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Sunday, August 17, 2025

GRICE E TIMPANARO

 SEB. TIMPANARO - ' , • ** Scritti liberisti Napoli» 1919 - Libreria della Diana PROPRIETÀ LETTERARIA Bolatui, Cdw. Tif, AzfoiiuiiG - L'IMITAZIONE DEGLI UCCELLI 7?1 290 --5^* '^ m SEB. TIMPANARO « » * ,« 4 S W • • • •• • « • « <» » Scritti liberisti Napoli, 1919 - Libreria della Diana LETTERARIA ■ 4 Hmibn 1918 L'IMITAZIONE DEGLI UCO 771890 '^9 m * m • • • • > • • •- Nel *905, quando gli studenti torinesi rumoreg- giarono il professor Billia perchè nella sua prolusione aveva osato parlare di cristianesimo, Giuseppe Prez- zolini scrisse nel Leonardo così : « Capirei una dimo- strazione di studenti se i teatri rialzassero i prezzi, i sigari costassero di più e i posti governativi diminuissero ; ma, in fatto d*idee, che c'entrano questi candidati al filisteismo? Quando hanno avuto i loro diplomi coi quali lo Stato li autorizza a squartare, strozzare, avve- lenare uomini e bestie, a ingannare destramente o scioccamente, ad annerire carta bollata — cosa chiedono di pili? Del vino per fingere la giovinezza che non hanno, qualche donnetta non troppo costosa per fin- gere r amore che ignorano, qualche strappo ben rat- toppato alle vesti per fingere la bohème che non vivono. E poi mi ^pare che basti. Per le idee, quando han speso cinque centesimi per un giornale politico» ne hanno in serbo per un pezzo e adatte a loro ». Queste parole del Prezzolini son vere ancora. Noi studenti siamo ancora dei pagliacci senza coltura e senza ideali, ma la colpa è tutta quanta di quel Scritti liberisti mostruoso istituto d'erudizione coercitiva che è la scuola. La-sciKi^Q addormenta, corrompe, schiaccia. Pertuttii .giovani dall'anima vulcanica, la vita scolastica è una Continua tormentosa rinunzia agli ideali davanti alla quale la rinunzia che il Carducci, arriso dal suo sogno di gloria^ faceva alle vergini dan- zanti al sol di maggio suscita l'immagine nostalgica d'una serena alba di primavera siciliana. In certi gicnmi in cui siamo usciti di casa con l'anima di Enjoiras e vorremmo che la scuola ci alimentasse l'incendio che ci divampa dentro, l'aula scolastica ci dà il treddp e la nausea di un cimitero in cui si traffichino, a brandelli^ i cadaveri. Invece della patria, troviamo l' esilio della nostra spiritualità, la palude in cui si spengono i nostri sogni e le nostre energie; e nel professore non vediamo l'animatore, il centro della nostra vita più alta, ma il venditore di libriciattoli e di dispense, il burocratico pedante e aguzzino che secca per un anno intero litaniando nenie inutili e poi boccia e promuove. E ci dobbiamo rassegnare a essere facchini dello studio e non labo- ratorii di verità in azione continua come la Chiesa di Benedetto Maironi. Non è che la scuola debba essere più facile, come ritengono gli sgomenti del surmenage^ o più difficile» come quelli che credono di poter preparare i giovani a vincere le difficoltà della vita rendendo la scuola difficile come la vita. La scuola non è ne difficile ne facile: è assurda e perciò è inutile tentare di rifor- U imitazione degli uccelli ^ iuurla «on criteri quaiitiUlivi. La rìforaia dev*efserc radicale. l!)eUa acnoU di òg|^ non deve rimaxiere più Inccia. Bitogna che ali* istituto di etudizione coerci- tiva 8Ì «oetituiÉca im centro libero di cultura. La scuola aAttal» h falla per iivibim)are il siiperficialisioo chiac* ehieroiie dei faszettterì che parlano di libri che kion banno letto e ilbcttlono teorie che non htnno stu- diate. Nòta s* insegna nelle liostre scuole la storia deU» Utterabira senta la letteMivai siicbè si è costretti a parlare di autori che nettutteno i compilatori del libro di testo ballilo lètto, e non solo di autori di secondo oH&e ma di gèni tome Leonardo, Galileo» Vico> Ma non e* h una materia che non venga insegna^ sttt>er&eiaImeAte e toéccanicameale. E che ri bada al possesso nuitèrii^ della scienata e non allo spirito sciinriilrn « perciò si dà 1* ostracismo a tutte le idee direttive per lasciare il poste alla minutaglia dotifel- nintesea. L'aeioiM d^a nostra scUola ri potrebbe psìfagodore a un idiota che perdesse i giorni a impa- rare in tm «nonne catalogo il numero delle siUabe dèUé singole parole» sen^a peiiiare che potrebbe acqui*- Mare molte di pia» senza (Mica e senza perdita di teòtpo» imparando semplicemente a contare. La nostra scttola, ^r continuare ritamagine, fa imparare con mtsaucci mnemonici il numero delle sillabe d*uti esercito di paróle» ma non insegna a calcolare il Évineifo deUe siUd^e di tutte parole reali e possibili. Per salvare la scuola, occorre eliminare i prò-* ^ramnd slereolipati è imposti dal difuori e dare invece modo a ognuno di sviluppare il meglio possibile la Scritti liberisti propria mentalità e la propria iniziativa. Forse cosi non avremo più i dottori in una scienza sterminatar ma avremo specialisti che nel loro campo» sia pmr minimo» saranno dominatori e coscienti. Invece del dottore in matematica ci sarà il dottore in geometria analitica delle coniche» ma questo minuscolo dottore non dovrà arrossire se gli domanderete cosa siano i postulati» r infinito matematico» che valore abbia Topera di Cartesio; e vi dimostrerà i teoremi con procedi- menti razionali e non con balbettii meccanici. Trasformazione rivoluzionaria anche degli esami. Gli esami attuali sono V apoteosi dello sforzo e dello sforzo irrazionale» precario» vano, L* esame serve a constatare che un individuo possiede un* istruzione che ha potuto benissimo imparare in quindici giorni di studio pazzesco e che dopo quindici ^orm dimenti- cherà per sempre, L* esame invece dovrebbe misurare la potenzialità dinamica» vitale dell* intelligenza» la cultura perenne; e per far questo occorrerebbe che fosse continuo e non istantaneo e fosse per il candi- dato non la vergogna d* un* inquisizione ma la gloria d* un* elevata autopresentazione spirituale. Così maestri e discepoli sarebbero amici collaboratori» non aguzzini e schiavi; la cultura sarebbe non un caos di cogni* noni tenute insieme meccanicamente ma un* armonia» e gli studenti non sarebbero fih il riscontro dei preti per forza e delle signore di Monza» ma uomini di fede. Non voglio concludere alla diserzione scolastica, I disertori — tranne quando si chiamino Rapisardi» Uimitozione degli uccelli Croce, Bracco — sono» in fondo, dei vinti e Idei deboli. Noi invece dobbiamo superare incontaminati il pantano della scuola burocratica, per poter pdl pre- parare r avvento d*una nuova scuola che licenzi i suoi figli non quando li ha caricati alla meglio d*un immane bagaglio, ma, come fanno gli uccelli, quando li ha resi atti alla vita e al volo. Giambattista Vico, nella sua autobiografia scrive cosi : « Però osservando il Vico così da Aristotile come da Platone usarsi assai sovente pruove mattematiche per dimostrare le cose che essi ragionavano di filo« sofia, egli in ciò si vide difettoso a poter bene inten- dergli; onde volle applicarsi alla geometria e inoltrarsi fino alla quinta proposizione di Euclide. E riflettendo che in quella dimostrazione si conteneva insomma una congruenza di triangoli, esaminata partitamente per ciascun lato ed angolo di triangolo, che si dimostra con egual distesa combaciare con ciascun lato ed angolo deir altro, pniovava in se stesso cosa più facile r intender quelle minute verità tutte insieme, come in un genere metafisico di quelle particolari quantità geo- metriche. £ a suo costo sperimentò che alle menti già dalla metafisica fatte universali non riesce agevole quello studio propio deglf ingegni minuti, e lasciò di seguitarlo siccome quello che poneva in ceppi ed angu* stie la sua mente già avvezza col molto studio di metafi- sica a spaziarsi nell* infinito dei generi ; e colla spessa 12 Scritti liberisti lezione di oratori, di storici e di poeti» dilettava r ingegno di osservare tra lontanissime cose nodi che in qualche ragione comune le stringessero insieme, che sono i bei nastri dell* eloquenza che fanno dilet- tevole r acutezza. « Talché con ragione gli antichi stimarono studio propio da applicarsi i fanciulli quello della geometria e la giudicarono come logica propia di quella tenera età, che quanto apprende bene i par- ticolari e sa fil filo disporgli tanto difficilmente com- prende i generi delle cose; ed Aristotile iÉiedìS9Ìmo, quantunque esso dal metodo usato dalla geometrie avesse estratto 1* ertte rillogittica* pur vi colivtwe ove atferma ebe ai fa«eivlli debbono inaegnarsi le liti|j[ue, le isterie, la geometria, ceibe nutria più prepia 4à esercitaffi la nemoria» la btatasià e 1* ingegno >i*> Seoverle che egU ebbe lutto Tareàno del mètodo geemetrièo conteaeisi in ciò, di prima difinire le voci con le quali ti abbia a ragionare» di poi stabiltte alcune maarime comuni, nelle quali colui che vi ragiona vi convenga ; finafanenie, se bisogna, domandare diserei temente cosa che per natura si possa concedere» a&ie £ poter vuke i ragionamenti che senza una qualche posizione non verrebbero a capo e con questi prin- oipii da verità più sempl^i dimostrate procedere &I filo alle {ùù complete e le composte non aSermare «e non prima «i esaminino partitamente le partì che le i^m^ngono» 99mò ookanlo iilite aver conoédulo cixne proeedevalio nei loro ragìoiiamenri i geometri» perchè •e mai a hA abbisognMse alcuna voka quella m«9iiem di ragionare, il sapesée... Aniiscknza 1 3 Ho creduto di riportar per intero» invece di sub* teggiaJoy queito passo alquanto lungo deirautobio- gntfia viduana sul quale voglio fare qualche osserva- little critica^ per tinore di alterarlo e perchè, riportale così integralmente, dimostra me^io 1* importanza ch*esso ha nella storia della vita e del penriero di Giambat* tssta Vico* Senonchè, appunto perchè il passo di ari ci occupiamo è assai importante, occorre che cerchiamo <fi valutario nel modo piik rigoroso. La nostra valuta- zione, diciamolo subito, è di pieno dissenso, ma noi crediamo di (are così un'opera allenente vichiana perchè il Vico, come dice Benedetto Croce, alle autorità non intendeva appoggiarsi, ma nepjMtfe le cB^ezzava; dovendo 1* autorità fauci considerati a mvestigare le cagioni che mai potessero gli autori, e massimamente gravissimi, indurre a questo o a quello opinare, e perchè il cuko dei grandi non conriste soltanto nello svolgere i germi fecondi conte- nuti nella loro opera ma anche nel trarre dalle loro opinioni più caduche motivi etemi di vero. Quali sono le ragiom die hanno indotto il Vico a queir c^nione intomo alla matematica? 11 passo che abbiamo riportato risponde abbastanza bene alla nostra domanda. E che il Vico si è messo a studiare la geometria con criteri filosofici. Davanti alle verità matematiche, che gli dovevano servire per T intelli- genza di alcuni luoghi di Platone e di Aristotile, egli era, in sostanza, perfettamente indifferente; e perciò se, prima di risolversi a prendere in mano il trattato eh geometria, si fosse consultato con un buon mate- 14 ScritH liberisti matico, questi gli avrebbe consigliato, piuttosto che la lettura di una geometrìa, quella di una filosofia della geometrìa. Ma è bene che sia stato così ; perchè, se no, non avremmo avuto questa pagina che illustra così b#^ne i caratterì antimatematici e antipositivi della mentalità vichiana analizzati da Fausto Nicolini nella sua prefazione alla Scienza nuova. E male solo che il Vico non si sia reso conto che era lui e non la matematica che aveva torto e abbia dato un giudizio assolutamente erroneo cioè che la geometrìa sia uno studio proprìo degl'ingegni minuti e da applicarsi i fanciulli. Naturalmente perà, piuttosto che demolire la geometrìa, non ha fatto che uno sfogo lirìco . Perchè, a voler giudicare un* opera qualsiasi dalle prime due o tre pagine, anche un ingegno scadente capisce che si rìschia di commettere errorì madornali ; e il Vico doveva essere convinto che con la lettura delle prìme pagine dell* £/ica di Spinoza e della stessa sua Scienza nuova si potevano benissimo giu- dicare quelle grandi opere con la stessa severìtà con la quale egli giudicava il capolavoro di Euclide. Quel trovare più facile 1* intendere le minute verìtà geo- metrìche tutt* insieme come in un genere metafisico potrebbe sembrare alla prima effetto di profondità di vedute, ma tutti i principianti credono che le dimo- strazioni siano superflue. Né si può credere che qui il Vico applichi felicemente il metodo d* intuizione del Bergson. Perchè si può ammettere che, per esempio, a dar 1* intuizione di Bologna siano insuffi- cienti tanto le idee che le immagini e sia necessarìo Antiscienza 1 5 invece vedere attualmente o con uno sforzo d* imma- ginazione la simpatica città ricca di portici, di toni e di belle fanciulle ; ma 1* intuizione non si può appli- care a un oggetto astratto come un teorema e chi crede di poterlo fare è perchè, dopo conosciuta la dimostrazione di un teorema, può, con uno sforzo mentale, pensare sommariamente e rapidamente la dimostrazionie stessa, però questo sforzo non supera la dimostrazione, ma le resta inferiore come una for- mola alla ricerca che Tha originata. E poi evidente che quell'argomento preso da Aristotile, secondo il quale ai fanciulli bisogna insegnare insieme alla geo- metria e alle lingue anche la storia, portava implicita la critica dell* opinione vichiana, giacché è da ingegni minuti non quella storia sulla quale il Vico stese tanta ala ma le raccolte scolastiche di aneddoti. Senonchè in questo punto il Vico è un seguace non di Ari- stotile ma dell* aristotelismo medievale. Affermando 1* universalità contro la particolarità, il genere metafi- sico contro la verità minuta, egli avversa, pili che la sola matematica, tutte le scienze positive ; e come 8*è stancato delle proposizioni euclidee, si sarebbe ugual- mente stancato dello scritto del Galilei sulla Bilancetta e invece delle ricerche che condussero al barometro avrebbe preferito la f ormola : La natura abonre dal vuoto. Ma neir affermazione che la scienza sia propria degl* ingegni minuti, non solo e* è il disconoscimento del metodo positivo, ma si viene anche a negare che la scienza sia essenzialmente sistematica, verità che 16 Scrini Ifheristi •h' il Vico avrebbe trovato, se li avttM letto per inter^^ Mgli slessi Elementi di Eaidìde die sono lui orgar msB^ e noo un* accozzaglia incoerente Jà proposizioni. In tutte le scienze positive e* è largo^ posto per la sintesi: basta pensare allo sviluppo che hanno avuto i concetti di (unzioiie e di limite nell* analisi a^^ brìca e ii^nitesiniale, quello di corrispondenza nella geometria proiettiva» descrittiva e analiticat quello di energia in fisica, e ali* organicità che s*e conseguita in algebra con 1* introduzione dei numeri negativi, irrazionali e complessi, in geometria con gli elemei^ i4r infinito e immaginari e nelle scienze fisiche con r applicazione della matematica che le ha fatto entrare in ima fase superiore. Anzi — lo dico per inci-* denza -^ io sono convinto che anche la fase mate^ matita delle scienze fisiche sia provvisoria e per conto mio farò qualche tentativo per preparare una fisica razionale che sia rispMo alla fisica matematica quello che la fisica matematica è rispetto alla fisica speri- mentale^ L*opini(me sostenuta dal Vico può sorgere in cIh legga i sommari (scadenti), nei quali la scienza è cristallizzata e morta : e del resto i manuali di filo- sofia e i sunti dei poemi fanno un'impr^sione peg- giore. Ma, per poter valutare giustamente la scienza, occorre nuotare liberamente ed entusiasticamente ne|- r oceano della ricerca ; e questo può farsi o studiando polemicamente i sommari eccellenti, sotto la guida di maestri che della scienza abbiano più che il possesso materiale il sentimento ardente, o meglio stu<£ando direttamente la storia della scienza. Ed è perdo che. Antiscienza 1 7 secondo me, la migliore crìtica dell* opinione vichiana potrebbe farla un editore che pubblicasse il corpo dei classici della scienza insieme a una buona biblioteca di cultura scientifica. In Italia e* è adesso un note* vole risveglio culturale di cui sono esponenti le belle collezioni editoriali in corso di pubblicazione e quelle che si preparano; ma è un risveglio filosofico-lette- rario. Per la scienza in esso non e* è posto. La scienza, anzi, se si prescinde dagli specialisti, è abbandonata. Certo quest'abbandono non è dovuto soltanto alla sopravvivenza dell'opinione di Vico che abbiamo discusso, ma dipende anche dal successo della teoria nominalistico-economica della scienza della quale il Vico è un precursore, dal discredito che il positi- vismo ha gettato sulla scienza gabellando per scienza i suoi castelli metafisici, dall* ordinamento delle nostre scuole secondarie dove la scienza viene insegnata affrettatamente su manuali pessimi e delle università dove nella facoltà di scienze non e* è posto per la filosofia e nella facoltà di filosofia non e* è posto per la scienza, dall* isolamento degli scienziati e dall* igno- ranza in materia di scienza dei filosofi e degli artisti e sopratutto dall* indole ultraumanistica degl* italiani i quali si sono accorti dell* esistenza di Galileo ma perchè i suoi libri sono anche letterariamente eccel- lenti e per fare qualche declamazione sul suo pro- cesso che, piuttosto che un fenomeno di pensiero (lotta tra la scienza positiva e 1* aristotelismo medie- vale), è sembrato un bel pretesto per gridare 1* etemo rettorico Eppur si muove ! del quale ci siamo tanto 18 Scritti liberisti ubbrìacati che perfino il Favaro, nel suo profilo del Galilei» ha creduto di doverlo ricordare e definire sublime. Ma se verrà quell* editore che abbiamo augurato e e* indurremo finalmente a metterci in comunione con le opere scientifiche, ci accorgeremo che la scienza coincide con la sua storia (anzi, in grandissima parte, con la storia senz'altro) e che quindi essa possiede i caratteri di slancio vitale, di ascensione,, di lotta, di disinteresse che riconosciamo alla filosofia, ali* arte e alla fede. Allora non sarà più possibile di rappre- sentare nel nome di Giambattista Vico la parte del Simplicio galileano; ma, invece, liberati i grandi scienziati dai loro ergastoli, li metteremo insieme agli altri grandi (siano filosofi o artisti o eroi) con i quali essi hanno in comune la genialità e la ricchezza. PAPINI Un* osservazione assai acuta Intorno a Rapini è questa « notizia meravigliosa > pubblicata in un numero del Leonardo del *904 probabilmente dal Prezzolini o dal Papini stesso: « Gian Falco ha abolito il pronome io nei propri scritti » . Infatti Gio- vanni Papini parla sempre di se. Tutti i suoi scritti sono i capitoli d*una sola opera che è la sua auto- biografia. E impossibile fare una distinzione rigorosa tra un capitolo deìV Uomo finito o AéX Jlltra metà^ del Tragico quotidiano o di 24 cervelli. Il Papini ha coscienza di questa sua qualità e vi scrive nelle pre- fazioni ai suoi libri di pensiero che essi non sono libri di pensiero ma libri di mala fede, di passione» d* in- giustizia» ineguali, parziali, senza scrupoli, violenti, contradditori e insolenti come i libri di tutti quelli che amano e odiano a viso aperto : libri in un certo senso lirici e non critici che possono interessare sopra- tutto quelli che tengono a conoscere lui attraverso quello che dice degli altri; — mentre parlandovi dei suoi libri di novelle ve li definisce come favole filo- sofiche, come espressioni in forma fantastica e para- 22 Scritti liberisti dossistica di quel tanto di lirismo filosofico che non ha trovato sbocchi d* altra parte; anzi vi dice addi" rittura che contengono una teoria del mondo e della vita. Certo, quando s*è detto che Rapini è uno scrit- tore autobiografico s* è detto ben poco ; ma s* è indi- cato il punto di vista dal quale bisogna guardare la sua opera per poterla capire, cioè s*è detto che il verq Papini non è il Rapini filosofo o il Rapini poeta, ma il Rapini uomo. E il Rapini uomo — diciamolo subito — non è affatto come qualche ingenuo lettore di Lacerna lo immagina. Il Rapini uomo non è uà rivoluzionario e tanto meno un futurista, ma un per- fetto conservatpre. Fiorentino di nascita e d* elezione, come si chiama più volte, i veneti o i napoletani ^ son quasi estranei. Non ci sta bene insieme^ li sente, piuttosto che fratelli, lontani da lui come certi barbari. Ha elogiato la rivoluzione ma perchè è necessaria air equilibrio sociale e ha dichiarato espressamente che se in Italia ci fosse troppo spirito rivoluzionario» egli farebbe il conservatore, allo stesso modo che — diceva nel Leonardo — se il Croce fosse diventato pragmatista egli sarebbe diventato hegeliano. Ha detto che la sua missione debba essere quella stessa del diavolo nel mondo di Dio : negare, spingere al male» al falso, air assurdo, ali* abisso, alle tenebre» ma non per vocazione. Si sobbarca alla parte di diavolo come vittima, come una specie di Cristo espiatorio, poiché e* è bisogno del nulla di Mefistofele perchè un Faust possa trovarci il suo tutto. Sta nel no perchè qualche altro Papini 23 possa trovarci nuovi si. Ora dal momento chot come osserva giustamente il Papini stesso, non si può chia* mare vero delinquente chi delinque per bisogno, per vendetta o per avidità ma soltanto chi fa il male per il male, è chiaro che il Papini può aver diritto tutt*al più al titolo filisteo di buon diavolo. E facile trovare negli scritti di Papini degli spunti marinettiani ; ma, se si osserva bene, essi non solo costituiscono le scorie e non 1* essenza del suo carat- tere, ma sono marinettiani nella lettera e non nello spirito. Il futurismo proclama il disprezzo del libro e della donna e si potrebbero trovare delle frasi papi- mane contro il libro e la donna; ma, in sostanza, il Papini adora tanto il libro che la donna. Il Papini è uno degli uomini più appassionati dei libri che esi- stono. Le poche gioie che ha avuto sono gioie libresche. I più caldi elogi che ha fatto sono rivolti ai geni. Rinnegare i geni significa per lui rinnegare tutto sé stesso e il meglio della sua vita. Egli si sente bene con loro soltanto e vede il mondo attraverso i loro occhi di veggenti; gli sono necessari come il cielo» come r acqua, come tutte le cose belle, pure, ottima che sono ass<Jutamente indispensabili alla vita ; li ama più d*una donna bella — perdutamente, forsennata- mente, immoderatamente. Dante, Leopardi, Shelley, Baudelaire, Heine, Walt Wlùtman, Carducci, Shake- speare, Goethe, Cervantes, Dostojevski, Stendhal, Carlyle, Poe, Novalis, Platone, Berkeley, Scho- penhauer, Nietzsche, Stimer, Hegel, Leonardo, Al- berti, Vailati, Vannicola, Farinelli, Tolstoì, ecc. ecc.; 24 Scritti liberisti ecco gli amori — non sempre» per dir la verità, molto sentimentali — cTi Giovanni Rapini. Diventar genio: ecco il suo massimo desiderio. Quanto ^lla donna, chi ha presente il capitolo Io e l* amore dell* Uomo finiio, sa bene che le idee del Rapini a questo riguardo sono proprio 1* opposto di quelle marinettiane. Il Mari- netti disprezza la donna ideale, il Rapini adora la donna ideale. Dev'essere — dice — una portentosa meraviglia cotesta elevatrice e sublimatrìce di uomini» A Rapini la donna ideale è mancata, ma egli ne ^ente acuta e tormentosa la nostalgia. Nelle sue novelle, ha idealizzato più volte la donna e ha saputo cogliere con rara penetrazione òerte finezze femminili. Ricordate la fanciulla di Una vita in due che attende, contando i minuti coi battiti del suo piccolo cuore? E quella della Prima e la seconda che s* abbandona alla povera e amara gioia d* avere visto 1* amato da lontano? Una delle pagine pili sentite di Parole e sangue e d'amore: Se ti guardo e penso che potresti morire e che non avrei più il dolore di guardarti e 1* uggia di ascoltare il tuo pianto tranquillo e il desiderio di soffocarti con le mie mani — allora ecco che i tuoi occhi si velano e tu cadi in terra come morta — e diventi, ad un tratto, fredda come chi è morto da ore, da lunghe ore di pioggia e di noia. — Ma in quell'istante medesimo io piango la tua fine troppo veloce e la mia noiosa potenza e ripenso al tuo riso squillante dietro le porte e alla calda morbidezza della tua pelle e al tuo povero passato e piango e piango su di me Papini 25 e su di te e penso che tu potresti rinascere ad iin tratto e alzarti sana e bella come prima e ridermi con gli occhi e ridermi con la bocca e ridermi coi riccioli castagni svolazzanti nelle tempie. Ed ecco che appena ho pensato questo tu sei di nuovo dinanzi a me calda, dolce, sorridente, senza neppure una lacrima tra i peli dei cigli e appena ti stringo la magra manina tu mi abbracci e mi stringi col petto palpitante. Di amore, di amore appassionato è anche una bella lirica: Perchè vuoi amarmi? che analizzeremo più oltre. Come si può dunque parlare di disprezzo della donna a proposito di Giovanni Papini? Il futurismo inoltre esalta la maccUna; invece Papini ha esaltato r interiorità contro la civiltà a tipo militare dei nazio- nalisti e ha sostenuto che il progresso consiste in una crescente interiorità. Davanti ali* invenzione di Mar- coni, si domandava: 11 mandar dei dispacci senza fili, che ai grossi uomini sembra cosa divina, cos*è se non sostituzione di mezzi materiali a mezzi mate- riali? e proseguiva affermando che le date veramente importanti sono quelle dei capolavori e delle grandi idee. Dicendo che Giovanni Papini è un conservatore non r abbiamo ancora definito. La qualità di conser- vatore è troppo generica ed è affatto insufficiente a spiegare da sola T opera papiniana. Ebbene, me ne dispiace per tutti quelli che prendendo il Papini sulla parola lo credono un ateo perfetto, ma la verità è che Giovanni Papini, oltre che un borghese, è prin- cipalmente un mistico immaginoso e sentimentale che 26 Scritti liberisti sì tormenta nella ricerca sempre vana dell'assoluto. Alla luce di quest'idea^ cercherò adesso di criticare gli scritti che costituiscono il diario spirituale di questo fiorentino pallido e inquieto. Non li esaminerò tutti quanti a uno a uno» non solo perchè non è consentito dai liiQÌti che mi sono imposto, ma sopratutto perchè del Rapini si può dire quello che il Papini stesso diceva di Eucken: ha pubblicato moltissimi scritti ma non per questo si deve credere che abbia messo fuori moltissime idee. Si è ripetuto infinite volte. Gran parte dell' Uomo finito, per esempio, non è che un sommario di quello che aveva detto e ridetto nelle sue pubblicazioni pre-* cedenti. I futuristi l'hanno chiamato da principio filosofo, poi antifilosofo. G>minciamo dunque col vedere quali sono i rapporti del Papini con la filosofia. A questo pro- posito, rovesciando un giudizio papiniano sugli scrit- tori del Leonardo — Noi siamo dei filosofi che vogliono uscire dalla filosofia — si può dire che Papini è un non filosofo che vuole per forza occuparsi di filosofia. Nel periodo leonardiano la sua idea fissa era quella di diventar Dio. G>nvinto che il pensiero non è che un mezzo d* azione, egli licenziò la filosofia (e anche, in grandissima parte, 1* arte, la scienza e la religione) e diventò il profeta della pragmatica o taumaturgia con la quale si doveva riuscire a cambiare il mondo istantaneamente e senza* sforzo: si doveva, in altri termini, acquistare la volontà creatrice, 1* onnipotenza. Senonchè, invece di limitarsi a predicare questa sua Papini 27 religione magica, egli credette opportuno di combat- tere punto per punto Kant, Hegel, Schopenhauer, Comte, Spencer, Nietzsche, cioè di licenziare la filo- sofia per mezzo della filosofia. Ed è appunto per questa contradizione che davanti al Crepuscolo dei filosofi il Croce si domandava : E un libro serio o uno scherzo? Il Crepuscolo dei filosofi è il libro più filosofico di Giovanni Papini, ma si può recisamente affermare che il suo valore filosofico è molto scarso. E un libro spi- gliato, chiaro, acuto, brioso, ma, sebbene non sia una compilazione, non è affatto originale. I suoi prece- denti, se non storici, logici e i precedenti dei saggi posteriori sono nei nominalisti medievali, in Locke, in Hume, in Stuart Mill e nei pragmatisti. La cono- scenza è dualità, dunque gli universali monistici sono assurdi; tutto è fenomeno, le essenze non sono che astrazioni ipostatizzate, la conoscenza vera e completa consiste nel possesso integrale del particolare, quindi niente arte, niente scienza, nient* affatto filosofia: la filosofia h un illecito prolungamento della generaliz- zazione scientifica. Pare impossibile, ma il Papini non s' è mai accollo che se le sue argomentazioni avevano un valore, il pensiero logico restava completamente riabilitato. Finche parlano — dice lui stesso neìYAltra metà — anche i pluralisti sono dei sedicenti plura- listi: sol accettando il principio d'identità possiamo discorrere del diverso. Ma non si è anche pluralisti stabilendo che il linguaggio è essenzialmente erroneo? Non è evidente, dunque, che il vero pluralismo non è pensiero ne ricco né povero, ma opinione, gusto, 28 Scritti liberisti caprìccio? Per questo suo ostinato antirazionalismo, il Rapini non è riuscito a scoprire 1* unità di scienza e filosofia che ha quasi formulato completamente. Nella sua recensione del saggio del Croce su Hegel, ha dimostrato 1* identità tra i concetti dei filosofi e i così detti pseudo-concetti degli scienziati; nello studio « La religione sta da sé > diceva che la filosofia deve cedere davanti a qualcosa di pi& grande di lei, al pensiero Umano; nell'undecimo capitolo deir>l //ra metà affermava che non bisogna fermarsi al pragma- tismo, che non bisogna semplicemente rivelare e tanto meno accentuare la tendenza utilitaria della cono- scenza, ma che dobbiamo invece rendere questa sempre più disinteressata; — ma quest'uomo che pure ha elogiato Giovanni Vailati di cui si è pro- fessato anzi discepolo, è rimasto sempre un adoratore del particolare e non si è saputo elevare a una forma di conoscenza nella quale la scienza e la filosofia fos- sero tutt'uno e anzi ha sostenuto che il vero scopo della filosofia è quello di riconoscere il carattere utili- tario alla scienza e a molte filosofie passate per giungere a una conoscenza pura e disinteressata, naturalmente sui generis. È inutile continuare quest'analisi fastidiosa. Le idee filosofiche di Giovanni Rapini sono povere e sterili appunto perchè l' interesse del Rapini non è per la conoscenza ma per il possesso della realtà. Tutte le elucubrazioni del Rapini significano soltanto che egli non è riuscito ancora a possedere la realtà e basta. Se si prescinde quindi da qualità di second'or- Papini 29 dine, le qualità del volgarizzatore, che il Rapini pos- siede in grado eminente, — ciò che rende attraen- tissimi i suoi saggi di pura volgarizzazione, gli articoli di giornale, — i suoi libri filosofici hanno valore soltanto come documenti mistici. Nel Crepuscolo dei filosofia il capitolo veramente papiniano è l'ultimo, quello in cui si profetizza la pragmatica. Diventar Dio. Quest'idea è l'anima di tutti i saggi leonardiani, in parte raccolti nel volume sul Pragmatismo; e i residui di quest' idea animano V filtra meià^ le ultime pagine dell* Uomo finito e altri scritti minori. Veramente l'idea centrale deli* Jl lira metà dovrebbe essere quella « divina » legge dei contrari che ricorre nelle Memorie J^IddiOt nell'articolo su Michelstaedter, in Una morte mentale e nell* Uomo finito. La legge sarebbe questa: Ogni cosa genera la sua contraria. Cioè : Ogni cosa proviene dalla sua contraria. Il Papini ci dice subito che questa legge non è universale, ma è evi- dente che questa pretesa legge non è che il povero ed empirico luogo comune, che il popolo ha formulato nei proverbi: Ogni eccesso è vizio, il troppo stroppia, gli estremi si toccano. La legge dei contrari — dice ingenuamente il Papini stesso — è adombrata anche nel pensiero comune e cita i detti: Non tutto il male viene per nuocere, chi troppo abbraccia nulla stringe, dal sublime al ridicolo c'è un passo. Nel mondo astratto — continua — vediamo : dal nulla sorge il mondo, il tutto (dogma della creazione). £ chiaro che questo è il dogma dell'assurdità e non il dogma della creazione. Quale creazionista ha mai sostenuto 30 Scritti liberisti che 1* essere è una modificazione dal nulla? Ma lo strano è che il Rapini crede di potersi appoggiare, oltre che ai misteri e alla assurdità, anche alla scienza. Il principio della conservazione dell'energia e della . materia — dice — non è più sicuro ; oggi si comincia a parlare di annientamento della materia; e via di seguito. Dove si vede che metafisici, positivisti e pragmatisti, in materia di scienza si equivalgono. Il Rapini non sa * che le nuove vedute intorno alla natura della materia non hanno che vedere col nulla perchè con queste vedute la materia diventa non il nulla ma una modi- ficazione dell* etere, il quale diventerebbe la materia vera e propria (la sostanza). Del resto le tre teme di saggi (troppa simmetria in un romantico incura- bile) sui concetti ontologici (nulla, diverso, impos- sibile), i concetti cronologici (ignoranza, errore, pazzia) e i concetti pratici (non fare, male, inutile), non dimo- strano affatto che per capire il sì occorre studiare il no, per capire 1' essere occorre studiare il non essere, e per capire il diritto il rovescio. Se in essi si prescinde dal puro e semplice buon senso, non resta se ùon quella speranza mistica espressa con questa frase che è il ritmo del libro : « Forse le tenebre c'illumineranno ». U Altra me/a dunque non è un libro di filosofia ma una pagina dolorosa del ^ornale intimo papinìano. Molte espressioni sembrano singhiozzi, ci evidente che questo libro sotto 1* appa- renza di uno studio, è il documento di una nobile tragedia spirituale. Rarrebbe che si trattasse d'una fede, della fede nel nulla, di cui sarebbero anticipar Papini 3 1 zioni, secondo Papini, Dio, 1* infinito, 1* ineffabile dei mistici. La nostra professione di fede eccola qui, dice il Papini. La scrisse un uomo che fu pazzo tren- t*anni : Noi siamo nati per Nulla, amiamo Nulla, crediamo in un Nulla, lavoriamo per Nulla e tutto questo per andare un giorno nel Nulla. Ma nel- l'ultimo capitolo « Rimorsi », il Papini nega reci- samente ogni fede. Mi pare — dice — che a ogni mia certezza si possa contrapporre un dubbio; e un dubbio a ogni mia certezza; e un sì a ogni mio no; e una scappellatura a ogni mio sberleffo e una più sconsolata disperazione a ogni ironizzata malinconia. La vera fede di Papini è invece la fede in un asso- luto eh* egli non riesce mai a trovare e di cui ha un invincibile bisogno. Papini ha detto di essere stato sempre irreligioso — io sono un uomo per il quale Dio non è mai esistito — : la verità e il contrario. Se la religione è, come dice lui stesso, conoscenza imitativa e non descrittiva o esplicativa, azione immedesimata con la conoscenza di un mondo speciale e conoscenza che ha significato nell'azione rispetto a questo mondo speciale ; se, in una parola, religione significa vita in Dio e irreligione vita nel finito in quanto finito, Papini è stato sempre religioso. Come si vede, noi riconosciamo al Papini 1* indi- vidualità etica che molti gli hanno negato. Costoro hanno visto in Papini quell* Amico Dite che si defi- niva così: Io sono un uomo comune, un uomo terri- bilmente comune che vuol fare a tutti i costi, una vita non comune, una vita assolutamente straordinaria. 1 32 Scritti liberisti Hanno trovato il suo desiderio di grandezza piccino, geometrico, egoistico. Certo non si può negare che nel Rapini e' è ancora troppa materialità e anche del- l' istrionismo ; non si può negare che egli somiglia a molti uomini che ha disprezzato: al mieloso e pia- gnucoloso Pascoli e al lamentoso sonettaio del Pe- trarca* Certe sue pagine troppo fenmiinee — il primo capitolo dell* Uomo finito, per esempio, che è una serie alquanto puerile di variazioni del motivo: Io non sono mai stato bambino — possono sembrare in troppo stridente contrasto con chi ha esaltato la pietra contro il miele, la maschilità contro la femmi- nilità. Ed è anche troppo contraddittorio quel disprez- zare i poeti e scrivere una cinquantina di novelle e una sessantina di sonetti. Ma d'altra parte non si può negare che l'aspi- razione a una vita più nobile e più alta è stata costante in Giovanni Papini e che sotto quella stessa megalo- mania che sembra ripugnante c'è una sete insaziata di assoluto. Se fosse una megalomania puramente egoistica, sarebbero affatto incomjprensibili i due ultimi libri dell' Uomo finito. Quella disperazione a cui si abbandona dopo l'insuccesso del suo sogno tauma- turgico, non si può spiegare se non ammettendo che, piuttosto che la realizzazione di un sogno egoista, Papini cercava Dio senza saperlo bene. Il grido acco- rato : Un po' di certezza I ha valore religioso perchè il Papini possiede infinite altre verità, tutte le verità del buon senso di cui ha dato poi, con meraviglia dei critici, molti esempi che spesso si sono ridotti pur- Papini 33 troppo a chiacchiere da caffè degne della turba che legge Lacerba, ma indegne di chi aveva chiamato la plebe nemica e aveva scritto : I tempi si avvicinano in cui il Leonardo dovrà scomparire per sempre. La sua popolarità diviene ogni giorno più inquier tante. Troppa gente comincia ad occuparsi di noi» troppi battezzieri e troppi apostoli sorgono ai nostri fianchi. Non abbiamo ancora parlato del Papini lirico, ma abbiamo implicitamente affermato che il Papini lirico non è che una manifestazione secondaria del cerca- tore senza frutto dell'assoluto. Abbiamo già accennato che il Papini, dominato dalla sua volontà d* azione, oltre che la filosofia ha negato anche 1* arte, 1* ha con- cepita soltanto come una ricostruzione di un mondo migliore. Per i poeti in quanto poeti assai difficilmente ha avuto dell'ammirazione. In Dante, piuttosto che r artista ha ammirato il vicario di Dio giudice e come vati più che come poeti ha esaltato Withman e Car- ducci. Le idee estetiche che ha esposto (distinzione di arte plebea e arte signorile, arte intema e arte estema) non hanno nessun valore scientifico : ma bisogna riconoscere che nei suoi libri lirici e* è molta arte. Se non ha fatto la filosofia, ha fatto spesso la poesia dell'altra metà. Le sue pagine migliori arti- sticamente sono nei due libri del periodo leonardiano, il periodo aureo del Papini, cioè nel Tragico Quo' tidiano e nel Pilota cieco ; ma son molto belli anche alcuni capitoli dell* Uomo finito : Un milione di libri, Lui, Ribollimento, Il discorso notturno. Io e 1* amore. '•^7 34 Scritti liberisti In Carole e Sangue invece di arte abbiamo spesso della psiòhiatrìa ; mediocre è anche la Vita di nessuno e «olo qualche pagina è bella nelle ^tiCemorie d'Iddio. Una delle più belle prose papiniane è la prefazione ai poeti della prima edizione del Tragico Quotidiano^ non ristampata perchè era una prefazione! Per ragioni di spazio, devo affrettarmi alla con-" clusione. Avrei esaminato assai volentieri parecchia prose liriche, specialmente V Elegia per ciò che non fu e Due immagini in una vasca. Esaminerò sentante, anche perchè 1* ho promesso, ma assai rapidamente» Q^crchè vuoi amarmi? ci una scena drammatica tra il poeta e una fanciulla. La fanciulla non parla ne ci :iden presentata da! poeta ma da tutto il discorso ci «i rileva come una delle piti pure fanciulle di Dante, di Shekespeare, di Shelley. C*è veramente, domanda 41 poeta, ma con le immagini più fresche e {hù sug- gestive, qualcuno che mi ama? Pensa, pensa benéf Non aver pietà di me. È proprio possibile che qual- cuno mi ami? Non rispondermi ancora. Pensa dia stranezza di questo fatto se fosse vero. Com* è possi- bile che mi ami veramente un essere diverso da me che prima non mi conosceva ? lo ricordo, sì, di avere appoggiato la nna testa alla sua spalla e di aver strette insieme le «uè fragili mani venate, e ^ aver baciato tante v<4te la «uà bocca e di aver ascol- tilo per ore intere la pianissima musica del suo fiato ; ma ^ra proprio io in quei momenti? Perchè dunque dovrdUbe esser vera una cosa così impossibile? Che mmto ho io? Che interesse posso presentare? Lascia- Papini 35 temi tranquillo. Non so che farmene dei vostri sospiri e delle vostre facce sentimentali. C* è in questa prima parte, per quanto assai bella, t)ualche lungaggine, ma la conclusione è quasi per- fetta. La fanciulla. è ancora là e il poeta la investe con frasi d*una tenerezza commovente — Perchè i tuoi capelli sono così fini e perchè alcune ciocche sono quasi bionde? — e conclude invitandola con divine parole a baciarlo e a chiudergli con i baci gli occhi fino a che senta soltanto il piccolo cuore frenetico della fanciulla che batte e che batte per lui. LAGUEf Quella forma di pacifismo da cui eravamo amma- lati prima dello scoppio della guerra libica^ piuttosto che pacifismo — vale a dire aspirazione a una pace fondata sulla giustizia — era quietismo, cioè 1* effetto di una tendenza al quieto vivere e alla viltà. Acca- sciati dal ricordo della sconfitta che il primo marza del *96, Menelik ci aveva inflitto nella conca d*Adua, quei pacifisti pensavano che il nostro esercito e la nostra marina non fossero buoni a nulla ; e si cre- deva per conseguenza che 1* Italia dovesse tollerare tutte le umiliaziom che credevano opportuno d* inflig- gerle le altre nazioni ; e si trovava naturale che, come disse il Pascoli, agi' italiani ali* estero non fosse lecito dir sì come Dante, dir terra come Colombo, dira avanti! come Garibaldi. La guerra libica non ha distrutto totalmente il pacifismo quietista. Esso vive ancora in una teoria che apparentemente ne è la negazione: la teoria^ nazionalista. Il na^onalismo esalta la guerra, mentre il quietismo la denigra e la teme; ma il fondo del nazionalismo è, come quello del quietismo, la passi»* 40 Serial liberisH vita. La differenza e solo in questo, che il naziona- lismo si lascia andare in balìa della guerra; ma» evidentemente, non diventa per questo un dominatore. E un vinto insincero. Somiglia a uno che abbando- nato in un torrente impetuoso alla deriva, gridasse con entusiasmo: Avanti I. avanti! Se si analizza bene il nazionalista, si trova che egli, in fondo, è lo scon- fitto di Adua come il quietista. Basta pensare agli entusiasmi istericamente iperbolici che avevano i nazio- nalisti all'annunzio di una qualsiasi scaramuccia ita- liana. La caduta di un turco o d'un arabo faceva subito innalzare un inno alla Vittoria e rievocare le aquile romane. Il Corradini parlando delle vittorie tripoline, diceva stupito : Eravamo e non lo sapevamo, eravamo e non lo credevamo. Le due teorie intransigenti della guerra, la pole- mista e la pacifista, per quanto opposte, hanno la radice comune. Il loro torto sta nel concepire la guerra come fine a sé stessa e non come un mezzo. La guerra invece, piuttosto che essere l'espressione di un bisogno bellico che avrebbe l'uomo come ne ha uno estetico e uno logico, vien fatta, sotto lo sti- molo di cause molteplici, per conseguire qualche fina- lità. È nell'analisi di queste cause e di questa finalità che si deve trovare la valutazione della guerra. Non si può quindi dire che la guerra è un bene sommo, come vorrebbe il Moltke, o un infame reato, come vorrebbe il Tolstoi; ma bisogna far distinzione tra guerre legittime e guerre illegittime. Una operazione chirurgica, per esempio l'amputazione di un braccio. La Guerra 41 è un bene o un male? La domanda è mal (atta perchè r amputazione del braccio non può giudicarsi indi- pendentemente dal fine che la determina e a seconda di quel fine può essere giustificata e ingiustificata; giustificata se è necessaria a salvare il malato dalla morte, ingiustificata se il braccio potrebbe guarire con mezzi pacifici. Risulta però da questa considerazione che r opinione pessimista sulla guerra è più vicina alla verità dell* opinione ottimista : l'operazione chi- rurgica, anche quando è pienamente giustificata, non cessa di essere in sostanza un male. L* imperialismo sostiene la legittimità della guerra per imporre la civiltà. Imperialista è stato, per esempio, Maometto che ha ordinato ai suoi discepoli di diffon- dere la fede musulmana anche con le armi. Il motivo di vero di questa dotbina è 1* affermazione dell* atti- vità contro 1* indifferentismo. Nessuna^f^e, sia religiosa o politica o scientifica o etica, può essere indifferente. Ogni fede ha la tendenza ad affermarsi e quindi a combattere le fedi avversarie. Questa tendenza è piena- mente legittima, ma la diffusione delle fedi deve farsi col pensiero (parola, stampa) e non con le armi. Guglielmo Ferrerò, nel suo libro sul militarismo, ha esaminato la guerra dal punto di vista del pro- blema della felicità e ha cercato di dimostrare che la guerra è contraria alla felicità umana. Il Ferrerò ci ha (atto passare davanti i grandi conquistatori, da Attila a Napoleone, mettendone in rilievo il loro carattere amletico. Attila, per esempio, in un banchetto nel quale tutti si divertono, se ne sta in disparte serio e 42 Scritti liberisti taciturno; e solo quando gli conducono il figlio desti- nato à succedergli al trono, lo guarda con occhi dolci accarezzandogli la guancia. Il Ferrerò crede di spie- gare r infelicità dei conquistatori con Tidea che la gioia è data dalla creazione e non dalla distruzione, dall' atnore quindi e non dalla guerra. Io accetto pienamente la tesi del Ferrerò : credo cioè che la guerra sia in antitesi con la felicità umana. Ma le ragioni del Ferrerò sono insufficienti. Il Fer- rerò concepisce la guerra come un'industria. Ora il concetto della guerra-industria se è vero per i popoli primitivi non è più sostenibile per i popoli moderni. In certe guerre il carattere industriale manca completamente o quasi, per esempio nella nostra guerra nazionale: e Garibaldi nei tempi moderni (o meglio Goffredo Mameli) e Giulio Cesare negli antichi non possono affatto paragonarsi, come ha visto lo stésso Ferrerò, ne ad Attila ne a Napoleone o meglio a Gengis-kan o a Timur-Lenk. Certi guerrieri ci appaiono sottoporó alia legge del tutto per nulla che, secondo il Corradini, è la legge del soldato: il massimo sacrificio: morire; per il minimo di ricompensa: nulla. E vero che questa legge è troppo elevata per poter credere col Corra- dini che ad essa ubbidiscano tutti i soldati: basta pensare per convincersene alle stragi fatte dai turco*- arabi sugli italiani e, pur troppo, a quelle degl'ita- liani sui turco-arabi. Quello che è indiscutibile è che la guerra si fa sempre più civile. Essa non è più indipendente dal diritto : nei tempi moderni non è p^ La Guerra 43 lécito guerreggiare alla marnerà dei vandali. E poi quella legge del tutto per nulla che il Corradini ha creduto ingenuamente (^ praticata, si va sempre più (effondendo per il proj^esso del senso del dovere e dèi senso umanitario e anche perchè, come ha notato il Cattaneo^ nella guerra a poco a poco Tuomo riconosce nel suo nemico il suo simile. Ma a mano a mano che la lègge eròica del tutto per nulla si verrà applicando, l'antitesi tra là guerra e la felicità umana sostenuta in modo superficiale dal Ferrerò acquisterà un significato più profondo e una tragicità senza fine, la quale %diAr la più formidabile critica della guerra; e contro di essa si spunteranno, tutti i sofismi dei polemisti a ogni costo. 11 combattente vedrà allora la guerra come una contradizione tor- mentosa; Perchè il^ nemico al quale avrà il dovere di nuocere il più possibile gli apparirà realmente com*è^ cioè eroico come lui. Egli sentirà xhe il nemico com- batte anche lui per ubbidire alla legge del tutto per nulla, sentirà che il nemico che sfida la morte ha come lui lasciato la patria, ha come lui lasciato sua madre e forse una fanciulla sulle cui labbra s'è" spento il sorriso. Come uccidere un uomo eh* è degno della più grande ammirazione > L*idea della tragicità dèlia guerra sembrerà ai naaonalisti pericolosissima: cosi Lui(^ Valli ha de- finito la tesi che pur ritenendo la guerra riprove- vole, l'ammette quand*è necessaria. Com'è possibile, dice il Valli, che uno combatta^ con slancio quando sa che la guerra è un male? II Valli, eviden- à 44 Scrini liberisti temente, vorrebbe esaltare la guerra non perchè è buona ma perchè non esaltandola si deprìme lo. spirito combattivo» vale a dire in nome del principio oscurantista delle bugie vitali. Ma il patriottismo non ha bisogno di bugie per sostenersi e chi lo sostiene con le bugie appartiene a quella morale egoistica che il Corradini chiama la morale dell* uomo socialista. Il nazionalismo ci appare così pervaso non solo di quie- tismo» ma anche di materialismo. E veramente esso, si riduce a una semplice variazione del socialismo: mentre il socialismo sostiene 1* interesse di classe, il nazionalismo sostiene l'interesse nazionale. La patria e Fumanità sono, tanto per il socialista che per il nazionalista, in antitesi irriducibile, senonchè mentre il socialismo opta per 1* umanità, il naziona- lismo opta per la patria. Per superare ' il dualismo, occorre sostituire all'interesse di classe o di nazione, il diritto dei popoli. Così la nostra concezione della pace, cioè la concezione d*una pace che neghi tanto il quietismo che il guerrafondismo e sia essenzialmente attività e giustizia, ci appare come il terreno più fertile in cui la patria e 1* umanità possano prosperare. Quando la pace venga intesa nel modo che abbiamo detto, non esclude affatto la preparazione militare anzi la impone. Se a una pace che va a detrimento della giustizia dobbiamo preferire la guerra, dobbiamo pure avere la possibilità di fare la guerra quand*è neces* sario. IL CAVALIERE DELLO spiRrrqs Nelle pagine più (elici di questo suo libro. Guido da Verona si rivela, secondo me, un* impressionista ironico e sentimentale che ha intuito la vita moderna come qualcosa di mediocre, di noioso, di filisteo e tuttavia di malinconico : come un immenso cafiè pieno di fumo e di tristezza. Per illuminare la mia veduta, isolerò e analizzerò rapidamente queste pagine più (elici. Lo spegnitore di lampioni, dopo dichiarato che ogni notte verso quell'ora capita fuori il giorno, si do- manda se una mattina per caso non possa far buio e continua dicendo che « un peccato che la vita sia così regolare, perchè alla lunga ci si fa 1* abitudine e secca di morire anche quando s* è poveri e con- clude osservando che per campare la vita un povero cristo deve saperne quanto un professore d'università. È una macdùetta riuscita ; e riuscito è anche 1* ac- cenditore di lampiom che dice queste parole : « Non è da^Fvero possibile che una notte per caso... » Figure ttrtl*e due comiche e malinconiche. il <filatttr(q>o didiiara che, dove si ride, lui non è 48 Scritti liberisti punto necessario e eh* egli si sente felice soltanto quando capita una disgrazia. Perchè — conclude (cito letteralmente) — il male degli altri è il mio mestiere : sono un filantropo, cioè un uomo che ha bisogno di vedere soffrire. Notiamo di sfuggita che quest* ultimo pensiero (sono un filantropo...) è ozioso e che è stato messo, sforzando il quadretto che era finito, solo per soddisfare a una velleità grammaticale. Un* altra macchietta riuscita è il cenciaiolo il quale, nonostante che abbia le gambe gonfie come un barile, è stato espulso dall* ospedale perchè gli hanno detto che è nato fuori del Comune. Santa Maria ! — esclama — che talento aveva mia madre, a non sapere nem- meno fin dove arrivasse il dazio! 11 medico dice che se gli ospedali dovessero con- tenere tutti i malati, la città non sarebbe che una sterminata infermeria e dichiara che è un pregiudizio credere che si faccia il medico per un apostolico amore dell'infermità e non per sbarcare scientificamente il lunario ; che Tessenziale non è che i malati guariscano, ma che su di essi si possano studiare le malattie e che il malato è quello che paga mentre gli altri sono dei pazienti, cioè gente che deve aver pazienza ad aspet- tare che guarisca da sé. Il coro delle minorenni traviate comincia così: Quel giorno soffiava sì forte, — che la gonnella s*alzò ; e continua dicendo che chi soffiava era il vento che esse sentivano venir su per le gambe curioso curioso... E ancora in tono malizioso e lezioso : Nelle giornate di vento sarebbe meglio non lasciare la mano della »«^1i * Il Cavaliefe dello Spirito Santo 49 maàunina, perchè nelle giornate di vento è molto facile cadere... si, cadere su Torba, o cadere dovechessìa... Badate, bambine piccine, alle giornate di yei^! «^ Adesso camminano sulla punta dei piedi per non sve« ^liare le mammine che non vogliono vedere sulla veste ne pieghe ne fili di paglia, tranne alcune, anzi molte, che hanno loro spiegato cos*è il vento e hanno aperto la mano per far loro prendere le pieghe. Giocano con le bambole, ma qualcuna deve regalare la bambola al suo fantolino piccino ; qualche altra preferisce rom- pere la bambola prima che nasca il fantolino cosi che la mammina la chiama birichina. — Mammina, bambina [Hccina, fantolino birichino : quante sdolcina- ture I Ma è indiscutibile che queste sdolcinature sono necessarie alla particolare intuizione che lo scrittore ha avuto di queste fanciulle maliziose e false ma in- felici, come si vede meglio dalla chiusa che è proprio bella. Tutte noi — dicono -— siamo persuase che mai più saremo buone, mai più felici, e che il vento sia la rovina delle bambine piccine, ma... quel giorno soffiava si forte ~ che la gonnella s* alzò. Se invece che con le immagini libertine del vento e della gon- nella che si alza, la loro caduta fosse stata espressa in termini severi come fa la Francesca da Rimini di Dante, le fanciulle traviate sarebbero apparse sotto una luce grandiosamente b^gica che sarebbe stata una vera stonatura; ma com'è maiiconico, sebbene non grandioso, anche sotto questa forma, il pensiero della caduta fatale I La maestrina d* asilo è perfettamente scolpita in 50 Scritti liberisti poche parole : I miei numeri 'sono : uno, due, tre ; perchè vede, in tutte le cose io sono rimasta ali*a-b-c. La vita degli altri, i bambini degli altri... e vengono i capelli grigi. Che (are? piangere, no; sorridere, nemmeno; continuiamo: a-b-c... — Anche qui ritro- viamo, espressi artisticamente, l'umorismo, il filisteismo, la malinconia. Gl'impiegati che hanno per ritornello: IL nostro santo Patrono è il 27 del mesel sono davvero i mediocri ma non è vero che tocchino la felicità. I fannulloni cantano il ritornello : Noi facciamo girare il pollice destro sopra il sinistro : sotto il sinistro il destro ; hanno 1* occupazione — spesso faticosa — di non far nulla, occupazione che è la più naturale dell* uomo; sono convinti che v*è una gioia grande nel pensare che si potrebbe fare la tal cosa senza farla e una gioia più grande nel vedere, stando in quiete, che gli altri sudano e dimagrano. Il ladro osserva che oggigiorno con le serrature americane ai ladri occorre della cultura e della genialità; ed è per questo che onesti nel vero senso, della parola rimangono solamente i cretini. Egli ruba solo per istinto perchè il gua- dagno che ricava con la sua professione di ladro Io potrebbe ricavare con un* altra onorata e senza peri- coli. Il re considera come la sua maggiore disgrazia la marcia reale che si sente strombettare negli orecchi venti, trenta volte al giorno e sempre la medesima e dice che sarebbe grato a chi glie ne scrivesse un*altrat purché, per 1* amor di Dio, non somigliasse alla mar** sigliese. Il Cavaliere dello Spirito Santo 51 Il giubilato, cde entra in scena con la processione delle amanti, rievoca tutti i suoi amori e le sue cate- gorie d* amori, dall'amante schopenhaueriana, alFj^- corregibile, alla romantica, alla lussuriosa, — ali* indi- menticabile : quella, che si diede così, d* improvviso, con una sincerità che parve' una rivelazione, senza pudore, senza terrore, ma in silenzio; e conclude dicendo che ora ch*è giubilato, pensa di continuo sotto ì suoi capelli bianchi a questa favola triste, meravi- gliosa^ indefinibile^ che si chiama i* amore. La canzonettista si compiace di dire qualche frase piccante senza nascondere le sue belle gambe : nota che il caffè-concerto è un luogo intermedio tra Tarte e. la prostituzione che quindi raduna i vantaggi di tutt*e due; e che quando entra in scena sente con piacere per tutta la sala scoppiettare un picchiettio d* accenti suU* i. Alle più belle figure appartiene la zitella la quale ha aspettato, aspettato, per 1* intera giovinezza e final- mente crede che non attende più. Le sembra di essere rimasta dieci anni a! cancello di un^ giardino, ed è diventata lei stessa il cancello che la chiude. L*amore è una lunga storia che finisce quasi brutalmente. Un giorno lo specchio o T anima dicono: basta. Fu inna- morata, oltre che di sé stessa, di tutti gì* innamorati che nella sua vita grigia come polvere vide amare un* altra. Le pareva di essere, languente di sperdi- mento, in una stanza buia e di guardare, attraverso le persiane dell* uscio, in una grande inebbriante sala da ballo, tutta fiori lascivie musica e baci. Ma ora 52 Scritti liberisti tutto è finito. —^ Questa zitella è una figura che non si dimentica, è un'immagine veramente ispirata quincfi viva (concr^a) e nello stesso lempo simbolica (tipica); ma la chiusa è rettorìca. II poeta si è voli^ indù.» giare in descrizicmi romantiche e ha voluto finire con questa metafora lambiccata e erudita: la storia d*una ragazza vecchia è sempre un'immagine, perchè le sue voluttà non furono che sogni. Notevole, e sempre secondo il nostro punto di vista, il socio delia Lega per la protezione degli ani* mali ; e anche lo spadaccino che dice soltanto così : Sissignore! Le ho camminato sui piedi, le ho dato due schiaffi, adesso le sputo in faceta, e se non le accomoda mi manali due padrini I Il giovane marchese sa che la gente Io crede U0 imbecille e quasi quasi lo crede andie lui ; ma non è intelligente perchè non ha mai sentito il bisogno di esserlo. Per lui, lo scopo della vita è questo : godere per abitudine, con noia, con facilità ; ma non avenda ben decìso in che consista il godimento, qualche volta prova quasi la tentazione che gli capiti una disgrazia^ per godere il dolore, 1* unica gioia che non ha sofferto mai. Gr incompresi notano che il nos^o è il tempo dei mediocri, qualche volta degl* infimi ; e che riescono i cortigiani del pubblico : ma continuano guastando titfto» con un'osservazione da grammatici perchè notano che», mentre il loro valore non è riconosciuto, si celdbra r immortalità d' un poeta che scrisse perfino un ende-^ casillabo con dodici piedi. Qualche spunto felice e' è -t // CaValkre dello Spirito Santo 53 nel Cora dei crìtici: il rìtornellò (microscopio: lente; ^ — sirìn^ : tanaglia da dente), 1* accenno alla filosofia deir immanenza e a quella del Bergson (per giudi* care nn sonetto occorre per Io meno conoscere la acieni:* del &iito nell* infinito e dell* infinito nel finito, BOttclìè saper mettersi nell* intuizione come in una comodissinla frottola che gin a meraviglia da sé). L*iiomo che cerea le chimere tenta di quadrare il eireold e di trovare il moto perpetuo. E un para- noico vivissimo* Ragiona, nel suo campo cUuso, be- jussìmo ed è gustosa la sua uscita — dopo fatta la domanda: Vi pare poMÌbile che una certa quantità Ì>Ossa contenersi nella forma rotonda e non nella qua- drata? — : Se ne siete certi, mi dispiace per voi o microcefali I L* erudito ci tiene a dichiarare che un c^rto motto h di Hebbel e non di Nietzsche e fa le sue censi* aerazioni inforno ali* ortografia e al significato del nome 4i Nietzsche e Oftde utile aggiungere che Hebbel — con due b — h nato ecc. ecc., verso - — pare — ìe tiovi) di séra. Quel giorno — (anzi quella Sera) — nevicavii. Il coro delle ragazze notturne, che si apre con dei versi cretini, ha pur molti spunti riusciti (Il nostro scopo è di salire la nostra scala buia fredda angusta, con iih cerino fra le dita, mentre un u<Nno silenzioso viene dietrp e liei salire ci tasta i polpacci; fin che abbiamo venticinque anni ci lasciamo vedere di faccia, sotto un lampione ; poi di profilo, a testa bassa, dove la strada è buia). E la malinconia della loro vita d| 54 Scritti liberisti malvage creature senz* amici nel monda, la cui unica gioia è ramante che è evocato con particolari tene-^ rissimi, è espressa bene. Viva è la sartina col suo problema da risolvere» il problema deli* amante, imbarazzata nella scelta ma che se dovesse commciare comincerebbe da uno chauffeur molto elegante che chiamano Toby, il quale quand'esce col suo pelliccione è bello da morire^ Bello qualche pensiero del profumo del glicine» questo per esempio : Mi piace sentire il passo di una ragazza turbata camminare nel tappeto che le (accio coi miei grappoli cadenti e, nei crepuscoli quasi morti» con la mia morta persona. — E anche questo del profumo del tiglio: E voi venite a passepigiare sotto i miei rami primaverili, nelle sere dei giorni di festa, o innamorati poveri della Città. Venite, quando sul laghetto color di piombo i cigni dondolanti s' addor^ mentano con la testa sotto 1* ala, mentre le bambinaie scordevoli radunano in fretta i bimbi con iracondo strillare. Per voi, lentissimi innamorati, rendo soave r aria della Città che rimane senza maggio, della Città tutta pietra e ciottolo, dove un fil d*erba è primavera. Camminate parlandovi piano ; la vostra obliqua ombra s'insinua fra i miei tronchi e spare. Oltre i passi analizzati, non e* è quasi nuli* altro di buono in questo libro di Guido da Verona ; dunque la parte caduca del libro supera e di molto la parte 'buona. Il da Verona non ha saputo essere solamente se stesso ; ma il male è che non poteva esserlo. Perchè appartiene anche lui a questa nastra vita piccola» // Cavaliere dello Spirito Santo 55 ^—^^•^^^—^— '■ ... — i— — . — . ^— ■ vuota e pur triste; perciò, da un Iato, spesso passa dalla rappresentazione estetica airaffermazione polemica (e per ragioni polemiche, specialmente, è stata co-* struita tutta I* architettura falsamente grandiosa della rivista con gli uggiosissimi Compari e col Cavaliere dello Spirito Santo dal quale è significativo che essa si intitoli) ; dall* altro, molte volte dall* intuizione lirica passa alla chiacchiera da caffè. Moltissime macchiette, anche di quelle che abbiamo lodato, sono spesso sciupate con frasi ozioée e morte e tutta la parte del libro che non abbiamo analizzato e che non analiz- zeremo perchè non abbiamo nessuna passione per l'autopsia — è morta. Guido da Verona, ingegno frammentario e d'ispirazione limitata alla parodia e al sentimentalismo, ha voluto per forza mettersi sotto la protezione di Aristofane e darci la rivista moderna, nella quale ha voluto che figurassero tutti i personaggi della vita attuale, anche quelli che per lui erano muti* S'è cod reso schiavo di un universalismo meccanico e non ha capito che sarebbe stato veramente univer- sale trattando i personaggi che l'ispiravano in fram- menti liberi da ogni impalcatura architettonica. E, purtroppo, il personaggio che pili interessa a Guido da Verona è l'infelicissimo Cavaliere dello Spirito Santo, perchè il da Verona non s' è reso conto ch'egli consegue la massima liricità nei personaggi pili ogget- tivi — per esempio negli uomini dei lampioni, nella zitella, nel cav. Aristofane al quale avevo dimenticato di accennare — e che invece i personaggi più freddi, i personaggi nati morti, sono quelli nei quali questo 56 Scrm Ubtrìati fratello di Palazzeschi, di Gozzano, di Papìni, ha voluto par (orza rapproienUre tè iteuo e ha rappiv* —-'lo Dob il M'iteuo etemoma iW^ riaaio erudito, ioo, «uperficiala. GLI EROI SILENZIOSI I piagnistei che vanno litaniando intorno alla guerra libica certi giornali democratici non ci piacciono. Quel rivangare i nostri errori, le nostre mistificazioni e i due miliardi che abbiamo speso, ci sembra pettegolo « volgare. La guerra libica oramai è fatta -e non si può disfare. Occorreva non farla. Va benissimo ; ma oramai quest* osservazione è un perditempo da lette- ratucoli. Anzi» purtroppo, essa significa che quella rinascita spirituale magnificata dai nazionalisti come r effetto più bello della guerra è stata un fuoco fatuo. E doveva esser cosi. Quei piccoli uomini senza co- raggio che dopo la giornata di Adua affermarono libidinó- samente* tutta la loro vigliaccheria e si credettero abietti e accettarono senza ribellione 1* asservimento, non sono ancora scomparsi. Eran loro i nazionalisti di ieri che magnificavano quella guerra alla quale prima avevano vigliaccamente abdicato e andavano in brodo di aquile romane se un nostro soldato sparava una cartuccia ; son loro i democratici antitripolini di oggi che tentano di mascherare la loro impotenza davanti al problema dei ferrovieri e degli altri impiegati e davanti agli 60 Scritti liberisti altri problemi ^i politica interna e specialmente di politica estera con i comodi alibi della rettorica anti- tripolina e della precedenza del matrimonio civile. Ma più' dell* Italia politica rettorico-giolittiana a noi secca ^ Y Italia che stampa» non solo perchè è priva di ogni valore (è una vera Italia da caffè) ma specialmente perchè protezionista e quindi stantia. La modernità non consiste nell* immanenza come vuole il Prezzolini né nello scetticismo come vorrebbe Papini» ma nel lib«risfiia nel quale crediamo noi àtXtJitduo. Royte è moderno e concq[>ttce il Logos come tni" scendente e alla trascendenza assohila (a q»dU di S. Tommaso d* Aqmno) credono che cotiduea V uà* msAenza Blondel e T. Neal : e del resto, se ne per- suada ute buona volta Giuseppe Pretitolinié le reti* gione (il contatto estatico Con V assoluto) è conciliabile con la piìl rigide immanenza» come Tateismo (KegoisaM di cui pnrla Fautore ddla DuKUcht Tfmologk) può essere praticato anche da imo che accetti il catechismo cristiano* Zaratustra è reUgioso; gran parte dei cat- tolici italiani sono atei. Lo scetticismo è utio' stato d* animo qualche volta pienamente giustificabile; però quando viene assunto. come dogma è una forma d'oscu- rantismo perchè non tollera la dilcussione. Nel Ube- rismo è la modernità, nel liberisnlo che sostiene che soltanto il peitsiero può giudicare il pensiero e che non è solo la piii alta afiermazioDe di Cartesio ma r anima ài tutto il movimetito intellettuale dalla prei- storia ad og^. Un organo liberista, o eh* è lo stesso, di pensiero, Gli eroi silenziosi ^1 •e si prescinde da cjuesto nostro minuscolo Arduo, in Italia non e* è. Abbiamo giornali socialisti» giornali liberali» giornali massoni, giornali cattolici, giornali futuristi e .antifuturisti, giornali idealisti egeliapeggianti e militanti e sopratutto giornali grammaticali (l'Iulia è la terra del padre Cesari e di Filippo Tommaso Marinetti) — ma giornali di pensiero non ce ne sono. Non si capisce nemmeno cosà significhino non essen- docene nemmeno mai stati. Si capisce ^ress* a poco cos* è un giornale di matematica o di fisica o di altri rami di pensiero (il filosofico escluso, perchè la fi" lòsofia anche i razionalisti la concepiscono medieval- mente !) ma un giornale di pensiero non si capisce ancora. Qualcuno pensa che si tratti di quella sciocca forma di nùlesgtoriosismo che è la mania del superamento criticata dal Croce. Si crede che il giornale di pen- siero sia indifferente alle affermazioni e che ami, let- terariamente, la ricerca che non vuole concludere ; ma il pensiero è attività, è lotta, è moto e se, in omaggio alla sua spiritualità, nega la formola staccata dal processo a cui appartiene (nega la grammatica), d* altra parte sostiene la formola che è punto d'arrivo e di partenza insieme, un gradino della scala dop- piamente infinita della conoscepza, applicando a ogni formola, per rigettarla o convalidarla, la discussione e la discussione soltanto. Il giornale di pensiero è dunque la negazione del giornale protezionista e anche di quelle disorganiche raccolte d* articoli (come la Voce nel suo periodo di decadenza) che Prezzolini chiama 62 Scrini liberisti giornale-convegno e qualche altro, più propriamente^ giornale-albergo. Tutti i giovani originali e d* ingegno, i giovani deir Italia che conta, dovrebbero concentrarsi con impeto rivoluzionario in questo nostro Arduo per sep- pellire senza funerali e senza pietà 1* Italia che stampa^ la vecchia Italia. Ho accennato agli eroi silenziosi, ali* altra metà dell* Italia, alla vera Italia, Quasi tutti credono che abbia importanza soltanto quello che desta V interesse dei soliti storici e che fa lavorare i tipografi. Bisogna liberarsi risolutamente da questo pregiudizio, bisogna diventare più idealisti. Ci sono madri e fanciulle, ricercatori e poeti che vivono nel silenzio una vita assai più intensa di Già» comò Casanova e di Giolitti, del cavalier Marino e del troppo ammirato aviatore-acrobata Manissero, di Erberto Spencer e di Roberto Ardigò — e dei geni più grandi anche. E io sono convintissimo che, se quella parte dell* Italia contemporanea che solo vedono la folla e i piccoli epigoni di Carlyle è piccolissima, e* e nell* Italia silenziosa qualcosa di grande. AlPItalia silenziosa dunque noi dobbiamo riattaccarci per pro- gredire, essa dobbiamo cercare di mettere alla luce nella misura, sia pure minima, che è possibile e di svolgere quanto più si può. Qualcuno di questi eroi silenziosi potrebbe venire a collaborare con noi qui nell* Arduo e noi saremmo assai lieti di poterci atte* nuare davanti alla sua grandezza fino a scomparire del tutto. Ma, dal momento che il destino della quasi ^p^'\ Gli eroi silenziosi 63 totalità di questi eroi è il silenzio (o sonò grandi inconsapevolmente ; o^ tormentati dietro un ideale infi- nito, preferiscono alla solita (ama il silenzio ; o disde- gnano, per istinto aristocratico, la folla e il chiasso), noi ci accontenteremmo di avere solamente da loro, di quando in quando, una conversazione o una let- tera privata perchè la marea della piccola Italia rumo- rosa non ci vincesse. CONTRO HAEC "WS1 il libro elle il pr<rfeMor Eriidtlo Haockel hf (Udi- eato al pveUema dell* univeno e clm coslitmsee i) suo ttsUnenlo ^osofico md ha nesum valore come epera dt peuiero apftimto perdiè noa è un^ opperà dì pensteto» ma un indeme £ aiermaziom arbitrarie di cui gii «forici della filosofia e d^a ecieoia non sen* lifamio mf i ti httegne di occuparti ^oppo «ul ferip. HaeeU ha tentato di rkelvere il dmditme che pur- ti^po etiite ancora fra la scienza e la filosofia ma ^ riuscito piuttosto a ina^rirki. Egli noe si è accprtp die la ragione è iasqpiicita tanto tndkt ricerche positive che in quelle specujalive e perciò, invece di censir derwre la scienza e la filosofia come due conquiste della ragione che hanno quindi ndila ragione la loro unità» ha finito col subor&iare la filose^ alla scienza o, per dir meglio, a un^ scienza eompHcata d^mter*^ pretazioni aiUtrarie. Haeckel non si è per nulla pre* oceupato d'indagare t) valore della scienza» ma ha preferito di dare alla scienza un videro assoluto e codi r* i creduto antoiìzzato a gabellare per conqui^ scientifica quel ridicolo baraccone metafisico che h il suo monismo evobzioinsta e meccanico. *.* 68 Scritti liberisti Il quale non è che una variazione del positivismo. II positivismo ha constatato che per certe conoscenze non è adatto il metodo speculativo, ma occorre in- vece il metodo positivo; e impensierito degli errori nei quali faceva incorrere il metodo speculativo quand* era adoperato a sproposito, cioè nel campo sperimentale (gli errori degli aristotelici medievali), impensierito della cattiva scienza, licenziò (verbal- mente), sotto il nome di metafisica, non la cattiva scienza ma addirittura la ragione. Fece come chi con- statando che per vedere un certo oggetto sono neces- sari degli occhiali speciali, negasse 1* occhio e pro- clamasse l'autonomia assoluta e la necessità assoluta degli occhiali. Il monismo haeckeliano differisce in questo dal positivismo : che mentre il positivismo sostiene <:he quei tali occhiali del metodo sperimentale hanno la capacità di vedere soltanto il mondo del- r osservazione e dell* esperienza e non il metafisico del quale è quindi vano occuparsi, il monismo di Haeckel sostiene che nel campo visivo di quegli occhiali e* è anche il mondo metafisico e confessa quindi francamente il suo carattere metafisico. Non essendo (come abbiamo detto) il libro di Ernesto Haeckel un libro di pensiero, non meriterebbe affatto r onore della discussione; senonchè Oliviero Lodge ha voluto prendere a pretesto 1* Enigma del' V Universo per scrivere un libro ed è riuscito a scri- vere un bel libro : Vita e materia. Il Lodge si è indotto a scrivere questo libro in forma polemica oltre che per ragioni pedagogiche (per opporre un antidoto ^^. j Contro Haeckel 69 alla parte metafisica dell* opera molto diffusa dèi- 1* Haeckel) principalmente forse perchè egli accetta il concetto vicinano dell* autorità. Non è a sup- porsi — dice a questo proposito Oliviero Lodge — che le ipotesi di un uomo eminente siano senza base e che egli sia stato condotto per una via totalmente erronea alla sua opinione su quanto egli ritiene essere la verità ; le sue convinzioni intuitive devono essere rispettate, essendo basate sopra esperienze e sopra cognizioni di fatto di gran lunga più estese di quelle della media degli uomini : e per la media degli uomini il credere probabile che le convinzioni di un grande specialista non abbiano alcun fondamento, è altrettanto stolto quanto il supporre probabile che esse siano certe e infallibili, o che debbano essere accet- tate senza critica anche in campi estranei alla sua competenza. Questo principio è perfettamente giusto. L* affermazione d* un uomo ragionevole non può essere priva d*ogni valore. Una verità non cessa di essere una verità perdiè non è dimostrata ; ne sempre una verità dimostrata è più evidente di una non dimo- strata. I teoremi matematici, per esempio, dal momento che presuppongono i postulati, non possono mai avere un* evidenza maggiore dei postulati. Ma, quanto a Emesto Haeckel, mi pare che si possa liquidarlo in maniera assai spiccia perchè, come abbiamo visto, e come vedremo meglio oltre, si può dimostrare facil- mente che le sue affermazioni sono arbitrarie. Del resto, ho già detto che il carattere polemico del libro di Lodge è soltanto un pretesto. Questp libro agita * ■ • 70 Scritti liberisti infatti problemi che ti potevano trattare oggettiva- mente. Il libro di 01ivi<»xi Lodge, nonostante che noti sia un- opera grande, è un bel libro, non solo perchè è veramente un* opera di pensiero (esso <» mette da* jvanti un uomo che ragiona, che indaga» che critica» che crea delle verità e in tutto procede con bona- rietà e con prudenza» non scambiando mai T ipotesi con la verità dimostrata), ma è un bd libro sopra- tutto perchè ih esso il L^odge realizza la più completa unità tra la scienza e la filosofia. C* è qualche accenno alla speculazione che sembra da positività perchè la speculazione viene considerata come quidcosa d* in- certo, di non rigoroso, di puramente ipotetico : e quest* atteggiamento è dovuto al fatto che il Lodge è uno scienziato e non un filosofo ; ma nel suo libro gli argomenti scientifici e gli argomenti specidativi si fondono armonicamente, essendo ugualmente pervasi dalla ragione. Non che il pensiero del Lodge, spe- cialmente nei punti più strettamente speculativi, non si presti alle critiche ; ma quello che è notevole è che con questo libro il Lodge s*è messo risoluta- mente sulla via della verità mentre Elmesto Haeckel è fuori strada. Tra le idee centrali di Haeckel primeggia quella che lui chiama legge della sostanza e che crede uno dei più grandi e più incontrovertibili trionfi della scienza moderna. È una combinazione della veduta monistica haeckeliana con le due leggi della conser- vazione della materia e della conservaziotie del- Contro Haeekél 7f r eaergia. Secondo questa prelesa legge. Io spirito è una delle energie matériiJi (veduta meccanica) e la materia e 1* energia sono eternamente esistite ed esi- steranno eternamente (evoluzionismo anticreazionista). II Lodge critica la legge della sostanza consi- derando separatamente la legge della conservazione deirenergia e quella della matèria. Perchè la legge della conservasrione deirenergia sia vera^ dice, è necessario che siano generalizzate sotto lo stesso titolo cose distinte 1* una dall* altra come la luce, il calore, il suono, la rotazione, la vibrasóone, lo sforzo classo, la separazione gravitativa, le correnti elet- triche e r affinità chimica. Finché il calore non era compreso nella lista delle energie, la legge non poteva essère enundata in maniera generale t e dal momento che attualmente le categorie dell'energia non sono certo esaurite (basterebbe citare la vita che, se per il Lodge non va compresa nella categoria delle energie, per altri ci va compresa) e che possono ^essere sco- perte nuove forme d* energia, la legge della conser- vazione dell* energia come sta ora, e fino a che quelle nuòve forme non siano scoperte, può in qualche caso non essere strettamente vera. Senondiè il Lodge non trae- tutte le conclusioni da queste sue giustissime critiche. Credendo che la conservazione dell'energia sia una generalizzazione — della cui verità egli, d* altra parte, non dubita — egli si limita a dire che se nuove forme d* energia vengono scoperte, allora la legge dovrà esser ripresa in esame ; e soggiunge che, alla fin fine, questo non ha grande importanza 72 Scritti liberisti e che 1' errore serio che si può commettere intomo a questa legge è di credere che essa neghi la pos- sibilità di una guida o regola o di un agente diret- tivo, vale a dire la possibilità di un* influenza cosciente dello spirito sulla materia, di Dio sul mondo. Le obiezioni del Lodge colpiscono invece la legge della sostanza assai più efficacemente di quanto creda il Lodge stesso, perchè con esse si viene a dimostrare che la legge della conservazione dell* energia non può essere mai dimostrata scientificamente in modo rigo- roso. Le categorìe dell* energia non sono necessaria- mente esaurite ne saranno mai necessariamente esau- rite, dunque la legge non potrà mai avere una for- mulazione definitiva se si vuole dimostrarla con mezzi puramente positivi. E non potrà mai averla per un*altra ragione detta dal Lodge stesso in un altro capitolo di Vita e materia, per la ragione cioè che le affer- mazioni scientifiche non sono rigorose in maniera asso- luta, giacche esse prescindono da ogni agente ncm positivo. Ora questa semplificazione è pienamente legittima nel campo positivo come è lecito trattare la dinamica dei corpi rigidi escludendo la fluidità e 1* ela- sticità, ma se vogliamo dare alle affermazioni della scienza un valore incondizionato, il carattere della necessità assoluta, non dobbiamo trascurare nessun elemento, nemmeno gli elementi estrapositivi. Questo significa che per introdurre nella legge della conser- vazione dell* energia il concetto d' eternità, come fa Haeckel, è necessario prima risolvere negativamente il problema di Dio. 11 Lodge non è arrivato a queste Contro Haeckfil 73 conclusioni che sono, come si vede, dei corollari immediati del suo ragionamento perchè, come abbiamo detto, egli ritiene che la legge della conservazione dell'energia — alla quale, nonostante le sue cri- tiche, sente di credere profondamente — sia una generalizzazione scientifica. 11 Lodge crede di pro- vare questa sua opinione osservando che la legge, piuttosto che essere di per se stessa evidente, sembra anzi contraddetta dalle esperienze più comuni (la pila di Volta, per esempio, parrebbe che la smen- tisse) e che si son dovute fare delle misurazioni e delle prove sperimentali assai accurate per dimostrarla. Senonchè quest'opinione non regge alla critica. Come ha osservato A. F. Holleman nella sua Chimica inor* ganica, nulla è più inesatto dell* opinione che quella legge (1* Holleman parla veramente della legge di Lavoiser, ma quello che luì dice si può ripetere iden- ticamente per il principio della conservazione del- l' energia) nulla è più inesatto che il pensare ch'essa sia stata stabilita sperimentalmente. Al contrario noi impariamo a conoscere 1' esattezza delle nostre deter- minazioni sperimentali in quanto esse si accordano con quella legge. Se, per esempio, si ossida il rame (e si potrebbe fare un esempio analogo relativamente all'energia), si riconosce che il peso del rame più r ossigeno non è completamente uguale a quello del- l' ossido di rame formato. Ripetendo più volte l'espe- rienza si hanno sempre delle deviazioni che sono certo dovute all' imperfezione dei mezzi di misura di cui disponiamo, tant' è vero che a mano a mano che 74 Scritti liberisti essi vengo&d perfezionati ci avviciniamo sempre più air uguaglianza, ma il (atto è che all'uguaglianza assoluta non arriviamo mai. Alla legge noi crediamo per ragioni teoriche e indipendentemente dal (atto di saperla applicare praticamente (nella qual cosa uni- camente consiste il maito della scienza) : ci crediamo perchè a noi coole agli antichi riesce evidente che il nulla non può essere trasformato in essere e che Tessere non può essere trasformato in nuUa e che quindi nei fenomeni fisico-chimici la legge sia veri- ficata. Ma esistono soltanto fenomeni fisico-chiipici ? Potrebbe darsi benisrimo» ma non si può certo accet- tare quest'idea come assiomatica. Altre belle osservazioni fa il Lodge intomo alla legge della conservazione della materia. Sono inte- ressanti, per quanto non molto originaci» le critiche che lui fa ai concetti di peso e d* inerzia e le sue considerazioni sugli elettroni che lo fanno vemre alla conclusione che la distruzione e la creazione della materia sono già adesso nel campo del pensabile e saran forse domani nel campo sperimentale. Ccm questo però non veniamo ad aggiungere nulla d* im- portante a quello che abbiamo d^to. Ma allora è completamente priva di significato la legge della sostanza ? Sembra esservi ragione — risponde Oliviero Lodge — di supporre che ogni cosa che effettivamente esiste debba essere in uno o in altro modo perpetua, che 1* esistenza reale non è una proprietà capricciosa. Si può dunque ammettere la persistenza delle cose esistenti o meglio (nonostante ;e^ Contro Haeckcl 75 che il Lodge critichi altrove senza ragione Tidea di sostanza) la persistenza delle sostanze : ddle sostanze e Aon della sostuiza perchè non si può ammettere senza prova che ve ne sia una sola. Peate che nel mottdo materiale scJo V etere persista» 1* etere con tali slati di vuoto o di tensione quali esso etèrnamente possedei ma non m può ammettale che nuli* altro esista tranne 1* etere. La vita non può anche es- sere preesistente, per quanto non sia possibile, nello slato attuale della scienza, di dare una risposta ri- gorósa a Questa domanda ? E il Lodge si ferma molto a lungo a mettere in luce che la vita non è né materia, ne energia, né una futizione ddla materia o deU* energia ; che essa può dirigere la forza mate- riale ; che essa è dipendente dalla materia nella sua apparenza fènomemca, che è cioè soggetta a tutte le legi^ meccamche di cui è un complemento e non la negazione ; die essa è indipendente, continua e per- manente nella sua esistenza essenziale e che forse è soggetta a una legge di progresso sia nello stato feno- menico che in quello trascendente. Non è necessario, dati i limiti e lo scopo del nostro saggio, dxt noi seguiamo il Lodge nelle sue interessanti speculazioni. Accennerò soltanto a un*idea : alla tesi dell* erroneità dell* aforisma che tutte le pro- prietà appartenenti ali* intero devono necessariamente appartenere alle parti di cui è composto. Una pietra meteorica — dice il Lodge — può sembrare diffe- rente da un pianeta solo nelle dimensioni, ma questa differenza di dimensioni implica, tra 1* altro, il fatto 76 Scritti liberisti che il corpo più grande può trattenere intomo a se un* atmosfera, ciò eh* è della più grande importami per 1* esistenza della vita alla sua superficie. La dif- ferenza riguardo ali* abitabilità tra un palazzo e un tugurio è di gran lunga minore di quella che esiste tra un tugurio e una delle cavità di un mattone o di un pezzo di formaggio o di pane. E come non si può dire che il pianeta generi 1* atmosfera e il mat-. tone r abitabilità, cosi non si può dire che i* orga- nismo generi lo spirito, ma che è il veicolo e la base materiale dello spirito. A quanto pare però (e il let- tore deve averlo notato [a proposito di alcune cita- zioni fatte più su) Oliviero Lodge concepisce la vita e la materia come eteme, ciò che lui non ha affatto nemmeno tentato di provare (e la prova era neces- saria perchè la persistenza o costanza delle cose non ha niente che vedere con la loro eternità). Questa concezione è anche in contrasto col cristianesimo che il Lodge professa e che — è bene notarlo — non intralcia poi per nulla la sua. speculazione, allo stesso modo che in lui sono armoniche scienza e filosofia. Qualche punto di Vita e materia è notevole dal punto di vista artistico. Sembra talvolta, dice per esempio il Lodge, che resti immedesimato in un vecchio abito qualche cosa della personalità del suo possessore scomparso. Le pieghe e le curve rimaste sono vivamente suggestive della nostra reminiscenza. Io non oserei sostenere che una bambola a cui si è prodigato molto affetto abbia a rimanere inerte e mate- riale. Più di un pensatore, meditando sui fenomeni - „vj^. _ Contro Haeckcl 77 della natura, ha sentito che essi rappresentano il pen- siero di una mente ignota e sovrana» parziahnente incarnata in essi. (Quest* idea costituisce I* ispirazione del bel racconto papiniano / muti). La critica del Lodge è sommamente urbana. Oliviero Lodge pratica anche la giustizia più grande verso le opinioni dell* avversario che cerca d* inter- pretare nella maniera più benigna riconoscendo leal- mente il motivo di vero che contengono. Tuttavia la posizione di Emesto Haeckel non gli shigge. Egli — dice — è per così dire una voce sopravvissuta della metà del secolo scorso. Egli rappresenta opi- nioni abbandonate, sicché la sua voce è quella di uno che parla al deseito, ma non come quella del pio- niere, ali* avanguardia di un^ armata che si avanza, ma piuttosto come il grido di disperazione di un alfiere ancora ardito e imperterrito ma abbandonato dai suoi commilitoni, che, chiamati da nuovi comandi, si rivolgono verso una direzione nuova e più idea- listica. Come mi pare d* aver fatto vedere, il pioniere di avanguardia è invece Oliviero Lodge, il cui libro vorrei che (osse ben meditato dai giovani, in modo che si tenessero ugualmente lontani da tutte le varietà di positivismo che stanno al (ondo della mentalità della maggior parte degli scienziati e da quelle teorie che negano alle verità positive il carattere scientifico col (atuo pretesto eh* esse sono astrazioni. Come se il sangue delle (ormole scientifiche (e Vita e materia lo dimostra) non (osse quello stesso pensiero che palpita Sam liUrhti xmole filotoficbe ; c«Dte le Gwgio Fuu> m» dianastrato die l' astraàoiic % i^naneote ia n»a di coaoiccnzB, dal «KieeHo tpeciilatiTO lagine poetict. VINCENZO CARDAt Chi viene a conoscere personalmente Vincenzo Cardarelli, dopo d* averne letto gli scritti, se non ha molto senso critico, deve rimanere assai deluso. Il Cardarelli gli sembrerà assolutamente diverso da come r a^eva immaginato. Aveva pensato che (osse un uomo eminentemente serio ed elevato e lo trova invece pic- colo e filisteo. Se gli si era sentito fraterno, ne trova odiosa la compagnia, perchè non si può adattare ai suoi discorsi superficiali e ai suoi atti insignificanti o banali. A chi abbia senso critico, tutto riesce perfetta- mente spiegabile; anzi a lui il Cardarelli della vita quotidiana appare la chiave di volta del Cardarelli scrittore. jQuello che colpisce di più nel Cardarelli scrittore è il carattere di poeta meditativo ed è natu- rale che nei discorsi improvvisati il Cardarelli non riveli la sua personalità più profondaci discorsi pri- vati sono estemporanei e per nulla lirici. Si spiega pure con questo criterio la frivolezza del Cardarelli uomo privato, ma è chiaro che questa spiegazione è ancora troppo superficiale. Se si riflette meglio, il Car- 82 Scrìtti liberìsti darelli privato e il Cardarelli scrittore appaiono tut- t*uno. Quelle qualità che avevamo creduto soltanto negative ci si scoprono penetrate delle altre qualità * ben diverse che avevamo notato negli scritti e d* altra parte la vera natura degli scritti ci si rivela piena- mente ; sicché una conversazione privata e la lettura d* uno scritto ci lasciano in fondo Ja stessa immagine. I discorsi che ci dispiacciono di più son quelli nei quali il Cardarelli esprime dei giudizi critici e spe- cialmente filosofici ; quando parla di qualcosa in cui ha indiscutibilmente della competenza, il suo difetto fondamentale è 1* infelicità di parola ; le osservazioni morali che potete fare alla sua vita privata, v* accor- gete che sono in perfetta armonia con la sua arte. Come si vede e come adesso cercherò di dimo- strare, quello che nel Cardarelli interessa principal- mente è il poeta ; e il poeta stesso, per quanto note- volissimo, non è perfetto. L* unico scritto filosofico del Cardarelli è quello sul metodo estetico, ma -idee estetiche se ne trovano spesso anche nei suoi saggi critici. Possiamo affermare tranquillamente che tutta questa parte dell* attività car- dsifelliana vale, come teoria, ben poco. Il Cardarelli ha creduto di poter confutare il Croce prescindendo completamente dal fatto che il Croce è un idealista assoluto; e criticando Inestetica crociana ha creduto di poter trascurare del tutto, nonostante che abbia citato i T^ohlemi di estetica^ lo scritto piìi importante di questo volume, cioè la conferenza di Heidelberg tuli* intuizione pura e il carattere lirico dell* arte Vincenzo Cardarelli 83 nella quale si sostiene — e, dal punto di vista del- r idealismo assoluto, indiscutibilmente ^— che intui- zione è liricità. Tutto r arrovellio quindi del Carda- relli per dimostrare che la critica deve superare tanto la pura esteticità che la pura biografia, eh* essa cioè non deve staccare la personalità d* uno scrittore dalle sue opere e viceversa, non ha niente che fare col Croce teorico. Quella critica colpisce invece il Croce storico, dove colpisce — ma il Cardarelli dichiara espressamente eh* egli intende discutere 1* estetica del Croce come se Topera critica crociana non esistesse — ; e dove colpisce rimane inferiore a quello che contro il Croce critico aveva detto il Prezzolini nella sua monografia crociana. Il male è che il più delle volte il Carc^arelli non colpisce affatto, come abbiamo già fatto capire. Secondo il Cardarelli, per esempio, quello che lui chiama il critico estetico per vedere se un'opera d* arte abbia o no raggiunto la propria espressione non ha altro mezzo se non di paragonarla alla propria immagine ideale e di risuscitare quindi il genere. Ora è chiaro che si può vedere se un*opera d* arte sia perfetta o no per mezzo del gusto e mettendosi in quel punto di vista dell* artista che il Cardarelli non ha capito. L* artista non ha punti di vista, dice il Cardarelli. L* artista è un cieco e non è un ingegnere. Ma cosa e* entra 1* ingegnere ? Mettersi nel punto di vista dell* artista vuol dire per il Croce capire 1* artista, vuol dire mettersi nelle con- dizioni di spirito in cui si trovava 1* artista quando 84 Scritti liberisti creava la sua opera in modo da ottenerne la viva impressione» vuol dire insomma fare quello nel quale poi il Cardarelli (a consistere» in fondo, il suo me- todo e farlo senza abdicare al gusto e alla valuta- zione dell'opera d*arte. Dobbiamo vedere le opere dell'artista, dice il Cardarelli» non separate da lui» ma così piene di lui che sapere che cosa ha fatto equivalga a sapere chi è e viceversa. Questo va benis- simo : è un corollario del principio che 1* arte è liri- cità» fantasia e non immaginazione (capriccio, arbitrio); ma non implica affatto che per valutare Topera d*arte occorra un giudizio di puro contenuto come vorrebbe il Cardarelli, il quale parlando dell* Inquiète patemité di Schlumberger arriva a dire che un crìtico este- tico non avrebbe nulla da ridire perchè Kartista s* è espresso perfettamente e che tuttavia è dall' esame morale che si può avere una valutazione seria di quel libro. Ora io credo che un' opera d* arte non sia esclusivamente d' arte — essa è un' opera in cui prevalgono gli elementi artistici, ma che possiede anche elementi logici, etici, religiosi — ed è quindi legittimo che essa venga giudicata anche con criteri etici ; ma per il giudizio estetico dell' opera d' arte basta eh' essa sia espressa, che sia cioè manifesta- zione d' una personalità : ed è per mezzo del gusto che si determinerà se un' opera è o no d' arte quando r opera stessa sia stata pienamente capita. Senonchè se un' opera è d' arte non può essere immorale. Immo- ralità è particolarismo. L'arte — come il pensiero» la vita morale e la vita religiosa — è negazione del Vincenzo Cardarelli 85 particolarismo (fotografismo, alìricità). Chi ammette dunque la liricità dell* arte — e il Croce V ammette (in teoria r ammette) — non può ammettere, come vor- rebbe il Cardarelli, che il libro di Schlumberger sia perfettamente espresso e possa nello stesso tempo essere svalutato in considerazione della qualità e della natura dei sentimenti che lo animano. Tutti quelli che concepiscono la critica come sof- fietto o stroncatura, penseranno a questo punto che le considerazioni che ho fatto adesso intomo all'este- tica cardarelliana siano una vera e propria stronca- tura. Me ne dispiace tanto per loro. La critica è per me pensiero, risoluzione di problemi, spiegazione: e ho insistito sulle idee estetiche del Cardarelli perchè se il loro valore teorico è assai scarso esse sono assai importanti per Tintelligenza e la valutazione dell'opera cardarelliana, della quale del resto non costituiscono affatto un ramo secco che possa servirci tutt*al più per fare una piccola luminaria. Il Cardarelli conclude la sua trattazione estetica sostenendo che criticare è ricordare filosoficamente e che la critica si fa a libro chiuso, a distanza, giacche le opere di un artista devono liquefarsi e sparire nella mente del critico come oggetti di metallo usato nel cavo d* una fondita per poi rico- lare in forme nuove. La conclude, cioè, enunciando il criterio vichiano della verità. Ma è chiaro che questo criterio applicato a questo modo è adatto meglio per le opere di pensiero che non per le opere d* arte nelle quali la liricità è la stessa forma linguistica e che è, piuttosto che un criterio di critica, un criterio 86 Scritti liberisti d* intelligenza. Ora per capire un* opera d* arte basta intuirla, basta leggerla mettendosi nel punto di vista dell'autore, basta insomma T intuizione bergsoniana che è del criterio vichiano un semplice corollario : il corollario più opportuno per la conoscenza del par- ticolare e quindi - dell* arte. Ma il Cardarelli, soste- nendo per r arte, in generale quella veduta adatta alla critica delle formole concettuali, ci indica la via per intendere la sua produzione. Se si riflette bene, le sue idee estetiche sono, meglio che una teoria filo- sofica suir arte, un chiarimento della sua produzione e un programma. Esse vanno quindi giudicate in modo analogo alle idee estetiche di Marìnetti. Le idee estetiche di Marìnetti, se si giudicano come una teorìa dell* arte, sono prive d* ogni valore ; ma il loro valore consiste nell* essere il tentativo di un* epica della vita modmna, il tentativo, fino al momento fallito, di un ultrapascolismo. Anche gli scrìtti del Cardarelli sono il tentativo, in parte rìuscito, di un*epica : un*epica rìflessiva di singole figure umane. Il giudizio eh* egli dà intomo agli studi crìtici del Cecchi — le sintesi che il Cecchi ci offre non sono critiche ma pittorìche — si applica assai meglio al Cardarelli, purché sia mo- dificato nel senso della definizione dei suoi scrìtti che abbiamo dato adesso. Se giudichiamo, cardellianamente, a distanza lo stesso scritto sul metodo estetico vediamo che quasi tutte le idee si attenuano fino ad annullarsi, ma che persiste nella nostra coscienza 1* immagine d*^un uomo serio e meditativo. I saggi e le lirìche hanno Vincenzo Cardarelli 87 valore poetico ugualmente, ma la loro poesia non può essere raggiunta se non quando si giudichino a distanza dimenticando completamente le parole. Nei suoi saggi migliori il Cardarelli non fa altro che metterci innanzi una figura umana, non con mezzi puramente poetici, ma per mezzo di riflessioni che bisogna sforzare perchè possiamo avere la visione viva della figura. Il Cardarelli « discorre » sempre, me- dita, riflette; ma non risolve mai problemi: contempla. Egli, vale a dire, ci dà sempre, in maniera non com- piuta, queir epica riflessiva di cui abbiamo parlato, sia nei suoi due saggi su Péguy che in quelli sul Tasso uomo e su Assunta Spina (son particolarmente significativi a questo proposito il secondo saggio su Péguy che, per quanto assai ampio, non fa nemmeno il tentativo di risolvere problemi, differisce insomma essenzialmente da questo mio saggio — e quello su Assunta Spina nel quale si trascurano completamente tutti gli altri personaggi del dramma digiacomiano e non si tentano nessi tra questi personaggi e Assunta Spina e tra tutti i personaggi del dramma e la per- sonalità del Di Giacomo) ; ed esempi di epica rifles- siva sono anche (per quanto in essi si affermi, timi- damente, qualche tentativo di spiegazione) i saggi sulla Giuditta di Hebbel e sugli Studi critici del Cecchi, poiché in essi ciò che prevale è uno stato d* animo, non una valutazione. E i saggi meno riu- sciti sono quelli su Caterina Sforza, 1* eresia france- scana, Garibaldi, nei quali il Cardarelli, non avendo vive intuizioni e non potendo quindi fare dell* arte, 88 Scritti liberisti non è riuscito a fare della vera storia, ma quasi solo deli* erudizione passiva. Tutte le considerazioni svolte finora ci conducono a sostenere che la produzione cardarelliana raggiunge il suo culmine nella poesia adolescente. La divi- nità dell'adolescente è espressa con immagini mira- bili. Lo stato d'animo che determina tutta la poesia consiste nel (atto che questa fanciulla eh* è come la nlandorla nuda ; che passa con la chioma sciolta e tutta la persona astata ; nel cui lume di sangue onde si accende sul volto il cosmo fa le sue rìsa come nell'occhio nero della rondine; le cui mani bianche non sanno il madore umiliante dei contatti ; questa bocca di sorgiva è inconsapevole della sua divinità la quale è destinata a rimanere un tesoro sepolto sotto i man — , perchè il poeta ci rinunzia vinto dalla vertigine, ma qualcuno che non Io saprà, un pesca- tore di spugne, scoprirà l' ostrica rara, ma gli sarà grazia e fortuna il non averla cercata e non sapere chi è è non poterla godere con la sottile coscienza che offende il geloso Iddio. — Tuttavia nemmeno questa bella poesia è perfetta. Il Cardarelli passa qualche volta dall* epica riflessiva alla chiosa filolo- gica e gnomica. Dopo 1* ultima frase, per esempio, (Gli sarà grazia e fortuna...) egli continua con questa dichiarazione superflua ed enfatica : « Oh si, Tanimale sarà — abbastanza ignaro — per non morire prima di toccarti > . Quest' ultima idea era evidentemente implicita in quel « gli sarà grazia e fortuna... ». E nonostante che la poesia fosse in quel contrasto di Vincenzo Cardarelli 89 cui abbiamo parlato, nel fatto che tanta divinità pas-* sera inconsumata e sarà invece sciupata capricciosa* mente e ciecamente col primo che capiterà, il Car- darelli 1* ha voluto finire con una sentenza bella quanto si vuole ma che non era per nulla necessaria. Ma il difetto essenziale di adolescente e di tutta la produ- zione cardarelliana è quello che corrisponde a quel- la infelicità di parola che abbiamo notato nel Carda- relli della vita quotidiana, il quale parlandomi giorni fa di alcuni progetti di lavori con cui vuol fare un volume diceva malinconicamente : Ma queste non son cose che si dicono. Si scrivono — se si scrivono. — Questa frase esprime mirabilmente la manchevolezza della produzione cardarelliana, la quale per essere veramente intesa Ha bisogno di quel contatto intelli- gente e paziente che secondo il Cecchi è necessario per potere intendere i Miei discorsi. Epica riflessiva, abbiamo detto. Forse sarebbe meglio dire riflessione — difettosa quanto si vuole — ma fortemente per- vasa di epicità. Pare che ci troviamo davanti a delle mediocri traduzioni di opere di vera poesia. Quel giudizio che il Cardarelli esprìmeva a proposito del Péguy, secondo il quale la nostra parola è indizio non forma del nostro pensiero, si può ripetere per il Cardarelli, ma è naturalmente un giudizio pre- valentemente negativo : segnala un* imperfezione. Un*imperfezione soltanto, perchè ^— nonostante questo difetto — la poesia e' è. Le opere del Cardarelli sono realmente come, secondo lui, le opere del Péguy : spiragli di luce sopra una realtà interiore 90 Scritti liberisti che dev^esser creduta. Ma questa realtà interiore è molto solida ? Alla prima può sembrare che il difetto della poesia cardarelliana sia un difetto di sola musicalità e che sia dovuto a una causa estrinseca : al fatto che questa poesia andava scritta non in versi ma in forma di prosa ; ma se si osserva bene si vede che il suo difetto è la sua stessa essenza e che perciò la scrit' tura in prosa, per quanto veramente assai più oppor- tuna — ci sono dei versi che, in quanto versi, sono delle vere stonature — attenuerebbe quasi insensì- bilmente questo difetto. Il Cardarelli, nel saggio sul- Y Inquiète patemité, dice che gli stessi giudizi che valgono per gli uomini valgono per i poeti inquan- tochè da un tronco secco e mutilato non può germo- gliare poesia. Il motivo di vero di quest* osservazione è questo, che non ci può essere nessuna poesia se non si supera il particolarismo appunto perchè la poesia non è fotografismo ma liricità. Ora io credo che 1* osser- vazione morale che si fa studiando il Cardarelli della vita privata, il fatto cioè che la sua spiritualità non è abbastanza libera di scorie, non è abbastanza in- tensa, spieghi il difetto della sua produzione. La quale non è. abbastanza ispirata. Il Cardarelli non ammira per nulla Giovanni Papini (il Rapini che conta, non quello di Lacerba), ma è indiscutibile che I* ansia papiniana per 1* assoluto è assai più intensa dell* afiBato lirico del Cardarelli. A questo soltanto e non a quella misteriosa rivalità eh* egli ritrovava in Hebbel si deve 1* imperfezione espressiva del Cardarelli. Il Vincenzo Cardarelli 91 Cardarelli ha bisogno di temprarsi nella solitudine. Se passasse al futurismo» lo potremmo considerare inesistente. Nel futurismo tutte le sue cattive qualità trionferebbero» facendo naufragare nel nulla le sue belle qualità di poeta. A ogni modo» qualunque sia 1* avvenire del Car- darelli» noi siamo lieti d*aver parlato di lui perchè la produzione che ci ha dato finora merita d* esser conosciuta. E se in Italia gli editori non fossero com- mercianti e se quelli che s* inducono a pubblicare qualche libro con criteri non commerciali non fossero protezionisti» se in Italia esistesse cioè l'editore uomo di pensiero che 1* Arduo forse va preparando, gli scritti del Cardarelli dovrebbero essere raccolti in volume. Tutti quanti. Non abbiam visto che è ozioso distinguerli in teorici» critici e poetici? Tutti sono poetici; anzi alcuni di quelli cosi detti critici sono superiori ad alcuni poetici. I migliori saggi, per esempio, sono certamente superiori ai due « discorsi > che il Cardarelli ha dedicato a Rosso di San Secondo e ad Angiolo Orvieto. CULTURA E VITA M Questo volume non è il prodotto (l*una volontà che abbia avuto il Croce di fare una trattazione sul tema « Cultura e vita morale » : è una raccolta d* arti- coli già pubblicati nella Critica, nella Voce, nell* Unità e altrove. Contro le raccolte d* articoli si fa spesso un* obie- zione pregiudiziale. Un libro (si dice) non si può fare mettendo insieme degli scrìtti vari. Per fare un libro, occorre prima di tutto avere Y intenzione di farlo. Ma quest* obiezione non ha valore. Perchè se gli scrìtti che si mettono insieme sono dei capolavorì, resteranno Io stesso dei capolavori e il libro sarà cosi costituito» invece che da un capolavoro, da un insieme di capolavori; se gli scritti sono scadenti, restano scadenti allo stesso modo, sia che si pubblichino rac- colti in volume, sia che si pubblichino a parte e perciò il fatto di costituire una raccolta non e* entra con la loro svalutazione. Sarebbe sciocco denigrare i canti del Leopardi soltanto perchè sono una raccolta, oppure magnificare un cattivo poema per il solo fatto che è un poema» — Le raccolte d'articoli sono anche con- % Scruti liberisti dannate, assai più giustamente, per un* altra ragione, perchè, essendo gli articoli scritti d'occasione, per- dono ogni valore appena passata la circostanza che li ha determinati. Senonchè gli scritti di pensiero (arte, concetto) anche se vengono pubblicati nei quo- tidiani, non diventano mai scritti d* occasione. Gli scritti d'occasione sono quelli pratici, oppure sono scritti difettosi impropriamente detti d* occasione : ^ono studi intomo a qualche fenomeno della vita quotidiana che non son riusciti a cogliere scientificamente il feno- meno stesso : son rimasti cronaca e non si son elevati alla storia. Ora è strano che il Croce che aveva cosi ben distinti gli articoli di giornale, per esempio, del De Sanctis dagli articoli superficiali scritti cosi senza competenza tanto per riempire qualche colonna libera, non abbia tenuto presente questo criterio compilando questa raccolta che presenta al pubblico come com- posta di scritti proporzionati alla vita breve del gior- nale o della rivista e perciò destinati a perdere assai presto efficacia e significato. Il fatto è che alcuni di questi scrìtti sono veri e propri scritti di pensiero, altri sono già invecchiati perchè dovevano essere rifatti in modo da esporre rigorosamente ed esaurientemente le buone idee che contengono mescolate con tante scorie d* occasione. Anzi, dal momento che il Croce, invece di fare degli studi storici intomo ai vari feno- meni più o meno enonei della vita intellettuale e morale contemporanea, prende quei fenomeni a puro pretesto per delle considerazioni di carattere teorico, se avesse rifatto i suoi scritti trasformandoli decisa- Cultura e vita morale 97 mente in vere e proprie trattazioni teoriche, ne avrebbe eliminato tutti i difetti che ne hanno messo in luce, a proposito dell'articolo « Pretese di bella letteratura ne.lla storia della filosofia » — escluso, con lodevole pensiero, da questa raccolta, ma che le appartiene idealmente — dal Borgese e per V articolo « Amori con le nuvole > dal Boine, il nome del quale però non figura più nelF articolo. Il Borgese ha dimostrato, tra r altro, assai bene le deficienze del Croce storico e si è lamentato che il Croce non sia rimasto come nel *903 quando, letti gli articoli borgesiani del Z#eo- nardo in cui non e* era traccia di crocismo, ne lodava la ponderatezza e la penetrazione, mostrando che allora per lui i giovani valevano per la loro volontà di capire e di fare e non per il loro crocismo. Il Boine, oltre le considerazioni dirette contro il valore storico del giudizio dato dal Croce su di lui, giudizio che non era certo rigidamente oggettivo, dichiarava che il Croce, inquisendo moralisticamente e stizzosamente contro di lui, commetteva una vera immoralità; e che era, oltre che immorale, antifilosofico definire mistico o trascu- rare il pensiero vivo, nuovo, sostanzioso, per quanto non del tutto crociano, quello dell'Amendola, per esempio, che si agitava in Italia e scalmanarsi tanto per quelle che lui credeva inezie. E cfrto dispiace, leggendo questo volume, vedere che il Croce ha ristampato degli scritti senza tener conto degli studi contrari alle sue idee che si son fatti dopo, special- mente intomo alla religione e alla scienza. A pro- posito della scienza però, dopo di aver enunciato la 98 Scritti lihemti tesi dell* eterogeneità di scienza e filosofia e di av^ confuso scienza e tecnica, dice che i fatti positivi devono essere, come quelli storici, compenetrati, più di quanto non si faccia adesso, di pensiero filosofico. E un* idea giustissima propugnata da tanti cultori di scienza positiva ma che acquista tutta la sua imp<MF- tanza quando si neghi tanto la concezione positivista che la concezione crociana del pensiero. Nonostante tutte le riserve che si possono fare intomo a questo volume, è indiscutibile che esso con- tiene moltissime idee alle quali bisogna assentire con ammirazione. Sono assai belle le osservazioni intorno al superamento. Il superamento, dice il Croce, non può essere un fine che si persegua per se stesso come non è un fine la moralità in astratto. La moralità con- siste nello sforzo assiduo e inconsapevole contro piccoli ostacoli. G)sì la vittoria, nella sua genericitì^, non è il fine del soldato ma del miles gloriosus. Le memcnie militari son li a insegnare che i soldati mettevano tutti i loro sforzi nel far tacere un pezzo d* artiglieria postato su d* un* altura o nel giungere a un pozzo o in altri fini concreti. Nel campo del pensiero, dunque, quello che importa è la soluzione del problema che si ha innanzi senza preoccuparsi di superare ma cercando soltanto di yeder chiaro in quel problema: e si può star sicuri che ogni verità conquistata con uno sforzo personale è sempre nuova. Proponendosi invece il superamento per sé stesso, e* è pericolo di non ^con- quistare nessuna verità nemmeno vecchia, acquistando soltanto il gesto dannunzianeggiante del superatore. Cultura e vita morale 99 Questa crìtica del concetto di superamento con- duce» camt ù vede, a sostenere che un periodico di pensiero, un periodico cioè il cui ideale è la verità non deve cantare sterilmente le lodi della dea Verità ma deve agitare singoli problemi e quindi, se deve essere liberista, d^ve pure essere antiquietista, giacche le idee sostenute da ogni collaboratore a proposito di ^n eato argomento differiranno spessissifno ^a quelle d^gli altri se non altro almeno per questo, perchè sarannp in grado più o meno grande inquinate da errori perchè saranno in errore gli altri. Per elimi- nare k discussione, occorrerebbe che tutti enunciassero sempre delle verità definitive assolutamente evidenti e questo è impossibile. Tra gli scritti migliori di questa raccolta vi è quello sul partito come giudizio e come pregiudizio, 1 generi politici, dice benissimo il Croce, corrispondono ai generi letterari della rettorica e meritano tutta la diffidenza dei generi letterari. €^om*è ozioso discutere sulla vera tragedia e la falsa tragedia o suH* essenza del ro- manzo o dell* ode, cosi è ozioso fare le stesse dispute a proposito dei partiti. Sotto i vari nomi politici (ari- stoccazia, democrazia» progressismo, liberalismo) gli uomini di buona volontà vogliono tutti lo stesso, mentre, sotto qualunque di quei nomi, i disonesti vogliono il loro tornaconto e nient* altro. Non è che i partiti non siano nulla : il lofo valore è un valore pratico. Come il poeta, nel concretare in determinate condizioni sto- riche, la sua ispirazione non può fare a meno del linguaggio tradizionide, dei metri, della disposizione 100 Scritti liberisti per strofe o capitoli, cosi i*uomo politico per con- cretare i suoi desideri è costretto a entrar nel mec- canismo dei partiti. Ma come il poeta non deve falsare la sua ispirazione per asservirla ai generi» cosi l'uomo politico non deve asservire le sue idee al partito, ma deve o creare un nuovo partito o modificare oppor- tunamente quello più adatto alle sue idee. G)nsiderato cosi il partito come un puro strumento pratico, è chiaro che chi vuole entrare nella vita politica, non si deve domandare se sarà democratico o aristocratico o progressista ma se promuoverà o combatterà questa o quella veduta rispetto a singoli problemi e in base a questo programma più o meno transitorio aderirà, fino a che quel programma sarà vivo, al partito in cui quel programma potrà essere realizzato, se ci sarà; se no, formerà un partito nuovo. I partiti insomma devono considerarsi come una conseguenza e non come una premessa detrazione politica e quindi per svol- gere una vera azione politica bisogna sempre mirare alla salute della patria (o meglio alla giustizia) e non a quella del partito. Molte altre idee dovremmo esporre per fare uno studio completo di questo volume ; anzi^ non trattan- dosi d* un volume organico (non intendo dire che sia un'antologia del tutto' meccanica: il libro è uno perchè ne è uno Fautore), bisognerebbe fare una studio speciale per ogni saggio. Ma non posso fare a meno di citare un bel passo dello scritto in cui si dimostra che la pietra di paragone delle filosofie è la possibilità o meno delle costruzioni storiche e si viene Cultura e vita morale 101 quindi a screditare il materialismo. Si ha un bel negare — dice il Croce — i valori dello . spirito e procla- mare vera e Unica realtà la materia: e* iÌ*JÌiécc^nismo:'. •.'' la storia» essa, proclama» a ogni*suo.mpto ed atto, il valore dello spirito; e chi si "far /a'. rdpé^iittu'ls^c i\{ : ; costretto a prendere come punto di riferenza quel valore, se vuol dare al suo racconto una configura- zione qualsiasi. L'eroismo è miraggio dell'egoismo? E la storia vi mostra eroi senza codesti miraggi, le cui azioni sono perfettamente trasparenti nel loro carat- tere antiegoistico, di pieno sacrificio dell* individualità. Le forme logiche sono risultato dell* abitudine e del- r eredità ,del meccanismo fisiologico e psichico? E la storia ci mostra la lotta per la scienza, le ansie e i giubili degli scopritori di verità, 1* efficacia mera- vigliosa delle loro scoperte in tutte le parti della vita sociale. La santità è isterismo e malattia? E la storia vi offre lo spettacolo di codesti pretesi isterici e malati, che conquistano anime, raccolgono folle di discepoli, fondano istituti duraturi, si ripercuotono nei secoli, trasformano più o meno profondamente la società: cose tutte, che non accadono ai puri e semplici malati, i quali, per quel che se ne sa, mettono in moto sol- tanto i medici e gli infermierL Se questo libro, pur non essendo fondamentale nell* opera crociana e per quanto certi capitoli siano quasi di pura volgarizzazione, ha grandi pregi come libro teorico, ha pregi notevolissimi dal punto di vista letterario. Non che sia senza difetti da questo punto di vista, il Croce si h tenuto sempre lontano dalla 102 ScritH liberisti scienza positìra (nella quale ceito, date le èue eBii« neiìti (Qualità di logico e di studioso oltre che di liste- nmtìco, eì^il si s^bbe potuto itfertùairè forfè tneglid che. nella filoK^) e. penciò il suo Imguaggio risente ^l'^ui^à Verbosità carate^stica dei dOstfì stritfori di filosofia e che secondo il Vailati si deve attribuire dUd mancanza di educazione scientifica eh* èitge idpi^ilUttd or<&ne, rigòre e sobrietà. Ma quattti pre^ cófil)^ntanó questo <&(ettol Anche eerti aneddoti che éùùiù delle pure digressioni sono raccdHatì goé t&nia arte che noi non sapremmo adatto consigliarne la S0{^es8Ì<Nie. E iti alcuni di questi scritti» in alcuni di quelli f^^pria^ mente storici, se il Croce non riesce dèi tutto cc»ne storico^ riesce mirabilmente cùtàe umorista* Spésso r umorismo è conseguito in manièra àristO(^atioà se per aristocrazia s'intende Col Croce il tornitore semsa sforzò apparente quelb che agli alcri tv&tot ìsspoM* bile o riesce possibile at^averso una gran (ama. Cosi a proposito dèlia critica dèi concetto A creazione estetica (atta dal Fanciulli il quale so»tèneta che Y uomo non era ex fìihih pcichk « tutt*al piik è un filtro o un Crogiuolo m^^viglioso ^ , il Croce dice : Qnme- remo, da ora in poi» Fattività sintètica e creatrice « crogiuolo meraviglioso » e saremo d'accordo. C'è chi nega ai Cróce le qualità aitisdche, ma si tratta di quei lettèratìni swtimentali che non rico- noscono Boccaccio e Manzoni o & quelli che, opachi compitamente al pensiero, non sanno aanmmre «e non le opere cK fantasia e ^lutano le opere di pen- siero in ragione dei loro pregi fantastid, sicché per Cultura e vita morale 103 loro quasi tutti ì filosofi e gii scienziati sono equiva- lenti allo zero. Questo volume di Croce» dunque, dimostra che per il Croce si può ripetere il giudizio eh* egli dava a proposito di Hegel : se la critica riuscirà a cKstrug- gere il metafisico, resterà sempre il filosofo e lo scrìl- tore ; e che, in ogni caso, Croce come Hegel, merita qudla « sepoltura cristiana » che finora gli è stata negata. N<h crediamo cioè che si debba essere anti- crociani ma a palio di non appartenere al blocco antìcrociano. Quelli del blocco hanno, accentuati, tutti i difetti del Croce senz* averne i meriti. Sono quei piccoli uomini armati di chitarra o di scheda contro i quali egli ha esercitato la sua fine ironia — oppure quei pretesi eroi dell* azione e del pensiero, che sono impotenti dell* azione e del pensiero, oziosi che disde* guano tutte le conquiste particolari come meschine ma che non sono capaci di far nulla ne di grande ne di piccolo. Certo un eroe può trovare alquanto filisteo questo uomo che consiglia la lettura di Qiarh' tìetto, ma quelli che chiamano filisteo il Croce sono in generale dei subfiMstei, de((l* individui il cui legit- timo ideale sarebbe quello di fare in silenzio la loro parte di buoni filistei e che preferiscono atteggiarsi a superuomini. Il Croce non è un temperamento rivoluzionario, nella sua filosofia non ci sono incertezze, il suo otti- mismo è eccessivo. A lui manca inoltre, quasi per smentire la sua teoria della religione, 1* afflato re- ligioso. Basta paragonare « Cultura e vita morale » 104 Scrini liberisti (e anche il saggio su Hegel e la trilogia) con Y^clion di Maurice Blondel per accorgersene. Il Bergson è stalo accusato da qualcuno di essere non un filosofo artista ; ma nessuno oserebbe dire die Blondel un filosofo, ma soltanto un mistico. È un filo- I la sua filosofia è altamente religiosa. Nel invece, il sentimento religioso è del tutto assente sempre assente. Egli ha detto poco tempo (a ■superabile perchè si supera sempre ; ma questo mo Jibro dimostra che in certi punti, rispetto lema della vita, per esempio, egli non si supe- li. C'è in lui da questo lato troppa certezza possa avere quella crisi che è necessaria per iva sintesi. Ma questa certezza del Croce è ine superiore, eticamente e intellettualmente, »la certezza dilettantesca degli anticroàani. L'IDOLATRIA DELLA f StttcSerè questo pregiudizio nella sua forma ifitel- kltuale e ia quella elica. Nella foma intelleltoale, consiste nel credere, antiiiiataoiiianaaieaie, che tutto ciò che vien dopo è progresso. E un pregiudizio simpatico agli hegeliani. Spinoza supera Cartetto» Kant supera Spinoza, Hegel ^qpera Kant e Cmce Hegel: — dopo Spinoza tor- nare a Cartesio è da ritardatari, dopo Hegel non e* è più nutb da imparim de Kant e cosi via. Il dovere d* M filosofo, oggi, in Ìt«lia> sarebbe queHo di etabo- rflore la filosofia del Croce. (E perchè non quella del Gentile o del Bergson o del Royce?) Il motivo di verità di questa teoria sta in questo, cht d pensièro d*ognì uomo pone dei probl^ni che chi Mdia q^el pi^siero in parte aftronta e risolve. Cosi è Vero che Hegel non si spiega senza Kant, e che Ciote avrebbe pensalo cfiversamente se non avesse studila Hegel; e Righi non sarebbe stoto possibile senza Heitz Zeema» Hall. Ma, d* ahfa parte, è pure indiscutibile che da Hegel non si passa necessaria- mente a Croce perchè si può anche passare a Gemile 108 ScTìiiì liberisti o a Royce e anche a Blondel ; e che non tutti i pro- blemi posti da Hertz sono stati risolti da Righi. È, in altri termini, indiscutibile che la storia del pensiero non è lineare, che cioè V opera d* un filosofo o d* uno scienziato non destano in tutti gli stessi problemi, che da un concetto o da una scoperta possono avere orì- gine infiniti pensieri diversi. Perciò è lecito studiare Hegel, S. Tommaso e Aristotile anche dopo Groce; si possono studiare con frutto Hertz, Newton, Volta o anche Gilbert anche dopo Lord Kelvin, J. J. Thomson e Righi. — Si può bene proseguire la speculazione del Qoce, ma si ha il pieno diritto di criticare il pensiero del Croce e tutto ciò che è supposto dal pensiero del Croce e quindi di abbandonare certe idee che il Croce credeva definitive per accettarne altre da lui ritenute superate. La storia non sarà più rettilinea: tanto meglio! L'idolatria della retta, mentre apparentemente è r esaltazione della storia perchè sostiene che ogni pen- siero deve partire da un pensiero formatosi storica- mente, in fondo è la negazione ' della storia e del pensiero. Perchè se la storia è scienza, dal momento che il giudizio che mi formo io, oggi, di Hegel sarà in generale, diverso da quello che se n*è formato Croce nel *906, il pregiudizio della retta naufraga. E se il pensiero non può non essere convalidato se non dal pensiero, non è lecito costruire un sistema assumendo senza critica certi principi soltanto perchè furon trovati veri da altri pensatori. Tutto dev* essere soggetto a critica. Nell'hegelismo e* è implicita una L'idolatrìa della retta 109 crìtica della scolastica e del platonismo; ma noi, se vogliamo continuare Hegel» non possiamo accettare supinamente quella crìtica. Dobbiamo convalidare quella crìtica facendo uno studio diretto della scolastica e di Platone ed è chiaro che potremo pervenire a conclu- sioni antihegeliane. Come si vede io non intendo sostenere» futurìsti- camente» che chi vuole trattare un argomento deve trascurare tutto quello che s*è pensato intomo all'argo- mento. Tutt* altro. Io so benissimo che chi tratta un argomento trasciirandone la letteratura» s'espone al perìcolo dì sfondare usci aperti e in ogni caso si prìva di mezzi che gli potrebbero facilitare immensamente la rìcerca: idee giuste e confutazioni di errorì nei quali potrebbe incorrere. Io sostengo invece che chi studia un argomento non solo deve conoscere la lette- ratura di queir argomento, ma anche la letteratura presupposta dall* argomento. Chi vuole studiare la filo- sofia del Croce non solo deve studiare i librì del Croce e quelli intomo al Croce» ma gli scrìtti ai quali il Croce si rìattacca ; chi vuole fare una rìcerca d* elet- trologia non solo deve stucBare le memorìe intomo air argomento della rìcerca» ma deve conoscere bene tutta r elettrologia» anzi tutta la fisica e oltre. Nella sua forma etica» 1* idolatrìa della retta è forse più degna d* esser crìticata» anche perchè in questa forma h assai pili popolare. In questa forma» consiste nel rìtenere che lo scopo della vita sia quello di rea- lizzare un programma» di camminare» senza fermarsi» per una via dirìtta. E la teorìa della vita di quegli ■ ■anr- no Scritti liberisti studenti che si propongono di laurearci entro un dato tempo, e che» per conseguire quest* idealet trascturaiio ogni dovere ; è la teorìa della vita di qu^ prof essorì che, pur di pubblicare tanti arkicoU alFanno e tanti libri ogni decennio, non {anno legione ; ed h purtroppo, spesso, la teoria della vita di molti uomiiu che toa considerati eroi, per dirla col Carlyle, cioè grandi. Questa concezione della vita sorge qualche voka come superamento del dilettantismo. L* infinito ^-^ ù dice — non si trova disperdendoci in estensione, per*- seguendo mille ideali, ma scendendo in profondità, dandosi con assoluta dedizione a un solo ickale. E ci sono individui che in questo modo superano veramenle il dilettantismo e conseguono la grandezza. Ma ce ne sono altri che perseguono con animo fiUsteo una mela filistea e allora restano assai al disotto, eticamente, <fi certi dilettanti: di quei dilettanti la cui volubililà è r effetto della fede in un ideale al quale si decKcke- rebbero con eroismo ma che sfugge loro eternamente, — uomini traffici il cui destino è di cercare invano il proprio destino. Ora gì* idolatri deUa retta non solo eialtano i filistei retnlinei come eroi, anche se immorali e d^grano quei dilettanti di cui ho parlato adesso e che» eviden- temente, sono dilettanti soltanto di nome» ma rifiutano di riconoscere come eroi tutti que^^i UQOpini che hanno sacrificato la linearità al dovere. Tra il pro- fessore che manda assiduamente alle riviste i suoi articoli e stampa libri regolarmente, non facendo lezione e quello che dà tutta la sua attività, silenzioSìameBle, L' idoìatria della retta alla scucia, gl'idolatri della retta scelgono il prii lo chiamano eroe, chiamando imbecille il second Contro questa enorme ingiustizia bisogna protei! e non sarà male, visto cbe l'idolatrìa della reti molta difiusa, eccedere io senso contrario, doè < dare dei così detti eroi, magnificando quelli cbe s riconosciuti come veri e propri eroi, ma giudici con la più s[Hetata severità ■ cacciatori più o t fortunati dì gloria. E principalmente, insieme al i degli eroi carlyliatti, bisogna promuovere il culto < eroi silenziosi, di questi uomini <^e vollero non a ■tona perchè 1* umanità che amavano fosse più de REPUBBLICA E MONARCHIA Nel suo articolo « La monarchia è una (orma protezionista?», il mio amico Giunio Martinelli so* stiene che il capo dello Stato monarchico può opporsi alFazione del gruppo dominante e fare l'interesse generale; mentre il capo dello Stato .repubblicano è costretto a fare 1* interesse del gruppo dominante che coincide col proprio, opprimendo la minoranza. Per dimostrare questa sua veduta, Martinelli ricorre a premesse e ad argomenti eh' io credo del tutto inac- cettabili. Nessuno potrà negare — dice — che l'uomo abbia stretto il contratto sociale per ragioni utilitarie e che perciò egli aspirerà sempre a condizioni di privilegio e agirà in maniera assolutamente egoistica. Martinelli non dà di questa teoria materialistica della vita politica ne una dimostrazione ne una giu- stificazione. Se vi si fosse provato, si sarebbe accorto che la vita politica è fatta non solo d'interessi ma anche d'ideali; e che, in ogni caso, bisogna far di tutto perchè gl'interessi e gl'ideali non siano in con- trasto ma in piena armonia: bisogna anzi fare in modo che i così detti interessi siano degli ideali sicché la vita politica sia un gioco d'ideali diversi. 1 1 6 Scritti liberisti Meno solidi della premessa sono gli argomenti con i quali Martinelli crede di dimostrare la sua veduta» Secondo lui, il capo della monarchia può fare Tinte* resse generale perchè, non è espressione di nessun gruppo, cfoè perchè non deve a nessuno in paitico* lare il suo mandato, mentre il capo della repubblica deve agire egoisticamente perchè è l'espressione di un gruppo vincitore, cioè perchè deve il suo mandata a un gruppo del quale fa parte. 11 debole di questo ragionamento sta principal- mente in quelle identità che MarttneHi pone con i suoi sveltissimi cioè, dimenticando il prinoipto a cui s^in-^ spira l'articolo 41 del nostro Statuto (f deputali rap- presentano la Nazione in generale e non le sole Provincie in cui furono eletti. Nessun mandato impe- rativo può darsi loro da^ elettori). Ora quello che Io Statuto dice per i deputati deve a maggior ragione applicarsi al capo dello Stato. Il Presidente d'una repubblica deve rappresentare la repubblica e non il repubblicanismo o il liberalismo o il clericalismo o il socialismo; e se non rappresenta tutta quanta la nazione al difucni d'ogni nepotismo è un disonesto e quindi dev'esser combattuto. Secondo Martinelli, il nepotismo verrebbe ad essere un fenomeno pienamente legittimo! Ecco che il materialismo della premessa inquina anche gli argomenti. I quali restano distrutti quindi della semplice negazione del materialismo po- litico oltre che da quel principio di diritto moderna che Martinelli, non si sa perchè, ha voluto trascurare. Martinelli potrà obiettarmi die, in pratica, ogni Repubblica e monarchia 117 eletto si sentirà spinto a favorire i propri elettori; ma questo sigaifieà solo che, iù pratica, l'uomo è nepo" lièta e perciò noi dobbiamo fare una campala assi- <iua contro il nepotismo e a favore del patriottismo e delia giustizia — e basta. E il patriottismo e la giu- stizia non ftaono certo n»lla legge salica o in altre kfgi simili. Ammettendo con Martinelli che Tuomo sta essenzialmente nepotista^ si deve ammettere che anche il monaca sarà nepotista appunto perchè avrà andie lui ddle idee politiche che cercherà di far Irionlare. E poi, «omettendo che per esercitare con giustizia il potere bisogna averlo per via ereditaria e non per via elettiva, bisognerebbe logicamente abolire in modo assoluto Telettorato; cioè lùiche i deputati, e anche i Ininistri, dovrebbero avere il potere per eredità, e bisognerebbe anche sostituire l'eredità all'eie^ tiene nd cattqpo amministrativo e altrove* Martinelli, vuol proprio abolire il voto per l'ere- dità? Eeeo. Io non ho grandi simpatie per le mag- gioratize, anzi sono o^ile al criterio della maggio- ranza numerica perchè sono convinto che gli uomini, anche in p^itica» non abUano tutti Io stesso valore: credo che se ri pone uguale a uno l'uomo perfetto, ci sono uomini che valgono assai meno d'un millesimo, e che perciò è ingiusto .che tutti riano considerati come uguali a uno. Tuttavia non mi pare posribile che si possa assegnare a ogm uomo un numero che sia indice della sua capacità politica. Non trovo un criterio col quale procedere a quest'assegnazione. La capacità politica non è una funzione né del censo -t" 118 Scritti liberisti ne di titoli di studio. Non è nemmeno possibile fare una distinzione tra uomini e donne in base alla capa- cità politica, perchè ci sono donne piik capaci poli' ticamente di certi uomini e perciò — diciamolo di passaggio - — è assurdo che le donne siano escluse dal voto. Inoltre la capacità politica, come la genia- lità (anzi assai meglio della genialità), non è una qualità permanente: in certe circostanze si ha in grado massimo, in certe altre in grado minimo; in alcuni aumenta, in altri diminuisce. Tutto questo conduce a sostenere che la diffidenza pienamente giustificata verso il criterio della maggioranza numerica si deve tradurre, piuttosto che in uno sforzo per l'abolizione di questo criterio, in provvedimenti opportuni perchè esso sia meno nocivo ch*è possibile. A quest'idea m'ispiravo io stesso quando suggerivo neìV Arduo alcune riforme alla nostra legge elettorale tra le quali l'abolizione dello scrutinio uninominale. In fondo alla simpatia di Martinelli per la via ereditaria ritroviamo quel materialismo che abbiamo visto inquinare le sue argomentazioni. Perchè il criterio dell'eredità sostenuto da Martinelli non ha niente che vedere con quello medievale. Quello me* dievale era un affidarsi alla volontà di Dio: il me- dievale credeva che il monarca fosse eletto da Dio; quello di Martinelli è invece non affidarsi al caso. Ora a me non pare, tra l'altro, dignitoso per un uomo preferire il voto del caso a quello, imperfetto quanto si vuole, della maggioranza. Mi pare invece che occorra sforzarsi perchè la maggioranza numerica di- Repubblica e monarchia venti una maggioranza ideale. E pa fai- questo è necessario sopratutto liberarsi dall'ultra carlyliimo: bì' sogna concepire l'eroiimo come una virtù che tutti possediamo e che si deve soltanto sviluppa— ^*- —" non tono esseri soprannaturali, ma uomini stessa stoffa. L'uomo politico perfetto noi misteriosa dell'uomo che vende, per un birra, il proprio voto, ma una sua fase si Tutto questo discorso non Vuole esse modo, come potrebbe credere chi non coi idee in materia di politica e certi mie polemica, un'apologia della repubblica grazione della monarchia. Io ho inteso s care Giunio Martinelli e questa mia crìtici accettata da uomini d'ogni partito perche camente alla luce della ra^one e quindi temente da ogni pregiudiziale di partito. / a me, dal momento ch'io accetto la tee dei partiti, — generi politici che corri generi letterari della rettorica e che h soltanto come puri strumenti pratici, come adatti per svolgere l'azione politica che i giusta, — ritengo che in Italia la questii naie sia oggi di pochiisima importanza e repubblica l'Italia continuerebbe ad ani poco male come con la monarchia. Noi i coscienza repubblicana come non abbian monarchica appunto perchè non abbian politica. Da noi la politica non si ca[ come parassitismo e nepotismo. I grandi pi Scritti IHierlatì aìonale à lasciano indifinentL Lo stesso prin- Dnitarìo non fc affatto vivo, specialmente nel set- ne. Ma per liberarci da questi naH bisogna ttere ogm materialistao, da quello dà socii^lti nanonaBsti a quello di Gunio MaitìnelG. n SHELLEY POETA PL 1- '. Secondo Emilio Cecchi» Shelley è grande perchè è uno dei maggiori profeti della poesia panica, di quella poesia che ha avuto la sua espressione più compiuta nelle liriche naturalistiche del Carducci (Canto di marzor Mattino alpestre,,,,) e maggiormente nelle Terze Laudi di Gabriele D' Annunzio ; e anche — possiamo aggiungere noi — nelle Poesie religiose e in molti luoghi dei poemi di Mario Rapisardi. Quest'interpretazione di Shelley è molto discuti- bile, tanto che il Cecchi stesso dichiara che quella pretesa poesia panica si manifesta in movimenti la cui sostanza quasi ci sfugge, essendo un perenne desiderio e non mai un possesso, anzi, pili che un desiderio cosciente, una tendenza della quale lo Shelley stesso non si rese mai conto, giacche (sempre secondo il Cecchi) egli morì prima di essersi messo a fronte del proprio segreto. A me veramente non pare che i poeti abbiano dei segreti e credo che, per poter valutarli, piii che r indagine assai problematica su un preteso loro se- greto, giovi lo studio delle opere che essi ci han 124 Scritti liberisti lasciato ; e nel caso presente, non vedo che cosa si potrebbe concludere anche ammettendo che il fondo dell'anima shelleyana fosse il nuovo ellenismo. Non bisogna confondere 1* autobiografia con la liricità. I poeti son poeti non in quanto si ritraggono generica- mente o aneddoticamente nelle loro opere, ma in quanto creano delle sintesi fantastidie. Tuttavia crediamo che il contenuto della poesia shelleyana sia stato colto con più esattezza da Gio- vanni Boine. Il Boifie^ celebirando il tone«tlo ofiiver- sale concreto <£ Hegel — seeeweb il quale 3 mondo si gonfiEa di tutta la realkà eMgHiM al db tìi degli antichi confini suoi — e«ce m questa bivet- tiva eh* io non intendo ptrò giw^fiearet Dico elle Shelley è nh febbi-o malato peréti ciffita die < tém ed oceano sembrano dormire Tufitt ne^ bmccia dell'altro e sognare di onde» di fieri, A nuvole, di boschi, di rupi e di lutto ciò che Mi loggkaao nei loro sorrisi é che chianàatto realtìl »• Dico che è un ebbro perchè vi è in Im attraverso un pefp<ftM sognare una colpovolmenle insod^sfaita aspiraziette di irreale realtà ; perchè ogni cosa, ogtH illuéiettfe Wà cosa è, secondo la parola sua, « preture sogno ». Ma io sono nato e non sogno: io ttvo, io èohe reale, io ho in me tutto Tunirerso reale. Come si vede, il Boine accusa lo Shétfey H Aon essere un poeta panico e di essere inveto I* opposto : un poeta platonico. Il rimprovero che por queilo crede di dovergli fare non è certo giustificalo. I pòe^ non hanno affatto il dovere di diventare hegeliaiii SheIÌ€3f poeta platonico 125 Essi devcuio invece creare delle immagim artistiche prendendo V ispirazione dove neglio credono. II oon^ tenuto, preso astrattamente, non signiBca nulla : dal-* l' artiila doUuaao volere che un contenuto qualsiasi sia diventato arte. Pare inpossihile, ma anche gli spifiti più coiti non si sono ancora dedsi ad abban- donare del tutto r esletica del contenuto, nonostante che essa sia stata oontutata dai teorid più opposti, i quali convengono oramai che V arte non è ne un pas- satempo o un mezio ped^ogico come credevano gU edonisti e i moralisti, ne uno strumento scientifico come credeva Cocco d' AscoU, ma è arie pura, arte aenz' aìtto* fai pratica V estetica dd contenuto rimane più viva che mai. Anehe Ardengo S^&ci, che si psofesaa 'uhraoubista, mentre dice di sostenere il prin- ci^ della pittura puca, cmde poi, in virtù di questo principio, di dover separare recisamente la pittura dalla poesia e accusa la pktura tradiàonale di let- terarietsu solo peichè le sue immagini sono veiosimili mentre egli vorrebbe ohe le imnuigini della pittura mancasseio di verosigiigUanza, vale a dire che aves- sero un contenuto speciale. A ogni modo, tornando allo Shelley* è indiscu- AÌÌ9 che il contenuto delle aue poesie è non panico ma platonico, oome abbiamo detto. Lo Shelley ha vimsimo il senso deUa trasoondenza, dell* idealità che non pas^, deUa cadomtà dalle cose ; e nel QiuUano t Maddcàù accenna con malinconia a quetfa terra dov* ^ oo^ poco A trascendente ; e m^a Maga deW Atlai^ pada di pemìeeì felici di speranza ■• 126 Scrìtti liberisti troppo dolci per durare; e una profonda mestizia e un acuto desiderio di un mondo più bello pervade r Alastor e Y Epipsychidion ; sicché con ragione il Bardi ritiene che 1* essenza della poesia shelleyana sia definita dal distico del Caducei : L* ora pre- sente è in vano : non fa che percuotere e fugge. - Sol nel passato è il bello, sol nella morte è il vero. (Senonchè, invece che nel passato, io credo che dovrebbe dirsi tanto nel passato che nel futuro, cioè nel non presente). Ma il platonismo dello Shelley è vigorosamente affermato nel più dolce dei suoi canti, nella SemitìvOf che noi adesso analizzeremo, valen- doci della traduzione del Sanfelice, per mettere in luce non che esso esiste (essendo lo Shelley un poeta, per quello che abbiamo detto, questo importa pochtS' simo), ma che 8*è trasformato in una creazione emi- nente lirica e originale. La Sensitiva si apre con la descrizione di un giardino, ma non con la descrizione che potrebbe fare un botanico e tanto meno con un inventario o con una fotografia : i fiori vengona colti nella loro vita o meglio in un loro ritmo ideale che si può significare con le parole della Chiesa di Polenta del Carducci : Una di flauti lenta melodia — passa invisibile tra la terra e il cielo : — spiriti forse che furon, che sono — e che saranno ? — Un oblio lene de la faticosa — vita, un pensoso sospirar quiete — una soave volontà di pianto — 1* anima invade. — La Sensitiva cresce nel giardino e i giovani venti la nutriscono di argentea rugiada ed essa apre alla Shelley^ poeta platonico 127 luce le sue foglie a ventaglio e le chiude sotto i baci delia notte. E la primavera si leva come lo spirito d* amore onnipresente e ogni pianta si desta dai sogni del suo riposo invernale. I fiori sono animati. Fre- mono e palpitano di felicità e mescolano il loro alito al fresco odore delle zolle erbose come la voce allo strumento; fissano gli occhi in fondo al ruscello fino a che muoiono della lor cara bellezza : e il giacinto vibra dalle sue campanule un dolce mormorio di musica così delicata, dolce e intensa che vien per- cepita come un odore ; e alcuni fiorellini, languendo col languire stesso del giorno, cadono in padiglioni di vario colore a riparare la lucciola dalla rugiada della sera. Il ruscello, ornato dalla luce che viene, dorata e verde, di tra il cielo dei rami fioriti, e lieto di ninfee e di bottoni acquatici, scivola e danza con un moto sonoro e luminoso. I fiorì, i quali sono parago- nati agli occhi del fanciullo che si desta e sorrìde alla madre, splendono al cielo e colgono gioia ognuno compenetrato dalla luce e dalla fragranza del vicino, come amanti che la giovinezza e 1* amore fanno intimi r uno air altro. In quest* immacolato paradiso dove le ore passano come le nuvole sopra un cielo tenero e senza vento, la Sensitiva che non è bella e non può dare agli altrì la gioia dell* amore che la pervade tutta è il centro affettivo di tutti i fiori e di tutto il mondo circostante che lo Shelley evoca con le im- magini più musicali. E quando — lasciamo senz'altro la parola al poeta senza immiserirla con i nostri sunti — quando scendea la sera dal cielo e la tena era tutto 128 Saittì liberuU riposo» e l*arìa era tutu amore^ o il «filetto» benché meno luminoio, era asaai {hù profondo, e il vdo dd gJM>nio cadeva dalla regione dal aonno» e ^i animali e gU uccelli e gì* insetti erano immersi in un oceano di sogni senza un suono; le cui onde non lasciano tracce benché improntino sempre la lieve sabbia che ne copre il fondo, la coscienza (solo in alto il soave usignuolo cantava sentire più soavemente quanto pìii declinava il giorno e ondate del suo canto elisio si mescevano al sogno della SenaitivaX la Sensitiva era la prima a raccogliersi nel seno del riposo; dolce fanciullo stanco del suo [tacere, il pm delxJe eppure il prediletto, cullato nell* abbraccio della notte. Non siamo, come si vede, in un guardino reale, ma neir anima mel^icomca e dolce del poeta eh* è naufragato nel mare di Viaregg^), Un critico supei» fiàale, parlerebbe di antropomorfismo e di panpsi- chismo, ma qui siamo invece in presenza di una lirica. Nella quiJe si posson trovare f aci irae oie, wdendo cerr care dei concetti, 1* antr^qxmiorfismo e il pai^iichismo e me^o ancora il platonismo perché tutti gli affetti die vengono attribuiti alle cose inanimate son consi** derati — lo vediemo fra poco -* come appartenenti a un mondo piik vivo e più duraturo del nosb'o; senonché non bisogna dimenticave che ci troviamo di fronte non a idee ma a igituagini : non c*i n^minmio 1* ombra d'un rag i onamw t o o d*una foimulazione qualsiasi in tutto quello che abbiamo ricordato» servetta doci assai largamente *-* si noti bene — delle parole Shelley poeta platonico 129 dello Shelley, che abbiamo, anzi, in parte, tradotto in linguaggio concettuale. Ma è nella seconda parte dèi poemetto che si rileva in tutta la sua grandezza 1* arte shelleyana. Il giardino non h abbandonato. Vi era utì potere in questo luogo soave, un' Eva in questo Eden, una Qrazia dominatrice, che era ai fiori, vegliassero essi o sognassero, come Iddio al mondo delle stelle. Questa Dama, miracolo della sua specie, senza nessun compagno di stirpe mortale, ma forse sposa di qualche lucente spirito che per amor suo lasciava il cielo quando le stelle vegliano, attendeva ai giardino éà mattina a sera nel sorriso e nella gioia di tutta la natura. Il suo passo aereo sembrava aver pietà del- l' erba che premeva la cui orma leggera era subito cancellata dalla sua lunghissima capigliatura, sicché i fiori gioivano at suono dei suoi piedi gentili. Ai fiorì essa dedicava le sue cure più tenere fino a svuo- tare t calici di quelli appesantiti dalla pioggia. Se fossero stati i suoi propri bimbi — dice il poeta — non avr^be potato curarli più teneramente. E mentre faceva i suoi angeli servitori detle api e delle f«r- faHe, portava via gli ammali nocivi in un canestro d^ indmna tessitura pieno dì erbe e di ion silvestri, i più freschi che le sue mani gentili potessero cogKere per i poveri anifiàaìi banditi, la cut inlenzicme benché^ facessero del male, era innocente. Questa creatwa bellissima ht V anima del giardino fino all' estate e, innanzi che la prima foglia ingiallisse, morì. Intorno alla persona fisica di questa donna non 130 Sentii liberisti sappiamo quasi nulla. Elssa non somiglia affatto a una di quelle donne esuberanti di vita che sono 1* ideale del panismo. Più che una donna, anzi, essa è uno spirito; e muore prima che sopraggiunga l'autunno perchè la sua vita terrena è coordinata a quella delle foglie delle sue piante amatissime. Questa donna è il simbolo più puro e più vivo dell* etemo femminino shelleyano, ma non è di questo mondo. Ci rimane impressa nella memoria come una persona familiare e cara supremamente, inst non si sente la necessità d'immaginarla bruna o bionda, alta o bassa. È un sorrìso, una carezza ; ma un sorrìso e una carezza indi- viduati, non qualcosa di astratto ; il sorriso ben noto di una persona cara di cui non rìcordiamo più la fisonomia e che quindi si confonde con la persona stessa ; l' unica carezza indimenticata che un cieco ha avuto, quand' era bimbo, dalla mamma che subito dopo gli è morta. Il giardino, dopo la morie di quella fanciulla che era la sua anima, muore. Il poeta s'indugia qui in una descrìzione rìcchissima d* immaginazione e di sen- timento, ma alquanto prolissa : è uno dei pochissimi appunti che si possono fare al capolavoro shelleyano, anzi allo Shelley in generale. Le erbacce coprono tutto. La Sensitiva piange desolatamente e presto muore anch' essa. L' inverno distrugge tutto, ma, al rìtomo della prìmavera, la Sensitiva rìmane una rovina mentre le mandragore, i funghi, le barbane e i logli rìsorgono. La Dama muore prima dei suoi fiorì ; ma, morto Shelley poeta platonico 131 il loro angelo tutelare, i fiori non risorgono più. C*è tra la Dama e la Sensitiva, come tra il cuore di Alastor e la luna, un'intima corrispondenza; anzi lutto il poemetto è animato da un sentimento di fra- ternità francescana, il quale però è soltanto un ele- mento delle immagini, un ritmo immanente in tutto il poemetto. La chiusa poi è rigidamente antitetica col nuovo ellenismo di cui parla il Cecchi. Prima di tutto h affermata resistenza di un mondo trascendente (esistenza che — occorre dirlo — non ha nessun va- lore metafisico, ma è un puro motivo d* arte, una crea- zione fantastica), poi è affermata quelF intuizione alta- mente pessimistica della vita eh* è presente in tutto il poemetto. (Abbiamo visto che i fiori e la Dama muoiono per non rinascere più mentre le erbacce ri- nascono rigogliosamente; che gli animali esiliati dal giardino fanno del male e sono innocenti; e la nota dominante del racconto è la malinconia, una malin- conia soave come quella dei romantici versi carduc- ciani che abbiamo citato o come quella della can- zone petrarchesca Chiare^ fresche e dolci acque). Io non oso indagare — dice il poeta — se lo spirito della creatura gentile che raggiava amore come le stelle luce trovasse tristezza mentre lasciava gioia ; ma in questa vita d* errore, d* ignoranza e di vane bat- taglie, dove nulla è ma tutto sembra e noi siamo le ombre di un sogno, vi è una fede modesta e pur bella a chi la consideri : credere che la morte stessa, come tutto il resto, dev* essere un* illusione. Ne il giardino né la fanciulla son passati via: siamo noi e 132 Scrìtti liberisti ciò eh* è nostra che siamo niu|ab« UamQi^ la bel- lezza^ I9 felicità non muoiono né cambàano. Si può essere più platonici di cossi? Un poeta panico avrebbe visto nel giardino il bìoaio della vita piena e avrebbe cantato non solo i fieri deUoari ma (e preferibilmente) anche quelle che Io Ì^Uey chiama erbacce. Lo ShdHey» descriverlo il giardino ceie& di fame una rivelazione <£ un mondo che boa muta e che non muore, dove gli abitai^ sono degUi esseri angelici. E che cosa e* è (K panico nella figura asce- tica della Dama, di questa sorelk piii perfetta del monsignor Mjnriel cU Victor Hugo ? Tutto il poemetto è costituito d* immagini di beUezza, di amore, di luce e di gioia (di una ^ia pacata, per nuHa orgtaslicaV della gioia del santo d* Assisi) ; ma la bellezza, Tamore, la luce, la gi(»a,. sono considerati q>parteii!ere a un mondo in antitesi stridente con questa nostra vita di errore e di dolore. IL GIOR NALE DELLA mimmmmmammmmmmmmm^mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmt GRANDE CRONACA t '' -*' svT Quelli che hanno l'abiludiiie di legger meote i [ùìt importanti quotidiani non ri avere della itoria contemporanea un'idea pietà come quella che della ttoria roman medievale >i ha dai libri che pure tono t ricchi di particolari; di dove la convinzioi che i giornali non meritino d'esser conserv per gii articoli dì letteratura o d'arte o i o di storia che al giornalismo vero e pn estranei. Quest' iniuffiàenza dei quotidiani è ne perciò h vano credere che una riforma poi minarla. E bene che il giornalismo si critii i tuoi più gravi difetti, essendo dovuti a di coscienza ^ornalistica e a piti o meno I ressi economici, scompariranno quando si sa namente afiermate alcune idee d'indole n per dare una visione completa della vita ranca occorre un nuovo tipo di giornale chi esclusivamente delta grande cronaca ciofc i avvenimenti che costituiscono materia di sti scuri tutti quelli d'interesse momentaneo e ci: 136 Scritti liberisti chiamare piccola cronaca, intendendo 1* espressione in un senso molto più largo delFordinarìo cioè inclu- dendo in questa categoria non solo la cronachetta dei villaggi ma anche quella più rumorosa e ugual- mente fatua delle capitali : la partenza del brigadiere e i funerali della principessa reale, uno spettacolo di marionette e la recita di un dramma di D'Annunzio o di Rostand, la rissa di due ubbriachi e un comizio all'aria aperta in onore di un Giordano Bruno cuci- nato per Toccasione. Il giornale della grande cronaca non potrebbe essere evidentemente il rifugio dei bocciati dalle scuole secondarie, ma sarebbe invece una gnuide or- ganizzazione di uomini colti. Ne potrebbe consistere, come potrebbe sembrare alla prima, nel sunto dei vari quotidiani, perchè così sarebbe preferibile al quo- tidiano dal punto di vista della brevità ma ne con- serverebbe, peggiorandoli, tutti i difetti. Le informa- zioni dei quotidiani sono dei franmienti di storia smen- talizzati e isolati dalle condizioni storiche nelle quali hanno avuto origine: sono analisi bruta; le informa- zioni dei giornale della grande cronaca dovrebbero essere diligenti, mature, profonde: dovrebbero essere pensiero. Meglio che i quotidiani, il nuovo periodico potrebbe sfruttare le riviste; ma le riviste sarebbero un sussidio non i dati fondamentali che dovrebbero essere attinti direttamente da uffici <li corrispondenza istituiti nei centri più importanti dd mondo« da inviati speciali e da tutti gli alti mezzi di cui dispongono i grandi quoti<£lani attuali. // giornale delta grande cronaca 137 Dato il >uo carattere teorico, il mìo gìoraale lasce- rebbe iadiBturbatì i quotidiaiii attuali i quali | rebbero coitretti a timitarsi alle loro due j easenziali che sono quelle di fornire le notiz! ciole con la massima rapùdità e quella di pro{ gl'inleresti dei singoli partiti. Dovrebbe essere neceMarìamente quotìdiaD gi(»iiale? Non l'escludo, ma è naturate che i invece settimanale o quindicinale o mensile o riodo ancora più lungo, potrebbe dare degli menti un resoconto più organico e più maturi Il giornale della grande cronaca, assai I per la cultura, sarebbe ud grande centro dì li cui potrebbero degnamente trovar posto tutti i seri e di ingegno che adesso si perdono o scono in quei due istituti d'informazione me che sono il giornalismo e la scuola. Sarebbe un'opera umanitaria. E anche — non me Io naso un'utopia, sopratutto per ragioni economiche ; di quelle utopie che diventano storia quai gruppo di uomini ardenti le sanno volere e i tare le quali consiste lopratutto ti dovere dei — ' ." * Le idee, in massima giuste, su que8t*argomentOft sostenute da Giovanni Nascimbeni, sono pervase da un errore analogo a quello che inquina le teorie este- tiche dei futuristi. Marìnetti sogna un*epica della vita moderna, intesa specialmente in senso meccanico, e ritiene che per cantare quest'epica, la miglioi; forma letteraria siano le parole in libertà. Fìq qui nulla di male. Quest'opinione riguarda soltanto Marìnetti e noi non possiamo far ahro che aspettare il suo poema epico. Se mai, discuteremo dopo. Il torto del Mari- netti sta nel sostenere che ogni poeta deve cantare la vita moderna e che la deve cantare in parole in libertà. E un torto analogo a quello che avrebbe avuto Pante se avesse sostenuto che tutti i poeti de-* vono cai\tare l'oltretomba e in terzine, per quanto egli avesse il pieno dintto di scrìvere la Divina Com- media. I pittori futyrìsti CQmm.^ttono pure to stesso errore. Essi hanno yn c^rto prof^amma di pittura che nessuno può discutere in quanto programma particolare, ma vorrebbero che tutti ì pittori fossero i fedeli esecu'* 142 Scrìtti liberisti tori di quel programma e perciò chiamano letterati quei pittori che dipingono conservando un certo rap- porto puramente estrinseco tra i loro quadri e gli oggetti naturali che li hanno ispirati. Il pittore che fa un capolavoro dipingendo un uomo, non fotografica- mente ma liricamente, sarebbe così im letterato* E evidente che i futuristi non solo vengono a limitare Tarte ma non superano per nulla il punto di vista fotografico. Quel capolavoro in cui è espresso artisti- camente un uomo non è visto da loro in quanto arte ma in quanto fotografia e rigettato perchè è (astratta- mente) una fotografia. Giovanni Nascimbeni teorizza dogmaticamente non i suoi programmi d*arte come i futuristi, ma il suo metodo critico. Nella sua qualità di critico ha piena- mente ragione di trascurare nella musica gli elementi pittorici, simbolici, filosofici o meglio di valutarli non in quanto elementi descrittivi, fotografia, ma in quanto elementi musicali e perciò da accettarsi o respingersi a seconda che siano o no diventati arte. Così si può benissimo non tenere in grande considerazione quella specie di leitmoth dantesco, come dice felicemente il Nascimbeni, che è il numero 3 o la parola s/e/Ze, ma questo non significa che si possa trascurare Tanima di Dante. E il Nascimbeni non ha per nulla trascu- rato Tanima di Wagner, anzi ha tenuto conto del- Taneddotica wagneriana e ha riprodotto un ritratto di Wagner e nelle opere di Wagner ha ammirato la passione, il sentimento, la liricità. Se fossero state opere arcadiche, opere di Wagner senza Wagner, Musica descrittiva e musica pura 143 anche se mancanti di elementi descrittivi, il Nascim^ beni non le avrebbe prese in considerazione. Una bella musica malinconica ^ bella non perchè sia malinconica ■— questo è giustissimo — ma perchè è lirica; ed è quindi pure vero che un insieme di suoni non malinconici né allegri né in altro modo descrittivi, quando siano Teffetto di un puro capriccio non hanno nessun valore artistico. Davanti a una musica malinconica, il Nascimbeni ha il pieno diritto di considerare la malinconia, non come malinconia empirica, ma come liricità, ma non ha affatto il diritto di accusarla di fotografismo per il solo fatto che è, empiricamente, malinconica. Ma, direbbe il Nascimbeni, la malinconia — e in generale gli elementi descrìttivi - superano il campo d'espres- sione della musica. E un errore; e quegli esperimenti fatti per provare se un pezzo di musica in cui Fau- tore aveva creduto di descrivere Taurora o il tramonto dessero l'immagine dell'aurora o del tramonto in ascol- tatori che non conoscevano l'intenzione del musicista, si potrebbero anche fare per la pittura o per la poesia, alle quali il Nascimbeni riconosce la capacità descrit- tiva. Se, per esempio, un pittore crede d'aver rappre- sentato un uomo che dice un verso di Mario Rapi- sardi, tutti s'accorgeranno che l'uomo parla, ma nes- suno potrà determinare che cosa dice ; ne si potrebbe avere l'immagine di una fanciulla descritta da un poeta se non si conosce la fanciulla. Ma queste sono osservazioni da fotografi e non da critici d'arte; Il critico d'arte sa benissimo che il ,d 144 Scritti liberisti campo d'espressione delia musica e di qualunque arte è l*anima umana ; e come dà diritto al pittore di rap- presentare un uomo purché Io rappresenti artistica- mente e non fotograficamente, così deve dare al mu- sicista il diritto (B trasformale m arte gli ^emeoti descrittici. Aache raimamentario drammatieo piik gfoV solano potrebbe essere indispensabile porcile ima frase musicale avesse tutta la sua vita; e una statua rappre- sentante un uomo può essere un cqx>lavoro anche se possiede elementi che presi astrattamente sono natura bruta; e un ragionamento filosofico può essere indt» spensabile a dare una limpida intuizione lirica* come credeva Edgardo Poe. NON SONO TURE. Il mio gentile amico Aristide Contessi mi manda da Monza un ritaglio del Popolo d'Italia contenente un articolo di Francesco Meriano su un nuovo libro di Giovanni Papini che si intitola, a quanto pare, « La paga del sabato » e ch*è composto di articoli politici già pubblicati in Lacerba, nel Popolo d'Italia e nel Carlino. Francesco Meriano, for^e per chiudere — diremo così — liricamente il suo articolo, crede opportuno di rimproverare Papini per aver citato nella prefazione del suo volume non so quale mia frase. Papini — dice Meriano — ha fatto male a citare un giovane d'ingegno, ma che la partecipazione alla guerra ha evidentemente turbato. Cosa che, certo, se ci andrà, non avverrà a lui. Vero, anima sua? ecc. ecc. La partecipazione alla guerra mi ha dunque, evi- dentemente, turbato. Dal momento che si tratta d* una verità evidente, non e* è che da accettarla e buona notte. Ma se poi non si fosse così illuministi da accon- tentarsi di quel Joli « evidentemente », Francesco Meriano perderebbe certamente almeno un pochino .^'" ■.A3 148 Scruti liberisti della sua invidiabile presenza di spirito. £ se gli domandassimo di metter d' accordo questo suo giudizio con le lodi esagerate che ha fatto alle mie note di guerra nel Qiomale dell' isola e qui nella T^iana, dove arrivò a stampare che bisogna leggerle per vedere come combatte e come pensa il popolo più intelli- gente del mondo, nemmeno ricorrendo alla dialettica di Hegel si po^ebbe, evidentemente, salvare. La partecipazione alla guerra ini h^ turbato. Ma n^Etuneno per ombra I E Meriano può persuaderai d^l ^uo sbaglio, se non vuol far la. fatica di leggere atten- tamente e.ijitegralmente i miei scritti, intenogando lo stesso Papini che nù ha visto, ritornare alla guerra. Francesco Meriano nota pure eh* io sono tutt* altro che d'accordo col Papini. Ora, se 1* accordo coUr Papini deve consistere nel trovare nel libro del Papini (che io — ripeto — ncm conosco) soltanto la verità e tutta quanta la verità, come fa Meriano, certo io non sono per nulla d* accordo cpn PapinL Osserverò solo, tra parentesi, che il pedissequismo è la forma pili triviale del disaccordo e che il cosiddetto disaccordo è molte volte il più sublime accoi;do. Dair intonazione dell'articolp si potrebbe .però pensare che il mio disaccordo con Papini e il mio turbamento si debbono intendere come geansy[io^ia. E anche qui devo rispondere che se per ajujtipapi' nismo e germanofilia si deve intendere la non accet- tazione delle ingiurie che Meriano ripete contro Croce, il cui pensiero si ridurrebbe a banalità o. a tautologie, io merito pienamente 1* accusa di antipapinismo o gei^ Noti sono turbato 149 Doanofilia. Ma (devo fare osservare, così, m scnrclina, che quMdo Rapini, nel Leonardo^ giudicava Croce con critèri esclusivamente intellettuali, pur discuten- dolo, lo lodava esageratameiifo ; e alla stessa discus- sione dava un carat te re di grande amabilità. Vi prego, gli diceva tra Tahrò, di non aderir troppo, alle toie ide^, perdio, se voi diventerete pragmatista, io sarò costretto a diventare hegeliano. E, quanto à Francesco Mériado, si può benis^o dire senza leggerézza che bdn è punto competente a giu<ficare la filosofia di Croce e che però farebbe bene a non ripetere giudizi che in Papini hanno dmeno una ragione e che in lui éonò degl* ittsdlti gratuiti. Se poi Menano intendesse dke che in non voglio una gueil^ sul setio, a fóndo, dedsatnente e aperta- liiéhte anttgèrmatiica, s'inganna ancora di più. Tutti i tniéi amici di Bologna potranno testimteiaré che io, pròprio dopo il secondo ritorao dalla guerra, ho dichia- fatò che, se n facesse ùìia spedinone nei Balkàni, io farei <fi tutto per parteciparvi, specialmente per battermi òon i tedeschi. E tutti saìAio coinè io dis- senta vivametate, quando si parià^ dell* invincibilità dei soldati dairèbno a dnodo; « come desideri che le pdtetae dell* Intesa ri fondane j^nittneiìte per battere ^1 sclfiò fl blocco ^dtmtìBÌeù. ti quide ha unità di tbafirHyvra -^ eseguisce tràn^uillalnéiìle cóntro Tlntesa la tiMcMà pei Imee interne -*- e non si può batterlo con picttò sucdeisso se 1* Intesa non gK oppone la manovra opposta ^ se quindi non diventìi un véro organismo. Siamo bene intési, amico e nemico Menano > 150 Scritti liberisti Non SODO turbato. La mia volontà di vittoria è divenuta, anzi, ora, più salda e più vasta. I miei scritti dei primi mesi di guerra potevano far pensare a chi non mi conosceva bene (e 1* approvazione incondi- zionata di Meriano credo lo confermi) che si trattasse d* un fenomeno solipsistico, destinato a ^solversi presto, come ogni solipsismo, in un vero e proprio fuoco di paglia. Ora invece il mio patriottismo coincide pie- namente con la mia individualità. Io non sono più un uomo privato ma un ufficiale di fanteria; e la mia qualità di ufficiale di fanteria abbraccia tutta la nazione ed è altamente umana. Io sono prima di tutto, sopra tutto italiano; se non che la mia italianità non è un'irosa, angusta negazione della giustizia, ma uno sforzo civile, supremo per realizzare la giustizia; non è rettorica, né campanilismo, né prepotenza, ma uma- nità. Sono per la vittoria piena, a ogni costo; ma sento la mia fraternità con tutti quelli che tentennano, con tutte le donne .che piangono. E ai soldati, a questi poveri paria che nella patria non hanno visto; prima della guerra, se non un* estranea o una nemica, so parlare ora con parole che, all'inizio della cam- pagna, non sapevo trovare, perchè non riuscivo a mettermi nel ritmo della loro anima. Io sono adesso convinto che nessun italiano mi è del tutto opaco e sento che non è vana la speranza di dare a tutti il mio entusiasmo. Ed entusiasmo significa silenzio e azione. Lai mia fede nella vittoria e la mia volontà di vittoria sono una sola cosa. E, se la vittoria è lontana» cosa importa? Basta che sia fatale. Non sono turbato Tornando per la leconda volta dalla | Menano, per turiummd che non comprendo il biaogno di fermanni in parecchie cita, tivo, con un' intentila nuova, che la patrii parola, lia pure suggeativa, ma una realtà t Sentivo come un bisogno d* abbracdare qi belliuima patria della quale tutti i ritmi < ctmiento ardente nel mio cuore. Vedevi luce piena di leduziom e di bellezza tul prima avevo visto con indifferenza. E i i mi apparivano come le note di un' unica mu L' Italia che io credevo dì conoscere era un' adesso ccnncidevo finalmente con l'Itali varia, fluente. E, ora che mio fastello % morto, non tono turbalo. Mio fratello era per la vitti vittoria ha dato piìt dì quanto doveva. La : di vittoria i dunque, ora, pia intensa, [ni In essa mio fratello rivive. •7^*m 1 W ^f^ Tutti quelli che non sono in guerra devono colla- borare alla guerra. I bombardamenti che gli austrìaci hanno fatto delle nostre città aperte, il lutto e il culto per i caduti in guerra» le privazioni che a tutti impone la guerra, sarebbero delle vanità se si continuasse a fare una distinzione assoluta tra combattenti e non combattenti. Tutti devono essere protesi contro il nemico. La piii pacifica casa dev* essere considerata dal cittadino come una trincea più sicura ma non meno ardua della trincea di battaglia. Il cittadino che non combatte deve anche lui fare la guerra, accettando con lieto cuore i sacrifici che la guerra gì* impone ; dando coraggio alle mamme, che partecipano pure alla guerra perchè seguono con ansia continua la sorte dei combattenti, ma da un punto di vista troppo ristretto ; alimentando la speranza nei combattenti e svolgendo un* attività per la quale i com- battenti siano costretti a vedere nel paese non un'accoz- zaglia d* imboscati, ma una parte, la parte più vitale di sé. . Per questo, occorre che la guerra sia Tidea^ domi- 156 Scrini liberisti nante dei cittadini, ranima della loro vita. Tutti devono volere a ogni costo la vittoria. E per ottenere la vittoria non basta vincere delle battaglie, ma occorre vincere completan^ente 1* esercito anzi la nazione nemica e quindi ognuno dev* essere al suo posto, ognuno deve fare la sua parte. Chi è atto alle armi deve andare a combattere, chi non lo è deve collaborare alla guerra nel miglior modo possibile. Imboscarsi è un tradimento. L'imboscato compromette la sorte della guerra per(ibè non fa quetiò sforzo còfAro il nemico ohe potrebbe fare ^ sopnttdtto pertfaè ÀdttiardScti^ i combattei^. Un imbonscato non è un eomtvattelit^ in meno, ma cenito combattenli intueitfo. il combattente^ quando sa che dej^i tiomiìii validi edttte 1m e piìnéK lui iKmo timaitti a casa, perde, ito gran pifirte, T entusiasmò. Uno dei compiti principali ^ quetit che ìém pdssobo combattere petéih non tdbnei ath gnieita è la lotta cèntro rifflbo^caitoentò. Chi tfeélia nel paeitetleve fare un'apologia sistematica del comt>aftt6ltt(e e una tinAu- tazione sistematica deH'^tdbòscatb. £ìgK defve mettere ito luce l'abiettézza detF imibosc&to, deve far vedere i::he rimboscato è un volgare, vigliacco idolatra d(ella pròpria peHe, un Uòmo ptt il <faét k peMe si éett anteporre dia patria, ail' onore, un uòmo tósi ciliito die per tm tutto va bene quando la propizia t>d!lè non è compromessa e die non ìli commuo^ é p&atero che, restando a easa, ògK tomnenta, sia patt m pMse minima, il disagio e il peritolo dei combattetod, perchè la parte che dovrebbe fare lui devono fatta gK altri « al pensiero che al suo posto c'è un altro Collaborare alla guerra 157 che soffre e forse muore per lui. L* imboscato è opaco a qualunque ideale. Egli non può intendere nessuna virtù, non può vedere quanta grandezza, quanto eroismo, quanta divinità animi il mondo. Gli uomini per lui sono come lui: meno dei bruti. Il combattente invece (s* intende quello che fa il suo dovere, perchè quello che non lo fa è, in fondo, un imboscato come gli altri) antepone alla propria vita la vita della patria, la giustizia; e, nonostante che abbia il terribile compito di uccidere, è limpido come la più limpida fronte di fanciulla, è a infinita distanza dall'assassino, perchè il suo braccio è strumento di giustizia e non di delitti e la sua vita ardua sa tutte le bellezze del sacrificio ed è senza macchia. Con- fondere il combattente con V assassino è uno dei più grossolani casi del pregiudizio empirista, è grossolano materialismo. Mettendo queste e altre cose in luce — dimo- strando, per restare nel campo pratico, la legittimità e la necessità di certe classi di non combattenti, che il combattente, nel suo limitato punto di vista, non suole vedere — può collaborare alla guerra il cittadino che ha il diritto anzi il dovere di non fare la guerra. E moltissimo e* è da fare nel campo della storia e della teoria della guerra. Se invece si chiude steril- mente in sé stesso, se non ama la guerra che si combatte e non si dedica a questa guerra con tutte le sue energie, egli attenta, come rimboscato, alla vittoria ed è un imboscato come gli altri. LA saENZA Cam ESPERIENZA ASSC i'jir;^^,3Br^^ Nel suo artìcolo su Henri Poincaré e la dottrina della scienza» pubblicato nella Voce del 1 5 agosto 1912, Guido De Ruggiero sostiene che l'elemento vitale delle teorie nominalistico^economiche della scienza positiva non sia Tidea deireconomia e quella del con- cetto astratto che non riesce a stringere la realtà, sicché le verità scientifiche sarebbero delle etichette, delle carte topografiche, delle vedute cinematografiche delb. realtà, in una parola delle convenzioni utili, ma Taccentuazione del momento dinamico e attuale della ricerca scientifica, del carattere vitale, creativo del sapere, delFelBcienza nostra nella scienza. Il concetto della convenzione utile ha valore solo dal punto di vista polemico, inquantochè non ammette col natura- lismo imperante che la scienza sia, come la filosofia per il naturalismo, la scimmia della dea natura, una semplice copia della realtà; ma questa negazione della tesi naturalistica, dice giustamente il De Ruggiero, è troppo poco radicale; e quindi consiglia di seguire la via additata da Kant con la sintesi a priori, elimi- i 162 Scritti liberisti nando il presupposto <]*una realtà in se al di là della scienza e riconoscendo la scienza come una realtà spirituale e vivente. La critica della scienza può ser- vire così d'impulso a un nuovo sviluppo. La teoria della scienza accennata in quell'articolo viene svolta ampiamente dal De Ruggero nel suo saggio su la scienza come esperienza assoluta, in cui viene sostenuta apertamente la tesi dell'identità di scienza e filosofia. Dal punto di vista, dell'idealismo attuale seguito dal De Ruggiero, questa tesi h d*un'evidenza imme- diata. Se le categorie sono molte anzi lignite solo dal punto di vista del pensato ma si riducono a una sola dal punto di vista del pensare, è evidente che non solo la scienza, ma anche l'arte, la religione, l'amore, la guerra, le più hitili inezie, colte neHa loro attualità,'sono filosofia, mentre viste, astrattamente, dal- Testemo sono tutta natura, meccanismo, errore. Tut- tavia il De Ruggiero ha ragione affermando che h lui che per la prima volta afferma questa verità nei campo dell'idealismo assoluto perchè, per quanto possa essere strano, nemmeno Giovanni Gentile l'ha affermato con la stessa nettezza; sicché, pure essendo questa una verità schiettamente gentiliana, non si può dire che essa sia, anche dopo lo scrìtto del De Ruggiero, ma- terialmente affermata dal Gentile. Il De Ruggiero però, nel suo studio, va troppo per le lunghe e imposta il suo problema ammettendo il principio che la scienza si svolga, ciò che, se viene ampiamente giustificato nel corso della ricerca, dal : I La scienza come esperienza assoluta 163 punto di vista didattico è un vero circolo vizióso* Se la scienza è sviluppo, cioè se essa non è semplice variare, puro divenire, pura immediatezza, ma è sintesi a priori, sensazion^e ^ssenziata e la filosofia è identi- candente sviluppo è inevitabile concludere che la scienza sia filosofia. Cosi, lungo tutta la xicerca, ve- diamo sempre il De Ru(i(giero a tu per tu con bivi, dilemmi, ostacoli, coi^ipìti ardui, gli vediamo fare dei riassunti che poi si ^asformano in rielaborazioni, Io vediamo fino alle ultime pagine in lotta con lo spettro della cosa in sé; sicché a un tecnico questa ricerca apparisce inevitabilmente come Topera faticosa d*un principiante^ e a un profano come un lavoro oltremodo tecnico e astruso. Il problema di tutta la ricerca è quello della sinitesi a priori. Il De Ruggiero sa benissimo che la conoscenza è sempre sintesi a priori. Lui stesso nel suo prezioso commento a quella riduzione della Critica della ragion pura che ha iitfitolato Penderò e espe- rienza^ sostiene esplicitamente, fin dalle prime parole^ che non è possibile ammettere dei giudizi dialitici e dei giudizi empirici accanto ai giudizi sintetici a priori, perchè tutti i giudizi sono sintetici a priori e gli altri non sono se non posizioni filosofiche oltrepas^ sate da Kant con la sua scoperta. Riteniamo dunque che il De Ruggiero non si doveva tanto indugiare sulla teoria della, sensazione come pura immediatezza, puro divenire, come pluralità e attualità senz*identità e su quella dell* intelletto come pura mediazione, come unità unmobHità, finità posribilità senza concretezza* 164 Scritti liberisti Egli doveva affrontare risolutamente il concetto di ragione come idealità attuale, come sensazione essen- ziata, come sviluppo, cioè identità neiralterità. Bastava fare un rapido esame della sensazione. La sensazione è pura immediatezza, puro contenuto? È possibile distin- guere la senzazione dalla percezione? Non è ogni percezione rispetto al progresso ulteriore de! pensiero qualcosa d*immediato? E d*altra parte, troviamo mai una sensazione cieca, una sensazione che non sia sintesi a priori di contenuto e forma? Risolto questo problema che il Gentile ha risolto, il concetto di scienza fatta e quello di natura si sarebbero rivelati senz'altro come astrazioni che hanno valore in quanto superati ()al pensiero concreto, si sarebbero rivelati nel loro valore dialettico, negativo e così non si sarebbe potuto sunmettere una scienza fatta, una scienza che non fosse coscienza; e allo stesso modo sarebbe stato assurdo distinguere dalla scienza una subscienza (una sensa- zione bruta) o una superscienza che si chiamerebbe filosofia, una filosofia che non si riesce a vedere cosa potrebbe essere se la scienza è sviluppo, o meglio, come nota il De Ruggiero, questa filosofia come istanza superiore alla scienza non è che un tentativo di sva- '^ lutare la scienza identificandola arbitrariamente con un suo momento cioè con alcune false concezioni della scienza stessa. Tuttavia non bisogna credere che io abbia Tinten- zione di ridurre il saggio del De Ruggiero in una forma che soddisfi meglio alle esigenze didattiche. Io accetto Topera del De Ruggiero nella forma tormen- La scienza come esperienza assoluta 165 tata che ha e consiglio di leggerla, per quanto ai critici della finzione utile potrebbe bastare l'articolo che ho citato in principio se essi sono ben disposti o meglio se vorranno persuadersi che quando trattano la scienza come arbitrio si sono completamente dimenticati della scienza e fanno all'amore con le nuvole. Rientrino un pò* nel vivo della ricerca e le nuvole spariranno. La scienza si rivelerà non come semplice soluzione, ne come semplice problema, ma come sintesi viva di problema e soluzione. E devo anche , avvertire che se dal punto di vista didattico il libro del De Ruggiero si presta alle accuse a cui ho accennato, d*altra parte questo carattere tor- mentato del libro, mentre fa quasi toccare con mano che il pensiero è sviluppo, è poi interessantissimo dal punto di vista letterario perchè rivela uno di quei drammi spirituali di cui il Papini lamentava la man- canza nella nostra letteratura (dimenticando, veramente, la Disfatta di Oriani e dimenticando che un altro di quei drammi Tha fatto perfino il Manzoni con la psicologia deirinnominato e che, in tutti i casi, questi son drammi che vanno cercati nei filosofi : la Scienza nuova^ da questo punto di vista, presenta più inte- resse di tante opere letterarie). Un appunto diverso dobbiamo fare a Guido De Ruggiero. Ammettiamo con lui che un vero con- flitto tra scienza e filosofia non sia neppure concepi- bile e che il conflitto che in realtà si agita è tra due filosofie una progredita e Taltra arretrata che non rie- scono a conciliarsi in una stessa mente. Però riteniamo ^ 166 Scrim liberisti che aÀ suo saggio egH non abbia adempito e quel- Fesigenza d'impulso a un miovo sviluppo ch*^li ve- deva neHe critiche delia scieusa se non a tìtolo pura- mente pregiu<fiziale. Questo nuovo svfluppo deve farsi sullo stesso piano di quelle critiche. La materia deve esseme la sci^iza, ma giudicata iiberis^cimefile o, se si vuole, col metodo gentiliano dell* immanenza, vale a dke non in base a formole astratte» a prin- cìpii doBunalici, ma atta luce del pernierò vivo. La ricerca del De Ruggiero, per quanto nnportante, è sempre una rielaborazione della CriUea della ragion para. La tesi deH* iiientità di scienza e filosofia è sostenuta senza venire a diretto contatto con la sciènza e si potrebbe ^stificare anche avendo della scienza una notbia rudimentale. Sé si accetta quella tesi, ma ci si disinteressa poi della sci^uca, non si è pratica- mente molto loalMii da quel campanilismo filos<^o ripudialo dal De Ruggiero che consi^ nel piantale' in asso la scienza per cercare la verità altrove. Non che si debba studiare soltanto la scienza positiva. Ci metteremmo improvvisamente in antitesi con quanto c*è di pia vivo nel saggio del De Ruggiero se dicessimo questo. Dice benissimo il De Ruggiero che il concetto di scienza naturale non è che un'astra- zione, il prodotto di una classificazione; atzi è chiaro che ogni ramo delFattività umana, visto dall'esterno, non h che meccanismo, anche la filosofia e andie l'arte intese come insieme di opere beli' è fatte. Chi studia dimque la filosofia in senso stretto non vive necessariamente nelle astrazioni: vive nelle astrazioni La scienza come esperienza assoluta 167 chi vuole scimmiottare la lealtà concepita ( ÌD se, qualunque cosa studi. Tuttavia il mento che ha dato il De Ruggiero alla sciei tificandola con la filosofia, rimarrebbe purai tonico se dopo di esso st lassasse da parte I. Occorre che la scienza sia fatta entrare : dell'alta cultura; occorre mettere praticamenl dopo d'averlo faRo in teoria, le opere scii le opere filosofiche ; occorre sfatare il pre^t la storia della scienza non abbia interes scienziato e che corrisponde a quello di e che la storia della filosofia non interessi i occorre far vedere che scienza e storia dell anzi scienza e storia, sono tutt'uno; occon parola, creare la storia della scienza ce rienza assoluta. INDICE ÌV-: m 3H-' r ( r.,.' [■- ■J-'l, i^ Q5 zi 3° '5! %^ o Ttli '^-^IDOU % J71290 UNIVERSITY OF CALIFORNIA UBRARY

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