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Saturday, April 13, 2024

Alvarotti

 97   DIALOGO DELLE UNGVE.    I NT ERLttC VTO R I,  Tìembo l Lazaro, Cortegwo , Scolte, 1 Lafcari, Perette.  odo dir,mcffer Lazaro, che la Signoria di Vettetia iìb\é condotto a legger greco, la» tino nello jìudto di Padoua:è ite ro qucUot Lai. Monfignorp. BtM. Che prouificnc è lauo* fira:Ls z. Trecào feudi d'oro. SEM. Mcffir Lazaro,io me n'allegro co mi,con le buo ne lettere, cr con li lludiojì dtqucUeicon noi prona,pe» roche mnonsòbuomonifjuno della uojìraprofcfiiioue t che andaffe prejjb d quclfegnOìOite fetc armato : eoa le buone lettere pOÌ,le qualida qui innanzi non mendicherà no la uìta loro pot(erc s <£r nude; cerne fono ite per Io puf* fitojrì allegro etìandia con lo jìudioj^rglijiudkfidi pa doua;cut finalmente è tocca in forte tale macero iquale tingo tempo hanno cercato,?? difidetatoMabuauifo^ the egli ui bifognerà fedisfar r.an tanto aSmmetsjo difi* àtrio, che hanno gli huomn i i d'imparare , quanto adunai infinta {paranza, che sha diuoijZrdetk uojha dottrina. Ikhe fare nuoua cofanon iti farà i cofifetc tifato d'affati* carni, cr con le uofbre bieuoli fatiche operar gloria in uoi,et in aiuruiuertù.LA2.Mojignor,(cmpremaiionba pregato Dommcdio^hc mi du grattaci occajìosc una  N uotd     DIALOGO    me ut concia: patti catdtopmow di Kd.RU per ztr* LtLmi^rtouoglu lidia, ^nadoncam  ritti che mfTuno a* è ^op^ etw / M g" S I itine pnfettmcntc . On* egl. e Jt m* CT MU  fi hLnU Éfee«W»e«^ è Aium» fi fattamente ,  f, prtri n***rrL«i Hetmi /ìmilmcOTtnaa *d £ feeinpret». ^mbeamcj^e^ndcmg^dacbe  m fammorttlipcrfM*. LA2, Ifcgjucojif <U« ,fenr icWi delolw&tectwto altre f ^«"f*  frtae:>£ di <pdk<dtre ne il deh «e W4,«    DELLE LINGVE. t)g  può recare il parlar bene attamaniera del uolgo. Bem. 1*2$ è ben uero,cbe tanto più uolontieri fi dotterebbe iin parar lalingua grecarla latina, che la Tofcanaì quan to di quc^a quelle altre due fono più perfette, er più ca* re. ma che la Tcfcafia da [prezzare dei tutfypermcn* te lo direi j parte per non èrebugia,parte per non parer dbauer perduto tutto quel tempo,che prender udii in ap prenderU DcUa bebrea.io non ne fo nulla: ma per quel* lo che io n'oda dirc,quan;o la Utina gli italiani, altrettan to o poco meno fiata la li Genna>ua.LAT.A me pare, quando m guardo, che talefia la uolgar Tofcana perù* fretto atta lingua Uttna ; quale la feccia al u'mo : pero* che la uolgar e non ì altroché la latina guatla^? corrot U boggimai dalla lunghezza del tempo, o dalla forza de barbari ; o dalla mjira uiltlPer la qual cofa gli italiani, U quali atto'ftudto della Imgualatina la uolgarc anttpon gono,o fono fcnzagiudiw, non dtjcerncndo tra ytcU lo , chcè buono, crnon buono io priui in tutto d'inge- gno non fon poffenti di pofiedert il migliore . Onde quthììauuiene,che noi ueggiamo auucnire di alcuna human* compietene :la quale fiemadi uigor natura* le nonbauendouertùdifare del cibo fangue, onde m m ilfuo corpo , quello in flemma cornate , che rende lo buomo da pocoì^r nelle proprie operatimù il fa ef= fere conforme atta qualità dcWbumore . Ma egli fi ud- rebbe dare per legge ad ogn'uno :a uolgariilncn parla- re latinamente , per non diminuir la riputatione di me- ■ fìa lingua diurna: a letterati, che mai da loro, fe non . cojbrtìti di alcuna ncceftità , non fi parlale volgare  U i atta    D I A L O C O  Si maniera de gli ignorantùacciocbel uclgo arrogante ton Vcfiempio&r autoritàde grandi huamini , no» preti* iefle argomento di far conferita delle fue proprie brutta rei & ai arte ridurre la fu* ignorantia. cort e G.Mef* (er haxaro , qui tranoi ditene il male che uoi tioiete di ùueflilmgm Tofamaifolamente quello non falche fe- ce Vanno pacato mejfer Romolo in quejia città ; il quale orando pubbcamente,con tante , er taliraghni biafimo total lingudAordfujbc innanzi bareitolto d'effer mor to famiglio di Cicerone, per batter bene latinamente par iato : che uiuer bora con quejia Tdpa Tofcano. L a z. Se io crcdefii bifognami perfuadere <t ifcokridi Padova , che la lingua latina fuffe cofa da feguitare , er da fuggir U Tofcana ; 6 io non u onderei a legger latino, ofbcrc* rei che delle mie letttoni paco frutto fe ne doueffe piglia* re, ebe dafe flcfli noi conofcendo t giudicarei,cb'ef$i man zafferò d'intelletto ,non fapendodtilmgueretra pnnei* pij perfe noti , strale conclufioni : il quale difetto non ha rimedio niffuno . Onde io tti dico , che pia toflo «or* retjiper parlare , comeparlaua Marco TuUio latino , che effer papa Clemente . Costig, Et io cono* feo di motti kuomini , che per effer mediocri Signori , fi (ontentarebbono d'effer muti, già non dico che iofta una didaeSo numero -.ma dico bene dicob con uofbra grati* , poi che il affitto è dal mio poco intetiettojo non tiedo per qual ragione debba Ibuomo apprezzare la Un gua greca , ne la latina > che per f aperte [prezzare , mi* tre, er corone, che fe ciò fujjfc, flato ferebbe di maggior égtàti il«iteJMK>i ol cuoco di Demoéìhene , er di Ci*  terone:    DI1IB LIKGVt 99  cerone : che non è bora f imperio, & il Papato , EhmbJ Non creggiate , etw incjjèr L«&fre bramifolamente Lt lingua latmadi Cicerone, la quale era commune a lui t cr gli altri Romani : ma mfieme con le parole latine e* gli difìdera [eloquenza » o 1 ftpienza di lui : che fu fu* propria y ertoli d'altriita quale tanto più ecceUentt dee riputar fi d'ogni mondana grandezza, quanto aWal* tezza de principati fi [ale per fucccfbonc,o perforte,out a quella delle feienze monta. [anima nofira non con altre: ali, che con quelle del fuo ingegno ,%r della fua indù* foia . Io fo nuUa per rifletto a quegloriofi : ma qudpo* coccio nefo delle lingue, non lo cangierei al Marche* fttodi t&antoua . Laz, lonontredo Monfìgnor mio, ckeuoicrcggiate>cbe molti de Senatori, vde Confala* ri di Roma , non che tutta la plebe coft latino parlale » come faceua lAarco TuIlioiaMicuilìudijpiu fu Rem* obligata,èic alte vittorie di Cefare. Onde io difli,ty />£>= n dicodinuouo , che più i)limo,& ammiro U linguaio» tino, di ciccronctcbe [imperio d'AUgujìo. T>eUe laudi del la qual lingua parlarci al predente >non tantoperfodhfa* re aldiftderio di quefìo gentiluomo da bene, quato per che io fono obligato di farlo.ma otte uoificte,non fi con* «iene , ée altri che uoi ne ragioni : 0* chi faceffe altra' mcnteftrebbe ingiuria alla linguai egli farebbe («ih» toprofontuofo. Bem, Quejlo ufficio dilodar Ulingu* latina per molte ragioni dee effere mjbro ; parte per ef» fergiàdejlinatoad infegnarla pubicamente : parte per ejferltpiu partigiano che non fono io , il quale non tifli* no cotante: fi che però io difèregi la uolgare Tofana :  n $ cr    DIALOGO  <jr a tcbe io non la prepofi fe non ad un Mirebefatoyoue ■ci Ihauctc me [fa difopra all'imperio di tutto l mondo . Dunque a uoi tocca il lodarlaicbe il lodandola farete grt to iUa ]xngui,atta quale il nome uoflro,cr la fama uofhra è grandmane obligata: cr con quello buongentilbuo* ma corte fanente apcrarcte, il quale dianzi non fi curò di confeffire d'bauere anzi dello feemo, che nò, per udir uoi ragionar della fua ecceUenZd.L AZ.Et io, poi che UO lete cofi ; uolontieri la loderò , con pitto di potere ìnfìe* inamente bufano- la uolgarcje uoglii me ne uerrà; feri* ZA che uoi (babbiate per mule. B e m. San contento : mi fu ilpatto communc,cbe quaio uoi uituperarete; io pofa fa difendere. L a z . Volontieri. ma a noi gentiVbmmo dico,cbc io poffo bene incominciare a lodare labuond lin gua latina, rendendouila ragione perche io la preponga, atta fignark del mondo ; ma finire non neramente, tanto ho da dire intorno a quella materia : non per tato mi ren do fìcuro , che quelpoco } cliio ne dirò, ui perfuadcrà ai efferle molto più amico , che uoi non fiete al prefente al* Ù corte di Roma. Corteg, Qucfto uoi farete da* poi. bora io uoglio per lamia parte , che qual bora cofi direte,cbe io non intenda , interrompendo il ragionamen to,poffapregarui, che la chiariate. Laz. So» con* tento. Dunque fenza altro proemio farejo dico incornine cimio,cbt quantunque in mite cofe ftamo differenti dalli Muti animali, in quejl'una principalmente ci difcoliiamo da Lorójche ragionado^fcriuèdo comunichiamo (un (al tro il cuor nojbro: laqualcofanon poffano fare le bel tic. Dunque fe cofi è, quettipiu diuerfo fari dotta natura dé    DELLE LINGV     bruti , il qu*k parto ì er fcriuerà meglio. Per la cofa chiunque ama d'ejfer kuomo perfettamente , ceti o= giti Audio dee cerare 'dì parlare , er fcriuere perfetta* mente : er chi ha ucrtìi di poterlo fare , ben fi può dire * ragione lui effer tale fra gli altribuomini,quali fatigli buomini iftcfc per ricetto alle tejiie . qua! tutti di parlare,^ deferiucre i Greci e? Latini quafi uguabnè* te j appropriarono. Onde le loro lingue uègono adefur qucUexbcfole tra tutte {altre del mondo ci (anno diuerfi per eccellenza dalle barbare^ dalle irratioitaU creata re. Et è hi drittoiccnciofta cofa che tra poeti volgari ufi tiouerìhabbiajhy.taleagiudicio de liarcntinipcffitag* guagliarft a virgdio,ad Homero, ne tra foratori a De= molibene,oaì\ùrco Tullio, Lodate quaiouoltte il?c trarca,et i 1 Bocca«io,Nci no farete fi arditi,cbe ne egua Upò>ne inferiori troppo nicini li facciate alli antichwn- Zi da loro tanto lontani li lrouerete,cbe tra quei rifares- te cft d'annoverarli . Hcra no ucglio nominar d'un in n* no i jeriffori Greci, et Latini di gradcjcccllòta,cb'io «3 ne Marci a capo in unmefe : ma fon cotento di quelle due copie. troucrajii a cofloro in altra lingua alcun paref di" rò di memai no fono di fi rea uoglia,ej fi fW/to.cbe leg* gelido i lor uer/i er Icrationi Icro^on mirallegri . tutti gli altri piacer iMtigU altri diletti, fejìcgiuochijuoni, caulinno dietro a que^uno.ne dee b«omo merauigliar fene,però the gli altri folazzifono del corpo jet quello è dell'animo . onde quanto èpiunobile cofa rinteflettodel Jen/o, tante è maggiore et più grato quejlo diletto di tut* ti gli altri. Coki. Beri iti credo ciò ebe dicete ipe*  N 4 roche    DIA LO G O  roche qunlunche uolta io leggo «tirane noueUe del nojbro Boccaccio, hnorno certamente di minor fa\na t che Cice- rone nmè,Ìo mi fento tutto cangiare : majìtmamente leg genda quelli di Rujlico,&- d' Alibechrf Akthiel, di Pc ranella,^ altre cot4li,liqualtgouernatioiftntimenti di chi le legge , cr fanno fagli a lor modo , Ver tutto ciò io non direi ioutr buomo arguire f eccellenza d'alcuni lingua : più lofio credo U natura de le cofe deforme bd= vere uirtà d'immutare il cerpo,er la. mente di chi legge. B e m. Qucjìo nò,ma la facondia è fola,o principale c#> gtone di far in noi cofi mirabili effati. ey elicgli fìa ti ue rojeggetc Virgilio uolgareMo'-o Remerò, ey il Boc* caccio mnthofcanoiv non faranno quefti miracoli, dunque meffer Lazaro dice il «ero, quando di idi effetti pone la cagione nelle lingue . JM i non proua per qucjìo tafua ragione non fi doucr imparar altra, lingua , che U Istmo, i ej la greca : perocbejc la nofha volgare froggi= di no» è dotata di co fi nobili autori: già nonècoftimpof: fMe,cbe ella nbabbia,quando chejia poco meno ecc cl- ienti di Virgilio,©* d*Romero : cioè che tali fiano nella Ungi wAgare,qualifono cofloro nella greca,ty nella la* lina. Lai. Quando cgliamtcrra , che la hngtu hoU gxrehabbiaifuoi Ciceroni,ifuoi Virgili j,ifuot Romes rUy i [noi Xìemoflbcni iOÌlhoraconpglierò che ella fia cofa da imparare , come è bora la latina , ©- lagreca . Ma qucjìo mai non farà: conciona cofa che la lingua non lo patifee per efjer barbara ,fi come ella è ; er non capace ne di numerose di ornamento . Che fe que quat* tro,non che altri, rinafeejfero un'altra uolta, © con l'in- gegno.    DELIA 1INGT A. IOI  pgm,e con {"industria mcdefima,con la quale grecami" te cr ùtinmente poetarono cr orarono , parlaffero er feriueffero uoìgmncte^i no [{irebbero degnidel nome foro . Non uedete mi qaejìa pouera lingua batterci no* mi non declinabili, i utrbifetrzA coniugatone , cr /f nzd participio ;er tutta finalmente fetxtd niffuna bontà* CJ* meritamente per certo: contiofiaa>fa,cbe per quello che io n oda dire da fuoifeguaci , la fua propria perfettionc eofftc nel dilungarfi dalla lamaìneUaquale Miele par* ti dell or adone fono intere e? perfette.cbe fe ragione mi tajje di biafmurla, quejìofuo primo principio , cioè/co* farfi dalla latina,* ragione dùneflrdtìua dcSafua pravi* tà . Ma che i ella moiira ncUafua fronte d'bauer battuto la origine,e taccrtfeimcnto da barbari, cr da quelli pritt cipalmente,piu che odiarono li Komam t cioè da fracefv, tt da Provenzali : da quali non pur i nomi,i uerbi, ©* gii tduerbi di leim torte anebora deh" orare,*? del poeta* refiderittò. O gloriofo linguaggio . nominatelo come ni piacevole che italiano nòn lo chiamiate s effendo uenm to tra noi d'oltre il mare , 0* di Ila daUdpi } onde è chtufc f [Un : che gii non è propria de Frane* fi la gloria, che fiatine fiano inuentori,cjr accrefeitorim deh" inclinata ncMlmperiodiRomain quamainon uennein Italia ttatiom niffuna fi barbara,?? «>fi primi dtbumanità, Hwwi > Goffi , Vandali* Umgobardi,ctiaguifadi tro* pheo , non ni lafcùffe alcun nome , o alcun nerbo de pi» eleganti, ctìeUababbiaifj mi diremmo ibe Hoig<o» mente parlando poffa nafeere Cicerone, o Virgilio i Ve rmente fequejhkngM fujjc colonia delklatina ;non  oferei    DIALOGO  «/era eonfefftrb : moiro meno il dirò,effendo lei una m óiftinti canfufione di tutte le barbarie del mondo.nelqui k Cbioi prego Dio che mandi ancbora li fu* difcordia ; U quale sparando una par oh daU altra , er ognun* di loro mandando alla propria fua regione ; finalmente ri* mmga a queHapouera Italia il fuo primo idioma : per lo quale non meno fu merita dalle altre prouincie ; che te muta per le anni . Io uerame nte poco ho letto di quefte tofe uolgari,?? guadagnato pimi d'baucre affai in per Aere di fìudiarlexb'egli è meglio non lefdpere che faper termi quante uolte per mia disgratia rìbo alcuna ueduta iltrettante meco medefmo ho Ugrimatokncftri mi/és ridtpenfando fra me quale fu già, er quale è bora li Un* gud,onds parliamo er fcriuiamo.zT noi uedranogUmai Cicerone } o Virgilio tbofcanofpiu tojto rmaf. eranno Schiumi , che Italiani uolgari ; faluo fe per gioco non fi dirà in quel modo, che iferui fanno ri lor Re ; er i prU gionieri iUor poderi. Ma tal Virgilio, er Mi Cicerone, Morder Turchi pofìonobauer nelle lor liiiguc;pa-ò parlando una uolu con un mio amico, che moto ben sin tendea della lingua Arabefca ; ini ricordo udir dire , chi Auicenna banca, compojìe di molte opere ; Uqualt fi con nofceumo efferfuenon tutto iWinuentione delle cofa quanto allo fide , ndquale di gran lunga auanxaua tutti gli altri fcrittori di quella lingua , eccetto quelbde l'Ai* corano. Dunque come proportioneuobncntc Auicenm fi direbbe Marco Tullio fi-agli Arabi ;cofi confeffodi.* vere nafcare,<mzi effer già nato er forfè morto il Virgi* Ito uolgare ; ma èco bene che tal Virgilio è un Virgilio.  dipmto.    DELLE L ISQVE. IOl  dipìnto . Ma il buono cr il nero Virgilio , ìlquale , k* f dando fornire da canto, dotterebbe rbuomo abbraccia* re,ba Ut lingua Latina, come k Greca ha f Homero ; cr facendo altramente fimo a peggìor conditione, che non fono gli oltramontani, li quali esaltano cr riucrijcono fommamentek nojìralmgua Latina ;er tanto ne ap* prendono, quanto poffono adoprar ? ingegno ; il quale fe pare in loro fuffe al difio ; mirendo certo che di breue k Gcrmmia,et kGallia produrrebbe di molti ueri Virgilif Ma noi altri fuoi cittadini(cclpa er uergogna del nojiro pocogiudicio)non fokmcnte non l'honoriamoynaa guì* ftdiperfone feditiofe tutta uk procuriamo di cacciarla della fuapdtrkìzr in fuo luoco far federe queffaltra-Ael U quale ( per non dir peggio ) non fi fa patria, ne nome. Cori, A me pare meffer Lax<iro,che le uofbre ragia mperfuadano dltruia non parlar mai uolgarmente :U qulcofd non ft può far e, fatuo fenon fifabric&ffetmd nmua città* k quale habìtajferoìlitterati ; oue non fi parUfjefe non latino . Ma qui iti Bologna chinop. par.* laffe uolgare t non barebbecbil'intcndeffi ,ey pareb* be un pedante; ìlquale con gli artigiani fitceffe il TwI* Ho fuor di propofito . L a z. Anzi uoglio , che cofi come per U granari dì quelli ricebi fono grani d'ogni manierd,orzo,migUo,fromentOiO- altre biade fi fata- te , dtUe quali altre mangiano gli buemini , altrele be* fliediqueUa caja;cofi fi parli diuerjamente bor lati* no , bar uolgare , oue er quando è mejlieri . Onde fe Ibuomo è in piazza , in uiSa , o in cafa col uolgo , co* contadini, co' ferui, parli uolgare, cr non altramente :  ma    DIALOGO ma nelle [cole delle dottrine er tra i dotti, oue pofii/cmo Cr debbiamo effer huominifu bumano,eioè Ittino il ra* $jonamento.cr altrettanto fia detto della fcrittura:k* quale fard ti/Agar Lnecefìita,ma la elettrone latina, «taf imamente quando alcuna cofa faiuemo per defide* rio di gloria ; la quale mal ci può dar quella lingua , che «acque , er crebbe conia nofbra calmiti* fj tuttauia fi tonfava con krouina dinoi.'B & m. Troppo afpr amen \e acculate qucfta innocente lingua: la quale pare che molto più ui fu in odio : che non amate la lattina er k greca.Terocbe oue ci baueuatepromeffo di lodar quel* k principalmente, er k thofcana alcuna mito, uencndo il cafo,mtuperare; bora bautte fatto in contrario: quelle non bauete lodatoci quella una fieramente ci biafimate; et per certo a gran tcrto: peroebe ella non è punto fi bar tarara, ne fi priua di numero er ibarmonia, come la ci bauete dipinta, che fe la origine di lei fu barbara da prùt ciptoi non uolete uoi che in ifyatio di quattrocento o cin* qucccntoannifia diuenuta cittadina d'Italia? per certo fhaltramente liKomanimedefmi,liqualidi phrigia cac dati uennero ad babitarc in Italia, farebbero barbari: le perfone , i coflumi ,ryk Imgualoro farebbe barbara : lUalia, k Grecia, ©" ogni altra prouinàa , quantunque manfueta, er bumana fi potrebbe dir barbara fe l'erigi* ne delle cofefuffe bafìate di recar tcro quefìa infame de» nominatione . Confcffo adunque k lingua nojtramaterz tiaeffere una certa adunanza non con fu fa, maregokta di molte er diuerfe uocijnomi,uerbi t ZF altre parti dora tione ile quali primier amenti da prone ©* mie natani    d e 1 1 v l i H o v i. ro^  in Italia iiffemirutcpid cr artificiofa cura denojìn prò genitori in fime raccolje : er ad m fuono , ad uru nor* md , dà un ordine ft fittamente compofe , ebe c$i ne/or* «uro» qttctk imgtu, k quale bora è propria nofha,cr tion d'alai, imitando in quefìo ld madre nofbd natura: U qudle di quattro elementi diuerfi molto fra loro per qua» liti , er per [ito ci ha formiti noi altri più perfetti , er più nabli i che gli clementi non fono , imaginatcui, mefi fer UXtro , di uedere [imperio , k dignità, le ricche zc , le dottrine , er finalmente le perfone , er la lingua £ Italia in forza de barbari in maniera , che il trark lor Me mani fu cofa quafi imponibile : ttoi non vorrete m uerc al mondo imercantarie ifiudiarc! parkre uoicuo fb-i figliuoli ì Ma kfckndo da parte [altre cofe t parla* rete latino, cioè inguifa,cbe no it intendano iBolognefi; o parlante in maniera ch'altri intenda,^ rif^odat Dan qut una uolta il parkr uolgarmente era fona in ìtalk ; ma in proceffo di tempo fece Ibuomo ( come fi dice > di quella faxa , er neceflita torte , er l'inéujìria detUfud lingud.Zt co/ì come nel principio del mondo gli fcuouii- mdaUefiere fi difendevano fuggendo,®- uccidendo few za altro; bor paffundo pia oltre a beneficio er ornamene to deUd perfona ci uefiiamo delle lor petit: co/ì da primi, d fine follmente d'effere intefi da chi regnata , perlaM* mo uolgdre : bord a diletto,er a menarla del nojbo no* me parliamo, crfcriuiamo uolgdre . O egli farebbe me* g(io che fi rdgiondffe latino : non lo nego ; ma meglio }w febbe anebord , che i barbari mai non baueffero prefa, ne dibatta [Udii i cr the l'imperio dì Komafuffe du- mo    DIALOGO tato in eterno, Dunque fendo altramente., àie fi dee fa* re f uoglùtm morir il dolore! réiar mutolii V non par* tar man finche torni arinafcere Cicerone Virgàoì Le afe, i feinpi/jCr finalmente ogni artificio moderno, i difegni, i ritratti di metallo er di marno non fono da e\ fer pareggiatiagli antichi-Aoutrno però habitare tri ho fchi f non dipingere, noufmdcre, non ifculpirc , nanfa* criccare , non adorar Dio i bafla a rfciwwo mffer L*= zaro mio caro, che egli faccia ciò che egli fa, er può fa* re,wfi contcntideUefue fòrze. Coniglio adunque, & mmonifco ciafcuno, che egli impare la lìnguagreca,er Utina, quelle abbracàe,queHehabbia career con l'aiu* to di quelle fludie a farfi immortale.m a tutti quanti no ha partito ugualmente nomenedio ne Fmgegno,neUcm po P w ui uuò dtre, farà alcuno perauentura,cui ne na* turale wdufb-ianon mancherà ;nu&tdimeno egli ferì auafi che dalle fiette mimato a parlare o-fcrwer me* vUouolgare, ée latino inunfeggetto, rjmuna ma* ìerkmedefma; che dee fare egli f Cbecio fiadueroi vedete le cofe latine del Petrarca , cr del Boccaccio, & ^tagliatele aUc loro uolgarUi quelle niuna peggiore iiquelicniunamigUore giudicarete. Dimqmda capo confei» & ammonifeo noi meffer Lazaro , [cratere er parlare Unno , comequetio che $ai meglio jatuete& parlate latino , che non uolgare : tua ira gcntilhuomo, il quale ì Ut pratica della corte,o {inclinatione del uoftro nlcanentollrmgedfar altramente , olir amente confi* dio • cf /scendo altramente nmfolmente non muerett l^ Q mrato,m4mopmghrÌpfo,qimtofamndo,&  parlano*    DILLI LINGVE, 104 parlando" bene ttolgarc t almeno a ualgari farete caro ; ouetnalamentc fcrtuendo,et parlando latino,udt farelìe a dottiparimentc,cr indotti Ne làperfuadaTtloquen* tiadimejfer L-axaro più tofio a diuenir mutuiate com pontre uolgarmcnte,peroche co/i la prcja 7 comeil uerfo della lingua moderna, è in alcune materie poco meno nu torrefa, &■ di ornamenti capace delia grecai della fd=» ima. I uerft hanno lor piedijor harmonia,lor numeri le profe il lorfluffo di orationeje lorjigure,ey le loro eie* gonfie di parlare, rcpetitioni, conucrfioni } complefiioni cr altre tai cofe-per le quali uon è forfe t come credetegli uerfa una lingua dall'altra : chefe te parole fono diuerfr. Torte del cottiporteiet deU 'adunarle è una eoft mede firn* nella Lima, ey nella tbojcana . Se meffer tataro ci ne* gaffe quefio: io li dcm4ndercì,onde è adunque ^che le cen to noueUe non fono beUe egualmente,™ ifcnettt delVe trarca tutti parimente perfetti* Certo bifognarcbbe,che egli dkeffe niuna or ottone , niun uerfo tbofeano non ef* fer più brutto, ne piti bello dell'olir o,w per confeguen* te il Serapbmo ejfcr eguale al Petrarc&o neramente con feffarebbefra le molte compojìtioni uolgari alcuna più, alcuna meno clegóte et ornata demolirà trouarfhla qual cofa non farebbe cojj, quando eUefuffero del tutto priue dell'arte de Tarare, zj del portare. Lai. Alou/ignore io negai k lingua moderna bauer infe numero, ne orno* ' mentore confonantia,w lo nego di nuouo, non per ejbe rknta ch'io rìbabbiama per ragione;chefc Thmmo,fttt za punto faptr fonare ne camburro , ne tromba, jolo che gUoiama mito, per la loro fpiacciiokzxa, pttogùtdi*  care    DIALO G O  ure non effere firomcnti atti tifare hamtmU , ne Mo ; coft udendo, formando per me mcdefimo que* fte parole uolgari , alfuomdi ciafeunadi loro feparat*. tkU'altreifcnza ch'io la compone altramente affai bene comprendo , che diletto poffanorecare agli orecchi de gii afeokanti le profe, <y i uerfuchefe ne fanno : itero è, che queflogiudicianon Uhi ogrìuno t ma colora foUmcn te , i quéi fono ufatx a ballare al fuano de i liuti , er de i titoloni . E mi ricorda, emendo una nota in Ve:ietii,oue eri/io giunte alcune natii de Turchi, udire in quelle mi tornare di molti fbramenUi dei quale nel più. fpkceuole, nel piti noiofo non udì mai alla ulta tnkynondimeno a\co loro, che non fono ufi Se dclkie fìtalit , pareua quella una dolce muftea ndtrettanto fi puodire della numero? fità dett'omianc , er delnerfo di quefta lingua. Alcuna ttolta qualche confonanza ui fi ritratta, che meno i»gr*« (4 er mcn brutta fa CtmdeR'altrayna quella infe è tur* mania?? mufm di tamburri,anzi d'archibufì e di falco* netti , che introna altrui [intelletto, er fere,?? (ìroppia fi fattamente , che egli non è pw atto a riceuere impref* Clone di pindelicatoflromento, ne fecondo quello ape* rare. Per la qual cofa chi non ha tempora «erta di food* re i liuti, er i unioni deUa latina; più toflofi dee fare o* tiofo , che por mano a i tambum traile campane delia volgare: imitandoieffempio di PaUadede quak-per non fi dilìorcere ttelk faccia fonandogittò uia la piuaji che era data inuentrice va' fu a lei più gloria il partirla da .f<„er nondegnar d'dppreffarlafi attafuabocca, che non fu utile a mrfia il ruoglterla , a 1 fonarla, , onde ne  perdette    DELLE I.IHGVI, IOJ  perdette la pelle. Vero écefìe Mofignore quéprinùm tiebi Tofani efferc fiati sforzati a parlare inquet?amd nicrjjHow udendo con /fatto trappaffar la hr uita : er àie noialtri pojìeriori habbiomo fatto dellahriii forza titsjba virtù i qucflo è uero : ma maggior laude dà altrui quelli violenza ; che a nei non reca quefla virtù . gloria fu a loro l'ejjlr folerti nelle miferie : ma biafmc,crfcor* noianatltrijhora che liberi femojl dar ricette &con jeruare lungamente un perpetuo tejlimcnio della ncjìra utrgognd>o quello ncnfoLmcntc nudrire j ma ornare : altro non effetido quefla ìmgua ualgarc , che uno iv.ditio dimojlratiuo della ftruitù che gli Italiani Guerreggiane do una j olla U uoibra Rcp iìbhca,crnon le baftavdo fo= ro tri argento a pagare t faldati ;fcc e ( cerne fi dice) Rampare gran quanta di danari di cuoio cotto col cerno di fan Marco, er con quelli fcjlcntò, tj uùifc laguerrai cr fu fapientùt Venetiana quefla .mafea tempo di pace hmeffero continuato a prendere quella moneta, ejrafar h digiorno in giorno più bclla,tj dimiglior ccramegià farebbe contienila in auaritia lafapienza. tiara fc alcu* no ci hiuejfejl quale, prezzato loro, cr f argento ,fa* eeffe del cuoio the foro ; non farebbe egli pazzo coftuiifì ueramtnte . Ma noialtri, cui mancando iltheforo lati* no, li ncftrd calamità fece prouedere dimoneta uolga* re ; quelli non cibajla di jpendere tuttauia col uolgo*he étto nonne conofee , «e tocca , ma uenutone fatto di ri* courarlc perdute ricchezze ; lei tuttauia conferiamo : crne ijecreit dell'anima nofca, ouefùkuano ferrar lo* ro, er l'argento di Roma , diamo ricetto alle reliquie di  O tutta    DI A I O G O  iultta labarbariadehnondo. Cori. A me paremef* fer Lazaro,che quello non fu ne lodar la lingua Latin*, ne uitupcrar la uolgareyna più tojlo un certo lamentar fi drtìti reuma, d'ìtalia : la qual cefi, cerne i poco fruttile >ft t cofi è molto difcojla dal nofiro proponùnento ; onde non vi uedo partir ttobntieri. L a z. Varui che"! bufimo di quefta lingua fta poco, quando io congiungo ilnafcimen to di lei alla diftruttione deU'hìipaio,0' del nome latinai CT l'accrefcimcnto dilei dimane mento delnojìro intel* letto tgi'a me non laudante in que&a maniera , per far* mi piacere . Cor t. Citi non giudico biafmo-ma me* Tauìglia più to&o : che gran cofa dee effer quella, di cui non può Ihuómo parlare y tacendo larouìna di Rem, che fu capo del mondo . cr che quello fta ucro ì poniamo che non i Barbari, ma i Greci Ib^ejfcro disfatta,cr che da indi In qnaparlaffero Atemefegli Italiani ; un biaft* mrefte la lingua Àttica iperoebe tufo di lei fuffe con- giunto alla frittiti nojhra-L a 7. Se ciò jiato fujfe,no finb be fulaguafta ,ma riformata l'Italia .perche non fola* mente non biaftmerei il disfacimento di quejio imperio, ma loderei Dio che lui batte ffc uoluto ornare di linguag già conueneuoU alla fu* dignità. Cobt. Dunque mag giare il danno Sbatter perduta la lingua, che la libertà ì L A z. Si fenxadubbio : peroche in qualunque Stato fu fbuamo,o franco,ofoggettOì fempremai è huomo , ne da ra più d"huomo ima li lingua Latinaha uirtudiftre di buomini Dei, cy di morti , non che di mortali che ftamo, immortali perfamx.V,tcbe ciò fia uero$imperù> stoma* pò , efee/t dijìefe per tutto , è gii guajìo ; m U memori*  dm    DELLE LINGVE. IQ< J  detta grZdexza di hà conferita* neUhijhrie ai Saltijlh, CT di Limojura ancora, durerà fin cbe'l deh fi mal uerauzr altrettanto fi può dire delF imperio^- della /w* gita de Greci. Cor. Quejìa ttirtà di far leperfone fmà le p molti fccoli non l'ba,cb'io credala bijùria arerai latinawne Greca, e Latinayna come l'bifiorid ch'èttà èi laqualejn qualuque idioma fu feruta da alcuno:i fempre mai (tome alcun due) testimonio del tempo , luce della ucriù, utta della memora , maefko della ima d'altrui, crnnoucUamento dell'antichità. Lat. Voiditeilucro no effer propria qucfla uirt* delibijìorie Greche,?? La Une,non che altra lingua ne fa partecipe , ma percioebe tutte l h,)lorie Gre. he , & Latine non hanno battuto tal pnuilegioi ma quelle jolamente, li quali artificio) ameme compoje alcuno hitomo eloquente ; fendo perfette quelle die lingue. Onde gli animali di KomaM quali lenza aiu no ornamento , ccnfanplki , er anclwra rozze parole, narrammo gli auenimenti di lei , non durarono molti an* ni m di hro fi parlerebbe ; fe altro fcrùtore,quafidaco paltone molfo, non ne faceffe parola. Dunque fe quelli il tempo ha fato dtuenir nulli , li quali affai doueuam ha* tur di elegantia , effeuio ferini latinamente , bar che}* dell btjhrie uolgart ì cui ne naturale dolcezza di lingua, ne artifiaofa eloquenza diferittori non può far care , ne gratiofegiamaif corteo. Non intendo anchcra ben bene in che coft confitta la foauit* della lingua, cj-dcUe parole latine , er la barbara jbiaceuotezza deRe uM* gari , anzL,conje}fandoui liberamente la mia ignoranza, grandìfiÒM numero di nomi, participi Latini con  O 1 Lro    DIALOGO  toro ftrana prowntidtione, le più mite mi fuortd.no non fo che Bcrgamtfco nel capo : àkrdtant ù fogliano forcai ami modi cr tempi de ucrbi ; ttUe quéi parole una fimilc ielle uolgari la nojira corte Rom<m<t non degnerebbe di proferire. hte.louiricordogentil'buomocbe l'autori' Ù concijtor iole non è giudice competente del fuow , CT degli accenti deSe parole latine ; onde fé alcuna nota k Itnguaktindle pare tener della BergamafcdìeUd noni però Bergamafcd : ne perche tdefidgiudicdta^iumdo ffete merdMgliare,cbegia ui fiate merauiglkto , hiueda letto in Ouidio , lAida Re più falere lodare Io Ridere delle cannucae di Vdth che kfoautù deUd cetra fApal Ìo. C o r t. Ecco io fon contento diconfejfxrui , chele crecchie in tal eafo non fidilo bumanc, ma d'Afmojc uoi \nì due , per qual cagione la imncrofiù , ej confotidnza delle ordtioni, er de uerft di queftd lingua chiamale ma ftutarcbàuft : condofucofd che i gran mdejlri di con' tOyeui è propria profefÀone Ibannonidi rade uolte,o non mùfamo canto , o mottetto,cbe le parole di lui nofiano Sonetti , o Casoni uelgari.qucflo è pur fegno che i no» fai uerft fon da fe pieni dì melodia . l a 2. Già non è, gentilbuomo)come forfè penfate ) l'harmonk del canto, CT quella delle profe, cr de' uerfi una cofa medefimam suite fono,& diuerfe , onde non fotmente delle coft malgari , ma di chirìe anchcra,cr de ifantut fi fanno con fi , c>~ mottetti t della cui barmonix generabnente sinica 4c ogni oreccbia;pcroche quali fono ifaporidUa lingua, fj a gli occhi , CT di ndfo i colori , & gli odori , tale i il J'iuw u gli orecctó degUhuoìnini ; li <{u4li per lor tutu*    DELLE IIUCTI. 107  ra,etfenzd jìudio ueruno facilmente difcmtono trai pia ccuotc,cl dijjikceuole.Mail numero,?? -Ubarmonk dei l'or ationc,&- del uerfo latino, nonè altroché artifìcio* fa dijpofitione di parole ; dalle cuifittabe , fecondo labrt uitì , er li lunghezza di quelle, nafeono alcuni nmerk che noi altri cbimkmopicdi, onde mi fioratamente carni m dal principio atta fine il utrjb , <cr loratione . er fono dìdiuerfe maniere quefìitai piedi , facendo i loro pafii lunghi,®- corti, tardi,?? ueloci, ciascheduno alfuo mo- do, er c beWarte quelli inficine adunare fi fattamète,cht iten disordino fra fc ftefiijna tuno, atfaltroyt? tutti in* ficmefiano conformi al foggetto : peroebe d'alcune ma* teric alami piedi fono qujfi peculkrhetfra lor piedi qua li meglio,quali peggio s'accompagnano al loro ukggio i CT qualunque perfona quelli a cafo congiugne, no bauen do riguardo ne atta natura diqueUitne atte cofe,diche iit tende di ragionare i uerfì,^ torationifue nafeono zop* pe,CT non dourebbe nutrirgli: et' di queftd eotal melodia non ne fono capacigli orecchi del uolgo : ne lei altreft poffmto formare le uocidella lingua uolgare : k cuipro* faianonfodireperquairagione fiammerofa chiama* ta,fe Hbuomo in lei non s'accorge,o non cura ne di fpon* dei,ne didattili , ne di trocbei,ne danapejU, er finabnè* te diniuna maniera di piedi : onde fi moue l'oraitone bea regolata . Veramente quefìa nuoua befìia di profit uol* gare,o èfenza piedi, er fdrucciok aguìfa di bifeia, o ha quelli dijpetie diuerfe molto dati* Greca , er dalla La* ima : er per confeguente dì coft fatto animale , come di tncftro <t cafo creato ,oltrdticojlume,a- l'ùitentione di  O 3 egli    DIALOGO  6%ni buono inteUclto ; non fi dovrebbe fare ne arte , ne faenza . iuerfi neramente, inquanto fon fatti iundiàfìl libc t rion.paionoin tutto priui di piedi, che lefllibe in loro hanno luogo , rj- nfficio di piedi : ma in quanto qneUc cotal poffono effer lunghe , er breui a lor uoglia; m ti non.d'trò che fia diritto il lor eaUefaluo fe M ojìgnor non Jkeffelc rime effer fabpo^gio de uerfi , rbe zìi fi* ftaigono,zr fano andare dirittamente, la qual ofa non itti par itera ; pcroche , per quelle ch'io n'oda dir; le rime fono pia tefìo come catena del Sonetto&aUa Cannone; che piedino nunì, di uerfi loro, et tanto uoglio che ne fu detto da me breuemente certo ; per rijpetto a quello che fe ne può ragionare ; ma a bajlanza, fe alla uofbra richie jìacr troppa forf?, (e aUaerefenza Monfignore firn guarderà : il quale meglio di me conofe , er piton'ame* rare i difetti diquefla lingua. B e m. Quefta cofa de mt mcrì,come fi (lia&fe cofi la prefa, come il ucrfo Tofa no riha lafua parte, er m à>e modo la fi babbix , per ef fere affé facile da uedere,ma lontana dal noftro propos nimento ; bora con effò uoi non intendo di iifbutarldan* zi confidando quello effer itereche ne dicelie , non tan* to perche fa uero, quoto perche fi ueda ciò che nefegm io ni dico quefla linguamoderna, tutteche fidanzi dttem patena che nò-, effer però anchora affi picchia , er fot* tile uerga la quale non haappieno fioritolo che i frutti prodottile ella può fare: certo non per difetto della ni tura di lei,effcndo co/i atta agenerare s come le altre; ma p:r colpa di loro, che Fbebbero in guardia, che no la col tiuorono abaftazam aguiftt dipianta feludggiajn quel    medeftmo deferto , atte perfe a nafctre cominciò, fenzai vidi ne adacquarU,ne potarla, ne difenderla da i pruni , che le fano ombra,lbdnno Itfciata inocchiare, et quafi morire . Etfeque primi antichi Romani foffero fiati jì negligenti in colature la Latina , quanto 4 pullular co* tnwciò i per arto in fi poco tempo non farebbe diuenu* td fi grande ; ma cfii,* grafi di ottimi agricoltori, lei pri* interamente tramutarono da luogofdudggioadomeftU co ; poi,percbe er pw toflo,cy piit belli, rt maggior frut ti faceffe,leuandolc aia dattorno le inutili frafchezn lo* ro (ambio lùmcftarono d'alcuni ramo felli maefircuol* mente detratti dalla Greca : li quali fóltamente inguift le t'appiccarono,^ in guifa.fi fama fintili al tronca che boggimat non paiono rami adottiuijna naturali . Quin* di nacquero in lei que fiorì, et qui frutti fi coloriti deli e - hquetiza-con quel numero,?? con qucU ordine ifltffo, A quale tanto cfftliate : li quali non tanto per fua natura > quanto d'altrui artificio aiutata , fuol produrre ogni Un* gua . Perochel numero nato per magiflero di Tbraft* macho,di Gorgia,di Tbecdoro ; ìfocrate finalmente fc* ce perfetto . dunque f Greci , er Latini huominì pi» foUeciti alia coltura della lor lingtù,ckc noi non fetno al* U nofka j noi; trouarono in quelle fe non dopo alcun tmpo,cr dopo molta fatica , ne leggiadria:, ne numero i già non de parer marauiglia, fenoi anebora non rìbaue* mo tanto , che bafìì , neSa uolgare ; ne quindi de prcn» der Ihuomo argomento a [brezzarla , come uil cefa , er dapoco . Oja Latina è migliore d'affai . ò quanto fa* rtbbt meglio dk fu >z? none una fa Ilota, per lo paf*  o 4 /fife,    DIALOGO  fato , cr fa Mchor tuttauid fi gentil cofa : tempo forfè uerrà, che (f altra tinta eccellenza fia la volgere dotatd, che [e per effer e a wfhi giorni di ninno flato s crmen gradita ,non fi doueffe apprezzare U Greca; la quale e* ra gii grande fui nafeimento della Latina : ne uoftri ani mi non douea kfeiar fermare le radici furi ultra lingua nomila altrettanto direi àcllt Grecaper rifletto aU la Hebrea , Cancludcrebbefi finalmente dalle uofh-epre miffe Àouer effere al mondo fola una lingua t ej non più » anele [ertueffero , ey parkfjero li mortali , cr aiterebbe #f>e oue uoi crederefle d'argomentar folamente cantra U lìngua Thofcani , cr quella con uofbre ragioni efìirpare del inondo, uoi parlarefle etiandto cantra li "Latina , & U Greca . benché <j:«/f a pugna ftefìtn 'crebbe non fo* lamente contrai linguaggi del mondo ima cantra Dio: ilquale ab eterno diede per legge immutabile ad agni co fa creata non durare eternamente ; ma di continuo duna in altro fiato mulxrfi: bora duanzando,et bora diminuì* do fin che jinifea stili uolta che mai più pofcUnon rìno* ttarjt. Voi mi direte } troppo indugia boggitìtai la perfet* tione della lingua, materni : er io ui dico che cofs è,come dite imitale indugio non dee far credere altrui effer co* fi imponibile, che elk diuenga perfetta : anzi ui può fif eerto lei douerfi lungo tempo godere la fua perfezione , quarhora egli auuerrà ch'eUafe l'babbia acquiftata. Che cofì usici la natura : la quale ha deliberato, che qual or* ber tojlo nafce,fìorifcc,& fa frutto: tale tofla inuecebìe, ZTfs muoia : er in contrario , che quello duri per molti ami , il quale lunga Ragione bar a penato a far fronde ,  Sari    DEI L S L INQYI. 109  Sarà adunque U nofira lingua in conferuarfì la fua dota» ti perfettione lungamente difidcrata , ey cerati* lìmite forfè dd alami ingegni ; fi quali , qmnì o tnen fàa'&ttenfe dpprcnJoro le (kttrine;f auto pi» dijjìcìtmcntr le fi k/ei< no «/ciré (fella memoria. Q,eUa è tcjlìmonio della noftré vergogna >effendo uenuta in Italiainfieme con la rovi* wa di lei . Viu f o/Ìo efid è teftmonio dcUa nofìra folertia , cr del noflro buono or dimenio : che , cofì come uenenda Enea dt Troia in Italia ad bonor fi recò lafcìare fcrìtto in un certo trofico drizzato da lui,queUe cjfere (lato fe armideuincitoridelkfu4palm t cofi vergogna non ci puooffere l'hauer cofa in Italia tolta di mano a coloro, che noitolfero di libertà . virtifinabnente^itando effer uolcfti maligno, più toflo douerfì adorar daRe genti il So le orientc^c l'occidente: la lingua Greca& "Ldtinagii effer giunte ah"occafo:ne quelle effer più lunge,ma ebar tafoUmente tj ingk>flro:ouc quanto fio, difficile cof* Imparare a parlare : ditelo uoi per me,cbe non ofate dir cofa latinamente con altre parole, ebe con quelle di Ciee reme . Onde quanto parlate, uferiuete latino non è al* tro,che Cicerone trafyoflo più tofio da ebarta a Siria , ebedamaterka materia : benebe queflo non è fi uofhro peccato , che egli non fu anebe mio s c d'altri affai tj maggiori , er migliori di me i peccata però non indegno difeuft , non poffendofarfi altramente . Ma quejìepo* che parole dette da me cantra U lingua latina per land gare non difiiper uero dire : /o/o uolfmcfbrare quanto bene difenderebbe ejucjla lingua nouette chiper lei far uolcjfedifféfa : quando a lei non mancOttK cuore , ne or*    D T A L O CO  mictoffendere lAtrui. Cori. Pormi Monfignore che cofUetniatc dì dir maledeUa lìngua lattina ; cernie fe eU U f 'offe k lingua del uoflro Sant o di Padoua : alla quale è ditanto conforme, checome quella fu dipcrfimagin ui uaUctàfantitÀè cagione che bora pofla in un taberna* colo di criHallo fu dalle genti adorata; cofi quejU degna reliquia del capo del mondo R orna , guaflo er corrotto fià molto tempo , quantunque boggimai fredda crfecca fi taceu inondimene fatta idolo dalcune pqcbeeyjuper jlieiofe per folte , colui da loro non è Cbrtfìiano tenuto t the non l adora per Dio . lAa adoratela a uojb-ofetmo, fola che non parliate con effo ki. er «olendo tenerla in tocca cofi morta come è, firn lecito di poterlo fare : ma parlate tra uoi ciotti le uofhe morte Latine parole ; er d noi idioti le noflre uiue uolgari,con la lingttd che Dio ci dteiejafitte in pace parldre.BE ti . Doueuate, per ag* Quagliarla compitamente alla lìngua del j 'anta , foggion* gere qualmente torationidi Cicerone,* i tierfi divirgì Uo le fono degnLcr pretioftftimi tabernacoli ; onde ki co tuie cofa beata riuerìamo,et incbìniamoMa per certo ne lma,nt [altra non mcritaua che la tenejìe per morta-fi* perando tutt'horanewrpi nofìri et nei 'anime quella fa* httc,qnefla utrtutez con tutto ciò lodo fommamente la no fha lingua uotgare,cioè Thofcana ; aceìoebe non fta al* arno che intenda della uolgare di tutta italia : Thofcana dicojion la moderna, che vfa il nolgr hoggidi ;ma fanti eamde fi dolcemente pariamo il Petrarca tj il Boccac ào:rhe la lingua di "Dante fente bene^et fyeffo più del lo bardo,chc del Tbofcanoì tt oue è Thofcam, è più toflo  Tbo*    DELLE t I H G V E. 113  Tbofrdiìo di contado,ehe di città. Cunque di quella par* h,quella lodo,queÙa vi perfuado apparare, ebequantm que ella nenfugiunta aìlafua uera perfettione, ella non dimeno le è gii uenutafi preffo ; che poco tempo ut è 4 uolgere ; oue poi che arriuata farà ; non itibito punto , che quale è nella Grecaci nelk Latina, talefia in lei us- ti di far uiitere altrui mirabilmente dopò la tnorte, cr «I Ibora fi k uedremo mi fare dimoltinon tabernacoli, m*t tempi;, V ultori : alla cui uìfitatione concorrerà, da tutte, le parti del mondo brigata di fpirii i pellegrini j che le fi ranno lor tìo!t,er far amo efpatditi da lei . Co ut. Dime quefeiouorrò bene fcriuere uolgarmète, couerramitòr nare anafeer Tbof^ano! Bem. Kafcer nò ma fìudìar Tbofcano,cb"egli è meglio per auentura nafeer Lombar do,che Fior ent ino i per oche Tufo del parlar Thofcobog gidiètanto cÓtrario dUe regole della buona lingua ibo /tini, che piti nuoce altrui e ffernato di quella prpuincia. cbenongligiaua. Cosi, ÌDunque unaperfenamedefì ma wn può effer Thofca per natura cr per arte B E v. Difficilmente per certo^ffendoTujanza,che per lughe% za di tempo è quafi ccnuertita in natura, diuerfa in tutto dalTarte,Onde,eome cbiè Giudeo,o Ueretico,rade mi tediuienebuon Cbrijìiano, arpia crede in Cbrijh chi mila credcua,q'ianto fu battexata ; cofì qualunque tton è nato Tbofcano più meglio imparare la buona lingui Tbofcana , cfie colui non fa , il quale da fanciullo in fu, fempremai parlò peruerfamente Thifcano . Cort. Io , the mai non nacqui,ne fludiai Tbofcano , male pofjò rivendere alle ucftre parole ; mndimmo 4 me pare.cbe    DIALOGO  piti fi cormengd col uofho Boccàccio il parlar Fiorenti* no madcrno;cbe non fi il Bergamasco. Onde eglipotreb he effcr molto benebbe huomo nato in Milano,fenza b4 Ucr mai parlato alla maniera Lombarda, meglio appren ieffe k regole deUa buona lingua Thofcana,cbe nanfa* rebbe il Fiorentino per patruàtia che egli nafca,et park lombardo boggidì,crdiman d^matàmparle,etfcrìud regolatamente Thofcano meglio , e? pi» facilmente del Thofcano medcftmo i non mi può entrare nel capo : al* trainane a tempo antico per bene parlare Greco,& Ld t ino, farebbe (iato meglio nafeere Spagnuolo,cbe Komai HOì& Macedone, che Atbenkfc. Bem. Quefìotw: perche h Uugud Greca et Latina a lor tépo erano egual tnevtc in ogni perfona pure,et non contaminate dSk bar borie dell'altre UnguexT coft bene fi parlauadalpopolo per le pìtzZCcottte tra dotti nelle lor [cole fi ragionata. Onde egli fi legge di Theophrafìo , che fu tun de lumi della Greca elcquenza,effendo in Atbene,*Ue parole ef fer fiato giudicato foreftiere da una pouera feminetta di contado . Cojt. lo per me non fo come fi fila quejì* coja; ma fi ui dico , che douendo Studiare in apprendere dama lingua ; più tcflo uoglio imparar la Latina c h Greca, che la uolgar : la quale mi contento ihauer por* tato con effo meco dalla cuna & dotte fafcie t fenz* eer* caria altramaite , quando tra te prefe , quando tra uerft degliauttorìThofcaniB i m. Cofi facendo ucifcriue* rete, et parlante a cafo,non per ragione: peroebe nium altra lìngua ben regolata a tltalkfenon queu n ma,di cui vi parlo , Cosi, Almeno dirò quello che io baucrò    BELI, I t I M fi T li HI  in cuore et Io jludìo che. io porrei in wfik&parolctte di qucfh et di quellofi lo porrò in trottare et dijporrc i con cotti del? animo mioionde fi Aerina la uitadellafcrittura: che male giudicò poterfi ufare da noialtri a figafkttre i nofìri concetti qucUalingtia, Thofca, o Latina ch'ella fi fu.U quale impariamo,®- effercàiamo non ragionando tra noi i nojbi accidenti ,ma leggendo gli altrui, QueSa d di notori chiaramente fi uede in un giouane Vadouano di nobili^imo ingegno, ilqttdk>ben che talhoracon mol- to (indio, che egli ui mette , akutid coft componga atU manieri del Petrarca , er fld lodato dulie perfone* non» dimeno non fono da pareggiare i Sonetti, er le Canzo* ni di lui atte fu* comedie , le quaUnelldfua lingua natk Mturabnente,<cr damma arte aiutato par che gli efebi* no della bocca: non dico però che huomo farina ne Vada uano , ne Eergdmafco ; mt uoglio bene , che di tutte le lingue d'Italia paliamo accogliere parole,?? alcun mo* do didire, quello tifando cornea noipiacaji fdttMcntti ehe'l nome non fi difcordi dal uerbo > ne l'adiettro dalfo? Slantiuù; la qual regola di parlare fi può imparare in tre giorni, non tra grammatici nelle [cole ; ma nelle corti ed gentilhiiommnon ijìudiando , maginocattdo er ritów do , fenza alcuna fatica » er con diletto de difcepoli , cT de precettori . B e m. Bene jlarebbe,fe quefìa guift di fiudio bajtaffe altrui a far cofa degna di laude,®- dt me* r duiglu, ma egUftrebbe troppo leggera cofa il farli e* terno per fama, er d numero de buoni er lodati lentia* ri in picelo/ tempo denterebbe molto maggiore, che egli non è. Btfognageuù^uomamio caro, uolèdo andar    DI A L o e f>    perlemmì,w per le bocScdeUe perfonedel monda, lungo tempo jcderfi ntUafua camera, er chi morto m fé flclfo } difa di ù** Mammona degli huomintjudar & agghiacciar più wltetct quanto altri itungii , et dùT* me a tuo Agio . pmr /urne , & mgghure .Cor t. Contatto ciò muffirebbe faalcofail diuemr ghrwfo j cucaltrc bifogna chcfaperfauelìarc.ée ne dite Hot mef (er Lataro.iopermefoncontento^ontenlandof: Hon- fenorèi che (i «o/ìr a JcntetEci ponga fine die nojhrt M L a z. Cote/io non/Vò w, cb'w uorrei éetditfen (oridiquefìa lingua uolgare foffero difeordt tra (ora, « cùct» d«ettt ^guìfa diregno partito , pw ^«ofmm- *erorà#ro kdifknfkmciiiilL Cobt. Dmpem Memi contro aftopimm dì lAonftgnore, moffo noiifoU mente dati 'amor denutriti lavale douete amare, er riuerire fapra ogm cofa , ma daltodw che uoi portate 4 ùue&a lingua uolgare,che mncendo,utncerete il miglior-  «JiWtijidgmafdo del quale prende dmodo argomento  impararla , a «ti*** • L A C"»^* fM ^ totidcchdie con quelle armi mcdcfme,òe noi opra* tecomr*ULatùia,v la GrecaM wMra lingua «olg** refi M«> CT fi 4mua. Cobi. MWigmw . ne i rwilaretóe giorti Kwer me debole combattitore, & gii itinco«e& battagltadianzi Stinti conmeffer Lazaroì  tauttonta, & dottrina Kotfro ledili ambedue mfiane mi datmaguerra fi fjwmte/b'uni conojco qualpm. perche, non ttokndo mjfer Lazmcongwar con ejjo *. - meco    DELIE LIMGVE. 11Z  meco <t difendermi^ ego uoifrgnor Scolare, che con fi lungo I '.kntìo, cj fi attentamente ci bauete afcoltatUcbe baimdo alcuna arma,con la quale noi mi poetate aiuta* re, fiate contento di trarla fuori per me,che poi che <jue« fla pugna non è martak,potete entraruifenza pma^ac cofiandoni a quella parte,cbe piti ui piace: benché più to fio ui douete accodare aSa mia,ouejete ricbie8o,ct oue è gloriai' effer uintodacofi degno auuerfarìo.S c no u Gcntffbuomo io non parlifìnhcra,pcrocbe io non japed che m dire , non effendo mia profetatone lo fatato delle linguema uolontieri afcoltati bramando , CT fperando pur d'imparare. Dunque bauenda a combattere m difejtt d'alcuna uo&ra ftntenza > non ui pojfendo aiutare , to ui coniglio , che fenzame combattiate; che eghè meglio per uoi il combatter foh,che da perfona accompagnato* la quée, come inejperta deformi , cedendo in fui prin- àpio della battagli ui dia cagione di temere , Cf fard dare al fuggire. Corteo. Con tutto ciò ,fe mipo* tete aiutare , che a pena credo che fia altramente } fendo fiato ft attento al nvfìro contratto , aiutatemi , che io uc ne prego ,faluofe non jprexzate tal queBione, come uil cofa, (jdift poco ualore, che non degniate di entrare in campo con cjfonoi.ScHÓL A. Come non degnarci di parlar di materia , di che ti Bembo al prefente , cr altra uoìtail Peretta mio precettore inficine conme})er Lrf* fcari con non minor fapienz*, che eleganza ne ragionò ì troppo mi degnarei,jei fapefii, ma di ognicvja tufo poco, cr delle lingue niente, come queiio, che della tìr«4 comfc<ì a pena, le kttere , CT dsfo togfM Lati*    B I A L o e o  tu. Unto follmente importi i quanto baflaffe per farmi intendere t li&rt di philofophia d'Arrotile ; U quali,per tjueUo che io noda dire di meffer Lazaro,non fena ktU ni,ma barbari: della uolgare non parb;cbe di fi fatti Un* guaggì mai non feppi,ne maìcurdidifapercjdlua ilmio Fado nano ; del quale, dopo iilatte delia nutrice, mi fu il uolgomaeSlro . C o r t. Tur a wi cor.ucrrà diparlare, fenm altro, quello almeno,cbe ri apparale àd vcreito, eydal Lafcari ; liquali cofi fauuinente ( ceree mi dite) parlarono intorno a qucUa mai erid .Scaoi, Poche cofe delle infmite,che a tal materia pertengono,puo im» parare > in un giorno , chi non le afcolta per impa* rare; penfando che non b'tfogni imparare , Beh. Dit ene almeno quel poeo , che ut rimafe neUi memòrid} che a mefic caro [intenderlo . Laz, Volentieri in tal cd/o udirò recitare lopenione del mio macibro Peretta il quale, auiiegna cheniuna lingua fapeffe dalla Manto' ima infuori; nondimeno come huomo giudiciofo, er ufi rade uoltc a ingannar fi , ne può bauer detto alcuna cofi eo'l Ldfcorixbe Fafcoltarla mi pucerà. Pregoui adùqu e, chefe niente ue ne ricordatdlcuna cofa delfuo paffuto n gionamentonon ni flagrane diriferire.S c h o l, Cofi ft faccia , poi che iti piace ; che anzi uogUo effer tenuto ignorante,cofa dicendo non canofeiuta da. mei ebedifeor tc/e rifiutando que prieghi^be deano effermi common* fomenti, ma ciò fi faccia conpatto, che cornea me non è bonore il riferirui gli altrui dotti ragionamenti ', cofi il tacere alcuna parali , li quale dailbora in qua mi fu «« fcit4detitt memoria t nonmifia ferino a vergogna.  Cort,    DELLE L I teC V E. 113  Corte g. Ad ogni paltò mifottofcriuo t purche dicU te. Se ho L. L. "ultima itolta che mcjfer Lafckari uen* ne di Trancia in Italia j fondo in Bologna , oueuolontie ri habkaua i cr tuffandola il Perttto,come era ufo di fu re; un di tra gli nitri, poi che alquato fu dimorato con ef* fo lui , lo dimandò meffer Lafcbari, Vofira cccelienza macflro Piero mio caro,chc legge quejYamoiP e k. Si* gnor mio io leggo i quattro libri della Meteora d'Anito tele, L asc. Per certo bella lettura è la ucshra: ma come fate d'cjpofitorìt Per, De latini non troppo bene ; ma alcun mio amico m'ha feritilo duna AkffandrO. Lasc. "Buona ckttioncfacejìciperocbe Aleffandroè Ariftcte le doppo Arinotele : ma io non credeua che noi fapefìe lettere greie . P b ». Io t'ho Uttno,non greco. Lasc. Poco frutto doucte prendere, pir. Perche? Lasc. Perche io giudico Aleffandro Apbrodifco greco come c, tanto diuerjo da fé medejìmo , poi che latino è ridotto, quanto è uiuo damorto. Per. Qnejìo potrebbe efjer che uero fuffe : ma io non uifaceua differenza , anzi pai faua , che tanto mi doueffe gwuare la lettione latina , cr uolgare(fe uolgttre fi ritrattale Aleffandro)quàto a gre ci la grecai con quefia jperanza incominciai a jiudiar fo. Lasc. Vero è,cbe egli è meglio che noi I'babbut* te latino, che non Chabbiate del tutta, ma per certo la noe jka dottrina farebbe il doppio,^ maggiore, cr mr^/io* re, che ella non è,fc Aratotele cr Akffandro fuffè'ktto da uot inquelLi ltngua,nella quale l'imo fcnffe,cr l'altro lejpoje. Per. Per qual cagione ,'Lajc, Verciocht piufacilryeittc, cr con maggiore eleganza di parole jo*  P no    DIALOGO  no tfbrefii da là ifuoi concetti ntUa fud Ungiti, che nel* l'altrui.V e r.V ero forfè direfìefe io fufiigreco,fi come nacque Aristotile : mw che huomo lobardo fludid greco, per douer far fi più facilmente pbdcfopbo,mi pur cofa. no ragioncuok,anzi difconuencuole, non ifcemandof pun* to,maraddoppiandoji U faccia dell'imparare: percioebe meglio, et più toh può àudiar lo [colare Loic<*/ok,o fa lamente pbibfopbu,cbc non farebbe , dando opera alla, grammatica-, fcetiahnente alla grcca.L \ s c . Per quefla ijtcffd ragione non doueuate imparar ne Latino,™ Gre* co ; ma follmente il uolgare Mattonano ; a" con quefo phibfopkare. Pee.Dk) uoleffe in feruigio di cbi uerri doppo mc,cl:c tatui libri di.ogni fdenzA , quanti ne fono greci,cjr latinùcr bebrei; alcuna dotta, et pictofa perfo* ni fi deffe a fare uolgari : forfè i buoni phibfopbantiff rebbom in numero affai pia jbefii,che a di noétri non/o* iios er k loro eccellenza diuentarebbe più rara. La se, O non u intendono uoiparlate con ironia. Peb. Anzf parlo per dire il nero ; er conte buomo tenero deU'honor degli Italiani, che fc ^ingiuria de nofbri tempi , cofì pre* f°nti,come paffuti «olle priuanni di quciìa gratin dio mi guardi,cbe io fu pienone cofi ar fo d'inuidta, che io dift* deri di priuarne chi nafeeràdoppo me. La s c. Volon* ticri tidfcokcròje ui da. il cuor di prouami quefìa nuo* tu conclufìone,cbc io non fintendo,ne la giudico intelli* gibile. p e r. DttcmiprintOyOnde è,cbc gUbuominidi quella età generalmente in ogni fetenza fon men dotti, et di minor prezzo, che gii non furon gli antichi f Oche e centrati dome icondofu copi che molto meglio , &    DELIE LINGVt, 114  pia fàcilmente fi poffa aggiugnere Acmi cofa alla dot* trina trouaU , che trovarla] da fe medcfimo ? La st. Che fi può dire altrove non che indiamo diw.ée in peg- giof? t r. Queflo è uerojtta le cagioni fon molte, tra le quéi mia ne n'ha, er ofo dire la principale , che noi aM modeniuiuiamo uhiirnogran tempro, confinando la mi glior parie de nolbi anni la qual cofa non aueniua agli anticbi.epcr dijling'iere il mio parlare, porto ferma i pe nione,che lojludio della lingua Greca, cr Latinaji* ca gione dell'ignoranza: che fc'l tempo , che intorno ad effe perdiJìno,li fbendejfc da noi impavido phihfophiaipcr* auetitura Feta miderna generarebbe quei piatovi, ry quelli A rifloteh , che proda eua Cantica . M<i noi tim più che le canne,pentitiquafi Shauer UfcUto la cuna,ey efierhuemini diuemti , torniti un altra uoita fanciulli, altro non facciamo dieci,cr urtiti anni di quella uita,cbe imparare a parlare chi hiino,chigreco,cs akuno(ccme Dio utiolc) Tofano : li quali anni finiti,?? finito con ef= fo loro quel uigore,zr quella prontezza , la quale natu* ralmente /«o/c recare alTtnteUettolagioucntù ; aVhora procuriamo difarcipbilofopbi, quando non ftamo atti al Ufheculatione delle cefe . Onde feguendo l 'altrui giudi* ciò altra cofa non uìcne ad e(fere quejla moderna Yilofo fa , che ritratto di quell'antica . però coft come ìlritrat= to,quaiitunquefato d' artificio f fimo dipintore , non può efier del tutto fintile all'idei ; cofi noi,benche forfè per al tezza d'ingegno nofamoputo inferiori a gli antichi ! 0* dimeno in dottrina tanto fiamo minori, quanto lungi > ì m po fiati fuiati dietro aUefaucle dcUe parole colera final*  p i mente    n I A LOGO  mente mitwnopHklophando m^UakunACofié^ emiendodcemnw knojtra mduUru. Lasc. Dm IJcljhdiodeUe lingue nuoce altrui finalmente, co* Itici ditele fi dee f^kieivb? 9t% AnjA  JW/i far deismo per taire , che d ogni coja per tutto Imoniopoffaparlcreogmlmgua. La se. Come wdfro pietrose i ciò cbc«oì4itef D«gtó d-reWe- uiihuorc diphilofopbare wlgarmenteta-fenxa bauer cogmtionedellalingua Greca, er UHM Vt% fiLrfupur che gli autori Greci,V Latmifmduceffe* rou dlani, Lasc. Tinto farebbe fruire Anftoff ledi line** Grw tn umbri* ; fatto trafbmtareun MMCKfi unaolm di un ben colto horUceUojn un bo* C CQ di pruni.oltracbe le cofe di plnlofophufono pefo A ai tre (ballcòe da queRe di aueU lìngua Volgare Per. Io bo per ferra*!* le Imgucd'ogm paefe, cefi 1 Arabi* ta er r ibJww, come U Kòmma , cr 1 Atemefefma d'un medino wforr.rt d« mortoli^ un fine ccnungm dici* formatele io non uorreiebe uoine parlato come di coLdaUa natura prodotte ; effendo fatte ,cr regolate dallo artifìcio delle perfone a beneplacito loro, non pian*  ^Jmih^io^mimcemiAv^. ondetutto^belecofedanamturacreate^tlejcicnzedi  «uekJtatomMoytttro le parte delmndo una cofa mdefum ^nondimeno, perciò che diuerfi huomm fono didaerfo m lere,perèicriuono,o- parlano dwcrjamcn*    te , la qitaU diucrfttà, er confufìane delle uoglìe mortali degnamente è nominata torre di B<tM. Dunque non na* fcono k ''»g" e pw f e medefme, a giàfadi albergo <fber he ; quale debbolc,w inferma nella fua fyetic,qu*kfaif<t ^rrobufla, etatU meglio aportarlafommsdinofbi kit mani concetti . ma ogni loro uertit nafce al mondo dal uo ter de" mortali, Per la qualcofa , cofi come fcn%a mutarfi di co!ìume,o di natione, il Trandofo,et l'lngle{e,non pur il Qfccojy il Romano, fi può dare a philefophare , coft eredo ebe la fua lingna natia poffa dir iti compiutamente communicare la fua dottrina. Dunque traducendof; a no flri giorni la pbilofophia jeminata dal nofìro Arrotile nebuoni campi tf Atbene, dilegua Greca in uolgare,ciò farebbe non gittarU trafili in mezo a bofcbi.oue fìerile àueniffejna farebbe fi di kntam propinqua, V di for e* {licra > cbe etU è y cittadina (fogni prouinàa . Et forfè in quel modo che le fbeciarie^zr i'^rc cofe orientali ano* yroutile porta alcun mercatante d'india in ìtalia,oue meglio perauentura fon ccnofciute,cr tratMc,cbe da co loro non fono the olirà Umore lefeminorno > er ricolfc* ro; fnnihnente le fpeculaticm delnofko Arrotile cidi* ucmbbono più famigliarle non fon lwra-&' più faci* mente farebbero mtefedanai, fe di Greco in ttòlgare al* cuna dotto Imomo le riducejfe. L a s c. Hiuerfe Imguefo* no atte afìgmficarc diuer fi concetti , alcune i concetti di dotti,alcune altre de gli indotti, la. Greca ueramente Un to fi conuiaw con le dcttrincycbe a doucr quelle fignijicd re,natura ifieffxjio banano prouedimeto pare che ihab bu formata : er fe credere non mi miete , credete abne*  P 3 f»    DIALOGO  no d Platone , mentre ne parla mljuo CrrfiRo . Onde ci fi può dir di tal lingua. , che (piale è il lume a colori , tale di i fu alle dijcipkne ifenza il cui lume nulla itcdrcbbc il ivijiro bumano intelletto; mi in continua notte d'ignoran tii fi dormirebbe. Per. Più toilo uò credere ad Arijìo tilt, CT alla ucriùycbc lingua alcuna del mondo{fu editai fi uoglia) non pojfa hauer da fe jlcjfa priuilegio di fignifi care i concetti del nollro animo >ma tutto confìtta nello arbitrio delle perfone. onde chi uorrì parlar di pbilofo* phia con parole Mamouane,o Milane fi inoligli può ef* /tv difdetto a ragione ; pia òe difdetto gli jìa il pbibfa* pbarc,or l'intender la cagion delle cofe, nero è,cbe,per* ebe limonio nonba incollameli parlar di phibfophia jc non greco & latino sgià credimi che far non pojfa aU frinente : cr fain di uiene ebe follmente di co/e tuli, er algori uolgarnun'e parla, orferiue la nofhra eti Et co m: i corpi,®- le reliquie de fanti non con kmani,ma con alcuna uerghsita per riuerenza to:cbiamv ; cafi i fieri mhleri della diurna philofophia più tojlo c5 le lettere del l'altrui lingue, che con li tiiua uoce di queila noBra mo* icrn a,à muiamo a lignificare : il quale errore conofei» to da molti, ninno ardtfcediripigliarb . Ma tempo forfè pochi anni apprejfo uerrà ebe alcuna buona perfona non meno arditi,che ingcnÌofx,porrà mano a cofufatto mer* catantia : cr per giouare aUdgente , non curando dell'oc dio,ne della inuidia de litterati , condurrà d'altrui lingua dia noilra le gioie, ryi frutti delle feicntie j le quallibo* r.i perfettanente nongujliamo.nc compriamo. Lasc, Veramente ne di fama , ne di gloria fi curerà , chi uvrrà  prender    DELLE tIMGVE. I I ó  prender la imprefa di portar k philofophk dati* lìngua £-A tbene nella Lombarda : che tal fatica itow,cr bufi" mo gli recar a. P a s. Noia con/rflò , per fa Doniti dc/k ic/j<,ttM non kiir/rmo,cow:e credete: clic per uno che<U prima ne dica male,poco da pei mille, er mille altri lode. ramo,tt benediranno ìlfuoj\udio,queUo ritenendogli che antenne di Giefu Cimilo ; iìquale , togliendo di mo* rir per la fallite degli buomim ,fcbernito primieramen* te,bujmato,cr trucifìffo d'alcuni tippocriti.hcra alla fi ne da chi! conof<e,come iddio, et Saluttor noflro ft ritte rifce.& adora, Lasc. Tanto dkefte di <jae/fo uoftro buonbuomo; che di picciolo mercatante l'bxuete fatta Mefia : il quale , Dio uogliacbefta fintile* quello che anebora affrettano li giudei; acciò che berefia cofi itile mai non guafìi per alcun tempo k philofophk d'Arifioti le . Ma/e noi fitte in effetto di cofi fìrano parere ; che non ut fate a di noflri il Redentore di quejla lingua uoU gare f P e r. Perche tardi ccnobbi la ucritk ;er a tari* po,qumdo la fòrza dettinteQetto non è eguale al uolere. Lasc. Cofi Dbirìaiuti ;comc io credo che motteg* giite;faluofe,comè fanno i maliticft, queQovicco no bU fonate , ebe non potete ottenere. Per. Mon/ìgnor le ragioni dk nxi addotte da n!e 3 non fono lieui ; che io deb* ha dirle per ifberxare icrnonè cofi eoft éffiàle U co* gnition delle lingue ; che bucino di meno che di me* diocre memoria , er fenz* ingegno ueruno , non le pcfft imparare : quando non pur a dotti , ma d forfennati Atbenicft , er Romani, folea parlare eloquentemente Cicerone,?? Demojlhette, er era intefo (Utero . Cerio  P 4 «tfnif    DI A I O G O  «inijgr Ufirimiferamente poniamo in apprender queU le dite lingue t non per grandezza d'oggetto ; ma) olamen, te perche aUo lludio delle parole contri la naturale meli nxtione del nojlro bumatio intelletto ci riuolgiamoul qua le difiderofo di fermar)] nella cognitione detle.cofè, onde diurna perfetto , non contenta d'efferc altroue piegato , otte ornando la lingua di parolctte er di dande refli uas ttd Li nofbra mente . Dunque dal contrailo che è tnttauid tra la natura dell'animi , er trai cojlume del nojlro jlu* dio,dipende la difficultàdcRa cogmtion delle lingue, de* gna neramente non d'wuìdktma d'odio: non di fatica 3 mt difajlidio : er degna finalmente di douere effere non ap prefajna ripreja dalle p.rfone : fi come coftMqualc non è cìboma fogno , er ombra deluero cibo delTinteUetto . V a s c , Mentre noi piatiate cofi , io imaginaua di ittderc krittalapbitcfopbiad'Ariftotikin Unguabm* barda udirne parlai e tra loro ogni tùie maniera di gentcJaecbinUontadinhbarcaroli, er altre tali per fané, con certi fuoni,<cr con certi accenti, i più noiofi , er ipitt {brani, che mai udijii alla tòta mia . In quejlo mezzo , mi fi paraua dinanzi effa madre philofopbia utilità affai po veramente di rontagniuolo piangendo , er lamentando^ i' Arijlotih,cbe difprezzando lafua eccellcnzatbautft fediate condotta , et minacciando di non twlre fior piti in terra : fi bello bonore ne te era fatto dalle fue opere : ilquale ifeufandofi con effo lei „ negaua d'bauerU offefa giamai : fempremai bauerla amata , er lodata ne me* no che borreuolmente batterne fcritto , o parlato men* tre egli luffe ; lui effer nato tj morto greco,non Brefciae  U9    DELLE L I K G V E. I 17  no ncVergomafco , er mentire chi dir uolcffc aUranvm te : olla qui uifione diftderaua che noi mfujHe prefetste. •P e i. Et io (e fiato ui f«j?t > harei tetto non douerfi U pbthfopkia dolere ; perche ogni buomofer ogni luogfc con ogni linguai (ho ualorc effàhaffc : quefiofarfi an# a gloria , che a ucrgogm di hi . la quale (e non fi (degni Stergare negli intelletti Lombardi , non fi dee ancb$ (degnare (Teff, r tratta daHU br lingua : l'Indù , la Srtf tbia,CT f Egitto,cue babitaua fi uokntieri,produrrc gc* ti cr parole molto pi.i jkane e pi» bai bare, che non fono bora le Mantouanc , er le Eoiogw/i : lei lo (ìndio tkU Ungua greca,® 1 latina bauer quaft delnoflro mondo crftf ciato ; mentre hv.cmo non curando di faper , che fi dica } nanamente fnok imparare a parlarci & lafciandof Intel letto dormire, fucglu er opra la lingua. Notar* in ogni ct4,m ogni prouincid, cr in ogni babùo effer (emprcnai ma cofa medeftma ; Lupaie , cefi cerne uolonticrifa fuz arti per tutto l mcndc,non meno in tcrra,cbc in cielo; cr per effer intenta aUa produttione delle creature rationa* Unon fifeorda delle irratiotitlii ma con eguale artifìcia genera noi,er t bruti animaliicofi da ricchi parimentc,et peneri huommi , da nobili , er «ili perfone con ogni Un* glia, greca , latina , hebrea , cr lombarda , degna d'ef* fere&-conofcittta,cr lodata . Gli auge Hypcfci er tre be(ìie terrene d'ogni maniera,bora con un (uovo, ho* u con altro fenza dijìintione di parolai loro affetti f già (icore ì molto meglio douer ciò (are noi buomini, ciafeu* no con la fua liìtgud ;fcnz<tricorrere aWaltruidcfcrittu* re,cr i linguaggi efferc fiati trottati ma ajaltite teUa n*    Di A l O C O turala quahicome diumd,cbe etk è)non ha mefticri iti mftro diutojmafolamentea utilitaet commodità nojìra, gecioée abfenti, prcfenti 3 uiui,& marti , manife\ìando (un Ultra ifecreti dei cuore , più facilmente canfeguias no la noflra propri* fe liciti ; laquale è pefìd neUmtcU tetto delle dottrine > non nel fuono delle parole : er per confeguente quella lingua,?? quella fcritturddouerfi u* fare da mortali , la quale con più agio apprtndemo: er €omemeglio farebbe itatele foffe fiato pofiibilc) Chaue re un fol linguaggio, l'i quale naturalmente fuffe ufato da gli huomiri,cofi bora ejfer meg^ebe tbuoma (crina, et ragioni neUamaniera , ebemen fi fcofladatta natura : k qualìTumicrd di ragionare appcnanati impariamo :ey a tempo-,quando altra ecft non fono atti ad apprendere, et étrotavto barri detto al mio maeflro Anjlotilc ideila etti eleganza goratione poco mi i urarei , quando fènza ragione fusero da lui ferita i fuoi libri ; natura bauer lui mietuta per figliuolo, non pcrtffer nato in Atbcne , ma per bauer bene in atto intefo<bcne pérldtOi&benclcrit to di tei : la verità trouata da hi, tadifpofitene, cr Cor* dine delle coje,la grauità er breuitì del parlare eflerfua propria,®- non d'alìrme quella poter)] mutare per mu* tomento di uoce : il nome falò di lui difeampagnato dalla ragione ( quanto a me ) ejjere di affai piatola auttoritd, a lui fiore , fe ( emendo Lem bardo ridotto) effer uelef* fc Annotile .noimirtali di quella eùcojì bauer cani f noi libri tramuta incluùm i '.inguaiarne glibcbberoi greci = mentre greci gli jludu iurta . li quai libri con ogni iniujbia procuriamo d'intendere per diuenire una uolta  non    DELLE L IN G V E. I 18  non Athcniefi ima philofophiicr con quefìa riftojl* mi farci pai-tito da lui . L a s c. Di'fe pure , CT diff derate aè che uolete j m i io Jprro , òe a di uoftri non utdrete Arijhtik fitto minare. Per. "Perciò mi doglio delhmiferaccnditione di quefli tempi moderni, ne quali fi finiti non ad ejfer, mt a parer fauio : che ohc fola una liti di ragione in qualnnque linguaggio può con du ne alla cogniimedeìh iteriti ; quella da canto lafdi ta , ci mettiamo per jìrada,ti quale in eff. tto tanto ci dfc lunga dal noftrofme {quanto altrui pare , che ni ci metà uicini ; che affai credemo d'alcuna cofa faperc , quando , fenza conofeerc la natura di ki:pofi mio dire in che mo- do In nominali Cicerone, Plinio, tmctfo, cr Virgili» tra latini fcrittori ;cr tra greci Platone, Arijhtile t De mojlbene, cr Efclme ideile cuifemplici parolctte fan- noglìbuominidiquefta etàlc loro arti, cr fcicntiejn giujx , che dir lingua greca , C latina par dire lingua di ulna , cr che la lingua uclgarc fa una lingua inhu* man* , prilli al tutto del difeorfo dcU 'intelletto ; for* fe non per altra rdgione , faluo perche qucftunx da fanciulli , cr fina jhidio imperimi) ; oue a quel* laltre con molta cura ciconuertiamo icome a lingue , lequali giudichiamo più conuenirji con le doArine , che non fanno le parole della E «griffa , cr del batte f* ino con ambidue tai facramentii la quale feioccaop* penione è fi fiffanc gli animidc mortai, che molti fi fanno a credere , che a douere farfi philofophi bxjti lo* rofapcrefriuere , cr leggere greco fenza più : non aU tramente, chefe lo fòirito dì Ari] fatile , aguija difolkt*    to in cr&aUofieffe rmchiufo neWabhabeto di Grechiti con lui mfiemefuffc corretto a entrar loro neWinteSct* tea fargli propbeti: onde molti n'ho già vedutiti miei giorni fi arroganti,cbe priid in tutto d'ogni fdcnza,con* fidundofi folamentc neUacognition della lingua , bmm hauuto ardimento di por mano afuoi libri , quelli a guifa de gli altri libri d'bumanità publicamtnie ponendo . Dùque a colìoro il far uolgan le dottrine di Grecia par rebbe opra, perduta fi per la indegniti della linguaicome per l'angujHa de' termini, dentro a quali col fuo Ikguag gioè r'màiiufahtaha, uanaiflimando l'imprefa dello Jciuere , er delparlare in maniera, ebe non [intendano , li iìudiofi di tuttol mondoMa quello che non è fiato ue* duto da meìfpero douer uedere (quando che fia) chi no* /ceni dopo mc&r 4 tempo t che le perfone certo piti dot' te t ma meno ambitiofe delie brefenti , degneranno £ef* jer lodate nella lor patria, femy. curar fi, che la Magna, c .diro fìrano paefe riticrifca i lor nomi ichefela forma delle parole , onde i futuri pbibfopbi ragioneranno, er fermeranno delle fetenze, farà commune alla plebe, tin* iellato , er il fentimento di quelle farà proprio de gli a* autori, V jiudiofi delle dottrinerò quali hanno ricetto, noiicUelinguefmanegUatiimidimcrtali.S c a ol.Gw sapparcccbiauamcffer LafcariaUarijj>ojla,quando fo* prauenne brigata di gentillniomini, che ueniuano a uifì* tarb, da quali fu interrotto [incominciato ragionamene toipercbc faktati [un [altro con prameffa di tornare al* tra uoltajl Peretto,et io co lui ci partimmo. Cojteg. Co fi bene mi difendere con [annidelmacftro Peretta  che    DELLE UNCVt. "9  che l'I por mano alle uojire , farebbe cofdfuperfbd ■ per- ii <M cofa auegnd,cbe Hparkrt intorno a quefìamate rid fulfe iiojìra profetane > nondimeno io mi contento, ée uì tacciate: ma del foccorfo preftatcmi.partt dd Tdii tariti di coft degno philofophofdrte dette rdgionUnte* dettelo ue ne muto immite grdtici&uiprometto, che perfinire ilfdjìidio dello imparare a parlare con le Un gue de' morti; feguitando il coniglio del maeflro Perei* tadorne fon nato.cofi uoglio iti uere Romam,parlar Ko mano , 0-fcriutre Romano : V * uoì meffer L4Zaro, cornea perjona d'altro parere,predico,che indarno tcn* tate di ridurre Mjuo lungo eftlio in ltdlidktwjhra Un* gua Latina, cr dopo la totale réna di tei , fottcuM* terraxhefc quando Jk comineidud a cadere,nonfu huo mojhefojlcnere ue la poteffext chiuque atta rumasi pofe>aguifd di Polidamante fu oppreffodalpefoi feoM, cUgìdce del tutto , rotta parimente dal principio et dal dal tempo; quale Aéletd, o qual gigante potrà uantarft ii rQtmWne a me parere a uofbri fritti riguardose ne uogliate far pruoua-xonftderando chel mètro jerme* re latino non è altroché mandare ritogliendo per que» fì'auttore , cr per queUo,bora un nome, bora un ucrbo, hard un'dduerbo della fu lingua: il che facendo ,/e noi fperate (quafmuouo Efculapio) che il porre mjir.ne cotdikagmentipo^farldrifufcitdre^iu'mgamuU; non ui accorgendo , che nel cader ^ dififuperbo edificio, una parte diuenne poluerej? un'altrd dee effer rotta (« più pczzdt quali uolcre in uno ridurre, farebbe cofdim* paRibik ■Jenzd , 'he molte fono dell'altre parti , k quii r ' ' ruiwfe    D I A L O C O  timafè in fondo delmucchio , o mudate daltempo ,Hen fon trottate d'dkwno:onde minore,cy men ferma rifarete lafabrica , ch'eUa non erida prima : cr uettendoui fatto di ridur lei alla fu* prima grandezza ; mai non fa acro, (he «01 le ditte Inferma, che antkaincte ledicrono que" fn'mi buoni architetti, quado mona la [abbicarono: anzi oucfoleua effer la fala, farete le camere , cmfjnddrete le pori e , cr delle jineftre di lei } que&a alta , quell'altra baffa nformarete: iuifode tutte , £r intere rifugeranno tefue mmtglie , onde primieramente s'i&unwaua il pa* lazzo:?? altronde dentro di lei con la luce del Sole alctt fiato di trijlo uento entrerà , che fari inferma la flanzd, finalmente fari miracolo più, che httmano prottadimen* fo il rifarla mai più cguale,o fintile a quetTantic^ejfen* do mancata (idea, onde il mondo tolfe l'effempio di edì* ficatU . perche io ui etnforto et lafciar ttmprefa dì uoler faruifmguUre dagli altri buominh affaticandoti uana* mente fenz4prouolhro ì & 1 d'altrui. Lai. Perdonate* migentdbuomo f uoinonponeSeben mentealle parole delmiomacftro perettoUqualenonfolainentenon rie» faua,eome Mifdtc^i^&Mgr&^O'bxmmzifi bt* puntava d'effere a farlo sforzato ; dtftdcrando macia, neUd quaUfenzA l'aiuto di quelle lmgue,potef]e il popò* b }ludiare,& farft perfetto in ogmjaenzaJa quale ope nione io non hudo, ne uitupero , perche quello nonpofa fo,quejlo non uogUoìdico follmente non effere Hata he* ne intefa da uoimde la deUberatione uoiìra non hauerk origine ne de£t4Utorità 3 nc delle ragioni del maejiro Pe* retto :m àalm&ro appetita ì hqmlefeguite quanta  n'aggrada,    DELLE tINOVE, I IO*  Aggrada, che altrettanto iofaròdelmioiéhefcl «ag- gio, the io tenga , è più lungo cr piti fatkofo del «oSroì ptraftenttar* non fjajluanoiO'd fine delk magioni* ti a buona albergo fmo 3 quantimqic Sa no, mi condur* ù , B £ m, Mefier LdZaro dice il uero,& u\ggiungù cbe'l Peretta in qucll'hota{comefime pare) attuto del le UngueMuendo ricetto ali* phibfophk,et altre /imi li fetente. Perche po\ìo,che uerafu kfua cpmonr.zT cofì bene poteffe pbilofopbareil contadino, come il gen (fl/7«o»io,er il Lombardo, come il Romano; non è però the in ogni lingua egualmente fi poJ?rf poetar eg? crare^ tonciofiacofa che fra loro luna frn pia et meno dotata de gli orn ament i della profa, er del uerfojbe taUra non è. ha cjualcofafu tra noi difputata da prima, fenZftjar p< role deBe dottrinexT eome albera ui difìi,cofi uì dico di nuouoìche fe uoglia ut urna mai di comporre o canzoni; c noueUe al modo uoiìro, cioè in lingua , che fia diuerft dalla Thofca>ìd,etfenza unitateli Petrarca,oilBoccac tioyper duentura noi {irete buon cortigiano, ma. poeta,o oratore non mai. Onde tmto diuoifi ragionerà,ej fare* te conofeiuto dal mondo, quanto k usta uidurerà, ey no più ; < ociofta che la uofbra lingua RotiMiw hébk uerti tt forili piutoBogratiofo, cheghriofo.  Dialogo    DIALOGO DELLA RETHORICA.  LI B IO PRIMO.  Valerio, Brocdrio, Soranzo.  A l. Horrf mentre, che noi ridiamo,?? giuochiamo o Bro cardo Jl Cardinale Don Her* cole col Friuli, e col Nauagc* ro,w cafa de lambafciador co t armi, dieno effere a quejlion* dijputado fra loro detta nojìra mrnortalìtkq-im forfè n'iettano, ej duole loro il no* fbro tardare, perche a me pare, cbcfenz* indugio niuuo noi andiamo a trouarlikqual cofajhieri diferainful par tir fi da lorojagionduamo diàouer farext quello, fenoli penaltrofi atmeno t percbe il soràio fludiofifìimo gioua ne,©" no bene ufo difoler perder te fuegiornate,delfm iffer co noi coglier poffa alcun frtitto.w pur otwxt joU l.tZZo.'B r o. Io ho openiane* cbeiefferprefente a loro dotti ragionamenitfarebbe indarno per noixociofìa t cht «Ut nojbri fludij mal fi confaccia k questo dijputata.per chepiutofìo configlierei,chefra tui,cofa parlando, (he ti conuenga,fì comoartiffe qwcjta giornata* t /ìa la co/a, qtule il Soranzo U eleggerai al cuiferuigio il prww di, che iol iQnabbi t di tutto cuore moferfi, et offero hoggi, (ytuttauia. Val. Dite-id^ueo Sorarc?o,aò che ut parcchemifacciamo, chelparer ucftro d'mbidue noi uotenticrifijeguarà. S o a. Forfè accettando le uoihre  offerte     DELLA BHETOHICA IH  offerte farò tenuto profontiwfo; ma a mio danno non io fdrò. Quiftaremoje egli tdpidce, w a phdojopbi io fbc cular rimettendo,dcUa ulta ciuile,nolha humana profef* fione,dìquaittodegnaretc di [duellarmi. Chiamo uiuci* mìe nonfoUmcnte la bontà de cojlumi col morahnete o* per ore , ma il parlar beat a beneficio ddl'haucre. , delle ferfoneg? deKbonore de mortali: Lt qua! cofa perauen* tura è utrtu non mcn bella infe jlefi^omen gicucuole al li bumankjJeUa prudenza, & detkgwfiitUi ma in m* siero difficile do poter effer'apprefdst effercitata da noi tbenuUdpiu.lo ueramente quato ho di tempo, cr dOnge gtìo uohntmi tutto dono dllo jìudio dell' eloquenzdMcbc faccio $arte leggendo, parte •fcriuende ; er quei precetti tdempicndo^he Cicerone,ey Quintiliano con meli* cu ra lìudivrono d'infegnore : eoa tutto ciò io non nc jò nuU k ; nefo s'io fyerifaperncjcrm. , rj legga quanto io mi troglker ciò è, perciobe a me pare t cbe iprecettìdeSar te loro fono infittiti i e7$<$é uolte (òche io m'inganno) f uno aSdkro fi contradice : io giudico , Cicerone tfferc fitto oratore moka miglior , che Rbetore:fì come quel* b,cbe meglio parla,chenon ci infogna a parlare . Oltr4 di quejlty , io fono in dubbio fe Torte Oratoria deSd Un* pia Latina fi conuegno con Poltre lingue , jbetuimaitc con la Tofcana,die noi uftamoboggià > nel quale io ho opinione che a dilettare alcunmamnconico , mutando il Boccaccio gualche noueUéft pojfafcriuere fenzdpm co fa ueramente ditterfa dalle tre guifh dicduje .; le quali da latini fcrittori fola, cr generd!t materia deUd loro arte Rhetowa fi nominarono . Do quejH adunque, rydaah*  <C tri    DIALOGO  tri tdi dubij, che di continuo mi s'aggirano neu"inte n etto t infm bor j. non ho trottato chi mi fuiluppi ; che di miti , che io n'ho pregati più mite , a tale manca ilfapere, a U le il modo dellinfcgnare : mi affai nefapcte,er d'ogni cofa da uoifapuU con bcUo, er difereto ordine [lete ufo.* tidiragionare. percbe,hora, che uaipottte,io ttiprego, che de precetti di cotale arte, quanto a uoi pare , che mi fu lecita di conoscerne, liberamente mi [duelliate. V Ala Cerio egli è il nero quel che uoi dite , cheli Khetorica è buoni parie di nojtra iuta cmU ; fenZA là quale rima* " ne mutola ogniutrtu : ma ella è cofa da ogni parte infini* t a , er è difficile parimente il tronarui cofi il principio , come il fine , quindi ddiuiene, che Cicerone in molti fuoi libri parlandone , mai non ne parla in un modo : come e Adunque pojiibile che dWimproiafo in un giorno, tale& Unti arte vii fu mojìrata da noi ì Bróc. Quejìo è cofi imponibile m lo dimanda il Stronzo, ma alprc* ferite tf una parte dì Uì , er fu la parte che uoi uorrete, famìgliarmente parlando , è ben degno che'l campiacia* te. Vai. Io per me in quanto poffo pronto fono d do* uerU piacere > dicale? chiede ciò che a lui piace,ch'io ne ragioni. S o tL.Miodifiderio farebbe da principio face» doro/, (fogni fua parte infmo afta fine mformareùkbe ef* fere non potendo , ditejni almeno una cofa , cioè,chefetf do ufficio decoratore il perfuader gliafcoUanti dilef tando,infegnando,rj mouédo,ìn qual modo di quefìi tre, più conueneuole affarte fua con maggior laude dife, re* chi ad effetto il fua diftderio .Val. Molte cofe in foche parole mi domandate; onde io comprendo j che    DELLA R ITHO RICA. 1%1  piufapete dcSa Khctortca, che non ui atunza imparar* ne. La quefiione è bellif?ima,aMa quale non terminando* me dijputondo rifonderò. Voiopporecchiateuinonfo* Unente od udire , ma a contradire : cr cefi ficài il Bro cardo, il cui parere nella preferite materici perauentura farà diuerfo dal mio. B r oc. Senza altramente poi* faruijl mio parere fi è, cbe'l diletto fta U uertu deKord* tione,onde ella prende la bcttezzd,zr U forza d perfua* derechìl accolta : che poflo cafo che f Oratore, quanto è in lui,habbia uirtu £mfcgnare,ct di mjiiere,infinitifon gli accidenti , dalli quali impedito non può fornire a fuo ufficio. Ciò fono U bruttezza del corpo fuc,U dijpropor tion della itoccj.i mala fama del fuo cliente , h dtshonc* fladclla confa , cr finalmente la (lanchezza de glt audi* tori, li quali lungamente fiati attenti alle parole de gli auuerfarij ,fchùà fono daffofcoltare : fenza che il fuo nome altrui ad ira , a mifericordia , o ad altro affit « to coUle, dee effere co/a non sforzala, ej per confe* guente noiofa 5 ma fornmamente piaceuole a quel cotale, cui egli muoue , ©" jojpmge . Segno ueggiamo , che A precettori dell'arte non bafiando il darci tonofeereinge nerale in qual modo lOratorfia poffentt di comoue* re li noftri affètti idiflintamentc quali fiata i coflumi de ighuani , uecebi nobili , itili , ricchi, c poueri cidi* moftrano : itile nature de i quali con bell'arte tantedet* to lor motùmento uomo cercando dtaccommodare . Dettinfegnare non parlo , che non ha il mondo la mag* gior pena, che [imparare mal mtontieri.quefìojàoe grìwto , che fi morda, fofferc fiato fanciullo , cr f>l*    DI A L O G Q  fb io,per quel ch'io prono al prefente mczo vecchio Jì co me io fono ; che mai non odo il Koinojne leggo Bartolo, c Bili) (il che faccio ognigiorno per compiacere a mio fière ) ch'io non bclìemmi gii occhigli orecchilo ingc* gno fflio,©" lo uitamia condannata innocentemente afa ucr cofa imparare, che mi fio noia il faperhMdarm adu que iinfegnare , 0" dì moucr non dilettando ci fatichi** uno i zi dilettando fenza altro(quanta è la forza del com piactre)ftasno polenti di perfuader gliafcoltantitripor* tondo U difiato tintoria non per forzarne quali merito di ragione, ma come gratta a noi fatta da gli afcoltanti, per quel diletto, che nelle menti di quelli fuol partorire Torà* tione ben compojìd, ©" bea recitata, E f ucr amete quella ì buono Oratore , il quale parlando £ alcuna cofa princi palmcntcnon con U confa trattata , fi come fanno ì philo fophi,mo con tarbìtrio^ol nuto&col piacere degli au* ditori,tenta,cr procura dì convenire,qucUi allcttando in maniera , che altrettanto dì gioia rechi loro loratione la otte eUamoue, ©" infegna, quanto fare ne la ueggiamo mentre ci lo adorna per dilettare . er queSio è quanto mi par di dire nella prefente materia . Val. No» pen* pie dtcofi tatto ifbedirui dalla imprefa già cominciata, the le ragwtJJ,efw ci adducete, quelle meglio non diflm* guendo, nonfonbajlattti di farne credere fopenicne prò polla, adunque egliè meflicri che in qnefla confa medefì* ma argomentiate altramente :ilche fatto, perche al So* rmzopienainentefcÀisfocciatejpmmimfacédouitCoa bello ordine mofhrarete in che modo, er per qual uia prò udendo coté uicà del dilettar gli afcoltanti poffa acqui    DELLA RHETORICA. I1J  fiarft f orario)» uotgare : che a tal fineife io non ntingaa mìgli udimmo fjre kfm dimanda. Broc, Molte fon le ragioni, per le quali fi può Koftrar chiarantnteipet fetto Oratorcdilettandopiu che tnfcgnxndo,omouenda ti fttóttfficio adempire: te quai ragioni , {Indiando dejfet brieue,perche a uoi pia tojlo il douer dire uemffe,dc(ibt rai di tacere s ma fé mi o Scròto, cotanto difiderate (fòt lèderle, er ciò ut pare che molto bene al fatto uojiro per Ugna io che ne parlo per cMpiaccrtà aclentieri incornili darò i quindi ti principio prendendo j che la Rhetoriat non è étro,cbe un gentile artificio d'acconciar bene, & leggiadramente quelle parole , onde noi buominifignifi* marno Um (altro i concetti de nofìri cuori. Diremo adu que, che le parole nafeono al mondo dalla bocca del noi* goderne i colori dulie herbe ì ma il Grammatico <fWf O * rator famigliare t quafi fante di dipintore,queBa decada* Cr polifcctonde il macjlro della Khetorka dipingendo U ucritiyparlit er ori a fuo modo. Che cofi come col pendei  10 materiale t uolti, er i corpi delle perfonefa dipingere  11 dipintore la natura imitando, che cefi fatti ne generò s cofi k lingua decoratore con lo flilc delle parole bora in Senato , bora ingiudkio , bora al uotgo parlando , ci ritragge la ueritÀ ila quale proprio obietto delle dottri* ne fyecuUtiuejwn altroue che nelle fcboleg? tra pbilo* fophi corniciando ; finalmente dopo alcun tempo d grufi pena con molto fludio impariamo .Ut è il nero, che coji come a ben dipingere Ut mia effgie,è afpti il ueder>ni,fn Za Altramente hauer contezza de miei coltumi, o lunga* «ente con effo meco domfkarf: » dipingendo l'artefice    DIALOGO miffabra cofa di me.faluo U ejhrema mixfuperficie,nota agli occhi di ciafcheduno j fmitmcnte a bene orare in o* giù materia ball<i ti conofecre un certo no /o che detta tic ritk che di continuo ci jia innanzi fi come cofa , ti quale ne i nofìri aitimi naturalmét e difaperk itftderofi , fin di principio uoik imprimer Domenedio , Può bene effere, tyfbefic uolte adiiuenc che la ignoranti* del uutgo f 0« rotore afcoltando,colga in f cambio cotale effigie dipinta, lei ifìimando U uerità ; non altr umente per anenturd>chc l'idolatra plebeioje dipinture^- le 0atttc,nojkc buma* ne operationi s f accia fuo Dio, er come Dio le riuerifed* Può anche ejfere che Foratore ori a fine d'ingannar le. perfonerfando loro ad intendere, che'lfuo diffegm fìa il uero,non del nero ftmilitudìne ; nclquat cafo quello coM lejnon ofìante il fuo ingegno merauigtivfo, meritarebbe, che fi sbandiffe del mondo itydift fatti oratori fi deono intender le parole di chi biafima la Khetorka ; cioè colo ro che ad altro fine la effercùancyhe tindulìria ciuile no U fermò. La qual cofi no pur a lci,ma a qualunque altra più honoreuole,et utile arte è tra noi,facilmente intrauit ne.Uora al propofito ritornado, certo per le cofe già det te, in qualche parte no fìa difficile il giudicare la queflian coiiiweiittJ , percioebe Cinfegnare , il quale è jtrada alla uerità propriamente parlandolo è cofa da Oratore; piti tofto è opra diUe dottrine fpectdatitte; le quali fono fden Ze non di parole , mi di cofe , parte dìuine , parte prò* dotte dadi natura . Kelìa adunque che noi tteg giamo quale ufficio f ìa più proprio deli" Oratore trai ddstta* re, zi d mouere , fi mamme , che innanzi tratto; un  co*    DELLA. SHETORICi, 1*4  corolario inferiamo ; cioè , conciofia cofi chel perfetta Oratore tuie fappia,qual parli ; e quale in fegna tale imm par affé i troppo ora chi ha opinione cbe'lfuo intelletto^ che non fa nidla 3 fìa uno armarlo d'ogni fetenza : non per Unto fempremai in ogni età rari furono non pur li buoni ma i mediocri Oratori ; ertili nofìri fono ronfimi ino* gm lingua ; fi è coft diffìcile non follmente il faper bene U miti, ma ii pxrcr difaperk , Hor di quejìo non più i er aUe l te del diletto, &■ del mouimento conferiate che io ini riuolga . Certo,nattfrabnente parlando,ogni dilet* tofièiHomnentojna. in contrario , fiando ne itcrmini di quella arte , ogni Oratorio mouimento è diletto; concio», fu cofi che'l perfetto Oratore muoue altrui non per fcr za , er con uìoknx.4 , in quel modo che noi mouiamo le cofe graia aRinju , o k leggieri a!? ingiù ;md fempremai muoue ha cotifome affindination del fm affetto : U* <jiol cofa non può effer , che non glifia altra modo pù* ce«oJr ,cr giowfi molto i ne ad altro fine ( fi come dian* Xt io diceua)da maefhideUa Khetonca fono dijìinte. «•■mutamente le dijhofitioni degli ascoltasti : i cui affet» ti col mutamento della fortuna, rj degli anni fono u* fati di ttarùrfi ifalxo , accioebe tomfeenda il buon». Oratore otte pieghino k pacioni de petti lpro,iui col ut* gore delle parole (indie , ©" f enti dì ritirarli. Et per «r (o ,fèl mouimento rhetorico fuffe Saltra maniera } ogni mgenua perfona come sforzata , ty tiranneggiata dal* f Oratore mortalmente Codiarebbe : ne pofp credere che ninna Kepublica , bene o male ordin.it*, fol che tJU tmajfe U l/bcrtà, comporujje 4 fuoì cittadini befferei*  SI 4    DI A t O G O  Urft in una arte; con k quale non porgli equaU,m i mi gijbr-ttiiZr le leggi loro di dominar stttgegniffro . Re* jta a dirut in qttal inoliti diletti tal mcwmai ù, er onde uegm cfje*/ diletto che ne gli afitti dcUbuomo partorii fcc i'orotiùne,fia muramento appellato: che tutto che co* taitofe paiono alquanto più pkfcefoWie . ck orione , tttttauia egli è hello ilfaperlt; miggiormenle Se alla ma tem di che partiamo , grandemente fon pt t'inaiti . Mi deUa prima brievemente miefbedirò : Che fi come i^di* pintore, or il poeta t dite artefici il? Oratore fmbùnti , per diletto di noi fanno tterfì , er imagim di diuerfe mi* nieraquali hombili,quai pkceuolì,qtat dolenti^ qud liete *po/i i't buono Oratore nm folamente con le [accie, con gli ornamentici co numeri, ma ad ira, ad odio or ai inuidia mentendo, fuol dilettar gli afcoltanti . lo ucramen te mai non leggo in Virgilio k tragedia di ElijajVìo no pianga con effofeco ilftto mah;non per tanto eonfideran io con che gentile artificio ci dipingefp il poeta l'amor fuo,et k morte fua : cofì uinto, come io mi trotto d.dli pie tà,non pofio itero che fomm&ìientc allegrarmi ita qual cofa non dee parer merauiglia a chi per troppa aUegrez ti alcuni uolti fu cofbrctto di lagrimare . E ti uero che una tallettione è polènte di più, or meno commettermi, fecondo che et più t er meno fon dijhojh a compaflione t ma in ogniguifa più mi è agrado il lagrùnnr con virgi* Ito , die non è Under con klartkle : Md tornando oSl* rottone ,ame pare che in quel modo 3 cheti trafitto dalli l 'aranti pudendo il fuono coniteniente alfuo morfoji le* uifufo i er filta tanto fin che fbwmor perturbato fi ri*    DELL* KH STORICA. 1 1 5  folitc in [udore er qaafi marefenzà onda queto flafii nr! Iwcgo jtto ;/MHfciiefiff><UJc parole d'uno Oratore eceet* lòtte ntoffo udirà alcuno buono «r(icondo,nonfenz<t mal to piacere sfoga il cédo f cbe k complelìione naturale , o altro tirano accidente gli tiene accefo nell'animo ; il quat piacere.perciocbe nafee da cofa per fe medefxma óifpk* ceuole ,et noiofa moltOtcbc non diletta ,fe non per queU4 conformiti eb'è tra lci,ty l'affetto deWafcoltanteila quaì cofa mafie PbikRrato effóndo Re detta fm giornata i « comandare a ciimpagni, che di cokrojcuiamorimiferé méte fìn'mmojfi ragionaffe)perb è ben fatto ebe proprii mente park ndo,taipmere non diletto, nw mournié to ft& nomiìuto'a cuinatura odioft.acciocbe a litigo andàe non « fi (àcckfentire i ty altrotanto per feci annoienti* to dinar zi nel conformar fi aWaffctto nedtkttaua(concia fia coft che corta fìa k concordia delle cofe non buone ) pere uolferoiKbetorkbe l'oratore bricuemente,^- in pothe parole fe ne doueffe efpedòrt.Mtnel nero il diletto di l mouimento è coni un rifo nato innoinondi uerà atte* fktIBtijm di foUetìco ; il quale continuato da noi final» mente in doglia,cr foafmo fi conuerte . Md le facetie » ì motti,kfcntemie,k figurej colori,k elettione, il nume» rorfilfitodcUeparole ; l'ufeer fuord delkmateria, et al quanto,a guifa d'buomo di fokxzo difiderofo,per logkr dino dell'altre cofe uicinegir uagando con l'inteHcttofo* no cofe tutte quante per far natura fommamente pìaeeuo li i nelle quali di continuo non altramente fuol compiacer fi k nofkd mentCiChe degli odori,de fuoni , er de colorì materiali fi dilettino ì fentimenti del corpo. V a l. Fera  tutetà    D I A t O C O  tnatetà m poco o Brocardo , mentre ancora ( benché di kmge ) noi feorgiamo l 'entrata del cominciato ragiona" mento,z? innanzi che la dolcezza deldtlettog? del max fttmento tratto ultracorte più altra yio at flagrate d'in- dire eiòy che ante pare di poter dire con uertta de gli *f* fettig? de movimenti di quelli: perciò cheto ho per fera ino, che f Oratore principalmente habbkatra non di co movere , ma £ acquetar le procelle , che neUe parti pia bajfe de nofbri animi , Ora , fottìo , er la màdia (uenti contrari] al fereno deJkragionc ) fono ufatidi coautore; 0- ciò può far l Oratore non folamente nel fine, ma mi principio del fio fermane jnutando foratone, chefe Cefare nel Senato a [onore de' congiuntati prigioni. E k il Vero the quello iiìeffo Oratore che ha uirt* di rafferend re , può turbare i fentimeni: ma chi ciò face,o è perfom vittima , che male adopera lo [uà fetenza > quafi medico , che auelena gl'infermi ; o è di farlo corrette , fendo coft mbojjibilt il torre altrui fèdamente dallo ejlremodel* f oiioit? nel mezo della ragiaue riporlo, fenza alquanto fargli jentire dell'altro efìremo contrario , La qual cofé auegnadio che ver afta , non per tanto, uolgarmente par landò, fìamoufai Udire efjer proprio deU" Oratore ìt cominoiter gii jifeta , fecondo il qual modo di faueUare fece il Soranzoùfua dimanda :percìocbe il mouimento èautÀgaripmnoto,a'pareopradimagporforzache la quiete mnè: fenza che la maggior parte de gii Or j* tori orano apnc non d'acquetare , ma di commouere gli af cattanti. Io iter amen te per una terza ragione, ho api mone , che ali Oratore {hu portegna d commouere , che  tacqm^    DELLA RUMOR ICA. llS  tacqttetare iconcioftacofacbe iartefua non fokmente turbando(ilche è noto per fe medeftmo ) m componete dogUaffettì t queUimmua > a'fofp'tngaìche grandifiima noientu deeefferqueUa decoratore ne nofhri animi» qtulbora a benfare ne perlmde,cofaoprandù con le p4 role in unahor^che inmolti anni utrtuofanentc uiuen* do,a gran penartele acquijiarfi il pbtiafopho . Hor ne* dete hoggimaific k R betono* è atte comeniente atta ci ittita della uita,cr aUa public* libertà) cr fe ilcommottcr gli affètti è operatione piti , ometto aU 'Oratore bonore* itole de$infegnare,w del dilettare, Eroc. Certo fe il mouimento oratorio fuffe tale, er ft fatto,quale dianzi il defcr'iMuatejmakfecel Ariopago a divietarlo agli A* thenkfi i maio non uedoebe egli fiatale, confideranno the Foratore nel trattar de gli affitti , ponga mente pili tofio aUa etagj atta fortuna che ciperturba ,òealkr4 gione,cuifola tocca di temperarne . Ma pojìo cèfo che eofi }ìa , come mi dite , io ho per fermo , che cofi come per le ragioni già dette concludemmoicbc la dottrina del foratore a gli afcoltanti infegnata non è (denta di ueri td.nw opinione , cr di nero Jhntlitudwe,fmelcmentc k quiete dcfeiitimeiiti,che negli animi bumani fuolgene rarela Grattane none umii,ma dipintura delia, uirtu: eonciofia cofa che U uirtù è un buono babito di cofiunù , ilqualencn con parole in ijlantejnu con penfieri,or con opre a lungo andare ci guadagmmo . Wrf accioche non creggute che U buona arte Rhe* torica di tutte Urti reinajia una eerta buffonariadd far ridere t benché egli tibabbhdi queUi chealk cu*  cina    DIALOGO  cimi la^imigliarono) noi douete fapere, che dd numero dcu"arti,altre fono piaceuolij^ altre utili : quelle fono le utili, le quali communementc nominiamo mecanke: delle piaceuolt parte Im uiriù di dilettar l'animo , parte il cor» po delle perfonew parlando più chiaramente pjrte il feti fojparte la mente fuol dilettare. La dipintura,et la rnufì* Citigli occhiagli orecchi'; gli unguentari} ,il j;<j/ó i! cww co, li gujìo j er la Jiufa ccn la temperanza del c.ddo Ino, tutto l corpo con magHìerio piaceuolc,fono tifali di con* fortareittu te artiche Ciiìtdletto dlcitano,qvMtù al prò pofito fi conuiene ,fono due ; cioè Khetorica cr Voefta: le quali , muegnadio che altramente che per gli orecchi paffando, non peruegnano aU\ntelletto, nondimeno per* ciò fono da effer dette intctkttudi, che elle fono arti deU le parole, ijkometi deltinteuettoi con li quali figmfìchia tao lun tauro ciò che intende U nojira mente. Certo del la «o£rc,cr de fuoni è la mufìca, con la quale annoucran* do igrauijzr gli acuti } quegli in manier4 tempriamole diuerfì ( fs come fono ) jì congìungono infieme a generar thartnoniaxhe non pur noijma moki bruti animali muo* «c,CT diletta mirabilmente; ma la Rbeloricajy la pot* fia fono artifici] delle noci de gli huomini, nocome gratti C7 acute t ma propriamente come parole, cioè in quanto elle fonfegni delTinteUetto , quelle accordando fi fatta' mente, che ne nefea. una confonantia, U quale,metapho* riamente parlandola primi Khetori alnumero mufteo dflimighandola , numero anch'effa fu nominata: fcnxA d qital numero,non è oratione la erottone; er col qml nu* imo ogni mlgarttet inerudite ragionamento più hauer  nome    DELLA RMBTOStCA. 127  nome ioratìone. Ma quello è punto ì che aben uolcrlo mm0are(conciofucbe in Mfolo,quaf in contro /ir* mifiimo , è fondato il dìfcorfo di tutu Urte oratori* ) c mefòeri che un'altra nolta per altrajìrada noi ci faccia* tuo da capo,conftderando che tutto ì corpo detta eloquen tia quanto egliè grande, non è altro che cinque membra, CT non piu,cìoè parlando latinamente jnttentione,difj>o* fttione, elocutione, attiene, CT memoria . Infra le quali, finta alcun dubbio la ebcutioneè la prima parte , quafì fuo cuora effe anima la chiamafihnon crederei di men* tire: dalla quale,non chealtrojl nome proprio della eh* quentìa, comeuiuodauitauien deriuando . Et per certa la muentioncjty dift>ofttione,fono parti che alle cofe per tengono : le quS ritrattate nelle feienze uà ordinando U erottone } ma la terza , per quel chefuona il uocabob ,i propria parte delle parole , le quali non à cafo , ma eoa giudicio eleggiamo,*? dette leghiamo. Adunque aiate* gna che la elocutionc fia un terzo membro della chqitett tia , iiuerfomolto da primi duci nondimeno ella è fuo membro fj principale , che netta ifleffa elocutione nuoti* inuentìone, et dijpofitionc oratoria ut fi poffono annoue* rare. etctoè,perciochenon ciafehedma elocutione è or* toru,anxi in ogni linguaggio «vite fon k paroltjequali ttilitroppa,o uabgari,o afbre,o uecch'te, umciuile per* fona mninfmtofi in gtudicio, m con gli amici, cr co' famigliari parlandoci guarderebbe di proferire: etguar derebbeft fxcèntnte fenxA arte adoperare, foi che un tempo dèh fu uiti con gentili^ difereii kuomwifuffe ufato di conuerfaram le parole gUruromte dfikhcbia    DI SLOGO  fe,& fotmtijporreinftemeycr otte prima ddfe mdefi* me <tUc cofe fignifkite faccomodawtno, hor trifefìeffe gli decenti loro,cr le loro fiUibe inmuerandoyidmark è «-ti/few: it quale folo,o primo fa Orator lOrat ore. Et ttenmente,fc quello è nero che io trono fcritto né" Rbeto ri, ftmtentione,cr dijba fittone (fette co/e effere opri più toflo di prudenti , cr accorti huomini , che di eloquenti Oratori Job il [ito Me parole è tutta Ixrte Oratoria: onde tutu è k quejìione del dilettare , del mettere , cr AcU'infegnire . Che, come il mcttere,& Sdegnare fono frutti cCinuentione , le cui parti fon proemio^arrattone, diuifione, eonfìmationc, confutinone, cr epilogo; cofi il diletto fi dee dire opra deUi Oratoria elocutione. "gorfe io u annoio mentre con le parole ualgari, k Ixtine, CT le greche uà mcfcolxndogr contri quello ch'io ui di* teua pur dianzi > non difecrnendo frale parole* come io U trotto coft le ammaffo, cr confondo. Ma che poffo iot cèrto qucjti è colpi de nofki padri Tbofcamjt quali fion curando k cofe grani, che aUedottrmepertengono, follmente deUeamorofe con nouellettt , cr con rime fi dettarono dt parkreiben u y hi di quelli che fumo ardi* ti in tentar le fetenze^ pochi fono,crfeit&t fama ; CT fi anticbiycbel ngionarne co' uocaboli loro , per la loro UtcchiaXi, uta più jirani che i Latini non fono , fareb* he opri perduta . Io uermente qualunque wua in uece ài njtrationcii amftrmdtme.cr di confutarne, diui* [mento, confirmamento , cr dif ermamente dicefii , me tnedefìmo tra gli intrichi di total nomi facilmente rauol perei m marna* ebe in qudparte Sortitone fidjc intra.  topcr    DELLA HHETORICA, I iS  to per ragionarne, potrebbe effcrcbe io r,d fcorclifii . F, v adunque mn mule iìrkorrere a forrejìicri, le cuiuoci intendiamo, che a mftrani che non i'mtcnàano,imàando i Latmìi quatt dd padri Grechi le dottrine,?? le parole prendendo , ferono lor priuitegio di poter tffer Ro>w« ne cornetti in lor feruigio le adoperarono .Val. Infitto a qui uoi non ufajle parola , che alcun uolgare a* fiottandola fe ne douefa merauigUd re: ; ma procedendo pinoltrit uoi incaperete in concetti che ragionandone, a volere efiere intefo , uifid meflieri di proueder di «dei* toh, che a gli orecchi di Italia fi confacciano un poco meglio , che t Latini non fanno , B k o c. Ragionando con efio uoi netti prefente materia , la cui mente di gran lunga lentie parole preuiene , non ho paura di doucr dire ucabolo che peregrino to ejitjlimiaie . Val. kvxgnadio che delta arte oratoria tra mi pochi, & con jtiUrimofio molto (quale* camera fi conmene > habbiate tolto a parlare: nientedimeno io tri configlio, che cenquetTammo , er in epteimodonefautUiate, che mifartpejeinprefentia di motti cofi dotti, comeigno* untine ragionafte; laqualcofa perauentura auerrà t perciochtl Soranxo Mgentifiimo gnardatort de ho* fhi detti , quelli in uno raccoglier k , CT raevUì , non pò* irà fare che moki just amici diftderofi di novità , non ne faccia partecipi .So% Certo m fui partir di Vincgia mio germano mefier eteronimo grettamente mi co * mandò , che mentre io \\efiiin Kotogna, d'ogni cofa^he h giudicaci notabile, ne lo donefit auifare, er botte fot* to infttìhmspenfate qutUhe io fatò permmvdicoft    DIALOGO  tmbit r<tgtonmento:dopol qua^permio gtudkb, um* ito ì Papi,ctgflmpcrddorì.B boc. Ben conofeo meffar Gieronimo,atk prefenza dd quale ne paroline oprc,fe non elette jion fon degne diperuenire . Ma noi Soranzp foche fare ilpotrejle) farcjìe bene , detto che io xrihébk mia opinione,queUa jlelfa con altro jìilc di feri uere,che non V udite dame; che una coft è il pastore prk «diamente,?? dà omico,fi come io fdfeio con ttcixt altro, i lor fmuere altrui d perpetudmemork de paffati ragio- namenti .r?ncl aero ,fcciò hauefii penfato *thor , the fejle li qucjìione.Q io taceua del tatto, o cofì tojio non r| fbondetm cbelcpdrote>a' le cofeche a cotale arteper' tengono,*? foprd tutto il porle inficine, con heUo or« ime ckfcheduna afuo luogo dijliutamctc efbticareèfat tura di motti giorni, non d'unbora, o diàicsna rio errai neWmcomnciare, forfè net perfegwe tiimaidarò, Se otte io pen fitte hoggidiaìqnanto ufctndo detta mteritt di tutta l'arte oratoria (che ch'io nefappk) Ifaermcnte- parkruiiadoprando quelle parolesou le quali tw Latini frittali '.ftitdki d'imparark i bora alcune poche cofette^ che al fitto mffroccwengonojwieucmente percorrerò: coft ài un tratto pagarò il debito del dmer dirui mia opi Bi«te,et ddftQgli dth)e parole latine, nelle opali d lungo Mudare il parlamento fi ramperebbcbelkmcnte miguar dirómpili faggio nocchiero di me kfeiando k cura di do utrfarefi perigliofa «àggio, nùque al prcpofito ritorni do,bécbe diati ftcÓdo i rhctorijo ui dicefU £mfegnarc,e U mauere effer due opre d'muentione * conciofiacofa che quoto motte il proemio,®- [epilogavamo infegtia la tur  rottone,    DELLA RflETORKA, IIJ»  ratione,et cottftrmatione ; nondimeno mutando in meglio mi* openione,cr cofa a coft proportionando j a me pare di douer direbbe impegnare propriamente alia dijj>oft* tiene portegna ; tome in contrario k confufion delle co* fe ci partorifee ignoranti* , Adunque [empremai col mo lamento la àutentione, et con k dijfccfitione Cuifegnare > dm il dilettoci che parliamo , con lafua madre clocutio* ne,forma,',a' aita dell'eloquenza, meritamente accampi gnarerao. Quindi pacando alle treguife di caufe dall'O rotore confìderatcg? a tre jìiU ucnendo,cioè che tre mo di di dbrejuna aU "altro con mijura agguagliatilo, io li con giungo in maitiera,cbe la ciufa giudicale , cui è proprio la grattiti dello jlilc,al mouuncntow inucntvmeJa deli beratiua coljuo }Ul bajfo,& minuto alla dtfbofitìonc, cr aUo infegnarcuuimamente la caufa dimojiratiua medio* cremente trattata.aUa elocutione,et al diktto,dirittamctt ttfta ribadente. Le quai cofe m cotal modo difpoéìe,pro cedendo più oltra facilmente fi può concludere , che cofì come tra le parti d oratìone la elocutione è la prima , CT k caufa dimojiratiua è k più nobiie,ct più capace d'opti ornamento , che d'altre ducnonfono&glifìili del dtre, l'I più perlettto,zx più uirtuofo è il medmera ilquale non è auarojx prodigo,ma liberale wn fuperbo,ne abietto, ma altero , non audace, ne piiftUxiìimo, ma ualorofo; non kfciuojte (lupido, ina temperato ,coful diletto oratorio al mouimento , ey affmfegnare è ben degno , che fi pre* ponga . Però ueggiamo non fempre mauere,o magnar Voratore > ben quello ijleffo per ogni parte ioratione, in ogni cauja con parole elegàttjiudiarc di dilettarne: dqtu  K le    DI A L O G o te non contento del diletto delle parole , per raddoppiar* ne il piacere*? compitamente addolcirne ,r icone ai ge* flo^dff 'attiene detoratione condimento, cr mele , er Zucchero foauifiimo degli orecchi, et degli occhi nojìri, X)aQaqu<tleattione,perqueliagratia,cbe è in ki.dcpen de in gwi/rf la uertù deli'oratu ne , che ella è nuUajcn* %ieffa;la quale fentenza da Dcmojlhene data , E/cIn* lìt fuo auuerfmo poco appreffo con bcllaproua ci con' fermò i mentre leggendo a KhodianiU oratione di De* tnojlhene , marauigliandofi gli afeoitanti, bebbe a dire Ueramente m^rauigliofa effere Hata la oratione, effoDe tnojlhme recitandola iquafi dire mlejle,Cattentioncdel recitatore potere feentare ,cr accrescer forza aU'oratio* tic j er in maniera da fe mcdeflma tramutarla che non pa rejjè pia d'ejfa. Val. inu jrc&cfori/ Soranzo eonfentd^ cbedikttattdopiu, che infegnando, omoitcndopcrfuadd la oratione,egli difetta d'intendere con quat ragioni con tra la mente di Cicerone gli protiarcfe , che la caufa de* mofìrattua fiapiu nobile dell'altre due ,0-che defliliil migliore fia il mediocre : ef per certo da due colali pre* ìmffe più tojfofalfe,che dubbiofe^alanetcfipuo decide re U queflion dijbutota. ErOc. Qui dfbcttaud,che inter rompere le mie parole ì fendo certo,chcctò io difii dcUd tanfi dmoflratiua , cr delio Me mediocre Subitamente rifìiitarejle.Peròfxppidte,ct)dppìalo anche il Soranzo» che ragionata di cotai cofe con mufemplice narrattone, cr fenza dkmodrgomentojvbebbiinanimodich'giun* gere infime ì tre jhU,te tre caufe, er i tre modi del per* imicretCW k tre fwM d'erottone m maniera che atta in  ucn    DELLA RHETORICA. l^O  ucntione ilmouimentonelkcdufa giuàicìak t conlo jUl graie principalmente correfpondelfe : ma éU dtfeofuio ne Fmfegnare,tiella caufa, deliberatila con lo /iti baffo:ul tintamente ti diletto ali a docutioue, nettd caufa demojìra tiut con lo Ihlc metano propriamente fmferiffe Al qud* le ordine da tutti i Rbetori cofi greci,come latini , effere flato offriuto,cbi le loro opre riguarda, fidimele giudi cari laqual cofafe eofi è(cbe certamente è cofi)uoi me de fimi per una ijleffa ragione argomentando k oratoria. tlocutione,con tutta quanta la fchierd fua , alle altre due partid'oraticne con le loro ordinate debitamente prepo nercte;cbs no è honejlo ilbncn col ti ijlo agguagliarexia. il tuono al buono,etal migliorejl miglior fliie,fwfe-,c<t« fdyCt per Jual ione, co rdgtoneuolmtfura dee pareggiai, M a de (itli poco appreffo perauctura ragionaremoye del diletto fi èfauellato a bajlàza. Dunque alle caufe ucnen* 4o>come io dilUjtoji ridico di nuouo, che la caufa demo* fìratiudè laputborreuole , la più perfetta , la più difficì le&finahnente la più oratoria,che tutina deU'dltrc due: la qual cofa mentre io tento di dimofirarui , io iti prega, che non guardando alh fama de gli faritlori detta Kheto rka , poniate mente atta uerka : la quale da ragione aiti* tataro mi apparecchio di palcfarui. Perciò che altra co* fa è il parlar di quejla arte , le ucne fue , ifuoi membri » l'offa, i ncrui , er la carne fud dnnoaerdndo, parten* do: la quA guifd d'anatomia, hi infegmtndo con Itrd* gioii! operiamo ; cr altra cofa è il parlare oratoriamen* te al uolgo , àgiudteio , d Senatori , <fteìUaUettando,cr mouendo iti che non faccio ai prefente orje una uol*  Ri U    DIA LOGO  U(che Dio noi uogtkyjl farò : quando t ubìdiendo,a mio padre , la «o«,er il fìtto, che ei mi donò penderò a liti* ganti. Hot di quefio non più, et al propoftto ritorniamo. Io ucrmentc le tre caufe oratorie per li lor fini, per Ufo ro ufficij,et per te loro materie 3 con diligenza confiderai dojia pojfo akro,ée credere, che la cattfa dimofkatm fta infra tutta la principdled cui fine è koncflà; U cui ma teria è uertù^cr il cui ufficio è il dilettar ^intelletto,®- di ien fare ammonirlo. Quindi nacque il coflunte nella Re publica Atbeniefe , publicamente ognanno queicittadi* ni lodare,iquali fortemente per la br patria combattei dojfuffero flati ammazzati. La quale annua aratiom (fe A Vintone crediamo}lodando i morti,® le uertti lorojut to in un tempo le madrij padri,® le mogli confolaua he nignamente 5 ma ifrate&j figliuoli,®- i «ipoteche dop* po lor rimaneuano , a douer quelli imitare , ®- farfì loro fintili mirabilmente accendeua . Adunque non indarno fo ìeua dir Cicerone , ninna guifa d'or ottone potere efferne più ornila nel dire,ne più utile alle Kep.di quefia una,di mojìr attua : i cui precetti bornio uertu non folamente di farne buoni oratori,ma a douer uiuere honejìamente con bella arte ne efortano ; il che di queUìdeUaltre due non amene ; con effe qudifpeffe fiate guerre mgiuBe perfm demo, er uendieando le nofìre ingiuricjhor gliimtocen* ti offendiamo, bor difendiamo i nocenti.Confufamente peruuentura più, che io non debbio , uà comparando fra loro le tre caufe oratorie ; il che faccio, perche io difidt* ro divedimene, ®-adar luoco al Valerio^he s'appre flaper contradire: mi ambiiue col uojìro ingegno il mio    DELLA BHETOEICA, 1} I  difetto adempiendoci parte in parte k mie parole d$in guerete. Adunque,feguitando il ragionmnento t etfra me jìeffo confìderando ciò, che dianzi dicem deltoration di Demollkene,fomm<mentc daWattion dependente Jbofer minima openione,cbe nelle caufe deliberatine, cr guidi* cidi molto più opri la natura decoratore, cr della mate rid,cbe non ftttarte oratoria, il cetraria è della caufa di* mojhratiud,neUd quale kggendo,non è men bella U ora» tione , che recitando iperò ueggiamo mediocri Oratori bene informiti delle ciudi materie , cr aiutati dattattio* ne, tj dalla memoriajn Senato^ er in giudiciofoler par htre affai bene : che in té cafi dalle cofe trattate nafeono in noi le parole ; le qualiconcordate con li concetti deffa nimo , ne riejce queUa barmonia, che fa 3upir chi l'afols td.Verk qual cofa molte fiate ne comandano i Kbctori, che non curado della uaghezza delle parole efqmftte, ad alcune altre non coft beUe,ma proprie molto» cr di gran forza neWefplìcare i concetti,uolgarmente parlando , ci debbiamo appigliare : ma nella caufa dimoflratiua è ine* flierinon foLonente di concordare le parole a i concetti^ ma quelle fcielte,ey dette fi fattamente ddunare, chepa* re a pare t tyfmile a fimik con belld arte fi referifed :& quelle ijìefji parole bor raddoppiare , er replicarle pia mite jhora a contrari) eògiungerlc ; imitando la projpet tùia de depintori,iquali molte fiate il negro al bianco oc* compignano,a fme,che più beUa&r più alta, et più ilhi* (Ire cifimojbri lafua bianchezza- Le quai cofe,tutte qua* te fono puro artificio, ma in mdniera difficile, che dWitn* prouifo poter lodare, o uituperare eloquentemente, fa*  R 3 re*    DIALOGO rette opra miracolosa. E* il uero che nell'altre due cdU* f edema uolta tutta betta, er tutti ornata ua emulando U oratione ; cioè a dire negli epiloghi, V ne proemij i il quali proemij ; benché primi fi proferivano , nondimeno ft come co/c più oratorie,et di «tàggìor magiflerio, gli ut timi fono > che fi compongono : cr li quali Marco Tullia Cicerone, padre, cr principe degli ebquéù douédo orda rc,di parolai» parola bnparaua^ 4 memoria gli fi man dalia. Adunque può bene efjer,cbe le due guife, Senato* riae giudicale ftano agli fotimmi pi» neceffarie di que* &a terza demo\bratiua;et che da loroifi come prime che fi trattarono ) Thiftd , Corace , o altro antico Qra ore l'arte Rbetorica i'infegnaffe di generare ima lepiuuot te quel , ch'è ultimo per origine,àuenta primo in perfet* rione j fempremai neUbumxne oper adoni, iui è »wg* gior l'artificio , oueil bìfogno è minore : eonciofiacofa, che nei bifognila nojlra madre Naturaper fe fola, da niund arte aiutata è tenuta diprouederne.Naturalmente con le xmpe, O* «> danti pugna t Orfeo" fi L ione ; & U damma con U preSexx.* del cor/o /ho fifotragge aU fmgittrié. F<* ilfuo nido la Kondine ; nj la Ragna tef* fendo fi pr xura di nutricar ji una noi buominicrea'ure ciuilicontaiutodeUe parole, mefU cfegnideU'inteUet* to , con gli amici dell' auenir configliamo ; a" raffrenai* dole mani delTìrdccndia minijìre,hor dar.entcid noi prefenti ci difendiamo ;hor quelli tfìejii offendiamo. ■Poco adunque miai caft ci puoinfegnar l'artificio ìfc non dijponere , er ordinare U inueiuione naturale ì ma mila caufa demo(bratm non ncceffamalk wftraui*    DELIA SH STORIC A. 131 ti a k parole , le cofe col loro ordine , CT col /j(o /cw ro jóro puro artificio : il <jMd!e /cmiiufo nefk «afwa <fc/» le due prime , cr dafl 'indujlria nudrito divenne grande » CT neilff f er^J dcmojiratiua,quafi terza fui età , fi fc in* tiero.et perfetta,?? coft intiero cr perfetto, non pur ititi lira la buona confà demojìratiuà, itero nido Mfuo iplen dcre,ntà riflettendo ifuoi ràggi le altre due pia inferiori f caldai alluma mirabilmente. Quindi adititene, che v.ei kcaufegiudicialild gii$itia,eyleleggimoltc uolte fon laudate, erbiafunato cln le perturba ;et ne confglidel* k Kepttblicc la libertà, la pace , er la giuda guerra con /ornine Ludi fi effaltano ; er i tirami con uùuperiofon U cerati . Là quaUnijlura di oratione nelle Pbilippice di DemoBbcne,neUe Verrine & Antonimie di Cicerone,, riufei opra meraitigliofa. Finalmente Carte jet le caufe 0* ratorie a fentùnem di nofìra uita agguagliando , ofo di* rcj che le due prime fono il fenfo del tatto , fenzà le quili non nafceua,ne uiuerebbe la oratione : ma la caufa demo flratiuotornamcnto della Kbetorka,è oeebìoet luce ->che fa chiara la uitd ju.tykiagr.de inalzandole nulla del* Maitre iutnon èpofjcnte dipcruentre . Sia dimando m buono buomo pien d'eloquenza,?? d'ingegnojlqudle u* feito della fua patria folo,z? mdo{quafi utìaltro BÙnteX «e/ig.1 a Harfi in Bologna^ be farà egli deSarte fuaife e*. gli accu[a,o difcnde,ecco un tale amocato , che uendc al uolgo lefue parole :fe delibcra,non fendo parte deUs Re publica, i fuoi configli non fono uditi . tacerà egli , er jiafua uita otiofa ì non ueramentc , ma di continuo con lajua penna nella caufa danofìratiuabiafìttmdùtty  R 4 lo*    D I A L O C O  toltitelo Ufua eloquenza effercitara . La qttat cofa non per odio>o per premio , ma per itero dire facendo jn po* co tempo non follmente da pari fuoijma da /ignori, et da regi (ari temuto,?? Stonato. Sor, Qkc/ìo ttojìro eh t{! lente (fe non m'inganna lafimiglianza)è il ritratto del* t Aretino. Enoc, Io non nomino alcuno; ma chiun* quefì è,einon può efferefe non grand'bmmo,ondc ante pare , che quefìa caufa demofkatiaa tale fid alla fenato* ria,w giudidale, quali fono le dignità ecclefiafticbe aUe grandezze de fecolari ; queUe fono naturali fucceftioni t qnejieper propria indufbia acquisiamo . er ro/ì come un ^articolar gentWhuomo fatto Papa è adorato da (noi /ignori, cofì al buono Oratore per la fua caufa demofbra tiua cedono igrandi del mondo : che ilcaufidico,w il Se nitore non degnarebbeno di guardare. Ncn per tanto jon de uegnaxbe neff altre due cavfe i parlaméti aratori) per li lor grattiti nonfonmen cari ad udire deU'orationi de* moflratiue,non è difficile il giudicare. Perciò che ifog* getti di quelle due fon cofe trance pertinenti parte alla uita della perfona , parte aUo Hata della Kepublìca : wt4 quefU terza demoftr attua i uiui,imorti lafciando flare , folmente gli altrui nomi, cr memorie , d*ogn'm(orno di tode,z? biafimi ita dipìngendo . Adunque , cofì come il tteder pugnare a. corpo a corpo due nemici in camifeia co le coltella affilate , è affetto non men grato per le ferite typel ftngue , che fta il combattere a giuoco esercitato da fehermidoricon artificiomerauighofo ,caft te caufe ciudi altrettanto per le materie trattate fono ufate di di* Iettarne , quanto quefìa demofkatm con Ufua arte del    DELLA' HH1T0HIC A, T33  dire ne recagioia,cr fotiaxzo. Quindi adiuiene(fì come dmziio dicetu)cbein Senato, & in giudkio i medio* tri Oratori uolontieri affidino , out il difetto dell'arte col [oggetto ali che ragionano, facilmente fi ricompenfaz m le orationi demofkdtiue ( fi come ancora i poemi ) /e «ori fon cofd perfetta,non è chi degni ne d'udire, ne di He ocre . Et queflo batti al diletto, ey dSd cdujd demojbati Ud-m Vderìo,cbe ccnofcctc i miei falli, ghdicateìi , & correggeteli. Val. Può ben effer, che quel ck'è detto bdjlì al diletto^ alìd ciuf a demollratiua , ma non balli a gli Mi,dc quali,fbecialmentedel mediocre, fiete obli' g<rto di (duellare, B e o c. Veruna ifteffit ragione po tria parlare de gii ornamenti^ delle fomcdcldirt,o' dello flil mediocrexoneicfìd cofd che L ebcutionc è quei k punte della Kbctoriat, antiquate,®- col diletto, cf con lo jìil mediocre kbltondcaufd demofhriìiua fa de* compdgnata da me : mi qucflaè opra d'altro ingegno, et tfdlìriindufhridrcbedetli urna , fenza che ciò farebbe uri njcir fuori di quel proposto , interno di quale pideque al Soranxo,cbeiofaueUaffc, Sor. Come Brocdrdo, è fuor di propofito il ragionar dello fìile , con effol quale Urationc genera in noi il diletto,cbt al mouimento,r? d l'infegnate facete proua di proferìref Broc. Ocià ìfuordipropofito,oiofonfuor dimeflcffo, cr non Cm* tendo come io deurei i per la qua! cofa in ogniguifd io ho ragion di tdeere, Val, Ecco Brocardo noi conferii' tìamo,che'l parlamento de lìili,quando a uoipiace,in ah trofempo fi diffcrifcd.Uori(il che negare noncipctete) infegnatene ài che nwùera ì O' quai precetti o fermando,    B I A L O C O  il Tbofcano oratore in ciafcheduna delle tre cdufe,pof* fa ornarli di quel diletto , il qual impreffo ne noftri annui ne perfuade a douerfarc a fsto modo :che con ul patto noi rijbemdefìe alia qucjìian del SorM^o. Bnoc, Guardate che d dbrcofa non m'induciate , che la lingua Tofcana tri faccia battere in difbctto,cbe molte co/è puh tio beUe,cr nobili molto, quando fon fitte ; la cui origine è ui\ifiimd,et ripiena d'ognibruttura . V a l. Già a feo* tari di medefima,per fare ogni amo urta anatomia di cor pi bitmani,cj in quelli uedera,oue er come notte meft ne portino le nojìre madri,®' portati cipartortfconojio fon men care te belle donne,che elle fxmo agli idioti , che té fccreti non fanno : però dite ficur amente, che'l parlamen toma cominciato farebbe nuUa.fe in tal fmeiton terminaf fe. B r oc. Vorrò pofeia , che minfegnate an * àie noi i udiri madidi perfuadere , con li quali , benché molto taoff.-ndano.me al prefente fignor ergiate sfor, %ate . Sor. Duolui t-mto ch'io impari t B r oc. Per certo fi , percioebe attendendo aSe mie panie , noi iatparsrete quel? ijteffa ignoranza , che in mollami con moka indultria , er con poco honore la mia fcioccbexzA mha guadagnato : cmciofucofa,cbe i precetti ch'io ubo da dtre nonfono altro,che la bidona de i miei dudij; con effo i quali fon fatto t Acquale io mi fono. Sor. ogni punto mi pare una bora yebe de precetti mi faiieUutc,con U quali brutti er uih{came diccjie)diuenti atto a far bel* la la or ariane italgare. Adunque incominciate ,(euci me am.tte, CT quanto più facilmente potete ,diclmtr atemi il itero, che non ha faccia ài uerijmile, Broc, ìacil    DELLA KHETORICA, I34  cofa fìe Udopra-e ìprecem,Uquali intendo di dìmojtrar uima al mio iudìcio non fon cofa,che uno ingegno par 110 fìro debbia degnarfi d'adoperarli i però uditemi, ma con animo d'ammendarmi, non d'imitarmi, lo neramente fin da primi anni dijìierando altra modo di parlare, cr di fcriuerc twlgarmente i concetti del mìo intelletto, c que* /io «on tanto per deuere eflere intefo(il che è cofa da o* giù mlgare)quanto a fine chc'l nome mio co qualche latt de tì-a ifamofi fi tiumeraffe;ogn 'altra curapofipojìa,aU(t tettiott del Petrarca~,ey delle cento Nouelk , confommo fludio mi riuolgeÌJicUa qual lettione con poco frutto non pochi meft per me mede fimo effercìi atomi , ultimamente da Dio infbirato, rkorfi al noftro Mefjer Tripbon Ga* brieUe-AÀ qiule benignamente aiutato uidi, Cr intefi per fett amente <]i<ei due autori i li quak\nonfapcndo,cbe no* tar mi doueffe,hauea trafeorfo piu uolte . QKejìo noliro buon paére primieramente mi fece noti i uocabolipci mi die regole da conofeere le declinationi-,et coniugationide nomi , er uerbi Tofcani : finalmente gli articoli j prono* ttiij participif,glì aduerbii,^ l'altre parti dtoratìone di* fiìntmentc mi dichiarò : tanto , che accolte in uno le co* fette imparate , io ne compofi una mia grammatica : con la quale fcrìuendo, io mi reggeua : in maniera,che in po* co tempo il mondo m'hebbe per dotto , ty tienimi anche* ra per tale. Sor. infmhcra non dite cofaxbe ci peti* tiamo ^udirla icr cofifbero the dek'auanzo atterrà ,fe colmaefko,eycon gli autori antedetti d'impararlo ut configliajle . Bkoc. Dunque al rimanente ucnendo , poi che a me parue ieffer fatto un foknne grammatico,    DIALOGO  tonfberanzagrandijlima di ekfcheduno,cbe miconofce m , io ini diedUlfar uerfiiaUbora pieno tutto di numeri, ài fententie,pr di parole Vetrarcbefcbe ì er Boccaccia* ne, per certi anni feicofe amici amici marauiglhfe . po* fck parendomi,ehe la mia uena iincmtinckffe afeccare ipcrcioebe alcune uoìtemi mancaua i uocabott , er non battendo che dire in dmerfi fonetti , uno ifleflò concetto mera venuto ritratto ) a quello ricorfì , chefe il mondo boggidi ; er congraudifiima diligenza feì un rimario , o vocabolario «algore: nelqualeperàlphabeto ognipa* rok,cbegk ufarono cjueftc due,dijiintamenteripofmy tra di ciò in un altro libro i modi loro del deferiuer le co* fegiorno, notte, ira, pace, odio, amore, paura, jberan* Xst, bellezza fi fattamente racolfi, che ne parolaie con* tetto non ufcitu di me, che le NootSc, er ì Sottetti foro non me nefuffero effempio. Vedete uoi boggimai <t qual haffex&t dijeefi ; er È» che Bretta prigione , cr con che Ucci m'incatenai . Ma molto più bo da dirui , che io non u'hodettofm'qukperciocbe bauèdo io(come dinoto {Tom biàut foro)ogni lor cofa cofi latina come uolgarc trafeor fb i cr ueggendo le foro cofe latine per rifletto alle To* fee, non effer degne de nomi lorogiudicéctò douere aite ttircperciocbe a uarie lingue uarie grammatiche, fegtien temente uarie arti poetiche, er uarie arti oratorie corre fpondcfferczrcbe il Petrarca,et il Boccaccio le lor uol garifapcndo , ma le latine (colpa o" agogna de tempi loro) ignorando , tante bene Tofcdnamente fcriueffero; quanto male latinamente poetarono; er orarono. Perk qual coftkfciaifiareitonfìgli detnofoo padre Mejfer  Triphone,    DELL A HHE TORICA. 135  Triphonejlquale a poetar uolgarmente con Forticcio U tino mi richiamano, tener uoUi altra (froda : per la quale mcttendomijon giunto a tale } cbe io ueio il male^non lo poffofchiuarcMaperchc il tutto fappiate.foleua dir* miMejfer Tripbone,che al Petrarca teffer nato To/r,c m,&fiper ben kfua lingua,et in contrario il non [aper- ta latina, benché Torte tenefje, fu cagione difarbgran* de neffuna , ma neSaltra molto manco , che mediocre . UaaVincontro mi fi paratia tefoerienza ; percioche 4 di nojhri U città di Fiorenza cofì Tbofcana, come è,non ha poeta, ne oratore pare al Bembo gentiluomo Vini* tiano . A dunque potuto barebbe il Petrarca con Virgi* fc,cr con Cicerone far fi tal oratore,®- tal poeta latino, quale U Bembo col Petrarca, cr con le Ranelle è diuenti to Tofcano : la qualcofi non emendo auucnuta ,/cgno è t óc in due lingue ha due arUi però il Petrarca con l'arte fui uolgare componendo latinamente,^ minor dife flef* fomentre egli fcrifjh nella fualingua Tofcana. Conftr* mauamiaopenione iluedere ogni giorno alcuni buomi* ni pur Tofcani latrati , er digrand^ima fama , li quali tolti dal Petrarca&hor Tibulb,bora Ouidio,hor Vir gilio imitando faceuan uerfi uolgari ; li quali mezzo tré volgari,®" latmi,parimentc a volgari,?? a latini jpiace* nano iinfra li quali chiunque con nuoua gutfa dt rime t afenzarima ninna ilatini inùtaua, meno errano- al mio parere, er con giudiciopiu ragioneuale kpoeftecon* fundeuaipcrciocbe toglièdo a uerfi la rimo,o delfuo loco mouendolx fileiubro gran parte di quella formami* gare ; che i latini , er loro arte naturalmente ékonfee .    DIALOGO  14 qualcoft fi pronai ia in quel tempo , quando (q&tfì nitouù akbimilìa)lungamente mi faticai per trottare ìhe roteo ; il qual nome ninna guifa di rima dehetrarca tef* futa, itone degnai appropriar fi. Mouemianchora <t douer creder eofi la nojbra guifa dì uerfa il quale contri i precetti latini fenz<t piedi, er con rime non è mai dolce Agli orecchi , ne men leggiadro nel caminare , di qual jì uttol dcgliantiévAc quaipiedi poco appreffo perauen* tura fi parlari . Vinto adunque dalle ragioni , er effe* rienze predette , a primi jludif tornai ; er aU'bora , oh tra'l continuo ejfercitarmineUa lettion del Petrarca ( U quakofa perfe fola fenza altro artificio può partorire di gran bene ) con maggior cura di prima ponendo mente «fmìmoài alcune coje offernai fommamente (come io tredeua) al poetai all'oratore pertinenti ; le quali,poi che uokte,che tal faccia, brieuemente ui cjblicarò. Pria meramente le [ite parole d'una in una annouerando ey penfando, ninna uile,niuna turpe,ajbre pocbe,tutte cbk re, tutte eleganti , mi fu auifo di ritrouarle ; er quelle in modo al commttne ufo conuenienti, che eglipareua , che col cònfigUo di tutta. Italia, thaueffe elette , er molte , In frale quali ( qttafifìeUe per lo jereno dimezzami* te ) nluccunto alcune poche , parte antiche , ma di uec* Metz* non difaiaceuole s buopo , unquanco ,fouentc : parte mghe, er leggiadre molto, le quali, quafi gemme belle agli occhi di cufcbeduno,folamente digentiti , & alti ingegni fono adoprate : quali fòno>gioia, fpeinejrai, dijìojoggmno jjekà, er altre a lor fmglianti ; le quali mm lingua erudii* non parlerebbe , ne ferimebbe k  mano.    DELÈA KHETCSTCA. 1 5 Ci  maio, fé gli orecchi noi cofcntiftero. L ungo farebbe ti co Uriti dijimtamète tutti i uerbiigli aducrbijxt l'altre parti doratione> che fanno illumini juoi iter fuma una co fa non tacerò.cbe parlado della fua dbna,et di la bora il corpo, hard Tamma,bora ìlpiantojbora il rt)o,hora ràdare,hor lo (ìdrc,hor ltifdegno,horla pietà,bor la etàfmfinalmé te bar uiua 3 bor morta deferiuendo, ty magnificando, k più mite i propri) nomi tacendo* mirabilmente ogni cof<t dell'altrui Uocifuote adortiarxbiamàdo la teiìa oro }mo t tj tetto d'oragli occhi folitfìelletZapbiro, nido cr alber go d'amore de guancie,bor neue et rofe,bor latte cr fuo co; rubini i labri , perle i dentista gola cr 1/ petto , bora moria , bora akbaBro appellando : cr quejìo bajìi alle ditùonhiai dalpoco,cbe io dìcojl rimanente, che è ntols to,pcr tioi medefsmi oficru&rete. Hor venendo alia ora* tiotte, mila quale quejlo raro buomo le parole, che io ui lodai co bella arte ua coponendojifguardado alla copia, io m'accotfi che bauedo detto Una mlta litme,fitoco,cate ftajdilcttOjdoloreft altri tai nomi,maì 1 mede fimi in quel Sonetto no ridiceuajna in lor loco raggio,luce,fp lèaorei fÌMU^rdoreffamUe^nodOfUccioJegame^ioia^piaccre, pena,doglia,martiro,fìrato,affatmo et tormèto }i ddetta ua di reppticare. Oltra di ciò io comprefrxbe egli *<naM di contraporr e i cantrarif& a quelli i propri) affetti, cr le proprie opre, propriamente parlandoci cogmnger di ftderauddella difeordia de quiltj'uno aU'altro co mijura correjpotidcndo)ì,ufciuafuora il contètOicbejente 1 gn'u noi cr pochi fanno la [ita cagione . Ma ueramaiteqicHx cracoja mdrmghejx,iry-dcgn*certQ didouerc e);cre  uff    DIALOGO tan diligenza offeruata , che té contrari], crtaiuod, quafi (ili della fua telajn teffendo U ormone fono ordì* te in manieri , che ne afare per U fhrettezza, ne troppo motiijO <dUrg<Uc > ma falde.piane,et eguali per ogni par* te (tanno mfiemc le fue giunture : il che è tanto maggior uertu , quanto men della profa i noBri uer(t uotgart atte lor rime legati fon tenuti di adoprarU. Ma perciò che nei la orationc,non folamenle le dittimi, cr il loro [ito confi deriamojni farma,et fine determinato, cifrai quale non fpetie, è mefiierì di fiatubrr. la qualcofa non è altro che'l numero ( cofi il cbiamorno gli antichi ) del qual numero hoggipromifì , gt incomìnàai , ma non compiei di par* Urui. accioche piena informatione d'ogni mio jtudio por tiatCyitoi douete [opere che'lnoftro numero fi come quel lo demolire lingue : propriamente è mifura della gra&ez ZA del utrfo : le cui parole ben dijpojte , er ben termi* nate a Urotanto , er più piacciono a&'inteUetto quanto ti fuono, quanto lauoce, quanto ilntouerdeUdperfona t CT de piedi de baRatori , er de muftei gli occhi , er gli orecchi fuol dilettare . Onde io giudico al tempo antico forfè in Prouen%a,o in Skika,queimedeftmi, che erano mujìci cr danzatori, effere flati poetiiiquati pareggiati do i lor uerftai balli , aicami,ejafuoni, borfonettì bor canx,one,et hor ballate i lor poemi fi nominarono. E* l'I «ero che altramente mifurauano i uerft foro i latini, er altramente noi uolgari li mifurìamo:quelli, in fillabe d l ui dendo le ditioni,di effeftàabe alcuna %J,er alcuna brie ne feceuatmk quali infteme adunate norie mifure,cr uà rie forme di numeri (piedi dicono li fcrittori) iombi,tro*    DELLA RHETORICA. I ; 7  cheì,fboiidci,dattili , er mapcfti ne uaiimnoa rùtfcirc : con effe i quali i'ìorucrfi a oncia a oncia fmifuralfcro', et ttmerajfero. Ma noi altri i wflri ucrfi uotgari con mi nore arte, a 1 con più ragion mijuradofrutto eguale ala. tini finalmente ne riportiamo,percioche non curando del la htngbezz<t,nc breuità delle ftltabe piamente contane dclc, quelle in.uno accogliamo; o~ cofi accolte ceti dilete to de gliafcoltanti rendono intiera la claufula,cr in ucr< fo ne la cpnuertcno . il quai modo da mifurjrc è ccffyu* ra,w falcerà moho.cbenon perturba le fiUabe, nell'epa, ro'.e di cuifon parti , fccma,o rompe nel meza : ma ne lor. luoghi co lorofuoni&r intendimenti kfcÌMidole,fanr,cr falue per tutto l v.erfo le ci conferitale quai cofe non fin* no forfè i Latóri , o non le [aiuto fi bene : i quali cenfidee randa IcfUabe non come patii di dittionc , ma inquanto brietii, cr iti quarti lunghe , troncando col loro /««ae- re le parole , cr non parole tendendole , fanno numeri , (he non fon numeruna pagi, o braccia , o altra cofa cou lemifurante la oratione , non altramente, chefe ella M* fe\unafuperftcic ben continua , cr di un ptzzo /c/o : nel qual cahjpejfe mite quello <t Latini fuole auuenire men- tre efii fondono i ucrfi faro,, he a Latini , cr a noi con li cantori adiuienc-J quali concordando le parole al/e note, fenza curar de lignificanti, fan barbarifmi nonfoppor* tèdi. Non uuò però,che crcggLte,che la volgare fcan* fioncfiapuro numcro,tai:to , àie fole undici fdlabe , co» munqttc infoile fe adunino , facciano il uerfo Tofcano; ma è meltìeri in ntmeràdolc anziché all'ultima fi peruc* gna^lquuuoinfa la quarta a in fu k fefia, o infila otta  S ua    DIALOGO  Ua fèdere; ouerkogkcndo lo fpirko,fdcilmenlònfmo al fine ci conduciamo. Bifogna adttque che la quartajafe* (ìa,& la ottaua fiUaba fu ecft piana, in maniera , che k uocegia faticata comodamele uifiripofi,et adagie.Verò non è uerfo , Voi ch"m rime fparfo afeohate il f nono ; ne quelk.Voi Min rime fparfo il fuono afcoltate.ma bene è bello, & buon uerfo con tutti gli altri di quel Sonetto , Voi che afcoltate in rime fparfo il fuono . Forfè direte co yual ragia da poeti udgm la undecima fiRaba(quafì Fu* M delie colme d'Hcrcele)fu pofta al uerfo per termine, oltre al quale non fi mettejje f A che rijpondo , che cofi uolfero i primi padri del uerfo di quefla lingua ; li quali per auentura mal poteuano accommoiarlo a fuoni,a con* tà& <* balli lom fi più oltra lo diflendeuatto , o è più to* iìocbe'lnojhronerfo Tofcano allhora è uerfo perfetto, quando egli è giunto alla rima. Adunque perche più fo* Ilo ft conducete a perfetti: ne , di fole undici fillabe, alla più lunga,ilformarono,concedendo il priuilegio di poter farft più brieue : er col conftglio di chi l'afcolta , alcuna folta con cinque, mafouente con fette fiUabe mtieramat te prommtiarfi.Molte altre cofe uipotrei dir delk rima , ma non ho tempo da ragionarne iperò paffando alla prò fa , nofhra propria materia, nella quale [e egltu'hanume ro alcuno ; noi il togliamo dal uerfo,ty in lei lo trappian turno, o inefliamo -.facilmente dalle cofe già dette fi può coeludere che i fuoi numerino so dattiliffle fpodei, mafo Ito appunto i medefmi che noi trouiamo nel uerfo, fc non che! uerfo ripofando in fu le quattrojinfu le fei,o in fu le vttofue ftltabe^ neUe undici terminando , ha più certi,  &    DELLA RETHORICA, I }8  ©* pi» noti ifuoi numeri che U profi non hainéSa quale farebbe uitio non picciolo, fc k fua ckufuk po(ata alqua to in fui quarto paffo,totalmente in fu l' undecime fi fer» maffc . Dunque in qual moda iti dirò io cbe'l boccaccio fuggendo iluerfo, loratione deUe fue Cento noueUe sin* gegnaffe di numeraref certo quejU no è imprefa dafeher Zo , ne io l'ho prefa perche io mi uantidi confumark, Z7 condurk k buon fine ; ma aecioche conofeiate quali , er quanti infm horafiano jlati i miei Budip & di che piccia k utilità ; doppo lunga faticaci fono futi cagione. Voi hoggidl,fè non altro , fi almeno di meglio fpcndere il uo* flro tempo,che io il mio ncnfeppifarejmpararete a mie fpefe. Conftderando con diligenza hor le parole, le quali ufi il Boccdccio,et'4i cui dunzi ui ragionai,hor k kr co pofitkmejbora i fini de alcune ckufuk, hor le materie del le NoKeifo ninna cofa mi fi paraua innanzi che numero* fa s cioè compita,®- da ogni parte perfetta non mi pareffe di ritrouark.E' il ucro cheper diuerfe cagioni ciò auue* nir giudicaudtCr hor natura, & bora arte lo cfiftimaua ; C per dirui ogni cofa, hor con gli orecchi del corpo,hor con la mente deh" intelletto di cofì credere mi configli** uà . La elegantk , er antichità de uocaboli , co ì loro fuonipkeeuoU, le mie orecchie naturalmente di diletto defiderofe , compitamente addolcivano , La proprietà, er trasktione, k natura d'alcune cofe perfettamente aU [intelletto rapprefentando ,fenz<t modo mi diUttauano. Tanno anebora in unaltraguifa numerofe le fue Nouek te i pari, ifmili , er i contrariai quali fi come è loro na* ' tura, alcune stolte in alcune ckujule pienamente corre*  $ x fpon*    DIALOGO  fyondcndofìjiel paragone acquetandomi , non poteuano non contentarmi . Per U qud ragione ,a me par tua di po- ter dire gli au uenbnenti di Pinnuccio , cr di Nicotofaji Spinelloccio , er del Ceppa di Cimone , di Salabetto , di Mibrogiuolo , er di Bernabò, beffa a beff ^ingiuria ad ingiuria , er cafo a cafo totalmente quadrando, le ter no uelk far numerofe. Kmneroja altrcfi poliamo dire la o* rationc,oue il fante di frate Cipolla guccìo imbratta, oue la bellezza iella uaUe dette donne,la greffezza di Fero» do, la uanttà dinudana Lifctta, la cofcjUonedi Ser Ciap pettetto, «r finalméte la mortalità di Firenze ci è deferite ta,ft fattamente , che più altra non fi defidcra : parla an* ebora in alcun hiogbibarkLìcifca, bar ta Bentiuegna del Mazza, hor lafuoccra di Arriguccio , bar la moglie di quel di Cbinzica,®- dice o>/fr,er parole in maniera al la ojona comtcnicti,cbe par che intiera ne la ritraggono; quello Jonnado co'lpuro inchiollro,cheTitianófoléni0 mo dipintore co colorile con l'arte fua no potrebbe adont bfare. M a il numcrofo,di che ubo detto fin qui,pche può effcre, ej è forje non poche uolte dàniun numero accorri pagnato,non è il buono,di cui ho tolto a parlarui , bene è cofa da farne fltma , er ebeà trottare quel, che cerehia* mo facilmente r.e può guidare,?? far lume : però, pajjan do più altra al componer dette parole, ©" <d finir deU le claufaie,come douemo , armiamo . Dette quali due cofe, l'una nonèpoftibile,cbcfenr.amtmero fu numero* fa U 'altra è fontana del mmero,et d'ogni bene che fa par fetta {a oratici ne. Adunque incominciando dalla fontana, quindi a rufeetti imiendo 3 a me pare , er in effetto è cojì, - - - che  ?>    DELL 4 E H E T O B,I C A. che torrione delle noucìle è talmente coìnpofli , che chi hi orecchie non inbumane,ftcibnente s'auede quanto eU U tiene di perfetto , er di numcrefo: la cagione oltre a queUo,che pur dianzi ucne diceua > non le orecchie , ma [intelletto dee far prona di ritrouare.zt per certa yuan* tunque uolte ddiuiene,che con parole gentili^ fi tra fos ro adunatele ne aftra. ne aperta la lorofabrica ne rie fca,akun concetto cfplichimo; altrotanto fenza altro mt mero è mtmerofa la oratione. Et talee quella delle novd le : alla qaale\fu fi intento il Boccaccio , che alcune uolte uno, cr due ucrfi iv.fcendcne,o non gli uidc , o minti di kuarli non fi\urè,ma qua}] hellci-a [o caprifico che da fe 8efiifvafxf.o,et faffo germogliano, nelle fitc profe li co* portò, &U cefi cane dalle parole ben compojle,frafe medefme alcuna uolta per k profa deUe\nouclle nafeono verfi,de quali quanto fono miglìori,ta)ito è peggio abbati dare; coft in effe molte fiate, anzifanpre uarij nmrteri dì oratione parte graui,parte uaglù,cr leggiadri fono ufati dipulkhre . con effo i quali U Boccaccio non più a cafo t  per natura delie parole, ma cv leggiadro artificio ua te gando le fue fentcntte ; quelle in quadro acconciando, eP fra i termini delle Icr claufule compitamente acceglièdo,  1 quài mauri moderando la oratione,et la vaghezza del torfqfuo con piaceuolì intoppi foauanente a frenando , hamio uertù non fokmente di dilettarne , ma dì giouar* ne,che in quelmodo , che la dejhezza della perfona con lapofjanza congiunta, le mftre forze fa gròtte fe^ mi defbuamonel difender fi pi» ficuro, ey neUo fendere più itnpctuofo, cr più fiem coft k profa da cotainume*  S 3 ri    n I A t O G O  ri rfceofflprfgriirtrf è più cara ad udire ; cr <J»« concrfft , cb'ellafignifica, con maggiore efficaci* ci fuol imprimer neWinteSetto . Forfè affrettate ch'io ue li nomini t cr che in trocbei,iambi 3 dattiÙ , CT piedi colali latinamente parlàdogli uì dìlìinguafmain darno affrettate, che {enei acrfo,ouc nafeono, er onde li prende toratione,non fon nomati , ne figurati 3 neRa profa , oue cfiìfon peregrini, quai figure , quai nomi può toro dare che ne ragiona ì Adunque a luoghi dotte efii albergano conducendotti, et quafì muto additandogli , il rimanente al uofbrofiudio co metterò. Ma itoi deuete fapere che enfi come la compofì tion della profa è ordinanza delle noci delle porole,ccfj i numeri fono ordini delle fiUabe loro i con U quali dilet* tondo gli orcchbi, la buona arte oratoria incominciamoti tinua, er finifee la oratone : percioche ogni cUufula co* me ha principio cofi ha mezp , cr fine, nel principio fi M mouendo, cr afeende meUnezo quafi fianca dalla fati* cacando m piè fi pofa alquantopoi difende, cr uola a\ fine per acquetarfi. Hora in quoti luoghi deUa fua uia di qua dal fine debbia pofarfì l'oratione,et quote fiUabe dal principio fta totani la prima paufa, no è precetto che nel comanàixt comodandolo, ragion farebbe il no ubbidirlo; ft perche la profa uttók effer liberajonde il numero no le è legamela compimento ; fi per fuggire ilfafiidio ycbe co i medefimi numeri,detthet ridetti più udtc,ci recar eh be loratione : fi anchora perche afententie.er affètti di* jfrari,partinteruaUi diparole non fi couengono . Che fe'l nerfonon fallidifce , ciò odimene perche ì fuo numero è puro numero , cr quafi muro della fua fabrica ; il male    DELLA RHIIOUCA, 140  [mattato con altri numeripiu rileuatifdrijmàli, cr co» trurifcr d'ognintorno di rime,d'tpitbeti,& di figure di* pinto perde il colore, maggiorméte che molte mite il fin del ucrfò è principio , et talhor mezo della fentcn%a i ma nelk proft un medefmo numero è dette co/c, cr delle pa role iperò abondando ài dipintore farebbe operaaffet* tata,nm dilettevole jet oratoria,ma ridienti, puerile . Adunquerkoghendo le cofe dettcjpfrafe ftcfji para* gonandok, concluderemo mi medefima oratione per di ucrfe cagioni poter effer numerofa , cr non numero fi , perciocbel uerfo può effer nero, ma di parole ÙSfóme , €7 mal compofte: zrètdhora che la rima,et quei cafri* ., rij.ct quei fimili fan fonorajtta afyra molto lorationezr la caporione elegante [beffe fiate guafla il ucrfox? non uerfofagiudicarlo, Similmente la profa alcuna uolta ben capane le parok non bette, cr dura wka belle malamcn te ua componendo 5 et può occorrere che cofì come nella mufìca bencfpefjh le buone uoci difeordano,^ k no bua ik,o per ufanza , per arte fono tra loro concordi ì cefi ì pari>i fnmliw i contrari} , cofe tutte per lor natura ben rifonanti,qualche uolta co uoce a$ra,ty àfforme, qual, che uolta feioce mentc^ & a bocca aperta ua e faticando U oratione. finalmente molte fiate intrauienecke Ltpm /<* perfettamente compofta , quafi fiume del proprio cor p dppagandofi,nonfi cura non cht digìugere al fine,m di pofarft per lo camino,^ uafemprawfe'l fiato non le mancale, continuamente tutta firn uita eminareb* be . però a numeri ricorriamo, lìquali attrauerfando I4 (tratte pkccxoinmtc con Infinge , cr con uezzi ariti*  ' £ 4 jre*    B I ALO CO  f-efcarfi,ey albergare con loro la vantino , er non ualcn do la cortcfta,ucgliom uftr le forze; er per benfuo,mal fio grado,con violenza tarrefìino. Sor. Qae/fd leg gede nwnerideUa profauolgarepar molto incerta , er confufa nondOìinguendo otte, quando, & quante fiate dì qua dal fine debbia fermarli Toratione ; ne con quai pie* di cammì,o a qual termine fi conduci per ripofarfi . Md che è quello che ttoi dicefìe,che a fententie, er affetti di* fiori, pari intervalli non fi contengono f er come è uero che nella profa pitiche neluerfi,un medefimo numero fta delle cofe,ct delle parole tBxoc. BrieuementerìjbS derò,uoi(comefate)attentamcnte afcoltatemUo pur dia zi detCoratore,^ del muftcP-XT àc hr numeri ragiona ioui,hebbi a dire, che mufico ponedo infieme le mei gra tii,<y acute, et co fuoi numeri mifwrandolc campuceua a gli orecchimi lo ratore con le parole della mente fìmiii tudìnuVanìma noftra difoUazzo difiderofa , s'ingegnaua di dilettare. Adunque egli è ufficio d'Oratore dir parole non (olamente ben rifonanti,mamtctligibìli } ey a comete tifigniftcaticorrefhonientì,chcfi come nei ritraiti dì Titiano,oltra il diffegno,la fimiglianzà confideriamo(et fendo tali(fi come fon ueramente)che i loro effempij pie namente ci rapprefentìno,opra perfetta, eydilui degni gli efiiflìmiamo ■> co fi ancora ncWoratione conia teflura delle parole, con i loro numeri , er con la loro concinnità tintentionifigrìfìcate paragoniamo : procurando che le parole pronunciate fi pareggino alle fententie,et co quel lo ordine le fignifichino , che [ha notate la mente. Ver la qual cofafe i concetti fon grauì,le parole a douer loro    DELLA R HE TO R ICA. 141  rifondere deano farjì di fiUabe>cbe U lingm peni alcjua to nel proferirle ;fiano jpefiiiripofi , ey non s'mdugie il finire ìil contrario nelle parole jo' nelle fentenze piace* uoliueggofare al Boccacio,w altrettanto pofimo dir degli affetti . Perciocke i colerici con parole udibili, & prcjìe molto,mu imanmconicipigramentc y agguaglun= do conle parole ?h umor e, fono da effer pronunciati : che tuiegnadio chel Tbcfctno nel numerar delle ftlabe non pc ngd mente alla Uinghezz^o breuità loro ,f,che piedi [e ne cempongd ; nondimeno nciprouiamo ogni giorno , che in cffefUabe con pia tcmpo,et più dffrdn;entefi prò fc.ifconoleconfoiuntiibclciiocaliìion fanno, llke Da te confidcrando,alcund tic Ita nelle canzoni ;er nella ce* mcdia,non d cdfo,o per confuctudìtte,md a bello fludic e<f léffe rime molto dfprc, non per dltrofaluo perche al feg getto di che pdrhatdyi^ro molto , er priuo aitato d'u- gni dolcezza fi comtemffero. i\u per cicche 1 poeta altro non uuole,che dilettarne,!* Voratore dilettando ci per» fuade ; però è mefticrìche le parole decoratore total* mente fi confacciavo a concetti fignificali, er che i ntmte ri deÙa prefa, cioè il principio i! mezo,et il fin fuo.uada <t paro col mezo, et col principio delle fcntentie , ikhe de uerfi non adiuiene, i cuinumsri non da concetti deWinttì IcttoTtiaddbdUifunm acanti fon dependenti, El efuin* di uiene,cbe i perfètti Oratori so rari in numero piu,chc i poeti non femodi quali auegnadio ebegradanente fimo obligati d lor numeri, et però il uerfo paia oprat Uberto* fd&digrmdifiimo magiflerio ; nondimeno certieffm* do jnqualfad parte cotdimnerifmpariiiOffenztttnol  to    DIALOGO  lo penfari(ifufo,fufo i .fubitamcnte li ritrouiamùì CrdagU orecchi guidati A mezo,ey al fine facilmente con effo lo ro ci conduciamo. Ma altra cofa è la profa,laquale dilet* tondo er pervadendo congli orecchi,®- con Cintetiettcr, fumo oblìgati dimifurare; guardàdofempre che te parò le nonfian più corte, opiu lunge della fentenxa fìgnifica fa : che ciò effendo,troppoofcura,o troppo fredda riufei rcbbcTcratione . Sono adunque ifuoìnumeri meno [enfi Mùtua affé più nobiliiun po più Uberi,ma non men certi diqueideluerfoi manon appare Uhr certezza, alber* gando neUefentenz<>kquaifon coje intellettuali. E< ofo dirc,che cq/ì come più perfettaèla muficddelletre uod the deUe due ; come mchoraè pmperfeita U dipintura de più coìori s chenonè queUa de pockixojììa prefa, nel* hi quale agli orecchici aU'inteUetto fi cecorda la lingua* è oratione più numerofa del uerfome la Ungua,ctglio* recchiaiue fole membra delnofbro corpo t fono ufate dì co Uenirfi . Qjtefioè il conto de fludij da ine fatti fmhorA nel Petrarca,et nelle NoueUe con fatica grandifimu, er con quel frutto che uoi uedete ; ne me ne pento del tutto , fyeràdo che i mici errori funo altrui occafione di dauer bene opcrareia me nmgii,tiquale auezxo a fallire appe na ueggo ti miofallom cheiopoff a ammendarmi Sor.— Seti uojbro fallo è fi picciolo che uoi peniate a uederb , fiate certo che agli altrui occhi fe totalncte imtiféile^e rò potete non curare. BkOc. L'errore è grande et da fe flefouffainoto t imldmk uifta ufa alle tenebre deWigno ronzammo che bafìi,nÓ lo difcernc:ct(che è peggiorai taddlmediuerttànonpuo affiffarfinel fuo fbkndorc .  SOR,    DELLA EH1TOSICA, 141  Sor, Ver grulli additatemi quefìo more, er fe k m* (fra ignoranza ha prìmlegio di potarmi giouare infogni" domiaicana cofa,non ktentteociofa.B«oc. Hohijono gli mori onde io mi trotto impacciato ; ma tutti nafcono daìiaradiccji che dianzi ui ragionai : cioè, che torte lati tu deh"orare>o- dei poetatela diuerfa dalla Thofcani, tìqttakerrore doterebbe effer e a cufchedtmo manifejlif* fimo. quindi or gomento^bek mie lunghe, zrpueriliof* fauationifiano'morì j fbetkbnente quelli de numeri, deUa cui barmonia k mie orecchie s di miglior [nono difi* derofe,compitamctite non fi contentano. Sor. Deffrf m<t ierk de numeri poco baurete dafaueUare,fe a lombi, er 4 dattili non ricorrete, maionottuedoin qual modo co te mifure latine knojira prof a uolgarefi pojfafar numero fa. B roc N«o ii uedo,ma altri forfè fri ueder*. Sor. Vrimier amente Magnerebbe far uerfi effametri, er peti tametriin quefla littgua,dando loro quei piedi^nde itati tiifono ujatidi cammare-.pofckaUa profawnendo, con quei medefmi in altra guifa dijpofli faticarci dinumerar la . ma ciò è cofa impofiMe,però il ?etrarca,iie il Boc< caccio non k tentò, Noiadtmque che fatto hr militiamo, per le loro-orme uenendo procuriamo difeguitarli , con* tentandoci ebe dopo loro nei loro ordme,non fecondi,ma terzi quarti ci nominiamo. Bsoc. Certo quefìo bo fat* (io,mentre io era d'opinione che k nojbra arte oratoria, cr poetica,attro non foffè che imitar loro ambidue; prò* fa,zj uerfi a loro modo fmuenàoxs' al prcfente,piu che tnaifcfitilfarei^into dal piacer della lettione,ry dal di* fw dclfhonore,chcfa ilmatido 4 ebigliafitmiglia j fe do  non    Mn fcffe che Cicerone in alcun libro àeUdfud arte orato rid,cotdlguifa difludio da Carbone adoprdtcgrandemé tefuol bùftmare ; lodando aWmcontro il tradurre cCun4 ìingua iti un'altra i poemi, er laratiomdcpiufamofrXa* qual cofa(per uero dire) ionon bo fatto fin qui dubitarti do per le ragioni antedette, che la. fententia fritta da Ci terone delle due lingue piudnì'.cbe^eHa moderna non fi effequiffe cofi ufeito de i primi liudif, w ne fecondi no fendo ofo di effercitarmi,molti mefi fono'uiuuto otiofo.et fél Valeriononmi conftglia t non fo che farmineWaue* iwe. V a l. Hord4 uoi tocca di configliare il Soranzoì ' perojdfcidndo i afa uofhri ne loro termini fiore, condii* dete il ragionamento principiato; il cui fine ( fc il difide* rio deU'afcoltar non m'inganna) ci è lontano parecchie yùglia. Broc, Anzi io parlotta defdttimìehpercbe di quei del Soranzo non mièrimafo chefauellaretcbe batte" do detto per quii ragioni,fecando me,il diletto fta la air* tit de![ordtione,zT la eattfa demoftratiud, inquato io poj fo, foprd t 'altre effahttd, olirà di ciò della forma deWcf ferrite* > che tiene Umondo hoggìdì , zrde numeri quel io n intendo, er quanto io dubìtoragionatom,o bene, c male che io ne parlafiijo pretendo ibaucr rifpofìo 4* Idcjueflìone ifahofe io non entraci tra quei precetti in* finiti H far proemij,di narrare J argomentare, er di epi \ogar rATaratìone, o a fitte, ake figure , a gli ornamenti del dire,o dltattione,odUa memoria mi riuoglie(fe,o de* gli afctti,o de flati dipintamente uifaueUajìi. ìlebe fare ttonfaperei s'io nolefti,ne dotterei fe io fdpef.ifendo cofa mnpertmente,a fuori al tutto di quclpropojìto, tutor*    DELLA KHETORICA. 143  no al quelle fcìlsoranzo la fita dimanda. Val. Vc&t tdrtìi farebbe qucUadeS Oratore, feragionando fuor di propofito dilcttajfe in maniera,che chi ludiffe noi difeet neffe.B eocar. Alita cofa è il parlamento àeWQra* torc,cj -altra è quello del KhetorcSun diletta,®- l'altro infegnajbench'ìo fia Khetore atto meglio a douere irnpa rarc,chc infegnare. Val. Almeno rttinfegnarete rìfho dere a gli argomenti d'alcuni grandi, i quali confcffcmdo {quel che noi dite ) la Khetorica effere arte , U quale ne nofkri animi piacere,®- gratta partorifea-figuentementt non àmie utrtit ,maperuerfa adulatione fi fanno lecito di chìmxrU,<£r,come uirìo di makguifajei fbandifeono delle Kepubliche. Bkoc. Di Platone parlateci quale inperfonadi Socratejtonper uer dire,ma Polo,®- Gcr già tettando, coquello animo bìafimò U Khetorica, che altra uolta a Trafimacho,et Glaucone fe leuar Fingiuftì f i'i . Che cofì come fecondo lui, a cittadini , ey guardiani delle Kepubliche è neceffaria la muftea, arte più ditette* uole che utile,cofi a medefmi è buona cofa tmparare et teffercitarfì nella Khetorica,gioia s cr ditetto deWinteh letto. Ma accioche molto bene ilmio intento dpprendid* te , Koi douete fipcre che ifentimenti degli animali{ da i qualicomeda cofe più note, è bé fatto che ilnofhro efìent pio prciidiitmo)inféntcndo gli obietti loro,fe buoni fono s'allegrano,® fe rcì,cioè àamofì alle ulti loro,fono uja* ti di contriftarft. Adunque,come ti cane ha piacere di ue deregr fiutare, etmngiare cibo che lo conferma li di fbiuciono tema-zzate, cofì tamente di faperedefidcroft ji dtletta del uero,cr ilfaljb, cofa contraria al fdo difide*  rio,    DI A I O G O  twjommmenteper fua natura abbonda : er per c erto quale è il cibo càio Homaca , tale è k uerità ah" intelletto} ma la bugia è il ueleno che lo difhrugge : cr d'immortale die nacque, peggio che morto fa. diuenirlo. Hora & (enfi tornando,cetto l'huomo è animale pia gentilefco,et di na tura migliore che le bcHie non fono,il quale foUeuato dai la bruttura di brutti ad altro attende , che ad empiexfi U gold, er molte fkte,per uedere una. dipintura , udire una muflcafaniettfete pdtifcejoglknda anzi dipafeer gli occhi, er gli orecchi, non jenzA damo della perfona, the di uuundcmMeridlineUa cucina ingnfftrfi.Laqml cofd,fì carne è uera de fentimetiicofi ha luogo ncWinteìlct to,alqmle fimilméte dee ejfer tecitojafckndo il uero che b mtrica.akuna uoìta per dilettar fupoter gujiare il pk ceuole. Nclqual cafo perauentura il noftrohumino intel letto è più dttànOytbe humano,percioche inquanto bum* no cioè nudo d'ogni dottrinaci <f imparare difìderofo,cor re al uero che'l fatiama co uerft,et co profeper fuo dilet tofcherzandofimile è molto alle inteMigèzeJe quali non perfaper più ch'elle [appiano, ma per fokzzo fotta d pì« di,miradofi,fono uaghe di riguardarne. Che }e noi forno philofophi, tali a noi fono k Retor ici et k poefid quali i frutti dUe tduole de fgnoriìltquali dopo ceni quando fon fatijiCùpiacendo al pakìo } alquanti per gentilezza ne ma giano-Mi d coloro che gii no fono,et fon perfarfì philofo f>hi,ledue arti predette fono i fiori che innanzi d i frutti JeRe fcienze,ù miti loro di fruttare difiderofe^uafi pia ta k primauera, fi dilettano di fiorare . Aluotgo poi che non fa mJkjte fa péfier di ftpere^tpur i parte delk rc  piètica,    DELLA. KHETOHICA. I44  pub\ka,loratiani,et U rime fon tatto l cibori tutto l fi-ut ta deUd fui tàa . li qttd «oìgo non Ktutndo «irti didige rir ìefcknzejzT mfm prò conuertirk,de hro odori* cr delle toro finulitudmi gli Oratori afcoltandofuokiippat gdrfyo'coft ume,et mantienft, Dunque io non uedo per quul cagion k Rhetor icet debbufbanda fi delle Repiéli che, fendo arte che baper fubietto te nojhre bumane opt rttionkonde hanno origine le Republkhe : che bauegn<t dio che Foratore con ragioni probabili, cr anzi ùiccrte che nòidilettando , cr pervadendo giudichi , cr regga le diali operationii nondimeno fommamente è di con* mcndaretCr dbauer cara la fua folertiaxkfla quale le co fawflre perfettamente, zrproprimente, m quel moda che a loro effèrt fi conukne,fono trattde&r còfiderate. Quejlodko prefupponedo che uoifappiate(ikhe è noto ad ognuno)cbe l'huomo e mezzo teagf animali, cr fui* tcUigenze , però comfee fe (ìeffo in un modo mezzana tra la fcienza,ebe egli ha de Brutti, cr ti fede, onde egli adora Domenedio, Il qual modo non è amo che openio* ne generata dalla Rbetorka , con U quale il uohrfuo » Cr faitrtuka parenti, cr amici, neUafua patria ciuil* mente uiuendojee curar di corregger cxbe}e una opera medefima in uarij tempi dalle leggi cktadinefcbe,hor uie tata,<er hor comnandata può effer aitio,®- uirtà-ragio* ne è bene che k nollrc Republkhe, non <k faenze dima firatiue, uere,^ certe per ogni tempojma con Rhetori* che opmiotìiuariabih^rtramutabiìi(,qual fontopre,^ U kggi nojhre)pr udentemente finn gouermte. Vero Sa erate dannato a torto dell'ignoranza de giudici , abbi*    DIALOGO  dendo dUaopinione della fin patrìd,uolontieri fi fe incori tra alla inortc:U quale, pbilojophicamente argomentane do,come iniqua,?? mgruffc peiujoue tentar di fuggire. Etne! uc ro,comc il pinlofopbo ufo di intender nuTaltrd cofa filno quelk, che per li fenfi uenendogli ua ad dlber gare neffbitcUeitOjtMto men crede, quanto più fa cojj il medcfimo,ufo aVopre della natura,laquale eterna co leg g'e eterna,ct mconiutabilc ijuoi effetti produce,makmcn te può effere atto algouerno deRa Repubtica: le cui leggi per boneHe cagioni battendo ricetto a tempi , a hogbi % dUa !<tiht4,dUefttefoize,ct 4Wakm,fyeffc fiate da (tv. di altro mutano fornu&fembiahte; però ji creaiìo i magi- iìrati, li quali non altramente reggano lorotbc effe noi Sono adunque le legginon acri dei, quali fono la natura,. CT rinteUtgéze,nu fono idoli da quelli ijlefii adorate poi che fon fatte,che con loro arti le fabricaroiio.'Però è ben fatto,che con faenza non necefforia, ma ragioneuole,no pcrfctta,ma aìl'cffer loro perfettamente correfyondente, foratore , di cui parliamo, kèbia cura di conferuarle : chefe il noBro intelletto intendendo fi fa fimile alla cofi intefa, come può effer àie Thnomo auczzo a contemplar hfutìanza, er le maniere de bruttifi confacela col xege giment o della, città f più toflo c da credcre,quel che ogni giorno ueggiamo, che quejlo tale al fio fapcrfimiglim- dofi,udda cercado k}'olitndme,w in quella phiiofipbM do (ìfepelifca. li contrario fa Foratore, la cui arteji cui gouerno,i cui cafìumi, er le cui parole fono cofe propria, mente ciuadinefcbe,non credutc,non japutenu perfuafe co maggior dMtatione di qtfeUa, che k fciéza dnnojh-a    DELLA H HE T O R I C A . 145  tìwt det altre cofe più biffe , cr meno a noi pertinenti ci 4pporta:che maggior dtlettatione è il ueder jokmentc, o fenz4 <tiiro,udir parlare tino amico da noi amato,*®- ha* vuto caro,che ttedtrc,udire,gttjiare , er toccare tuttele befìic del mondo : con k quàl dilettatone perfttadcndo^ gloria,®- (tinte afuoi cittadini fuolgcnetar loratcre t non altramente, che co i dilpttt carnati gli mimali fenz* ragione generUo l un labro, facciano intera k toro fpt eie . che altro non fendo k nójìra gloru , che openione, che hanno gli huomini dell'altrui fenno cr ual/orejagio* nt è bene, che k Khetoricótartipcio delle ciuHiopcnioni, fenza altramente philofophare , de nofiri nomi k par* torifea,, Quatito adunque è più nobile,®- più amabtlco* fa del generar de figliuoli latterà gloria frutto (temo della uirtii,per k quale, a Dio ottimo mafiimo ueramen* te ci afiimigliamo, tanto è più utile aUa Kepublica labuo ita arte oratoria di qualfi ueglk fetenza , che delle cofe de&ttnatuxt. con ragioni infallibili puQacquijlar fi k no* iira mente . VoLadunque Soranzo ( che già è tempo , che t ttoi riuotga il parlare,®- in (otMx , cerne 4.a mi ì incominciò } continuate Imtprcfa , ® alloflu* dio detfelpquentia, che fi per tempo tentajìe , bora, che già ne è tempo , con tutto i[ cuore donai cut , cr confa* crateui, Conofco per. mote pruouc il ualor dello ingegno uoftroal quale benché fio, attoafapere, ®- operare ogni coft,che a gentiluomo pertenga , nondimeno ,fea fan* biantidellaperfonajcjìimoni dell'anima, fi dcedarjede, conftderando la figura deUafacck,et del corpo uopro , i mouùnenti di queko,U leggiadria defk linguaja uoce,ei  T i fìait*    T> t A E © O O  {fianchi piati tutti di molto &mta , chiaramente compri do uoi c/Jir nato 4 cfowere effer oratore,il quale neUa wo« firn Rep,tra Scnatori,e tragittici acculiate ,et deliberi* tc,o nella corte di Roma tra letterati uiuendo,pcr diletto Ìel mondo,ccn grandilf ma uojbra ghria,bkfimando^ lodando componiate CT fermiate, quale bo fperanza che mi farete, fe accompagnando co la natura la indujhriajn quella parte riuctgtrete la mfte, oue tti chiama U uojìrd neUd x contentandola d'effer buomo,le cofebumanehua mattamente curaretc,ey apprezz&ctejche ejfendo ima* gine e finuglknxa di Dio, ben può bajlam che la uojìra fetenza fia una nobile dipintura,deUa medefma turiti dì tettante la ttoflra mcnte,m quel modo che de ritrattimi* terialifiwl dilettar fi U ttijìa. Che fe l'anima rationalefor Iftdjef uitd de noflri corpi, è immortale intelletto ( il che hoggiXambafciadot Contarmi col Cardinale »Cf cogli akri,fì come io ttimo,a ncluderanno > creder debbiamo t che'l itero cibo,cbe la nutrica, fia non faenza mortale da\ mi in terra aequijìdta, ma alatm cofa diurna conuenìéte ti f ito efferrJcUa quale alia gran menfa di Dio eipafcìd* moticlparadifo. ryurtqueintalcafofolamentea dilettar (intelletto fludiaremo t rt impararmoMpingendo con le parole la ucritk daquale liberi fatti dalla prigìo della cor* tte,in propria forma uede,et confèpla la mjlra méfe.Mi polio cafo(cbe Dio noi uoglia)che la ragione fta cofa hit mana,come noi ftamojaqual najca uiua,et inora con effo noijcertofuo ufficio dee effere ildifeorrere hunanamen» tejetqueUo principalmente confidcrare, ebefìconuiene éUa bumanità, torte oratoria adoprando,con la quale in    DELLA RHETOFICA. I^ff  tjue (là uita ciuSe,lemfìre Immane opcratiotà moderi» mo,et reggiamo. Ef per certo conte i colori materiali^* do fermine luoghi loro , mandano a gli occhi Fmagini, per lo cui mezo ti a>nojciamo,coft il itero dcUa naturai di Dio,m>n mfejìe([o,chenon poliamo , ma nell'ombra delle noBre opinioni contentiamo di Acculare: le quati (pitto piti ne dilett<tno t t<tnto più douemo credere che fio* nofmtli altiero, oue è npojh il piacere , che neramente ne fa felici. Ma acciò che neU'tmparar cr effercUar U Khetorica,queUo a uoi che a me auate, non intrauegtiai appigliateti intieramente a configli di Meffcr Tripbon Gabric&c,nmuo Socrate diquefìa etile cui uiue parole bene ìntefe da uoi,piu dì bene u'apportaraimo in un gior* nojolo,che a me non fece in due mefi la lettion del Boc* caccio ,col rimario ch'io ne carni . Qjufìinon men corte fe,che dotto uohntieri il fentiero^h'à buono albergo co* duce con diligenza Hi moftrark con quello uno il Petrar ca V il Boccaccio leggendo } non pur le ciancie da me of* feruate,(y notate, ma i fecreti dettate laro mi ben notf a mlgarUfacihnente penetrarcte: imparando in qualma do latinamente, cr grecamente parlando 3 queUi imitiate, CT loro fintile diuctitiatc . il quale M. Tripbonefebora fufic in Bobgna s me certamente dagli errori del mìo paf fato ragionamento, et il Valerio dalla fatica del fuo fuiu ro,perauentttra hbcrarebbe , terminando la quejìione in manierarne poco,o nulla uauanzarcbbe da dubitarci!} tanto uoi udirete il Valerio , ilquale fi puodirluidopà UUal cuiparere(che dianzi io dicefii) io ui conforto che iààttentate. Vai. Ricordini. * maca alcuna co fa.

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