03 APOLOGIA DELLA 3 DOTTRINA FILOSOFICA DI V. GIOBERTI PER P. TAGLIALATELA NAPOLI TIPOGRAFIA ALL' INSEGNA DEL DIOGENE Strada Montesanto num. 14. 1867 Proprietà letteraria ; LE PICCOLE QUISTIONI DIALOGO PRIMO tra L'Autore e F. Toscano A. Vi ringrazio di gran cuore, professor Toscano, per esser vi finalmente degnato di rispondere alla critica che circa tre an ni addietro io mossi contro il vostro CorsoElementare di Fi losofia. T. Questo mi fa supporre che non ancora avete letto le mie Lettere pubblicate sul Campo de'Filosofi Italiani. A. Vi assicuro che le ho lette proprio con questi occhi e più di una volta. T. In tal caso non credo che m'avete ringraziato conmolta tenerezza. A. Volete dire che le vostre Lettere sono tutt'altro che un panegirico per la mia persona? T. Se vi pare. A. Ma appunto perciò iosento il dovere e intendo ringraziar vi sinceramente. T. Adesso poi non capisco. A. Farò dunquedi spiegarmi. Quando mi presi l'alt'onoredi assalire il vostro libro, subito m'accorsi di trovarmi impicciato tra gli opposti interessi della scienza, che m'imponeva d'esser se vero col filosofo, e dell'amicizia che consigliavamidi esser dolce coll' uomo. La mia posizione era cosi difficile, come vedete, tan to che valse a farmi esitareperqualche tempo. Alla fine pensai di conciliare alla meglio le contrarie cose, e diedi fuori una cri tica, dove l'amico trova tutt'i riguardi dovuti alla sua persona, eil filosofo di non esser stato trattato con tutto quel rigore che meritavasi. Ora appunto daquesto brutto imbarazzo mi libe rano al presente le vostre Lettere, e come dunque volete che io non debba esservene riconoscente? T. Ebbene? A. Ditemi, avete tempo da spendere e l'animo disposto a di scutere intorno a quelle quistioni filosofiche che sapete? T. Sono in tutto apparecchiatissimo a servirvi. A. Cominciamo adunque dalle vocidi alcuni impertinenti, i quali credono che il vostro Corso abbia arrecato gran danno al l'idea filosofica di Gioberti. T. Il giudizio degl'impertinenti io lo disprezzo, e specialmen te poi se il suffragio de'savi mi assicura del contrario. E che ! non sanno essi che il mio libro valse a rendere popolare nelle nostre provincie il sistema giobertiano, che parea destinato per le sue molteplici difficoltà a rimanere in solitudine? (1). A. V'ingannate grossamente,professore, su questo proposito. T. Che potreste oppormi? A. Proprio la storia di quei tempi. Il concetto filosofico di Gioberti era già divulgatissimo per le nostre provincie, quando vennevi pel capo ilpensiero discrivere ilvostro Corso Elemen tare. E appunto perché gli animi erano innammorati di quel si stema, essi largheggiarono di favori con voi e vi accolsero cosi teneramente nelle scuole. Tanto è vero che voi medesimo ne fo ste sorpreso, ed oggi venite ingenuamente a confessarci che quel successo fu superiore alla vostra aspettazione (2). Cosi dunque non foste mica voi che rendestepopolareGioberti,ma piuttosto Gioberti che rese popolare voinel mezzogiorno d' Italia. (1) Campode' Fil. ital. V. 11 pag. 212. 2) Ibid. 5 T. lo voleva dire che gli studi elementari di filosofia secondo il concetto giobertianofuil mio Corso che introdusseli nelle no stre scuole, poichè sapete che il Gioberti di elementi non ne scrisse mai. A. Ora questo appunto diconole cattive lingue, cioè che ildi- segno filosofico del Torinese ci si trova così bene riprodotto e colorito nel vostro Corso, come l' Idea cristiana, verbigrazia, si trova sulle colonne della Civiltà cattolica o la monarchia ecclesia stica di Gregorio VII nel governo di Pio IX. T. Èvecchio vizio del nostro paese il denigrare gli uomini più benemeriti dell'umano sapere; del che però io non avrei molta ragione a dolermidopo gli esempi di Vico e di tanti altri segna lati. A me basta il plausodi quei pochi dotti, iquali hanno ben compreso che il mio libro, sebbene scritto in un'epoca cosi ca lamitosa, quando il nome del Gioberti era odiato dall' autorită politica e civile e le sue opere tutte condannate dalla Congre • gazione dell' Indice, pure esso conteneva il succo ed il sangue delle filosofiche dottrine del Gioberti, e con questo tesoro in corpo usci alla luce con la permissione dell'autorità politica ed ecclesiastica insieme (1). A. Se esistono, codesti dotti son matticertissimamente. T. Come! A. Ferdinando II aveva naso fino, miocaro, e sapeva sceglie re a maraviglia isuoi Revisori ; ora questifurbi rilasciarono vo lentieri il passaporto al vostro Corso, perchè ci videro dentro de bitamente punito quel rivoluzionario di Gioberti, che stavadi cendo tanto male della Curia e della Dinastia di Napoli! Essi nel corpodel vostro libro non ci trovarono il succo ed il sanguedel le dottrine giobertiane, ma piuttosto lo strazio loro, e però gli lasciarono libero il passo augurandogli forse buon viaggio e prospera fortuna. T. Vi ricordo, cosi in parentesi, che a quel tempo anche nella vostra scuola studiavasi il mio libro ! (1) Ibid. 6 A. Èvero, maci vuole una spiegazione. Dovetedunque sape re che dopo la prima letturadel vostro Corso, gli animi comin ciarono a dividersi in due partiti. Gli uni lo mandarono subito a monte e non nevollero più sentire. Gli altri ne capirono benis simo tutt' i difetti, ma li coprivano caritatevolmente e li scusa vano con latristizia de' tempi in cui l'opera fu scritta e pubbli cata. Speravano e anzi tenevano per indubitato questi ultimi che l'autore, come appena sarebbonsi mutate le condizionidel civil vivere, avrebbe rifatto essenzialmente il suo lavoro e dato alle fiamme quello sgorbio, di cui per puranecessità aveano do vuto in allora contentarsi. Etra'secondi io fui uno de'vostri più caldi amici e difensori, ed oggi non avrei ragione di arrossire a confessarvelo. Ecco perché sette anni addietro adoperai tutte le mie forze per tirarvi a riformare l'intera sostanza del vostro libro, facendovi ben considerare che il momento era opportu nissimo e che, se l'occasione sfuggisse, voi perdereste irrepara bilmente quel posto onorevole che un singolare capriccio della fortuna vi avea assegnato tra' filosofi. Se non che allora mi ac corsi, professore, che noi c' eravamo tutt' ingannati sul vostro conto; perocchè solo allora voi mi mostraste assai chiaro, che nel Corso Elementare erasi giàtutto esaurito il vostro ingegno, epertanto non sapevate più che riformare nell'opera vostra. Voi da progressista eravate divenuto stativo in filosofia, accadendo vi nella scienza quelmedesimo che interveniva in politica a cer ti uomini i quali, già rivoluzionari al 48, apparvero legittimisti arrabbiati nella gran rivoluzione dell' italico Rinnovamento. II che suol nascere da questo che le ideesono sempre giovani e procedono sempre avanti, laddove gli uomini presto invecchia no ed imbarbogiscono; onde amisura che le une s'avvanzano, gli altridietreggiano, e cosi i sapientidiun tempo rimbambisco no e vaneggiano in un altro. Passando dall' Introduzione alla Protologia le idee filosofiche di Gioberti avevano fatto unpro gresso immenso e assai più celeredi quello intervenuto alleidee politiche dal 48 al60; intanto voivi eravate interamente consu -- 7 mato coll'Introduzione, e però non vi si potevachiedere una ri forma secondo il genio dellaProtologia senza farvi il torto di ob bligarvi all' impossibile. Ora in questo stato di cose che doveva mo fare noi poverini ? Facemmo quello appunto che ci ispirava la vecchia amicizia per voi e il profondo amore del sapere : vi compatimmo e vi abbandonammo. T. Per quanto possiate pretendere di esser sublime e trascen dente nelle cose speculative, io mi permetto di farvi osservare che voi scambiate facilmente la scienza col romanzo e cogli im peti della fantasia i severi calcoli della ragione filosofica.E se io vi dicessi che la Protologia segna rispetto all'Introduzione un granmovimento retrogrado, una lunga linea dideviazione ? In fatti il nuovo carattere preso dal sistema ontologico nella Proto logia non può, chi bencomprende, conservargli più il divario sostanziale dalle dottrine germaniche, e segnatamente hegelia ne, che fanno mille sforzi per abbarbicarsi al suolo italico. Se io dunque ricusai di entrare nelle nuove vie, non parmi affatto di essere nemico del progresso, di cui voi altri mostrate abbastan za di non avere una notizia troppo chiara e precisa. Il progres so, mio caro, non èmicaun motoqualsiasi; poiché deve avere un principio ed un fine immutabile: perdecidere intornoalla sua indole, bisogna guardare alla finale direzionedel moto. Quando il pensiere nella evoluzione di un principio veronon ripugna ad alcuna verità, e scoprendone sempre dellealtre si accosta ogno ra di più al vero assoluto, allora è in progresso; ma se per con trario egli contraddice ad una verità riconosciuta in sulle prime e si scosta evidentemente dal vero assoluto, intalcasononche progredire, indietreggia. Or ciò sembrami che siaavvenuto nel la nuova fasedell' ontologismo giobertiano; epperò impugnan dolodirettamente in alcune parti e trasandandone le altre agi sco nell' interesse della scienza che sempre si promuove com battendo gli errori con le armi della ragione (1). (1) Campo, 207. -- 8 A. Lascio che fate venir l'asma parlandodelle leggi del pro gresso. Voglio bensi dirvi che voi vi governate come tutti colo ro che, divenuti inabili al cammino, vi negano il moto , e se il moto è troppo evidente e visibile anche ai ciechi, vi dicono che non èprogresso ma precipizio o vertigine. Secondo voi dunque Gioberti avrebbe cominciato per combattere il panteismo sotto tutte le sue forme antiche e moderne,e poi avrebbe miseramen te finito col tuffarvisi dentro anima e corpo. Oh, professor To scano, che il cielo vel perdoni quest' atto di misero orgoglio, e vel perdoni guardando misericordiosamente all'umiltà del vostro Corso Elementare ! T. E che ! sarebbeforse ilGioberti un uomo infallibile ?Non sapete voi che ogni filosofo, sia pure il più grande, serba i li miti dell'umana natura e fa sentire la sua limitazionein qualche errore ove cade ? Che chi piglia a filosofare secondo l'indirizzo di alcuni di essi, seintende bene il suo debito, non dee ricono scersi obbligato a sposarne e difenderne ogni dottrina? Che que sta obbligazione sussiste molto meno allorchènon tutte ledottri ne sonbendefinite da lui, e cessa del tutto riguardo a quelle che contraddicono apertamente ad altre sostenute da lui in mo do categorico e splendidissimo ? Voi confondete l'idea di una vera scuola filosofica con unaturba di pappagalli che s'impegna no a pensare a modo altrui, e ripongono tutto illor valore nel ripetere alcune sentenze capitali del lor maestro (1). A. Voi dite eccellentemente, ma ci manca il meglio e precisa mente quello che vi riguarda. Ed è che anche voi , professore , serbate i limiti dell' umana natura, e ne serbate intanta copia che per tal verso vi sarebbedifficile trovarvi un degno compe titore. Nessuno tiene Gioberti per infallibile, ma non c'è anima viva che tenga voipersuo giudicee moltomeno per suo pontefi ce. Chi potràmai capacitarsi a questo mondoche ilgenio filoso fico contenuto nel fondo dell' Introduzione sia stato compreso (1) Campo , 332. الي -- 9 meglio davoi che dal suo autore?E che la potenza ideale di quel libro, sviluppata e distesa logicamente, debba riuscire al vostro Corso e nonmica allaProtologia? Eppure nella vostra raramo destiavoitanto pretendete,chiamando pappagalli coloro che sen tono il debito di richiamarvi ai sani principi dell' umiltà cristia na. E a questo proposito io viconcedo ben volentieri che la ve ra scuola filosofica non può consistere in una turba di pappa galli, ma mi affretto a soggiungere che essa nemmeno può con sistere in un congresso di asini, che tirano calci all'universo e non ti sanno infilare unbuon paiodisillogismi. Ei bisogna stu diarsidi ben comprendere se stesso e vedere che qualità di cer-- vello ci abbia dato la madre natura; giacchè se siamo nati a sta re fra gli asini o i pappagalli, noi saremo ridicoli a sconoscere la nostra razza per ficcarci nel collegio degli uomini insigni e de'capiscuola. O forse non è questo il fondamento naturaledel la modestia e di tutte le virtù religiose che ci vengono insinua te nel Vangelio? Voiconsigliate ad altri di essere più umile in filosofia, voi che, inferiore a Gioberti per quello stesso infinito abisso che corre fra la Protologia e il vostro Corso, pure aspi rate nientemeno che a levarvi aldi sopradiGioberti per corrig gerlo e riporlo sulla buona strada ! O voi sareste per avventura dispensato da quei divini precetti che con tanta sollecitudine venite a me cosi spesso ricordando? E notate, professore, che voi difendete il fatto vostro, mentre io difendo la causa altrui, difendo la causadi quell' uomo edi quel libro che voi e parec chi pari vostri avete cosi poco studiati e cosi leggermente capi ti. Quanto alla miapersona, ioconosco perfettamente ciò che valgo, e se mi tengo unpochino superiore al pappagallo, già da gran tempo ho rinunziato al privilegiode'sommi, che voi chia ramente ambite nella pienezza della vostra santa moderazione. T. lo non ho mai negato al Gioberti il privilegio di un inge gno veramente grandissimo, e non ho avuto mai lasciocca pro sunzione di agguagliarmi a lui; pure malgradotutto questo af fermo e sostengo che egli nella Protologia abbandonò l'indirizzo ! 10-- filosofico dell' Introduzione, avviando il sistema ontologico per una via per lo meno molto pericolosa. Ora a menon resta che l'obbligo di provarvi un tale assunto, e state sicuro che appres so terrò pienamente la parola. A. Benissimo : intanto nonvogliamo al presente sbrigarci da quelle altre piccole quistioni che sapete ? T. Si, io. A. Cominciamo dunque-Non avete voidetto che io provai la debolezza della vostra fede, ricorrendo all' impossibilità della collisione nel vero (1) ? T. Sicuramente : voi non ammettete che l'opinionedi un fi losofo, la quale è di sua natura relativa e mutabile, possa con traddire a un dogma religioso che è immutabile ed assoluto, e cosi confondete orribilmente la verità e la ragione obbiettiva col l' opinionedel filosofo e con la ragione subbiettiva (2). A. Ma oiosonmatto,professore,ovoi non aveteben letto.Im perocchè come poteva io negare il grandivario corrente tra l'o pinione di un filosofo e il dogma religioso se, a proposito del Progresso, vi provai che,limitandolo ne' termini del tempo, voi riuscivate necessariamente a contradirvi con tutta la dottrina teleologica della Rivelazione ? T. Certonon potete negarmidi aver scrittoche la ragione e la rivelazione vanno sempre dialetticamente d' accordo. A. Si, quando la ragione èdialettica : no, quando è sofistica. T. Taledistinzione non c'è nelrelativo luogo del vostro libro. A. Semancano le parole vi sono però lecose.Gioberti am mette il Progresso all' infinito e voi non l'ammettete: ecco due opinioni contrarie. Quella di Gioberti è altissimamente dialetti ca e quindi, parlando alla platonica, non è propriamente opinio ne mascienza ; orala ragione elevata a tal forma speculativa va sempre e necessariamente d' accordo colla Rivelazione , come insegnano i maggiori teologi e filosofi ortodossi, e principalmen (1) Campo ,207. (2) Ibid. -- 11 te S. Tommaso. La vostra all' incontro è un' opinione infelice mente sofistica, una vera miseria, e come tale essa è di necessi tà contraria alla fede.Ecco quello che ho voluto dire nelmio libro ; onde veggono eziandio iciechi che io non poteva orribil mente confondere l'opinione di un filosofo con la Rivelazione, perchè non poteva confondere una sciocchezza di uomo, profes sor Toscano, con l'infinita sapienza di Cristo. Se non che in quella pagina dell'opera mia, già senza offendere le leggi del ve ro, io m' ingegnai di coprire possibilmente l'amico; perciò cal colando che voi facevate professione di filosofia e nondi teolo gia, presi il partito di salvare il filosofo a carico del credente, ed ecco che invece di scrivere, verbigrazia, che voi eravate de bole d' intelletto scrissi che eravate debole di fede. T. Feci dunque male a non farveneuncomplimento. A. Trattandovi allora a quel modo non desideravo affatto ivo stri complimenti, siccome al presente, mutando metro con voi, non temo mica le vostre furie. T. Del resto la debolezza della miafede io la posso splendida mentedifendere con la Bibbia alla mano. Infatti voi avete para gonata la mia fede a quella de' fanciulli edelle femmine, e io vi so dire che tal paragone non è poi cosi oltraggioso per un au tore cristiano, come ho la grazia di essere ; poiché mi ricorda che Gesù Cristo parlando della fede che richiededa'suoi creden ti diceva proprio così : nisi efficiamini sicut pervuli , non in trabitis in regnum coelorum : ed ammirando la fede di una fem mina le rivolse queste precise parole : Mulier, magna est fides tua. Che ve ne pare ? A. Mi pare che quella donna evangelica faccia tra le femmine pressocchè la stessa eccezione, che farebbe, p. e., l'asina di Ba laam fra tutte le asine. T. Che vorreste conchiuderne ? A. Passiamo avanti, professore! Cosi Cristo,dicendo che nes sun fedele entrerebbe nel regno de'cieli se non diventasse come i fanciulli, non volle certo intendere che la fede ne'dotti doves 12-- se essere ignorante come si trova ne' bimbi, il che è impossibi le; mavolle solo intendere che la fededei primi dovesse possi bilmente ritrarre di quellade' secondi quanto alla purità e can didezza dell' animo. Se le divine parole di Gesù non si pigliano in questo significato, edobbiamo starci al vostro comento, ne siegue necessariamente che tutt'i Padri e Dottori di S. Chiesa adesso non godono inParadiso,mabruciano vivi vivi acasadel diavolo. D'altronde io non intesi attaccare i vostri costumi che sono degnissimi di ogni elogio, ma intesi dire soltanto che la vostra fede non è illuminata dalla ragione, cioè elevata a grado di scienza, e giace tuttavia nella stessa condizione di quella del le femmine e de' bambini. Imperocchè se fosse altrimenti, com prendereste che il dogma teleologico del Paradiso (e tal era ap punto la quistione) , non che escludere l'idea del Progresso al l'infinito, che anzi di necessità la contiene, si che l'uno senza l'altra è gravemente mutilato e reso ridicolo. T. È vero : veggo che questa volta non avete torto. A. Spero dimostrarvi appresso che ho sempre ragione. T. Oh, questo poi èun sogno. Comenonviaccorgete che il vostro libro è pieno di un numero sterminato di contraddi zioni (1) ? A. Evidentemente voi passate ratto all' offensiva, ed ammiro il vostro coraggio. Ebbene,vorreste avere la cortesia di notarmi, una per una, tuttecodeste contraddizioni che si trovanonell'o pera mia? T. Ma ciò sarebbe uncompitonoioso e triste chenon si atta glia al mio gusto, onde permetteretech' io ve nerilevi solamen te alcune che d' avvicino mi riguardano (2). A. Mi contento. T. Voi avete scritto alla primapagina del vostro libro che la filosofia non è ristretta a nessuno secolo, a nessuna nazione, a nessunfilosofo in particolare; mache essa è il pensierodel gene (1) Campo, 447. (2) Ibid. 1 -- 13 re umano, inquanto nuove daDio e aDio procedeconinfinita aspirazione di amore ed' intelletto. A. Si. T. Or questovuol dire, mi sembra, che anche secondo voi il carattere più essenziale ed eccellente della filosofia debba consi stere nella universalità sua. A. Non so cosavogliate inferirne. T. Che voi, combattendo la mia definizione di questa scienza, appunto pel carattere di universalità, mostrate di esservi dimen ticato a pag. 23 quello che avevate scritto alla prima facciata del vostro libro (1). A. lo ho combattuta la vostra definizione come astratta ed equivoca, non come universale. T. Come universale, vidico; poichéconvenite a dire che tutte le scuole filosofiche degne del nome, benchè diverse e contrarie fra loro, tutte si occuparono e si occupano nella ricerca de' su premi principi dello scibile e del reale. A. Il che significa che il problema fu semprelo stesso,mala so luzione fudifferente secondo le scuole. T. II problema fu sempre lo stesso,inquanto si cercò sempre i supremi principi del reale e dello scibile; ora appunto in questi supremi principi consiste l'universalità della mia definizione. A. Voi confondete qui l'universalità conuna semplice e vuo ta astrattezza ; perchè i supremi principi non furono gli stessi supremi principi per tutt' i filosofi, e chi li intese inunmodo e chi in un altro. Cosi, p. e., i supremi principi di Protagora sono diversi da quelli di Parmenide, e i supremi principi, di Bruno sono differenti da quellidi Cartesio e Spinoza : e dicasi il mede simo di tutt'i filosofi. Se togliete questo modo differente in cui i supremi principi furono intesi, voi non li pigliate più in con creto, come ivari filosofi li pigliarono, ma li prendete astratta mente e contro le effettive intenzioni loro,Dicendo che la filo (1) Campo, 330. -- 14 sofia è scienza de' supremi principii, la definizione riesce ne cessariamente astratta, in quanto prescinde dal diverso significa to che quelle parolee concetti ebbero nelle scuole differenti. E perciò la definizione è anche equivoca ; giacchè, tolta via d'un colpo ogni differenza, essi principi supremi possono indifferen temente applicarsi a tutti e a nessun sistema filosofico. T. Avete mai saputo che vuoldire una vera istituzione di fi losofia ? * A. Che vuol dire ? T. Ecco: una vera istituzione di filosofia non è tale che in quanto essa è la guidache dee dirigere l' intelletto de' giovani nel giudicare le varie scuole, poichè ognuna diqueste ha un ca rattere più o meno esclusivo, nascentedal predominio che vuol darsi ad una verità in pregiudizio delle altre; quindi a portarne un giudizio giusto ed imparziale è mestieri che tutte le verità riconosciute generalmente nel campo scientifico si abbiano con tinuamente dinanzi al pensiero. Le vere scuole scientifiche deb bono riconoscere tutte le verità stabilite nel seno della scienza, ela loro varietà deeconsistere nel modo di procedere all' evolu zione delle medesime. Se non si facosì, la scuola non èdegnadel nomeedhapiuttosto il caratteredi unasetta e isuoi cultorinon sono che altrettanti partigiani. Ciò posto, se i supremi principi si prendono, come voi volete, in un senso particolare ad una scuola, essi cessano di essere universali ed universalmente rico nosciuti da tutt' ifilosofi più insigni, l'istituzione che ne nasce non è più guida a intendere e giudicare le altre scuole, e però non èpiù una vera istituzione (1). A. Unaistituzione di filosofia concepita a modo vostro è, a pa rer mio, un guazzabuglio inetto, che nondirige propriamente ma imbroglia la testa de'giovani nello studio critico delle scuo le filosofiche; cssa ci starebbe tanto adattata quanto il microsco pio alle contemplazione degli astri! Secondo voi i supremi prin (1) Ibid. -- 15 cipi sarebbero stati intesi nello stesso significato nelle scuole diverse, e la differenza di queste non consisterebbe che nelmo do di procedere all' evoluzione di quelli. Eppure io credeva che i tilosofi più insigni, come voi li chiamate, appunto perchè più in signi non potettero sviluppare in modo differente gli stessi prin cipi che in quanto differentemente gli intesero; giacchè se gli avessero presi allo stesso modo e poi gli avesserodifferentemen te esplicati, quei filosofi non sarebbero stati i più insigni ma piuttosto i più matti del genere umano. E, sottosopra, tal è il caso vostro, professore; giacchè da prima,per uno strano con cetto che voi viformate dell' universalità scientifica, prendete i. principii in astratto, e poi sviluppandolidate loro un significato speciale e determinato , ch'è quello della creazione; voi dunque scherzate o non capite. È cosi dunque che voi apparecchiate i vostri alunni allo studio critico della storia filosotica ? Se com prendéste a dovere la scuola, a cui in una maniera o in un'altra pur dite di appartenere, non ci verreste a dire che il buon gusto scientifico e la guida per intendere la storia della filosofia si ot tengono, ponendocicontinuamente dinanzi al pensiero certe cor bellerie che battezzate per laparte positiva e generale consentita da tutti i filosofi più illustri. Imperocchè dovete sapere che il buon gusto scientifico si acquista solamente collo studio pro fondo dell'Idea creativa, e poi è appunto la scienza di questa Idea che si abilita e conduce alla critica conoscenza dei diversi siste ⚫mi, eci fadiscernere sottilmente ciò che avvi di buono e di reo in ciascunodi loro. Sentite, professore, dove ripone il gran cri terio della storia filosofica quel traviato di Gioberti che voi pre tendete,di corriggere e ritirare sulla retta via. <<<II Vico vuole di rittamente, ei dice, che la Topica preceda alla Critica, secondo l' uso degli antichi, e duolsi che i moderni trascurino nell'edu cazione affatto la prima. Ma la Topica degli antichi è un'arte em pirica, non una scienza. Tal è quella di Aristotile e di Cicero ne. La Topica non può essere una scienza, e quindi anco un'art e fondata, senonmediante lateorica della formola ideale e il prin 16 cipio di creazione. Che cos' è infatti la Topica se non inveniendi artem, comela definisce Tullio ? Ora l'inventiva è la creazione. La Topica essendo l' arte creativa, la topica e la critica sono tutt'uno. Imperocchè la stessa arteche trova, lecosetrovate or dina, saggia, pesa, distribuisce. Havvi dunque un'arte superio re, che la topica e la critica comprende. Quest'arte superiore è la dialettica nel senso platonico, identica all'atto creativo » (1). Epoco appresso scrive cosi: « Ilprincipiodi creazione èun ta lismano che trasforma l'errore in verità. Mi spiego. Ogni errore ha del vero, in quanto ha del positivo e del moderato; è falso, in quanto è negativo ed eccede. Ora il principio dialettico, che cer ne il buono dalreo, e quindi accorda l'errore col suo contrario, è il principio di creazione. Cosi, verbigrazia, applica il principio di creazione al gnosticismo, all' egelianismo, all'ateismo stesso, e lo trasformi in dottrina ortodossa. L'assioma di creazione come principio dialettico è anco principio di conversione, di me dicina, di terapeutica, che applicato alla scienza sana l'errore, come applicato alla morale, alla vita pratica, al vizio rimedia. Essa è la panacea universale, il principio restitutore dell'ordine. Eciò a ragione; poichè l'ordine è la creazione, il vero caos è il nulla, cioè la non-creazione. Il principio di creazione, ristabilen do se stesso, riordina ogni cosa » (2). Avete inteso ? Il criterio universale ed unico della critica è lo stesso criterio della scien za, e questo criterio è il principio della creazione. Il quale prin cipio nell'atto che ristabilisce se stesso e si pone veramente co me Principio in filosofia e nella scienza in universale, trahit omnia ad seipsum, cioèraduna tutti i veri alterati e sparsi per la storia, li sana, li coordina in un solo vasto sistema, che però si chiama ed è il sistemadella creazione. E notate che cosi la sto ria non si appiccica più colla scienza, come accade nel vostro Corso, ma la prima s'incorpora e s'inviscera affatto colla secon da. Perocchè il vero filosofo nel tempo stesso che sviluppa ideal (1) Prot. Tom. 1., pag. 490. 2) Ibid., pag. 493. 17 mente ' Idea creativa, riassumela storia, lacritica e la trasfor ma; onde come ' Idea erasi già rotta e dispersa per la storia, ora la storia viene riassunta e ricostrutta mediante l'Idea. Ed ecco che la Protologia è insieme un gran sistema speculativo e una grande critica storica; nella vasta mente dell' autore si re ciprocano e si compiono simultaneamentedue immensi lavori, cioè nell' atto che l'Idea logicamente si sviluppa e si dispiega, tutte le opinioni passate vi si adunano intorno, ciascuna al suo posto e dentro i suoi termini, e così si correggono e si dialettiz zano, e da sparpagliate e morte che erano diventano connesse evive nella scienza che le raccoglie. Onde siegue che il miglio re, e anzi l'unico modo possibile che si ha per avviare gli stu diosi albuon gusto scientifico e alla intelligenza dellevarie scuo lefilosotiche, nonpuò consistere che nel guidarli diligentemen te nel severo e profondo studio speculativo dell' Idea creatrice; studio profondo e severo che, se non si compie, certo dee co minciare e di molto inoltrarsi in un libro d'istituzione. Intanto che avete fatto voi? Un grosso libro che è un grosso pasticcio. Tanti prospettini quante sono le lezioni, e all'ultimo per so praccarico un lungo appendice ; una critica della logica egelia na, che ti fa venire il freddo; cenci storici senza fine e senza proposito; qua uno stracciodella formola e làun pezzo dell'in tuito o dell'atto creativo; una logica tutta formale e meccanica, una psicologia che ti fa perdere il concetto della dignità uma na, una ontologia che si accapiglia ed arrovella colla logica e cosmologia, e ti somministra dell' Ente creatore una nozione cosi confusa e meschina che la buon'anima di Sanseverino non avrebbe potuto far peggio. Tal'è la vostra mirabile istituzione che presumete elevare a modello per avviare la gioventù al buon gusto scientifico, e chè so io! T. Ammesso pureche io abbia malamente concepita la defini. zione della tilosofia, parmi che non possiate dire altrettanto sul la miadefinizionedella logica. E a questo proposito debbo farvi osservareche nel mio Corso non si trovadetto mai nė esplicita 2 -- 18 mente nè implicitamente che la Logica sia la scienza dell' atto mentale, come voi avete riferito (1). A. C'è nell' uno e nell' altro modo, professore. Volendo in fatti mostrare in che ordine debbono stare secondo voi le va rie parti della filosofia, e provare,come l'ontologia vada innan zi alla psicologia e poi entrambe alla logica, ecco come avete discorso a pag. 16 del vostro libro : « L'essere, oggetto del l' ontologia, è il principio e la ragione d'ogni cosa, e però an cora della conoscenza .....; dunque la conoscenzasuppone il suo oggetto, cioè l'essere. Ma essa (conoscenza) suppone anco ra il sogggetto, poichè senza un essere, che conosce , o che possa almeno conoscere, non può concepirsi che vi sia cono scenza di sorta; dunque la conoscenza suppone a untempo stes so l'oggetto e il soggetto, e però la logica che si versa special mente nellaconoscenza, suppone l'ontologia e la psicologia, che nell' oggetto e nel soggetto della conoscenza medesima special mente si aggirano ». Or se codesta conoscenza, che tramezza fra l'oggetto e il soggetto, l'essere e lo spirito , non è l'atto men tale (percezione, giudizio, raziocinio, ec.), confesso che non so più che diamine sia conoscenza. T. Egli è vero che la conoscenza è un atto mentale; ma iodi cendo che la Logica è la scienza della conoscenza ho notato espressamente che dessa considera la conoscenza nelle sue for me ideali ed obbiettive assolute necessarie ed universali che formano il mondo intelligibile, tipo e causa delnostro pensie re.... Queste forme ideali ed obbiettive della conoscenza sono il Logo di Platone, e io pigliandoleper oggetto proprio della Lo gica ho seguito a bello studio le tracce del filosofo ateniese (2). A. Se convenite che la conoscenza è un atto mentale, tanto è dire che la Logica è scienza della conoscenza, quanto ch'è scienza dell'atto mentale; io dunque tradussi ottimamente il te sto del vostro libro, e voi potevate fare a meno di rimanerne 1) Campo, 343. (2) Campo , 343. -- 19 compreso da un sentimento di stupore. Adesso poi voltate regi stro e dite che pigliavate la conoscenza nelle sue forme ideali ob biettive assolute, eccetera; ora io vi rispondo che in tal caso la Logica non è più scienza della conoscenza, ma piuttosto è scien za delle idee o forme ideali, che senza dubbio non vorrete con fondere colla conoscenza. Il vostro Corso adunque, dopo di aver fatto a pugni seco stesso, ora si mette a fare ai denti col le vostre Lettere; il che non credo che sia buono indizio d'in gegno veramente serio e speculativo, secondocchè vìcompiace te di professarvi tratto tratto ai vostri lettori. Aggiungasi che sostituendo le idee all'atto mentale, come oggetto della Logica, voi non potrete più sostenere la priorità dell' Ontologia verso la Logica, e l'ordine maraviglioso del vostro Corso è ito in fa scio. O la Logica èscienza della conoscenza, cioè dell'atto men tale, e allora siete schiettamente psicologo e addio Platone; ov vero è scienza delle forme ideali assolute, cioè delle idee, e in tal caso tutto il processo intimo del vostro Corso è falsissimo e vi conviene bruciarlo e poi rifarlo da capo. Vorrei inferirne che voi non ancora vi siete formata una chiara nozione della Logica e in generale della scuola filosofica, a cui intendete di appartenere. T. Ei sembra che su questo temavoi, imitandomi, mi abbia te superato di lunga mano. A.Èvero ? T. Altro: non volete voi forse che la Logica sia la scienza dell'Idea, non nella sua assolutezza, ma solo considerata nella sua relatività creativa? A. Bene. T. Or l'Idea cosi considerata è perfettamente l'oggetto pro prio dell'intera filosofia (secondocchè voi medesimo avete av vertito), e l'unica differenza sta tutta ne' vocaboli di Ente e d'Idea, che pure quanto al concetto sono affatto identici in dot trina del Gioberti. Voi vi siete sforzato a distinguere la logica dalla filosofia, ponendo che esse trattano dello stesso oggetto, mache la prima lo considera soltanto come intelligibile, dove -- 20 chel'altra lo considera eziandio come reale;ma alla fin fine voi siete riuscito a una contraddizione bellissima. Infatto nel mede simo luogo avete scritto che « ogni realtà si conosce comein telligibile e cosi è soggetta alla Logica; in quanto poi non è a noi intelligibile e non è materia logica, non si conoscenem menocome reale e cosi non è soggetta a nessuna scienza ». Dunque, dico io, l'oggetto della "Logica è interamente identico a quello della filosofia, e questo significa confondere il tutto con unadelle sue parti (1). A. lo ho detto che l'oggetto principalissimo della logica è ' Idea, l'Ideale; or l'ideale è identico al reale assoluto, ma so lo oggettivamente e intuitivamente, e perciò notai che sotto ta li due punti di vista non ha luogo nessuna quistione di prece denza tra la logica e l'ontologia. Ma soggettivamente e negli or dini della riflessione l' ideale e il reale sono distintissimi, e del l'uno discorre la logica e l'ontologia dell'altro. Nè é differenza nominale, mio caro, ma razionalissima, somigliante e anzi iden tica a quella che i migliori teologi ammettono tra gli attributi divini. É differenza razionale e però soggettiva, ma che hafon damento nell' oggetto secondo il linguaggio di quei teologi. La ragione si è che l'Infinito, assolutamente uno in sẻ, in quanto poi viene appreso dalla riflessione, ch'è limitata, necessariamen te si limita esso pure e si moltiplica; e cosi apparisce di neces sità comedistinto nella riflessione quello che oggettivamente eper l'intuito è uno e medesimo. Voi avete scritto che : « La divisione delle scienze suole derivarsi dalle parti essenziali del loro oggetto, allorché desso presenta qualche composizione rea le; quando poi è semplice ed uno, si trae la divisione da' vari aspetti e rapporti in cuisi può contemplarlo (2). Or bene, l'En te, cheassolutamente e rispetto all' intuito è l'assoluta identità dell' ideale e del reale, rispetto alla riflessione si distingue in queste dueforme ed apparisce sotto i due rapporti differenti (1) Campo,343-44. (9) Ibid. -- 21 dell' ideale e del reale; edecco che su questidue diversi rap porti esterni e riflessividell'Ente si fonda la mia distinzionedel la logica e dell'ontologia. Inoltre dicendo che la logica discorre dell' Ente sotto il rapporto creativo, io nonconfondo affatto la logica colla filosofia, poiché la filosofia parla dell'Ente creatore come reale e ideale insieme,ela logicalo contempla come idea le solamente. Ditemi,professore, non è forse la logica che si oc cupa delle idee in filosofia? T. Senza dubbio. A. Ele ideenonsono forse attribuzioni ideali dell'Ente ? T. Si, mi pare. A. Ol'Ente poi nonè l'oggetto proprio dell'ontologia? T. Nessuno potrebbe negarlo. A. Ecco dunque che la logica e l'ontologia cadono sul mede simo oggetto, e pure tutti affermano che sono due parti distin te della filosofia. Se tale distinzione non è quella dell'ideale e del reale, che l'Ente piglia nel nostro pensiero riflesso, sapre ste voi indicarmela altrove? T. Non saprei al presente. A. Vorreste voi dire che la teoriadelle idee non appartiene alla logica? T. Ciò è impossibile. A. Ora, per negare la mia differenza tra l'ontologia e la lo gica, non vi resterebbe altro partito salvo quello di dire, che le idee non sono ideali attribuzioni dell'Ente, cioè non sono og gettive ed assolute; il che puzza di psicologismo e ripugna al genio di colui che intende filosofare sulle tracce del celebreAte niese, come voi avete il pio desiderio di filosofare. T. Proseguite. A. Oltre le idee, che sono la materia principalissima della lo gica, questa non si occupa pure deinostri concetti, giudizi, ra ziocini, ec. ? T. È vero. A. Ortutte questecosesono,mi sembra, tante varie forme -- 22 intelligibili del pensiero umano, cioè lo stesso spirito umano nelle sue varie forme intelligibili o intellettuali. T. Questo mi riesce alquanto oscuro. A. Eppure è più chiaro del giorno. Quando io intendo voi , non ſo che intendere il vostro pensiero; se poi l'intendo, esso mi è intelligibile, se no, no. D'altronde ilpensiero è pensiero sotto le diverse forme del concetto,del giudizio, e così via; e dunque il concetto, il giudizio, ec., non sono che diverseforme intelligibili dello spirito o del pensiero, che è tutt'uno. Sono lo spirito umano nelle suediverse forme intelligibili, come le idee sono l'Ente nelle sue varie forme ideali a nostro riguardo. T. Chedunque? A. Ne siegue che la logica, che per un latocade sullo stesso oggetto dell'ontologia, cade per un altro sull' oggetto medesimo della psicologia, cioè sullospiritoumano:o avoipare altrimenti? T. No davvero. A. Edovedunque staqui ladifferenza tra psicologia e logica? T. Basti, ho capito abbastanza. A. Permetteteche daldetto io cavi un'altra conseguenza. La quale si è che voi, rigettando lamia divisionedella Logica, ave te scioccamente confuse fra loro le forme logiche soggettive del nostro pensiero, di cui tratta la Logica seconda, con le trasfor mazioni ideali dell Ente, cioè colle idee che sono materia della Logica prima. Nel mio libro sta scritto che la Logica prima di scorre dell' Idea in se stessa e nelle sue ideali trasformazioni fuor di se stessa; edho fatto uncapitolo apposito, dove homo strato che tali trasformazioni idealied estrinseche dell'Idea sono appunto le idee. Ecco perchèla Logica prima è la stessa Dialet tica secondo la mente di Platone e di Gioberti, cioè la parte più difficile e divina della filosofia. La Logica seconda poi non è più la scienza dell'Idea e delle idee, ma la scienza delleforme intel lettuali o logiche del nostro pensiero come nostro; or che cosa sono codeste forme? È vero che sono la stessa Idea e idee, ma non più cometali, ma solo in quanto sono subbiettivate e dive -- 23 nute nostre, cioè forme propriedelnostro pensiero. Le mie due Logiche, o meglio ledue parti della mia Logica, non si ponno affatto ridurre ad una sola, come voi volete; giacchè questo mi racolo non potrebbe assolutamente accadere, senza confondere le idee con leforme logiche e soggettive del nostro pensiero e quindi senza professare il più puro psicologismo. E vi conce do di buon animo che le idee e le forme soggettive del pensie ro sono indivisibili; ma chi vi ha detto mai che essere indivi sibile valga il medesimo che essere identico? Sono certo indi visibili , perchè senza il pensiero riflesso sono impossibili le idee (non l'Idea), e senza leidee è pure impossibile il pensie ro riflesso; il che credo di aver provato abbastanza in diversi luoghi dell'opera mia. Ma sono poi distinte e non identiche, altrimenti le idee perdono laloro oggettività ideale e cosi ces sano subitodi essere universali, assolute e necessarie, non son più il Logo di Patone e nè il mondo intelligibile, tipo e cau sa del nostro pensiero. Volete saperlo? iomi maraviglio som mamente a vedere che avete la grazia di essere cristiano e non ammettete la mia divisione della Logica. T. Lasciate ch'io ci pensi un pòmeglio. A. Fate bene. T. Intanto non credo chepossiate egualmente sostenervi a porre la Logica innanzi all'Ontologia. A. Eppure è lacosa più facile di questo mondo. T. Voi posponete l'ontologia alla logica per lasemplicera gione che il reale presuppone l'ideale nell'ordine riflessivo del pensiero; ma l'ordine riflessivo è l'ordine della conoscenza, il quale sebbene conforme a quello della realtà è tuttavia sub biettivo; dunque voi uscitedi quistione e dimostrateuna cosa per un'altra (1). A. Non sono io giả uscito di quistione, ma siete voi che non comprendete più voi medesimo. (1) Campo, 337. T. Dite da senno ? 24 A. Ma come! Voi prima collocaste la logica dietro l'ontolo gia, perché allora pigliaste la logica come scienza della cono scenza la quale suppone di necessità l'oggetto conoscibile. Qui non c'era che dire: la logica era giustamente posta dopo, e tutto l'errore consisteva nella pessima determinazione dell'og getto della logica. Al presente poi vi accade perfettamente il contrario, perocchė elevando la logica a scienza non più del la conoscenza, come tale, madelle forme ideali obbiettive asso lule necessaric ed universali della conoscenza, ch'è quanto di re a scienza delle idee, dell'ideale, del mondo intelligibile, al presente , dico, il vostro sproposito consiste nell' ostinarvi a piantare l'ontologia innanzi alla logica. Nel vostro Corso la Lo gica era scienza della conoscenza e, ciò supposto, era la lo gica ben collocata dopo l'ontologia: l'errore era tutto nella cattiva definizione della logica. All'incontro nelle vostre Let tere la logica è ben definita come scienza delle forme ideali ed assolute della conoscenza, ma ora la logica è malamente posposta all'ontologia: l'errore è tutto nellacattiva disposizio ne della logica. T. Non saprei capirecomedalla mia nuovadefinizione del la logica debba seguirne la necessaria precedenza di questa verso l'ontologia. A. Le forme ideali assolute, ilLogo platonico, ilmondo in tellibile necessario non è forse la stessa Idea, cioè lo stesso divino pensiero, in quanto è la ragione, il tipo ideale dell'e sistenza? T. Lo concedo. A. Ora l'Idea, considerata fuori l'ordine soggettivodella ri flessione, nonsi distingue in nessuna maniera dall'oggetto co noscibile proprio dell'ontologia; giacché se si distinguessero oggettivamente e indipendentemente dalla riflessione nostra, vi sarebbero di necessità due assoluti, uno ideale e l'altro reale, e cosi non vi sarebbe assoluto di sorta. Ladistinzione dell' ideale -- 25 edel reale, e quindi della Logica edell'Ontologia, io l'ho posta nella riflessione, perchè fuori della riflessione è impossibile; l'ho posta là, perchè là solamente può essere. Voi una volta avete detto che la logica è scienza della conoscenza, e un'altra che è scienza de' supremi principi della conoscenza, cioè delle forme ideali assolute: quale voletedelledue? La prima?Ma allora l'og getto della logica, che sarebbe la conoscenza come atto mentale, certo si distingue realmente da quello dell'ontologia, che è l'og getto conoscibile; però a patto che in tal caso la logica riducesi a una faccenda meramente soggettiva, e questo sarebbe il gran valore (1) contenuto in quella definizione. La seconda ? Ma al lora l'oggetto della logica, essendo il Logo platonico, cioè l'i deale assoluto, non si può realmente distinguere dall' oggetto proprio dell'ontologia fuori gli ordini della riflessione ; e se voi perfidiate nell'opposta sentenza, perderete subito la grazia di es sere cristiano. T. Secondo voi dunque non si dà distinzione di un vero da un altro indipendentemente dalla riflessione (2). A. Questo lo vedremo appresso: per ora voglio dirvi che la distinzione dell' ideale e del reale, cioè dell' oggetto della logica edi quello dell'ontologia, tale distinzione assolutamente non può sussistere di là del nostro pensiero soggettivo e riflesso. T. Esiano distinti soltanto nella riflessione, sembrami che neanche qui l'ideale possa precedere il reale; poichè sannotut ti che l'ideale non è ideale che proprio in quanto è reale. È ve ro che l'intelletto umano apprende l'essere in quanto è in rap porto con lui, e però nella sua forma ideale; ma è pur verissi moche l'essere esisteva in sè anche prima di creare l'umano intelletto e rivelarglisi ; quindi il rapportodell'essere con l'uma no intelletto, fondamento dell' idealità, ha la sua causa e radice nella realtà. Impertanto il reale precede obbiettivamente l'idea : (1) Campo , 342. (2) Ibid. 337. 26 le, e voi alterando quest'ordine avete storpiato, per dirlo a no do vostro, l'Ontologia e la Logica (1). A. Mase me n' era accorto! T. Di che cosa? : A. Che non avevate capita la quistione. Di grazia, non stia monoi disputando sull'anteriorità della logica verso l'ontolo gia, o viceversa ? T. Bene. A. Perrecidere seriamente la lite, non è mestieri considerare quale de'due oggetti delle due scienze preceda l'altro nell'ordi nelogico? T. D'accordo. A. Qual'è l'oggetto della logica ? T. L'ideale. A. Dell'ontologia ? T. È il reale, l'essere. A. Se l'essere nonfosse in nessuna maniera conosciutodal l'umano intelletto, potrebb'essere oggetto dell'ontologia ? T. Impossibile. A. E allora potrebbesi farquistione di precedenza tra ontolo giae logica? 1 T. No certamente. A. E Ditemi: l'essere, inquanto esisteva in sè anche prima di creare l'umano intelletto e rivelarglisi, poteva mai esser co nosciuto dall'umano intelletto, e cosi essere oggettodell'ontolo gia e disputarsi la precedenza coll'oggetto della logica ? T. PerDio! A. Piano, era unasvista come un'altra. Vedetedunque che non si tratta dell'essere in sè e come separato dal nostro intel letto, madell'essere in rapporto alla cognizione e nella cogni zione; poichè solocosì l'essere può essere oggetto dell' ontolo gia e dar luogo alla quistione indiscorso.E aggiustati itermi (1) Ibid. 342. 27 ni aquestomodo, dicoche l'essere, oggetto dell' ontologia, ė di necessità logicamente posteriore all'intelligibile, oggetto del la logica; poiché c'è impossibile conoscere l'essere in quanto essere, senza prima conoscerlo come intelligibile. L'oggetto dell' Ontologia è l'essere in quanto è intelligibile, perchè in quanto non è intelligibile esso non è oggetto di quella. D'altra parte l'essere, come intelligibile, èl'ideale e, come ideale, è og getto della logica: che dunque ? L'essere è l'intelligibile e l'in telligibile è l'essere, e cosi l'apprensione nostra dell'uno invol ge necessariamente quella dell'altro, e viceversa ; ma pure la stessa cosa noi l'apprendiamo prima come intelligibile, e poi me diante l'intelligibile l'apprendiamo come essere; perciò se l'ap prensione dell'intelligibile si mette dopo, la stessa apprensione dell'essere diventa assurda. T. L'Intelligibile non ètale che in quanto èessere, e pertan to se l'essere si mettedopo , l'intelligibile sfuma et retorqueo argumentum. A. Io nonpongo l'essere dopo l' intelligibile, come voi vorre ste mettere l'intelligibile dopo l'essere; iopongo bensì l'appren sione dell' essere dopo quella dell' intelligibile. L'apprensione dell' essere come intelligibile precede necessariamente l'appren sione dell' essere come essere, e perchè ? Perché l' essere asso lutamentenon si può conoscere se noninquanto è intelligibile emediantequesto suo proprio intelligibile; onde se l' appren sione dell'essere, come tale, precedesse l'apprensione dell' intel ligibile, noi allora apprenderemmo l'essere senza che l'essere sia intelligibile, appunto perché l' apprensione dell'intelligibile ver rebbe dopo. Senza dubbiol'intelligibileè in sè ancheessere nel l'atto stesso che l' apprendiamo come intelligibile ; ma noi ap prendiamo prima l'essere come intelligibile e poi apprendiamo l' intelligibile come essere: non sono già duemomentiontologi ci odell' oggetto in sè,mapiuttosto duemomenti psicologici , cioèdella nostra cognizionedi essooggetto. La nozione dell' in telligibile, dell' ideale è necessariamente la prima nozione possi 28 bile, ed essaè lacondizione sinequanondituttelealtre nozio ni, di tutta la nostra conoscenza : ecco la priorità della Logica rispetto alle altre parti della filosofia e alla scienza in generale. Cominciare il processo della scienza (della scienza, vedete) dalla nozionedell'intelligibile, epperò cominciare dalla Logica, è cosi conforme ed intimo alla natura del pensiero , che i più grandi filosofi bene se ne accorsero e tennero perfettamente questa via, comePlatone, Plotino,Rosmini,ec.Ediosoche codesti insigni errarono, ma noto che il loro errore non consiste propriamen tenell' aver cominciato dalla primissima nozione dell' intelligi bile, sibbene nell' aver preso questo intelligibile come astratto come indeterminato e possibile, noncome concreto reale e deter minato in se medesimo. Hegel su per giù fece altrettanto,ben chè con altra abilità e maestria filosofica. Tutto ciò dovetesaper lo voi, che pian pianino e cosi all'orecchio ci avete voluto dire nelle vostre famose Lettere, che siete qualche cosa di nonmica ordinario nella moderna speculazione. T. Or cominciando anche voi dallasemplice nozione dell' in telligibile, potrete benissimo cascare anche voi nell'errore dei fi losoti mentovati ; poichè chi vi assicura che quell'intelligibile è in sè reale concreto e determinato, e non all' opposto ? A. Me ne assicura la forzadel raziocinio, provandomi che se quell' intelligibile non fosse in se determinato reale e concreto, non potrebb' essere neppure possibile indeterminato ed astratto, ecosì sarebbe proprio nulla e buonanotte. Questoio l'ho dimo strato di proposito nel mio libro,e segnatamentenelCapitolodel ' Idea. Aggiungete che in dottrina di Gioberti la riflessione filo sofica comincia dalla nozione dell' intelligibile e passa immedia tamente a quelladelreale,appunto perchè l'intelligibilee il reale, che appaiono distinti riflessivamente, sono identici nell' intuito che èbase e leggedella riflessione. L'oggetto dell' intuitonon è nė l'ideale e nè il reale, ma è l'Ente che è l'unità del reale e del l'ideale; ora questa unità siscompone razionalmente nel pensiero riflesso, il quale trascorre immediatamente dall' ideale al reale -- 29 in virtù della loroidentità oggettiva e intuitiva. Quando voi fate l'analisi razionale degli attributidi Dio,voi non fatechepassare mentalmente da un attributo all'altro : ebbene, se vi si diman da: comevi fatelecito voidi correre a quel modo? senon ri spondete che quel passaggio razionale e riflessivo è sostenuto e giustificato dall' identità oggettiva e intuitiva di tutti gli attribu ti divini, voi certamente sarete preso per matto. E in ciò risiede uno dei principali interessi dell' intuito giobertiano, cioè in que sto che, se sopprimete esso intuito, la distinzione degli attributi divini, e quindi anchedell' ideale e del reale, non si presenta più comedistinzione razionale e soggettiva,macome oggettiva e rea le e addio Dio ! Cosi il vizio capitale del Rosminianismo nonè già quello di cominciare dalla prima nozione dell' ideale (Ente possibile),ma quellodi confondere codesta prima nozione riflessa coll' intuito, e però di distinguere oggettivamente esso ideale dal reale assoluto. Anche inGioberti la riflessione filosofica comin cia dalla nozione dell'ideale ; ma inGioberti tal nozione riflessa presuppone ' intuito anteriore dell'Ente, dove l'ideale è identico enondistinto dalreale. Eccoperché in Rosmini l'ideale appari sce realmente e oggettivamentedistinto dal reale assoluto, e in Gioberti la distinzione apparisce ed è solo soggettiva ed appa rente rispetto all' Ente; ed ecco pure perchè il primo si sforza di passare dall' ideale al reale per via di dimostrazione e non rie sce, laddove il secondo ci passa per via di un semplice giudizio eriesce a maraviglia. Voi non dovetesubito rizzarvi se vi dico colla mia solita libertà, che il gran congegno speculativo dellafi losofia giobertiana voi non l'avete compreso abbastanza , come probabilmente nonavete compreso nemmeno quello del Rosmi nianismo : nel modo come ne parlate! T. Per voi dunque l'intuito nonapprende altro che l'Ente so lo, l'Ente nella sua unità perfetta, e tutte le distinzioni di veri everi sono roba esclusivamente riflessiva. A. Proprio cosi. T. Epretendetediessereil soloseguaceprivilegiatodelGioberti! -- / 30 A. Lasciamo stare i privilegi e le croci : è quistione di studi edisenno. T. Anzi di semplicebuon senso. Il Gioberti stesso in tutte le Opere anteriori non pone a principio di sue dottrine che l'intui to apprende le cose in concreto e non già in astratto ? (1) A. Si.. T. L' intuito adunque apprende l'Ente come reale e concreto, ora l'Ente cosi considerato non èforsecongiuntoall'esistente? (2) A. Econgiunto. T. E il rapporto reale e concreto, che congiunge l'Ente all'e sistente, non è desso il rapporto di creazione ? (3) A. Èdesso. T. Se dunque l'intuito apprende l'Ente comeconcreto,e l'En lecomeconcreto è in rapporto coll' esistente e questo rapporto è larelazione creativa, che è distinzione fra l' Ente e l'esistente; ei ne siegue che l'intuito apprende questadistinzione co'due ter minidistinti. A. L' oggetto dell' intuito è l'Ente conereto, e questo è fuori quistionepernoi. L'Ente concreto oggettivamente,cioè indipen dentemente dal nostro pensiero, è in reale rapporto coll'esisten te, e va benissimo; ma dico che l'intuito non arriva ad abbrac ciaretanta roba, ossia l' Ente, l'atto creativo e l' esistente. Così, per esempio, la terra in concreto è in rapporto reale con tutti gli altri pianeti che compongono il nostro sistema planetario ; eppure chi ha detto mai che non sipuò apprendere la terra in concreto, senz' apprendere insieme tutti gli altri pianeti e tutte quelle relazioni reali , che la terra ha con loro ? Voi dite : l'in tuito apprende l'Ente inconcreto; l' Ente inconcreto è in reale rapporto coll' esistente; ergo l'intuito apprende l' Ente, la crea zione el'esistente. E io'proseguendo il vostroben singolare ragionamento soggiungo : l'intuito apprende l'esistente incon (1) Campo , 310. (2) Ibid. (3) Ibid. -31 creto; l'esistente in concreto èdistinto realmente in naturale e spirituale, e poi il naturale è distinto inminerale, vegetale e a nimale con tutta la moltitudine infinita de' loro termini rispetti vi, e poi l' esistente spirituale e distinto realmente in angelico , diabolico ed umano, e questoin patriarchi, profeti, apostoli, pa dri, dottori, martiri, carnefici, sovrani e sudditi, filosofi e mer canti, savi ed imbecilli, ec.; ergo l'intuito dee apprendere distin tamente tutte queste cose, ese no,apprende l'esistente in astrat to e non concretamente. Che vi pare ? T. Io nonintendeva tirarla tant' oltre. A. Messo il carro per la china, è pur mestieri che giunga in fondo. Da questo che l'intuito apprende l'Ente in concreto, non siegue che debba apprendere distintamente ilresto della formo la; giacchè da un lato la concretezza dell'Ente nondipende dal l'esistente o dal rapporto coll'esistente, e dall'altro è nella natura propria dell' intuitodi non poter apprendere che l' Ente solo. T. Come provate l' ultima proposizione ? A. Da ciò che, come sapete, l' intuito è unatto mentaleessen zialmente passivo, che per tanto dee esser rivolto solamente a quel termineverso il qualeè passivo; ora questo termine è l'Ente solo, perché ' Ente solo crea ' intuito e l'intuito non è passivo che solo verso ' Ente. È impossibile, professore, che l' intuito apprenda pure l'esistente come distinto dall' Ente ; poichè l'in tuito non è passivo verso l'esistente, e non è passivo per la sem plice ragione che l'esistente non è attivo verso l' intuito, non lo crea. L'oggetto dell'intuito è il soggetto della creazione, e l'esistente è il predicatoe non il soggettodella creazione. T. Voi convenite che l'intuito apprende l'Ente inquantocrea; esso dunque apprende l'Ente e l'atto creativo , e quindi anche l'esistente. A. L'intuito apprende ' Ente in quanto crea ; perocchè tolto il momento creativo, è tolto necessariamente l' intuito, e la qui stione è distrutta alla base. Ma altro è parlare di quello che l'En te è e chel'Ente fa, e altro di quello che arriva a vedervi ' in -- 32 tuito: confondere quelledue cosedifferentissime è il vostro pec cato originale. L'intuito coglie l'Ente nell'atto che crea, ma l'intuito non può veder distintamente l'Ente e l'atto onde crea; poiché per veder distintamente quest' atto, l' intuito dovrebbe apprendere insieme l' Ente e l' esistente. La ragione si è che la distinzione creativa, come ogni distinzione di sorta, non è che gli stessi termini come distinti; onde veder distintamente una relazione fra due termini, è precisamente veder come distinti es si termini. Se l'atto creativo è relazione fra l'Ente e ' esisten te, è impossibile vederdistintamente tale relazione, senza veder l' esistente comedistinto dall' Ente ; ora per quello che ho detto l' intuito non vede così l' esistente, e però non può vederdistin tamente l'atto creativo e l' Ente, perchè talitermini sono iden tici secondo l'elevato linguaggio di S. Tommaso. L'atto creati vo è l' Ente creante , il Creatore; la sola distinzione dunque è tra il Creatore eilcreato. Ora l'intuito non vede codesta distin zione, perchè esso vede il Creatore senza veder il creato come distinto da quello. Nonvedeil creatodistintamente, perchè nel l' intuito lo spirito è mentalmente levato su in alto, e non vede che solo quello che gli è davanti e di sopra; onde non vede il creato, standogli questo non di sopra e davanti, ma di fianco e parallelamente, senon vogliamdire che gli è di sotto. T. Secondo Gioberti lariflessione svolge il vero e non l'inven ta; il che importa, mi pare, che la reale distinzione de' veri, la quale è condizione indispensabile al loro svolgimento, precede la riflessione stessa e pero è data nell' intuito. A. E chi vi ha detto maiche la riflessione inventa il vero e non lo svolge ? T. Ciò si rileva dal vostro discorso. Infatti se la distinzione creativa non è data nell' intuito, è chiaro che la riflessione la pone essa, cioè l' inventa e non la svolge. A. Siccome adunque la distinzione, verbigrazia, tra scimmia ed asino non èdata nell' intuito, ei ne segueche la riflessione non la svolge ma l'inventa ? -- 33 T. Allora spiegatemi voi come la riflessione possa svolgere quello che anteriormente non l'è dato. A. La riflessione non può svolgere che quello che anterior mente l'èdato, ma dove e in che modo? Fate attenta avvertenza: nonbastachela cosa siadata solo oggettivamente, poichè lo spi rito riflessivo non isvolge propriamente lacosa in sẻ, ma svolge la sua nozione di essa cosa ; ondeselo spiritonon haquestano zione anteriore della cosa, cioè se la cosa non è data cosi ante riormente allo spirito, questo assolutamente non può svolgerla col pensiero riflesso. Vogliodire che altro è l' esser data la cosa in sè, ed altro l' esser data nella nozione anteriore dello spirito; e c'è gran divario tra questi due modi, incui lacosa è data ; perocchè essa in sè è data distintamente, laddove nella nozione nostra anteriore al pensiero riflesso è data solo confusamente. Èdataqui solo confusamente,perché se ivi fosse data distinta menteequindi in modo chiaro, la riflessione sarebbe affatto inu tile, un fuordopera. Or che significa che nella nozione anteriore, cioè nell' intuito, la cosa è data solo confusamente ? Significa, professore, che vi è data indistintamente ; poichè sapete che ne gli ordini intellettuali , come pure in quelli della visione sen sibile, il confuso è l'indistinto e l'indistinto è il confuso. Che dunque ? L' esistente e l'atto creativodebbono di necessità es ser dati nell' intuito, altrimentila riflessione filosofica non litro verebbe mai ; ma essi, che sono già dati distintamente in se me desimi, sono poidati confusamente o indistintamente nell'intui to, e l' ufficio della riflessione consiste appuntonel dichiarare quel confuso e nel distinguere quell' indistinto. Esser dati indi stintamente vuol dire che ' intuito nonapprende l' atto creativo e l'esistente come termini distinti dall'Ente, ma solo in quanto sono nell'Ente, l'unocome nel suoprincipio e l'altro comenella sua causa. Onde siegue che ' intuito apprende l'Ente schietto ; mapoichè ' Ente è il principiodell' attocreativo e la causa del ' esistente, perciò l'intuito, apprendendo ' Ente apprende pure l' esistente e l'atto creativo inquanto nell' Ente si trovanocome nella propria causa e nel proprioprincipio. 3 34 T. M'accorgo chenon sapetecosa significa svolgere riflessi vamente. A. Che significa? T. Rispondo colGioberti stesso, che la riflessione fa l'analisi del vero ; ora l'analisi suppone la sintesi anteriore (ladistinzio ne) , eperò questa sintesi dee trovarsi nell' intuito (1). A. Questa poi , professore , è la più grossa di tutte. Che si gnifica, che il cielo v' aiuti, analizzare riflessivamente senon ri flessivamente distinguere? T. Poichè la riflessione distingue, e la riflessione non fa che svolgere quello ch'è dato nell'intuito ; ne siegue che nell'intuito dee esser data la distinzione. A. Ma se ladistinzione è data nell' intuito, nonè più la rifles sione quella che distingue o analizza il vero; l'analisi riflessiva de' veri presupponedunque nell' intuito l'identità de' veri e non la distinzione loro. Svolgere riflessivamente significa distinguere e che vuol dire distinguere? Vuol dire trarre il Molteplice dall'U no e il Diversodal Medesimo , come l'hanno inteso i più gran di filosofi da Talete e Pitagora aPlatone,Bruno,Hegel eGiober ti. L'intuito è la nozione del Medesimo e dell' Uno ; ora trarre datal nozione quelladel Diverso edel Molteplice, ecco in che consiste il processo analitico e svolgimento scientifico della ri flessione. T. Voi siete perduto, poichè state inpieno panteismo ! A. Adagio padre : diceva una voltaun penitenteal suoconfes sore, che stavagli cantando sulcapo ' ite maledictiperun sem plicemalinteso. T. Nonmifate il leggiadro e difendetevi se potete. A. Ci vuole assai poco, professore. Tutto il gran valore e il grande prestigio dello svolgimento riflessivo e filosofico risiede sempre nel trarre dialetticamente il Diverso dal Medesimo e dal ' Uno il Molteplice, sia chesi parli dell' ortodossa osia che del (1) Campo, 338. 35 la filosofia panteistica. In che dunque consiste la differenza es senzialissima di queste duefilosofie ? Consiste neldiverso e con trario modo di codesto trarre dialetticamente, e qui le diflerenze più cardinali sono due: 1°nel sistema panteistico il trarre scien #ifico non è distinto ma affatto identico col trarre oggettivo é rea le delle cose, laddove nel sistema ortodosso il primo trarre é distinto dal secondo, benchè lo segua e vada seco d' accordo. Nel processo panteistico si traggono le stesse cosedall' Uno asso luto ; nell' ortodosso invece si traggono i concetti delle cosedal la nozione di quello. Nel panteismo il trarre soggettivo del pen siero va confuso col trarre oggettivo delle cose ; nell'altro poi il trarre soggettivo è lo stesso trarre oggettivo, ma in quanto è riprodotto e ritessuto soggettivamente nel nostro pensieroemedian te il nostro pensiero. Ecco perchè il panteista vuol costruire il mondo a priori ; e il filosofo ortodosso lo supponecome giàco struito o creato, enonintende ad altro che a ricostruirlo o rifar lo a modo suo per intenderlo ed acquistarne la scienza. 2º Se il Moltiplice e Diverso si traggono per processo intrinseco e neces sario dall' essenza stessa del Medesimo e dell' Uno, e questi si prendono in principio comela stessa Potenzialità assoluta o as soluta Indifferenza, dico che in tal caso il processo è panteistico, e questo panteismo nella sua forma più perfetta è il sistemahe geliano. Se all' incontro il Molteplice e il Diverso si traggono per processo estrinseco e liberissimo dall'Uno edal Medesimo,e questi si assumono in principiocome lo stesso Atto assoluto o infinito Determinato, allora il processo è tutto ortodosso e tale ortodos sia filosofica nel suo più alto significato è il sistema di Gioberti. T. Ah, qua vivoleva! Voi dite che l'intuito non apprende la distinzione creativa, e tale apprensione la riserbate al pensiero riflesso; ora non sarebbe il caso che la riflessione sia autonoma e pigli la propria azione per legge e regola di semedesima? Di più sapete che la riflessione è attiva e libera e può beneconside var le cose diversamente da quel che sono; orquando essa cre dedi apprendere la relazionecreativa tra l'Ente e l'esistente, avrå -- 36 giusta ragionedi credere che una talerelazionesia la vera? op pure potràdubitare della sua realtà, sapendo di esser soggetta naturalmente all'errore? e dubitandone, qual mezzo avrà dessa per usciredel dubbio (1)? Insomma se la distinzione creativa traEnte ed esistente non è datanell'intuito, la riflessione si può ben togliere il capricciodi ficcarci in mezzo la generazione, e questo sarebbe panteismo. A. Ci voleva proprioilvostro cervello perfarci assapere che, se non si ammette ilfreno delladistinzione creativa nell'intuito, la riflessione può friggersi benissimo la grazia di esser cristia na, proclamarsi autonoma e buttarsi corpo ed anima nel pan teismo, scetticismo, e che so io! L'autonomia della riflessione è impossibile nel sistema giobertiano,dove l' intuito le determina siffattamente il genio e l'indirizzo, che l'altra non può sottrarse ne e fare a capriccio senza mostrarsi matta e ridicola. In che modo ce lidetermina? Non già presentandolebella e distinta la creazione, ma piuttosto presentandole il Principio della creazio ne, cioè l'Ente reale e concreto ch' è l'oggetto di esso intuito. Ammessa la nozione anteriore e intuitiva dell' Ente concreto, la riflessione è posta in questodilemma inevitabile, cioè di seguire il processo ortodosso in filosofia, ovvero di mandare a monte l'in tuito anteriore dell'Ente concreto e o farne a meno addirittura o sostituirvi la nozione dell' ente astratto secondo il costume de' panteisti. Su questo tema io ho insistito abbastanza nel mio libro, essendomi paruto di un interesse capitale; ed è che se la riflessione muove dal concetto anteriore dell'Ente concreto (Atto infinito) le torna razionalmente impossibile di riuscire al pan teismo, come le torna razionalmente impossibile di procedere ortodossamente se muove dal concetto dell'ente astratto o della Potenzialità infinita degli egeliani. Ecco perchè ho detto altrove che il genio filosofico di Bruno è essenzialmente ortodosso, ed essenzialmente panteistico quellodi Rosmini; giacché perBru (1) Campo, 338-40. 37-- no l'assoluto Primo è l'Atto infinito, mentre per Rosmini è la possibilità infinita identica all' indifferenza assoluta di Giorgio Hegel. Onde segue che il Rosminianismo non potrebbe conver tirsi al Cristianesimo della filosofia, senza prima negare il prin cipio su cui si fonda e quindinegardi pianta tutto se stesso;lad dove basta al Brunismo confessare alcuni peccati più o meno gravi per meritarsi una buona assoluzione. Lasciando dunque le apparenze e i giudizi torti o appassionati de' critici e penetrando con animo libero e sereno nelle viscere delle cose sitrova, che il Brunismo è fuori lalineapanteistica nella storia filosofica, e il Rosminianismo no; e si vede di seguito che Bruno non fu mica il precursore di Spinoza, secondoché è stato detto da alcuni e ri petuto da tutti, mafu piuttostouno de' più consanguinei e più cospicui precursori di Gioberti. Tra i due sistemi di questi due grandi italiani ci sono infiniti titoli di parentela, ci è lo stesso sangue e lo stesso battesimo; e tutto ciò nasce necessariamente da questo che idue sistemi,sotto forme e modi differenti, si fondano entrambi in sostanza sul medesimo concetto dell' infi nito Alto o dell' infinitamente Infinito, come si esprime il Nola no. Il che non significa sospingere Gioberti verso il così detto panteismo di Bruno, ma sospingereBrunoverso l'ortodossia fi losofica di Gioberti, e rivendicarlo alle gloriose tradizioni della scienza cristiana ed italica.Non ispalancate gli occhi, professore, perchè in altra conversazione vi farò tornaredi proposito su questo tema e vi proverò col testo alla mano che io al presente non sono nė pazzo e nė ubbriaco. T. Intanto come dimostrate che la riflessione, movendo dal solo concetto dell' Ente concreto,non può assolutamente sdruc ciolare verso il panteismo ? A. L'ho dimostrato largamente nelmiolibro,ein ispecienel Capitolo del Metodo, che vi pregherei di rileggere e rispar miarmi qui un'inutile ripetizione. T. Cosi farò. Ma, ditemi, sela riflessione sbagliasse o almeno : -- 38 cadesse in dubbio sulfatto suo,come farebbe per accorgersene e cavarsene in pace? A. Diavolo! come failmatematico quando sbaglia una opera zione o ne dubita, cioè rifacendola e meglio meditandola. : T. E se nemmeno ci arrivasse ? A. Brutto segno ! A T. Cioè. A. Che tale riflessione non sarebbe nata per la filosofia, ma per tutt' altro. Notate però che ilpeggiormalenon consiste nello sbagliare, ma nello sbagliaree nell'ostinarsi a credere che si cam mina diritto, come accade in persona vostra. Voi ponete che l' intuito apprenda distintamente la creazione econ tale bussola credete di essere infallibile nello svilupparla riflessivamente, quando il vero si è che voi lacerate inmodo feroce quella povera creazione e l'uccidete. All' incontro Gioberti nega all' intuito il concetto distinto della creazione, eppure nel campo riflessivo del pensiero e della scienza sviluppa l'idea della creazione con tanta profondità ed ampiezza speculativa da mettere in rispetto gl' ingegni più robusti che si facciano a meditarlo. Il che impor ta, professore, che gli sdraccioli e i rompicolli in filosofia non si cansano col ficcare nello stomaco dell' intuito la distinta noti zia dell' atto creativo, ma bensi șicansano colla forza del razio cinioe colla potenza dell'ingegno. Ilquale, seè veramente gran de, come fu senza dubbio quello di Gioberti, non esige che un Punto solod'appoggio,il soloconcetto dell'Ente per trarne fuori dialetticamente tutta la scienza in universale; dove che se l'inge gno è piccolo e minuto, essonon può contentarsid'un Punto solo, e chiede a Domineddio la grazia di non farlo morirdi pau ra e dargli nell' intuito tutta chiara e distinta la Formolabene detta-A che pensate? T. Eccola, adessomi balenain mente un'altradifficoltà gra vissima contro quello che difendete, emi sembra impossibile chepossiaterisponderviadovere. Udite: voi ammettete che l'in tuito apprenda tutta la Formola, ma soggiungeteche l'apprende -- 39 in potenza e non inalto ; esso cosi apprenderebbe attualmente l'Ente solo, enon apprenderebbe ancora l'atto creativo e l' esi stente che solo potenzialmente. Oralasciando stare che la po tenza e l'atto sono nella stessa relazione dell' astratto e del con creto, onde non è possibile conoscere una cosain potenza senza prima conoscerla in atto; lasciando, dico, tutto questo io ragio no cosi : l'esistente e l'atto creativo conosconsi prima in potenza e poi in atto, ovvero al contrario? È chiaro che pervoisi cono scono prima inpotenza.Or vi dimando: l'atto creativo in po tenza è l'atto creativo in quanto è possibile? e l'atto creativo in quanto è possibile è necessario o contingente? Il Gioberti, come sapete, lo dichiara e dimostra necessario, e voi, che pur preten detedi essere il suo interpreteprivilegiato, non potetedire di versamente. Ma allora comesfuggire ai panteisti, il cui domma capitale è appunto la necessità dell'atto creativo? Ciò posto, io vi stringo in questo dilemma che non ammette mezzo possibile: o l'intuito apprende la creazione solo in potenza,ovvero l'appren dein atto;nel 1º caso lacreazione è necessaria, conformeai det tami del panteismo ; nel 2ºnon si restringe all'Ente puro, ma percepisce ancora l'atto creativo e l'esistente (1). A. Questo formidabile dilemma, professore, èfalso alla base. T. Oh! A. È falso alla base, vidico, perchési fonda tutto sopra una falsa interpretazione che avete fattadelmio libro. T. Ciò è impossibile. A. Cosi rispondeva un vescovo ad un suo parroco checon fessavagli ingenuamentedi esser uso a farcolazione ogni giorno primadicelebrar la messa-Eccellenza, inparoladi onore che questoèun fatto cheripeto ogni mattina- Tornoa dirvi, si gnorcurato, che ciò è impossibile-Monsignore, ve logiuro sulle piaghe di santo Lazzaroche io non soglio fare altrimenti. (1) Campo,341-42. 40 Ora il curato avea ragione,perchècontro ilfatto non c'è impos sibile che tenga. T. Vediamo. A. Voiconfondete eternamente l'ordine oggettivo delle cose coll'ordine della nostra conoscenza delle cose, e attribuite al l' uno quello che si dice dell' altro, o viceversa. Che significa che l'intuito, il quale apprende attualmente l'Ente solo, appren depoi potenzialmente anche il resto della Formola? Non vuol dire, miocaro, chel'esistente e l'atto creativo stiano potenzial mentenell' intuito, o meglio che l'intuito apprenda l'atto crea tivo e l'esistentecomedue termini potenziali o possibili; ma vuol dire che esso intuito, essendo attuale apprensione dell' Ente, ap punto per questo è ancora apprensione potenziale degli altri due termini. Onde veggono eziandio i ciechi che quel potenzialmente del testo non accenna alla potenzialità o possibilità oggettiva dell' esistente e della creazione, ma si riferisce alla potenzialità soggettiva dell' intuito a intendere anche la creazione e l'esisten te. E checosa è, professor Toscano,questa potenzialità intellet tuale contenuta nell' intuito a conoscere l'esistente e l'atto crea tivo se non la riflessione? Conoscere attualmente l'Ente nell'in tuito è anche conoscere potenzialmente gli altri due termini; ora conoscere potenzialmente gli altri due termini è appunto la po tenza riflessiva del pensierocontenuta nell' intuito. Onde siegue che l'intuito è insieme due cose, cioè l'attuale percezione del l' Ente e la polenzial riflessione dell'atto creativo e dell'esistente; e questo spiega quelloche hodetto, ossia che l'intuito è ad un tempo attuale e potenziale sotto due rapportidifferenti. Non vi piace ? Ebbene,dovete provarmiche la riflessionenon è poten zialmente contenuta nell' intuito, o chel' intuito non è la po tenza della riflessione. Che diamineci ha dunque che fare qui l'atto creativo reale o possibile, libero o necessario ? T. Perbacco che svista! A. È cosa danulla, professore,non vi affliggete- Andiamo avanti, se non siete stanco. 41 T. Holeforze ancora fresche e ci rimane tuttavia molto tem po a trattenerci insieme. A.Cheilcielvibenedicaeviconservilagraziadiessercristiano. T. Tra le altre vostrepassioni c'è pur quelladi voler parere singolare in ogni cosa. A. Nonv'intendo. T. Lamia espressione del principiodi contraddizione è quella medesima accettata e seguita da tutte le scuole; or voi anche qui avete voluto ficcare il naso e gittarla via comeridondante efalsa. A. Ciò importa che io poi non appartengo in filosofia a quella turba di proseliti che amano farlada pappagalli, come alla vostra cortesia è piaciuto battezzarmi; poiché sono avvezzo a non far mianessuna sentenza filosofica del mondo senza prima esami narla secondo le forze e rendermene ragione. Ecco perchè dee riuscire a chiunque ben difficile, caro amico, il sorprendermi alla sprovvista sulle mie convinzioni, e mostrarmene qualche lato assurdo che sia sfuggito alla mia più attenta considerazio ne. E oravenendo al proposito, se ho detto male, voi non do vete fare che riprovarmi. T. Quanto al ridondante, io potrei ritorcere l'argomento e provarvi che la vostra sublime espressione contiene essa proprio il vizioche avete credutovederenella miaespressione volgare(1). A. Avanti. T. Secondo voi l'espressione dovrebbe esserquesta : Èimpos sibile che ' Ente non sia; intanto ci avete intruso quel necessa riamente ch'è una soperchieria. A. Èimpossibile che l'Ente non sia, tal èsemplicemente la mia espressione del Principio della contraddizione. T. Eperchéappresso ci aveteaggiunto quel necessariamente? A. Prevedendo chetra' miei lettorive ne capitasse qualcuno parvostro. 1) Campo, 434. 1 -42 T. É sempre una ridondanza. A. Di una semplice parola, che pur serve acconciamente a conferire maggior forza all' idea contenuta intutta la frase an teriore. Inoltre avvertite che l'Ente non solo è, ma è necessa riamente; onde non solo è impossibile che l'Ente non sia, ma è pure impossibile che non sia necessariamente, cioè come neces sario. T. Tutto mi pardetto colle parole è impossibile. A. Ecosi ho scrittoio, e la voce necessariamente l'ho aggiun ta nell'andardichiarandola miaespressione,comevoiavetenotato. T. Mabasti de'vocaboli e passiamo alle idee.La vostra espres sione : è impossibile che l'Ente non sia, in quanto esclude ' esi stente dalla sua logica applicazione, è falsa, e mi sorprende di scorgere questo errore in un seguacedel Gioberti, chetanto si compiacedel suo singolar privilegio di conoscerne e possederne lospirito. Imperocchè l'esistente soggiace certamente alla neces sità relativa, e voi, chepretendete che ' esistente sia potenzial mente infinito, nonpotreste negarlo senza un'evidente contrad dizione;or lanecessità relativa germina dalla necessità assoluta e si fonda e regge inessa, come il relativonell' assoluto, l' esi stente nell'Ente;dunqueil principio di contraddizione, se espri medavvero l'assoluta necessità dell' Ente, non può a meno di comprenderenella sua logica estensione pur l'esistente (1). A. Propriamente il principio di contraddizione esprime l'as soluta esclusione de' contradittori, e vuoldireche ciò, che è ne cessariamente, è impossibile che possa non essere, com'è im possibile che possa essere quello che assolutamentenonpuò es sere. Cosi il circolo, essendo necessariamente rotondo,è impos sibile che non siatale; ed è impossibile che il circolo sia qua drato, perchè questo assolutamentenonpuòessere. Il principio della contraddizione dice che i contradittori assolutamente si escludono, in quanto l'uno assolutamente non può esser l'altro (1) Campo, 434. 43 e l'altro assolutamente non può esserl'uno: il contenutodi esso principio è l'esclusione de' contradittori, come esclusione asso luta de' contradittori.Avete qui a fare osservazioni incontrario? T. No certamente. A. Ora l'esistente è cosi necessariamente che gli sia impossi bile il poternon essere ? T. Questo è il carattere propriodell' Ente, e iodico che l'esi stente è necessario solo relativamente. A. Essendo necessario solo in modo relativo, l'esistente re spinge da sè l'applicazione del Principio in discorso, appunto perchè questo Principio suole esprimere l'assoluta e non lane cessità relativa. Di poi èbuono che notiate cosidi passaggio che il relativamente necessario è affatto identico alla contingenza. こ T. Allora io ragionoin quest' altra maniera. Egli è innega gabile che la necessità implichi la universalità, come suo con seguente , e l'una partecipa de' modi dell'altra; per forma che seunprincipio sia assolutamente necessario , esso è ancora as solutamente universale; quindi il principiodi contraddizione , essendodi un'assoluta necessità, è forza il confessare che sia di una universalità anche assoluta. Ciò posto, come fiapossibile che untal principio restringasi all'Ente, e non possa, senza uccidersi , applicarsi eziandio all' esistente? Secondo la vostra stregua la Logica sarebbe condannata a starsi , come la divinità diEpicuro, assisa sopra un tronocollocato in mezzo ad una e ternità silenziosa e deserta, ed il suo impero sarebbe chiuso nel LogoeternodiDio,incapace di reggereil Cosmo (1). A. Avete conchiusocon una scappata pindarica che è proprio una grazia! É vero quello che voidite, cioè che il principio di contraddizione , essendo di un'assoluta necessità, dev' essere conseguentemente di una universalità anche assoluta; madove consistaecomedebbasi intenderetale universalità assoluta, que sto èquello che voi noncomprendete. Io ho scritto nelmio li (1) Ibid, 435. -- 44 brocosi : « Ilprincipio d' identità comequello dicontraddizio ne , benchė primari ed evidenti insommo grado in loro stessi , tuttavia non possono produrre la scienza che in quanto siac coppiano col principio della causalità prima.Imperocchè i due primi si aggirano intorno all'Ente schietto considerato come so stanza assoluta ed infinita;onde non porgono alla mente nessun mezzo per uscire dall' Ente e trascorrere all'esistente. In essi ci èla massima luce logica,come concentrata in sestessaenon diffusa di fuori ; onde porgono labase, ma non il filo del ragio namento e della scienza. Perse soli sono dunque improduttivi del sapere , e non diventano produttivi, che unendosi al princi pio della causazione che è l'atto creativo, cioè il secondo termi nedella Formola » (1). Il principio di contradizione adunque, come quellod' identità, non esce enon può uscire dall' Ente perapplicarsi anche all' esistente; poichè essi, uscendone, per derebbero subito quell' assoluta necessità ed assoluta evidenza logica, dove risiede appunto la loro naturaedeccellenza. Essi non escono dall'Ente, e pure sono universalissimi; anzi non sono universalissimi che solo a patto che dall'Ente non escano e non si applichino all'esistente. Infatti non volete voiche un prin cipio sia assolutamente universale, in quanto è assolutamente necessario ?-T. Nonaltrimenti. A. Ora il principio di contraddizione non è assolutamente ne cessario, in quanto si applica solo al necessario assoluto, cioè all' Ente solo ?Oforse quel principionon cesserebbe di essere assolutamente necessario,applicato a un termine di altro genere, ossia all'esistente ? T. È chiaro che cesserebbe. A. E cessando cosi di essere assolutamente necessario, non finirebbe pure di essere universale assolutamente? perchè voi (1) Instit. di Fil., 139. -- 45 avete detto che l' universalità si fonda nella necessità enasce dalei. T. Or fatemi vedere come accade questo prodigio, che un principio sia assolutamente universale senz'applicarsi universal mente a tutte lecose, all'Ente e alle esistenze. A. Accade in quel modoche un generalenonègeneraleenon domina e governa tutto l'esercito, sesi collocatra le filadi una compagnia. Non è unprodigio maunfatto naturalissimo, come vedete. Vi prego di considerareattentamente a quello che siegue. La scienza umana in universale consiste in un processo, che è insieme affermativo e negativo, unprocesso di affermazioni che importano le negazioni contrarie, e un processo di negazioni che importano le affermazioni opposte. Cosi,p. e., quando si dice : l'asino non è scimmia, negandoche sia scimmiasi afferma che è asino; edicendo : l'asino è asino , affermando ch'è asino si nega insieme chesiascimmia,pappagallo, evia discorrendo. La nostra scienza adunque, appuntoperché relativa essa pure , ècome tutto l'esistente, cioè è e non è, è in parte e in parte non è ; è un'affermazione che non esclude lanegazione, e unanega zione che non esclude l'affermazione. È dunque un intreccio continuodi affermazioni e di negazioni tutte relative ; giacché l' affermazione assoluta , che esclude assolutamente la negazio ne, è l'Ente; e l'assoluta negazione, che esclude assolutamente l'affermazione, è il nulla. Ora poichètutto il nostro sapere è ri posto inquestedue serie indefinite di affermazioni e di negazioni relative oppostee intimamente intrecciate, ei ne nasce che le due leggi fondamentali ed universalissime, che regolano e governa no tutto quel sapere,debbono consistere in quei due Principi che contengono ed esprimono, l'unol' assoluta affermazione e l'altro la negazione assoluta. E tali due Principi non sono, pro fessore, quelli d' identità e di contraddizione? Essi non sono universalissimi e non reggono universalmente tutta la scienza cheinquanto sono assolutamente necessari, si che senon fossero necessari assolutamentenon sarebbero più universalissimi e più -- 46 non reggerebberotuttala scienza; ora non sono enon possono essereassolutamente necessari che solo in quanto si aggirano in tornoall'Ente, perchè non ignorate che fuori dell' Ente l'asso lutamente necessario sparisce e gli sottentra il relativo o relati vamente necessario, che dirvogliamo.Ma non basta, professo re, econviene al presente considerare il lato più importantedel temaindiscorso. Non avetevoiscritto cheil principiodi contrad dizione, comeda voi è espresso, vien proprio in taglio in una quistione fondamentale tra gli ontologi e gli hegeliani (1) ? T. Sono lemie stesse parole. A. Ora iodebbodirvi con rammaricoche voi qui vivete in una deplorabile illusione. T. Vi ringraziodi tanto affetto ! A. Peggio per voise la pigliate a scherzo. Non credete che sia un principio fondamentalissimo per Hegel ildire che l' essere e il nulla sono identici ? T. Così è. A. Eidunque pare checontroHegel debbasi piantare ilprin cipio opposto, percui il nulla el'essere non si mostrino identici e anzi reciprocamente si escludano. T. Equesto hofatto iocolmioprincipio di contraddizione A.Adagio, elasciatemi procedere con ordine. Ora ditemi: se condoHegel l'essere e il nulla sono identici assolutamente o re lativamente? T. Assolutamenteforse. A. Quando l'identità originariadell'essere e del nulla si svi Juppa medianteil divenire,a misura che più si afferma come es sere non si nega forse comenulla? T. Questo è tanto vero che la medesima cosa, la quale era in origine l'identità dell'essere e del nulla, alla fine, cioè nel seno dello Spirito assoluto, rimanecome soloessere chehada sèespul so assolutamente ilnulla. (1) Campo, 437. -- 47-A. Bravo! maciòsignifica che in origine il nulla non era asso lutamente identico all'essere , altrimenti non se ne sarebbe mai più staccato. T. Era dunque identico relativamanteea tempo. A. Maintal caso noi non abbiamo piùche opporre all'Hegel, perchè anche noi ammettiamo l'identità relativa dell'essere e del nulla. T. No io, eprotesto altamente controtale empietà! A. Non dico se siete giobertiano, ma se avete davvero la gra zia di esser cristiano , voi non potete professare altra dottrina. Trattasi semplicemente di sapere se l'esistente sia un essere as soluto ovvero relativo. T. È relativo, essendo stato creato liberamente da Dio. A. Ora essere relativamente porta per due ragioni ilnulla nelle viscere: 1º perchè quello, che è relativamente, non è asso lutamente e anzi assolutamente puònon essere, è assolutamente annullabile; essere relativamente è non essere assolutamente , è essere e nulla. 2º Essere relativamente è essere limitatamente, e però è essere e non essere; giacchè è noto che il limiteè il con fine dell'essere, e quindi è il nulla. Se dunque l'esistente non fosse insieme essere e pulla secondo i termini indicati, esso sa rebbe di necessità o l'essere assoluto (Ente) o confonderebbesi coll'assoluto nulla; e queste due cose ripugnano certamente alla vostra timorata coscienza. L'essere relativo è l'opposto del rela tivo nulla , e questo è l'opposto di quello; sono opposti o con trari , e non contradittori, epertanto sono trasformabili l'uno nell' altro. Il nulla relativo è ciò che non è , mache può essere; e l'essere relativo è ciò che è , ma che può non essere. Essi adunque sono identici e differenti: differenti, in quanto l'uno è e l'altro non è; identici, in quanto l'uno può esser l'altro e l'altro l'uno. Se sono differenti in quanto l'uno è e l'altro non è, ne siegue che essi non sono identici propriamente nė nell'es sere e nè nel nulla , e dovesono identici? Rispondo che sono identici nel Momento platonico o nel Divenire hegeliano, in que -- 48 stobilico di neutralizzazione il quale nell'atto stesso, che nonè nėnulla nė essere, èinsieme piega o sdrucciolo verso entrambi. T. Voi descrivete mirabilmentelavostra posizioue infilosofia. A. Come. T. Non siete nè giobertiano nė egelista , nè ortodosso nè ete rodosso e strucciolate egualmente verso quegli estremi ! A. È vero, perché sino a quelpunto i quattro estreminon si possono distinguere. T. Dove dunquesi distinguerebbero? A. Nel determinare quelbilico di neutralizzazione,cioè ilcon cetto del divenire. T. Spiegatevi. A. Platone tocco come coldito il suoMomentoe fuggivia epiù nonse ne ricordo. Hegel chiari largamente il suo Diveniree ce lo presentò sotto la forma panteistica più perfetta. Secondo Gio berti e la filosofia ortodossa quel Divenire e quel Momento mu tano sembianza e natura, e pigliano il nome e l'essenza dell'Atto creativo. T. Adesso poi è un altro affare. A. Dovevate saperlo prima. T. Del resto non so ancora dove vogliate mirare. A. Ecco, professore: secondo Hegel l'essere e il nulla sono identici, e noi dobbiamo opporgli un principio per cui il nulla e l' essere si escludano. Ma d' altra parte per Hegel il nulla e l'es sere sonoidentici relativamente e provvisoriamente, e tale iden tità siamo anche noi costretti ad ammetterenegli ordini del con tingente ; è chiaro adunque che su questo terreno noinon ab biamo che opporre all'Alemanno e dobbiamo dichiararci piena mente d'accordo con lui. Che dunque? L'identità relativa del l'essere e del nulla Hegel la trasporta nell'Assoluto, cioè nel l'Ente; ora è qui, e quisolamente, dovedeesi assalire il filosofo di Berlino, all'identità relativa del nulla e dell'essere opponendo la loro assoluta esclusione nell'Assoluto.Noi nonpossiamo com battere l'identità relativa dell'essere edel nulla,perché tale iden 49 tita comerelativa èvera; intantoHegel trasporta quella identità nell'assoluto , dove per noi essa diventa falsissima. In ciò dun que due errorici ponno essere: 1º elevare all'assoluto l'identità relativa dell'essere e del nulla, propria del contingente;2° ne gare questa identità anche come relativa e propria del contin gente. La dottrina vera consiste nel direche l' essere e il nulla, i quali sono relativamente identici nel relativo , o, sono poi assolu tamenteincompatibili e assolutamente si escludononell'Assoluto. T. Ebbene ? A. Or voi avete fatto ilpeggio che potevasi fare, invitando a battaglia gli hegeliani sul campodell'esistente e negando l'iden tità relativa del nulla e dell'essere. T. Una simile bestialità, signor Taglialatela, credo che non si trova registrata innessun luogo delle mie opere. A. Essa è chiusa tuttanelvostroprincipiodi contraddizione, se lo intendete. T. Diavolo! A. «Èimpossibile che una cosa sia e non sia nel tempo stes so, e sotto il medesimo rapporto » , non è questo il vostro prin cipio di contraddizione ? T. Èdesso. A. Parlando del tempo stesso e del rapporto medesimo mi pare chevogliate alludere alladifferenza dei tempi e de' rappor ti, non èvero? T. Senza controversia. A. Ciò poi che è assolutamente, nonpuò nonessere, e cio che è assolutamente così, assolutamente non può esserecheco si: dico bene o male? T.Bene. A. L'assolutodunque nonammetteleclausoledel tempo stes so e del rapporto medesimo, appunto perchè l'assolutonon cade sotto le differenze de' rapporti e de' tempi-Badate che parlia mo dell'assoluto come essere in se-E pertanto il vostro prin cipio di contraddizione non è affatto applicabile all' assoluto, e 4 -- 50 quindi non si può opporre all' Hegel sul terrenodell' assoluto. T. Il mio Principio di contraddizione vuoldire non solo che una cosa essendonon può nonessere nel tempo stesso, ma al tresi che ella non può avere attributi contraddittori, gli uni de' quali siano la negazione degli altri; or l'Ente è e possiede in proprio una infinità di attributi, tutti necessari ed immutabili al pari del suo essere; dunque può bene applicarglisi il Principio di contraddizione per esprimere la necessità dell' essere e degli attributi di Lui. Nė siffatta applicazione è oziosa nel campodella Logica; poichè rimuove da esso l'effato hegeliano, secondo il quale l'Ente è l'identità di tutti i contraddittori, ossia la con traddizione assoluta. Questo errore riunisce nell'Ente non solo l'essere e il non essere ma ancora l'affermazione e la negazione di ogni attributo possibile, e non può confutarsi altrimenti che stabilendo l' assoluta incompatibilità dell' essere e del non esse re , dell'affermazione e della negazione degli stessi attributi (1). A. L'essere e gli attributi dell' Ente essendo necessari ed im mutabili voi ben dite che dee stabilirsi contro Hegel ' assoluta incompatibilità dell' essere e del non essere, dell' affermazione e della negazione degli stessi attributi nell' Ente; ora il vostro principio di contraddizione non esprime quella incompatibilita in modo assoluto, e perciò non si può applicarlo all' Ente. T. Eperchè non la esprime inmodo assoluto ? A. Perchè le aggiuntedel tempo stesso, e del rapporto mede simo sono condizioni proprie del Relativo e ripugnano all'Asso Juto ; sono due aggiunte chedanno al vostro principio un va lore affatto relativo, e lo rendono assolutamente impotente con troHegel. T. Ma intal caso ilmioprincipio, inapplicabile all'Ente, sa rebbe applicabilissimo all' esistente; ora voi non mi avete negato anche questo ?. A. Si, perchè il vostro principio non si può applicare a nes (1) Campo, 436-37. -- 51 sunodi quei due termini: non all'Ente cheesclude assoluta mente da se le alternative dell'essere e del non-essere, e del l'essere e non-essere in tempi e rapporti diversi; non all'esi stente, che in sè inchiude assolutamente tali alternative. T. Queste due vostre ragioni distruggonsi a vicenda l' una per l'altra; e per fermo per la primaragione il mio principionon è applicabile all' Ente, perchè il mio principio esige nella cosa le alternative dell' essere e del non essere, e tali alternative man cano nell' Ente; per la seconda ragione al contrario ilmio prin cipio non è applicabile all' esistente, perchè l'esistente contiene assolutamente le alternative dell' essere e del non-essere, e il principio di contraddizione assolutamente le rifiuta. Ma o quelle alternative son giuste, ed allora negando la possibilità di appli care il Principio all'Ente che non le contiene, bisogna affermarla dell' esistente ove sono contenute, ovvero non bastano, ed al lora perchè giungete a dir giusta nelvostro libro la mia espres sione del Principio applicato all' esistente ? Dovunque vi volgete, la contraddizione vi avvolge d' intorno (1)! A. Dovunquemi volgo d' intorno, caro professore, mi veggo affatto libero e però la contraddizione, di cui parlate, ha dovuta essere tutta unvostro sogno. Statemi a sentire : il principiodi contradizione significa due cose: 1º l'esclusione del nulla dal l'essere, 2º questa esclusione come assoluta esclusione. Ciò posto, ripeto che il vostro principio è insieme inapplicabile cosi all' Ente come all' esistente; all' Ente , perchè qui l'essere esclude assolutamente il nulla, mentre il vostro principio ne lo esclude in modo tutto relativo; all' esistente, perchè il vostro principio esclude relativamente il nulla dall' essere, laddove nel l'esistente l'essere e il nulla assolutamente s'importano a vi cenda. Inoltre voi credete che per applicare ilprincipio di con tradizione ad una cosa, questa debba contenere nelle viscere le alternative dell' essere e del poter non essere: niente affatto, vi (1) Campo, 435-36. 4 -- 52 rispondo. Le alternativedell' essereedelnulla non ciautorizza no ad applicare, ma anzi ci vietano assolutamente di applicare quelprincipio; esso è applicabile all' Ente sol perchè nell' Ente l'essere e il nulla non si alternano, e anzi assolutamente si escludono; non è applicabile all' esistente, sol perchè nell' esi stente il nulla e l' essere non si escludono assolutamente e anzi necessariamente si alternano. Lo comprenderebbe anche una vecchiarella, che il ciel v'aiuti ! Ed è vero che notai che la vostra espressione è giusta, applicata all'esistente; ma voi al solito avete imbrogliate le carteo non avete capito. Dissi adunque che ègiusta nel senso che, essendo ' esistente un essere che im porta il suo non-essere e viceversa, voi dovevate rimuovere provvisoriamente tale alternativa efissare l'esistente inmodo che il suo essere escludesse il suo non-essere; or questo proprio avetefatto col ficcare nella vostra espressione le due clausole del tempo stesso edel medesimo rapporto. L'esistente, ch' è in untempo, puònonessere in un altro:ecco l'alternativa dell'es sere e non-essere, la quale vi proibiva l'applicazione del princi pio indiscorso. Intanto voi vieravate ostinato ad applicarvelo e per riuscire sottraeste l'esistente alle differenze de' tempi e, per vecidergli dal pulmone l'alternativa dell'essere e del nulla, lo inchiodaste nel tempo stesso, ossia nel Momento che è, dicendo : èimpossibile che una cosa (esistente), mentre è, non sia. E cosi storpiaste il povero esistente; giacchè questo è un essere che implica talmente il suo poter non essere, che l' uno, rimosso l'altro anche provvisoriamente, èdi necessità mutilato e reso assurdo. Infatti l' esistente, eziandio nell' atto che è, può assolu. tamentenonessere; poichèse, nell'atto che è, non potessenon essere, allora ' esistente, nell' atto che è, sarebbe necessaria mente, sarebbeessere necessario e noncontingente, assoluto e nonrelativo. Quandodite: è impossibile che l'esistente mentre ènon sia, questa vostra impossibilità è una impossibilità sem plicemente effettiva, unamera impossibilitàdi fatto o sperimen jale, evuol dire che l'esistente, mentre è, è;nonèdunque una 53 impossibilità ideale o metafisica, perchéin tal caso la vostra espressione saria prettamente panteistica. La formola: è impos sibile che l'esistente,mentre è, non sia, è diversissima da que st' altra: è impossibile che l'esistente, mentre è, non possanon essere; e la differenza è in ciò che nella prima formola, ch' ė la vostra, dall' essere presente si rimuove nel fatto ilnon es sere presente, laddove nella seconda si afferma nell' essere pre sente la possibilità del suo non essere; ' impossibilità della pri maèdunqueuna sofisticheria e solo quella della secondaè una impossibilità vera e razionale. Ed eccovi, professore, che nelle vostre mani il principio dicontraddizione ha perduta intera mente lasuaforma ideale, necessaria, assoluta e semplicissima per diventare un intrighetto scolastico, un gergo o una cifraru vida ed insignificante; ad ognimodo però questo è ben degno del vostro Corso Elementare, e tanto basta. T. Alla teorica del Giudizio ? A. Alla teorica del Giudizio. T. Nonvolete voi che l'intuito nonapprendanessunarelazio ne oggettiva di sorta? (1). A. Avanti. T. Poi non avete scritto nel vostro libroche il Giudizio è il primo pensier riflesso, e impostogli per legge logica di essere l'esatto riflesso delle relazioni obbiettive (2) ? A. Èvero. T. Or prima della riflessione non viha che l'intuito, edè im. possibile un esatto riflesso di alcuna relazione obbiettiva per l'innanzi non percepita dalla mente; dunque l'intuito è quello che percepisce le relazioni obbiettive, ela riflessione non faal tro che ripeterle ed esplicarle (3). A. Dovete ricordarvi che io veramentenonho negato all' in (1) Campo, 438. (2) Ibid. (3) Ibid. -- 54 tuito la percezione della relazione, ma piuttosto la percezione della distinzione oggettiva, T. Sembrami che valgą ilmedesimo, la relazione essendo una distinzione e la distinzione una relazione. A. Ciò è vero solo in parte; perchè se ogni distinzione è re lazione, non ogni relazione è distinzione. L'identità assoluta (Ente) non è forse l'assoluta relazione dell'Assoluto seco stesso? T. Mi pare che l'Assoluto sia Termine e non Relazione aş soluta. A. Non sarebbe Termine assoluto senza essere ancora asso luta relazione seco stesso; poiché ilconcetto del termine im porta necessariamente quello della relazione, e questa relazione non può essere che assoluta o relativa. La relazione assoluta ė quella del termine verso se medesimo, la relativa è quella di un termineverso un altro. Nel primo caso il termine è assoluto ap punto e solo in quanto è assoluta relazione con se stesso; a ri gore adunque non è termine ma relazione assoluta, l'assoluto Relativo, cioè l'assolutamente Identico ed Uno, l'Autogenetico, quello che si pone assolutamente da sè e risiede assolutamente in se solo. Nel secondo caso il termine è relativo, essendo le gato nella sua relazione con un altro termine; esso sussiste in sè in quanto è in relazione ad un'altro, edunque sussiste pro priamente nell'altro e non in se stesso; non è l'assoluto Relati vo, l'Identico, l'Uno, l'Autogenetico ma è il relativamente rela tivo, il diverso, il moltiplice, l'eterogenetico; non è l'Ente ma l'esistente. Ciò posto, dire che l'intuito percepisce l'Ente solo è lo stesso che dire che percepisce la Relazione assoluta, cioè la relazione d'identità enon quella di distinzione. T. Ora ogni relazione essendo essenzialmente ungiudizio, la percezione intuitiva della relazione assoluta è di necessità un giudizio. A. Non parliamo noi del giudizio comenostro, come forma propria della nostra conoscenza? T. Sicuramente. 1 -- 55 A. Sedunqueil giudizio consiste nella relazione,come voiben dite, egli è chiaro che non vi può esser mai ilnostro giudizio finchè la relazione obbiettiva non siasi subbiettivata e divenuta nostra relazione : o a voi pare altrimenti ? T. Non altrimenti. A. Edecco che al presente la lite è ridotta a un punto assai fa cile a risolvere, e consiste a sapere se la relazione obbiettiva pos sa dirsi subbiettivata nello stato della semplice percezione. T. Io penso che possa dirsi, perchè lo spirito umano fa suo l'oggetto e se lo appropria appuntopercependolo. A. No , professore : percependo semplicemente l'oggetto , lo spirito comincia bensi per appropriarselo e farlo suo , ma non ancora vi è arrivato ; c'è appena lo scambio di una prima trat tativa che non dee confondersi col contratto conchiuso e coll'ap propriazione dell' oggetto. Nell' Introduzione non ha detto forse Gioberti che il carattere più intimo e più specifico dell' intuito risiede nella perfetta oggettività del termine intuito ? T. Si , lo ricordo. A. E ciò significa che la relazione assoluta (Ente), in quanto è solo intuita , resta puramente oggettiva enon ancora si è sog gettivata e divenuta nostra relazione ; nell' intuito dunque c'é giudizio , perchè c' è relazione ; macome la relazione è tutta og gettiva e niente nostra, perciò ivi il giudizio non è niente nostro ed è oggettivo ed assoluto solamente. T. Se il giudizio è la relazione , è evidente che percepire la relazione è di necessità percepire il giudizio, ora che cosa è per cepire il giudizio se non giudicare ? A. Percepire semplicemente la relazione non èmica giudicare, altrimenti per giudicar Dante o Bellini basterebbe ascoltar sem plicemente la Norma o leggere appena la divina Commedia. Di poi la relazione non èper altro un giudizio che in quanto essa è affermazione di un termine con se stesso ovverodi un termi neverso unaltro ; onde affinchè vi sia il nostro giudizio non ci bastaapprendere semplicemente la relazione , ma dobbiamo -- 56 apprenderla comeaffermazione; dobbiamo affermarla mental mente noi stessi, cioè ripeterea modo nostro l'affermazione og gettiva. Ora tutto questo è impossibile nel semplice intuito ,do ve lo spiritovede l'oggetto indeterminatamente e vagamente, os sia nol vede come ripiegantesi per intoriflessione in se medesimo e come affermantesi identico a se medesimo. T. Anzi proprio cosi lo vede ; poichè secondo ilGioberti l'og getto dell' intuito è l' Ente in quanto affermasi identico a se stes so, dicendo : io sono. A. Così dice ' Ente allospirito nell' intuito, ma nell' intuito è impossibile allo spirito dire altrettanto, cioè fare il suo giudizio ripetendo a modo suo quellodell' Ente. T. Perché ci sia il giudizio dello spirito non occorre ch'ei ri petamentalmente quello dell' Ente , e basta solo chepercepisca semplicemente il giudizio dall' Ente pronunziato. A. No, ma dee farlo suo, ripeterlo a modo suo, altrimenti il giudizio non sarà mai suo giudizio. E sapete perchènell'intuito lo spirito assolutamentenon può ripetere a modo suo il giudizio dell' Ente ? Perchè rispetto all'intuito l'idea è assolutamente una sola, e voi avete detto checon una sola idea il giudizio è impos sibile. O vorreste ammettere che anche rispetto all'intuito debbo no esservi più idee ? T. Veramente atale dimandanonpotrei rispondere con tutta precisione, essendo questo un tema da me non ancora benme ditato : lasciamolo dunque da parte al presente e rifacciamoci da capo peraltra direzione. Secondo la vostra dottrina il giudi zio consisterebbe nel riprodurre soggettivamente larelazioneog gettiva, e voi consentite a dire che nonsi può riprodurre rifles sivamente una relazione oggettiva senza prima percepirla sem plicemente : o avete a fare qualche avvertenza in contrario? A. Nessuna. T. Ebbene, lo spirito nell' intuito nonpercepisce secondovoi la sola relazione assoluta ? A. Leisola. -- 57 T. Lo spiritodunquenonpotrebbe riflessivamente riprodurre che la sola relazione assoluta, e però, salvo appena questo giu dizio : ' Ente è, tutti gli altri giudizi sarebbero impossibili per lo spirito. A. Larelazione assoluta percepita semplicemente nell'intuito contiene, come principio e causa,tutte le relazioni possibili ; ondeamisurache lo spirito sviluppa ilconcettointuitivo dell'as soluta relazione, vede da lei sbucciare a mano a mano edialetti camente tutte lealtre relazioni possibili, e cosi comele vede sbucciare se le appropria riflessivamente e nascono a questo mo do tutt' i giudizi possibili, che compongono epossono comporre la scienza degli uomini. Ilconcetto semplice della relazione as soluta genera in noi il giudizio o analisi dialettica della relazione assoluta ; quest' analisi ci dà fuori il semplice concetto della re lazione creativa, il quale ci desta il bisogno intellettuale del giu dizio o analisi dialettica della creativa relazione ; e quest'analisi dialettica della creazione ci partorisce ad un partó i concetti del Cronotopo edelCosmo (che certo sonodue relazioni) etali con cetti ci spingono a giudicare o svolgere dialetticamente quelle due relazioni, e si hanno lamatematica e lacosmologia : e cosi dite di seguito all' infinito. Se per metodo scientifico või non in tendete quel processo mentale ,per cui tutta l'umana conoscen za venga dialetticamente e successivamente snocciolandosi dal concetto primitivo e semplicissimo dell' Ente puro o della pura Relazione assoluta; se nonc' intendete questo,dico, io vi consi glierei di abbandonare la filosofia e darvi ad altra professione. T. Contutto questo io mi ostino a sostenere che la naturadel giudizio non istà, comedite voi, nel riprodurrc soggettivamente e riflessivamente la relazione obbiettiva innanzi semplicemente percepita, ma piuttostonel vedere semplicemente una relazione tra due idee. Infatto egli è certo che il giudizio è unatto intel lettuale,distinto, sebbene indiviso,dagli atti sensitivi e volitivi; or l'intelletto è facoltà di vedere, & occhio mentale,e la cognizio ne in tuttelesueforme nonè altro che unamentalevisione;quin -- 58 di il giudizio non può consistere che nel vederementalmente. La riflessione a cui voi ricorrete per trovare la natura del giudizio, èun rivedere, ecome taleappartiene eziandio all' intelletto ; se nonche in essa interviene pure un atto divolontà, eperciò rie sce libera in quanto dalla volontà è regolata. Questa libertà della riflessione, opposta all' assoluta necessità de' giudizi primitivi, dovrebbe convincervi dell' errore in cui vi avvolgete, se il vostro giudizio s' informasse della schietta luce del vero nel discutere la quistione ; poichè la necessità e la libertà sono incompatibili nell' atto medesimodi qualsiasi facoltà,subbiettivamente riguar dato; se dunque l'attoriflesso è libero e il giudizio primitivo é necessario, come si può pretendere che l'uno sia l'istesso che l'altro, senza un' evidente contraddizione (1) ? A. Essendo per voi la cognizione in tulle lesue forme non al tro che una mentale visione, io non so come e perché vogliate poi distinguerla in vedere e rivedere. Una volta dite che il ve dere e rivedere appartengono egualmente all'intelletto, e un'al tra che l'intelletto in tutte le sue forme è solo un vedere, un oc chio mentale ; ma cosi dunque o l'intelletto non sarebbe più an che un rivedere e addio riflessione, ovvero l'intelletto non sa rebbe più in tutte le sue forme una semplice visione mentale. E se, scherzando nella stessa pagina con voimedesimo, volete che l'intelletto sia insieme la facoltà di vedere e di rivedere mental mente, io subito vi chieggo sapere in che consiste la differenza del vedere e del rivedere, e come la stessa facoltà dell'intelletto possa spiegarsi in quelle due forme diverse della visione e della revisione. Voi vi limitate modestamente a dire che tuttaladiffe renza sta in ciò, che lavolontà libera, la quale interviene nel ri vedere, non s'immischia nelle faccende della semplice visione. Ma iodacapo: perchè lavolontà nell'un casoconcorreenell'al tro non concorre ? Su questo punto ilCorso e le Lettere fanno silenzio, mentre il tema è grave e importantissimo per la psicolo (1) Campo,438-39. -- 59 gia. Se infatti ci foste entrato dentro e l'avessivo ben considera to, voi sareste riuscito diritto a questa conseguenza, che cioè la libera volontà non ha luogo nella semplice visione dell'intelletto appunto perchè ivi manca il giudizio! Ecco, pervostra istruzio ne, come io ho scritto in proposito nel mio libro, dove a voi, e a voi solamente, è parso di trovare un numero sterminato di contraddizioni : « L'attività dello spirito umano è come il suo pensiero ; questo è intuitivo o riflesso, e quella è spontanea o libera. La spontaneità e la libertà sono due forme, due stati dell'attività psichica, come la riflessione e l'intuito lo sono del pensiero ; l'attività spontanea risponde al pensiero intuitivo, e la libera al pensiero riflesso. La spontaneità ela libertà debbono dunque accordarsi, come l'intuito si accorda colla riflessione. L'attività spontanea è fatale, in quanto non è libera; ora non è libera, perchè la scelta, l'elezione vi è impossibile. Perchè? Le ragioni sono due, l'una ontologica, psicologica l'altra. La ra gione ontologica consiste in questo che rispetto all'attività spon tanéa avvi un solo termine, e con un termine solo non può aver luogo l'elezione Ma anche con untermine soloci può essere libertà, in quanto si può volerlo o non volerlo- Rispondo che ciò è vero, quando il termine è limitato eparticolare; falso, se è generale ed infinito. Il termine dell'attività spontanea è l'Ente solo nella sua generalità ; comedunque si potrebbe volerlo o meno? L'attività spontanea non vuole nè disvuole, non può l'una nè l'altra cosa ; poichè tale attività è la forza psichica nel l'atto stesso di esser creata; ora ilvolere e non volere già pre suppone la forza come creata, e quindi non può appartenere al momento della creazione. La volontà, nell'atto che è creata, è fatale non libera ; è libera dalla coazione, ma è soggetta alla ne cessità. Se non che tale necessità non distrugge l'arbitrio, ma lo fonda, creandone la radice; perchè la volontà non può esser libera, se prima non sussiste; ora sussiste in quanto è creata. Èdunque unanecessità massimamente ragionevole, e tal neces sità è l'atto creativo. Togliete questa necessità, e la volontà si 60-- annulla e l'arbitrio diventa impossibile. La ragione psicologica sta inciò che l'arbitrio suppone necessariamente la scelta, e que sta suppone il giudizio; ora nell'intuito manca il giudizio, e pe 1 rò non vi può essere elezione e libero arbitrio. La libera scelta non può aver luogo senza la plurarità de'termini, come il giu dizio senza la pluralità delle idee; perciò lo spirito non può u scire dallo stato dell'intuito e della spontaneità e passare a quel lo della riflessione e dell'arbitrio, finchè l'Idea non si è trasfor mata in idee e l'Ente non siconsidera congiuntamente alle esi stenze. Il trapasso dell'attività dallo stato spontaneo al libero si fonda e siegue il trapassodel pensierodallo stato d'intuito a quello della riflessione, come questo si fonda e siegue il transi to ontologico dell'Ente all'esistente, che è l'atto creativo (1) ». Vedete, professore : l'arbitrio è essenzialmente libera elezione, ela libera elezione di necessità presuppone il giudizio; tanto che l'arbitrio è impossibile senza l'elezione, e l'elezione è impos sibile senza il giudizio, Ora nello stato intuitivo l'elezione è as surda, non essendovi possibile nessun giudizio di sorta; giacchė da un lato il giudizio importa necessariamente più idee, e dal l'altro per l'intuito l'idea è assolutamente una sola. E assoluta mente unasola, perchè l'oggetto dell' intuito è l'Ente in sè, e l'Ente in sè, idealmente considerato, è l'Idea non le idee; onde se per l'intuito ci fossero molte idee, queste sarebbero oggetti vamentemolte nell'Ente stesso, e cosi noi verremmo a negare l'assoluta unità ideale ed oggettiva dell' Ente in sė, e tal è il grande assurdo logicodiPlatone secondo il giudiziodi parecchi e gravissimi interpreti. Ma l'ldea, ch'è intuitivamente una sola, si moltiplica riflessivamente inidee, ed io ho mostrato perchè ecomesi moltiplica; or poste le idee, è posto per lo spiritona turalmente il giudizio che genera immediate l'elezione e l'arbi trio. L'assenza dunque o la presenzadella libertà non è infon do che l'assenza o la presenza stessadel giudizio; equesto vi (1) Ist. di Fil. 464e seg. 1 -- 61 spiega perché gli uomini sono liberie lebestie no,ecome i fi losofi e i popoli che meglio ragionano sonopiù liberi degl'im becilli e de'popoli asini. T. Poichè per voi i nostri giudizi sono tutti riflessi e liberi, io nonveggocome si possa più ammettere l'assoluta necessità de'giudizi primitivi; dovendo esservi ben noto che la necessità e la libertà sono incompatibili nell'atto medesimo di una facol. tàqualsiasi. A. Che intendete per giudizio necessario? T. Quello il cui opposto è impossibile. A. Il principio di contraddizione nonè forse ungiudizione cessario e primitivo? T. Perfettamente. A. Abbiamo giàdetto che nel principiodi contraddizione lo spirito non fa altro che escludere assolutamenteil non-essere dall'essere assoluto; ora escludere assolutamente il non-essere dall'essere nell'Assoluto vuol dire che nell'Assoluto è impossibi le l'identità dell'essere e del non essere. Intanto l'Hegel, ossia ungran filosofo, nonha forse affermato l'opposto e stabilito sopraunprincipio affatto contrario il suo celebre sistema? T. Che volete inferirne ? A. Che l'opposto de'giudizi necessari è possibilissimo per lo spirito umano. T. Diavolo ! ma in tal caso i giudizi necessari non sono piùnecessari. A. No, non èquestala conseguenza. T. Equale? A. Che i giudizi primitivisono necessari in unsenso ben di versoda quello che voi intendete. Esaminiamolo. QuandoBru no ed Hegel affermarono del pari,benchè sotto due aspetti as sai differenti , che le contradillorie proposizioni sono vere, essi fecero saldare in aria ildivolgatissimo principio di contradizio ne; e la maggiordisgrazia si è, per dircelo a quattr' occhi fra noi, che trattandosi di quelledue testegloriosenon c'è per -- 62 messo di ridere o saremo presi per istupiditi e peggio. Del re sto se si va a vedere, trovasi che ne'loro sistemi quel brutto paradosso diabolicamante vi seduce per non so qual nuovo pre stigio di logica bellezza ch'è una terribile tentazione. lo ci ho voluto pensare un pò seriamente, e sapeteche n'ho conchiuso? T. Dite. A. Neho conchiuso che ilprincipiodi contradizione, ilquale è pernoi un giudizio primitivo e necessario, perHegel eBruno è una grande sciocchezza! T. E chi dunqueha ragione? A. Essi e noiabbiamo ragione egualmente; perocchè essi par Jano della Potenza infinita ch'è appunto l' identità dell' essere e del non-essere, e noi invece parliamodell'Atto infinito dove l'es sere esclude necessariamente il suo contrario. La necessità del principio di contradizione,come quella di tutt'i giudizi primiti vi, è dunque unanecessità riflessa, dedetta, provata; è provata ededotta riflessivamente dalla nozione anteriore dell'Assoluto preso comeAtto infinito,e vuol dire che, preso l'Assoluto come tale, il suo essere esclude assolutamente il suo non-essere e il principio di contradizione diventa un principio necessario e as siomatico. Ilprincipio di contradizione,come tutt'i Principi, as suntocosì dommaticamente non dice nulla e può essereindiffe rentemente vero o falso secondo i sistemi. Pigliatelo a questo modo, opponeteloall'Hegelismo e voi fate peggio che tirare con tro la luna ; giacchè Hegel ve lonega di pianta, dimostrandovi che il nostro principio è una miseria, roba vecchia e da filosofi eunuchi. Comedunque potreste difendervi? Col provare il vo stro principio , deducendolo logicamente e necessariamente dal concetto dell'Infinito come Atto infinito.E questo dee farsi sem pre, professore , anche se non c'è contro Hegel; poichè tutta la fermezza della scienza nasce da quella de' Principî, e i Principi nonsono fermi se sipiantano arbitrariamente e senza una di screzione al mondo. Eccovi che il viziocapitale di Spinoza con siste appunto nel dommatismo de'Principî, cioènell' edificare il -- 63 suosistema su certi assiomi e definizioni affatto discutibili , e che anzi possono essere dimostrate interamente contrarie alla mente dell' autore. Insomma iPrincipi nondebbono essere al trimenti i primitivi giudizi che in quanto sono i primi pronun ziati della riflessione filosofica ; la quale li pronunzia primitiva mente, deducendoli dall'intuito originario dell'Idea che è il Principio de Principi, il Principio assoluto o l'assoluto Primo logico non dedotto da nessuno eda cuitutto si deduce. Onde siegue che i Principi sono necessari e liberissimi ad un tempo : necessari, in quanto la riflessione lideduce necessariamente dal concetto anteriore dell'Atto infinito; liberissimi, in quanto la ri flessione potrebbe negarli, movendononpiùdalla nozionedell'in finito Atto ma da quella della Potenza infinita. E per talmodo circa i Principi la libertà si accorda colla necessità, e l'accordo consiste nel termine comune del razionale che toglie alla liber tà di essere arbitraria e alla necessità di esser cieca. Necessità razionale è il nesso logico necessario che corre tra il concetto dell'infinito Atto e i Principi che se ne deducono nel nostro si stema; e libertà razionale è libertà conforme alla Legge logica per cui, ammessocome principio assoluto l' Atto infinito, biso gna pur conchiudere a quei Principi, ovvero si dà nello spropo sito e la riflessione èpazza e non merita il titolo di filosofica. T. Voi confondete l'atto del pensierocoll'attodel volere, scam biando puerilmente la simultaneità o un rapporto semplice di tempo col rapporto d'identità. La norma per distinguere gli atti e le facoltà dello spirito umano è tutt'altrada quella segui tata da voi, e consiste nel vederne l'oggetto in cui si versano e la legge con cui si svolgono; lalorosimultaneità o successione nondice nulla rispetto all' intrinseca lor natura; poichè lo spi rito umano può a suo grado esercitare tuttele suefacoltàinsie me, o purle unedopo le altre, atteso l'influenza che ha la vo Jontà su ciascuna di esse,come facoltà egemonica edirettrice. Infatti non può lo spirito umano , quando gli aggradi , sentire intendere volere e muovere il corpo al tempo stesso? e direte 64-- per tal ragione cheil sentire sia l'istesso che l'intendere , e che l'intendere sia identico al muovere il corpo , come questo al vo lere? Dunque avrebbe ragione il Condillacdi riporre il giudizio in una sensazione, perchè l'animoumano sentendo giudica? e l'intelletto non sarebbe al fine che una facoltà muscolare intesa al movimento del corpo , perchè noi possiamo ragionar cammi nando ? Vedete a chegiungelo spirito del sofisma, quando s'im padronisce di uno scrittore par vostro, benchè egli sia adulto maschio e filosofo (1). A. Colgoquesta felice occasione per tornar a dichiarare bam bina e volgarissima la vostra psicologia, che mette tra il pensie ro e il volere unsemplice rapportodi simultaneità o di tempo , enega che, volere epensiero siano essenzialmente identici nel l'unità indivisibile dello spirito. « Il pensiero e la volontà, dice Gioberti , sono identici e inseparabili nell'uomo , come l'ideale e il reale in Dio (2) ». La qualedottrina venne da lui costante menteripetuta in mille luoghidelle sue opere,anteriorio postu meche siano. Come si prova che sono identici? Il pensiero preso astrattamente, è distinto dallo spirito; ma sesi prende in , concreto, il pensiero è identico allo spirito, è la stessa sostan za spirituale , la stessa Persona , ilPensante. Il pensiero non è una tra le facoltà dell'animo , maè piuttosto tutta l'essenza in tima dell'animo ; ecco perchè tutte le facoltà psicologiche rive stono , chi più chi meno, laforma del pensiero , come l'imma ginazione, la memoria ed anche la stessa sensazione. Tutteque ste facoltà ritraggono necessariamente, ma variamente, delpen siero, perchè esse non sono secondo voi che diversi atteggia menti dello spirito, e l'essenza dello spirito è appunto il pen siero. Or poi come spirito è pensiero, e così pensiero è essen zialmente volere; perocchè ilvolere ,senon vuolsi confonderlo col movimento muscolare e corporeo , dev'essere un movi (1) Campo, 439-40. (2) Prot. T. 1º, pag. 253. : -- 65 mento intellettuale, un pensieroche si muove volendo eunvo lereche si muove pensando, un pensiero che vuole se stesso e un volere che pensa se medesimo. Pensare qualunque cosa è volerla pensare, e volerla è pensarla; nell'interno dello spirito non sono due termini,ma uno solo sottodue nomi differenti; sono affatto identici nella unità dello spirito,della persona, del l'intelligente. E sono identici eziandio dal canto dell'oggetto ; giacchè da una parte l'oggetto del pensiero è il vero e quello del volere è il buono, e dall' altra bonum et verum convertun tur, come scriveS. Tommaso! Quelloche èbuonopel volere, quello stesso è il vero pel pensiero; vale a dire che l'ogget to del pensiero è il buono sotto la formadel vero, e l'oggetto del volere è il vero sotto la forma del buono. Ed eccovi che il primo Vero s'immedesima coll'ultimo Bene , e la Legge del pensiero è la stessa Legge del volere, cioè l' Idea, come m'in segnate. Dalche ciascuno può conchiudere che il vostro parago ne tra l'intendere e il muovere il corpo nonpoteva essere più insulso ed infelice, e che qui ci entrava tanto Candillac quanto l'anima del cardinale Antonellientrerebbe nel Paradisodantesco. T. Ma come mai pensare è l'istesso che volere, se noi possia mobenissimo pensare a casa deldiavolo senza voler mica anda re a casa del diavolo? Non accade spesso a tutti gli uomini dipensare unacosa e volerne un' altra?E tutto questo non sa rebbe forse impossibile, se si ammettessel'identità del volere e del pensiero ? A. Voi confondete l'esecuzione esternadel volere col volere co meattopuramente interno dello spirito. Pensando a casa del diavolo voi liberamente ci pensate, ci pensate perchè volete pen sarci; poiché se nonvolete,tutte le forze dell'universo non pon no costringervi a pensarci. E perchè poi non volete andare a casa del diavolo? Perchè pensandovi vedete che il luogo non vi conviene, non fa per l'anima vostra; primala pensatevolendola pensare, e poila rifiutate pensandodi rifiutarla;unavolta ilpen siero è l'istesso volere e un'altra il volere è lo stesso pensiero , 5 -- 66 ecosi sonosempre un'unica e medesima cosa.E se opponete che alcuno pensa di non volere l'inferno e intanto vi si precipita, ri spondo che questa non èdifferenza ed opposizione tra volere e pensare, ma si tra il volere interno e la sua esterna ed effettiva esecuzione. Imperocchè il nostro volere, essendo limitato e fiac chissimo, non fa sempreciò che vuole, e anzi spesso opera con tro quello che vuole, e inciò consiste l'eterno difetto e contra dizione degli uomini secomedesimi. Ora tornando in proposito de'Principi io sento il debito fraterno di farvi fare un'ultima av vertenza di gran rilievo.Voi già sapetechela scienza è meritoria secondo la divina moraledel Cristianesimo, e che non può esser meritoria che in quanto è libera, è li libero pensiero; intanto se si ammetteche i Principi sononecessari per lo spirito nel vostro significato, egli è evidente che rispetto ai Principi, e quindi a tutta la scienza, nonci può essere nessun merito o demerito di sorta. Ciò posto,che cosasono mai iPrincipi scientifici se non altrettante affermazioni immediate di Dio ? PerocchèiPrincipi , presi astrattamente,non hanno nessun valore logico, e non sono veri Principi che solo in quantoriposanoinun concreto ogget tivo ed assoluto, il quale nel caso nostro è l'Ente, il Dio orto dosso. Avvi certamente una posizione intellettuale per lo spiri to, dove noi pensiamo Dio necessariamente a modo vostro; ma questo accade soltantonell' intuito che appunto perciò non può aver nulla di meritorio odel suo contrario. Il merito o demerito razionale di affermar Dio o negarlo nonè possibile, seDio non si afferma o nega liberamente: ecco perchè l'ateismo, verbigra zia, è colpevole e il teismo è virtuoso nella scienza. Quando il filosofo dice : Dio è, è impossibile che Dio non sia, il filosofo certo non crea Dio in se stesso, ma certissimamente lo crea a suo riguardo, cioè se lo elegge per Dio, lo installacomeDiodel suo pensiero ; poiché se ilfilosofo dicesse il contrario, come fanno, p. e., gli ateie gli scettici, Dio senza dubbio noncesse rebbe di essere in se medesimo, ma cesserebbe bene di essere pel filosofo, non esisterebbe pel filosofo.Ora che cosa sono quei -- 67 due pronunziati se non iduePrincipi d' Identità e di Contrad dizione ? E sedite cheil filosofo lipronunzia ciecamente, che merito vi sarebbe più a pronunziarli, e che demerito a negarli posto che potessero negarsi? La vostra dottrina sulla necessità de' giudizi primitivi o de' Principi èdunque assurda speculativa mente, moralmente funesta, e per giunta ripugna allo spirito e alla lettera della Bibbia. Imperocchè riferisce l' Evangelio che Cristonondiceva imperativamente: credi, ma interrogando l'ar bitrio umanodiceva: tu credis in Filium Dei? cioè ci vuoi, si o no, credere ? O volete, professore, chel'affermazionedi Dio deb ba esser libera per la fede e necessaria per la ragion filosofica, sì chequesta nonpossavolgersial contrario ? ovvero che l'af fermazione speculativa de' Principi ideali non sia in sostanza la stessa affermazione di Dio in quei principi ? T. Concedendo pure cheigiudiziprimitivi siano liberamente pronunziati dalla riflessione filosofica, io però non veggo come rispetto a tali giudizi possiate voi ammettere lo stato del dubbio, la cui esistenza è innegabile al cospetto del filosofo. Infatti nello stato del dubbio lo spirito umano non nega nè afferma ; or quando gli sia proposto un giudizio necessario ed evidente, co me l' Ente è, essendo un tal giudizio un' affermazione necessa ria (sic), il dubbio gli sarebbe impossibile (proprio sic! ). Ed allora come sarebbe avvenuto ilfatto dello scetticismo nella scienza (1)? A. Voiarrecate una pruova molto seria controla vostraneces sità de' giudizi primitivi. T. Ohbella! A. Come,non intendevatefar questo ? T. Niente affatto, ma intendevo combattere lavostra libertă intellettuale circa l'affermazionede' principi. A. Allora è stato uno sbaglio di mira e, credendo di tirare a me, avete tirato controvoimedesimo. Infatti nonvolete voi che (1) Campo, 441. 68 il giudizio primitivo è assolutamente necessario, e mi opponete tale necessità assoluta contro la libertàdel nostro pensiero ri flesso ? T. Èvero. A. E adesso nonditechenellostatodeldubbiolospirito uma nonon nega nè afferma ? T. É verissimo. A. Quando dunqueallo spiritosia proposto un giudizio neces sario, come l'Ente è, lo spirito per voi dee affermarlo necessa riamente, tanto che gli è impossibiledi non affermarlo odi affer mare il contrario; oraintal caso per qual miracolo ci può es ser più lo stato del dubbio, dove lo spirito nonnega nėafferma nulla, secondocchè voi l'avevate definito ? T. Maledetta distrazione ! A. Umanadebolezza, miocaro. Lepolemichesono ancora più diaboliche delle guerre, doveuna tua mossa involontaria può illuminar l'avversario e trartelo addosso in quel punto e scon figgerti di sorpresa: tal fu la precipua cagione della memorabile vittoriadiHohenlinden,per cui le portedi Vienna si apersero ai Francesi, padroni di entrarvi se avesserovoluto. T. Cominciaa venirmi ildesiderio di finirla, e pregovi di pas sare all' ultima piccola quistionedel Raziocinio. A. Correte, chè vi sieguo. T. Voi ammettete, mi sembra, la necessità della relazione lo gica, perchè ammettete l'Idea, l'ordine ideale ch' è sempre ne cessario. A. Cosi ė. T. Se l'ordine ideale o logico è sempre necessario, io necon chiudoinbuona vostrapace cheladerivazionedel terzo giudizio da' due priminel raziocinio, essendo una relazione logica, de v' essere semprenecessaria (1). A. loperò soggiunsi immediatamente nelmio libroche le re (1) Campo, 442. 69 lazioni logiche sono relazioni intelligibili, e che l'intelligibile è assoluto e relativo, necessario e contingente. T. Questo provasoltantoche unoscrittore puòbeneinuna sola emedesimapagina commetterepiùcontraddizioni insieme, senza scrupolo alcuno. Infatti l'ordine è un sistema di relazioni, e il suo carattere nasce appunto dalla natura delle relazioni che lo costituiscono; quindi l'ordine ideale non puòavere un carattere diversodalle relazioni ideali. Giò posto, ol'ordine ideale è sem pre necessario, ed allora le relazioni ideali debbono ancora es sere sempre necessarie; o vi sonodelle relazioni ideali contin genti, ed allora l'ordine ideale non è sempre necessario (1). A. lo vi consiglierei di purgarvi l'anima da questa matta pas sione che avete pel dilemma. T. Perché ? A. Perchénon ne indovinate mai uno, e perchè in ogni di lemma che fate si scopre maravigliosamente la fiacchezza del vostro raziocinio. Io ho dettoche l'ordine ideale è sempre ne cessario, ma l'ordine ideale (ideale, badate) è l'ordine intelligi bile ologico assoluto; oradi quà dall'ordine logico assoluto c'è pure l'ordine logico relativo e contingente, l'ordine delle rela zioni metessiche che certo sono ancora relazioni intelligibili o logiche. Insomma nel nostro sistema sidebbono distingueredue ordini di relazioni logiche o intelligibili, cioè quello delle rela zioni ideali e necessarie e quello delle relazioni metessiche e con tingenti ; perciò le relazioni logiche, quando sono ideali, sono sempre necessarie, masono poi contingentie non necessarie quando esse relazioni sono metessiche enon ideali. Il grosso granchio che voi pigliate qui sta nel credere che l'ordine logico sia tutto e solamente ideale; non capite che ideale si dice dal l' Idea, e ordine delle relazioni ideali è l'ordine stesso delle idee , le quali sono la razional moltiplicazione dell' Idea enon possono confondersi cogl' intelligibili metessici o creati, senza confon (1) Ibid, 442. 70 dere panteisticamente l' Idea colla Metessi e l' Ente coll'esi stente. T. Tale distinzione de' due intelligibili, alla quale confesso di non aver postaattenzione, non vale a salvarvi dalle contraddi zioni accennate; poichè l'essere relativo, quantunque sia intelli gibile, pure non s'intende solo da sè e per se stesso , ma per la sua relazione coll'intelligibile assoluto; in modoche, se vogliasi prescindere da siffatta relazioneeconsiderarlo isolatamente, esso rimane ecclissato innanzi all' intelletto,come il pianeta che non riceva più la lucedel sole; quindi restringendosi il pensiero in un gruppodi relazioniideali del tutto relative e contingenti, co meavviene nel raziocinioempirico, egli nulla ne intende e non può essere convinto della loro verità (1). A. Il gruppo delle relazionimetessiche voi lo chiamate gruppo di relazioni ideali, e cosi la confusione de'vocaboli nasce dalla confusione dei concetti. Poi chi vi hadetto maiche,ammetten dosi il raziocinio metessico, verrebbesi a isolare l'intelligibile relativo dall' assoluto intelligibile ? Non alteriamo la quistione , professore. Voi nel corso impugnando la possibilità del razioci nio contingente avete ragionato aquesto modo: nel raziocinio la relazione chepassa tra le premesse e laconseguenza dee esser sempre una relazione necessaria; ma unarelazione necessaria è impossibile fra tre giudizi egualmente contingenti; ergo, eccete ra. Pervoi stesso adunque la controversia non cade sulla rela zione esterna percui un raziocinio contingente possa appiccarsi coll' Assoluto, ma cade précisamente su quella relazione interna del raziocinio per la qualelaconseguenza si lega ed emergedalle premesse. Tal è il punto della lite che voinon dovete imbro gliare, scambiando quelle due relazioni cosi distinte e tanto di verse fra loro. Partendo dal principio che la relazione interna di ogni raziocinio debba esser sempre necessaria, voidovevate na turalmente conchiudere all' impossibilitàdel raziocinio contin (1) lbid. -- 71 gente; non vi accorgeste che làstavaproprio la quistione, eioè a vedere se la interna relazione di ogni raziocinio debba essere e sia sempre necessaria. Ora io portailacontroversia su quello che voi supponevate ingenuamente comeassiomatico, e vi dissi: no , professore , voi nondite mica bene e bisogna distinguere. La relazione , che corre nel raziocinio tra le premesse ela conse guenza, è sempre relazione logica manon è sempre relazione necessaria ; giacchè il logico è l' intelligibile , e vi sono due in telligibili , l'uno necessario e l'altro relativo, e quindi vi sono due sorta di relazioni logiche corrispondenti. Se c'è la relazione logica contingente, il raziocinio contingente diventa innegabile, appunto perchè ilraziocinio consiste nella relazione logica, e la natura dell'uno è essenzialmente la stessa natura dell'altra. Non volete questo? e allora voi dovete di necessità riuscire ad uno de'tre assurdi seguenti: cioè o negare che l'esistenza sia intel ligibile e mettervi con Rosmini e Padre Milone, o confondere la metessi coll'Idea e dichiararvi panteista , ovvero riconoscere la metessi e distinguerla dall'Idea , ma poi negare che la prima si svolge sotto la forma del raziocinio e stabilireun nuovo genere di sciocchezza in filosofia. T. Ma non è affatto necessariodi negare lo sviluppo dell' esi stenza sotto la forma del raziocinio, quandonegasi la possibilitá del raziocinio empirico; poichè lo sviluppo dell'esistenza, quale che egli siasi, ha sempre per fondamento e per causa prima ed *immanente l'azione dell'Ente su di essa, che è un'azione causale e creatrice; quindi non è possibile nè intelligibile senza soggia cere al suo rapporto con lacausa assoluta. Orquesto rapporto è necessario, sebbene relativamente, atteso la contingenza di un suo termine; dunque allora che l'esistenza si sviluppa sotto la forma del raziocinio, lo fa sempre in virtù del suo legame col l'Ente, e il suo raziocinio sussiste solo per siffatto legame. Come dunque sarebbe tutto empirico (1)? (1) Campo,443. 72 A. Vi faccio lemie più sincere congratulazioni, professore , e vi rinnovo tutt'i sensi della mia servitů ed amicizia. T. Che vuol dirtutto questo? A. Che voi ammettete alla fineil raziociniocontingente,enon vi rimane che liberarvida un ultimo e piccolissimo equivoco. T. Da senno? A. Altro! Voi prima rifiutevate assolutamente il raziocinio contingente ometessico sull'impossibilità di ammettere una re lazione necessaria fra tre giudizi egualmente contingenti : tal è netta netta la vostra dottrina nel Corso Elementare. Adesso poi non aveteconfessato chel'esistenza si sviluppa sotto la formadel raziocinio? T. Si , ma apatto che l'esistenza, sviluppandosi sotto la for madel raziocinio, soggiacciaal suo necessariolegamecoll'Ente. A. E questo è l'equivocodi cui vi parlava. Ditemi: quando voi vimettete a studio, a pranzo,aletto o ad altra faccendaqua lunque, credete di operare necessariamente o liberamente? T. Liberamente. A. Enonvipareche l'anima vostra, nell' atto che opera cosi liberamente da un lato, stia dall'altro continuamente sottoposta al necessario rapporto coll'Assoluto per via di creazione ? T. Lo tengo anzi per certo. A. Tanto meglio! Ordunquecome l'esser sottoposta al ne cessario legame coll'Assoluto non toglie all'anima vostra ' ope rare liberamente in se stessa ; cosi l'esser legatocontinuamente e necessariamente coll' Ente non toglie all' universo di essere contingente in se medesimo e peròdi svolgersiin forma di ra ziocini affatto contingenti. Voi avete spostata puerilmentelaqui stione ; giacchè nontrattasi di sapere se laMetessi possa sussi stere e svilupparsi isolatamentedal suo Creatore , ma piuttosto se ella sia in se stessa un intelligibile relativo e contingente , e se questo sviluppisi con le regoleesotto le forme delsillogis mo. Vi siete o no capacitato? T. Se nelraziociniocontingente ilrapporto è contingente, con 73 qualdritto voi ritenete la veritàdel terzo giudizio ( conseguen za), potendo questoesser falso,malgrado laveritàde'due primi, siccome richiede la contingenza del lororapporto?Giòvarrebbe quanto riconoscere il casoper leggeche governi lo sviluppo in teriore dell'umana ragione (1). A. Ritengo la verità del terzo giudizioperla sempliceragione che essoerumpe logicamenteda'due primi; c'è il rapportodella vera generazionelogica, e voi parlate del caso! In questo sillo gismo : la colpa rese mortalitutti gli uomini nel padre Adamo; Tizio è figliodel padre Adamo; ergo Tizio è egli pure mortale , noncredeteche tra la conseguenzae le premesse vi sia verare lazione logica , e che appunto per ciò debba ritenersi la verità del terzo giudizio ? T. Ah! maqui si supponeilprincipiodella solidarietà morale degli uomini , fondato nell' unità della specie enel rapporto di essa con gl'individui; quindi partecipadella necessità relativa di untal rapporto, e per la sua necessità regge l'allegato razio cinio(2). A. Laspecie umanae isuoi individui non sono presi nel ci tatoesempio comedue realtàcreate e quindicontingenti ? T. Lo consento. A. Il loro rapportodunquenon puòesserechedelpari contin gente, standoregistratonel vostro Corso che ogni rapportodee partecipare della natura de'suoi termini. T. Io per contingenza intendeva il caso , il puramente arbi trario. A. Echevolete cheiovi faccia! La linguanon può parlar pro priamentequando latesta pigliale cose a rovescio e di traverso. Per noi altri contingenza esprime sommariamentel'essenza stes sadel mondo, dell' universo,ossiadi tutto quelloche contingit perviadi creazione. Indica quel medesimo che ci viene signifi (1) Campo, 446. (2) Jbid:, 447. -74 cato dalla voce existentia , meno la particella iniziale, per cui questovocabolo non soloesprime ilporsidel reale relativo, ma eziandio che questarealtà sipone pervirtù di un altro e non da se stessa: onde existentia,quasi entia, quae sistunt ex alio.Re lazioni e raziocini contingenti non sonodunque raziocini e re lazioni casuali o arbitrari; giacchè la contingenza, intelligibil mente considerata, è la Metessi , uncomplesso o un ordinedi relazioni logiche, onde il Cosmo è l'immagine e simiglianza viva dell' Idea e l' Universo l' animato simulacro di Dio. T. Siano qualunque i miei errori sul negozio del raziocinio, io posso calorosamente respingere l'accusa di panteismo , che vi siete permessolanciarmi nel vostro libro. A. Non intesi però farvene una colpa,sapendo checi sonode gli errori innocenti, come vene sono de' maliziosi. T. Lavostra condizione è dunque in coscienza peggior del lamia. A. Menedorrei amaramente se fosse vero. T. Udite: Il gravissimo rischio onde voimi minacciate , cioè quello di flagellarmila testacontro ' Hegelismo , è tutto chiuso nelle viscere delle vostre teoriche. Infatti parlando de' vari mo menti del processo eduttivo notati dal Gioberti voi avete soste nuto che «l'Idea si trasforma apparentemente nelle idee le quali sonparallele, cioètutte necessarie ed assolute;e la loro trasfor mazione e moltiplicazione è apparente e subbiettiva, è un' illu sione logica che lo spiritodee superare per diventar filosofo; e la verità della scienza sta nel momento dell'identità. Questa iden tità è virtuale nell'intuito che apprende tutto in potenza ed in determinatissimamente, e diviene reale ed attuale nella riflessio ne, chedopoaver moltiplicate trasformateecontrapposte le idee le riduce finalmente e le immedesima tutte assolutamente nel l' assoluta unità dell' Idea ». Ebbene, a me pare che qui respiri Hegel in anima e corpo e siasi in grembodel panteismo ideale , malgrado i correttivi che vi si aggiungono,tolti dalla teorica della creazione ortodossa. Imperocchè l'obbietto della cognizio -- 75 ne son le idee, equeste si convertono congl'intelligibili, di cui seguono la natura e la distinzione; or ' identitàassoluta delle idee sta sempre ferma nella vostra dottrina, e la loro moltipli cità e differenza èuna vera illusione che formasine' primi mo menti della riflessione e svaniscedel tutto nell'ultimo (momento) per dar luogo all'assoluta identità nell' unità assoluta dell' Idea, ed allora sicostituisce la verità della scienza; dunque taldottri na è nèpiùnè meno dell' Hegelismo, ilquale muove appunto dall' identità potenziale ed implicatadell' Idea che per opera del la riflessione si trasforma e moltiplica,si contrappone a se stes sa e produce una varietà infinita di idee che tutte in fine si ri-. solvono per riprodurre l' Idea nella sua assoluta ed attuale u nità (1). A.Non ci vedete nessundivariotra il processo moltiplicativo e risolutivo di Hegel e il mio? T. Comepotreivedervelo se non cen'ènessuno. Voi sapete cha le idee si convertono con gl'intelligibili; ora fermato una volta il principio, che tutti gl' intelligibili, in quanto sonmolte plici e diversi, non abbiano alcuna reale ed intrinseca consisten za e debban risolversi nell' assoluta identità dell'Intelligibile as soluto , è giocoforza il mantenere che l'atto creativo , lo spirito umanoe tutte le sostanze create, che son certamente degl'intel ligibili relativi, soggiacciano alla sorte medesima, contentandosi di una esistenza fenomenica e passaggera destinata a cadere nel seno del nulla(2). A. Quando dite che le ideesi convertono con gl'intelligibili non vi pare che debba farsi qualche distinzione? T. Amenonpare, altrimenti l'avrei scritto. A. Io credo chegl' intelligibilianche secondo voi siano distin ti in assoluti e relativi, increati e creati. T. S' intende. (1) Campo,445. (2)Ibid. -76 A. Ricordo pureche nel Corso Elementare aveterespinta la dottrina, che fa delle idee altrettanteforme soggettive dello spi rito umano; e, se non erro, l' avete respinta perquesta ragione principalissima che,poste le ideecome soggettive,elle sarebbero relative e contingenti e non più necessarie ed assolute. T. Amaraviglia. A. Ordunque leidee,essendoassolute e necessarie, possono edebbonobensi convertirsi cogl' intelligibili assoluti , ma non già convertirsi ancora cogl'intelligibili relativi e creati che diffe riscono tantoda esse idee, quanto iporci di S. Antonio, p. e. , differiscono dal Logo platonico odal Verbodi S. Giovanni. Per ciò quandodite che io, risolvendo dialetticamente le idee nel l'assoluta unità dell' Idea, son costretto per questo stesso a ri solvervi con Hegel eziandio ' animo umano e tutte le sostanze create, voi commetteteuno spropositocosi enorme e grossolano darendervi benevola percompassione la critica più astiosa e in correggibiledel mondo. Nèquivi è lecito addurre scusa di sorta, perchè su questotemaho parlato chiaro abbastanza e nonho lasciato a nessuno ilpermesso di frantendermi. Se infatti mel permettete, io vi leggerò un passaggio dell'operamia dove con tro Hegel e gli hegeliani ho stabilito: 1° che bisognava distin guere il molteplice idealeed apparentedelle ideedal molteplice reale e sostanziale delle esistenze; 2º che il primo enon il secon do molteplice è quello che dee risolversi nell' assoluta unitàe identità dell' Idea. T. Leggete. A. « Lamoltiplicità delle categorie ideali ha la stessa origine della moltiplicità delle idee, e questa origine è l'atto creativo, co mesièdetto. Comel'atto creativo divide l' Idea in idee, cosi divide la Categoria in categorie, e nei duecasidivide edunisce: ecco ildialettismo delle ideeocategorie ideali.Lecategorie ideali non appartengono adunque alla sferadell'Ente, maalla sfera del ' atto creativo. In quanto appartengono alla sferadell'Entenon sono ideee categorie ideali , ma sono l'Ideae la Categoria. II - 77 passaggio dall' Ente all'atto creativo è il passaggio dall' unită alla moltiplicità ideale, dall' Idea alle idee ,dalla Categoria alle categorie. Ilpassaggio poi dall'atto creativo all'Ente è il passag giodalla moltiplicità all'unità ideale, dalle idee all' Idea e dalle categorie alla Categoria. Ilmoltiplicedelle idee edelle categorie ideali è un moltiplice razionalmente reale di sotto all'Ente, cioè nell' atto creativo; sopra l'atto creativo o nell' Ente tale molti plice scomparisce assolutamente e dà luogoall'infinita unità del l'Idea. Le idee o categorie ideali sono la dissoluzione dell' Idea e della Categoria, e l'Idea e la Categoria sono la risoluzione delle idee o categorie ideali. Mediante la creazione l'Idea si discioglie in idee,discendendo;e mediante la stessa creazione, ascendendo, le idee si risolvononell'Idea. Èdunque vero quello chediconogli hegeliani, come Spaventa, che cioè ' Idea è il risultato del pro cesso risolutivo; ma l'Idea è il risultato del processo risolutivo, perchè èil principio del processo dissolutivo. E la condizione dell' Idea, come risultato e come principio, è identica e diversa, secondo i rispetti. Èdiversa per la nostra mente , subbietti vamente ; poiché ,come risultato , ' Idea ci apparisce come determinata mediatamente equindi riftessivamente; laddove , come principio , essaci apparisce come indeterminata e quin di immediatamente e intuitivamente. L'Idea, come principio del processo dissolutivo ( creazione protologica ) , è oggetto dell' intuito iniziale o genesiaco ; ora innanzi a questo intuito l'Idea apparisce come indeterminata ed immediatamente, cioè senza la mediazione delle idee. L' Idea poi, come risultatodel processo risolutivo (creazione teleologica ), è oggetto dell' in tuito finale o palingenesiaco; ora innanzi a questo intuito l'Idea apparisce come determinata edeterminata mediante l'anteriore mediazione superata delle idee,cioè del moltiplice ideale. Ma qui ' Idea, come principio ecome risultato,ha posizione o con dizione diversa soltanto a rispetto nostro e nella nostra cogni zione ; poichè in se medesima l' Idea è sempre la stessa come principio ecomerisultato.La ragione si è che ' Idea, essendo 78 infinita, non ammette processo, opiuttosto ammette processo, ma questo processo è infinito e quindi è un processo infinita mente estemporaneo. Processo infinitamente estemporaneo non è una serie di attiche si succedono e si risolvono gli uni negli altri, gli anteriori nei susseguenti e tutti poi inun atto ultimo che sia l'ultimo risultatodi tutto il processo risolutivo. Questo mododi concepire il processo veramente infinito è falso e antro pomorfitico di sua natura; rende impossibile esso processo infi nito e lo riduce alle ragionidel finito o al più dell' indefinito. Il processo veramente infinito, essendo infinitamente estempora neo, ètale che il principio e ilrisultato,la potenza e l'atto, l'in determinato e il determinato, questi termini non vengono gli uni dopo gli altri,ma gli uni sonogli altri immediatamente, cioè sono identici. In se stessa l' Idea nonsidistingue inprincipio e risultato; perchè tale distinzione implicadi necessità la media zione del processo successivo o finito e questo processo ha luogo bensì fuori l'Idea, cioè nella natura e nel nostro spirito, ma nonha luogonell' Idea e dentro l' Idea. Qui il processo è estem poraneità infinita, e perciò non è mediazione fra il terminea quo e il termine ad quem, altrimenti nonsarebbe più processo infinito, ma piuttosto indefinito o sia finito. Ma ' Idea, che in ⚫se stessa è sempre identica a se medesima, a rispetto nostro pi glia posizioni diverse a causa delle diverse posizioni in cui si 6 trova la mente di chi la contempla. Ele diverse posizioni del l'animo contemplante si riducono a trefasi diverse per cui tra scorre la nostra cognizione dell' Idea , cioè ' intuito iniziale o genesiaco , la riflessione tellurica e l'intuito finale o palinge nesiaco. Al primo intuito l' Idea apparisce come una ed im mediata indeterminatamente; alla riflessione apparisce come mediata e molteplice, e al secondo intuito come una ed imme diata ma determinatamente, benchè sempre secondo lanatura dello spirito umano. Ho detto che nel secondo intuito l'Idea è ancheimmediata come nel primo; ma l' immediatezza del secon do intuito è precedutadalla mediazione del processo riflessivo, 79 il che nonaccadeal primo. Sipuò ben dire che l'immediatezza dell' intuito palingenesiaco è il risultato della mediazione rifles siva della cognizione tellurica; è essa mediazione risoluta, ne gata, superata. Ora la risoluzione della riflessione tellurica in intuito palingenesiaco è la stessa risoluzione delle idee nell' I dea, edelle categorie ideali nella Categoria; e questa risoluzione nonfa male alle idee, allecategorie che si risolvono; poiché le idee e categorie ideali, come molte, sono apparenze, larve ideali ⚫eniente altro. L'errore degliegeliani è di trasportare il processo risolutivo dal moltiplice ideale al moltiplice reale delle esistenze edire che ilsecondo moltiplice dee, come ilprimo, risolversi e negarsi nell' assoluto; tanto che l'assoluto sarebbe qui il risul tato del moltiplice degli esistenti risolutie negati , come tali, nell' unità infinita e concreta dell' Ente (Spirito assoluto). Tal errore si fonda sul presupposto, che le esistenze non sono so stanzialmente distinte dall' Idea, ma sono l'altro formale sempli cemente dell' Idea; sono ' Idea stessa che si media, ponendo il suo altro. Ecco che Spaventa non sa vedere che due cose sola mente, Idea e sensibile; di modo che il sensibile qui è forma, mediazione dell' Idea; orail sensibile è fenomeno, semplice ap parenza, e perciò esso deve risolversi e negarsi e riuscire al l' Idea ond' era emerso. Mail vero si è che il sensibile è forma, nondell'Idea, bensi della metessi tramezzante fra l' Idea e il sen sibile; perciò la risoluzione e trasformazione del sensibile non då per risultato ' Idea ma la metessi pura,non lo spirito asso luto malo spirito relativo. Il sensibile è il fenomeno della me tessi , come le idee sono il fenomeno dell'Idea a nostro riguardo. Dico a nostro riguardo; perchè le idee sono l' Idea stessa spar pagliata e dispersa non in se ma fuor di sè, cioè nella nostra mente riflessiva; laddove il sensibile è la metessi complicata realmente in se medesima. Postaquesta clausola sipuò dire con verità che per arrivare alla pura scienza debbono prima supe rarsi due fenomenologie,lafenomenologia delle idee e quella dei sensibili. Superare la fenomenologia delle idee vuol dire risolve 80 ree negarele idee perarrivare all Idea; ma qui il processo ri solutivo e negativo delle idee è un processo tutto subbiettivo, ė nella nostra mente e nonnell' Idea. Ecco perchè le categorie ideali, comemolte,sonoa tempo, sono una vera transazione. Nei due intuiti avvi una sola categoria ideale e questa è ' Idea, laquale, in quanto è oggetto dell' intuizione palingenesiaca, è veramente il risultato delle varie categorie ideali risolute e su perate. Ma nella riflessione le idee e categorie ideali sono molte, e perciò la riflessione dee solo accordarle, dialettizzarle, catego rizzarle. Il processo panteistico degli egeliani è verissimo, ma applicato, non all' Idea intrinsecamente e in se stessa, ma al ' Idea estrinsecamente e nellacognizione nostra. E perchè non ancora intrinsecamente ? Perchè l' Idea è in sè infinito atto, e perciò in sè è già infinitamenteproceduta. Tutte le quistioni fra noi e gli egelianisi concentrano inuna sola quistione, che è quella dell' Intinito, come vedremo. L' altra fenomenologia da superare è quella dei sensibili; ma qui ilrisultato interno del processo risolutivo non è l' Idea (Spirito assoluto), ma è la me tessi (Spirito relativo). Il processo egeliano è profondamente vero, applicato alla metessi; ma anche qui glihegeliani incorro no nello stesso errore di Bruno e Spinoza, cioè nell' erroredel l'identità della sostanza. L' Hegelismo è lo Spinozismo perfe zionato colla dottrina del processo, del divenire, colla dottrina dello spiritualismo assoluto. E intutto questo il vero precur sore diHegel fuGiordano Bruno alterato e peggiorato diver samente dall'Hegel e dallo Spinoza. In Bruno Dio è distinto so stanzialmente dall' universo : Dio è l'infinitamente infinito e l'universo l'infinito finitamente. L'universo è una sostanza unica e gl' individuali, il molteplice dell' universo è un' appa renza. Spinoza peggioraBruno doppiamente, cioè rigettando la dualità sostanzialedi Dio e dell' universo, e togliendo o almeno rimpiccolendo quel moto,quel processo che Bruno vede chia ramente nella sostanza universale.Hegel poi perfeziona Bruno, riducendo a sistema profondo il processo dell' universo, ma lo -- 81 guasta nel mescolare insieme l' universo eDio distinti espressa mente dal Nolano. Gioberti, discordando in tuttoda Spinoza, si accorda con Hegel quanto alla teoria del divenire applicata al l' esistente; si accorda con Bruno quanto alladualità sostanziale di Dio e dell' universo; ma poi discordada entrambi in questo cheammette la sostanzialità del molteplicenell'universo negata da quelli. Onde perGioberti ilrisultato finale e interiore del pro cesso cosmico non è l'identitàdellasostanza universale di Bruno e nè lo spirito assoluto di Hegel, ma è la Metessi pura, cioè la moltiplicità sostanziale degli esistenti passati dallo stato di mi mesi e di discordia alla condizione dipura melessi e di perfetta armonia. Ciò cheèrisoluto e superato non è qui il molliplice sostanziale, ma ilmoltiplice come sensibile solamente. L'errore di tutt' i panteisti antichi e moderni consiste nel negare la so stanzialità metessica dell' esistente distinta essenzialmente dal I' Ente; errore che nascedinecessitàdall' ignoranza odal ripu dio dell' atto creativo (1) ». Ora chieggo a voi, professor Tosca no, se si possono altrimenti e meglio determinare le sottili e profonde differenze, che corrono tra ' Hegelismo e la filosofia ortodossa intorno al tema che stiamo trattando. T. Ad onor del vero debbo dichiararviche il passo citato, sfuggito non so come alla mia attenzione, mi dàda pensare as sai sul problema indiscorso; intanto qui su due piedi non veg go ancora perchè la risoluzione delle idee non debba trar seco anche la risoluzione delle esistenze nell'assoluta unità dell'Idea. A. Ciò accadeperchè la necessitadialettica, che spinge le idee a risolversi nell'Idea, non ha più luogo rispetto alle esistenze che subiscono una legge affatto contraria. Ascoltate e conside rate: l'Idea, la quale è assolutamente una in sè, entrando nel pensiero riflessivo vi si moltiplica razionalmente e diventa molte idee, e però sparisce come una; ne siegue dunque che lo spiri to non possa arrivare alla cognizione scientifica dell' Idea una 1) V. la mia Istit. pag. 90 e seg. 6 82 senza prima trasformare dialetticamente le idee molte, leune nelle altre e poi tutte nell'assoluta identità loro, ch'è l'Idea co metale. Laconoscenza delle idee molte è certo via ed apparec chio aquella dell'Idea una, manon è ancora laconoscenza stes sa dell'Idea una; giacchè essendo l'Idea assolutamente una in sẻ, non potrà mai dirsi di conoscerla davvero finchè non si sa rà arrivato a conoscerla come una. Ora è impossibile di rag giungere mentalmente l'Idea nella sua unità superiore senza prima passare per le idee,risolverle dialetticamente e come af fondarle in quella unità e disperdervele. In questo senso è ben giusto il dire che l' Idea una negli ordinidel pensiero è il risul tato della trasformazione dialettica delle idee molte, come que ste erano già state il prodotto di quella dell'Idea una. Una vol ta l'ldea una, passando dall'intuito iniziale alla riflessione, tra sformavasi inmolte idee e cosi spariva comeuna; e un'altra volta le idee molte, trapassando dalla riflessione all'intuito fina le, si trasformano nell'Idea una e cosi spariscono comemolte. Sono idue cicli logici e dialettici non dell'Idea in sè (quante volte debbo ripeterlo?), ma dell' Idea nel nostro pensiero, nella scienza nostra. Passando dall'intuizione originaria alla riflessio ne l'Idea si moltiplica necessariamente in idee; poichè essendo lariflessione un pensiero affatto moltiplice, egli è impossibile che l'Idea possa apparirle come unae noncome moltiplicata. Ma poi da un lato la conoscenza delle idee non è ancora la co noscenza stessa dell'Idea, e dall'altro la prima conoscenzadi ne cessità spinge alla seconda ; perocchè il concetto del Moltiplice e del Diverso è esso medesimo il bisogno necessario del concet to dell'Uno e dell'Identico. Ora questo secondopassaggio corre in senso opposto al primo; perché se nel primo trasformavansi ad un atto, l'intuito iniziale-in riffessione e l'Idea in idee, ades so all'incontro si trasformano insieme, la riflessione in intuito finale e le idee nell'Idea. Nei due casi la trasformazione logica dell' Idea in idee e poi delle idee nell'Idea accompagna ed anzi è la stessa trasformazione piscologica dell'intuito genesiaco in 83 riflessione e poi della riflessione nell'intuito palingenesiaco. La quale necessità dialettica, che genera quella trasformazione e controtrasformazione ideale negli ordini subbiettivi del pensie ro, non può e non dee applicarsial molteplice delle realtà crea te, come voi vorreste pretendere. La ragione siè che questo molteplice non è. comequellodelle idee, un fenomeno logico e tutto chiuso nei terminidel pensiero, maè invece un fatto realissimo di là del nostro pensiero, e quindi estraneo egual mente alle sorti del fenomeno e del pensiero subbiettivo. La moltitudine delle ideedee risolversi nell'Idea: 1º perchè le idee sono fenomeni logici, larve dell'Idea nella nostra riflessione; 2° perchè se lo spirito nonrisolvesse e superasse le idee, non po trebbe mai elevarsi alla cognizione dell'Idea in se medesima, e cosi lameta ecompimentodel sapere foraimpossibile. All' in contro lamoltitudine delle sostanze create non dee risolversi nel l'unità dell'Idea: 1º perchè queste sono sostanze e non fenomeni logici; 2º perché, per giungere alla cognizione dell' Idea nella sua unità assoluta, non è mica mestieri adunarvie tuffarvi den tro esse realtà create, le quali col loro naufragio non fondereb bero quella unità assoluta ma piuttostola renderebbero impos sibile assolutamente. T. Voi volete direin fondo chenonper altrole esistenze sono dispensate a risolversi nell'Idea, che solo perchè le prime vanno essenzialmente distinte dalla seconda ; ora da una parte taldi stinzione consiste nell'atto creativo, e dall'altra il concetto della creazione mi pare inconciliabile colla vostra dottrina dell' Idea. A. In che modo? T. Voi stesso avetedetto che il processo hegeliano deldiveni re , che certamente è processo panteistico e quindi affatto ripu gnante al principio della creazione ortodossa , emerge necessa riamente da questo che Hegel piglia in principio ' Idea come as solutamente indeterminata ed indifferente: o voi vorreste per avventura smentirvi su questo punto ? A. Non c'è ragione. 84 T. Ebbene, la stessa idea non la considerate anche voi come assolutamente indifferente e indeterminata la prima volta che s' affaccia al nostro pensiero ? A. Andate a leggere il Capitolo dell' Idea nel mio libro e vi troverete la risposta. T. L'ho già letto. A.Emi fatequella obbiezione ! T. Tornerò dunque a leggerlo per meglio assicurarmi. A. Aquesto proposito vi consigliereidi rileggere e ben com prendere tuttoil mio libro,comeio hoben letto eben compreso il vostro; giacché dal detto sinora rilevasi abbastanza chedelle infinite contraddizioni , che pur avete creduto di scorgervi, non avvene una sola la quale non sia nata nel vostro capo e poi de positata paternamente sulle povere pagine dell' opera mia. E debbo insistereadarvi quel consiglioperdue altre ragioni: l'una, cheiononpotrei più battermicondecorocon unuomo chenon conoscesse e straziasse le mie dottrine; l'altra , che noi ci appre stiamo a battagliedifficili e pericolose, doveper onore dello stes so avversario conviene che ciascuno intervenga munito di buo ne armi eperitissimo nell'arte del bersaglio, come richiede quel gran Cittadino e gran Guerrieroche sapete. T. Farò di ubbidirvi e abbiate fede nella mia parola ! A. Lo spero pervostro e mio vantaggio. T. Addio. A. Arivederci
Monday, August 18, 2025
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