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Sunday, August 17, 2025

GRICE E TILGHER

 ■W>"<i^iV""*M mmmmwmtm ^PP<IP«*M"«nMpHM||pfBW"li* ri49.9 T456 Tilgher, Adriano, 1887- 1941. Teoria del pr^gmatiBino trascendentale, dot- trina della oonoscensa e della volontà « Milano, Bocca, 1915* ▼ , 384 p. 2a|- ora. Nota bibliografica, pref . p. ^7-| '. Restrictions on Use: u TECHNICAL MICROFORM DATA FILM SIZE: 3T ^M REDUCTION RATIO:__ZU£:. IMAGE PLACEMENT: lA ® IB IIB DATE FILMED:____:zy^i^ INITIALS__:5,72^ HLMEDBY: RESEARCH PUBLICATIONS. INC WOODBRIDGE. CT »A h ■■■H Assocìation for Information and Image Management 1100 WayneAvenue, Suite 1100 Silver Spring. Maryland 20910 301/587-8202 h Centimeter 12 3 4 nmiiinMiiiniiiiiiiiiiliiiiliiiiliiiiliiiiiiiii T I I i 6 7 8 iliiiiliiiiliiiiliiiil 1 Inches I I I I i TI 9 10 11 iluiuiiliillljiU^^ TTTTT 12 13 14 15 mm lllllllllllllllllllllllllllllllllM TTT 1.0 1^ 2.8 y:.c: 3.2 IS |4.o K mi LI. «- ... Il-, 1™„. i™, 1.4 2.5 ?? l.i 2.0 1.8 1.6 1.25 T^T I I MfiNUFPICTURED TO RUM STPNDQRDS BY fiPPLIED IMfiGE- INC. \ \ •>'■? ?>; W£Wi fi^i 236 iboaK ideila ",% '•il» A ili OR '-■".«« f^K^WS^ -^^M K é K 9 ^é » f_ "M- V -' % j ì , . X .Tv* I mW^ HONOR i* V "flLdHER ff PRfl(ÌMflTlSMO |Rfl$CEMDEKMLÉ ««#*-- ..4-.--t^ j-». i*^.» ji-i ■'■■ji . \ /\ <^^ c^ Columbia IHnibersiitp inttjcCitpof^ftogorb LlBRAin This book is due two weeks from the last date stamped below, and if not return ed or r^newed at or before that lime a fine of five cents a day will be incurred. i\<i?':i« M^^^-- 2 ^- %\ /<r,C:'\ :?W#?ft; J<i- ,^' RAGnAlTSnO FR AS griPLrilALL I^SmCUPiT^O ?\CO-à BIBL^ PI 5CIENZL M^PLRNL N^23bn?ATLLU BOCCA LPTIÓRi ADRIANO TILGHER TEORIA DEL DOTTRINA DELLA CONOSCENZA DELLA VOLONTÀ MILANO - Torino - roma FRATELLI BOCCA, EDITORI Dep. Gerì, per la Sicilia : Orazio Fiorenza - Palermo T>ep. per Napoli e T^rovinda : Società editrice « Dante Alighieri « (Albrighi Segali e C.) — Napoli 1915 \ 'ìllili'^^ tml. '''"1 f • 1 ^ / /' ,r f ._ 1 RECANATl. PREM. STAB. TIP. RINALDO SIMBOU PREFAZIONE Questo volume si propone di esporre e difendere una nuova concezione del mondo e della vita, che in esso è chiamata col nome di pragmatismo Ira- scendentale. Secondo il pragmatismo trascendentale, /' essere è nient* altro che la sensazione, V immagine, la rappresentazione qualificata esistente da un atto as- solutamente libero ed incondizionato dello spirito umano; è nient* altro che il giudizio esistenziale, la conoscenza, il sapere, la scienza ; sì cht per esso tra essere e conoscere v' è coincidenza piena e completa (idealismo assoluto). JWa per il pragmatismo trascendentale il cono- scere, il sapere, la scienza, e quindi l' essere, che con essa fa tutC una cosa, non è un dato ultimo e ine- splicabile, ma ha il suo principio, la sua ragione, la sua condizione fuori di se, nelV atto con cui lo spirito si pone come astrazione assoluta da ogni dato empirico, come volere puro non legato a nessuna immagine contingente e particolare, come dovere che non è, ma dev* essere, e che si pone nelV essere con un atto di assoluta autoposizione ed autoaffermazione, *Per esso, la scienza non è principio a se stessa, bensì ha il suo principio nel volere (pragmatismo), non già nel volere empirico, immediato, utilitario (pragmatismo volgare), ma nel volere puro o dovere morale (pragmatismo trascendentale). IV PREFAZIONE ^er questa ma soltanto V autore crede possibile conciliare dialetticamente i dissidii e le antinomie di essere e conoscere, di reale e ideale, di natura e spirito, di esperienza e metafisica, di storia e filosofia, di necessità e libertà, di scienza e moralità, dissidii ed antinomie che tormentarono sempre, ed ancor oggi tormentano, il pensiero filosofico, ansioso di con- quisiare Vanità intima e profonda delle cose, di giungere a quella radice ascosa, in cui posano e da cui, insieme, germinano tutte le opposizioni, enunciando e difendendo la tesi del pragmatismo trascendentale. T autore ha inteso innestare sul tronco illustre Je//* idealismo trascendentale, che va da Kant ad Hegel, e che tende con sforzo sublime e chiaramente consapevole di pensiero a risolvere V essere nel conoscere, il verde ramo della filosofia contem- poranea, che per molteplici oie, e spesso senza averne chiara coscienza, tende a dedurre il conoscere dal volere. Il lettore giudicherà se questo tentativo di sintesi, storica e filosofica insieme, sia felicemente riuscito all'autore del libro. SBenchè scritti in tempi e luoghi diversi, pwe i saggi raccolti in questo volume mirano tutti, diret- tamente o indirettamente, a dimostrare la tesi che abbiamo chiamata del pragmatismo trascendentale. tesi che, naturalmente, raggiunge la sua più chiara e conscia e matura espressione nei saggi di più recente fattura, che sono gli ultimi due, specialmente nel penultimo, che dà titolo al volume. L attento lettore troverà, dunque, diversità tra i varii saggi del volume, diversità che, peraltro, non sono quelle di un pensiero, che oscilli indeciso tra varie posizioni ideali, senza decidersi risolutamente PREFAZIONE ne per V una, ne per V altra di esse, bensì quelle di un pensiero, che approfondisce sempre maggior- mente il punto di vista nel quale si è collocato, e che, pure sforzandosi di non perdere nulla delle conquiste fatte precedentemente, cerca continuamente di risolverle e superarle come momenti in sintesi sempre più profonde e comprensive. U^on, dunque, per ripetere la frase stupenda del Fichte (Die Anweisung zum seligen Leben, Vorrede), la veduta filosofica, esposta nei saggi raccolti in questo volume, è essa stessa ondata mutan- do, sebbene, certo, essa abbia mutato qualche cosa neir autore di questo libro, distruggendo in lui (man mano che veniva sempre maggiormente approfondendo e conquistando se stessa) tutto ciò che poteva opporsi al perfetto possesso ed alla piena comprensione di essa. Pubblicando questo libro, l'autore non ha l'assur- da pretesa di aver detto F ultima parola in filosofia, né per gli altri, ne, tanto meno, per se stesso. Jl^a poiché non manca oggi in Italia qualcuno insensato abbastanza per coltivare sul serio sì sciocca pretesa, sarà bene ch'egli legga e mediti con attenzione le seguenti auree parole dell'immortale Federico Gu- glielmo Schelling, con le quali mi piace por fine alla breve prefazione : " L' autore non ha mai voluto, col fondare una setta, privare gli altri, meno che mai se stesso, di quella libertà di ricerca, nella quale si è dichiarato e si dichiarerà tempre compreso ^ (Philo- sophische Untersuchungen iiber das Wesen der menschlichen Freiheit, SW, VII, p. 410, n). *1loma, 31 gennaio 1915 Adriano Tilgher ^ NOTA BIBLIOGRAFICA Degli scritti che fan parte del presente volume, i Lineamenti di estetica e di logica furono pubblicati, col titolo di Lineamenti di estetica, ne La thCuova Cultura (Torino, Bocca), anno I, nn. 2-3 (febbraio e marzo I913i; la Teoria della critica d'arte, ibid., n. 8 (agosto 1913); Spirito e ^f^iCateria. solto forma di recensione, ibid.. n. 7 i luglio 1913.; Deduzione della Legge e del 'Diritto, ibid.. n. IO (ottobre 191 3ì; Senso e Intelletto, sotto forma di re- censione, ibid.. n. 5 i maggio 1913). Immagine e sentimento nel- V opera d' arte fu pubblicato nella Ttivista di Filosofia (Genova. Formiggini). anno V, nn. 2-3 «aprile-agosto 1913). L' Analisi dei concetti di delitto e di pena fu pubblicata in // Rinnovamento (Milano), anno IH, n. 3 (maggio-giugno 1909). La Volontà e le Passioni fu pubblicato, col titolo La Volontà è il Bene, ne La Cultura (Roma- Bari, Laterza), anno XXXI, n. 14 (15 luglio 1912). Etica e Gnoseologia risulta dalla fusione e rielaborazione di tre scritti, dei quali il primo, col titolo Lineamenti di Etica, fu pub- blicalo nella "Hivista di Filosofia, anno VI, n. I (gennaio-febbraio 1914); il secondo, col titolo // concetto della storia e della cono- scenza neir idealismo italiano contemporaneo, fu pubblicato in // Conciliatore (Torino, Bocca), anno !, n. I (gennaio -marzo 1914); il terzo, col titolo // problema della conoscenza nelle varie direzioni della filosofia contemporanea, ibid.. n. 2 (aprile-giugno 1914). Il Discorso sul metodo e sul cominciamento della filosofia fu pubbli- cato, sotto forma di recensione, in // Conciliatore, anno l, nn. 3-4 luglio-dicembre 191 4 1. Tutti questi saggi sono stati rimaneggiali e ritoccati nella forma per la ristampa, ma non sostanzialmente modi- ficati. I LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 1 . — Che significa la parola " conoscenza y ì Ogni conoscenza è giudizio, cioè connessione di due rappresentazioni, per cui V una è predicata dell* altra o affermativamente o negativamente. — Date due rappresentazioni connesse in un giudizio, sono pos- sibili due casi soltanto : esse sono o eguali o diverse ; 1' una (predicato) o è compresa o non è compresa neir altra (soggetto). Nel primo caso, il giudizio A è B nasce dalla decomposizione della rappresenta- zione data A : per esso si cava fuori da questa ciò che già vi era incluso ; e il giudizio è analitico. Nel secondo caso, il giudizio A è B non nasce dalla decomposizione della rappresentazione A, ma dalla connessione di due rappresentazioni diverse, A e B : e però non è analitico, ma sintetico. Tutti i giudizii sono o analitici o sintetici : i primi non estendono la rappresentazione, ma la chiarificano, poiché deter- minano e distinguono meglio la stessa rappresenta- zione (A); i secondi estendono la rappresentazione, poiché connettono più rappresentazioni, e nel pre- dicato (B) aggiungono al soggetto (A) qualcosa LINEAMENTI DI ESTETICA prima non contenuto nella rappresentazione di questo. Poiché conoscenza vera (o conoscenza, senz' altro) è solo quella che estende la rappresentazione, essa è giudizio sintetico. — Ma non ogni giudizio sinte- tico è conoscenza. Se la connessione di due rap- presentazioni diverse vale soltanto in alcuni casi e per alcuni individui, le manca quella necessità ed universalità, che la vera conoscenza richiede. Il vero giudizio conoscitivo dev* essere non solo sintetico, ma valido in tutti i casi e per tutti gì' individui : esso è, dunque, giudizio sintetico universale e neces- sario (assoluto, o a priori), cioè assoluta unificazione di un molteplice rappresentativo. 2. — Noi ora sappiamo che cosa è conoscenza, ma non sappiamo se vi è conoscenza. Ora, è un {atto che noi conosciamo, che conosciamo qualcosa. La conoscenza di conoscer solo qualcosa è già conoscenza, — Lo scettico può negare di conoscer qualcosa, può dire di non conoscer niente, ma le sue parole sono aperta contraddizione, poiché cono- scere di non conoscer niente è conoscere, è affermare la conoscenza nelP atto di negarla. — Egli può sospendere V assenso, e ne affermare, ne negare resistenza della conoscenza. Ma, ciò facendo, egli si è già posto il problema della conoscenza e le sue possibili soluzioni ; e la sospensione dell' assenso non ha valore per lui. se non in quanto involge in se la consapevole certezza che essa è Y unico partito ragionevole, che egli possa prendere. Lo scettico che sospende V assenso non è al di qua del problema della conoscenza, vi e dentro ; e quella sospensione, E DI LOGICA in quanto è, insieme, affermazione della ragionevolezza di essa, è affermazione della conoscenza. Al di qua del problema della conoscenza è solo la vita muta ed inconsapevole. E la scepsi non è vita muta ed inconsapevole, ma dissolvimento di essa e coscienza di questo dissolvimento. Lo spirito che si propone il problema della conoscenza non può risolverlo che affermativamente. Dunque, v' è conoscenza, vi sono giudizii sintetici a priori. — La conoscenza ci si porge, così, come un fatto, di cui bisogna trovare le condizioni; come un immediato, che si deve mediare. E, veramente, ogni riflessione parte da un fatto per risolverio nelle sue condizioni, ossia in ciò che lo fa ; da un immediato, per discioglierne X im- mediatezza, cioè per mediario. 11 solo dato, o fatto, o immediato che sia al mondo non è \ essere, è il conoscere, e non altro che il conoscere. Poiché io posso dubitare di tutto, tranne di dubitare. Dall' im- mediata consapevolezza del dubbio, da quell' imme- diato eh' è il conoscere, prende le mosse la ricerca gnoseologica. 3 _ Dunque, vi è conoscenza. E che sia conoscenza, lo sappiamo: è giudizio sintetico a priori, necessaria ed universale identificazione del molteplice. Ora, dobbiamo trovare le condizioni, che rendono possibile questa universale e necessaria identificazione. Come tale, essa importa che vi sia un molteplice rappresentativo, e che sia unificato. Non è, perciò, concepibile che, date le singole rappresentazioni, che formano il molteplice della conoscenza, lo spirito coincida completamente con LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA la rappresentazione A; poi, scomparsa questa, con la rappresentazione B; poi, scomparsa questa, con la rappresentazione C; e così via. Lo spirito sarebbe allora, volta per volta, ognuna di queste rappresen- tazioni : prima la prima, poi la seconda, poi la terza, e così via. È chiaro che in questa ipotesi non si avrebbe unificazione del molteplice, per la semplice ragione che non si avrebbe neppure un molteplice. Nel primo momento, lo spirito sarebbe A ; nel se- condo, B ; nel terzo. C ; ma questi momenti appaiono primo, secondo e terzo a noi, che li abbiamo tutti presenti alla mente, ma tali non apparirebbero allo spirito coincidente immediatamente con ciascuno di essi. Egli sarebbe a volta a volta freddo, caldo, duro, pesante, sapido, odoroso, sonoro, colorato ; a volta a volta coinciderebbe in tutto con la singola rappre- sentazione, e sarebbe totalmente fuori del tempo e dello spazio, perchè tempo e spazio sono relazioni, cioè molteplicità posta come tale, e per ciò stesso unificata. In questo stato ogni conoscenza sarebbe impossibile. E pure la conoscenza è un fatto, e, come tale -aige e pone le condizioni della sua possibilità. 4. — La conoscenza è unificazione assoluta (:^ necessaria ed universale) del molteplice. Il mol- teplice, dunque, dev* essere posto ed unificato. In quanto molteplice, i suoi momenti. A, B, C. sono Tuno fuori dell'altro. Tuno esclusivo dell'altro, l'uno impenetrabile all'altro. E pure, la conoscenza è im- possibile se r uno non rientra nell' altro, se l' uno non è incluso neir altro, se 1' uno non si fa penetrare dall' altro. Condizione necessaria ed universale della h conoscenza assoluta è, dunque, che lo spinto percorra uno per uno i momenti del molteplice, non fermandosi mai a coincidere assolutamente con ciascuno di essi, ma in modo che, passando dall' uno all' altro, rico- nosca nel momento superato se come quello stesso spirito che se ne è distaccato. 11 secondo momento non è, dunque, solo secondo, perchè allora sarebbe non secondo, ma primo, anzi ne primo, nfe secondo, essendo fuori del tempo e dello spazio; ma e se- condo, in quanto, in pari tempo, posizione del se- condo e del primo. Questo non è scomparso, ne distrutto: è posto come negato in quanto momento puramente per se, ma è conservato come elemento organico e necessario di una sintesi, che, senza di esso, non sarebbe possibile. Sì che non è da con- cepire la cosa come se lo spirito percorresse prima A, poi B, e solo in un terzo momento C riconoscesse in A sfe, come lo stesso spirito che è in B. Lo spirito, passando per B, ripassa in pari tempo per A, rico- noscendo in A se stesso, quello stesso se, che ora passa per B. 11 passare per B è, in pan tempo ed in un atto solo, passare per B e npassare , ^ '• andare che è riandare. C h qui un atto solo e con- creto, che è il passare per B, il quale in tanto e B, in quanto è sintesi di A e B; e però non solo A, né solo B, ne la loro somma A + B, ne la loro astratta indifferenza A - B o B - A. ma un B che è B ed A, che in tanto h B in quanto e e non è A, e cioè sintesi di A e B. Porre il raoltephce come molteplice è, dunque, atto dello spinto che e. insieme, posizione del molteplice come moltephce, distinto, esteriore e diverso, e posizione di se come fi •il fi / 8 UNEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 1 identico nella molleplicità. Non si può porre A e B senza passare successivamente per essi, senza porli nello spazio e nel tempo, senza distinguerli ; ma non si puh nemmeno porli come molteplici senza ricono- scere che chi passa per essi è uno solo, è lo spirito, che in B è quello stesso spirilo che e in A. Molte- plicità posta come molteplicità è molteplicità posta come sintesi, è riconoscimento dell* identità dello spirito nella molleplicità dei suoi momenti. Lo spinto che riconosce se come se, e cioè pone se come identico nella molteplicità dei suoi momenti, è lo spirito che pone se come oggetto di se, e conoscenza di se, è autocoscienza, è Io i= lo, è Io come asso- luta identità di soggetto e oggetto: Io assoluto. La conoscenza assoluta, come assoluta unificazione del molteplice, è. dunque, autocoscienza assoluta, Io = Io. 5. — L' autocoscienza assoluta è sintesi assoluta delle due condizioni dell' assolutezza del sapere : la verità e la certezza. Essa è assoluta certezza, perchè assoluta identità di sé con sé, posizione assoluta di se come se, assoluta presenza di se a se; e perciò non Io empirico, particolare e contingente, ma Io universale e necessario. — Essa è assoluta oggetti- vità e verità, perchè assoluta compenetrazione del- l'oggetto come oggetto, cioè assoluta posizione dell'Io come oggetto di sé. — L' autocoscienza è, dunque, assoluta verità (assoluta oggettività) ed assoluta cer- tezza (assoluta soggettività), perchè posizione assoluta del soggetto come identità del soggetto e dell'oggetto. Essa non è Io puro e semplice, ma Io che si sa come Io, ed in tanto si sa, in quanto pone sé come Io. — 4 ( ( I I Si segua il nostro ragionamento. La conoscenza as- soluta è assoluta unificazione del molteplice. V è conoscenza assoluta; dunque, v'è assoluta unificazione del molteplice. Un' attività che unifichi il molteplice, e sia nient' altro che quest' atto di unificazione, è conoscenza, ma non conoscenza assoluta. Poiché essa unifica il molteplice, e, unificandolo, si pone come conoscenza, ma non come conoscenza di sé. Essa conosce tutto, tranne sé stessa; e perciò non è conoscenza assoluta. Ora, la conoscenza assoluta esiste ; dunque, esistono le condizioni della sua pos- sibilità. — La semplice unificazione del molteplice è conoscenza di tutto, tranne di sé come conoscenza ; la conoscenza assoluta sarà, dunque, essenzialmente, conoscenza di sé come conoscenza. Conoscere è unificare il molteplice; conoscere assolutamente è unificare un molteplice, che già di per sé stesso è atto di unificazione, conoscenza. Io. Conoscenza as- soluta è, dunque, conoscenza conoscente sé stessa; conoscenza, lo, soggetto-oggetto di sé, lo — : Io. L'autocoscienza è, dunque. Tatto per cui l'Io non solo è lo, ma si pone come Io per sé : atto unificante e distinguente insieme, pel quale l' Io distingue sé da sé, sé oggetto da sé soggetto, e riferisce sé a sé, sé oggetto a sé soggetto. Essa è l'identità che co- nosce sé come identità, 1' unificazione che conosce sé come unificazione: è identità che identifica sé stessa, unificazione che unifica sé medesima, e però assoluta identità ed assoluta unificazione. Essa, in una parola, è assoluta relazione e mediazione, che non ha i termini fuori e prima di sé, ma li produce nel- r atto stesso di porsi come assoluta relazione, distin- { 10 LINEAMENTI DI ESTETICA guendo se stessa da se stessa. Essa è il fare che pone se come fare, il porre che pone se come porre, r attività che pone se come attività ; e perciò assoluto fare, porre, agire; assoluta vita, volontà, libertà. L' autocoscienza è, dunque, principio e conseguenza, causa ed effetto di se medesima, e perciò finalità interna assoluta; in essa, e non fuori di essa, sono le ragioni della sua verità e della sua certezza, del suo essere e del suo essere concepita, e perciò è sostanza ; in essa il molteplice è assolutamente unifi- cato, ed è lei stessa, in quanto unità, che nega, cioè unifica, in se ogni molteplicità, e perciò è universale concreto; il suo termine non è fuori di lei, ma in lei. ed è lei stessa in quanto termine di se, e perciò è termine interminato di cosa interminata, cioè vera e reale infinità; è atto di opposizione e unione, insieme, di sé da sé, e, come questo atto indivisibile e semplicissimo, che unifica tutto e sé stesso, e da nulla è unificato, è Y assoluto individuo o soggetto, la persona assoluta come attività assoluta. Dio come spirito assoluto. 6. — L'autocoscienza è atto distinguente — unente, per cui V lo pone sé come oggetto di sé : è il pensiero che pensa sé come pensiero. In questa sintesi distintiva, che è il pensiero del pensiero o conoscenza della conoscenza, facciamo astrazione dal pensiero pensante e dalla conoscenza conoscente, e pensiamo solo il pensiero che è pensato dal pensiero, la conoscenza che è oggetto della conoscenza; e cioè, in queir atto che è Y lo lo, pensiamo solo il secondo lo, Y lo come semplice oggetto dell' lo. E DI LOGICA 11 Che cosa è in sé il pensiero, o conoscenza, o lo, che nella sintesi dell' autocoscienza è oggetto del pensiero, della conoscenza, dell' lo? Esso è cono- scenza, ma conoscenza che non conosce sé, che non è oggetto di sé; è lo che non pone sé come lo, che non è lo per sé ; è lo non ~: lo, dunque lo ^z Non-Io ; é atto di unificazione e d' identificazione, che non unifica ed identifica sé come atto di unifi- cazione e identificazione ; é non distinzione di sé da sé e relazione di sé a sé, ma indistinzione di sé da sé ed inelazione di sé a sé, quindi atto indistinto ed irrelativo ; é il porre, il vivere, il volere, l' agire, che non si pongono come tali, che non son tali per sé, che sono, quindi, puro porre, puro vivere, puro volere, puro agire; é non mediazione assoluta, ma estinzione della mediazione, immediazione, cioè atti- vità pura o immediata; è non autocoscienza, ma semplice coscienza. La semplice coscienza è, dunque, r oggetto puro, la pura materia dell' autocoscienza, dell' assoluto conoscere. 7 — Ponendo in formule il risultato della deduzione, la sempHce coscienza è Io = Non-Io ; r autocoscienza, lo :: : lo. In che rapporto sono fra loro coscienza ed autocoscienza ? E 1' autocoscienza che pone la coscienza; o la coscienza che pone r autocoscienza ; o ciascuna pone sé indipendente- mente dall' altra ? — Se la coscienza non è posta dall' autocoscienza, questa, e per essa la conoscenza assoluta, è impossibile. Infatti, se la coscienza ponesse sé stessa, come lo = Non-Io, in virtù di una spon- tanea ed autonoma energia interiore, in essa lo spinto 1( li. 12 LINEAMENTI DI ESTETICA adeguerebbe compiutamente se stesso a se stesso, il suo essere al suo conoscersi, la sua esistenza alla sua essenza, ne sarebbe possibile trovare in essa quel principio d'intima corrosione e dissoluzione, che la trae fuori di se, la pone come oggetto di se, e cioè la nega come coscienza, risolvendola nella sintesi deir autocoscienza. Se la coscienza, sviluppandosi, porta ineluttabilmente lo spirito a superarsi e negarsi come coscienza, il principio che costituisce questa come tale è da cercarsi fuori di essa, nelF autoco- scienza. La conoscenza assoluta « impossibile senza r autocoscienza ; questa, senza la risoluzione della coscienza come tale ; questa risoluzione è impossibile, se la coscienza non è posta dall* autocoscienza. Ma il conoscere assoluto esiste ; dunque, esiste V autoco- scienza ; dunque, è questa che pone e poi risolve in se la coscienza come tale. 8. — È r lo Io che pone V lo = Non-Io, e la conoscenza assoluta che pone la conoscenza immediata, è V identità identica per se che pone la semplice identità. Dunque, V autocoscienza è anteriore idealmente alla sempHce coscienza, e condizione di essa. — Ma Y autocoscienza è impossibile se non è preceduta idealmente dalla semplice coscienza, poiché la conoscenza non può conoscere se come cono- scenza, se non dopo essersi posta come conoscenza pura e semplice. Y Io non può porsi come Io per sé. essere oggetto di se come Io, se prima non sia stato semplice lo, lo Non-Io. Dunque. la coscienza è idealmente anteriore all' autocoscienza, e condizione di essa. — Siamo in un circolo : Y autocoscienza è E DI LOGICA 13 principio della coscienza, ma ne e anche prmcipiata. La coscienza è principio dell' autocoscienza, ma ne è anche principiata. L* autocoscienza è il Primo, ma e anche 1* Ultimo ; la coscienza è Y Ultimo, ma è anche il Primo. Perciò il rapporto di coscienza ed autocoscienza non e semplice rapporto causale, in cui r attività della causa trapassa eguale o sminuita nel- r effetto ; ma rapporto di reciprocità, in cui la causa è causa solo ne\Y effetto, e per Y effetto, e conte- nendo in se questo come tale ; e Y effetto è ciò che fa causa la causa, e però la pone e crea e contiene come tale. Dunque, rapporto non di semplice causa- lità, ma di mutuo condizionamento, e cioè finalità interiore, in cui il fine crea sé come fine, creando i mezzi del suo realizzarsi. Non è, dunque, Y autoco- scienza già formata come autocoscienza che pone la coscienza, ma è l'esigenza dell'autocoscienza, l'au- tocoscienza come esigenza di sé, di Io = Io, che pone la mera coscienza, l' Io = Non-Io. Ma l' esigenza dell' autocoscienza non è qualcosa che stia senza, fuori e sopra la mera coscienza e 1' autocoscienza : essa è il processo stesso di mutuo condizionamento della coscienza e dell'autocoscienza, in quanto attività e slancio di processo. E però essa non è né la mera coscienza, né l' assoluta autocoscienza, in quanto costituite e perfette come tali, ma l'identità di entram- be, in quanto processo di mutuo condizionamento ; identità che non é mera coincidenza, o indifferenza. o inerenza dei contrarii, ma é la loro identità in quanto attività di posizione e creazione dei contrarii. **, 14 LINEAMENTI DI ESTETICA 9. — L' autocoscienza è V atto dello spinto. per cui questo conosce se (Io) come identità di se e deir altro da se. di lo e Non-Io. pone se (lo) come identità di spirito e natura, e cioè costituisce se come spirito assoluto, come attività assoluta, come creatore. Ma poiché è la creazione che fa creatore il creatore, lo spirito deve essersi prima (prima ideale) posto come semplice creazione, semplice identità di spirito e natura, di se e dell' altro da se, di Io e Non-Io, per potersi poi porre come tale per se. E però il creare è V indifferenza del creatore e della creazione, non immobile e astratta indifferenza, ma indifferenza attiva, che pone i contrarii od opposti. Creare, crea- zione, creatore sono tre momenti di uno sviluppo assoluto. In ognuno di essi lo spirito è tutto quanto come quel momento, e V assoluta unità dello spirito è lo spirito come unità assoluta di quei momenti. Perciò il movimento circolare eh' è il processo su descritto non viene dal basso, ma dalF alto ; è la sintesi, come esigenza di se. che costituisce se come sintesi, costituendo i suoi termini : la tesi e Y antitesi. Se chiamiamo attività assoluta (absoluta, sciolta da vincoli, libera) Y attività che conosce se come attività, e cioè attua sé come attività, ed attività pura Y atti- vità che non conosce sé come tale, che non è tale per sé. e cioè si esaurisce immediatamente nel suo prodotto, r autocoscienza è Y attività assoluta ; la co- scienza è r attività pura. La pura materia dell* assoluto conoscere è. dunque. Y attività pura. E DI LOGICA 15 10. — L* attività pura è Y attività assolutamente immediata, cioè l'attività per cui l'Io unifica il molteplice e non sa di unificarlo, è identità del molteplice e non sa di esserlo. Unificando il molte- plice, r Io costituisce sé come Io, perché Io non vuol dir altro che unità o identità del molteplice, cioè relazione. L' atto con cui l' Io pone sé è l' atto medesimo con cui egli unifica il molteplice. Non sono due atti, ma uno solo. Non vi é un' unità, che prima esista per sé come tale, e poi unifichi il mol- teplice ; né un molteplice che esista come molteplice prima di essere unificato. L' unità si costituisce come unità unificando il molteplice, e costituisce il molte- plice come molteplice ponendo sé come unità di esso, e risolvendolo, così, come molteplice. Questa unità non è. dunque, astratta, immobile, indifferente. ma concreta, mobile, attiva: non unità, ma unifica- zione ; non identità, ma identificazione. La relazione non esiste come relazione prima, fuori e senza dei suoi termini, ma pone sé come relazione ponendo i suoi termini. Risolvendo il molteplice in unità, e per ciò stesso ponendolo come molteplice. 1' Io pone sé come risoluzione di esso. Ora. il molteplice risoluto in unità è il molteplice, i cui momenti non sono r uno esclusivo dell' altro, 1' uno esteriore ed impe- netrabile all'altro, ma l'uno in relazione con l'altro: cioè non più bruto molteplice, ma oggetto. L' og- getto, la cosa, è, dunque, il molteplice come unità e relazione di sé verso sé ; ed in quanto, nell' atto di unificare il molteplice, Y Io costituisce questo come molteplice, cioè come uno, e sé come unifica- 16 UNEAMENTI DI ESTETICA zione del molteplice, come Io. questo atto smtetico dell'Io è coincidenza immediata di soggetto e oggetto. Altra cosa h però il costituirsi dell' Io come Io. come risoluzione del molteplice ; altra cosa 1' aver coscienza di sé come questa risoluzione, cioè risolvere m se un molteplice, i cui momenti singoli sono Y lo m quanto risoluzione del molteplice. Nel primo caso I lo si pone, e quindi i. come risoluzione del molteplice, nel secondo, come risoluzione della risoluzione, come risolutore; nel primo è coscienza immediata, nel secondo coscienza della coscienza, o autocoscienza. L' attività pura è, dunque, 1' atto concreto, per cui Y lo risolve il molteplice nell'uno, e pone sé come tale risoluzione. Essa è creazione, in un atto solo, di soggetto e oggetto, immediala coincidenza di lo e Non-Io. di spirito e natura. Quesl attività, che abbiamo chiamato a volta a volta coscienza attività pura, attività immediata, costituzione dell lo come risoluzione del molteplice, sintesi di soggetto e og- getto lo Non-Io, ha, per avventura, un nome nel comune linguaggio degli uomini ? Essa ne ha uno, e ben noto : quello di attività artistica o estetica. 11. _ L' attività estetica non è, dunque, sol- tanto attività conoscitiva o teoretica, concepita come wvrapposta all' attività volitiva o pratica e staccata da essa. L'Io non conosce mai se non quello che fa. e nel- Y atto stesso in cui lo fa. Così, esso non conosce se come lo. non pone se come oggetto di se, non pone «è come lo r lo. se non superando il momento in cui era lo Non-Io. e ponendosi, quindi creandosi, quindi volendosi e facendosi, non più immediate E DI LOGICA 17 risoluzione del molteplice nell' uno, ma identità di se stesso come risolutore nei vcirii momenti di riso- luzione : non si conosce, quindi, come risolutore, se non ponendosi ed attuandosi come tale. — Così, quando l' lo è attività immediata o artistica, esso non è già conoscenza di un oggetto che esista già bello e fatto al di fuori di lui, ma costituzione immediata dell' oggetto, e, in pari tempo, di se stesso come soggetto ; ed anche qui tanto conosce quanto fa, tanto fa quanto conosce, ed è, come lo, unità inscindibile di fare e conoscere, di volere e sapere, di atto e coscienza, di lo e Non-Io. Appunto perchè l'attività immediata, o artistica, è sintesi di soggetto e oggetto, essa è conoscenza, ma conoscenza che è, in pari tempo, produzione e creazione e costituzione del- l' oggetto conosciuto, quindi attività pratica o produt- tiva. Né (distinto il conoscere dal fare, e posto che arte e filosofia siano conoscenza e non volontà) r attività immediata o artistica si distingue dall' atti- vità assoluta o filosofica, perchè la prima conoscerebbe le cose, i fenomeni, gì' individui ; e la seconda, le relazioni, i noumeni, gli universali. L' Io, in ciascun momento del suo sviluppo non crea e non conosce mai altro che sé stesso, solo sé stesso, tutto sé stesso. L' attività immediata non è solo una parte dell' Io (conoscenza, e non volontà), e tanto meno parte di quella parte (conoscenza dell' individuale, e non dell' universale) : essa è tutto quanto l' Io come atti- vita immediata, l' Io che pone e fa e sa sé stesso come immediata coincidenza di soggetto e oggetto, come semplice unificazione e risoluzione del molte- plice, come pura coscienza. 2 — A. TiLdHER. 18 UNEAMENTI DI ESTETICA 12. — L'attività pura o immediata è, dunque, sintesi immediata di soggetto e oggetto, atto concreto, con cui r Io, unificando il molteplice, pone se stesso come unità. Essa ci si svela così come attività essenzialmente oggettiva, cioè costitutrice e creatrice del suo oggetto. L' asserita identità di arte ed intui- zione, e d'intuizione ed espressione, o non ha significato, o. se ne ha uno, è appunto questo : che il soggetto non può costituirsi come soggetto, come Io. come spirito, come unità del molteplice, se non neir atto stesso di unificare il molteplice, ponendolo e, insieme, negandolo come molteplice, cioè unifican- dolo, creandolo come oggetto. L'artista non si limita già ad intuire puramente e semplicemente una realtà che stia al di fuori di lui, già esistente come realtà, e ad esprimere agli altri questa sua intuizione. Il suo intuire è il suo esprimere, ed il suo esprimere è il suo creare V oggetto, il suo porre sé stesso come oggetto, il suo alienarsi tutto nell' oggetto, il^ suo oggettivarsi. L'espressione dell'oggetto è tutt' una cosa con la creazione di esso: esprimere una linea è tracciarla nella mente o sulla carta, e cioè crearla come linea; esprimere una figura è crearla nella mente o sulla tela, crearla e non soltanto vederla; esprimere una melodia è crearla come melodia, come questo o questo accordo di questi o questi suoni così o così costituiti, crearla e non soltanto sentirla. --- U Io è presente tutto quanto ed agisce come totalità nel momento dell' attività immediata : le forme dello spazio e del tempo (non come forme belle e fatte, ma come attività oggettivanti dello spirito, cioè come E DI LOGICA 19 attività per le quali soltanto è possibile porre dei termini come esteriori fra loro, come costituenti una molteplicità) e le pure categorie (cioè 1' attività del soggetto come soggetto, come unificazione del mol- teplice, il soggetto come attività unificatrice del molteplice, trasformatrice del molteplice in oggetto) agiscono per intero nell' attività artistica, sono 1' Io stesso in quanto attività immediata, in quanto coin- cidenza di soggetto e oggetto, sono la sintesi viva, palpitante e concreta, ma sintesi che sintetizza e non sa di sintetizzare, che non sintetizza sé come sintesi, che non si pone dinanzi a sé stessa come oggetto di sé stessa. I concetti o categorie e le forme della pura molteplicità (spazio e tempo) sono, quindi, presenti nell' attività immediata, e costituiscono ed esauriscono per intero quella inscindibile unità, eh' è r attività pura come sintesi immediata di soggetto e ogpetto. Air attività pura, o estetica, non mancano già quelle forme (cosa inconcepibile, perché, man- cando quelle, essa si ridurrebbe a uno zero) ; manca la coscienza che quelle forme (cioè l' attività stessa) assumono di sé, coscienza che è la posizione (e negazione, in uno) dell' attività immediata come tale, cioè non più mera coscienza, ma autocoscienza. 13. — L' attività artistica è l' immediata ogget- tività (o soggettività, che dir si voglia), è l'immediata creazione dell' oggetto. L' Io qui coincide in tutto e per tutto con la sua creazione, è creazione immediata, creazione come identità immediata di creato e crea- tore. Nel momento della creazione esso non distacca sé da quella, è quella, nient' altro che quella, ed in 20 UNEAMENTl DI ESTETICA questo senso (non già conosce, ma' è 1 assolilo individuale. Non l'individuo, si badi bene, eoe 1 lo come persona, come autocoscienza assoluta, ma 1 m- dividuale. L- lo come individuale, come atto d m- dividualizzazione, è Y lo coincidente immediatamente col suo oggetto, rio come mera risoluzione del molteplice e posizione dell' oggetto. Se non coinci- desse immediatamente con la sua creazione, egli si staccherebbe da essa, la risolverebbe in se come suo momento particolare e contingente, porrebbe se come identità delle singole creazioni, costituirebbe se come attuale ed infinita potenza di creare, non vuota po- tenza, ma potenza che ha creato e crea attualmente, porrebbe se come creatore. Ora, lo spinto artistico, in quanto tale, è lo spirito non come creatore ma come creazione, come coincidenza di se con I og- getto. Perciò il mondo dello spirito artistico e il mondo dell' infinito moltepHce, che non si sa come tale, e non si pone come uno: l'Io è questo, e poi questo, e poi questo, e così via ali mfimto. bsso costituisce sé e l' oggetto unificando il molteplice, ma si esaurisce, in quanto spirito artistico, in questa unificazione. Quando egli riconosce se come lo stesso Io nella varietà dei suoi atti di risoluzione, l arte muore e nasce la filosofia, cioè la coscienza che r lo ha di se come Io, l' autocoscienza. 14. — Lo spirito artistico è il porre Immediato, non già il porre del porre o assoluto porre. Esso è pertanto, esperienza pura, non nel senso di un ap- prensione che esso faccia di un oggetto già costituito come oggetto prima di quest' atto di apprensione, ma i E DI LOGICA 21 nel senso di un* apprensione, che sia. insieme, po- sizione e creazione dell' oggetto appreso. Esperienza è creazione. L' arte è pura esperienza, perchè pura creazione, pura attività, che crea e non sa di creare ; che crea, ma non dice di se che crea. Essa non è da confondere con ciò che un tempo si chiamava co- noscenza chiara, ma non distinta, percezione, ma non appercezione; con le quali parole s' intendeva porre tra arte e filosofia, tra coscienza ed autocoscienza, una distinzione meramente qualitativa o di gradi, rappresentando quella come grado inferiore di questa; quando la loro è distinzione, non di quantità, ne di qualità soltanto, ma di momenti dello spirito, e la coscienza è per Y autocoscienza il momento delFas- soluta alterità, è lo spirito come altro da se. - Ove r attività immediata si consideri soltanto nel suo pro- dotto, questo è il puro oggetto, la pura esperienza, il bello. Ma il bello è niente fuori dell' attività che lo crea, come è niente il molteplice unificato (l' og- getto) fuori dell' Io che lo unifica, ed unificando pone se stesso. E solo quando si disconosca l' indole della sintesi immediata, dell' attività pura, come posizione immediata di soggetto e oggetto, l' oggetto si stacca dall' attività che lo crea come oggetto, ed apparisce come esistente di per se e dotato di certe qualità misteriose, che lo rendono bello, e che sarebbero la misura e proporzione delle parti, la sua determinata grandezza e disposizione, o anche 1' unità nella mol- teplicità, la semplicità nella varietà, l' ordine nella moltitudine, finche, disperati di poter afferrare con queste astrazioni e metafore la concreta natura del bello, si finisce per riporne 1' essenza in un non so E DI LOGICA 23 imi* LINEAMENTI DI ESTETICA I dìt di misterioso, o per rifugiarsi a dirittura nel soprannaturale, nel Dio trascendente, fonte d'ogni bellezza. 15. — L'attività artistica è costituzione del- l'oggetto, e, pertanto, esperienza pura, espressione pura, oggettività pura. Ma essa è, in un atto me- desimo, costituzione del soggetto, dell lo, come unificazione del molteplice, ed è, pertanto, pura sog- gettività. Soggettività pura ed oggettività pura sono, dunque, determinazioni unilaterali dell' attività arti- stica, la quale è sintesi immediata di soggettività ed oggettività, e però han valore solo in quanto riferite continuamente a quella sintesi, nella quale soltanto acquistano significato e verità. L' attività artistica è, dunque, X attività, per cui \ Io costituisce se come personalità pura, come personalità che non conosce se stessa come tale, perchè coincide immediatamente con la sua contingente espressione. Ora, qual' è la soggettività o personalità o suità (Ichheit), che coin- cide immediatamente con la sua espressione, con la sua manifestazione, con la sua oggettivazione? Qual è il momento in cui l'Io coincide completamente con la sua azione, col suo stato, ed è questo stato, e non se ne divide, e non se ne spicca, e non se ne distacca, e non se ne allontana, e non lo sente e risolve in se come particolare e contingente ? Questo stato dell' lo, in cui V lo è niente altro che il suo stato, è totalmente captivo dell' oggetto, e lo costi- tuisce, ma non sa di costituirlo, lo crea, ma non sa di crearlo, ed è annegato nella sua stessa oggetti- vazione e creazione, ed è fuori di se, è altro da se. è r altro di se, è se come altro, questo stato è il puro porre, il puro agire, il puro volere, che pone, agisce e vuole, e non sa di porre, agire e volere, e, pertanto, è posizione, azione e volizione tout court, e non già ponente, agente e volente : è lo spirito come passionalità pura. La pura passionalità, m cui consiste l' attività estetica, non è da distinguere in nessun modo da ciò che prima abbiamo detto pura oggettività, pura esperienza. Essa non è il lato della soggettività di fronte a quello dell' oggettività, poiché r attività pura è unificazione immediata del molte- plice, e, come tale, costituzione immediata e simul- tanea dell' oggetto e del soggetto. 15 __- Nella teorica dell' attività estetica come passionalità pura si risolvono tutte le teoriche del- l' arte come emotività, come liricità, come vita, come animazione, come sentimentalità, come persomfica- zione, le quali giustamente chiedevano all' opera d' arte, perchè fosse tale, calore e slancio di vita e sentimento, che non sapevano poi definire con precisione che fosse. Ma il contenuto emotivo del- r arte è, poi, tutta quanta l' attività estetica, ed è r Io che si pone, si fa, si vuole tout court, è la vo- lontà di vivere che si pone come indistinta, imme- diata, indeterminata. Ora, volontà indistinta, imme- diata, indeterminata, o volontà pura, è la volontà che si esaurisce tutta nel suo oggetto, che non sa e vuole se stessa come volontà, e perciò non si pone come volontà, ma come volizione singola, come pura pas- sionalità o emotività o sentimentalità che dir si voglia. Ogni opera d' arte è uno stato d' animo. Ora, lo aB*aiiiiiia!i3PSi=a'"=i— - — ~ - 24 LINEAMENTI DI ESTETICA flato d' animo sic et simpliciter e V animo che si esaurisce tutto nel suo stato, è Y attività che si esau- risce tutta nel suo oggetto, è il porre che si dissolve tutto in ciò che pone, è Fio immediatamente coin- cidente col Non-Io. Non s intenda la cosa come se lo spirito artistico si limitasse puramente e semplice- mente ad intuire, a vedere, ad apprendere la volontà di vivere nella sua indistinzione, ma al di fuori e prima dell'apprensione artistica la volontà di vivere fosse già distinta in volontà e desiderio, volontà reale e volontà irreale, volontà e velleità. Sarebbe questo un errore intellettualistico, che scinderebbe in due r unità dello spirito, staccherebbe il conoscere dal- l' essere, il sapere dal fare, il soggetto dall' oggetto, e ridurrebbe l' apprensione estetica ad una percezione confusa di quello che, in realtà, è già distinto in se. L' apprensione estetica è, insieme, atto pratico : è l'attuarsi dell'Io come coincidenza immediata di Io e Non-Io ; è il porsi dello spirito come vita indistinta, indeterminata, indifferenziata, come volontà di vivere che si esaurisce tutta nella volizione singola, nsil' og- getto della sua appetizione. Nel momento artistico la volontà di vivere non è solo appresa, ma creata e posta nella sua indistinzione : esso è, perciò, momento, non solo teoretico, ma, insieme, pratico dell' Io. teoria e prassi essendo solo lati astratti di quella sintesi inscindibile che è 1' atto dell' Io. 17 _ Da ciò quel fascino inesprimibile, quel piacere spesso voluttuoso, e, a volte, spasmodico, che ci procura un' opera d' arte. Gustare un' opera d' arte non è soltanto vedere con gli occhi dell'artista un i E DI LOGICA 25 oggetto esistente fuori di noi, ed apprenderlo come individuale : è l' individuarsi stesso dello spirito, cioè il porsi dell' Io come vita, non come vita in uni- versale, ma come questa o quella singola manifesta- zione di vita; è un estendere la nostra esperienza vitale, la nostra attualità di vita; è il vivere imme- diatamente forme di vita mai prima vissute e gustate. 11 piacere dell' opera d' arte non le viene dal di fuori, dallo svolgersi di un'attività pratica, economica o edonistica o sensuale che sia, che accompagni lo svolgersi dell' attività estetica, ed impregni questa di quella dialettica del piacere e del dolore, che ad essa direttamente manca : concezione non accettabile, che romperebbe in due Y unità dello spirito. L' opera d' arte è tutta quanta il piacere che essa procura, cioè la vita che fa vivere a chi la gusta : e godere non è forse la definizione stessa del vivere ? vita puramente immediata, esaurientesi per intero nella sua manifestazione singola e contingente, ma vita pur essa. Esaminiamoci per un momento quando gustiamo una opera d'arte: quel gustarla, quel compiacersene non è altro che essere, agire, vivere (quindi godere) im- mediatamente il personaggio, la situazione, lo stato d' animo, la scena, il paesaggio dell' artista, non già. come si dice, vivere la vita dei personaggi, la loro distinta dalla nostra, ma vivere una vita che non è né nostra, né loro, prendendo nostra e loro come termini di distinzione; è vivere una vita immediata, cioè tale che non distingue se da se. e perciò è sé come non-sè. come altro da sé. ma che, pur in questa sua immediatezza, si afferma come vita, come azione. e, quindi, come piacere e gioia. Ma, per quanto « 26 LINEAMENTI DI ESTETICA varie possano essere le opere d* arte ed i piaceri che esse ci procurano (o meglio, che esse, come opere d* arte, sono), tutte sono piacere estetico, cioè vita vissuta e goduta nella sua immediatezza, come puro stato d* animo, come passionalità pura. 18. -- L'importanza di tali concetti c'induce ad insistervi, a costo di ripeterci. L' opera d' arte è vita, ma qual momento della vita? Vita in universale? Prima d. rispondere, vediamo che cosa s' intenda per vita in universale. — La vita, come vita m uni- versale, cioè la vita come universale, non è la sem- plice collezione delle singole manifestazioni vitali, le quali restano, ognuna per sé, singole, particolari e contingenti, e che tutte insieme, poi. formano un aggregato, un complesso, una totalità, per opera di un intelletto aggregante, messo al di fuori di esse, e che opera con esse come con i fattori di un'ad- dizione. Esse. così, sono aggregate, ma non si ag- gregano di per sé : l' aggregato, come aggregato, è fuori di ciascuna di loro, ed esiste solo nella mente aggregante ; nessuna delle singole manifestazioni vitali supera la sua immediatezza per porsi, essa, come aggregato ; nessuna è aggregato per se. — La vita, come universale, non è nemmeno ciò che le singole manifestazioni vitali, singolarmente prese e conside- rate, hanno di comune. Essa sarebbe allora l'indif- ferenza delle singole manifestazioni vitali, le quali, anche qui. sarebbero sottoposte all' opera di un in- telletto astraente, che le ha tutte presenti dinanzi a sé, ciascuna già bella e formata nella sua particolarità immediata, e tutte le dissolve nelle loro parti costi- - n '" ~ ""' """"■ ""'"" E DI LOGICA 27 tuenti. ritenendo le comuni, rigettando le diverse. Anche qui le singole manifestazioni vitali restano intatte nella loro singolarità ; ognuna è presa di per sé; ognuna è indipendente dalle ake ed esclusiva delle altre ; quel che v' è in esse di comune non e il prodotto di un loro spontaneo interno moto di ac- comunamento, ma in ciascuna ui esse esiste già prima del lavoro di astrazione. Il comune viene dopo che le singole manifestazioni si sono compiutamente co- stituite, ciascheduna per sé. indipendentemente dalle altre ; e ne é cavato da un intelletto astraente, che è fuori di esse. Il comune, dunque, non esiste, come comune, che in questo intelletto, e non nelle singole manifestazioni cui si riferisce, e perciò è momento astratto, quindi irreale, dello spirito. Nemmeno esso ci dà la vita come universale concreto, realmente esistente per sé come universale. — La vita come universale non è nemmeno la capacità o facoltà o potestà di vita in generale, che si stacca, sì. dalla singola creazione particolare e contingente, e si pone come potenza di creazione, ma, in quanto tale, è r universale soltanto possibile o potenziale, l univer- sale come forza indistinta, da cui germineranno poi i particolari, e perciò non è l' universale vero e concreto, identità assoluta di tutte le cose, non solo possibile, ma assolutamente reale ed attuale come identità. — U vero universale, la vita come univer- sale reale e concreto, non è il semplice aggregato delle vite singole, né la loro semplice indifferenza, né la loro semplice possibilità, ma la loro assoluta, reale e concreta identità. Postasi come questa iden- tità, come vita universale, la vita si è staccata dalle 4 28 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 29 singole manifestazioni vitali, le ha negate nella loro singolarità e contingenza, ma, in pari tempo ed in un atto solo, le ha riferite ed appropriate a se, ed in quest' atto si è posta come concreta, viva, attuale e reale unità di esse, riconoscendo in esse le sue creature, ed in questo riconoscere ponendo, creando e realizzando se come attività creatrice, non come semplice potenza di creare, ma come attualità di creare, attuale per se. consapevole di se come attua- lità produttiva. -- Ora, lo spirito artistico non è la vita come universale concreto, e nemmeno come astratta possibilità di creare, o come indifferenza delle singole creazioni, o come aggregato di esse, ma è "IL" la vita nella sua manifestazione singola, che non si sa e, perciò, non si nega come singola. Esso è la vita nel suo farsi immediato, nel suo puro divenire, nel suo puro costituirsi, in quanto non distingue se da se, e perciò si pone e vive come vita indi- stinta, indifferenziata e indiscriminata. Di fronte alla viia v-w».v- ^ v*^^ artistica e ap- parsa più volte come il sogno, la parvenza, il sospiro, il desiderio, la tendenza, la possibilità della vita : tutte caratteristiche che suggeriscono il concetto di essa come costituzione immediata dell' lo e del Non- io, prima sintesi di soggetto e oggetto, passionalità pura aUenata nell'oggetto della sua appetizione, puro stato d' animo, in cui V animo si esaurisce tutto, senza riconoscerlo come stato suo, come stato fra stati, senza, perciò, negarlo nella sua singolarità ed im- mediatezza di stato contingente e particolare. 19. — L* opera d* arte ci si porge ora come volizione o vita immediata, che è Y equivalente esatto di coscienza, attività pura, attività immediata, stato d' animo. Vibrante e fremente di vita com* è, se l' opera d' arte vien riferita all' empirico individuo umano, detto artista, che la produsse, la sua qualità caratteristica sembra essere la personalità : sembra che in essa Y artista abbia trasfuso, espresso, manifestato tutta la sua personalità, e che questa trasfusione appunto costituisca lui artista ed opera d' arte la sua produzione. E questa è la tesi della personaUtà come essenza dell' opera d' arte. — Ma, d' altra parte, guardando la cosa più da vicino, ci si accorge che r opera d' arte ha un ritmo di vita suo proprio, è governata da una logica e finalità interiore, che non soltanto non coincide sempre col ritmo, la logica e la finalità dell' individuo artista, ma che a questa, anzi, spesso si contrappone. Ravvisato nelle sue ansie e preoccupazioni, nei suoi problemi di vita e di pensiero, nelle deviazioni e distrazioni che gì' impone la vita di ogni giorno, l' artista apparisce come vivente una vita affatto diversa da quella della sua opera. Ed allora si richiede da lui che egli non intruda la sua vita di uomo nella vita dell' opera sua, ma che permetta a questa, germinata chi sa come nel suo cervello, di svolgersi secondo il ritmo e la dinamica che le sono proprii, senza interventi deviatori e per- turbatori. E questa è la tesi di quelli che dall' opera d* arte escludono la personalità dell' artista : la tesi della impersonalità come essenza dell' opera d* arte. — Entrambe queste tesi partono da un punto di vista 30 LINEAMENTI DI ESTETICA sbagliato, entrambe sono unilaterali, e perciò false. I! loro torto comune è di riporre la scaturigine del- r opera d' arte nelF artista empiricamente considerato, come individuo umano così o così conformato, che vive in queste o quelle condizioni, che ha questo o quel carattere, queste o quelle tendenze ed incli- nazioni. Ma r individuo empirico detto artista è uomo come ogni altro, e, come uomo, solo in certi momenti della vita è attività pura, passionalità pura, coscienza immediata : in altri è passione empiricamente intesa, volizione, riflessione, ragione, cioè distacco dalla pura coscienza e realizzazione, o sforzo di realizzazione, di se come autocoscienza. La teorica dell* imperso- nalità lo prende sotto questo aspetto, ed all' artista così inteso (come autocoscienza in divenire, o già divenuta) impone di non intrudersi, in quanto tale, neir opera d' arte, che è passionalità immediata, coin- cidenza di soggetto e oggetto; o, per dir meglio, gr impone di non spacciare come opera d' arte la manifestazione di questa sua psiche, che non è più mera coscienza, ma autocoscienza o conato di auto- coscienza. Ed alla teorica dell' impersonalità, così intesa, non si può non dare piena ragione. — Ma la teorica della personalità ci mostra tutto questo contenuto passionale, volitivo, intellettuale dell' artista travasato per intero nell' opera d* arte, che ne acquista sentimento, idealità e vita : essa assume la psiche dell' artista, nel momento in cui tutto quel mondo passionale ed intellettuale si è trasformato in uno stato d' animo vissuto e goduto nella sua immediatezza, si e posto come vita totalmente alienata nella sin- golarità della sua manifestazione ; e ciò proclama E DI LOGICA 31 essenza dell' opera d* arte, ed in questo ha perfet- tamente ragione. — Torto di entrambe le teoriche è di considerare 1' artista come distaccato dall' opera d' arte : scissa in due 1' unità, vanamente si tenta poi di ricuperarla. Nel mondo della filosofìa non esiste r artista come uomo, come soggetto empirico, che faccia la professione di produttore di opere d' arte : esiste r attività artistica dello spirito, il porsi dell' Io, di tutto r Io, come pura coscienza, puro Io, pura coincidenza di Io e Non-Io, pura volizione naufraga nel suo oggetto. Di fronte alla personalità passionale o volitiva dell' artista (che e autocoscienza, e non coscienza) la sua personalità artistica, che è coscienza pura, apparisce come impersonalità. Ma poiché è tutto r lo, tutto lo spirito, tutta la psiche dell* artista, che neir opera d' arte si realizza come pura coscienza, r artista non è, certo, estraneo alla sua opera, questa è sua ; dirò meglio, è lui stesso, in quanto pura coscienza, pura attività, puro stato d' animo. Tutto sta a capire che, definendo 1' arte come il momento della pura soggettività o personalità, non s' intende per pura soggettività o personalità quella dell' empi- rico individuo umano detto artista, bensì il porsi dello spirito universale come immediata coincidenza di se coir oggetto suo : niente di meno e niente di più. — L' antinomia tra le teoriche, che, come caratteri- stica dell' arte, danno la personalità, la soggettività, r idealità, 1' infinità, la romanticità, la sentimentalità, la liricità, la dionisiacità e simili, e quelle che, al contrario, le attribuiscono, come carattere peculiare, r impersonalità, 1' oggettività, la realtà, la finità, la classicità, r ingenuità, 1' epicità, 1' apollineità e simiU, è, dunque, composta in superiore unità. I LINEAMENTI DI ESTETICA 20. — E superata è anche V antinomia fra il contenuto e la forma dell' opera d' arte. L* opera d* arte non e Y apprensione di qualcosa di già fatto, già costituito, già individuato, ma è il farsi, il costi- tuirsi, r individuarsi dell* Io come puro Io, come sintesi immediata di Io e Non-Io. Costituendo se. r lo costituisce r oggetto : fuori della sintesi che è r Io, il molteplice non esiste come molteplice, come oggetto, quindi come contenuto, perchè porre il mol- tepHce come contenuto, come oggetto, come molte- plice, è distinguerlo, e, nell' atto stesso, unificarlo. L' opera d* arte sì esaurisce tutta nell* immediatezza di vita che essa è, e che è sintesi immediata di sog- getto e oggetto, di forma e contenuto, di unificazione e cosa unificata. Vita nella sua immediatezza : ecco la definizione di ciò che nell'attività artistica e forma, cioè attività ; ma anche la definizione di ciò che essa, come attività, forma, produce e costituisce, cioè del suo contenuto. — Si potrebbe dire che contenuto deir opera d' arte sono le impressioni, che 1' artista esprime e manifesta, ma sarebbe errore. Le impres- sioni che agitano V artista, quell* ansia, quel tormento, quel furore che lo turbano e sconvolgono prima della creazione artistica, in sé stessi considerati, non sono che r anteriore autocoscienza disciolta, disfatta e dis- sipata nei suoi elementi costituenti, e V Io non come concreta realtà, né cosciente, né autocosciente, ma come esigenza di realtà immediata. Quelle impres- sioni, in quanto tali, non sono un molteplice, e per ciò stesso non sono sintesi, ma pura esigenza di mol- teplicità e di sintesi ; sono il caos indistinto, indif- E DI LCXilCA 33 ferenziato e amorfo ; non vita, ma brama e anelito di vita. Quando questo incognito indistinto si rom- perà in una molteplicità di termini, nell* atto stesso questa molteplicità sarà sintetizzata, e V opera d* arte, contenuto e forma, oggetto e soggetto, in uno, sarà compiuta. Perciò V opera d* arte è una e molti in un atto solo, differenziata e pure assolutamente indivisi- bile, come un essere vivente. Distinguerla in conte- nuto e forma è considerare la forma come indifferente al contenuto, sovradditizia ad esso, mero ornamento del contenuto. — L* estetica della forma scissa dal contenuto è 1* estetica della forma come ornamento del contenuto, e poiché un contenuto assolutamente informe è inconcepibile, la forma naturalmente inerente al contenuto in quanto tale si porge come la forma nuda o logica od oggettiva, di fronte all' altra, ornata o affettiva o soggettiva, che le si sovrappone. E l'E- stetica diventa Rettorica. — Piacere estetico, o bellez- za, è lo spiegarsi e svolgersi dell' Io immediato, dell' Io = Non-Io, in quanto trasforma il caos amorfo, di cui sopra, in pura immediatezza di vita o passiona- lità pura. Dispiacere estetico, o bruttezza, è lo stesso caos, in quanto non plasmato in immediatezza di vita, non dominato dall' attività immediata, in quanto ne interrompe il libero svolgimento. Il brutto non è vita, né mediata, né immediata : é esigenza di vita immediata, ma esigenza falsa, perché inattuale, quindi irrealtà di vita immediata, e morte dell' arte. 21. — In che rapporto é Fattività immediata o artistica con la natura ? E, innanzi tutto, che s* in- tende per natura ? La natura, in senso filosofico, non 3 — A. TiLGHER Illill 1111» I 34 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 35 ha niente da fare col complesso dei regni minerale, vegetale ed animale, con i gradi inorganico ed orga- nico della evoluzione cosmica, distinti dal superor- ganico. Queste distinzioni sono meramente empiriche, formate distinguendo alcune classi di oggetti da alcune altre, e non già i momenti dello spirito universale. — La natura, in senso filosofico, non ha niente da fare con la materia o forza od energia, di cui parlano i filosofi naturalisti, intendendola per alcunché di affat- to diverso dallo spirito, che sarebbe prima, fuori e senza di esso, e lo produrrebbe da se, non si sa ne come, ne perche. — Per natura in senso filosofico intendiamo il momento naturale o naturahstico dello spirito, in cui lo spirito pone se, tutto se stesso, come natura. Così inteso, il momento naturale dello spirito è il momento in cui lo spirito è fuori di se stesso ; è altro da se stesso ; è se stesso come altro da se ; e lo come Non-Io ; soggetto come oggetto ; e cioè immediata coincidenza di Io e Non-Io; di soggetto e oggetto ; non volontà come universale, ma volizione immediata esaunentesi nel suo oggetto ; spirito che è e non sa di essere, fa e non sa di fare, pone e non sa di porre, agisce e non sa di agire, crea e non sa di creare ; inconsapevolezza assoluta ; creazione immediata e non creatore. — Così definita filosofi- camente la natura, il momento artistico dello spirito si porge come niente altro che il momento naturale di esso, e lo spirito come natura, come attività natu- rale. Non più Natura sive T^eus, ma U^atma she ars, o sive pulchmm. In ogni tempo si è avuto il senso profondo dell' immediato nesso tra X attività naturale e quella artistica, entrambe attività inconsa- pevoli, e pure guidate entrambe da una logica e teleo- logia interiore, per la quale il fine viene realizzato immediatamente, senza i procedimenti discorsivi del- l' intelletto astratto, cioè creandosi esso stesso i mezzi della sua realizzazione. Alla unificazione di arte e natura si oppose il concetto meccanico e biologico della natura, intesa nel senso spaziale ed empirico della parola. Ma per chi, come noi, risolva tutta la realtà nello spirito, V unificazione di attività naturale e di attività immediata o estetica s' impone ineluttabil- mente. L' inconsapevolezza della natura è T inconsa- pevolezza deir attività che crea V oggetto come oggetto, sintetizzando il molteplice, ma si esaurisce per intero in questa creazione, e non se ne distacca ; e perciò crea, ma non sa di creare, e non si pone come creatrice. La così detta logica ed intelligenza inconscia o subconscia della natura è la logica ed intelligenza inconscia o subconscia dell* Io, che crea sé stesso come Io, come unità, creando 1* oggetto, cioè unificando il molteplice. E poiché il molteplice come molteplice non esiste veramente che nella sin- tesi concreta che lo unifica, la sintesi, in un atto solo, pone sé ed il molteplice, T identità e le dif- ferenze, r organismo e le membra, il fine ed i mezzi che lo realizzano, i quali non sono fuori, prima e senza del fine, ma nascono a un parto con esso. La natura si svela, così, come un' attività, che molti- plicando unifica, unificando moltiplica, come un in- telletto il quale cava da sé il moltepHce che riduce ad unità, come un intelletto intuitivo od intuizione intellettuale, in confronto all' intelletto discorsivo, che, trovandosi dinanzi la sintesi già bella e fatta, la rompe I i 36 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 37 in parti scisse dal tutto, e discorrendo per le parti pretende di ricostituire il tutto : impresa impossibile, che lo trascina in un vano progresso indefinito. Resta, dunque, fermamente stabilita l'equazione: attività estetica attività naturale. 22. — Superato il momento dell' attività natu- rale o estetica, staccatosi dalla creazione singola e particolare, ma non ancora postosi come autocoscien- za, o identità assoluta di tutte le cose, lo spirito si trova dinanzi l'oggetto naturale, come esistente fuori, senza e prima di lui, di cui non gli resta a far altro che constatare Y esistenza come un fatto o un dato. Qui lo spirito ha già superato il momento in cui coincideva immediatamente col suo oggetto, era lo = Non-Io, ma non riconosce ancora se come mero Io. mera coscienza, nell' oggetto che gli sta dinanzi muto ed impenetrabile. Egli ha creato, ma non rico- nosce se nella sua creazione, non si pone ancora come creatore. È questo il momento del falso sapere, che non è più mera coscienza, e non è ancora auto- coscienza, ma coscienza intellettiva, intelletto di^scor- sivo e non ragione. Verstand e non VemunfL — Per lo spirito nel momento dell' intelletto discorsivo, V at- tività artistica è distinta dall' attività naturale, ed ha per compito di copiare od imitare la natura, con- cepita come già esistente e reale fuori dello spirito : neir imitazione della natura consiste il bello. - E poiché perfezione dell' imitazione è di essere scam- biata con r oggetto imitato. V arte vera consisterà m un imitazione così perfetta da sembrare natura o realtà, e diventerà, così, un' attività d' inganno, ma — cosa strana! — di un inganno piacevole per r ingannato e per Y ingannatore, e nel quale e cosa turpe non sapere ingannare e non lasciarsi ingannare. — D' altra parte, se Y imitazione giunge al punto da ingannare e da farsi scambiare per realtà naturale, il bello sfuma, consistendo esso, non già nella realtà, ma nella sua imitazione, e perciò l' imitazione anche più perfetta non dovrà mai divenire illusione completa, non dovrà mai cessare di darsi come imitazione. — Ma poiché è nell' essenza dell' imitazione di ripro- durre con la maggior fedeltà possibile Y oggetto imi- tato, non si vede come in quella possa sorgere una nuova qualità (il bello), che non è in questo. E però il bello consisterà in un' aggiunta, che lo spinto, traendola da se, farà alla natura, nell' atto d'imitarla; e r arte sarà non più semplice imitazione, ma idea- lizzazione della natura. — L' oggetto naturale perde, così, a poco a poco ogni vita, e si presenta allo spirito come cosa morta e inanimata, in cui lo spinto infonde la sua vita e la sua personalità. Per mezzo di questa infusione di se nelle cose, lo spirito le vivifica e le personifica ; e le ama, le adora, se ne compiace, senza accorgersi che la loro vita e vita sua, e che in esse egli vive e gode solo se stesso. Ma anche 1' estetica della personalità infusa (Einfah- lung) e estetica dell' intelletto astratto, che, partendo dagli elementi scissi della sintesi, non giunge mai a ricuperare 1' unità di questa. Essa pone dinanzi allo spirito un oggetto già esistente e costituito come oggetto, e posto fuori dello spirito, il quale inconsape- volmente tragitta ed infonde in esso la sua persona- lità ed attività, e si compiace di ritrovarla nell' oggetto, 1 38 UNEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 39 \\ e vive la vita di questo, e consente con esso, pur dislinguendo se dall' oggetto, la sua personalità di soggetto contemplante dalla personalità naturale del- l'oggetto. L'estetica dtlY Einjùhlung slacca, dunque, il soggetto dall' oggetto, e pone quello di contro a questo come soggetto conscio di se. come Io Io, e non come Io Non-Io. Per essa l'intelletto astratto si sforza di superare la oarriera tra attività naturale e attività artistica, e, logicamente sviluppata, essa deve giungere a vedere in questa, non la semplice personificazione, ma la creazione stessa dell' oggetto. 23. — L'attività estetica dello spirito è, dunque, il costituirsi dello spirito come altro da se, come na- tura. Quando nella natura lo spirito riconoscerà se stesso come immediata coincidenza di Io e Non-Io, esso porrà la natura come creatura sua, come natura naturata, e se come creatore di quella, come natura naturante. L' essere che si pone come natura natu- rante pone se come assoluta identità della natura naturata. La natura naturante è, dunque, insieme, posizione di se e dell' altro da se, di natura naturante e di natura naturata. E però la natura naturante, che pone se come tale, non è più natura, è autocoscienza o spinto assoluto. — Il momento artistico è il porsi dello spirito come pura natura, ne come naturata, ne come naturante : è il farsi natura dello spirito, è il suo naturarsi. Lo spirito come pura natura è lo spirito che non pone se come se, che non si sa. Sapersi è dire di se stesso : " io sono u ; e porre 1' essere come essere, ed insieme distinguersene; è fissarsi, ed insieme muoversi ; fermarsi, ed insieme superarsi ; è divenire come pensare. Solo l' intelletto, cioè la consapevolezza riflessa dello spirito, fìssa le cose neir atto di distinguerle, è l' interno autodistinguersi delle cose per se stesse. Lo spirito come pura natura è lo spirito che non si pone come se, non si sa, non dice di se : " io sono u» e perciò non si ferma e non si fissa, non si distingue in se stesso, non si pen- sa, non diviene internamente. Esso è perciò lo spirito che si pone come pura oggettività, ma non si fissa, ne si ferma in nessuna delle sue manifestazioni, ognu- na delle quali è in se perfetta e compiuta ; ma con vicenda incessante le crea e distrugge, e trapassa dall'una all'altra di esse. La natura diviene, ma il suo divenire non è pensare, non è 1* interno autodistin- guersi delle cose per se ; è falso divenire che è tra- smutare. Perciò, in quanto pura natura, le creazioni dello spirito non distinguono se da se, non sono 1' una momento interiore dell' altra, ma sono l' una fuori dell' altra, ognuna in se perfetta e compiuta senza le altre. Perciò bene si pariò della natura come di un dio baccante, che si perde nell' infinità delle sue pro- duzioni, ne mai si raccoglie in se ; e bene la si chiamò l' afelio dell' universo, il luogo più remoto dal sommo centro, da Dio, eh' è lo spirito assoluto, e la si paragonò alla bolgia delle trasmutazioni del- l' inferno dantesco. — E poiché attività naturale = attività artistica, ora comprendiamo perchè le opere d'arte siano infinitamente molteplici, mentre la scienza (z= autocoscienza) è una ; e perchè, dal puro punto di vista naturale (= artistico), esse siano 1' una fuori dell' altra, e 1' una impervia all' altra, come monadi senza porte, né finestre. E comprendiamo perchè non 40 UNEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 41 esista un bello fisico o naturale, inerente come qualità alla natura già costituita ed esistente come natura, poiché il bello è appunto il porsi dello spirito come oggetto, o natura, e " belir naturale . è inutile pleonasmo. 24. — Di somma importanza per una retta con- cezione dell* arte sono i rapporti dell' attività estetica con la passione. E, innanzi tutto, che s' intende per passione ? - Il momento passionale dello spirito non è già il momento in cui questo è assalito, dominato e oppresso da una forza esteriore, poiché per il moni- smo idealistico non è concepibile altra attività che Io spirito, ed un limite che a questo venga dal di fuori è concetto impensabile. Se passività h nello spirito, dev' essere posta dallo spirito stesso, e con- tenere, perciò, in sé la possibilità della sua dissolu- zione. L* oggetto, la cosa, il limite, che serrano in un termine 1* attività dello spirito, non gli vengono dal di fuori, ma dal di dentro, e, cioè, è lo spirito stesso che pone se come oggetto, come cosa, come limite. — Ora, qual' è il momento dello spirito, in cui questo è coincidenza assoluta con 1' oggetto, con la natura, con il limite ; il momento in cui è com- pletamente chiuso nella finitezza e particolarità della sua creazione ? L' abbiamo visto : è il momento della pura coscienza, della pura immediatezza ; è il mo- mento deir arte. Adunque, inteso, come si dovrebbe intendere, il momento della passione come il momento in cui lo spirito è fuori di se, è altro da se, è estrin- seco a se, è mera naturalità ed oggettività, mera immediatezza ed irrelat.vità. esso si svela affatto iden- tico al momento artistico o naturale. In ciò è il lato giusto delle teoriche, che hanno insistito sui rapporti di arte e passione, e indicato, come caratteristica essenziale di quella, 1* emotività, la passionalità, il sentimento. — Ma, ove per momento passionale dello spirito s' intenda, come comunemente s* intende, la passione in senso psicologico, V odio e Y amore, la speranza e il timore, V avarizia e la prodigalità, la superbia e la vanità, come travaglio effettivo, reale e pratico dello spirito, subito balza agli occhi irresi- stibilmente la profonda differenza tra esso e Y attività estetica. In questo secondo e più comune significato, la passione non è più Y attività pura o irrelativa deir Io, r immediata coincidenza di Io e Non-Io, Y Io come puro stato di animo, cioè come animo esau- rientesi per intero nella finitezza e particolarità del suo stato. 25. — La passione, nel senso corrente della parola, non è il momento della pura passionalità : in essa lo spirito si è già staccato dall' immediatezza, finitezza e particolarità del suo stato, ha già superato il momento della pura, immediata e irrelativa coscien- za, ed aspira a porsi come assoluto accordo ed equa- zione di sé con se, come assoluta identità di soggetto e oggetto, come essere autocosciente e libero, come Io Io. Aspira a questo stato, ma non lo realizza, ne può realizzarlo, poiché la passione, in senso psi- cologico, è r inane sforzo dell' lo di realizzarsi come Io ZI Io, come autocoscienza, come sintesi di volontà e intelligenza, per mezzo di uno stato ed oggetto singolo, particolare ed immediato. L' interna contrad- I 42 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 43 dizione del proposito di realizzare Y Io come Io n Io per mezzo dell' Io Non-Io è il principio di morte e d* intima dissoluzione racchiuso in ogni passione, la quale, sentendo V oggetto inadeguato all' Io, Y altro da se inadeguato all'assoluto se. ne attribuisce la colpa non alla sua stessa contraddittoria posizione, ma air oggetto, crede di superare quella contraddizione cambiando di oggetto, e così va successivamente creando e distruggendo Y un dopo 1' altro i suoi og- getti in una vicenda che non avrà mai fine, sinché Io spirito non acquisti coscienza della contraddittorietà della sua posizione, e cioè sia contraddittorio non solo in se, ma per se, e per mezzo di quella coscienza superi e vinca la contraddizione stessa. Per ciò la passione, come passione, è affatto irreale, non essen- dovi nel suo processo nessun momento, in cui si realizzi concretamente ed effettualmente come pas- sione ; nessun momento, in cui lo spirito riesca a porre Y assoluto se nell' assoluta negazione del se ; e però la sua vita di passione non è che continua ed intima dissoluzione, corrosione, autocritica. In quanto lo Io nell'Io Non-Io, essa è, per definizione, angosciosa ed angosciante, e tutta la sua vita di pas- sione è yn susseguirsi continuo di ansie, tormenti, amarezze, insoddisfazioni. Di reale, in essa, non vi è che r esigenza dello spirito di porsi come spirito as- soluto, come assoluto accordo di se con se, come iden- titìi (Io Io) identica (Io Io) per se stessa. La passione e questa esigenza, ma non sa di esser tale ; tale si rivelerà solo a chi riconosca contraddittorio, e però superi, il suo momento. Questo, come mera passione, è un continuo ed incessante fluire, un tra- svolare indefinito di oggetto in oggetto, senza che nessuno mai dia allo spirito quella pace e calma e beatitudine, che esso cerca, e che non può trovare che neir assoluta equazione di se con se, nell' Io zz Io che sia tale per se. — Così intesa la passione, hanno piena ragione le teoriche, che da essa distin- guono profondamente I* attività artistica. 26. — Schematizziamo in formole questa teorica della passione. Nel momento passionale lo spirito è autocoscienza, identità di se con se. Io zz Io : è, ma non sa di esser tale. Egli è Io Io, ma non è Io zz Io per se, non ha per oggetto del suo conoscere e del suo volere se come Io = Io ; è mediazione, ma mediazione che non è tale per se ; mediazione im- mediata. In quanto passione, lo spirito è autocoscienza immediata, naturale, particolare : ma, si badi bene, immediata, naturale, particolare come autocoscienza. In ciò la sua contraddizione. Qui lo spirito è autoco- scienza, ma, come autocoscienza, è vuoto, non avendo per contenuto e per oggetto se stesso ; e contraddit- torio, avendo per contenuto l'altro da se. Egli tenta di realizzarsi come questa vuota e contraddittoria autocoscienza, è passione, ma il suo è conato sterile e vano. Realizzandosi come passione, conseguendo r oggetto singolo ed immediato di questa, lo spirito si realizza come alcunché di singolo ed immediato, e cioè si nega e distrugge come autocoscienza. Ma egU qui è autocoscienza, benché vuota e contraddit- toria, e però il soddisfacimento della passione è, in pari tempo, l' insoddisfacimento di essa : appagando la sua passione, lo spirito si sente realizzato come 44 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LCXilCA 45 singolo e particolare, e per ciò slesso negalo come universale. Ma V lo, in quanlo passione, è appunto rio come universale, benché solo immedialo; e però dal suo soddisfacimento balza continua F insoddisfa- zione ; dal piacere del desiderio appagalo ripullula insazialo il nuovo desiderio. E così via all' infinito, sino a che V lo vorrà persistere in questa contraddit- toria impresa di volersi realizzare come immediata mediatezza ; e cos' è mai il progresso all' infinito, se non la contraddizione slessa, che, per quanto si ripeta, non cessa mai d* essere contraddizione ? La contraddizione dello spirito passionale cesserà solo col realizzarsi dell' lo come Io lo : cioè quando esso non solo sarà Io Io, ma lo sarà per se, saprà di esserlo, avrà come oggetto del suo conoscere e del suo volere appunto se come Io = Io ; cioè quando sarà reale ed assoluta autocoscienza. — Dal fin qui detto risulta evidentissima la profonda distin- zione tra il molteplice artistico ed il molteplice pas- sionale. Il momento artistico dello spirito è il momento della molteplicità (le opere d'arte sono infinitamente molteplici), perchè in esso V lo coincide completamente con la sua creazione singola, è questa creazione, è questo ; il momento artistico o naturale dello spirito è il momento dell' assoluto questo ; ma -ogni questo, ogni creazione è in sé perfetta e com- piuta, è affatto autonoma ed indipendente dalle altre, sta per se. basta a sé. Qui la molteplicità è vera e reale molteplicità. Ma il momento passionale dello spirito è il momento dell'autocoscienza naturale ed immediata. L' Io in essa vuole realizzarsi come Io ZI Io, ma. essendo universalità vuota ed immediata, non ci riesce. Il suo realizzarsi è il suo negarsi. Nuovo conato di realizzazione, nuova negazione, e così via all'infinito. Lo spirito che si travolge nel turbine della passione non è lo spirito nel momento della molteplicità: esso vuole una sola cosa, sé stesso; ma la vuole dove non può trovaria, e perciò si muove. La molteplicità dello spirito passionale non è vera molteplicità, è falsa molteplicità, perchè è la ripeti- zione all'infinito di un solo e medesimo conato, quello di porsi come Io := Io nell' Io = Non-Io. Le sin- gole opere d' arte sono, ognuna, un individuo per sé ; le singole passioni sono le varie maschere di uno stesso individuo. Lo spirito artistico è lo = Non-Io ; lo spirito passionale è (Io = lo) =: (lo =: Non-Io). 27. — La misteriosa catarsi artistica ci si svela, omai, chiarissima nella sua natura. Mentre la passione è, per essenza, angosciosa ed angosciante, autocrisi ed interna dissoluzione, poiché vuol realizzare 1' lo come lo I lo nell' lo :: Non-Io, 1' arte è beatificante e letificante, perché posizione immediata dell' Io come loz Non-Io. FeHcità, gioia, pace è l'intima coerenza ed accordo dell' attività o dello spirito con sé stesso. La felicità, gioia e pace suprema é conquista dello spirito assoluto, che si pone come oggetto di sé medesimo, come lo = Io per sé. L' attività qui non ha oggetto fuor di sé ; essa realizza completamente sé stessa come sé stessa ; e perciò il momento della filosofia che è moralità, o della moralità che è filo- sofia, è il momento della somma beatitudine. — Ma anche 1' arte è beatificante, poiché, svolgendosi, essa si crea il suo oggetto, il suo limite, col quale com- 46 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 47 pletamente coincide, e che, perciò, non sente come oggetto nemico da dominare, come limite da superare. Essa, come la filosofia, ha il suo fine in se, ed il suo svolgersi è il realizzarsi di questo fine, che, rea- lizzando se, crea i mezzi della sua stessa realizzazione: è attività coerente ed armonica; e però gioia anche essa, non assoluta, ma immediata; non beatitudine, ma felicità. — Ma la passione che vuole realizzare rio Io neirio Non-Io, conquistare Dio nelle creature finite, raggiungere la pace dello spirito tra- volgendosi nei piaceri della carne, ha il fine fuori di se, perchè ha fuori di se i mezzi di quel fine ; è scissione di fine e mezzi: e perciò ne vero fine, ne vero mezzo ; cioè non attività, ma passività, dolore e morte. Perciò Fattività artistica, quando sia vera attività, attività riuscita e coerente, non dà mai altro che piacere ; anzi è questo piacere, cioè vita vissuta nella sua immediatezza, anche quando rappresenti cose turpi e dolorose, cioè tali che ad una conside- razione non più estetica si presenteranno poi come turpi e dolorose. La passione, invece, non può mai dare che insoddisfazione ed amarezza, dolore e morte, perchè essa non riesce mai, né mai può riuscire a realizzarsi come passione, ed il piacere non è che r attività nel processo del suo realizzamento. Di tanto erra chi ripone lo scopo e Y essenza dell* arte nella commozione delle passioni ! — Alla distinzione svolta di arte e passione si riduce, bene intesa, la distinzio- ne tra sentimenti di valore e sentimenti edonistici, tra sentimenti disinteressati e sentimenti interessati, tra sentimenti oggettivi e sentimenti soggettivi, tra sentimenti di approvazione e sentimenti di mero di- letto, tra sentimenti apparenti (gioia e dolore suscitati dalle opere d* arte) e sentimenti reali (gioia e dolore suscitati dai fatti reali della vita) : coppie di termini antitetici, in cui il primo termine dovrebbe rappre- sentare r arte ; il secondo, la passione. Distinzioni, queste, psicologiche ed empiriche, e di cui Y ultima ha il torto di distinguere arte e passione in modo meramente quantitativo : per essa la gioia e il dolore suscitati dall' opera d' arte sarebbero della stessa natura che la gioia e il dolore suscitati dalla realtà della vita, e solo più hevi e più tenui. Ma il senti- mento suscitato da un' opera d' arte è sempre di gioia, mai di dolore ; e la passione dà sempre dolore, mai gioia ; quello non è Y attenuazione di questa, ma r assoluta negazione. E poiché per passione intendia- mo, come si deve intendere, ciò che oggi si chiama il momento meramente sensuale o economico o utili- tario dello spirito, il mero interesse, il bruto desiderio, la semplice appetizione, è chiaro che, distinguendo arte e passione, abbiamo distinto recisamente il bello dall' utile o interesse o piacere (intendendo per pia- cere in senso stretto la soddisfazione del desiderio sensuale o passionale). L'arte non è la passione: la gioia senza desiderio è ben diversa dal desiderio senza gioia ! — Con la teorica dell' arte come dilet- to sensuale erano giustificate le negazioni moralistiche e le ammissioni pedagogiche di essa, come di cosa da sbandirsi completamente o da servirsene solo come mezzo per fini morali : negata quella, queste si sve- lano senza significato. Ogni edonismo o utilitarismo estetico è, dunque, così risolutamente negato. 48 UNEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 49 28. — In ogni momento del suo processo ideale eterno V Io si realizza come totalità. Solo nel mo- mento deir autocoscienza la sua esistenza adegua la sua essenza ; ma anche nel momento della co- scienza, anche nel momento della passione, Y lo e tutto quanto come coscienza, come passione ; ne sopporta in sé distinzioni di parti. L* lo non vuole e non sa mai altro che se medesimo. Ora, in quanto sforzo di realizzare Fio lo nell'Io Non-Io. la passione è agitazione e dolore; e però si dissolve continuamente dentro di se, e si può liberarsene o salendo alF autocoscienza, come sintesi di libertà e ragione, di moralità e filosofia ; o discendendo alla mera coscienza, sintesi immediata di Io e Non-Io. La purgazione dello spirito dalle passioni, o catarsi artistica, si ha quando Y Io, superando il momento in cui voleva realizzarsi come universale nell* indivi- duale, come lo Io nell* lo Non-Io, risolve tutto il suo mondo, tutto il suo contenuto, tutta la sua materia, in attività immediata, e si pone come Io : Non-Io. La differenza, dunque, tra arte e passione non è che Y una sia conoscenza, e Y altra volontà, poiché lo spirito è sempre, in ogni momento, sintesi di volere e conoscere ; ne che Y una voglia o cono- sca alcunché di diverso dall* altra, poiché lo spirito vuole e conosce sempre solo sé stesso. Ma la pas- sione é tutto lo spirito nel vano conato di realizzarsi come spirito autocosciente nella natura ; e Y arte é lo stesso spirito che é la passione, é tutto il conte- nuto, tutto il mondo della passione, in quanto imme- diatamente realizzantesi come Io = Non-Io. E mentre la passione é angoscia e dolore, I* attività artistica é attività coerente, cioè vera attività, e perciò fonte di gioia e piacere. Questo é il senso giusto delle frasi, che. per liberarsi delle passioni, bisogna cantarle; che r arte é purificazione delle passioni ; passione sognata, e non vissuta. — Concepita la vita pratica deir Io come la realizzazione, o il conato di realiz- zazione, deir Io come Io ~ Io, e ristretta perciò a indicare la passione e la volontà, Y attività artistica, eh' é posizione dell' Io come Io =: Non-Io, si svela come un' attività che non tende a realizzarsi nella vita pratica e realmente vissuta, e che, però, di fronte a questa, é una mera impossibilità. L' arte sarebbe, quindi, una tendenza o virtualità o possibilità, che non si realizzerebbe mai praticamente, né mai aspi- rerebbe a realizzarsi come tale, ma lo svolgimento della quale consisterebbe essenzialmente nell' annul- larsi e dissolversi in un sogno o sospiro di vita, in una vita di sogno e di sospiro. Così io definii 1* arte in un mio libro {jlrte, conoscenza e realtà, Torino, Bocca, 1911). e la definizione è giustissima, benché solo negativa. — Così si spiega perché mai spesso siasi paragonata 1' arte al gioco, e fattala derivare da esso. Ma il gioco, quando é gioco e non cosa seria, importa che il giocante distingua sé, come persona reale, da sé, come persona giocante ; e sia, quindi, in qualche modo, conscio di sé come Io, sia Io — Io ; mentre lo spirito artistico é alienato per intero nella sua aeazione, é indistinzione di sé da questa, e però Io ~ Non-Io. 4 — A. TlLOHEE 50 LINEAMENTI DI ESTETICA 29. — Arte è lo = Non-Io; passione è (Io n Io) =: (Io - Non- Io). Ma entrambe sono l' Io, tutto r lo. lo stesso Io. in due momenti del suo processo. Di qui Y osmosi ed endosmosi tra 1 arte e la passione : ciò che per Y artista è attività pura e immediata diventa in altri passione reale ed effet- tiva; ciò che per altri e passione effettiva e reale, pratica e vissuta, diventa per Y artista sogno della passione, sospiro della vita, attività pura ed imme- diata. Il contenuto dell' lo in entrambi i casi è il medesimo ; è il medesimo lo che pone e crea se stesso, ma nell' artista come lo immediato. neìY uomo passionale come sforzo di realizzare Y autocoscienza nella coscienza. Perciò il poeta può avere efficacia pratica, passionale, di vita vissuta ; essere il vate di sua gente, vivendo nella sua immediatezza quello stesso mondo, che altri aspirano a vivere realmente ed effettualmente, cioè da esseri autocoscienti ; e dan- do loro, con la sua immediata rappresentazione, netta coscienza di ciò che si agita nel loro animo di uo- mini pratici. Ma la passione, come passione, è la «legazione dell' arte ; ed il poeta che ci offre il suo dolore o la sua gioia di uomo ci commuove come uomo, non come poeta, e noi consentiamo con lui come autocoscienza, non come pura coscienza. Per- ciò giustamente ti dice che Y arte per essere gustata e giudicata ha bisogno della patina del tempo, cioè che il tumulto passionale, che Y artista visse nella tua immediatezza, sia spento o calmato come tumulto passionale; e, identificato il presente con la vita vissuta ed agita, giustamente s è detto che 1* arte è E DI LCXilCA 51 memoria, poiché non ritrae mai il presente, ma solo il passato : il presente (la passione viva e reale) rispecchiato nelF arte non è più (muore come pas- sione), è stato, ed è, dunque, un passato. Ma i tempi di forti passioni e di alta vita religiosa, politica, filosofica sono favorevoli ali* arte ; non che politica, religione e filosofia (= autocoscienza) siano arte (z: coscienza), ma perchè forniscono all' artista il materiale, che egli rappresenterà e vivrà nella sua immediatezza. La vita artistica dell' Io si trasforma in vita passionale e volitiva ; e questa in quella, con processo vicendevole ed incessante. La fiamma varia, ma il combustibile è sempre quello. All' arte che è vita nella sua immediatezza non è punto perniciosa la vita morale, religiosa o filosofica dello spirito, che è vita anch' essa, benché mediata : la vita artistica è, anzi, condizione di quella morale e filosofica, e viceversa ; e le epoche di gran fervore morale o filosofico si rispecchiano in opere d' arte, ove tutta la morale e la filosofia del tempo si riflettono imme- diatamente. Queste opere sono i grandi capolavori artistici, ove tutto è arte, fino nei più piccoli dettagli : e dove pure la materia, in sé considerata, è la più alta morale e filosofia del tempo. All' arte è perni- cioso solo l'intellettualismo, che assume la sintesi già bella e fatta, la spezza nei suoi elementi, e giu- stapponendo questi, pretende di raggiungere 1' unità. L' intellettualismo è analisi astratta della vita, non vita esso stesso ; e però non può dar materia all' at- tività artistica, anzi, dissolvendo ogni attività in una serie di slati, distrugge 1' arte stessa nel suo farsi. 52 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 53 30. — Intendendo, come comunemente s' inten- de, per attività pratica dell' Io Y attivili che pone, o tende a porre, V Io come coscienza di se, come Io : Io, r attività artistica non solo non è attività pratica, ma è Y opposto della pratica, è Y altro della pratica, come la coscienza è T altro dell* autocoscienza. Perciò r arte non può avere fini politici, sociali, religiosi, morali, scientifici, avendo il suo fine in se stessa, che e la costituzione dell' Io come Io = Non- io, e non come lo = Io. Ora, nei fini su detti per r appunto si manifesta Io spirito come autocoscienza. L'artista, che della sua arte facesse mezzo per la realizzazione di un fine sociale, politico, morale, reli- gioso, scientifico, sarebbe egli stesso spirito sociale, politico, morale, religioso, scientifico, cioè spirito mediato, non immediato; autocoscienza, non mera coscienza. Perciò 1' eloquenza, ossia 1' arte, che, per eccellenza, si propone un determinato fine pratico, qual che esso sia, che non è il suo fine di arte, ma un fine extra-artistico, pel conseguimento del quale l'arte è un puro mezzo, regolato in vista del fine, diventa essa stessa un mezzo per quel fine, diventa, cioè, il fine stesso nel processo del suo svolgersi ed attuarsi, qualcosa di pratico, dunque ( - autocoscien- tc), e cessa di essere arte. — Perciò l'arte è pra- ticamente incolpabile, essendo al di qua della vita pratica e del giudizio pratico ; perciò si sottrae alla valutazione morale, non essendo, in quanto arte, ne morale, ne immorale, ma amorale, o meglio, premo- jje __- Perciò l'artista non può scegliere a suo piacere il contenuto dell'opera d'arte, poiché sce- gliere è volere, e volere è essere autocoscienza. Io n Io : e r artista in quanto tale è mera coscienza, Io ~ Non-Io. che crea per assoluta spontaneità, non perchè voglia creare ; è creazione e non creatore. — E tutto può essere contenuto d' arte, perchè tutto può essere vissuto in forma immediata. Non vi sono contenuti artistici, e contenuti antiartistici o exstraar- listici : la storia di un insetto può essere materia d* arte, come quella di Alessandro Magno. — Che r attività artistica sia attività autonoma dello spirito, e che nello svolgersi non debba essere guidata da altra logica e finalità che da quelle che le sono in- teriori ed immanenti, è il senso giusto della teoria dell'indipendenza dell'arte, che si è espressa nel motto : " r arte per 1' arte " . Ma " l' arte per l' arte " non può significare il distacco assoluto dell' arte dalla vita e dal pensiero, distacco che la ridurrebbe a vuoto dilettantismo, a miserabile maneggio di forma senza contenuto, a tecnica infeconda, anche se splen- dida. Ninna forma dell' Io ha per contenuto solo sé stessa, ma sempre tutto quanto 1' lo. tutto quanto lo spirito ; ed ogni forma è tutto lo spirito, tutto 1' Io, come quella forma. L' arte non ha un contenuto di- verso dal contenuto della vita e del pensiero : essa è tutta la vita, tutto il pensiero come arte, come creazione immediata, come coscienza. In questo senso, ma in questo senso solo, l'arte dipende dalla vita e dal pensiero, ed è espressione, come si dice, della vita o della società. — Ora ci risulta chiaro perchè non si possa parlare di bello passionale, né di bello morale : quando dell' attività dell' Io si sa che essa è passione o moralità, si è già entrati nel dominio M 54 LINEAMENTI DI ESTETICA della consapevolezza e dell' autocoscienza, e si ha alle spalle quello dell' inconsapevolezza e della mera coscienza, eh' e il dominio dell' arte. Una passione o una volizione buona ci appare come bella quando è vissuta nella sua immediatezza, cioè quando non li ha più la percezione della passione o volizione reale e concreta, ma la pura immagine o il puro sogno della passione o volizione, senza darsi pensiero alcuno della sua esistenza di fatto. 31. — Non e nostro compito rifare qui il pro- cesso dello spirito, pel quale questo va sempre più risolvendo in se la natura, va sempre più riconoscendo la natura come se. Uno dei momenti di questo pro- cesso, idealmente posteriore al momento passionale ed anteriore al morale, è il momento della regola o norma o legge. Lo spirito che si pone come regola o norma o legge è lo spirito che si realizza come generale ordine, sistema e coerenza di volizioni, è lo spirito, che, volendo ed agendo, dà alla sua vo- lizione ed azione questo contenuto: di essere il rispetto e 1* osservanza. 1* esecuzione e la realizzazione di un ordine, coerenza, sistema o classe di volizioni e azioni. Lo spirito che si pone come legge ha su- perato il momento, in cui coincideva immediatamente con la sua creazione singola e contingente, e si pone e realizza, non come questa o questa o questa singola creazione ed azione, ma come ordine e sistema di volizioni ed azioni, come volizione generale. Ora, in quanto semplice spirito artistico, in quanto mera coscienza, lo spirito è volizione- azione immediata, e non ordine e sistema di volizioni-azioni ; è crea- E DI LOGICA 55 zione singola, non legge. - Ciò distrugge ogni possibilità di Estetica normativa o imperativa. I cosi detti generi artistici (che, poi, presentati in forma di comando, divengono le così dette leggi o norme o regole artistiche) sono ricavati dalle opere d' arte già belle e fatte e costituiti con procedimento astrattivo e classificatorio, ma non operano punto come generi o norme nell' animo dell' artista nel momento della creazione. L' attività artistica non è attività che si svolga secondo norme o regole, e cioè, attuandosi, si ponga come ordine di attività ; ma è attività im- mediata, che si esaurisce tutta nella singolarità della sua creazione, e non si stacca da sé stessa. L' artista che, creando, ha 1' occhio ai generi ed alle regole, per ciò stesso si pone come ordine di creazioni, non più come creazione immediata : è universale (benché falso e astratto, e cioè non universale, ma generale), e non più immediato individuale. 32. — Qui viene opportuna l'anaUsi dei rap- porti di arte e linguaggio. Il linguaggio è stato distinto in apofantico e semantico. — E per linguaggio se- mantico s' è inteso il linguaggio come espressione di un semplice stato d'animo, senza distinzione alcuna di vero e di falso. In quanto espressione di un semplice stato d'animo, il linguaggio semantico è espressione dell'Io come stato d'animo, come creazione imme- diata, come sintesi immediata di soggetto e oggetto. Lo stato d'animo sic et simpliciier è tutto l'animo contratto nel suo stato, che è singolo, ma non è posto (e per ciò stesso negato) come singolo: ora. questo stato coincide completamente con la sua 56 UNEAMEWTI DI ESTETICA E DI LOGICA 57 Ifl espressione (parola, gesto, canto, disegno, e così via), è la sua espressione stessa. Linguaggio semantico e, dunque, sinonimo di attività immediata, e però coincide con l' arte. — Il linguaggio apofantico è il linguaggio come manifestazione del pensiero: per esso r individuo aspira a farsi comprendere da altri individui, coi quali vive in società, e per conseguire questo scopo agisce secondo le norme e leggi, che la società dei parlanti ha stabilito come generalmente valide per se. Qui lo spirito si pone come individuo tra individui, come membro di una società, che, nel suo parlare, attua le regole e norme linguistiche di questa società, e però è società e collettività in atto di parlare. Lo spirito, dunque, si pone qui come legge e norma grammaticale, come ordine e classe di fenomeni linguistici, e però si lascia dietro il dominio della pura immediatezza. Il linguaggio apo- fantico o pratico o sociale che si dica non è arte. Dunque, linguaggio arte, sì, ma solo pel linguaggio semantico, non pel linguaggio apofantico. — Per le stesse ragioni, il concetto di tecnica è estraneo alla pura considerazione estetica. L'attività artistica è attività immediata, fine, che, realizzandosi come tale, crea i mezzi della sua realizzazione. Il mezzo, qui, non è nulla di diverso dal fine, è il fine stesso nel- Tatto di realizzarsi. Concepita, dunque, la tecnica artistica come maneggio di mezzi artistici, esistenti come tali prima e fuori della creazione artistica, e condizione indispensabile di essa, che sarebbe pro- dotta dalla loro semplice messa in opera, essa è concetto estraneo alF Estetica. I pretesi mezzi artistici, di cui r artista disporrebbe prima della sua creazione. I sono materiale bruto, che ricomparirà nella creazione sotto forma immediata, e non già quale era prima della creazione. Neil* atto della creazione quel patri- monio strumentale si fonde e liquefa ; e rinasce alla vita, se rinasce, nella creazione, ma vivendo la vita di questa, e non più quella autonoma di patrimonio strumentale. — Per tecnica s' intende anche il com- plesso di quei mezzi, pei quali l'artista può estrin- secare nel mondo fisico (nelle parole, nei suoni, nei gesti, nei colori, nelle pietre, e così via) il suo immediato stato d' animo. Ma la tecnica così intesa non contribuisce in nulla a costituire lo stato d'animo, in cui si esaurisce Y attività artistica, e solo ne rende possibile r esteriore comunicazione. La sua presenza e la sua assenza sono egualmente indifferenti all'at- tività artistica come tale; e, soltanto, la sua assenza impedisce il pieno manifestarsi agli altri di alcuni stati d' animo. Anche in questo senso, dunque, il concetto di tecnica è estraneo all' Estetica come scienza di un momento dello spirito. — Ed estranee all'Estetica sono tutte le divisioni dei prodotti arti- stici, tentate in base al criterio della varietà dei mezzi fisici di comunicazione dell' immagine interna ; e tutte le teorie dei limiti espressivi delle arti (musica, poesia, pittura, scultura, architettura, e così via) in tal modo costituite ; e tutte le dispute sulla loro ge- rarchia, connessione e compensazione, e sullo svol- gersi ideale o storico di esse da un' arte (la musica o la danza, per esempio), che sarebbe la loro fonte comune, e così via. i 58 LINEAMENTI DI ESTETICA 33 _ Lo sviluppo dello spirilo si compie neir autocoscienza. Autocosciente è lo spirito che sa se stesso come spirito ; la conoscenza che sa se stessa come conoscenza; TIo che sa se stesso come Io; che. cioè, non e solo Io = Io, ma è lo ^ Io per sé. In quest'assoluta consapevolezza di se che è l'autocoscienza si ha quella concreta, universale e necessaria unificazione del molteplice, in cui consiste la conoscenza assoluta. L' universale reale e concreto è il concetto. Ogni concetto che sia veramente tale è. dunque, momento delF autocoscienza, non della coscienza : non e coincidenza immediata dell' lo col suo stato, ma è distinzione e sintesi, insieme, di stati, posti, e per ciò stesso negati, come tali. Lo spirito, assurto a questo grado, non e più pura immediatezza o naturalità, non è più arte ; è scienza o filosofia. E però quelli che vogliono che l'attività artistica con- sista essenzialmente nel rendere sensibili le idee, i concetti, i tipi, gf intelligibili, i sovraintelligibili. i noumeni, i caratteri essenziali, le forme, le leggi, i rapporti immanenti delle cose, e che le assegnano per fine di rappresentare simboli, allegorie, tesi ed csempii di verità, scambiano Y attività immediata con Fattività mediata, l'arte con la scienza o filosofia. 34. — Il momento dello spirito, in cui questo è assoluta mediazione di se con se. è il momento in cui lo spirito conquista la verità delle cose, pone se come verità delle cose, crea se come sapere e oggetto del sapere in pari tempo. E la verità non è forse l'identità del soggetto e dell'oggetto come oggetto del sapere? non è forse Fio come Io = Io E DI LOGICA 59 ^ per se, cioè oggetto di sé come Io = Io? Venta è assoluta oggettività; è autocoscienza; e autoco- scienza è concetto. L'arte non è concetto, perchè è coscienza, e non autocoscienza ; e però non è ve- rità. L' artista è il suo mondo ed il suo mondo è lui, ma esso apparirà come vero a suo modo , cioè come momento del processo della verità assoluta, solo alla riflessione del filosofo. L'arte è l'Io, e, quindi, è verità; ma non è lo per sé, non è lo = Io soggetto- oggetto di sé, e però non si sa come verità, e non è vera verità. Essa è tale solo per la filosofia, che la pone come vera (cioè come Io) e, in pari tempo, come falsa (come Io che non è Io = Io, e, che, dunque, è Io = Non-Io). Veram (= filosofia, auto- coscienza. Io z: Io) norma sui et falsi. Per sé. in quanto semplice Io ^ Non-Io. l' arte non è né vera, né falsa; e, come si dice comunemente, non apphca alle sue produzioni il concetto di esistenza, non di- stingue l'accaduto dal non-accaduto, il reale dall'ir- reale, la vita dal sogno della vita, la volontà dalla mera velleità, ma tratta in egual modo l'accaduto e il meramente sognato, il reale e l' irreale, il desiderio e la volontà. E appunto per questo essa non può rappresentarci il verisimile, il probabile, l'irrazionale, il possibile, r impossibile, distinguendoli come tali dal realmente accaduto, dal certo, dal razionale, dal ne- cessario. Verum norma sui et falsi: il vero è norma di sé e del verisimile ; il certo è norma di sé e del probabile ; il razionale è norma di sé e dell' irrazio- nale ; il necessario è norma di sé e del contingente, del possibile e dell'impossibile. Per rappresentare il verisimile, il probabile, l'irrazionale, il possibile. 60 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 61 l'impossibile, il contingente come tali, T artista do- vrebbe essere salito al vero, al certo, al razionale e al necessario, cioè al concetto, all'universale con- creto, alla verità che è autocoscienza. Ma, allora, avrebbe già superato e negato il momento della mera coscienza o attività immediata. 35. — Dal fin qui detto risulterà chiara la teoria dell'arte come storia dell'impossibile, ed im- possibile essa stessa, da me svolta nel libro Arte, conoscenza ^^ realtà, sopra citato. Posto che reale e necessario e solo ciò che ha esistenza pratica in senso stretto, cioè è autocoscienza o conato di au- tocoscienza; e che mero possibile o impossibile è ciò che è praticamente irrealizzabile, cioè irrealizzabile come autocoscienza, perchè ha realtà di altra specie; l'arte mi apparve come un'attività inesistente come autocoscienza, e, per la già posta identità di pratica ed autocoscienza, praticamente inesistente ed irrea- lizzabile. E mi si presentò, pertanto, necessaria 1* c- quazione arte i possibile-impossibile. Svolgendo questa teorica, che nel presente scritto è profonda- mente rielaborata, ma sostanzialmente mantenuta, io non volli dire, dunque, che l'arte rappresenta l'im- possibile, distinguendolo, come tale, dal necessario, ma che essa è impossibile, è lo spirito come impos- sibile, è l'autocoscienza come impossibilità di sé stessa, come negazione di sé, come altro da sé, come mera coscienza, come lo = Non-Io. - E com- prendiamo : I ** perchè il sentimento estetico prescinda in modo assoluto dalla reale ed effettuale esistenza deir immagine estetica, mentre questa reale ed effet- fi tuale esistenza è la base indispensabile di ciò che si chiama sentimento di valore, e che meglio an- drebbe detto momento passionale (appetitivo) o mo- rale (volitivo) dello spirito; 2° perchè l'attività artistica non abbia nulla da fare con l' osservazione storica e documentata o sperimentale della realtà di fatto pre- sente o passata, contrariamente a quanto afferma il verismo e naturalismo estetico; 3" perchè sia ewnea ogni identificazione dell'attività artistica con l'attività religiosa o mitologica dello spirito, la quale attribui- sce reale ed effettuale esistenza a ciò che il mito e la rappresentazione religiosa narrano e rappresentano e di esso si serve come di principio esplicativo del mondo e delle cose e della realtà tutta; 4" perchè, di fronte alla coerenza dello spirito autocosciente, lo spirito meramente cosciente sia apparso dominato da un principio d' incoerenza e d'irrazionalità, e la poesia sia parsa corrispondere al momento fanciullesco, ingenuo, barbaro, sensuale, dello spirito, confonden- dosi, così, la coerenza della mera coscienza con que a dell'autocoscienza, i momenti dello sviluppo dello spirito assoluto con i momenti dello sviluppo dell' em- pirico individuo uomo o dell' empirico individuo na- zione, la storia ideale eterna dello spirito con la storia reale contingente delle creature; 5° perchè sia assurdo parlare di un bello razionale o intellettuale, poiché, quando la ragione è posta come tale, quando 1 lo è lo = lo per sé, il momento dell'immediatezza, dell'Io = Non-Io, è da gran tempo superato. 36. — L' attività estetica è, dunque, il momento dell' assoluta immediatezza dello spirito, e. come tale. j„igiw.ii'..-«i. "iJiMagianwi ÒZ LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 63 è il primo scientifico, poiché lo spirito nel suo pro- cesso comincia sempre dall' assolutamente Immediato, e da questo deve cominciare la scienza, che quel processo rifa consapevolmente. L*arte è, dunque, r immediato, ma, appunto, tutto lo spirito, tutto V Io, come immediato, il quale e, così, Y antecedente o condizione ideale delF arte. E se V Io si pone ncir opera d* arte come assoluta immediatezza, non e per caso o capriccio, ma per intrinseca necessità del suo processo. L* Io e, nella sua essenza, media- zione o relazione assoluta, ma non può esistere come tale, non può adeguare la sua esistenza alla sua es- senza, non può porsi come id cuius ezsentia inoolvii exislerìUam, sive id cuius natura non poiest concipi nisi exisiem (Spinoza, Ethica, I, del. 1), se non ponendosi prima come mera esistenza, come sem- plice creazione. Il rapporto di mediazione (filosofia) e immediatezza (arte) è il rapporto di autocoscienza e coscienza: e la mediazione, come esigenza di se, che pone T immediatezza, per poterla, in un suc- cessivo momento, porre come tale, e per ciò stesso negarla come immediatezza, o mediarla. La filosofia e, dunque, la i»egazione dialettica (negazione, che e conservazione e inveramento) dell* arte. L'arte non è, dunque, conservata per intero nella filosofia, con in più qualcosa che, di arte, la fa filosofia, così che la filosofia avrebbe due lati, uno per il quale è arte, ed un altro per il quale e filosofia ; e V arte pura e semplice sarebbe la filosofia meno quell* elemento che la costituisce filosofia (rapporto di gradi, per cui A e A, tutto A, prima, fuori e senza di B ; e B è A, lo stesso A, tutto A, più qualche cosa). L' arte e ', lo spirito come immediato; la filosofia è lo spirito co- me mediato. Ora, la mediazione non è l'immediatezza più qualcosa, ma la negazione dell'immediatezza; il concetto non è l'intuizione più qualcosa: il concetto — lo spirito come concetto — è la negazione del- l' intuizione. La verità del filosofo non è il sogno dell' artista più qualcosa, ma è il sogno posto, e però negato, come sogno. Non rapporto di gradi, dunque, cioè d' indipendenza delle forme inferiori dello spinto dalle superiori e di mera implicazione di quelle in queste; ma rapporto di mutuo condizionamento, o dialettica. Nella mediazione l' immediatezza è posta come tale, e perciò negata: nella filosofia si estingue 1' arte. Ma la mediazione non è possibile senza il momento dell' immediatezza, e però è la filosofia, come esigenza di se, che pone l' arte. In questo suo rapporto con la filosofia è. dunque, la ragione della morte e dell' immortalità, insieme, dell' arte. 37. — Una filosofia è gustabile e giudicabile esteticamente, quando si viva in forma immediata quello stesso mondo, che pel filosofo è riflessione e mediazione. Ma allora non si giudica più della bel- lezza o meno di un'opera filosofica in quanto tale; si prescinde da ciò che la costituisce opera filosofica, e la si vive come momento immediato e naturale dello spirito. Quando, poi. la si considera come ciò che essa realmente è stata per il filosofo, ossia con- cetto, riflessione, mediazione concreta e vivente, il momento dell'immediatezza è per ciò stesso supe- rato e negato, e dell'opera non si può più dire che è bella o brutta, ma solo che è vera o falsa. Poiché ■ariMi 64 UNEAMENTI DI ESTETICA in ogni momento del suo processo Y Io è presente tutto quanto come totalità, ciò che e mediazione e riflessione può tramutarsi in immediatezza e naturalità. lo posso vivere nella sua immediatezza (come un sogno) il mondo di un filosofo, e crearlo come opera d' arte. Ma se lo vivo come ciò che esso realmente fu per il filosofo, cioè come concetto concreto e me- diazione reale, io lo nego come sogno e Io vivo come pensiero in atto, come verità. Pensando o ripensando una filosofia, io non posso, in pari tempo, crearla o gustarla come opera d'arte; se ciò faccio, la nego come filosofia; se la penso come filosofia, la nego come opera d* arte, come sogno, immediatezza e na- turalità dello spirito. — Si obbietterà che il filosofo, anch'esso, è uomo; che Fio è tutto quanto presente come Io nel processo del pensiero; e che si pensa perchè si vuol pensare ; e che tra le passioni e' è anche quella del vero; e tra gli stati d* animo e' è anche quello, in cui Y animo crea a sé la sua verità. La rappresentazione del concetto reale, concreto e vivente è, dunque, in pari tempo, rappresentazione di quel volere che sorregge il pensiero nel suo farsi, di quella passione che è la passione del vero, di quello slato d' animo, che è la commozione suscitata neir animo dalF apprensione della verità : la rappre- sentazione del concetto è, insieme, rappresentazione di un sentimento; la filosofia è arte. — A ciò si risponde che la passione del vero non è passione tra le passioni, ma assoluta negazione della pas- sione come tale, perchè assoluta moralità, assoluta equazione delFIo con sé stesso; che lo stato d'animo, in cui l'animo crea a sé la sua verità, non è uno apafci E DI LOGICA 65 stato, nella singolarità e immediatezza del quale 1' a- nimo si esaurisce tutto quanto, ma è l'animo come sintesi dei suoi stati, è 1* Io come assoluta unità dei suoi momenti; che il volere che sorregge il pensiero non è nulla fuori del pensiero stesso, ma è il pensiero come attività che pone sé stesso : actm purus. Quan- do si accende la luce dello spirito assoluto, la natura è posta e negata come natura; lo spirito che veglia è la negazione dello spirito che sogna. 38. — L' attività filosofica dello spirito è l' at- tività, per cui lo spirito assume coscienza di sé, pone sé come Io = lo per sé, risolve compiutamente in sé, soggetto del conoscere, l'oggetto suo, e però si pone come spirito assoluto. Filosofia = autoco- scienza. — ET autocoscienza è sintesi che distin- gue l'Io soggetto dall' lo oggetto, e riferisce, insieme ed in un atto solo, quello a questo: è atto distin- tivo — unificativo in una, posizione dell'immediato come tale, e, per ciò stesso, mediazione. Autoco- scienza = mediazione. — Ma quel processo di di- stinzione e riferimento insieme, quell' atto distinguente unente, che è la mediazione, quel porre l' immediato come tale e perciò stesso mediarlo, quel determinare r indeterminato, quel distinguere l' indistinto, quel parlare l'ineffabile, è impossibile senza l'unità dei due termini della mediazione, per la quale unità imme- diato e mediato, indeterminato e determinato, indi- stinto e distinto, ineffabile ed effabile si svelano della stessa stoffa e natura, come uno ente in due momenti del suo processo. E quale sia il rapporto di quei due termini lo sappiamo: è la mediazione, 5 — A. TlLOHER. 66 LINEAMENTI DI ESTETICA come esigenza di se, che si pone come Immedialo, per potersi poi mediare. L' unità originaria d' imme- diato e medialo, d'indistinto e distinto, d' irrelativo e relazione, d* indeterminato e determinazione, di senso e intelletto, d'intuizione e concetto, di arte e filosofia, di natura e spirilo, è Io spirilo come unità sintetica produttiva a priori degli opposti. Media- zione unità sintetica produttiva a priori. — L unita sintetica produttiva a priori, che sia tale non solo in se, ma per se, che, cioè, non sia solo esigenza di unità, ma unità perfetta e compiuta, unità che celebra se stessa come unità, è la mediazione in atto, la mediazione reale, concreta, vivente. E questa è. come sappiamo, distinzione di se da se e riferimento di se a se: cioè distinzione del soggetto dal predi- cato e unione di quello a questo, critica, giudizio. L* attività giudicatrice dello spirilo, che è Y attività dello spirito come spirito assoluto, adeguerà la sua essenza alla sua esistenza, celebrerà compiutamente la sua natura, quando adeguerà, nella distinzione, compiutamente V uno ali* altro i due termini della di- stinzione medesima; quando, cioè, nell'immediato ravviserà tutta se stessa, attività mediata, nella forma dcir immediatezza. Lo spirito assoluto si presenterà allora come identità assoluta, nella distinzione, di sog- getto e predicato: come soggetto che è totalità dei predicati, come totalità dei predicali che è sog- getto; come soggetto assoluto, del quale non si può predicare pili nulla, la predicazione del quale è compiuta, e che. però, e soggetto assolutamente at- tuale, in cui non resta più nulla di potenziale, che possa essere attuato in un' altra predicazione ; e come E DI LCKilCA 67 predicato assoluto, che, come assoluto, è il solo pre- dicabile di quel soggetto (giacche, se ci fossero altri predicabili di quel soggetto, non sarebbe più assoluto), e, come solo predicabile di quel soggetto, è tuli' uno con esso (giacché il predicato è distinto dal soggetto solo quando non è il solo predicato di quel sog- getto), quindi non è più predicalo, ma soggetto esso stesso, li predicato assoluto è 1' universale concreto, che è assoluto soggetto. Identità di soggetto e pre- dicato, che è tale solo nella distinzione e per la distinzione, e che, però, è tale per sé: lo = Io. Unità sintetica produttiva a priori - giudizio sinte- tico produttivo a priori, — E poiché è il giudi- zio sintetico produttivo a priori, come esigenza di se, che pone i suoi stessi termini, esso è giudi- zio che fonda, prova, media, deduce sé stesso, e però é sillogismo. Giudizio sintetico produttivo a priori = sillogismo sintetico produttivo a priori, — In questo sillogismo Y immediato è mediato, l' inde- terminalo é determinalo, l' indifferenzialo é discri- minato, il soggetto é predicato: cioè è sussunto sotto le categorie dello spirilo, qualificato, giudicato, ravvi- sato in ciò che veramente ed effettualmente è; è detto essere questo e non quest'altro; é criticalo. Sillogi- smo sintetico produttivo a priori = critica. — La critica consiste nel mediare l' immediato, nel determinare l'indeterminato, nel qualificare l'inquaUficato, nel pen- sare r impensato. Tutto ciò non é fatto da uno spirito che stia fuori e sopra dell' immediato: è l' immediato stesso che lo fa, è l' immediato slesso che si media, è lo spirilo come immediatezza che media sé stesso, e però si nega come puramente immedialo. E in 68 LINEAMENTI DI ESTETICA che consiste il mediarsi? Che cosa e Y autocoscienza, in CUI consiste la mediazione dell* immediato ? E il porsi deir immediato come immediato, è il dire: Sono M> " io sono immediato §, " io «ono • è „ queste semplici parole sono il mediarsi del- l'immediato, la vittoria dello spirito sulla natura, la prima scintilla della gran fiamma della conoscenza, k prima apparizione di Dio m terra. Criticare, me- diare, è, pertanto, essenzialmente entificare, esisten- zializzare, storicizzare. Critica storia. — Lo spinto assoluto e storia. Ciò vuol dire che esso è lo spirito, che nell'immediato ravvisa se stesso, quel se stesso che ora è mediazione; nelF indistinto vede se stesso, quel se stesso che ora è distinzione ; nell* inespresso vede se stesso, quel se stesso che ora è espressione o pensiero. Esso è lo spirito che si pone come di- stinzione di se da se ed unità di se con se, come molteplice che e uno, come uno che è molteplice; come universale concreto, che sintetizza m se una molteplicità di momenti. Qui lo spirito è storia viva, reale, concreta ; ricordo, memoria, passato ; ma pas- sato che è posto come tale, e per ciò stesso è pre- sente: eterno passato, che è eterno presente. Lo spirito come storia palpitante è lo spirito come di- stinzione di se da se ed unità di se con se ; è lo spirito come mediazione. E poiché lo spirito è me- diazione e distinzione per essenza, egli, nel porsi come storia vivente, adegua se a se, il suo essere al suo conoscersi, la sua esistenza alla sua essenza : e cioè realizza la sua vera natura, conquista il suo vero se stesso, viene a se, progredisce a se, è pro- gresso. Storia progresso. — Lo spirito come pro- E DI LOGICA 69 gresso concreto è lo spirito, che dall' immediatezza sale alla mediazione ; il concetto di progresso non lo ha, dunque, se non lo spirito realmente progre- diente. Il concetto di progresso è, pertanto, concetto dello spirito giudicante, distinguente, criticante : è la distinzione, la critica, il giudizio in atto. Solo lo spirito asceso al giudizio, alla critica, alla storia, alla filosofia, e che è giudizio, critica, storia, filosofia in atto, possiede il concetto di progresso, ed è esso il progresso nel suo farsi e divenire. Lo spirito che non giudica, non critica e non storicizza, cioè lo spirito nella sua immediatezza, manca del concetto di progresso, ed appunto per ciò è privo di pro- gresso. Nella sua immediatezza lo spirito non sa di progredire, e però non progredisce davvero: sa di progredire, e però solo allora è progresso, soltanto nella forma della mediazione. Il concetto di progresso è, dunque, concetto dello spirito filosofico, è lo spi- rito filosofico in atto, è la filosofia stessa in azione. Procresso filosofia. -— E ritorniamo così alla filo- sofia, cioè al punto donde prendemmo le mosse. Si tenga ben presente questo importantissimo risultato, che ci permetterà di risolvere la difficile questione del progresso nelF arte. 39. — Affermando che filosofia = storia -= pro- gresso, intendiamo affermare che lo spirito assurto air equazione assoluta di sé con sé. divenuto filosofia, è storia in atto, viva, palpitante e concreta: e cioè unità della molteplicità, posta, e per ciò stesso riso- luta, come tale. Filosofia storia, vuol dire sem- plicemente che lo spirito ha superato il momento ,g||p..;;;; 70 LINEAMENTI DI ESTETICA dcir immediatezza, è conscio di tale superamento, e però ha un passato, passato che e presente, pel fatto stesso di essere posto come passato. Ma per storia si suole anche e comunemente intendere F appren- sione che l'intelletto fa delle cose come già poste, già date, già create, già costituite, già accadute prima e fuori di lui : V apprensione del già accaduto. Ac- cadimento e storia sono qui V uno fuori dell* altra : r accadimento ha fatto a meno della storia per porsi neir esistenza, e la storia si limita a constatare la presenza di quello nel mondo dei fatti già fatti. Questa storia, che meglio si direbbe storiografìa, pre- suppone la storia viva, reale e concreta, e cioè lo spirito come storia, ricordo, memoria, lo spirilo come universale concreto, come filosofia. Essa riduce in pezzi quella vivente unità del molteplice che è la iloso&a — storia — progresso in atto, e ridottala in morti frammenti, invano tenta, poi, di ricostituirla. Essa riduce il farsi al fatto, il divenire al divenuto, l'accadere all'accaduto, il vivo al morto, e però è momento astratto dello spirito, condizionato dal mo- mento filosofico, e condizione, a sua volta, di ogni procedimento astrattivo. Finche per storia si è intesa questa falsa storia, o storiografia empirica che dir si voglia, r identità di storia e filosofia è apparsa sempre un insolubile enigma. E, infatti, con la falsa storia, con la morta erudizione di archivio, la filo- sofia, che è storia vivente, non ha niente a che fare, e ne è acerbissima nemica. &)n la storia vera che è filosofia, 1' arte sta nel rapporto dì coscienza ad autocoscienza, d'immediato a mediato; con la falsa storia che è antifilosofia, sta nel rapporto di un mo- E DI LOGICA 71 mento immediato, ma reale, con uno arbitrario ed astratto, e però irreale, dello spirito. 40. — La mediazione assoluta è sintesi d'im- mediato e mediato, è immediatezza che si pone come tale, e però si nega, si supera, si media. L'attività dello spirito che rivive e ricrea 1' attività immediata si chiama gusto estetico, gusto. E poiché tra ricreare o rivivere e creare o vivere non v' è (almeno a primo aspetto) differenza, così Y attività immediata ed il gusto estetico (almeno a primo aspetto) coincidono completamente. Filosoficamente parlando. Io spirito che gusta l' immediatezza è affatto medesima cosa con lo spirito che è immediatezza. Ma. appunto per ciò, il gusto estetico, da solo, non ci fa uscire dal momento dell* arte, ne dall' immediatezza ci porta alla mediazione. — Perchè ciò avvenga, è d* uopo che l'immediatezza, che il gusto estetico ci fa rivi- vere, sia posta, e per ciò stesso negata e superata, come tale, cioè mediata, riflessa, pensata. E questo fa la critica, anzi questo è la critica. 11 mondo, la vita, lo spirito, che nell' opera d* arte è immediato, naturale, inconsapevole, nella critica si stacca dalla sua immediatezza, si media, si riflette in sé, acquista coscienza di sé, si pone come distinzione, come giudizio, come concetto, come pensiero. La critica è, dunque, 1* autocoscienza dell' arte. La critica si fonda sul gusto, che rifa 1* opera d* arte, ne può prescinderne. In che modo la mediazione assoluta prescinderebbe dall* immediatezza, che ne è la con- dizione ? Ed in ciò va trovata la distinzione filosofica tra gusto e opera d* arte : questa è 1* immediatezza 72 LINEAMENTI DI ESTETICA per se, scopo a se stessa; quello e T immediatezza elemento (o destinato ad esserlo) della critica, della mediazione assoluta. L* assolutezza del gusto consiste precisamente in questo : ciò che il gusto dice bello, e cioè ricrea come tale, realmente esiste come bello, come attività immediata dello spirito. G)me, infatti, po- trebbe non essere bello in se. non esistere come bello, ciò che il gusto estetico sente, e cioè crea, come tale? Ma assolutezza del gusto, del mio gusto, non vuol dire che in un'opera d'arte ci sia solo quello che il mio gusto ci trova : questo vi è certamente (assolutezza del gusto), ma può esservi anche qualche altra cosa, che il mio gusto non ci trova, e che il gusto di un altro ci troverà. E questo è naturale, perchè i singoli gustanti sono esseri finiti e limitati. Ma il gusto si esaurisce nel rivivere l'opera d'arte nella sua immediatezza : esso la rivive, la constata, ne sente la presenza o 1' assenza, dice : " qui ci è un'opera d'arte | o " qui non ci è un'opera d'arte g, ma non fa niente di più. E però la critica non si esaurisce nel gusto, nell* impressione immediata del- l'opera d'arte, né si limita a dire: " qui e' è un'o- pera d'arte g, " qui l'opera d'arte non c'è a- Il gusto è la critica in nome dell' immediatezza ; ma k critica, la critica propriamente detta, è la critica dcir imniediatezza stessa, è il ritornare a sé dello spirito immedialo, è il mediarsi, il distinguersi, il pensarsi dello spirilo. La critica è l' autocoscienza dello spirito, che non può giungervi se non dopo essersi alienato nella mera coscienza, che è arte. La critica viene, perciò, post festum, segue all'arte, sorge a sera, quando il lavoro della giornata è compiuto. E DI LOGICA 73 — E qui osserveremo di sfuggita che i concetti del comico, del sublime, dell'umoristico, del grazioso, del turpe e simili, delle cui trattazioni son pieni quasi tutti i libri di estetica, non sono altro, per quel tanto di giustificabile che v* è in essi, che analisi e de- terminazioni iniziali e rudimentali (perchè schema- tiche) dei sentimenti e degli stati d' animo, che formano il contenuto dell' opera d' arte ; non sono, quindi, che una prima ed imperfetta autocoscienza del mondo artistico, una prima ed imperfetta critica. 41. — Lo spirito assoluto è autocoscienza, è Io = Io per sé, è Io che risolve in sé i momenti molteplici del suo divenire, è unità concreta e vi- vente della molteplicità, storia in atto e palpitante. Chi oggi, nel momento storico che traversiamo, viva nella pienezza dei tempi, e possegga compiutamente il nostro patrimonio di cultura e di civiltà, costui è essere conscio di sé, è Io Io per sé, è Io che ha in sé posti, e per ciò stesso negati e superati nella loro singolarità, tutti i momenti storici vissuti dallo spirito nel suo divenire. In quanto piena auto- coscienza, egli ha in sé tutta la storia di quell' au- tocoscienza che è lui stesso, è quell' autocoscienza come storia di sé. E appunto perché l' autocoscienza è reale e concreta unità di momenti, negati come singoli, ma negati perché posti come tali, la vita di ciascuno di questi momenti, la vita del passato, non ci è misteriosa ed estranea, ma è da noi rivissuta e risentila nell' atto stesso di essere allontanata. Così si spiega perché sia possibile rivivere il pensiero, le opere, le passioni dei tempi che furono, e le loro 74 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 75 opere d' arte : cosi si spiega l'illimitatezza del gusto. — Ma r autocoscienza è condizionata dalla co- scienza : pertanto, in ogni momento del suo processo storico, lo spirito ascende all' autocoscienza, alla fi- losofia, solo dopo essere passato per la coscienza, per Tarte. Ogni momento storico dell'autocoscienza ti rispecchia, dunque, in un' opera d' arte, che lo vive nella sua immediatezza. — Tutto ciò rende possibile la retta concezione del progresso nell' arte. Erra chi concepisca il progresso nell' arte come suc- cedersi di opere artistiche, di cui la seguente sia più bella della precedente. V Iliade non è meno bella della "Divina Commedia, ne questa, dei Sepolcri, Il mondo dell' Iliade è vissuto nella sua immediatezza con la stessa assoluta perfezione del mondo della Divina Commedia, Ma il mondo, che la Divina Commedia rappresenta nella sua immediatezza, cor- risponde ad un momento dello sviluppo spirituale, è, nella sua immediatezza, un momento dello sviluppo spirituale, superiore a quel momento dello sviluppo spirituale, che nella sua immediatezza è vissuto dal- Y Iliade: superiore, perchè lo contiene e risolve in se. L' arte, che vive nella sua immediatezza lo spi- rito come unità e risoluzione D dei momenti A, B, C, è in progresso sull'arte di ciascuno di questi momenti, perchè la contiene in sé. L'arte del mo- mento A è, infatti, comprensibile senza quella del momento D; ma questa non è comprensibile senza quella, perchè la contiene in sé. e però è in pro- gresso su di essa. Non, dunque, il venir dopo nel tempo costituisce il progresso, perchè si vien dopo tolo quando si contiene in sé come posto e negato, come superato, il momento antecedente, cioè quando si progredisce. Non la successione temporale, dunque, fonda il progresso, ma, viceversa, il progresso fonda la successione temporale. 42- — Ad ogni momento dello sviluppo storico dell' Io corrisponde un mondo artistico (piccolo o grande che sia), in cui l' Io si riflette nella sua im- mediatezza. Ma r lo si sviluppa, e ciò che era Io assoluto (A) diventa semplice momento di un nuovo Io assoluto (B) , che contiene in sé il primo, e però viene dopo di esso, ed è in progresso su di esso. Questo nuovo Io si rispecchia in un mondo artisti- co (B) , che contiene in sé, come momento, il mondo artistico precedente (A) , che, come tale, è morto e disfatto. La storia dell' arte è la storia del nascere e morire dei mondi artistici, ognuno dei quali risolve in sé i precedenti e si dissolve nel seguente. Ma ricordiamo ciò che s'è detto: progresso - distinzione = storia filosofia. Solo lo spirito filosofico è distin- zione, e però progresso, ed ha il concetto di pro- gresso. L' attività artistica è indistinzione, e, come tale, non ha il concetto di progresso, né progredisce essa stessa. L' attività artistica, infatti, non progredisce punto col passare del tempo : Omero non è meno artista di Dante ; né Dante, di Leopardi. Questi tre sommi, come forza artistica, si equivalgono. Soltanto, Dante elabora artisticamente un mondo più progre- dito del mondo elaborato da Omero, e meno progre- dito di quello che elaborerà Leopardi ; ma l' attività elaboratrice di Dante non è superiore a quella di Omero, né inferiore a quella di Leopardi ; tutte e r 76 LINEAMENTI DI ESTETICA E DI LOGICA 77 tre sono dì pari forza, perchè tutte attività indistinta ed immediata. E però, in quanto pura attività arti- stica. Dante non sa che il mondo, che egli si sforza di elaborare, è superiore al mondo omerico : ma lo sa la critica, che è distinzione, mediazione, progresso. Uno spirito che fosse tutto spirito estetico, tutto arte, tutto indistinzione e immediatezza, totus gusius, non potrebbe mai concepire il progresso nell* arte : tutte le opere d' arte gli si porrebbero sulla stessa scala, fuori di ogni rapporto di tempo, di spazio e di mutuo condizionamento, ed ogni seriazione di esse gli par- rebbe assurda. Per questo il buon gusto, che è r attività estetica rivissuta nella sua immediatezza, è impotente a concepire il progresso nelF arte, e però 1 ut 'Wl M I a darci una storia e una critica dell arte. Ma Io spirito che si pone come unità di momenti, posti e negati nella loro molteplicità, lo spirito che è critica, storia, filosofia, pensa il mondo dantesco, e. pensan- dolo, lo media e lo distingue, lo ravvisa come unità di momenti, per uno dei quali essa riconosce il mondo ellenico, che Omero elaborò artisticamente. Ciò fa- cendo, essa riconosce che il mondo dantesco è in progresso sul mondo omerico, perchè questo è sem- plice momento di quello. Progresso non significa qui. dunque, maggior grado di bellezza : e però non si deve pariare di progresso dell'arte, ma di progresso nell'arte, di progresso del mondo o dello spirito neir arte, poiché il progresso non è delle singole forme dello spirito, ma solo dello spirilo come unità delle sue forme, come filosofia. Negare all' Estetica il concetto di progresso è negarle la possibilità di una critica dell' arte, di una critica che sia, insieme. storia e filosofia, è abbassare la critica a semplice buon gusto. — E appunto perchè il progresso è dello spirito come unità, e non delle sue singole forme, quando si fa la storia e la critica di qualche forma o attività dello spirito si fa sempre, insieme, la storia e la critica dello spirito come unità, la storia e la critica di tutto lo spirito. Perciò le singole storie e critiche (storia e critica dell' arte, storia e critica del diritto, e così via) sono intimamente indissocia- biU fra loro, e solo empiricamente distinguibili. — 11 concetto di progresso ci permette, infine, di gra- duare le opere d' arte di uno stesso momento storico. Il capolavoro artistico, che rispecchia tutto lo spirito in un momento della sua storia, non è né più, né meno bello del madrigaluccio. che, perfetto pur esso, rispecchia soltanto un momento di quella vivente unità, che è lo spirito in quel punto della sua storia. Pure, nel capolavoro e' è tutta Y anima di un tempo, con tutta la sua infinita complessità unificata e orga- nizzata ; nel madrigale, uno solo degli elementi di quella complessità, una sola delle vibrazioni di quel- r anima. E però il capolavoro è in progresso sul madrigale, suo contemporaneo e suo pari in perfe- zione artistica, perchè lo contiene in sé come mo- mento superato. Col concetto di progresso Y Estetica termina e si risolve nella generale Filosofia dello spirito. 43 __ Filosofia = mediazione assoluta. Lo spi- rito che è mediazione assoluta è lo spirito che media sé stesso, che pone e nega sé come immediato, che distingue sé da sé. L'immediato qui vien posto come W9S/SSSÌBISSISSSÈ ! 78 LINEAMENTI DI ESTETICA tale, e di lui si dice che e immediato, che è. Di- cendo: " sono u, lo spinto si pone, e, insieme, si nega come immediato. Il puro immediato non dice di se : " sono u ; lo spirito che dice : " sono u , supera il momento dell'immediatezza. La prima me- diazione è contenuta nella parola: " sono «. Di- cendo: " sono B, lo spirito si pone come essere, ma come essere che dice di se : " sono y , come essere che non è puro e semplice essere, come essere che è più che essere (più che essere, perchè è, e dice di se che egli è), come essere che non è solo essere, come essere che è non-essere, come essere che è sintesi di essere e non-essere. Lo spi- rito qui è e non è in un atto ed in un momento solo; e poiché ciò che è e non è in pari tempo, diviene, lo spirito qui e divenire, divenire che è giudicare, mediare, distinguere: divenire come pen- sare. Che è il divenire? E' Tessere che è non-essere, e l'essere che dice di se che egli è, è Tessere come concetto delT essere. Non-essere non vuol dire il nulla, il niente: ma. al contrario, qualcosa di più del semplice essere, il quale è e non sa di essere : il non-essere è appunto il sapersi delT essere, il pre- dicarsi dell' essere, il pensarsi dell' essere. — Ora, in quella sintesi distinguente-unente che è il dive- nire, o T essere che è non-essere, prescindiamo dal non-essere, dal sapersi dell'essere; e pensiamo solo T essere in se e per se, distaccato dal non-essere, fuori della sintesi. Che cosa è T essere che non è non-essere? L'essere fuori della mediazione ? L' es- sere come puro essere? Esso è lo spirito come asso- luta immediatezza; come assoluta coincidenza di Io it E DI LOGICA 79 e Non-Io, di soggetto e oggetto, di spirito e natura; come volizione affatto alienata nel suo oggetto ; come attività che si esaurisce nella sua creazione; come inconsapevolezza. Il puro essere e lo spirito come puro essere, come indistinzione di se da se, come irrelazione, come assenza di pensiero, di pensiero che è concetto. Lo spirito come puro essere è lo spirito come attività immediata, naturale, artistica. Tutta la nostra indagine si riassume, dunque, nelle seguenti equazioni: filosofia = spirito come essere che è non-essere, come concetto dell' essere, come divenire ; arte = spirito come puro essere. — L. di nuovo, che è lo spirito come puro essere ? Esso è lo spirito, cioè T Io, la distinzione, la relazione, il di- venire, nella forma del puro essere. Anche nel mo- mento artistico, dunque, T Io diviene, è distinzione, relazione, cioè Io ; ma questo divenire non è divemre come pensare. Il divenire come pensare è il divenire che sa di divenire, che è divenire per sé, che dice di sé: " sono y, e, per ciò stesso, divenendo, si fissa e si ferma. Questo assoluto riposo, che è assoluto mo- vimento, è il divenire come pensare, è la mediazione assoluta, il divenire assoluto. Ma quel divenire che è T attività artistica è divenire che non sa di esser tale, che non è tale per sé, che non si ferma e non si fissa, e però è incessante trasmutare, nascere e perire, sorgere e scomparire : divenire puro. E T arte è per T appunto lo spirito come puro divenire ; è il primo costituirsi dello spirito nell'esistenza; è la vita colta e posta nel suo puro farsi : farsi inconsapevole, che T intelletto non ancora ha fissato e fermato, e che però appunto è farsi incessante, è divenire senza fi 80 LINEAMENTI DI ESTETICA fine. Conclusione di questa Estetica e, dunque, r equazione : arte spirito come puro essere o (che e lo stesso) come puro divenire. 44 — In che rapporto è questa nostra Estetica, e, con essa, il generale sistema di Filosofia dello spirito, nel quale rientra, e che non abbiamo mancato di svolgere brevemente, con le quattro parti, in cui, secondo 1* ultima grande filosofia europea, quella di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, si divide il sistema del sapere: Fenomenologia dello spirito, Logica. Filosofia della natura, Filosofia dello spirito? — Che cosa è la natura? Lo sappiamo: è lo spirito come natura; è il momento naturale o immediato o artistico dello spirito. La Filosofia della natura è la Filosofia dello spirito come natura ; è V Estetica : e però, come tale, rientra nella Filosofia dello spirito. — Che cosa è la Fenomenologia dello spirito ? Essa e il consapevole rifacimento di quel processo, pel quale lo spirito dall* immediato sapere giunge al sa- pere assoluto; è il viaggio dantesco dello spirito dair inferno della prima immediatezza al paradiso deir assoluta mediazione, ov* egli crea a se Y asso- luta verità e certezza sua. Ma, per noi, la Filosofia dello spirito non ha altro compilo che questo, e però rientra nella Fenomenologia dello spirito. — Che cosa è la Logica? E' la dottrina delle categorie, dei sommi principii del pensiero, e, per ciò stesso, della realtà. Logica Metafisica. Quali sono le categorie del pensiero? La risposta parrà ingenua, e pure è la sola vera : le categorie del pensiero sono il pensiero stesso. E che è il pensiero ? Lo sappiamo : e media- E DI LOGICA 81 zlone, distinzione, giudizio ; h divenire, come essere che è non-essere, divenire assoluto; il quale, pero, non può porsi come tale, come essere - non-essere, se non dopo essersi posto come essere non - non- essere, dunque come essere essere, come puro essere o puro divenire. Essere come puro essere, ed essere = non-essere, taU sono le categone del pen- siero e però della realtà. Ma queste categone non sono categorie di un ente messo fuori dello spinto : sono le forme stesse dello spirito, e però dell ente. Le categorie si trasformano, così, nei momenti dello sviluppo spirituale; Tessere coincide col conoscere ; la scienza con la coscienza; la verità con la ^r- tezza: il processo logico col fenomenologico. Ira r arte e la filosofia corre il processo logico-fenome- nologico dello spirito. La Logica si risolve, dunque, nella Fenomenologia dello spirito, e la filosofia ci si svela, alfine, nella sua vera natura: Filosofia come Fenomenologia dello spirito ; come Stona ideale eterna dello spirito, ed ultimo capitolo, essa stessa, di questa storia; come Teologia, che è Teofania e Teogonia in uno. 45 — Raccogliamo le Ha del nostro lavoro, e riassumiamo. Noi siamo partiti da un fatto innegabile, e dal solo fatto che non si possa negare : dall esi- stenza del conoscere. Ed abbiamo risoluto questo fatto nelle sue condizioni costitutive (analisi «indu- zione). Ma. in pari tempo ed in un atto solo, abbiamo visto come le condizioni costituivano il fatto (sintesi o deduzione). 11 nostro procedere non è stato, dunque, ne solo analitico, né solo sintetico; né solo indutUvo. 6 — A. TlLtìHKB. 82 LINEAMENTI DI ESTETICA ne solo deduttivo ; ma l' uno e l' altro insieme : e cioè, integrale, speculativo, dialettico. Noi abbiamo provato la conoscenza assoluta con ciò che la trascende, con ciò che la costituisce, con le sue condizioni, con r assoluta possibilità ( potenza attiva e fattiva) del conoscere. La nostra è, dunque, una deduzione tra- scendentale deir assoluto conoscere. Condizione del- l' assoluto conoscere è V attività immediata, naturale, artistica dello spirito. Il nostro lavoro è, dunque, veramente, una deduzione trascendentale del concetto di arte. Iloma, gennaio del 1913. IMMAGINE E SENTIMENTO NELL'OPERA D'ARTE L Il problema del rapporto fra rappresentazione e sentimento nell'opera d'arte, che da Benedetto Croce era stato quasi passato sotto silenzio nelle due prime edizioni della sua Estetica (Palermo, 1902 e 1904), fu da lui affrontato risolutamente, in tutta la sua com- plessità, soltanto nel saggio: L'intuizione pura e il carattere lirico deW arte (in Critica, VI, 1908, pp. 321-40; ristampato in T^roblemi di Estetica, Bari, 1910, pp. 1-30). Riassumendo con lucida brevità il suo sistema estetico, egli definiva T arte così: " L* arte si regge unicamente sulla fantasia : la sola sua ricchezza sono le immagini. Non classifica gli oggetti, non li pronunzia reali o immaginari, non li qualifica, non li definisce : li sente e rappresenta. Niente di più. E, perciò, in quanto essa è cono- scenza non astratta ma concreta, e tale che coglie il reale senza alterazioni e falsificazioni, l'arte è in- tuizione; e, in quanto lo porge nella sua immedia- tezza, non ancora mediato e rischiarato dal concetto, si deve dire intuizione pura u (Problemi, pagg. 14-15). 86 IMMAGINE E SENTIMENTO La " dottrina dell' intuizione pura fa consistere il valore dell' arte nella forza intuitiva ; in modo che, quanto più concretamente e puramente s* intuisca, tanto più si avrà, secondo lei, arte e bellezza y (p. 17). Tuttavia, " se si pone mente alle formole di giudizio dei buongustai e dei critici, alle parole che escono di bocca a tutti noi, allorché siamo accalo- rati a discorrere di opere d' arte,... sembra che ciò che piace e si cerca nell' arte, sia tutt' altra cosa ; o, almeno, qualcosa più che non la semplice forza e purezza intuitiva ed espressiva. Ciò che piace e si cerca nell' arte, ciò che ci fa balzare il cuore e ci rapisce d' ammirazione, e la vita, il movimento, la commozione, il calore, il sentimento dell' artista ; questo soltanto ci dà il criterio supremo per distin- guere le opere di arte vera da quelle di arte falsa, le indovinate dalle sbagliate u (pp. 17-8). " A un artista non si domanda che istruisca su fatti reali e su pensieri, o che faccia stupire per la ricchezza della sua immaginazione ; ma che abbia una per- sonalità, al contatto della quale l'anima dell'uditore o dello spettatore possa riscaldarsi. Una personalità quale che sia, essendo escluso, in questo caso, il significato morale : un' anima lieta o triste, entusia- stica o sfiduciata, sentimentale o sarcastica, benigna o alligna ; ma un an.ma. La criùca d" arte sembra consistere tutta nel determinare se una personalità vi sia, nell'opera d'arte, e quale sia u (p. 18). Ora, " se 1* essenza dell' arte e meramente teo- retica, ed e l'intuibilità, non si vede come possa essere, invece, pratica, e, cioè, sentimento, personalità nell'opera d'arte 87 e passionalità; e, se è pratica, non si vede come possa essere teoretica. Si dirà che il sentimento è il contenuto, e l'intuibilità è la forma; ma con- tenuto e forma non costituiscono, in filosofia, dualità, come a dire 1' acqua e il recipiente dell' acqua ; il contenuto è la forma, e la forma e il contenuto «. E " qui, invece, contenuto e forma appaiono diversi r uno dall' altro : il contenuto ha una qualità, la forma un'altra " (p. 21). Appaiono diversi, ma non sono, poi, veramente tali: " anche qui, la forma è il con- tenuto, l'intuizione pura è, essa stessa, liricità u (p. 22). Com' è possibile questa identificazione ? 11 Croce tenta spiegarcelo in quel capitolo della Filosofia della Pratica (Bari, 1909), intitolato: Due chiarimenti alla htorica e alV Estetica (pp. 183-9), in cui, riallacciando la sua teoria della volontà alle sue teorie dell' arte e della storia, si propone di span- dere su alcuni punti capitali della Istorica e dell'E- stetica quella " piena luce, che si sarà, forse, prima invocata invano y (p. 183). Ora. per ciò che riguarda r Estetica, questo punto capitale è precisamente il rapporto di rappresentazione e sentimento nell' opera d' arte, cioè, per 1' appunto, il problema principale della filosofia dell' arte. La Filosofia della Pratica si sforza di dimostrare che la realtà, com' è metafi- sicamente costituita, " altro non è che divenu-e, possibilità che passa all' attualità, desiderio che si fa azione, dalla quale il desiderio ripullula insaziato « (p. 1 87). " Distinguere i desideri dalle azioni tanto vale quanto discernere l' irreale dal reale, l' inesi- stente dall' esistente ; e pensare 1' atto pratico tanto vale quanto pensare il concetto di esistenza e di 88 IMMAGINE E SENTIMENTO NELL'OPERA D* ARTE 89 * 5 realtà effettuale Dire: " questo è un desiderio h significa : " ciò non esiste u ; dire : " questa è un* a- zione M significa: " ciò esiste «. I desideri sono la possibilità ; V atto risolutivo e volitivo, o azione, è l* attualità g (p. 1 85 ; cfr. anche Lineamenti di una Logica come scienza del concetto puro, Napoli, 1905, pp. 49-51 e Logica'. Bari. 1909. p. 118). Distinguere l'irreale dal reale tanto vale, dun- que, quanto distinguere i desiderii dalle azioni, e ciò non si può senza essere in possesso di una, sia pur rudimentale, filosofia della pratica. Ma Y arte è affatto priva di concetti, e però di filosofia (Estetica\ Bari, 1909, pp. 4 e segg.). Pertanto, " mancando air arte il criterio distintivo tra desideri e azioni, essa rappresenta, in verità, le azioni come desideri e i desideri come azioni, il possibile come reale e il reale come possibile ; onde, più correttamente, si deve dire che Y arte è di qua dal possibile e dal reale, è pura di queste distinzioni, ed è, perciò, pura immaginazione o pura intuizione. Desideri e azioni sono, come sappiamo, della medesima stoffa ; e r arte assume quella stoffa nella sua medesimezza, incurante della nuova elaborazione che sarà per ri- cevere in un grado ulteriore dello spirito y (p. 186). La " concezione dell' arte come rappresentazione di fatti volitivi, presi nella loro natura affatto generica e indeterminata, nei quali il desiderio è come azione e r azione come desiderio, svela perchè Y arte si affermi quale rappresentazione di sentimento, e un* opera d' arte non sembri avere, e non abbia, valore, se non pel suo carattere lirico e per l'im- pronta della personalità dell' artista g (pp. 1 86-7). « Il sentimento, che 1' artista vero ritrae, è quello delle cose, lacrymae rerum ; e, per la già dimostrata identità, in Filosofia della pratica, di sentimento e volizione e poi di volizione e realtà, quel sentimento sono le cose stesse y (p. 188). Conferma empinca di questa teoria e che i poeti, i quali sembrano aver r animo riboccante di odii e di amori, sono, poi, inetti a tradurli in realtà. Giacche " quegli amori e odi sono non volontà, ma desideri, e desideri già fiaccati come taU, perchè non piti in processo di sintetizzamento volitivo, ma divenuti oggetti di con- templazione e di sogno. Chi legga biografie di artisti, o pratichi con artisti nella vita quotidiana, ha. quasi sempre, l' impressione che le loro burrasche passionali non sieno altro che poesia la quale sta per prorompere, come germe verde che si schiuda, rompendo la bruna zolla. E. se quel processo e doloroso, ciò accade perchè doloroso è ogm travaglio di parto. Si veda, infatti, come tutto, di solito, finisca par des chansons. Una bella poesia, e il sofferente è rasserenato y (p. 188). Questo è quanto di piìi preciso ha scritto il Croce sul rapporto d'immagine e sentimento nel- r opera d' arte : il Breviario di Estetica, di recente pubblicazione (Bari. 1913. pp. 39-45). nulla v'ag- giunge. Per 1' Estetica {\ pp. 85 sgg.). invece, il sentimento estetico è la soddisfazione che prova r artista quando ha intuito : egli vuole intuire ; avve- nuta l'intuizione, il suo volere è soddisfatto; questa soddisfazione pratica è il sentimento estetico. Il sentimento estetico è. così, non interno, ma esterno all' opera d' arte, e semplice concomitante di essa ; e riguarda 1' uomo artista, non la sua creazione. f "if' 90 IMMAGINE E SENTIMENTO nell'opera d'arte 91 Come si vede chiaramente dai brani su riferiti, e come è, poi, evidentissimo dalla lettura per esteso del saggio: L'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte e del suindicato capitolo della Filosofia della Pratica, il Croce qui affronta e pone in tutta la sua complessità il problema dei rapporti fra intui- zione e passione, fra immagine e sentimento nell'opera d' arte. Ma riesce egli, poi, veramente a risolvere quel problema in modo soddisfacente? Il Croce ri- conosce che. se l'essenza dell'arte è l'intuibilità, l'arte è cosa teoretica; e se, invece, è la passionalità, essa è attività pratica. Ora, riconoscendo egli che l'intuibilità e la passionalità, l'immagine e il senti- mento nell'opera d'arte fanno tutt'uno, dovrebbe logi- camente affermare che l'arte è teoretica e pratica insieme ed in un atto solo, che essa è attività che apprende l' oggetto suo nell' atto stesso di costituirio. e che, pertanto, la barriera da lui posta fra cono- scenza e volontà, fra teoria e pratica, con l'affer- mare che " un conoscere, indipendente dal volere, e pensabile ; una volontà, indipendente dal cono- scere, è impensabile m (Estetica ^ p. 56), non ha più luogo di esistere. Avrebbe dovuto farlo, ma non l'ha fatto; e dopo avere affermato che con- tenuto e forma in arte sono una cosa sola, ha fatto della passionalità, del sentimento, il semplice contenuto dell' intuizione pura, nella quale per lui consiste propriamente 1' essenza dell' opera d' arte. ■ L' intuizione pura, non producendo concetti, non T può, dunque, rappresentare se non la volontà nelle sue manifestazioni ; ossia, non può rappresentare altro che stati d' animo. E gli stati d' animo sono la pas- sionalità, il sentimento, la personalità, che si trovano in ogni arte e ne determinano il carattere lirico u (Problemi, p. 23). Le conseguenze di questo reciso distacco della conoscenza dalla volontà, della teoria dalla pratica, del soggetto dall' oggetto, sono assai gravi. La realtà, pel Croce, è, nella sua essenza, divenire, cioè tra- passo dalla possibilità all' attualità, dal desiderio al- l'azione. Questo trapasso, che costituisce l'interna vita e r intimo dinamismo del reale, ha luogo fuori e senza e prima dell'intuizione artistica, la quale si limita ad apprenderlo nella sua ingenuità. E chiaro che, sopravvenendo ad opera compiuta, giungendo a sera, l' intuizione pura trova dinanzi a se una realtà già bella e fatta, già bella e costituita, già bella e divenuta (1' arte " come rappresentazione di fatti volitivi ,. Filosofia della "Pratica, p. 187), che si erge dinnanzi a lei misteriosa ed opaca. Perchè r intuizione pura colga la realtà nel suo farsi, è d' uopo eh' essa stessa sia questo farsi e costituirsi della realtà: se si ammette che la realtà può farsi e porsi neir essere fuori e senza e prima dell' intui- zione, sarà sempre impossibile spiegare in che modo questa potrà apprenderla e coglieria in quel movi- mento che è il suo divenire. Se l' arte fosse realmente quello che il Croce la definisce : " rappresentazione di fatti volitivi u, essa sarebbe assolutamente impos- sibile, perchè il fatto già fatto è il limite della rappresentazione e, come tale, è irrappresentabile. E \ 92 IMMAGINE E SENTIMENTO che il Croce abbia visto, sia pur confusamente, queste gravi conseguenze del distacco da lui posto fra teona e pratica, e che abbia tentato di evitarle, attenuando alquanto quel distacco, lo dimostrano con ogni evi- denza queste parole, che egli scriveva nel 1904, polemizzando contro Y Aliotta, il quale aveva rivolto alla sua Estetica una lunga serie di obbiezioni. " 11 rifare la natura che, per l'Aliotta, è qualcosa di straordinario, che giunge in ultimo e in pompa magna, è, invece, per me, già V opera della prima, elemen- tare, rudimentale conoscenza. Una sensazione pura. un' intuizione, è già una creazione ideale della realtà. E. se non e questo, che cosa è mai? Uno specchio? Se il conoscere non è il fare o rifare ciò che lo spirito stesso ha prodotto, non si torna al dualismo. alla cosa di fronte al pensiero, con tutte le assurdità connesse ? « (Problemi, p. 486). 11 conoscere è fare o rifare ? Creare o ricreare ? Il Croce non si sa deci- dere, e adopera quei termini promiscuamente, sen- tendo r assurdità di staccare teoria e pratica Y una dall'altra così recisamente com'egli ha fatto, e non osando identificarle francamente. in se stessa considerata, fuori e prima dell' in- tuizione che la colpisce nel suo puro divenire, la realtà è trapasso dal desiderio alla volontà. L in- tuizione pura è impotente a distinguere desiderio da volontà, mancando di una, sia pure elementare, filosofia della pratica, e però tratta i desideri come volontà e le volontà come desideri. Ma poiché la realtà in se stessa si è già distinta in desideri e volizioni, e 1' intuizione artistica non è la realtà, questa intuizione, percependo la realtà come indi- NELL' OPERA D'ARTE 93 stinzione di desiderio e volontà, non distingue quello che. in realtà, di per se stesso, e già distinto, e però è apprensione confusa di ciò che realmente è già distinto in se. Tutta la distinzione fra arte e filosofia si ridurrebbe allora a questo: entrambe hanno lo stesso oggetto : la realtà come trapasso dal desiderio alla volontà; ma la filosofia apprende distintamente r oggetto suo. quello stesso oggetto che l'arte ap- prende confusamente. L' arte e la filosofia differireb- bero allora solo di grado : la prima sarebbe percezione chiara e confusa, la seconda chiara e distinta del medesimo oggetto; la prima percezione, la seconda appercezione. Saremmo così risospinti verso una con- cezione intellettualistica e leibniziana dell' arte : verso quella stessa concezione, cui Kant pose fine una volta per sempre, quando riconobbe che l' intuizione è anch' essa, a modo suo. chiarissima e distintissima. e si distingue dal concetto per qualità, e non soltanto per il grado maggiore o minore di chiarezza o con- fusione (Kritik der reinen Vernunft\ Allgemeine Anmerkungen zur transcendentalen Aesthetik; Critica del giudizio, trad. Gargiulo. Bari. 1907. § 15); verso quella stessa concezione che il Croce respinge impli- citamente, quando asserisce che " la forma estetica e affatto indipendente dall' intellettuale u. e che questa e " conoscenza di relazioni di cose j, , mentre quella è conoscenza delle cose stesse {Estetica', p. 27). Trattando del Leibnitz. il Croce ne rigetta energica- mente la teoria intellettualistica che spiega l' intui- zione artistica come cognizione chiara e confusa di fronte al concetto, cognizione chiara e distinta, e ne fa, così, una pura e semplice implicazione del 94 IMMAGINE E SENTIMENTO nell'opera d'arte 95 i concetto {Estetica^ pp. 234-7 e i lesti del Leibnitz ivi citali) ; ma. svolta con conseguenza, non vediamo come la sua slessa estetica possa sfuggire alle obbie- zioni, che egli rivolge a quella del gran filosofo tedesco. Ne gioverebbe rispondere che, mentre la filo- sofia distingue la volontà individuale o amorale dalla volontà universale o morale, l'arte è pura di queste distinzioni, limitandosi a riprodurre il ritmo ideale della volontà, che e sempre trapasso dal desiderio alla volizione, sia poi questa volizione amorale o morale; e che così l'arte ha un oggetto suo proprio, distinto dall' oggetto della riflessione filosofica. Per il Croce la realtà è volontà; meglio ancora: è atto di voli- zione ; ed ogni volizione è o morale o amorale. Anche se l*arte potesse ritrarre soltanto il ritmo generale della realtà dal desiderio alla volizione, senza distin- guere questa in morale o amorale, poiché la volizione e, essa, di fatto morale o amorale, 1' arte, prescin- dendo da questa considerazione dell' amoralità o moralità della volizione, avrebbe per suo oggetto una mera astrazione ; l' intuizione pura colpirebbe, cioè, non il movimento del reale in tutta la sua concre- tezza e complessità, eh' è trapasso dal desiderio alla volizione morale o amorale, ma solo degli elementi di questo movimento (il semplice trapasso dal desi- derio alla volizione), arbitrariamente scissi dagli altri, che con quelli nella realtà si connettono indissolu- bilmente; e diverrebbe, così, conoscenza astratta della realtà, di fronte alla filosofia, conoscenza piena e concreta. Non basta. Il contenuto dell' arte — afferma il Croce — è la passionalità, il sentimento, la realtà colta nella sua ingenuità, come puro slancio vitale. Ora, lo slancio vitale è quello appunto, secondo il Croce, che la trasporta dal desiderio alla volontà, dalla possibilità all' attualità. Ma l' arte non distingue desiderio da volontà, possibilità da effettualità. Come può essa, dunque, rappresentare il trapasso della realtà dal desiderio alla volontà, la realtà stessa come trapasso vivente dal desiderio alla volontà ? Se l'arte colpisce la realtà come slancio vitale, questo dev' essere un tutt' altro slancio che quello, che porta la realtà dal desiderio alla volontà. E poiché lo slancio che porta la realtà dal desiderio alla volontà, è, secondo il Croce, precisamente quello che realizza praticamente 1' universo, quello che lo pone realmente ed effettualmente nell' esistenza, ne deriva inelutta- bilmente che quello slancio vitale, che. col nome di sentimento, di passionalità, di liricità, di personalità, costituisce r essenza dell' opera d' arte, dev' essere di tutt' altra natura che lo slancio vitale trapassante dal desiderio alla volontà, di tutt' altra natura che lo slancio vitale pratico. E qual' è questo slancio vitale realmente esistente, effettivamente costitutivo di una realtà sui generis, e pure profondamente distinto dall'attività pratica dello spirito propriamente detta? — Fu così che fin da due anni addietro io posi il problema dell' arte nel mio libro y?r/e. conoscenza e realtà ; e ancor oggi continuo a credere che sia quello il solo modo di porlo con giustezza e con una qualche possibilità di soluzione. % IMMAGINE E SENTIMENTO IH. Chi voglia superare le gravi contraddizioni, nelle quali si avvolge il Croce per Y insufficienza della sua teorica sui rapporti fra immagine e sentimento nel- r opera d' arte, e. in pari tempo, far fruttificare i germi di verità nascosti nelle sue dottrine, deve risolvere i seguenti problemi : 1 " se l' arte non è cognizione astratta o percezione confusa di ciò che la scienza conosce concretamente e distintamente, essa deve avere un oggetto suo proprio, distinto da quello della scienza, o, ciò eh' è lo stesso. Y oggetto medesimo della scienza, ma in una forma che sia propria dell'arte; 2'' se T oggetto dell'arte è la realtà colta nel suo farsi, nel suo divenire, nel suo slancio vitale, e questo slancio che Y arte coglie non e quello che porta la realtà dal desiderio alla volizione, che cosa e mai ? 3*" se Y arte è cognizione della realtà in atto e in movimento, e se non si può conoscere se non ciò che si fa {quia verum facimus, diceva il Vico), essa coincide in tutto e per tutto con quello slancio vitale sui generis, che e il suo oggetto ; ora. com* è possibile questa coincidenza ? Tre problemi che, in sostanza, ne formano uno solo, visto nei suoi diversi aspetti, e che, brevemente e sinteticamente, si potrebbe formulare così: se Parte è essenzialmente liricità, passionalità, sentimento este- tico, e il sentimento estetico non è slancio vitale dal desiderio alla volizione, non è attività pratica propria- mente detta nel suo divenire, che cosa è mai? nell'opera d'arte 97 La soluzione di questo problema noi la possiamo trovare anche partendo dalle premesse del Croce, benché, poi, lo svolgimento che di esse faremo sia tale da indurci a rifiutare il sistema di filosofia della pratica proposto da questo scrittore. Approfondendo il concetto di slancio vitale come trapasso dal desi- derio alla volizione, dalla possibilità all' effettualità (eh' è, poi. il concetto stesso svolto dal Bergson neir Éuo/u/ion créatrice, Paris, 1907, specialmente nel cap. Ili), noi approfondiremo, in pari tempo, il concetto di ciò che il sentimento estetico, come slancio vitale sui generis, non è. Ora, la realtà, in quanto processo dal desiderio alla volizione, dalla possibilità all'effettualità pratica, è processo dalla molteplicità all'unità. In quanto puro spirito deside- rante, r Io. lo spirito, è tutto preso nel momento della molteplicità, è lo e spirito come molteplicità. Ciò è chiaramente visibile anche dal punto di vista meramente psicologico, in quelle forme estreme di malattia del volere, in cui lo spirito è impotente a fissare la sua attività sopra un oggetto solo, ed a rivolgere a questo tutte le forze della sua volontà, ma trapassa con vicenda incessante dall' uno all' altro desiderio, dall'una all'altra appetizione, vuole e disvuole, appetisce e cessa di appetire, desidera e cessa di desiderare, senza mai posa, ne tregua. Alla considerazione filosofica il momento del puro desi- derio si offre come il momento della molteplicità pratica: e, perciò, filosoficamente, non si può mai parlare del desiderio, sibbene dei desiderii, al plu- rale. Nel desiderio, nell' appetizione, nella passione (termini, che sono per me tutti equivalenti) l' indi- 7 — A. TiLOUBR. 98 IMMAGINE E SENTIMENTO nell' opera d' arte 99 viduo è dominalo quasi da una forza a lui esteriore, i rovesciato al di fuori, dipende da qualcosa eh' è fuori di lui. da un oggetto esteriore ed estraneo, nel quale è il suo centro di gravità; egli è fuori di se, e altro da se, è se come altro di se stesso. Si desidera perchè si desidera: voler desiderare è una contraddizione in termini. Ma poiché è lo spirito come universale, che si è dissipato nella molteplicità delle appetizioni e delle passioni, per questo appunto egli non può restare in questo stato, e deve superarlo e trionfarne, e lo supera e ne trionfa di fatto. Ap- punto perchè in sé universale, lo spirito sente il desiderio e la passione come affatto inadeguati alla sua essenza, che è di essere interno a sé e non esterno a sé, di essere per sé e non di essere per altro, di essere soggetto e non di essere oggetto, di essere possesso di sé e non dedizione di sé alF altro da sé ; e però nega e risolve il desiderio e la pas- sione in quanto tali, e si pone come identità di sé con sé, come equazione di sé stesso con sé stesso, come realizzazione, non dell* altro da sé, dell' oggetto. e cioè di sé come altro da sé, come oggetto, ma di sé come assoluto sé, cioè come soggetto. Lo spirito giunto a questo grado è realizzazione di sé stesso come tale, e però sintesi a priori assoluta di soggetto e oggetto; è realizzazione di sé mede- simo come universale; è volontà. È volontà, è spirito volente, lo spìrito che si attua come universale, come accordo della sua esistenza con la sua essenza, come legge a sé stesso, come autocoscienza ; e però volontà e libertà sono una cosa sola, come una cosa sola sono volontà e bontà, volontà e moralità. La radice e r essenza della moralità non è da ricercarsi fuori della volontà, è la volontà stessa, è Fattività stessa del volere, come ha dimostrato Kant nel Fondamento della metafisica dei costumi (trad. Palanga, Roma, 1910; e cfr. T eccellente prefazione di B. Varisco, pp. VlI-XVni). Volere e volere il bene, Y univer- sale, lo spirito son tutt' uno : volere V individuale, cioè il finito, il mero oggetto, T altro dallo spirito, è contraddizione in termini. Il volere individuale o volere economico non è volere; è T altro dal volere; è la mera passionalità; è il mero appetire o deside- rare; ed il volere è la negazione della mera passio- nalhr-, del mero appetire o desiderare. Lo slancio vitale' che porta la realtà dal desiderio alla volontà è, dunque, niente altro che lo slancio vitale che porta lo spirito dalla molteplicità all' unità vivente e reale, all'universale pieno e concreto, è il processo di realizzazione dello spirito come universale, come sé. come autocoscienza. Lo spirito che desidera è lo spirito come altro da sé ; lo spirito che^ vuole è lo spirito come possesso e dominio di sé; lo spinto come passione è lo spirito che non ancora ha trovato sé stesso, che è fuori di sé, estraneo a sé; lo spinto che vuole è lo spirito come assoluta personalità, come lo assoluto, come lo=lo. (Chi desideri ulteriori sviluppi su questo argomento può far capo ad alcum miei arti- coli : /o, Libertà, Moralità nella filosofia di Enrico Bergson, ne La Cultura, Roma, 1912, nn. 22-3; Libertà e volontà nella filosofia di B. Croce (2' par- te), ne La Nuova Cultura, Torino, 1913, n. 3). Risultato del fin qui detto è che lo slancio vitale trapassante dal desiderio alla volontà è nient' altro . l'I I.i.iii|Li||Iim|| 100 IMMAGINE E SENTIMENTO che lo slancio vitale trapassante dalla mera moltepli- cità, come esigenza di unità, all' unità perfetta e compiuta come unità della molteplicità. Lo slancio vitale, oggetto e contenuto dell* arte, dirò meglio, essenza dell* arte, è al di qua di questo processo e sviluppo deir Io dalla molteplicità all' unità ; è al di qua di questa mediazione, per la quale Y Io si pone come assoluta autocoscienza, come Io Io ; è al di qua di questa distinzione dell' Io da se e riferimento in una dell' Io a se, che è il volere, sintesi assoluta di soggetto e oggetto, posizione e realizzazione dell' Io come Io Io, come Io per se. Il sentimento estetico è, dunque, Y Io in forma immediata, indistinta, irrelativa. Ma poiché è uno slancio vitale realissimo, benché di una realtà sui generis, poiché è un' attività distinta e pecuHare dell' Io, bisogna determinare quale sia e che sia quest' attività, per cui l' Io si pone come alcunché d'immediato, irrelativo e indistinto, come alcunché eh' é al di qua del processo, per cui l' Io si realizza come volere e autocoscienza. IV. Lo spirito volente, Y Io come volontà, é Y Io come possesso e dominio di sé, come posizione del- l'identità dello spirito nella molteplicità dei suoi stati psichici. Volere é essere padrone di sé, é realizzarsi come sé, come individuo, come individuo che é universale in pari tempo ed in un atto solo. Lo spirito come volere é Io spirito come unità con- creta e vivente, che ha in sé posta e negata ogni molteplicità; lo spirito come desiderio, come appe- nell' opera d' arte 101 tizione, come passione, é lo spirito come molteplicità aspirante all' unità, é lo spirito come esigenza di unità. Il sentimento estetico, essendo al di qua del processo dal desiderio alla volontà, non é né mol- teplicità come esigenza di unità, né unità concreta e vivente della molteplicità ; non é né alterità come esigenza di personalità, né personalità come soddi- sfazione di quell'esigenza: ma é lo spinto come immediata unità o, ciò che é lo stesso, come imme- diata molteplicità, o meglio ancora, come immediata coincidenza di unità e molteplicità. Il volere é l'animo come vivente unità della molteplicità dei suoi stati ; la passione é la molte- plicità degli stati d' animo come anelanti alla pace dell' unità, e travagliati dal bisogno di essa; il senti- mento estetico é lo stato d' animo puro e semphce, racchiuso in sé stesso e contento di sé. L'arte, si é detto, é lo spirito come puro stato d' animo. Ma che vuol' dire stato d'animo? Filosoficamente inteso, lo stato d' animo puro e semplice, lo spirito come puro stato d' animo é, per me, lo spirito come contratto e racchiuso nella singolarità del suo stato, é lo spi- rito prigioniero del suo stato. Umitato dal suo stato, ma che non sa di esserlo; é lo spirito alienato, naufrago, esaurito nel suo stato, divenuto tutto quanto esso stesso stato d' animo. Lo spirito come volere non é lo spirito come puro stato d' animo, perche il volere é lo spirito come unità concreta e vivente dei suoi stati; lo spirito come passione non é lo spirito come puro stato d' animo, perché la passione é lo spirito come esigenza di quella unità concreta e vivente che é il volere, é lo spirito come sfoao 102 IMMAGINE E SENTIMENTO di superamento della sua finitezza ed anelito verso queir infinito che è se stesso. Lo spirito come puro stato d'animo è lo spirito in quanto ne universale concreto, ne sforzo di universalizzarsi ; è lo spirito come assoluto individuale, come atto d'individuarsi, di limitarsi, di rendersi finito. Lo spirito come volere è lo spirito che ha annullato veramente ogni limite, perchè ha posto se come limite e legge a se stesso ; io spirito come passione è lo spirito che sente il limite, che sente la finitezza dell' oggetto della sua passione, e perciò lo supera, ma solo per ricadere in un* altra passione, per rivolgersi ad un altro og- getto, finito anch' esso, avvolgendosi così in un vano ed incessante progresso all' infinito ; lo spirito come sentimento estetico è lo spirito racchiuso nel limite, ma che non sente e non sa di esser limitato, e però non è limitato per se ; è lo spirito coincidente as- solutamente col suo limite, col suo oggetto, col suo stato d'animo, è lo spirito come l'animo che non si muove dall' altro verso se. ma sta. Gustando un' opera d' arte veramente espressiva e riuscita, Y animo si riempie di un sentimento, nella produzione del quale sembra consistere ed esaurirsi tutto r effetto e la forza, tutta 1' essenza dell' opera d'arte. Questo sentimento esletico non ha nulla di comune col desiderio e con la volontà : da Kant in poi, giù giù sino ai moderni esteti, è acquisito ora- mai alla filosofia dell'arte che chi dinnanzi ad una immagine artistica desideri o voglia praticamente, distrugge in se alla radice ogni possibilità di con- templazione estetica. Il sentimento estetico non è attività pratica accompagnante lo svolgersi dell' intui- NELL' opera D' ARTE 103 zione artistica (Estetica\ pagine 85 sgg.), non e. direbbe lo Schopenhauer, volontà di vivere: e pure e attività anch' esso, è vita anch' esso. e. provandolo, noi sentiamo aumentata, accresciuta, dilatata la nostra attualità di vita, la nostra esperienza vitale ; truen- done. la nostra fruizione di vita innegabilmente s ac- cresce anch' essa. Gli è che 1' attività pratica, propnamente detta, trapassante dal desiderio alla volontà, non è la sola attività (quindi la sola realta), per la quale si attui e si realizzi lo spinto. Per essa lo spirito, r lo. si realizza come assoluta mediazione e relazione di se con se ed equazione di se a se ; ed il sentimento estetico è. Invece, lo spinto, l lo, la vita come contratta nella singolarità e finitezza del suo stato, come realizzantesi in forma assoluta- mente individuale, e, poiché universalità ^ medm- zione, in forma assolutamente immediata. Vita nella sua immediatezza, o mero stato d' animo, cioè animo contratto in uno stato singolo, ma non sentito {e per ciò stesso negato) come singolo, e per questo ap- punto veramente singolo: questa è la definizione del sentimento estetico, e, per esso, dell attività artistica. . i» . Chiunque abbia qualche esperienza d arte con- trollerà facilmente in se stesso Y esattezza d. questa definizione. Chi gusta un' opera d' arte o chi la crea, che h lo stesso), sente Y animo suo Ubero da ogni vampa di desiderio, da ogni tensione di volontà, e pure ripieno di una gioia, quindi di un attività, quindi di una vita. che. per non essere vita d. pas- sione o vita di volontà, non è perciò meno esistente e reale di queste. Egli è puro soggetto contemplante. 104 IMMAGINE E SENTIMENTO puro occhio veggente, pura immagine e rappre- sentazione ; questa lo assorbe tutto quanto in se ; egli è naufrago e perduto in essa ; non distingue da se essa ; il suo essere è tutto nelF immagine ; e tutto r immagine ; egli è coincidenza assoluta di se con essa, indistinzione di soggetto e oggetto, immediazione ed irrelazione assoluta. Egli è lo spi- rito che crea, ma non sa di creare : è lo spirito alienato nella sua stessa creazione ; è il creatore che non riconosce se nella sua creatura, e perciò non distingue se creatore da essa creatura ; è la vita contratta e racchiusa in un singolo vivente ; è la vita come assoluta immediatezza. Questo e non altro è r arte. Poiché, contro 1' astratto dualismo asserito arbitrariamente dal Croce {Estetica^ pagine 85 sgg.), noi affermiamo risolutamente che sentimento estetico ed opera d'arte sono una cosa sola. V. Ma non si prenda abbaglio. Per stato d' animo io non voglio punto intendere V atomo psichico, come con elegante immagine si esprimono i psicologi as- sociazionisti. per i quali ogni stato d' animo è una entità psichica a se, avulsa e separata dalle altre, e dalla riunione ed aggregazione delle quali è com- posto r Io. Per puro stato d'animo, cioè per attività artistica, io intendo l'Io, lo spirito, tutto l'Io, tutto lo spirito come stalo d'animo, come attività artistica. Ora, rio è per essenza sintesi produttiva a priori, unità originaria di oggetto e soggetto, d' individuale e universale, d' intelletto e senso, di concetto e NELL'OPERA D' ARTE 105 intuizione, di unità e molteplicità (cfr. B. Spaventa. La filosofia di Kant e Kant e /' empirismo, in Scritti filosofici, ed. Gentile, NapoK. 1901. pp. 1-80 e 81-1 14); è attività che realizza se stessa come unità, unificando una molteplicità, ponendo un molteplice come tale, e, per ciò stesso, riducendolo ad unità. Anche nel momento artistico l' Io è Io, e dunque è unità della molteplicità, è atto unificativo e distin- tivo in una, è sintesi produttiva a pnori. Ne ciò contraddice a quanto abbiamo detto innanzi, affer- mando che lo spirito artistico è al di qua del pro- cesso, pel quale dalla molteplicità dei desideri si passa all'unità della volontà. Lo spirito che ha raggiunto il momento della volontà è lo spinto che non solo è unità concreta e vivente della molteplicità, ma pone e sa se stesso come questa unità ; non solo è unità, ma è unità per se, conscio di se, presente a se come unità; non solo è Io, ma è Io Io; non solo, come vedremo, è conoscenza, ma è cono- scenza della conoscenza, cioè assoluta autocoscien- za In quanto puro stato d' animo, in quanto mero sentimento artistico, l' Io è, sì, atto unificativo e di- stintivo insieme, ma atto unificativo e distintivo che non è tale per sé, che non è presente a se come tale, che è tale, ma non sa di esserlo ; è immediata coin- cidenza di unità e molteplicità ; è lo non -i Io, dun- que Io Non Io; è Io come puro e semplice Io; non autocoscienza, dunque, ma semplice coscienza. Nel momento artistico, nel momento della vita come pura immediatezza ed irrelatività, l' Io non è, dunque, immobile ed astratta unità, vuota e indifferente iden- tità ; è sempre attività unificativa e distintiva, ma atti- 106 IMMAGINE E SENTIMENTO ¥ità che Ignora se come tale, che non si ripiega e riflette su se stessa, che esce fuori di se senza mai raccogliersi in se, e che però si perde e profonda ncll' oggetto suo stesso. Pur nel momento artistico, dunque, V Io è Io, benché non Io Io. Lo stato d' animo puro e sem- plice è pur sempre Y lo, tutto Y Io, come stato d* ani- mo. E rio, come sappiamo, è unità della molteplicità, è sintesi, è relazione. Tanto vai dire che è perce- zione e rappresentazione. La rappresentazione o per- cezione è, infatti, per dirla con Leibnitz : " una moltitudine nelF unità o nel semplice u {Monadologie, §S 1 2 segg.) " Percepiio nihil aliud est, quam mul- torum in uno expressio ^ (Ep, Vili, ad ^atrem des Sosses; Oeuvres philosophiques, ed. lanet. Paris, 1900, li, p. 460). La bruta molteplicità fuori della sintesi, e che perciò non è vera molteplicità, perchè la molteplicità propriamente detta è tale solo nella e per T unità, solo nella e per la sintesi, è T irre- latività, r istantaneità, la materialità, la corporalità . * Omne enim corpus est mens momentanea, seu carens recordatione, quia conatum simul suum et alienum contrarium,... non retinet ultra momentum : ergo caret memoria, caret sensu actionum passio- numque suarum, caret cogitatione y {Theoria mo- ius abstracti: ed. Dutens, Tomus II, Pars altera, p. 40). dice lo stesso Leibnitz, ispirandosi probabil- mente ad una teoria dell' Hobbes (©e corpore, pars IV. e. XXV). Pel fatto stesso di essere attività uni- ficatrice della molteplicità, Y Io è rappresentazione, percezione, immagine. Ora, anche come momento artistico, come puro stato d' animo, Y Io è attività nell'opera d'arte 107 unificante e sintetizzante ; dunque, anche come mo- mento artistico, anche come puro stato d' animo, esso è necessariamente rappresentazione ed immagme. Ma. in quanto mera attività artistica. Y Io è attività umfi- catrice che non si ripiega su se stessa, che non si conosce come tale, che non è tale per se : dunque, come puro stato d'animo, Y Io è percezione, rappre- sentazione, immagine sic et simpliciter, pura di rifles- sione su se stessa, pura di concetti, mera coscienza, e non autocoscienza, o, meglio ancora, autocoscienza nella forma della semplice coscienza. (Sul rapporto di coscienza ed autocoscienza cfr. il bellissimo e sco- nosciutissimo libro di B. Spaventa : La filosofia di Gioberti, Napoli, 1863, pp. 3-14 e passim) Qui ci si svela con ogni desiderabile chiarezza perchè r arte sia in pari tempo ed in un atto solo sintesi a priori d' immagine e sentimento, di rappre- sentazione e personalità, d'intuizione e liricità: ter- mini che il Croce ha meramente giustapposto, senza punto indagarne l'intimo nesso metafisico, che U av- vince in indissolubile unità. Anche nel momento artisti- co rio è sintesi distinguente unente, unità che si pone come tale ponendo i termini dei quali è unità ; e. dunque, è attività e vita, e. per ciò stesso, felicita e piacere. " La vita infatti è necessariamente felice poiché la vita è la felicità e vi è contradizione nel- r idea d' una vita che non fosse feUce. La morte soltanto è r infeUcità , (G. A. Fichte, IntroJuzh^^ alla vita beata, trad. Quilici. Lanciano, 1913. 1. p. 27), appunto perchè essa è l'inattività. Ora l Io essendo anche nel momento artistico sintesi, cioè attività, cioè posizione e realizzazione di se, l atti- 108 IMMAGINE E SENTIMENTO vita artistica è fonte di felicità e di gioia, è essa stessa vita, e però felicità e gioia ; e quando si svolge senza impedimenti (cioè quando Topera d* arte è veramente riuscita, è veramente opera d' arte), essa non può dare mai altro che felicità e piacere, pur quando rappresenti cose dolorose e turpi, cioè, tali che in un grado ulteriore dello spirito, trasformate, appariranno dolorose e turpi. Questa gioia, di cui r arte ci riempie Y animo, è gioia sui generis, perchè vita sui generis, profondamente distinta dalla gioia della passione soddisfatta e del volere realizzato, come profondamente distinta è la vita nella sua imme- diatezza dalla vita eh* è processo e mediazione. Ma, pel fatto stesso di essere piacere e gioia, cioè vita, cioè attività, cioè sintesi palpitante e con- creta di unità e molteplicità, Y attività artistica è pro- duttrice d' immagini e rappresentazioni. In essa Y Io si realizza come tale, come unità della molteplicità, ponendo e negando la molteplicità come tale, cioè unificandola. La molteplicità unificata è la percezione, la rappresentazione, T oggetto. L'attività artistica è attività essenzialmente oggettiva, appunto perchè es- senzialmente soggettiva e spirituale. Ma essa è atti- vità immediata, e però agisce, ma non sa di agire, e, come abbiam detto, si profonda nell'oggetto della sua creazione. L* incoscienza dell' attività artistica non vuol dire che essa sia fuori dello spirito, ma soltanto che essa non si ripiega su sé slessa come attività. Pel fatto stesso di essere attività, cioè sintesi, cioè unità della molteplicità, cioè oggettività e verità, essa è spiritualità, benché soltanto irriflessa. Inconscia com' è di sé stessa come attività, alienata com' è NELL'OPERA D' ARTE 109 neir oggetto suo stesso, questo le sembra venuto dal di fuori, come un dato che s' impone ad essa, come qualcosa che essa ha cercato ma non creato, e che d' un tratto le viene incontro, non si sa donde, né come, né perchè, quasi dono di un'ispirazione celeste, o frutto di una misteriosa spontaneità operante nelle tenebre dell' incoscienza. E se chiamiamo Non-Io r oggetto così inteso, un Non-Io che è tale solo nel- r Io e per 1' Io, il momento artistico dello spinto ci si svela come immediata coincidenza di Io e Non-Io. Sintesi immediata di rappresentazione e sentimento, di soggetto e oggetto, di conoscenza e vita, di Io e Non-Io, questa e non altra è 1 essenza dell' arte. Io = Non-Io, tale è la formula, che con maggiore adeguazione, forse, ne esprime 1' essenza profonda e costitutiva. Questa teoria non è il frutto di una meditazione solitaria : essa è preparata da tutto il corso della filo- sofia moderna, che, rettamente compreso, conduce a porre il primo grado dello spirito come immediata coincidenza di Io e Non-Io, di soggetto e oggetto, di spirito e natura, e a concepirlo come il momento immediato o naturale o artistico dell' Io. Mi è impos- sibile qui di tracciare, sia pure per sommi capi, questo corso, e mi contenterò solo d' indicarne i punti principalissimi. che, secondo me, sono : r la teoria dell'immaginazione trascendentale, del Kant {Krttifz der reinen Vernunft ' : T>er T^eduktion der reinen Verstandesbegriffe Ahsch, II; - T la teoria dei dif- ferenziaU della coscienza, del Maimon CUersuc/) ùber die Vranscendental-pbilosophie, 1790, pp. 419 sgg.) ; — 3' la teoria del Non-Io come quantità dell Io, no IMMAGINE E SENTIMENTO NELL'OPERA D* ARTE 111 del Fichte {"DoUrìna della scienza, traci. Tilgher, Bari. 1910: "Principii fondamentali di tutta la "Dot- trina della scienza, § 4 D) ; — 4' la teoria della natura come Io depotenziato, dello Schelling {Ueber dtn wahren Begriff der U^aturphilosophie ; Sistema dell'idealismo trascendentale, trad. Losacco, Bari. 1908, sez. III. cap. Il, Prima Epoca); - 5' la teoria della natura, come Taltro dall' Idea, dell' Hegel {Enciclopedia, trad. Croce. Bari, 1907, ^§ 245 sgg. e B. Spaventa, Prìncipii di Etica, ed. Gentile, Na- poli. 1904. pp. 45-57); - 6** la teoria della coscienza come autocoscienza nella forma dell' imme- diatezza, dello Spaventa {La filosofia di Gioberti, L e. e Logica e Metafisica, ed. Gentile, Bari, 191 1. pp. 29 segg.) ; 7" la teoria della prima epoca o fase o momento della coscienza come indistinzione di soggetto e oggetto, comune (benché in diverso senso) a molte direzioni della filosofia contemporanea : come Tempirio-criticismo (Mach e Avenarius); il pragma- tismo (lames e Schiller); T intuizionismo (Bergson e Schmitt); - 8" la teoria dell' arte come prima forma spirituale, del Vico (Scienza Nuova \ Degli Ele- menti e libri li e III), divulgala e popolarizzata dal Croce (Estetica \ pp. 249-65 ; La filosofia di Giam- battista Vico, Bari. 1911. e. IV segg.). Ripercorrere il cammino percorso dalla filosofia moderna, di cui soE queste le tappe principali, non è certo cosa ne facile, ne breve ; ma credo assai difficile che possa dire in estetica una parola veramente nuova e dura- tura, e tale che contribuisca effettivamente al progresso del pensiero, chi non abbia assolto coscienziosamente quel compito. VI. Perchè lo spirito si pone come immediata coin- cidenza di lo e Non-Io ? In che rapporto è 1" arte con la natura, con la passione, con la moralità, con la religione, con la filosofia ? Queste e molte altre domande ancora si potrebbero formulare qm, natu- ralmente suscitate dal corso stesso della nostra mda- gine. Ma non è questo il luogo di rispondervi, anche perchè a molte di esse ho già risposto, come meglio ho potuto, nei miei Lineamenti di Estetica e di Logica. di recente pubblicazione, e nel libro Arte, conoscenza e realtà, già citato. Ma non sarà inopportuno toccare di volo i rapporti fra l' arte e la passione. D'ordinano, r arte viene definita come la rappresentazione della passione, ma in che rapporto sieno poi la passione e la rappresentazione nell" attimo della creazione artistica, questo non si sa dire. E non si sa dire, perchè non si può dirlo, per la ragione assai semplice che quella definizione non regge ad un esame un po' penetrante ed accurato. E, innanzi tutto, è poi vero che 1 arte sia esclusivamente rappresentazione della passione ? Perchè, ponendosi da questo punto di vista, negare che r arte possa essere la rappresentazione della reh- gìone e della moralità, che sono tutt' altra cosa dalla passione, che anzi ne sono a dirittura 1' assoluta ne- gazione? L'arte rappresenta, forse, soltanto un pezzo dello spirito, e se tutta la realtà è spirito, un pezzo solo della realtà ? Se la passione è vita, anche la moralità o volontà è vita, né si vede perchè 1 arte debba escluderla dal suo campo. Se all' arte appar- 112 IMMAGINE E SENTIMENTO NELL'OPERA D* ARTE 113 tiene 1' amoroso lamento di Francesca, le appartiene pure r austera virtù di Federigo Borromeo ; lo stesso spirito che ritrasse Y orrendo squilibrio e le strazianti angosce di Raskolnikoff. seppe ritrarre pure la subli- me devozione di Sonia ; e dalla stessa fantasia crea- trice, che diede al mondo dell' arte il tiranno Creonte, fu generata la soave figura della dolente Antigone. La teoria che definisce V arte come rappresen- tazione della passione pecca di un doppio difetto: Tuno, di staccare il soggetto dall'oggetto, la rap- presentazione dalla cosa rappresentata; T altro, di voler distinguere le forme dello spirito fra loro dalla diversità degli oggetti che esse rappresenterebbero o porrebbero in essere. Ma le forme dello spirito sono come le monadi di Leibnitz (citiamolo ancora una volta, che nelle dottrine filosofiche di questo grandis- simo vi sono tesori preziosissimi, non ancora tratti alla luce). Tutte le monadi rappresentano intero lo stesso universo ; ogni percezione nell* interno di cia- scuna monade rappresenta intero lo stesso universo ; una monade si distingue da un' altra solo per il mag- giore o minor grado di distinzione, con cui rappre- senta lo stesso intero universo, che rappresenta queir altra, e per lo stesso criterio ogni percezione si distingue dalle altre nell' intemo di ciascuna mo- nade {Système nouveau de la nature et de la comma- nkation des substances ; Monadologie). Egualmente, le forme dello spirito, arte, passione, diritto, religione, filosofia, rappresentano e realizzano tutte quante lo stesso Io. e Y lo tutto quanto, ciascuna in un diverso momento del suo sviluppo. Lo spirito artistico e, come spirito artistico, tutto Y Io. tutto quello stesso 1/ lo che è lo spirito passionale come passione : perciò, sviluppaidosi come spirito artistico, è evidente che esso debba rappresentare la passione e la moralità, appunto perchè lo spirito artistico è quello stesso spirito, quello stesso Io, che nella passione si dissolve e nella moralità si conquista. Dire che Y arte è rappresentazione della passione non basta, dunque, a caratterizzare l'essenza dell' arte. Che lo spirito passionale si riconosca nello spinto artistico e ci si vegga rappresentato, è cosa natura- lissima, perchè entrambi sono, in forma diversa, lo stesso spirito, lo stesso lo. Ma lo spirito come attività artistica è quella stessa attività che è lo spirito come passione? Per esprimerci psicologisticamente, ma chiaramente, lo stato d' animo di Shakespeare creante r Otello è lo stesso stato d' animo di Otello real- mente esistente ? Formulata così la domanda, ognuno che abbia vera esperienza d' arte risponderà di no. I due stati d' animo sono qualitativamente diversi: quello di Shakespeare è vita nella sua immediatezza, che crea e si profonda nelF oggetto della sua creazione ; quello di Otello è vita come passione, come esigenza di mediazione assoluta, di volontà e di moralità. Il primo è attività, a suo modo, coerente e oggettiva, e però fonte di gioia e di felicità, cioè vita, essa stessa; il secondo è attività incoerente e con- traddittoria, e però agitazione e travaglio incessante. L' arte è per essenza gioia, la passione per essenza dolore ; la prima è gioia senza desiderio, la seconda desiderio senza gioia. Perciò si dice giustamente che il miglior modo di liberarsi dalle passioni è di farle oggetto di contemplazione estetica. Tutto il mistero 8 — A. TlLGHKR. 114 IMMAGINE E SENTIMENTO della catarsi artistica, di cui parlava Aristotile a pro- posito della tragedia. " la quale per via della pietà e del terrore libera T animo da siffatti sentimenti | (Varie poetica, trad. Barco, Torino, 1876, pp. IO sgg.), si svela di facilissima soluzione, quando si ammetta la teorica dell* arte come essenzialmente ca- tarsi, cioè sentimento estetico, vita nella sua imme- diatezza. Si leggano le parole seguenti, scritte da un grandissimo artista, che, pur non essendo di profes- sione filosofo, meglio d'ogni altro in Francia, nel secolo XIX, penetrò Y essenza dell' arte e il rapporto di arte e passione : " lo ho scritto pagine teneris- sime senz' amore e pagine bollenti senz' alcun fuoco nel sangue. Ho immaginato, mi son ricordato ed ho combinato u (G, Flaubert, Correspondance, Paris, I, 28). " Dipingerai il vino, Y amore, le donne, la glo- ria, se ti rassegnerai a non essere ne ubbriaco, ne innamorato, ne marito, ne guerriero u (II, 19). " La poesia non dev* essere la schiuma del cuore g (11, 395). " Io ho pianto a sentir melodrammi, che non valevano quattro soldi ; e Goethe non mi ha mai bagnati gli occhi se non d' ammirazione u (H 320). " I capolavori sono bètes ; hanno Y aria tranquilla, come le produzioni della natura, come i grandi ani- mali e le montagne ^ (li, 122. Brani riferiti da A. Fusco, La filosofia delT arte in Gustavo Flaubert, NapoU, 1907. e. V). La serie di argomentazioni, per la quale, par- tendo dalle premesse del Croce, siamo giunti alla teorica sopra abbozzata dell' arte come coincidenza immediata di Io e Non-lo, non è certo facile, ne NELL'OPERA D* ARTE 115 breve ; e. si sa, più lunga è una catena di ragiona- menti, e più cresce la probabilità che degli errori siano scivolati nelle sue maglie. Ma il vero si è che air estetica sopra accennata si può giungere non solo, ma anche partendo dalle dottrine del Croce, se si vogliano evitare le contraddizioni cui esse dan presa, e svolgere i germi di verità che in esse son contenuti; e ci si può giungere, poi, assai più facilmente e agevolmente partendo direttamente dall'estetica clas- sica tedesca, come s' è venuta svolgendo da Kant m poi, attraverso le grandi teorie e i grandi nomi di Schiller. Schelling, Solger, Hegel, Schopenhauer, Schleiermacher, Humboldt, giù giù sino al Fiedler. allo Hanslick ed ai recentissimi e geniali teorici del- l' Einjùhlung (cfr. i miei articoU Sul concetto di Einfùhlung e L' estetica di Enrico Bergson ne La 3\Cuova Cultura, Torino, 1913, n. 6). Una storia dell' estetica tedesca (che sarebbe, poi. nient' altro che una storia di tutta la filosofia tedesca sotto il punto di vista del concetto dell' arte), che non fosse una mera giustapposizione di riassunti di teo- rie succedentisi 1' una all' altra non si sa ne come, ne perchè, ma che fosse, invece, il consapevole rifa- cimento dell' interno processo e sviluppo del proble- ma estetico, credo che condurrebbe alla concezione dell' attività artistica come coincidenza immediata d'immagine e sentimento, come lo = Non-Io, come slancio vitale realissimo, benché non pratico. Sarebbe una giustificazione e dimostrazione storica della teoria su proposta, ed io spero di poterla dare brevemente un' altra volta. Roma, aprile del 1913. TEORIA DELLA CRITICA D'ARTE I ___ La critica d' arte è riflessione e medita- zione suir opera d' arte già perfetta e compiuta : essa presuppone, perciò, nello spirito del critico, la pre- senza deir opera d' arte, in quanto tale. Questa h ricreata e riprodotta, nello spirito del critico, dalla fantasia riproduttrice o gusto. È il gusto che, quando siamo posti in presenza di una creazione spirituale, la quale ci si offre e porge come opera d' arte, la ricrea e riproduce in noi per quel tanto che essa è veramente opera d' arte ; è il gusto che (sulla base della conoscenza storica della situazione, nella quale si trovava Y artista, quando produsse Y opera sua) constata la presenza o Y assenza dell* arte, cioè della fantasia creatrice, in quel prodotto spirituale, che ci si offre come creazione artistica ; è il gusto che dice : « qui c'è un opera d'arte u, con la negazione corrispondente: " qui non c'è un'opera d'arte «. La ricreazione nel nostro spirito, per opera del gusto o fantasia riproduttrice, di un'opera d'arte già com- piuta non va mai scompagnata dall' avvertenza, espli- cita o implicita, formulata o sottintesa, della presenza 4 120 TEORIA DELLA CRITICA D* ARTE 121 o dcir assenza, in quel dato caso, di un'opera d* arte. Il gusto, così, fornisce allo spirito del critico la materia, su cui la critica si eserciterà; senza gusto non e' è critica ; quando il gusto manca, si avrà un beli' accumulare tesori di cognizioni storiche, dirette alla comprensione dell'opera d'arte: questa, in quello per cui essa è opera d' arte, resterà sempre impenetrabile ed oscura. Tutto quello che il gusto, nel suo lavoro di ricreazione e di riproduzione, constata come effettivamente esistente in un' opera d' arte, esiste realmente e di fatto in essa : e, di grazia, come potrebbe non essere bello in se quello che io gusto come bello, come potrebbe non essere realmente un prodotto della fantasia creatrice quello che il gusto riproduce in me come tale ? L' assolu- tezza del gusto, r incoercibile sua pretesa alla neces- sità ed alla universale validità dei suoi pronunziati, si fondano precisamente su questa base : che ciò, di cui il gusto avverte la presenza nell' opera d' arte, esiste in questa effettivamente come tale. Ma non vi esiste solo ; che può esservi nell' opera d' arte qualche altra cosa, che il mio gusto non giunge a riprodurre, e che il gusto di un altro, più fortunato di me, un giorno riprodurrà. Ciò che il mio gusto trova nel- r opera d' arte è certamente in essa, ma può non esservi esso solo. L' assolutezza del gusto non vuol dire r onniscienza del gusto di un singolo uomo. Ma nel gusto, nella semplice constatazione della presenza o dell' assenza dell' opera d' arte, si esaurisce tutta quanta la critica? 1 11 ^ Noi sosteniamo risolutamente di no. Il gusto non è tutto il giudizio critico: perchè questo si produca, e necessario che l' opera d' arte, riprodotta dal gusto, sia pensata come opera d' arte, come fatto estetico; e per questo c'è bisogno del concetto dell'arte, quindi della filosofia dell' arte, dell' Estetica. In mancanza di una sana filosofia dell' arte, non si può avere una buona critica, per quanto fine e squisito sia il gusto. 1 nostri vecchi eruditi, per esempio, gustavano le poesie del Marino, il poema del Tasso, le tragedie dello Shakespeare, e ne go- devano, e se ne inebbriavano: ma mancavano di una buona filosofia dell' arte, e perciò biasimavano il Marino come immorale, il Tasso come violatore delle leggi del poema epico, lo Shakespeare come violatore di quelle della tragedia. Se avessero avuto una buona Estetica, come avevano buono il gusto, avrebbero saputo che la morale non ha niente a che fare con 1' arte, e che le leggi del poema epico e della tragedia sono mere astrazioni, ricavate dallo studio delle opere d' arte già fatte, non applicabili, quindi, all' arte in via di farsi. Nella critica d' arte, dunque, il concetto dell' arte, che fa da predicato nel giudizio critico, ha. innanzi tutto, un ufficio negativo. Il possesso di una buona Estetica, di un sano concetto dell' arte, giova, infatti, in primo luogo, a che pregiudizi di nessuna sorta, né morahstici. ne filosofici, né intellettualistici, od altri che siano, of- fuschino i risultati del lavoro riproduttivo e ricreativo del gusto. Sotto la salvaguardia di una buona Estetica il gusto può dare in tutta sicurezza il suo giudizio. 122 TEORIA DELLA CRITICA D' ARTE 123 il quale, poi, veramente, non è giudizio, ma è sem- plice constatazione, nuda avvertenza della presenza o deir assenza di un' opera d* arte . " Nuntio vobis gaudium magnum : qui e' è un' opera d* arte i questo è tutto quello che può dire il gusto, la qual proposizione può contrarsi nella semplice parola " bello! B. o. a dirittura, in un semplice gesto di meraviglia e di ammirazione. ni. — Tutte le opere d' arte, a qualunque tempo e luogo appartengano, di qualunque mezzo si servano per comunicare esteriormente il loro conte- nuto lirico, qualunque contenuto spirituale esprimano, qualunque attimo e momento di vita rappresentino e vivano in forma irriflessa, naturale ed immediata, si proiettano dinanzi al puro e semplice gusto sopra una sola linea: in ciascuna di esse il gusto si limita a constatare la presenza o V assenza della fantasia creatrice, del sentimento estetico, dello slancio lirico, ma non va oltre. Per il puro e semplice gusto non e' è che il bello o il brutto : per esso non e* è storia, quindi non c'è evoluzione, non c'è progresso; per *™ esso è tanto indifferente andare dalla "Divina Com- media ai T>iscorsi del Machiavelli, quanto dai Discorsi del Machiavelli alla T>ivina Commedia, poiché di- nanzi a questi due capolavori il suo atteggiamento, la sua reazione valutatrice, è perfettamente la stessa, non cangia punto, e si esprime con l' identica parola : " bellissimi! „. -- E poiché di un'opera d'arte il gusto non può dire che o " bella u, o " brutta |, o " bella nei punti a. t, e, e brutta nei punti d, e, / I, il suo atteggiamento non varia, sia che esso •4 ì f = ricrei e riproduca un capolavoro, espressione di tutto un mondo e di tutta una civiltà, sia che ricrei e riproduca una piccola opera d' arte, espressione di un transitorio momento di vita del suo autore : così, per il gusto, tra una grande ed una piccola opera d'arte altra differenza non è ammissibile che mera- mente quantitativa. - Ancora. Tutte le opere di uno stesso autore, per esempio, del Manzoni, concepite in diversa età e in diverse condizioni spirituah, si proiettano dinanzi al gusto sopra un sol piano, e tutto quello che esso può dire di queste opere, così varie di contenuto spirituale e di accento lineo, è semplicemente questo: " in quest'opera l'autore è riuscito ; in quest' altra ha sbagliato ; questa è bella, quella è brutta, quell' altra è bella in questi e questi punti, brutta in questi e quest'altri „. - E, insomma, dovunque e sempre, il gusto non fa mai altro che avvertirci che 1" opera d' arte, in quel dato caso, e è o non e' è, e così si limita a porgerci un fatto già fatto, ma 1' atto stesso del farsi di quel fatto gli resta impenetrabile e misterioso, la genesi stessa dell'opera d' arte, in quanto tale, gli sfugge senza rimedio. IV. — L' affermazione che tra una grande opera d' arte ed una piccola, tra la 'Divina Commedia e uno stornello popolare, altra differenza non passi che meramente quantitativa, quella essendo un aggregato d'innumerevoli rappresentazioni artistiche e questo una rappresentazione sola, e siavi, pel resto, perfetta equivalenza estetica; - l'affermazione che sia as- surdo e senza senso parlare di progresso artistico, ogni opera d' arte essendo un tutto in se perfetto e II ",l 124 TEORIA DELLA CRITICA D'ARTE 125 compiuto, che va gustato e giudicalo in se stesso e per se stesso, senza rapporti, ne riferimenti intrin- seci con le altre opere d' arte ; — la conseguente, sia pure implicita, ma inevitabile, negazione di ogni considerazione storica dell* opera d* arte, e la ridu- zione della critica estetica alla contemplazione della singola opera d* arte già fatta, della singola intuizione già avvenuta, del singolo individuato, di cui non resta a far altro che constatare la presenza, rinunziando affatto a sapere in che modo sia venuto alla luce ; — e. nella produzione varia di uno stesso artista, il considerarne le opere ciascuna per se presa, senza curarsi della personalità lirica vivente dell* autore, che rilega quelle diverse opere d* arte nella concreta unità di un organismo spirituale; — la concezione del brutto come un elemento non fantastico, ma passionale o utilitario o intellettuale o morale, che, ad un certo punto, per debolezza dell* artista, caccia di seggio la fantasia e ne assume le veci, e non già come un elemento, non ancor dominato dalla fantasia, del mondo poetico dell* artista, ma che lo sarà nel- r avvenire, in un ulteriore sviluppo delle facoltà poetiche di questo ; — e, insomma, 1* affermazione del carattere atomico, puntuale, astrattamente afferma- tivo o negativo, della critica estetica: tali sono le principali inevitabili conseguenze del ridurre la critica a gusto, ed il gusto all'avvertenza immediata della presenza o dell'assenza dell'opera d'arte, alla sem- plice constatazione che " qui c'è un* opera d*arte | e " qui non e* è un* opera d* arte y . Questa concezione della critica fu da noi già sostenuta nel nostro libro Arte, conoscenza e realtà, pp. 106-9. Y. — Noi ora concepiamo la critica in modo affatto diverso. Per noi. ufficio del gusto è soltanto di riprodurre la creazione dell' artista, e di porgere, così, alla critica la materia su cui essa si eserciterà. Ne la critica si limita all' ufficio meramente negativo di mettere a tacere i pregiudizii, che tentano di sof- focare la voce del gusto, e, ottenuto silenzio, far pariare questo soltanto. Essa è qualche cosa di più e di meglio. Quel mondo, che l' artista ha rappre- sentato e vissuto in forma immediata, naturale, irri- flessa, la critica lo giudica, lo media, lo pensa; cioè lo discrimina e distingue nei suoi elementi co- stitutivi ; ravvisa questi nella loro natura essenziale e profonda; h giudica e definisce come elementi sensuali o passionali o intellettuali o morali o politici o reUgiosi o filosofici, e cosi via: insomma, essa è- la coscienza che l* opera d' arte assume di sé ; è r autocoscienza dell' opera d' arte ; è il mondo poe- tico che, passando dall' artista al critico, si distacca dalla sua immediatezza, rientra in se stesso, si ripiega e riflette su sé medesimo, si distingue dinanzi a sé, si giudica, si pensa, si differenzia, diventa oggetto di sé medesimo, assurge alla coscienza di sé ; in una parola, si critica. Il gusto riproduce in noi il sentimento estetico, nella produzione del quale con- siste e si esaurisce tutta l'efficienza dell' opera d' arte, ne avverte la presenza o l' assenza : la critica ci dice quale sia il contenuto di questo sentimento, quali siano gli elementi del mondo, che l' artista ha sentito con immediatezza di vita, quale sia il sogno che l' artista ha sognato : se un sogno di crudeltà wtmim^i 126 TEORIA DELLA CRITICA D'ARTE 127 o di amore, di passione o di moralità, di dissolvi- mento o di eroico furore. E la differenza tra il gusto ed il genio, tra la fantasia riproduttrice e la fantasia creatrice, consiste precisamente in ciò : che questa crea per creare, produce per produrre ; e quello, invece, crea a servizio della critica, per porgere a questa la maler.a. su cui essa eserciterà la sua rifles- sione. E poiché, nel suo ufficio riproduttivo dell* o- pera d* arte, il gusto non va mai scompagnato dalla constatazione, esplicita o implicita, della presenza o deir assenza dell' arte in quel caso, anche il gusto è, in certo qual modo, critica : esso è la critica in nome dell' arte, in nome della fantasia ; mentre la critica propriamente detta è la critica dell* arte e della fantasia stessa. Il gusto, così, assume come suo criterio e misura di giudizio l' attività fantastica, il sentimento estetico, e dice " bello u dove li trova, e " brutto u dove non li trova ; la critica, invece, fa dell* attività fantastica, del sentimento estetico, la materia stessa del suo giudizio. Insomma, il gusto è ancora spontaneità creatrice, e la critica e riflessione sulla creazione. Perciò un gusto squisito è, per un artista, validissimo aiuto a creazioni di superiore eccellenza ; ma V esercizio della critica essicca le fonti stesse della creazione poetica. VI. — Dalla definizione della critica come r autocoscienza del mondo poetico derivano impor- tanti conseguenze, di cui ora andremo enunciando le principali. Al gusto abbiamo visto essere del tutto indifferente passare dalla Divina Commedia ai Di^ scorsi del Machiavelli o, viceversa, dai Discorsi del Machiavelli alla Divina Commedia. Per la critica, invece, il punto di partenza non è indifferente. Il mon- do poetico del Machiavelli contiene in se, posto e ne- gato come momento subordinato ed inferiore, il mondo poetico dantesco, ed è affatto incomprensibile per chiunque voglia considerarlo in se e per se, fuori di ogni relazione col mondo poetico dantesco. La critica decompone nei suoi elementi costitutivi il mondo poe- tico del Machiavelli: principalissimo fra questi è il mondo poetico dantesco, di cui il mondo poetico del Machiavelli è la diretta negazione ; negazione dialet- tica, la quale non annulla puramente e semplicemente il termine negato, ma, negandolo in quanto termine per se indipendente ed autonomo, lo afferma come suo momento inferiore e subordinato, e, così affer- mandolo, lo eleva a far parte di un tutto più ricco e pili perfetto. La negazione dialettica è, dunque, negazione che è conservazione, miglioramento, inve- ramento o, in una parola sola, superamento {Jlaf- hebung) del termine negato. Il mondo poetico del Machiavelli è, veramente e propriamente, il supera- mento del mondo poetico dantesco : esso viene dopo di questo, appunto perchè lo contiene in se posto e negato come un suo momento inferiore di sviluppo. Poiché, sulla base di quale criterio noi giudichiamo che b viene dopo di a ? Sembra a me che ciò sia sulla base di questo criterio, e di questo criterio soltanto : b viene dopo di a perchè contiene in se posto e negato, come suo momento inferiore, a ; ossia perchè è in progresso su di a. Il progresso, cosi, fonda la successione temporale, e non viceversa. Si viene dopo perchè si progredisce ; non si progredisce 128 TEORIA pcrctò si viene dopo : il mondo poetico del Machia- velli viene dopo il mondo poetico dantesco, appunto perchè e in progresso su di esso, e non è già m progresso su di esso per il semplice fatto di venir dopo nel tempo. Quanti contemporanei di Niccolo Machiavelli non avevano raggiunto nemmeno l al- tezza spirituale cui era salito Dante Alighieri, e perciò non venivano veramente dopo Dante Alighie- ri? Ma il Machiavelli salì a quelF altezza, ed andò oltre ancora ; il mondo poetico dantesco divenne per lui un semplice punto di passaggio per la conquista di un suo mondo, nel quale quello fu compreso come momento inferiore e subordinato : e perciò Machia- velli viene veramente dopo di Dante, perche e in progresso sopra di lui e lo supera. Il mondo poetico del Machiavelli è. dunque, incomprensibile senza il mondo poetico dantesco: e perciò chi voglia com- prender MachiaveUi deve necessariamente partire da Dante, perchè Dante, almeno fino a un certo punto, si comprende senza Machiavelli, ma MachiaveUi in nessun modo si comprende senza Dante. Perciò alla critica non è indifferente, come lo era al gusto, andare da Dante a Machiavelli o da Machiavelli a Dante : il punto di partenza qui è uno solo, ed è Dante, perchè Dante non comprende in sé MachiaveUi, e Ma- chiavelli, invece, comprende in sé Dante. VII. Così la nozione di progresso o sviluppo, e per ciò stesso di storia, poiché storia è progresso e sviluppo, è introdotta di nuovo da noi, ed osiamo credere in modo definitivo, nella critica d' arte, donde era stata itnprovvidamente sbandita, essendo per noi DELLA CRITICA D ARTE 129 in progresso sopra un artista A non già un altro arti- sta B, che faccia opera più bella del primo, ma soltanto colui che riesca ad esprimere in forma imme- diata ed irriflessa, a vivere come sentimento estetico immediato, un mondo, che contiene in sé posto e negato, come momento inferiore, il mondo cantato daH* artista, sul quale egli progredisce. Non, quindi, progresso dell* arte, commisurabile ad una maggiore perfezione artistica (come erroneamente sostenevano i critici intellettualisti francesi del secolo XVIII, che proclamavano la superiorità artistica dei moderni sugli antichi, al tempo della famosa Querelle des moder- nes et des anciens), ma progresso ne//' arte, dello spirito o del mondo nelF arte, e, insomma, progresso di mondi artistici. Chi nega il progresso nell' arte viene, in fondo, a concepire la storia artistica come una selva immensa, ove moltissimi uccelli cantano va- riamente ed ognuno per conto suo, ed ogni nuova opera d* arte è una voce di più che si aggiunge al coro, la quale ha il suo pregio in sé stessa e per sé stessa, fuori di ogni rapporto con le sue compagne di canto. Questa concezione conduce, nientemeno, che alla negazione di ogni storia dell' arte, ed alla considerazione delle opere d' arte, ognuna in sé e per sé presa, staccata dalle altre, come una monade senza porte, né finestre : essa rende possibili note e saggi sui singoli autori e sulle singole opere, ma non una storia letteraria e artistica. Ma, combattendo chi nega il progresso nelF arte, noi combattiamo anche chi afferma la fatalità e Y unilìnearità di esso, e crede che un artista nato oggi, per il solo fatto di essere nato oggi, sia superiore agli Omero e ai Dante, ai 9 — A. Ti LO UER. 130 TEORIA DELLA CRITICA D* ARTE 131 / Manzoni e ai Leopardi. Il progresso, così, sarebbe delle cose e non degli uomini, del tempo e non dello spirito, imposto dal di fuori e non frutto della spon- tanea attività umana. Vi sono oggi artisti, il mondo poetico dei quali è inferiore a quello di Leopardi e di Manzoni, e che. idealmente, sono contempora- nei del Tasso e del Marino : essi, sullo stato civile, figurano vivere oggi. ma. in realtà, vivono in pieno •500 o *600. Non essi vivono nel presente di oggi ; ci vive solo chi abbia in se posto e negato Y len immediato, non quello di quattro secoli fa. Il corso della storia non è, quindi, raffigurabile con una linea retta, ma con un fascio di parallele di diseguali lun- ghezze : ed il presente, il vero presente. Y oggi ideale, è rappresentato dalla punta mobile della linea più lunga. Perciò noi gustiamo soltanto quelle opere d* arte, che esprimono in forma immediata o il nostro mondo di vita o un momento di esso : quelle che non esprimono ne la nostra vita, ne un momento di essa, ci riesce impossibile affatto di gustarle. Cosi si spiegano le limitatezze e le mancanze del gusto nel singoli individui gustanti. Vili. — Un' altra conseguenza importante della nostra concezione della critica è quella che riguarda il rapporto tra le anime e le opere. Vi sono degli artisti, che. fin dal principio della loro carriera, si mostrano in possesso di tutto, o di quasi tutto, il loro mondo poetico : le loro opere non sono allora se non espressioni varie di questo mondo, facce diverse di un medesimo poliedro, membra di un medesimo or- ganismo vivente, incarnazioni di una medesima con- creta personalità lirica. Ma questi artisti sono una eccezione, e quasi sempre non sono artisti di prim or- dine. Per lo pili, r artista conquista il suo particolare mondo poetico dopo sforzi lunghi e faticosi, dopo un' alternativa di vittorie e di sconfitte. 11 suo mondo poetico è il felice risultamento di una lunga battaglia vittoriosa, il coronamento di una carriera fortunata. In questo caso, che è il più frequente, che è quello degli artisti veramente grandi, che è il caso di Dante e di Ariosto, di Foscolo e di Leopardi, è evidente che non si possono gettare sopra una stessa linea le opere d' arte d' un medesimo autore, concepite in tempi e condizioni spirituali diverse, e, per esempio, agi' Inni sacri, alle Tragedie, al Cinque Maggio, ai Promessi Sposi del Manzoni, applicare egualmente ed indifferentemente il canone del " qui e' è un' ope- ra d'arte u e " qui non e* è un' opera d'arte y. In questo caso, le singole opere d'arte sono i mo- menti varii di sviluppo di un solo organismo lirico vivente, di una sola personalità artistica concreta, la quale va lentamente creando a se stessa il suo mondo poetico. GÌ' Inni sacri del Manzoni rispecchiano a meraviglia il mondo poetico del Manzoni nel tempo e nel momento in cui furono scritti : essi sono il mondo del Manzoni, vissuto in perfetta immediatezza di rappresentazione e di sentimento. Ma il Manzoni era in se poeta più grande di quel che si rivelasse negl' Inni sacri, egli aveva in se 1' esigenza di un mondo poetico più vasto e più ricco, e questo mondo poetico più vasto e più ricco è implicito, racchiuso, contratto, direi quasi, negl' Inni sacri. GÌ' Inni sacri esprimono con perfetta adeguazione il mondo poetico I «i^4h* TEORIA DELLA CRITICA D'ARTE 133 iii del Manzoni nel momento in cui furono scritti, ma appena il Manzoni ebbe espresso questo suo mon- do negr Inni sacri, subito lo sentì inadeguato a se, sentì che quello non era il suo vero mondo, sentì che il suo vero mondo era superiore a quello de- gF Inni sacri, e procedette oltre di questi, e creò^ i "Promessi Sposi. Il mondo poetico degF Inni sacri è, dunque, lo stesso mondo poetico dei T^romessi Sposi, ma in potenza e non in atto, implicito e non espli- cito, '^^vaiJ.ii e non ÉVE^i^àa, direbbe Aristotile, come il giovane è V uomo maturo implicito e in po- tenza, l Promesd Sposi non rappresentano ed espn- mono, dunque, un mondo diverso da quello degU Inni sacri: il loro mondo è il mondo di questi, ma svolto, compiuto, adeguato a se stesso ; è il mondo degP Inni sacri, che ha veramente raggiunto e conquistato se stesso, e nel quale il mondo degl* Inni sacri, per se preso, è posto e negato come un semplice momento già superato. La critica dei "Promessi Sposi, che sia veramente degna di questo nome, rifa la genesi del mondo poetico del capolavoro manzoniano, e consi- dera le anteriori opere del Manzoni come le diverse tappe di sviluppo, come le varie fasi evolutive, e. direi quasi, come le età di quel mondo poetico : essa è, così, veramente storia di un mondo poetico, bio- grafia teoretica di un' anima, ed ha per oggetto lo sviluppo reale e concreto di una sola e identica vi- vente personalità lirica. Ogni opera d'arte è, in "^quanto tale, immediata, naturale, spontanea; ma il mondo che essa esprime, rappresenta e vive m forma immediata, piccolo o grande che sia, ricchissimo o rudimentale, è sempre frutto e termine di un processo II di sviluppo e mediazione (nel quale concetto trovano la loro unificazione dialettica le teoriche diverse ed opposte della disciplina e della spontaneità, dello studio e della natura, nell' opera d' arte) : questo pro- cesso di sviluppo e mediazione dev' essere rifatto e ritracciato dalla critica. E vi sono artisti, la persona- lità lirica dei quali si sviluppa sempre, ne mai si arresta ; ed altri che. giunti a un certo punto, non vanno più oltre ; ed altri che. dopo aver toccato il sommo del loro sviluppo, ritornano a posizioni già superate, a stadii già sorpassati, e subiscono un pro- cesso involutivo ; ed altri, infine, che, compiutamente sviluppatisi, tentano di evolvere ancora e di assorbire elementi estranei alla loro vera personalità lirica, e perciò si guastano e corrompono e vanno in deca- denza ; e così via dicendo. IX. — Data questa concezione dinamica dell' o- oera d' arte, non è piìi possibile considerare il brutto come un elemento non fantastico, ma intellettivo o pratico, che si sostituisce al posto della fantasia e ne assume le parvenze. Il brutto sarebbe, allora. 1' effetto di una semplice debolezza dell' artista : a un certo punto, questi interromperebbe il corso della libera fantasia, creatrice d' immagini, si lascerebbe dominare dalla pigrizia, o dall' interesse, o da scrupoli morali- stici, o da tesi e preconcetti filosofici, sostituirebbe alla fantasia queste attività extrafantastiche, e preten- derebbe alla fine di presentare come opera d'arte il prodotto della sua pigrizia, o della sua passione, o del suo interesse, o dei suoi scrupoli, o dei suoi preconcetti. 11 brutto sarebbe, così, la semplice pri- ±^ 134 TEORIA vazione o assenza del bello, il non-ente nel senso platonico, il u.fi ov, la OTEg-flatS, * P'^tone. Per noi, invece, il brutto è Y altro dal bello, è l opposto del bello, è il contrario del bello ; non il nulla, ma il non-ente nel senso dialettico della parola, lottante e combattente contro il bello, il quale si sviluppa e viene alla luce solo nella lotta e nella vittoria sopra il suo avversario che è il brutto. Nella concezione che combattiamo, l'opera d' arte finisce dove il brutto comincia, e viceversa ; il brutto s' insinua negl inter- valli che la fantasia creatrice lascia vuoti, ma dove la fantasia lavora, esso si ritira, e perciò con la fan- tasia, in se e per se presa, non ha nulla a che fare. Nella nostra concezione, invece, il brutto e 1 emiste- rio di tenebre, sul quale soltanto sfavilla la luce del bello • è r avversario continuamente abbattuto e con- tinuamente balzante in piedi, che col suo contmuo morire e rinascere rende possibile il pieno dispiegarsi del bello. E dove il brutto non è stato dominato e vinto, ma offusca con la sua presenza il puro splen- dore dell' arte, questo non accade già per un caso accidentale e contingente, dovuto ad un' eventuale debolezza dell' artista, che. ad un certo punto, se lasciato sopraffare da un elemento extraartistico. che è stato questo e non quello, così, per caso, e che poteva, egualmente bene, essere quello e non questo : b questo caso, il brutto è un elemento del mondo poetico dell' artista, che non è stato dominato e disci- plinalo ancora dalla fantasia creatrice di lui. ma lo «irà in un ulteriore sviluppo delle facoltà poetiche e della personalità lirica dell'artista, ed a questa disciplina tende, aspira, desidera : non il }J.t, ov di DELLA CRITICA D'ARTE 135 Platone, dunque, ma il iJ.fl Ttw Sv, il ÒW7.]).'.l oV di Aristotile. La critica, quindi, non deve già conside-y rarlo come un intruso, che. ad un certo punto, si ficca neir opera d' arte a tradimento, profittando del sonno, che di tanto in tanto sorprende l' artista, anche se questi si chiami Omero o Ariosto; ma come il futuro mondo poetico dell' artista, allo stato caotico e disgregato, contro il quale la fantasia creatrice di lui lotta per portarlo ad immediatezza di espressione e di sentimento; come frammenti di vita vissuta, passionale o volitiva, che non sono riusciti ancora a plasmarsi in immediatezza di sentimento estetico ; come non ancora vita artistica, ma brama e desiderio. h^il'-i, di essa. X. — Un altra conseguenza della teoria della critica che andiamo esponendo è il ristabilimento delle gerarchie e delle scale di valori fra le vane opere d* arte ed i varii autori, conformemente ai dettaim del senso comune, che, veramente, lo Schleiermacher troppo gravemente offese, quando proclamò che tra il più grande e complesso quadro ed il più piccolo arabesco, tra la T>ioina Commedia o V Orlando Fu- rioso e un perfetto stornello popolare, v' è completa equivalenza estetica, ne altra differenza è ammissibi e fra loro che meramente quantitativa. E, certo, alla perfezione della Divina Commedia nulla si può ag- giungere, e se lo stornello popolare è perfetto^ non si può aggiunger nulla nemmeno ad esso. Ma a THoina Commedia è 'Divina Commedia, e lo storne o popolare, benché perfetto, resta sempre uno stornello popolare. Il gusto dice " bellissima ! „ ali una e 136 TEORIA • bellissimo ! . anche all' altro, e li getta sopra lo Stesso piano, e rifiuta di porre fra essi una gradazione di valore, ma la critica non può seguirlo ciecamente. 'Altro è rappresentare e vivere in forma immediata ed irriflessa tutto un mondo, tutta una civiltà, tutto un momento storico dell' umanità ; altro rappresen- tare e vivere, in forma Immediata, un contingente e transitorio momento singolo dell' anima di un mdivi- duo isolato, il quale canta per se solo, senza che nel suo canto si articoli e si esprima il grido silen- zioso d' infiniti petti muli. Tra lo stornello popolare e la Divina Commedia v' è la stessa differenza che tra un ameba e V uomo : e questa differenza non è che l'ameba sia un organismo di una sola cellula, e r uomo, un aggregato d' innumerevoli cellule, diffe- renza puramente quantitativa, superficiale ed esteriore, bensì che 1' ameba è un organismo semplicissimo e rudimentale, e Y uomo, invece, un organismo ricchis- simo e differenziato, che accentra e puntualizza in unità tutta la dispersa molteplicità dell' universo, e così contiene in se, posta e negata, quindi superata e risoluta, come infimo momento subordinatissimo, la vita di queir umile protozoo. E questa è bene diffe- renza di grado, cioè non solamente qualitativa, ne solamente quantitativa, ma qualitativa e quantitativa insieme, il grado essendo, per 1' appunto, la sintesi dialettica della qualità e della quantità, come 1' Hegel e' insegna, e checche ne dica in contrario il Bergson. Chi voglia oggi vivere nella pienezza dei tempi, accogliere in se tutta la nostra civiltà, nell' essenza sua più profonda, nel suo significato più intimo, non può fare a meno di sperimentare e superare, di porre DELLA CRITICA D'ARTE 137 e negare, in pari tempo, in se, come momenti infe- riori e subordinati, il mondo greco, il mondo cristiano, il mondo romantico, perchè questi son compresi come momenti già superati nella veemente e torbida civiltà del secolo ventesimo, eh' è il nostro. Questi momenti storici si rispecchiano e riflettono in capolavori d' im- mortale bellezza, che esprimono, rappresentano e vivo- no in forma immediata queste fondamentaUssime tappe storiche dell' umanità : e come non può dire di vivere veramente nel secolo ventesimo chi non sia ideal- mente passato pei secoU precedenti, chi non sia già idealmente vissuto nei secoli anteriori, così non può dire di comprendere veramente l' arte di questo secolo chi non comprenda quella dei secoU passati. La sto- ria dell' umanità è un' immensa fenomenologia de lo spirito umano, e le sue tappe principaU sono quelle per cui ogni uomo singolo dovrà a sua volta passare, prima che di lui si dica che egU vive veramente della vita del tempo che è suo. 1 grandi capolavon artistici rappresentano, vivono, esprimono, m forma irriflessa, queste grandi fasi della vita dello spinto umano, e però non si può fare a meno di gustarii, riviverli e risentirh Non vive davvero nel nostro tem- po chi è incapace di gustare la Divina Commedia. cioè di porre e superare in se il momento della tra- scendenza medioevale. Ma il perfetto stornello popo- lare che altrp esprime, se non il piccolo grido amo- roso dell' individuo che lo cantò ? Se mi capiterà di ascoltare lo stornello, ed io sono uomo di gusto, esso mi piacerà, senza dubbio, ed io rivivrò in me, per suo mezzo, lo stato d'animo di chi lo canto; ma chi vorrà mai sostenere che lo stato d animo del 138 TEORIA cantore popolare abbia la slessa importanza e lo stesso significato dello stato d* animo di un Dante Alighieri, nel quale si riflettono in immediato sentimento esteti- co, in immediata esperienza di vita, secoli e secoli di storia delF umanità ? Per questo appunto io posso fare a meno di conoscere e gustare lo stornello po- polare, mentre non posso fare a meno di conoscere e gustare la Vicina Commedia. E così ritornano in onore, per opera nostra, le tradizionali, oggi disprez- zate, distinzioni del poeta grande e del poeta piccolo, del poeta cosmopolita e del poeta nazionale, del poe- ta regionale e del poeta dialettale, e così via. - Distinzioni empiriche ed approssimative I — si dirà. Sia pure, ma la storia è. per Y appunto, esperienza, empirica, ed il suo mobile flusso non comporta in nessun punto tagli netti. 11 coltello anatomico non seziona che i cadaveri, e dove incide il vivente, lo ammazza. Xl. - Immaginiamo un artista che, per uno strano prodigio del caso o dell' abilità, ci desse oggi, in pieno secolo ventesimo, un' opera d' arte del valore deir Iliade o dell' Odissea, o press' a poco, il conte- nuto e il mondo della quale fosse perfettamente lo stesso, o press' a poco, di quello dell' Iliade o del- l' Odissea, Domanda : avrebbe diritto questo artista alla stessa, se non maggiore, ammirazione di Tolstoi e di Dostoievski, di D' Annunzio e di Pascoli? V'è chi sostiene di sì, e noi, invece, sosteniamo di no, e che ognuno di questi quattro artisti moderni, per quanto inferiore di robustezza fantastica all' Omero di dieci secoli prima di Cristo, sarebbe pur sempre DELLA CRITICA D'ARTE 139 immensamente superiore a questo secondo Omero del secolo ventesimo, come il secolo ventesimo è immen- samente superiore al decimo secolo innanzi Cristo, superiore perchè lo contiene in se come momento già superato. Il mondo greco, che Omero visse e rappresentò in forma immediata, da lungo tempo e morto e disfatto, e vive come elemento nel mondo cristiano, che è il nostro : e che sugo ci sarebbe a riviverlo ed a rappresentarlo di nuovo oggi? Neil arte che si produce sotto i nostri occhi noi vogliamo sen- tire espresse e vissute in forma immediata le gioie e le sofferenze, le ansie e le esigenze più profonde della nostra vita, della vita di noi, uommi del secolo ventesimo, anzi del primo quarto di questo secolo. che siamo ricchi di tutta 1' esperienza, accumulata da migliaia di generazioni, ed a questo immenso patri- monio vogliamo aggiungere, poi, una nostra propria particolare esperienza. E chi, sia pure con splendore d' ingegno, ci canta un momento di vita già sorpas- sato e superato, sarà sempre per noi nuli' altro che un dilettante, di cui la storia letteraria farà bene a non occuparsi, e. con tutta la loro frammentarietà, il PascoU e il Maeteriinck gli saranno immensamente superiori, perchè, se il mondo poetico di questi due scrittori è un mondo frammentario, tuttavia son fram- menti di una vita eh' è nostra e non dei nostri morti, e che quindi contiene in sé. come momento supe- rato, la vita di questi. Perciò dove i poeti veramente grandi sembrano imitare e richiamare m vita forme passate, l' imitazione è solo apparente, e sotto di essa si cela il fremito di una nuova creazione. Il classi- cismo ed il paganesimo del Goethe, del Foscolo, del qiaaflPianiBBa 140 TEORIA DELLA CRITICA D*ARTE 141 Carducci, del D' Annunzio, dello Swinburne, non e sterile riecheggiamento di un mondo già morto, è creazione di un nuovo mondo: sotto i vecchi nomi freme, nelle loro opere, una nuova vita, E questo è il solo senso giusto e profondo della formola famosa: " la letteratura è espressione della società u, infeli- cemente coniata dal De Bonald e dal de Barante, senso completamente sfuggito al Taine ed agli este- tici naturalisti della sua scuola. XII. — I concetti di originalità, di novità, di modernità sono, così, da noi reintrodotti e giustificati neir esercizio della critica d' arte, e rimessi in prima linea, come criterii di essenziale importanza per la costituzione di una storia dell* arte, veramente degna di questo nome. — E qui si obbietterà di certo che la storia artistica ci mostra, essa per Y appunto, che gli artisti più grandi sono stati i meno originali, e che gli spunti, i motivi, le situazioni, gV intrecci, insomma tutta la materia delle loro opere non è di loro creazione, ma è presa dal di fuori, dalla vita vissuta o dalle opere di altri artisti. Di loro non c'è che la forma, per la quale essi hanno sollevato a nobiltà artistica una materia già nota e trita, animan- dola e vivificandola col soffio dell' arte. Di tutta la materia così varia e multiforme dell' Orlando Furioso non e' è quasi nulla che l* Ariosto non abbia preso da altri : e di suo, si può dire che e' è solo 1' arte. Donde il Rajna e il D' Ovidio trassero la conse- guenza che r Ariosto sarebbe stato poeta più grande, se di suo avesse messo nel suo poema, oltre che la (onna, anche la materia. Conseguenza erronea, senza dubbio, ma che dimostra come dell' originalità non si possa fare un criterio di valutazione estetica, se la mancanza di essa nulla toglie (e, viceversa la sua presenza nulla aggiunge) al merito ed alla gloria di un artista. — Ma questa obbiezione, buona per chi consideri in se e per se la materia dell' opera d' arte, scissa dalla sua forma, ossia da quello, per 1 appunto, che la fa opera d" arte, non regge contro la teorica che andiamo esponendo. Di un artista noi diciamo che esso è in progresso sopra di un altro, quando il mondo poetico di quello contiene m se. come momento superato, il mondo poetico di questo ossia quando ciò che in questo era centro ed unita di vita diviene semplice elemento di una vita superiore, e perciò, in quanto superiore, nuova ed originale. Quella materia che il grande poeta ha attinto da altri poeti, o in questi non era materia di vita arti- stica, ma semplice vita vissuta ed agita, o, se era improntata dal suggello dell' arte, lo era in tutt altro modo ed in tutt' altra forma, sì che, separata da questa forma e trasfusa in una nuova, solo m apparenza non cambia, ma. in realtà, diventa una nuova materia. Così, la materia dell Orlando Funoso solo astrattamente h la stessa degli anteriori poemi cavallereschi : i nomi restano gli stessi, l esteriorità superficiale degl' intrecci non cambia, ma i personaggi vivono di una vita nuova, nel mondo cavalleresco dell' Ariosto circola una nuova vita, e, insomma, e un nuovo mondo che si riflette nell' immortale poema. Creando a se la sua forma, l' Ariosto crea a se. in pari tempo, la sua materia, o. per dirla in una parola sola egli crea a se il suo nuovo mondo poetico. La 142 TEORIA ^ sua grandezza non è, quindi, in nessun modo sepa- rabile dalla sua novità ed originalità. XIII. — Nella storia dell' arte non hanno, dun- que, diritto ad occupare nessun posto coloro i quali, anche animati da sincero amore per V arte, non hanno saputo far altro che riagitare vecchie forme e risen- tire vecchi sentimenti, ma solo coloro che hanno vissuto una nuova ed originale esperienza artistica, nuova ed originale appunto perchè comprende impli- citamente in se, come momenti superati, le antece- denti esperienze artistiche, e però è in progresso su di queste. — Ma allora, si obbietterà, un piccolo poeta, che riesca nelF opera sua ad esprimere un momento di vita del nostro mondo, sarà superiore a chi ha espresso con divina compiutezza la vita di tutto un tempo e di tutta una civiltà, solo perchè il nostro tempo contiene in sé, posto e superato, il tempo passato? E, insomma, il PascoU, poeta per essenza frammentario, sarà superiore al Leopardi o al Manzoni, poeti di più che umana perfezione, sol perchè nei frammenti del Pascoli s* esprime la nostra vita, e questa contiene in se, come elemento subor- dinato, la vita, che fu espressa dal Leopardi e dal Manzoni? -- La risposta a questa obbiezione ci sarà facile, dopo tutto quello che innanzi abbiamo detto. Il mondo poetico del Pascoli è, certo, supe- riore al mondo poetico leopardiano e manzoniano ; superiore perchè vien dopo di essi, perchè è in pro- gresso su di essi, ed è in progresso su di essi, perchè li contiene in sé risoluti come momenti supe- rati. Ma r uomo Pascoli non ebbe da natura quelle DELLA CRITICA D'ARTE 143 doti quasi divine, che da essa furon date ai più for- tunati poeti Leopardi e Manzoni; e però questi trasformarono in arte tutto il loro mondo, lo resero perfettamente trasparente alla loro fantasia, lo vissero tutto quanto in immediatezza di sentimento estetico, mentre egli (come hanno ben dimostrato il Cecchi, il Borgese ed il Bellonci nei loro studii sul Pascoli) non fu capace di tanto, non seppe padroneggiare a pieno il suo mondo, e quando tentò di afferrarlo e stringerlo fra le braccia, lo vide rompersi in frammenti e disfarsi in un aureo pulviscolo impalpabile. Perciò non bisogna confondere il giudizio sulY uomo artista, suir individuo produttore di opere d' arte, col giu- dizio sul mondo poetico in sé e per sé considerato. XIV. — QueUi che sostengono la morale neir arte, e riprovano e respingono e vietano T arte immorale, hanno torto quando vedono nell'attività artistica un' attività praticamente giudicabile, quindi moralmente approvabile o condannabile, perché il sentimento estetico è attività dello spirito ben distinta dalla passione e dalla volontà, e solo queste sono moralmente valutabili. I moraUsti nell' arte hanno torto anche quando, nell' opera d' arte concreta e vivente scindono il contenuto dalla forma, e valutano quel contenuto così astratto in base alla moralità corrente di un dato tempo e di un dato luogo, ed approvano i Promessi Sposi perché morali, e respingono Ma- dame Bovary perché immorale. Ma, come diceva bellamente lo Spencer, e* è un' anima di verità nelle cose false, e però anche nei sostenitori della morale nell'arte si manifesta, a loro insaputa, una giusta 144 TEORIA DELLA CRITICA D ARTE 145 esigenza. La quale è di volere che Y opera d' arte esprima e viva, in forma immediata e naturale» i moti e le esigenze più profonde dello spirito umano, e solo quando ciò faccia sia viva e buona e grande arte. Ora, la vita più profonda dell* umanità è etico-religiosa, non è sensuale. E veramente, V artista che rappresenta e vive in forma immediata, cioè senza pistolotti moralistici, senza untuosità di frate predicatore, senza enfasi, ne isterie passionali, senza tesi, ne teorie astratte da sostenere, ma trasformandola tutta, fino air ultima particella, in immediatezza di sentimento estetico, la più profonda vita etica e reli- giosa di un tempo, sarà sempre in progresso (nel Lso ornai a noi ben noto della parola) sull'artista, il mondo poetico del quale è solo avidità, libidine e sensualità. A meno che, per avventura, questa libidine e sensualità e avidità non siano il fermento prodotto dalla dissoluzione di una moralità anteriore. e non contenga in se i germi di una moralità nuova e superiore che sta per nascere. Nel qual caso 1* ar- tista sensuale è in progresso suU' artista morale, perchè quello comincia un nuovo mondo e questo ne chiude uno. Insomma, Y opera d* arte, secondo la nostra teoria, partecipa alla vita dello spirito universale, è tuffata per intero nel fiume senza rive e senza foce della sua storia, e ne esprime à sa manière, direbbe il Leibnitz, i momenti e le tappe di sviluppo. Il puro gusto la coglie in quello che ne costituisce Y essenza di opera d* arte, ma non sa fare altro, e perciò la sua considerazione è immobile, statica e fuori della storia. Solo la critica ha potenza di tuffare Y opera d* arte nel mobile fiume della vita, e di decomporre nei suoi colori molteplici quella bianca luce splen- ' dente, che da essa s' irraggia. XV. - Ora soltanto ci sarà, finalmente, pos- sibile di risolvere con chiarezza e semplicità il dif- ficilissimo problema del progresso nella trattazione storica deir arte. Ogni considerazione storica, qualun- que ne sia la materia, presuppone di necessità un prima ed un poi. Ora, noi sappiamo qual' è il criterio in forza del quale, e del quale soltanto, possiamo dire che un avvenimento viene dopo di un altro : B viene dopo di A solo perchè contiene in sé, posto e negato, come momento inferiore e subordinato, A. Ed allora è di tutta evidenza che A e B non sono due entità autonome e indipendenti, senza rapporto intrinseco fra loro, o con rapporti puramente super- ficiali ed esteriori : perchè B venga dopo di A nel senso sopra detto, è necessario che egli stesso sia stato A, tutto A, interamente A, e poi abbia supe- rato quella sua primitiva posizione, facendo scendere in sé al grado di semplice momento quello che prima era centro ed unità di vita. A e B non sono, dunque, due esseri senza rapporto reciproco, due monadi immobili, librate al di sopra del cambiamento, due atomi inerti, su cui passa il flusso delle cose senza intaccarli: essi sono uno stesso essere, che cambia e, tuttavia, resta identico a sé, nel cambia- mento ; il quale, dunque, cambiando, permane, dura, si arricchisce, cresce su sé stesso, adegua sempre più la sua esistenza alla sua essenza e, in una parola, si sviluppa e progredisce. Unità nella molteplicità: questa è la definizione del progresso. Ora, Y unità 10 — A. TlLOBER. 146 TEORIA nella molteplicilà è T universale : non F universale astratto, che esclude da se la molteplicità ed il cam biamento, come Y Atman degl' Indiani, ma quello che ad ogni istante sperimenta in se il cambiamento e ne trionfa : Y universale vivente e concreto, quindi ; in una parola, la Vita. Solamente ora ci risulta chiaro perchè, per fare la storia, sia assolutamente necessario Y universale, il concetto, il criterio diret- tivo : senza 1' universale, così come l' abbiamo definito, come unità della molteplicità, non e* è un prima ed un poi, non e' è un essere che cambia, e, cambiando, resta identico a se stesso, non e è sviluppo e pro- gresso, non c'è storia. Chi si affaccia sulF oceano della vita senza essere guidato dalla luce di nessun concetto (ammesso che ciò sia possibile) non per- cepirà mai altro che una caotica e slegata moltepli- cità di avvenimenti e di cambiamenti, ma sarà sempre impotente a discernere in essa un essere che, pur cangiando, dura, un essere che, ad ogni istante, cambia, eppure, ad ogni istante, riesce ad assorbire in se ed a far suo il cambiamento ed a restare, così, identico a sé stesso, e però non potrà mai fare una storia. Storia è, quindi, conciliazione dia- lettica delVuno e dei molti, dell'identità e del cambiamento, dell' essere e del divenire, dell' eternità e del tempo, del concetto e dei fatti, della scienza e dell' esperienza, dell' apriori e dell' apostznori, dello spirito e della natura, della libertà e del deter- minismo : in una parola, è progresso in atto, perso- nalità vivente. Io concreto ed assoluto. Ed in questo consiste tutto 1' oscuro mistero della tanto tormentata identità di filosofia e storia: e non ho bisogno di DELLA CRITICA D ARTE 147 fare qui osservare quanto sia differente l' interpreta- zione da noi data alla celebre equazione vichiano-he- geliana : filosofia storia, da quelle che se ne son date recentemente in Italia da altre parti. XVI. ^ Ciò posto, in che cosa consiste il progresso nella trattazione storica di un oggetto? Abbiamo visto che, per fare la storia, è di tutta necessità un concetto, un criterio direttivo, un uni- versale. Ora, vi sono due specie di progressi. L' uno, che, per intenderci, chiameremo progresso interno, lo compie chi, ponendosi dal punto di vista del criterio direttivo adottato da altri, o da se stesso in un tempo anteriore, riesce a vedere ciò che quelli, o se stesso dapprima, non avevano saputo vedere. Si ha, così, un approfondimento del concetto o criterio direttivo in sé stesso: questo non muta, il centro unificatore del molteplice dato resta lo stesso, ma riesce ad ac- centrare attorno a sé ed a ridurre a se quello che prima pareva sfuggirgli. Così, per esempio, dato il punto di vista così detto pragmatico della storia umana, secondo il quale, cioè, la storia dell'uomo sulla terra è dominata e condotta sopratutto dall'in- teresse e dall'egoismo riflessi e coscienti, e forze direttive e centrali di essa sono il calcolo utilita- rio, l'astuzia e l'impostura, compie un progresso interno chi, con questo criterio direttivo alla mano, riesce a spiegare quei fatti, che prima sembravano con esso inesplicabili. - V è poi un secondo prò- 7 gresso, che (sempre per intenderci) chiameremo progresso estemo, e che è il solo davvero meritevole d* esser detto progresso : e lo compie chi riesce a 146 TEORIA vedere che il criterio direttivo o V universale, cui s'appellano gli altri, non è veramente l universale, ma un semplice momento inferiore e subordinato del- r universale, e perciò lo nega, in quanto umversale. ma, insieme, lo conserva e migliora m quanto lo at- ferma come momento del vero universale, e, in una parola, lo supera. In questo caso, tutto ciò che si era visto sotto la visuale dell' antico universale si continua a vederlo, ma in una luce nuova e più profonda : e perciò quel superamento non e perdita di ricchezze accumulate, ma impiego migliore e più fruttifero di esse. Così, compie un vero e reale pro- gresso sul punto di vista pragmatico della storia chi si ponga dal punto di vista dell' idealismo assoluto, per il quale la volontà egoistica, riflessa e cosciente. non può in nessun modo spiegare la totalità dela storia umana, poiché essa non è il vero universale umano, che h la ragione e V eticità, ma solo un mo- mento dialettico inferiore di questo umversale, di questa vera Provvidenza delle nazioni, la quale ha bisogno di passare attraverso a quello, di apparire come calcolo, astuzia e furberia, per giungere, poi. a dispiegare e celebrare davvero la sua divina natura : e però non è astuzia e furberia umana, ma 1 rovvi- denza divina nella forma dell' astuzia e della furberia ; è l'astuzia della Provvidenza del Vico, la furbena della Ragione dell' Hegel, ricomparse sotto nuova forma nel Genio della Specie dello Schopenhauer, neir liiconscio dell' Hartmann, nell' eterogenesi dei fini del Wundt. Tutto quello che prima si spiegava dal punto di vista pragmatico si continua a spiegarlo ancora dal punto di vista idealistico, ma sotto un DELLA CRITICA D'ARTE 149 aspetto più profondo ; e dove quello diceva : " astu- zia u . senz' altro, questo aggiunge : " divina " , e così va più oltre. XVn. - Ciò che diremo sul progresso nella trattazione storica dell' arte e soltanto un caso parti- colare di quanto abbiamo detto finora sul progresso nella trattazione storica in generale. L' attività artistica non è distinta dalle altre attività dello spirito come conoscenza da volontà ; o come conoscenza dell' in- dividuale da conoscenza dell' universale. Nella realtà delle cose non esiste ne il conoscere scisso dal volere, ne il volere scisso dal conoscere: esiste la vita, sintesi dialettica di conoscenza e volontà. Ne, nella realtà delle cose, si può mai trovare l'individuale scisso dal- l' universale : anche qui esiste solo la vita, che e identità nel cangiamento, sintesi, quindi, d' individuale e d'universale. L'attività artistica si differenzia dalle altre attività dello spirito perchè e vita in forma imme- diata, irriflessa, spontanea, vita che crea e non sa di creare, perchè non ritorna in sé stessa dalla sua creazio- ne, non riflette su di questa, ma in essa si perde e si aliena. Ma il suo contenuto non è per nulla diverso da quello delle altre attività dello spirito : ed è, per r appunto, lo spirito, il mondo, la vita. Lo spirito, il mondo, la vita è, dunque, il comune contenuto dell' aite e della filosofìa ; ma quella è la vita vissuta in assoluta immediatezza di sentimento estetico, e questa, invece, riflessione sulla vita ; quella è l' atti- vità che crea e non sa di creare, ma trapassa e si estingue nel prodotto della sua creazione, e perciò è essenzialmente individuale, e questa è l' attività 150 TEORIA creativa, che coglie se stessa nel suo fare e produrre medesimo, e però ascende alFuniversale ; quella e mera coscienza, e questa autocoscienza. Fare la storia del- Tarte significa, dunque, fare la storia della vita, del mondo, dello spirito, in quanto si riflette e rispecchia ncir arte, e per questo appunto non v' è che una sola storia, quella della vita, del mondo, dello spirito, di cui la storia delP arte è soltanto un capitolo, dirò meglio, un aspetto particolare. Ed è questa la ragione per la quale è impossibile fare la storia dell* arte senza un criterio direttivo, senza un concetto, senza un universale, di cui V arte narri e svolga a suo modo le varie vicende di vita e di sviluppo. XVIIL - Ciò premesso, ci sono due specie di progresso possibili a compiersi nella stona del- l' arte : quelli che, per intenderci, possiamo chiamare, come sopra, progresso interno e progresso esterno. Compie un progresso interno, nella storia dell' arte, chi. ponendosi dal punto di vista già adottato da altri, riesce a veder quello che prima non si era visto, ed a spiegare con quel criterio fatti, che o non erano stati scorti o sembravano sfuggirgli. Cosi, per esempio. il progresso compiuto dal De Sanctis sopra gli storici romantici della letteratura italiana, suoi predecessori, fu progresso quasi esclusivamente mterno : questi volevano, a! pari di lui. costruire, come disse il Tom- maseo, una Storia civile nella letteraria, ma dove il Tommaseo e gli altri, il Cantìi, il Giudici, il Settem- brini, fallirono, o riuscirono solo a metà, il De Sanctis riuscì pienamente. La sua Storia della letteratura italiana e, come dice benissimo il Borgese. un DELLA CRITICA D' ARTE 151 esemplare mirabile... di una storia della civiltà mo- strata per via della letteratura. Si ripensi al filo d' A- rianna di quelF opera : il popolo italiano, che dal forte spiritualismo di Dante e dalF ingenua fede del Cavalca e del Compagni, passava, col Petrarca, ad un torbido atteggiamento dei sensi della realtà della ragione: che, improvvisamente affacciatosi alla vita civile, si ride e si burla della barbarie plebea e chie- ricale, la quale rimaneva vestigio del forte medio evo negli uomini indotti di greco e di latino. Ride con indifferenza nel Boccaccio, con scetticismo nell'A- riosto, con cinismo nel Folengo ; la civiltà si muta in raffinatezza impotente e indolente, e distrugge nella coscienza e nella letteratura ogni serietà di contenuto ; conduce all' uomo del Guicciardini e alla poesia del Marino, mentre d' altro canto prepara, nel sottosuolo, la nuova scienza, che darà in progresso di tempo il nuovo poeta ed il nuovo uomo u {Storia della critica romantica in Italia, p. 253). L' idea centrale ed il criterio direttivo di quel gran libro è. dunque, la concezione della letteratura come specchio e riflesso della vita etico-civile. Ora, tutto il progresso che si è compiuto in Italia sulla Storia della letteratura ita- liana del De Sanctis è. anch' esso, quasi esclusiva- mente progresso interno. 1 manuah di storia della letteratura correnti per le scuole, le trattazioni mono- grafiche su periodi letterarii più o meno ampii. i saggi su singoli autori, sono tutti quanti condotti sulla trama generale svolta dal De Sanctis in quel suo capola- voro: gli stessi Discorsi sullo svolgimento della let^ teratura italiana del Carducci è ormai universalmente noto che sono, per l' appunto, ricalcati sulla Storia 152 TEORIA DELLA CRITICA D'ARTE 153 del tanto da lui disprezzato De Sanctis. Tutto il materiale abbondantissimo, offerto da oltre quaran- l' anni di febbrili ed accuratissime ricerche su tutt' i punti della nostra letteratura, quando non è rimasto allo stato caotico e disgregato, si è colato nelle forme anticipatamente offerte dal De Sanctis ; confessate o no che siano, le sue idee hanno ispirato tutti gli sto- rici e tutti gli eruditi della nostra letteratura, anche quelli che sembravano più lontani da lui : ed infine, Cfili ha avuto nemici, non avversarli, ed è stato il maestro di tutti. Tutto il progresso che si è compiuto sulla sua Storia, dal 1870 in poi, è consistito quasi esclusivamente in una correzione di particolari, con- dotta dal suo stesso punto di vista : della letteratura come espressione della vita etico-civile del popolo italiano ; e perciò è progresso interno. XiX. Ma è questo il solo progresso che si possa fare sulla Storia del De Sanctis ? Questo vale quanto domandare se il punto di vista dei De San- ctis sia il più allo punto di vista possibile, sia Y uni- versale pieno e completo, o non piuttosto un momento solo deir universale. Io non voglio qui risolvere questa questione, la quale, più che di filosofia, è di storia della critica, e, solo, enuncierò alcune idee, per ser- virmene come di esempio, non attribuendo loro, per conseguenza, altro valore che d' ipotesi e di opinione personale. Compirebbe un progresso vero ed effet- tuale sul punto di vista del De Sanctis chi riuscisse a dimostrare che esso non è il punto di vista più alto possibile, che al disopra del punto di vista etico- civile v'è quello leUgioso-filosofico, e che nel feno- meno letterario italiano vede più a dentro chi lo consideri come il riflesso della più profonda vita cristiana e filosofica dell' Italia, che colui il quale non ci vegga rispecchiate se non le vicende della civiltà e delia moralità sociale del popolo italiano. Il punto di vista del De Sanctis diventerebbe allora semplice momento dell'universale, e cesserebbe di essere r universale medesimo ; e cioè colpirebbe il fenomeno e non più 1' essenza, il prodotto e non più 1' attività stessa produttiva, il frutto e la concrezione della vita, non la vita stessa nel suo cuore e nella sua sorgente più profonda. Tutto l' immenso patrimonio di verità conquistato dal De Sanctis sarebbe con- servato per intero, ma visto ad una luce superiore; tutte le verità affermate dal suo genio non andrebbero perdute, ma cesserebbero di essere ultime verità, primi principii, e sarebbero viste nel loro germinare da verità superiori, nel loro rampollare da superiori principii. Poiché, in verità, il progresso della scienza non consiste nel rimettere m discussione gli acquisti anteriori, bensì nel far discendere al livello di sem- plice momento della verità quello che prima era a verità totale e completa. Perciò il progresso della scienza non è un fare e disfare e ricominciar sempre da capo : e un fare continuo, un arricchirsi e crescer su se stessa ; e perciò la verità non e un fatto, ma un farsi, non è cosa, ma vita, e cioè progresso e sviluppo. Perciò la scienza è scienza, e non ipotesi, ne opinione. Chi si ponga dal punto di vista del De Sanctis non può vedere che quello che il De Sanctis vide, o poco più: ogni varietà di opinione qm è inammissibile ; la ragione è da una parte sola, da -' — *- — ^Sém 154 TEORIA quella del De Sanctis ; ed il criterio del De Sanctìs non è un' ipotesi, ma una verità, non tutta la verità, un semplice momento di essa, ma momento di verità, e perciò verità esso stesso. Pertanto chi lo superi, ben lungi dal negarne la verità, la rafforza e ras- sicura, trasfigurandola alla luce di una verità superiore, in cui tutto ciò che il De Sanctis e quelli che hanno camminato sulle sue tracce videro si continua a ve- derlo, ma dair allo ; cessa di essere un ultimo dato, ed è colpito nel suo sorgere e nel suo farsi stesso. Da questo punto di vista superiore, che possiamo chiamare cristiano -filosofico, si darebbe, per esempio, maggiore importanza a certi elementi di umana e religiosa pietà e comprensione che sono nelP Ariosto ; del Machiavelli si metterebbero in valore più i ì)iscorsi che il "Principe ; si porrebbe in prima linea il movimento platonizzante e neoplatonizzante, che, come un filo d'oro, corre per tutto il 1500; s'insi- sterebbe sull'importanza dei tentativi di riforma pro- testante in Italia e sul valore religioso e morale della controriforma cattolica; e tutto il Cinquecento, poi. si farebbe gravitare non intorno ad Ariosto e Machia- velli, ma intorno a Michelangelo. Opera, senza dub- bio, immensa, a compir la quale ci vorranno le foize erculee di un nuovo De Sanctis. Avvi oggi qualcuno cui la Musa della critica tanto arrida? La splendida fioritura di giovani critici d'arte, che oggi vanta r Italia, permette di nutrire a questo proposito le più liete speranze. SPIRITO E MATERIA Roma, luglio del 1913. i%.. = j^ — "^-/-r" ' '" La conferenza di Enrico Bergson, tenuta in Parigi, sotto gli auspicii di Fede e Vita il 4 mag- eio 1912 (come da un resoconto del dr. r. l. M nel Temps del 5 maggio 1912), e, col titolo L'àwe et le corps, pubblicata nel volume Le ma/e- rialisme aduel (Paris, Flammarion, pp. 7-48), e un riassunto limpido e preciso del suo libro famoso Mc- tière et Mémoire, di cui. dopo quasi vent anm dalla sua pubblicazione, il Bergson riespone le idee di- rettive e fondamentali, accentrandole intorno al pro- blema dei rapporti fra Y anima e il corpo. _ Che cosa ci dice su questo punto 1 esperien- za immediata ed ingenua del senso comune ? A lato del corpo, che è confinato al momento presente nel tempo, e limitato al posto che occupa nello spazio, e che. nello spazio e nel tempo, si conduce come un automa e reagisce meccanicamente alle influenze esteme, noi afferriamo qualcosa che. nello spazio, si estende molto più lontano del corpo, e che dura attraverso il tempo, qualche cosa che. nello spazio ( 158 SPIRITO E MATERIA 159 e nel tempo, impone al corpo dei movimenti non più automalici e previsti, ma imprevedibili e liberi : questa cosa che sorpassa il corpo da tutti i lati, e che crea degli atti, creando di bel nuovo, per mezzo degli atti, se stessa, è V Io, e Y anima, è lo spirito, lo spirito essendo, per Y appunto, una forza, che può trarre da se più di quel che contiene, rendere più di quel che riceve, dare più di quel che ha. Questo è quello che noi crediamo di vedere (pp. 9-10), Tra il corpo e lo spirito così definiti che rela- zione passa ? Un attento esame della vita dello spi- rito e del suo concomitante fisiologico ci conduce a credere che in una coscienza umana vi sia infini- tamente di più che nel cervello corrispondente. Chi potesse guardare nelF interno di un cervello in piena attività, seguire il va e vieni degli atomi e interpre- tare tutto ciò che questi fanno, saprebbe certo qual- che cosa di ciò che accade nello spirito, ma ne sa- prebbe pochissimo. Egli ne conoscerebbe solo quello che è esprimibile in gesti, attitudini e moti corporali; il resto gli sfuggirebbe. Lo stato cerebrale non disegna che una piccola parte dello stato psicologico: solo quella parte capace di tradursi in moti di locomozione. Così, se la nostra scienza del meccanismo cerebrale e la nostra psicologia fossero perfette, dato uno stato d* animo noi potremmo indovinare ciò che accade nel cervello ; ma Y operazione inversa sarebbe impos- sibile, perchè ad uno stesso stato cerebrale possono corrispondere differenti stati d* animo egualmente ap- propriati, perchè traducentisi negli stessi movimenti esteriori (pp. 24-6). Insomma, il pensiero è orientato verso l'azione, e quando non finisce in un' azione reale, abbozza una o più azioni virtuali o semplicemente possibili. Queste azioni reali o virtuali, che sono la proiezione dimi- nuita e semplificata del pensiero nello spazio, e che ne segnano le articolazioni motrici, sono quello che del pensiero è disegnato nella sostanza cerebrale. Il cer\'ello, quindi, estrae dalla vita dello spirito tutto quello che essa ha di eseguibile in movimenti, di materializzabile, costituisce, così, il punto d'inserzione delio spirito nella materia, assicura ad ogni istante l'adattamento dello spirito alle circostanze, mantiene senza cessa lo spirito in contatto con la realtà. Esso non è, dunque, organo ne di pensiero, ne di sen- timento, né di coscienza, ma fa sì che coscienza, sentimento e pensiero restino tesi sulla vita reale, e sieno, quindi, capaci di azione efficace. Il cervello è r insieme dei dispositivi, che permettono allo spirito di rispondere all' azione delle cose per mezzo di rea- zioni motrici, effettuate o nascenti, la cui giustezza assicura la perfetta inserzione dello spirito nella realtà: insomma, esso è l'organo dell'attenzione alla vita (pp. 30-3. Cfr. anche Matière et Mémoire, Avant- pTOpos de la seplième édilion, Paris, 1911, p. VII segg.). — In che modo il Bergson è giunto alla teorica sopra enunciata dei rapporti fra l' anima e il corpo ? Egli vi è giunto con l'analisi della memoria, ed in questo appunto consiste la sua maggiore originalità. Invece di mettere a confronto lo spirito e la materia, prendendo quello nelle sue manifestazioni più alte e questa nelle più rudimentali, e, constatando l'enor- SPIRITO E MATERIA 161 mità dello squilibrio, concludere airirriducibilità dello spirito alla materia, secondo gli ordinarli procedi- menti dello spiritualismo tradizionale, specialmente di quello francese, il Bf^rgson seguì un procedimento inverso. Egli prese la materia nella sua più alta ma- nifestazione, eh* è il cervello umano, e lo spirito nella manifestazione più bassa, che, secondo lui, è la me- moria delle parole, e studiò quel caso, in cui lo spirito sembra dipendere in tutto e per tutto dalla materia. Questo caso, secondo lui, è dato dalle afa- sie, o malattie della memoria delle parole, causate da lesioni del cei-vello più o meno nettamente loca- lizzabili. Orbene, anche questa volta, anche in que- sto stato di estrema dipendenza dello spirito dal corpo, e, in particolare, dal cervello, si constata V ir- riducibilità dello spirito alla materia, e, quel che più importa al Bergson, la constatazione è fatta con un metodo prettamente sperimentale. Ecco perchè la teorica bergsoniana dei rapporti fra spirito e materia si fonda tutta sull'esame della memoria, meglio ancora, delle afasie. La teorica del Bergson sulla memoria è sviluppata lungamente in Maiière et Mémoire, e lucidamente riassunta nella se- conda parte della conferenza, di cui ci occupiamo (p. 35 segg.). Tutto il nostro passato egli dice si conserva da se stesso in noi, ed è eiToneo credere che la sua conservazione come tale dipenda dal cervello. Pure, una parte soltanto del nostro pas- sato e cosciente, ed è quella che partecipa all'azione, quella cui le percezioni presenti offrono un corpo di attualità. 11 nostro presente non è ne un punto matematico, ne una linea chiusa da limiti precisi: e quel momento della nostra storia, che la nostra attenzione alla vita stacca dalla totalità del nostro passato. Non è, dunque, il ricordo, è Y oblio che bi- sogna spiegare. Ora, la spiegazione dell' oblio è nel corpo, il corpo è un semplice strumento d' azione, è un fascio di abitudini motrici, è un gruppo di meccanismi montati dallo spirito in vista dell* azione. Ufficio del corpo, specialmente del cervello, non è già di conservare il passato, ma di ricacciarne ad ogni istante nell'incoscienza tutta quella parte che non è utile per il momento presente ; è di diminui- re, di semplificare il passato, di estrarne tutto quello che è utile all' esperienza presente. Vivere, per lo spirito, significa concentrarsi sull' atto da compiere, inserirsi nelle cose per mezzo di un meccanismo, che estrarrà dalla coscienza tutto ciò che serve per r azione, e rigetterà nell' ombra la maggior parte del resto. Perciò il cervello non serve a conservare il passato, ma a mascherarlo ed a farne trasparire solo quanto è praticamente utile. Esso limita, così, la visione dello spirito, ma ne rende efficace 1' azione. Per questo lo spirito sorpassa il cervello da tutte le parti ; per questo 1' attività cerebrale corrisponde solo ad un' infima parte di quella spirituale (pp. 35-45. Cfr. Matière et Mémoire, ce. Il e III). Non è questo il luogo di sottoporre a critica approfondita la teorica del Bergson sul rapporto di anima e corpo; una critica di questa teoria rientre- rebbe in una critica generale della filosofia bergso- niana ; e però mi permetto di rimandare a quella che ne ho già fatto altrove (Ch*. /o, Libertà, Moralità nella filosofia di Enrico Bergson, ed anche L* este- ti — A TlLGHER. 162 SPIRITO tka di Enrico Bergson, già citati). Si deve notare, per altro, che il gran pregio del Bergson è di aver compreso che lo spirito è essenzialmente memoria. In questa conferenza egli lo dice assai chiaramente : " non vi è niente di più immediatamente dato, niente di più evidentemente reale che la coscienza, e lo spi- rito umano è la coscienza stessa. Ora, coscienza signi- fica innanzi tutto memoria (p. 42) u. La materia, invece, pel Bergson come per il Leibnitz, è Y assenza di memoria, Y istantaneità. Che cosa vuol dire il Bergson affermando che Io spirito è essenzialmente memoria ? EgU ricorre ad un esempio : " In questo momento io parlo con voi, pronunzio la parola " causerie u- E c^^iaro che la mia coscienza si rappresenta questa parola d'un sol colpo; se no. non ci vedrebbe una parola unica, non le attribuirebbe un senso. Pertanto, quando arti- colo r ultima sillaba della parola, le due prime sono state già articolate ; esse sono passato in rapporto a quella, che dovrebbe allora chiamarsi presente. Ma quest' ultima sillaba " rie « io non Y ho pronunziata istantaneamente ; il tempo, per quanto corto sia, du- rante il quale Y ho emessa, è decomponibile in parti, e tutte queste parti sono passato in rapporto all' ul- tima tra loro, che sarebbe, essa, presente definitivo se non fosse decomponibile a sua voha : sicché avrete un bel fare, voi non potrete tracciare una linea di demarcazione tra il passato e il presente, ne, per con- seguenza, tra la memoria e la coscienza u (pp. 42-3). Riprendiamo Y esempio del Bergson, e precisia- mo meglio il concetto di memoria. In tanto la parola causerie è una parola, cioè una rappresentazione. E MATERIA 163 quindi qualcosa di cosciente e di spirituale, alcunché di psichico e non di meramente fisico, in quanto, pronunziandone Y ultima sillaba, io ho, insieme, pre- senti le due antecedenti, e pronunziando Y ultima parte dell' ultima sillaba, ne ho presenti quelle ante- riori, e così via. E in tanto la parola causerie mi si riempie di significato, e però è qualcosa di spirituale e di psichico, in quanto, pronunziandola, io ho pre- senti, insieme ed in un atto solo, le parole antece- denti, e tutto il periodo, in cui essa è compresa, e i periodi che precedono questo, e così via ; se no, avrei perduto il filo del discorso. Periodi, parole, sillabe, sono Y uno fuori dell' altro, e pure, per chi non li abbia tutti presenti in un atto solo, essi non saranno nulla di spirituale, non daranno senso, non saranno fatto di coscienza. In tanto, parlando, si ha coscienza di quello che si dice, in quanto ogni parola è se stessa e, insieme, quelle già pronunziate, e, dunque, e presente e passato insieme ed in un atto solo e indivisibile, è sintesi vivente e palpitante di presente e passato, è storia in atto, cioè realtà che pone sé stessa come storia, e però è spirito. Il puro presente è, come ben dice il Bergson, l' istantaneità. E r istantaneo è quello che non ha nessuna relazione, nemmeno verso sé stesso : è 1' assolutamente irrelativo e immediato, e però l' assolutamente indistinto. Il presente così inteso è affatto impensabile, perché il pensiero è spirito, e lo spirito è memoria, cioè sintesi di presente e passato. L' essenza della spiritualità è precisamente questa: di porre continuamente il pre- sente come tale e, insieme, negarlo ; di porsi e ne- garsi, in pari tempo, come istantaneità e puntualità ; 164 SPIRITO E MATERIA 165 di essere sintesi di sé e di altro insieme ; di essere, in pari tempo, posizione e negazione. Così, a ogni momento, la parte di sillaba vien posta e negata ne la sillaba, e la sillaba vien posta e negata nella parola, e la parola nel periodo, e il periodo nel discorso ; e ogni parte di sillaba, così, h, insieme, se stessa e tutta la sillaba e tutta la parola e tutto il periodo e tutto il discorso, e solo così è coscienza, psiche, spiritualità. L'essenza della spiritualità è. dunque, il porsi e negarsi insieme dell' immediato, dell indi- stinto, deir irrelativo : è mediazione, distinzione, re- lazione in atto, concreta e vivente, cioè attività. Questo è il senso, pur troppo quasi completamente sfuggito al Bergson, della equazione da lui posU : spirito " memoria. Questo, e non altro, secondo me. è il senso profondo della tormentatissima equazione : filosofia storia. La materia, invece, essendo \' opposto, 1 altro dello spirito, è. perciò stesso. 1' opposto. V altro della memoria e della storia: non è sintesi di presente e passato, ma h limitata al puro presente, contratta in un eterno presente, fuori di ogni relazione col passato. Essa è. dunque. 1* assolutamente istantaneo, l'esistenza del quale percorre una serie d' istanti in- divisibili, ciascuno dei quali è affatto fuori degli altri, senza relazione alcuna con gli altri; perciò essa non ha memoria di se. non ha passato, ne stona, ne co- scienza, non è lo. cioè unità della molteplicità, non dura, ma ad ogni istante nasce e muore, balena e si spegne; insomma, come splendidamente la defini il Leibnitz. è mem momentanea carena recordalione. Così intesa, la materia non è nulla -di reale e di 1 t effettuale, non esiste veramente: è il concetto di un limite ideale, cui lo spirito s avvicina, a misura che la sua attività diventa incapace di sintetizzare il mol- teplice, e tende, invece, a coincidere con ciascun elemento di esso per se preso, fuori e indipenden- temente dagli altri; e da cui si allontana, a misura che, percorrendo uno per uno gli elementi della mol- teplicità, non si esaurisce in nessuno di essi singolar- mente preso, ma tutti li stringe nell'unità di un atto solo di sintesi, che è tutt' intero in ciascuno, e pure è superiore a tutti. Gioverà ricordare che questa nostra dottrina è di origine schiettamente kantiana. Per il Kant, infatti, la sensibilità ci dà soltanto molti e diversi elementi, la connessione dei quali è necessaria, ma non è data, e non può essere prodotta dalla nostra sensibilità, eh' è mera ricettività, ma solo dalla nostra sponta- nea attività intellettuale. Solo questa sintesi rende possibile r oggetto dell' esperienza, e perciò non è empirica, ma pura e trascendentale. Per connettere in forma necessaria ed universale gli elementi moltephci dati A, B, C, e necessaria una triplice sintesi : cioè 1 ) che noi li comprendiamo tutti insieme, Y uno dopo r altro ; 2) che, passando a un nuovo membro della serie, non dimentichiamo, ma ci ripresentiamo quelli già passati ; 3) che nelle rappresentazioni cosi richia- mate riconosciamo quelle stesse che già abbiamo com- preso. Senza questa triplice sintesi dell' apprensione, della riproduzione e della ricognizione, non possono sorgere nemmeno le intuizioni fondamentali di spazio e tempo, che sono già sintesi e non pura caotica molteplicità. Con questa dottrina il Kant ha fondato 166 SPIRITO su basi granitiche Y equazione : coscienza "^ memoria storia (Cfr. Critica della ragion pura, Deduzione dei concetti puri delV intelletto, Il sezione). Ma il Bergson non ha saputo quasi per nulla sfruttare il tesoro che aveva tra mano. Il suo primo e gravissimo errore è stato di concepire la memoria, non come lo spirito stesso nella sua attività, non come r attività stessa e la sola attività che sia al mondo, ma come qualcosa di statico, d* immobile, di già fatto. Così casca nel dualismo : da una parte la percezione istantanea, che è la materia, dall' altra la memoria, che è lo spirito ; ma entrambe come due cose, due fatti. Egli non ha saputo vedere che lo spirito non è, puramente e semplicemente, memoria, ma si fa memoria, anzi si fa, senz' altro, poiché farsi è agire; e agire è porre due termini come due ed uno insieme, come uno che, in quanto è uno, è due, come ciò che, in quanto è se stesso, è, insieme, altro ; e però è durata, memoria, storia in atto. Messosi su questa china, il Bergson è scivolato di errore in errore, giungendo fino a sostenere che, prodottosi una volta il fatto di coscienza, esso si con- serva per tutta T eternità nello spinto, come inizial- mente si produsse, senza punto mutare. Le necessità della vita pratica lo richiamano qualche volta in vita, ed esso allora scende a contatto della materia, parte- cipa air azione, e si cambia e muta. Ma, in quanto puro ricordo, è assolutamente inattivo. E così dal- l' equazione spirito = memoria, il Bergson giunge air equazione spirito := assoluta inattività, e poiché per lui anche la materia è inattiva, per ispiegare li lusso e il cambiamento delle cose egli è obbligato E MATERIA 167 a ricorrere a un terzo termine, all' azione, che non è ne la pura istantaneità della materia, ne X assoluta immobilità del ricordo puro, ma un terzo termine, medio fra i due, che pone a contatto materia e spi- rito, e di due inattività fa un' attività, di due immo- bilità una mobilità. E come ciò sia possibile, resta affatto misterioso ed oscuro. Intanto il Bergson si trova di fronte ad una seria obbiezione. Se il fatto psichico, una volta prodottosi come tale, si conserva eternamente nello spirito, come va che noi non ci ricordiamo mai se non di una parte soltanto del nostro passato, mentre il resto ri- mane neir ombra ? La risposta del Bergson, che del passa^o si ha coscienza solo per quella parte che interessa Fazione presente, o l'azione senz'altro, poiché per lui il presente è proprio l' azione, suscita un' altra difficoltà : che cosa ne è di quella parte del passato che non interviene nell' azione, e che pur si conserva nello spirito ? La risposta del Bergson è che essa si conserva come rappresentazione incosciente, poiché la coscienza non é proprietà essenziale degli stati psicologici, ma solo del presente, dell' attual- mente vissuto, dell' agente, sì che ciò che non agisce esiste, esiste come stato psichico inconscio (Cfr. Ma- aere et Mémoire', p. 152 sgg.). La teorica del Bergson, per nuova ed originale che sia, é tutt' altro che soddisfacente. Poiché, in- somma, essa giunge a quest' incredibile conclusione : che la spiritualità pura, il puro ricordo, equivale air assoluta incoscienza, ed é solo partecipando all' a- zione. é solo venendo a contatto con la materia, che essa acquista la coscienza. Sì che, se è vero, 168 SPIRITO E MATERIA 169 come dice 11 Ravalsson (%apport sur la philosopbie m France au XIX siede \ p. 1 76), e il Bergson ripete (Matière et Mimoire\ p. 195), che la ma- terialità pone in noi l'oblìo, è vero pure che essa pone in noi la coscienza ; e se il cervello e, m ge- nere, il corpo, è, come il Bergson si esprime, un ostacolo ed un velo {U àme et le corps, p. 44), è un velo, senza del quale non ci sarebbe la luce. A quest* incredibile paradosso il Bergson è giunto per essersi voluto rappresentare il ricordo come qualcosa di bello e fatto per V eternità, e non come^ un farsi continuo ; e perciò ha dovuto spiegarne V assenza e non la presenza, perchè quella e non questa costi- tuiva per lui un problema. La conferenza del Bergson è importante sopra tutto perchè in essa egli enuncia una teorica, che, implicita in Matière et Mémoire, lasciata intravedere alla fine del terzo capitolo de V Évolution créatrice. è ora esplicitamente dedotta e portata alla luce. Se la vita dello spirito non è effetto della vita del corpo, se, al contrario, tutto accade come se il corpo fosse semplicemente utilizzato dallo spirito, non e' è ragio- ne di supporre che il corpo e lo spirito siano inse- parabilmente congiunti fra loro e che, dissolvendosi quello, si dissolva anche questo. Chi afferma ciò, deve provarlo; fino a prova contraria, dall'indipendenza parziale della coscienza in riguardo al corpo si de- duce la parziale sopravvivenza di quella a questo (pp. 45-8). Ma, replichiamo, se è il contatto col corpo che dà la coscienza allo spirito, con la scomparsa del corpo tutto il nostro passato cadrà in quello stato f d* incoscienza, in cui, secondo il Bergson, giace in questa stessa vita quella parte di esso che non par- tecipa air azione. Sopravvivenza, dunque, ma di che ? Di un patrimonio innumerevole di ricordi statici, immobili, inattivi, immersi nelle tenebre dell'inco- scienza, non accentrati intorno a una personalità vi- vente, posti r uno fuori dell' altro : sopravvivenza, che in nulla si distingue da una completa estinzione o distruzione. 11 fatto si è che il Bergson ha malissimo impo- stato il problema dell' immortalità dell' anima. A lui sembrerebbe di aver ottenuto molto, se potesse sta- bilire " sul terreno dell'esperienza la possibilità ed anche la probabiUtà di sopravvivenza per un tempo x: si lascerebbe fuori del dominio della filosofia la questione di sapere se questo tempo è finito o il- limitato " (p. 46). Ma, a prescindere dall' osserva- zione che dalle sue premesse deriva senz'altro r illimitata conservazione del puro ricordo, che non si vede come possa a un dato momento cessare di esistere per cause che non siano di natura affatto soprannaturale, il vero si è che, concepita come la concepisce il Bergson, l' immortalità dell' anima si ridurrebbe a niente altro che ad un prolungamento temporaneo dell' io empirico. Ora, questo è insaziabile di vivere, e alla sua sete di esistenza mille o duemila anni sono affatto lo stesso che sessanta o settanta. Pur vivendo per mille o duemila anni ancora dopo morte, esso non cesserebbe, per questo, d' essere io empirico, perituro e contingente, continuamente distrutto e corroso dall' intima dialettica della sua esistenza, e la sua sopravvivenza oltre tomba non 170 SPIRITO sarebbe altro che il prolungamento del suo morire continuo. Non è questa Y immortalità che lo spirito umano desidera ! L' io empirico deve morire fin da quaggiù, e fin da quaggiù in terra V uomo deve sentire nell' anima sua V immortalità del cielo, quando, ponendo tutto se stesso al servizio dell* universale, egli ritrova in questo la sua vera individualità, e, neir atto singolo del momento che passa, pone, con- quista e celebra la sua personalità più intima e na- scosta, dando così a quelP atto un valore infinito ed eterno. " Non basta farsi sotterrare per giungere alla felicità Mi secondo la gran parola del Fichte {Intro- duzione alla vita beala, lezione I), ne per entrare neir immortalità. In questo regno ci si entra fin da quaggiù, ed è questo un problema, di cui non pos- siamo attendere la soluzione da altri, che lo risolvano per noi, perchè ognuno di noi lo risolve continua- mente per se stesso. E la parola della soluzione è una sola : volere. Ora, nessuno può volere per altri, ma solo per se, perchè, appunto, il volere è, esso, nient' altro che il Sé, nient' altro che l' individualità o personalità medesima. ANALISI DEI CONCETTI DI DELITTO E DI PENA. ^oma, giugno del 1913. I. Introduzione. Da quando si é per la prima volta costituita, almeno in abbozzo, come scienza consapevole del- l' oggetto e deir importanza della sua indagine — cioè dalla nascita del Cristianesimo — fino ai nostri giorni, la storia dell' Etica si può raffigurare come una lotta continua, vivissima, implacata, dell* utilita- rismo e del moralismo, lotta che arde più violenta che mai sopra tutto dall'epoca del Rinascimento. Ma (e ciò doveva indurre le menti a riflettere sulla giustezza del punto di vista, dal quale partivano in guerra contro Y opposto principio) questa lotta non accennava mai a cessare definitivamente, a chiudersi una buona volta con la vittoria di uno dei conten- denti. Si assisteva, nel campo della filosofia della pratica, a quello spettacolo che Kant tratteggiò così bene nella Critica della ragion pura, là dove parla delle antinomie della ragione: ciascuno dei due principii opposti fra loro, e fra loro cozzanti, era bensì validissimo a vibrar colpi al principio nemico, !'• "■ti 174 ANALISI DEI CONCETTI era bensì pronto ed abile all' offesa, ma non altret- tanto alla difesa. Cosicché, quando pareva che, a mo' d' esempio, sotto i colpi dell' utilitarismo il mo- ralismo fosse stato beli* e spacciato, appena quello cessava dalle offese si vedeva risorger questo più vivo e forte che mai, assalire l'avversario, e farlo piegare sotto colpi poderosi e salde argomentazioni, salvo a rivederselo in piedi davanti, al menomo cenno di tregua dalla battaglia. Ciò indicava chiaramente che la disputa tra i due principii opposti era male impegnata, che non poteva trattarsi dell' esistenza esclusiva di uno dei due, ma che ciascuno di essi doveva avere in se ragioni ed argomenti assai forti, per non ceder del tutto il campo all' avversario. Questa lotta continua, quest'insolubile antinomia, ha cominciato ad avere una soluzione col riconosci- mento di due gradi dello spirito pratico : 1' uno, me- ramente utilitario ; 1* altro, morale. Nella prima forma dello spirito pratico, nella forma puramente utilitaria o sensibile, lo spirito non desidera, non appetisce, non vuole che l' individuale. 11 proprio bene, il proprio vantaggio, l'utile proprio è ciò che solo esso ha di mira : in questo grado, esso non afferma e celebra che la propria individualità. Ma non perciò, lino a che resta in questa forma, esso è da chiamarsi immorale. Lo spirito meramente utilitario è piuttosto amorale, in quanto che in esso la coscienza morale non ha proiettato ancora nessun raggio della sua luce : in se, non è ne buono ne cattivo, ne morale ne immo- rale, è al di qua del bene e del male, è nello stato d' innocenza morale ; col che non si vuol preferirlo allo DI DELITTO E DI PENA 175 stato in cui la coscienza morale è apparsa, colla sua bipolarità del bene e del male. Ma lo spirito pratico non può restare nella fase puramente utilitaria, nella quale non fa che correre di piacere in piacere, di particolare in particolare, senza mai posa ne tregua, inseguendo l'ideale della felicità, che, com' è natura del particolare, perpetua- mente gU sfugge. E necessario che, spezzando questo progresso all' infinito, esso salga nella sfera dell' eterno e dell'immortale, volendo moralmente e moralmente operando. Solo allora appare la coscienza morale, cioè la volizione di qualcosa, eh' è bensì particolare, indi- viduale, determinata nel suo contenuto, ma che, pur in questa sua particolarità, individualità e determi- natezza, supera e trascende l' individuo che la vuole, in quanto essa è affermazione, non della sua pe- ritura e passeggiera individualità, ma dei fini e della volontà dell' Universo. Nella fase utilitaria, lo spirito non afferma che la propria individualità; nella fase morale, non già la propria individualità, ma tutte le individualità, l' Essere, la Vita, l' Universo. Di questa concezione dell' Etica si può provare la fecondità, sia facendo vedere com'essa integri e soddisfi un' esigenza, che, per quanto oscuramente, si fece pur sempre valere nei filosofi della morale dell'epoca moderna, sia risolvendo alla sua stregua un grandissimo numero di problemi mal risoluti o dichiarati insolubili. Non sarebbe ora il caso di applicare lo stesso metodo, per veder di risolvere i problemi che affaticano certe branche della Filosofia morale, le quali, abbandonate agli specialisti, si dibat- tono in vuote ed interminabili logomachie? E ciò 176 ANALISI DEI CONCETTI che noi, per parte nostra, tenteremo di fare, cercando di risolvere la triplice antinomia, che da tempo imme- morabile travaglia la filosofia del diritto penale, e della quale, finora, non $ h trovata soluzione soddisfacente. IL Antinomia delle teorie utilitaristiche E DELLE TEORIE MORALISTICHE DEL DELITTO. La prima antinomia, in cui si dibatte la Filo- sofia del Diritto penale, riguarda la definizione de! Delitto. Senza stare ad enumerare e criticare le teorie dei singoli autori, una per una, ciò che sarebbe troppo lungo, e. del resto, affatto inutile, sia per lo scarso interesse che la maggior parte di esse pre- sentano, sia per 1' affinità esistente tra molte di loro, noi le ridurremo a quattro principali, e su queste soltanto si volgerà la nostra indagine e la nostra critica. A) La maggior parte dei filosofi del diritto, e quasi tutti i giuristi, definiscono delitto: " ciò che costituisce violazione delle leggi positive ^ (1). Ma questa definizione, che chiameremo giuridica, per quanto utile e comoda sia nella pratica dei tribunali, è assolutamente destituita di qualunque valore filo- sofico. Lasciamo stare Terrore, grossolanamente em- pirico, di considerare come leggi positive solo quelle (1) Cfr.. fra i lanti. Pestìi na. Manuale del diritto penale italiano. 2 (Napoii, 1899). I, p. 63; e lui pai Ionie ni. Isti- tuzioni di diritto penale (Torino, 1908), p. 68. DI DELITTO E DI PENA 177 emanate dall* autorità dello Stato, e quindi come de- litto solo r azione che si esegue in violazione di quelle leggi — mentre, per noi, leggi positive sono, non solo quelle che governano la special forma d' as- sociazione che chiamiamo Stato, ma anche quelle da cui son rette quelle altre associazioni che si chia- mano Chiesa, Massoneria, partito politico, congrega- zione reUgiosa, circoU di gioco, mano nera, e via dicendo — , ma questa definizione si risolve in una manifesta tautologia. Violazione delle leggi positive vuol dire viola- zione del diritto. Quindi, definire il delitto come vio- lazione delle leggi positive, è lo stesso che definirlo come violazione del diritto. Il delitto è, dunque, la negazione del diritto. Sapevamcelo! Ma che cosa è il diritto, che cosa son quelle leggi, di per se prese? Leggi meramente utilitarie, o leggi morali? Che cosa e in se il diritto, e quindi che cosa è in se il delitto ? A queste domande non risponde la definizione di cui sopra, la quale non ci dà che una nozione affatto negativa e indeterminata del delitto, e perciò vuota di ogni contenuto. Essa, del resto, non fa che spostare la quistione, senza risolverla. Il delitto è la violazione delle leggi positive. Sta bene. Ma quando il legislatore si ac- cingeva ad emanar le sue leggi, doveva pure avere un criterio per giudicare come delitto ciò che in esse proibiva. E qual' era questo criterio? Non certo quello della violazione di leggi che non erano state emanate ancora. Eppure, alla sua coscienza pratica doveva ben apparire come delitto quelF azione che egli si accingeva a vietare, e, se commessa, a punire! La 12 — A. TiLOHKB. 178 ANALISI DEI CONCETTI prima definizione del delitto ci sembra, dunque, affatto priva di valore filosofico, il che non vuol dire che non ne abbia uno pratico, pei giudici e per gli av- vocati. B) Per la seconda definizione, che chiameremo uHlitaria, è delitto " ogni atto contrario air utile della società y (I). Poiché noi non facciamo la storia di tutte le definizioni del delitto, ma esaminiamo e critichiamo solo quelle che, in generale, se ne pos- sono dare, solo le definizioni ideali possibili del de- litto, così non ci facciamo scrupolo di attribuire alla definizione utilitaria un senso più filosofico di quel che le sia slato dato da chi la formulò. Ed inten- dendo per società, non solo quella special forma di convivenza che d' ordinario si designa con questa parola, ma qualunque accolta d' uomini, sia pur sorta a fini criminosi, e, per delitto, non solo ciò eh' è contrario all' utile della società, o di una società così intesa, ma anche ciò eh' è contrario all' utile di una sola persona (il che. dal punto di vista filosofico, è lo stesso, poiché qual differenza, se non quantitativa, v' è tra un individuo e parecchi, o molti, o anche tutti gì' indivi- dui ?), noi trasformeremo questa definizione così: delitto è " ogni aito contrario air utile, g E non si può negare che questa definizione rappresenti un gran progresso sulla precedente, come quella che alla nozione di delitto dà un contenuto preciso e determinato, e racchiude in se una parte di verità. Ma comprende in se tutta la verità ? Ve- (I) Cfr., per esempio. Beiitliaill. Tratte de législation chile et pénale (irad. Iran.. Pari». 1802). I, chap. XI. DI DELITTO E DI PENA 179 diamolo. Supponiamo una società di uomini mera- mente utilitarii, i quali non hanno in vista che il proprio vantaggio, e solo per meglio assicurarlo e promuoverlo si sono uniti, dandosi leggi e discipline speciali. Evidentemente — ed è questo il lato vero della teoria utilitaria — per quest' accolta di uomini, o meglio di dèmoni, delitto sarà ciò che offende l'utile della società, o di ciascuno di loro, singolar- mente preso. Supponiamo ora che nell' animo di uno di costoro si risvegli, per una strana resipiscenza, il senso morale, e rifiuti perciò, con tutte le sue forze, di partecipare ad una spedizione che ha per iscopo di svaligiare una carovana di viaggiatori. Per i suoi compagni questo rifiuto è un delitto, perchè compro- mette r utile della società : per lui, è un delitto ciò che i suoi compagni si accingono a fare. La definizione utilitaria del delitto si applica pienamente per gli altri ladroni, ma non pel ladrone pentito, pel buon ladrone. Pei primi, il rifiuto di costui è delitto, perchè, e sol perchè, offende l'utile comune e mette in pericolo la comune sicurezza ; pel ladro pentito, il partecipare all' assalto della carovana è un delitto, perchè offende il suo senso morale. Di fronte a questo fatto, la definizione utilitaria del delitto non ci dà spiegazione alcuna, e rivela la sua impotenza, fondata su ciò, che essa non tien di vista che una parte soltanto della verità, non ha sue radici che in una forma soltanto dello spirito pratico. La definizione utilitaria del delitto non s' applica che a quelle azioni cui repugna la coscienza meramente utilitaria, e non a quelle cui repugna la coscienza morale. 180 ANALISI DEI CONCETTI C) Egualmente unilaterale ed angusta è la defi- nizione - che chiameremo morale - del delitto (I), per cui delitto h " ciò eh' è eontrario alla eoscienza morale „. Ora. è verissimo che la maggior parte di quelle azioni che si chiamano delitti, e che consisto- no nella violazione delle leggi dello Stato, come r omicidio, [• incesto, la truffa, e via dicendo, sono atti cui la coscienza morale fortemente ripugna, b verissimo che tutto ciò cui la coscienza morale ri- pugna, è per essa delitto. Ma si può identificare a nozione di delitto con ciò cui la coscienza morale ripugna > Ci sembra, di tutta evidenza, che no. b per riportarci alF esempio di sopra, per la banda dei ladri è delitto precisamente il nfiuto del compa- gno di partecipare air impresa di rapina nfiuto che neir animo di quello è accompagnato dalla piena approvazione della coscienza morale. Ecco un atto che. sebbene approvato dalla coscienza morale di un individuo, è un delitto per altri individui. E. vi- ceversa, la spedizione di rapma. a cui i ladri si accingono, ed alla quale il ladro pentito nfiuta di partecipare, è per la coscienza morale di costm un delitto vero e proprio, mentre pei suoi compagni e un eccellente mezzo di accrescere le proprie ricchez- ze e comodità. , . Noi siamo in presenza di un fatto innegabile ed evidente: alcuni individui (1 ladri) biasimano (1) Definizione morale del dclitlo è. per esempio, quella del «aromio (Or. Criminologia, Torino. 1885. p. 30). benché enun- data in modo coti roxxamenle empirico, da rivelare nell autore la completa mancanza di ogni preparazione filosofica. DI DELITTO E DI PENA 181 e ripugnano con tutte le loro forze ad un atto di un loro compagno (il rifiuto di accompagnarli nella loro scorreria), e, considerandolo come un delitto, lo puniscono con la morte di chi lo pronunziò ; un altro individuo (il ladro pentito) rifiuta di accompagnare i sodi nella loro rapina, e considera questa come qualcosa, di fronte a cui la sua coscienza morale reagisce, qualificandola di delitto. La definizione mo- rale del delitto non s' applica che alla reazione del ladro pentito, non a quella dei suol compagni. Che atteggiamento deve allora assumere la de- finizione morale? Negare che sia delitto il rifiuto del ladro pentito a rubare ? Verissimo, ma solo pel ladro pentito 1 Pei suoi compagni è un delitto bello e buono, tanto è vero che lo puniscono con la morte. Sostenere che quel rifiuto è, per gli altri ladri, qual- cosa d' immorale, e che perciò appunto^ lo qualifi- cano come delitto, perchè è qualcosa d* immorale ? Ma se in ipotesi s'è ammesso che in queir accolta di dèmoni non vibra che la coscienza utilitaria, mentre quella morale è, se non abolita e scomparsa, almeno dormiente ! Negare Y esistenza di un* attività mera- mente utilitaria dello spirito, ed ammettere solo quella morale, in gradi più o meno chiari e distinti? Signi- ficherebbe negare il progresso immenso compiuto col riconoscimento di due gradi delF attività pratica, ri- piombare in quella lotta perpetua tra utilitarismo e moralismo da cui, a gran pena e stento, s'è usciti, ed avvolgersi in un laberinto inestricabile di antino- mie. In conclusione, anche la definizione morale del delitto non è vera che a metà. 182 ANALISI DEI CONCETTI D) Ed è vano sperare la risoluzione del pro- blema da definizioni miste o eclettiche, sul tipo della seguente: è delitto " ogni atto contrario in pari tempo alla coscienza morale e alV utile ^. Lasciando slare il difetto solito di tutte le teorie eclettiche, eh' è quello di giustapporre meccanicamente (contra- rio alla coscienza morale e alF utile) elementi opposti e cozzanti fra loro, i quali non si possono conciliare che in virtù di un principio superiore, questa defini- zione non abbraccia tutto il campo del definiendo. Infatti, per attenerci ali* esempio su proposto, per la banda dei ladri il rifiuto del compagno a seguirli nella loro rapina è delitto sol perchè è contrario alla loro coscienza utilitaria, avendoli noi supposti affatto privi di coscienza morale. Per il loro compagno, invece, il partecipare all' assalto dei viag- giatori è un delitto, non perchè è un atto contrario, in pari tempo, alla sua coscienza morale e all' utile, ma perchè è un atto contrario alla sua coscienza morale, eh' è per lui, in quel momento, 1' utile ed il solo utile. La definizione eclettica riparerà col dire che è delitto ogni atto contrario, in pari tempo, alla coscien- za utilitaria di A, B. C e alla coscienza morale di D? Innanzi tutto, dovrebbe spiegarci il perchè di questa unione di elementi opposti fra loro ; in secon- do luogo, in una società di uomini puramente utilitani è delitto solo ciò che offende la coscienza utilitaria di essi, come in una società di uomini puramente morali è delitto solo ciò che offende la loro coscienza morale : per starcene all' esempio di cui sopra, è de- litto pei ladri ciò che pel ladro pentito è una buona DI DELITTO E DI PENA 183 azione, e viceversa. Anche la teoria eclettica, come la giuridica, l' utiUtaria, la morale, è dunque inferiore air assunto suo. E r ultimo rimedio cui ricorrono i seguaci di queste teoriche, per iscampare dal naufragio, è peg- giore del male. Infatti, il moralista, a mo' d' esempio, non potendo negare che spesso si puniscono come delitti azioni affatto conformi alla coscienza morale, e non volendo abbandonare il suo principio per ac- coglierne un altro più ampio, afferma che per nessun uomo, sotto niun rispetto, quelle azioni sono delitti, e che delitti debbono chiamarsi solo gli atti contrarii alla coscienza morale. Ed allora la posizione sua di fronte al problema cambia notevolmente. Poiché egli non si pone più di fronte al delitto come di fronte a un prodotto dello spirito, che si tratta di esaminare ed analizzare, ma come di fronte a un problema pra- tico che bisogna risolvere, a un dovere che bisogna compire. Egli non vede più ciò che il delitto è, ma ciò che dev'essere, e se le intenzioni sue sono lodevoh e degne di essere attuate, il suo assunto scientifico falh- sce però completamente. Poiché la filosofia deve com- prendere il mondo qual' è : ricrearlo, cioè, intellet- tualmente, non trasformario; che se a tanto aspirasse, usurperebbe il posto dell'attività pratica. La filosofia — diceva Hegel - giunge, e deve giungere, sempre tardi, a fatto compiuto ; perchè essa non crea il reale, ma lo ricrea e comprende. Sorge a sera, quando r opera della giornata è al suo termine : " l' uccello di Minerva leva il suo volo al crepuscolo u (I). (1) Philosopbic des "Rechis, Vorrede, in fine. I I %yf ANALISI DEI CONCETTI E quel che abbiamo detto per il moralista, val- ga per i seguaci delle altre teoriche. Nessuna finora t'c persuasa che le due attività, la filosofica e la pratica, sono assolutamente parallele, e, ben lungi dair escludersi, si presuppongono a vicenda. Infatti, per sapere ciò che il delitto dev'essere, bisogna prima sapere ciò che il delitto è. Ed assolvere questo compito significa enunciare un principio che com- prenda in se r essenza del delitto, cioè quell' elemento che si ritrova in tutti i reali o possibili delitti. IH. Superamento della precedente ANTINOMIA. Dunque il problema è insolubile ? Siamo in pre- senza di un antinomia donde il pensiero non può uscire? Nulla di tutto ciò: basta ammettere nello spirito pratico V esistenza di due gradi, Y uno pura- mente utilitario, r altro morale, che comprenda in se, come momento superato, il primo. Una società di uomi- ni meramente utilitarii, in cui la volizione dell' uni- versale non esista, i quali non appetiscano che il particolare, cioè Tutile, il vantaggio, il comodo proprio, chiameranno delitto tutto ciò che ostacola quel comodo, quel vantaggio, quell* utile cui ciascuno di essi aspira. Ma perchè ricorrere all'ipotesi di tale società? Un uo- mo meramente utilitario, ognuno di noi in quanto vuole utilitaristicamente, chiama delitto tutto ciò che V osta- cola, lo traversa. 1* inceppa nella sua attività economica. e reagisce ad esso. Per V uomo utilitario delitto è, dunque, ciò che gli nuoce. DI DELITTO E DI PENA 185 E questa definizione è perfetta in sé. né ha bi- sogno di aggiunte e complementi. Non è necessano che il danno all' uomo utilitario venga da parte di altri uomini. L' uomo utilitario, che si accorge di aver agito contro il suo interesse, di aver danneggiato sé stesso, appercepisce se stesso come delinquente, e. reagendo a se medesimo, in sé stesso si volge coi denti. Non é necessario che il danno all'uomo utih- tario venga da uomini (siano gli altri uomini, sia lui stesso) : quando egli vede che il suo interesse è stato danneggiato da altri esseri, come da animali, o addi- rittura da esseri inanimati, può, nella sua ignoranza, volgersi contro di loro, appercepirli come delinquenti e punirii. E gli esempi non mancano nella stona: testimoni, i processi intentati nel Medio Evo contro gU animaU nocivi all' agricoltura ( 1 ); la Hagellazione dell' Ellesponto, fatta eseguire da Serse in punizione della rottura del ponte da lui gettato tra Asia ed Europa (2). Che più? Perfino la divinità può essere appercepita come autrice di delitti, ed è noto l'aneddo- to di quel prete, che, nel terremoto di Messina del 28 dicembre 1 908. salvato a grande stento, si oppose ener- gicamente a che fossero scavate dalle macerie le imma- gini dei santi, per punirli, diceva lui, della mancata protezione alla sventurata città. Non è neppur neces- sario, perché il delitto ci sia, che il danno venga da un individuo o da parecchi individui ben noti e accertati: (1) Cfr. Del «ilitlifO. I processi e le pene degli animali. in : "Pel 50' anno d' insegnamento di Enrico Pessina (Napoli. 1899). II. pp. 367-76. (2) Cfr. flerofl.. Histor., VII, 35 e 54, 3. 186 ANAUSI DEI CONCETTI DI DELITTO E DI PENA 187 nei tempi preistorici, V offesa fatta alla tribù B da un membro ignoto della tribù A era punita con Y assalto e la guerra a tutta la tribù A. Ed anche oggi, quando interi reggimenti si rendono rei di gravi delitti, di cui 8* ignorano con precisione i veri colpevoli, si procede air estrazione a sorte di un decimo degli uomini e alla loro fucilazione. In conclusione, dal punto di vista meramente utilitario, delitto ciò che nuoce. Ma, dal punto di vista morale, è delitto ogni atto contrario alla coscienza morale, questa contrarietà provenga da se stesso, o dagli altri uomini, o da esseri inferiori all' uomo (animali, piante, esseri inorganici), o superiori (dèmoni, genii, santi, dei), a seconda del grado di coltura e di sviluppo mentale dell' uomo o degli uomini che reagiscono moralmente a un delitto. Ma — si dirà - è questo ciò che voi chia- male superare l'antinomia? Noi abbiamo qui due definizioni del delitto, parallele ed irreducibili: l'unità di cui andavamo in cerca, non 1' abbiamo ancora ot- tenuta, e nell'antinomia siamo avvolti come e più di prima. — Così ci si potrebbe obbiettare, e sa- rebbe obbiezione prematura ed ingiusta. Dal punto di vista utilitario, delitto è ciò che nuoce ; dal punto di vista morale, delitto è ciò eh' è male. In entrambi i casi, affinchè qualche azione sia appercepita come nociva o come cattiva, è necessaria una reazione della coscienza, utilitaria nel primo caso, morale nel secondo, ma in tutti e due una reazione negativa, una repugnanza utilitaria o morale. Ed ecco trovata l' essenza del delitto, del delitto utilitario e del delitto morale. Il delitto utilitario è un' azione (utilitaria o morale), cui si repugna utilitaristicamente, ed in tanto h> e delitto utilitario, in quanto vi si repugna utilitari- sticamente; il deUtto morale è un' azione utilitaria, cui si repugna moralmente, e solo in quanto vi si repugna moralmente, essa è delitto morale. L essenza del delitto è costituita in entrambi i casi dall' ecci- tamento di una repugnanza (utilitaria nell' uno, mo- rale neir altro). Noi possiamo dunque definire come delitto ogni azione che provoca una repugnanza, ogni azione che non si vuole. L'antinomia delle teorie utilitaristiche e delle teorie moraUstiche del delitto era, dunque, un' anti- nomia di distinzione astratta, fondata sul completo disconoscimento di uno dei gradi dell' attività pratica, a totale beneficio dell' altro ; e noi 1' abbiamo supe- rata ammettendo nel fenomeno del delitto due gradi : il primo, ch'è quello in cui un'azione, utilitaria o morale che sia, provoca una reazione meramente utilitaria; il secondo, in cui un' azione utilitaria provoca una reazione, la quale è più che utilitaria, morale . E, per amor di chiarezza, avvertiamo esplicita- mente che per noi delitto significa qualunque atto cui si repugna : quindi, non solo 1' omicidio, il furto, V adulterio, la ripugnanza contro i quali s' esprime con la condanna del reo alla ghigliottina, alla pri- gione, all'ammenda; ma anche la sgarberia, cui si risponde col togliere il saluto, la violazione di una norma d' etichetta, cui si reagisce non invitando più al ballo o al pranzo il colpevole, ed anche quella piccola mancanza di delicatezza, cui si reagisce con un moto che ci si affretta a nascondere nel più pro- fondo dell' animo. Dal punto di vista quantitativo, tra il parricidio e il piccolo sgarbo e' è una differenza 188 ANALISI DEI CONCETTI enorme, ma dal punto di vista qualitativo e' è per- fetta identità, così come tra Y Orlando Furioso e lo stornello popolare c'è differenza quantitativa, ma identità qualitativa. Ora, la filosofia è la scienza della qualità e non della quantità; essa non conosce aristocratismi fuori posto, e nelle sue categorie con- templa r eterno e Y imperituro, anche se questo s* in- carni nelle più misere e trascurabili apparenze. In conclusione, teniamo ben fermo che delitto equivale ad ogni atto cui si repugna. La prima antinomia della filosofia del diritto penale è, dunque, superata. Passiamo alla seconda. IV. Antinomia delle teorie utilitaristiche E DELLE TEORIE MORALISTICHE DELLA PENA. Un uomo ingiuriò, rubò, percosse, ferì o uccise un altro ; questi, o la sua parentela, o i poteri costi- tuiti dello Stato inflissero al primo una punizione. Così fu per il passato, così è attualmente, senza alcun dubbio così sarà per T avvenire. Perchè ciò? Che cosa è la pena? A qual fine essa mira? Da quando i pensatori cominciarono a riflettere per trovare una risposta a queste domande, si delinea- rono nettamente due teorie contrarie Y una ali* altra, che, Fun contro Taltra armata, scesero in campo, e si combatterono accanitamente : la teoria del puniiur quia peccatum est, e Y altra del punitur ne pecceiur. L'an- tinomia fra queste due teorie sembra, a prima giunta, insolubile, anche pel fatto che è restata finora sempre DI DELITTO E DI PENA 189 ! 4 tale, i tentativi di conciliazione essendo del tutto falliti. Ma r antinomia delle teorie relative e delle teorie assolute, come sono state chiamate, o, più fi- losoficamente, delle teorie utilitaristiche e delle teorie moralistiche è davvero insolubile? Vediamolo bre- vemente. A) Nostro intento non è di fare la storia della filosofia del diritto penale, il che ci porterebbe troppo per le lunghe, e sarebbe affatto inutile per la nostra indagine. Basterà quindi esaminare e criticare gli aspetti caratteristici, che hanno a volta a volta assunto la teorica utilitaria e la teorica morale. E cominciando da quest' ultima, noi possiamo distinguere tre forme, in cui essa s' è presentata : la teoria della recipro- canza. quella della retribuzione giuridica e quella dell'emenda. a) La reciprocanza è un criterio pratico di giu- stizia, è il taglione nella sua più schietta semplicità. Si limita di tanto la libertà altrui, di quanto fu limi- tata la nostra, si sottrae tanto di diritto ad altri, quanto fu negato a noi. La reciprocanza è la stessa giustizia, cioè Y uguaglianza, assoluta o proporzionale, secondo le circostanze; essa è a priori, ed è non solo morale, ma anche giuridica. Ora, basta leggere l'esposizione, che della teoria della reciprocanza ha fatto il suo più perspicuo enun- ciatore (1). per accorgersi subito della sua inesi- stenza. EgU distingue due sorta di reciprocità : quella necessaria, la quale considera la pena " come una re- (1) Cfr. Tissot, Introduction pbilosophique à l'elude du Droii penai (Paris. 1874). Introduction, pp. 1-32. ir 190 ANALISI DEI CONCETTI DI DELITTO E DI PENA 191 trìbuzìone matematica d*una certa somma di sofferenza da infliggere per una stessa somma di sofferenza che il colpevole ha fatto subire ^ (p. 4). Questa reciprocità necessaria non appartiene che a Dio ; all' uomo spetta la reciprocità facoltativa, in forza della quale la pena diventa bensì un diritto, ma cessa di essere un dovere, onde " la società può far grazia di tutta la pena o d'una parte, se la pena intera o una parte della pena è divenuta inutile allo scopo che ci si propone punendo " (p. 4). Ben lungi dall' essere, quindi, il principio informatore della reazione punilrice, la reci- procanza è invece un concetto limite, indicatore di una misura, oltre la quale non si deve andare : " v' è qui un limite che è assolutamente giusto di rispettare nella pena; tutto ciò che lo sorpassasse sarebbe in- giusto g (p. 15). E poiché non è la reciprocanza, semplice limite e misura, non sono i motivi esteriori e relativi che danno il diritto di punire, non resta, per giustificare la pena, che ammettere un diritto di difesa, " che esiste per la società come tale e per tutti i suoi membri individualmente presi u (p. I). In tal modo, la teorica della reciprocanza per- de ogni autonomia, e si confonde con quella uti- Htaristica della difesa individuale o sociale. Che se poi per reciprocanza s' intende uguaglianza, essa non è che un'imperfettissima enunciazione della teoria morale in genere, e si confonde quindi con la teorica dell'emenda. Del resto, com'è stata enunciata dal Tissot, la reciprocanza non è un principio di giusti- ficazione, ma una misura di attuazione, non un con- cetto scientifico, ma una norma pratica. Basterebbe, del resto, a dimostrare che la reciprocanza non è il principio filosofico che comprende m se tutta la fe- nomenologia della pena, l'osservazione incontestabile che se vi son delle pene che mirano alla recipro- canza, all' eguaglianza di trattamento verso il colpe- vole altre ve ne sono, ed in maggior numero, che mirano a fini diversi. Di guisa che la reciprocanza resterebbe anch' essa, tutt'al più, un sempUce scopo possibile della pena, che sarebbe senza dubbio mora- le per colui che, punendo, si proponesse di attuare un criterio di giustizia; utilitario, invece, se la reci- procità fosse considerata semplicemente come un li- mite esterno, come una misura alla reazione, la quale avesse poi, come contenuto, l' intimidazione, o qua- lunque altro scopo meramente egoistico. Per tutte queste ragioni, la teorica della reciprocanza ci sem- bra che non assolva il compito suo. b) E non ha maggior valore filosofico la teoria della retribuzione giuridica, sostenuta da qualche se- guace della così detta (chi sa perchè) scuola classica Per essa " il Diritto non è il prodotto artifiziale delle convenzioni umane, non è fattura della volontà dell' uomo, non è l' interesse individuale o sociale o la somma di entrambi; esso è la ragione medesima che impera sull' attività umana e le mgiunge tutto quello che da essa dipendendo serve indispensabil- mente al compimento della destinazione umana «. " Ciò posto, mentre il Diritto come regola univer- sale per opera della società umana coordina gì in- teressi dei singoli, l'attività deir uomo individuale, stimolata dagU impulsi egoistici, inizia spesso una lotta contro i suoi dettati „ " cosicché insorge contro la legge del Diritto e disconosce l' impero del pnn- / f 192 ANAUSI DEI CONCETTI cipio universale, sostituendosi ad esso. Epperò la società umana, specialmente in quanto è costituita come società giuridica, come F organo vivente del EHritto, deve lottare contro l'interesse individuale, che ribelle ai suoi dettati trascina V attività ad in- sorgere contro ii Diritto; e lo scopo di questa lotta è di adoperarsi al trionfo del Diritto sulle individua- lità ad esso ribelli m- " La società giuridica non può altramente conseguire per questo fatto il trionfo del Diritto, che ritorcendo la forza del Diritto contro la forza individuale. E questa ritorsione o retribu- zione giuridica è appunto la punizione con cui vien represso il maleficio „, sicché " essa è l'unico mezzo per affermare che il Diritto è inviolabile, mostrando appunto che /* attività umana frangendo i dettati del Diritto frange se stessa «. " Questa lotta debb* es- sere rappresentata dall' efficacia impersonale dello Stato, che rivela questa impersonalità nella forma pura della legge come espressione della coscienza sociale. La condizione sostanziale poi di questa lotta contro l'ingiustizia che sta nell' animo del delinquente e si rivela nelle sue azioni criminose, è la limitazione della sua libertà, la soggiogazione del suo volere „ (I). La dottrina della retribuzione commette, dunque, il gravissimo errore di legare l'esistenza del Diritto a quella dello Stato, e di non fare nessuna distin- zione tra diritto e morale, ragion per cui noi. malgra- do il suo nome di teorica della retribuzione giuridica, r abbiamo annoverata tra le teorie moralistiche. Ma, per chi ben guardi senza farsi impressionare dalle DI DELITTO E DI PENA 193 metafore, la teoria della retribuzione si riduce a quella dell' emenda. Un ordine di leggi, morali o giuridiche che siano, assoluto ed inviolabile, proiet- tato al di fuori e al di sopra del mondo, immobile in mezzo all' universale divenire delle cose, non esi- sterà mai. Esiste invece la coscienza morale, che volta per volta ci comanda quello che dobbiamo fare. L'offesa all'ordine morale è, dunque, offesa alla co- scienza morale del singolo o dell' umanità. G>mbat- tere un atto violatore dell' ordine morale significa, dunque, combattere un atto che ripugna alla co- scienza morale. Ora, se quest' atto immorale si vuol combatterlo per ripristinare l' impero del bene nel mondo, come sostiene che si debba fare la teorica retribuzionista, è evidente che lo sforzo dell'uomo dovrà mirare a dissolvere il male prodotto, ed a sostituirgli un bene. Ed allora la pena deve tendere a che il delinquente, sotto la pressura del dolore, si penta del male fatto e si rigeneri nel rimorso, o a che la società, la quale infligge la pena e vi assiste, si con- servi nello stato di moralità, se già v' è; v* ascenda, se è nella fase meramente utilitaria. La pena è allora intimità critica, per dirla con lo Spaventa (1), incita- mento all'espiazione, all'emenda, alle moralizzazione. La dottrina della retribuzione si risolve, dunque, in quella dell'emenda, e soggiace alle stesse critiche di questa. Che se poi i retribuzionisti si ostinano ad affermare, come han fatto sinora, che scopo morale della pena non dev' essere l' emenda del reo o della (1) Cfr. FefiJilua, Manuale ecc., I, pp. 9-13. (1) Cfr. 'Prìncipìi di &ica, ristampati con prefazione e note da Giovanni Gentile (Napoli, 1904). pp. 102-12. 13 — A. TiLOHKB. 194 ANALISI DEI CONCETTI DI DELITTO E DI PENA 195 società, bensì la repressione dell' attività antigiuridica come pura repressione, come scopo a se stessa, è di tutta evidenza che, malgrado la sua tinta teologale, la teorica della retribuzione si riduce, ne più ne meno, a quelle della vendetta o della reciprocanza, con tutti i difetti e le critiche che queste portano seco. e) Delle tre teoriche moralistiche, quindi, per noi non ha valore se non quella dell' emenda. La teoria cmendazionista afferma che principio giustificatore della pena è T emenda del delinquente, e che questo dev'esserne lo scopo, affinchè essa abbia valore di istituto morale (I). Prescindendo dalle critiche che in seguito le rivolgeremo, ci sembra innegabile che la pena, non solo possa, ma che debba anche mirare al moralissimo scopo dell' emenda. Salvo che, così come la teoria è comunemente enunciata, le si dà un carattere empirico di cui fa duopo svestirla, se si vuole attribuirle un vero valore filosofico. Un individuo ha commesso un delitto : per pro- cacciarsi un utile economico, ha violato la legge morale; per soddisfare la sua coscienza utilitaria, ha offeso quella morale dei suoi compagni. Costoro lo puniscono, dannandolo alla prigione, affinchè si emen- di. Come spiegare la pena, in base all' emenda ? Non in altro modo, ci sembra, che nel seguente. Quest' in- (I) Cfr., Ira gli antichi. Fiatone* nel Gorgia, e. tra i moderni. Ijll€*aM f"Du s^sthme penai et du sysieme repressi/ en general et de la peine de mori en particulier, Paris, 1827) e le opere del Roetler. La teoria dell' emenda è stata portata all'ul- tima perfezione dall' llegc^ : cfr. Enciclopedia delle scienze filo- sofiche, §§ 496-502 ; Philosophie des Rechts. §§ 90- 1 04 ; e Spa- venta. Principi! di Etica, pp. 102-12. dividuo doveva, dominando gì' impulsi utilitarii della sua volontà, ascendere alla forma morale, e vivere col Tutto e pel Tutto. Ciò non ha fatto, limitandosi invece ad affermare la sua volontà di vivere, parti- colare ed immediata. Allora, ciò che egli non fece, i suoi compagni fan per lui : quelle inclinazioni sen- sibili, utilitarie, egoistiche, che egli non ha domato e sottomesso alla volizione morale, i suoi compagni le fiaccano e mortificano in vece sua. Moralizzario a forza non possono in niun modo; è ufficio, questo, della spontaneità creatrice dello spirito del delin- quente. Ma quando questa spontaneità creatrice comincierà a destarsi, troverà, per così dire, parte del cammino già bello e percorso : non avrà, infatti, a domare le potenze utilitarie dello spirito in tutta la sfrenata selvatichezza della loro immediata natura, ma le troverà già rotte e sconfitte, e più facile, perciò, sarà il trionfo su di esse. Del resto, non è detto che la pena debba avere per iscopo di emendare solo il delinquente: può mirare anche o solo all' emenda della società. Di- struggendo in tutto o in parte una delle forze sociali, che, invece di cospirare alla prosperità del Tutto e di promuovere la vita ed il progresso, osava contra- stare a quella prosperità e negare quel progresso e quella vita, la società vien per ciò stesso migliorata ed emendata. Onde non senza una profonda ragione quasi tutti i legislatori han proclamato la pubblicità delle esecuzioni capitali, acciocché gli spettatori, neir animo dei quali vibrava un movimento di sim- patia verso il reo e si abbozzava una volontà egoi- stica ed utilitaria d' imitarlo, assistendo alla sua 196 ANALISI DEI CONCETTI esecuzione vedessero arrestato quel movimento, fiac- cata quella volontà nel loro spirito, e si desse così agio alle loro forze morali di abbattere ed eliminare affatto quelle malefiche tentazioni. L'emenda può esser, dunque, non solo emenda individuale del reo, ma anche emenda sociale, che si traduce poi an- ch' essa in emenda del reo, perchè, migliorando la società, anzi il Tutto, di cui il reo fa parte, viene per ciò slesso a migliorarsi il reo medesimo. Ne tocca la teoria dell' emenda l' obbiezione solita che essa è incompatibile con la pena di morte, sia per 1' estensione da noi fatta dell' emenda dal reo, individualmente preso, a tutta la società, anzi all' Universo intiero, sia pel fatto che, con la pena di morte, può conciliarsi benissimo la stessa teorica dell' emenda del colpevole. Non è forse possibile che, nelle brevi ore che separano la pronunzia della condanna dalla sua esecuzione, la coscienza morale del reo si risvegli del tutto e trionfi completamente sulle sue inclinazioni sensibili e tendenze egoistiche, schiacciate ed affrante dall' incubo della morte pros- sima ed inevitabile ? In quegl' istanti paurosi, negata del tutto la propria individualità empirica, il reo si riconciUerebbe con l' ordine morale dell' universo. ne vivrebbe la vita e ne vorrebbe il bene, anche se non potesse effettuarlo e tradurlo in azione. Così, purificato dall' intima conversione e dall' attesa del supplizio imminente, egli andrebbe alla morte con passo fermo e cuore sicuro. Maravigliosamente ha ciò espresso la sapienza indiana nel Codice di Manu : ■ Gli uomini che hanno commesso dei misfatti, ed ai quaU il re infligge pene, vanno diritto al cielo, DI DELITTO E DI PENA 197 esenti da macchie e così puri, come quelli che hanno fatto sempre delle buone azioni u (Vili, 318). Affatto priva di valore sarebbe l' obbiezione che la pena non può essere emendatrice nel senso da noi spiegato, essendo essa un istituto meramente giu- ridico (1). Perchè mai la pena dovrebb' essere pura- mente giuridica? Chi ha detto che non può essere rivolta a scopi morali ? Ed anche se per pena si vo- lesse intendere solo quella inflitta dallo Stato, le pene da questo volta per volta sancite potrebbero essere sì giuridiche che morali, lo Stato essendo un'accolta d' uomini in cui non vibra solo la coscienza giuridica, ma benanche quella morale. B) Alla teoria dell' emenda si contrappongono le teoriche utilitaristiche. Ed anche di queste ne distin- guiamo tre, le quali però, a differenza delle corre- lative teorie morali, non si riducono ad una sola, ma, pur potendosi fra loro variamente mescolare, hanno vita autonoma : e sono quelle della vendetta, dell' intimidazione e della difesa individuale o socia- le. Esponendole brevemente, avvertiamo che daremo loro un senso molto più filosofico di quello che loro soglion dare i loro enunciatori, mettendole quindi in armonia col sistema d' idee che seguiamo. a) La teoria della vendetta spiega e giustifica la pena da un punto di vista meramente utilitario. Un individuo ingiuria, deruba, percuote un altro ; r attività utilitaria di costui è impedita nel suo li- bero svolgimento, o addirittura rotta e fiaccata, dagh (I) Cfr. PeSfiiina. Manuale ecc., I. p. 21. 198 ANALISI DEI CONCETTI ostacoli frappostile dall' altro. Urtando contro T osta- colo, r individualità empirica dell' offeso, lungi dal negarsi come tale e dall' ascendere alle vette della moralità, ne trae occasione per affermarsi tanto più violentemente, sempre astrazion facendo da qualunque sentimento morale. Perciò Y offeso ingiuria, deruba, percuote a sua volta Y offensore, sposta e distrugge i limiti nei quali costui aveva serrato la sua attività egoistica, e con questa reazione, eh* è la vendetta, celebra il trionfo della propria individualità, del pro- prio lo. " Oggi che in tutti i paesi culti tendono le pubbliche istituzioni e le cure de' governi a far buona ed esatta giustizia, non vi può essere ne occasione ne scusa a qualunque atto di privata vendetta: e chiunque vi si attenti, non può essere mosso che da una passione biasimevole ed odiosa. Ma la naturale tendenza è modificata, e non annullata: se più non determina le azioni degl'individui, anima però lo spirito pubblico, e sollecita la punizione de' rei u. ■ La vendetta pubblica è un'espressione che sta co- munemente in bocca di tutti, e eh' è adoperala da tanti valorosi scrittori, e dalle stesse leggi u (0- 8) La teoria deìY intimidazione spiega e giusti- fica la pena con un principio più raffinato e squisito. Supponiamo una società di uomini meramente utilitarii, i quali si riuniscono e si danno leggi esclusivamente in vista della propria utilità. Prevedendo il caso che qualcuno di essi, in vista di un maggior vantaggio individuale, abbia ad insorgere contro quelle leggi e a (I) Cfr. Vt'crllioili, Pensieri intomo ad una teoria di le- gislaxione penale (Napoli, 1815), p. 56. DI DELITTO E DI PENA 199 distruggere così la società, essi ricorrono al mezzo dell'intimidazione. Ossia, all' attività utilitaria dell' m- dividuo, che, allettato dal miraggio del proprio interes- se, è per ribellarsi alla società, è per delinquere, essi fanno balenare la minaccia, in caso di delitto, della forca, della prigione, dell' ammenda, e così via. L' m- dividuo deve allora pesare nella bilancia il prò e il contra: il guadagno del delitto e la perdita della pena. Se vince il terror della pena, l' effetto della legge è raggiunto senz' altro : se l' intimidazione resta priva di effetto, la pena deve in tutti i modi applicarsi, affinchè non diventi una vuota parola, e tremino dinanzi ad essa il delinquente punito, se e quando si ritroverà neir akernativa di cui sopra, e i futuri delinquenti. L' intimidazione agisce, dunque, suU' attività utilitaria del delinquente con motivi puramente utilitarii (1): ■ la forza repellente della pena preveduta deve vin- cere la forza impellente al delitto immaginato u (2) : alla spinta verso il delitto deve opporsi una contro- spinta. . 'l) La teoria della difesa individuale o sociale, com' è enunciata comunemente, è anch'essa una teo- ria intimamente utilitaria. Alcuni uomini si sono riuniti in società per tutelare meglio il proprio interesse, stabilendo leggi e discipline, diritti e doveri. Uno (1) Aver riallacciato la dottrina dell'intimidazione alla teo- ria di un' attività puramente utilitaria dello spirito, è grande merito del De nouUniayi^r : cfr. / principi del diritto penale, (Napoli, 1906). (2) Cfr. RoiliaKiiosi. Genesi* del diritto penale, 4 ([Na- poli. 1825). § 335. 200 ANALISI DEI CONCETTI di loro, in vista di un proprio maggior vantaggio, viola quelle leggi e discipline, infrange quei diritti e doveri, e si rivela come una forza pericolosa alia vita della società. Ed i suoi compagni, ai quali inte- ressa la conservazione di questa, vi provvedono di- struggendo quella forza antisociale, o eliminandola per qualche tempo dal comune consorzio, o streman- dola di forza e di vigore (I). Ora affrettiamoci ad avvertire che vera differenza filosofica fra queste tre teorie non v' è. Se la vendetta è r affermazione dell' individualità empirica delF offe- so di contro ali* individualità empirica dell* offensore, che cosa è V intimidazione, se non T affermazione di un individualità empirica che teme di essere offesa, di contro all' individualità empirica di un eventuale offensore ? che cosa è la difesa, se non quella stessa affermazione egoistica ed utilitaria, benché più fredda e ragionata ? Queste tre forme di pena hanno, dun- que, in comune la natura utilitaria della reazione, la quale però si presenta sotto aspetti differenti. Per- ciò, pur non disconoscendone la sostanziale identità, noi le manteniamo Y una accanto all' altra, come teorie autonome, comprendendole sotto il nome di teorie utilitaristiche. Contro di esse si sono dirette numerose e com- patte le critiche. Così alla prima s' è obbiettato che la vendetta è " V azione di un volere soggettivo.,., la cui giustizia quindi in generale è accidentale, e ( I ) Uoa chiara enunciazione della teoria della difesa sociale è è nel KomiigiiOMi* Genesi ecc.. passim ; cfr. lopratutto i §§ 297-337. DI DELITTO E DI PENA 201 che anche per V altro e solo come particolare. La vendetta, pel fatto che essa è come un' azione posi- tiva di un volere particolare, diventa una nuova Violazione i^ (1); alla teorica dell' intimidazione, che, n avvisata l' intimidazione come mezzo per preservare la giustizia dalle violazioni future, si ha una contrad- dizione nei termini, in quanto che si dichiara che il male avvenuto nella realtà non basta a giustificare la punizione, e si dà 1' efficacia giustificatrice della punizione ad un male futuro che è meramente pos- sibile u (2) ; e alla teorica della difesa individuale o sociale, che essa si traduce nell' affermazione del diritto del pili forte o del maggior numero. Tutte critiche giustissime e fondatissime. ma che hanno il difetto di non colpire il loro bersaglio, perchè si pongono da un punto di vista esclusivamente morale per criticare teorie meramente utilitarie. Che punire a scopo di vendetta, d' intimidazione e di difesa, sia egoistico ed utilitario, siamo i primi a convenirne ; ma chi oserebbe negare che nella realtà della vita si punisca assai spesso proprio per quegli scopi ? Si ripresenta qui 1' antinomia che già notammo parlando delle varie definizioni del delitto. La realtà della vita ci offre esempi di pene utilitarie e di pene morali, ed ognuno di noi potrebbe citare casi di pene da lui inflitte per puro scopo di vendetta o d' intimidazione, ed altri di pene da lui dirette al- l' emenda del reo. Sostenere che, quando si punisce, si punisce solo per intimidazione, o solo per difesa, (1) Cfr. Hegel, Philosophie des %ecbh. § 102. (2) Cfr. Fessi lia. Manuale ecc.. 1. p. 20. lifi 202 ANALISI DEI CONCETTI DI DELITTO E DI PENA 203 tanto individuale che sociale, o solo per emenda, significa chiudere deliberatamente gli occhi alla verità quotidiana, oppure comprendere nel nome di ven- detta e d' intimidazione non solo la vendetta e r intimidazione propriamente dette, ma anche gli altri scopi possibili della pena : il che, se serve a qualcosa, serve solo ad aumentare la confusione delle idee. Il primo difetto, dunque, delle teorie sulla pena è quello di non comprenderne sotto di se tutta la multiforme e complessa fenomenologia. L' emen- dazionista, che spiega benissimo il fenomeno della pena diretta a scopo di emenda, è affatto impotente a spiegare la pena mirante alla vendetta o ali* inti- midazione ; e, viceversa, V intimidazionista, abilissimo nello spiegare e nel giustificare la pena intimidatrice, resta a bocca chiusa dinanzi a quella emendatrice. Ed allora si riproduce lo stesso fenomeno che già osservammo criticando le varie definizioni del delitto. Non potendo far rientrare negli schemi e nelle caselle artificiosamente create dall* intelletto astratto il mobile e multiforme contenuto che, in fatto di pene, ci presenta la realtà della vita, i seguaci di quelle teoriche anguste ed unilaterali sono obbli- gati a cambiare atteggiamento di fronte al problema. Vedendo, a mo* d* esempio, che non sempre la pena obbedisce al fine dell' intimidazione. V intimidazio- nista sostiene che la pena deve ubbidire a questo scopo, che essa non è vera pena quando mira ad altri fini, e passa così, dallo stato di osservatore e filosofo imparziale e spregiudicato, a quello di pre- cettore e pedagogo (1). E lo stesso, e più, accade air emendazionista. In tal modo, da teoria diventando pratica, quelle dottrine rivelano la loro impotenza. Ed invano a questi due gravissimi difetti delle teorie utilitarie e delle teorie morali si tentò di ripa- rare con la fusione di più principii fra loro, dando nascita così alle teorie miste o eclettiche, come quella per cui " la pena ha per fondamento V intimidazione, ma nei limiti della giustizia u (Carmignani), o come r altra, per cui " Y intimidazione è lo scopo prossimo del punire, ma deve esser considerata come mezzo per la conservazione dell'ordine giuridico u (2) (Tolomei). Poiché non è dubbio il fatto che la realtà ci presenta fenomeni di pena informati ad un solo scopo, rientranti in un solo schema, ed obbe- dienti a principii affatto opposti. Per esempio : A. neir infliggere una pena a B, è animato puramente e semplicemente dallo scopo della vendetta, senza ninna considerazione di difesa, o di emenda e simili ; o ancora: C infligge una pena a D al puro scopo deir intimidazione, senza preoccuparsi affatto di mo- ralizzare se stesso o il reo. È chiaro che di fronte a questi fatti semplici, a questi fenomeni di pene infor- mate ciascuna da un sol fine, le teorie miste perdono ogni valore. E non potendo poi queste giammai, per quanti sforzi facciano e sofismi accumulino, compren- (i; È ciò che, per esempio, accade al De Monteilia- yor. nel citato opuscolo / principi del diritto penale. (2) Cfr. Pepsina, Manuale ecc., I, pp. 18 e 19. Pel Tolouieì, cfr. Corso elementare di diritto naturale (Napoli. 1859), § 632. 1 Il 204 ANALISI DEI CONCETTI dere in se tutte le varie teorie, che metterebbero allora assieme cose tra loro dissociabili, come 1' e- menda e la vendetta o l' intimidazione, ne risulto che neppur esse abbracciano l' infinita molteplicità delle pene che ci presenta la vita reale, e neppur esse, quindi, assolvono il compito scientifico che si sono addossato. Al che, al solilo, anche i sostenitori delle teoriche miste credono riparare, passando dal- l' attività scientifica all' attività pedagogica, e dicendo che * la pena è retribuzione morale ,, ma " Jeu' es- sere inflitta nei confini della necessità sociale » (I) (Rossi). Tra le teorie utilitarie e le teorie morali della pena v'è, dunque, une vera e propria antinomia, che le teorie eclettiche non riescono in niun modo a conciliare. Dobbiamo perciò rinunziare a superarla, e rassegnarci a dichiararla insolubile ? Vediamolo brevemente. V. Superamento DEIXA precedente ANTINOMIA. La parte che la conoscenza ha nella volizione si manifesta in questo, che non si può volere senza sapere ciò che si vuole ed il perchè si vuole. Ben lungi dall' esser cieca, sia pure in uno stato pri- (I) Qr. Peaslna. Manuale ecc., I, p. 18. Cfr. pure di lui lo Svolgimento storico iella dottrina della espiazione in : Pel 50" anno ecc., I. pp. 344-46. DI DELITTO E DI PENA 205 mordiale dell'essere, come qualche filosofo sostiene, la volontà è sempre illuminato, più o meno illumi- nato, bene o male illuminato, ma al buio perfetto, giammai. La parte che l' intelligenza ha nella volizione si manifesto sotto due aspetti: l'uno, rivolto a passato : r altro, al futuro. L' intelligenza nvolta ai futuro ci dà la conoscenza del fine della nostra volizione, ed è essa stessa quel fine ; quella nvolta al passato ci dà la conoscenza della situazione di fatto, sulla quale operiamo. Della prima non e il caso di occuparci ; esaminiamo piuttosto l' importanza della seconda. . j- j „ Che la conoscenza della situazione di tatto, sulla quale si opera, sia un elemento assolutamente indispensabile perchè si abbia la volizione, e cosa di evidenza intuitiva. L' uomo non opera mai nel vuoto assoluto : egli, in quanto essere volitivo, s. trova sempre circondato da una realtà, qual che essa sia, sulla quale è chiamato ad operare. In che modo potrebbe egli operare su di essa ove non la cono- scesse > Qual fine potrebbe proporsi, allorquando il fine non è che una determinato concihazione. che la volontà si propone di attuare, fra la sintesi volitiva e la situazione di fatto sulla quale essa sorge ? Ma bisogna bene intenderci sulla natura di questa cono- scenza della situazione di fatto. Conoscere la situa- zione di fatto, vuol dire conoscerne quel tanto che basti alla volontà per poterci operar su. La conoscenza della situazione di fatto è una conoscenza assorbita dalla volontà, ancella della volontà, che serve alla volontà, che ne è uno dei momenti o elementi co- stitutivi. Non è detto, dunque, che per quella III". JiailLiLi èlllllullìill tf 206 ANALISI DEI CONCETTI conoscenza si debba intendere una conoscenza mi- nuta, sottile, analitica, che abbia per fine se stessa. Che anzi, coloro i quaU di essa fanno scopo a se medesima, e ci s' indugiano su troppo a lungo, finiscono per non saperne uscir mai, per non saper mai passare da quella conoscenza alla creazione volitiva, dalla calma della contemplazione all' impe- tuoso fervore dell' azione, e sono gli uomini irresoluti. Sulla situazione di fatto preesistente, e resa cognita dair intelligenza, sorge la sintesi creatrice, la nuova situazione di fatto creata dalla volontà. Ora, la volontà, che. resasi conto della situazione di fatto, su questa ne crea un* altra, non può operare, riguardo a quella, che in due modi soltanto : o promuo- vendola, favorendola, riproducendola ; ovvero ostaco- landola, inceppandola, cercando di dissolverla e d' impedirne il risorgere. Zeri del termometro, nel mondo morale, non ve ne sono ; zone grigie, nel regno della volontà, non esistono. E per lasciar da banda ogni metafora, riguardo alla volontà, non son possibili che volizioni positive o volizioni negative, desideri! o avversioni, simpatie o antipatie, volontà in senso stretto o nolontà (1). L'indifferenza non esiste, perchè la volontà non può essere indifferente alla situazione di fatto, sulla quale essa opera. Spie- ghiamoci meglio su questo punto. E verissimo che, quando operiamo, noi concen- triamo la nostra volontà e la nostra attenzione sopra (t) Parola gii tisata da altri, come, a mo* d' esempio. S. Tomaso. Micraelius, Wolff, Preyer. Sigwart e Renouvier. Cfr. Eisler, M^or- terhuck dtr philosophischen Begrìffe, Berlin, 1904, 1, voce Nolitio. DI DELITTO E DI PENA 207 un campo determinato, e siamo indifferenti a tutto ciò che ne esce fuori. Perciò, a mo' d' esempio, scrivendo queste pagine, io mi considero, e sono, assolutamente indifferente alla posizione delle stelle nel cielo, o alle operazioni agricole che si compiono nell'America del Sud. Ma è di tutta evidenza che io non posso non essere indifferente a queste cose, poiché queste varie situazioni di fatto esulano dal campo de a situazione sulla quale opero attualmente. Data alla mia volontà la situazione di fatto su cui deve agire, io non sono, ne posso essere, indifferente a tutto ciò che entra in essa ; ma a tutto ciò che ne esor- bita, la mia volontà non bada, non si rivolge, ed è inconcepibile che, nel mentre scorre il suo caldo flusso, per un vano capriccio d' immaginazione, io ci pensi. La volontà, dunque, opera sempre sopra una data situazione di fatto, e vi opera, come abbiam visto, promovendola od ostacolandola, giammai essen- dovi indifferente, che. se indifferente vi fosse, non opererebbe. In quanto la volontà opera sulla situa- zione di fatto promuovendola, favorendola, approvan- dola, consentendovi, è chiaro che assume di fronte ad essa un atteggiamento di simpatia e di premio ; in quanto, invece, opera ostacolandola, opponendovisi. tentando di distruggerla, di dissolverla, d' impedirne il riprodursi, assume a suo riguardo un atteggiamen- to di avversione e di pena. Noi abbiamo così con- dotto la pena al limite estremo al quale si poteva condurla, l' abbiamo riportata al fatto stesso della volontà, l'abbiamo posta alle radici della vita e dell' essere, ed abbiamo visto che essa è la reazione f\ A\rO ANALISI DEI CONCETTI negativa della volontà, la quale, data una situazione di fatto già bella e compiuta, vi si oppone, e tenta di distruggerla e d' impedirne il risorgere. Non e necessario però che la situazione di fatto, alla quale la volontà oppone la sua reazione nega- trice, sia stata creata da uomini, da " esseri spon- tanei, quali li porgono le umane generazioni g. E questo il significato che comunemente si annette alla parola pena, come di reazione negativa a determi- nate situazioni di fatto create dalle umane creature ; ma è significato empirico e non filosofico, che bisogna slargare, e non mantenere. Le condanne a morte di animali delinquenti, frequentissime nel Medio-Evo, k flagellazione dell' Ellesponto per opera di Serse. il cieco furore con cui chi è stato offeso e ferito da un oggetto inanimato si slancia contro di esso, facendolo a pezzi, potranno sembrarci, ed esser, pueriH sfoghi di animi ignoranti, ma nello spirito di coloro che li eseguono sono vere e proprie reazioni nega- tive a determinate situazioni di fatto, di cui vuoisi procurare la distruzione o impedire il riprodursi, sono vere e proprie pene. Qualunque situazione di fatto può, quindi, provocare una reazione negativa, ed essere, così. 1' oggetto di una pena. In pari tempo che spiegazione, la nostra ci sembra pure giustificazione della pena, essendo lo- gico ed evidente che, sorgendo la sintesi volitiva sopra una determinata situazione di fatto, quando questa situazione contraddice a quella sintesi, la volontà non può che reagirvi e combatterla. Ora è chiaro in qua! modo, senza compromettere l'unità filosofica del concetto di pena, noi possiamo superare DI DELITTO E DI PENA 209 r antinomia delle definizioni utilitaristiche e delle de- finizioni moralistiche di essa. Allorquando è la volontà passionale, utilitaria, sensibile, egoistica, a cui quella determinata situazione di fatto porta nocumento ed offesa, che vi reagisce e V ostacola, è il caso della pena inflitta a scopi meramente egoistici, sensibili, utilitarii, passionali, è il caso della difesa, dell' inti- midazione, della vendetta. La pena e allora una reazione negativa, meramente utilitaria, a una deter- minata situazione di fatto. Allorquando, invece, questa situazione si oppone alla coscienza morale, e ne pro- voca la ripugnanza e la reazione, si ha il caso della pena morale. La lotta che s' impegna tra la sintesi volitiva e la situazione di fatto, è pienamente morale, ove questa appaia a quella come un male, come qualcosa che dev' essere risoluta e distrutta. In tal caso, la lotta tra la volontà buona e la situazione di fatto cattiva rappresenta la lotta del bene contro il male, e la pena può definirsi la reazione morale a una determinata situazione di fatto. Ma, o reazione meramente utilitaria, o reazione morale, si ha pur sempre, in entrambi i casi, una reazione, si ha qumdi, pur sempre, in entrambi i casi, una pena. Poiché è pena tanto quella inflitta ad un col- pevole con lo scopo di emendario, quanto quella che, a mo' d' esempio, il capo di un' associazione criminosa infligge a uno dei suoi subordinati, nel caso che questi, facendo una buon'azione, abbia nocmto ael' interessi della società. La prima è una reazione morale, la seconda una reazione prettamente utilita- ria ; la prima è una pena morale, la seconda una pena utilitaria ; ma entrambe essendo reazioni, en- 14 — A. TiLGHER. ■^Tf^fT^' 210 ANALISI DEI CONCETTI trambe son pene. Crediamo, quindi, che di teorie che formulino un principio, il quale della pena com- prenda ed abbracci tutta l'infinita fenomenologia, senza lasciar margine a nessuna eccezione, e si di- mostri adatto a spiegare ogni fenomeno di pena, sia questa diretta alla vendetta, o all' intimidazione, o alla difesa, o all'emenda, o a parecchi di questi scopi uniti insieme, non ce ne sia, tranne la nostra, nessuna. Noi concepiamo, dunque, la pena come reazione negativa, come antitesi della volontà a una determi- nata situazione di fatto, ed ogni reazione negativa, ogni antitesi ad un determinato stato di fatto, noi la concepiamo come pena. Come risulta chiaro dal fin qui detto, per noi pena non indica solo quel complesso di reazioni negative emananti dallo Stato contro determinate situazioni di fatto, come, per esempio, la forca, la ghigliottina, la fucilazione, Y er- gastolo, la reclusione, la detenzione, la pena pecu- niaria, e. nei tempi passati, la lapidazione, il rogo, lo squartamento, V affogamento, lo scorticamento, la crocifissione, la mulilazione, 1' acciecamento, e simili orrori, ma ogni reazione negativa in genere, da chiunque provenga, persona o associazione. Quindi, per noi ~" e crediamo per ogni uomo di senno —, son pene vere e proprie anche la scomunica, la •Oipcnsionc a divinis. la messa all' indice di un libro; la cacciata dal seno della Massoneria o del partito politico di un socio infedele ; l' esclusione dal club di colui che, avendo perduto al gioco, non paghi il suo debito ; V espulsione dal ballo o dal pranzo di Corte dell'invitato che fi ii reca in 'semplice giac- DI DELITTO E DI PENA 211 chetta ; che più ? perfino il togliere il saluto all' a- mico scortese ; lo scrivere una recensione sfavorevole ad un libro ; lo scapaccione che il padre dà al fi- gliuolo colpevole di una monelleria. E, come innanzi abbiam visto, la reazione può dirigersi contro una situazione di fatto creata — o che si creda creata — da esseri superiori all' uomo, o inferiori a lui, o da altri uomini, o perfino da colui stesso che infligge la pena, e che, quindi, in tal caso reagisce a sé medesimo : Così a quel tempo solean per sé stessi Punirsi i cavalier di tali eccessi ! Ori fur., XLVI. 102. Or quest'antitesi volitiva può assumere forme differenti : la volontà, reagendo a una situazione di fatto, può reagirvi come volontà meramente utilitaria, a scopo, quindi, di vendetta, d' intimidazione, di di- fesa, o come volontà morale, a scopo d' espiazione e d' emenda. Con ciò, non intendiamo punto negare che a una situazione di fatto si debba reagire solo quando essa ripugni alla coscienza morale, e che la reazione debba esser diretta a fini etici, ne che, reagendo a una situazione di fatto per mero scopo di difesa, d'intimidazione, o di vendetta, si agisca utilitariamente : ma non perciò quella reazione utili- taria cessa di essere pena. E se dalle condizioni sociali proprie dei popoh meno evoluti e civili, passiamo ai nostri Stati, in cui r infliggere la pena è un ufficio che lo Stato, toglien- dolo ai privati, ha avocato a se (presa la parola pena nel senso che comunemente le si dà, ben inte- mi ^ ANAUSl DEI CONCETTI DI DEUTTO E DI PENA 213 »). il fenomeno della pena assume forme complesse e difficili, ma che non pertanto rientrano tutte bems- simo nel nostro principio. In un processo, mtatti. i varii membri di esso possono essere animati dalle più diverse intenzioni : la pena può essere richiesta dalla Parte civile a mero scopo di vendetta, e sol- lecitata dal Pubblico Ministero a fine d' intimidazio- ne, ed inflitta da alcuni giurati per difesa sociale, da alcuni altri in vista dell' emenda. Dinanzi a tanta complessità di fenomeni, che spiegazione potran mai dare i seguaci delle teoriche anguste ed umlaterali che già conosciamo? che potran dire i difensori del e teorie miste o eclettiche? Ma la spiegazione ben la diamo noi. che in tutti questi diversi atteggiamenti riconosciamo una comune nota caratteristica : una reazione negativa della volontà a una determinata situazione di fatto, quale che sia lo scopo che questa reazione si proponga, quale che sia la direzione (uti- litaria o morale) che la volontà segua. L antinomia delle teorie utilitaristiche e delle teorie moralistiche della pena era. dunque, anch' essa, come l' antmomia delle teorie utilitaristiche e delle teorie moralistiche del delitto, un' antinomia di distinzione astratte, fon- date sul riconoscimento di una sola delle due forme, utilitaria ed etica, dello spirito pratico. E noi 1 ab- biamo superate ponendo che a una determinate situa- zione di fatto si può reagire in modo meramente utilitario (ed è questo il caso della difesa, dell intimi- dazione e della vendetta), o in modo morale (eh' è il caso dell' espiazione o emenda). — Riconducendo la pena alla reazione negativa contro una determinate situazione di fatto, la si è I spiegate, ma non giustificate : s' è detto che cosa la pena è, non s' è concesso il diritto di punire. Anche ammesso che la pena sia nolontà, qual diritto abbiamo noi ad esercitarla ? - Così si potrebbe ob- biettare, e sarebbe obbiezione ingiuste. Infatti, quando la reazione a una determinate situazione di fatto pro- viene dalla coscienza morale, il diritto ad esercitarla, il diritto di punire, si confonde col diritto ad agire moralmente, cioè colla volizione, e quindi coli' azione, morale. Quando, invece, quella reazione sgorga dalla coscienza utilitaria, il diritto di punire h identico alla volizione e all' azione utilitaria tout court. Superando 1' antinomia della pena e del dintto di punire, noi superiamo, in pari tempo, anche quella delle due formule opposte e rivali : quella del puni- tur quia peccatum est, e Y altra del punitur ne pec- cetur. Ognuna di esse ha in se una parte di venta: nessuna, presa isolatamente, l" enuncia tutta. La rea- zione negativa della volontà si oppone a una situa- zione di fatto già bella ed esistente, già prodotte e compiuta, e se queste situazione non esistesse, evi- dentemente la volontà non reagirebbe. In ciò ha ragione la formula : punitur quia peccatum est. Ma la lotta della volontà tende a dissolvere, ad aumen- tare queste situazione, ad evitare che si conservi e riproduca. Nella pena, quindi, la volontà non guarda solo al passato, alla situazione di fatto, ma anche al futuro, al suo annientamento e alla sua dissolu- zione. E queste è la parte di verità della formula: purtitur ne peccetur. Tutto ciò è evidentissimo nelle pene InlUtte a scopo di emenda, di difesa, o d' m- timidazione. 214 ANALISI DEI CONCETTI Pare, invece, che nella vendetta non s' abbia di vista che la situazione di fatto, non si miri che al passato (I). Ma è illusione ottica. L'uomo che, assetato di vendetta, percuote e ferisce chi lo per- cosse e ferì, sembra che guardi al passato soltanto, ma, in realtà, mira anche al futuro. Reagendo contro la situazione di fatto creatagli dall'offensore, egli non può certo far sì che l'offesa non gli sia stata inflitta : quod factum est infectum fieri nequiU e tutte le pene di questo mondo sarebbero inutili a tale tcopo. " Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo, che non ritorna, le azioni già consuma- le? i (2). Percuotendo e ferendo T offensore. T of- feso vuol far sì che non continui a sussistere quella situazione di fatto, per lui svantaggiosa, creatagli dair offensore : vuole evitare che si perpetui un' u- miliazione inflitta alla sua volontà utilitaria e sen- sibile, ed a ciò provvede con la pena. La quale, mirando ad evitare la continuazione di un' offesa, di un peccato, mira dunque anche al futuro {ne pec- cetur). (1) È questa, infatti, l'opinione dello Sfliopeiihauer, clic perciò pone a baie della pena V intimidazione. Cfr. Die ìVelt oh Wille una Vorstellung (Leipzig. Reclam), I, § 62. ed il mio scritto : La filosofia del diritto di Jrtuw Schopenhauer, nella *!lassegna Nazionale del T marzo 1908. (2) Cfr. Beccarla, Dei delitti e delle pene, cap. XV. DI DELITTO E DI PENA 215 VI. ANTINOMIA DI DELITTO E PENA E SUO SUPERAMENTO. Ed infine, con la nostra teorica, è definitiva- mente superata anche 1' antinomia di delitto e pena. Come Essere e Non-essere, di per se ravvisati, son due vuote astrazioni, che trovano la loro concretezza solo nel Divenire, come, al di fuori della smtesi. i contrarii, singolarmente considerati, sono ombre pallide senza consistenza, così non v'è delitto senza pena, ne pena senza delitto. Se delitto è ogni azione, utilitaria o morale, che provoca una repugnanza, se pena è ogni reazione negativa a una determinata situazione di fatto, come negare che questi due con- cetti sono opposti, e, in quanto tali, indissolubilmente uniti > Ogni azione, utilitaria o morale, che provochi una repugnanza (delitto), importa inevitabilmente una reazione negativa, una nolontà (pena), e, vice- versa, ogni reazione negativa a una determinata situa- zione di fatto importa che questa situazione ripugm alla volontà utilitaria o morale, e che, quindi, costi- tuisca un delitto. Delitti senza pene e pene senza delitti non esistono, dunque, nel mondo della realta. Ed anche quando sembra che a un delitto manchi la pena meritata, guardando bene ci si accorge che, o il delitto non esiste, o la pena e e. Se qualche delinquente passeggia a piede ibero. senza che nessuno osi punirlo, è chiaro che la vo- lontà utiUtaria di coloro che son consci dei suoi misfatti non reagisce per quieto vivere, per paura, f 'li: II 216 ANALISI DEI CONCETTI per inleresse, o per altro ; e chiaro che una vera repugnanza non e' e. che, quindi, quelle azioni, che a parole son chiamate delitti, in realtà non son •entite come tali. Come pure, se di qualche omi- cidio, che attira T indignazione universale, non si scopre il colpevole, non perciò quel delitto è rimasto impunito : una pena, per quanto piccola, non manca. Si consideri la compassione che attira la vittima ; i soccorsi che si danno ai suoi parenti ; le ricerche della polizia per iscoprire il reo, ricerche che Y ob- bligano a fuggire o a nascondersi ; 1* odio che esso, benché ignoto, attira su di se ; V occasione che nel- 1' animo di ognuno ne traggono le tendenze morali, di meglio dominare le inclinazioni sensibili, che approverebbero V assassinio, e così via. L' antinomia di delitto e pena è, dunque, un' antinomia di opposizione astratta, consistente nel porre V uno di fronte all' altro, come distinti e auto- nomi, quei due concetti, nel considerarli come opposti. ma, in pari tempo, nel negare la loro sintesi o dia- lettica, con i conseguenti assurdi di delitti impuniti e di pene reagenti ad azioni che per niun rispetto son delitti. Quest' antinomia V abbiamo superata in forza della sintesi o dialettica degK opposti, che quei due concetti riconosce come affatto irreali in quanto separati Y uno dall' altro, e riceventi, invece, somma concretezza nella loro lotta, e, quindi, nella loro unità, giacche 1* unità vera e concreta è coinci- denza, o unità, o sintesi, di opposti : non immobilità, ma movimento; non stazionarietà, ma svolgimento. La nostra deduzione partì dal delitto, e finisce col ritornarvi. Definita la pena come reazione negativa ■ DI DELITTO E DI PENA 217 a una determinata situazione di fatto, la situazione di fatto, cui la volontà reagisce, è il delitto. I due punti estremi del circolo si congiungono, ed il circolo si chiude in se stesso, come un tutto compiuto ed autonomo. E se è vero quel che dice il Fichte (1), che, per essere perfetta, la deduzione filosofica deve ritornare al punto donde partì e terminarvi, la giu- stezza della nostra analisi riceve una nuova conferma. Come Luce e Tenebra, come Bello e Brutto, come Vero e Falso, Delitto e Pena sono indissolubilmente uniti, e con la loro lotta continua ed eterna formano r alterno ritmo e l' imperitura vicenda della Vita e della Morte. Napoli, febbraio del 1909. (1) Cfr. di lui il mirabile scritto: Ueber den Begriff der mssemchaftslehre, § 4. in Sàmmtliche Werke (Berlin, 1845). I. [Ora tradotto in €il. A. Fichte, "Dottrina della scienza, trad. Tilgher, Bari, Laterza, 1910, pp. 1-46). APPENDICE In un volumetto, dal titolo La filosofia del diritto ridotta alla filosofia dell'economia (Palermo, Fiorenza, 1911, pp. 25-30). il dott Giuseppe Natoli criticò la concezione del delitto e della pena esposta nel saggio precedente. Alle critiche del Natoli risposi m una recensione del suo volume, pubblicata ne La Cultura (Roma) del 15 maggio 1911. della quale, per la miglior comprensione del saggio precedente, riferisco qui qualche brano. Alla mia costruzione dialettica il Natoli obbiettava, innanzi tutto, che . il deUtto non è. come pare intenda il T. [ilgher]. un'azione che provochi repugnanza. ma la repugnanza stessa da quell'azione. V azione, in quanto è tale, è i;o/on/à e non può destare repugnan- za > (p. 26). 11 delitto, quindi, è qualcosa di essenzialmente ne- gativo, mentre, definendolo come io ho fatto, gli si dà, a torto, consistenza positiva (p. 27). - Ma in qual punto del mio lavoro ho detto io mai che delitto è l'azione in quanto tale, in quanto fluisce dall'attività di colui, che ad altri, o a sé stesso in un successivo momento, appare come delinquente ? Quando si agisce, non si re- pugna all'azione; quando si repugna, non si fa ciò cm si repugna; questo è chiarissimo, né mi son mai sognato di negarlo. La mia definizione del delitto, quale azione che provochi repugnanza, va intesa come perfettamente convertibile con quell' altra, che lo pone come la repugnanza provocala da un' azione. Tutto ciò m. sembra di avere non solo « intuito >>. come, contraddicendosi, mi concede il Natoli (p. 27). ma anche assai chiaramente « compreso » ed espresso. U Natoli non ha considerato che. in quanto, per le necessità del- r analisi, io ho scisso in due la sintesi concreta, che oppone ed unisce in un atto solo delitto e pena, il delitto, di cm dò la defi- Dizione, non é il delitto come indissolubilmente fuso e connesso con la pena, ma il delitto astrattamente considerato come mdipendente da questa ed anteriore ad essa, e che perciò assume apparenza pò- 220 APPENDICE ritiva di azione che provochi repugnanza. - Questa definizione è imperfetta - dice il Natoli. Adagio ! Sarebbe tale, «e io la de«i come definitiva, ma. viceversa, nell* ultimo capitolo del mio lavoro. ho avuto somma cura di correggerne l'imperfezione (consUtentc. ap- punto, nel considerare eh* et«i fa il delitto come qualcosa d'indi- pendente dalla pena), mostrando V indissolubile unità di deUtto e di pena. Ma. volendo conoscere cosa sia il delitto, non come appare nella sintesi, ma considerato in sé e per sé. e cioè come astratto elemento di quella, io dovevo pur distaccarlo dalla pena, e mi era impossibile analizzarlo e definirlo diversamente di come ho fatto * . « Né ha efficacia l* ahra obbiezione del Natoli, che. se il delitto è la repugnanza provocata da un' azione, se la pena - come io stesto la definisco - é la nolontà. ossia la repugnanza verso un'azione, delitto e pena sono identici, e l' antinomia da me posta non ha luogo d' esistere (pp. 27-8). - Poiché delitto e pena sono bensì identici (o. a dir meglio, indissolubilmente congiunti) nella loro sm- lesi. come io stesso ho detto prima del Natoli, ma. in quanto l'a- strazione scinde questa sintesi nei suoi elementi costitutivi, questi ,ono precisamente opposti. E. considerata astrattamente, come sema dal suo opposto, la pena non è la repugnanza. cioè il delitto, bensì b reazione negativa, cioè lo sforzo per rimuovere e superare qucUa repugnanza appunto ». « La realtà vera e concreta non é né il solo delitto, né la sola pena, ma la loro sintesi : repugnanza-reazione ; il che non to- ghe che. se si vuol capire davvero quel sillogismo sintetico a pnori pratico che è la giustizia penale, bisogna prima scinderlo nei suoi astratti elementi delitto e pena, salvo poi. ben inleso. come, per r appunto, ho fatto io. a riporre questi elementi nella loro umtà. Unità, si badi, e non identità, come la chiama il NatoU (p. 26). L* identità é l* unità astratta, priva di opposizioni, e però immo- bile ed irreale ; l' unità di cui io parlo, invece, porta in sé. conti- nuamente dominata e vinta. 1' opposizione continuamente rinascente. • però è k mobilità e realtà medesime ». À f \ DEDUZIONE DELLA LEGGE E DEL DIRITTO ;|: H IpPiiillMI^^ .» \ I. Oggetto e Metodo DELLA Filosofia del Diritto 1 . Non ci fermeremo a dissertare lungamente sulla natura, V oggetto e i limiti della Filosofia del diritto, che sono, per noi, gli stessi di ogni speculazione filosofica, ma supporremo ammessi alcuni punti, su cui oggi è, o almeno dovrebb' essere, quasi generale r accordo degli studiosi. Anche per noi la Filosofia del diritto non è semplice storia universale degl' i- stituti giuridici, se di questa storia si faccia qualcosa di diverso o di opposto alla considerazione filosofica del diritto, ed è storia universale degF istituti giuri- dici solo in forza della generale, da noi già dimostrata, identità di storia e filosofia ; — non è storia generale del diritto, che si limiti a costruire e sistemare una serie di concetti empirici, astratti dalla realtà giuridica presente o passata, assunta come un dato, del quale si rinunzi a penetrare e rifare la genesi; -- non pretende, come il vecchio diritto naturale, di porgere 224 DEDUZIONE 11 modello di una legislazione perfetta, che sia buona per tutti i tempi e per tutti i luoghi; — non ha funzione pratica di riforma del diritto vigente, il suo compilo essendo di comprendere il diritto e non già di farlo, o meglio, di farlo idealmente e non già praticamente, di rifarlo e non di farlo: poiché il momento ideale della costruzione e fondazione pratica del diritto è di gran lunga superato, quando lo spìrito assurge alla comprensione filosofica della realtà giuridica. 2. La Filosofia del diritto deve darci il concetto del diritto, non già assumendolo come bello e fatto, ma costruendolo, deducendolo, mediandolo, rifacen- done la genesi dall* attività dello spirito, inserendolo, così, nel sistema di questo. Il metodo, anche qui, è lo stesso da noi seguito nei Lineamenti di Estetica e di Logica, V* è un fatto — ed un fatto solo — che è indiscusso e indiscutibile : ed è il fatto dell* auto- coscienza, della scienza, del sapere. Partendo dal fatto deir autocoscienza, la filosofia deduce tutte le azioni dello spirito, senza le quali quel fatto sarebbe assolutamente impossibile (analisi) ; e, insieme ed in un atto solo, con gli elementi così trovati, con le azioni spirituali così analizzate, costruisce il fatto dell* autocoscienza (sintesi). Il nostro problema è, dunque, il seguente: — fra le azioni dello spirito, necessarie e sufficienti a costituire il fatto dell* auto- coscienza, e* è, sì o no, un' azione peculiare, eh* è il diritto o 1* attività giuridica ? — Se sì, avremo trovato 1* universale del diritto, l' attività spirituale che crea tutti i varii sistemi giuridici, senza esaurirsi DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 225 in nessuno di essi, e, insieme, avremo dimostrato col fatto l* esistenza di una Filosofia del diritto come capitolo ineliminabile della Filosofia dello spirito. La nostra ricerca è, dunque, insieme analitica e sintetica, induttiva e deduttiva, cioè speculativa e dialettica; e poiché prova il diritto con ciò che lo pone, lo fonda, lo crea, lo costituisce come tale, e per ciò stesso lo trascende in quanto diritto empi- ricamente esistente, è deduzione trascendentale del diritto, nel senso critico della parola trascendentale. II. Deduzione dello Stato di natura. 3. 11 primo momento ideale dell* attività pratica propriamente detta dello spirito è il momento della passione, dell* appetizione, dell* interesse ; è il mo- mento sensuale, utilitario, egoistico. In esso lo spirito trasvola di passione in passione, di appetizione in appetizione, di desiderio in desiderio, contraendosi tutto nell* oggetto singolo, finito, contingente di esso, dissolvendosi per intero nella particolarità della sua volizione; egli è questo desiderio, questa passione, quest' appetizione ; egU è un questo, che, ponendosi come tale, si pone come particolarità ed indivi- dualità, tanto particolare ed individuale, da non conoscere nemmeno di esser tale. In questa prima forma dell* attività pratica propriamente detta, lo spirito si sforza di coincidere completamente con l'oggetto della sua appetizione; è appetizione sin- gola, finita, contingente; è T oggetto appetito; è la 15 A. TlLGHEB. 226 DEDUZIONE cosa estranea, verso cui tende con tutte le sue forze ; è abbandono di se all' impulso bruto del momento. è dedizione di se a ciò che è fuori di se, è aliena- zione di se air altro da se. è se che si pone come altro da se. E però lo spirito che crede di riconoscersi come spirito, cioè come assoluta ed eterna identità di se con se, dissolvendosi in un* appetizione singola ed alienandosi tutto nel!' altro da se, non può ritro- vare se stesso, come spirito libero ed infinito, nella contingenza e finitezza dell' oggetto appetito, di cui egli si fa servo e schiavo, non può posare quieto nel possesso di esso; e così, dando della sua insoddisfazione la colpa all' oggetto desiderato e non a se stesso, che vuol trovare se in quello, crede di conseguire pace e felicità mutando desiderio e pas- sione. E così egli vola di desiderio in desiderio, di appetizione in appetizione, senza trovare mai in nessun oggetto quella calma e felicità, che, portandole in se. cerca fuori di se, e che consistono, non già nel possesso di oggetti finiti e perituri, nella sod- disfazione di tendenze particolari, immediate, naturali, ma neir assoluta equazione dello spirito con se stesso, nella sua assoluta libertà ed autonomia. Neil' oggetto sensibile e finito del suo desiderio lo spirito cerca non questo, ma se, cioè 1' infinito e 1' universale; e per ciò appunto nessun oggetto finito può contenerlo : tutti lo attirano, nessuno lo soddisfa, e perciò, in questo momento della sua storia ideale, il suo desi- derio si estende virtualmente all' intero universo delle creature, e lo sorpassa. Data, quindi, la coesistenza, nello stesso universo, di due individualità meramente passionali, è inevitabile 1' urto fra di esse. DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 227 4. In questo primo momento dell' attività pratica propriamente detta, lo spirito si svolge come forza tra forze, che cerca di realizzarsi meglio che sa e può, tenendo conto delle condizioni di fatto tra cui sorge e delle forze estranee, che si oppongono alla realizzazione dei suoi desiderii. E tra le forze estranee, con cui deve lottare lo spirito che si pone come puro interesse e appetizione, ci sono gì' interessi e appetizioni di altri individui, che, movendosi in un mondo limitato nel tempo e nello spazio, e perciò cadendo sopra gH stessi oggetti, vengono a interferire con la sfera d' azione di quello. Ma per lo spirito tutto contratto nella passione e nell' interesse del momento, le passioni e gì' interessi degli altri indi- vidui non costituiscono nulla di diverso dalle forze della natura, tra cui si svolge la sua attività, e gli si presentano come energie, con cui deve fare i conti, se vuol realizzare il suo fine del momento, come elementi della situazione di fatto, sulla quale egli opera, né mai sono considerati da lui come fini in sé e per sé. E però lo spirito, travolto dall' im- pulso della passione e dell' interesse, può, per realiz- zarli, o abbattersi contro gli altri individui nello sforzo di travolgerli e stritolarli, o venire a patto con essi e limitarsi di fronte a loro, purché essi, alla loro volta, si limitino di fronte a lui. 5. Il bellum omnium contra omnes cessa per un poco, e vi si sostituisce un compromesso fra gì' individui, per mezzo del quale s' instaura tra loro un modus vivendi, uno scambio di prestazioni. Ma 228 DEDUZIONE poiché il momento del puro interesse individuale ed immediato non è superato ancora, la guerra di tutti contro tutti, placata un istante, torna a riardere più furiosa che mai. Al suo interesse individuale A provvide un tempo nel miglior modo possibile, con- cludendo con B un patto di mutua prestazione, e così B al suo. Ma, ora che le cose sono mutate, A non vuole più serbar fede al patto concluso con B, che glielo vieta il suo interesse ; e B, che sente negata la sua individualità empirica dalla nuova contraria volizione di A. reagisce, negando a sua volta A con la vendetta, la rappresaglia, il taglione. Concluso per mero interesse individuale, e perciò transitorio, ogni patto, idealmente, se non in realtà, soggiace a questa vicenda dialettica di negazione. Si hanno così due interessi individuali in lotta fra loro, ed appunto perchè esclusivamente individuali, non e* è tra loro comune misura. Nella lotta. A e B possono perire entrambi, può perire uno di essi; ma fino a che continueranno ad essere individui meramente passionali e utilitarii. lotteranno sempre, poiché tra i loro interessi e* è antitesi assoluta, e ne in essi, ne in un terzo interesse individuale estraneo, e possibile trovare il loro superamento. 6. Questo primo momento dell' attività pratica propriamente delta dello spirito è il momento del- l' utile, della forza, dell' interesse ; è lo " stato di natura g . Per stato di natura non si deve intendere, dunque, uno stato storicamente esistente o esistito. ed abbandonato una volta per sempre, o in via di esserlo, dall' umanità : esso e il momento utilitario. DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 229 passionale, sensuale, interessato dello spirito pratico, che, come tale, è eterno ed ineliminabile, al quale si ritorna sempre che lo spirito si abbandona al de- lirio delle passioni ed ai calcoli dell'interesse, e dal quale si esce sempre che, domato il tumulto passionale, esso ascende al diritto e alla moralità. Lo spirito supera lo stato di natura, perchè questo è il momento dell' assoluto individuale pratico, e lo spirito è, in sé, 1' assoluto universale, e deve rico- noscersi tale, dev' essere tale anche per se ; e però spezza il processo all' infinito della passione e del- l' interesse, e sale al diritto e alla moralità. Pertanto, pretendere di superare lo stato di natura per mezzo dello stato di natura stesso, cioè con la dialettica dell' utilità, dell' interesse e dell' egoismo, è opera vana; pretendere di fondare il diritto e la morale sulla base della passione e dell' interesse, è cosa assurda. E così cadono tutte le teorie che spiegano il diritto e la morale con la paura, col rispetto, con r interesse bene inteso, con l' utilità di tutti o dei più o dei pochi, con l' adattamento alle condizioni sociali, con la maggioranza della forza, con 1' auto- limitazione di questa ; e tutte quelle che all' uomo nello stato di natura attribuiscono un diritto infinito o a tutte le cose (Hobbes: De cive, cap. I, § 10). o a tutte quelle che cadono nel raggio della sua forza (Spinoza: Traciatus theologico-politicus, cap. XVI). o semplicemente alcuni diritti fondamentali, che la società deve rispettare (Locke: Traile da gouvernement civil, cap. I; Rousseau: T>iscours sur V origine et les fondements de V inégalité parmi les hommes; Fichte: Grurìdlage des Naiurrecbts, §§ 230 DEDUZIONE DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 231 I*- < 9-12). Lo stato di natura non conosce diritto, ma solo (orza ed interesse ; anzi, in senso filosofico, esso e proprio il momento ideale della forza e delF in- teresse, e lo spirito pratico che si pone come forza ed interesse. Non e, quindi, la forma utilitaria dello spirito che, con una vis a tergo, che non si sa qua! sia, con un processo causale assolutamente incom- prensibile, esprime da se il diritto e la morale, come assicurazione e protezione d* interessi (Jhering : T>er Zweck irti %echt); al contrario, gli è perchè lo spirito è in se universale, e tale vuol essere anche per se, cioè riconoscersi e sapersi tale, che esso si abbandona al delirio del senso, della passione e dell' interesse, e, non trovandovi sé stesso, nega e supera questa sua prima forma pratica. IH. Deduzione della Legge e del Lecito. 7. Nel momento utilitario, sensuale, passionale, interessato, naturale, o come altro si chiami, lo spirito coincide interamente a volta a volta con T og- getto singolo, finito, contingente della sua appetizione, e alienato naufrago perduto in essa, è assoluta dis- soluzione di sé neir individualità empirica della sua volizione. Ma lo spirito è, in se, universale, e tale dev* essere per se : quel primo momento, dunque, dev' essere superato. E lo spirito lo supera e lo nega, quando cessa di dissolversi nelP individualità della sua volizione, di coincidere con la finitezza e singo- larità di questa, di porsi, a volta a volta, come questa volizione a, e poi questa volizione t, e poi questa volizione e, e così via; e si pone, mvece, come esperienza, come senso ed affermazione di un rapporto di coesistenza fra le sue volizioni. Lo spirito, allora, non è più alienazione di sé nella individualità e singolarità della sua volizione, non è più volizione singola, ma è rapporto di non-contraddizione delle sue volizioni, è coesistenza, ordine, armonia delle sue volizioni, è sistema di volizioni, primo abbozzo di universalità. Questo momento è quello del coman- do-lecito; è il momento della norma o legge. 8. Non già che lo spirito sperimenti prima il comando come puro comando, poi, in un successivo momento, il lecito come puro lecito, e, in ultimo, il senso che il lecito non contraddice al comando. C è una sintesi unica, posta, sperimentata, sentita, vissuta come tale, ed è il senso che lo spirito ha di un rapporto di reciproca non-contraddizione tra le sue volizioni: sintesi, in cui almeno due volizioni sono poste come, insieme, distinte e connesse m un rapporto di reciproca non-contraddizione, e son, quindi, negate nella loro puntualità ed individualità atomica. In questo momento lo spirito pone, crea, sente sé stesso come vivente e reale rapporto di non-contraddizione delle sue volizioni, e perciò questo, a suo modo, è momento non astratto, ma concreto, non irreale, ma reale. Ponendosi come vivente rap- porto di non-contraddizione delle sue volizioni, lo spirito si pone, dunque, come unità, non già immobile, astratta, indistinta, ma come unità che distingue sé dai suoi elementi, ed insieme ed in un atto solo 232 DEDUZIONE riferisce questi a se : quindi, unità mobile, concreta, distinta, sintesi a priori di un molteplice pratico, posizione dello spirito non più come alienazione di se nella puntualità atomica della volizione singola, ma come rapporto di coesistenza di più volizioni, come primo lampo di universalità. 9. Ponendosi come senso di non-contraddizione delle sue volizioni, lo spirito deve necessariamente scegliere una di queste come quella a cui le altre non debbono contraddire; e quale volizione sia scelta come quella verso cui le altre si comportano non contraddicendola, è del tutto indifferente. La vo- lizione singola, scelta come quella, verso cui le altre debbono comportarsi così da non contraddirla, e il comando; tutte le altre volizioni, in quanto poste e sentite come non-contraddittorie al coman- do, costituiscono il mondo del lecito. Non esiste ne il comando per se stante, ne il lecito per se stante: esiste il loro rapporto, il comando-lecito, che è appunto il senso che lo spirito ha della non-contraddizione di quelle due volizioni, che fun- zionano da elementi del rapporto, e che son dette r una comando e Y altra lecito. Non v* è comando senza permesso o lecito, e viceversa: donde la natura imperativa e permissiva, insieme ed in un atto solo, delle leggi o comandi. E poiché ogni comando e. insieme, divieto del contrario del co- mando, ogni legge è, insieme, imperativa e proibitiva : le così dette leggi proibitive sono imperative an- ch' esse, come tutte le altre. Anche le leggi punitive sono imperative, poiché non esse puniscono, ma DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 233 solo comandano di punire. Le così dette leggi permis- sive, quando il permittere non è un larvato comandare o vietare, sono limitazioni d'imperativi precedenti, quindi imperative anch' esse. Anche quando si mani- festa per mezzo della consuetudine, la legge è sempre imperativa e, come abbiamo visto, per ciò stesso proibitiva e permissiva (Del Vecchio: // concetto del diritto, cap. 111). 10. Il comando, la norma, la legge. Fatto di autorità e d' impero si rivolge ad esseri, la cui spontaneità morale e giuridica è fuori questione, non essendo apparsa ancora fino a questo punto della storia ideale eterna dello spirito, ma che han già superato il momento della spontaneità bruta della passione e dell' interesse. Ad un essere completa- mente disgregato nelle sue passioni non si comanda, poiché per quest' essere il comando non avrebbe senso, non conoscendo egli altra legge che la spon- taneità immediata della sua passione o del suo interesse. Il comando richiede all' essere su cui cade di agire secondo il comando, non già perchè la sua passione o il suo interesse del momento si accordi con esso, ma solo perchè comando, solo perchè lo sente come comando, e cioè gli chiede di agire come ubbidienza al comando, come senso di non-con- traddittorietà al comando. Chi ubbidisce alla legge, sentendola come legge, ha, dunque, già superato il momento della bruta passionalità sensibile, agisce secondo il comando, non perchè il suo impulso immediato lo porti ad agire così, ma proprio e solo perchè comando: si pone, dunque, come senso di 7^ DEDUZIONE non-contraddizione al comando, come ubbidienza ad esso, come eteronomia, che si sa tale e, per ciò stesso, è in via di superarsi. 11 momento del co- mando-lecito è idealmente anteriore al momento del diritto e della morale, che sono autonomia (quello astratta, questa assoluta), e idealmente posteriore al momento della passione, che è eteronomia, la quale non sa di essere tale, e però è assoluta eteronomia. Il momento della legge è il momento dell* eteronomia, che si sa come tale, e però è in via di superarsi: richiedendo all' essere, cui si rivolge, che egli agisca secondo la legge solo perchè la sente come legge, esso è il momento della pura legalità, dell' azione condotta secondo la legge, ma non per amore della legge, e, come tale, ha esistenza distinta da quella della morale, del diritto, dell'interesse, e. nondi- meno, a suo modo, ben concreta e reale. 1 1 . Lo spirito e sempre spontaneità, autonomia, vive e non è mai vissuto ; agisce e non è mai agito ; se no, sarebbe cosa e non spirito. Altro e, però, volere e agire senz' altro, altro volere la propria volizione e azione : altro è abbandonarsi all' impulso e alla tendenza bruta, altro volere l' impulso e la tendenza stessi, e però annientarli come impulso e tendenza, e trasformarli in volontà conscia e riflessa. Nel primo caso, lo spirito vuole ed agisce, ma non vuole la sua stessa volizione e azione, e però coin- cide in tutto e per tutto col prodotto di questa, e così e fuori di se, e altro da se, è estraneo a se, e dedizione di se al suo oggetto e alla sua creatura, è posizione di se come oggetto e non come soggetto ; DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 235 nel secondo caso, lo spirito vuole la sua stessa at- tività, è attività che vuole se stessa, che pone se come attività, e così si nega in quanto attività im- mediata, ma si coglie e si afferma nel suo stesso agire e produrre, quindi è riflessione in se stessa e su se stessa, posizione dello spirito come interiorità, suità, padronanza di se, soggettività, autonomia. La passione è assoluta eteronomia, perchè in essa lo spirito vuole, ma non vuole il suo volere, e però non è riflessione del volere su se stesso, ma coinci- denza immediata di esso col suo prodotto e col suo oggetto ; non volere, quindi, ma tendenza ed impulso corrente in linea retta avanti a sé, senza mai nflet- tersi su sé stesso, senza mai fare di sé l' oggetto di sé medesimo, senza divenire mai conscio di sé. Nel momento del comando-lecito lo spirito è esperienza concreta e vivente del rapporto di coesistenza delle sue volizioni, primo abbozzo di universalità ; ha supe- rato il momento della volizione singola, del puro impulso; non è più assoluta eteronomia; ma. pur essendosi posto come senso di non-contraddizione delle sue volizioni, egli non vuole questo suo stesso senso, non fa di questo stesso senso di non-contrad- dizione delle sue volizioni, che egli ora è, 1' oggetto della sua volizione, e perciò esso gU si prospetta come eteronomo. Il comando, quindi, è sentito come eteronomo, non perché imposto dal di fuori allo spirito — cosa assurda, — ma perché è una voli- zione singola, fatta centro del mondo volitivo (pertanto negata in quanto singola, perché posta in rapporto di non-contraddizione con le altre volizioni), ma non fatta essa stessa oggetto di volizione, non voluta 236 DEDUZIONE slessa, e per ciò prospettanlesi allo spirito come eleronoma. Ma poiché lo spirito ha già superato il momento, in cui egli coincideva assolutamente con r impulso della passione e dell* interesse, e si è po- sto come primo abbozzo di universalità, l'eteronomia qui e avvertita come tale, e però in via di essere negata e superata. Il momento della legge è, dunque, spiritualmente superiore a quello della bruta passio- nalità ed egoisticità. 12. Nel momento della legge-lecito lo spirito non coincide più con Y impulso immedialo, ma si pone come vivente rapporto di non-contraddizione di volizioni, come coesistenza, coerenza, ordine, sistema di volizioni, come relazione di volizioni, che ha in se distinti e unificali, insieme ed in un atto solo, i suoi termini Per la prima volta nella storia ideale eterna dello spirito, gli lampeggia qui la co- scienza della sua universalità. Il momento della legge-lecito e momento affatto distinto da quello della passione e dell' interesse, e, nondimeno, as- tolutamcnte concreto e reale : una delle tappe neces- sarie perchè lo spirito giunga alla pienezza del- l' autocoscienza ; un universale, quindi, oggetto di considerazione ne empirica, ne astratta, ma filosofica. Lo spirito traversa il momento della legge-lecito sempre che si ponga come senso di non-contrad- dizione di volizioni: per la filosofia sono leggi così quelle dello Stato e della Chiesa, come quelle dei circoli di divertimento e, perfino, delle società cri- minali (Cicerone. De officiis, II, 11). E perciò impossibile distinguere filosoficamente leggi da leggi : DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 237 leggi politiche da leggi religiose e leggi del costume. Alla questione se le leggi siano individuali o sociali o r uno e r altro insieme, noi rispondiamo che se il puro individuo, filosoficamente parlando, è lo spirito che si pone come volizione singola, come passione ed interesse, la legge che è senso di non-contrad- dizione di volizioni, quindi negazione della volizione singola come tale e primo abbozzo di universalità, supera il momento della pura individualità, è il super- individuo in atto, è il momento della socialità, è la società stessa. In senso filosofico, la società sorge con la legge, con lo spirito postosi come legge. Le leggi, quindi, non soltanto sono sempre sociali, ma sono la società stessa in atto, vivente e concreta. 13. Il momento della legge è il porsi dello spirito come senso della non-contraddizione delle sue volizioni verso una di loro, posta come centro del mondo volitivo (comando). Ma due volizioni possono egualmente rispettare il comando, essere ugualmente lecite, e pure essere opposte fra loro. La dialettica interna del momento della legge spinge, dunque, lo spirito, anelante a porsi come assoluto accordo di se con se, a moltiplicare i comandi e le leggi, cioè le volizioni che non debbono essere contraddette. Questi comandi o leggi tendono, alla lor volta, ad organizzarsi fra loro, a formare un sol sistema, dominato dal principio dell' unità del volere del legislatore ; ed è questo principio (che cioè, per quanto grande sia la varietà delle leggi e dei co- mandi vigenti nello stesso tempo in un medesimo sistema sociale, non è possibile che ve ne siano di opposti fra loro, ma tutti debbono potersi accordare 238 DEDUZIONE m. DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 239 e ridurre ali* unità di un sistema, poiché unico e il volere del legislatore, dond* essi emanano) che, riconosciuto o no. guida la giurisprudenza nel suo lavoro sistematore delle leggi. Ma poiché le leggi o comandi, essendo volizioni singole, possono essere di numero indefinito, così, per quanto si moltiplichino le leggi, vi saranno sempre delle volizioni egualmente lecite, che possono contraddirsi fra loro. Pertanto. nel momento della legge, lo .pirito non può mai raggiungere quell* assoluto accordo di se con se, cui egli aspira, e che è la sua vera essenza. Si aggiunga che il comando, essendo volizione singola, è. come tale, variabile : oggi è questo, domani quello. E nulla muta alla cosa, se la legge, invece che comando singolo e individuato, sia comando di una serie o classe di azioni. Tra comando individuale e legge generale non e* è differenza : entrambi sono norme, leggi, comandi. La legge è, quindi, per natura, mutevole: il diritto naturale, nel senso di codice eterno di leggi e comandi, valevole sempre e dovun- que, è concetto vano e assurdo. Pertanto, lo spirito, non potendo porsi come assoluta adeguazione di se con se, come assoluto universale, nel momento della legge, è obbligato a negarlo e superarlo, e perciò passa a un ulteriore e superiore momento. IV. Deduzione del Diritto e del Torto. 14, Nel momento del comando-lecito lo spirito si è posto come vivente rapporto di non-contraddizione delle sue volizioni. Poiché il centro di questo sistema I? di volizioni, il comando o legge, è una volizione singola, essa, come tale, può essere violata e negata: al comando, alla legge, alla norma si può disobbe- dire. Che succederà se una ribellione avviene contro quel rapporto di comando-lecito, che ora è lo spi- rito? Per il fatto stesso che lo spirito percepisce la ribellione e disubbidienza alla legge come ribellione e disubbidienza, egU riafferma la sua ubbidienza alla legge, e così di quel rapporto di comando-lecito, col quale prima immediatamente coincideva, fa ora Y og- getto stesso ed il termine della sua volizione : prima egli era, senz' altro, rapporto di comando-lecito, ora egli vuole questo rapporto stesso come tale. Ponen- dosi come negazione della negazione della legge, lo spirito pone se non più come esperienza immediata della legge-lecito, ma come volontà di quel rapporto che è la legge-lecito. E poiché, in quanto è questo rapporto, lo spirito è volizione come sistema di voli- zioni, qui, facendo di essa Y oggetto stesso della sua volizione, volendo quel rapporto, egli si pone come volizione di una volizione, come volizione di un voluto. 15. Nel momento passionale o utilitario dello spirito, questo coincide compiutamente con la pas- sione e r interesse singolo, finito, contingente , è alie- nato e perduto in esso: egli è. allora, volizione sin- gola, questa volizione di questo momento di questo oggetto, e non è mai volizione del voluto, poiché, se tale fosse, non coinciderebbe più con la volizione singola del momento, ma. ponendosi come volizione di una volizione, come volizione di una stessa cosa 240 DEDUZIONE in due diversi momenti della sua vita, si negherebbe come volizione del momento e si affermerebbe come identità di se con se in due diversi momenti della sua vita volitiva. — Nel momento della legge-lecito lo spirito non è più volizione singola, ma ordine, rap- porto, sistema di volizioni : è questo comando, questo divieto, questo permesso, questo sistema, ordine, rap- porto di volizioni, che, però, non è esso stesso, come tale, fatto oggetto di una diversa, ulteriore e supe- riore volizione, e, per questo appunto, apparisce ete- ronomo allo spirito che lo accetta, che, anzi, coincide immediatamente con esso. 16. Ponendo una volizione come contraria alla legge, e, per ciò stesso, negandola come tale, lo spi- rito non e più puramente e semplicemente posizione di se come legge, ma è ri-affermazione di se come legge (come esperienza della legge) contro la sua negazione, è volizione della legge, è volizione di quella volizione che è lo spirito come legge, è vo- lizione di una volizione, è volizione di un voluto. C è qui un giudizio sintetico a priorì pratico, in cui lo spirito si pone come sintesi unica, nella quale si raddoppia su se stesso, ritorna a se, si riflette su se, vuole la sua volizione di un tempo, pone se come essere che un tempo ha voluto e che ora vuole at- tualmente lo stesso di ciò che un tempo ha voluto, sapendo di volere lo stesso, e però si stacca dalla legge, nel momento stesso che la riafferma contro la sua negazione, si pone come identità di se con se nel flusso delle sue volizioni, come unità della molte- plicità, come non individuale, ma universale, come DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 241 attribuzione, appropriazione, imputazione a se della sua volizione: quindi, come Persona, come Se, come Io. 17. Nel momento passionale o utilitario lo spi- rito è tutto preso nella singolarità della sua volizione : ora, invece, è volizione della volizione, e, in quanto rivuole ciò che un tempo ha voluto, egli si appro- pria, si attribuisce ed imputa la sua volizione di un tempo, e la chiama sua. Lo spirito non può dire mio, senza, in un atto solo, riferire a se e distin- guere da se ciò, di cui dice mio: dicendo mio, lo spirito è, insieme ed in un atto solo, distinzione di se da se e riferimento di se a se, è Io, è universale concreto. Nel momento passionale o interessato lo spirito coincide completamente con la passione e l'interesse del momento, e però, in quanto pura passione ed interesse, non può distinguere se da se. non può dire mio, non è Io. — Nel momento della legge-lecito lo spirito coincide completamente con quel rapporto di non-contraddizione delle sue volizioni che è il momento della legge-lecito, e però nemmeno qui può distinguere se da se, nemmeno qui può dire mio, nemmeno qui è Io. — Solo ponendosi come volizione del voluto, lo spirito dice mio, è Io, e però quel momento è, a suo modo, concretissimo e realissimo, più reale e concreto del momento del puro interesse e di quello della legge. Ponendosi come volizione del voluto, lo spirito non è più alie- nato nella finitezza della sua volizione singola, ma sente la propria identità nel voluto e nella volizione del voluto, e rivolendo il voluto, se lo appropria, 16 - A. TiLGHER. 242 DEDUZIONE lo fa suo. lo rende interno a se. e così si sente libero, autonomo e spontaneo in esso. Lo spirito qui si pone non più come volizione singola e pun- tuale, ma come continuità di volere, come facoltà generale di volere, come persona, come Io. come soggetto volente, come individualità. Nel momento della pura passione ed interesse, lo spirito, in quanto indefinito passaggio di appetizione singola in appeti- zione singola, di passione in passione, d' interesse in interesse, è indefinita possibilità di volere. Ponen- dosi come volizione del voluto, come effettuale continuità di volere, lo spirito si pone dinanzi a se stesso non più come indefinita possibilità di volere, ma come volere che, di fatto, ha già voluto nel passato e vorrà nel futuro, come universale re, adu, di fatto, come attualmente universale, come volere attualmente infinito, che unifica la molteplicità tem- porale, e per ciò stesso ne e fuori. 1 8. Postosi come rapporto di legge-lecito, come sistema di volizioni, lo spirito, che si sente negare come tale, si afferma come tale negando la nega- zione della legge, facendo, così, della legge Y oggetto stesso della sua volizione. Per ciò stesso lo spinto cessa di essere puro comando-lecito, diventa volizione del comando-lecito, appropriazione di questo a se. Volendo il comando, dicendo di esso : mio, lo spirito non lo sente più come puro comando, come comando di un altro, ma come comando suo, come comando di se a se, come dovere; ne sente più il lecito come puro lecito, come indifferente, ma come il lecito che è suo. come il suo senz* altro, come diritto. DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 243 Ponendosi come riaffermazione della legge contro la sua negazione, lo sp&ito si pone, dunque, come correlazione di diritto e dovere. L' esperienza spiri- tuale del diritto e del dovere giuridico sorge insieme col torto, come posizione e negazione del torto in quanto tale. » 19. Ponendosi come volizione del voluto, come appropriazione a se delle sue volizioni, lo spirito pone se come volontà generale, come persona, come Io, e come tali pone quegli esseri, nei quali ravvisa, o crede ravvisare, la realtà, o la possibilità, che anch' essi si possano porre o attualmente si pongano come volizione del voluto, come lo, come persone, e sorge così il mondo delle personalità o individualità libere e coscienti. Supremo principio del diritto è: " sii persona, e rispetta gli altri come persone u (Hegel: Gmndlinien der Thilosophie des "Rechis, § 36). Ogni diritto è perciò essenzialmente personale : i così detti diritti reali sono, in tondo, personali anch'essi. Porre la persona o Io, anzi il mondo delle persone e degli Io, è, insieme, porre il mio e il tuo, anzi il mondo del mio e del tuo : il mondo del diritto è essenzialmente il mondo del mio e del tuo, cioè è volizione del voluto, è appropriazione e attribuzione a se delle proprie volizioni. In questo senso si può dire che la proprietà è lo schema ge- nerale del diritto, e che ogni diritto è proprietà. Essendo essenzialmente autoattribuzione e autoap- propriazione, il diritto è essenzialmente imputabilità : r imputazione penale è solo una specie della generale imputazione giuridica. Ma poiché solo V lo. solo r universale, può dire mio e tuo, così il diritto, Z^T DEDUZIONE che € il mondo del mio e del tuo, per ciò appunto non è semplice interesse o passionalità, ma più che questo : universalità. E poiché fonte di ogni diritto è la personalità, còsi non e' è un diritto che vada oltre di essa, e ponga in questione il suo essere o non essere (Hegel: Qmndlinkn, § 70). 20. In quanto volizione del voluto, in quanto appropriazione, attribuzione, imputazione a se delle proprie volizioni, in quanto posizione dello spinto come persona e rapporto di persone, il mondo del diritto può essere chiamato il mondo delF egua- glianza, del rispetto, della limitazione, del riconosci- mento reciproco delle persone, oggetto del quale è il bene, non già singolo, ma comune. Realizzandosi come diritto, lo spirito non è più mero impulso di passione o interesse, è affermazione della propria identità nella diversità delle sue volizioni : quindi, non più dedizione e asservimento di se alla passione e air interesse, ma padronanza e dominio di se sul- r interesse e sulla passione bruti, empirici, mutevoli, dunque autodeterminazione e libertà. Finche lo spinto coincideva immediatamente con la legge-lecito, era immediatamente quel sistema di volizioni che è la legge-lecito, esso era e si sentiva eteronomo, era r esperienza stessa dell' eteronomia. Ora che si pone come volizione della legge, lo spirito appropria a 8C. attribuisce a se, fa sua la legge, la vuole, sente se in essa, ne risolve in se X eteronomia, pone se come autonomia, come coscienza ed esperienza deir autonomia, e perciò il diritto è la prima af- fermazione dell' autonomia e della libertà dello spi- DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 245 rito. In quanto libertà, in quanto volizione della volizione, in quanto volontà attualmente universale, cioè conscia della propria identità nella molteplicità delle volizioni, il diritto è volontà scevra di passiom (Vico : Scienza Nuova \ Conchiusione deW opera), voG; àv£'J i^i^i^^ (Aristotile: Potóca. Ili, XI, 4). 21. È diritto ogni posizione dello spirito come volizione del voluto, come riaffermazione del co- mando, della legge, della norma. E come legge non e solo quella dello Stato, così diritto non è solo quello dello Stato. Ma è diritto solo quello che lo spirito sente attualmente ed effettualmente come tale, come volizione della legge, come voli- zione del voluto: ogni diritto, quindi, è positivo. Positivo non già nel senso che sia diritto solo quello riconosciuto dallo Stato, che al diritto dello Stato qualunque altra società, che non sia Stato, può opporre un suo diritto, che. pei componenti di quella società, è diritto e positivo anch' esso, ma nel senso che è diritto solo quello che lo spirito effettualmente ed attualmente sperimenta, afferma e pone come tale. 22. Sorgendo come riaffermazione della legge contro la sua reale o possibile violazione, nascendo a un parto col torto reale o possibile, come posizione e negazione di questo in quanto tale, la realtà vera del diritto non è il diritto bello e fatto come diritto, ma il diritto in quanto si fa e si pone come tale contro la sua negazione: non il diritto immobile e quiescente, ma il diritto in armi per farsi riconoscere come tale, la lotta pel diritto, 1' esigenza del diritto, jgiar Ili"! iiìiii-Tsssiìs iimm DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 247 246 DEDUZIONE la pretesa, Y Anspruch. Sperimentare il delitto come delitto non è, dunque, sperimentare una semplice repugnanza, con che la sfera del mero interesse non ancora è superata, ma è sperimentare, quindi sentire e porre, un' azione come volizione reale e concreta e, insieme, come meramente individuale, come pura passione e interesse sensibile ribelle alla legge, e per ciò slesso, insieme ed in un alto solo, di contro ad essa, riaffermare lo spirito come volizione del voluto, come ubbidienza alla legge. Il dannoso o nocivo è un moto di repugnanza, ribrezzo e abor- rimento chiuso in se slesso, una volizione negativa, un volere che dice di no, una nolizione o nolontà ; il delitto, invece, è sentito come azione vera e propria, come volizione positiva, come volere che dice di sì, come volontà meramente interessata, utilitaria, pas- sionale, di contro alla quale vien riaffermata l" univer- salità dello spirilo come fedeltà alla legge. Ed è appunto il riaffermarsi dello spirilo come fedeltà alla legge contro la volizione meramente utilitaria e pas- sionale, che imprime a questa il carattere di delitto e ne fa una volizione delittuosa. Non vi sono volizioni ed azioni antiutilitarie, poiché T antiulilitario è, per definizione, il non voluto ed agito ; ma vi son bene azioni antigiuridiche, poiché come azione antigiuridica è sentita, ed insieme negata, l' azione meramente pas- sionale e interessala, che insorge contro la legge. La norma e il diritto introducono, così, nel mondo in- differenziato della passione e dell' interesse un criterio differenziale, distinguendo le azioni lecite dalle illeci- te, le giuridiche dalle anligiuridiche. Anche le asten- sioni sono comprese fra le azioni, astenersi essendo anch' esso, a suo modo, agire. 23. In quanto non è pili mera volizione singola, mero impulso passionale o utilitario, ma afférmazione di una sua anteriore volizione o volizione del voluto, lo spirilo è omai inaccessibile a tutte le sollecitazioni della passione e dell'interesse, è fedeltà alla parola data, mantenimento della promessa fatta. 11 diritto richiede che. anche se le ragiom passionah. che ci mossero a volere un oggetto, siano svanite, si resU. nondimeno, fedele alla parola data, al Pa"o concb^. si vogUa il voluto, e così si naffermi la propna identitó di spirito in due diversi momenti de la va volitiva. Ma, in quanto volizione de voluto, il diritto riceve il suo contenuto non già dalla propria m- timità. ma da quel momento normativo del quale in quanto questo è eteronomo, esso e la nega^on^^ 11 diritto è volizione del voluto, ed il voluto, m se e per se preso, è proprio il momento dell eleronom^. è il contenuto della legge e del comando. Postosi come diritto, lo spirito dev' essere fedele a ciò che ha voluto in un anteriore momento ; postosi come autonomia, egli deve, insieme ed in un atto solo riaffermare e negare l' eteronomia della legge pos^ come persona o lo. egli deve, m un alto solo, riaffermare e negare quella negazione di ogni p« sonalità. che h il momento della norma. Il dmtto fe dunque, contraddizione vivente, e posizione dell lo V u AM'\r, R neoazione de eteronomia atuaverso 1 altro dal! lo, e negazione ed insieme riaffermazione di essa, e spontaneità ed L« „o,x non rrea il SUO contenuto, ma autonomia che pero non crea u lo riceve da un momento anteriore dello spinto, autonomia formale ed eteronomia materiale. .imlillliiÉi in .iiiiiiiiiÌiB~iiii ijifflilj ìplt 248 DEDUZIONE DELXA LEGGE E DEL DIRITTO 249 24. In un anteriore momento della sua storia ideale, cioè quello della norma o legge, lo spirito volle a, A, e: postosi come spirito giuridico, come volizione del voluto, egli si pone come volizione della volizione a, b, e, non perchè attualmente sia appetizione e desiderio di a, b, e, ma pel solo fatto di aver voluto così un tempo. Ogni spontaneità ed impulso di passione e interesse è, ora, scomparso e negato, lo spirito non ne riafferma che 1* astratto contenuto : all' essere postosi come spirito giuridico non si chiede che agisca per slancio di passione o d- interesse, ma solo perchè un tempo volle così, s' impegnò così. Lo spirito giuridico distrugge, dun- que, lo slancio e la spontaneità dell* appetizione, e ne conserva solo la prestazione esteriore, il contegno visibile, r adeguato pratico. In ciò è il lato giusto delle teoriche, che limitano la considerazione giu- ridica al lato fisico, sociale, esterno dell* azione, e che del diritto danno come caratteristica 1* esteriorità. Per esteriorità del diritto non può, certo, intendersi che il diritto consideri 1' azione scissa dalla sua intenzione : ogni azione è estrinsecazione di volontà, quindi estema e interna insieme. Atti assolutamente interni non ce ne sono; ci sono atti che si estrin- secano meno visibilmente di altri ; e tali sono i così detti atti psichici, dalla maggior parte delle legisla- zioni considerati oggi come non punibiU. Ma la non punibilità di essi non li esclude dalla considerazione giuridica, anzi ve li fa rientrare : se non sono punibili, vuol dire che sono permessi dal diritto, sono con- formi al diritto. La considerazione giurìdica cade. quindi, su tutto il campo dell' azione (Del Vecchio : // concetto del diritto, cap. 1). Che il diritto sia esterno, vuol dire solo che esso non richiede dal- l' agente che egli voglia il contenuto della sua presta- zione per slancio di appetizione o desiderio, ma solo perchè così anteriormente ha appetito e voluto, anche se ora non appetisca e desideri più cosi. In questo senso, r esteriorità non è semplice nota del diritto, come dopo Thomasius, Kant e Fichte è comune opinione dei filosofi: è l'essenza stessa del diritto. 25. Appunto perchè il diritto rinuncia ad ogni spontaneità di passione e di desiderio, e si contenta dell' esteriorità della prestazione, ove questa non sia compiuta dall' obbligato stesso, è possibile costringerlo a compieria. La coazione (intesa come esperienza spirituale di costringimento) non è possibile nel mo- mento della passione, dell' appetito e del desiderio, non essendo possibile costringere nessuno a desiderare e ad appetire qualche cosa, polche la passione è assoluta spontaneità sensibile. — La coazione non è possibile nel momento della moralità, poiché questa è assoluta spontaneità razionale, assoluta libertà ed autonomia. - La coazione è possibile nel momento del comando-lecito, anzi ne è costitutiva ed essen- ziale. — Essa è possibile nel momento del diritto, perchè questo, contentandosi della pura esteriorità della prestazione, questa. In quanto esteriore, può es- sere eseguita da altri che dall' obbligato, senza perciò commettere una bruta violenza fisica, ma come ese- cuzione della volontà della legge, che l' obbligato si era impegnato a rispettare, ed alla quale, invece. 250 DEDUZIONE ora tenta sottrarsi. E poiché, come s'è visto, il diritto sorge come riaffermazione della legge contro la sua negazione reale o possibile, come posizione e negazione del torto in quanto tale, »• «Ji""^ è essenzialmente coazione in atto o possibilità di essa : coazione o coattività. La coazione può esplicarsi o in via diretta (sostituendosi all' obbligato nelF adem- pimento della sua obbligazione), o in via di com- pensazione civile o penale: differenze meramente empiriche e non filosofiche. La ragione esige che tra diritto e coattività vi sia, di fatto, equivalenza perfetta, che il diritto sia, in pari tempo, forza irresistibile e onnipotente. La storia soddisfa in forme varie a quest' esigenza : una di queste forme è lo Stato, sorto appunto come garanzia di coazione. Allo Stato spetta risolvere il problema che il così detto diritto della forza si cangi nella forza del diritto (ScheUing: S^eue "Deduciion des Naturrechts, §§ 140-63). 26. Perchè lo spirito si ponga come diritto, non basta che si ponga come immediala esperienza del comando e dell'ubbidienza: bisogna sentire l'ubbidienza alla norma, non come ubbidienza ad un comando estraneo, ma come oggetto di un nostro volere, quindi come nostro dovere, come dovere di agire secondo la norma solo perchè norma, solo perchè l'abbiamo voluta un tempo come norma. Volendo così, lo spirito assurge al diritto, il comando esteriore gli si trasforma in dovere, il comando del- l' altro in comando suo. Ma si può agire secondo la norma e non per amore e volontà della norma, DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 251 e allora si sente questa come comando di un altro, non come nostro dovere. Spesso si è scambiato il puro agire secondo la norma (eteronomia) con 1 agire secondo la norma per amore della norma (autonomia), e poiché verso ogni norma ci si può comportare m questi due modi diversi, essi sono stati confusi, e s' è ridotto il diritto a semplice norma agendi. 27. Tra il momento del comando -lecito e quello del diritto-dovere, fra il mero lecito ed il diritto, v' è, dunque, profonda differenza. Accettato un co- mando o divieto, io sento come lecite le mie aziom, in quanto queste non contraddicono ad esso, m quanto, ponendosi nell' essere, riaffermano, insieme, anche il comando come puro comando, come cornando di un altro. Il lecito è, dunque, eteronomia, il diritto, invece, autonomia, benché astratta e formale ; quello si esaurisce nel senso della non-contraddittoneta di più volizioni, questo è posizione dell' identità de lo spirito nella diversità di esse; quello fa centro della vita volitiva una volizione singola o un sistema di volizioni singole, cui si deve ubbidire, questo stacca la volontà dalle volizioni singole e assurge ali uni- versale, benché astratto e vuoto ; quello è il senso dell'indifferenza e non-contraddittorietà di una voli- zione di fronte ad un' altra, fatta centro della vita volitiva, questo è attribuzione e imputazione al volere come universale delle sue volizioni particolari: ora, il particolare non è mai indifferente ali universale donde emana, né l' universale all' individuale m cui s incarna. Attribuire, dunque, al diritto la liceità, come una delle note differenziaU di esso dalla morale 252 DEDUZIONE DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 253 o. a dirittura, identificarlo col lecito, è grave errore, benché dottrina comune. 28. Qui è opportuno dir qualcosa della pena. Lo spirito si pone come senso ed esperienza della pena (sia che T infligga, sia che la subisca) sempre che sente e sperimenta un atto di volere come ne- gazione e risoluzione di un altro atto di volere, il quale per ciò stesso è sentito e sperimentato come opposto a quello che lo nega e risolve. La pena è, dunque, esperienza di un alto di volere come nega- zione dialettica di un altro atto di volere. Se lo spirito che nega con un atto di volere un altro atto di volere è spirito meramente passionale e utilitario, la pena sarà passionale e utilitaria anch* essa, cioè lo spirito sentirà e sperimenterà la pena come voli- zione puramente individuale, negante e risolvente in se un* altra volizione, percepita anch' essa come pura- mente individuale (pena come vendetta, rappresaglia, taglione). — Postosi come senso di comando — lecito, lo spirito che sperimenta il comando come comando lo sperimenta pure come minaccia di san- zione, poiché un comando senza minaccia di sanzione per chi violi il comando, non è comando. La legge penale pone, dunque, fra delitto e sanzione un rap- porto di causalità così fatto, che chi vuole il delitto vuole indirettamente, ma necessariamente, anche una volizione che risolve e nega in se dialetticamente il delitto, cioè la pena (Fichte : Gmndlage des Naiur- rechts, S 20). E poiché il momento della legge è, sebbene rudimentalmente, universale, la pena non è pili qui sperimentata come volizione immediata oppo- posta a un'altra volizione, percepita anch' essa come immediata, ma si media ed universalizza anch'essa, cioè si prospetta nel futuro (pena come intimidazione, esempio, difesa sociale). - Avvenuta la violazione della legge, commesso il delitto, questo, pel tatto stesso di essere posto e sentito come tale, è negato, e di contro ad esso è riaffermata la legge e la sua sanzione : il delinquente incorre nella pena perche, volendo il delitto, ha indirettamente voluto anche la pena, appropriando a sé il delitto, ha appropriato a sé anche la pena. In quanto lo spinto sperimenta la pena come appropriazione che il delinquente fa a se della sanzione, pel fatto stesso di aver appropriato a sé la violazione della legge, egU sperimenta la pena come applicazione della legge penale. La pena qui diventa volizione del voluto anch' essa, un diritto e un dovere, insieme, del delinquente (pena come retri- buzione giuridica, rimunerazione, reciprocanza). Lo spirito giuridico, dunque, non crea la pena, che e Olà del momento passionale e del momento normativo, ma crea la giuridicità della pena, il diritto di punire. -. Ponendosi come assoluta razionalità e liberta, come moralità, lo spirito, insieme ed in un atto solo, nega sé stesso in quanto impulso sensibile, natura e. imme- diato : questa negazione dialettica, che lo spinto fa di sé come altro da sé, e nella quale è 1 essenza stessa della moralità, è l'esperienza del rimorso del pentimento, dell' espiazione, dell' emenda. Pel fatto stesso di sentire il suo dolore come pena, cioè come male meritato da una colpa, lo spinto, nell atto di porsi come colpevole, si stacca dalla sua colpa, r espia, se ne redime. È, dunque, attraverso la pena 254 DEDUZIONE DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 255 v.-" come esperienza di rimorso, che si compie la reden^ zione dello spirito dagl* impulsi e dalle passioni, ed ha luogo il suo passaggio dalla natura alla moralità. La moralità è, dunque, essenzialmente processo di redenzione. — La pena è, pertanto, fenomeno comu- ne a tutti e quattro i momenti dello spirito pratico propriamente detto (passionale, normativo, giuridico, morale), e partecipa volta per volta della natura di ciascuno. Le varie forme della pena non sono specie coordinate di un genere comune, ma momenti evo- lutivi di una stessa attività, che, salendo di grado in grado, si approfondisce e sviluppa sempre piìi, risolvendo e negando in se come momenti subordi- nati i gradi inferiori. Così la pena come vendetta è contenuta, come momento negato e superato, nella pena come intimidazione ; questa, nella pena come retribuzione giuridica ; questa ancora, nella pena come espiazione. 29. Il diritto è volizione del voluto, fedeltà alla parola data, rialfermazione della legge contro la sua negazione; e, in quanto tale, è autonomia libertà universalità. Postosi come spirito giuridico, come vo- lizione, lo spirito vuole a, sol perchè così ha voluto un tempo : vorrebbe i, se avesse voluto b ; vorrebbe e, se avesse voluto e ; e così via. Il contenuto dello spirito giuridico gli viene, 4"'^q"®» ^^ "" anteriore momento dello spirito; non dal di dentro, ma dal di fuori. Lo spirito qui è universale, ma improduttivo, astratto e vuoto. E poiché il momento anteriore dello spirito, che dà allo spirito giuridico il suo contenuto, cioè quello della legge, è per essenza mutevole, così il contenuto del diritto è mutevole anch' esso ; oggi è questo, domani quello ; il mio diventa tuo, il tao diventa mio. Il diritto è, dunque, per essenza alie- nabile e mutevole : il diritto vecchio è abrogato, ed il nuovo entra al suo posto. Lo spirito giuridico vuole il voluto solo perchè voluto, non perchè ques/o voluto : esso riceve il particolare dal di fuori, non 10 produce da se, e, pertanto, non si riconosce in esso come quello spirito universale, che ora egli è. 11 diritto deve, quindi, essere negato e superato. Lo spirito deve porsi come universale, come persona, come Io, ma tale che il particolare, in cui si esprime, non gU venga dal di fuori, ma dal di dentro, non da un anteriore momento, in cui egli è impersonalità, eteronomia, cieco comando, timorosa ubbidienza, ma dal suo seno pivi profondo di spirito universale, per- sonale, riflesso e cosciente. 11 superamento e la nega- zione dialettica del diritto è la morale. V. Diritto e Morale. 30. Lo spirito morale è lo spirito, che in ogni momento della sua vita si pone come Io assoluto, come assoluta identità di sé con sé, come assoluta equazione di sé stesso con sé stesso. Lo spinto mo- rale è lo spirito giunto al dominio alla padronanza all'impero di sé; è lo spirito che in ogm azione si pone e si realizza come universale, come persona, come individuo ; è lo spirito come assoluta presenza a sé stesso, come assoluta razionalità, libertà, auto- nomia, autarchia. Giunto a questo momento della sua I! DEDUZIONE DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 257 storia ideale, lo spirilo non è più abbandono di se air altro da se, non è più dedizione di se ali* impulso della passione o del desiderio, ne cieca sottomissione al comando di un individuo empirico : è realizzazione della sua essenza più intima e profonda, è agire con- sciamente secondo la legge che costituisce Y essenza sua stessa, è universale in atto, è posizione di se come identità assoluta di soggetto e oggetto. Lo spi- rito postosi come universale o morale non accetta più il contenuto empirico della sua azione da un anteriore momento della sua storia, ma lo trae ed esprime da se : ed è, così, universale, non più astratto e vuoto, ma pieno e concreto ; è autonomia, non più solo formale, ma formale e materiale insieme. In quan- to assoluta razionalità e libertà e suprema spontanei- tà, lo spirito morale è affatto immune dall' esteriorità e coattività del diritto, è assolutamente interno e incoercibile. 31. Il problema due volte secolare della distin- zione di diritto e morale è. così, da noi risoluto con la dimostrazione che lo spirito giuridico è universale astratto e vuoto, solo formale e non materiale, e lo spirito morale, invece, è universale pieno e concreto, formalmente e materialmente. Per lo spirito morale, il momento del diritto è momento negato e superato : aver compreso questo, è gloria immortale dell' Hegel. Invece, porre — come fecero Thomasius, Kant e Fichte — il rapporto fra diritto e morale come rap- porto fra due legislazioni coesistenti dello spirito, che ti spartiscano il campo dell'attività pratica propria- mente detta dell' uomo, prendendone l'uno l'esterno, r altra 1* interno, Y uno Y azione, Y altra Y intenzione, r uno una parte delle azioni, 1' altra un' altra, e di- scettare se la parte del diritto sia maggiore o eguale o minore di quella della morale, e dove le loro sfere interferiscano e dove no, tutto questo ci sembra non conforme a verità. — Affermare che ogni azione mo- rale è sempre insieme giuridica, ma non ogni azione giuridica è sempre insieme morale (come fa il Croce), è affatto erroneo. Postosi lo spirito come universale pieno e concreto, come eticità, il diritto in quanto tale, in quanto universale astratto e vuoto, è negato e risoluto: l'uomo morale non può agire che secondo i dettami della sua coscienza morale, e se questa si accorda coi dettami del diritto, egli agirà secondo il diritto, ma non perchè tale, sibbene perchè così vuole la sua coscienza morale. — Pertanto, concepire il diritto come legislazione coattiva, che assicura un minimo di eticità, come minimum etico, è erroneo, poiché lo spirito o è morale, o non è, e la mo- ralità non comporta distinzione di parti. — Con- cepire il diritto come legislazione che assicura 1' u- guaglianza degU uomini con la giustizia, imponendo doveri perfetti, obbligatorii, coercitivi, mentre la mo- rale rompe 1' uguaglianza umana col sacrifìcio, con la benevolenza e beneficenza, con la pietà e simpatia, imponendo doveri imperfetti, non obbligatorii, supe- rerogatorii o meritorii, cioè non coattivi, è distinguere le attività dello spirito dagli oggetti materiali che esse realizzano. Ma ogni attività dello spirito non realizza mai altro oggetto che lo spirito stesso, cia- scuna a suo modo: il diritto, come universale astratto; 17 — A. TlLOHER. 258 DEDUZIONE la morale, come universale concreto. — Concepire il diritto come uno dei tanti principii tecnici, che promuovono il supremo fine etico, ma, pur promo- vendolo, ne restano distinti come mezzo da scopo, come azione da intenzione, come tecnica da moralità, e falso, perchè il fine morale non è scisso dal suo mezzo, ma s* incorpora e realizza in esso, e lo colora del suo colorito. — Si è detto che il diritto è bila- terale o sociale, e la morale, invece, unilaterale o individuale. Ma allo spirito realizzatosi come univer- sale astratto, come spirito giuridico, il mondo appare come sistema di universali astratti, di soggetti giun- dici ; e allo spirito realizzatosi come universale con- creto, come spirito morale, esso appare come sistema di universali concreti, di soggetti morali. Se bilaterale è il diritto, bilaterale è, dunque, anche la morale, poiché bilateralità è rapporto, e rapporto è universa- lità. Appunto perchè entrambi universali, benché r uno astratto e V altro concreto, diritto e morale sono superindividuali, individuale essendo, in senso meramente filosofico, la pura volizione singola, pas- sionale e utilitaria. 32. Spirito come volizione del voluto, come universale astratto e vuoto : ecco V eterna essenza del diritto. Cercarne la fonte in una speciale facoltà o attività dello spirito, detta sentimento giuridico -- come fecero i giuristi della Scuola Storica --. è errore : in ogni momento della sua storia non agisce mai altro che lo spirito, sempre lo spirito, tutto lo spirito come quel momento, puntualizzato e contratto in quel momento, portando k se negati e superati tutti DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 259 i momenti anteriori. — Spirito come volizione del voluto : ecco 1* eterna origine, V eterna fonte, Y eterno fattore del diritto ; eterno universale necessario mo- mento di quella storia ideale, che conduce lo spirito dall'assoluto individuale all'assoluto universale, dal- l' assoluto altro da se all' assoluto se, dalla natura all'autocoscienza, dall'esteriorità della materia all'e- terno Amore, che e Dio. — Sempre che lo spirito supera il momento della passione e dell' eteronomia, e si pone come fedeltà alla parola data, come voU- zione del voluto, il diritto nasce eternamente : sem- pre che lo spirito supera 1' astrattezza del momento giuridico, e si pone come universale concreto, il di- ritto eternamente muore nella morale. L' origine e la fine del diritto non sono fenomeni storicamente avvenuti, o che avverranno, una volta tanto, per non più ripetersi : continuamente avvengono, nell' eterno doloroso viaggio dello spirito dalla selva selvaggia delle passioni al cielo stellato della moralità. Come lo stato di natura, così la pace universale eterna non è. dunque, fenomeno storico ; è momento ideale, storicamente producentesi, ogni qualvolta lo spirito si pone come moralità. 33. Volizione del voluto : ecco 1' eterna attività produttiva del diritto. Come tale, essa non cambia nel corso della storia, qualunque sia il contenuto dei diritti storici. L'attività giuridica non progredisce, ma resta eternamente uguale a se stessa. Il diritto assiro non era ne più ne meno diritto del diritto mo- derno : era egualmente diritto di questo. Ma lo spirito come mondo, come complesso, come totalità, prò- I 260 DEDUZIONE gredisce : la civiltà di oggi h in progresso su quella degli Assiri, perchè la contiene in se. posta e negata come suo momento subordinato. Ora. il diritto deve partecipare a suo modo, e partecipa di fatto, al pro- gresso del mondo. Il diritto moderno è in progresso sul diritto degli Assiri, non perchè sia più diritto di quel che lo fosse questo, ma perchè contiene m se. posto e negato, cioè risoluto come suo momento subordinato, il diritto degli Assiri, ossia e l espres- sione giuridica di una civiltà, che contiene in se come momento superato la civiltà degli Assiri. Non, dunque, progresso del diritto, deir attività giuridica in quanto tale, ma progresso mi diritto, nel attività giuridica, e cioè progresso del mondo, della civUta o dello spirito nel diritto. Ciò che qui si dice de progresso dell* attività giuridica si dica anche del progresso delle attività passionale e normativa Vi fronte al diritto vecchio, il diritto nuovo, che espri- me a suo modo il progresso dei tempi, si presenta come diritto naturale, razionale, etico o giusto, di contro a quello, criticato come innaturale, irrazionale, immorale o ingiusto. Ma la denominazione di diritto etico è erronea, perchè, se esso è volere giuridico, per ciò stesso non può essere volere etico : ma con essa si vuol designare che quel diritto meglio di un altro risponde alle esigenze dei tempi. Pertanto, la dualità di legge e giustizia, di diritto giusto e diritto ingiusto, di diritto morale e diritto immorale, o si riduce alla dualità stessa di diritto e morale, o a quella di due diritti, egualmente diritto tutti e due, ma di cui V uno partecipa più che V altro al pro- gresso dei tempi, e che però, di fronte a questo. DELLA LEGGE E DEL DIRITTO 261 appare come giuridicamente superiore: superiore per- chè Io contiene in sé. posto e negato come suo mo- mento superato. Col concetto di progresso giuridico la Filosofia del diritto termina e si risolve nella gene- rale Filosofia dello spirito. 34. La nostra trattazione, schizzata in pochi tratti, nelle sue linee generalissime, è svolta e com- piuta. In essa non abbiamo mai considerato il diritto come un oggetto già bello e fatto, di cui dovessimo solo constatare 1' esistenza e descrivere le note, o come un intruso, che dovessimo a tutta forza far rientrare in una delle categorie precedentemente sta- bilite. Noi abbiamo creato, costruito, mediato, de- dotto il diritto dall'attività stessa dello spirito, lo abbiamo dimostrato momento necessario, universale, eterno della storia ideale dello spirito. E poiché lo spirito che ha costruito, mediato, dedotto filosofica- mente il diritto è lo stesso spirito, che ogni giorno praticamente lo pone e realizza nell* essere, così nella nostra trattazione soggetto e oggetto coincidono com- piutamente, e però le spettano quell'assoluta certez- za e verità che sono proprie soltanto della trattazione filosofica. Alle obbiezioni di Zenone d' Elea contro la possibilità del movimento, il cinico Diogene rispon- deva camminando, cioè col fatto stesso del movi- mento. Ma Zenone non negava quel fatto, cioè la realtà dell'apparenza del movimento, e solo negava la possibilità logica di esso. E però la risposta di Diogene non risolveva nulla. Alle obbiezioni superfi- ciali di tanti contro la possibilità di una Filosofia della legge e del diritto ed ai loro tentativi di risolverla 262 DEDUZIONE nella filosofia dell' utilità o nella morale, noi. invece, abbiamo risposto meglio che col fatto stesso della sua esistenza: col fare noi stessi logicamente la sua esistenza. Roma, settembre del 1913. LA VOLONTÀ E LE PASSIONI l L Chiunque abbia studiato sul serio e profonda- mente la F//o50^a della "Pratica di Benedetto Croce non può non aver sentito germinare nell' animo e assumer forma determinata e precisa una serie di dubbii e d' interrogazioni dinanzi all' apparente evi- denza e semplicità delle conclusioni, cui perviene r autore del libro. L' attività pratica dello Spirito è, dunque, pel Croce, essenzialmente volontà, e questa si gemina in volontà economica e volontà etica : la prima, volizione dell' individuale, la seconda, dell' universale ; la pri- ma, affatto autonoma e indipendente dalla seconda, questa, irreducibile a quella, ma, insieme, tale che in se la comprende ed involge. " VogU l' universale 1 u è r imperativo categorico, in cui si esprime con asso- luta adeguatezza 1' essenza della moralità. Ma che cos' è r universale ? L' universale è la Vita, la Real- tà, lo Spirito, appreso e voluto in quello che ha 266 LA VOLONTÀ di permanente, di assoluto, di eterno. Ma, d altra parte, la Vita, la Realtà, lo Spirito, considerati nella loro essenza profonda, sono, pel Croce, appunto Volontà, e niente altro che Volontà. Volere Y uni- versale - cioè la Vita, la Realtà, lo Spirito — tanto vale, dunque, quanto volere, cioè apprendere e rea- lizzare, la Volontà come Volontà, cioè come prin- cipio e sostanza dell* universo ; e poiché la Volontà non può volere altro che sé stessa, tanto vale quanto volere o agire tout court. Volere V universale e, dun- que, una parafrasi del semplice volere, e V essenza della moralità, che si esprimeva prima con perfetta adeguazione nelF imperativo " Vogli V universale ! u . si esprime ora con adeguazione non minore nel puro e semplice " Vogli! «. Ma allora, se conseguenza logica della posizione del Croce è. come sembra, che volere e volere moralmente son sinonimi, che cosa si deve pensare della prima forma dello spirito pratico, come il Croce la definisce, cioè come volizione del- l'individuale? Concepirla come volizione anch'essa, allo stesso titolo e nello stesso significato della vo- lizione morale, non si può, per la già riconosciuta identità (implicita nel sistema del Croce) di volizione e volizione dell' universale ; negarla, non si può nem- meno, se non si vuole dar di cozzo nell' esperienza di tutti i giorni, che ci mostra la vita pratica come più ampia e comprensiva della vita morale, e cacciarsi nel labirinto delle antinomie, che la negazione di una prima forma dello spirito pratico si trae dietro come inevitabile conseguenza. Bisogna, dunque, tro- vare il modo di conservare alla filosofia della pratica questa prima forma puramente individuale dell' attività E LE PASSIONI 267 pratica dello spirito, acquisitale definitivamente dalle speculazioni dei grandi metafisici postkantiani, e. non- dimeno, evitare di concepirla come volizione affatto identica per natura (pur se diversa d'oggetto) alla volizione morale. Ed in che modo ciò è possibile senza contraddizione? Giovanni Amendola è stato tra i pochi in Italia, che abbian sentito tutta la forza dei dubbii, che qui innanzi mi sono ingegnato di esprimere con la maggior possibile brevità e chiarezza, e che si siano adoprati a scioglierli con una seria meditazione sui difUcih problemi della vita volitiva. Il risultato del suo pen- siero ci sta dinanzi nel breve, ma notevole scritto: La Volontà è il 3ene. Etica e Religione (Roma, Libre- ria Editrice Romana, 1911. S:\ pp. 65), del quale, prima di sottoporlo ad esame e critica, gioverà deli- ncare brevemente i tratti più notevoli, il che faremo con un riassunto contesto, per maggior certezza di precisione, con le parole stesse dell' Amendola. II. Se la volontà trae da sé stessa la legge suprema della moralità, essa non può essere neanche per un solo attimo indifferente alla natura della morale, non può essere in nessun modo al di qua del bene, come sarebbe se non si prefiggesse per fine l'universale (§ 4). La volontà è essa stessa il bene : ove e e volontà, e' è valore etico e bene ; dove manca il valore etico e il bene, manca pure la volontà. La volontà non può essere buona o cattiva, perche e 268 LA VOLONTÀ E LE PASSIONI 269 essa il criterio, per cui si distingue il bene dal male ; possono essere buone o cattive le cosiddette azioni degli uomini, a seconda che trasparisca in esse la volontà o r assenza di essa. Sono leggi e norme morali quelle formole, che riassumono o consigliano manifestazioni della persona umana rette dal prin- cipio volitivo ; sono leggi e norme immorali quelle formole. che riassumono o consigliano manifestazioni della persona umana, in cui il principio volitivo non giunge ad affermarsi. In che consiste Y azione della volontà ? Dinanzi alla volontà sta la personalità umana tutta intera, di cui essa stessa è parte fuori della sfera pratica, ma a cui nella vita morale si contrappone. La personalità umana - eh' è per Y etica un presupposto — è una vivente molteplicità e complessità di fini dati, di fronte ai quali la volontà deve prendere il suo par- tito. Prendere questo partito significa agire, cioè permettere o inibire. La nostra azione è tutta qui, tutta contenuta nella nostra volontà : il contenuto delle no- stre azioni sfugge a questa, perchè esso è un dato che noi non possiamo volere o non volere. Quel conte- nuto sorge spontaneamente dalla natura eh' è in me. ed il mio volere si limita ad accompagnarlo, frenan- dolo o stimolandolo : esso non costituisce l' oggetto, ma la base del mio volere. La personalità risulta di un fascio di tendenze ad agire, tendenze che si volgono in direzioni vane, disparate, ed anche opposte, e che. se potessero tutte tradursi in realtà, muterebbero il microcosmo umano in un caos. La volontà, dovendo rivelarsi appunto di fronte a queste tendenze, e vivendo del loro con- "4 trasto. ha la sua forma naturale nelF inibizione, di cui la permissione è soltanto un aspetto. Ora, se r inibizione s' effettua, le tendenze alla dispersione, cioè alla morte, vengono contenute, la vita trionfa nella volontà unificatrice, e si dice che Y azione com- piuta è morale. Se Y inibizione non si effettua, se il dato momentaneo prevale e si manifesta all' esterno, si dice che r azione compiuta è immorale. Ma se nel primo caso si può parlare legittimamente di azio- ne, nel secondo caso tale modo di esprimersi è ille- gittimo. Le cosiddette azioni cattive, infatti, risultano dall' impotenza od assenza dell' unità volitiva, e rap- presentano un' estrinsecazione irriflessa ed automatica della personalità, la quale è variabile e complessa. Il soggetto di tali azioni è un' apparizione effimera, inesistente l'attimo precedente, ed inesistente 1' at- timo seguente all' azione : le azioni che si verificano in tali circostanze non possono riferirsi ad alcun soggetto etico, poiché mancano i caratteri di questo, che sono la permanenza e la responsabilità ; sono air infuori del soggetto, sono il non-io. sono non azioni, ma passioni. Azioni non nostre, ma del mon- do che ci circonda e ci coinvolge, in quanto siamo anche noi natura e mondo : sono per noi. in quaato soggetti etici, niente altro che passioni. La moralità umana è, quindi, l'attività del volere, mentre il giudizio d' immoralità si riferisce alla passività delle tendenze (^ 5). Identificata la vita morale con la volizione, non si dice con ciò che. dove la volizione manca, là e' è r immoralità. Prima della volizione, non e e r immoralità, ma soltanto l' amoralità, e la più parte 270 LA VOLONTÀ E LE PASSIONI 271 degli abiti e delle qualità, di cui Y uomo fa pompa e si dà vanto, dando loro nome di virtù, non sono ne morali, ne immorali, ma soltanto amorali. Il campo dcir etica e il campo del dissidio fra la volontà e le tendenze o passioni, e se fra gli elementi costituenti la personalità non vi è ancora contrasto, non v è necessità della volizione per ristabilire Y equilibrio (§ 6). Se r eticità sta nel contrasto fra la volontà e le passioni, Y uomo perfettamente etico è colui, in cui le passioni sono state non già distrutte, ma soltanto dominate. Pertanto Y apatia non solo non rappresenta lo stato perfettamente morale, ma quello amorale per eccellenza (§ 8). L' identificazione del male con la passione non conduce a negare la responsabilità indi- viduale : è vero che la cosiddetta azione cattiva è cattiva appunto perchè non voluta, e, quindi, non mia, ma io sono responsabile di non aver voluto sempre e costantemente (S 9). I precetti etici vanno considerati come consigli di attività, come stimoli al volere, e rivestono, perciò, necessariamente forme di- verse ed hanno contenuti svariatissimi, talora anche ri- pugnanti, dovendo adattarsi ad uomini viventi in tempi, luoghi e civiltà diverse (§ IO). La volontà è il principio unificatore della per- sonalità, e gli stati volontarii differiscono da quelli involontarii, perchè i primi rappresentano Y indivi- dualità unita e compatta, i secondi, F individualità caotica e disgregata. La coscienza etica rappresenta la coscienza limpida dell* unità individuale : è Y in- dividuo, che giunge ad armonizzarsi completamente (§ 1 2). L* uomo etico che riesce ad unificare il pro- prio essere, raccogliendo nella sintesi volitiva la molteplicità degli elementi che lo compongono, può benissimo ignorare Y esistenza della vita religiosa. Poiché r essenza della religione sta nella grazia, cioè in queir azione intima, che si produce talvolta, allor- ché lo sforzo etico impotente dà luogo ali* abbandono, e che ha per risultato la creazione di una persona- lità unita, dove non ne esisteva che una divisa e torbida (S 13) (1). m. Il punto di partenza dell* Amendola è 1* esi- stenza di un io personale, costituito da un aggre- gato o colonia di molti io coesistenti (1* io vegetativo, l' io passionale, 1* io sentimentale, 1* io artistico, l* io intellettuale, e così via), ognuno dei quali è animato da un movimento centrifugo, che tende ad isolarlo dagli altri e dalla loro unità complessiva. Questa tendenza anarchica dei molti io coesistenti dev* esser (1) La posizione dell* Amendola non è ignota nella storia della filosofia della pratica. Senza risalire fino alle teoriche di Socrate, Platone ed Aristotile sulla involontarietà del male, e per fermarci ad antecedenti più prossimi a noi, si ricordi che molti fra i primi kantiani « insegnavano addirittura che la libertà sta soltanto nella autonomia della Ragione, e che le determinazioni, prese dal volere per impulsi subbiettivi, non appartenendo alla ragione, non sono effetti di una facoltà libera; anzi il Reinhold ci riferisce ancora, che un kantiano, traendo la conseguenza naturale da queste pre- messe, concludeva rigorosamente che soltanto le azioni buone sono libere, mentre le cattive sono determinate secondo la causalità na- turale » (Cfr. C. Cantoni, E. Kant. Milano. 1883. II. p. 97). 272 LA VOLONTÀ repressa, e tulli debbono esser ridotti ali* unità dell' io personale (pp. 60-2). Tutto ciò è per l'Amendola un fatto che egli osserva, constata, descrive, che è perchè e (p. 1 9), di cui egli non sa vedere ne V universalità, ne la necessità, e che, pertanto, potrebbe bene essere diverso di come è, o, a dirittura, non essere. Che Fio sia costituito da un brulichio di molti io, e che questi tendano ognuno a farsi parte per se stesso, è, per l'Amendola, un fatto percepito ed appreso come puro fatto, cioè come qualcosa che è per sé e di cui non si scorge il nesso e la relazione nel sistema universale di tutte le cose (nesso e relazione, nella quale esso risolverebbe la sua bruta immedia- tezza di fatto e divenuto, e si porrebbe come farsi e divenire), che è un puro particolare insusceltivo di riduzione all' universale, oggetto di scienza natu- rale e non di filosofia, di osservazione empirica e non di elaborazione concettuale. E, pertanto, privo di valore morale, poiché la morale è nient' altro che r autoposizione dello Spirito come assoluto, come universale, come identità, come relazione, come Sé. Ne dal suo punto di vista l'Amendola può soddisfare all' esigenza da lui espressa della deduzione di una prima forma amorale o premorale, e. insieme, non volitiva, dello spirito pratico, poiché per lui le tendenze sono tendenze solo in quanto mirano a ma- nifestare al di fuori una parte del nostro io in contrasto con altre, e sono, quindi, sentite come in lotta e contraddizione sia con queste, sia con l' io, concepito come unità (pp. 60-2). L' Amendola non raggiunge mai. dunque, il momento della pura tendenza e passionalità, in cui la vera individualità — e quindi E LE PASSIONI 273 universalità — dello spirito pratico e' è solo come negata, ma si ferma al momento in cui la passione è già in lotta con Y io, è già in via d' essere risoluta ed annullata nella e dalla volontà, e nel frattempo è fiaccata e rotta come pura passione, e pertanto viene percepita — e per ciò stesso negata — come tale. Non dell' amoralità o premoralità, ma dell' im- moralità — cioè dell' amoralità percepita come tale, e quindi superata, o in via di superamento, — fa, dunque, la filosofia V Amendola. Né dal momento dell' immoralità egli potrà mai passare a quello dell' amoralità o premoralità. Poi- ché il punto di vista, dal quale s' è collocato, è quello della Psicologia, e la Psicologia come scienza naturale non conosce il farsi, ma il fatto, non il di- venire, ma il divenuto, non 1' esigenza in via di soddisfacimento, ma il bello e adempiuto, e pertanto nella posizione stessa del problema include analitica- mente la sua soluzione, e però non può veramente porre e risolvere problemi. Così 1' Amendola, fin dal principio, ha dovuto porre come pura tendenza e pas- sionalità la tendenza e passionalità già risoluta, sì che, credendo di muoversi e progredire, egli non fa, invece, che star sempre fermo allo stesso punto, o, tutt' al più, avvolgersi attorno a sé stesso. Colpa, questa, non sua, ma del metodo psicologico, impo- tente a concepire che l' io è, sì, 1' assoluto indivi- duale, o, eh' è lo stesso, 1' assoluto universale, ma nel punto di partenza del suo sviluppo è tale solo in sé e non per sé, implicite e non explicite, e però non è davvero assoluto individuale o universale, ma soltanto assoluta esigenza d' individuazione o univer- 18 — A. TiLOHKR. 274 LA VOLONTÀ salizzazione, e che. per soddisfare davvero a questa esigenza, per essere per se quello che è in se, per adeguare la sua esistenza alla sua essenza, ha biso- gno prima di porsi come altro da se. di manifestarsi come tendenza e passionalità, come pura molteplicità. per potersi poi negare in quella forma e porsi come identità di se con se nel e attraverso il molteplice della vita volitiva. Ed appunto perchè, fin dal primo momento, r Amendola ha posto come un dato V accordo ( al- meno potenziale) tra io e tendenze, dove, invece, non doveva porre che il delirio bacchico e sfrenato delle passioni, egli può. non contraddicendosi, am- mettere che r individualità può realizzarsi anche nel puro e semplice accordo naturale delle tendenze, e che r accordo con se stesso si può ottenere pur nello stato di assoluta passionalità ed involontarietà. 11 che noi neghiamo recisamente, essendo assurdo che possa realizzarsi T accordo di se con se. che, cioè. Y es- senza e r esistenza delF io possano coincidere loto coeh nello stato di pura passionalità, eh' è lo stato deir altro da sé. Come mai potrebbe sentirsi e porsi ed agire come Sé un essere, il quale è tutto le sue passioni, è tutto Y oggetto appetito, è tutto la res exiranea. il piacere singolo, il gusto contingente, verso cui lo traggono con irresistibile furia le forze elementari, in cui s' è disgregato ? Di quest' essere non si può dire neppure che ha passiom, ma solo che è passioni: egli non le lascerebbe neppure anda- re, come un pastore assopito guarda scorrere 1 acqua, poiché, per lasciarle andare e guardarle, dovrebbe distinguersene, ed egli, invece, non è neppure un E LE PASSIONI 275 inerte spettatore di questo fluire, ma è il fluire me- desimo, or lento or veloce. Né mai r Amendola supera il contrasto fra le tendenze e Y io, che è il suo primo e solo punto di vista, come un attento esame della sua teorica della volontà ci mostra chiaro. In fondo, checché egli dica in contrario, è evidente che per lui la vo- lontà è una tendenza fra le tendenze (cfr. § 5 e pp. 59-62). Ci sono le tendenze e e' è la volontà, e tutte e due ci sono perché ci sono, e potrebbero anche non esserci. Le tendenze nel loro complesso costituiscono la personalità, e della personalità la volontà, come volontà, fa parte, ed in qualche caso ci si conUap- pone, ed allora si ha la dialettica della vita morale. La volontà è, dunque, un particolare fra particolari, un elemento dato di un molteplice dato, che essa non ha costituito, ma che si trova dinanzi come un presupposto, e di cui fa parte, ed allora come può avere la forza di creare la vera personalità ed indi- vidualità, e dal caos trarre Y ordine, dal molteplice r uno ? Riesce, almeno, a dimostrare 1' Amendola che noi ci sentiamo io solo nelle azioni volontarie, e che la pura tendenza, appunto perché involontaria, non ci appare come nostra? Francamente, non sembra, ed anche qui la colpa è del metodo psicologico, che ignora lo sviluppo, e che, impotente a vedere come dalla pura tendenza il processo dialettico tragga Y io, se la cava col fare di questo una colonia di io, o, eh* è lo stesso, un aggregato e somma di tendenze. E tutta la vita dell' io, posto fin da principio come io, e perciò privo di sviluppo vero, consiste o nel- 276 LA VOLONTÀ r allontanarsi o nelF avvicinarsi delle varie unità che. sommate, lo costituiscono, ma. in ogni caso, la sua natura profonda non muta, ma rimane sempre immo- bile e astrattamente identica a se stessa: nel primo caso r io è soltanto o a, o t. o e. o d; nel secondo. Q J^ b + e + d; ne\ primo caso si sente io per intero, nel secondo, solo in parte; ma tutta la diffe- renza h di quantità, e nient* altro che di quantità. E però, nella concezione delF Amendola, non soltan- to r azione, ma anche la pura tendenza è sentita come nostra, benché meno nostra di quella. Di con- tro a questa falsificazione della vita pratica, bisogna mantener fermo che V io non e la somma di molti non-io, ne la volontà è la somma di molte tendenze, sì bene l'identità di queste, che si pone come iden- tità, come Se. attraverso i particolari, quindi solo negandone e superandone Y immediata esistenza di particolari. Del resto, nella concezione dell Amendola, a che serve la volontà ? A creare il senso dell* indi- vidualità, della personalità, dell'io? Ma se essa sorge solo nel contrasto delle tendenze, è chiaro che, per essere avvertite come in contrasto, queste debbono essere sentite come in lotta con un unità, che mirano a disgregare, e che, se si fa sentire come in lotta con quelle, vuol dire che preesiste alla vo- lontà ed air accordo che questa riesce a realizzare fra essa e le tendenze. Dell'intimo vizio da cui è rosa ogni concezione, che ponga la volontà accanto alle tendenze, e che la renda particolare e contin- gente come queste, non è mancata coscienza allo Amendola, che — sia detto a sua lode — ha voluto E LE PASSIONI 277 almeno non esser coerente nell'errore, e. non sapendo come sollevare la volontà al di sopra della particola- rità e della contingenza delle tendenze, ha affermato che la volontà non ha contenuto proprio, ma si limita ad inibire o permettere il contenuto delle tendenze, ed ha creduto così di fondare su basi granitiche la teoria del formalismo etico. Come se contenuto puro --- cioè formale — della volontà significasse assenza di contenuto, e come se fosse pensabile un mero inibire o permettere, senza qualcosa — forza od energia — che in esso si manifesti ! Del resto, anche così concepita, la volontà resta più che mai accanto e fra le tendenze, e però 1' unità, a cui può ricon- durre queste, è unità meramente meccanica e non or- ganica. L' unità meccanica, infatti, è essa stessa una cosa particolare, una differenza, un centro, e però agisce dal di fuori, come semplice forza sulle altre, mentre 1' unità organica non è una cosa particolare, una differenza, un centro, separato dalle cose di cui è centro, e però può penetrare dovunque, ed informare alla sua energia tutte le differenze. Che, del resto, in simile concezione la vita morale sia negata senza scampo, è cosa di assoluta evidenza. L' Amendola, infatti, afferma che la volontà non distrugge, ne annulla la tendenza, e solo si limita a sopprimerne quel tanto, per cui essa è incon- ciliabile con le altre, o a trattenere e comprimere queste per dar libero corso a quella. Qui, dunque, la tendenza è e resta sempre pura tendenza, e tutto quello che la volontà riesce ad operare è l' accordo delle tendenze, la coerenza della passionalità ed impulsività. La finitezza e contingenza della pura 278 LA VOLONTÀ passione non è superata, ne in alcun modo è rag. giunta quella individualità universale, che è lo scopo e l'essenza della vita etica: poiché, per sentirsi in- dividuo, bisogna sentirsi se (cioè identico, e quindi universale) almeno in due momenti della vita pratica, e cioè aver superato quella forma, in cui lo spirito è lutto la sua passione dell' istante, e non s' è ancora distaccato da questa, e posto come superiore ad essa. La volontà non si limita, quindi, a sostituire ad un mondo caotico di tendenze un mondo più coerente ed ordinato, cosa affatto priva di valore morale, ma al mondo delle tendenze ne sostituisce uno diverso e superiore per forma e contenuto, in cui la ten- denza, come tendenza, è posta e negata dallo Spirito che si realizza come universale. Così solo è possibile criticare un altro errore deir Amendola, che, del resto, è logica conseguenza del suo concepire la volontà come una tendenza fra tendenze. Infatti, per lui. come una tendenza può esistere, benché soffocata e compressa, accanto ad un'altra vittoriosa e trionfante, così la volontà più decisa e risoluta può coesistere con una passione prepotente e formidabile, che ne riduce a nulla lo sforzo : ma se anche in questo caso si sia voluto e si voglia con tenacia e vigore, nulla importa alla vita morale la sconfitta della volontà (pp. 24-5). Come se davvero la volontà potesse vivere accanto alle passioni e restare volontà — decisa e forte per giunta, — mentre quelle spiegano tutta la selvaggia forza della loro natura, e come se volere ^ cioè sentirsi, porsi ed agire come Sé, come individuo, come universale, come identità di se con sé nella E LE PASSIONI 279 molteplicità della vita pratica — non fosse lo stesso che vincere e fiaccare le passioni anche più forti e tremende. Certo, il dominarle è lavoro aspro e rude, ma, compito che lo si abbia, posti che ci siamo come Sé, adeguata la nostra esistenza alla nostra essenza profonda, e cioè realizzata davvero la nostra essenza, una gioia infinita ed augusta, una pace serena e solenne ci riempie X animo, e in essa il nostro Sé celebra 1' avvenuto acquisto ed il tranquillo pos- sesso e godimento e contatto di sé medesimo. Pace e gioia, che non ci saranno mai date dall'inibizione che è sforzo e compressione dolorosa, e, ben lungi che acquisto, diminuzione e sacrifìcio (almeno parzia- le) del nostro io. Al qual proposito resta da osservare che, se 1' unità dell' individuo può esser raggiunta, come crede l'Amendola, sia con un naturale spontaneo equilibrio di tendenze, sia con un abbandono nelle mani del trascendente (la grazia della religione), sia con l'inibizione della vita volitiva, non si vede per- ché questa, cui pure egli riconosce pregio minore che alla grazia, debba esser messa un grado più in su del naturale accordo delle passioni, quando, in- vece, conduce (se conduce) allo stesso risultato di questo, e per vie assai meno faciU e più dolorose. IV. Tutte queste contraddizioni sono risultato neces- sario dell' immediatezza del punto di vista dal quale s' è messo l' Amendola, e dal quale la volontà gh apparisce come qualcosa di bello e fatto, di perfetto 280 LA VOLONTÀ e compiuto sin dal primo momento della vita pratica. e che aspetta solo di mettersi in moto e di spiegare la sua energia quando le tendenze non riescano a comporsi da se in un naturale accordo ed equilibrio. in tal modo, non solo Y essere della volontà, essendo un fatto e non un farsi, un dato e non un porsi, è immediato, e però estrinseco alla volontà, ma il suo stesso manifestarsi, dipendendo da un elemento estra- neo alla volontà (il realizzarsi o meno di un accordo delle tendenze), le è esteriore e indifferente. Così la volontà è affatto fuori di se, è Taltro da se, ne mai può essere radice e fondamento dell' io, del Se, cioè dell' assoluta sintesi d' individuale ed universale. Ora, la volontà non è nulla d'immediato e di bello e fatto, ma è un farsi, un porsi, un realizzarsi assoluto. Essa è un grado o momento necessario, che lo Spirito deve traversare, per giungere a porsi come assoluta identità di se con se. E per porsi come tale, cioè come identità assoluta di tutte le cose, lo Spirito deve prima porre le cose, il molteplice, per risolverlo poi nella sua unità. E questa suprema legge dialet- tica s' applica allo sviluppo dello spirito pratico, non meno che a quello delL spirito teoretico. In sé, lo spirito pratico è 1' unità sintetica a priori pratica del- l' universale e del particolare, della virtù e della pas- sione, della volontà e della tendenza, ma non può porsi come tale unità per sé, cioè come vera identità di sé con sé nel molteplice delle tendenze, se prima non ponga questo molteplice. E però lo Spirito pra- tico deve necessariamente traversare un primo grado, in cui si ponga come pura passione, pura tendenza, puro desiderio, puro gusto pratico, come alienazione E LE PASSIONI 281 e dedizione ed assorbimento di sé nell'altro da sé. Ma anche in questo primo grado esso non è sol- tanto passione, soltanto tendenza, soltanto desiderio, che, se tale fosse, tale resterebbe, né mai lo si ve- drebbe salire ai cieli della moralità, ma anche m questo primo grado è unità di sé e dell' altro da sé, di io e non-io, di virtù e passione, di moralità e tendenza, di universale e particolare, nella forma del particolare. Perciò il primo grado, o momento i- deale. dello spirito pratico, in cui lo Spirito vuole realizzare l' unità di sé e dell' altro da sé nella for- ma dell' altro da sé, è una contraddizione vivente, che rende affatto impossibile in questa forma l' ac- cordo di sé con sé, quell' accordo, che nessun equi- librio di tendenze potrà mai realizzare. E lo Spirito avverte questa contraddizione e la supera, acquistan- do coscienza di sé come assoluta identità e coerenza e permanenza e soggettività, e dissolvendo così la bruta passionalità, nella quale si era prima aUenato e perduto. Infatti lo Spirito, che si sente identico a sé in due o più momenti della sua vita pratica, ha su- perato il grado in cui esso era, uno per uno, ciascun momento e niente altro che questo, e si pone e rea- lizza come Sé, come universale, come lo. Così la passionalità è affatto risoluta nella volontà, che la pone come negata ; così, agendo come volontà, cioè come identità di sé con sé, lo spirito agisce come libero ed autonomo, dovendo a sé e non all' altro da sé (alla passione) la determinazione della sua azione, e pertanto si pone come universale, cioè come vero individuale. Il vero individuo, infatti, è quello che ha in sé, e solo in sé. la ragione del 282 LA VOLONTÀ suo essere e del suo porsi, e tale è soltanto Y uni- versale, cioè r identità che pone e sente se stessa come identità, in cui s' è risoluto il molteplice. Non perchè, quindi, la volontà non ha il contenuto delle tendenze (anzi ne è F assoluta negazione), essa è priva di contenuto suo proprio. Il formalismo etico non consiste in ciò. La volontà ha un contenuto suo proprio che pone e realizza nell' essere, e questo è sé stessa, cioè il senso della identità dello Spirito nella molteplicità della vita pratica. Essere ed agire come Sé : ecco il contenuto della volontà, contenuto che non è empirico, contingente, transeunte come quello della passione, ma necessario ed universale, cioè formale. Roma, giugno del 1912. APPENDICE Per la miglior comprensione del saggio precedente, riporto qualche brano di un articolo da me scritto in difesa della critica della Filosofia della Pratica di Benedetto Croce, in esso contenuta (Li- berta e Volontà nella filosofia di B. Croce, 2^ parte, ne La t^Cuova Cultura, Torino, marzo 1913). « Ncir Estetica' (p. 66) il Croce dice : « la buona volontà non sarebbe volontà, e. per conseguenza, neanche buona, se. oltre il lato che la rende buona, non avesse quello che la fa volontà ». Dal che si ricava con ogni evidenza che, pel Croce, la volontà buona è la risultante di due fattori : 1' uno che la rende volontà, e r altro che la rende buona ; e che questi due fattori possono, sì. unirsi, ma non s* identificano in nessun modo. E poiché pel Croce volontà e libertà sono sinonimi (Filosofia della pratica, pp. 121-32), è chiaro che ciò che costituisce volontà la volontà e libertà la libertà, non è lo stesso di ciò che costituisce buona la volontà buona. Il criterio della bontà o moralità non è. dunque, nella volontà o libertà, ma nella volontà o Hbertà più qualcosa. 11 criterio della bontà o mora- lità è, dunque, da cercarsi fuori della volontà o libertà, cioè nel- r oggetto di questa. E poiché, come Kant ha provato una volta per sempre (nel Fondamento della metafisica dei costami), ogm elica, che riponga altrove che nella volontà o libertà la radice della bontà o moralità, è condannata inesorabilmente all' eteronomia, cosi, non avendo il Croce riposto Y essenza della bontà nella vo- lontà, malvado ogni sforzo in contrario non può riuscire ad un* etica veramente autonoma. Qual' è la ragione di tutto ciò? E l'aver concepito la volontà (^ libertà) non come processo e mediazione, ma come qualcosa d'immediato e già fatto ». Pel Croce, infatti, « ciò che differenzia il momento economico da quello etico non è già V interna dialettica della volontà, o libertà, che in entrambi è perfettamente la stessa, ma soltanto l' oggetto ^m^' 284 APPENDICE che il volere si propone, e che nel momento economico è V indivi- duale, in quello elico V universale. La volontà è. cosi, differenziata dal di fuori : in sé e per sé. essa è indifferente alla sua discnmi- nazione in volere economico e volere elico ; è un fenomeno mdif- fcrenlemente pratico, o. come mi espressi nel mio articolo Io, Libertà, Coralità nella filosofia ài Enrico Bergson (La Cultura, Roma. 1912, nn. 22-3). genericamente pratico. Neil' aver concepito la volontà come fenomeno genericamente pratico, cioè come alcunché d'immediato, é per me il difello capitale della Filosofia della pratica del Croce ». Dalla sua teoria il Croce deduce che non ogni volizione eco- nomica é per ciò stesso volizione etica, ma ogni volizione etica é, insieme, anche volizione economica. « Volere economicamente è W^lere un fine ; volere moralmente è volere il fine razionale. Ma appunto chi vuole e opera moralmente, non può non volere e operare utilmente (economicamente). Come potrebbe volere il razionale, se noi volesse, insieme, come fine suo particolare?^. Invece. « si può volere economicamente, senza volere moralmente » (Estetica^, p. 65). Il fatto economico « non sta in antitesi col fatto morale ; ma nel rapporto pacifico di condizione a condizionato. E la condizione generale, che rende possibile il sorgere dell' attività elica. In concreto, ogni azione (volizione) dell' uomo è o morale o immorale, non essendovi azioni moralmente indifferenti. Ma tanto il morale quanto l' immorale sono azioni economiche ; il che vuol dire che l'azione economica, per sé presa, non é né morale né immorale »> (Materialismo economico ed economia marxistica-, pp. 270-1). Teoria dei gradi, per cui a può star senza b. ma b non può stare senza a. anzi b af qualcosa. Per noi. invece, il vo- lere etico é essenzialmente la negazione dialettica del volere economico o utilitario come tale : b - a. Volere economico e volere etico p«l Croce sono semplici distinti: per noi. opposti. *v SBNSO E INTELLETTO li: ■ : T 4 i 1 'è y iiii«iHl|ii»ii Per r Hegel, lo spinto umano comincia il suo sviluppo come semplice anima. L' anima, al pnncipio, è indeterminata ed immediata ; è lo spirito come inde- terminato ed immediato, allo stato di semplice poten- zialità. L' anima è senso di se medesima, e, al principio, senso immediato, indeterminato, indistinto, illimitato : non senso di questo o di quello, ma senso in generale, pel quale essa è in comunicazione con la natura esterna. In questo stato iniziale, Y anima è chiusa, e quasi contratta, in se stessa: il suo svilupparsi consiste nel suo determinarsi, limitarsi, particolarizzarsi, nel suo individuarsi e concretarsi. Essa " riceve in se immediatamente e idealizza la natura, tutte le determinazioni naturali ; si fa come immediato micro- cosmo ; si configura e s' imagina ; diventa senso di se e delle cose; assume e riassume in se le determi- nazioni sideree, solari, terrestri, climatiche; e razza e nazione ; disposizione naturale, temperamento, età, abito, carattere „ (B. Spaventa, Principii di etica, p. 63) ; e così, da sentimento fondamentale indeter- minato e illimitato, diventa anima reale e individuale. 288 SENSO E INTELLETTO 289 11 II L* anima è senso. Sentire non è solo essere : è essere e sapere di essere ; è realtà, che tocca e compenetra se stessa come realtà. Altro è, però, sus- Mstere come essere che tocca e compenetra se stesso, come essere che è identità di se con se, altro avere questa identità stessa a oggetto del proprio sapere; altro è essere identità di se con se, altro sapere di esser tale. Nel primo caso, T identità è il compe- netrarsi della realtà con se stessa ; nel secondo caso, il compenetrarsi della compenetrazione medesima. Alla fine del suo sviluppo come anima, lo spirito è perfetta identità di se con se, ma non sa di esserlo ; e identità, ma non è tale per se; e però è im- mediata coincidenza di se col contenuto particolare, di cui s'è riempiuto nel corso del processo antro- pologico. Il processo fenomenologico dello spirito comincia a questo punto. La prima coscienza o sapere è la coscienza sensibile; ogni altra forma di coscienza vien dopo di essa ; e prima di essa non v' è co- scienza, ma solo r anima completamente sviluppata come anima senziente. La coscienza, in generale, è alto distinguente e unente di soggetto e oggetto, di io e Non-Io: è distinzione e unione insieme, rela- zione, giudizio. Appunto perchè distinzione di sogget- to e oggetto, la coscienza è sapere. La coscienza sensibile è il primo e più povero sapere, perchè dà la più semplice ed immediata determinazione che si possa enunciare di una cosa, della quale dice soltanto questo: che essa e. L'essere non è dato sensitivo, è atto intellettivo ; non si sente, si pensa ; e come primo pensabile, è F immediato. L* immediata certezza della coscienza sensibile consiste, appunto, nel suo predicar V essere. La coscienza sensibile, per quanto immediata, è però sempre atto distintivo e determinativo: essa non ci dà soltanto il molto sensibile, né soltanto il puro concetto dell'essere; ma unisce immediatamente il molto sensibile nel- r unità deir essere, e così lo distingue come oggetto dall'anima come soggetto (B. Spaventa, Principii di etica, pp. 62 sgg ; Logica e Metafisica, pp. 39 sgg. ; G. Hegel. Enciclopedia. §§ 387 sgg. ; "Phàno^ menologie des Geistes. II. in IVerke. H pp. 71 sgg.). Nella concezione dell' Hegel la coscienza sen- sibile è coscienza predicante : i sensibili ricevono da essa il predicato dell' essere, che, come I' Hegel dice, è il più ricco e il più povero, insieme, dei predicati. Ora, predicare è attività che non è del senso come tale, ma essenzialmente dell' intelletto. Il predicato dell' essere sarà il più povero fra tutti i predicati, perchè contiene la più astratta e vuota determinazione, ma l' intelletto solo può generarlo : il senso non ne è capace. La coscienza sensibile dell' Hegel è, dunque, come 1' Hegel stesso riconosce, più che sensibile ; è intellettiva ; e si distingue dalle forme superiori della coscienza non perchè queste predicano ed essa non predica, ma perchè essa pre- dica l'essere ~ il predicato più povero e più ricco, insieme, fra tutti —. e quelle predicano altn predicati. Ma è assolutamente impossibile concepire le forme dello spirito come tali, che si distinguano fra loro dalla varietà dei loro predicati, se no il mondo dei concetti è ridotto in pezzi e frantumi, dei quali 1' uno appartiene a una forma della co- 19 — A. TlLOHEK. 290 SENSO E INTELLETTO 291 scienza. 1' altro a un altra. Ora, predicare è giudi- care; giudicare è pensare; e pensare è funzione e at- tività unica e indivisibile dello spirito, e propnamente quella in cui lo spirito spiega e celebra tutta quanta la sua natura, adegua se stesso a se stesso la sua esistenza alla sua essenza, ed esiste non solo in se. ma per sé. In ogni predicato è implicito ed immanente lutto il mondo dei predicati, dei concetti: in ogm giudizio lo spirito h presente tutto quanto come spirito giudicante, pensante, autocosciente: tutto quan- to, non già con uno solo dei suoi predicati. Se i concetti formano un organismo, se quest* organismo e r organismo stesso del pensiero, è la legge stessa dell' attività pensante, è chiaro che. quando quest or- ganismo agisce, esso agisce tutto quanto come orga- nismo, non già con uno solo dei suo. organi o membri. Sarà un organismo concettuale ricco e dil- ferenziato, o povero e rudimentale, ma esso è pur sempre tutto quanto presente come attività giudicante in ogni singolo giudizio; e però non è possibile distinguere i giudizii e. per essi, le forme della co- «:ienza fra loro dalla varietà dei loro predicati. Quali caratteristiche della coscienza sensibile l'Hegel indica la particolarità e l'esteriorità. Ora. cosa vuol dire che il sensibile si presenta allo spinto come esterno e particolare? Vuol dire che lo spi- rilo lo apprende come dato dal di fuon, come un limite che gli s'impone necessariamente e inelut- tabilmente, senza che sia in poter suo accettarlo o respingerlo, che, anzi, gli s'impone tanto necessana- mente che esso, in quanto coscienza sensibile, non s* accorge di questa neccMrtà e ineluttabilità del dato. l il quale appunto per ciò gli si presenta come qual- cosa di estraneo, quasi effetto di forze misteriose agenti dal di fuori. Ammettere che la sensazione sia effetto meccanico di forze o di esseri, esistenti fuori dello spirito ed operanti sulla sua passività, è avvol- gersi nei più tortuosi labirinti del materialismo e del dualismo. Solo ciò che è prodotto dallo spirito può esistere per lo spirito e nello spirito; il sensibile è nello spirito e per lo spirito, dunque è anch'esso produzione e creazione spirituale. Ma è fuori dubbio eh' esso ci sembra venir dal di fuori, e ci si presenta come un dato immediato: dunque, se è produzione dello spirito, è produzione immediata, e però inco- sciente e irriflessa, di esso. Cosa vuol dire produzione immediata, irriflessa e incosciente dello spirito? Vuol dire produzione, quindi attività spirituale, che non afferra, non tocca, non compenetra se stessa come attività produttiva e creativa, e che, pertanto, si esaurisce e si perde tutta nel suo prodotto. Questo appare, perciò, allo spirito come esterno a lui, come dato dal di fuori, come particolare (poiché si conosce come universale, è universale per se, è universale reale e concreto, solo Fattività produttiva, che si afferra, si tocca, si pone come tale, ciò che qui non è il caso), e, come par- ticolare, transeunte e mutevole. E poiché l'attività come tale qui sfugge alla coscienza, non ripiegandosi, ne riflettendosi su se stessa, solo il prodotto come prodotto entra nella coscienza, e però le si presenta come alcunché d' inattivo e di statico, che non ha m se, ma fuor di se la causa e il principio del suo sorgere e del suo trapassare. Questo stato è quello 292 SENSO deirio come immediata coincidenza di se col suo prodotto; è Pio come immediala indistinzione di sog- getto e oggetto, come altro da se, come natura, co- me puro particolare. Questo stato è la prima epoca nella storia dello spirito; è lo spirito come natura reale, concreta, vivente. Lo spirito come autoco- scienza, come concetto, come veramente spirito, ha le sue radici nella natura così intesa, nello spinto come pura coscienza, come pura intuizione, come puro soggetto-oggetto; e questo non si comprende, quando della natura si fa qualcosa posto fuori dello spirito, e perciò inesistente e irreale, vero idolo del pensiero, morto prodotto dell' astrazione. Intesa la na- tura come rio nello stato dell'altro da se, come pura intuizione, come coincidenza ed equazione di lo e Non-Io, s'intende che, essendo l'Io attività distin- guente-unente, sintesi a priori di soggetto e oggetto, di universale e particolare, anche la natura è attività distintiva, è distinzione produttiva dei distinti, i quali, dunque, non esistono come tali fuori e prima della distinzione, ma tali appaiono esistere allo spirito, per- che l'attività distinguente stessa non cade nella co- scienza. Essendo, dunque, anche ora attività distintiva e unificativa in uno. che stringe e puntualizza m unita i distinti che produce da se, l' lo è unità, insieme, e molteplicità, quindi identità in pari tempo che di- versità, e però senso, coscienza e avvertimento di se, benché immediato e irriflesso. Tutto ciò spiega perchè nella pura sensazione sia assolutamente impossibile il giudizio, la predicazione. Giudicare, predicare è universalizzare, è sussumere l'individuale sotto l'universale, puntualizzare l'univer- E INTELLETTO 293 sale neir individuale. Nel giudizio l' Io non è solo sintesi a priori d' individuale e universale, come nella mera sensazione, ma è Io per se. e unità che si spiega dinanzi a se come unità, che si tocca, si afferra, si compenetra, si avverte, si celebra come sintesi reale e concreta, come attività produttiva e creativa, e si pone ed esiste, perciò, davvero come sintesi e attività, quindi come universale. Giudicare è porsi come attività, è 1' attività che pone se come og- getto di se stessa, è l'Io che pone se come Io Io, è autocoscienza. Tutto ciò presuppone già superato Io stato, in cui lo spirito era attività puramente immediata, profondantesi nel suo prodotto, e, per se, solo prodotto, non produzione. Ammettere che lo spirito come in- tuizione possa essere, nello stesso tempo e in un atto solo, spirito come concetto, come giudizio, come predicazione, è ammettere che lo spirito intuente possa, nell'atto d'intuire, afferrar se stesso come intuizione : e allora si avrebbe l' intuizione dell' in- tuizione, e poi r intuizione dell' intuizione dell' intui- zione, e così via, in un vano progresso indefinito, che è spezzato solo perchè l' intuizione è intuizione tout court, in forza della quale lo spirito intuente rende se oggettivo a sé stesso nell' oggetto suo, in cui vede e tocca se stesso, benché noi sappia. E' lo stato in cui lo spirito vive come puro essere, è e non sa di essere, fa e non sa di fare, agisce e non sa di agire, e però non è spirito sensu potiori, ma è mondo particolare ed esterno, o natura. In questo stato lo spirito è e non dice : è ; non dice nulla. Se dicesse : è, se predicasse 1' essere, non sarebbe puramente e semplicemente, ma sarebbe e direbbe di essere, 294 SENSO sarebbe essere e sapere delF essere, quindi divenire, distinzione, pensiero ; pensiero come concetto, giu- dizio, sillogismo. Ma lo spirilo in questo stato non dice nulla : esso vive la sua vita muta e inconsape- vole, cioè tale che a una superior forma spirituale apparirà muta e inconsapevole. Tutto e a priori nello spirilo, concetto e intui- zione, e deir intuizione non solo le forme, ma anche la così delta materia. Lo spirito non è mai passivo, e sempre attivo, e cava tutto da se. Non esiste nello spirito una passività sensibile di fronte all' attività intellettuale, come credeva Kant • anche il senso è attivo, a suo modo. Tra i filosofi moderni affermarono questo concetto, con maggior chiarezza e vigoria degli altri, il Leibnilz {Monadologie) e lo Schelling (Sisterrìa dell* idealismo trascendentale. III sezione: Annotazione generale alla terza epoca). Tutto è a priori per lo spirilo, poiché lutto egli produce da se. ma. in pari tempo, tutto gli è a posteriori, poiché la prima produzione dello spirilo è inconscia, e però eli si presenta come un dato, da cui esso con Y a- strazione ricava e porta alla coscienza ciò che v ha messo inconsciamente. Tutto e a priori come pro- duzione dello spirilo ; lutto è a posteriori come co- scienza di questa produzione. E questa V unica via di conciliare a priori e a posteriori, concetto e intui- zione, scienza ed esperienza. Ma se si concepisce lo spirito come tale, che fin dal primo vagito universa- lizza, predica, concettualizza, giudica, e si mette al principio quello che vien solo alla fine, cioè la coscienza dell' attività sintetica come tale, allora quella conciliazione dialettica è del lutto impossi- E INTELLETTO 295 bile, r a priori è soltanto a priori, e si casca nel!' in- natismo. Per la filosofia trascendentale sola realtà concepi- bile è lo spirito, e questo produce da sé Y oggetto suo. è sintesi a priori di soggetto e oggetto, cioè non accoglie altronde il suo contenuto, ma lo produce da sé. E però non si può ammettere nello spirito un senso passivo, di fronte o accanto a un intelletto attivo. Il senso, rindividuale, l'intuizione non sono che lo stes- so intelletto, universale, concetto nella forma dell'im- mediatezza, deir irrelazione, dell' indistinzione. Come già fu da noi dimostralo, lo spirilo non può porsi come intelletto e mediazione, se prima non si pone come senso e immediatezza. L' intelletto non è ne indiffe- rente ed estraneo alla sensazione (intellettualismo astratto), ne semplice composto ed aggregalo di sensazioni (sensualismo astratto) : è l' attività pro- duttrice della sensazione giunta a coscienza di sé. La sensazione non è mantenuta tal quale nel!' intel- letto, senza modificazioni e alterazioni, poiché Y in- telletto la contiene in sé posta e negata come suo momento subordinalo, ma per ciò stesso conservata e inverala, e. in una parola, superala. 1ioma. maggio del 1913. ETICA E GNOSEOLOGIA TEORIA DEL PRAGMATISMO TRASCENDENTALE I. GNOSEOLOGIA DIMOSTRAZIONE DELL'ASSOLUTA IDENTITÀ DI ESSERE E CONOSCERE, E DEDUZIONE TRA- SCENDENTALE DELL' ESSERE O CONOSCERE DAL PURO VOLERE O DOVERE. 1. — Da quel complesso di percezioni, che dalla maggior parte degli uomini è qualificato come oggettivamente esistente, e che forma per noi il mondo reale, oggetto del nostro sapere, separiamo, con un atto di astrazione, tutto ciò che il nostro pensiero vi ha aggiunto, e cerchiamo di rivivere la percezione com'è in se stessa, quando non è stata ancora ela- borata dal pensiero. Gli oggetti della percezione ci si sveleranno, allora, come semplici aggregati e com- plessi di sensazioni soggettive, unificate dall'attività sintetica dello spirito. - Facciamo astrazione anche da quest'attività sintetica dello spirito, sforziamoci di giungere alla sensazione pura, e vedremo quei 300 ETICA complessi di sensazioni, che sono gli oggetti, scom- porsi e disgregarsi; gli odori, i colori, i sapon. i suoni, tutte le qualità sensibili, insomma, staccarsi le une dalle altre, ed ognuna farsi parte per se stessa. — Ora, queste sensazioni elementari, dalla cui sintesi risulta il mondo degli oggetti, che costituisce la no- stra esperienza, sono stati affatto soggettivi ed indi- viduali, semplici modificazioni del nostro spirito. Pure, a queste modificazioni esclusivamente indivi- duali e soggettive noi attribuiamo realtà assoluta : quegli aggregati di sensazioni, che sono gli oggetti, ci appariscono come esseri o cose, esistenti, in se e per se, prima, indipendentemente e fuori della no- stra percezione, e che esisteranno ancora, dopo che avremo cessato di percepirli. — Ma non a tutti gli aggregati di sensazioni noi attribuiamo la qualifica della realtà indipendente ed assoluta: ve ne sono di quelli cui la neghiamo, cui non attribuiamo altro valore che di semplici modificazioni individuali e soggettive del nostro spirito; e tali sono i sogni, le allucinazioni, le fantasticherie, e simili. — Qual* è il criterio distintivo, in forza del quale la qualifica del- l'esistenza oggettiva e indipendente viene concessa a certi aggregati di sensazioni e negata a certi altri? Come e perchè si dislingue il sogno dalla veglia? 2. — Si è detto che le immagini del sogno sono meno forti ed intense di quelle della veglia, e per questa minore lor forza ed intensità sono qualifi- cate irreali, di fronte a quelle della veglia, qualificate reali. Ma vi sono sogni fortissimi ed intensissimi, con tutto ciò riconosciuti come sogni ; e rappresentazioni E GNOSEOLOGIA 301 deboli e fioche, cui, nondimeno, si attribuisce realtà. Senza dire che questo criterio è puramente quanti- tativo, mentre la differenza fra sogno e veglia, o, più filosoficamente, fra mera rappresentazione e perce- zione, non è di quantità, ma di qualità, essendo dif- ferenza fra ciò che non esiste in se e ciò che esiste in se; e questa è bene differenza assoluta. — Ha in comune con questo il carattere di essere solo quantitativo, ed incorre perciò nelle stesse critiche, r altro criterio distintivo del sogno dalla veglia, o della mera rappresentazione dalla percezione, in base all' in- determinatezza deir una e alla determinatezza dell* al- tra o alla minore determinatezza delFuna e alla maggiore determinatezza dell'altra. — Si e detto che le percezioni si distinguono dalle mere rappre- sentazioni, perchè quelle sono imprevedibili, queste prevedibili ; quelle, non sottoposte al controllo della volontà, queste, sottoposte. Ma vi sono sogni impre- vedibili e non voluti, che restano sogni; e perce- zioni volute e prevedute, cui, nondimeno, si attri- buisce realtà in se. - Si è detto che alle perce- zioni corrisponde un oggetto esistente in se e fuori di noi, mentre ai sogni ed alle allucinazioni non ne corrisponde alcuno. Ma se l'oggetto esterno, cui corrispondono le percezioni, è davvero e assoluta- mente esterno, perciò stesso è fuori del nostro spinto, e noi non ne sappiamo nulla; e questo criterio si riduce a presentare come soluzione del problema : — perchè ad alcune delle nostre sensazioni venga at- tribuita realtà in sé, e ad altre no, — il problema stesso. — Tutte quante queste soluzioni del proble- ma son false, perchè vogliono cercare la differenza 302 ETICA E GNOSEOLOGIA 303 i del sogno dalla veglia in una qualità materialmente inerente a ciascuna immagine dell* uno e dell* altra. Ora, tanto gli oggetti sognati quanto quelli realmente percepiti sono, di per se presi, aggruppamenti di sensazioni individuali e soggettive, e nuli' altro, fra i quali non e' è nessuna diversità, o meramente quan- titativa. 11 criterio della distinzione del sogno dalla veglia non è, dunque, nell' immagine singola per se considerata, ma in qualcosa che trascende l'imma- gine singola. 3 _„ Diremo noi che tra sogno e veglia non e' e difierenza sostanziale, che la veglia è nient' altro che un sogno più lungo e coerente, e che è assurdo parlare di oggetti esistenti in se? Lo scettico che così dice pensa di affermare una verità assoluta, esi- stente in se, indipendentemente dalla sua affermazio- ne; pensa di essere ben desto, quindi, e non già di sognare ; e così riafferma nei fatti quella stessa distinzione assoluta del sogno dalla veglia, che nega a parole. - Diremo noi che la qualifica di esistenza, attribuita a certe immagini e negata a certe altre, si riduce al maggior interesse pratico che quelle ci pre- sentano in confronto a queste ? Ma la distinzione del sogno dalla veglia è distinzione assoluta, superiore ad ogni preferenza individuale e soggettiva: la cre- denza in un mondo sensibile, esistente in se, fuori della percezione, è credenza fondamentale di tutta r umanità, che si deve spiegare, ma che è assurdo negare. l: 4_ _ Se c'è differenza tra sogno e veglia, abbiamo detto, essa non è nelle singole immagini per se considerate, ma in qualcosa che trascende r immagine singola, per se presa. Alle immagmi della veglia si attribuisce realtà in se, perchè esse si spie- gano logicamente T una con l'altra; perchè fra esse e è ordine, logica, coerenza ; perchè l' immagine b trova la sua ragion determinante nell'immagine im- mediatamente precedente a, ed è, a sua volta, ragion determinante dell' immagine immediatamente seguen- te e ; mentre le immagini del sogno, le fantasticherie e le allucinazioni non hanno ordine, coerenza, logica, né fra loro, ne con le immagini della veglia. Se aves- simo sogni così regolari e coerenti come la vegha, non potremmo in nessun modo distinguere 1 uno dal- l' altra ; per noi tutto sarebbe sogno o tutto veglia, indifferentemente, e la distinzione stessa del sogno dalla veglia sarebbe soppressa. - Ciò che distingue il sogno dalla veglia non è, dunque, la matenalita delle immagini per sé prese, ma un loro carattere formale di ordine, logica, coerenza, che manca alle une ed invece è nelle altre. Se la vita dello spinto fosse tale che, percepita l' immagine a, esso, passan- do all'immagine h, si dimenticasse affatto di a; e, passando all' immagine e, si dimenticasse affatto e di a e di è, egli non qualificherebbe mai un' immagine come esistente e un' altra come inesistente, perche qualificare così è possibile solo avendo a propria di- sposizione un' intera serie d' immagini, tenute tutte presenti, in un atto solo, dall' attività della meraona. Lo spirito quahfica come esistenti solo le immagim I 304 ETICA E GNOSEOLOGIA 305 che fan parte di una serie, in cui ognuna è ragion sufficiente, causa, principio, mezzo, dell' immagine seguente; e giudica b come esistente, sol perchè trova che nelF immagine immediatamente precedente a ci son tutte le condizioni perchè b esista ; o come non esistente (cioè esistente solo come sogno, come allucinazione, come fantasticheria, insomma come pu- ra modificazione individuale e soggettiva dello spinto), sol perchè trova che in a non ci son le condizioni perchè b esista. 5. Ora. cos*è questa funzione dello spirito, in forza della quale esso concede o nega alle im- magini la qualifica di cose od oggetti realmente esistenti ? È un* immagine essa stessa ? Ciò è assurdo, perchè nessuna immagine, per sé presa, dice di sé che essa esiste o non esiste. Perciò appunto, quella funzione non è nemmeno prodotto delF associazione o della mutua eliminazione delle immagini per sé prese: non è né collezione, né astratto, né residuo d* immagini. — Quella funzione dello spirito è. forse, essa stessa una cosa esistente? Ciò è assurdo, perchè è essa appunto che qualifica le immagini come esi- stenti, e di semplici immagini ne fa cose od ogget- ti. — Essa, dunque, non è immagine, né cosa, ma funzione o attività, che nulla aggiunge al contenuto materiale delle immagini, e solo imprime a queste la qualifica di esistenti o inesistenti ; crea le cose, gli oggetti, il mondo, la verità, la realtà, V esperienza, e li trascende perchè U fonda, crea e pone nell' es- sere: funzione trascendentale, dunque, nel senso critico della parola; non oggetto trascendente o noumeno (Lachelier Ps\?chohgie et Métaphysique). 6. — Quest' attività giudica esistenti le immagini, se nella loro serie e' è ordine, logica, coerenza. Ma poiché ordine, logica, coerenza non sono dati come tali nella singola immagine per sé presa, né nella loro semplice somma o risultante, resta, come ultima ipotesi, che quest' attività dello spirito abbia in sé un ideale di ordine, di logica, di coerenza, secondo cui giudica le immagini, qualificandole esistenti, se lo riscontra nella loro successione, inesistenti se non ve lo riscontra. — Questo ideale di ordine, di logica, di coerenza, non è. peraltro, una nozione o idea innata nello spirito, che questo possegga già bella e fatta come tale, la quale allora, essendo un' immagine essa stessa, avrebbe essa stessa bisogno di essere qualifica- ta come oggettiva o meramente soggettiva, come esi- stente o non esistente. — Esso non è nulla di dato, né di fatto, né come cosa, né come idea ; ma è attività a priori, che si pone assolutamente, e nel porsi, insieme ed in un atto solo, giudica esistenti le im- magini, nella cui successione trova realizzata sé medesima; inesistenti quelle, nella cui successione non si trova realizzata. Quest' attività a priori, per ciò stesso che fonda Y esistenza e pone V essere, non è nulla di immediatamente esistente, non è ente, ma è ciò che fa esistente V esistente, ente V ente, rico- noscendo essere nell' ordine, nella logica, nella coe- renza delle cose che esso esista e sia, riconoscendo — dirò così -- il suo diritto ad essere, la sua esi- genza di essere. Per essa, quindi, è ed esiste vera- l'I* mente solo ciò che dev' essere, solo ciò che non può non essere, perchè, se ron fosse. Y ordine, la coe- 20 — A. TiLOHEB. I 306 ETICA E GNOSEOLOGIA 307 renza. la logica del mondo sarebbero turbate : ed essa stessa h quell'ordine, quella logica, quella coerenza, quel dover essere, alla luce del quale essa sentenzia esistenti le immagini nella cui serie Io trova attuato, inesistenti le altre. Dunque, solo po- nendosi come ideale di ordine, di logica, di coe- renza, come dover essere, lo spirilo, msieme ed in un atto solo, attribuisce Y essere a quelle immagim. in cui trova realizzato sé stesso come dover essere in un grado anteriore del suo sviluppo. 7. — Se. dunque, per essere intendiamo (come, dal punto di vista idealistico, non si può non inten- dere) nient' altro che l' immagine qualificata esisten- te dallo spirito, sarà chiaro che essere e dover essere «,no sinteticamente uniti, ma in modo che il dover essere è condizione e fondamento trascendentale del- l'essere. È il porsi dello spirito come ideale o dovere che rende possibile superare la bruta immagine come tale, e pronunziare di essa che esiste o non esiste ; è il dover essere che della bruta immagine fa una cosa, che fonda, pone, crea 1' essere come tale ; e l'essere, l'immagine qualificata esistente, e il feno- meno, la manifestazione, la rivelazione. 1 autoco- scienza dell' ideale o dover essere. - Dire di una immagine che essa è ed esiste, dire, m generale, e. significa riconoscere attuato un dovere o ideale, si- gnifica dire dee' essere. Ogni giudizio di fatto e. pertanto, insieme ed in un atto solo, giudizio di valore, e valutare h tutt' una cosa che giudicare o pensare. Solo ciò che dev' esistere esiste veramente, perchè, se non esistesse, quell'ideale di ordine, logica, I i coerenza, quel dovere, come il quale ora si è posto lo spirito, sarebbe smentito e negato dai fatti. Non esiste, non ha realtà, ma e semplice modificazione soggettiva dello spirito, cioè sogno, allucinazione, fantasticheria, follia, quelF immagine, nella quale non si trova attuato e realizzato un ideale di ordine, logica, coerenza, un dover essere, quelFimmagme che, se esistesse oggettivamente, smentirebbe e ne- gherebbe di fatto queir ideale o dovere, come il quale ora si è posto lo spirito. 8. - Il dover essere, quindi, non è qualcosa che si libri perpetuamente al di sopra dell' essere, senza mai incarnarsi in questo ; e V essere non è qualcosa che sia perpetuamente al di qua del dove- re e deir ideale, e non giunga mai ad adeguarlo compiutamente, come s' immagina il kantismo volga- re e la volgare filosofia dei valori : Y essere ha radice e fondamento nel dover essere ; il dovere e condi- zione deir essere e lo trascende, ma come la condi- zione trascende il condizionato, cioè per il fatto stesso di porlo e costituirlo neW essere. — E poiché la natura è per noi nuli' altro che il mondo delle immagini ridotto a ordine e unità, cioè V esperienza logicamente organizzata e unificata, e questo è pos- sibile solo in forza di un'attività dello spirito, che si ponga come ideale o dovere, è chiaro che, insieme ed in un atto solo col porsi dello spirito come ideale o dovere, cioè come spirito sensu potiori, nascono l'esperienza, il mondo, la natura come tale, che sono, dunque, nuli' altro che la sensibile manifesta- zione dell' ideale, del dovere, dello spirito, e, ben ■■■i»ji|l!||li.r 308 ETICA lungi dal fondare e condizionar questo nell essere, ne sono essi fondati e condizionati. - Col porsi dello spirito come dovere, esso, insieme ed in un atto solo, si pone come dualità di legge ed imma- gine, di soggetto e oggetto, di spirito e natura: questi sono, dunque, termini opposti e contrarn. e pure inse- parabili, di un unica sintesi, che è \ atto con cui lo spirito si pone come spirito, come ideale, come dovere. Ne temiamo cosi di risolvere lo spinto nella natura, poiché, pel fatto stesso di fondarla e costituirla nell es- sere cioè di esserle immanente, lo spinto continua- mente trascende la natura, il dovere continuamente trascende X essere. U immanenza del dovere nell es- sere non è \ immanenza morta e immobile di un dovere già fatto in un essere che è tale pnma e senza del dovere, ma è Tatto stesso con cui il dovere, costituendosi come tale, insieme ed m un atto solo costituisce \ essere come essere, cioè qua- lifica r immagine come esistente : due atti che sono un atto solo, per il quale il dovere, pur immanendo ncir essere e costituendolo come tale, immane e lo costituisce come dovere, e però perennemente lo tra- scende, pur adeguandolo perennemente a se m questo suo stesso trascenderlo. - Ne. sospendendo 1 essere e la realtà al dovere, temiamo di sospenderli nel vuoto, poiché il dovere e attività pura a priori, che pone, costituisce, affemia se come tale, e però ap- punto è assoluta attività, primo principio, causa sul 9. Queir allività dello spirito che è lo spirito stesso come ideale, come dovere, come spirito, non è, dunque, cosa fra cose, ne immagine fra immagmi. E GNOSEOLCXilA 309 ne collezione o astratto o residuo d* immagini, ma è la consapevolezza dell'ordine, della logica, della coerenza che è nella successione delle immagini; è quest' ordine logica coerenza giunti a coscienza di se; è la legge regolatrice della successione delle immagini, il principio efficiente della loro produzione, giunti a consapevolezza di se ; è Y immagine nega- ta nella sua immediata singolaiità e individualità, ma riaffermata come espressione e fenomeno di un ordine, di una legge, di un principio, cioè di un universale ; è sintesi a priori d' immagine e legge, d' individuale e universale ; è universale, che nco- nosce sé stesso nella serie delle immagini singole. ma per ciò stesso si stacca e si pone al di sopra di esse. Universalità concreta, ordine, logica, coerenza, legge, necessità, esistenza, sono, dunque, tutti sino- nimi di spirito o pensiero. Il pensiero non si distingue dalle immagini o fenomeni ne numericamente, come fenomeno da fenomeno o cosa da cosa, ne sostan- zialmente, come sostanza da accidenti ; ma è T unità stessa dei fenomeni, i fenomeni stessi sub specie uni- taiis. — L' unità dei fenomeni è possibile solo m forza della loro mutua necessitazione : il pensiero è, dunque, essenzialmente necessità, pnncipio di ragion sufficiente. In forza di questo principio, l' im- magine o fenomeno h esiste solo in quanto effetto immediato di a e causa immediata di e : la legge delle cause efficienti è, dunque, la sola garanzia dell'esistenza oggettiva; è essa stessa l'esistenza oggettiva ; e poiché esistenza immagine qualifi- cata esistente pensiero, é 1' atto stesso del pen- siero. Pensare é causare. — Ora, a solo in tanto 310 ETICA e causa immediata di b, in quanto ai b implicite ebea explicite : e cioè in quanto a e b sono non già due esseri diversi, ma uno stesso essere in due momenti del suo sviluppo, che nel secondo momento contiene, risolve, supera in se il primo, quindi è un essere che cambia, e pure nel cambiamento resta identico a se, e però si esplica sempre più, adegua sempre più la sua esistenza alla sua essenza, viene sempre più a se, in una parola si sviluppa e pro- gredisce. La legge del progresso è, dunque, la sola garanzia dell' esistenza ; è 1' esistenza stessa ; e poi- ché esistenza immagine qualificata esistente pensiero, è 1' atto stesso del pensiero. 11 pensiero è, dunque, essenzialmente progresso, sviluppo, autosupe- ramento (Lachelier, ©u fondement de V induclion). 10. — G)noscere non significa, dunque, rispec- chiare passivamente una realtà esteriore, già data come tale, indipendentemente e prima dell'atto conoscitivo ; ma è attribuire o negare esistenza alle nostre immagini; è essenzialmente esistenzializzaie. L' attività logica dello spirito, 1' atto vivente e con- creto del pensiero, non aggiunge assolutamente nulla al contenuto materiale delle immagini intuitive o sen- sibili, ma soltanto afferma di esse che esistono o non esistono, che sono reali o irreali, effettuali o ineffet- tuali. Pensare — ha dimostrato Kant una volta per sempre — è nient' altro che trasformare l' immagine dell' intuizione in cosa od oggetto : pensare è essen- zialmente oggettivare o esistenzializzare {Crilica della ragion pura : JJnalitica trascendentale, libro 11, capi- tolo IH). E" questo il vero significato dell' identità E GNOSEOLOGIA 311 di storia e filosofia, quale risulta assai evidentemente dalla critica kantiana. - L'appartenenza ad una sene dominata dal principio di ragion sufficiente o di de- terminazione necessaria: ecco il solo criterio che lo spirito possegga per affermare l' esistenza reale di un' immagine dell' intuizione o del senso. Perche di una semplice immagine lo spirito faccia una cosa o un ogoetto, esso deve, dunque, negarla nella sua immediata singolarità e individualità d' immagme. e riaffermarla come membro, incarnazione ed espressio- ne di una serie, di un principio, di una legge di un universale; in una parola, deve predicarla. — Pre- dicare è universalizzare, quindi oggettivare ed esi- stenzializzare, perciò r esistenza non può, a sua volta, essere predicato fra i predicati. Quando l' intuizione sarà tutta disciolta in legge, in principio, m univer- sale, quando il soggetto sarà tutto disciolto m pre- dicati, quando la predicazione di esso sarà compiuta, allora l' esistenza effettuale dell' immagine sarà asso- lutamente fuori dubbio. Poiché l' assoluta esistenza è nient' altro che 1' assoluta totalità dei predicati posta attualmente come tale, la predicazione assolutamente compiuta, assolutamente attuata. - Solo cosi stona e filosofia combaciano e fan tutt' uno, il che non e possibile ove dell'esistenza si faccia un semplice predicato fra i predicati; solo così esistenza ed essenza, verità di fatto e verità di ragione, venta contingenti e verità necessarie, verità matenali e verità formali, esperienza e metafisica coincidono pienamente. 312 ETICA 1 1 . — La teorica che fa deiresislenza un sempli- ce predicato fra i predicati, è assolutamente insosle- nibile, per la semplice ragione che, se così fosse, sottraendo da un complesso di predicati il predicato di esistenza, dovremmo avere un complesso più povero, e, aggiungendovelo, un complesso più ricco: ma non è così, poiché, tolta Y esistenza da un complesso di predicati, questi, per ciò stesso, divengono pre- dicati di niente, e cioè cessano di essere predicati ; e, aggiunta Y esistenza ad un complesso di predicati, questi soltanto allora diventano predicati, soltanto allora il complesso di predicati non si arricchisce già di un predicato di più, ma diventa per la prima volta complesso di predicati. A questo, m fondo, si riduce la parte ancora accettabile della confuta- zione, che dell' argomento ontologico cartesiano fe- cero Gassendi (Obbiezioni contro la Quinta Medi- tazione, il) e Kant (Critica della ragion pura: "Dialettica trascendentale, libro II, capitolo III, sezione IV). — Si sa che la prova ontologica dell' esistenza di Dio è il tentativo di dedurre questa esistenza come nota o attributo dal concetto di un essere perfettissimo, che si pretende dato o costruito affatto a priori, e perciò privo di ogni contenuto intuitivo o sensibile. Ciò è assurdo, sia perchè il concetto, o meglio Y atto del concepire o pensare, essendo nuli' altro che 1' atto di porre in rapporto fra loro le immagini individuali, presuppone queste come sua condizione negativa, e non può, quindi, farne a meno ; sia perchè Tatto di attribuire o negare esistenza consiste appunto nell'atto di porre in rapporto le immagini fra loro, cioè di con- E GNOSEOLOGIA 313 \l 1 cepire o pensare, e pertanto coincide pienamente con tutta r estensione del concetto, e non è semplice nota o attributo di questo. Dedurre a priori l'esistenza dal- l' atto puro del pensiero, separato da ogni substrato intuitivo, è impresa vana: e così sono definitiva- mente confutate ogni teologia razionale (deduzione a priori dell' esistenza di Dio) ed ogni filosofia della storia (deduzione a priori degU avvenimenti storici). 12. — È l'attività storicizzante dello spirito quella che. applicandosi alle immagini dell' intuizione, le sentenzia esistenti o inesistenti, e, così, d' immagini ne fa cose ed oggetti. Essa fornisce, dunque, allo spirito, per la prima volta nel corso della sua storia ideale eterna, l' oggetto, o il mondo degli oggetti, in quanto tale: e poiché la conoscenza implica es- senzialmente un oggetto a cui si applica (conoscere essendo correlativo ad un oggetto conosciuto), è neir attività storicizzante che lo spirito si pone per la prima volta come conoscenza. Conoscere è. dunque, storicizzare o esistenzializzare, e. viceversa, storiciz- zare o esistenzializzare è conoscere. Non v' è altra conoscenza che storica: la pura immagine, per sé presa, non è conoscenza, poiché non è oggetto per lo spirito che in essa si perde e profonda, e con essa del tutto coincide. Fare la teoria della storia è. dunque, fare la teoria della conoscenza. — Solo col porsi dello spirito come dovere, l' indistinzione primitiva di soggetto e oggetto. Io e Non — io, spirito e natura, si rompe, e dà luogo alla dualità di quei termini. Solo col porsi dello spirito come conoscenza, esso si pone veramente come spinto, 314 ETICA poiché solo ciò che è razionale è propriamente spirituale. Non si deve confondere la mera coscienza con lo spirito : Y immagine e il volere dell immagme (o volere utilitario) sono nella coscienza, sono a coscienza stessa, e pure sono natura. - Spinto e la legge, r ideale. Y universale. Y attività conscia di se come tale. che. pertanto, non si disperde più nella infinità delle sue produzioni, ma è conscia di se come di attività che ha prodotto, ed ora si ravvisa e ricono- sce nelle sue produzioni; natura è Fattività, la stessa attività, che produce e non sa di produrre, e perciò si disperde nella serie infinita delle sue produziom. coincidendo a volta a volta con ognuna di esse La natura in se è, quindi, il regno del puro particolare, lo spirito è il regno delF universale ; Y una e la pos- sibilità di poter essere conosciuta, è il posse perapi. Y altro è il percipere adu ; Y una è la pura immagine in »è contratta e racchiusa. Y altro è la conoscenza o percezione dell' immagine. 13. — La funzione conoscitiva o storica dello spirito, il pensiero, consiste nel pronunziare di un' im- magine che essa è o non è. esiste o non esiste. Per tar ciò. lo spirito deve vivere Y immagine, sentirla, intuir a (donde la necessità dell' elemento intuitivo o sensibile nella percezione o giudizio storico), ma, insieme ed in un atto solo, negare Y immagine, nella cui singo- larità prima egli si perdeva e immergeva, porsela di contro come oggetto, farne una cosa o esistenza reale. Siamo in presenza di una sintesi a pnoru nella quale lo spirito, insieme ed in un atto solo, e immagine e non e immagine ; è pensiero come im- E GNOSEOLOGIA 315 magine e negazione di questo pensiero; è pensiero vivente e concreto, nel quale l'immagine per se presa è un semplice momento, che fuori della sintesi è completamente astratto ed irreale, e la cui^ realtà è tutta nella sintesi, nella quale Y immagine è posta e negata, insieme, nella sua qualità d'immagine. Qui lo spirito non coincide più volta per volta con ciascuna immagine per se presa, ne è un conglomerato o complesso d* immagini, poiché ora l' immagine o il complesso d'immagini è abbassato a semplice momento di un superiore atto di pensiero, che è r affermazione dell' esistenza o inesistenza delle im- magini: atto di pensiero, del quale la semplice immagine, materialmente considerata, è, per se presa, soltanto un elemento costitutivo. L' attività storico-filo- sofica dello spirito è nuli' altro che questo spiccarsi dello spirito dalla servitù dell'immagine singola, questo degradare dell'immagine singola da totalità spirituale a semplice momento di un atto più ricco e concreto dello spirito, ed in questo, ed in nuli' altro che questo, consiste quell' universale concreto, quella posizione e negazione, insieme, dell' individuale in quanto tale, che è l' atto vivente e reale del pensiero. Ma, perchè lo spirito giunga a svincolarsi dallo stato in cui coincide compiutamente con l' immagine, a porsela dinanzi come oggetto, a diventare, cioè, oggetto di sé medesimo, è d' uopo che vi sia un' at- tività, che neghi lo stato puramente immaginativo, intuitivo, sensibile dello spirito, e ponga questo non più come puro individuale, ma come universale con- creto. Lo spirito che di un' immagine dice : è o non €, per ciò stesso si è liberato dall' immagine indi- f 314 ETICA E GNOSEOLOGIA 315 poiché solo ciò che è razionale è propriamente «pirituale. Non si deve confondere la mera coscienza con lo spirito: 1* immagine e il volere dell' immagme (o volere utilitario) sono nella coscienza, sono a coscienza stessa, e pure sono natura. - Spinto e la legge. 1- ideale. 1' universale. V attività conscia d. se come tale, che, pertanto, non si disperde più nella infinità delle sue produzioni, ma è conscia di se come di attività che ha prodotto, ed ora si ravvisa e ricono- sce nelle sue produzioni ; natura h V attività, la stessa attività, che produce e non sa di produrre, e perciò ,i disperde nella serie infinita delle sue produziom, coincidendo a volta a volta con ognuna di esse La natura in sé è, quindi, il regno del puro particolare. lo spirito è il regno dell' universale ; l' una è la pos- sibilità di poter essere conosciuta, è il posie percipi, Y altro è il percipere aclu ; l' una è la pura immagine in se contratta e racchiusa, l' altro è la conoscenza o percezione dell' immagine. 13. _ La funzione conoscitiva o storica dello spirito, il pensiero, consiste nel pronunziare di un' im- magine che essa è o non è, esiste o non esiste. Per far ciò, lo spirito deve vivere l' immagine, sentirla, intuirla (donde la necessità dell' elemento intuitivo o sensibile nella percezione o giudizio storico), ma, insieme ed in un atto solo, negare l' immagine, nella cui singo- larità prima egli si perdeva e immergeva, porsela di contro come oggetto, farne una cosa o esistenza reale. Siamo in presenza di una sintesi a priori, nella quale lo spirito, insieme ed in un atto solo, è immagine e non è immagine; è pensiero come im- 1/- Il f>it f magine e negazione di questo pensiero; è pensiero vivente e concreto, nel quale T immagine per se presa è un semplice momento, che fuori della sintesi è completamente astratto ed irreale, e la cui realtà è tutta nella sintesi, nella quale l' immagine è posta e negata, insieme, nella sua qualità d* immagine. Qui lo spirito non coincide più volta per volta con ciascuna immagine per se presa, ne è un conglomerato o complesso d' immagini, poiché ora V immagine o il complesso d'immagini è abbassato a semplice momento di un superiore atto di pensiero, che è r affermazione delF esistenza o inesistenza delle im- magini: atto di pensiero, del quale la semplice immagine, materialmente considerata, è, per se presa, soltanto un elemento costitutivo. L' attività storico-filo- sofica dello spirito è nuli' altro che questo spiccarsi dello spirito dalla servitù dell'immagine singola, questo degradare dell'immagine singola da totalità spirituale a semplice momento di un atto più ricco e concreto dello spirito, ed in questo, ed in nuli' altro che questo, consiste quell' universale concreto, quella posizione e negazione, insieme, dell' individuale in quanto tale, che è l'atto vivente e reale del pensiero. Ma, perchè lo spirito giunga a svincolarsi dallo stato in cui coincide compiutamente con l' immagine, a porsela dinanzi come oggetto, a diventare, cioè, oggetto di sé medesimo, è d' uopo che vi sia un' at- tività, che neghi lo stato puramente immaginativo, intuitivo, sensibile dello spirito, e ponga questo non più come puro individuale, ma come universale con- creto. Lo spirito che di un' immagine dice : è o non è, per ciò stesso si è Hberato dall' immagine indi- 316 ETICA E GNOSEOLOGIA 317 viduale e si è posto come universale; il suo porsi come universale è lult' uno col suo dire di un' im- magine che essa è o non è. L' attività storica è, dunque, Y apparenza sensibile, la rivelazione, il fe- nomeno di quell'attività spirituale, in forza della quale lo spirilo si stacca dall' immagine singola ed individuale, e si pone come identità della molteplicità, come universale concreto. Senza quest' attività, all' ap- parir della quale dileguano come un sogno le im- magini che tenevano a se avvinto e incatenato lo spirito, la storia o pensiero o conoscenza non sorge. 14^ .^ Tutta r essenza della storia è racchiusa in quel semplicissimo fra i monosillabi che e l'è, affer- mato di un' immagine del senso o dell* intuizione. Lo spirito che si pone come attività esistenzializzante. co- me storia e pensiero e conoscenza, come è, è, dunque, esso stesso, immagine del senso o dell'intuizione, ma non si perde ed esaurisce tutto quanto nell' immagine, poiché è. insieme ed in un atto solo, consapevolezza riflessa di questa, L' immagine per se presa, la pura immagine, è e non sa di essere, e perciò non pro- nunzia di se che è o non è; è vita immediata e irriflessa ; è essere e non giudizio sull' essere ; è essere e non è ; e essere in atto e non parola sull' essere ; è atto puro e non verbo. Lo spirito che dice è, è, certo, esso stesso 1' immagine, ma non si esaurisce in essa, e pronunziando di essa che è o non è, si stacca da essa ; ha V immagine e non è puramente e semplicemente l' immagine ; e, insieme, immagme e negazione dell' immagine, vila e consapevolezza della vita, essere e giudizio sull' essere, essere ed è, essere e parola, atto e verbo; è essere che sa d'i essere, e però è più che essere ; è essere e non semplicemente essere; è essere e non-essere, inten- dendo per non-essere non il puro nulla, ma la con- sapevolezza dell'essere, l'essere che è e sa di essere, e perciò è più che semplice essere. Lo spinto che dice è, che si pone come è, come attività storica e conoscitiva, h, dunque, sintesi di essere e non-essere insieme ed in un atto solo, è divenire come di- stinzione. J5. — L'attività trascendentale che fonda la storia e la conoscenza, che pone nell' essere 1' è e però lo trascende, è, dunque, sintesi di essere e non- essere. Ora, poiché la pura immagine per se presa è e non sa di essere, è puro essere e non sintesi di essere e di è, di essere e conoscere, di essere e non-essere, r attività fondatrice della conoscenza nega ogni im- magine individuale ed empirica per se presa. in quanto tale, svincola lo spirito dal dommio dell im- magine singola e particolare, lo nega in quanto attività che si esaurisce nell" immagine singola e particolare, in quanto volere di questa o quella immagine smgola e particolare, e lo pone ed afferma come volere di ciò che è al di sopra di ogni immagine singola e particolare in quanto tale, dunque, come volere dello spirito in universale o puro volere. Se lo spinto non si pone come volere puro, come volere di se stesso in quanto universale, come volere di se. non in quanto esso è questa o quella immagme o crea- zione singola, contingente, particolare, ma di se in quanto attività creatrice in universale, esso non potrà 318 ETICA mai superare lo stato in cui e perduto, naufrago ed immerso nell' immagine singola, non potrà mai dire di questa che essa è o non è, non potrà mai conoscere o storicizzare. Lo spirito che si pone come conoscenza o storia h lo stesso spirito che si pone come puro volere: la conoscenza o storia è il fenomeno, la rivelazione, la sensibile manifestazione del puro volere. 16. — Ora, cos'è il puro volere, il volere non di questa o quella cosa, non di questa o quella immagine singola e particolare, ma dello spirito come universale? Esso è il volere che, volendo se stesso. si pone come autonomia e libertà assoluta, e, sorgen- do come negazione del volere delP immagine empirica ed individuale, come negazione del volere particola- ristico, utilitario, passionale, si pone come volere del- r universale, come volere dell* essenza, come dovere. Lo spirito che si pone come dovere è lo spirito che, per ciò stesso, si è svincolato dallo stato in cui coinci- de con la pura immagine ed è puro essere immediato, e si è posto come spirito che dell' immagine fa il suo oggetto, e dice di essa che è o non è. L' attività tra- scendentale che fonda la storia e la conoscenza è, dunque, F attività del dovere, è il puro volere. Nulla è al di sopra del puro volere o dovere, che si pone neir essere con un atto di assoluta autoaffermazione : la manifestazione sensibile di quest' atto e la cono- scenza o storia, è il porsi del mondo e della natura in quanto tali. Non. dunque, la conoscenza fonda la vita morale, o è parallela ad essa: ma e la vita morale che. costituendo se, costituisce, insieme ed E GNOSEOLOGIA 319 in un atto solo, con una sintesi a priori della quale nulla v' ha di più alto, la conoscenza o stona. 17 -_. L'apriorità del dovere sul conoscere è. del resto, logicamente derivabile dalla concezione hegeliana della conoscenza come divenire, come sin- tesi di essere e non-essere. Lo spirito è conoscenza solo ponendosi come attività che è e non è. insieme ed in un atto solo, dice Hegel. Benissimo. Ma quest' attività che è e sa di essere, e però nori e immediatamento e senz' altro, ma supera l immedia- tezza del puro essere inconsapevole ponendosi come non-essere, questo essere che è e non è. insieme ed in un atto solo, che altro è se non il dovere? Il dovere non è, forse, essere che è non-essere, essere che non h immediatamente, ma trascende l'essere immediato, e perciò stosso lo media, lo fonda, lo costitmsce nel- r essere e gli conferisce il diritto di essere? - Ne, facendo del dovere, come sintosi di essere e non- essere, il fondamento della realtà, tomiamo d intro- durre la contraddizione nel seno di questa e della conoscenza, che son poi la stossa cosa : la realta, infatti, h essenzialmente contraddittoria, essendo sempre to, cioè pensiero, essere che è e sa di essere, che e e non è, quindi, insieme ed in un atto solo. » P""<^»P^*> d' identità o di contraddizione (A A), fonda- mento della logica formale, ha presa solo sulla cono- scenza già fatta, già posta, già costituita come tale, che. naturalmento, è identica a sé stossa, e quella che è e non cambia; ma non ha presa alcuna sul tarsi stesso della conoscenza, sulla conoscenza m quanto si fa. che, perciò appunto, è divenire, sintosi di essere e non-essere, contraddizione vivente ed attuale. 320 ETICA E GNOSEOLOGIA 321 18 _ Nel regno della conoscenza o filosofia si entra, dunque, con un atto assolutamente incondiziona- to e libero, che è il porsi dello spirito come puro volere o dovere ; e quest' atto ognuno deve compierlo per se, niuno può compierlo per altri, ne forzare altri a compierlo : come negazione del volere particolaristico ed immediato e delF immagine singola ed empirica in quanto tali, esso è atto di assoluta astrazione. La filosofia, dunque, comincia astraendo assolutamente da ogni dato empirico, contingente, particolare, e quest* atto di astrazione assoluta è atto di volere e non di conoscenza, che fonda, sì. la conoscenza. „.a per ciò stesso la trascende, e. prescindendo da ogni dato materiale, è assolutamente formale. — Il principio ultimo della filosofia non è conoscenza, non è assioma o degnità o altro principio conoscitivo, qual che esso sia. poiché, se tale fosse, soggiacerebbe al dilemma di Sesto Empirico : - o esso ha sopra di se un altro principio che lo prova e dimostra, e allora si va alF infinito di principio in principio, e manca alla scienza il principio ultimo assolutamente certo, su cui poggiare il suo edificio; o esso è vera- mente principio ultimo, e allora, essendo indimostra- bile, non ha nulla di scientifico, e non può fondare la scienza, che su esso si poggia. — Dilemma cui si sfugge, ponendo come principio della scienza il puro volere, che non ha nulla al di sopra di se. e però è veramente principio ultimo, ma non è cono- scenza, poiché trascende la conoscenza per il fatto stesso di fondarla, sicché la conoscenza, in quanto tale, resta, essa, in tutta la sua estensione, fondata e provata. — Come atto assolutamente libero e sog- gettivo, il principio ultimo della scienza è certezza assoluta e fonte di ogni certezza. Perciò la filosofia non ammette nessun presupposto, nemmeno quello della necessità del pensiero, anzi in essa si entra solo negando assolutamente ogni presupposto. Ma, prima di porsi come assoluta astrazione, lo spirito deve traversare una lunga odissea, che parte dall' assoluta indistinzione di soggetto e oggetto. Non bisogna, perciò, confondere il cominciamento della vita spi- rituale col principio della filosofia: quello, assoluta immediatezza; questo, assoluta mediazione; quello, lo Non — lo; questo. Io = Io. — Ritornando in se stesso con quest' atto di assoluta astrazione, il pensiero coglie immediatamente la sua natura {intui- zione intellettuale) e il rapporto di essa con gli oggetti, poiché, se le condizioni dell' esistenza degli oggetti sono le condizioni e leggi stesse del pensiero, noi possiamo determinare queste condizioni assolutamente a priori, risultando esse dalla natura del nostro spirito, né possiamo dubitare che si applichino agli oggetti dell' esperienza, poiché fuori di queste condizioni non v' ha per noi né esperienza, né oggetti. Il sistema di queste leggi a priori, che lo spirito impone agli og- getti, é la filosofia della natura, che, pertanto, é tutta una cosa con la filosofia dello spirito. — Il pensiero puro é nient' altro che il sistema stesso di queste leggi. Pensiero puro non é pensiero vuoto: é il pensiero che, avendo astratto da ogni contenuto contingente, si coglie in quel che ha di necessario, cioè nelle sue leggi costitutive, e, ponendosi come necessario, per ciò stesso si affranca da ogni necessità esteriore, da 21 — A. TiLOHEB. 322 ETICA ogni coa^one. e si pone come assoluta Hbenà. Il pensiero puro è la stessa filosofia in atto. J9. — La conoscenza non è principio a se stessa, ma ha principio, condizione e fondamento nel puro volere o dovere. Perchè questo risultato acquisti per noi certezza assoluta, facciamo l' ipotesi di un uomo, in cui lo spirito non si ponga affatto come dovere. Quest' uomo sarà allora completamente ab- bandonato ai capricci e movimenti dell'impulso sensuale, utilitario, passionale, coinciderà con essi, sarà incapace di staccarsene. Allo svegliarsi dell im- pulso corrisponderà in lui lo svegliarsi di un im- magine singola corrispondente, e viceversa : ed egli, che è prigioniero dell" impulso, sarà per ciò stesso prigioniero dell' immagine individuale, coinciderà con essa, sarà incapace di staccarsene, di pronunciare di essa che esiste o non esiste. - Sempre che la vita morale dell' uomo si altera, e gì' istinti sensuah cfie formano la sua natura ripigliano il sopravvento, la conoscenza oggettiva del mondo esteriore per ciò stesso si altera e si turba, e lo spinto, incapace di dominare il caos delle immagini, naufraga e si dis- solve in esso : la pazzia dovuta alle crisi morali, le allucinazioni, i sogni sono viventi dimostrazioni di quel che diciamo. Il pragmaUitno ha ragione di dedurre la scienza dalla volontà, ma ha torto di volerla dedurre dal volere utilitario o passionale, poiché questo, essendo appunto volizione dell' im- magine individuale come tale, rinchiude lo spmto nei limiti di essa, e gì' impedisce di staccarsene e, per ciò slesso, di conoscerla. E GNOSEOLOGIA 323 20. Gli animali che non hanno senso del- l' ideale e del dovere sono in istato di sogno e di allucinazione perpetua: in essi il presentarsi dell* im- magine sveglia r impulso corrispondente, il presentarsi dell'impulso sveglia l'immagine dell'oggetto adatto a soddisfarlo, ma 1' animale è prigioniero dell' impulso e dell' immagine singola del momento, e incapace di dominarli. Esso perciò non ha nozione alcuna di un mondo esteriore esistente in se, indipendentemente e prima della sua percezione, ma coincide volta per volta con le immagini che gli si presentano, come lo spirito del dormiente con le immagini che gli traversano la fantasia. Il mondo esteriore si Ubra di- nanzi all' animale come un miraggio, in cui gli oggetti hanno non già i contorni netti e definiti che noi per- cepiamo, ma contorni sfumanti e rientranti gli uni negli altri. — Per gli animali inferiori gli oggetti sono fanta- smi vaporosi ed impalpabili, con ciascuno dei quali la coscienza a volta a volta s' identifica ; per essi non esistono qualità sensibili che non siano ne piacevoH, ne dolorose, tutte diventano piacevoli o dolorose, come il caldo e il freddo in noi. — Negli stati infimi dell' animalità la coscienza è affatto irrelativa, puntuale, chiusa nel!' attimo che passa : il mondo dell' infusorio è a volta a volta un fioco bagliore crepuscolare, una vibrazione del liquido circostante, un indeterminato sentimento cinestetico. — Il mine- rale e il vegetale non hanno sensi esteriori, nulla di esteriore esiste, dunque, per essi, e tutta la loro vita si riduce al lento svolgersi delle affezioni che ac- compagnano le loro tendenze elementari. Tutto ciò 324 ETICA possiamo ricostruire dall' analogia d. quanto succede in noi, ed anche qui è la vita morale, che co. suo. raggi languenti illumina la notte immensa della na- Ja - E rifacendo in senso inverso .1 cammmo battuto finora, ci accorgiamo che una forza operosa a8at.ca le cose di grado in grado, ed e lo spm^o che vuole acquistare coscienza di se. Esso dorme nel vegetale, sogna nell' animale, veglia nell uomo (Schelling), poiché solo nell" uomo si pone come uni- versale, come attività che ha creato ed e conscia di aver crealo, e però non è più mera creazione smgola. ma creatore. Ponendosi come creatore, lo spirito s. pone non come esistenza immediata, che esiste perche esiste (impulso o immagine individuale), ma come attività che, pur non esistendo immediatamente aspira a realizzarsi, e però è esistenza mediata, dovere. Dinanzi alla voce tonante del dovere g «npulsi im- mediati e le immagini corrispondenti sfumano come un sogno : nel dovere e nel conoscere, dunque, s. celebra la liberazione dell' uomo dalla servitù degU 1 • j 11 :_.«<».:ii; Halla servitù della natura, impulsi e delle immagim, aaua 21 - Mettendo da parte come insostenibile ordì teoria che faccia della conoscenza e del volere due attività distinte e parallele, non restano che due «le ipotesi logicamente ammissibili : o la conoscenza fonda il dovere, o il dovere fonda la conoscenza. U conoscenza fonda il dovere? Dunque, essa i fuori del dovere, retta da leggi che sfuggono alla presa del puro volere, e che perciò lo condizionano e determinano inflessibilmente : determinismo. - es- sendo idealmente anteriore al volere e condizione di E GNOSEOLOGIA 325 1 esso, la conoscenza ci s* impone come un dato, come un fatto, come qualcosa che noi troviamo già beli' e costituito neir essere, e che non è in poter nostro di fare o non fare, di volere o non volere, ma che è perchè è, e che bisogna accettare e subire com* è : dommatismo. — E poiché la conoscenza è conoscenza di ciò che è e di ciò che non è, essa non può con- dizionare ed ammettere altra forma di volere che il volere di ciò che è, il volere della cosa, dell' oggetto, deir individuale già dato, il volere utilitario o pas- sionale, e non può ne condizionare, ne ammettere un volere di qualcosa che non è essere immediato, che non è immediatamente, ma dev' essere, un volere del dovere : utilitarismo. — Se la conoscenza e un dato indipendente dal volere e dall' opera dell' uomo, sarà un dato anche il suo oggetto, poiché ogni co- noscenza suppone un oggetto : l' oggetto del conoscere, allora, esiste per forza propria, indipendentemente dal volere e dallo stesso conoscere ; e quest' oggetto è in se quello che è, ed il nostro conoscere non vi aggiunge nulla, ma ne è una mera copia inerte e passiva, che non ha realtà, poiché ogni realtà é nel- r oggetto, ma é prodotta dall' oggetto come inutile duphcato, non si sa né come, né perché: materia- lismo, — Determinismo, dommatismo, utilitarismo, materialismo : ecco le ineluttabili conseguenze di ogni filosofia che faccia del conoscere /' antecedente ideale del volere e del dovere. 22. — Il dovere fonda la conoscenza ? Ponen- dosi come puro volere, come dovere, lo spirito su- pera e nega Y immagine individuale come tale, dice E GNOSEOLOGIA 327 326 ETICA Iti f'I .l'ili " ft| t t , : ! di e«a che è o non è. si pone come -"«"■'^^- ™^ come conoscenza fondata dal dovere e -mfes™ .ensMe d. esso; la Ubertà del volere, lungi daU esser minacciata dalla conoscenza o scienza, la tonda e ^Znsce neir essere : auiodeier.ina.tone assola^ del volere. - W conoscere cessa d. essere un tatto o dato ultimo, diventa opera del volere e del dovere, prodotto dell' attività umana : uman.smo e criiicisn^o - Avendo il suo fondamento trasce» dentale nel dovere, la conoscenza che sia veramente tale non staccherà mai Tessere dal dovere d. cui esso è r espressione e manifestazione sensibile, non contrapporrà mai Tessere al dovere, ne sognerà mai di derivar questo da quello, ma riconoscerà 1 asso- lata apriorità del dovere: formalismo e/,co. ^J poiché T essere non è altro che 1 immagine quali E esistente, e qualificare esistenti o ines.s enU le immagini è possibile solo in forza del dovere «rà il dovere, cioè lo spinto come puro volere che {onderà il mondo, la natura, 1 oggetto, e non vice ; . ...ìriinnlismo — L assoluta liberia versa: assoluto sptntualismo. ^ del volere, f umanismo della conoscenza, , forma- Lo e /' untcersalismo della morale, l aWu^ spiritualismo o idealismo non sono, /""^"^' J"" 'itili se non in una filosofia, che fiacca del puro ^lere o dovere il fondamento trascendentale del conoscere. - Se Tessere (che P«.-- "P— J ix^^fa ^«Utente e Cioè u conosceie; r immagine qualificata ^'^^'^^^^^^^^ r intellettua- è fondato dal dovere, e non viceversa, i lismo etico è distrutto nella sua pm -^""^^^^^^^^^ .ppresentaoon. motivi, -te~ con^^^^ ^^ pratici, giudizii stona, giudizii di valore, concepì come base che la conoscenza offra al volere e al dovere, sono da noi rigettati in blocco e per intero. — E con essi è distrutta a fondo ogni possibilità di una morale fondata sulla scienza dell* essere, sulla scienza positiva ; ed ogni possibilità di un* etica che si atteggi come scienza normativa, come sistema di comandi e precetti, cui il volere buono debba sottostare per esser tale. Nulla fonda e condiziona r atto assoluto dello spirito che si pone come dovere e libertà, poiché esso, al contrario, fonda e condi- ziona per forza spontanea Y essere stesso. 23. — Che il mondo esteriore, oggetto del nostro sapere, esista e sia, vuol dire solo che le im- magini che lo compongono sono messe in rapporto fra loro da un atto puro del nostro spirito, che è il porsi dello spirito come dovere. Ora, se dimentichiamo che la qualifica dell' esistenza e concessa o negata alle immagini solo dalF attività del nostro spirito, e la scambiamo per qualcosa che inerisca materialmente e per forza propria alle immagini in se considerate, ci porremo da un punto di vista, che è quello del posiiivismo in tutte le sue molteplici forme e dire- zioni. -" Carattere comune di ogni positivismo è il più risoluto dogmatismo, in forza del quale non è già lo spirito che, imprimendo all' immagine la qua- lifica deir esistenza, ne fa una cosa o un oggetto, ma la cosa o V oggetto e già tale per se stesso, ancor prima di essere conosciuto, sicché il conoscere, quando s' affaccia all' essere, al mondo delle cose e degli oggetti, della realtà e dell' esperienza, lo trova già posto e costituito nelF essere, e si deve limitare 328 ETICA E GNOSEOLOGIA 329 'I IM a riprodurlo e copiarlo. - Ma perchè allora .1 mondo delle cose e degli oggetti non si contenta d. essere e di esistere puramente e semplicemente, ma e ed esiste due volte, cioè è e conosce di essere? Che cosa lo spinge ad uscir fuori di sé stesso ed a pro- durre queir inutile duplicato di sé, che è la conoscen- za dogmaticamente intesa? - Invece, se ammetbamo che r essere è niente altro che Y immagme qualihcata esistente, cioè messa in rapporto con altre, m que- sto giudizio esistenziale coincideranno compiutamente l'essere e il conoscere. Tessercela consapevolezza che abbiamo dell' essere ; per il fatto stesso di es- sere costituito da noi, 1' essere sarà due volte, sarà tutt'uno con la scienza che ne abbiamo; il nostro sapere acquisterà assoluta verità, perchè esso, il sa- pere, e non altri, è l'essere; il nostro punto di vista sarà quello dell' assoluto idealismo, ma perciò stesso deW assoluto realismo. Idealismo trascendentale è tutt' una cosa che realismo empirico. 24. — Ma se poniamo l'essere come tale prima e fuori del conoscere, e di questo facciamo la copia e il duplicato di quello, un abisso si spalanca tra essi e. staccatili una voka, non è piìi possibile ricongiungerli. Ridotta la conoscenza ad una semplice copia dell' essere, in sé priva di ogni realtà, essa fatalmente viene assorbita dall' essere : Y essere solo esiste in sé e per forza propria, il conoscere è un semplice effetto particolare e transitorio dell' essere, è uno degli stati dell' essere, è essere anch esso, sicché, in conclusione, non e' è altro che essere, e poiché r essere per eccellenza é quello esteso nello l'i I Il I spazio o materia, non ce altro che materia {mate- rialismo). " Ma se la cosa. Y oggetto, Tessere sono veramente fuori e prima del conoscere, questo, come tale, non avrà in se realtà alcuna, sarà un semplice fenomeno soggettivo dello spirito, destituito di qua- lunque oggettività (idealismo soggettivo), - Sapere se il conoscere sia o no adeguato all' essere ed alla realtà, se abbia o non abbia verità, diventerà allora cosa affatto impossibile, poiché ci è vietato uscire dal conoscere e confrontar questo con la cosa in se {scetticismo). — Anzi, il pensiero stesso di una cosa in se è assurdo e vuoto : noi siamo rinchiusi nei no- stri stati d' animo, e non possiamo trascenderii per confrontarli con le cose e sapere se essi abbiano o no verità ; e però dobbiamo restarcene in essi, conten- tandoci di viverli puramente e semplicemente, abban- donandoci al loro flusso uniforme ed incessante, rinunziando ad ogni pretesa di conoscenza e di verità {fenomenismo). — H positivismo dogmatico, per la logica intima della sua posizione, oscilla tra il ma- terialismo ed il fenomenismo, fiori spuntati su due rami diversi ed opposti di un tronco comune. w 25. — Chi, come il positivismo dogmatico, pre- scinda da queir atto spirituale che è il porre in rela- zione le immagini fra loro, nel quale soltanto consiste r essere e Y esistere che si predica di esse, trova dinnanzi a se solo immagini singole, individuaU. con- crete, a ciascuna delle quaU, come tali, egU attribuisce essere e realtà. Ma Y immagine singola, individuale, concreta, come tale, non ha, per se presa, ne essere, ne realtà : sorge e scompare, nasce e muore, è in un 330 ETICA E GNOSEOLOGIA 331 flusso incessante, non ha confini definiti. — 11 positi- vismo dogmatico, che vuol trovare essere ed esisten- za nell'immagine individuale come tale, se la vede sfuggire dalle mani : egli allora cerca di cogliere r essere e Y esistenza in ciò che Y immagine ha di permanente, d* immutabile, di costante, m ciò che ha di comune e di simile con altre immagini mdividuali e concrete, e così foggia i concetti di legge, essenza, tipo. - Ma al di qua del vero essere, che è relazione, quindi attività spirituale, quindi universale, non v e nuir altro che Y immagine individuale e singolare co- me tale : chi nega quello, non ha altro scampo che questa. La legge, Y essenza, il tipo sono, infatti, imma- gini individuali o frammenti d' immagmi individuali innalzati ad universale, quindi una contraddizione ed un assurdo, in cui lo spirito non si può adagiare, e che esso tenta, infatti, di superare riducendo le leggi, le essenze, i tipi a leggi, essenze e tipi sempre più astratti, che però sono anch' essi o immagini indivi- duali o frammenti d' immagini individuali innalzati a universale, quindi, come tali, non hanno ne essere, ne realtà, poiché essere è relazione, cioè atto che supera ogni immagine o frammento d' immagine o gruppo d' immagini come tale. - L' origine ideale e la dialettica interna delle scienze naturali o empi- riche è tutta qui. 26. - Poiché r essere è il prodotto dell' atto di pone in relazione le immagini fra loro, il positivismo dogmatico, che nega quell'atto e vuol trovare l essere come tale nell'immagine singola per se presa, fallisce al suo scopo; le immagini confondono i loro conhm. passano 1' una nell' altra, si alterano, e Y essere sem- bra spettare non già ad ognuna di loro per se presa, ma ad un certo che di amorfo e confuso, che tutte le riassorbe in se. e che si chiama lo stato del mon- do in un determinato momento. Solo questo stato in ciascun momento è ed esiste veramente, e solo approssimativamente si possono distinguere in esso immagini individuali. Ma che cosa esso sia, è impos- sibile dire, poiché non è nulla d' individuale, e niente esiste che non sia individuale, purché messo in rap- porto con altri individuali, nel quale rapporto solo consiste il fatto del suo essere e del suo esistere. — Del resto, questo stato del mondo é per il positivista qualche cosa d' individuale, singolare e concreto an- ch' esso, che perciò non ha in sé essere ed esistenza, ma la ripete dallo stato precedente, che é sua causa, della quale esso é effetto. - 11 positivismo dogmatico diventa così rigidamente deterministico, perché l'im- magine individuale, come tale, svelandoglisi sempre priva di essere e di esistenza in sé. esso é obbligato a riporre quest' essere e quest' esistenza in una im- magine individuale anteriore, concepita come causa di quella. Ma la causa, essendo anch' essa immagine individuale, non ha in sé, a sua volta, né essere, né esistenza, e però anch' essa ha fuori di sé la sua causa, della quale é effetto. La catena delle cause e degU effetti corre così all'infinito, poiché, negato l'u- niversale, al positivista non resta altro che l'indivi- duale per sé preso, che non ha mai in sé, ma sempre fuori di sé, il suo essere ed il suo esistere. " O» dunque, il positivista si rassegnerà a correre all'in- finito di effetto in causa, senza mai giungere ad una 332 ETICA causa prima, senza trovar mai ciò che fonda Y essere e la realtà del momento presente; oppure, troncando arbitrariamente la catena delle cause, si fermerà ad una causa da lui detta prima. — L' origine ideale e la dialettica interna della storiografia empirica è tutta qui. 27. — Il positivismo chiama causa prima, infinito, assoluto, incondizionale, primo principio, quel primo anello della catena delle cause, al quale si e arbi- trariamente fermato. Esso vorrebbe, sì, concepu-lo come universale, ma noi può. perchè T universale non è un termine della relazione, per se preso e materialmente considerato, ma la relazione stessa, r atto stesso del porre in relazione ; e pertanto, chec- che faccia o dica in contrario, deve concepire la causa prima come cosa od oggetto individuale e singola- re. - Ma poiché esso non conosce altro processo conoscitivo che quello del riportare ogni cosa al genere superiore nel quale essa rientra, e del riferirla alla tua condizione, ne deriva che queir oggetto o cosa, clic esso chiama causa prima o primo principio, non avendo un genere superiore nel quale rientrare, ne una condizione anteriore cui essere riferito, essendo unico della sua specie, e non avendo, quindi, nulla con cui possa essere comparato e posto in relazione di somiglianza o differenza, è assolutamente incono- icibile per il positivista (agnosticismo). — Ma T m- condizionale non è, come il positivismo agnostico s'immagina, un termine individuale, posto dentro o fuori la relazione, non è nulla di materiale; è X alto stesso del porre in relazione. Pensare è condizionare: E GNOSEOLOGIA 333 tutto, dunque, è condizionale, tranne T atto del pen- siero che pone la condizione, e che, pertanto, è in- condizionale, cioè non è materia, ma forma; non è termine della relazione in se e per sé considerato. ma r atto stesso del porre in rapporto ; non è cosa, ma attività. 28. — Essere, esistere, significa essere in relazio- ne, ma niente è in relazione che X immagine indivi- duale e singolare. Tutto ciò che esiste è, qmndi. individuale, benché X esistere gli venga solo dal suo essere in relazione, sia solo il suo essere in relazione. È questo il vero senso della sintesi d' individuale e universale, di soggetto e predicato, d' intuizione e concetto (sintesi a priori). Quella causa prima o primo principio, cui si ferma il positivista, e che egli chiama anche X Essere, e che non è né indivi- duale, né universale, ma un ibrido miscuglio di en- trambi, é cosa affatto impensabile. — Ma fosse anche pensabile, questo Essere che é alla fine della catena delle cause potrebbe dar ragione di tutte le cose, tranne del fatto stesso del suo essere ed esistere. Esso è perché é. r essere gì' inerisce per una fatalità inde- clinabile della sua natura, e questa fatalità si estende a tutto ciò che deriva da lui {fatalismo). - Ma deriva, poi. veramente qualche cosa da lui ? Se esso é X Essere semplicemente e senz' altro, tutto ciò che é. é in lui ah aetemo : tutto é. niente diviene, ed il mondo e i suoi cambiamenti e il nostro conoscere sono apparenze vane (panteismo). - Perciò, se il nostro conoscere fosse adeguato a\X Essere, noi legge- remmo nel presente il più lontano futuro e il più remo- 334 E GNOSEOLOGIA 335 ETICA to passato, e in verità non e' è ne futuro ne presente ne passato, ma solo V Essere immutabile (acosmi- smo). — Giunto a questo punto, il positivismo tenta salvarsi, concependo la causa prima non come cosa od oggetto, ma come qualche cosa che non è nulla di concreto e di materiale, e che supera ogni ma- terialità e concretezza, pur essendone la causa e V ori- gine. La causa prima diventa per esso la forza o energia, di cui la materia, con tutte le sue infinite manifestazioni, è il prodotto e il derivato (energeti- smo). — Così dicendo, il positivismo confessa che nulla di concreto e materiale, niun termine della relazione, in se e per se considerato, è V universale, e r Essere, e che questo è al di sopra di ogni con- cretezza e materialità, cioè non è cosa od oggetto, ma ciò che fa cose le cose, oggetti gli oggetti, e perciò stesso li trascende: cioè, in una parola, il dovere. 29. — L'idealismo assoluto, come respinge l'esi- stenza della cosa in sé fuori dello spirito, così respinge quella di soggetti in sé, distinti dalle loro rappresen- tazioni e molteplici di numero. — Nel flusso delle sensazioni si stabilisce a poco a poco una distinzione fra sensazioni né piacevoli, né dolorose da una parte, e sensazioni piacevoli e dolorose dall* altra, le quali ultime si presentano come modificazioni e manifesta- zioni di uno stato affettivo fondamentale, di una fon- damentale volontà di vivere : le prime formano il mondo dei corpi ; le seconde, il mio corpo. Riflet- tendo su questo stato affettivo fondamentale (il mio carattere, il mio temperamento) e sulla identità di esso attraverso le sue molteplici manifestazioni, per ( ciò stesso io me ne distinguo e lo pongo come oggetto di contro a me soggetto. E posso appropriarmene, e dire di esso io, mio, solo ponendolo in relazione (unendolo e distinguendolo insieme, in un solo e medesimo atto di pensiero) con un altro stato affetti- vo fondamentale, che io non sento come stato affettivo, che non mi approprio, del quale non dico io e mio, ma lu e tuo. L' io empirico nasce a un sol parto col lu empirico, prodotti entrambi di un solo e mede- simo atto di pensiero, fuori del quale entrambi son nul- la, e che, producendoli entrambi, si distingue dall' uno e dall' altro. Quest' atto di pensiero è 1" lo assoluto, il pensiero pensante, che pone nell'essere l'io-Zu empiri- ci, cioè la società come rapporto di persone empiriche. L'io empirico non è, dunque, un soggetto distinto realmente, come una cosa o substrato, dalle sue rap- presentazioni, ma è un atto di volere sentito e posto come identico nella molteplicità delle sue manifesta- zioni da un atto di pensiero, che, affermandolo come tale, per ciò stesso se ne distingue, e che. pertanto, è io non già empirico, ma assoluto. Non vi sono molti soggetti pensanti, ma molti soggetti senzienti che pensano un solo e medesimo pensiero : cioè vi sono soggetti pensanti distinti, solo in quanto l' unico pen- siero s' incorpora in rappresentazioni sensibih distinte. Concludendo : non vi sono cose in se, ne soggetti in sé, ma rappresentazioni sensibili ed individuali ed atti di pensiero intellettuali e impersonali. 11 mio mondo diviene il mondo, solo in quanto le mie rap- presentazioni sensibili ed individuali sono realmente ed effettualmente oggetto di un atto di pensiero. 336 ETICA IL ETICA ANALISI DEI CONCETTI DI LIBERTÀ E MORALITÀ; DIALETTICA DEL BENE E DEL MALE; SAGGIO DI TEODICEA TRASCENDENTALE. 30. — Non v' e altro al mondo che Io spinto, e lo spirito è attività che è e sa di essere, in pari tempo ed in un atto solo ; che agisce ed è conscia di agire; è attività che ritorna e si ripiega su se stessa, è due volte, è potenza di se stessa. Ora, Io spinto deve conoscersi come quelF attività che è ; dev' essere per se ciò che e in se ; deve non solo essere Io, ma sapere di esserlo; deve non solo essere Io, ma Io Io. - Ma affinchè lo spirito possa conoscersi come creatore, è d'uopo che cgh. in un antecedente momento della sua storia ideale, sia slato pura attività creatrice : la nozione di creatore implica necessariamente quella di creazione. In quanto pura attività creatrice, che crea e non sa di creare, cioè che agisce e sa di agire, ma non eleva a oggetto di un superiore atto di coscienza la co- scienza stessa immediata della sua azione, lo spirito è, per sé, dinanzi a se, pura creazione e non crea- tore ; cioè si perde e profonda nel prodotto singolo della sua attività: questa coincide volta per volta col suo prodotto, senza esser consapevole di sé come attività produttrice. Affinchè lo spirito si ponga come attività consapevole di se. è d* uopo che esso non I E GNOSEOLOGIA 337 si perda più volta per volta nella creazione singola, ma si stacchi dalla creazione singola e dal complesso delle creazioni singole, le neghi nella loro immediata particolarità, ma, in pari tempo, le riaffermi come prodotto suo, le attribuisca a sé, le imputi a sé, le proclami sue, riconosca sé come universale in esse particolari. Solo così esso si pone, non più come creazione singola, ma come creatore, cioè come uni- versale in atto, che ha creato ed è consapevole di aver creato, e perciò stesso si spicca dalle sue crea- zioni, immediatamente considerate, e si riafferma come loro comune legge, principio e causa efficiente. 31. — E poiché nello spirito l'azione e la con- sapevolezza deir azione non sono mai disgiunte, ma van sempre sinteticamente unite, è facile comprendere cosa sia Y attività spirituale che crea e non sa di creare, ma si profonda nel prodotto della sua crea- zione, senza assurgere alla coscienza di sé come attività creatrice, e che, quindi, è immediata co- scienza del prodotto singolo ed individuale, ma non deir attività produttrice come tale : essa è attività che coincide immediatamente col suo prodotto, cioè con l'immagine singola; è attività suscitata imme- diatamente da un' immagine singola ed immagine singola suscitata immediatamente dall' attività ; è at- tività immaginativa, obbiettiva, individuale, empirica ; è brama, desiderio, tendenza, impulso cieco. — Lo spirito che si pone come coscienza di sé, è, dunque, lo spirito che nega nella loro immediata particolarità i desiderii e le immagini singole in quanto taU, li annienta e distrugge in quanto attività immediata e 22 — A. TiLQHKR. 338 ETICA E GNOSEOLOGIA 339 prodotto di attività immediata, e di contro ali* im- magine singola si pone come ordine, coerenza, logica delle immagini, come universale, concetto, legge; e di contro al caos dei desiderii, impulsi, tendenze «ingole ed immediate, si pone come attività conscia di sé, che non coincide immediatamente col suo prodotto, ma si realizza come universale, come crea- tore, come ideale, come dovere. 32. _ Negando l" immediatezza dei desiderii e delle immagini singole come tali, lo spirito come crea- tore, come dovere, come ragion pratica, si presenta come forza negatrice ed inibitrice, che fa un' infinita rovina di tutta la nostra natura appetitiva, impulsiva, sensibile, ed esige che si agisca per lui solo. E poiché i desiderii e le immagini particolari ed immediati, essendo attività e forza anch' essi, reagiscono a questa negazione, e tendono a conservarsi nell'essere, il dover essere si presenta di fronte a loro come impe- rativo, e nulla essendoci di più alto che lo ponga nell' èssere, come imperativo categorico dotato di apodittica necessità. - Ma esso non è un comando che ci venga da altri che da noi, non è l' arbitraria Imposizione di un essere diverso da noi (Natura, individuo singolo. Società. Dio), cui dobbiamo inchi- narci, senza sapere perché : esso è l essenza più profonda del nostro spirito, è lo spirito stesso come attività creatrice che viene alla luce annullandosi come attività immediata e particolare, coincidente completamente col suo oggetto, come attività empi- rica : h lo spirito che si nega come volere di questa o queir immagine, di questa o quella cosa, di questo \ o queir oggetto, come volere empirico, e si pone come volere puro, come attività universale, conscia, riflessa, ragionevole, che vuol realizzarsi come tale, e sul mondo della natura costruire il mondo dello spirito. — Lo spirito come dovere non è volere di questa o quella immagine, di questo o quell* oggetto singolo, particolare, contingente, ma puro volere : non vuoto volere o volere di niente, ma attività che pone se come tale, si ripiega e ritorna m se. fa di se r oggetto di se stessa, vuole se come attività. Il volere empirico, impulso, brama, desiderio, è il volere deir oggetto individuale come tale, e il volere del- l' essere immediato, è essere immediato esso stesso, o natura : il puro volere, essendo attività in quanto universale, in quanto supera e trascende ogni suo prodotto singolo come tale, è posizione e negazione, insieme, del volere empirico immediato naturale, del volere dell' essere come tale, e però posizione di se come volere superempirico. mediato, spirituale, come puro volere, ideale o dovere. 33. — Il volere empirico, il volere dell'immagine immediata, cioè la bruta tendenza, il cieco impulso, è. certo, libertà, se è attività: ma è libertà che non si sa come tale, è attività che si perde tutta nel suo prodotto, che è vincolata e incatenata al suo prodotto, che agisce, ma non sa di agire, e però non può non agire, che è, sì, libera, ma non è Ubera di esser libera, e, quindi, non è vera e assoluta Ubertà, ma semplice spontaneità. — Il puro volere, cioè il dover essere, per se considerato, è attività che si pone come tale nelF essere con assoluta spontaneità, ed è 340 ETICA conscia di porsi come tale: essa è assoluta autoaffer- mazione ed autoposizione dell'attività come tale, come universale, ma non può non porsi, è mconce- pibile che non si ponga; da tutto si può fare astra- zione, tranne dalF attività astraente stessa, dal puro volere o dovere, ma il dovere non è libero di non porsi come dovere; e però in esso l'assoluta libertà coincide con Y assoluta necessità. — Solo per r urto del volere puro col volere empirico e per il loro mutuo neutralizzarsi lo spirito può liberamente scegliere fra Y uno e Y altro, fra la tendenza e il do- vere, fra il piacere e la legge, fra il volere indivi- duale e il volere universale, fra Y amor proprio e la ragion pratica. Ma ciò non si deve intendere come se lo spirito, giunto a questo momento del suo svilup- po, acquistasse una nuova facoltà, diversa dal dovere e dalle tendenze e terza fra loro due. per la quale liberamente scegliesse tra Y uno e le altre : il che ci riporterebbe al libero arbitrio d' indifferenza. Noi sia- mo qui dinanzi a una sintesi a priori pratica, m forza della quale, ne\Y atto stesso in cui lo spinto si pone come puro volere o dovere, annienta nel a sua particolarità immediata il volere empirico, la bruta tendenza, che, essendo attività anch' essa, rea- gisce a questa negazione, e vuol conservarsi nel- r essere negando a sua volta il dovere. In questa lotta e mutua inibizione di volere puro e volere em- pirico, lo spirito per ciò stesso si pone come non vincolato ne al puro volere, ne al volere empirico. ne al dovere, ne alle tendenze, ma come assoluta libertà da entrambi. - Ma il puro volere, o dovere, come tale, è concepibile solo come forza che annienta E GNOSEOLOGIA 341 e nega nella sua immediatezza e particolarità il vo- lere empirico: un puro volere, che si ponga come tale, indipendentemente da un' assoluta e radicale opposizione al volere sensibile ed empirico, e affatto inammissibile. Il puro volere come tale, il dover es- sere, è niente altro che la negazione dialettica del volere immediato, e poiché solo in questa negazione dialettica lo spirito si pone come assoluta libertà dal volere empirico e dal puro volere, Y opposizione dialettica fra il volere empirico e il puro volere, fra le tendenze e il dovere, è condizione dell' assoluta libertà, è essa stessa 1' assoluta libertà in atto. 34 ___ Per quanto si estende la sfera della nostra esperienza, solo nell' uomo lo spirito si pone come puro volere, solo l'uomo, quindi, è assolutamente libero e dal dovere e dalle tendenze. Sotto di lui, tutti gli esseri sono incatenati alle tendenze sensibih. profondati nelle immagini singole e particolari :^ sono spontaneità, non libertà; soggiacciono alla servitù del- le passioni, non sono liberi nella ragione. Solo nel- r uomo paria la voce del dovere, solo Y uomo può liberamente decidersi fra il dovere e le tendenze, e volere o l' uno o le altre, ma non tutti e due in- sieme. — Poiché tendenze e dovere sono dialetti- camente opposti fra loro, e ognuno è il non-essere dell' altro : fra essi non e' e termine medio, ne è pos- sibile conciliarli sincreti sticamente ; nulla di empirico nel puro volere, nulla di puro nel volere empirico ; e Tuomo, in cui quei due voleri si oppongono dialettica- mente, è al bivio tra le due vie, libero di batter l'una o r altra. — Se egU vuole il dovere e non le ten- 342 ETICA denze. allora la sua volontà è buona, il suo agire è morale, la sua vita è etica. Una sola cosa buona v'c al mondo: la volontà buona, e la volontà buona è quella che vuole il dovere, e ad esso si conforma per nuir altra ragione che perchè dovere. Mail do- vere, come abbiamo visto, è nient' altro che il puro volere, cioè Fattività dello spirito, o Fattività senz'al- tro, postasi come tale, come universale, come spinto. La volontà buona è, dunque, il volere che vuole il puro volere, il volere che vuole sé stesso, la hbertà che fa di sé oggetto a sé medesima, e però è asso- luta libertà ed autonomia. 35 ^ Lo spirito è sempre ed essenzialmente libertà in ogni attimo della sua vita : ma è suprema libertà solo quando è libertà che libera se stessa, è volere che vuole se stesso come puro volere. - La bruta tendenza è attività, quindi libertà, ma poiché non é libera di non esser tendenza, non é assoluta libertà, ma semplice spontaneità. - 11 puro volere o dovere é libertà, cioè attività conscia di sé come tale, quindi universale, ma poiché non è libera di non essere Ubertà. non è assoluta libertà, ma Hbertà che é necessità. - - La volontà buona, invece, è il volere che ha per oggetto il dovere, cioè il puro volere; é il volere che vuole sé stesso come puro volere ; é la libertà che si afferma liberamente, e perciò è assoluta ed incondizionata libertà, autonomia, personalità. - il bene non è. dunque, il semplice dovere, è il volere del dovere : più in alto del dovere e' è la volontà buona. L' essenza della bontà, della moralità. delF eticità è. dunque, la Hbertà assoluta. E GNOSEOLOGIA 343 la libertà che liberamente si fa tale, l'universale oggetto di sé stesso come universale, in cui non v' è nulla di dato, d' imposto, di estraneo, di coatto, di altro; ma tutto è attività, libertà, interiorità, spiritualità, personalità, lo. - E poiché non è possibile definire altramente la felicità che come Y assoluto accordo di sé con sé, e questo accordo, nella sua forma pm alta, non è realizzato altrove che nella volontà buo- na, in cui il volere vuole sé stesso come puro volere in cui lo spirito è assoluto accordo di se con sé, è evidente che felicità e bontà sono una cosa sola. La moralità non ha, dunque, bisogno di premio o felicità che le vengano dal di fuori, in compenso dei patimenti che essa procura a chi la segue e professa, poiché il premio e la feUcità le ven- gono dal di dentro. - NelF assoluta autonomia e r assoluta feHcità. Nella bruta tendenza per sé presa, nel cieco impulso, nella sregolata passione, e' é tanto di felicità quanto di attività, e poiché Y attività e Immediata, particolare, confinata e profondata in un oggetto singolo, la feHcità è anch' essa immediata, oggettiva, particolare, empirica. Nella sempHce ten- denza o volere empirico, lo spirito non è assoluto accordo di sé con sé, non è feHcità assoluta, perche la tendenza è particolare, e lo spirito in sé è universale. Perciò alla tendenza soddisfatta segue subito la nuova tendenza da soddisfare : e così via all' infinito, senza mai posa, né tregua. Ma che lo spirito spezzi il pro- cesso indefinito deUe tendenze empiriche e partico- lari, si ponga come volontà buona, come volere del dovere, si costituisca come assoluta libertà, e perciò stesso la suprema feHcità sarà raggiunta. — E se 344 ETICA esso, invece del dovere, vorrà le tendenze, e, cioè, si porrà come volontà non buona, ma cattiva, la suprema felicità gli sarà sempre negata: e poiché, contravvenendo al dovere, ha contravvenuto insieme air essenza sua stessa più profonda, così, nel delirio dei suoi peccati e dei suoi errori, sentirà sempre la voce del dovere ammonirlo che il suo vero se non è dov'egli lo cerca, che egli è fuor di strada, e fuori di se, è un essere discentrato; e questa voce, che è quella del rimorso, lo perseguiterà sempre e dovunque, e gli avvelenerà ogni godimento. 35, __ Volontà buona è la volontà del dovere; azione buona è Fazione fatta solo perchè il dovere la vuole. L* etica che svolgiamo è assolutamente for- male: essa non ammette nulla di materiale. Se un' azione fosse compiuta per altra ragione che per il dovere, sarebbe fatta in vista del suo materiale con- tenuto. Ora, al di qua del dover essere, non vi è altro che Y essere nella sua immediatezza, particola- rità e contingenza : al di qua del puro volere non ci sono che le tendenze sensibili, naturali, immediate, empiriche. Se un* azione non è fatta perchè il dovere così vuole, è necessariamente fatta perchè un impulso, una tendenza, una passione, un desiderio vi spinge. Il volere che non è volere del puro dovere, è volere della tendenza empirica, quindi volere utilitario, egoi- stico, interessato: non c'è iria di mezzo. Ora, poiché il dovere o puro volere, per sé preso, non è nulla di materiale e di empirico, nulla di esistente e di dato, essendo ciò che fonda e pone le esistenze, le cose, i dati, esso è principio puramente formale, intendendo E GNOSEOLCXilA 345 per formalità non la vuota formalità di uno schema astratto senza contenuto, ma la concreta formalità di un' attività pura a priori, che fonda le esistenze par- ticolari, e perciò stesso le trascende e si pone come universale. Che cosa imponga il dovere, questo ce lo dice volta per volta il dovere stesso, e non spetta alla filosofìa, scienza dell'universale, indagarlo. Ma che si debba agire secondo il dovere solo per amore del dovere, e non per la materialità della azione o degli effetti dell' azione che esso comanda. è assolutamente necessario a costituire la vita morale. E poiché tra dovere e tendenze sensibili non e' è termine medio, ogni morale che non è morale del puro dovere, svolta logicamente è morale dell' inte- resse, dell' amor proprio, del piacere, dell' egoismo. Ogni morale non formale, ogni morale materiale, è essenzialmente utilitaria, e nega l' oggetto di cui do- vrebbe essere scienza. — Pertanto la compassione, la simpatia, la benevolenza, 1' altruismo e simili, ad- dotti come principio della morale, o sono sinonimi di puro volere o dovere, e indicano un' attività pura- mente formale e non materiale ; o sono presi nel senso d' impulsi immediati e naturali, e valgono quanto ogni altro impulso immediato e naturale, e cioè sono non solo amorali, ma immorali, se anche socialmente meno pericolosi. — L'etica greca, che concepì sempre il bene come legge data dalla natura, che si tratta solo di scoprire e seguire, e ripose la virtù nel vivere secondo natura, fu sempre essenzialmente intellettuali- stica e utilitaria. 11 punto di vista proprio della mo- rale fu conquistato solo da Kant, con la scoperta della formalità del dovere e dell'autonomia del volere. 346 ETICA 37 _„ Chi agisce per dovere vuole liberamente la sua essenza, e poiché questa non è cosa, ma attività o puro volere, si pone come assoluta Ubertà che n- folve in se ogni dato, come autonomia e personalità assoluta, come lo Io. Chi non vuole il dovere e vuole, invece, le tendenze, rinuncia per ciò stesso ad essere lo, e si abbandona all'impulso sensibile: e poiché gl'impulsi sono sregolati, non obbediscono a legge, e vanno e vengono senza norma alcuna, egli oggi vuole questo, domani quello, anche se diverso ed opposto; oggi è questo, domani quello; vuole e disvuole; e nella serie delle sue volizioni non si pone, ne si riconosce come una sola e medesima attività che si attua e svolge nel tempo ; e perciò non è persona, ma cosa; non spirito, ma natura. Chi, invece, si realiz- za come persona, chi agisce secondo il dovere, pone tutto se stesso, come lo Io. in ogni attimo della sua vita, si riconosce per intero in ogni momento del suo passato, ed assorbe così il passato nel presente, come momento subordinato ed inferiore. Risolvendo il passato nel presente, facendo di quello un semplice momento di questo, egli cresce su se stesso, si ar- ricchisce continuamente, vive una vita sempre più intensa, in una parola progredisce. Il progresso è possibile solo in un essere che cambia, ed in pan tempo permane ; che in ogni momento della sua vita è implicite quello che sarà explicite nel momento successivo; che in ogni momento contiene in se, posti e negati, cioè superati, i momenti antecedenti. e li imputa a se. li attribuisce a se, li giudica suoi, e perciò li supera. Ma ciò è possibile solo quando E GNOSEOLOGIA 347 r essere sia sempre attuazione di se come persona, come Io = lo. cioè sia volere del dovere o volontà buona. Bontà, libertà, progresso, lo = Io. son. dun- que, termini affatto equivalenti. — Lo spirito che non vuole il dovere, che non è lo Io. che va dove lo spingono le tendenze, è spirito caotico e disgregato, in cui il presente è senza rapporti col passato e col futuro; il presente del quale non contiene in se e;rp/(ci7e il passato ed implicite il futuro; e quindi è essere che non cresce su se stesso, non si sviluppa, non progredisce. Moralità, dunque, progresso. 38. — È progresso la vita, ogni momento della quale contiene in sé, posti e negati, cioè superati, i momenti antecedenti, e sarà a sua volta superato dai momenti seguenti; una vita, i momenti della quale non si seguono Y uno senza rapporto con Y altro, come goccie d' acqua, ma in cui ogni momento è l'affermazione di una identica attività, che, nello stesso tempo, lo pone e lo trascende, e così si svolge ed attua nel tempo come universale concreto e vi- vente. — A precede immediatamente i, quando ne contiene in sé la ragione necessaria e sufficiente, e la contiene solo quando é nient' altro che h implicite: h seaue immediatamente a. quando ha la sua ragion necessaria e sufficiente in a. cioè solo quando è nient' altro che a explicite : dal che risulta ali evi- denza che a e fe non sono due esseri diversi, due monadi, chiuse Y una all' altra, ma una stessa attività, che si attua, esplica e svolge nel tempo. In una vita tutta progresso, dunque, domina tra gì' istanti di essa la più rigida continuità, il più inHessibile determinismo, 348 H* 1 Iv»/^ E GNOSEOLOGIA 349 sì che ogni attimo di essa è V effetto dei precedenti e la ragione dei seguenti, e in nessun punto questo vincolo di necessitazione s' interrompe e vien meno ; eppure, poiché ciò è possibile solo in una vita tutta progresso, tutta personalità, tutta libertà, tutta moralità, domina dappertutto la più assoluta libertà. Moralità è progresso, e progresso è sintesi a priori di neces- sità e libertà. E veramente libero e buono solo lo spirito, che in ogni istante della sua vita risolve nel presente il passato, e nel passato, che non è più m suo potere, si sente così assolutamente lo, come nel presente, che è tutto in suo potere. 39 ^ Lo spirito che si pone come assoluta personalità, come volontà buona, è lo spirito che. per essenza, progredisce: pel quale, nella moralità del presente è compresa, come momento subordinato ed inferiore, cioè superato, la moralità del passato, a quel modo che nelF lo di oggi è compreso, come momento superato, l'Io di ieri; e solo a questo patto è lo lo, cioè moralità. Considerata Y azione nella sua esteriore materialità, ciò che è morale oggi può non esserlo domani, ma la moralità d' oggi rivivrà nella moralità di domani come momento superato. Non si dica, dunque, che la moralità progredisce: poiché r azione morale di oggi, se è veramente mo- rale, non potrebbe essere diversa e migliore di quella che è. Ma la moralità è il progresso stesso : e perciò lo spirito che è morale oggi, se continua domani ad esser morale, lo sarà solo a patto di vivere una vita, che comprenda in sé, superandola, la vita e moralità passata, e che solo così sarà continuità di vita e coscienza di questa continuità, cioè personalità e lo Io. — E poiché, come abbiamo visto, il dover essere è fondamento trascendentale dell' essere o conoscere, al progresso, che è la moralità, corri- sponde, di pari passo, il progresso della conoscenza. Se si proclamano esistenti solo quei fenomeni o im- magini, nelle quali si trova realizzata una legge, un ordine, un ideale, ciò è possibile solo quando lo spirito si sia posto come ordine, legge, ideale. E se lo spirito come ordine, legge, ideale, cioè^ come moralità e razionalità, progredisce, progredirà pure lo spirito come conoscenza, e nella conoscenza di oggi vivrà come momento inferiore e subordinato, cioè superato, la conoscenza di ieri. Quale la morale, tale la storia; quale V ideale della vita, tale il giudizio e la concezione storica e la visione teoretica della vita. E se neir ideale di oggi vivono come elementi superati gì' ideali del passato (e. in realtà, non ci sono ideali di oggi e di ieri, ma un solo ideale, un solo Io, che si fa e svolge nel tempo), nella stona di oggi, neir attuale concezione e visione del mondo, vivono come momenti superati le storie e conceziom e visioni passate. - E come ogni ideale é. a suo tempo, moralità, così la corrispondente visione del mondo, cioè la storia corrispondente, è, a suo tempo, verità; e come quello viene risoluto e assorbito da un ideale superiore, così questa viene risoluta e as- sorbita da una visione del mondo o storia superiore : da verità assoluta e totale diviene semplice momento di essa, contro cui la verità superiore lotta per assor- birlo, e, lottando contro di esso, nel momento della lotta lo fa decadere al posto di errore. La verità 350 ETICA non e. dunque, qualcosa di bello e fatto, di perfetto e compiuto ; ma si fa nel tempo, è costruzione dello spirito, è lo spirito stesso che si riconosce realizzato nella serie delle immagini o fenomeni, e perciò qua- lifica questi come esistenti ; e attuandosi praticamente in eterno come moralità, viene eternamente, di mo- mento in momento, costruendo la sua storia nel tempo, storia che in ogni momento corrisponde alla moralità di quel momento, ed è la manifestazione sensibile o il fenomeno o 1* autocoscienza di essa. - Chi vive nella sua perfezione V ideale di oggi conoscerà nella sua perfezione la verità, la visione del mondo o storia, corrispondente a questo ideale: chi non conosce nella sua perfezione la verità attuale, è quello stesso che non vive nella sua pienezza la moralità del presente. L' errore, come la verità, ha fondamento pratico. Fondamento trascendentale del vero è il bene ; V errore è dello spirito che o vive una mora- lità inferiore, oggi negata e superata, o. addirittura. e volontà pervertita e malvagia. Pragmatismo tra- scendentale : così definiremmo la nostra filosofia, se attribuissimo alle definizioni riassuntive una qualsiasi impoitanza. 40. — Lo spirito si svincola dallo stato dell' a- nimalità, in cui coincide immediatamente con la tendenza singola e particolare, ed assurge alla spi- ritualità, o consapevolezza di se, ponendosi come puro volere o dovere. E il puro volere, o dovere, pone le tendenze sensibili come immediate, partico- lari, singolari, ed insieme le inibisce come tali. Di per se stessa, la tendenza sensibile è immediata e parti- E GNOSEOLOGIA 351 colare, ma non sa di esserlo; è immediata e particolare in se, ma non per se ; la coscienza della sua immedia- tezza' e particolarità è. insieme, posizione e negazione di questa come tale, è il dovere. - Come opposti dia- lettici, non e' è termine medio tra il volere puro e il volere empirico, tra il dovere e la pura tendenza o amor proprio ; lo spirito, che da questa lotta dei due contrarii è posto come libero volere, non può decidersi che o per Y uno o per Y altro, o per il dovere o per il piacere. Se si decide per il dovere. e volontà buona; se per il piacere o amor proprio, è volontà malvagia. - Tra il volere buono ed il cattivo non ce termine medio; non ci sono aziom indifferenU. cioè ne buone, ne cattive, ne morali, ne immorali, ma amorali ; non ci sono azioni buone e cattive insieme. Il male è Y opposto del bene : il volere che non e buono è sempre, e solo in grado più o meno intenso, essenzialmente cattivo. - H male, dunque, non e la pura tendenza sensibile, il puro impulso, la pura passionalità, il puro appetito, la pura natura, il puro amor proprio in se considerato, avulso da ogni rap- porto col dovere : h Y amor proprio, Y impulso, la tendenza, liberamente voluti e fatti norma e massima di vita ; e poiché volere liberamente la tendenza co- me tendenza immediata e particolare è possibile solo nella lotta di questa col dovere (poiché solo m questa lotta essa è posta come tendenza immediata e par- ticolare), il male è volere delF amor proprio affermato di contro al dovere ; è volere del particolare affermato di contro air universale ; è volere come particolare e natura che si erge contro il volere come universale e spirito. Ma poiché il volere cattivo è essenzialmente 352 ETICA libertà, quindi lo :: lo, universale, il male, che e volere del particolare come tale, e Y universale che pretende attuarsi nel particolare, e perciò una contrad- dizione, destinala ad annullarsi per la forza stessa della sua intema dialettica. 41 .„ Il male non è. dunque, un principio sem- plicemente diverso e distinto dal bene (dualismo), poiché, essendo volere delle tendenze come tali di contro al dovere, esso è possibile solo con la libertà di scelta tra dovere e tendenze; e poiché questa libertà di scelta è nient' altro che V opposizione dia- lettica tra le tendenze e il dovere (nella quale op- posizione e per la quale opposizione soltanto le ten- denze appaiono come tendenze immediate e partico- lari, e il dovere come puro volere universale e ne- cessario, e lo spirilo si pone come libertà di scelta fra i due), esso nasce a un sol parto col volere de dovere, col bene, come suo opposto dialettico. - 11 male non è semplice privazione, poiché, se fosse tale, dovrebbe aumentare a misura che si scende nella scala degli esseri, ed invece esso appare solo nella più alta delle creature, nell'uomo: e non è assenza di forza e potere, causa deficiem. ma forza e potere, cioè volere, causa efficiem, - Il male non è voluto o permesso o tollerato da Dio, poiché questi, per sé. é il puro volere, cioè il dover essere, libertà che é' necessità: il male é voluto dall'uomo, che liberamente sceglie fra le tendenze e il dovere; e questa libertà del volere non é possibile che nella lotta del dovere con le tendenze, nel conflitto del- r universale con l' individuale, lotta e conflitto che E GNOSEOLOGIA 353 ha luogo solo neir uomo. - Il male non é nemmeno semplice allontanamento della creatura da Dio (ema- natismo), poiché quest' allontanamento sarebbe invo- lontario, mentre il male é essenzialmente volontà, e. in quanto volere della tendenza come tale, sorgendo ad un parto col dovere, sorge quando lo spirito ac- quista coscienza di Dio, dell' universale, e cioè, ben lungi dall' allontanarsene. gU si avvicina. - Il male non è la sempUce tendenza in sé considerata, al di qua del conscio e riflesso volere : non è assenza di volere, è volere, non di Dio, ma delle creature, non del dovere, ma delle tendenze; e poiché il volere dell' uomo non è né puro dovere, né semplice ten- denza, ma essenzialmente opposizione dialettica di dovere e tendenze, quindi libertà di scelta fra i due, esso può essere volere del dovere o volere della tendenza, liberamente, ma non già puro dovere o pura tendenza, senz' altro. 42, — Quando per la prima volta nello spinto suona la voce del dovere, le tendenze sono annullate nella loro immediatezza e particolarità : ciò vuol dire (questo possiamo aggiungere ora, e soltanto ora) che esse sono poste come particolari ed immediate solo neir atto di essere, insieme, negate ed annullate come tali. - Di per sé presa, quindi, prima di essere posta e negata come immediata e particolare dal puro volere o dovere, la tendenza non è né imme- diata, né mediata, è al di qua di ogni distinzione d'immediatezza e mediatezza, é coincidenza imme- diata di mediazione e immediazione, è l' universale coincidente immediatamente col particolare, è l'ideale 23 — A. TlLOHEB. 354 H, 1 1^/\ coincidente immediatamente col reale, è la legge che « attua immediatamente nella tendenza, senza con- sapevolezza di se come legge quind. non come do- vere o ideale, ma coli' infless.b.hta d. una legge di natura; non è tendenza propriamente detta immediata e particolare, ma istinto. L' istmto dell animale e. per r appunto, l' immediata coincidenza della tendenza Individuale e sensibile con la legge del suo essere: 1- animale non ha tendenze individuali fuori e contro la legge del suo essere; in lui tendenza e legge del suo essere (anno tutt'uno; pertanto esso e al di qua del bene e del male, non è buono, ne cattivo non può errare, ne peccare: è innocente. - Solo col sor- gere del dover essere, che non è immediatamente e .enz- altro, ma reclama di essere, individuale e um- versale. reale e ideale, essere e pensiero, tendenza e lecce che prima coincidevano immediatamente, si staccano l'uno dall' altro; la tendenza viene posta e negata, insieme, come tendenza immediata e partico- lare, come puro individuale, l'universale pone se come legge che non è immediatamente, ma esige di essere, e sorge la possibilità del bene e del male. Ma la possibilità del male, cioè del volere della tendenza e tutt' una cosa con la possibilità del bene, eoe del volere del dovere: le due possibilità nascono insieme sono una sola possibilità; rinunziare al a possibilità del male è rinunziare alla possibilità del bene, cioè n- tomare allo slato di natura, in cui legge e tendenza coincidono immediatamente, e che non e ne bene. ne male, ma bruta bnocenza. - Col nascere del do- vere nasce nello spirito la tendenza come tale, come inmediaU e particolare: e così nasce non solo la E GNOSEOLOGIA 355 tentazione al male (la tentazione è la stessa tendenza posta come immediata e particolare), ma la possibilità della volontà della tendenza, cioè la possibilità del male. 43. _ La volontà della tendenza può essere cosi debole e lieve, da sembrare come se fossero le ten- denze, proprio esse, a soverchiare la volontà; o così forte e possente, da ordinare e disporre a suo modo le tendenze stesse cui si asservisce : tra la debolezza e fragilità della carne e la malvagità diabolica del volere vi sono sfumature infinite, ma l'una e l'altra non sono semplici tendenze, bensì volontà delle tendenze, volontà cattiva. - Del resto, se la tendenza indivi- duale come tale sorge nel contrasto col puro volere, se in questo contrasto consiste la libertà del volere, abbandonarsi alla tendenza come tale non è sempli- cemente abbandonarsi, ma è volere abbandonarsi ; è volontà della tendenza, non pura tendenza. Questa è la deduzione trascendentale della realtà della tenta- zione e della possibilità del male. — Ma il male non è solo possibilità, è terribile realtà, e realtà univer- sale, come r esperienza di tutti i luoghi e di tutti i tempi ci dimostra. S'impone, quindi, la domanda: perchè il male non è solo possibile, ma anche reale? Che non si possa volere il dovere senza, in pan tempo, poter volere le tendenze, è ornai dimostrato e chiaro; ma perchè la volontà vuole di fatto le tendenze e non il dovere? 44 _ Perchè il volere del dovere, cioè la volontà buona, si ponga veramente come tale, è asso- 356 ETICA lulamente necessario che prima essa sia, non so o potenzialmente, ma attualmente e di fatto, volere delle tendenze: perchè il bene iia, è nccessano che prima e realmente sia il male. Il volere delle tendenze e il volere che, come asse e centro della vita, e di una vita - si badi . giunta a spiritualità, coscienza e riHessione, pone la natura. V attività immediata, sin- gola, particolare. V impulso cieco, la bruta tendenza, ciò che lo spirito non riconosce come opera e creazione sua, ma che è dato e fatto della natura: è il volere libero, cioè Y lo : Io, che fa oggetto di sé il non volere, cioè Y altro dall' Io; è il volere deirio come volere dell'altro dall'Io; è 1 Io nella forma dell'altro da se, è la personalità come altro da sé medesima, come negazione di sé medesima. - Tale è la mostruosa contraddizione della volontà cattiva, che. appunto perchè intimamente contraddit- toria. è destinata inevitabilmente ad annullarsi e svanire. Allorquando lo spirito riconosce che, nella forma in cui prima si era attuato, egli non era volere di sé, ma volere dell' altro da sé ; non volere de lo spirito, ma volere della natura; non volere della legge, ma volere dell' oggetto singolo ed immediato; non volere dell' universale, ma volere del particolare, e che, in quella forma egli non era sé, ma negazione di sé, allora soltanto si pone come Io, come 5e. come Persona assoluta. Il Sé non è concepibile se non come opposto dell' altro da sé, come posizione e negazione, insieme, dell'altro da sé come tale: solo ponendo e negando 1' altro da sé come tale. Io spirito si pone come Sé; solo ponendosi e negan- dosi come male, si pone come bene. L' universale E GNOSEOLOGIA 357 realtà e necessità del male è condizione e fondamento dell' universale realtà e necessità del bene, e ne è, a sua volta, fondata e condizionata : il male è fonda- mento trascendentale della personalità, che è legge del mondo. 45. - E come il dovere non è nulla di empirico, ma è ciò che fonda Y esperienza come tale, e perciò stesso la trascende, come il volere del dovere o volere buono è superempirico e trascendentale, così superempirico e trascendentale è il volere cattivo. In nessun punto singolo e individuato dell' esperienza e della storia è possibile trovare 1' origine del male, sia dell' individuo, sia dell' umanità, perché 1' espe- rienza o natura, nella sua immediatezza, è nient' altro che la natura sensibile, impulsiva, appetitiva del- l' uomo : e la mera sensibilità, il mero impulso e appetito, come abbiamo visto, non è male, ma semplice tentazione al male. La natura tenta al male, non è male essa stessa. - E poiché il male è realtà universale, di cui 1' origine non è indicabile in nessun punto dell' esperienza e della natura, resta che sia di origine superempirica e supernaturale. Il volere dell'uomo si è liberamente inclinato al male, ha liberamente voluto le tendenze invece del dovere : non queste o quelle tendenze a, fc, e, individuate, singole, particolari, che, come tali, sono date dal- l' esperienza e dalla storia, ma la tendenza in generale, la tendenza come tendenza in generale, cioè 1'^ egoi- smo e r amor proprio. L' uomo nasce volendo 1' amor proprio di contro al dovere, ed esplica questo volere malvagio volendo queste o quelle singole e partico- /* E GNOSEOLOGIA 359 358 ETICA lari tendenze, secondo le circostanze. Ma il volere di questa o quella tendenza è semplice caso parti- colare della generale disposizione dell' uomo a volere la tendenza di contro al dovere. - Questa disposizioiie deir uomo è il male radicale, il cattivo cuore, la perversione della sua natura, che macchia X innocenza deir essere, e getta nel mondo il germe del peccato e deir errore. Pure, essa è frutto di un atto della libera volontà dell'uomo, e poiché questa scelta non è empirica, ma condiziona X espenenza, per il fatto che la supera e trascende, essa è superempirica o intelligibile: il male è il carattere intelligibile dell' uomo. Tutta la storia umana è lo svolgimento della lotta del volere buono contro il volere cattivo, del volere dello spirito contro il volere della natura ; ma che il volere sia in principio radicalmente cattivo, questo è atto intelligibile e superempirico, essendo liberamente voluto dall' umanità prima di ogni singola e individuale esperienza. - E poiché il male è con- dizione e fondamento del bene, poiché il carattere intelligibile deve prima porsi come cattivo, affinchè, riconoscendosi e negandosi come tale, possa poi porsi come buono, l' uomo nasce malvagio, non per neces- sità cieca di natura, non per eredità di peccato, non per involontaria caduta, ma per un atto Ubero, e tuttavia dialetticamente necessario, del suo volere. 46. - Lo spirito giunge all' assoluta personalità, che è bontà, solo dopo essersi posto e negato come malvagità : solo quando il male è posto e negato, insieme, come tale, sfavilla nello spirito la luce del bene. - E i^ichè il male non è nulla di empirico. 1 ma supera e ttascende X empiria, la negazione del male non è nulla di empirico, ma supera e trascende anch'essa l'empiria: la liberazione e redenzione dal male viene dal di dentro e non dal di fuori, è opera dell' assoluta libertà dello spirito che conquista se stesso, e non semplicemente della natura o delle circostanze storiche. Perciò essa appare allo spirito come trascendente la natura; e non essendo neces- sariamente prodotta da nessun atto individuale, e da nessuna serie di atti individuali come tali, appare come una grazia al di sopra di ogni mento. - E poiché il volere del dovere o volontà buona é pos- sibile solo come negazione dialettica del volere della tendenza o volere cattivo, la bontà é possibile solo come lotta contto la malvagità, come negazione di essa, come redenzione dal male. 11 bene, dunque. é essenzialmente processo di redenzione. E^ poiché chi opera la redenzione é lo spirito stesso, l' Io. che si annienta come altro da sé e si pone e conquista come Sé. la redenzione si configura come morte e come nascita : come morte al mondo e come nascita al sopramondo ; come morte alla terra e come nascita al cielo; come nascita che. essendo nascita al vero Io, é rinascita. - E poiché, pur negandosi come volere dell' altro da sé. come volere cattivo, lo spinto non può non riconoscere che chi era cattivo era proprio lui. quel lui che ora é buono, egh imputa ed attribuisce a sé il suo volere cattivo, il male che ha fatto, e sente questo come male suo. come colpa, fallo, peccato. Sentire il male come peccato e erre il male come male, e perciò stesso superarlo, ne- garlo e porlo a morte : il rimorso, come negazione 360 ETICA del male e posizione del bene, è tutt' uno con la redenzione. Attraverso il rimorso e Y espiazione, attraverso la pena sentita e sperimentata come tale (come dolore meritato per una colpa), lo spinto si pone come volontà buona : il rimorso non è. dunque, un semplice riandare sul male passato e raddoppiarlo col dolore presente di averlo fatto, è nuova vita e nuo- va creazione che sorge sulla negazione del male e del peccalo. In quest'atto unico e indivisibile, che e vita e morte in uno. morte del falso Io e nascita del vero lo. morte del vecchio Adamo e nascita del nuovo Cristo in noi, in questa suprema sintesi a priori pratica di opposti è la moralità : e poiché tra gli opposti non v' è termine medio, così dal male al bene non v' è passaggio lento, continuo, graduale, ma iato, salto, rivoluzione, conversione. 47. - Si progredisce nel male, si progredisce nel bene, ma dal male al bene non si passa; si salta. E chi opera la conversione è lo spirito, Y Io. che in se è assoluta libertà, e tale deve e vuoF essere per se. cioè tale vuol conoscersi, ed il male, eh è volere, non dell' lo. ma della natura, non lo annienta definitivamente come tale, ma solo, per qualche tempo. lo raffrena e impedisce. — E poiché la moralità è re- denzione dal male, il male è sempre presente allo spirito convertito alla bontà: questo si sente sempre tentato, e perciò stesso imperfetto; nulla gli garan- tisce che domani non ripiombi nel male da cui s' è redento; e la bontà di oggi, se gU fa sperare nella bontà di domani, non gliel' assicura in modo defi- nitivo ; il progresso continuo nel bene, se gli fa spe- E GNOSEOLCX:iA 361 ì ì fi rare nella persistenza del volere buono, non ne lo accerta in modo assoluto. Perciò la moralità è lotta e processo continuo, che non ha riposo. - E poiché il male è volere della tendenza individuale e sen- sibile come tale, e il mondo, considerato nella sua materialità, e quasi direi nei suoi elementi, non offre nuir altro che tendenze, appetiti, impulsi sensibili e particolari, cioè tentazioni al male, il mondo è ve- ramente Satana, il tentatore, e il male, che è volere delle tendenze, è volere del mondo e di Satana, ed è principe di questo mondo. Il dovere, invece, es- sendo funzione ed attività che fonda e pone il mon- do, e però è superempirica e trascendentale, la vo- lontà buona, che è volontà del dovere, non è volontà del mondo, considerato nella sua bruta materialità.^ ma volontà del sopramondo. Il regno del bene non è di questo mondo, e. pure attuandosi ogni momento nel mondo, infinitamente lo trascende. - Fondo ultimo della realtà è il cieco e tenebroso volere, F illimitato poter essere, la pienezza inesauribile delle possibilità, che per ciò stesso nega ed esclude ogni esistenza concreta e particolare, e però è forza creatrice e distruttrice insieme, essere che è non-essere. Il male è questo fondo ultimo, non per sé preso, ma in quanto oggetto di chiaro e conscio volere. Esso non è, dunque, né semplice creatura, né pnncipio eterno ed increato, ma principio divenuto, che pre- suppone le creature pel fatto stesso di negarle e distruggerle : è Y eterna fame della realtà che più divora e più è famelica, e negando ogm singola creatura, in quanto chiude e limita in sé la forza creatrice primordiale, è forza distruttnce per ec- .'■'«■lai. ■ft'" 362 ETICA E GNOSEOLOGIA 363 cellenza. Così, mentre il bene è negazione che è conservazione e superamento, cioè progresso, il male è negazione che è distruzione e annullamento, cioè antiprogresso. - Pure, poiché la creazione non ha vera realtà finche ognuna delle possibilità sue nemiche non è stata sperimentata e negata come tale, il male è l'eccitatore della creazione, il principio motore della storia: Satana è servo e messaggero di Dio. 48. -™ Volere buono è il volere del dovere sen- tito e sperimentato come dovere, come ideale, come trascendente. Ma la ripetizione e la continuità ren- dono r attività morale più facile e sicura, sviluppando neir anima la tendenza al volere buono, ali* azione morale. Così Y abitudine trasforma in inclinazione involontaria la volontà del dovere, e fa nascere i costumi, la moralità, la virtù. Questa prima è sforzo e fatica, poi, con la sola ripetizione, diviene desiderio, tendenza, inclinazione. L'ideale o dovere tende così a discendere sempre più nel volere, V intervallo fra i due tende a diminuire sempre più, ma questo stato, che è quello dell' innocenza, della santità, dell'Amore, è un limite ideale, raggiungibile solo all' infinito, poi- ché, se il dovere non è sentito come tale, come tra- scendente, dal volere, questo non è più volere buo- no. - Se questo limite fosse raggiunto, lo spirito sarebbe attività pura senza sforzo, e la personalità perirebbe. Nella pura passione il soggetto che la prova è tutto fuori di se. tutto nell' oggetto, e perciò non conosce, ne distingue ancora sé stesso. Nella pura azione, per la ragione opposta, il soggetto è tutto fuori di se. tutto nell'eietto. e perciò non conosce, ne distingue più se stesso. La coscienza e la scienza si fondano nella distinzione di oggetto e soggetto, che ha luogo solo col porsi dello spirito come do- vere. - Solo nella lotta fra dovere e passione è la soggettività. - Nell'istinto bruto legge e tendenza, fine deir atto e atto, pensiero e spontaneità coinci- dono pienamente: è la natura, immediazione di reale e ideale, pensiero concreto, dove l'intelligenza è fusa con r essere. La natura, dunque, è volontà imme- diata, istinto, Amore che desidera e possiede msieme. 11 dovere stacca la legge dalla tendenza, Y univer- sale dair individuale. La ripetizione indefinita del volere buono tende a farU coincidere in una nuova identità, che ha in sé sciolta e vinta ogm opposi- zione. Limite ideale di questa indefinita approssima- zione é r Amore intellettuale dell' uomo per Dio, che poi è l'Amore che Dio stesso ha di sé. che è Dio stesso. Dall'Amore immediato che è la Natura al- l' Amore intellettuale che è Dio corrono gradi infi- niti, potenze di una sola e medesima realtà: l lo. identità di essere e pensiero, di azione e coscienza, di pratica e teoria, potenza di sé, m una parola A- more. L' Amore è, dunque, il principio e la fine, l'alfa e l'omega, la radice ed il fiore della scienza e della realtà (Ravaisson, De Vhahitude). Roma, gennaio-agosto del 1914. DISCORSO sul metodo e sul cominciamento della filosofia ì l^j-j— 555^ Jr -fc'*"^J^ " '■1.. -! 1 i ^ I Il metodo della filosofia In uno scritto di recente pubblicazione, // metodo dell' immanenza (nel volume La "forma della dia- leltica hegeliana, Messina, 1913, pp. 259-300), il prof. Giovanni Gentile chiama giustamente metodo trascendente ogni concezione del metodo come un processo o strumento, apprendendo il quale e per mezzo del quale lo spirito h posto in grado di rag- giungere e conquistare la verità. E di tutta evidenza che il metodo trascendente presuppone una hlosoha trascendente, una filosofia, cioè, che stacchi il cono- scere dall' essere, il sapere dalla verità, faccia del- l' essere e della verità cose ed oggetti, esistenti in se e per se, prima, fuori e indipendentemente dal conoscere e dal sapere, e così dia luogo al proble- ma : - in che modo il conoscere può raggiunger l' essere ? in che modo il sapere può conquistare la 368 DISCORSO SUL METODO E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 369 verità ? e, raggiunti che siano 1' essere e la verità, per mezzo di qual segno, in forza di quale criterio lo spirito si accorge di averli raggiunti ? — D' altra parte, concepito il metodo come strumento, come me- todo trascendente, è di tutta evidenza che esso non può condurre che ad una filosofia trascendente. I! metodo trascendente è, dunque, insieme ed in un atto solo, condizione di una filosofia trascendente e condizionato da essa ; e fin da ora comincia a mostrar- cisi la circolarità di metodo e filosofia, scoperta da Spinoza (©e intellectus emendatione) e dimostrata da Hegel. La contraddizione insita al metodo trascendente h rivelata chiaramente dal processo alF infinito, cui esso di necessità dà luogo, poiché che altro è il processo all' infinito se non la contraddizione non ri- soluta, ma indefinite volte posta come tale ? Chi fac- cia deir essere e della verità cose ed oggetti esistenti in se e per se, prima, fuori e senza il conoscere, e del conoscere un processo meramente soggettivo, che si esaurisce per intero nel copiare ed imitare V essere e la verità già fatti e costituiti come tali, avrà biso- gno di un metodo come di uno strumento, che metta il sapere in grado di afferrar V essere e, afferratolo, lo renda certo che esso è in suo potere. Ma questo metodo (che chiameremo A') non basta : è necessario un secondo metodo (che chiameremo A"), che ci serva di strumento per giudicare se il metodo A* ponga veramente il sapere in grado di afferrar V es- sere e di giungere alla verità ; ed a sua volta il me- todo A" avrà bisogno di un metodo A*", che ci serva di strumento per giudicare se il metodo A assolva veramente il compito suo, e così ali* infinito. Staccato una volta V essere dal conoscere, la verità dal sapere, V oggetto dal soggetto, verità, essere, og- getto fuggono a passo a passo dinanzi al conoscere, al sapere, al soggetto, perdendosi nella notte dell' inco- noscibile ; e la filosofia si dissolve nello scetticismo e nel fenomenismo. Ogni metodo trascendente, svolto e perseguito con coerenza, conduce alla svalutazione ed all' an- nullamento di se medesimo. Presupponendo 1' essere e la verità come già dati prima, senza e fuori del conoscere, esso conduce necessariamente a fare di questo una cosa o processo, che, in quanto è fuori dell'essere e della verità, non ha ne essere, ne ve- rità, è un fenomeno meramente soggettivo, un' appa- renza ingannevole e fugace. Ridotto così il conoscere ad un' ombra vana senza soggetto, il metodo, che è lo strumento per mezzo del quale quest' ombra si sforza di giungere all' essere ed alla verità, si riduce addirittura all' apparenza di un' apparenza, al sogno di un' ombra, all'ombra di un arco, con cui l'ombra di un cacciatore caccia, non già 1' ombra di una fiera, ma, in questo caso, una fiera di carne ed ossa, che perciò si ride delle ombre di freccia che le scaglia addosso il suo persecutore. Svolto logicamente, il metodo trascendente annulla se stesso : la critica che ne abbiamo fatto è una critica non esterna, ma interna ad esso, e V interna autocritica della sua nullità. Questa critica colpisce anche alcune concezio- ni, affini a quella del metodo trascendente ed intrin- secamente assurde e nulle com' essa. Alla concezione del metodo trascendente si riduce, infatti, quella della 24 — A. TlLOHER. 370 DISCORSO SUL METOEX) E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 371 logica, come dottrina che insegna il retto uso della ragione : come se. per apprendere rettamente una dottrina che insegni il retto uso della ragione, non fosse già necessario usare rettamente della propria ragione ! Alla concezione del metodo trascendente si riduce anche quella, confusamente abbozzata da Kant, ma svolta sino alla mostruosità dai neo-kan- tiani, di una critica della ragion pura, o teoria della conoscenza, o gnoseologia, che non è essa stessa 1" organo della conoscenza scientifica, ma tratta, stu- dia ed esamina l' organo di questa conoscenza, e fissa i limiti dell' uso legittimo di esso, prima che lo si adoperi in qualsiasi concreta ricerca scientifica. Al qual proposito Hegel eccellentemente obbiettava che r indagine del conoscere non può aver luogo m altro modo che conoscendo, poiché indagare il co- siddetto strumento del conoscere non h altro che conoscerlo. Voler, dunque, conoscere prima di cono- scere è proposito assurdo, come quello di quel tale Scolastico che voleva imparare a nuotare pnma di gettarsi in acqua {Enciclopedia, S IO). Al metodo della trascendenza bisogna sostituire, dunque, quello che il Gentile chiama giustamente il metodo dell- immanenza. Il metodo dell' immanenza è condizione e condizionato, insieme ed in un atto solo, della filosofia dell'immanenza; e la filosofia del- l' immanenza, al contrario della filosofia della trascen- denza, non fa dell' essere qualche cosa che esista in sé e per se. prima, fuori e senza il conoscere, ed al quale sia indifferente l'esser conosciuto o no: per essa, l'essere è nient' altro che l'intuizione, la rap- presentazione, r immagine qualificala esistente da un I atto assolutamente libero ed incondizionato dello spi- rito. In questa concezione Y essere fa tutl* una cosa con r immagine qualificata esistente, col giudizio esi- stenziale, col prodotto deir attività storicizzante dello spirito : r essere ed il giudizio sulF essere, Y essere ed il conoscere, la verità ed il sapere, T oggetto ed il soggetto coincidono così pienamente. E una sola e medesima intelligenza quella che opera ed insieme ed in un atto solo intuisce la sua opera, e, dunque, è reale ed ideale : Y unità di questi due fattori e identità, ma poiché questa unità non è unità di due nozioni astratte nel sapere, ma, per l'appunto, unità di essere e sapere, di reale e ideale, questa identità è sintesi di diversi o distinti. Questa unità identica e sintetica, insieme ed in un atto solo, è autocoscienza, auto-intuizione, lo, poiché Y io è nient' altro che unità della molteplicità, e, veramente, non unità morta e immobile, ma atto vivente e concreto, che stringe nel- r unità della sintesi una molteplicità di termini, per- correndo uno per uno questi termini, ponendosi intero in ciascuno, ma non esaurendosi in nessuno di essi, e così, di una bruta molteplicità, facendo una cosa od oggetto. Soggetto e oggetto son qui sinteticamente distinti ed uniti, e nelF oggetto il soggetto per la prima volta pone, realizza, conquista davvero se me- desimo : r oggetto e creazione sua, è il prodotto suo, è il soggetto stesso posto dinanzi a se medesimo, è 1' autorivelazione del soggetto e il conoscersi o sa- persi del soggetto, (cfr., per tutto ciò, il saggio pre- cedente : Etica e Qnoseologia). Mentre nella filosofia trascendente la verità è esterna al soggetto, ed anche quando questo Tha 372 DISCORSO SUL METODO raggiunta, non è poi ben certo di averla raggiunta, sì che viene a possedere una verità che e tale in se. ma non per lui. ed in ultima analisi verità e cer- tezza rimangono perennemente disgiunte, nella hloso- fia trascendentale, invece, soggetto e oggetto sapere ed essere, certezza e verità sono sinteticamente uniti: il possesso della verità è tutt' una cosa con la cer- tezza di essa, poiché vero è per il soggetto solo quello che egli pone come tale, ed il soggetto stes- so non può porsi come soggetto, se non ponendo r oggetto come oggetto ed insieme distinguendosene. Ed allora ogni metodo trascendente, ogm metodo- canone o strumento, che si proponga di condurre il soggetto, già posto come tale, alla verità, già esistente come tale, e di dargli un sicuro criterio del rag- giunto possesso di questa, è per sempre annullato. Neil' atto del pensiero giudicante, nell" atto vivente, concreto, reale del pensiero esistenzializzante, nasco- no a un parto solo, come termini distinti ed uniti, aggetto ed oggetto, certezza e verità: e il solo meto- do per giungere alla certezza ed alla venta e pensare realmente e concretamente. Il metodo dell imma- nenza fa. dunque, tutt* una cosa con la filosoha del- l' immanenza, la quale non riconosce ne essere, ne pensiero al di fuori dell'atto vivente e concreto del pensiero pensante; esso è nienf altro che 1' atto stesso del pensiero che pensa, e la circolarità dinanzi av- vertita di metodo e filosofia si risolve nella loro com- pleta coincidenza e identità. E «oltanlo la teoria gnoseologica, brevemente abbozzata di sopra, può mettere veramente fuon contestazione Y identità spinoziano-hegehana di meto- E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 373 4 do e filosofia. Il metodo cessa di essere canone, strumento, propedeutica alla filosofia ; la logica cessa di essere organo (come per i Peripatetici o come per gli Stoici) della filosofia : entrambi coincidono compiutamente con la filosofia. Il metodo di un pen- satore è nient' altro che il suo sistema compiutamente spiegato ; è la totalità del sapere, cioè il sistema stesso del sapere. Se il metodo, come lo definiva Hegel, è il concetto che concepisce se stesso, è di tutta evidenza che esso non può non fare tutt' uno con la filosofia, se questa è, per V appunto, nien- te altro che V autocoscienza del concetto, la rivela- zione che la realtà (cioè il concetto) fa di sé a se stessa, la verità che, come ogni verità, conosce se medesima {Wissenschaft der Logik, IH» P- 341). Identificato il metodo con la filosofia, non con la filosofia astratta e morta, ma con Y atto concreto del pensiero pensante, il metodo stesso acquista concre- tezza, vita, realtà, si tuffa nel fiume della stona, partecipa alle sue vicende. Se pensiero veramente concreto è solamente quello che contiene in sé, posto e negato come momento superato, ma, per ciò stesso, conservato e inverato, cioè disciolto come elemento in una sintesi superiore, il pensiero passato; se filoso- fia vivente e palpitante è solo quella che contiene in sé superata la filosofia passata; e se filosofia è metodo, metodo concreto, reale, vivente è solo quello che contiene in sé, come momenti superati, tutti i metodi passati, tutte le fasi traversate dal pensiero metodologico nel corso delia sua stona. È, dunque, inaccettabile Y opinione che lo spi- rito umano, pensando, appUchi sempre uno stesso 374 DISCORSO SUL METODO E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 375 metodo, agisca sempre secondo le stesse leggi, e che il progresso della filosofia consista solo nelF acquistare coscienza di quel metodo e di quelle leggi, ma questa coscienza non alteri, ne modifichi in nulla ne le leggi, ne il metodo. Già. innanzi tutto, è evidente che r acquistata coscienza di un metodo, prima mcon- •ciamente applicato, si riverbera sul metodo stesso, dandogli maggior sicurezza di se e vigore. Ma questa dottrina è poi inaccettabile, perchè farebbe della conoscenza che lo spirito umano acquista di se qual- che cosa di affatto inutile per V attività stessa pro- duttiva dello spirito, onde non si vede perchè questo perderebbe il suo tempo a conoscersi. Ma, in realtà, lo spirito è spirito, cioè non cosa, ma attività, appunto in quanto, pur rivelandosi a sé stesso nel suo pro- dotto, che è r oggetto, il sapere, la filosofia, il me- todo, non resta fermo lì, ma trascende il suo prodotto, nega e risolve in sé Y oggetto in cui s' era rivelato, supera il sapere, la filosofia, il metodo, in cui s' era concretato in un dato momento della sua storia, as- sorbendoli come momenti di una sintesi superiore, e solo così si sviluppa e concresce su sé stesso, è autoarricchimento perpetuo. La coincidenza di metodo e filosofia è, del re- sto, direttamente derivabile dalla stessa teoria hege- Uana del metodo e della scienza. Perchè la scienza sia veramente tale, dice Hegel, dev' essere deriva- bile da un solo principio. E poiché senza necessità non e' è scienza, affinchè il metodo sia scientifico, il processo di derivazione della scienza dal principio dev' essere necessario. Scienza e necessità sono due nomi per una medesima cosa, meglio : per un me- desimo processo. In questo processo tutto dev* essere necessario : il cominci amento, il mezzo, il fine ; e ciò è possibile solo se questo processo necessario sia sviluppo. Svilupparsi è prodursi, generarsi, crearsi. Qui vi è un principio ed un fine, ed il fine è im- pUcito come scopo nel principio ; se no, parlare di uno sviluppo di sé stesso non avrebbe senso. Questa implicazione del fine nel principio è la molla stessa dello sviluppo. Infatti, nel principio lo scopo è im- plicito e non esplicito, è in sé e non per sé. la sua esistenza è inadeguata alla sua essenza. Questa ina- deguatezza è una contraddizione, che spinge a negare r immediatezza del principio ed a passare a forme via via superiori, finché non si giunga ad un* ultima forma, in cui Y esistenza e Y essenza. Y in sé ed il per sé. r essere ed il conoscersi dello scopo pie- namente coincidono, e che è il fine e la fine dello sviluppo. In questo processo le determinaziom del concetto si producono dalF essenza stessa del con- cetto, come epoche e fasi necessarie del suo pro- cesso, come gradi e momenti necessarii del suo sviluppo. Il fine del processo è il concetto piena- mente conscio di sé : lo sviluppo del concetto o spirito termina nel concetto dello sviluppo o spinto, cioè nella conoscenza che il concetto o spirito as- sume di sé come essenzialmente sviluppo, processo, attività. Sviluppo o necessità: ecco la definizione del metodo secondo la filosofia hegeliana (Spaventa, Logica e Metafisica, ed. Gentile, pp. 153-9). Ma che altro è lo sviluppo necessario se non lo sviluppo del concetto, se non il concetto stesso o lo spiivo in via di svilupparsi, di crearsi, di farsi, e. insomma, se non Tatto stesso concreto e reale del pensiero, cioè la filosofia in atto, concreta e reale ? 376 DISCORSO SUL METODO E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 377 li* Il COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA Ma se pensiero è metodo, se metodo è neces- sità, necessario dev' essere non solo la fine ed il mezzo, ma anche il cominciamento della filosofia. Il problema del metodo ci riconduce, così, al problema del cominciamento della filosofia : due problemi che. in realtà, ne fanno uno solo. Come innanzi abbiamo visto. V essere non esiste in se e per se. fuori, prima e senza il conoscere o sapere, ma con questo s identifica, essendo nient' al- ilo che r immagine qualificata esistente, cioè sus- sunta sotto un predicato, fatta soggetto di un atto di giudizio. È possibile in logica astratta che ci sia un essere in se, fuori, senza e prima del conoscere, ma poiché non ne sapremmo in nessun caso niente, per noi è come se non esistesse. Per noi, essere è solo quello che noi giudichiamo tale, solo il soggetto del nostro giudizio, solo Y è : per noi uomini. Y es- sere e r e. Ma per pronunziare di un' intuizione o rappresentazione o immagine che essa è o esiste, e così, di semplice impressione soggettiva, farne una cosa od oggetto, è d' uopo che lo spirito cessi dal coin- cidere compiutamente con essa, dal far tutt* uno con essa, e si ponga invece al di sopra di essa. Finche lo spirito coincide puramente e semplicemente con l'immagine, egli non può pronunziare di essa che esiste o non esiste : per pronunziare così, deve stac- carsi dair immagine, porsene al di sopra, e trasfor- mare r immagine in semplice elemento costitutivo o momento di un superiore atto di sintesi, che è Y atto del giudizio, in cui Y immagine e trasformata in sog- getto, ed unita, ma, insieme, distinta, dal suo pre- dicato. Lo spirito si pone come atto concreto e vivente di pensiero, come filosofia, come metodo, solo pronunziando delle immagini che esse esistono o non esistono (e così, di semplici immagini, trasfor- mandole in cosmo, mondo, natura); ma, per pronun- ziare delle immagini che esse esistono, esso deve staccarsene e porsene al di sopra. Questo atto di liberazione dello spirito dalla servitù delle immagim è la condizione trascendentale della conoscenza, intesa questa come giudizio esistenziale. Quest' at- to di liberazione non è conoscenza (poiché, anzi, ne è la condizione trascendentale), è attività o volontà. Ma non è volontà asservita ad un' immagine singola o a più immagini singole, non è volontà che si pro- ponga degli scopi empirici, contingenti, particolari ; h volontà che, staccando lo spirito da tutte le imma- gini in quanto particolari e date, e atto d' infinita liberazione dello spirito ; è lo spirito in quanto si affer- ma come attività non legata a nulla di empirico, di contingente, di particolare, di dato; è lo spirito come assoluta intimità, soggettività, libertà, come infinita negatività del dato, come puro volere, come pura ed assoluta astrazione (cfr. il saggio precedente: Etica e Gnoseologia). La filosofia, dunque, comincia con un atto di astrazione assoluta dalle immagini particolari in quan- to date : e questo atto di assoluta astrazione da esse 378 DISCORSO SUL METODO è tutt' una cosa col pronunziare di esse che esistono o non esistono. Filosofare è. dunque, astrarre asso- lutamente ; astrarre assolutamente è filosofare o co- nascere. In quanto spirito conoscente, in quanto atto concreto e vivente di pensiero pensante, lo spirito è sempre astrazione assoluta. Non si può distinguere un* astrazione relativa da un' astrazione assoluta, una astrazione particolare da un' astrazione generale. Lo spirito può astrarre da una o più immagini particolari, solo perchè ha in se la forza di astrarre da tutte le immagini particolari ; se non avesse la forza di astrar- re da tutte le immagini particolari, non potrebbe nemmeno astrarre da una sola di esse. E poiché ogni atto di conoscenza è atto di astrazione almeno da un' immagine particolare (in quanto è pronunziare di essa che esiste o non esiste), esso è per ciò stesso alto di astrazione assoluta, quindi filosofìa, sia pure embrionale ed imperfetta. In quanto condizione trascendentale del cono- scere o filosofare è quest' atto di astrazione assoluta, in cui lo spirito si Ubera assolutamente dalla servitù del dato e rientra in se stesso (ponendosi, insieme ed in un atto solo, al di sopra del dato), quest' atto pone lo spirito alla presenza immediata di se stesso come attività assolutamente libera, soggettiva, universale*, come atto immediato, esso è. dunque, atto d' intui- zione. Ma in quanto è per quest'atto d'intuizione o d' assoluta astrazione che lo spirito si pone come filosofìa o conoscenza o intelletto, essa non è intui- zione sensibile del particolare, ma intuizione intel- lettuale, U intuizione intellettuale (autointuizione o autocoscienza o Io), che ha scandalizzato tante ani- E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 379 me timorate, è, dunque, il metodo della filosofia, è la filosofia stessa in atto, è il concetto concreto o spirito nel processo del suo sviluppo. E nessun filo- sofo, in quanto ha filosofato veramente e puramente, ha mai filosofato in altro modo che intelligendo ed in- tuendo la sua intellezione. Poiché tale è la natura dello spirito : di essere due volte, di essere potenza di se, cioè di essere e di sapere di essere, di essere e d' intuire, di agire e di conoscere la sua azione ; qui, a a . Con questa dottrina dell' atto di astrazione asso- luta come cominciamento (e perciò stesso processo e fine) della filosofia, si sfugge feUcemente al dilem- ma, in cui Sesto Empirico e tutti gli scettici dopo di lui ' pretesero di serrare la filosofia. Esso è il famoso dilemma del Primo o del cominciamento della scien- za, che si può brevemente formulare così: — O la scienza si ferma ad un primo principio, che non ne ha al di sopra di sé nessun altro, ed allora questo primo principio è non provato, quindi non scientifico, e la scienza che si fonda sopra di esso è non pro- vata, quindi, non veramente scienza nemmeno essa ; — o quel primo principio A ne ha un altro A' al di sopra di sé, che lo prova, e A' un altro ancora A", per mezzo del quale è provato a sua volta, e così via all' infinito, ed allora non v' è primo prin- cipio, e per ciò stesso manca alla scienza il fonda- mento sul quale assidersi. — U dilemma può strin- gersi ancora più brevemente così: — o Primo, quindi non provato, e per ciò stesso non scientifico ; o pro- vato, quindi scientifico, ma non Primo. - (Spaventa, Logica e Metafisica, pp. 159-61). - Terribile di- 380 DISCORSO SUL METODO E SUL COMINCI AMENTO DELLA FILOSOFIA 381 lemma, invero, che colpisce al cuore ogni dogmati- smo, ogni filosofia, cioè, che faccia del conoscere o sapere un dato ultimo inesplicabile. Ma dilemma cui si sfugge, ponendo come Primo, cioè come condi- zione trascendentale della scienza, non già la scienza stessa sotto forma di principio scientifico, ma un atto di assoluta astrazione, cioè un atto di puro volere. Chi compie quest* atto, entra nel regno della scien- za : chi non lo compie, ne resta fuori. Non si può costringere nessuno a filosofare. perchè condizione del filosofare è un atto di libertà assoluta, con cui il soggetto empirico salta dal regno del dato in quello della creatività assoluta, dal regno della servitù empirica in quello della libertà assoluta, cessa di essere Io empirico per diventare Io puro o trascendentale. Nel regno della filosofia si entra con un salto mortale, come diceva Jacobi, con un atto di risoluzione assoluta, come diceva Hegel, con un postulato pratico, come diceva Fichte, cioè che il soggetto filosofante si annienti come Io empirico e si ponga come Io puro. Per chi non voglia o non possa compier quest* atto, la filosofia con tutte le sue di- mostrazioni è un gergo privo di senso, ma per ciò appunto le sue obbiezioni non hanno il più piccolo valore. Il primo della filosofia non è. dunque, un principio, ma un atto, ed appunto perchè atto asso- luto, cioè incondizionato, quindi negatività e libertà assolute, non ha nulla al di sopra di sé. Esso, quindi, è veramente queir immediato che deve fondare la scienza o mediazione, quelF immediato mediato, o, mcclio. mediante, senza di cui la scienza poggia sul vuoto. Appunto perchè la conoscenza o venta e il libero prodotto dell' attività spirituale dell* uomo, è attività sintetica a priori, la verità non può^ essere dimostrata al soggetto dal di fuori, ma dev' essere creata dal di dentro, e chi è incapace di compiere quell'atto di libertà assoluta sarà sempre e irrime- diabilmente sordo alla voce della verità. Ed è solo ponendosi come astrazione assoluta, come volere puro, che Y uomo si annulla come soggetto empi- rico e si pone come Io trascendentale, si annulla come soggetto opinante e si pone come soggetto conoscente, come unità di soggetto e oggetto. Ma non bisogna concepire Y atto di astrazione assoluta come tale che, annullando tutto ciò che è dato empirico e contingente, e introduce per ciò stesso nel regno della verità bella e fatta, che r uomo deve solo rifare e, rifacendola, contemplare. Gli idealisti postkantiani, Fichte, Schelling, Hegel, intesero la cosa proprio così, cioè concepirono Y a- strazione assoluta come atto che, facendo il^ vuoto nel soggetto empirico, e trasformandolo per ciò stesso in soggetto assoluto, lo pone in presenza di una ve- rità già fatta, che egli deve solo rifare e contemplare : essi così ponevano implicitamente Y astrazione asso- tcita e la verità filosofica fuori della storia, fuori del ^venire e del movimento, di cui facevano il regno Iella confusione e dell' errore, e venivano così im- plicitamente a negare ciò che fu la loro grande scoperta : che la verità è prodotto e creazione dello spirito, è lo spirito stesso in quanto processo di autorivelazione, è la teofania dello spirito. Bisogna, invece, concepire l' astrazione assoluta, che apparentemente è fuori della storia, in modo 382 DISCORSO SUL METODO E SUL COMINCIAMENTO DELLA FILOSOFIA 383 concreto e reale, il che e possibile solo tuffandola nel flusso della storia. Ponendosi come atto di astra- zione assoluta, lo spirito annienta in se tutto ciò che e empirico, contingente, particolare, distrugge cosi alla radice se stesso in quanto attività e volontà legate all' empirico, al contingente ed al particolare. In altre parole, ponendosi come atto di astrazione assoluta, lo spirito annienta in se alla radice tutto ciò che è immagine particolare ed attività legata air immagine particolare, tulio ciò che è volere sensi- bile, naturale, utilitario, immediato. 11 porsi dello spi- rito come astrazione assoluta, come volere puro, come attività, non incatenata ad un prodotto particolare, ma assolutamente produttiva, è il porsi dello spirito come assoluta soggettività, intimità, universalità, come crea- tività e produttività pura, come razionalità, in una parola come moralità. Ma veramente universale e mo- rale non è già lo spirito che annulla tutto ciò che è dato puramente e semplicemente, producendo così in se un vuoto pneumatico che nulla riempie. Lo spirito che si pone così come vuoto o nirvana non è lo spirito come attività pura, come pura creatività. Per- chè sia tale, perchè sia veramente volere puro e universale, è necessario che esso neghi in sé tutto quello che è dato, tutto quello che è particolare ed empirico, ma, nello stesso tempo, lo disciolga, lo conservi, lo inveri come elemento di una sintesi su- periore. Solo così lo spirito è attività, cioè creatività assoluta, cioè atto sintetico del molteplice, che non si esaurisce in nessun prodotto, ma. senza perderne nulla, di ogni prodotto fa il momento di una sintesi superiore. f In un determinato momento storico si pone come moralità, come volere puro, come assoluta astrazione, solo lo spirito che superi la moralità già data di quel determinato mom.ento. la superi, dico, non già la neghi in sé, puramente e semplicemente. Facendo discendere in sé al grado di semplice momento la vita morale già data ai suoi tempi, egli, per ciò stesso, fa discendere al grado di semplice momento la conoscenza, la filosofia, il metodo condizionati da quella vita, creandone di nuovi e superiori. Il vero metodo e la vera filosofia di un determinato momento della storia dell' umanità sono quelli fondati da un atto di astrazione assoluta, cioè da un' esperienza morale, che contiene in sé, come momenti superati, le esperienze morali del passato. L' astrazione asso- luta, che è il cominciamento della filosofia, è così da noi tuffata nel flusso della storia, è essa stessa la storia concreta e vivente, cioè il concrescere e 1 ar- ricchirsi dello spirito su sé stesso. Così, astrarre assolutamente dal dato, non è già produrre in sé il vuoto pneumatico, bensì, al contrario, è ragg,iungere r assoluta pienezza, cioè creare in sé una vita che contenga, come momenti superati, tutte le esperienze di vita del passato, nessuna eccettuata. Superiore, dunque, agli altri è quel metodo e quella filosofia, che sono condizionati trascendental- Lnte da un atto d. astratone assoluta o moralità assoluta, che contiene in sé. come momenti superati, le esperienze morali del passato. Così si spiega come ogni filosofo cominci a filosofare partendo da un problema tutto suo; il che a qualche dilettante ha fatto negare la necessità di un cominciamento asso- 384 DISCORSO SUL METODO luto in filosofia. Ma, in realtà, il cominciamento as- soluto c'è sempre, ed è Tatto di astrazione assoluta dal dato, ma poiché il dato da cui si astrae cangia continuamente e progressivamente (progressivamente, perchè il dato, da cui un vero filosofo comincia a filosofare astraendo, contiene in sé. come momenti superati, tutti i dati del passato), le forme storiche del cominciamento della filosofia cangiano anch' esse continuamente e progressivamente (progressivamente, perchè il cominciamento della filosofia di un vero filosofo contiene in se, come momenti superati, tutti i cominciamenti delle filosofie passate). E in conclu- sione, non e* è che un solo modo di cominciare a filosofare in guisa da contribuire al reale progresso ed arricchimento dello spirito, ed è di creare in sé un'esperienza morale, che contenga come momenti sciolti e superati tutte le esperienze morali del passato. INDICE ^oma. settembre 1914. Fine / KRAXELUI BOCCA, EDIXORl -^ TORINO PICCOLA BIBLIOTECA DI SCIENZE MODERNE Eloffiinti volumi in-12 . 1897 1900 1 Eail€»ttÌ-BÌailco, In cielo. Saggi di astronomia 2 C^athreiii. // socialismo -^ 4.a edizione. 1906 . . » 3 Briieke. bellezza e difetti del corpo umano Z.a ed. IVU/ 4 ScTRi. Jrli e Italici 1898 (esaurito). 5 Kixzatlì. Varietà di storia naturale Con figure — '^01. » 6 I^oiiibroso. // problema della felicità - 2.a edizione. 1907 » 7 Mora»»»». Uomini e idee del domani — 1898 (esaurito), 8 Kaul»k.r. Le dottrine economiche di C. Marx — 1898 (sequestrato 9 Ungilo». Oceanografia — 1898 .... 10 Frali. La donna italiana — 1 899 . . - 11 Kaiiotli-Bisi"<*«S ^e' ^^8"° ^^^ ^'^'^ '^'^^ 12 Troilo. // misticismo moderno — 1899 - • 13 Jerat•€^ La ginnastica e l'arte greca. Con figure — 1899 14 Revelli. Perchè si nasce maschi o femmine ? — 1899 15 Ciiro|ipali. La genesi sociale del fenomeno scientifico— 1899 16 Veeehj e I>* Alida. La marina contemporanea 1899 17 De sàiieti». / 5ognr 1899. . ^ .' ,QnA 18 De l.ae.r Kvaa». Come prolungare la vita — Z.a ed. WfKJO 19 Jitraliorello. Dopo la morte - 2.a edizione, 1906 . . 20 I a»»ar-l'olin. La chimica nella vita quotidiana - 2.a e. IVU/ 21 naell. Letture scientifiche popolari - 1900 22 Vii ioli ini. / precursori di Lombroso. Con figure 23 Trinerò. La teoria dei bisogni — 1900 . 24 Vitali, // rinascimento educativo - 1900 , 2' Di sai. Le prensioni del tempo 1900 26 Tarozzi. La virtù contemporanea - 1900. 27 !«Ìtrallorello. La scienza ricreativa — 1900 . 28 !»*ergi. Decadenza delle nazioni latine — 19UU . ■ 29 .Ha»è-I>ari. M. T. Cicerone e le sue idee economiche e socta 30 De Ktiberlo. L'Arte - 1901 ' . 31 Baeeioiii. La vigilanza igienica degli alimenti Ì2 3larelie»iiii. // simbolismo — 1901. J3 Macelli. Meteorologia nautica - 1901 34 Mieeioro. Italiani del nord e italiani del ^^d 35 «oecoli. Federico ^ietzche ^ 2.a edizione, 1901 . 36 Loria. // capitalismo e la scienza — 1901 (esaurite). 37 ONbora. T>ai greci a Darwin — J^^l . ■ ■ 38 i'ieeotti. La guerra e la pace nel mondo antico — «vui 39 Ka»ill». Diritti e doveri della critica — '^^' pf, 40 Ner«i, La psiche nei fenomeni della vita '7' ' 41 lleale. La vita e la coscienza. Con figure - '"^^^^ 42 Baeeioni. Nel regno del profumo. Con hgure -^~ IVUZ 43 f^tralforello. // progresso della scienza -" ^l"^ 44 Miaiitiiii. La Tripolitania. - 2 a ediz. 1912 . • 45 naeterlink. La .saggezza ed il destino - J-^ ^^'^- '^'" 46 -noUi. Le grandi vie di comunicazione -- IW . 47 %'aeearii. La lotta per l'esistenza - 3. a edizione. 1902 48 tiraiit Allea, La vita delle piante. Con figure - IVOI 49 Ziuì. // pentimento e la morale ascetica - 19U2 50 .blateri. L' eloquenza forense 1902 ■ 51 nora»»o. L'imperialismo artistico - 1903 . . 52 Lombroso, / segni rivelatori della personalità^- 2.a ediz. I ^ I 53 Oddi, Gli alimenti e la loro funzione " 'J^^ ■ 54 Ko»»i. / suggestionatori e la folla ^ WZ 55 Vaeeai. Le feste di Roma antica — »VUZ 1901 1901 2.50 2.- 2,50 5- 3.- 3,50 2.— 2.50 3- 3.- 2,50 2.50 5.- 5.- 3,- 3.- 4,- 3.50 2.50 2.50 2.- 3.- 2.- 3.- 4.„ 4,- 2.50 4.- 3.50 2.- 5,- 4.- 3.50 3.50 3,- 2.50 3.- 2,50 3.- 5.- 3,50 4.- 3.— 3,- 3.- 2 — 3.50 3.- 4.- 2.50 3.50 1903 1906 1903 1903 56 MttrtTliefiliil* // éomMo Mio spirito - 1902 57 iier«i. Gli Jrii in Europa e in Asia. Con figure 58 Zanottl-BiaiifO, htarie di mondi — IVUi . - • i^ -« ■ t' — « Ami Cripti aneiimo 2.a edizione. l'^UO 59 Harnackt L essenza del ^nsuanestmo *.• 60 Jaaif«, Gli ideali della vila - 3.a edizione. 1 9 1 2 61 Baecioai. Dall'alchimia alla chimica. Con figure - 62 €ap|H-llettÌ, La leggenda Napoleonica (esaurito; 63 IHaeli, Analisi delle sensazioni 19Ui . 64 Ijabaaea. Gesù Cristo (etaurilo) 65 %ad€'*'»«iK /-^ cioillà estinte dati Unente 66 Cou«at't. / piaceri dr Ila tavola. Con figure 67 SÌKlielt% L'intelligenza della folla ^^\ao% ' 68 Hickmm. La vitj nei mari. Con hgure - iwj 69 Comi a. // Buddha e la sua dottrina («*«""^°) 70 »ol€-rtÌ. Le ong/ni rfc/ melodramma l9Ui . • 71 BrolIVrio. Per lo spiritismo ^ 3.a edizione 1W> 72 C'hKitl, Storia dell' Jlfabeto. Con &«"'« ^^ '^^^ 73 »€»! Laatfti. God/ie e He/mWx 1VU> 74 Fiaot. La filosofia della longevità IVU> • ; j.." 76 rrart-aroli, L'.Vmzionc/e nella /«««^«'"^^ '^^ ' Comi. // meccan»ma Je//a l'rta ^ 1903 • - • I^^li, Delitto e pena nJ pensiero dei Greci ^ I W^ Bel t'erro. Fra le quinte cella Stona IWJ liaxzi. Psicologia dei sessi — 1903 . ", , * ^ «erisi. Evoluzione umana individuale e socia/e (esaurito) „. C'UMlfl. L'uomo primitivo. Con figure IVU4 83 Baldwia. L'intelligenza 2.a t-d«^ 1^1^ 84 i'apiM'Ilelil. La "Rivoluzione 1W4 85 I^HiibroJto. La vila dei bambim. *-**" JaT 66 BMii'r*4>ii. Uomini rappresentativi 1904 . • 87 W€h4iìii«. Inferiorità mentale della donna 1W4 . 88 €ilHMH>!o«ic-£. il concetto sodotrgico dello Stato 1"^^ 89 AKri'Mll, La filosofia nelL ktU'atura moderna - L. 77 78 79 80 81 82 1904 1904 90 WA^inhri*mu h^cntaggi della degenerazione. Con hgure 91 IV«ra««i. Le .//«sion.- o«ic/,e. Con figure 1904 92 M«»ra»«o, La nuooa arma (La macchina) i-^^ 93 95 96 97 98 3l€*iiK«*r. Lo slato socialista ^^^ ^ ' r luUiHiruù. Gli amori degli arumali Con Hme BixKaf ti. Dalla pietra filosojare al radio, t-on hg. Carlyli*. Passalo e presente 1905 . t'ou^ael, // ventre dei popoli ^^^^ . ' Bizzarri. La base fisica del male "''"■' 1904 1905. 1905 99 i*a|>|>eil<'tti. Storie e leggende 1905 100 101 102 103 104 105 106 107 108 1905 1905 1905 virtù Cloflil. Storia della creazione. Con figure Eaaolli-Biaaco. AstroLgia ed astronomia Hall. // molo 1995 . • Baratta. Curiosità Vindane. Con hgure Fracearoli. La questione de la scuola Kvaa!^. Laotse e il libro della via e della CitHicl. Miti e sogni 1903 . L4iliaiit'a. // papato '^^ ,cia«; lUO Villa. L'idealismo moderno I9U> ■ . 109 raarialll, L' individuo nei suoi rapporti soaali \\0 n%tvUut\. Igiene sociale 1905 . • 111 Bavizza. Psicologia della lingua W^ 112 Clodil. Fiabe e filosofia .rimitiva IVW 113 Cappi'lietti, Principesse e g'^ndijorne 1 1 4 Micef€»r«>. Forza e ricchezza 1 906 115 Reada, Le passioni ~ 1906 . • 116 Romano. La psicologia pedagogica IWO 1905 1905 1905 1906 3.50 3.50 4.- 4.- 3.- 5.- 4,- 3. ^ 5.- 2.30 2.50 3.50 3.50 X- 2, - 3.50 3.^ 5.- 3.- 3.50 4.--^ 4,- 2.50 4. 5,- 3.- 3,50 2.50 3.50 3.50 3.- 2.50 4.^, 4.^ 3.50 3.50 5. ~ 5.- 2.50 5...~- 4.^ 3.50 4.- 3.— 3.- 3.50 3.50 5,^ 5.— 3.- 4.— 3.— 3.50 5.- 3.50 2.50 4.- 135 136 137 138 1908. 117 RIzzattI, T>al cielo alla terra - 1906 . • • • 118 C'aaej^triaU Le società degli animali. Con figure - VUO 1 19 Xoaaial. La spicologia della civiltà egizia. Con hg. — IVUO 120 Ferracci. // traforo del Sempione e i passaggi alpim . 121 I.ouibro>*o e Carrara. Nella penombra della civiltà - IVUO 122 Sacchi. Istituzioni di scienza occulta — 1906 . 123 M'iUle. Intenzioni ^1907 . • 124 LiOriga, La struttura e le funzioni del corpo umano . 125 Baratoao. "Psicologia sp rimentale A^^ 126 Fanciulli. La coscienza estetica 1906. 127 Ke.T. // secolo dei fanciulli - 1906 . " ^^^ " 128 Cappelletti. Dal 2 Dicembre a Sedan - ivu/ 129 yjai. Giustizia 1907 . . ■ _ 130 Ballarci. / miracoli dell incredulità - 190/ . . 131 Liaiealaai. La previsione dei fatti sociali - IVU/ . 132 Coaa. // metodo dell'evoluzione. Con hgure — ivu/ . 133 Sergi, La Sardegna. Con figure 1907 . 134 l.ace.v. // CrWo storico — ^^^^ • .\e%%iaail. Fede e Ragione - 1^0/ ■ l>e Lorenzo. Terra madre 1907 • _ Br>ce. Imperialismo romano e britannico - IvU/ l.n'ailiro»4<K attraverso la rivoluzione ^ il Primo impero 139 Wegeaer. Noi giovani! 3. a ed., 1914 140 «aytler. La nuova scienza - '^^^ ' ^ ' r 141.142 norreni. "Psicologia e spiritismo. Con hgure 143 Alaleona. Storia dell'oratorio musicale IW» 144 Balli. Scienza ddV educazione 1909 . 145 MiclieK, "Proletario e borghesia IVUtt . 146 llÌora«s<», Domus Aurea 1908 147 Foiiriiier d'Albe. La moderna teoria dell'elettricità I 146 Cartll.V. Storia dell' Inghilterra nel ^««'''' ^^^ " ^ 149 raii!«eii. Contro il clericalismo ^ 19U» . • 150 Battaiai. Lo Stato contro la Chiesa ~- IVUO . 151 O^twald, Come s'impara la chimica - Z.a ed. 152 tlHtwald. Come si studiano i corpi -- IWO - _ 153 Foriiiicllì. Salus populi. Saggio di scienza politica VUO Ì54 Cappelletti. Da Ajaccio alla ^^resina^^sU. ^ J8 155 Zaiiotti-Bianco. Spazio e '«'"P'^- '-«" *^g"^^ " '^"^ " 156 Kcy. L'amore e il malrimorjio ^ 1909 . . ■ • 157 Leland. La forza della voonta ^ 1909 • • 158 Ferrari. / partiti politici della vita sociale ^ 19U9 . . 159 MaNon. Le origini delle invenzioni. Con hgure - «-^^^^ 1^? 1^:::;*;' ^.nr^ aire /'uomo .o.e.no ^ 1909 . 62 Meuman. // papa, il Sillabo, e V infallibilità papale -^1909 Ì63 .narche^ini. L' ,nto//eranza e i J-oi Presupposti _ 1909 . 164 Sii vagai, L' impera e le donne de, Cesan 19U9 . . 165 Sigitele. La coppia criminale. Con hgure ^ IVUV . 166 IJe«egaa«. // Cinematografo . j^iin ,liln ' 1909 167 Scliopealiaiier. ^/orrsmi .u//a saggezza Je//a .^a^ 19U9 168 Carpenter. L'amore diventa maggiorenne ^ \^^^ • ■ 169 Canestrini. Le alleanze degli animaUe delle piante - 1909 170 Becliterea. La suggestione J"^"^ •• 171 Kierkegaard. // diario del seduttore ^ i91U 172 Benda. L'oblio 1910 . • • • ' 173 De Sanctiw. Per la scienza dell antichità -^ 19UV . - 1908 1908 . 1913 L. » » » » .» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » 174 Lombroso, Caratteri della femminilità. Con hg. 175 Fichte, Lo slato secondo ragione — '^'^ 176 Burckitt, // vangelo e la sua stona - \^\^ 177 Pistoiesi. L'imitazione - 1910 - • 178 Cartyle. Lavora, non disperarti l^'U • 1909 » » » « » » » » » » » » 3,501 3.- 5,- 3.50 3.- 5.- 5.- 3.50 4.- 3.50 3.50 5.- 3.- 4.- 5.- 3.- l 2.50 ' 6,- 3,- 5.- 5.- 2,50 5,- 15.— 6,- 5,— 4.- 4.— 4.- 5,- 2.50 4.- 4.- 5.- 2.50 5.— 4.- 3.50 3.50 2,50 6.- 2.— 3.- 4.- 3,50 5.- 4- 5.- 3.- 3.- 3.- 3.50 3.50 3." 6.— 3,- 3,- 5,- 3.- 3.- 179 Fournier <r Albe. f-'.Mmor/a/.7a ^ i910 . • ^ 180 €ll»Miber«-Jaii.li, /^ no3/ro otta dopo la marie- IVIU 181 CliHlil, / pionieri del' evoluzione ^ ]^[^, J .^.q 182 TorreiVaiifM, La otta musicale dello spirito i^iw 183 Labriola. Capitalismo }^^^ ■ ' ' : 184 «eel€\f, Ecce Homo 9 0 . . ■ • • 185 «ardilo. Leviathan VIU . • • • 186 Cappt'IU'tti. La seconda 7'''"'«''°"*=, ^ , ^ '^'" 187 Pfieillfrer, "Religione e re/i^/ofii ^ I91U 188 l»a.TS€in C'ali. Forza e ri>o5o I^IU . 189 lllbbea. La hglca di Hegel ^ U 190 Keller. // mondo in cui vivo ^ - •'^'^ 191 «wrell. La chiesa storica - '^'" ,^ 192 Faf«on t'ali. Vita naturale - ì'^i^ ' 93 rerraate iUpetti. ^eati e psicopatie sessuali - 1910 104 n€>rrÌHoa. CU Ebrei sotto la dominazione romana ^ ,95 H^HtTu scolastica del sec X Vi e la politica dei gesuit,. 191 \9Ò II programma dei modernisti \9\\ - 197 C'bilewolli. L'evoluzione della musica \y\^ 198 llMber. Morale dei gesuiti 191 1 . - • 199 llefcener II.. La prossima generazione ^ «VM 200 illavlil>*k.T. Introduzione alla teosofia IVH • 201 Tlioiiiaw. Sesso e società 1911 * 202 tie€»«aaai, // cantico dei cantici IVH. 203 Ro«J4a»a. Sotto la ferula ^ *^» ' - - • • 204 i>e Koberlo. Renan 191 I 205 Be»ant. Jutobiografia '"^'^.^ 206 l»«welU // cibo e la salute ^^ '^'^ • 207 Caaelietl I. La fantasia ' ^ ' ^ , ^, , :, 208 Twrebi, Storia delle religiom •'"_^ 209 «iniliKli. La pesca marittima industriate 210 Itale v.f. Vita di Federico Nietzsche 211 Troilo, // positivismo 1912 - ■ • 212 nieliel», / limiti della morte sessuale ' \^*^ 213 Cira«ianl, Teorie e fatti economica 1912 214 €'a|>|ielletll. La "Riforma 1^1^ - 215 tiiallo. La guerra e la sua ragion sessuale 216 Kawiaeiairaea. La respirazione e la salute 217 C'aruw. // Buddismo e i suoi critici crtstiam - 218 Sergi, Le origini ""»«';*= '*^' ^ 219 Kail. La crudeltà 1913 . - 220 Artken. Le vie dell anima IVI^ 221 C'anewlrini. Nel mondo dei P<^'^"'" 222 Aveburi. 'Pace « M''''" '^'^ 223 Kenwi. Trascendenza '^ , q,\ 224 <;re*%. Sviluppo di un pianeta 1914 . 225 «ergi. // evoluzione organica e k origini umane ^-^ 226 «aiUi. // valore sociale dell' abbigliamento 1^1-* 227 Kailiaeiaraea. Aia Yoga L arte di star bene 228 VereeI ni. Unità di legge nei fenomem vitali 229 fieriliaHi. La Ragioneria come scienza moderna l^H 230 Olciafi La filosofia di Enrico Bergson ~ IVl^ 231 iH^iiiielieli^. // problema delle Scienze storiche 232 %%.-iiiiaKer. Intorno alle cose supreme 1^1-* 233 Tureiii. La Civiltà Si^n/ina IVO . 234 Ferrabino. KalvpM> 1914 . . - 235 Emery. La vita delle formiche 1^14 . • 7% TilirlH'r, 'Pragmatismo trascendentale ^'^'-' • .«.r 237 lintniin»£. Compendio di storia della filosofia moderna ~ \9\^ 1912 1912 1912 . 1913 1913 . » » » » '1» » » » » » » » » » » » » » I 1913 1914 1914 1914 1914 » » » » » » » 5.- 4. 4.-^ 6, — 5.- 6.- 5.- 6.- 4.^ 3.50 5.- 3.- 5.- 2.50 2.50 6.- 4.- 2.50 3," 7.- 3.-- 5.- 5.- 4," - 4.- X- 5.- 4.- 4. ~ 6,— 4.- 5.-^ 5.- 6.- 6.- 3.50 2.50 4.- 3.50 3.50 3.50 3.50 3.50 5.- 6.- 3.50 3.50 4. - 2.50 2.50 4.^ 5.^ 3,50 5.- 6.- 3.50 5. ~ ^ ,1. I volumi di questa serie esistono pure elegantemente legati in tela con fregi artistici, cop «-«a lira d' aumento sul prezzo indicato. 1910 . 1911 1911 1911 1911 . 180 €hliMlb<*r«-Jaiiiii, U nastra ^i^^ f^^ '« '"''^" '^'" 181 C'Ì4Ml€l, / pionieri del' evoluzione -^ VIU . • ^ 182 Torre! Vaiirti, La vita musicale dello spinto i-^^ivj 183 Labriola. Capitalismo _j^^^ •■''.' 184 «celtM, Ecce Homo - 910 \%5 iinr^lUK Leviathan 1910 . • • • 186 i'a|ì|iclletti. La seconda 7'«"'f^'«"*= '^'" 187 Pn€*i<l*'rer, 'Religione e religtom ^ ^ '^'^ 188 Pa.VS4in Cali. Forza e riposo I9IU • 189 HibiH'll. La logica di Hegel V U 190 Ki'ller. // mondo in cui vivo _^ '^'" 191 Oiirell. La chiesa storica - '^'^,_,\, 192 FaTWon C'ali. Vita naturale - I^IU . - 193 iVrraule Capelli- ^eati e psicopatie sessuali 194 norriMHU Gli Ebrei sotto la dominazione romana 195 hZIL La scolastica del sec XVI e la politica dei gesu,t.. 1911 196 // programma dei modernisti 1911 . 197 C'llile!*€»ttl. L' evoluzione della musica 198 llutoer. Morale dei gesuiti 1911 . 199 WefCener II.. La prossima generazione 200 illava l«l*J- Introduzione alla icosojia 201 Tlioiiia«4. Sesso e società 1911 • • 202 C'iroKoani. // cantico dei cantici IVI I. 203 Ro««aaa. Sotto la f ernia ^ 1*^" 204 »e KoiierliK Renan »9ll 205 Besaal. Jutohiografia '^' ,q,/ 206 Powell, // cibo e la salute ^^'^"^. 207 C;ia«-lielti- La fantasia '^''^,^.,:, 208 Turbili, Storia delle religioni '^'* 209 !^oiiil«li. La pesca marittima industriale 210 liaii'V.f'. Vita di Federico Nietzsche 211 Troilo. // positivismo 1912 . 212 :ilifiiel». I '^'"'''' ^*='''' '"**''''^ sessuale 213 Ciraaiani. Teorie e fatti economici^ 214 raiHK'llt'Ili- La lliforma 1912 215 C-allo. La guerra e la sua ragion sessuale 216 Klllliafiarai-a. La respirazione e la salute 217 Cara». // Buddismo e i suoi critici cridtam 2ig ji^ergì. Le origini umane 1913 219 Kaw. La crudeltà ^ \9\ì - • 220 Arlken. Le vie dell anima \yyy • • 221 C'anewiriiil, Nel mondo dei P^^^^^'^' ^ '^'^ " 222 AvelMiry. "Pace « M'^''" . '^'^ ' 223 HeUNi, Trascendenza ^^^ .^U 224 Ci!r«'W. Sviluppo di un pianeta IV l^ 225 Nertfi. L'evoluzione organica e Je origini umane -^ 226 Ciallo. // valore sociale dell abbigliamento ^ IVI-+ 227 Kaiiiaelarai-a. Ata Yoga L'arte di star bene 228 V€»ri-€5i el. Umlà di legge nei fenomem vitali 229 C-eriliaHl. La Ragioneria come scienza "moderna 230 OlKiali La filosofia di Enrico Bergson ^ IVI^ 231 I..^iiiielit4i!*. // problema delle Scienze ^toriche^^ 232 %»eÌMÌaKcr. Intorno alle cose supreme IVl^ 233 Turbili. La Civiltà Bizantina ivn 234 iVrrabiao. Ka^P-o 1914 . • • 235 Ellier.!. La vita delle formiche IV 14 . • 236 TilKllèr, ^Pragmatismo trascendentale J'^'^ " 237 II ntlflln»;. Compendio di storia della filosofia moderna 1912 1912 1912 1912 1912 . 1913 1913 . » » w » » » » » » » * » a» » « 1914 1914 1914 1914 1914 - 1915 » » w w 5. 4.- 4.- 6.- 5.-- 6.- 6.- 4.- 3.30 3. - 5.- 2.50 2.50 6.~ 4.- 2.50 X- 7.- 3.- 5.- 5.- 4.„,.,_ 4.- 3.- 5.- 4.- 4.-- 6, — 4.- 5.- 5.- 5.- 6.- 6.™ 3.50 2.50 4.- 3.50 3.50 3,50 3.50 3.50 5.- 6. - 3.50 3.50 4, - 2.50 2.50 4.- 5.^ 3,50 5.- 6.- 3.50 5.-^ 5. - X B. / t;o/umi di questa »erie esistono pure elegantemente con fregi artistici, cop una lira d' aumento sul prezzo indicato. legati in tela !^-^ COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES .f>^w5»?. 'f#^Ì 010685766 COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES This book is due on the date indicatcd below, or at th< expiration of a definite period after the date of borrowlng, provided by the library rules or by special arrangement wit the Librarian in charge. .>i^^^ v-àrv'-' 1-^3.3 Til^lier /"Zii. jj^" "^ ^'WliÌ,-*-;' Mi^St- I "V5"G Tì^'"» no trasc enden- '^^^.. ^m-' J 'W^"^y%- "^■M^ m4m^m "^l-e.H, , &•* • (»*.. Ì,.'#* ^ - 1*'. , i , feSttir ,^ ^A*-' ^''\ :-*43i. •Jatf '' •i3- ìt=^^4"A'\- * '-^ «fe»-," I . ri"-* 4 -4 . 4i^ •«^s-as-i-T. t*>?: :^Mé s.'i'- S^ fei; Èsè-r* t*- h- [Iti «■*fr fu*-. . l-lfet.- ' ^=ir4fi|tS.:J*S«;v

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