare, e con bella efficàcia, per esprimere
quelle cose e quei costumi. Molti di essi sono già en-
trati nella lingua nazionale. Distinguete i primi dai
secondi nell’ esercizio (2) a pag. 34 e 35.
L’ usare bene gli idiotismi non è cosa da tutti.
| Tanta varietà di parole, spesso uguali di senso,
spiace a molti: ciò, forse, a torto. Essa è una conse-
guenza naturale della vita vària, delle vàrie civiltà e
(1) Gergo. Sarebbe propriamente il parlare degli xìngari, vagabondi e
gente di malaffare, i quali per le loro poco pulite operazioni, hanno biso-
gno di parole che essi soli intèndono (Argot in francese).
Più generalmente per gergo si intèndono certe parole e locuzioni che
non èscono da una data classe sociale. I soldati hanno molte parole di
gergo: tagliar la corda, mdàfia (eleganza), scalcinato (male in arnese), cic-
chetto, caffè (rabbuffo) pignolo, pedante, ecc.
(2) Anche il distinguere l’ idiotismo dal solecismo e dall’arcaismo può”
èssere ùtile esercìzio; ma nel caso pràtico è cosa difficile. Per esèmpio
vadi per vada è brutto idiotismo, e nel tempo stesso è arcaismo e s0-
lecismo.
DIE: e
costumi che èbbero le città e regioni italiane, divise
per secoli in vart Stati.
Anche gli idiotismi toscani dèvono èssere usati con
misura, e non pigliarli per gemme preziose, perchè -
di Toscana.
-_
Proprietà.
. Dopo la purîtà viene la proprietà.
‘ Si dice proprietà quella dote dello scrèvere che
consiste nel nominare le cose col loro speciale e prò-
prio nome, o nell’ indicare l’ azione col suo speciale
e pròprio verbo.
Espmpi ED EsERcIZI : Il soldato ha il fucile, lo schioppo, l’ar-
chibùgio a spall'arm? L'ufficiale porta la spada o la sciàbola?
La chiesetta ha in fondo una spècie di cappelletta a semi-
cèrchio ed a volta.... Àbside. Quella parte della chiesa che
corre per il lungo fra i pilastri, come si chiama? Navata. E il
gran triàngolo marmòreo che sorge su alcuni palazzi, monu-
menti, chiese, come si chiama? Frontone. I Giapponesi sparà-
vano, inviàvano, spediìivano, lanciàvano contro i Russi bombe
o shrapnels? Ma che nome è questo? È il nome dell’ inven-
tore di queste bombe (non bbici/) micidiali: un ufficiale in-
glese. Gli ufficiali portano un ornamento di passamano con
frange, intrecciato all’impugnatura della sciàbola.... La dra-
gona. I soldati di cavalleria hanno un cappello peloso. Il col-
bacco. Ma è un barbarismo, colback. Le stazioni ove si compòn-
gono i treni merci si dicono.... di smistamento. Brutta parola,
lo so; ma è dell’ uso.
Quel ferruzzo appuntato delle fibbie come si chiama? Ar-
diglione. E la sommità delle spalle del cavallo? Garrese. E la
corda con cui si lègano le gambe dei bovini al pascolo ? Pa-
stòie. Quando un cavallo cade di colpo si dice.... Cader di
quarto. È più efficace dire: il signor conte era un nòbile an-
tico, o aveva tutti i quarti di nobiltà? La guglia si eleva,
sorge, sta, si slància? Un lago giace, o c’è? Il chirurgo ta-
®
.— 88 —
gliò il bugno con un suo coltellino o col bisturì ? La signora
stava in un bel /andeau.... Ma se è voce straniera! Le vèr.
. tebre hanno una parte rilevata, che si dice?... Apòfisi. Quei
chiodi ricurvi con due punte.... Ah, le cambrette! Ma è un
gallicismo! E quella casetta alla svizzera? Ah, uno chdle!
Mandami uno di quei dolci di lièvito che si fanno a Milano,
con entro il cedrato.... Un panettone! Come si dice il verso
del tordo? Zirlare. Squittire di che bèstia si dice ? Un quadro
formato di tre tàvole, si dice?... Trittico. E quel vasetto dove
stanno le òstie consacrate? Si dice pisside. Le parole sono
elencate, registrate, collocate nei dizionari? Come si chiàmano
quei cartellini con begli ornati che sono sui libri di una ricca
libreria ed indicano la proprietà del libro? Ex libris. Ma è un
latinismo! Chi corregge le stampe è correttore o revisore?
Vorrei parlare col direttore della tipografia. Lei vuol dire col
proto. È una frattura, o una contusione, o una distorsione, 0
una rottura della gamba? L'osso del petto si chiama? Sterno.
Della spalla? ScApola. E il pomo di Adamo come è chiamato dai
mèdici? Osso tirdide. E i due ossi dell’avambràccio ? L'esterno
si dice ràdio, l'interno ulna. Un pronto rimèdio contro un
veleno si dice antidoto o contravveleno. E quei rimedi che
tèndono a richiamare un male dall’ interno all’esterno, come
si chiamano? Revulsivi. E certi farmachi perigliosi? Eròici.
E quelli che si prèndono per conciliare il sonno? Ipnòtici.
E il bràccio di leva del pedale della bicicletta? Pedivella. Oh,
che brutta parola! E quelli che vògliono abolite le guerre, ma
vògliono la pace fra le nazioni? Pacifisti. Oh, che peggior pa-
rola! E quella parte della noce che si màngia, come si do-
manda? Gherìglio. Il ghèppio che cos’ è? Una spècie di falco
comune. Le uova cotte tra il sodo e il tenero, si dicono....? Baz-
zotte. E la crosta che si forma dopo una scottatura? Èscara,
dicono i mèdici. E quelle punte nere, sebàcee sul volto ? Acni
E quelle lentìcchie rosse? Efèlidi. Ma sono voci scientifiche.
Il tetto è coperto di émbrici, tègole, o coppi? Ma in Toscana
coppo vale vaso, òrcio, olla, dòlio. E tra queste parole quale
differenza passa? Di un musico antico dirò mèglio citaredo 0
chitarrista? E l’àbito nazionale dei Romani come era detto?
Toga. E degli antichi fiorentini? Lucco. E dei Giapponesi?
Kimono. Ma è voce straniera. E come si chiama il prete dei
— 89 —
Russi? Pope. Degli ebrei? Rabbino. E l’intromissione di un
veleno per una lesione o ferita? Inoculazione. E la cura del
sole? Elioterapia. E le cure dell’acqua? Idroterapia. E la cura
con un siero? Sieroterapia. E in commercio come. si chiama
il titolo di comproprietà di nn capitale sociale? Azione. E il
titolo di crèdito su le stesse azioni ? Obbligazione. Le antiche
feste del primo giorno di màggio che nome avèvano? Calen-
dimàggio. E anche oggi la festa del primo màggio degli operai
è chiamata talora con l'antica parola calendimàggio. Oh, che bel
nome! E quel piccolo uccellino che canta anche di inverno
allegramente gu le siepi? Scrìcciolo, Re di màcchia, Reatino.
Ed il fringuello canta o spinciona? Le lenzuola sono bianche
o di bucato? Il bimbo che vuol piàngere fa.... greppo. In Lom-
bardia dicono fa la bocca brincia, ecc.
La proprietà dei vocàboli è una dote dello. scri-
vere quasi più importante della purezza. La proprietà
è necessària per indicare con esattezza un oggetto;
cioè ha un valore tècnico, e ciò spiega perchè gli
uòmini di scienza o di affari non àbbiano riguardo
ad usare anche barbarismi o brutte parole pur di
esprimersi con precisione. E ciò fu già osservato.
E impossibile sapere tutti i vocàboli propri di cia-
scun’ arte, professione, mestiere; tuttavia il giovanetto
potrebbe acquistare bella conoscenza delle parole e
senza troppa fatica se, di-mano in mano, si abituasse
a notare in un suo libriccino e richiedere dai geni-
tori, maestri, è specialmente dal Dizionàrio, la spie-
gazione delle parole che incontra, e non sa.
I vocaboli propri chiàmano alla nostra mente le
cose e le persone come se le avèssimo sott’ occhio (1).
(1) Alcuni scrittori fanno ricerca di parole pròprie, rare, quasi preziose,
e se ne sèrvono con bellissimi effetti. Ma come in tutte le cose, non con-
viene abusare, giacchè ogni affettazione è difetto.
“ci Ba
Sinonimi e doppioni.
La proprietà dello scrivere ha grande aiuto nello
studio dei sindnimi.
Si chiàmano sinòdnimi quelle parole che esprimono
press’ a poco la stessa cosa od idea, cioè che esprì
mono le varie gradazioni di una cosa od idea ge
nerale (1). ‘
La lingua italiana è ricca (forse anche troppo) di
sinònimi, e il conòscerli ed usarli bene è cosa difficile.
Ne diamo qui un lungo elenco, mettendo qualche
cenno di spiegazione dove ci sembrò necessàrio, e la:
sciando il resto alla interpretazione del giovanetto:
ma avvertiamo sùbito che non sempre è fàcile pre:
cisare la differenza fra i sinònimi. |
EseMmPI ED Esercizi: Maestro, Professore, Precettore, Pe
dagogo.. :
Sotto la gràmola
Del pedagogo
Ròmpiti, cùrvati
Schiàcciati al giogo. (GIUSTI).
Maestro, però, è anche chiamato Cristo, Mazzini, Raffaello
(deriva dal latino magis = più, che vale più).
(1) Si chiàmano omòdnimi quelle parole che hanno serittura e suono
uguale o quasi uguale, o vàrio solo per l'accento, ma senso diversìssimo.
Esempi: canone (legge) e cannone; capello e cappello; cera e cera (volto);
coppia (due cose unite) e còpfa (abbondanza); dama e damma (femmina
del daino); sezione e sessione (seduta); Zazzo (acerbo, detto di frutta, con
le z dolci) e Zazzo (atto giocoso con le z aspre); mògio (tardo, avvilito) e
miòggio (misura antica di capacità), immolare (sacrificare) e immollare (ba-
gnare); convito e convitto; pinna (ala del pesce’ e pina (frutto del pino);
rétore e rettore; somma e soma; zana (culla, cesta) e zanna (dente del
cignale); rosa e réòsa, torre 8 torre (tògliere); canto (angolo) e canto (can-
zone); p$8ca (frutto) e pesca ‘il pescare); fe (pronome) e fe’ (tieni) e tè (bé-
vanda); cdpitano e capitano, sùbito e subito, séguito è seguito, pamico 6
panico, ànoora e ancora, ìîntima e intima.
l'a
Direttore, Prèside, Rettore (Rettore ‘magnifico, della: Uni-
versità).
Scuola elementare, Tecnica, Ginnasiale, Liceale, Normale,
Superiore, Politècnico, Glinica, Università.
Povertà e Misèria.
Deputato e Senatore.
Ministro, Presidente del Consìglio, Cancelliere.
Ambasciatore, Legato (del Pontèfice) Console.
Artigiano, Operaio, e Artista.
Giornalista e Giornalàio.
Schifo, Ribrezzo, Nausea. i
Osteria, Taverna, Bèttola, Locanda, Albergo, Ristorante,
Hotel. | se
| Cî (in questo luogo), Vi (quivi, in quel luogo).
Fodera (degli àbiti), Fèdera (dei guanciali).
Pèrdere, Smarrire.
Finire, Terminare (contiene “determinazione e precisione).
Cavallo, Destriero, Corsiero, Palafreno, Ronzino, Rozza, Al-
fana (voce antica), cavalla da cavalcare, animoso corsiero àrabo.
> Simulare (mostrare un sentimento che non si ha), Dissimu-
lare (nascòndere un sentimento che si ha).
Sonno, Pìsolo, Sopore, Coma (termine méèdico), Dormita.
Supèrbia, Alterezza, Alterìgia, Orgòglio, Presunzione, Am-
bizione. |
Ràncido, Stantio, Pùtrido, Fràdicio, Putrefatto, Corrotto»
Regno, Impero.
Reale, Regale (poètico), Réègio (di re, le règie truppe).
Abdicare (di re), Rinunziare, Diméèttersi.
Terrore, Timore, Paura, Spavento, Pànico.
Ròndine, Rondone (più grosso, spècie distinta affatto).
Incisivo (dente), Canino, Molare, Dente del giudìzio.
Dùttile, Malledbile.
‘ Romeo, Pellegrino.
Allocco == Barbagianni, Gufo incita più grande), Civetta.
Zimbello (uccello legato, e poi estensivamente per lusinga
e richiamo : gli uccelletti in gàbbia presso le reti).
Fioretto, Spada, Spadone, Stocco, Spadino, Sciabola, Scimi-
tarra,- Daga, Baionetta, Stocco.
Azione (titolo di partecipazione di un capitale), Obbligazione.
— 43 —
Avaro, Spilbreio (in piccole cose), Sòrdido (vi aggiunge
l'idea di sporcizia), Gretto (contiene l’idea di meschinità nello
spèndere: gli avari sono gretti, ma non ogni gretto è avaro).
Tirchio, Pìirchio (avarìzia volgare).
Vile, Vigliacco, Pusillo, Timido.
Arso, Àrido (contiene l'idea della sterilità), Adusto, Secco.
Violenza, Prepotenza, Sopraffazione.
Infànzia, sica Adolescenza (sino ai vent'anni), Giova-
nezza.
Nave, Vascello, Trireme, Galera o Galea, Brigantino, Pi-
ròscafo, Barca, Battello, Palischermo, Trabàccolo (regionale),
Paranza, Cutter (?), Bucintaro, Yacht (2).
Barba, Barbetta, Basette, Baffi, Barbigi, Pizzo, Moschetto
| (quando il pizzo è piccolo).
Trapano, Trivella, Succhiello, Sega circolare.
Sbarbato, Imberbe, Glabro.
Bàrbaro, Selvaggio, Barbaresco (delle coste d' Africa, dette
. Barbèria).
Pàpero e Pàpera (oca giovane), Oca.
Barbarismo (è delle parole), Solecismo (errore di sintassi,
sbàglio nei modi, nei gèneri, nei tempi, nelle coniugazioni,
nelle concordanze). .
Làcero, Lògoro, Consunto, Frusto.
Religione, Superstizione, Bigottismo. °
Gèmere (più tènue e fièvole di) Lamentarsi, Piàngere, Sin
ghiozzare, Far greppo, Guaire.
Cameriera, Fantesca, Camerista, Governante, SI Donuf
di servìzio, Domestica.
Negligente, Sbadato, Pigro, Ignavo (latinismo, inèrzia men:
tale e sciocca), Apata, Indolente (pigro per amore di òzio e per
poco sentire).
Grazia, Garbo, Leggiadria (nei movimenti), Eleganza (con
tiene idea d'arte)
Rivoluzione, Rivolta (più limitato), Tumulto (voce stòrica
e clàssica), Agitazione (neologismo), .Sciòpero (1), Ribellione, E
(1) Aggiungi le due varietà, barbàriche anche nel vocàbolo, di ostruzie-fi.
nismo e sabotaggio (che letteralmente vale come l’acciabattare, cioè fari
male per dispetto).
— 43 sr
(l'atto delle persone), Ammutinamento (dei marinai, guàrdie,
soldati), Sommossa, Sollevazione (quasi il primo atto della ri-
bellione), Insurrezione (sudditi contro i governanti), Sedizione
(discordia armata tra cittadini), Pronunciamento (spagnolismo,
ribellione di capì militari conintento polìtico). Quando Luigi XVI
udì che il pòpolo di Parigi correva armato alla Bastiglia, vò!-
tosi al duca di La Rochefoucault, disse: Ma questa è una ri-
volta! — No, Sire, rispose il duca, una rivoluzione.
Aeronave, Aeroplano, Idroplano (Caproni).
Aerostato, Dirigèbile (Zepperino).
Cannone, Mortàio.. è
Accomàndita (società in), Anònima (società). Questa fa tràf-
fico per azioni; in quella i soci accomandanti rispòndono per
una determinata somma.
Tagliare, Tarpare (le ali).
Paese, Pàtria (tutti, o quasi, àmano il pròprio paese, pochi
la pàtria: oggi si dice francesemente paese per pàtria o na-
zione). |
Importazione, Esportazione.
Emigrazione, Immigrazione.
Avvocato, Procuratore. i
Italiano, Itàlico, Ìtalo (poètico), Italiota (greco venuto a
soggiornare in Italia).
Amico, Compagno, Sòcio, Collega, Camerata.
Onoràrio (per òpera liberale), Compenso, Salàrio (da sale,
mercede. agli operai o impiegati bassi), Stipèndio (fisso, annuo
o mensile), Provvigione, Competenza, Parcella (nota di quanto è
dovuto ad un professionista per un determinato lavoro), Propina.
Bùccia, Scorza, Gùscio (legnoso dei semi, calcàreo dei mol-
luschi o dell'uovo), Baccello o SUiqua, Mallo (delle noci o man-
dorle), Pelle, Membrana, Tegumento, Tùnica, Epidèrmide, Epi-
télio. | |
Melone (voce regionale, in Toscana popone), Anguria (voce
regionale, in Toscana cocòmero).
Ricco, Capitalista.
Pòvero, Proletàrio (1).
“ (1) Uno può èssere pòvero e non proletàrio, che oggi ha senso politico.
— 44 —
Atuto, Soccorso (ai dèboli), Assistenza (ai malati), Ausilio
(inùtile latinismo).
Ladro, Borsaiuolo, Assassino, Brigante, Bandito, Masna-
diere (in orìgine servo armato di un feudatàrio).
Bravàccio, Camorrista, Teppista (idiotismi).
Albero di trinchetto (a prora), di maestra (in mezzo), di me
zana (a poppa). Bompresso (che sporge a prora).
Grecale, Libèccio o Garbino (vento di sud-ovest opposto 8
grecale), Maestrale (quasi vento maestro, da nord-ovest).
Corazzata, Incrociatore, Avviso, Cacciatorpediniera. Sva (neo-
+ logismo della Guerra).
Mandante, Mandatàrio (sicàrio).
Causa (civile), Processo (penale).
Astrologia, Astronomia.
Libertà, Licenza, Socialismo, Anarchia, Nihilismo, Bolscevi-
smo (neologismo).
Matto, Mattdide (neologismo), Idiota (povero di cervello).
Pazzia morale (di chi ha pervertiti i sentimenti), Mattana
(tristezza, ùggia, irascibilità), Avere i grilli in o per il capo
(ghiribizzo, pensiero strano).
Palude, Stagno (senza emissàrio), Laguna.
Parte o) Partito, Setta (oggi ha mal senso), Fazione.
Ànimo e Anima.
Servo, Servitore, Domestico (da domus = casa), Cameriere,
Lacchè o Valletto, ‘Donzello, Maggiordomo.
Sentimento, Sentimentalismo.
Ridere, Sorrìdere, Ghignare, Sghignazzare (1).
(1) ° DOPPIONI.
Quando la gradazione di significato fra due parole è minima o nullo
affatto, non si dicono sinònimi ma doppioni (voce nuova.
Tali sarèbbero, Ape e Pècchia, Cacio e Formaggio, Gudancia e Gota,
Embrice (di forma piana) e Tègola (di forma tonda, che fuor di Toscana
si dice anche coppo), Verza e Cavolo, Bròccolo e Cavolfiore, Tortellini
Cappelletti, Lugàniga e Salsìccia, Sanguisuga e Mignatta, Matterello ©
Lasagnolo (non toscano), Pievano, Pàrroco, Arciprete; Prevosto (la varietà
Bpesso è cosa regionale), Mischiare e Mescolare, Sommissione e Sottomis-
sione, Grave e Greve.
Ma se per doppione si vuole pròprio indicare una parola inùtile, da
buttar via, tali veramente si vògliono intèndere quelle parole straniere
a — 45 —
— Educazione, Istruzione.
Giacchetto, Giubba, Tuùnica.
« Uguale, Simile.
Proposizione e periodo
(sintassi diretta e sintassi inversa).
— Se io scrivo: I giardini di Napoli sono pieni di
fiori in ogni stagione, dispongo le parole della pro-
posizione in un òrdine o (sintassi) naturale che si dice
diretta (soggetto, verbo, complementi).
Pi
che fanno disonesta concorrenza alle parole nostre, cioè fanno parere su-
pèrflue molte parole italiane.
ESEMPI: Cupone, Tagliando, Cedola. — Menu, Lista. — Frisore, Bar-
biere. — Marino, Marinàio. — Lingeria, Biancheria. — Cotoletta, Costo-
letta. — Bollito, Lesso. — Revolver, Rivoltelia. — Mussare, Spumare. — Cro-
chet, Uncinetto. — Vagone, Carrozza (questa è pròpria pei passeggieri). —
Corbeille, Cestello. — Salvietta, Tovagliolo. — Tender, Carroscorta. — Ci-
miniera (delle navi), Camino, fumaiuolo. — Enveloppe (disusato), Busta. —
Putrella, Longarina (trave di ferro). — Civilizzare, Incivilire. — Chéèque,
o check all'inglese, Assegno bancàrio. — Pantaloni, Calzoni. — Frac, Mar-
sina. — Consomè, Brodo. — Bebè, Bimbo, Mimmb, eco. ecc. À
Alcuni chiàmano doppioni certe parole che hanno fra di loro qualche
varietà di forma e di suono, ma esprìmono la cosa idèntica. Una delle due
parole — dìcono costoro — si deve buttar via, e ciò allo scopo di unifi-
care la lingua. L i
Tali parole sarèbbero ad esèmpio: Cuna e Culla: Mattina e Mattino,
Gidbvane e Giòvine; Rama e Ramo; Ammansare e Ammansire; Scandalo
e Scandolo ; Badia e Abbadia ; Burro e Butirro ; Cotesto e Codesto; Grem-
biale e Grembiule (Zinale, idiotismo); Impazzare e impazzire ; Impre-
stare è Prestare; Vibdttola e Viòttolo ; Sùcido e Sùdicio; Coltura e Cul-
tura; Danari e Denari; Staccare e Distaccare; Vigilare e Vegliare; Re-
capito e Ricapito; Tagliolini e Taglierini, ecc.
Ma molti crèdono che non sìano parole da buttare via, perchè concè-
dono varietà nel dire; e se anche fòssero supèrflue, bisogna pensare che
è come una ricchezza di mòbili e oggetti di antica casa patrìzia: ingom-
bra forse un po’; ma sarebbe disdoro farne getto. (*)
(*) Fra i doppioni alcuni consìderano i termini scient)fici, messi ac-
canto ai tèrmini volgari: lissa e rdbbia (canina); vescichetta e flittene;
mdnico e ansa; mal caduco e epilessia; macchie, espulsione, ed esantèma;
sangue dal naso e epistassi; lentiggini e efèlidi; raffreddore e còrizza;
livido e ecchìimosi, eco.
‘
ic
n ra etici i 7 ii iii in pi mr i e ii __l
*
+ -
— 4b —
Ma io posso anche scrivere: In ogni stagione pieni
di fiori sono i giardini di Napoli; e allora dispongo
le parole in un òrdine o sintassi che si dice inversa.
La lingua italiana permette una grande libertà di
inversioni. Sono più frequenti nella poesia che nella
prosa. ui |
Dante dice che il Conte Ugolino la docca solletì
dal fiero pasto. Usando la costruzione diretta, dovrei
dire : sollevò la bocca dal fiero pasto.
Non è più verso, lo so; ma anche se rimanesse
verso, l’ effetto sarebbe perduto.
L’ inversione, quindi, dà forza e bellezza ; ma dev:
venire naturale. Il giovanetto farà perciò bene ad at
tenersi più che può alla sintassi diretta.
*
* * =
Due o più proposizioni formano il pert0do, che vu
dire giro o cèìrcolo di proposizioni che formano u
compiuto concetto.
Il periodo deve èssere lungo o breve?
Non v’ è legge : scrivete come vi detta dentro. Perì
non dimenticate che il periodo lungo e ben fatto ©
molto difficile e domanda molta forza_di pensiero.
Dunque sono consigliàbili i periodi brevi.
Già sino da antico un grande filòsofo, Aristotele, ar.
vertiva che il perèodo deve èssere di tale grandezs0
da abbracciarlo con un’ occhiata.
Furono specialmente gli scrittori latini a dar
l’esèmpio di lunghi e maestosi periodi: e questo ess
potèvano facilmente fare, perchè la loro lingua co
permetteva. Non dovete però crèdere che i latini ei
i clàssici italiani scrivèssero sempre con lunghi p
riodi. Certo amàvano una certa ampiezza, che oggi no!
è più cosa comune.
— 47 —
A questo si aggiunga che noi moderni abbiamo
fretta in tutte le cose, anche nel leggere; e i periodi
lunghi domAndano attenzione e tempo.
Se voi infine mi domandaste : « È più bello un libro
con i periodi clàssici o un ltbro a periodini moderni
e brevi? », io vi risponderei che si tratta di diversa
bellezza; come paragonare un edificio antico, grave
e severo, con un’ àgile costruzione moderna. Tutto in
arte è bello se è fatto bene.
ESEMPI di perfetti perìodi di tipo ètlàssico : La regina adunque
con lento passo, accompagnata e seguita dalle sue Donne e
da’ tre Giòvani, alla guida del canto di forse venti usignuoli
e altri uccelli, per una vietta non troppo usata, ma piena di
verdi erbette e di fiori, li quali per lo Sopravvegnente sole
tutti s8' incominciàvano ad aprire, preso il cammino verso l’oc-
cidente, e ‘cianciando e motteggiando e ridendo con la sua.
brigata, senza èssere andata oltre a duemilia passi, ad un bel-
lissimo e ricco palàgio, il quale alquanto rilevato dal piano,
sopra un poggetto era posto, gli ebbe condotti (1).
Si osservi: la proposizione principale (fa regina —
gli ebbe condotti), stringe come un fermaàglio il lungo
periodo.
Amèlio filòsofo solitàrio, stando una mattina di.primavera,
co’ suoi libri, -seduto all'ombra di una sua casa in villa, e leg-
gendo; scosso dal cantare degli uccelli per la campagna, a
poco a poco dàtosi ad ascoltare e pensare, e lasciato il lèg- .
gere; all'ùltimo pose mano alla penna, e in quel medèsimo
luogo scrisse le cose che sèguono (2).
Anche qui, lo stesso; Amèélio, pose mano, e in
mezzo tutte quelle subordinate, espresse con gerundi
e participi.
Cai
(1) BoccÀccio: sono le sette donzelle e i tre gidbvani che si rècano al
palàgio, dove è la bella fontana nel bel giardino ove narreranno le cento
novelle del Decameron.
(2) LEOPARDI.
_ 48 —
O Italiani, io vi esorto alle stòrie, perchè niun pòpolo più
di voi può mostrare nè più calamità da compiàngere, nè più
errori da evitare, nè più virtù che vi fàcciano rispettare, nè
più grandi ànime degne di èssere liberate dall’ oblivione da
chiunque di noi sa che si deve amare e difèndere ed onorare
la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà |.
pace e memòria alle nostre cèneri (1).
Poi che fùrono passati tanti di, che | appunto èrano com-
piuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di que- f
sta gentilissima, nell’ ultimo di questi di avvenne che questa |
miràbile donna apparve a me vestita di colore bianchìssimo,
in mezzo di due gentili donne, le quali èrano di più lunga
età; e, passando per una via, volse gli occhi verso quella |
parte ov’io era molto pauroso; e per la sua ineffàbile corte-
sia, la quale è eggi meritata nel gran sècolo (la vita eterna),
mi salutò molto virtuosamente, tanto che mi parve aver ve-
duto tutti li tèrmini della beatitùdine (2).
‘Anacolùto, — Nella vivacità del comporre, ac:
cade spesso, anche ad eccellenti scrittori, di passare
da un costrutto ad un altro. È un errore di sintassi
che può riuscire a dare molta eleganza al discorso:
ina questo gènere di eleganza non è concesso che ui
grandi scrittori. Si dice anacoluto.
ESEMPI; Son cose da farle gli scherani e i rei ‘uòmini.
(Boccàccio).
Lei sa che » noi altre monache ci piace di sentir le stòrie
| per minuto. i (MANZONI).
Un religioso che, senza farvi torto, vale più un pelo della
sua barba che tutta la vostra. - (MANZONI).
Il Cardinale andando a far riverènzia al Papa, il Papa lo
srattenne tanto che venne l'ora di cena. © (CELLINI)
(1) FÒScOLO.
(2) Dante (suo incontro e saluto di Beatrice). N. B. Non si creda che
sempre gli antichi scrivèssero con sì ampi perìodi. Anch’essi usàvano p*-
rlìodi brevi e vivaci. È bene ripètere questa avvertenza. Gli sorittori del
Trecento sono vivi, freschi, naturali. Piàcciono sempre
ite tas
'
— 49 —
Lo stile (1).
t
Ed ora diciamo poche parole alla buona intorno allo
stile. Io sono certo che i giovanetti avranno inteso
nominare più volte questa parola stile, e si saranno,
forse, chiesti: Che cosa è lo stile? |
Diciamo intanto che stile (2) presso i latini indicò
da prima .un ferruzzo acuminato per incidere le lèt-
tere, press’ a poco quello che per noi è la penna.
Ebbene, immaginate, per un momento, che lo stile
sia appunto la scrittura, cioè il cardttere. Voi osser-
verete sùbito che la scrittura di una persona difficil-
mente è uguale a quella di un’altra. Un giovanetto
ha la scrittura non formatà; un uomo ha la scrittura
piccina, serrata, uguale; un altro scrive con grandi
svolazzi, lèttere maestose; un vecchio avrà, forse, la
scrittura tremante.
Ebbene, se avete capito questo, avete capito anche
che cosa è lo stile: è il cardttere morale della per-
sona che scrive (3) e che si manifesta specialmente
con la parola (4). i
Uno scrittore è allegro; un altro è melancònico;
uno pensa molto; un altro sì commuove davo
quando racconta casi pietosi; un altro si compiace.
di rappresentarci belle immagini, ma si commuove
poco. Uno parla sempre di sè, un altro diméèntica se’
stesso e rappresenta gli altri.
(1) Si aggiunge questo capitoletto intorno allo stile unicamente perchè
tale matèria è trattata in ogni testo: ma è dùbbio se, anche chiaramente
spiegato, l'argomento possa èssere utilmente inteso dai giovinetti.
(2) STYLUS, modus dicendi et scribendi.
(8) È rimasta famosa questa sentenza: Le siyle c'est l’homme méme
(BUFFON. 3
(4) Lo stile è cosa pròpria di tutte le arti: pittura, scultura, architet-
tura, mùsica.
4 — PanzINI, Manualetio di Relòrica.
+
— 50 —-
Torniamo ancora al paragone di prima, cioè che
lo stile sia la scrittura.
Certo, la vostra scrittura sarà diversa se prendete
in fretta e fùria alcuni appunti, se fate una brutta 0
una bella còpia, se scrivete una lèttera di molto ri.
guardo, o- due righe ad un amico. Non è così? Eb-
bene, anche uno scrittore, pur rimanendo sempre lui,
‘ sente il bisogno di variare il suo modo di scrivere se-
condo l'argomento di cui tratta. Mi valgo dell’esèmpio
dei Promessi Sposî. Agnese, Lucia, Perpètua, il Sarto
dei Promessi Sposi certo non pàrlano come il Padre
Cristoforo.
Ebbene, anche queste varietà di esprimersi in uno
stesso scritto si dice stile.
Aggiungo un secondo paragone dopo quello della
scrittura. Voi nel vestirvi adoperate àbiti dimessi
quando siete in casa, quando andate a qualche ritrovo,
usate i vostri àbiti migliori; ma questi abiti saréèb-
bero disadatti per una gita in montagna. Perciò gli
antichi, tenendo specialmente conto di queste varietà
di scrivere secondo la convenienza, distinguèvano lo
stile in Umile, mèdio o familiare e alto o sublime.
Però tenete a mente: anche vestendo a festa, il
vostro àbito darà indìzio di persona costumata, se ‘sarà
netto e sèmplice. E se siete ben formati di membra,
tanto più l’àbito sarà bello, quanto più si adatterà
alla persona. Se siete gobbi o storpi, anche con un
bel manto asiatico, sarete tali.
Torniamo ancora al paragone della scrittura e sarà f
per l’ ùltima volta.
Abbiamo detto che ogni scrittura è diversa da in-
dividuo ad individuo.
Ciò è vero. Però se io vi conducessi in una biblio-
teca e vi facessi osservare certi antichi manoscritti,
i
va bia
voi allora notereste che tutta una sèrie di manoscritti
ha come un’ària di famiglia. Ecco i caràtteri gotici.
Siamo nell’evo méèdio. Voi li distinguete bene, come
distinguete i cupi © scuri palazzi del tempo di Dante.
da.una civettuola villetta moderna; ecco i caràtteri
greci, àrabi, ebràici, romani: ed uu anche some un
| pòpolo àbbia un suo stile; come una civiltà abbia un
suo stz/e.
Gli scrittori ebrei della B?ìbbia sono sèmplici e nel
tempo stesso pieni di maestà e di strane e poètiche
immagini. Usano periodi brevi come versetti: stile
biblico.
Gli antichi scrittori greci èrano meravigliosamente
semplici, lùcidi, naturali: stile Attico.
Gli scrittori del Trecento (del tempo di Dante) sono
semplici, facili, puri, pieni di naturale eleganza: so
del Trecento.
Gli scrittori del Seicento sono o sfarzosi, gonfi, pieni
di comparazioni stravaganti (metàfore), ma pòveri di
. séntimento. I
« E gli scrittori moderni? »
. Questa è una domanda a cui sì risponderà bene da
qui a molto tempo.
Lo stile è, dunque, il cardttere di uno scrittore,
ed anche di una data età, e anche di un dato pòpolo.
Il giovanetto pensi a scrivere chiaro, preciso, breve,
con rispetto alla grammatica; e lasci lo stile a chi è nato
capace di diventare scrittore, cioè capace, per dono
di natura e per sua volontà, di fare òpera originale.
« Fare òpera originale vuol dire accuratamente, pazien-
temente, intelligentemente combinare » (Edgardo Poe).
PARTE SECONDA
POESIA
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PARTE SECONDA
Poesia
La Poesia ed il Verso.
Poesia e Prosa. — I componimenti letterari si di-
vidonòd in componimenti di poesia e IRSA,
di prosa (1).
La poesia (parola greca, che vuol dire « inven-
zione ») è dl lingudggio dell’ immaginazione e della
passione, la prosa è il lingudggio della ragione e
della riflessione.
Nei pòpoli giovani, cioè nel principio della loro” ci-
viltà, predòmina l’ immaginazione su la ragione, ed
è così spiegato perchè la poesia apparve prima della
prosa. |
La poesia per i pòpoli giòvani era anche esultanza
e gidia, e perciò si accompagnava con altre due arti
sorelle, la musica e la danza (2).
Il verso. — La poesia è formata di versi. Il verso
è una disposizione speciale delle parole che produce
un effetto musicale. [Questa mùsica del verso gènera
piacere e si imprime facilmente nella memòria].
(1) Questa divisione dei gèneri letterari sappiamo anche noi che è molto
relativa e- malsicura, ma conviene fare per opportunità di scuola.
(2) La poesia fu altresì definita dal FIGODETOI: la sommità del discorso
umano.
— 56 —
Il ritmo. — L'effetto musicale nel verso è pro-
dotto dal ritmo. Ritmo è parola greca che vuol dire
battuta o cadenza: esso è un fenòmeno dei più na-
turali, perchè segna i tempi ed aiuta i movimenti
della persona. Esempi: tre fabbri bàttono i martelli
sull’incùdine a ritmo 1, 2, 3; 1, 2,3; ecc.; i soldati
màrciano partendo col piede sinistro, e il sergente
règola il passo, dicendo 1, 2; 1, 2; 1, 2. A suon di
mùsica si cammina méglio. Si richiami a mente il
ritmo sèmplice della ninna-nanna.
I versi sono, dunque, periodi ritmici, cioè regolari
successioni di suoni (o battute) (1); e perchè, dopo
finito il periodo ritmico, si undava a capo, cioè si
voltava (vertere), così si dissero versi.
Versi italiani e loro leggi.
L’effetto musicale (o ritmo) nel verso italiano è pro-
dotto da due càuse:
1° da un nùmero semina di sillabe, ma che
vària secondo il gènere dei versi;
2* da determinate fermate (pause o pose) dell’ac-
cento sopra determinate sillabe.
A questi due elementi necessari del verso si ag-
giunge spesso la rima (che appunto vuol dire r2fm00).
. L’accento del verso. -- L’accento del verso si
dice accento rìtmico. Ogni parola — come ognuno
sa — ha il suo accento, che si dice fòdrico 0 gram-
maticale. L' accento ritmico coincide con l’ accento
tònico, se non che la voce insiste su la sillaba ac-
(1) Queste battute nelle poesie antiche si segnàvano col battèr dei piedi,
perciò erano dette piedi. Ogni battuta aveva un’ intonazione alta (arsî) e
un’intonazione più bassa (tesi).
but.)
— 57 —
centata in modo speciale. Spesso per farlo coincidere,
i poeti pòssono mutare l’ accento tònico delle parole,
e così Umile diventa umile; ocèano, oceàno ; pietà,
pièta; Àrabi, Ardbi ; Ettore, Ettbrre; 4 Cleopàtra di-
venta Cleopatràs; ma ciò oggi è fuor di moda (1).
Esempio. Ecco un verso di Dante: |
Ricòrdati di me che son la Pia.
Contate (2) le sillabe: esse sono ùndici, e perciò il
verso è detto con voce greca endecasìillabo. Su le due
sillabe, me e Pi, batte con più forza l'accento: questo
è l'accento ritmico: esso cade dunque su le due sil-
labe VI* e X=, Provate a scomporre il verso: Di me
che son la Pia, ricòrdati. Ve ne accorgete? Il verso
non è più verso; non c'é più bellezza nè mùsica.
Perchè? Le sillabe sono rimaste ancora ùndici, ma
il ritmo è spezzato. —
Le sìllabe del verso. — I versi italiani ricèvono
il loro nome dal nùmero delle sillabe di cui sono com-
posti:. endecasillabo (11 sillabe), decasìllabo (10 sil-
labe), novenàrio (9 sillabe), ottondrio (8 sillabe), sel-
tenàrio (1 sillabe), senàrio (6 sillabe), quinàrio (5 sil-
labe), quaternàrio (4 sillabe).
Versi piani, tronchi, sdrùccioli. — I versi pòs-
sono terminare con parola piana e si dicono piari
(e sono ii più gran nùmero); con parola tronca, e si
dicono fronchi (e avranno una sillaba di meno); con
parola sdrùcciola (e avranno una slllaba di più) e si
dicono sdrùccioli. Ma siccome in tutti i versi l’accento
«ritmico cade sempre su la penùltima sillaba, la quale
serve come a sostenere il verso, così un endecasil-
(1) Licenze poòtiche.
(2) Scdndere e scansione è detto l'atto del contare le sillabe.
-— 58_
labo rimane endecasillabo anche se ha 12 sillabe (verso
È
sdrùcciolo), o 10 sillabe (verso tronco). Esempi:
E come albero in nave si levò.
(DANTE). quas
Tra l'isola di Cipri e di Maiblica (1).
. (DANTE).
E così si dica di ogni altro verso. | a
Elisione, Sinèresi, Dièresi. — I poeti compòr
gono i loro versi naturalmente, cioè ad orècchio, 4
5 non isbàgliano nel conto delle sillabe (2). I gramm& I
tici dallo stùdio dei versi hanno ricavato alcune rè | ate
‘. gole riguardo alle sillabe, e le più importanti di questi‘
rèégole sono l’elisione, la sinèresi, la dièresi. n
Elisione (soppressione). Quando nel verso una ps \
rola tèrmina per vocale e la seguente comincia per
- vocale, la prima vocale è, di sélitò, assorbita dalla
seconda, e allora le due sillabe còntano per una si
laba sola. |
Vedi il giudìcio uman come spesso erra (3).
(DANTE).
La Sinèresi (contrazione) di due sìllabe ne forma un
Ch’io perdei la speranza dell’altezza. di
(DANTR). —_
È Î ‘|
(1) Maiorca, nelle Baleari. tom
(2) La s\llaba consta d’una vocale, oppure di una vocale accompagt Targ
da una o più consonanti, oppure di due vocali con consonanti, purdi& ri);
sempre si pòssano pronunciare in una sola emissione di fiato. mbl
(3) Bada che non sempre si fa l’elisione: cioè le due vocali non gif ;
dono, specialmente quando sono accentate: dio,
. O Virgìlio, Virgìlio, chi | è questa? Una
(DANTE). I
O | aspettata in ciel, beata e bella
(PETRARCA).
In questi casi le due vocali si pronùnciano entrambe e formano lo i \,
(apertura di bocca).
— 59 —
E più arditamente:
° Farinata e il Tegghidio, che fur sì degni.
. (DANTE).
quasi fosse :
Farinata e il Tegghià, che fur sì degni.
La dièresi (divisione), di una sillaba ne forma due (1).
Dolce color d’ortental zaffiro.
pot 95 To..." (DANTE).
I versi italiani. — L’endecasillabo è di 11 sil-
labe : è il più importante, glorioso, vàrio, e maggior
verso italiano. Il suo accento ritmico vària in tre modi:
VI. X® sillaba.
IV® VIII X°.
IV? VAT*° X* (raro).
Esempio I 5 -_
Così parlorpmi e poî cominciò: Ave Pl Ei
Maria, cantando; e cantdhdo van$ò, A ag
Come per acqua cùpa cosa gràve. dia
rd Cie ai get Sia ! (DANTE).
Vergine della che di sol vestita. |
(PETRARCA).
. Il decasillabo (2) è di 10 sillabe: è verso assai ricco
(1) Non tollerata è la sinèresi quando su la 2 sìllaba cade l’accento,
come in beato, paese; e così nei gruppi di vocali 0a, co, ae. Si conside»
rerebbe difetto non fare la diòresi nei dittonghi ie, io, iu, ia, come in liuto,
viola, coscienza, Ie, quando è dittongo mobile (cielo), e l’altro dittongo
mbòbile uo (uomo), non tòllerano la dièresi.
Avvertenza: due o più vocali in cui tèrmina una parola (mio, miei, via,
pio, mai ecc.) fanno dièresi in fin di verso: nell’ interno del verso fòrmano
una sillaba sola.
Esempi:
Andiam che la via lunga ne sospinge.
E riposata della lunga via.
(2) Il decasillabo è venuto in uso in tempi a noi vicini, per dpera del
. Manzoni e dei poeti del Risorgimento, ai quali pàrvero accomodate al fine
patriòttioo le movenze concitate e risonauti-di tale verso.
— 60 —
(forse troppo!) di armonia. Ha l’accento ritmico su
la II—-:, VI*, IX. i i
Dio non disse al germano giammai:
« Spiega l Dogi sl + ela ti do ». KO
Il novenàrio (1) è di 9 sillabe: è verso di delicata
armonia, ma fu negletto dagli antichi. Piace molto ai
poeti moderni. Ha l’accento ritmico su la II°, V*, VII.
Da lungi squillò solitària
La voce dell’Avemaria
(PASCOLI).
L'ottonàrio è di 8 sillabe: è verso antico ed illu-
stre, che aveva bella varietà di ritmi. Oggi prevale
l'accento rìtmico su la III° e VII:
Bell’ Ifàlia, amate spònde,
Pur vi torno a rivedèr!
Trema in pétto e si confonde
L’alma opprèssa dal piacèr.
A (MONTI).
Il settenàrio è di 7 sillabe: è, dopo l’endecasillabo,
il verso più notèvole. Questo verso breve, ma assai
vàrio per accenti ritmici, fu specialmente usato nella
poesia lirica. Nella formazione delle strofe esso si trova
spessìssimo combinato con l’ endecasillabo, come sarà
detto più avanti. Il settenàrio ha sempre l'accento
su la VI= sillaba, inoltre vària un altro (o due) accento
su altra qualsiasi delle prime quattro sillabe.
. L'’&lbero a cui tendèvi
La pargolètta mano,
Il vèrde meiogràno
Da’ dèi vermigli fiòr....
(CARDUCCI).
(1) Il novendrio, tenuto in poco onore per il passato, ebbe ai tempi 2"
stri illustri cultori (Tommaseo, Carducci, Pàscoli, D’Annùnzio).
BL.
Il senàrio è di 6 sillabe: ha l’accento ritmico su la
II: e Va.
Frafèlli d'Itàlia, Ù, | :
L'’Itàlia s'è desta,
Dell’è[/mo di Scipio
S'è cìnta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le pòrga la chiòma
Chè schiava di Ròma
Iddio la creò.
(MAMELI).
Il quindrio è di 5 sillabe: ha l’accento ritmico
su la IV* e su una delle due prime sillabe.
Vìva Arlecchìni
È bùrattini |
Viva le maschere
D’ògni paése....
(GIUSTI).
Ù quadrisillabo 0 quaternàrio è di 4 sillabe : ha
l'accento ritmico su la I* e III*® E pochissimo usato.
Sù voghiàmo
Nàvighiàmo
Sàtirèlli
Ricciutélli. Vv
Ca Versi accoppiati.\
Il quinàrio, il senàrio, più spesso il settenàrio, ta-
lora anche l’ottonàrio, si tròvano accoppiati, quasi
congiunti, in un ùnico verso, che rende un’ armonia
piuttosto monòtona. —
Il settenàrio accoppiato è chiamato alessandrino (1)
(1) Alessandrino, per certa simiglianza col verso francese, formato di
un quinàrio e di un settenàrio, è così chiamato da un poema francese
_ 62 —
o martelliano, ed è usato specialmente 1 nei ‘COInDE
nimenti drammaàtici. © -
Martelliano :
A noi le pugne inùtili. — Tu cadevi, o Mameli,
Con la pupilla cèrula — fisa agli aperti cieli.
(CARDUCCI).
Senàrio dòppio (messo în onore dal Manzoni).
Dagli atri muscosi — dai fòri cadenti;
Dai solchi, dall’arse — fucine stridenti,
(MANZONI)
Quinàrio dòppio:
Per lei tra l'armi — dorme il guerrièro,
Per lei tra l’onde — canta il nocchièro,
Per lei la morte — terror non ha.
(METASTASIO).
Il verso libero.
Questi, che abbiamo numerati, sono i versi tradi-
zionali. Ora fra i poeti moderni prevale il verso libero.
Esso è un verso senza nùmero fisso di sìllabe, senza ac-
centi in sede costante, qualche volta con rima o con
consonanza, ma esse pure senza leggi stabilite: verso,
dunque, ora breve ora lunghissimo, che vuole, nella
sua intenzione, rappresentare il libero vagare della
fantasia e del sentimento.
del secolo XII, che narrava le imprese di Alessandro Magno (poema de-
dotto da un romanzo greco del secolo II dell’èra volgare, del pseudo Cal-
listene). È detto anche Martelliano da Pier Jacopo Martelli (sècolo XVIID
che derivò tale verso dal teatro d’oltrealpe. I martelliani fbrmano còppie
monorime (rimati a due a due), e fùrono molto usati dai commedibdgrafi
(Goldoni). Il Carducci se ne servì per la ballata stòrica: Sui campi di Ma-
rengo, ecc. Vedi a pagina 63. in nota, esèm io dell’alessandrino francese,
[]
sos 69° ca
Spesso vi sono alternati i ritmi dei versi tradizio-
nali (settenari, novenari) (1), così che è una specie di
polimetro (= strofe di molti variati versi).
Rima.
(consonanza e assonanza).
La rima (ritmo) .è la identità perfetta della pa-
rola finale di un verso con la finale di altro verso,
cominciando dalla vocale su cui cade l’ accento":
Esempio: amore, dolore. Se le due sillabe accentate
non sono uguali, si ha soltanto la consonanza, e se
soltanto le due vocali accentate sono uguali, si ha
l’assonanza (rima imperfetta). |
La consonanza e l’assonanza sono evitate nella
poesia letterària, ma sono pròprie della poesia po-
polare (2).
(1) Gabriele d’Annùnzio feceSnelle sue | Laudi uso sapiente di questo
verso. I modernìssimi futuristi vi insìstono con sequenze, imàgini (metà-
fore) ed ènfasi, che oggi piàcciono a molti: domani, chi sal
Versi barbari: In un libretto elementare come questo, basterà accen-
rare soltanto ai versi così detti barbari, felicemente rinnovati dal Car-
ducci (Odi barbare). Questi versi sono combinazioni di vari versi italiani,
disposti in modo da rèndere il suono che ai nostri orecchi hanno i versi
greci e latini; e perchè sembrerèbbero bàrbari ad un poeta greco, se ri-
vivesse, tali fùrono detti dal Carducci.
Esèmpio: s
Surge nel chiaro inverno | la fosca turrita Bologna.
È un esàmetro, risultante da un settenàrio e da un novenàrio.
Il D'’Annùnzio (Canzone di Garibaldi) e il Pàscoli in una versione della
Canzone di Orlando, trasportàrono in italiano il verso èpico o alessan-
drino francese.
Qui sente Orlando | che la morte gli è presso;
Chè gli esce fuor | dalle orècchie il cervello,
Dominecio | per i suoi Pari prega,
Prega per sè, | l'angelo Gabrielio.
(2) Esempi: Non sacce che canzune me cantara
Tutte sopra l’amore va a finire.
— 64 —
La rima è un bell’ ornamento del verso; ma non
è necessària, come si può vedere nei versi sciolti da
rima. I Greci ed i Latini non avèvano rima. Essa
nacque con le lingue neo-latine. La rima, anche se
difficile, deve apparire spontànea e come venuta da”
sè. Si legga questo esèmpio di Dante, ove descrive
il buco, o pozzo infernale, su cui pòggiano o pòntano
tutte le altre rocce dell'inferno, e dove in un den:
sìssimo gelo stanno fitti i traditori. Vèdasi che giuoco
di rime difficili, eppure così naturali !
S’ io avessi le rime e aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sovra il qual pontan tutte l’altre rocce,
I’ premerei di mio concetto il suco
Più pienamente ; ma perch’io non l’abbo (ho),
Non senza tema a dicer mi conduco.
Chè non è impresa da pigliarsi a gabbo
Descriver fondo a tutto l’universo,
Nè da lingua che chiami mamma e babbo.
E prosègue dicendo che il Danùbio (Danòia) non
fece in Àustria (Austerricch) così forte gelo, e nem:
meno il Don (Tànai o Tana) come era in inferno: i
monti, cadendo, non l’ avrèbbero rotto.
Non fece al corso suo sì grosso velo
D'inverno la Danòdia in Austerricch,
Nè ’l Tànai là sotto il freddo cielo,
Com? era quivi: che se Tabernicch (1)
Vi fosse su caduto, o Pietrapana (2)
Non avria pur dall’orlo fatto cricch.
Là, dove passi tu, l’erba ce nasce;
La primavera tutta ce fiorisce!
Tre cose non si ponno mai scordare:
La pàtria, l’amicìzia e il primo amore.
” (Rispetti marchigiani).
(1) Nome di monte.
(2) Pietra Apuana, monte in Garfagnana.
FA
— 66 -
itanza ovvero Strofa.
Comunemente i versi si raggrùppano fra loro in un
certo nùmero e si collègano con certe rime in modo
da formare un senso compiuto. Questi raggruppamenti
di versi, che pòssono èssere variatìssimi, fùrona nel-
l'evo-medio detti stanze, cioè dove il pensiero poètico
sta (1). Più tardi fu usata e prevalse la parola greca
strofa (vedi pag. 68) che vale nell’ uso come stanza.
Stanza oggi più specialmente si dice dell’ottava.
La terzina e l'ottava sono le due stanze più. illu-
stri. Dante scrisse la Divina Commèdia in terzine ;
il Boiardo, l’Ariosto e il Tasso scrìssero in ottave: i
loro poemi di armi e di amori.
La terzina è formata di tre endecasillabi con rime
così disposte: A BA; poi la série continua legata
sempre: B C B; CDC; DED; EFE, e così di sè-
guito. Vedi l’esèmpio precedente (2).
L'ottava è di orìgine popolare ed è formata di
otto endecasillabi, di cui sei sono alternati e due sono
baciati. Ecco lo schema: ABABABCO.
L'ottava è il metro narrativo per eccellenza, e i can-
tastòorie la solèvano accompagnare al suono della viola
o di altro istrumento, con lenta melopea.
Esempi di bellissime ottave:
Sera în campagna.
Già la stella di Vènere apparia
Dinanzi alle altre stelle ed alla luna:
(1) Stanza cioò « dimora capace di tutta l’arte » (Dante).
(2) Dante può dirsi lui il creatore di questa stanza solenne detta ter-
zina; perchè se certa è l’orìgine popolare dell’ottava, non così si può dire
della terzina. Nel Cinquecento e oltre, la terzina passò ad un più umile
ufficio, cioè a sermoni satirici e ad epìstole giocose (capìtoli) Berni, Ario-
sto, T'ansillo, Menzini. In tempi a noi vicini, la terzina fu usata per càn-
tiche (Monti) e poemetti (Pàscoli).
5. — PANZSINI, Manualetto di Retèrica.
- 66 —
Tacea tutta la spiàggia e non s’udie
Se non fl mormorar d’una laguna,
E la zanzara stridula, ch' uscia
Di mezzo alla foresta all’ària bruna:
D'Èspero dolce la serena imago
Vezzosamente rilucea nel lago.
(LEOPARDI).
Descrizione di un giardino.
Trema la mammoletta verginella.
Con occhi bassi onesta e vergognosa;
Ma vie più lieta, più ridente e bella
Ardisce aprire il seno al sol la rosa:
Questa di verdi gemme s’\incappella.
Quella si mostra allo sportel vezzosa:
L'altra che ’n dolce foco ardea pur ora.
Lànguida cade, e ’l bel pratello infiora.
(POLIZIANO).
Altre stanze sono: il dìstico (parola greca che vuol
dire due versi) cioè due versi insieme rimati, usati
specialmente dal pòdpolo nei suoi rispetti e stornelli (1);
la quartina (a rima alternata ABABOoarima chiusa
A BB A); la sestina, affine all'ottava, cioè di quattro
rime alternate e due baciate (A BABCOC); ma non
ne ha l'ampiezza e la bellezza. La sestina fu usata
in poesie narrative, non troppo lunghe e SBORSO di
argomento giocoso (2).
.
(1) Vedi gli esempi riportati in nota nel paràgrafo Rima ed assonanza.
Diìstico, propriamente ìndica un. sistema mètrico dei Greci e dei Latini,
risultante dall'unione di un verso esdmiefro con un verso pentàmetro. Il
Carducci nelle sue Odi Barbare, cioè di imitazione dei versi antichi, ci
porge i migliori esempi di dìstici.
Surge nel chiaro inverno la Hei turrita Bologna
E il colle sopra bianco di neve ride.
(2) Appunto è chiamata sestina narrativa, e fu usata in tempi vicinia
— 67 —
Esempi:
Distici:
È notte, e il nembo urla più sempre e il vento. Ù
Frati spagnoli, apritemi il convento.
(CARDUCCI, versione).
O cavallina, Galla storna, |
Che portavi colui che non ritorna;
(PÀSCOLI).
Quartine:
Salute, o genti umane ‘affaticate,
Tutto trapassa e nulla pùò morir,
Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate.
Il mondo è bello e santo l’avvenir.
(CARDUCCI).
Oh! largo su. gli alti àrgini del fiume
Risplender rosso dell’estiva sera !
Oh! palpitante della luna al Jume
Tènero verdeggiar di primavera.
(CARDUCCI).
Sestina: °
Studente, come insegna la grammàAtica,
È il participio di studiare, ma
Dacchè un tal nome conferì la pràtica
A chi frequenta l’Università,
Tutti sanno che il nome di studente |
Vuol dire: un tal che non istudia niente.
(Lo Studente di Padova, ARNALDO FUSINATO).
noi invece dell’ottava. (Casti, Animali parlanti, Giusti, Lo stivale, Gua-
dagnoli, -Fusinato, eco.).
Canzone sestina: la sestina narrativa non deve èssere confusa con la
canzone sestina, pròpria del Trecento, che era di sei stanze, ciascuna di
Sei versi con un artificio di rime uguali in tutte le stanze, ma disposte.a
retrogradazione a croce (Dante, Petrarca, e con intento d’arte, Carducci e
D’Annùnzio. Ne fu inventore Arnaldo Daniello, trovatore provenzale del
secolo XII, di cui parla Dante con grande onore).
— 6B- —
Strofa. — Strofa è parola greca che indica l'atto
del vdlgersi, quasi giro (di ballo) (1). Nella nostra
lingua è parola che vale come stanza, se non che
‘fu introdotta nell’ uso letteràrio più tardi, e si usa
più specialmente per significare un certo nùmero di
versi che il poeta dispone e rima, o seguendo l’esèmpio
di altri poeti, oppure secondo un suo critèrio di mu-
sicalità e di bellezza. Scèglie, alterna, quindi, versi
brevi con versi lunghi, versi sdrùccioli con versi
tronchi, allo scopo di produrre un dato effetto. Si in-
tende che nel modo che è architettata una strofa, così
dèvono èssere le altre. |
Esempi di vàrie strofe :
.
1.
‘ Ardon gli sguardi, fuma
La bocca, àgita l'àrdua
Testa, vola la spuma,
Ed 1 manti volùbili
Lorda, e l’incerto freno
Ed il càndido seno.
(FòscoLo, descrivendo un vàbile corsiero).
DI
2.
Me, non nato a percòtere
Le dure illustri porte,
Nudo accorrà, ma lìbero,
Il regno della morte.
No, ricchezza nè onore
Con frode o con viltà
(1) Per ben capire il senso della parola strofa, bisogna avere in mente
che gli antichi Greci quando cantàvano i loro inni davanti agli altari degli
Dei, solòvano vòlgersi prima a destra e poi a sinistra per imitare il moto
del cielo da oriente ad occidente e quello contrario degli astri. Quindi 4!
fermàvano per indicare la stabilità della terra. Questi tre movimenti di-
vidèvano il loro canto in tre parti, dette strofè, antistrofè, epodòs.
\-.
— 89 —
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà.
(PARINI).
3.
Il poeta, o vulgo sciocco,
Un pitocco l
. Non è già, che a l’altrui menre.
Via con lazzi turpi e matti
Porta i piatti
N Ed il pan ruba in dispensa.
(CARDUCCI).
Più bello è il fiore cui la pioggia estiva
Làscia una stilla dove il sol s’infrange;
Più bello il bàcio che d’un ràggio avviva
Ucchio che piange.
(PASCOLI) (1).
.
Appare da questi esempi come i versi di nùmero
pari si altèrnino con altri versi di nùmero pari; ed
(1) Questa specie di strofa, formata di tre endecasillabi e un quinàrio
(adònio), è detta sdffica, dal nome di Saffo, poetessa greca, delle cui poesie
restano pochi ed illustri frammenti in tale metro. Scrìssero sàffiche ri-
mate Giovanni Fantoni, Giuseppe Parini (secolo XVIII). Carducci no
scrisse di non rimate nelle Odi darbare, Giovanni Pàscoli, ecc.
Avvertenza : diamo qualche cenno delle strofe della poesia bàrbart
vedi pag. 63.in nota). Ì
Strofa alcdica, da Alcèo (secolo V avanti Cristo).
O solitària | casa d’Aiàccio, (due quinari)
Cui verdi e grandi | le querce ombròèggiano (due quinari)
E i poggi coronan sereni (novenàrio)
E davanti le risuona il mare! (decasìllabo).
Strofa edffica, ma senza rima
Tàccion le fiere e gli udbmini e le cose, asl
Ròseo il tramonto ne l'azzurro sfuma,
Mormoran gli alti vèrtici ondeggianti
i Ave Maria.
Altra strofa è ii distico. (Vedi pag. 66 in nota). Queste sono le principali
Strofe della poesia di imitazione clàsgsica: cosa propria del Carducci e di
sicuni pochi altri poeti.
cei
i versi di nùmero dispari coi versi di nùmero dispari,
come il seltenàrio con l’endecasìillabo.
Speciale importanza ha la strofe della Canzone del
Petrarca (Vedi nota a pag. 70;. Eccone un esèmpio
bellissimo, dove il Petrarca descrive la sua donna,
Làura, sotto una fiorita pianta.
- Da’bei rami scendea
(Dolce ne la memoria)
Una piòggia di fior sopra 'l suo grembo:
Ed ella si sedea
Umile in tanta glòria,
Coverta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
Qual su le trecce bionde, .
Ch'oro forbito e perle
Eran quel dì a vederle;
Qual si posava in terra e qual su l’onde;
Qual, con un vago errore
Girando, parea dir: Qui regna Amore (1).
risma Oto meo vo a è aus
L’endecasìllabo sciolto, detto anche verso sciolto,
è quello che è libero dalla rima. Ma ha una sua spe
ciale armonia per effetto della varietà degli accenti
ritmici e per i nessi o legami tra verso e verso:
no, riuscirebbe noioso. Fùrono eccellenti poeti di versi
sciolti il Monti nella traduzione dell’ [Made di Omero,
il Parini nel poemetto satirico 72 Giorno, il Fòscolo
nel carme I Sepolcri, il Leopardi nei suoi Canti
(1) Questa strofa di amplìssimo e melodiosìssimo giro è formata di er-
decasìllabi e di settenari: è come snodata in varie parti, ed il gioco dell
rime fa risaltare queste vàrie parti. La prima parte, qui, è di Sei vers
(ABC, A BC) e si dice fronte; la terza parte, con nuove rimo, è puredì
sei versi (DEE, DFF)e sidice sirma, voce greca messa in uso ed ono!
da Dante e vuol dire coda, strascico della strofa; la seconda parte è di ur
801 verso; collega la fronte con sìrma, e si dice chiave. Nelle varie cas
zoni del Petrarca prevàlgono ora gli endecasìllabi, ora i settenari, in nt-
mero vàrio. Questo difficile metro fu usato per tutto il Cinquecento: 068
non usa più.
E e
Vittbrio Alfteri scrisse in versi sciolti le sue tràgedie.
In versi sciolti sono scritti i poemetti didascAlici (vedi
il capitolo che tratta del Poema) e molte îra le tra-
duzioni dei poeti stranieri.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credeva
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Dal paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalla finestra
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gidie mie vidi la tine.
| (LEOPARDI).
X . La metàfora î
+ (e il linguàggio poòtico),.
Il linguàggio dei poeti non è sempre uguale a quello
dei prosatori. Questi dèvono èssere precisi (1), a quelli
è permessa una maggiore libertà; cioè ’pòssono va-
lersi di esagerazioni, di espressioni indeterminate e
di certe maniere di dire che non sono quelle che si
Ùsano comunemente.
I poeti pòssono inoltre usare parole speciali, direi
| quasi riservate per loro: come aura od dra per ària,
etra od ètere per cielo, riede per ritorna, fia per sia,
diro per feroce, furo per fùrono, drando per spada,
andar o andaro per andàrono, morto per morì, vate
per poeta, fora per sarebbe, prence per principe,
speme per speranza, desto o desire per desidèrio,
vanèìo per svanì, rat per raggi, vanni per ali, arg
per altare, redimìre per incoronare, ecc. (Queste voci
(1) Ho scritto dèvono e mi pare che vada hene. Dico questo perchè oggi
molti scrittori si compiàcciono di una prosa poòtica, o lirica come essi
la chiamano, cioè immaginosa, cioè di una mescolanza di modi poòtici:
dalla qual cosa risulta una prosa molto imprecisa. Ma, come dice Oràzio,
i poeti sono liberi di fare e di osare ciò che mèglio crèdono. Il tempo dò
molto più tardi la sua approvazione, o la nega, secondo i casì,
mr ni i Ca
2
poètiche oggi sono poco usate dai moderni (1). Si trò-
vano ancora frequenti nei poeti di mezzo séècolo fa).
Possono usare vocì antiquate, come vallo per terra.
pieno, manipolo per schiera, onusto per càrico, orare
per pregare, clìpeo per scudo, delùbro per tèmpio,
plàustro per caîro, dèspota per signore; anzi le voci
greche e latine spesso sono tante da non capire bene
certe poesie. Useranno espressioni come, chiostra di
monti, le mal vietate Alpi. Diranno Adria per Adriz-
tico, Anglia per l Inghilterra. I laghi di Garda, di
Como e Maggiore seno talvolta chiamati coi nomi
antichi di Benàco, Làrio, Verbano. Chiameranno £r:
dano il Po; la stagione diventa l’ anno 0 viceversa.
I venti, Zéfiro, Austro, Noto, Bòrea saranno Spesso
figurati come persone: il polo diverta il cielo: la
guerra diventa Marte. La Pace, la Virtù, la Spe-
ranza, la Vittoria, ecc. sono figurate come donne.
Virgilio da Dante è chiamato duca. Ma v'è di più:
un aggettivo diventa un sostantivo; spesso il verbo
non sì trova; spesso l’ oggetto è messo in principio
come fosse un soggetto: ed oltre a questo, vi sono
certe espressioni esagerate, strane e certamente diffi-
cili per chi non è letterato. Se poi vi capitàssero fra
mano certe poesie, specialmente antiche, trovereste
a iosa dei nomi, come Apòlline, le Muse, il Parnaso,
Pègaso, ecc., ecc., invocate dai poeti. Sono simboli
— a modo di divinità — della intelligenza e dell’estro
poético, venerati dai Greci e rimasti vivi nell’ uso
sino ai nostri tempi (2). | _
Però non dovete crèdere che tutta la poesia stia
“(1) Ne ùsano poi di altro gènere...! i
(2) Nei poeti più antichi troverete anche*certe deformazioni delle pa-
role, agerolemente per agevolmente, die per dì (giorno), puone per pu,
saline per salì, fue per fu, èe per è, eco, i Ù
ss:
qui, cioè nelle parole antiquate e in questo speciale
modo di esprimersi. Ma soffermiàmoci a certe espres-
sioni. Per esempio, il Manzoni per indicare l’òpera
di Napoleone I come guerriero, dice: :
- Dall’Alpi alle Piràmidi,
Dal Manzanarre al Reno
Di quel securo il fùlmine
Tenea dietro al baleno.
. Scoppiò da Scilla al Tànai (Don),
Dall’unò all’altro mar.
Chi scoppiò ? Il fùlmine. Ma -Napoleone aveva un
fulmine? E un fulmine può scoppiare a così immense
distanze ? | I È
Eppure diciamo anche noi: « Napoleone era un fùl-
mine di guerra >». Cioè noi abbiamo trovato una so-
miglianza (o similitùdine) tra il fùlmine che sap-
piamo bene che cosa è, e Napoleone che vogliamo
far capire che cosa era: cioè, Napoleone era ràpido
e terribile come un fùlmine. Poi senz’ altro diciamo:
Napoleone era un fulmine.
Dùnque prima abbiamo fatto una comparazione
(o similitùdine), poi senz’ altro abbiamo trasportato .
‘questa immàgine di somiglianza nel nostro’ discorso.
Altro esèmipio :
Tu sei intelligente come un’ oca.
E poi:
Tu sei un’ oca (1).
(1) Mi1 permetto di spiegarvi la metàfora con un, esèmpio molto... vi-
vace. Sapete come i soldati chiamàvano nel loro gergo di guerra i cara-
binieri? Aeroplani. Perchè? Perchè ayèvano stabilito una comparazione
fra il cappello napoleònico che ancora pòrtano i nostri bravi carabinieri,
e le ali del aeroplano. Poteto spiegare da voi molte di queste metàfore
del pòpolo, e vi divertirete. Ho inteso chiamare da venditori, le ciliege,
manzo ; le pere, burro, l'uva, miele, ecc. Sono metàfore e anche.... ipèrboli,
cioè esagerazioni. ‘ 5
su 4 e 3
. Questa cosa così naturale chè se andate in mer-
cato, sentirete come è frequente fra gente che non sa
forse nè lèggere nè scrivere, porta un nome molto
difficile : cioè metàfora, oppure tropo, oppure tras
lato. Osservate l’etimologia (1) di queste tre parole:
Metàfora, vuol dire: parola trasportata.
-Traslato, vuol dire: parola trasportata.
Tropo, vuol dire: parola trasportata ; dunque le
tre parole indicano la stessa cosa, cioè una trasposi
zione, come abbiamo spiegato prima. i
Invece di metafora ecc. si dice anche figura ; quasi
immdgine del pensiero.
Esempi di comuni metàfore.
Pozzo o arca di scienza; Questo figliuolo è il bastone della
mia vecchiàia; Il tale morì come un lume a cui manca l’dlio;
Furbo come il Diàùvolo; E dura come una suola questa bistecca;
Il tale è cattivo come la peste (2).
Sono espressioni così esagerate che, prese alla let
tera, sono inverosimili. Eppure si adòperano comu:
nemente: anzi senza di esse stenteremmo a parlare.
La metàfora è, ancora, come una scorciatoia del
discorso. Se, per esèmpio, dico: L’oratore elettrizzò
il pùbblico, io con una parola sola ho fatto capire
ciò che altrimenti avrei dovuto significare con molte
parole, cioè: « gli uditori, per effetto del discorso di
quell’oratore, sembràvano aver dimenticata la pròpria
. anima per avere un’anima sola, quella che l’oratore
(1) Etimologia = senso puro e primo delle parole. .
(2) Confronta le espressioni comuni: cavalcare un dsino, î piedi delli
. cassa, appiè dell’àlbero, la fronte dell’edificio, la corona del dente, il dor”
<la cresta della montagna, la testa del chiodo, lo stelo (colonna) del flore, li
nat‘e (0 navata) della chiesa, la coda del treno. Sono tutte parole traspor
tate, nè sapremmo dire diversamente. |
,
__ 75 -
seppe imporre con la sua eloquenza: e tutti fremé-
vano ed èrano commossi ad un modo; ecc. ecc. ». Ma
voi sapete quale è l’ effetto di una corrente elèttrica,
e dite senz’ altro: L’ oratore elettrizzò il pùbblico.
Scomponete queste altre metafore moderne: il daga-
glio dell’.esperienza, Entrare nella realtà. Perciò e
prosatori e poeti costruiscono essi stessi le metàfore;
e i poeti, perchè più ricchi di fantasia, ne costrui-
scono di più, e queste sono le metàfore degli artisti
e dei dotti.
Dante vuol far capire che il poeta latino Virgilio
fu con la sua eloquenza e arte benèfico agli uòmini?
Lo paragona ad una fonte da cui deriva un benéfico
fiume.
— Oh, se’ tu quel Virgilio e quella fonte
Che spande di parlar sì lrgo fiume? —
Risposi io lui con vergognosa fronte.
Omero vuol far capire clte il vècchio re Nèstore
era un persuasivo parlatore ? Paragona le sue parole
a ruscelli di miele.
Allora — direte voi — se è così, adoperiamo molte
metàfore e scriveremo molto lione.
Adagio! Intanto per creare metàfore, bisogna ès-
sere buoni artisti e poeti; e poi non è detto che tutte
e metàfore usate dagli scrittori, e giornalisti, e uòmini
politici, e anche dai poeti e dagli artisti, siano belle.
Pòssono anche passar di moda, e allora sembreranno
‘brutte (1). Noi oggi ricaviamo tante metàfore dalle
(1) I poeti del Seicento fùrono famosi per l’abuso delle metàfore, le quali
paròvano forse originali in quel tempo, ma oggi ci inspìrano noia o riso.
Il naso fu detto: Trinciera al pianto, e padiglione al riso. Il poeta Achil-
lini in lode delle imprese di guerra del re di Francia, compose un sonetto
che comìncia così: Sudate, o fochi, a preparar metalli. E ne ebbe premio
di quattòrdici mila scudi. Di un cardinale, che fu anche letterato, si disse
— 76 —
scienze, che sono tanta parte della vita moderna;
ne ricaviamo da questa terribile guerra...; ma an
diamo cauti! |
Usate quelle metàfore che vèngono spontànee al
vostro pensiero.
Evitate anzi di adoperare certe metàfore.e espres
sioni metafòriche che la prima volta che fùrono dette,
potèrono sembrare originali e di effetto; ma poi a
furia di ripèterle, finirono ‘con lo stancare; oppure
sono figure che ci richiàmano immàgini goffe ; per
esempio : pa/pitare di attualità, brillare per l as
senza; posare una questione sul tappeto ; la càccia
al potere; le sfumature di un’ idea ; l’anima del
pòpolo; l'attrito delle idee ; plettora, o anemìa di de-
che aveva saputo illustrare la pòrpora (l’àbito rosso dei cardinali) con
l'inchiostro. Gli occhi di una bella donna sono così paragonati: Son gli occhi
vostri archibusetti a ruota, E le cìglia inarcate archi turcheschi. Si giunse
sino al ridicolo: le pulci furon dette stelle saltanti; gli sputi, spsme di
latte e fiocchi di neve; gli occhiali, ali del naso ; le Stelle, chiodi del cielo:
il tuono, tamburo di Dio; il sole, bòbia che tàglia con la scure de’ raggi il
collo all’ombre, ed altre stravaganze sìmili, tanto che fu detto dall'Alfieri
che il Seicento delirava. È che ognuno voleva essere più originale del-
l’altro, seguendo un precetto del Marini (poeta del Seicento): È del poeta
il fin la meraviglia | Chi non sa far stupir vada alla striglia. Si badi
bene, però, che non tutti fùrono così! Il Manzoni, fingendo di aver tro-
vato il racconto dei suoi Promessi Sposi in un manoscritto del Seicento,
fa come una sàtira della maniera di allora nello scrivere in prosa: L’ hi-
storia 8ì può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, per-
chè toglièndogli di manc gli anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaveri,
li richiama in vita, li passa în rassegna, e ii schiera di nuovo in battdglia.
Ma a spiegare la gonfiezza odiosa di scrivere del Seicento, meglio sèrvono.
i documenti del tempo. Questo ad esèmpio è il principio di una dèdica
del poeta Fùlvio Testi al Duca di Mòdena: Zo do Ze mie tènebre alla luce.
Dissi tènebre, perchè tali appunto pòssono addimandarsi i parti d’ un in-
telletto caliginoso, quale è il mio. E dissi luce perchè il nome di V. A.è
un sole che basta per mèétterle nella chiarezza di un giorno perpètuo +
immortale.
Ma che direste di queste similitùdini o metàfore: I fanali gialli sono
malati di itterizia, Una rosa sfoglia la tisi delle sue corolle, In un giar-
dino splende la meridiana verde e azzurra di un pavone, I fanali sba-
digliano la luce sul fango,? Sono di autori moderni; e fra i poeti detti di
avangudrdia ne potete trovare tante da farne una ricca collezione.
-
—— —Tr.——r.f dJuuihkhhékille. nie asian inn sti e tiro
cu
naro, dar lustro alla pàtria, il gènio del sècolo, la
tragèdia della sva vita; V irradiazione della sua
anima, il fulcro dell’ azione, monetizzare l’ entu-
siasmo, la paràlisi degli affari, l’ offensiva diplo-
màtica; puntare i grossi cannoni dell’ eloquenza,
la polariazazione del pensiero, l’ànima protesa,
vibrante, proletària, ecc.
E così sono comuni tante immàgini, forse alicho
belle in origine: < cavaliere dell’umanità (Garibaldi),
il poverello d’Assisi (San-Francesco), la città eterna”
(Roma), le vèneri dello stile, la estrèma dipartita
(la morte), pro patria, pro schola, e altri latinismi
leziosi, nuptidlia, theatràlia, ecc.” |
Anche certe frasi illustri di grandi poeti, a fùria di
usarle, sono diventate consunte come vècchie monete:
° l'eredità degli affetti, l'intelletto d'amore, Vl’ Um-
bria verde, il pio bove, l’usbergo della coscienza, la
carità del natio ‘loco, sesto fra cotanto senno, l’ama-
rissimo (l'Adriatico), ai pòsteri l’àrdua sentenza, ecc.
Queste si chiàmano- frasi fatte o luoghi comuni.
Le vàrie spècie di metàfore,
Sino dal tempo dei Greci, i grammaAtici ed i filòsofi,
studiando la metàfora, distinsero vàrie e difficili gra-
dazioni e modi con cui la metàfora si manifesta; e.
così dalla metàfora in gènere nacque la RA
la sinèddoche, l’ antonomasia, l’ allegoria, e fùrono
chiamate figure di parola. I grammaàtici, inoltre, esa-
minando minutamente le maniere diverse con cui
noi, secondo la passione o il nostro modo di sentire,
ci esprimiamo, distìnsero, classificàrono anche altre
mahiere di esprimerci; e chiamàrono anche queste
col nome di figure (figure di pensiero). Esse sono
— 78 —» n i
l'ironia, l’ ipèrbole, la litdte, e poi altre e altre come
l apòstrofe, la ripetizione, la gradazione, Vl anttesi,
la perìfrasi, l’ ipotiposi, ecc. ecc. Nelle scuole si
studiano tuttora queste distinzioni. .
{La metonìmia (parola greca che vuol dire, uso di
un nome invece di un altro) consiste in uno scàmbio
di nomi fra cui esiste una relazione o dipendenza.
COSCIONI
Il discorso della Corona, cioè del Re (l' emblema della per-
sona, invece della persona stessa).
Le camìcie rosse, cioè i Garibaldini (l’ abito per la persona).
Leggo Dante (il nome del poeta per l’òpera del poeta).
La repùbblica di San Marco (il santo protettore di Venèzia
per Venèzia).
Il secolo XX ha visto volare i corpi, non le Anime (gli uò-
mini di un'età per l’età stessa).
Noi vivremo del nostro sudore (cioè del lavoro, da cui nasce
il sudore; l'effetto per la causa). |
Va a prendere un Zegno (una carrozza, cioè la matèria di
cui è fatta una cosa per la cosa stessa).
Povera e nuda vai Filosofia (PETRARCA) (l’ astratto per il
concreto).
Dopo lunga tenzon | verranno al sangue (DANTE) (cioè alla
guerra, cagione di sàngue).
La sinèéddoche (parola greca che vuol dire com-
prensione di più cose insieme) consiste nel dare ad
una parola un senso o più àmpio o più ristretto del vero.
ole
}
-
Noi, Vittorio Emanuele II, ecc., abbiamo decretato ; L’ Ita-
liano è musicista nato; I Cavour, î Mazzini, i Garibaldi (cioè
uomini come, ecc.); La donna è vanitosa (cioè le donne, in
genere); If mondo bada alle apparenze. |
È 4
E sol da lungi i miei tetti saluto. i
; | (FòscoLO).
E da lontano le gonfiate vele
Vide fuggir del suo signor crudele.
è (ARIOSTO).
*
cn
- 79 —
X S'antonomàsia (parola greca che vuol dire, mu-
sumento di nome) consiste in uno scàmbio di nomi;
‘cioè si indica un uomo famoso non col suo vero nome,
ma ricordando alcune sue qualità speciali e notissime;
oppure si indica un uomo comune col nome pròprio
di un uomo famoso, il quale ebbe in grado sommo
certe’ qualità che sono o sèmbrano èssere nell'uomo
“comune.
Esempi:
L’ Urbinate (Raffaello Sànzio di Urbino); Il poverello d’ As-
sisi (San Francesco di Assisi); La Pu/cella (Giovanna d'Arco);
Il grande agitatore (Mazzini); il Nazzareno (Cristo di Nazaret);
il Cérso (Napoleone I, nato in Aiàccio); Il gran Re (Vittòrio
Emanuele II); Il gran Conte (Cavour); Il Segretàrio Fiorentino
(Machiavelli). Antiche antonomàsie sono: Vaso di Elezione
(cioè di cose elette, San Paolo); Il Filòsofo (Aristotele); Il Ve-
nosino (Oràzio, di Venosa); L’ Arpinate (Cicerone, di Arpino);
L'Aquinate o il Dottor Angèlico (San Tommaso di Aquino).
E così diciamo SoS un uomo è un Mecenate (protettore e amante
. delle arti), un Ercole, un Dembòstene, un Sansone, una Sfinge,
un Nerone, un Don Chisciotte, un Azzeccagarbugli, un Don Ro-
| drigo; così diciamo Firenze -l’ Atene d’ Italia (perchè in Atene
fiorirono uòmini illustri); così Cèsare (nome pròprio di Càio
Giùlio Cèsare) significò Imperatore (1). (Cfr. Kaiser in tedesco).
XL’ allegoria (parola greca che vuol dire, altro di-
scorso) consiste in una narrazione o descrizione fàcile
a capire; ma Che non deve essere intesa alla lettera,
e sotto si nasconde un altro pensiero.
Dante dice:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura,
Che la diritta via era smarrita.
”
(1) L’antonomàsia spesso si confonde con la perìfrasi. Così I/ cantore
di Laura (Petrarca), L’eroe dei due mondi (Garibaldi).
— 80 —
La selva oscura è sìmbolo o segno dell’ errore, la.
diritta via è la virtù che si smarrisce nell’ errore.
Le fàvole sono fàcili allegorie, come spieghiamo I
più avanti.
Il Giusti fa raccontare la sua dolorosa storia ad uno |
stivale, che tutti vollero, ma nessuno seppe mai cal-
zare bene.
»
Io non son della sòlita vacchetta
Nè sono uno stival da contadino, ecc.
Questo nòbile stivale è l’ Itàlia, così detta dalla sua
forma geogràfica. L’ allegoria è dunque w una IbSRo di
metàfora continuata (1).
Altre figure:
x L'ironia (parola greca che vuol dire finzione) con-
siste in un’ espressione di lode, la quale — invece —
suona biàsimo, o per l'intonazione della voce o per
.il senso del discorso (2). |
Esempi:
Come è grazioso! (invece di dire come è villano); Che mani
pulite! (cioè sùdicie). Dante dice di Firenze:
Or ti fa lieta che tu n’hai ben onde,
Tu ricca, tu con pace, tu con senno.
Il sarcasmo (parola greca che vuol dire amara. ironia) .
‘ consiste in un 9BRFOsgiono piena di odio, quasi « mordèndosi
(1) Si dice anche per modo di dire, parlare sotto metàfora, cioè per
sìmboli (imàgini, figure) o per allegorie.
(2) Umorismo. Quando nello scrìvere si fa uso di frequenti e sottilìs-
sime ironie, si ha quella maniera speciale e difficile di sorìvere che è detta
Umorismo. Esèmpio: Quel borgo (Lecco) aveva l'onore di possèdere una
stabile guarnigione di soldati spagnuoli, che insegnàvano la modèstia alle
fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle
a qualche marito, a qualche padre, e sul finire dell’estate, non mancavan
mai di spàrgersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini
le fatiche della vendèmmia (Manzoni). L’umorismo a prima vista fa sor-
rìdere e poi fa pensare e meditare. È arte rara di serìvere, poco comune
e poco pregiata in Itàlia; dove per umorismo il popolo intende cose gros-
solane che fanno rìdere. L’umorismo è, anzi, generato dalla tristezza.
ssi cu +
le labbra, » Esempi: Gli Ebrei a Cristo: Ha salvato gli altri
ma non può salvare sè. Se è re d'Israele, discenda dalla croce
e noi gli crederemo. Dante dice di Firenze:
> Godi Firenze, poichè sei sì grande,
Che per mare e per terra batti l’ ali,
E per l’inferno il nome tuo si spande.
+-L’ipèrbole (parola greca che vuol dire eccesso,
cioè esagerazione) consiste in un’ espressione che ol-
trepassa il verosimile allo scopo di accrèscere o di-
minuire un’ idea.
Esempi:
Mi pare un sècolo che non ti vedo, Va a passi di formica.
Lo scudo in mezzo alla donzella colse;
Ma parve urtasse un monte di metallo.
(ARIOSTO).
La litòte o attenuazione (parola greca che vuol
dire semplicità, cioè attenuazione) consiste nel rad-
dolcire la dura espressione del vero ; è l'opposto dei-
l’ ipèrbole.
Esèmpio :
Don Abbòndio non era nato con un cuor di leone (MANZONI);
Quell’uomo non ha troppa satute; Quella statua non è bellissima.
_ La perìfrasi (parola greca che vuol dire giro di
paròle o circonlocuzione) consiste nel significare una
| Cosa o una persona, non col nome, ma con un giro
di parole che dicono le sue qualità.
Esempi:
Il Ghibellin fuggiasco (Dante); L'eroe dei due mondi (Ga-
ribaldi).
Dante ha bellìssime periìfi asi,
L'Arno:
i . Per mezza Toscana si spàzia
Un fiumicel che nasce in Falterona.
8. — PANZINI, Manualetto di Retorica.
_ — 82 —
L’Itàlia:
Il bel paese là dove il sì suona (1).
Dio:
Quei che volentier perdona.
\ L’eufemismo (parola greca che vuol dire, Suona
espressione) consiste nell’ usare parole oneste e liete
(spècie di perifrasi), ma che hanno altro senso; e ciò
si fa per evitare la sgradèvole impressione del tèr
mine pròprio. Esempi: È passato a miglior vita, cio,
è morto. Per quel grande è cominciata la immer
talità. Si ossèrvino i numerosi eufemismi usati dal
popolo per evitare il verbo « morire » (2).
+ La prosopopea o personificazione, consiste nel
dare vita e parola a cose inanimate o a’ defunti, a
cui si rivolge il discorso; nel dare vita e aspetto
umano a concetti astratti. i
Esempi:
O spada del Signore, fino a quando non riposerai ? (Bibbia).
Il Monti così personifica la Libertà al tempo della
Rivoluzione francese:
Sul lido intanto il dito si mordea
La temerària Libertà di Frància,
Che il cielo e l’ acque disfidar parea.
L’ Ariosto così personifica la Frode:
Avea piacevol viso, àbito onesto,
Un umil volger d’occhi, un andar grave,
Un parlar sì benigno e sì modesto
Che parea Gabriel che dicesse: Ave/
Era brutta e deforme in tutto il resto:
en
*
(1) Confronta la perìfrasi nota del Petrarca: il bel paese | che Appennit
parte, il mar circonda e l’ Alpe.
(2) Per molte di queste figure si tenga a mente ciò che è detto a pè
gina 71.
Ri
Ma nascondea queste fattezze prave
Con lungo àbito e largo, e sotto quello
Attossicato avea sempre il coltello.
PATIRE ; ve:
L’ipotiposi (parola greca che vuol dire immdgine
o rappresentazione) consiste nel rappresentare per-
sone 0 cose al vivo sì che pare di vederle.
A guisa di leon quando si posa.
(DANTE).
Madri che i nati videro
Trafitti impallidir.
(MANZONI). —
Ed ei {Farinata] s'ergea col petto e con la fronte,
Come avesse l’inferno in gran dispitto.
(DANTE).
X La similitùdine o comparazione è un vivace
richiamo o quadro di cosa nota allo scopo di méèglio
far capire ciò di cui si ragiona. (È la prima fase della
metàfora, come è detto a pag. 73).
Esèmpio : |
Come cadono le foglie in autunno, così pàssano le genera-
| aloni degli uòmini. Omero, Virgilio, Dante sono grandi mae-
stri della comparazione. Una schiera di ànime nel Purgatòrio
si accosta a Dante ed a Virgilio timidamente:
Come le pecorelle escon dal chiuso
Ad una a due a tre e l’altre stanno
Timidette atterrando l’ òcchio e il muso.
Dante alle parole di Virgilio si rinfranca:
Come i fioretti dal notturno gelo
Chinati e chiusi, poi che il sol gl’ imbianca,
L Si drizzan tutti aperti in loro stelo.
“ Antìfrasi (parola greca che vuol dire, espressione
contrària) un vocàbolo adoperato in senso contràrio
al senso pròprio. Dante chiama Ca/cabrina un diàvolo
— .84 —
che calca il fuoco. Il gran dizionàrio che raccòglie il
buono, cioè il fior fiore della lingua, è chiamato della
‘crusca (1). :
+ L’antìtesi (parola greca che vuol dire, contrap:
posizione) consiste in un’ immàgine o concetto opposto
a quello di cui parliamo. (Sarebbe come far spiccare
il nero mettendolo vicino al bianco!)
Esèmpio:
Non frondi verdi, ma di color fosco,
Non rami schietti, ma nodosi e involti,
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
(DANTE).
Non disse Cristo al suo primo convento
Andate e predicate al mondo ciance,
Ma diede lor verace fondamento.
(DANTE) (2).
(1) Esempi popolari: nel gergo militare, dare un caffè o dare un cic-
chetto, signìfica fare un rimprovero. Caffà e cicchetto (bicchierino di li-
quore) sono cose gradite nel senso pròprio.
| (2) L’antìtesi è di molto effetto, ma abusata da molti. Vittor Hugo, gran
scrittore francese, si vale dell’antìtesi sino a stancare.
Secondo alcuni grammàtici si consìderano anche come figure queste
espressioni che non sono rare anche nel linsuàggio comune:
La ripetizione consiste nel ripètere la stessa parola, affinchè mòglio
l’idea si imprima: figura fra le più comuni:
Morirò, morirò, sarai contento,
Quando ti crederai di avermi allato,
Apri le braccia, stringerai del vento. -
(Stornello popolare).
E corri, corri, corri. Con la soure
corri e co’ dardi.
(CARDUCCI).
Anche nella vita! La réclame è una ripetizione, Spesso, di una stessa
parola.
I giornali politici ripètono il loro pensiero, anche se non è conforme
a verità, per persuadere i lettori. E spesso ci riescono.
Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell’eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
(DANTE).
La sospensione: quando si tarda a dire una cosa per tenère attenti 0
86 —
Poesia lirica .
/ La poesia lrica è così chiamata dalla lira con cui
i Greci accompagnàvano i loro canti. La poesia lirica
esprime i sentimenti dell’ànimo commosso, e perciò
commuove od èccita chi legge od ascolta. La poesià
lirica di solito è breve, giacchè la commozione non
può durare a lungo. |
come sospesi gli ànimi. Esèmpio: Vi voglio dare una bella notizia, non
Vl immag@nereste fra mille: Per Natale verrà la nonna.
La interrogazione retòrica, quando non si domanda per avere una ri-
sposta, ma per affermare con più forza. Quale nazione più gloriosa e sven-
turata dell’ Itàlia?
L’apòstrofe, quando con passione, ira od amore, si rivolge il discorso
anche a persona morta od assente. Padre mio, perdònami tu. Dante al-
l’Itàlia: Ahi, serva Itàlia, di dolore ostello. Carducci a Carlo Alberto : Ok,
re de’ miei verd’anni, | re per tant’anni bestemmiato e pianto.
La preterizione, quando si dice: « non dirò, non nominezò, non ricor-
derò, » ed invece si nòmina e si ricorda.
Cèsaro taccio, che per ogni piàggia
Fece l’erbe sanguigne di lor vene.
(PETRARCA).
La reticenza, quando si tronca improvvisamente il discorso. Ak, cos’avete
fatto! In questo luogo! qui dove non si fa Giro che morire, avete potuto...
(Manzoni).
Il polisindeto, quando si ripete fra più parole la stessa congiunzione.
E bella e buona.
L’asìndeto, quando si tralàsciano fra più Barolo le congiunzioni. Venni,
vidi, vinsi.
La gradazione o climax o crescendo, quando si aumenta l’ intensità e la
forza delle parole: Un vento.... che
«Gli alberi abbatte, schianta e porta MUORE:
Dinanzi polveroso va e superbo
HE fa tremar la selva ed i pastori.
(DANTE).
La dubitazione, quando si finge di dubitare nel dire o fare alcuna cosa.
Parlerò e tacerò?
L’epifonema, quando si chiude un discorso con una sentenza escla-
matòria che raccòglie tutto il concetto del discorso. Acco l’effetto dei cat-
tivi compagni !
Hoco il SIOGICIO uman come spesso erral
(DANTE).
_. 86 _
Secondo l'argomento, essa è amatòria o eròtica;
religiosa; civile {se incita alle virtù di buon città
dino); patridttica od erdica (se cèlebra qualche eroe;
pastorale o idillica 0 bucòlica, quasi « che tratta
di buoi » (se tratta di cose campestri); elegìaca (s
tratta di cose lamentèvoli o funebri); conviviale o dà
‘chica (se ‘cèlebra la gioia dei banchetti, del vino, di
Bacco). i
La poesia lirica prende poi moltissimi nomi parti
colari :
Ode, inno, coro, canzone, sonetto, carme, elegia,
idàllio, sàtira (?), e queste sono forme grandi ed il
lustri.
Canzonetta, epigramma, e queste sono forme pii
modeste e lievi.
Strambotto, stornello, rispetto, e queste sono forme
popolari. A
Làude, ballata, ditirainbo, capìtolo, madrigale,
canto carnascialesco (carnevalesco), epitalàmio (pe
sia nuziale), e queste sono forme disusate alquanto ai
nostri tempi (1).
Ode è parola greca che vuol dire canto. È un con
ponimento pieno di impeto e di passione. Esso è for.
mato di varie strofe, uguali e variamente architetta&
secondo il gènio del poeta, con versi, di sòlito, brevi
(vedi pagg. 68 e 69).
L'’ode fu famosa presso i Greci (Pindaro, Alceo, Saffo), *
‘1, Altre forme lìriche, disusate oggi, e pròprie dell’evo-medio, sono ti
serrentese (poesia dei giullari e trovadori in servizio e in onore di dar!
o eroe: lat. serriens, provenzale sirrentès: spesso satìrieo); mattinata. d-
partita, disperata, brevi componimenti d' intonazione popolare, fròttole
bizzarra diceria o filastrocca senza nesso e non di rado senza senso i2
versetti monorimi, rondò tfr. rondeau: o rotondello, poesiola graziosi i
galante.
ae
presso i Latini (Orà<io). In Itàlia Giuseppe Parini, Ugo Fo
scolo, Vincenzo Monti, Alessandro Manzoni, Giosue Carducci (1)
composero bellissime odi (2). - |
Inno è parola greca che vuol dire canto; ed è un
componimento simile all’ode. L’ inno è spesso desti-
nato ad essere -cantato in coro, e perciò si può chia-
mare anche coro (3). L’inno esalta e cèlebra special-
mente la religione (4) o la pàtria; ed è, di sòlito, più
tàcile e popolare dell’ ode.
Alessandro Manzoni compose cinque inni sacri, veramente
sublimi, Il Natale, La Passione, La Resurrezione, La Pentecoste,
Iluome di Maria. Al tempo delle guerre del Risorgimento èrano
e sono ancora popolari molti inni patriòttici e guerreschi, fra i
quali Fratelli d’ Itàlia, di Goffredo Mameli, giovane poeta e
soldato morto alla difesa di Roma nel 1849. Quest’ inno, con ri-
tornello alla fine di ogni strofa, fu il canto popolare della nostra
guerra (1915-1918) per cui fùrono rivendicati, i confini naturali
verso Germània, e Trento e Trieste.
Fratelli d’Itàlia,
L’Itàlia s'è desta;
Dell'elmo di Scipio (5)
S'è cinta la testa: è»
Dov’ è la Vittoria?
‘ Le porga la chioma,
—.
(1) Odi Barbare (Vedi le note alle pagg. 63 e 69).
(2) Sarà bene avvertire che poeti, non sommi, scrìssero poesie altis-
sime: tali le due odi, /I/ canto di Igea (la dea della Salute) di Giovanni
Prati; Sopra una conchiglia fèssile di Giàcomo Zanella.
(8) I canti corali fùrono molto in onore presso i Greci, e sono tuttora
in onore presso i Germani. I Greci chiamàrono cori i canti lìrici che in-
framezzavano il diàlogo delle loro tragèdie. Alessandro Manzoni nelle due
tragèdie, l’Adelchi, e il Carmagnola, introdusse tre cori famosi (Dagli
atri muscosi, Sparsa le trecce mòrbide, S'ode a destra uno squillo di
tromba).
(4) Gli inni religiosi della Bibbia sono chiamati salmi, e si càntano
tuttora nelle Chiese. Bellissimi sono gli inni latini con rima del rito cat-
tblico (liturgia), come Stabat mater dolorosa; Dies irae, dies illa, ecc.
I canti o cori gioiosi degli studenti sono detti golidrdici.
(5) Eroe Romano, Scipione, detto l’ Africano, vincitore di Ann\bale alla
battàglia di Zama.
e BR
Chè schiava di Roma.
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte,
Ritornello Siam pronti alla morte,
Itàlia chiamò.
Noi siamo da sècoli
Calpesti e derisi
Perchè non siam pòpolo,
Perchè siam divisi;
Raccòlgaci un’ ùnica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l’ ora suonò.
Uniàmoci, uniàmoci!
L'unione e l’amore
Rivèlano ai pòpoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
1l suolo natio;
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?
‘ Dall’ Alpe a Sicilia
Dovunque è Legnano:
Ogn’ uom di Ferrùccio (1)
Ha il core e la mano;
I bimbi d’Itàlia
Si chiaman Balilla; (2) a
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò. (3)
(1) Eroe dell’assèdio di Firenze, contro Carlo V ed il papa Clemente VII
(sècolo XVI). A Legnano, presso Milano, nel 1176 fu vinto Federigo di
Svèvia, detto il Barbarossa, dai collegati lombardi. (Queste sono ipèrboli
o esagerazioni, lècite ai poeti anche se pròprio non rispondono a verità
stòrica). i
(2) Giambattista Perasso col tirare un sasso contro un soldato tedesc0,
diò il segnale di quella rivolta per cui i Tedeschi dovèttero fuggire da
Gènova. Ciò avvenne nel 1746. (Crediamo non inùtile avvertire i giovapett!
che di Balilla, anche se realmente esistito, di che è dùbbio, basta uno 8010)
(3) Rivoluzione di Palermo contro i Francesi, al suono dei vespl
30 marzo 1282. if
— 89 —
n° Son giunchi che iègano
Le spade vendute;
Già l Aquila d’ Austria (1)
Le penne ha perdute.
Il sàngue d'Itàlia
E il sàngue Polacco
Bevè col Cosacco (2),
Ma il cor le bruciò.
La canzone, cioè canto, derivò a noi, nell’ evo-
médio, dai poeti o trovatori provenzali, ma fu fatta
italiana e perfezionata specialmente da Dante e dal
Petrarca (3), e perciò è detta canzone toscana o pe-
trarchesca. La canzone non è così ràpida ed impe-
tuosa come l’ode, ma è grave e solenne, spesso ora-
toria; difatti nelle sue strofe prevale il verso più àmpio
| e grave della nostra poèsia, cioè l’endecasillabo al-
ternato col settenàrio. Sino a tutto il Cinquecento la
canzone fu considerata come ?l modo più eccellente
di dire în poesia, (il supremo fra i componimenti
poétici in volgare, Dante). Poi decadde dall’ uso.
Si riporta una strofe della Canzone del Petrarca ai Priìn-
cipi o Signori d’Itàlia, esortàndoli a non valersi dei soldati
mercenari tedeschi, a\governare con amore i pòpoli, a vivere
in pace. Canzone veramente profètica!
Voi cui fortuna ha posto in mano il freno
Delle belle contrade, (Italia)
Di che nulla pietà par che vi stringa;
(1) Emblema dell’À ustria, l’àquila a due teste, che l’Itàlia vinse nella
gran battàglia campale di Vittòrio-Vèneto, novembre 1918: fatto di straor-
dinària importanza stòrica, che mèglio apparirà col lontanare del tempo.
(2) Con l’aiuto della Russia. -
(8) Il nùmero dei versi della strofe della canzone può èssere anche di
venti. Ma come sono disposti i versi e le rime nella prima strofe, così
dèvono èssere anche nelle rimanenti. (Vedi strofa della canzone a pag. 70).
Il Petrarca aggiunse in fine una più breve strofe, detta Commiato, quasi
saluto di commiato alla canzone 53:0ssa.
de")
Che fan qui tante pellegrine spade (1)
Perchè '1 verde terreno
Del barbàrico sangue si dipinga? (2)
Vano error vi lusinga;
Poco vedete © parvi veder molto;
Che 'n cor venale amor cercate e fede.
Qual più gente possede,
Colui è più da’ suoi nemici avvolto.
O dilùvio raccolto (3)
Di che diserti strani
Per innondare i nostri dolci campi!
Se dalle pròprie mani
Questo n’avven, or chi sia che ne scampi?
Canzone lìbera. — Quando i versi endecasillabi
si altèrnano ai settenari senza legge, con le rime pu
senza legge, con strofe or brevi or lunghe, allora lì
canzone si dice lbdera.
Di tali canzoni il più illustre esèmpio è dato da Giàcom:
Leopardi nei suoi Canti o Canzoni, detti modestamente anch:
Idilli, perchè il Poeta prende il motivo, di sòlito, da una ir
màgine (idì/lio) o descrizione del paesàggio di Recanati (il pae»
dove trascorse la sua triste giovinezza) per salire poi da co
semplici cose al sospiro e al pianto e a considerazioni, terribii:
davvero, su la vita umana (4).
Esèmpio di canzone libera:
La quiete dopo la tempesta.
Passata è la tempesta;
Odo augelli far festa, e la gallina
Tornata in su la via,
(DI mercenari.
(2) Che essi mudiano per voi bagnando del loro sàngue le verdi te”
a’ Itàlia.
(3) I mercenari venuti dalle aspre terre germàniohe.
14) II Leopardi usò quasi sempre questa forma Nbera (A Silvia, Il #*
bato del villaggio, La Ginestra, eco.: e ciò fece per le stesse ragioni c°
mòssero i futuristi a predil\gere i loro versi lìberi (Vedi pàgina 62 e HW.
mon che il Leopardi è mirabilmente scl.etto e sèmplice, quelli no
n 9
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgòmbrasi la campagna, |
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il rumorio,
Torna il lavoro usato. :
L' artigian a mirar l’ùmido cielo, ,
Con l’opra in man, cantando
Fassi in sull’ ùscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’àcqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero e
Il grido giornaliero.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazze e logge la famiglia;
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
(LBOPARDI).
Sonetto vuol dire p?iccolo suono nel senso di pìc-
colo canto (1). È un componimento tra i più antichi (2)
della nostra letteratura ed è usato anche oggi. La sua
ampiezza è determinata in modo preciso, cioè è di
quattòrdici versi, quasi sempre endecasillabi (3). Esso
è diviso come in due parti: la prima parte è formata
da due quartine con uguali rime; la seconda parte
è formata da due terzine con uguali rime (4).
(1) Dante tràduce in latino sonetto, sònitus = suono.
(2) I più antichi esempi di sonetti sono di poeti d’arte, i quali però dèb-
bono averlo derivato da forme popolari (strambotto).
(3) Il sonetto può èssere anche formato di versi brevi e si dice allora
sonetto minore 0 minimo; ma è cosa moderna. Il sonetto fu adoperato
come stanza (corona di sonetti) per trattare ùàmpio argomento. Il Carduoci
in dodici sonetti narrò epicamente la Rivoluzione francese (0a Ira).
(4) Le quartine pòssono èssere a due rime aiternate (A B A B, AB AB
_ 929 —
Moltissimi sono i sonetti nella letteratura italiana, ma i
sonetti perfetti sono in piccole nùmerò, giacchè questo com-
ponimento è assai difficile. Salì a somma glòria pel Trecento
con Dante e Petrarca, dilagò nel Cinquecento con le imitazioni
del Petrarca: fu imitato nelle letterature straniere : fu resti-
tuito al primitivo splendore dall’Alfieri, Foscolo, Carducci.
' II pròprio ritratto.
(Ugo FòscoLo).
Solcata ho fronte, occhi incavati, intenti;
Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;
Labbro tùmido, acceso, e tersi denti;
Capo chino, bel collo e largo petto;
. Giuste membra, vestir sèmplice, eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
Sòobrio, umano, leal, pròdigo, schietto;
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
. Talor di lingua, e spesso di man prode;
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso ;
Pronto, iracondo, inquieto, tenace:
Di vizi ricco e di virtù, do lode ‘
Alla ragion, ma corro ove al cor piace.
Morte sol mi darà fama e riposo.
Sonetto caudato o sonettessa. — Il sonetto tratta di ogni
argomento, ma quando esso è giocoso o satirico, suole aggiùn-
gere ai quattòrdici versi alcuni terzetti (coda), formati di un
settenàrio rimato con l'ultimo verso del sonetto, e di due en-
decasìllabi a rima baciata. Francesco Berni, poeta giocoso del
Cinquecento, diede voga a questa spècie di deformazione del
sonetto.
Carme, cioè canto, è un componimento di maggiore
ampiezza e, di sòlito, in endecasillabi sciolti. Tratta
o a due rime incrociate (A B B A, ABB A); le terzine pòssono èssere 2
due rime alternate (C DC, D CD) forma più antica; o a tre rime ripetute
(O DE, ODE)0 invertite (CDE, EDOC).
—- 99 —
di gravi argomenti, jn fotma pacata e solenne. / Se-
polcri del Fòscolo (duecentonovantacinque versi) sono
il più famoso.carme della nostra letteratura.
Elegia è parola greca che vuol dire canto funebre.
È un componimento grave e triste, in cui si rimpiàn-
gono persone estinte, beni e gidie perdute, cose belle
e grandi che già fùrono.
L’elegia si compone di endecasillabi sciolti, o di terzine (1).
Esèmpio: Le Rimembranze del Leopardi, in cui il poeta rim-
piange le illusioni della giovinezza.
Dalle Ricordanze.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E deile gidie mie vidi la fine.
Quante imàgini un giorno e quante foie
Creommi nel pensier l’ aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che tàcito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
. Mirando il cielo ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lùcciola errava appo le siepi
E in gu le aiuole, sussurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto il pàtrio tetto
Sonàvan voci alterne e le tranquille
Opre dei servi.
(LEOPARDI).
(1) I Greci ed i Latini chiamàrono poi elegia una serie di dìstici (unione
gtròfica di un esdàmetro e di un pentàmetro, vedi nota a pag. 66) anche se
non trattava di argomenti tristi.
94 —
Idìllio è voce greca chè vuol dire immaginetta,
cioè quadretto campestre : è un componimento vàrio
per ampiezza e per metro, ma gentile ed elegante in
cuì è descritta qualche scena campestre, o la vita dei
pastori (1).
Il più grande poeta di idilli è il greco Tedcrito di Siracusa.
Molte canzoni del Leopardi comìnciano con bellissimi idilli.
Giovanni Pàscoli è autore di bellissimi idilli, pieni di pro-
fonde significazioni, e con vivo sense della campagna (2).
Satira. — La satira è un componimento che ha
per iscopo di méttere in chiara luce i vizi, le debo-
lezze, gli errori degli uòmini, e il nome sàtira ri
guarda la matéria trattata e non la forma.
La sàtira deride i vizî, oppure li frusta ferocemente; e questa
differenza dipende dall’ìndole del poeta. La sàtira è scritta
in varî modi. Può èssere un poemetto, come fece il Parini nel
suo Giorno, in cui descrive ironicamente la vita oziosa di un
giovin signore; o può èssere una lìrica breve, come fece il
Giusti nelle sue poesie, che chiamò Scherzi; o come fece il
Carducci nelle sue fiere ed appassionate poesie politiche, che
chiamò Giambi = versi satirici che ferìscono.
Sonetto satirico del Giusti.
Che i più tìrino i meno è verità,
Posto che sia nei più senno e virtù;
Ma i meno, caro mio, tirano i più,
Se i più trattiene inèrzia o asinità.
(1) Veramente oggi la parola idi/lio è caduta in disuso, benchè esista
il genere di poesia idillica. I Latini chiamàrono poi ecloga 0 egloga (= canto
scelto) una poèsia di carattere campestre, in cui è narrata la vita dei pa-
stori, e spesso sotto le avventure dei pastori i poeti narràvano avventure
pròprie. Queste poesie pastorali hanno il nome genèrico di poesia ducdlica
(vedi pag. 83).
(2) Il volume intitolato, Myricae (lat. tamarischi).
_ 9% —-
Quando un intero pòpolo ti dà
Sostegno di parole e nulla più,
Non impedisce che ti butti giù
Di pochi impronti (sfacciati) la temerità
Fingi che quattro mi bastonin qui
E lì ci sien dugento a dire: Oibò!
Senza scrollarsi o mòversi di lì:
E poi sàppimi dir come starò:
Con quattro indiavolati a far di sì,
Con dugento citrulli a dir di no.
Canzonetta o Odicina o Anacreòdntica (1): è un
componimento tènue, per lo più d’amore, di poche
strofe, formate di brevi versi, e variamente architettate:
squisitamente musicale. Genere di poesia piuttosto
frivolo e galante, che fu molto in voga nei sècoli XVII
e XVIII (Gabriello Chiabrera (2), Pietro Metastasio,
Paolo Rolli).
L'ape e la serpe spesso
Suggon l’istesso umore;
Ma l’alimento istesso
Cangiando in lor si va:
Chè della serpe in seno
Il fior si fa veleno;
In sen dell’ape il fiore
Dolce licor si fa.
| (METASTASIO).
rr
(1) Anacreonte, poeta'greco del V sècolo avanti Cristo, scrisse molte
è brevi poesie di argomento lieto e in lode del vino e del piacere. Diamo
la versione di questo gioiello antico di Anacreonte.
ALLA CICALA.
Chiamiamo felice te, o cicaletta, quando appesa in cima agli àlberi,
Pasciuta soltanto di un po’ di rugiada, canti come un re. Suno tue, o cica-
letta, tutte le cose che tu vedi nei campi, sono tue le selve. ‘Tu sei ben
Cara ai contadini, perchè non rechi loro alcun danno, tu sei onorata dai
Mortali, perchè sei dolce profetessa dell’ estate. Le Muse ti àmano, lo stesso
Apòlline ti ama e ti diede uno strìdulo canto. La vecchiàia non ti rag-
Riunge, o cicaletta, o sàggia, o nòbile, o piena di canti, o senza dolore.
(2) Si informò alle chansons del poeta francese Ronsard.
- 96
L’ epigramma in origine significò come epigrafet
(scritta sopra un monumento): indica oggi un brexe,
arguto componimento satirico. |
Esempi:
Ad un famoso agrònomo
Fu chiesto da un bifolco,
Quale si avesse a crèdere
De’ concimi il migliore;
Quei rispose: il sudore.
(ZEFFIRINO Ra).
Vittorio Alfieri, ai letterati molti e frivoli che dicèvano che
i suoi versi èrano duri, rivolse questo epigramma:
Mi trovan duro?
Anch'io lo so.
Pensar li fo.
Tàccia ho d’oscuro?
Mi schiarirà
La libertà.
Un epigramma vero
Nel nostro cimitero.
Dopo aver letto vàrie
Leggende mortuàrie,
Una bambina dagli occhietti vivi
Domanda: — O dove méttono i cattivi? —
(Luciano MonTASPRO).
Forme lriche popolari sono: lo strambotto, lo
stornello, il rispetto. Essi tràttano specialmente di
amore e di dolore: la Campagna toscana è molto ricca
di queste brevi e sèmplici poesie, ma esse sono comuni
anche in altre regioni d’ Italia.
Lo strambotto è una spècie di ottava, irregolare e' capric-
ciosa, e da ciò derivò il suo nome, quasi poesia stramba. È
una forma antichissima e popolare, che fu rinnovata con in-
, tendimentò politico da Francesco Dall'Ongaro, e più recen-
— 97 .-
mente ua Severino Ferrari, Giosue Carducci, Giovanni Pà-
fcoli, che si compiàcquero di dar vita novellu a questa forms
Le cose piccoline son pur care!
Ponete mente come son le perle:
Son piccoline e si fanno pagare;
Ponete mente come l’è l’uliva:
L'è piccolina e di buon frutto mena -
Ponete mente come l’è la rosa:
pù L’è piccolina e l’è tanto odorosa.
I tre colori (1).
pri (1847).
po!sre toscana.
Le cose piccoline son pur bellet
È
ki E lo mio amore se n'è ito a Siena,
; M'ha porto il brigidin di duo colori:
' Il bianco è quella fe’ che c’incatena,
Il rosso è l'allegria dei nostri cuori;
Ci metterò una fòglia di verbena
Ch’io stessa alimentai di freschi umori;
E gli dirò che il verde, il rosso e il bianco
Gli stanno bene con la spada al fianco;
E gli dirò che ’l bianco e ’l verde e il rosso
Vuol dir che Itàlia il suo giogo l’ha scosso!
E gli dirò che 'l rosso, il bianco e ’1 verde
E i È un terno che si gioca e non si perde.
Ò (DALL OnGARO).
+. Lo stornello è anch’ esso un componimento popo-
lare assai antico, solitamente formato di tre versi
a B A. Il primo verso a è quinàrio con la invocazione
di un fiore, di sòlito senza nesso con ciò che segue.
È di carattere sentenzioso.
(1) Famoso stornello, o strambotto, popolare, un tempo. È immaginata,
dal poeta, una fanciulla, a cui Vinnamorato diè il brigidino o nastrino
(oggi, alla francese, coccarda) tricolore. Garibaldi, si racconta, lo cantava
nel 1848.
7. — PANZINI Manualetlto di Retorica.
_ 9g
Fior d'erbe amare,
Se il capezzale lo potesse dire,
Oh, quanti pianti potrebbe contare!
Il rispetto è un distico o una quartina in onore o rispetto
dell’ innamorata : gentile forma popolare, spècie in Toscana.
Anche poeti dotti scrissero in queste forme popolari.
Fior tricolore,
Tramòntano le stelle in mezzo al mare,
E si spèngono i canti nel mio core.
(CARDUCCI).;
Forme lìrithe antiche, sono la Lauda .0 Laude,
canto devoto in onore dei Santi e specialmente di
Maria; la Ballata o Canzone a ballo, breve canzone
amatòria, così detta perchè si accompagnava alla
danza ; il Madrigale (1), breve poesia, che conteneva
in origine un pensiero sèmplice o idillico o d’ amore
(sécolo XIV), e che poi si corruppe in lezioso e lam-
biccato componimento galante (sècolo XVIII); il Di
tirambo, parola greca che vale tripùdio ed indicò
presso i Greci un concitato canto in lode di Bacco:
e noi intendiamo un giocoso canto, e in versi di vària
misura (polimetro), in lode del vino (tale è il lungo
ditirambo di Francesco Redi, méèdico del Seicento,
Bacco in Toscana); una spécie di ditirambo si può
considerare H Brìndisi; l’ Epitalàmio o canto per
nozze; il Canto Carnascialesco, che si cantava, nei
giorni di carnevale da gioiose brigate per le vie e
per le piazze della Firenze Medicea, nella seconda
metà del sècolo XV; il Capìtolo, componimento in
terza rima di carattere giocoso o satirico. -
Ballata romantica: da non confondere con la can
zone a ballo o ballata del Trecento.
À
i
}
3
î
;
nin 4 i iii Apt rn e
(1) Madrigale: secondo alcuni vale quasi mandriale = poesta usciù
nata dalla mandria, cioè pastorale; secondo altri, mafricale carmen =
Canto materno, cioè in volgaro.
l — 99 —
La ballata romàntica è un componimento che de-’
rivò a noi dalla letteratura tedesca, la quale verso
il principio del sècolo XIX, volle mettere in onore le
tradizioni popolari germàniche (1).
A tale scopo molto contribuì la detta ballata, che è
una leggenda în versi, assai drammàtica e romantica
(cioè sentimentale), e. dati con intervento di forze
sopranaturali.
Questo componimento ebbe imitatori anche da noi
(Giovanni Berchet, Giovanni Prati, Giosue Carducci).
Il re degli ontani.
Ballata romàntica di VoLraNGO GorTHA.
Versione in prosa di ALFREDO PANZINI.
Chi cavalca così tardi attraverso la notte e ‘il vento? È un
| padre col suo figliuolo. Egli si tiene ben stretto il fanciullo
fra le- sue bràccia. Lo abbràccia sicuro, lo tien caldo.
«Figlio mio, BORCR nascondi ‘così paurosamente il tuo
volto? ».
«Non vedi tu, o padre mio, il re degli ontani; il re ci
ontani con la corona e col manto? »
« Figlio mio, quel che tu vedi è una strìscia di nèbbia. »
«Caro fanciullo, — dice il re degli ontani — vieni, vieni
con me! Giocherò teco bei giuochi. Molti variopinti fiori sono
lungo la riva. La madre mia ha varì Abiti d'oro. »
«Padre mio, padre mio, non odi tu che cosa mi promette
a bassa voce il re degli ontani? »
« Sii tranquillo, sta’ in pace, figlio mio! È il vento de soffia
nelle foglie secche della selva. »
« Vuoi, caro fanciullo, venir con me? Le mie figlie ti sor-
veglieranno ; le mie figlie che bàllano le danze notturne, cul-
lando, danzando, cantando ti addormenteranno. »
« Padre mio, padre mio, non vedi tu MSEGRLI in fondo le
figlie del re degli ontani ? »
—
(1) In opposizione alla classicità di Roma.
sz 1000
« Figlio mio, figlio mio, bene io vedo. Sono gli antichi sàlci
che. appàiono così spettrali e tristi. »
«Io ti amo, — prosègue il re degli ontani — a me piace
la tua gentile persona: ma se tu non vuoi venire con me, io
adoprerò la forza. » ; nai ” |
« Padre mio, padre mio, adesso mi prende! Il re degli on-
tani mi ha dato dolore! » i
. Il padre inorridisce, cavalca veloce, tiene fra le bràccia il
bimbo gemente; raggiunge il castello con fatica e con pena.
Nelle sue bràccia il bimbo era morto (1).
Gènere narrativo
Il Poema.
X Poema èpico. — La poesia servi, nei tempi an-
tichi, specialmente, a raccontare i fatti gloriosi, le
grandi imprese o gesta; compiute dagli eroi di una
pazione: imprese e nomi di eroi già noti; e cari al
popolo. |
Questa poesia era cantata dai cantastòrie (2) al pò
polo, il quale ascoltava desideroso; e nella glòria, nel
valore, nelle sventure degli eroi riconosceva le prò
prie glòrie, il proprio valore, le pròprie sventure: sì
» »
(1) La poesia futurista. Questi sono i gòneri della poesia tradizionale.
Questi gèneri — come già dicemmo prima parlando dei versi (Vedi pag. 62)
— non sono usati dai poeti futuristi (detti anche di avanguàrdia), i quali
sèntono che queste forme tradizionali sono invecchiate e perciò -ne vè-
gliono creare di nuove. Comunque sia, oggi l’assetto mètrico che prevale
è quello della strofa di ineguale misura, di un ritmo fuor della legge —
si potrebbe quasi dire anàrchico, — dei verso libero, (vedi pag. 62) sì che
quella che essi chiàmano lirica si avvicina alla prosa (o viceversa).
Per farvi capire mèglio, io userò di una similitùàdine, cioè di una me-
tàfora; questi gèneri tradizionali della poesia sono come recipienti. ànfore
greche, vasi etruschi, boccali, botti paesane. o bottìglie, o anche fiaschi, 0
ampolline entro cui è contenuto il vino. Sento anch’io che questi reci-
pienti sono vecchi, e alcuni vecchìssimi! La poesia dei futuristi — in-
vece — non è contenuta o frenata, per così dire, dalla forma prestabilità
del recipiente. Questo si dice senza voler giudicare affatto se il vipo è
buono o cattivo, vino nostrano o forestiero, vino vero o mezzo vino. —
2) I poeti-cantastòrie dai Greci fàrono detti rapsòdi e i loro canli
rapsodìe; dai (fermani fùrono detti scaldi o bardi e in generale camiori
Gcantores). = i -
— 101 —
esaltava. e si commoveva in udire: vedeva quasi nel
racconto èpico l’imàgine della pàtria, si sentiva quasi
lui autore del racconto, riconosceva: sè negli eroi.
Dunque ?! poema èpico è una storia narrata poeti-
camente al pòpolo: ma non una stòria, come. oggi
intendiamo, cioè precisa, conforme al fatto reale, do-
cumentata; bensì una stòria conforme a leggenda, e
in cui si attribuivano agli eroi forze e virtù superiori:
alle umane. Si immaginàvano gli dei e le dee che
prèndono parte alle azioni degli eroi e spesso òperano
come fossero anche loro èsseri umani (1). Ì
A questo punto qualcuno di voi che ha l’ànimo gen-
tile, può ben dire: « Ma la nostra guerra (2), con tanti
‘sacrifici, con tanta pura e santa gioventù morta così
eroicamente, ma la generosità e la grandezza della
nostra pàtria, l’ Itàlia, che per amore di giustizia e
per òdio contro l’ iniquità osò sfidare un così tremendo
nemico, Austria e Germània; e col suo intervento
prima, con la sua gran vittària poi, permise la vit-
tòria alle altre nazioni alleate ; ma tutto questo deve
bene formare un nuovo grande poema èpico! »
‘ Lo so, ma oggi non è più tempo di poemi èpici. Voi lo
vedete! È tempo di grandi affari, di grandi commerci,
di grandi questioni econòmiche e sociali, con tante
cure di interessi, con tanta bramosia di ricchezza...!
Questa grande e terribile guerra formerà certo
argomento di volumi e volumi, ma sarà stòria pre-
cisa, con nùmeri, documenti, carte geogràfiche, dati
tècnici, ecc. ecc.
I poeti che cantàvano le grandi gesta, nascèvano
da pòpoli più DIRO e di più sèmplice vita e di più
viva fede.
“n Questo rappresentare gli Dei con le azioni, figure, passioni uguali
sz!i ubmini fu detto antropomorfismo (cioè Dei in forma di uòmini).
(2) 1915-1918.
— 102 —
Osservate un fatto curioso: tutti i grandi pòpoli,
nel periodo stòrico della loro giovinezza, direi del loro
sviluppo (benchè questo sia avvenuto a diversi inter-
valli di tempo e lontananza di spazio, e diversità di -
| razza; e vàrio grado e forma di civiltà), possèggono
questi racconti èpici: cioè questa stdria leggendaria
in versi: nella quale più che il poeta autore e can-
tore, si vede il pòpolo e gli eroi celebrati. Pensate
alle leggende di Roma antica : Romolo, allattato dalla
lupa, quindi forte, che con l’aratro, quindi agricoltore,
segna il solco della futura Roma, e prega gli Dei che
nessun pòpolo vinca Roma; e Fùrio Camillo che dice
che la pace si compra con la spada e non con l'oro, e
Fabrizio che dichiara a Pirro che non sa che cosa fàr-
sene dell’ oro, ma vuol comandare a quelli che hanno
oro; e Cincinnato che da contadino diventa dittatore
e poi tranquillamente ritorna contadino ; e’ l’Oràzio
che batte da solo i tre Curiazi distanziàndoli, cioè
separando le loro forze....
Io potrei continuare! Queste sono le antichissime
leggende di Roma; e Tito Livio ce le ha raccolte in
una sua stòria che pare epopea. « Non sono fatti veri! »
hanno detto i dotti filòsofi tedeschi. Essi avranno forse
ragione, ma la stòria di Roma e della sua civiltà, per
cui anche l popoli soggetti a Roma finìvano col sen:
tirsi attratti naturalmente verso Roma, non è leggenda,
ma verità! Dunque molte volte la leggenda è una
grande verità. i
Ma torniamo al nostro argomento (1).
(1) I pòpoli ariani celebràrono la conquista dell’Îndia con due poemi:
il Ramaiana e il Maha-barata; gli Ebrei, nella Bibbia, raccontàrono la
liberazione loro dalla servitù di Egitto e la conquista della Terra pro-
messa loro da Dio (Jeova); i Persiani nel Libro dei re (di Firdusi, sè-
colo X dopo Cristo), celebràrono le loro lotte contro i pdpoli bàrbari di
— 103 —
I racconti più belli e perfetti sono quelli che ci la-
sciàrono gli antichi Greci con l’ Ilîade e l'Odissea. Essi
sono ancora studiati e ammirati da tutti i pòpoli colti
e civili, |
Queste stòrie leggendàrie si chiàmano poemi (poema
vuol dire in greco compostzione), e più precisamente
poema èpico, cioè poema narrativo, perchè epos, in
greco, vuol dire parola nel senso di narrazione : sì
dice anche poema erdico, perchè vi hanno grande
parte uòmini forti, belli, virtuosi (eroi); si dice anche
poema nazionale, perchè racconta le glòrie di una”
| nazione. Si dice anche, più brevemente, epopea.
I letterati, studiando poi questi poemi, ne hanno osservato
le leggi (1): hanno osservato che il nome dell’autore o poeta
vi è poco noto o mal sicuro, quasi fosse il pòpolo stesso che
celebrasse le pròprie imprese. Esèmpio di ciò è Omero, a cui
sono attribuiti i due poemi greci, l' A ACS e l'Odissea . ®.
razza Turànica; i Germani celebràrono i loro eroi in fantàstici racconti,
| intitolati i Nibelunghi; i Franchi glorificàrono le loro guerre contro i
Saraceni nelle Canzoni di gésta, che tràttano di Carlo Magno e di Or-
lando; gli Spagnuoli celebràrono le loro lotte contro i Saraceni che avè-
vano occupata la Spagna, nel Romancero, raccolta di canti èpici; e nel
Cid (Cid Campeador, eroe spagnuolo che ricorda 1’ Orlando dei Franchi).
I pdpoli scandìnavi hanno una loro raccolta di canti nazionali, detti Edda
(sec. VIII). I pòpoli finnici hanno una raccolta di racconti nazionali, detti
Kalevàada (raccolti dal L&nnrot, nel 1837). 1 Greci moderni hanno splèn-
didi canti popolari di guerra contro il loro secolare nemico, il Turco.
(1) Il poeta, prima di narrare, comìncia col dire quale sarà l’ argomento
(pròtasi): in ogni poema dòmina un eroe principale: l’azione avviene
— di sòlito — in un solo luogo ed in un tempo limitato. V’è un’azione
principale, e vi sono vari episodi, Lo stile è alto e solenne.
(2) L’ Iliade è un poema in XXIV libri (o canti): racconta la guerra
di Tròia (Ilion) cagionata dal rapimento di Èlena. Ackille, il più bello e
forte fra gli eroi greci, è sdegnato contro Agaméènnone re dei Greci: si
ritira sotto la tenda e rifiuta di più combàttere. Allora Èttore, eroe troiano,
Sbaràglia i Greci. Achille infine, mosso a pietà dei suoi, manda in aiuto
il suo amico Patroclo: ma questi è ucciso da Èttore. Achille vèndica
l’amico con la morte di Èttore. Questo poema fu tradotto in sonori e belli:
endecasìllabi sciolti da Vincenzo Monti. Giovanni Pàscoli ne fece qua
e là, la versione imitando il verso esàmetro o erdico. L’ Odissea racconta
le avventure di Ulisse (Odissto) per le terre circum-mediterrànee dopo
— 104 —
Questo Omero fu imaginato mendico, cieco, errante.
Tutti quei fatti superiori alle forze e alle leggi umane che
si incontrano nei poemi èpici, èbbero dai dotti il nome di
« il meraviglioso del poema èpico. » la fantasia e la ingenuità
dei primi pòpoli facèvano crèdere a questo meraviglioso come
a cosa possibile, e perciò il racconto delle cose meravigliose
era fatto in maniera del tutto sèmplice, ingènua, e come na-
turale (1).
Vedete un esèmpio di questo meraviglioso nella morte di 0r-
lando (2) a Roncisvalle (Pirenei).
DI
Qui sente Orlando che la morte gli è presso;
Chè gli esce fuor dalle orècchie il cervello.
E con tutto ciò Orlando sèguita a còmpiere incredibili òpere
e ad uccìdere i nemici. Ma non fa ridere, anzi commuove!
Nei tempi posteriori, la bellezza e la potenza del
poema èpico piàcquero tanto che alcuni grandi poeti
vollero celebrare le glòrie della loro nazione Rec
dendo come modello gli antichi poemi.
-
la guerra di Tròia, prima di poter ritornare nell’ìsola nativa, Ifaca; dove,
lo attèòndono Penèlope (la mòglie), Telèmaco (il figlio), Laerte (il vecchio
padre). Quivi giunse .alfine, e dopo avere uociso i vili Proci, cioè gli
amanti di Penèlope virtuosa, visse felice la restante sua vita. La 0disse
fu tradotta in versi endecasìllabi sciolti dal Maspero e da Ippblito Pin
demonte. Io vi posso indicare una riduzione in prosa assai ben fatta e
che potete lèggere col piacere con cui si legge un romanzo (L’ Odissea
di Omero, nella raccolta dei grandi clàssici, narrata alla gioventù. (Roma,
Società editrice Laziale).
(1) II Fòscolo rivolgàndosi « non alla ragione, ma alla fantasia © 4!
cuore de’ lettori », così rafligura Omèro:
Un dì vedrete
. mendìco un cieco errar sotto le vostre
; antichìssime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli e abbracciar l’ urne
e interrogarle.
Chi fosse questo Omero, se uno o più poeti, ancora non Si sa. È una
gran questione, trattata prima da un famoso filòsofo italiano Giambattist
Vico e poi dai dotti e filòsofi tedeschi. Una cosa pare sicura: che un poets
‘008ì alto e profondo non può èssere un poeta popolare! Certo fu ul
grande ingegno e un gran cuore umano!
(2) La più bella delle canzoni francesi di Gesta cho si intitola Canzo
d’ Orlando, finisce con la morte di Orlando,
— 105 —
Così fece Virgilio, poeta latino, fiorito nel colmo
della civiltà Romana, cioè circa sette - sècoli dopo
Omero. Virgilio seguendo e continuando Omero, ce-
lebrò la gloria di Roma nella Enéide (1).
Così fece Torquato Tasso, il quale vissuto nel pieno
del sècolo decimosesto (Cinquecento), celebrò nella
Gerusalemme Liberata le imprese dei Cristiani nella ‘
Crociata contro i Maomettani (2). n.0 |
Così fece tra gli stranieri Luigi Uamoens (1525-1580),
che celebrò il suo pòpolo, i Portoghesi (i Lusitani,
0s Lusiados), narrando le glòrie marinaresche di esso
pòpolo, e specialmente il DIOTAVI Bione viaggio di Vasco
di Gama.
XPoema romanzesco..— Il poema romanzesco è,
come dice il nome, una mescolanza di poema e di
romanzo : deriva dal poema èpico e si mescolò con.
personaggi e cose da romanzo, come giganti, nani,
fate, anelli màgici, cavalli alati, fontane fatate, palazzi
e castelli elevati e distrutti per arte di negromànzia.
I tornei, i duelli, le avventure dei cavalieri erranti
.. (I) Virgìlio racconta in dòdici libri o canti e in verso esàmetro o erdico,
di Enea, eroe troiano, che dopo la distruzione della sua pàtria (Trbia o
Ilion), venne per volere del Fato in Itàlia per dare orìgine a Roma, la
città destinata ad èssere signora del mondo. La versione italiana più cè-
lebre è quella di Annibal Caro.
(2) La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso è il maggior poema
èpico italiano. È scritto in ottave ed è in venti canti.
Il Tasso racconta la stòria della prima crociata, di cui fu capitano
Goffredo di Buglione, cavaliere francese. Angeli e Demoni prèndono parte
alla « gran lotta ». Contiene molti e belli episodi d’amore e tèrmina con
la presa di Gerusalemme.
Gabriele d’Annùnzio in un « Losmeno » La Canzone di Garibaldi,
ci racconta le imprese dell’Eroe. Giosue Carducci in un discorso su la
morte di Garibaldi, dice che si vedrà ogni mattina sulle Alpi: una grande
ombra che ha rossa la veste e bionda la capelliera errante su i venti
sereno lo sguardo siccome il cielo. Il pastore straniero guarda ammirato,
e dice ai figliuoli: — È Veroe d’ Itàlia che veglia su le Alpi della sua
pàtria. Carducci è morto prima della guerra; ma Gabriele d’ Annùnzio
diventò erdico soldato, della guerra.
20 cite CELA RR IMI TOTTI TEIL > IV \
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— 106 —
del méèdio evo, formano l’ argomento più importante
di questi poemi; e spesso le cose facete e ridicole
sono mescolate alle sèrie e gravi, come appunto nei
PolnAnzi, di cui questi poemi allora tenèvano il posto.
‘ Il poema romanzesco è cosa del tutto italiana €
fiori nel Cinquecento. Il personaggio più importante
‘di questi poemi è Orlando, paladino (1) di Francia,
nipote di Carlomagno imperatore, che operò con la
gran forza e con la sua spada Durlindana cose me
ravigliose (2). Orlando o Rolando era popolare in Itàlia,
e così èrano popolgri gli altri cavalieri e paladini di
Carlomagno imperatore, come Rinaldo, Olivieri, Gano
il traditore e l’ arcivescovo Turpino (3); e di loro u
po’ sèrio, un po’ anche per beffa, raccontàvano per le
piazze e pei borghi i poeti popolari o cantastòrie, nel
l’ evo médio. (A Nàpoli ed in Sicilia questi eroi sono
ancora popolari).
Questi racconti francesi intorno a Carlo Magno,
x
(1) Paladino fu nome dato ai dòdici valorosi signori che seguìvano Carlo
Magno alla guerra: così detti perchè convivèvano nel palazzo (lat. palà-
tium) dell’imperatore.
(2) Anche oggi la leggenda popolare ricorda le meravigliose òpere di
Orlando (monti spaccati dalla sua spada).
(3) Popolare diffusione, e in tutta Itàlia, ebbero i racconti di Carlo Ma-
gno e della sua santa gesta: Carlo Magno, restauratore del Sacro Romano
Impero, e sostegno del Cristianèsimo contro la religione e le invasioni in
Europa dei Saraceni o àrabi, seguaci di Maometto.
Primo luogo di diffusione di queste leggende carolìngie è la valle Pa-
dana, dove giullari e cantastòrie cantàvano in sèrie di versi monorìtmici
cd in un commisto linguàggio, franco-lombardo, franco-vèneto, le imprese
di Carlo imperatore. Questi racconti carolingi passando su la fine del Tre-
cento in Toscana, assùnsero veste, diremo così, nazionale, cioè la ottava
rima, dando orìgine ad un nùmero grande di poemi popolari: Rinaldo da
Montealbano, la Spagna ‘elaborata su la Chanson de Roland e su l Entre
de Spagne, poema franco-vèneto). Fùrono composti anche i rifacimenti
in prosa, popolari tuttora: (li troviamo sui banchi dei librai ambulanti.
e per le campagne, I reali di Francia, Cuerrin Meschino). Questi cantari
popolareschi toscani prèsero poi forma d’arte per dpera di Luigi Pulci
fiorentino spìrito bizzarro, col Suo Morgante, (nome di un gigante, scu-
diero di Orlando».
— 107 —
pòrtano il nome di ciclo carolingio (quasi cèrchio o
corona di leggende intorno a Carlo Magno).
Un'altra corona di leggende forestiere scritte in
francese, era pur conosciuta in Itàlia nell’evo-médio;
ove si trattava di tornei, di avventure di cavalieri
erranti, di belle regine innamorate, di magie, di in-
cantamenti. Quest’altra corona di leggende hanno il
nome di ciclo brètone, o del Re Artù, o della Tavola
Rotonda (1). >
Da queste due corone di leggende forestiere un
nostro grande poeta, che aveva in sè cuore e genti-
lezza di antico cavaliere, il conte Matteo Maria Boiardo
(sècolo XV), ricavò una bellissima invenzione, imma-
ginando che Orlando — che mai non era stato inna-
morato — si innamorasse della bella Angèlica, regina
del Catàio; e così compose l’Orlando Innamorato (2),
in ottava rima, che voi dovete pensare come un gran
romanzo, pieno delle più fantàstiche avventure. Il
Boiardo, morto nel 1494, non terminò il suo poema,
che pure, così come è, è lunghissimo : e fu ripreso
(1) Le leggende dei cavalieri di Bretagna, o « le bellìssime fàvole » 0 ro-
- manzi — come li chiama Dante — di re Artù (o della Tàvola Rotonda), er-
ranti in cerca di avventure o sofferenti passioni per amore, passàrono dalla.
Frància in Itàlia nel sècolo XII, e vi si diffùsero, specialmente nella valle
del Po, in quella che fu detta Marca trevigiana o gioiosa; dove, nella s0-
cietà feudale, nelle corti di prodi e cortesi signori, fra belle donne, tro-
vàrono il naturale clima, direi quasi la necessària temperatura per la loro
diffusione. Fl questi romanzi di Tristano e Isotta, di Lancilotto e Ginevra,
di Merlino l’ incantatore èrano letti in francese.
Non mancàrono più tardi volgarizzazioni e rifacimenti, fatti con la
maggior libertà, compilando e contaminando da vàrie fonti: spècie quando
questi racconti brètoni passàrono, dalla valle del Po, in Toscana. La com-
pilazione intitolata Tàvola Rotonda della metà del secolo XIV, è la più
notevole del gènere.
(2)-I1 Boiardo, essendo di Scandiano (Règgio Emìlia) scrisse con la lìn-
gua viva che aveva sottomano, cioè con molti lombardismi. Ci fu allora un
toscano, Francesco Berni, che lo ripulì tutto alla toscana; ma gli tolse ogni
sua nativa bellezza, -
— 108 —
da Ludovico Ariosto (n. 1474 m. 1533). L’ Ariosto, con
ricchissima fantasia e gran bellezza di lingua, continuò
la stòria dell’ Orlando Innamorato, e da innamorato
andò un poco più in là e lo fece pazzo furioso (L’0r-
lando Furioso) così come pazzo diventa Tristano, eroe
della Tavola Rotonda, per amore della regina Isotta.
Orlando come ha perduto il cervello, compie molte
pazzie, finchè il cavaliere Astolfo, volando sul suo ca-
vallo alato (ippogrifo), va nella luna, trova il cervello
d’ Orlando che sta in una fialetta, e glielo fa respirare
su per il naso, così che l’eroe terna sano un’altra volta.
Come vedete, vi sono bizzarrie satiriche o almeno
scherzose. Tutto questo, poi, in mezzo a tale intrèccio
‘ di guerre e di avventure che come sono belle a lèg-
gere, così non sono possibili a raccontare.
Il poema dell’ Ariosto ebbe grande popolarità e molti.
imitatori.
“La ottava — come già abbiamo detto — è il metro
adoperato in questa spècie di poésia narrativa.
Il poema eroicòmico. — Il grande nùmero dei
poemi romanzeschi, seguiti all’ Orlando, fece nàscere
la satira di essi e della cavalleria (1), e fùrono com-
posti poemi, mescolati ridicolmente di cose eròiche,
comiche e satiriche, che si dissero eroicòmici.
Il più famoso esèmpio (2) di poema eroicòmico è La sècchia ra-
pita di Alessandro Tassoni (1565-1635). Sono dodici canti, in ot-
| tave, dove si racconta con ridìcola solennità una guerra me-
—————— ———————_——_—_————__—_— —___—__—m
(1) La più illustre sàtira contro la cavalleria, male intesa e professata,
solo per pompa, è il Don Chisciotte di DIODOE Cervantes Saavedra (1547-
1616), gran poeta spagnuolo.
(2) Il Ricciardetto del Forteguerri, I/ i racer desolato del Corsini
Lo scherno, degli Dei di Francesco Bracciolini, sono altri poemi eroicò-
mici. Questo gènere satìrico trovò onore anche presso il Leopardi (Pa-
ralipòmeni della Batracomiomachia di Omero = Cose tralasciate neli3
guerra dei topi e dello rane). i
n
— 109 —
dievale tra Bolognesi e Modenesi, cagionata da un’ infelice e
vil secchia di legno, rapita dai Modenesi ai Bolognesi.
Poema didascàlico. — Al tempo dei Greci e dei
Romapi, quando le scienze non èrano sviluppate come
sono oggi, i poeti compòsero poemi allo scopo dì am-
maestrare su qualche disciplina, arte, scienza (1).
I poeti italiani, che nel Cinquecento ritènnero gli an-
tichi clàssici come principale modello, imitàrono questo
gènere e compòsero moltìssimi poemi o poemetti, per
lo più in versi sciolti, allo scopo di ammaestrare in
qualche arte o disciplina, e insieme pòrgere diletto
con la bellezza del verso: questo gènere di poesia è
detto didascàlico = che insegna, o ammaestrativo.
Esèmpio: Le Api di Giovanni Rucellai (1475-1525) (2).
Questo gènere didascàlico oggi non è più dell’uso.
(Molti considerano La Divina Commèdia di Dante
come un poema didascàlico, perchè il divino nostro
Poeta, in una vistone dell’ Inferno, del Purgatòrio e
del Paradiso, insegna ai vivi « a ben vivere e a ben
morire ». Ma questo è piuttosto un poema sacro, e
anche Dante lo chiama è! poema sacro; e nel tempo
stesso un poema umano, perchè egli vi passa in ras-
segna tutta l'umanità, con tanta potenza di verità come
mai non fece alcun altro poeta).
Poema sacro, è quello che tratta della religione, e
dei suoi misteri. Esèmpio : La Divina Commèdia (3).
(1) I Giorni e le òpere, di Esìodo, sècolo VI avanti Cristo. Contieno
nobilissimi precetti sull’umano lavoro, spècie dei campi, secondo le sta-
gioni. Della Natura delle Cose (De rerum Natura), di Lucrèzio Caro. Le
Geòrgiche, di Virgìlio, in quattro libri, che tràttano della coltivazione della
terra, con belli episodi mitològici. L'Arte poètica, di Oràzio Flacco, da cui
togliemmo qualche precetto. È un capolavoro di buon senso in matòria
di arte, imitato dal francese Boileau (L’art poètique).
(2) La Coltivazione, di Luigi Alamanni (1495-1556). IZ Podere, di Luigi
Tansillo (1510-1568). Invito a Lèsbia Cidònia, dell'abate Lorenzo Masche-
roni? poeta e matemàtico (1750-1800). Descrive il museo di scienze naturali
in Pàvia. La Coltivazione degli ulivi, di Cesare Arici (1782-1836), eco.
(8) La Divina Commedia è scritta in cento canti, e in terzine. Il poeta
tb
— 110 —
Cavalieri e dame.
(Dall'Orlando Innamorato del Boranpo (1).
- Astolfo.
Signor, sappiate che Astolfo 1° Inglese
Non ebbe di bellezza il simigliante;
Molto fu ricco, ma più fu cortese,
Leggiadro e nel vestire e nel sembiante,
La forza sua non vedo esser palese,
* Chè molte volte cadde dal ferrante (cavallo);
Lui solea dir che gli era per sciagura,
E tornava a cader senza paura.
Ferragù, il Saracino.
A benchè Ferragù sia giovinetto,
Bruno era molto e d’ orgogliosa voce,
Terribile a guardarlo nell’ aspetto ;
Gli occhi avea rossi e con batter veloce.
Mai di lavarsi non ebbe diletto, ©
Ma polveroso ha la fàccia feroce;
Il capo acuto aveva quel barone,
‘l'utto ricciuto e ner come un carbone..
- —— >>
Virgilio guida Dante per l’ Inferno e per il Purgatòrio ; Beatrice, la donna
angèlica, amata da Dante, e morta giovanìssima, è guida per il Paradiso.
Altro poema religioso è IZ Paradiso perduto del poeta inglese Giovanni
Milton (1608-1674), La Messiade del poeta tedesco Federigo Kiopstock
(1727-1803).
Altri poemi narrativi. Nel Seicento il poeta Giambattista Mar)ìni com-
pose un lungo poema mitològico ed amoroso, che prende il titolo ds
Adone, giòvane amato dalla Dea Vènere. Nel sècolo XIX fùrono scritti?
stòrie e novelle in ottave, di caràttere èpico : la Pia dei Tolomei del Se
stini, l' [Z]degonda ela Fuggitiva del Grossi. Màrio Rapisardi, tentò poemi
filosòdfici e sociali (il Lucìfero). Il Carducci compose molte poesie di cs-
ràttere èpico (la Canzone di Legnano). La Stòria del Risorgimento nazio
nale, inspirò canti di caràttere èpico al Carducci, al d’Annùnzio (la Canzone
di Garibaldi. Il Pàscoli nei Poemi conviviali rinnova con profonda signi
ficazione i miti e le stòrie clàssiche, e in Odi e Irxni cèlebra fatti erdio
dell’ età nostra. Ù
(I) Dal testo originale, non dal rifacimento del Berni.
— 111
La bella Anaéèlica che appare alla Corte di Carlo Magno.
« + +. + + In capo della sala bella
Quattro giganti grandissimi e fieri
Entraro; e lor nel mezzo wha donzella
Ch' era seguita da un sol cavalieri (cavaliere).
Essa sembrava mattutina stella
E giglio d’oro e rosa di verzieri (giardino):
In somma a dir di lei la veritade, 3
Non fu veduta mai tanta beltade |
Il terribile, incrèdulo Rodomonte.
Tien per suo Dio l’ardire e la possanza,
‘ E non vuole adorar quel che non vede.
Questo superbo che ha tanta arroganza,
Pigliar soletto (da solo) tutto il mondo crede,
Ed al presente vuol passare in Franza (Francia),
(di
E prènderla in tre giorni si dà vanto
Come udirete dir nell'altro canto.
Ottave dell’Orlando Furioso.
(Lopovico ARIOSTO).
Fedeltà nella sventura.
Alcun non può saper da chi sia amato.
Quando felice in su la ruota siede;
Però c’ha i veri e i finti amici a lato,
Che mostran tutti una medesma fede.
Se poi si càngia in tristo il lieto stato,
Volta la turba adulatrice il piede;
E quel che di cor ama, riman forte,
Ed ama il suo Signor dopo la morte.
Ciò che importa è vincere.
Fu il vincer sempre mai laudabil cosa,
Vincasi o per fortuna o per ingegno ;
Gli è ver che la vittoria sanguinosa
Spesso far suole il capitan men degno;
ivi.
\
Pr
gota
bo co MAR SCA GI n dr me [N
Cad
— 112 —
E quella eternamente è gloriosa,
E dei divini onvri arriva al segno,
Quando, servando i suci senz’ alcun danuo,
Sì fa che gl'inimici in rotta vanno. (1)
» % Ì
Il Dramma.
È un desidèrio naturale di vedere riprodotti al vivo
su la scena, cioè sul palco scènico, quei fatti grandi
e terribili che hanno colpito la nostra fantasia (2).
Questa riproduzione si dice dramma, parola greca
che vuol dire azione, cioè rappresentazione teatrale.
I Greci creàrono per primi il teatro e distinsero
il dramma in tragèdia e commèdia (3). —.
La tragèdia riproduceva, presso gli antichi Greci,
i casi degli eroi e anche degli Dei, con un’ azione 0
intrèccio assai ràpido (4): lo scioglimento (catàstrofe)
era sempre luttuoso e tale da destare compassione, |
terrore, ammonimento (5).
(1) Osservazione: dopo maturo pensiero ho tolto — come si può vedere
confrontando con le precedenti edizioni — L’addio di Éttore ad Andre
maca e il canto del Conte Ugolino. I brani avulsi dal contesto delle grandi
immortali òdòpere mi si presèntano come errore didàttico. Se Mi sono sba-
gliato, può facilmente il collega insegnante corrèggere lui l’errore.
(2) Confronta l’esagerato, odierno entusiasmo per i cinematògrafi.
(3) La tragèdia e la commèdia greca hanno orìgine dai cori e delle feste
religiose in onore di Bacco o Diòniso. Le prime compagnie còmiche gi-
ravano per i borghi dell’Àttica su di un carro, tirato dai buoi, detto Carro
di Tespi.
(4) Talora a districare l’intrèccio, si faceva scèndere un Dio (des e:
machina); ma questo era un brutto artificio e usato da mediocri tragedi.
(5) Bellissimi cori, come dicemmo parlando della lirica, inframeszì-
vano il diàlogo della tragèdia, ed ammonìvano come fòssero la voce del-
l’ umanità. Aristòtile definisce la tragèdia greca come una mimica, lì
quale, non già narrando, ma rappresentando, riesce per mezzo della
compassione e della purgazione a liberare l’ànimo dalle passioni. (Pot-
tica, cap. VI».
La potenza deila tragédie greche è tale che, pur non potendo più
riprodurre la musicalità di quei versi, pur non avendo noi i sentimenti
di quelle età antiche, pur non avendo il loro teatro, alcune fi esse trà
gedie si rappresèntano ancoral
i 109:
Eschilo, Sòbfocle, Euràpide (sècolo Ve IV avanti
Cristo) sono i tre grandi trAgici greci. Essi scrissero
moltissime tragèdie di cui soltanto poche sono giunte
sino a noi (1). |
La commòèdia rappresentava i casi comuni della
vita ed aveva fine lieto.
Aristofane e: Menandro (sècolo IV avanti Cristo)
sono i due grandi poeti comici greci (2).
La tragèdia e la commédia greca èrano in versi,
ed èrano piuttosto brevi. La parte musicale, i cori,
la gran recitazione adornàvano questa brevità.
Il teatro greco era scoperto, press’ a poco come le nostre
arene, ed era a gradinate concèntriche e semi-circolari di
fronte alla scena o palcoscènico. La scena era fissa, larga,
ma non profonda; rappresentava la facciata architettonica di
un palazzo. Gli attori portàvano la mdaschera con cui ingros-.
sàvano la voce a modo di tromba. Gli attori tràgici calzàvano
per più maestà un alto calzare, chiamato coturno, i comici cal-
zàvano il socco. Il teatro greco era tutto di marmo. Grandìs-
sima era la passione degli Ateniesi per il teatro, tanto che lo
Stato democràtico di Atène giunse sino a concèdere gratuito -
l'ingresso. |
(1) Di Eschilo rimàngono queste tragèdie: Promèteo incatenato, I Sette
contro Tebe, I Persiani, Agamènnone, Le Coefore, Le Eumenidi (fùrie),
le Supplicanti.
Di Sòfocle, che è il maggior tràgico greco, rimàngono: 7 Aiace, V Elet-
ira, la Antigone, Edipo Re, Edipo a Colono (ciclo tebano) Le Trachìnie,
Filottete.
Di Euripìde fo rimàngono alquante di più, fra cui Medea, Ippòlito
(da cui tràssero motivo le tante Fedre delle nostre letterature), Ifigenia
in Aulide, Il Ciclope, (dramma satirico), ecc. i
(2) Aristòfane portò su la scena i suoi concittadini, e senza riguardo
fece la sàtira della vita polìtica di Atene, che era gloriosa città, ma con.
tutti i caratterìstici difetti delle democrazie. Quelle di Aristofane sono
caricature di immortale e atroce bellezza. Delle commòèbdie, che di lui ri-
màngono, ricordiamo: Le Nubi, Gli Uccelli, Le Rane, Lisìstrata. Si rap-
presèntano ancora. Questa comméèdia è detta antica, in opposizione a
quella nuova di Menandro. Menandro invece introdusse su la scena dei
tipi comuni, come il vecchio avaro, il servo astuto, il soldato vanitoso,
il gidbvane scialacquatore, ecc. Questa commèdia è detta di carattere, 0
nuova commèdia attica.
8. — PANZINI, Manucaletto di Retorica.
-
a, pe
I Romani, che erano uòmini di faccende e di armi,
si occupàrono di arti e di studi con minor passione
dei Greci, tanto che chiamàvano lo star sui libri, 0270
di letterati.
Perciò vi sembrerà naturale se tòlsero molta della
loro arte dai Greci, che erano così artisti e così raf-
finati (1).
Terènzio e Plauto.(sècolo II a. Cristo) sono i due
maggiori poeti còmici: quegli tolse elegantemente da
Menandro, questi fu più originale e popolare.
Senèca (sècolo I d. Cristo), fu il maggior ata trà.
gico latino. |
Nell’evo-mèdio — età di demolizione e di oscura-
mento della gran civiltà latina e greca — la nuova
religione cristiana ritenne empi e interdisse gli spettà:
coli profani del circo, dei mimi, del teatro.
Però il naturale desidério di vedere riprodotti quei
fatti che più avèvano commosso gli ànimi dei pòpoli,
rimase. E quali potèvano èssere, in una età così reli-
giosa, questi fatti ? La vita di Cristo, che pati il mar-
tirio per rèndere più buoni gli uòmini, ed è veramente
il più sublime dei drammi: poi la vita dei santi che
seguirono Cristo; poi i fatti più belli e popolari dei
libri sacri (Bibbia) (2).
Perciò nell’evo-mèdio furono molto in onore i M°
(1) La Grècia fu conquistata dai Romani, ma i Romani poi dissero che
la Grecia aveva conquistato i Romani con la sua civiltà, dove era mesco-
lata anche molta di quella che si chiama corryzione: (Graecia capia forum
victorem coepit).
(2) La messa medèsima, con il suo rituale, così solenne, ha caràtteri di
dramma: è il rinnovato racconto della vita e passione di Cristo.
La tragèdia ebbe illustri poeti nelle altre nazioni, Il maggior poets
tràgico è Shakespeare (Scèspir), inglese (sècolo XVII). Schiller e Goethe,
tedeschi; Corneille, Racine, Voltaire, francesi, sono grandi poeti tràgic*
Molière (U. B. l’oquelin) è il più gran poeta còmico francese.
t.
r
lenti —cepuete
— 115 —
steri, e le Sacre rappresentazioni, che èrano drammi
popolari, pei quali fu adoperata la ottava.
« La tragèdia e la commèdia profana risòrsero pel Cinquecento,
Questo sècolo famoso porta il-nome di Kinàscita o. Rinasci-
mento per il rinàscere degli studi del greco e del latino, cioè
dell’arte classica. L'amore dei letterati di quel tempo per la
antichità clàssica era sì grande che un'òpera tanto più cra rite-
nuta perfetta quanto più si avvicinava ai modelli greci e latini.
« Allora — voi direte — le tragèdie e le commedie del Cin-
quecento saranno state bellissime ».
Piàcquero a quei tempi, ma oggi non più, perchè le opere bel-
lissime dell’arte non si pòssono imitare. Fra le commèdie del
Cinquecento è notevole la Mandragola del sommo stòrico Ni-
colò Machiavelli. È una forte pittura di costumi, e ancora si
rappresenta su la scena. Altra originale commèdia del Cin-
quecento è il Candeldio di Giordano Bruno.
Dal Cinquecento in poi piàcque molto al pòpolo la
commèdia d’arte o a soggetto, cioè abbozzata soltanto
e compiuta poi su la scena dall’ abilità, facèzie, lazzi
(non sempre onesti) degli attori, cioè dalle màschere,
Arlecchino, Pulcinella, il Dottor Balanzone, Pantalon
‘ dei Bisognosi, Brighella, Tartàgiia, Stenterello, il Ca-
pitan Fracassa, e poi Colombina, Rosàura, ecc. ecc.
Queste màschere sono una caricatura satirica di que-
sta e quella regione italiana, e parlàvano in dialetto.
Questa commèdia ‘d’ arte fu popolare anche fuori
d'Itàlia (teatro italiano).
Coi nuovi tempi le màschere, sul teatro, sono scom-
parse. Ma pròprio morte del tutto non direi. Vivono
ancora sul teatro dei burattini.
Chi diede il colpo di grazia alle pòvere màschere
e spazzò il teatro dalle loro facèzie plebee, fu il ve-
neziano Carlo Goldoni (1707-1793), il quale fornito
come era, di un vero e grandissimo talento còmico,
ridiede alla commédia italiana la sua dignità artistica.
— 116 —
Le commédie del Goldoni sono così vive, nfiturali,
oneste, che si SERE RARA anche oggi e si lèéggono
con diletto.
«Al tempo del Goldoni visse il conte Vittorio Al
fieri, di Asti (1749-1803) il nostro maggior trdgico.
Per il fremente amore della libertà, per l’òdio contro
ogni tirannìa, che spirano dalle sue tragèdie egli è
degno di somma riconoscenza. La sua gran voce molto
operò dalla scena per richiamare gli Italiani a quella
dignità di nazione che hisognava almeno un po! sentire
per liberarci dal dominio straniero.
I moderni, oltre alla tragèdia ed alla esmminia
hanno il dramma, col quale nome si comprende tra-
gèdia e commédia, cioè la vita, che è - sovente una
mescolanza di cose tràgiche e còmiche.
Altri gèneri drammdtici sono la Favola o dramma
o tragèdia pastorale : è un’ azione in versi, tolta dalla
vita dei pastori. Tali sono l’ Orfeo del Poliziano (sé-
colo XV), Aminta di Torquato Tasso e il Pastor Fido
di Giambattista Guarini (sècolo XVI). Questo gènere.
drammatico antico è stato rinnovato da Gabriele
D’ Annùnzio. |
Il Melodramma (dal greco melos = mùsica @
dramma) : è un’ azione, solitamente di argomento trà;
gico, scritta in versi e destinata ad esser musicata.
Il melodramma raggiunse la sua maggior importanza
artistica con Pietro Metastasio (sècolo XVIII). In sè-
guito di tempo la musica del meloAramma venne 4
prevalere su la poesia: si dice ancne .idbretto d’òpera.
La farsa o scherzo è un componimento di sélito
in un solo atto, dì caràttere burlesco,-che si rappre:
senta come intermezzo o dopo un dramma allo scopo
di eccitare il riso e l'allegria. { Francesi hanno am-
pliato la farsa, introducendo inverosimiglianze grot-
|
—. 117 —
tesche, satiriche e troppo spesso scùrrili (pochades).
Questo gènere è del tutto contràrio all’ ufficio attri-
buito dagli antichi al teatro comico: corregge î co-.
stumi con la festevolezza del ridere (castigat, ri-
dendo, mores). Fra i gèneri letterari, il dramma è
quello che più piace al pùbblico e più diletta, anche
per la mondanità e lo sfarzo dei teatri, e perchè DIÙ:
agevolmente è inteso (1).
Le màschere italiane.
-_
Arlecchino. .
Noto per l’epa enorme e per le molte
Toppe del manto; fu l’ Oròbio servo,
Lunga delìzia delle turbe folte;
E quanto ei fosse gàrrulo e protervo,
Ne fan prova le genti alla stagione
Che i finti visi più frequenti osservo.
Dottor Balanzone.
Veniìa secondo chi a soqquadro pone
Testi e chiose forensi, e, il viso brutto,
Di Fèlsina imitar tenta il giargone (g9er90).
(1) Autori drammàtici recenti: Paolo Ferrari (Goldoni e le sue sedici
commèdie, La sdtira e il Parini), Pietro Cossa (Nerone), Giacinto Gallina
(Serenissima, I rècini da festa), Gabriele D'Annùnzio (La figlia di Iòrio,
La nave, Fedra), Sem Benelli (La cena delle beffe».
Tedeschi: noti i nomi famosi di Volfango (icethe, autore del poema
drammàtico il Faust, e di Federigo Schiller autore di potenti e appassio-
nati drammi. Fra i moderni: Hebbel (Giuditta, I Nibelunghi), Hauptmann
(La campana sommersa, I Tessitori). Sudermann (Casa paterna, L’ Onore,
I fuochi di San Giovanni).
Francesi: Maurìzio Maeterlinck (I ciechi, L’intrusa, Pellèas e Meli-
sanda), Edmondo Rostand (Cirane di Bergerac, L’ aquilotto), Bataille
(Marcia nuziale), Bernstein (Il Z/adro). Popolarissimo, qualche tempo fa, .
Vittoriano Sardou (La Tosca, Rabagas, Dora o le spie.
Enrico Ibsen, norvegese (Gli Spettri, L’ anitra selvatica, Casa di Bàm-
bola).
Inglesi: Pinero (La seconda mòglie), G. B. Shaw ( Candia
-—— 118 —--
| Tartdglia.
Terzo chi al naso il dòppio occhiale indutto, |
Ha sì la lingua nel parlar nemica
Che un breve detto di molt’ora è frutto.
Pantalone.
Perduto esèmpio della fede antica
Move d’Adria il mercante, tutto intento
La cara figlia a ritrovar pudica.
Più che il nero e purpùreo vestimento,
Palese il fanno il pugnal largo .e breve
Che ‘a’ fianchi tiene, e lunga ‘barba al mento.
Brighella.
Da verdi strisce su mantel di ifeve
Testimonianza il quinto si procàccia,
Giarrulo più che servo esser non deve....
(CARRERÌ.
19-00 | A i n
PARTE TERZA
PROSA
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PARTE TERZA.
x
Prosa
La prosa comprende queste varie forme: La rd-
vola, la Novella, il Romanzo, la Stòria (gènere nar-
lativo); il Trattato, la Lèttera (gènere espositivo);
l'Orazione ‘0 Discorso (gènere oratòrio).
La Favola o Apòlozgo.
| Fàvola o Apòlogo sono due parole, latina l’una,
greca l’altra, che vogliono dire racconto.
E un racconto, di sòlito breve, ma pieno di viva-
cità e di evidenza, tanto che gli stessi fanciulli e il
popolo pòssono capire senza fatica. Nella fàvola agi- .
scono gli animali, oppure gli uòmini e gli animali; e
| gli animali sono scelti in modo che sùbito si capisce
quali saranno i loro sentimenti: il lupo è cattivo e
Violento; l'agnello buono ed inoffensivo; la volpe
astuta; l’àsino stùpido e vanitoso; la serpe traditrice;
il leone prepotente, perchè è il più forte, cce. Ma noi
Sappiamo che sotto questi animali stanno nascosti gli
uòmini: si esprime, cioè, una cosa per farne capire
un’altra. Ciò, come abbiamo visto, si dice allegoria.
Si vuole far capire che l’uomo malvàgio cerca una
scusa per giustificare le sue cattive azioni? Ed ecco
la favola del lupo e dell’agnello. Si vuole far capire
— 122 —
l’ invidia delle persone da poco verso i grandi? Fd
ecco la rana che gònfia per èssere uguale al bue...
e tanto gònfia che crepa. Il villano ha pietà della
serpe, irrigidita dal freddo. Se la mette nel seno; ma
essa, appena scaldata, morde il suo benefattore; onde
sì dice per provèrbio: scaldarsi la serpe in seno.
. Menènio Agrippa, nòbile romano, vuole spiegare la
necessità della concòrdia tra ricchi e pòveri? Ecco
l’apòlogo delle membra che -non vògliono più servire
il ventre. Il ventre allora, privo di nutrimento, depe-
risce, ma anche le membra deperiscono. Il leone va
a càccia con l’agnello, con la capra, e con la vacca,
. Prèndono un cervo e ne fanno le parti, ma invece di
| distribuirle con giustizia, il leone prende tutto per sè.
Perchè? Perchè è il più forte. E anche oggi diciamo
. in provéèrbio: farst le parti del leone.
La spiegazione della fàvola si dice morale della
fàvola. i
La favola insegna tante cose! E gli scolari perchè
sotto la fàvola tròvano scritta la morale, cioè. la fà
vola insegna, pòssono pensare che le. fàvole siano
state scritte apposta per lora.
Questo è un grossolano errore.
Questa morale si può anche non mèttere, e non
sempre la morale che trovate scritta sotto le fàvole,
è la vera morale. La fàvola è questa: cioè un para.
gone, una similitudine facile, una metàfora, una
allegoria che tutti capiscono: ma quello poi che c'è
sotto è molto difficile. (Tenete a mente quello che è
detto dove si parla della Metàfora). |
E come è nata la fàvola? e quando ? To credo che
‘sia nata dall’ esperienza dei pòpoli, e dal bisogno di
far capire in maniera sensibile alcune grandi verità,
che col sémplice ragionamento si sentirèbbero molto
-
t
— 123 —
meno. Per questa ragione la favola deve èssere così
antica che è impossibile ritrovarne nel loapo lontano
le origini,
Anche oggi uno scrittore può ereare le fàvole; ma
le più belle sono le più antiche, perchè sono le più
lùcide, sono le prime e fondamentali verità della vita.
Il più antico e famoso favolista, direi il babbo della fàvola,
è il greco Esopo; che si disse di nazione frigia (Asia) (1), ma
in realtà ci è sconosciuto come Omero. Fra i Latini è famoso
Fedro che rifece con elegante semplicità le fàvole di Esopo.
Fra gli Italiani ricordiamo, Leonardo da Vinci, Àgnolo Firen-
zuola (sec. XVI), Gaspare Gozzi (1713-1786), Aurèlio Bertòla
(1753-1798), Clàsio (Luigi Fiacchi) (1754-1825) (2).
La fàvola può èssere scritta tanto in prosa, come
in versi.
Esempi:
La volpe e Îl corvo. -
. (Favola di Esopo, volgarizzata nell’ italiano del Trecento).
Un corvo volando lungo una finestra, vide un càcio. Lo prese
e se lo portò via in becco. Stando in sur ©n Albero con questo
càcio in becco, pensava di mangiarlo. E una volpe passò di lì,
e vedendo il formàggio, ebbe gran vòglia d’averlo. E disse: —
O Dio! che bell’uccello è quello, e come ha bellissime penne !
Mai non fu uccello sì bello nè sì allegro; Dio lo salvi dal male.
Bene mi pare il più bello che io mai vedessi; e s’egli ha sì
bello il cantare come egli ha l’altra persona, meriterebbe
d’èssere signore di tutti gli altri uccelli del mondo. — Udèn-
dbsi il corvo così lodare, tutto rimbaldì d’allegrezza, e co-
minciò a dire: — Da poi che questa mi loda, dunque bene
—_-_ —_—_
(1) Le fàvole di Esopo tradotte nella pura lingua italiana del Trecento,
hanno nome di Esopo volgare. La fàvola è trattata con fortuna, oggi, dal
Trilussa, in dialetto romanesco.
(2) Tra Ì francesi, famoso è il La Fontaine (1621-1695) che rivesti con
eleganza del tutto francese molte fàvole esopiàne; F/orian (1755-1795);
tra i tedeschi Zfraimo Lessing (1729-1781).
— 124 —
son quello ch' ella dice. — E tutto si riguardò in sè medèsimo
dicendo: — Già per cantare non sarò io rùstico, ch'io s0 bene
che io ho molto bel canto. — E allora sì rallegrò molto, € |
aperse il’ becco per dire cro ; e il formàggio gli cadde di bocca.
Quando la velpe ebbe il formàggio, non curò più del suo can- ;
tare, anzi se ne andò co "1 formàggio, e se lo mangiò.
L’olmo e la zucca.
pri
(Dalle Satire di Lopovico ARIOSTO).
Fu già una zucca, che montò sublime
in pochi giorni tanto, che coperse”
a un pero suo vicin l’ùltime cime.
Il pero una mattina gli occhi aperse,
ch’avea dormito uu lungo sonno, e visti
i nuovi frutti sul capo sederse,
le disse: Chi sei tu? come salisti
qua su? dove eri dianzi, quando, lasso,
al sonno abbandonai questi occhi tristi? —
Ella gli disse il nome, e dove al basso
fu piantata mostrolli; e che in tre mesi ‘
quivi era giunta accelerando il passo.
- Ed io (l’arbor soggiunse) a pena: ascesi ]
a questa altezza, poichè al caldo e al gelo
con tutti i venti trenta anni contesi. _
Ma tu che a un volger d’occhi arrivi in cielo,
rènditi certa, che non meno in fretta
| che sia cresciuto, mancherà il tuo stelo.
La iuùcciola.
(GASPARE Gozzi)
Non ho io — diceva ad alta voce una lùcciola — questi
fuoco di dietro che risplende? Ora che fo io qui in tem!
perchè non volo su le sfere a rotare questi miei nobilissini
raggi dal levante al ponente e a formare una nuova stella fr
le altre mic sorelle del cielo? — Amica — le disse un vern fl:
-
— 125 —
cello che udì i suoi vantamenti, — finchè con quel tuo splèn-
dido focherello stai fra le zanzare e le farfalle, verrai onorata;
ma se salì ove tu di’, sarai nulla.
-
La Pà ràbola o
La Paràbola (parola greca che vuol dire simnili-
tudine (vedi. pag. 71) è come una fàvola, e perciò.
quello che è detto della fàvola vale anche per la pa-
ràbola: senonchè l’azione, nella paràbola avviene di
Sélito fra uòmini; ed è più solenne. Le più belle pà&-
ràbole sono quelle dell’ Evangelo, con cui Gesù Cristo
cercava di far capire che cosa è il perdono, la giu-
stizia, l’amore del pròssimo, la vera carità, ecc.: tutte
cose che sèmbrano facili; ma sono invece molto dif-
ficili.
Hi viandante di Gerico
vangoo di San Luca (1).
— Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico, e incappò
negli assassini, che gli levàrono ogni cosa; e lo lasciàrono
mèzzo morto, càrico di ferite. Avvenne che un certo prete pas-
sasse per la medèsima strada; lo vide, e tirò via. Anche un
levita (2), che passò di lì, lo vide, e tirò di lungo. Ma arri-
vato un viandante Samaritano (3), e visto il disgraziato, ne .
senti pietà. E avvicinàtoglisi, gli fasciò le ferite, acpergendolo
(1) Non è inùtile avvertire che Gesù Cristo, al pari di altri grandi uò-
mini, operò, ma non scrisse. Scrìssero i discèpoli; e le dottrine e la vita
e gli esempi ci fùrono tramandati specialmente da San Marco, San Luca,
San Matteo, San Giovanni (evangelista); e i loro libretti si chiàmano
Evangeli e si assomìgliano. Evangelo è parola greca che vale duona no-
. vella, cioè l’annùnzio della parola santa di Cristo. Sono capolavori, anche
per arte naturale, di sublime semplicità: ma da noi poco si lèggono, forse
per la vieta opinione che sono libri di Chiesa.
(2) Sacerdote degli Ebrei. i
(8) I Samaritani, abitanti di Samària in Palestina, èrano tenuti in di-
sprègio dagli Ebrei.
. d’òlio e di vino; poi caricàtolo sul suo cavallo, lo portò al-
l’ albergo, e lo curò. Il giorno dopo tirò fuori due monete, e
dàtele all’oste, disse: Custodìscilo, e quel che spendi di più,
ti rimborserò quando torno.
Chi di questi tre pensi tu che fosse prossimo a quello che
incappò negli assassini ?
La Novella.
La Novella è una breve, ma vivace e bella nar-
razione di un fatto umano notèvole (vero o verosimile
o anche fantastico): il suo scopo è quello di dilettare
ed anche di ammaestrare (1). Essa è come un piccolo
quadro della vita, generalmente con un’ unica azione (2).
I più céèlebri novellieri italiani sono:
Il Novellino (di ignoto autore del sècolo XIV) o li
bro di del parlar gentile: raccolta di brevi novelle,
sèmplici, argute, ricavate da fatti veri o da leggende
del tempo. (Capalivaro della nostra letteratura, che
dovrebbe èssere meglio conosciuto).
Giovanni Boccaccio (1313-1375) di Certaldo (Firenze)
in cento novelle, raccontatein dieci giorni (Decameron)
da sette donzelle e tre giòvani, espone con grande arte
e profonda conoscenza della vita e del cuore umano,
fatti storici o leggendari o della cronaca del suo tempo.
Questo novelliere, che fu maestro di nostra Iingua,
ebbe moltissimi imitatori in Itàlia e fuori, e fama in
tutta Europa.
(1) Vedi a pag. 132.
(2) Gli antichi per novella intèsero fatto nuovo, 0 bizzarro, o in qualohe
modo memordbile: dunque piacèvole sempre. La novella è comune a tutte
le letterature moderne; e molti sono quelli e quelle, i quali si pròvano
nella novella, ritenendo èssere questa forma fàcile di arte. Sembra, mi
così non è! Senza una naturale disposizione dell'ingegno, abilità di rèn-
dere per iscorci, di far risaltare per effetti di chiaroscuro; e soprattutto
senza paziente esercìzio o tècnica, non è fàcile riuscire nella novella; st
pure non si ha per fine di annoiare i lettori.
— 127 —
Le novelle del Boccàccio sono anche oggi, se non
tutte, quasi tutte attraentissime.
Sono dunque una grande òpera d’arte se hanno po-
tuto resistere vive e belle dopo tanti sècoli! Ma non
tutte sono lettura degli anni giovanili.
Il Boccaccio, di sòlito, adòpera un suo gran perio-
dare all’ antica. Più che lèggerle, converrebbe udirle
lèggere, da pacato e àbile lettore, quasi rinnovando
‘il modo in cui l’ Autore immàgina che le dette no-
velle siano state recitate dai dieci giòvani, dilettosa-
mente, nella serenità della primavera, e nel DIRI
di una bella villa fiorentina.
Franco Sacchetti (1335 ?-1400) racconta in vivace
lingua fiorentina, quasi simile alla parlata, avventure,
casi, beffe, anèddoti, argute risposte del suo tempo.
Fra i moltissimi novellieri italiani antichi, che dal più
al meno seguirono il Boccàccio, deve èssere ricordato
Matteo Bandello di Castelnuovo Scrivia (1480-1561).
E così fra le più famose raccolte di novelle dèvono
èssere ricordate le Mille e una notte, novelle orien-
tali, fantàstiche e insieme umane, del sècolo XV, po
polari in tutta Europa anche oggi (1). o
Fra i novellieri del tempo nostro (2) hanno buon
Li
(1) Introdotte in Europa dal Gallant, ricostruite da I. Mardrus.
(2) La novella moderna è diversa dall’antica specialmente per questo;
nella novella antica è il noveliatore o un supposto novellatore, che espone
il fatto: (Dovete sapere,... C'era una volta...... Nella novella moderna, in-
vece, si introdùcono i personaggi ad operare, come in un dramma, e per-
ciò il diàlogo vi abbonda (anche troppo!)
Novella d’arte e novella popolare. Quando i casi della novella sono
raccontati in modo da produrre maggior offetto, e per belle descri-
zioni, e per osservazioni filosòfiche, e per potenza di « situazioni », cioò
dello stato in cui si tròvano i personaggi, si dico novella d'arte, cioò vi
appare l’arte o virtù dello scrittore: ne fu maestro il Boccàccio. Quando
invece la narrazione corro piana, fàcile, come racconta il pòpolo, e 1’ ef-
fetto nasce spontaneamente dalla vicenda doi fatti, si dice novella po-
polare.
rali n e di ife n
— 128 —
nome: Pietro Thouar, Renato Fucini, Giovanni Verga,
Luigi Capuana, Emilio De Marchi, Gabriele D’ An-
nùnzio, Ugo Oietti, Gràzia Deledda, Luigi Pirandello,
Marino Moretti ed altri (1).
Racconto significa press’ a poco come novella. Bei
racconti e gentili ha la nostra letteratura, di natura
popolare, cioè narrati, per così dire, presso il focolare
doméèstico. Parecchi di essi sono consegnati alla
scrittura.
Fiaba è detto più specialmente quel racconto che con-
tiene alcunchè di meraviglioso (incanti, fate, maghi).
Bozzetto (da bozza = abbozzo): quadretto o sce-
netta quasi abbozzata: specie di tènue racconto. Esèm-
pio: I Bozzetti Militari del De Amicis. i
Anèddoto (parola greca che vuol dire, cosa n0n
conosciuta, non èdita) è un racconto breve e piacéè-
vole di un fatterello di qualche importanza, o per sé
o per la persona (di sòlito illustre) a cui si riferisce
Leggenda: racconto meraviglioso e popolare intorno
a qualclie santo od eroe. La leggenda di Enea che
viene in Itàlia, di Marco Furio Camillo che vince i
Galli, ecc. (2). Famose sono, nell’evo mèdio, le leg-
gende intorno ai Santi, che dièédero un capolavoro nei
(1) Novellieri francesi: Carlo Perrault ** sec. XVIII (I racconti, tradotti
bene dal Collodi); Alfredo de Musset (Racconti e novelle), Guido di Mau-
passant (Novelle), Pròspero Merimée (Colomba e altre novelle), Andàtolio
France.
Inglesi: Carlo Dickens (Il grillo del focolare), Kipling (I racconti della
Iungla\, Oscar Wilde (vai!) Il principe felice e altri racconti.
Ricchìssima è la novellistica russa, Leone Tolstoi, Korolenko, Cecof,
Turguenef; Tedeschi: Hoffmann, i fratelli Grimm * (popolarìssimi), Auer-
bach*; il danese Andersen; Americani Edgardo Poe (celebèrrimo) e Marco
l'win (fuain) umorista.
(2) La stòria Romana è piena di mirabili ieggende, le quali, se anche
non sono vere, spiègano perchè quel pòpolo fu il più gran pòpolo del
mondo. A torto oggi neglette nelle scuole. Esse sono raccolte, santamente,
dal grande stòrico di Roma, Tito Lìvio (vedi il cap. su Epopea).
A e En
ee eEe=_em= 7”
-— —————————— PP —__———————_____—_————————————€
—129 —
Fioretti (cose scelte) di San Francesco, e nelle Vite dei
Santi Padri di frate Domènico Cavalca (sècolo XIV).
Mito- narrazione antica e favolosa, spesso oscura
di senso, intorno agli Dei e ai loro rapporti con gli
uòmini.
Esbmpio : Îl mito di Orfeo che rende mansuete le belve col
suono della lira. Il mito di Promèteo, incatenato sul Càucaso,
per avere rubato il fuoco a Giove. Il mito di Pandora che reca”
agli uòmini l’ ànfora con entro tutti i mali.
Novella di Franco Sacchetti.
Messer Bernabò (1) signor di Milano, fu temuto più che altro
signore: e comechè fosse crudele, pure nelle sue crudeltà avea
gran parte di giustizia. Fra molti de’ casi che gli avvènnero
fu questo : che um ricco Abbate, avendo commessso alcuna cosa
di negligenza di non aver ben nutrito due cani alani, che èrano
diventati stizzosi, gli disse che pagasse scudi quattromila. Di
che l’ Abbate cominciò a domandare misericòrdia. E il detto
Signore, vedendolo domandare misericòrdia, gli disse: Se tu
, mi fai chiaro di quattro cose, io ti perdonerò in tutto. E le”
| Cose son queste: che io voglio che mi si dica quanto c'è di
+ nach ii i
qui al cielo: quant’ acqua è in mare: quello che si fa in in-
ferno: e quello che la mia persona vale. L’Abbate, ciò udendo, .
cominciò a sospirare, e pàrvegli èssere a peggior partito che
prima ; ma pur, per iscampare dal furore e avanzar tempo,
disse che gli piacesse dargli un tèrmine a rispòndere a sì alte
cose. E il Signor gli diede tèrmine tutto il dì seguente: e, come
vago d’udire il fine di tanto fatto, gli fece dare sicurtà del
tornare. L’ Abbate pensoso, con gran malinconia tornò alla
badia, soffiando come un cavallo quando ha ombra (2). E giunto
là, scontrò un suo mugnàio : il quale, vedèndolo così affitto,
disse: Signor mio, che avete voi, che voi soffiate così forte?
(1) Bernabò Visconti, signore di Milano, andò famoso per le sue crudeltà,
Fra le sue bizzarrie feroci è ricordata questa: la sua passione pei cani.
E questi cani affidava ai sùdditi, e guai a chi li ingrassava troppo o li
faceva dimagrare|!
(2) Prende ombra.
9. — PANZINI, Manualetto di Retòrica.
— 180 —
Rispose l’Abbate: Io ho ben di che, chè il Signore è per darmi
la mala ventura, se io non lo fo chiaro di quattro cose, che
Salomone (1) nè Aristòtile (2) non lo potrebbe fare. Il mugnàio
dice: E che cose son queste? L’ Abbate glie lo disse. Allora
il mugnaio, pensandoydice all’ Abbate: Io vi caverò di questa
fatica, se voi volete. Dice l' Abbate: Dio il volesse. Dice il
mugnàio: Io credo che il vorrà Dio e i santi. L'Abbate, che
non sapea dove si fosse, disse: Se tu lo fai, prendi da me ciò
che tu vuoi, chè niuna cosa mi domanderai, che possibil mi
sia, che io non ti dia. Disse il mugnàio : Io lascerò questo nella
vostra discrezione. O che modo terrai? disse l’Abbate. Allora |
rispose il mugnàio: Io mi vòglio vestir la tonica e la cappa
vostra, e raderommi la barba: e domattina, ben per tempo,
anderò dinanzi a lui, dicendo che io sia l’Abbate; e le quattro
cose terminerò in forma, ch'io credo farlo contento. L'Abbate
parve (3) mill’ anni di sostituire il mugnàio in suo luogo: e così
fu fatto. Fatto il mugnàio Abbate (4), la mattina di buon'or
si mise in cammino. E giunto alla porta, là dove entro il Signor
dimorava, picchiò; dicendo che quel tale Abbate voleva rispòu
dere al Signore sopra certe cose, che gli avea imposte. Il Si
gnore, volonteroso d’udir quello che l'Abbate dovea dire, e me-
ravigliàndosi come sì presto tornasse, lo fece a sè chiamare. È
giunto dinanzi a lui un poco al barlume, facendo reverenza,
occupando spesso il viso con la mano per non esser conosciuto,
fu domandato dal Signore se avea recato risposta delle quattr:
cose, che l’avea addomandato. Rispose: Signor sì. Voi mi doman
daste quanto ha di qui al cielo. Veduto appunto ogni cosa, egli
è di qui lassù trentasei milioni e ottocento cinquantaquattro
mila, e settantadue miglia e mezzo, e ventidue passi. Dice il
Signore: Tu l’hai veduto molto appunto : come provi tu questo!
. Rispose: Fatelo misurare; e se non è così, fàtemi impiccare pe
la gola. Secondamente domandaste quant’ acqua è in mare
Questo m'è stato molto difficile a vedere; perchè è cosa che
non sta ferma, e sempre ve n’entra; ma pure io ho veduto
DA
1} Salomone, re degli Ebrei, famoso per la sua giustìzia e sapienza
(2) Aristotile, il più gran filosofo antico.
(8) Ecco un esèmpio di anacoluto, così frequente nelle forme popolari.
(4) Il mugnàio, travestito da abate...
Ten ni
Sl risilira el OSa
die te O Re ag
——- ng
— 131 —
che nel mare sono venticinque mila e novecento ottantadue di
milioni di cogna (1) e sette barili e dòdici boccali, e due bic-
chieri. Disse il Signore: Come il sai? Rispose: Io l’ ho veduto
il mèéglio che ho saputo. Se non lo credete, fate trovar de’ ba-
rili, e si misuri. Se non trovate èssere così, fàtemi squartare.
Il terzo, mi domandaste quello che si facea in inferno. In inferno
si tàglia, squarta, arràffia e impicca ; nè più nè meno come qui fate
voi. Che ragioni rendi tu di questo ? Rispose: Io favellai già con
uno che vi ‘era stato; e da costui ehbe Dante fiorentino ciò che
scrisse delle cose dell’ Inferno; mu egli è morto ; se voi non lo
credete mandàtelo a vedere. Quarto, mi domandaste quelio che
la vostra persona vale; ed io dico che ella vale ventinove da-
nari. Quando messer Bernabò udì questo, tutto furioso si volge
a costui, dicendo : Mo' ti nasca il vermoca» (2); son io così dap-
poco, ch’ io non vàglia più d’ una pignatta? Rispose costui, e
non senza gran paura: Signor mio, udite la ragione. Voi sa-
pete che.il nostro Signore Gesù Cristo fu venduto trenta da-
nari; fo ragione che valete un danaro meno di lui. Udendo
questo il Signore, immaginò troppo bene che costui non fosse
l’Abbate: e guardàndolo ben fiso, avvisando lui esser troppo
maggiore uomo di scienza che l’ Abbate non era, disse: Tu
non se’ l'Abbate. La paura che il mugnàio ebbe, ciascuno il
pensi: inginocchiàndosi con le mani giunte; addomandando
misericordia; dicendo al Signore come egli era mulinaro del-
l’Abbate, e come e perchè camuffato dinanzi dalla sua Signoria
era venuto”e in che forma avea preso l’àbito; e questo . più
per dargli piacere, che per malizia. Messer Bernabò, udendo
costui, disse: Mo’ via (3), poich’'egli t'ha fatto- Abbate, e sei
da più di lui, in fè di Dio, ed io ti voglio confermare; e vòglio
che da qui innanzi tu sia l’ Abbate, ed egli sia mulinaro: e
che tu àbbia tutta la rèndita del monastèrio, ed ello àbbia quella
del mulino. E così fece ottenere tutto il tempo che visse, che
lo Abbate fu mugnàio, e il mugnàio fu Abbate. -
(1) Misura per il vino. si
(2) Ora ti venga il vermocane (cancro): imita per più verità 1 Jia sito
lombardo.
(9) Suvvia: altro lombardèsimo
— 132 —
Il Romanzo.
Il Romanzo (1) è la forma più illustre e più popo-
lare della letteratura moderna. Esso è una narrazione
continuata e piena di arte, che ci pone sott’ècchio,
al vivo, molte vicende della vita o molti fatti fan-
tàstici. Perciò, quando esso è ben fatto, riesce come
un grande quadro, pieno di figure, di movimento, di
passioni. "n
#£
I romanzi — come vi è fàcile osservare — costituìscono la
lettura più comune, appunto perchè divèrtono, distràggono,
commuòvono. ki
Molti romanzi cèlebri sono persino proiettati su lo schermo
del cinematografo. |
Qui voi potete fare una domanda: il romanzo deve èssere
divertente (bello), o deve anche istruire (èssere morale?) (2).
Domanda molto difficile !
Certo la prima qualità del romanzo è quella di èssere diver-
fente, cioè òpera d’ arte; e uno scrittore che pensasse di scrì-
‘ vere un romanzo soltanto per istruire, forse non farebbe UD
romanzo divertente. ! i
Ma non tutti i romanzi, anche se belli (anzi ben pochi fra
essi) convèggono ai giovani. Certe fantasie, o certe rappresen-
tazioni della vita disturbano il pensiero del giòvane, che è il
via di formazione.
(1) II Romanzo si può dire nato con le letterature romanze (romané;
o neo-latine. Famose le prose di romanzo nell’evo-mèdio: cioò i prim!
romanzi che trattàvano di cavalieri e dame. Popolari fùrono e sono tut-
tora i due romanzi di soggetto cavalleresco, i Reali di Francia ed il
Guerrin Meschino di Andrea da Barberino, del sec. XV. Il Dòn Chisciotte
del Cervantes è il primo dei romanzi moderni. Ma è solo pel prinoìp!0
del sècolo passato che il romanzo ebbe la sua maggior importanza.
(2) La questione è antichìssima e, come tutte le grandi questioni, n00
è ancora risolta. Oràzio dice che quell’artista ottiene la più alta classi”
cazione (dieci con lode!) il quale sa mescolare il bello con la morali
- (utile dulcîi). I: Manzoni disse: che uno scrittore si deve proporrg,1'itil!
per iscopo, il vero per snggetto. l’inferessante per mezzo.
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-—- 193 -
Che direte di chi volesse piantare una quercia 10 un va30
da fiori? o nutrire un bimbo con bicchieri di buon vino?
Se pròprio sentite il desidèrio di lèggere romanzi, abbiate la
bella virtù di lasciarvi guidare nella scelta dei libri.
Nel lungo elenco che qui mettiamo in nota segniamo con un *,
i romanzi più famosi ; con * * quelli che inoltre pàione più
adatti per la lettura giovanile. ù
. Si distinguono secondo l'argomento vàrie spècie di
romanzi: ma avvertite bene che questa, come tutte
le altre distinzioni dei gèneri letterari, deve sssere
intesa con molto buon senso.
Romanzo di avventura o d’intrèccio: è così detto
quando il principale suo prègio consiste nella varietà,
complicazione, drammaticità dei casi, presentati come
verosimili; e per cui rimaniamo sospesi e commossi
sino alla fine.
Romanzo storico: è così detto quando casi inventati
sono trasportati su fondo stòrico, o quando la storia è
resa più viva e drammatica con opportuni abbellimenti.
Durante il sècolo del nostro Risorgimento il romanzo stòrico
combattè una ben nòbile battàglia narrando le sventure e le
glorie obliate della Patria. / Promessi Sposi di Alessandro Man-
zoni; Le Confessioni di un Ottuagenàrio di Ippolito Nievo;
Niccolò de’ Lapi e la Disfida di Barletta, di Massimo d’Azèglio;
La battàglia di Benevento e L’ Assèdio di Firenze, appassionati
(sin troppo!) romanzi di Domènico Guerrazzi.
Romanzo sociale: spesso il romanzo, specialmente
a base di stòria, intende rappresentare le ingiustizie c
1 difetti dell’umana società, e si dice soci«/e. (Leggendo
questi romanzi i giovani si entusiasmàno dal desidéèrio
di rimediare ai mali e alle ingiustizie. Ma queta è
cosa molto difficile).
Romanzo èintimo o psicològico (da psikè = anima):
talora non è tanto l’ intrèccio dei casi che sta a cuore
Pe E ti dee
tb
— 184 -
all autore, quanto l’anàlisi dei sentimenti per cui i
personaggi sono portati ad operare in un modo piut-
tosto na in un altro. In tale caso il romanzo è detto
intimo, o psicolbgico (1). - >
La Stòria.
Stòria è voce greca che vuol-dire, cosa vedu'a,
saputa, giudicata.
È una narrazione ordinata e veritiera di fatti umani,
ei n
—
(1) Altra forma di romanzo, venuto a noi di moda dalla Frància ed oggi
alquanto decaduta, è il romanzo verista o naturalista o anche detto spe-
rimeentale, che consiste in una esagerazione della verità, cioè nell’ insi-
stenza a rappresentare di preferenza certe verità, brutte e crudeli, a danno
di certe altre. Emilio Zola scrisse con tale intento d’arto alcuni rormanzi
sociali e stòrici. Non riportiamo esempi di romanzi per le ragioni addotte,
cioè ch3 i passi avulsi da una grande opera non hanno efficàcia.
Romanzi e romanzieri:
Italiani: oltre ai già citati, fante ( Vita nuova d’ amore), Boccàccio (La
Fiammetta\, Andrea da Barberino (Z Reali di Frància, già citato, e come
romanzi possiamo considerare i poemi cavallereschi del Cinquecento)
G. C. Della Croce (Bertoldo e Bertoldino), Fòscolo (Le ultime lèttere di
Iacopo Ortis, Giovanni Ruffini Il Dottor Antònio ** soritto in inglese;
Emilio De Marchi (Demétrio Pianelli **) Autòbnio Fogazzaro (Piccolo
mondo antico *). Giovanni Verga (I Malaroglia), Collodi (Pinocchio **),
D’Annùnzio (L’Innocente), Grazia Deledda (Zlias Pòrtolu, Canne al vento).
Francesi: Francesco Rabolais (seo. XVI) |Gargantua., Fenelon (Le av-
venture di Telemaco), Barthélemy Saint.-Hilaire (sec. XVII, ( Viaggio del
giòvane Anacarsi in Grècia), Renato Le Sage (sècolo XVIII) (Gil Blas,
Il diavolo zoppo), Bernardino di Saint-Pierre, (Pdolo e Virginia *), Pre-
vost (Manon Lescaut, Onorato Balzac (Eugènia Grandet *, Il padre Go-
riot, Il mèdico di campagna **) Giòrgio Sand (pseudòbnimo di baronessa
Amantina Dudevant) (Lu piccola Fadette**, Il màcero del Diavolo **)
Gustavo Flaubert (La signora Bovary: Alfonso Daudet (Tartarino di
Tarrascona**) Anatòlio France (Il delitto di Silvestro Bonnard **>, Ales-
sandro Dumas seniore (I tre moschettieri, ecc. Il conte di Montecristo *),
Teofilo Gauthier (1) capitan Fracassa *) Giùlio Verne (Zi giro del mondo
in ottanta giorni, I figli del capitano Grant **).
Inglesi: Giònata Swift (sècolo XVIII) I viaggi di Gùlliver **), Lorenzo
Sterne (sècolo XVIII) Il viaggio sentimentale, Tristam Shandy), Oliviero
Goldschmith (/% vicario di Wakefield **), Gualtiero Scott, fondatore del
romanzo storico (Zvankoe *), La bella fanciulla di Perth) Carlo Dickens
(Pichiwick *, David Copperfield; Giòrgio Eliot, pseudbnimo di Maria Evans
Guglielmo Thackeray (La fiera delle vanità).
Russi: Nicola Gogol (Le anime morte), Tedoro Dostojewski (Delitto e
Castigo), Leone Tòlstoi (Guerra e Pace)
1°
sii rt
— 135 —
degni di èssere ricordati (1), e studiati nelle loro cause
e nei loro effetti. a,
Avvertenza: questa cosa è molto fàcile a dire, e
molto difficile a fare. Pigliate per esèmpio la stòria
di un ùnico fatto, ràccontato da due o più scrittori e
osserverete che non è giudicato ugualmente.
Poi, vedete! I Greci credèvano che i fatti umani
fossero regolati dal Destino o Fato e dalla invidia
degli Dei; i credenti in Dio hanno fede in una forza
che tutto predispone a fine di bene (Divina Provvi-
denza); molti moderni crèdono che siano gli uòmini
con la loro ragione a regolare la storia come un mac-
chinista governa una màcchina; molti altri crèdono
invece che la storia cammini per conto suo, quasi
senza il macchinista. V’è chi crede che la stòria si
ripeta come i cerchi di una linea a spirale. Insomma
sono cose così difficili che è già molto farne un cennò
soltanto. l
Gli antichi stòrici greci e latini volèvano che le
loro stòrie fossero anche belle e piene di ammaestra-
menti (2). Tali fùrono fra i Greci Erddoto (padre della
(1) Famosa è la definizione della stòria, fatta da Cicerone: La storia è
testimone dei tempi, luce della verità, vita della memòria, maestra della
vita, annunziatrice delle cose antiche (De Orat., II, 9, 86:. Bella pure nella
bizzarria sua pèdantesca e grottesca è la definizione del Manzoni: L’hi-
storia si può veramente definire una guerra illustre contro il Tempo, per-
chè toglièndoli di mano gli anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadàveri,
li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia.
{E un istinto dell’ uomo quello di tramandare ai futuri udbmini le cose
che sa e che rèputa lodèvoli o biasimèvoli dell'età sua: la stòria può
-sSombrare perciò come un prolungamento della vita. Un pòpolo che bene
conosca la sua stòria è certo un pòpolo altamente civile, anche ammosso
che non Sia del tutvo vera la definizione su riferita di Cicerone).
(2) Ciò è così poco conforme al tempo nostro, che in un libro desti-
nato ai gidvani ed alle scuole, trovo queste esagerate espressioni: « Oggi,
8ì pensa che la stòria contiene in se stessa il pròprio fine; essa è \ùtile
in sò e per sè, e non ha bisogno di moralizzazioni artificiali ».
Non Si creda però cho gli antichi trascuràssero la verità. Eròdoto viag-
giò le terre d’ Oriente prima di scrìvere. ‘l'ucìdide, ateniese, è tale, che
— 1536 —
storia), Z'ucìdide, Senofonte, Plutarco: tali fùrono
fra i Latini Sallùstio, Tito Làvio, Tacito.
Gli storici moderni ricèrcano nelle loro stòrie spe-
cialmente la verità e la imparzialità (1), e perciò gran-
dissimo è lo stùdio dei documenti," cioè delle prove che
sèrvono a giustificare il loro scritto. Ma per quanto
un libro di stòria sia pieno zeppo di documenti, esso
vale poco assai, se lo storico non è anche artista: cioè
se non ha la virtù di far rivivere gli uomini con le
.loro passioni, e di rappresentare i fatti col loro mo
vimento, calore e colore.
Questi documenti e prove . si chiàmano fonti della
storia. 3
Esse sono:
La tradizione, cioè il racconto tramandato da padre in figlio
(leggende, canti popolari, testimonianze verbali o scritte, ecc.).
I monumenti (edifici, rovine, armi, tombe, archi, ecc.) che
si dicono muti se non hanno segni di parole o iscrizioni, par
lanti se ne hanno.
I documenti (diplomi, lèttere, decreti, dispacci, incartamenti
dei processi, proclami, carte e pràtiche delle autorità civili e.
militari, che si consèrvano in uffici appòsiti, detti Archivi).
La stòria, per éssere chiara, si vale della geografia
e della cronologia = (èrdine dei fatti nel tempo) che
sono chiamati î due occhi della stòria (2).
74
narrando le guerre tra Atene e Sparta, mal si distingue di quale nazione
egli sia. Tito Lìvio accòglie bensì molte leggende, a cui oggi più non pi
presta fede e a torto si trascùrano: ma senza quelle fàvole mal si com-
prende la verità di quel pòpolo ùnico al mondo che fu il pòpolo di Roma.
(1) Lo stòbrico — si dice — deve essere obbiettivo, cioè deve dimenticare
s8 stesso, le sue passioni e le sue inclinazioni, cosa, anche volendo, 008
diMcoile, che potremmo dire impossìbile.
(2) Si vale anche di molte altre scienze, sempre allo scopo di ricercare
il vero, e specialmente delle scienze naturali “che stùdiano l’uomo: poi
della archeologia (stùdio degli oggetti antichi), della numismagatica (stùdi!
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La facoltà della mente di giudicare, confrontare, ecc.,
allo scopo di avvicinarci al vero, è detta crìtica (= di-
stinzione). Essa è necessaria per la storia, come per
ogni stùdio.
Avvertenza: Quando noi diciamo stòria seuz' altro, inten-
diamo la stòria di un pòpolo nel cammino della vita, cioè
delia sua civiltà, cioè la sua storia civile; altrimenti diciamo
storia militare, stòria letterària, stòria ecclesiastica, ecc. ecc.,
ehe sono come stòrie minori e particolari ricavate dalla grande
storia civile.
Divisione della storia secondo i tempi..Un antico
uso Îscolàstico ci porta a dividere la stòria così:
Stòria antica : dalle origini della civiltà alla caduta
dell’ Impero romano (476 dopo Cristo). Si divide in
orientale, greca e romana.
Storia medievale : dal 476 dòpo Cristo ala scoperta
dell’ Amèrica (1492) e ad altri grandi fatti successi su la
fine del sècolo XV (1).
Storia moderna: dal 1492 alla Rivoluzione Fran-
cese (1789).
- Storia contemporànea: è quella dei nostri sini
Divisione della storia secondo l’estensione con cui
è trattata. Secondo un altro uso o convenzione sco-
làstica, la storia si divide così:
Storia universale (tutti i tempi e tutti i pòpoli),
Stbria generale (tutti i pòpoli in un dato tempo.
oppure un pòpolo in tutti i tempi).
delle antiche monete), della filologia (stùdio delle linguo), dell’ etmografia
(S8tùdio delle razze umane), della s/atistica (stùdio dei fatti umani mediante
i dati numèrici).
(1) Elencare i grandi fatti che sègnano la fine dell’eyo mèdio e il prin-
°»o dell’evo moderno trovai sempre cosa utilissima e fàcile. Discesa da
Agi VIII (1494): caduta di Bisànzio in mano ai Turchi (1458); formazione
delle grandi Monarchie europce; stampa, riforma, armi da fuoco, la grande
Rinascita, glòria itàlica e luce del mondo.
_
198 — ì
Stòria particolare (di un sol pòpolo in un sol tempo).
. Stòria comunale o municipale (di una sola città).
Biografia (di un solo personàggio) (1).
Monografia (di un solo fatto stòrico).
La Crònaca: è un nome più modesto che prende
la storia, quando essa si limita alla sèmplice registra-
zione, per òrdine di tempo, dei fatti successi. E questa
è cosa molto più fàcile della vera e pròpria stòrià
La crònaca era comune nel passato; e molte e bellis
sime crònache ha l’evo mèdio. Ricordiamo le Crònache
di Dino Compagni e di Giovanni Villani. [Il gior-
nale e la rivista, forme potentissime e moderne della
storia di giorno in giorno (2), hanno tolto importanza
all'uso antico di registrare ] fatti per conservarne
membòoria]. | | 4
Gli Annali: sono stòrie in cui gli avvenimenti sono
narrati anno per anno (3).
Avvertenza: Anche un giovanetto può intèndere che la stòria
tanto più è bella ed attraente, quanto più avvicina e ingran-
disce al vero cose e persone e loro azioni ed affetti; perciò le
storie che in poche pàgine riassùmono sècoli di stòria, sono
piuttosto manuali, riassunti stòrici, necessari nell’uso scolà-
stico, ma non tali da innamorare di questo nobilissimo tra
gli studi.
- (1) Esempi di biografie: Le vite parallele di Plutarco; La vita di Ca-
striùccio Castracani di Nicolò Machiavelli; Le vite degli eccellenti pittori,
scultori, architetti del Vasari.
(2) Il giornale moderno è anche un prodotto della scienza e del pro-
gresso dei tèmpi nostri. Senza il telògrafo, il telèfono; la telegrafia sensa
filo, le grandi màcchine per comporre e stampare rapidissimamente, le
ferrovie, ora gli aeroplani, per diffondere nel giorno stesso il giornale,
questo non sarebbe possìbile.
Il giornale è crònaca del mondo intero, ed è anche stòria. Ne è prova
il fatto, che, nel giudicare gli avvenimenti non esiste conoòrdia.
I giornali raccolti e ordinati, come si consèrvano nelle biblioteche, Si
pòssono considerare quali fonti della stòria.
(3) Gli Annali di Tàcito, gli Annali d’ Itàlia del Muratori.
E,
— 139 —
Vita di Dante Alighieri
di-Giovanni Villani, cronista del sècolo XIV.
Nell'anno 1321 del mese di settembre il dì di S.ta Croce,
morì il grande e valente poeta Dante Alighieri di Firenze,
nella città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d'amba-
: scerla di Venèzia, in servizio dei signori da Polenta, con cui
T_T e ere e e e E E e Te
dimorava. In Ravenna, dinanzi alla porta della chiesa de’
frati minori, fu seppellito a grande onore, in àbito di poeta
e di gran filòsofo. Questo Dante morì in esìglio del comune
di Firenze in età circa di 56 anni. Fu grande letterato, quasi
in ogni scienza, fu sommo poeta e filòsofo e retorico; nobi-
lissimo dicitore, e in rima sommo, con più pulito e bello stile
che mai fosse in nostra lingua. Fece in sua giovanezza, il
libro della « Vita nuova d’amore ». E fece la Comèdia, ove
in pulita rima, e con grandi e sottili questioni morali, natu-
rali, astrològiche, filosòfiche e teològiche, e con belle compa-
razioni e poesie, compose e trattò in cento capitoli, ovvero
canti, dell’ èssere e stato dell'inferno, e purgatòrio e paradiso,
così altamente, come dire se ne possa; siccome per lo detto
suo trattato si può vedere ed intèndere da chi è di sottile in-
telletto. Bene si dilettò in quella Comèdia di garrire e sclamare
a guisa di poeta, forse in ‘parte più che non si convenìa; ma
forse il suo esiglio gliele fece dire. Fece ancora la « Monar-
chia », ove con alto latino; trattò dell’ officio del Papa e degli
Imperatori. Altresì fece un libretto che intitolò « De Vulgari.
Eloquèntia » ; ove con forte e adorno latino e belle ragioni,
riprova tutti i volgari d’Itàlia. Questo Dante per suo sapere
fu alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa
di filbsofo mal grazioso, non bene sapea conversare coi làici;
ma per l’altre sue virtù e scienza e valore di tanto cittadino,
ne pare che si convenga di dargli perpètua memòria in questa
nostra cronaca, con tutto che le sue nòbili òpere, lasciate a
‘noi in iscrittura, fàcciano di lui vero VORELIRARIO, e onoràbile
alla nostra città.
Stèrici italiani sono: Nicolò Machiavelli e Fran-
cesco Guicciardini (sècolo XVI), Giambattista Vico
— 140 —
e Ludovico Antòbnio Muratori (sècoli XVII e X VIII) (1),
Pietro Colletta, Cèsare Balbo, Michele Amari, Cè-
sare Cantù, Carlo Cattaneo, Atto Vannucci (sè
colo XIX), Raffaele De Cèsare (2).
Nobillssimi storici ha il nostro Risorgimento, e fùrono in
gran parte uòmini che vissero in mezzo a quelle gloriose vi-
cende, combatterono, soffrirono; e ci lasciàrono memòrie e ri-
cordi individuali. Ai principali di essi accenniamo qui appresso.
Forme minori di storia: (diciamo minori, non
perchè sihno meno belle e meno degne, che anzi sono
fra le letture più attraenti, ma perchè hanno meno:
gravità ed ampiezza e più facilità e familiarità).
La Autobiografia (dal greco autòs = stesso e bdio-
grafia); è il racconto che un personaggio illustre fa
della sua vita.
La Vita di Benvenuto Cellini (òrafo e artista famoso e av-
venturoso del Cinquecento), La vita scritta da se stesso di Vit-
torio Alfieri, Le Memòrie di Carlo Goldoni, I Miei Ricordi di
Massimo D’Azèglio, I Ricordi autobiogràfici di Giovanni Duprè
(scultore del scolo XIX), Le Membòrie di Giuseppe Garibaldi (3).
I libri di viaggi, narrati dallo stesso viaggiatore
ec scopritore. Esèmpio: il famoso Milione (viàggio dei
fratelli veneziani Polo, fra cui Marco, in Cina, nel
l’evo-médio). di
(1) Il Muratori raccolse in un’ò pera di gran mole, Scrittori d' Itàlia (Re-
rum italicarum scriptores), tutte le stòrie inèdite ed obliate che valèvano
a conòscere l’evo-médio.
(2) Storici *rancesi: Giùlio Michelet (Storia di Francia) Augusto
‘Thierry (Itacconti de Merovingi) Ippòlito Taine (Le origini della Francia
contempòranea), Adolfo Thiers (Stòria della rivoluzione francese), Pietro
Do La Gorge (La storia del secondo impero), Fustel de Coulange (La
- cutà antica).
‘Inglesi: Gibbon (Storia della decadenza dell’ ina Romano), Carlyle
(Storia della rivoluzione francese), Trevelyan (Garibaldi).
‘l'edeschi: Teodoro Mommsen, che attese allo stùdio dell’antica Roma.
Gregoròvius (Roma nell’ evo-mèdio), Treitschke, (Storia della Germdnia
nel XIX sècolo), Bernhardi (Il nostro avvenire). i
(3) Famose le Confessioni di Sant'Agostino, dottore della Chiesa.
r——————€——_——_—_—__—_È&
co Ta
Il grande nùmero di viaggi e di scoperte (Africa, Polo Nord),
compiuti in mezzo ad infiniti perìcoli (seconda metà del sè-
colo XIX), ha fatto nàscere bellissime e famose relazioni di
viaggi.
Ricordi, Memòrie, Note, Commentari, di un per-
sonàggio che prese parte ad avvenimenti importanti.
Cèlebri i Commentari della Guerra gàllica di Giùlio
Cèsare, brevemente dettati — come si crede — dal
sommo guerriero. Ricca di tali òpere è la storia del
nostro Risorgimento, e sono ben degna lettura 03 ita-
liano degni.
Le mie prigioni di Silvio Pèllico; I volontari e bersaglieri
lombardi di Emilio Dàndolo; Memòrie di prigione di Luigi
Pastro; Noterelle di uno dei Mille di Cèsare Abba; Le Memòrie
di Felice Orsini; I Mille di Giuseppe Bandi.
‘Epistolàrio o lèttere, o cartèggio: è la raccolta
delle lèttere di qualche illustre personaggio.
Le Léttere di Camillo Cavour, l’ Epistolàrio di Giuseppe Maz-
zini. Cèlebri sono gli Epistolari di Torquato Tasso, di Giàcomo
Leopardi.
Dalle Léèttere, dai Ricordi o Memòrie trae grande
profitto la storia.
Epigrafe: è un componimento molto vicino alla
storia: è* un breve scritto, destinato ad èssere inciso
in marmo od in bronzo a ricordanza di uòmini o fatti
illustri. |
La maggiore brevità ed efficàcia è massima lode dell’ epì-
grafe. La lingua latina si presta stupendamente a tale brevità,
è ciò spiega perchè anche oggi si dèttino cpigrafi in latino.
— 142 —
II Trattato.
-
Il Trattato è una esposizione ordinata ed àmpia
di qualche arte o scienza. In antico per dare al Trat-
tato più bellezza e vivacità, fu usata la forma del
diàlogo.
Trattati famosi sono: il Prìncipe di Nicolò Machiavelli (che
tratta dell’ arte di governare i pòpoli) (1).
La Scienza Nuova di Giambattista Vico (che tratta della storia
del gènere umano).
Il Galateo di monsignor Giovanni della Casa (che tratta delle
règole della buona creanza e fu chiamato così perchè l’autore
finge di averlo scritto per consìglio di Antònio Galateo, mèdico
napoletano). _
I Didloghi dei Màssimi Sistemi di Galileo Galilei (dove è di-
feso il sistema di Copèrnico del moto della terra intorno al
sole, contro il sistema di Tolomeo, che stabilisce la immobilità
della terra). °
I Didloghi di Giàcomo Leopardi (che trattano di alte que-
stioni filosofiche e morali) (2).
Il Trattatto prende anche i nomi di Sdggio o Studio,
(1) Considerando gli uòbmini per ciò che sono-in realtà, non per ciò che
si desidererebbe o Bi sogna che slano. °
(2) Cèlebri sono nella letteratura greca i Dialoghi di Platone, in cui
sono esposte le dottrine del gran filòsofo Sbcrate. Presso i Latini, De Ora-
tore, De Officiis, di Oicerone, Dell’arte retorica di QuintilianO. Aggiungi
altri trattati famosi, De Monarchia di Dante, Summa totìus theologiae di
Tommaso d’Aquino,il Trattato della pittura di Leonardo da Vinci.
Vincenzo (tioberti (1801-1852) Del primato morale e civile degli Italiani,
Il rinnovamento civile). Famosi trattati stranieri sono: Novum òrganon
di Bacone di Verulàmio (Bacon of Verulam) (1551-1626) di Londra; Systema
naturae di Linneo (Linné) (1707-1778); De mundi systemate di Isacco
Newton (Niuton) (1643-1727); Ricerca della nalura e causa della ricchetta
delle nazioni di Adamo Smith \Smis8) (1723-1790); Della origine della spicie
per selezione naturale di Carlo Darwin (1809-1882); Esposizione del sistema
del mondo di Laplace (1749-1827); Il culto degli eroi, di Tomaso Carlsle
(Carlail) (1795-1881); IZ capitale di Carlo Marx (1818-1883); L’oriìgine della
tragèdia di Federico Nietzsche (MNitzsce) (1844-1900). E dopo tanti famo4
nomi di trattati di cui è molto sapere il nome, Oki si aiuta, Dio lo aiuta
(Self help) di Samuele Sinlles (Smail8s).
— 143 —
e se vi abbonda la critica, si dice Saggio o Stùdio
critico. A
Si dice Compèndio o Manuale: quando tonino le
principali nozioni di qualche scienza od arte, esposte
in modo breve e pràtico. Tali sono i libri scolàstici.
À questo gènere di libri e scritti, destinati ad in-
segnare (diddttici), appartèngono :
I Vocabolari o Dizionari, in cui sono registrati i
vocàboli, i modi di dire di nostra lingua: Crusca (1),
Tommaseo, Trammater, e fra quelli dell’uso, Rigu-
tini, Fanfani, Petrocchi, Melzi (2). — :
Lessico : si dice specialmente dei dizionari delle lingue an-
tiche.
Glossàrio (3) : si dice specialmente dei dizioni che spiègano
le parole mat note, poco comuni, barbàriche.
La enciclopedia = = circolo completo delle umane
cognizioni, cioè grande òpera, distribuita a modo di
dizionàrio, che contiene le cognizioni più importanti
di tutti i rami dello scibile — Storicamente cèlebre
la Encyclopédie francese (1751-1772), che preparò gli
animi ele menti alla Rivoluzione di Frància (1789-1814).
Le grammdàtiche, le opere di retdrica.
Le antologie (che in greco vorrebbe dire raccolta
di fiori, e si dicèvano anche fiorilegi): raccolta scelta
di sentenze; brani o passi di autori.
Altri scritti didàttici, ma in cui più specialmente
si richiédono le facoltà della crìfica (cioè del distin
| guere il bello, il vero, il buono), e che perciò si di-
_-
Cono scritti critici, sono:
lee I
(1) Il dizionàrio della Nuova Crusca, fa testo in matèria di lingua.
(2) Sul tipo pràtico del dizionàrio francese, del Larousse.
(3) Da glossa: voce greca che vale lìingua, nel senso «di interpreta-
zione, spiegazione >.
sù 40
Il commento: note, illustrazioni, spiegazioni delle
òpere dei grandi poeti e scrittori (1).
La recensione : esame, notizia e giudizio di un’òpera.
L’ articolo: brutto francesismò, accolto nell’ uso :
indica uno scritto vicace, efficace, nei giornali, che
tratta di politica, di arte, di scienze.
Polèmica (dal greco pòlemos = guerra) o artìcolo
polèmico, è detto lo scritto dei giornali, vivace, spesso
violento o satirico in contraddizione con altri scritti.
Apologia (che in greco vuol dire difesa): è uno
scYitto in difesa dell’òpera propria in risposta ad ac-
cuse mosso da altri (2).
Orazione.
ssa è l’arte di parlare al pùbblico in modo ‘elo-
quente così da commuovere e quindi indurre ad ope-
rare in determinato modo. L'arte oratòria è antichìs-
sima: essa fu con speciali studi onorata dai due grandi
popoli, i Greci ed i Romani, che ci dièdero i due sommi
orutori Dembstene e Cicerone.
L'arte oratoria è, per così dire, un” arma potentis-
sima; ed è desiderabile che coloro che hanno da na-
tura il prezioso dono della eloquenza (3), se ne vàlgano
a persuadere cose buone e giuste.
La orazione si dice politica quando è tenuta nelle
pubbliche assemblee, comizi, parlamenti, ecc. Senza
libertà (4), non può fiorire l oratoria politica:
(1) Esegesi: spiegazione orìtica di spare famose e di difficjle AILSEDIE:
tazione. {
(2) L’ Apologia di Sòcrate (famosìssima nell'antichità), 1’ Apologia di
Lorenzino de’ Medici.
(3) L’ eloquenza, cioè, a un di presso, Za facilità di parola, è dono ns-
turale e che si può perfezionare con l’arte: solo così ha valore l’antico
motto, oratore si diventa, poeta si nasce.
(4) Nella nostra società, governata a Gemocrazia, l’oratbria è mozzo
potentìssimo per operare e riuscire nei propri intenti.
: — 146 —
Forense : dista è tenuta nei tribunali (detti in
latino forum = fòro, che vale piazza, essendo gli
‘antichi tribunali in luogo aperto) (1).
: Sacra: quando è tenuta nelle chiese e dal pergamo;
L prende diversi nomi: omelia = sermone di un vè-
| scovo ai fedeli; panegirico = discorso di encòmio ad
im santo; prèdica = discorso tenuto in chiesa intorno
i a una verità della religione.
| Accadèmica: quando è tenuta nelle accadèmie 2).
‘ Tali, ad esèmpio, si considerano le lezioni dalla cAttedra.
. Gli antichi consideràvano anche un’altra spécie di
‘orazione, detta concione, cioè quella dei generali ai :
| Soldati. Essa doveva consìstere in poche parole ; ma
i nelle antiche stòrie le concioni sono ampliate in forma
‘di discorsi. Garibaldi, Vittorio Emanuele sapèvano
rivòlgere ai soldati brevi ed efficaci parole. Napoleone
‘prima della battàglia delle Piràmidi, osò dire, addi-
fando quei monumenti: « Soldati, da quella altezza
quaranta séècoli vi contèmplano ».
i Bella, viva, potente è questa concione del colonnello Spinelli,
prima della battàglia di Ain-Zara (guerra italo-turca).
: Il Colonnello ricorda, chiamAndoli a nome, gli ufficiali e sol-
dati che perdèttero la loro giovinezza nelle stragi e battàglie
: ‘deigiorni i innanzi, poi — snudata la spada nel sole — proseguì :
\ «Al cospetto di Dio, in nome del Re, per delegazione della pàtria
lontana, con lo sguardo e la fronte rivolta al nemico, in questa
: trincea unuili dal vostro sanque, io vi consacro prodi e incido
ii vostri nomi “netta storia del Reggimento ».
LI
|
|
(1) Requisitoria è la domanda verbale o soritta del Pùbblico Ministero
Da giudizi, Comparsa o Conclusionale il riassunto scritto di una causa
} (civile),
|. (2) Da Aceademo, greco, fondatore della prima Accadèmia, luogo pressue
| Atene ove si radunàvano i filòbsofi e dove insegnò Platone.
: Oggi si dice Accadòmia una società, ben costituita, di letterati o di
' Scienziati (Crusca, ‘Lincei), ovvero uno Stùdio pùbblico di bello arti o di
, Scienze,
o
)
10. — PANZINI, Manualetto di Retorica.
Me
Proclama : (da proclamare = gridare in ‘pùbblico)
è una potente orazione, solitamente breve, e rivolta
ai pòpoli da sovrani, capi di un governo, o generali
in momenti gravi e solenni (1).
Memoràbile e da considerarsi come proclama, il bollettino di
guerra del 4 novembre 1918:
La guerra contro l' Austria- Ungheria che, sotto l’ alta guida
di S. M. il Re — Duce Supremo — l’Esèrcito Italiano, inferiore
per nùmero e per mezzi, iniziò il 24 màggio 1915 e con fede
incrollAbile e tenace valore condusse, ininterrotta ed asprìssima
per 41 mesi, è vinta.
La gigantesca battàglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre
ed alla quale prendèvano parte 51 Divisioni Italiane, 3 Bri-
tànniche, 2 Francesi, 1 Czeco-slovacca ed 1 Reggimento Ame-
ricano contro 73 Divisioni austro-ungariche, è finita.
I resti di quello che fu uno dei più potenti esèrciti del mondo, |
risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avèvano .
disceso con orgogliosa sicurezza (2).
Conferenza. A queste vàrie forme di orazione, ag.
giungiamo la conferenza (= colloquio), molto in onore
ai nostri tempi. È un discorso tenuto allo scopo ti in-
trattenere piacevolmente il pùbblico, porgendo alcuna
conoscenza su speciali argomenti (letterari, scientifici,
sociali, ecc. ecc.).
Gli antichi maestri di retòrica distinguèvano queste
parti del discorso oratòrio, le quali pur non essendo
tutte necessàrie, ricorrono anche nelle odierne orazioni.
Esòrdio: cominciamento, allo scopo di conciliare
l attenzione degli uditori. Se l’orazione era senza :
esòrdio e l'oratore entrava impetuosamente e d’ îm-
provviso nell'argomento, si diceva ex abrupto = (tron-
cato a mezzo).
(1) Detto anche messaggio o discorso. È
(2: Generale Diaz.
A iii i nr
— 147 —
Proposizione : determinazione dell’argomento, e di-
visione o partizione di esso. i
Narrazione: esposizione dei fatti che dièdero ma-
tria all’orazione. l
Argomentazione : il ragionamento con cui l'oratore
cerca di acquistare favore e fede dal pùbblico per ciò
che sostiene e difende.
Confutazione : l’abbàttere con abbondanza di prove
ed argomenti le opinioni altrui.
Perorazione e conclusione : l’ oratore riassume con
più forza le cose dette e cerca con la commozione
degli affetti, di vincere l’uditòrio in suo favore.
La Léèttera.
La Lèttera (detta in antico anche epîstola), è il
componimento più comune e più frequente. Pochi scri-
veranno poesie o novelle: tutti hanno occasione di
scrivere lèttere. La lèttera fu definita una conversa-
Lunbilimizi immer mimti ente nil. ste nare di nose nn n N N PIE PEER EI
zione tra persone assenti (1).
Secondo le persone a cui scriviamo, le léèttere si
distinguono in familiari o private, in ufficiali 0 dbu-
rocràtiche (2), ein commerciali o di affari. Aggiungi.
le lettere diplomatiche che tràttano di grave faccende
di Stato. | |
Secondo l'argomento, le lèttere sono di ?2nforma-
zione 0 raggudglio, di domanda, di invito, di rin-
graziamento, di scusa, di condoglianza, di augurio,
di +r1mpròvero, di congratulazione, ecc. (3).
(4) Cicerone. i
(2) Brutto francesismo, ma entrato nell’ uso.
(8) Si avverta che in antico spesso fu usata la lèttera per trattaro am-
piamente di questioni di arte, di filosofia, di politica: diretta ad una per-
sona, era copiata e divulgata: tali sono moltéè epìstole di Francesco Pe-
trarca. Sostituiva, préss’a poco, lo soritto del giornale.
i sia
° Règole da osservarsi nelle lèttere. La semplicità e
naturalezza sono le doti migliori in ogni gènere di
scrittura; ma nella lèttera la mancanza di semplicità .
e naturalezza formerebbe un grave difetto.
La lèttera non deve contenere espressioni scortesì
e villane anche se essa è di rimprovero o biasimo,
potendo noi esprimere il nostro risentimento senza
ricorrere a parole sconveféèvoli; tanto più che la pa-.
rola inurbana o minacciosa messa per iscritto, ha ben
altra forza che espressa a voce, e può avere brutte
conseguenze. |
Nelle lèttere familiari può convenire, se l'argomento
lo permette, una certa festevolezza o lepore così da
rèéndere piacèvole la lettura.
La scrittura chiara e fàcile a decifrare si considera,
‘ a ragione, come "n atto di cortesia e di urbanità.
Nella lettera responsiva, cioè di risposta, conviene
osservare se a tutte le questioni o domande della lèt-
tera missiva è stato risposto. |
La chiarezza e la precisione, specialmente nelle
lèttere di affari, è cosa da osservarsi anzi tutto, come
diremo a suo luogo.
In alto della léèttera, a destra, si scrive la data,
cioè l’ indicazione del tempo e del luogo. Esèmpio:
Firenze, 21 Maggio 1910 (Una volta si scriveva addì
o lì, cioè ai dì o giorni o li giorni, ma oggi poco usa).
Certe abbreviazioni della data, come sarebbe 25/5/10 (1),
sono da evitarsi. La mancanza di data è indizio d’ inconside-
ratezza, giacchè la data è cosa molto importante e la sua man-
canza può dare luogo a dispute e controvèrsie. Ciò è tanto vero
che molti consèrvano anche la busta dove è la data del bollo
(timbro) postale. Nelle lèttere di molto riguardo la data si pone
(1) Cioè 25 Maggio 1910. Per brevità puoi sorìvere, 25. V. ’10,
— 149 —
in fondo alla lèttera. Per facilitare poi la risposta, accanto alla
data è buona regola mèttere il proprio recàpito. Esèmpio : Fi-
renze, 25 mdggio, 1910. Via Tornabuoni, 21. Non solo i com-
mercianti, ma anche molti (DEAR usano la carta con il loro
recapito a stampa. /
In fondo alla lèttera è la firma (prima ne nome e
poi il cognome!)
Nelle lèttere di ufficio e di commèrcio si suole scri-
vere in fondo o in calce il recapito (0 indirizzo,
come si dice con brutto francesismo) della persona
a cui è destinata la lèttera. Esèrhpio : Al signor Conte
Giùlio Bentivòglio, Bologna.
Questo recàpito si ripete poi su la busta, con l' in-
dicazione della via e del nùmero dell'abitazione.
Isèmpio: Bologna, Via Indipendenza, 24. Il bollo
o affrancatura si mette in alto, non dietro, chè reca
noia e pèrdita di tempo agli ufficiali di posta. Dietro
alla busta può èssere elegante un suggello. ©
Fino a pochi anni or sono usàvano nei recapiti certi
aggettivi alquanto pomposi ed esagerati e certe ripe-
tizioni, come ad esèmpio: A/l° IMlustrìssimo ed Eccel-
lentissimo Signore, Il Signor Conte Giùlio Benti-
voglio (1). |
. Ma oggi nei recàpiti tende a prevalere la maggiore
semplicità. Spesso il nome è preceduto dal semplice
Signor o Egrègio Signore (2).
Tuttavia, con le persone di riguardo, non si pòs-
sono tralasciare senza sconvenienza i dovuti titoli ac-
cadèmici come dottore, professore, ingegnere ; o ca-
—r ———— %
(1) Alle persone di qualche rinomanza invece di illustrissimo (Ill.mo) si
suole mettere 4/lustre; e qui uno scolaro intelligente potrebbe pensare
perchè mai l’aggettivo positivo vale più del superlativo: se non anche di
questo i//ustre .si comincia ad abusare.
(2) Non fàcile è trovare l’aggettivo adatto per donne: semplicità e
cortesia si contràstano.
— 150 —
vallereschi come cavaliere. commendatore; o di.
nobiltà come conte, marchese, ecc. (1).
Vi sono inoltre certi appellativi di prammàtica che
non dèvono èssere dimenticati. :
Ai Deputati e Senatori si dice onorevole 0 onorè-:
vole signore.
Ai Ministri, Sottosegretari di Stato, Ambasciatori,
Generali che comàndano un Corpo di esèrcito, ai Pre-
i î sidenti del Senato, della Camera, della Corte dei Conti, :
tu delle Corti di Cassazione, di Appello, si dice Eccellenza. '
i Al Re si dice Alla Maestà del Re e nella lèttera, .
Sire (vocativo).
*
Ai Principi di. sàngue reale si dice Altezza Reale. *
A] Pontéfice si dice Santità e Santo Sere o Beatìs-
simo Padre.
i Cardinali si dice Eminentissimo odi Eminenza.
i Vescovi ed Arcivèscovi si dice Monsignore 0
Eccellenza.
Ai Sacerdoti Reverendo o Reverendìssimo.-
Alle persone in gènere di molto riguardo si dice .
Illustrìssimo (abbreviato in Ill). |
Giacchè la lèttera è una conversazione, essa co
mincia con un vocativo, che vària secondo ]l’ affetto
e la confidenza o la natura della lèttera: Mio caro,
Signor mio, Babbo mio, Caramamma, IU Sig.” Prè ;
side, Sìndaco, ecc. Gentilìssima Signora (si suole
l’aggettivo gentile attribuire, per cortesia, special.
mente alle donne), Illustre Signore (se si tratta di
persona di molta rinomanza) (2), Onorèvole, Signore,
Eccellenza, Beatissimo Padre.
|
j
i
allo Sa LA st n nei e
LL mattine ii iii
ri il =
ERETTI
rt]
(1) Abbreviazioni, Dott. Prof. Ing. Cav. Questi titoli è bene metterli
prima del nome e cognome; non a spìzzico, o in mezzo tra nome e co-
guome. Avverto inoltre che il titolo più ragguardèvole può bastare.
(2) Vedi nota a pag. 149.
— 1651 —
Dopo il vocativo si può méttere il punto oppure la
rirgola, quindi si va a capo, con lèttera maiuscola
‘e è messo il punto, e lèttera minùscola se è messa
la virgola. Nelle lèttere familiari dopo la virgola si
può seguitare senza andare a capo o si può incorpo-
rare il vocativo nel testo della lèttera (1).
Così che si può scrivere:
Marco mio,
quanto mi ha fatto piacere la tua lèttera, ecc.
n
Marco mio.
Quanto mi ha fatto piacere la tua léttera, ecc.
Quanto piacere, Marco mio, mi ha fatto la tua
lettera, ecc. (2).
La léttera tèrmina con la firma, preceduta da un
tuo affezionato o affezionatissimo (aff."°) 0 suo de-
votissimo (dev) secondo i casi; o essendo in dime-
stichezza, da un sèmplice fuo o addio. Può la lèttera
essere chiusa da un periodetto convenzionale e gar-
bato che sta a sè, oppure è collegato grammatical-
mente col resto della lèttera-
Esèmpio: Vogliate sempre un po’ di bene al vo-
stro.... |
Vi ama con tutto il cuore il vostro...
Saluto tutti e vi abbraccio...
Un bacio di cuore e addio....
(1) Sorivendo ad alti personaggi è d’uso mèttere punto e poi lasciare
molto spàzio. I grandi invece scrivendo ai minori, tòlgono ogni spàzio.
Curiosa distinzione molto osservata in antico.
(2) Il punto ammirativo dopo il vocativo è una brutta imitazione del-
P uso tedesco: Signore !
ad
— 152 —
State sano, Salute, Salve, sono pure fòrmule di
commiato nelle lèttere. |
Si avverta che certe espressioni troppo ùmili, come
devotàssimo 0 umilissimo servo vion sono più dell’uso.
(Servitore, che ha AR mite senso di Sen00, è però
ancora dell’ uso).
Léttera. anònima è una lèttera. senza firma e spesso con ca-
rattere contraffatto : contiene di solito o una delazione, o una
calùnnia, o un oltràggio, o una minàccia: documento, quasi
sempre, di viltà umana.
Epistolàrio è la raccolta (1) delle lèttere di qualche
illustre personàggio. Gli epistolari sono di grandissimo
interesse perchè ci rivèlano al vero lo stato d’ànimo
di persone famose, che amiamo o ammiriamo.
Sono bellissimi gli epistolari di Cicerone, del Pe-
trarca, di Santa Caterina da Siena, di Torquato
Tasso, di Camillo di Cavour, di Giuseppe Mazzini.
‘Gli epistolari degli uòmini politici sono di grande
aiuto per la stòria, come già fu AGO:
Lèttere commerciali e altre scritture
affini alle lèttere e di uso comune.
Lèttere commerciali: si distinguono dalle lèttere
comuni per maggiore brevità, per l’uso del vo? (come
in Inghilterra ed in Francia), per certe formule e per
la più scrupolosa proprietà di linguaggio. Un’ espres-
sione impropria, una dichiarazione ingènua o non ne-
cessària, una’ promessa fatta a cuor leggero, ecc., pòs-
sono dare luogo a disguidi, noie, danni, iuldenze;
questioni (2).
(1) Quasi sempre si fa dopo la morte del personàggio.
(2) Purtroppo l’amore alla brevità e alla proprietà conduce, spesso, nelle
lèttere commerciali, ad un gergo o formulàrio che è grave offesa alla
lingua nazionale.
— 153 —
Telegramma = lettera da lontano, 0 dispaccio |
è un avviso o un èrdine o una notizia per mezzo del
telègrafo. Suppone in chi scrive urgenza grande. Vi
st ométtono articoli, congiunzioni, segni ortografici’
(stile telegrafico), purchè la chiarezza non ne soffra
danno. Anche un telegramma può aver prègio d’arte
perl’efficace concisione. Alcuni giornalisti sono maestri
del gènere. È
Il telegramma deve èssere steso per intero, senza
cancellature, non potendo gli ufficiali di posta nulla
‘Aggiungere o togliere. di .
Altre scritture di uso comune, affini alle lèttere :
La domanda (istanza o petizione): lèttera a pùb-
blici uffici, allo scopo di ottenere alcuna cosa (im-
piego, sussidio, protezione, ecc.), in via di giustizia o
di gràzia. Se si implora gràzia, ha il brutto nome di
supplica. Istanza o domanda di gràzia (linguaggio
| @ pràtica giudiziaria). }
Il ricorso : lèttera a pùbblici Uffici o ad Autorità,
allo scopo di ottenere la riparazione di un torto; il
| l'iconoscimento di un diritto; o protestare contro in-
| giustizie o danni. Esporre bene' i fatti, le ragioni in
sostegno del pròprio diritto, e nel tempo stesso èssere
efficaci, brevi e cortesi, non è cosa agévole.
La relazione : è una lèttera di ragguàglio ad una
Autorità o a pùbblici Uffici, in cui si dà ragione, o
di un fatto avvenuto o di un lavoro eseguito per in-
càrico di detta Autorità.
Il memoriale. è un richiamo scritto chiaro, preciso,
con opportune indicazioni, ad una Autorità, in riferi-
mento ad una domanda o ad un ricorso.
‘ Rapporto (da rapportare = riferire, narrare), è
uno scritto in cui si riferisce e si ricorre ad una
Autorità contro il mancamento di qualche persona o
ufficio, dipendente da detta Autorità.
— 154 —
Testamento (1): scrittura autèntica (2) con cui si
manifèstano le ùltime volontà. Questo atto, solenne, e
spesso uno fra gli ùltimi dell’uomo, oltre a disporre
dei beni e delle esèquie, può contenere precetti mo-
rali, religiosi, politici di alto valore, spècie trattàndosi
di persone potenti ed illustri. Senza dùbbid il testa
mento per chi ha beni da lasciare, è uno degli atti
più seri della vita. Alcuni manuali ne danno i pre
cetti, fra i quali è notèvole questo: « di fare testa
mento a tempo ». Ma non è il caso per giovanetti.
Fra l’altro non si può testare prima dei 21 anni.
Biglietto : letterina breve, spigliata, chiara, dettata
in fretta.
Lèttera circolare o circolare : scritto informativo,
mandato în giro, per mezzo della stampa, da qualche ‘
Autorità, o anche da Case e Ditte commerciali.
Altre scritture di uso comune, di natura mercan-
tile, econòmica; legale, sono il certificato (o attestato -
o) benservito), l'obbligazione, la ricevuta o quietanza,
il contratto (pigione, nolo, locazione, compra-vèndita, |
società), il resoconto, la disdetta, la set la par :
1
4
tecipazione, l avviso, l’ inventario.
Per tutte queste scritture vàlgano quelle norme di
chiarezza, decoro, semplicità, naturalezza che già ri-:
;
4
ferimmo; per alcune di esse, poi, si richibdono spe i
ciali nozioni, che non sono di spettanza di un manuale ‘
di retòrica (3).
‘
I
(1) Dal latino, /estari = chiamare in testimòne. Nel diritto romano i
primitivo. il testamento non si scriveva, ma il testatore enunciava a voce,
davanti ai testimoni, le sue volontà.
(2) Ològrafa = interamente scritto dal testatore; o per mezzo di Hone.
ed alla a DI enne di testimoni.
(3) Non sarà inutile avvertire -che nelle DOrRTO legali e notarili di
usata una speciale maniera di scrìvere, che è la più contrària al buon:
gusto, all’arte, alla semplicità. Essa consiste di speciali e vecchie formule, :
vocàboli tàcnici, espressioni pedentesche e spesso grottesche; ma sono:
per così dire, consacrate dall’
lesco). i
uso e da antichìssimo tempo (stile curia.
BREVI NOTÌZIE
SUI PRINCIPALI SCRITTORI ITALIANI
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; °° BREVI NOTIZIE
SUI PRINCIPALI SCRITTORI ITALIANI
Scrittori. del Trecento (sècolo XIV).
Tre sono i grandi scrittori del Trecento: Dante, il Petrarca
ed il Boccaccio, tutti e tre di orìgine fiorentina.
Per òpera di questi tre scrittori, la lingua italiana — o
| volgare — acquistò precisione e bellezza, e. cominciò ad ès-
. Bere usata anche dai dotti invece del latino. (Il latino era al-
lora e rimase ancora nei sècoli seguenti la lingua più adope-
rata nelle scritture di caràttere dottrinale e scientifico, perchè
era lingua universale e comune a tutti i dotti d’ Europa).
Dante Alighieri è il nostro maggior poeta, e uno dla i più
grandi poeti, o geni, del mondo...
La sua maggiore opera è la Divina Commèdia, divisa in
cento canti e in terzine; ed è una visione dell’ Inferno, del
Purgatòrio e del Paradiso. ©
Scrisse anche la Vita Nuova che è un romanzo pieno di. al-
| legorie, in cui è celebrata Beatrice, giovane donna amata dal
poeta. Questo romanzo ‘è la più originale ed illustre fra le
antiche prose italiane. |
Dante.seppe tutto ciò che era conosciuto dai dotti del suo
tempo.
Ma egli fu non soltanto grande poeta, grande erudito e
filòsofo, ma cittadino operoso e virtuoso della sua pàtria, Fi-
renze. |
Quivi nacque nel 1265. Dalla sua città venne bandito in
esìlio perpètuo per òdio feroce dei partiti polìtici, nel 1302.
Da allora condusse vita raminga ed infelice per vàrie città
e corti d'Itàlia. Riparò infine in Ravenna.
— 158 —
In questa città morì (1321). Quivi ancora si consèrvano e
vènerano le sue ossa.
Francesco Petrarca, benchè nato da genitori fiorentini in
Arezzo (1304), trascorse la sua giovinezza in Provenza (Fràn-
cia), cioè in Atignone, la quale città allora era la sede dei Papi.
Il Petrarca si acquistò grandissima fama e popolarità per
le sue poesie liriche (Canzoniere - sonetti e canzoni) in onore
ed in memòria di Làura, gentildonna avignonese da lui tene-
ramente amata.
Ma al suo sècolo egli fu onoratissimo e celebratissimo anche
come latinista e filòsofo, specialmente perchè fece conoscere
la civiltà di Roma antica e dell’antica Grècia; e per tal modo
mise in luce molti errori, roz2ezze e superstizioni del suo tempo.
Dopo la morte di Làura, che avvenne uel 1348, il Petrarca
si trasferì in Itàlia. Milano, Parma, Pàdova, Venèzia fùrono
le città dove di preferenza egii abitò, e fu colmato di ricchezze
e di onori. |
Finì la sua vifa serenamente in Arquà (sui colli Eugànei,
presso Padova) nel 1374. Quivi è venerata la sua tomba.
Giovanni Boccàccio (1313-1375) rese nòbile ed illustre il vol-
gare italiano in molte sue òpere in prosa ed in verso, ma
specialmente col suo Decameron. Esso è una raccolta di cento
novelle che si imàginano narrate in dieci giorni, da sette don-
zelle e tre giovani in una villa presso Firenze. Queste novelle,
la più parte festèvoli e alcune poche tristi e tràgiche, fùrono
note a tutta l’ Europa còlta; e ci appàiono anche oggi — quasi
tutte — meravigliose per la verità delle passioni, per l’ efficacia
e l’arte di novellare.
Il Boccàccio fu legato da amicizia col Petrarca, e, come il
Petrarca, scrisse molte òpere in latino allo scopo di far cono-
zcere ai contemporanei la civiltà antica di Grecia e di Roma.
Il Boccàccio, figlio di un mercante fiorentino, menò da giò
vane vita lieta e mondana in Nàpoli. Da adulto e da vècchio |
visse nel natio paese di Certaldo, presso Firenze. Condusse
vita esemplare per dignità di caràttere, disprègio per la vanità
degli onori e delle male acquistate ricchezze.
_— 159 —
Altri prosatori del sècolo XIV.
I prosatori del Trecento sono ammirèvoli per. gràzia, sem- .
licità, naturalezza e vivacità grande. Il loro periodo (fatta.
eccezione del Boccaccio) è breve e fàcile.
Fra questi prosatori del Trecento mèritano menzione Dino
Compagni, contemporàneo di Dante, autore di una. Cronaca
delle cose occorrenti ne’ tempi suoi in Firenze (cioè dal 1280
al1312); Giovanni Villani (1810- -1348), fiorentino, autore di una
ampia Crònaca della sua città; Iàcopo Passavanti, autore di
un trattato religioso o ssetiico; Lo spècchio di vera Penitenza,
in cui i ragionamenti moraii sono illustrati con racconti a
modo di esempi; Domènico Cavalca, che fu frate come il pre-
cedente, è liberamente tradusse in pura lingua toscana le Vite
dei Santi Padri; Franco Sacchetti (1330?-1400), mercante fio-
rentino e uomo politico, che scrisse un gran nùmero di fatti
di cronaca, quadretti, anèddoti, noti col nome di Novelle, det-
tate in lingua così fàcile e libera che poco si discosta dal
dialetto fiorentino.
Opera preziosa del Trecentò, ma anònima, sono i Fioretti
di San Francesco, raccolta dei fatti e Ni miràcoli di questo vero.
Santo,
scrittori del Quattrocento.
Gli scrittori del sècolo XV (Quattrocento) attèsero special-
mente a perfezionarsi nello stùdio del latino e nell’ illustrare
gli antichi autori clàssici, perciò trascùrano alquanto il vol-
gare o italiano.
Questi eruditi o latinisti sono noti col nome di Umanisti.
Fra gli umanisti del Quattrocento e che scrissero nobilmente
anche in prosa italiana, vanno ricordati:
Leon- Battista Alberti (1407-1472), che fu anche matemàtico
ed architetto : egli scrisse un trattato a dialogo, intitolato Della
Famìglia, in cui si ragiona dell’ economia domèstica, dell’edu-
cazione dei figli, ecc.
— 160 —
Iàcopo Sannazzaro, napoletano (1458-1504), autore di una
spècie di romanzo in cui è descritta poeticamente, cioè con
molti abbellimenti, la vita dei pastori antichi in Arcddia (terra
montuosa della Grècia meridionale). Il romanzo porta appunto
il titolo di Arcddia. |
Sulla fine del Quattrocento sòrsero in Itàlia molti poeti, il
più elegante dei quali fu Angelo Ambrogini, detto il Poliziano
(1454-1494), nativo di Montepulciano in Toscana. Egli fu gre-
cista e latinista insigne, cioè umanista. Altro umanista e poeta
di ricchissima fantasia fu il conte Matteo Maria Boiardo di
Scandiano (Règgio: 1430-1494). Egli scrisse un romanzo ca-
| valleresco, l’Orlando Innamorato, che canta armi ed amori con
grande freschezza e gràzia. Peccato che questo capolavoro sia
così poco noto anche oggidì! Esso fu rifatto nel sècolo se-
guente (XVI) in modo burlesco da Francesco Berni. Così ri-
fatto non si riconosce più. È un cavaliere vestito da giullare!
Scrittori del Cinquecento (secolo XVI).
Il Cinquecento fu un'età gloriosa per le arti belle e per gli
studi in gènere. La pàtria nostra fu in quel sècolo (che fu
l’ùltimo della sua libertà polìtica) come maestra di civiltà
all’ Europa. Moltissimi fùrono i. prosatori ed i poeti del Cin-
quecento.
Niccolò Machiavelli, fiorentino, nato nel 1469, fu più pro-
-priamente un uomo polìtico che un letterato. Egli servì la sua
Repùbblica di Firenze (onde fu chiamato per antonomàsia il
Segretàrio Fiorentino), eseguendo importanti missioni e amba-
scerie, non solo in Itàlia, ma in Frància e in Germània.
Ma quando la potente famiglia de’ Mèdici occupò nel 1512
ancora Firenze, il Machiavelli caduto in sospetto come favo-
rèvole alla Repubblica, fu costretto a ridursi a vita privata.
Allora attese a scrivere le sue grandi òpere di storia e di
ragionamenti (filosofia) intorno alla storia.
Esse sono il Principe, famoso trattato sull’ arte di governare
i popoli; Le Storie Fiorentine (sino al 1492); I Discorsi sul-
l’arte della guerra, in cui sostiene la necessità delle armi
lc
nazionali invece delle armi mercenàrie, come si usava nel
Cinquecento in Itàlia; I Discorsi sui primi librî (prima Deca)
di Tito Lèvio, in cui spiega le ragioni, cioè per quali virtù
civili e militari Roma dominò l’Itàlia e.il mondo.
Il Machiavelli descrive e spiega i fatti della politica come
èrano e sono nella loro realtà, nulla togliendo al vero, nulla
aascondendo dei difetti della umana natura.
Egli per primo e nettamente comprese che gli Stati d'Italia,
privi di armi nazionali e divisi da vari interessi, avrèbbero
perduto la loro indipendenza, come difatti avvenne. Il Machia-
velli visse e morì pòvero (1527).
Francesco Guicciardini è il secondo riande. storico del Cin-
quecento. Nacque in Firenze e visse dal 1483 al 1540. Anch'egli,
più che letterato, fu uomo politico al servizio dei Mèdici e dei
Papi. Con l'alta sua intelligenza, ma pràtica e fredda, egli vede
ed osserva senza passione i fatti e gli uòmini quali sono nella
realtà. L’ òpera sua principale è la Stòria d’ Itàlia, dal 1492
al 1534, cioè di quel periodo in cui la nostra. pàtria perdette
la sua indipendenza ‘ e cadde sotto il predominio di Carlo v,
imperatore di Germània e re di Spagna.
Altri prosatori di gran nome del Cinquecento fùrono il car-
dinale Pietro Bembo, veneziano ; Baldassarre Castiglione, man-
tovano; Torquato Tassò, nato in Sorrento da padre bergamasco.
In generale la prosa degli Scrittori del Cinquecento ha un
grande e magnifico periodare, che risente un po’troppo dello
studio degli scrittori latini. Di questo modo di scrìvere, assai
magnifico, ma però alquanto artificioso, aveva dato già primo
esémpio Giovanni Boccàccio. Per queste ragioni lo scrìvere dei
Cinquecentisti è ben diverso dalla naturalezza e semplicità dei
Trecentisti.
Vi sono però anche nel Cinquecento scrittori più sèmplici.
Il Machiavelli, per esèmpio; e, sopra tutti, Benvenuto Cellini,
orafo e cesellatore famosìssimo. Egli scrisse in una lingua che
è quasi dialetto fiorentino, una vivacissima e interessante Vita
di se stesso.
Molti fùrono i novellieri del Cinquecento, fra cui ha il primo
posto Matteo Bandello (1480-1561). P
Nel Cinquecento, quella che era prosa toscana o fiorentina,
diventò prosa italiana o nazionale.
11. — PaNZINI. Manualetto di Retorica.
tie iii cente a 3
“
— 162 —
Fra i moltìssimi poeti del Cinquecento ha il primo luogo
l'Ariosto. i
Ludovico Ariosto, nato da nòbile ma non ricca famiglia in
Règgio (Emilia) nel 1474, trascorse quasi sempre la sua vit&
in Ferrara iu qualità di gentiluomo dei suoi naturali signori,
i Duchi d’Este, cui servì con zèlo e fedeltà, ma senza alcuna
servilità o cortigianeria. Egli, era, anzi, uomo sèmplice, retto,
e preferiva la sua cara libertà alle ricchezze ed agli onori. La
poosia fu il suo maggiore stùdio. Compose [seguitando il Boiardo]
in ottava rima il romanzo di Orlando divenuto pazzo per amore
(Orlando Furioso). Per ricchezza di fantasia non è in Itàlia
[dopo Dante] poeta che sùperi l'Ariosto.
Per bellezza d’arte e acutezza di osservazioni umane, il suo
Orlando forma anche oggi una delle più piacevoli letture, an-
corchè questo genere di romanzi cavallereschi ed in versi non
sia più di moda.
L'Ariosto finì serenamente la sua vita in Ferrara l’anno 1583.
Torquato Tasso, nato in Sorrento nel 1544 e morto in Roma
nel 1595 nel monastero di Sant'Onofrio, ebbe fama pari al-
l’Ariosto, specialmente per il suo poema eròico, La Gerusa-
lemme Liberata. Per gentilezza di sentimento il Tasso è supe-
riore all’Ariosto; ma ne è vinto per fantasia e per arte. Anche
il Tasso fu gentiluomo alla corte di Ferrara, ma un po’ per
l'indole sua troppo sensibile, troppo nòbile, troppo orgogliosa,
un po’ per la malvagità degli uòmini, condusse vita infelice.
Egli fu tenuto rinchiuso per sette anni (dal 1579 al 1586)
nell'ospedale di Sant'Anna in Ferrara come infermo di mente.
In questo doloroso albergo compose i suoi Didloghi e molte
delle sue /èffere, che sono fra le più belle e sincere prose del
Cinquecento.
Scrittori dei Seicento (séècolo XVII).
Nel Seicento l’Itàlia si trovò quasi tutta sotto il predominio
della Spagna; e quando un pòpolo manca di libertà politica,
anche le Lèttere sono iu decadimento.
I prosatori del Seicento sono generalmente artificiosi, ridou-
danti di figure e di metàfore ; accurati nella forma, ma pòveri
di forti pensieri. |
Ss. — 1603 —
Daniello Bàrtoli di Ferrara, gesuita (1608-1685), e Pàolo Se-
gneri, gesuita e predicatore (1624-1694), fùrono un tempo molto
rinomati scrittori di prosa. Oggi la loro fama è assai scaduta,
giacchè la sola veste delle belle e perfette parole non basta
a dare stàbile rinomanza ad uno scrittore.
Galileo Galilei è giustamente ritenuto il migliore prosatore
del Seicento. Egli, nato in Pisa nel 1664, fu per molti anni
professore di matemàtica (1592-1610) nell'Università di Pàdova.
Fornito di meraviglioso senso di osservazione e prendendo per
base l’esperienza dei fatti naturali, fece molte invenzioni e
scoperte ; fra le quali il perfezionamento del telescòpio, le leggi
sull’isocronismo del pèndolo, i satèlliti del pianeta Giove; ma
sopra tutto si adoperò a spiegare e a sostenere le teorie sul
movimento della terra intorno al sole (sistema di Copèrnico), ‘
contro l’antichissima opinione della immobilità della terra (si-
stema di Tolomeo).
In molte sue òpere (Il Saggiatore, Diàlogo dei Massimi Si-
stemi, ed altre) spiega e difende le sue scoperte e le sue teorie
con una prosa limpida, precisa, severamente clàssica, ma senza
nessuno di quei falsi ornamenti dello scrivere che tanto pia-
cèvano al suo tempo. Si noti che egli aveva delle grandi cose
a dire e perciò d'altro non si cura che di èssere inteso (PARINI).
Per effetto di queste sue opinioni su la filosofia naturale
come allora era detta la scienza, egli ebbe da vècchio a sof-
frire gravissime persecuzioni.
Morì nel 1642, relegato come uomo pericoloso per le sue
idee, in una sua villa in Arcetri. :
Questo nostro grande filòsofo contribuì straordinariamente
col suo mètodo sperimentale e con le sue scoperte allo sviluppo
delle scienze positive.
Scrittori del Settecento (secolo XVIII).
Gli scrittori del Settecento rappresèntano anch’essi un deca-
dimento notèvole delle Léttere italiane. I poeti scrivono se-
condo le norme artificiose di una scuola o accadèmia chiamata
l' Areddia ; i prosatori sono spesso pieni di francesismi, di
imitazioni -clàssiche e difettosi nella sintassi.
cu. VO
Si stàccano tuttavia dalla comune maniera di scrìvere alcuni
prosatori, fra cui il conte Gaspare Gozzi di Venèzia (1713-1786),
Giuseppe Baretti di Torino (1719-17%9) ed il conte Vittòrio Al-
fieri di Asti (1749-1503, anima piena di fierezza, di amore alla
libertà e che fra i primi ebbe il sentimento della dignità na-
zionale.
In quel sècolo ebbe grandissima rinomanza Pietro Metastàsio
di Roma (1698-1782), poeta dolce, melodioso e fàcile, delizia del
suo sécolo, autore di melodrammi, vissuto lungamente in Vienna
in qualità di poeta aulico o di corte. i
Verso la fine del Settecento fiorì Giuseppe Parini, milanese
(di Bosìsio: 1729-1799), poeta pieno di nòbili sentimenti civili,
espressi con un'arte assai più vigorosa di quella del Metastàsio
e degli altri o molli o troppo sonori poeti del suo tempo.
Nell'età del Parini vissero pure alcuni altri grandi scrittori,
i quali sembrano come preparare alla pàtria giorni migliori.
Tali fùrono Carlo Goldoni, veneziano, famoso autore di com-
mèdie che ancora oggi si rappresèntano con molto diletto,
l'abate Ludovico Antònio Muratori di Vignola presso Modena
(1672-1750), famoso stòrico, e di infaticAbile attività nel ricer-
care e studiare i documenti della storia medievale d'Itàlia; Gio-
vambattista Vico, napoletano (1668-1744), così grande filòsofo €
storico che fu maestro a queglifstessi filòsofi e stòrici stranieri
che èbbero più alta rinomanza; Pietro Verri, milanese, econo-
mista e filosofo pieno di idee nuove e libere.
Scrittori del secolo XIX.
Gli scrittori del principio del sècolo XIX sono distinti dagli
altri scrittori italiani precedenti per un sentimento nuovo che
li ànima e appare in quasi tutti i loro scritti ; il sentimento
della pàtria o sentimento nazionale. Questo sentimento vuo!
dire: vergogna per lo stato di servitù in cui giaceva l’ Italia;
bisogno di dare alla Patria libertà e dignità; coscienza del-
l'alto ufficio o missione degli scrittori allo scopo di destare
le coscienze ed animare il popolo a più alti destini.
a Im...
— 165 —
Tali scrittori che più o meno direttamente operàrono a questo
nòbile fine, fùrono, dopo Vittorio Alfieri che quasi li precede,
Ugo Fòscalo (1778-1827), nativo di Zante, poeta e prosatore in-
signe, soldato sotto Napoleune, erudito grandìssimo, uomo pieno
di passioni, di sentimenti generosìssimi: ebbe vita travagliata,
povera, infelice. La sua prosa è clàssica; ma piena di un vi-
gore e di un'ànima che è ignota agli antichi. I suoi Sepolcri
sono il più illustre carme della poesia italiana.
Giacomo Leopardi di Recanati (1798-1837), è forse il maggior
poeta del suo sècolo; ma certamente ha come un posto a parte
non essèndovi nella nostra letteratura alcun poeta che si possa
8 lui paragonare per semplicità, perfezione e passione di sen-
‘imenti veramente sentiti. Come prosatore sentì il bisogno di .
svecchiare, cioè di rèndere più vigorosa, giòvane, efficace la
prosa italiana. Egli stesso ce ne fornì un notèvole esempio. ;Il
Leopardi condusse vita breve ed infelice.
Alessandro Manzoni, milanese (1785-1873), fu quegli che più
ancora del -Leopardi rinnovò la prosa italiana. Egli col suo
grande romanzo I Promessi Sposi, ci offre l’esèmpio di una
prosa italiana che non è scritta soltanto per i letterati e per
i dotti, ma per il pòpolo: cioè una prosa che pure ubbidendo
a tutte le difficili leggi dell’ arte dello scrivere, tuttavia è per
vocàboli, modi di dire, costruzione, simile alla lingua viva..o
lingua parlata.
Fra quelli che seguirono il Manzoni nel senso più bello della
parola, cioè nella semplicità della parola e nella umanità degli
affetti, sono da ricordare /ppòlito Nievo e Emìlio De Marchi.
Moltìssimi poi fùrono in questo sècolo gli scrittori politici,
pieni di forza e di passione, fra i quali il primo posto spetta
a Giuseppe Mazzini di Gènova (1805-1872), il quale si servì della
parola scritta ad un fine di grande e indomàbile apostolato, cioè
allo scopo di animare, eccitare gli Italiani affinchè acquistàssero
la coscienza precisa dei doveri che spèttano ad un pòpolo, se
, non vuol scomparire sotto il dominio straniero.
Altri scrittori del sècolo XIX sono Niccolò Tommaseo di Se-
benico (1802-1874); Giuseppe Giusti di Monsummano (1809- -1850);
| Massimo d’ Azeglio di Torino (1798-1866).
Verso la fine della seconda metà del sècolo XIX, Giosue Car-
— 166 —
ducci ebbe per così dire il primo posto come poeta, come prao-
satore e come erudito.
Giovanni Pàscoli ‘di San Mauro di Romagna) e Gabriele D’An-
nunzio (di Pescara) sèguono a]l Carducci, e se il loro merito è
in vArlo modo giudicato, sicuro è il loro nome nella fama let-
terària, e del D'Annùnzio nella storia della Nazione.
. Ma degli scrittori vicini a noi il giudizio non essendo sicuro,
nè sicura la rinomanza, ci pare opportuno non trattare.
INDICK
fe on
PREFAZIONE Lee e
.
PARTE PRIMA
(HB COSA SI INTENDE PER RETÒRICA O STILÌSTICA
QUALE È IL SUO UFFICIO .
Invenzione, Disposizione, Elocuzione .
Invenzione . .
Disposizione . *
Elocuzione (lingua e dialetti) .
Purità e proprietà. .
Purità . SARORE or
Neologismi . .
Neologismi ritenuti cattivi. e barbarismi .
Arcaismi . . . ...
Solecismi . . . .. .
Idiotismi . . . ....
Proprietà . . . .. ..
Sinònimi e doppioni .
Proposizione e perìodo (sintassi
inversa) . ... 0.0...
Lo stile . . .
. .
diretta
PARTE SECONDA
PoBsIA. . . e dra
La Poesia ed il Vero s
Versi italiani e loro leggi . . .
Versi accoppiati. . . . ...
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sintassi
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— 168 —
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Rima (consonanza e assoniatiza) e 0 00000.
Stanza ovvero Strofe. . . Ù vi: di aes
La metàfora (e il linguàggio pobtico). Ss = È
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Gènere narrativo (il Poema) . so & di a e
D'Drammià << i € RA di dra
PARTE TERZA
Prosa . . . De i ere le le e è
La Fàvola o Apoiszo E
La Paràbola. . ..0.0.0606000 0000
La Novella: è... wa ud ad « be £
Il Romanzo ». + e. è è di & Tr a nl
Lasstoria:. i dee s ale dea e
I Trattato: so do @ dé ere e e ae
Orazione . . ......
La Lèttera
Lèttere commerciali e ATE ni ‘affini alle 3et-
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BREVI NOTÌZIE SUI PRINCIPALI SCRITTORI ITALIANI . +
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