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Monday, September 10, 2012

L' INSTITUTIO ORATORIA di Quintiliano -- e Grice -- storia della filosofia romana antica: la tradizione oratoria-rhetorica pragmatica

Speranza

 

Institutio oratoria
Quintilian, Institutio oratoria ed. Burman (Leiden 1720), frontispiece.jpg
Frontespizio di un'edizione del 1720 dell'Institutio oratoria
AutoreMarco Fabio Quintiliano
1ª ed. originaleI secolo
Generetrattato
Sottogenereretorico
Lingua originalelatino

L'Institutio oratoria ("La formazione dell'oratore") è l'opera maggiore di Marco Fabio Quintiliano e l'unica ad esserci interamente pervenuta.[1]

Dedicata a Vittorio Marcello, funzionario della corte di Domiziano, per l'educazione del figlio Geta, l'opera (databile tra il 90 e il 96 d.C.), compendia l'esperienza di un insegnamento durato vent'anni (dal 70 al 90 ca). Scopo di quest'opera è fungere da manuale per coloro che vogliano impegnarsi nell'educazione.

Il titolo dell'opera proviene dallo stesso autore, indicato da un'espressione contenuta in una lettera al suo editore Trifone, posta a premessa dell'opera. Si tratta di un vero e proprio manuale sistematico di pedagogia e di retorica, in 12 libri, pervenutoci integro.

 

 

Il primo libro fa parte a sé, trattando di problemi vari di pedagogia relativi all'istruzione "elementare" (una novità assoluta nel panorama culturale antico): dalla scelta del maestro, al modo di insegnare i primi elementi di scrittura e lettura, dalla questione se sia più utile l'istruzione pubblica o privata (e in questo lui privilegia la scuola pubblica poiché suscita nei piccoli l'attitudine alla vita sociale, stimolanti forme di competizione e crea amicizie), al modo di riconoscere e invogliare le capacità dei singoli discepoli, e così via.
Il secondo, invece, chiarisce la didattica del retore, consiglia la lettura di autori "optimi", né troppo antichi né troppo moderni, esorta gli scolari a praticare declamazioni attinenti alla vita reale (e a puntare comunque alla "sostanza delle cose"), con un linguaggio semplice ed appropriato.
I libri dal III al VII trattano della inventio e della dispositio, cioè lo studio degli argomenti da inserire nelle cause e l'arte di distribuirli;
I libri dall'VIII al X, dell'elocutio, ovvero della scelta dello stile e dell'orazione. Il X libro insegna i modi di acquisire la facilitas, cioè la disinvoltura nell'espressione; qui, prendendo in esame gli autori da leggere e da imitare, Quintiliano inserisce un famoso excursus storico-letterario sugli scrittori greci e latini (in cui compara Cicerone a Demostene), preziosa testimonianza sui canoni critici dell'antichità (ma i giudizi hanno un carattere esclusivamente retorico).
L'XI libro parla della memoria e dell'actio, cioè dell'arte di tenere a mente i discorsi e di porgerli.
Il XII libro (la parte "longe gravissimam", "di gran lunga più impegnativa" dell'opera) presenta, infine, la figura dell'oratore ideale: le sue qualità morali, i principi del suo agire, i criteri da osservare, il vir bonus dicendi peritus di catoniana memoria.

 

L'Institutio oratoria si delinea, dunque, come un programma complessivo di formazione culturale e morale, scolastica ed intellettuale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente, dall'infanzia fino al momento in cui avrà acquistato qualità e mezzi per affrontare un uditorio (il termine "institutio" sta ad indicare, propriamente, "insegnamento, educazione, istruzione", confrontabile col termine greco di "paidèia"): e ciò, in risposta alla corruzione contemporanea dell'eloquenza, che Quintiliano vede in termini moralistici, e per la quale individua come rimedi il risanamento dei costumi e la rifondazione delle scuole. Ma, soprattutto, propugnò il criterio del ritorno all'antico, alle fonti della grande eloquenza romana, i cui onesti principi erano stati sanciti dall'oratoria di Catone e la cui perfezione era stata toccata da Cicerone.
Le fonti dell'opera furono, quasi certamente, la "Retorica" d'Aristotele e proprio gli scritti retorici dell'Arpinate, anche se, a differenza di quest'ultimo, egli intende formare non tanto l'uomo di stato, guida del popolo, ma semplicemente e principalmente l'"uomo".
Di conseguenza, mentre le analisi di Cicerone s'incentravano sull'ambito strettamente letterario e larvatamente "politico", Quintiliano affronta le varie questioni con un'ampiezza tale di orizzonti culturali e di motivazioni "pedagogiche" da proporsi decisamente come un unicum nella storia letteraria latina.

 

Pur nella nuova situazione politica, in un impero unitario e pacificato, Quintiliano ripropone così il modello di oratore di età repubblicana, di stampo catoniano-ciceroniano; è nel recupero dell'oratoria per un nuovo spazio di missione civile il vero scopo di Quintiliano, in cui si risolve la problematica dei rapporti fra oratore e principe tracciata nel XII libro e tacciata, dalla critica, di servilismo dimenticando, a tal proposito, che egli doveva effettivamente molto alla dinastia Flavia (in particolare a Domiziano, addirittura osannato come sommo poeta) e la sua appartenenza apparteneva a quel mondo di "provinciali" che avevano un vero e proprio culto per l'imperatore, simbolo per loro dell'ordine e del benessere.
L'oratore perfetto deve avere, secondo Quintiliano, una conoscenza a dir poco "enciclopedica" (filosofia, scienza, diritto, storia), ma dev'essere - oltre che un "tuttologo" - anche un uomo onesto, "optima sentiens optimeque dicens" [XII, 1, 25], o - come disse già Catone - "vir bonus dicendi peritus".
Tuttavia, nel predicare questo ritorno a Cicerone, Quintiliano non realizzava che ciò esigeva anche il ritorno alle condizioni di libertà politica di quel tempo: in ciò sta il segno più evidente del carattere antistorico (se non "utopistico") del classicismo da lui vagheggiato.

Note [modifica]

  1. ^ Lavore, cit., p. 798.

Bibliografia [modifica]

  • Virgilio Lavore, Latinità, Principato, Milano, 1989 (11a ristampa della 2ª ed.)

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