Grice ed Eccelo: la setta di Lucania -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Lucania). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. It is thought that fragments
of a text attributed to POLO di Lucania may have been written by Eccelo. Grice:
“As if I cared.”
Grice ed Eccecrate: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Grice: “Must say Giamblico has
a broad criterion in mind: if someone speaks Greeks and comes from Crotona or
Taranto, and KNOWS Pythagoras’s Theorem, he is a Pythagorean. Eccecrate.
Grice ed Eco: l’implicatura conversazionale della
rosa segnata -- il nome del nome – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alessandria). Filosofo italiano. Grice: “Eco
thought that his “Guglielmo da Bascavilla” was a clever composite of Holmes,
who deciphered the enigma of the Baskervilles, and William Occam – and has his
tutee claim that he died of the black plague – but Gal has now discovered he
did not!” -- Eco philosophised at the oldest varsity, BolognaGrice: “Of course,
‘varsity’ is over-rated, as I’m sure Cicero would agree!” -- Grice: “I would
not call Eco a philosopher, since his dissertation is on aesthetics in Aquinas!
Plus, he wrote a novel!” -- scuola bolognese-- possibly, after Speranza, one of
the most Griceian of Italian philosophers (Only Speranza calls himself an
Oxonian, rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio
di un impiegato nelle Ferrovie, consegue la maturità al liceo classico Plana d’Alessandria.
Tra i suoi compagni di classe, vi e il fisarmonicista Coscia, con il quale scrive
spettacoli di rivista. E impegnato nella GIAC (l'allora ramo dell'Azione
Cattolica) e chiamato tra i responsabili nazionali del movimento studentesco
dell'AC, progenitore dell'attuale MSAC. Abbandona l'incarico -- così come fanno
Carretto e Rossi -- in polemica con Gedda. Durante i suoi studi universitari su
AQUINO, smise di credere in Dio e lascia definitivamente la chiesa cattolica. In
una nota ironica, in seguito commenta. Si può dire che lui AQUINO (si veda) mi
miracolosamente cura dalla fede». Laureatosi in filosofia a TORINO
(agli esami riportò sempre 30/30, anche con lode, tranne quattro casi: FILOSOFIA
teoretica e letteratura latina, in cui ottenne 29/30, e storia della
letteratura italiana e pedagogia, entrambi superati con 27/30) con relatore PAREYSON e tesi sull'estetica di
AQUINO (controrelatore Augusto GUZZO), comincia a interessarsi di filosofia e
cultura medievale, campo d'indagine mai più abbandonato (vedi “Dall'albero al
labirinto”), anche se successivamente si dedica allo studio semiotico della
cultura popolare contemporanea e all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario
e artistico. Pubblica “Il problema estetico in AQUINO”. Partecipa e vince
un concorso della Rai per l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari. Con
Eco vi entrarono anche Colombo e Vattimo. Nel concorso successivo entrano Milano,
Fabiani, Guglielmi, e molti altri. I vincitori dei primi concorsi sono in
seguito etichettati come i "corsari" perché seguirono un corso di
formazione diretto da Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del
dirigente Guala, svecchiare i programmi. Con altri ingressi successivi, come
quelli di Serra, Garroni e Silori, questi filosofi innovarono davvero
l'ambiente culturale, ancora molto legato a personalità provenienti dall'EIAR,
venendo in seguito considerati come i veri promotori della centralità della RAI
nel sistema culturale italiano. Dall'esperienza lavorativa in RAI, incluse
amicizie con membri del Gruppo 63, E. trasse spunto per molti scritti, tra cui
il celebre articolo Fenomenologia di Bongiorno. Codirettore editoriale
della casa editrice Bompiani. Pubblica il saggio “Opera aperta” che, con
sorpresa dello stesso autore, ha notevole risonanza e da le basi teoriche al
Gruppo 63, movimento d'avanguardia che suscita interesse negl’ambienti
critico-letterari anche per le polemiche che desta criticando fortemente autori
all'epoca già consacrati dalla fama come Cassola, Giorgio Bassani e Pratolini,
ironicamente definiti Liale, con riferimento a Liala, autrice di romanzi
rosa. Insegna a Torino, Milano, Firenze e Bologna -- dove ottene la
cattedra di Semiotica. A Bologna è stato fra i fondatori del primo corso di
laurea in DAMS, poi è stato direttore dell'ISTITUTO DI COMMUNICAZIONE e
spettacolo del DAMS, e in seguito inizia al corso di laurea in Scienze della
comunicazione. Infine è divenuto Presidente della SCUOLA SUPERIORE (‘high
school’ – H. P. Grice) di Studi Umanistici, che coordina l'attività dei
dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha ideato il Master in
Editoria Cartacea e Digitale. Insegna alla New York University,
Northwestern University, Columbia, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by
the Department of Romance Languages), University of California-San Diego,
Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São
Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège – formerly ISTITUTO --
de France, École normale supérieure (Parigi). S’interessa all'influenza dei
mass media nella cultura di massa, su cui pubblica saggi in diversi giornali e
riviste, poi in gran parte confluiti in Diario minimo e Apocalittici e
integrati. Apocalittici e integrati (che ebbe una nuova edizione). Analizza con
taglio sociologico le comunicazioni di massa. Il tema e già stato affrontato in
Diario minimo, che include tra gli altri il breve articolo Fenomenologia di
Mike Bongiorno. Sullo stesso tema, svolge a New York il seminario “Per
una guerriglia semiologica”, in seguito pubblicato ne Il costume di casa e
frequentemente citato nelle discussioni sulla controcultura e la resistenza al
potere dei mass media. Significativa e anche la sua attenzione per le
correlazioni tra dittatura e cultura di massa ne “Il FASCISMO eterno”, capitolo
del saggio Cinque scritti morali, dove individua le caratteristiche, ricorrenti
nel tempo, del cosiddetto "FASCISMO eterno", o "Ur-FASCISMO":
il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell'azione per
l'azione, il disaccordo come tradimento, la paura delle differenze, l'appello
alle classi medie frustrate, l'ossessione del complotto, il machismo, il
"populismo qualitativo Tv e Internet" e altre ancora. Da esse e dalle
loro combinazioni, secondo E., è possibile anche "smascherare" le
forme di FASCISMO che si riproducono da sempre in ogni parte del mondo – “non
solo a Roma!”. In un'intervista
mise in evidenza la sua visione rispetto a, della quale E. si definiva
un "utente compulsivo", e al mondo dell'open source. Pubblica un
saggio di teoria semiotica, “La struttura assente”, cui seguirono il “Trattato
di semiotica generale” e i saggi per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in
Semiotica e filosofia del linguaggio. Fonda VersusQuaderni di studi
semiotici. È anche stato segretario, vicepresidente e presidente onorario della
IASS/AIS IAssociation for Semiotic Studies. È stato invitato a tenere le conferenze
Tanner (Cambridge), Norton (Harvard), Goggio (Toronto), Weidenfeld lectures on
comparative literature and translation, sponsored by the female-only college
St. Anne’s (Oxford,) e Ellmann (Università Emory). Collabora sin dalla sua
fondazione alL'Espresso, sul quale tenne in ultima pagina la rubrica “La
bustina di minerva” (nella quale, tra l'altro, dichiara di aver contribuito
personalmente alla propria voce su ), ai giornali Il Giorno, La Stampa,
Corriere della Sera, la Repubblica, il manifesto e a innumerevoli riviste
specializzate, tra cui “Semiotica”, fondata da Sebeok), Poetics Today, Degrès,
Structuralist Review, Text, Communications (rivista parigina del EHESS),
Problemi dell'informazione, Word & Images, o riviste letterarie e di
dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata da Anceschi), Alfabeta,
Il cavallo di Troia, ecc. Collabora alla collana "Fare
l'Europa" diretta da Goff con lo studio “La ricerca della lingua perfetta
in Italia” in cui si espresse a favore
dell'utilizzo dell'esperanto. Traduce gli Esercizi di stile di Queneau e Sylvie
di Nerval (entrambi presso Einaudi) e introduce opere di numerosi scrittori e
di artisti. Collabora anche con i musicisti Berio e Bussotti. I suoi
dibattiti, spesso dal tono divertito, con Nanni, Calabrese, Fabbri, Volli,
Leonetti, Balestrini, Almansi, Oliva o Corti, tanto per nominarne alcuni, hanno
aggiunto contributi non scritti alla storia degli intellettuali italiani,
soprattutto quando sfioravano argomenti non consueti (o almeno non ritenuti
tali prima dell'intervento di E.), come la figura di James Bond, l'enigmistica,
la fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo d'appendice, il fumetto,
il labirinto, la menzogna, le società segrete o più seriamente gli annosi
concetti di abduzione, di canone e di classico. Grande appassionato del fumetto
Dylan Dog, a E. è stato fatto tributo sul numero 136 attraverso il personaggio
Humbert Coe, che ha affiancato l'indagatore dell'incubo in un'indagine
sull'origine delle lingue del mondo. È stato inoltre amico del pittore e autore
di fumetti Pazienza, suo allievo al DAMS di Bologna, e scrive la prefazione a
libri di Pratt, Schulz, Feiffer e Peynet. Scrive la presentazione di
"Cuore" a fumetti, di Bonzi e Denis, pubblicata su "Linus".
Il suo romanzo, Il nome della rosa, riscontra un grande successo sia presso la
critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best seller venduto in
trenta milioni di copie. Il nome della rosa è stato anche tra i finalisti del
prestigioso Edgar Award e ha vinto il Premio Strega. Dal lavoro e tratto anche
un film con Connery. Pubblica il romanzo, Il pendolo di Foucault, satira
dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari della storia e delle
sindromi del complotto. Questa critica dell'interpretazione incontrollata viene
ripresa in opere teoriche sulla ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione).
Altri romanzi sono L'isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina
Loana, Il cimitero di Praga e Numero zero, tutti editi da Bompiani. E stata
pubblicata una versione "riveduta e corretta" di Il nome della rosa,
con una nota finale dello stesso E. che, mantenendo stile e struttura
narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a modificare
l'impianto delle CITAZIONE LATINE e la descrizione della faccia del
bibliotecario per togliere un riferimento neo-gotico. Molte opere sono
dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di
massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla
letteratura, Dire quasi la stessa cosa. È stato inoltre precursore e
divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla scrittura. In
contemporanea alla nomina di curatore ospite del Louvre, dove organizza una
serie di eventi e manifestazioni culturali, usce per Bompiani Vertigine della
lista. Nel Bompiani pubblica una
raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri scritti occasionali, che
raccoglie saggi che spaziano nei vari interessi dell'autore, come quello per la
narratologia e il feuilleton. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il
cimitero di Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del
pancreas che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti nel Castello Sforzesco di Milano, dove
migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due
composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les
folies d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II
di Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore, di
Corelli. Nel proprio testamento E. chiede ai suoi familiari di non autorizzare
né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun seminario o
conferenza su di lui. Il corpo di E. è stato infine cremato. La moglie,
rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel Civico Mausoleo Garbin, ex
edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano ora provvista di piccole
cellette destinate a ceneri o resti ossei di personalità artistiche illustri,
ne ha preferito la conservazione privata, con il progetto di costruire
un'edicola di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi romanzi, E. racconta
storie realmente accadute o leggende che hanno come protagonisti personaggi
storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi dibattiti filosofici
sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura dell'universo. Attratto da
temi piuttosto misteriosi e oscuri (i cavalieri Templari, il sacro Graal, la
sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi gli scienziati e gli uomini che hanno
fatto la storia sono spesso trattati con indifferenza dai
contemporanei. L'umorismo è l'arma letteraria preferita dallo scrittore di
Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e collegamenti a opere di
vario genere, conosciute quasi esclusivamente da filologi e bibliofili. Ciò rende
romanzi come Il nome della rosa o L'isola del giorno prima un turbinio
variopinto di nozioni di carattere storico, FILOSOFICO, artistico e
matematico. Centrale ne Il nome della rosa è la questione del riso,
post-modernisticamente declinata. Ne Il pendolo di Foucault Eco affronta
temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei cavalieri Templari,
facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e moderna, rivisitati in
chiave parodistica. Ne L'isola del giorno prima l'umanità intera è
simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca un'isola al di fuori
del tempo e dello spazio. In Baudolino dà vita ad un picaresco
personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso terrestre (il
regno leggendario di Prete Giovanni). Ne La misteriosa fiamma della
regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del ricordo, rivolto,
in questo caso, ad episodi del XX secolo. Il cimitero di Praga è
incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla storia
'europea' del popolo ebraico. Il suo ultimo romanzo, Numero zero,
riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del
complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando
fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave
complottistica. E tra i firmatari della lettera aperta a L'Espresso sul
caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta
Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso
alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per
istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura
dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche
di E. al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una
serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai
tempi del caso Moro -- articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di
desiderio. In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di E. è
diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di
massa. Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia
semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto
dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi
arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare
una sedia davanti a ogni televisore. In questo senso la guerriglia semiologica
è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa
alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori
e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al
dibattito politico-culturale italiano. Il suo libro A passo di gambero contiene
le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica
di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nelle settimane delle
rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del libro di
Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un giornalista
italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e Mubarak,
avanzato da alcuni. Il paragone potrebbe essere fatto con HITLER. Anche lui
giunse al potere con libere elezioni". Lo stesso E., dalle colonne de
l'Espresso, smente tale dichiarazione chiarendo le circostanze della sua
risposta. E. fa parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana — Roma, 9 Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze straniere Commendatore dell'Ordine
delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore
dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le
Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania)nastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften
und Künste (Repubblica Federale di Germania), Premio Principe delle Asturie per
la comunicazione e l'umanistica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio
Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme
ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Gran croce al
merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di
Germanianastrino per uniforme ordinariaGran croce al merito con placca
dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania, Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte
Cerignone, Nizza Monferrato, San Leo, 11 giugno. Torre Pellice,. Lauree E. ha
ricevuto 40 lauree honoris causa da prestigiose università europee e americane,
come quella del, che gli è stata conferita dall'Università federale del Rio
Grande do Sul, di Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in
comunicazione conferita da Torino, E. rilascia severi giudizi sui social del
Web che, a suo dire, possono essere utilizzati da «legioni di imbecilli» per
porsi sullo stesso piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le affermazioni di
E. suscita approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni e sodalizi
accademici. E. è stato membro onorario della James Joyce Association, dell'Accademia
delle Scienze di Bologna, dell'Academia Europea de Yuste, dell'American Academy
of Arts and Letters, dell'Académie royale des sciences, des lettres et des
beaux-arts de Belgique, della Polska Akademia Umiejętności ("Accademia
polacca della Arti"), "Fellow" del St Anne's, Oxford e socio
dell'Accademia Nazionale dei Lincei. E. è stato inoltre membro onorario del
CICAP. Altro Gli è stato dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco, scoperto
nel da Elst. è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima del regno
di Redonda dal re Xavier. Nel il
comune di Milano ha deciso che il suo nome venga iscritto nel Pantheon di
Milano, all'interno del cimitero monumentale. E. scrve saggi di filosofia,
semiotica, linguistica, estetica. “Il PROBLEMA ‘estetico’ in AQUINO” (Torino,
Edizioni di Filosofia); poi Il problema estetico in Tommaso d'Aquino, Milano,
Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino, Taylor, poi in Il secondo
diario minimo. Sviluppo dell'estetica, in Momenti e problemi di storia dell'estetica,
Dall'antichità classica al Barocco, Milano, Marzorati, Arte e bellezza
nell'estetica, Milano, Bompiani, Storia figurata delle invenzioni. Dalla selce
scheggiata al volo spaziale, e con Zorzoli, Milano, Bompiani); “Opera aperta: forma
e indeterminazione nelle poetiche contemporanee” (Milano, Bompiani); Diario
minimo, Milano, A. Mondadori (include i saggi Fenomenologia di Mike Bongiorno e
Elogio di Franti) Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il caso Bond. [Le
origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste del Buono,
Milano, Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al "Finnegans
Wake", Milano, Bompiani, ed. modificata sulla base della seconda parte di
Opera aperta; Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive, Milano,
Bompiani (poi in La struttura assente); Autoritratto dell'Italia, e con Argan,
Piovene, Chiarini, Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura assente,
Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte come
mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo strutturalismo
sovietico, e con Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della cultura, a cura
di, Milano, Bompiani, Le forme del contenuto,
Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con
Chesneaux e Nebiolo, Bari, Laterza, Cent'anni dopo. Il ritorno
dell'intreccio, e con Sughi, Milano, Bompiani, Documenti su il nuovo Medioevo,
con Francesco Alberoni, Furio Colombo e Giuseppe Sacco, Milano, Bompiani, Estetica
e teoria dell'informazione, a cura di, Milano, Bompiani, I pampini bugiardi.
Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole
elementari, e con Bonazzi, Rimini, Guaraldi, Il segno, Milano, Isedi; Milano,
A. Mondadori, Il costume di casa. Evidenze e misteri dell'IDEOLOGIA ITALIANA,
Milano, Bompiani, Beato di Liébana. Miniature del Beato de Fernando I y Sancha.
Codice B.N. Madrid Vit. 14-2, testo e commenti alle tavole di, Milano, Ricci,Carmi.
Una pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica generale,
Milano, Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Roma,
Cooperativa Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle & stellette. La via lattea
mormorò, illustrazioni di Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono Libri, Storia
di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del Servizio opinioni,
Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero, Milano, Bompiani, Come
si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina Invernizio, Matilde Serao,
Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector in fabula, Milano, Bompiani,
De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille al nome della rosa, Milano,
Bompiani, Il segno dei tre, Milano,
Bompiani, Sette anni di desiderio. [Cronache], Milano, Bompiani, Semiotica e FILOSOFIA
DEL LINGUAGGIO, Torino, Einaudi, Sugli
specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, Lo strano caso della Hanau, Milano,
Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi sposi. Analisi semiotiche, Manetti,
Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno, I limiti
dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici di
Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di AGuida Ed., Il secondo
diario minimo, Milano, Bompiani, Interpretation and Overinterpretation,
Cambridge, La memoria vegetale, Milano, Rovello, La ricerca della lingua
perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi
narrativi, Milano, Povero Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso
di Comunicazione, a cura di, Modena, Comix, In cosa crede chi non crede?, con CMartini,
Roma, Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali,
Milano, Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin,
University Colleges, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia, Tra
menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di minerva, Milano, Bompiani, Riflessioni sulla bibliofilia, Milano, Rovello,
Diario minimo, Secondo diario minimo, Bustina di minerva e altre parodie da raccolte in tedesco) Sulla
letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante, passione e ragione. Pensieri
sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una guerra globale, in Islam e
Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari, Laterza, Bellezza. Storia
di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano, Motta On Line, Dire quasi
la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, Mouse or Rat?,
Translation as Negotiation, London, Weidenfeld & Nicolson (Experiences in
translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della
bellezza, a cura di, testi di E. e Michele, Milano, Bompiani, Il linguaggio
della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar, Milano, Rovello, Nel
segno della parola, con Giudice e GRavasi, a cura e con un saggio di Dionigi,
Milano, BUR, 2A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana
Overlook, Milano, Bompiani, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia,
Milano, Rovello, Sator Arepo eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della
bruttezza, a cura di, Milano, Bompiani, La cospirazione impossibile, con
Odifreddi, Shermer, Randi, Attivissimo, Montali, Grassi, Ferrero e Bagnasco,
Polidoro, Casale Monferrato, Piemme, Dall'albero al labirinto. Studi storici
sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani, Historia. La grande storia
della civiltà europea, e con altri, Milano, Motta, Storia della civiltà
europea, e con altri, Milano, Corriere della Sera, Nebbia, e con Ceserani, con
la collaborazione di Ghelli e un saggio di Costa, Torino, Einaudi (antologia
letteraria di racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con
Carrière, Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il
Medioevo, a cura di, Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, Milano,
Corriere della Sera,. Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani,
Scritti sul pensiero, Collana Il pensiero occidentale, Milano, Bompiani, L'età
moderna e contemporanea, a cura di, Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, Storia
delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?,
con Stefano Bartezzaghi, Roma, La Repubblica,. Riflessioni sul dolore, Bologna,
ASMEPA, La filosofia e le sue storie, e con Fedriga, Roma-Bari, Laterza, Pape
Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come
viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti,
Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, IL FASCISMO eterno, Collana Le onde,
Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione.
Scritti, Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa Il nome
della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola
del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa
fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di
Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per
l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Carmi, Milano, Bompiani, I tre cosmonauti,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Ammazza l'uccellino, come
Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg, Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Tre racconti, Milano, Fabbri (raccolta dei tre precedenti) La storia de
"I promessi sposi", raccontata da, Torino-Roma, Scuola Holden-La
biblioteca di Repubblica-L'Espresso, Traduzioni: Queneau, Esercizi di stile,
Torino, Einaudi. Gerino, Morto lo scrittore E. Ci mancherà il suo sguardo nel
mondo, in la Repubblica, Delfino e Camagna, Alessandria piange E., in La Stampa,
Bari, "A passo di critica: il modello di media education nell'opera di E.",
Firenze, Èco, E. Treccan iEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.su
tuttoggi.info. 'Il nome della rosa' debutta su Rai1 e conquista gli ascolti
della prima serata, su la Repubblica, quotidiano la Stampa; Coscia: «quando
suono col mio amico E.», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e angoscioso
di un uomo che è cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata in polemica
con il grande Gedda; un uomo, E., che ha studiatodicono AQUINO, e che un giorno
se n'è uscito dalla chiesa proclamandosi orgogliosamente ateo, o se si
preferisce, agnostico. (In Rassegna stampa cattolica: Palmaro, E. è solo un
refuso, 2 «His new book touches on politics, but also on faith. Raised
Catholic, E. has long since left the church. "Even though I'm still in
love with that world, I stopped believing in God in my after my studies on AQUINO.
You could say that AQUINO miraculously cures me of my faith. Il suo nuovo libro
tratta di politica, ma anche di fede. Cresciuto nel cattolicesimo, E. ha
lasciato da tempo la Chiesa. Anche se io sono ancora innamorato di quel mondo,
ho smesso di credere in Dio dopo i miei studi universitari su Aquino. Potete
dire che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede. (Articolo in
Time) Liukkonen, Petri, E.. Pseudonym:
Dedalus in. E., quando l'Torino gli
consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la Repubblica, Galdo,
Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente
italiana, Sperling & Kupfer, Milano Giuseppe Antonio Camerino, E.,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. "Riparte il Master in Editoria, ideato da E."
Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali, Bompiani Intervista a E. Wikinotizie,
su it.wikinews.org. E., Ho sposato?, «l'Espresso»,
4Con lo pseudonimo di Dedalus: Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini,
Sclavi citazione: "Sto leggendo un libro [In cosa crede chi non crede,
N.d.R.] di E. che mi è arrivato dall'Italia. Curioso no? Ha il mio stesso nome
e il cognome è l'anagramma del mio..."
E., su premiostrega. Italian Writer Umberto Eco is the Louvre's New
Guest Curator Camagna, La morte di Eco,
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Premio Strega V D M Vincitori internazionali del Prix Médicis V D M Vincitori
del Premio Bancarella V D M Vincitori del Premio Cesare Pavese V D M Vincitori
del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea V D M Vincitori del
Premio Mediterraneo per stranieri, Europeana agent/base/ Filosofia Giallo Giallo Letteratura Eco provides a bridge between
Graeco-Roman philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers who
considers the very origins of philosophy in Bolognaand straight from RomeOn
top, Eco is one of the first to generalise most of Grice’s topics under ‘communication,’
rather than using the Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really belong in the
Graeco-Roman tradition. Eco cites H. P. Grice in “Cognitive constraints of
communication.” Umberto b.2,
philosopher, intellectual historian, and novelist. A leading figure in
the field of semiotics, the general theory of signs. Eco has devoted most of
his vast production to the notion of interpretation and its role in
communication. In the 0s, building on the idea that an active process of
interpretation is required to take any sign as a sign, he pioneered
reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role of the Reader, 9 and
championed a holistic view of meaning, holding that all of the interpreter’s
beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to word meaning. In
the 0s, equally influenced by Peirce and the
structuralists, he offered a unified theory of signs A Theory of
Semiotics, 6, aiming at grounding the study of communication in general. He
opposed the idea of communication as a natural process, steering a middle way
between realism and idealism, particularly of the Sapir-Whorf variety. The
issue of realism looms large also in his recent work. In The Limits of
Interpretation 0 and Interpretation and Overinterpretation 2, he attacks
deconstructionism. Kant and the Platypus 7 defends a “contractarian” form of
realism, holding that the reader’s interpretation, driven by the Peircean
regulative idea of objectivity and collaborating with the speaker’s
underdetermined intentions, is needed to fix reference. In his historical
essays, ranging from medieval aesthetics The Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to
the attempts at constructing artificial and “perfect” languages The Search for
the Perfect Language, 3 to medieval semiotics, he traces the origins of some
central notions in contemporary philosophy of language e.g., meaning, symbol,
denotation and such recent concerns as the language of mind and translation, to
larger issues in the history of philosophy. All his novels are pervaded by
philosophical queries, such as Is the world an ordered whole? The Name of the
Rose, 0, and How much interpretation can one tolerate without falling prey to
some conspiracy syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the
reader in the game of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about
the dark ages in Northern Italy, where the monks were the only to find a slight
interest in philosophy, unlike the barbaric Lombards!” -- Il problema
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Castelos, Mercadores e Poetas.Alfragide: Dom Quixote Ortacag: Barbarlar,
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Grice, Liguria, Italia. Eco.
Grice ed Ecebolio: il circolo di Giuliano -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Tutor of Giuliano. More of a sophist, he appears to have had
flexible religious convictions (or none) – Giuliano recalls: “He may be a pagan
or a Galileian as the political climate demands!”
Grice ed Efanto: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. According to Iamblicus, a Pythagorean. He appears to be the same
person referreed to by Ippolito as Efanto di Siracusa. According to Ippolito,
Efanto believes it is impossible to have an accurate knowledge of things, but
also believed that everything in the world is formed by size, shape, and
capacity. He claims that the world is a sphere, the most perfect of all
geometrical shapes, reflecting the fact that it was the product of a divine
mind, which as also source of all movement. A work on kings attributed to him
may be a a different author.
Grice ed Egea: la setta di Crotone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. According to Iamblichus of Chalcis (“Vita di Pitagora”), a
Pythagorean.
Grice ed Egnazio: l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A follower of the Garden. He wrote a poem, “The rerum natura.” It
bears some resemblances to the work of the same name by Lucrezio and is
generally thought to have been written after it.
Grice ed Eirisco: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Grice ed Elandro: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Grice ed Elcasai: la gnossi a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A gnostic. One of
his followers, Alcibiade, brings an essay by him to Rome, claiming that its
contents are revealed to E. by an angel. The cult he founds believed in
reincarnation and that Pythagorean science provides a means of predicting the
future. There is also a magical healing side to the cult, and it claims to be
able to cure rabies.
Grice ed Eleucadio: la scuola di Ravenna -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo
italiano.
Grice ed Elicone: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Reggio). Filosofo
italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. He was renowned as a legislator
and helped to revise the constitution of Reggio.
Grice ed Elio: la setta di Praeneste – il portico a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo
italiano. A teacher of rhetoric. A popular and prolific author, and some of his
essays, mainly collections of anecdotes, survive. In his more philosophical
works he takes the line of the Porch. ELIO – Miscelanea storica – ed. Wilson,
Loeb Classical Library. Claudio Elio. Elio
Grice ed Eliodoro: il portico romano sotto il principato di Nerone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. During Nerone’s principate. E. seems
to have been an informer with regard to at least one of the many plots of the period.
Grice ed Eliodoro: l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. The Garden. A close friend of Adriano. He succeeded Popillio Teotimo
as Garden Master (or Tyrant). Eliodoro.
Grice ed Elpidio: il circolo di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher with whom Giuliano is in correspondence. Elpidio.
Grice ed Elvidio: Roma antica – il portico a Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma).
FIlosofo italiano. The son in law of TRASEA (si veda). Porch, involved in
politics, he spends periods in exile. Admired as a man of principle. Elvidio
Prisco. Elvidio.
Grice ed Emina: Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A Pythagorean and a historian. Lucio Cassio Emina.
Grice ed Empedotimo: all’isola – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siracusa). Filosofo
italiano. According to Eraclide di Ponto, E. has a vision that reveals the
structure of the universe. Empedotimo.
Grice ed Ennea:
la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Iamblicus of Chalcis, a
Pythagorean. Ennea.
Grice ed Ennio: Roma
antica -- Roma -- il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Salento). Filosofo
italiano. Poeta, drammaturgo e filosofo romano;mMuore a Roma. Viene
considerato, fin dall'antichità, il padre della filosofia latina, poiché fu il
primo ad usare LA LINGUA LATINA la come registro letterario. Ennio che ascolta
Omero, immaginato da Sanzio nel Parnaso, Stanze Vaticane. Nasce a Rudiae, nei
pressi di Lecce, città dell'antica Calabria -- Salento, nella Puglia
meridionale -- in cui allora conviveno tre culture: quella dell’occupante
romano, quella OSCA dei centri minori indigeni italici, e quella greca che ha come
centro maggiore Taranto. GELLIO (si veda) testimonia infatti che E., pur
vantandosi di discendere da Messapo, eroe eponimo della Messapia e dei Messapi,
e solito dire di possedere “tria corda,” poiché sa parlare in romano, osco, e greco.
Durante la guerra punica milita in Sardegna e vi conosce CATONE (si veda) MAGGIORE,
censore, che lo porta con sé a Roma. Qui ottenne la protezione di illustri
romani quali SCIPIONE (si veda) l'Africano. Poco tempo dopo, entra in contatto
con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, come il generale MARCO FULVIO
NOBILIORE. Queste amicizie lo ponneno in conflitto con CATONE, diffidente nei
confronti delle altre culture e di quella greca in particolare. MARCO
FULVIO NOBILIORE, nella guerra contro la lega etolica, conduce con sé E. al
seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta, come in effetti fa nella
prae-texta “Ambracia.” Questo scandalizza CATONE, in quanto comportamento
contrario al costume degl’avi, al mos maiorum. QUINTO FULVIO NOBILIORE, figlio del
generale, gli assegna dei terreni presso la colonia da lui dedotta a PESARO. Riconoscente,
Ennio espresse orgogliosamente questa concessione. Nos SVMVS ROMANI qui fuimus
ante Rudini -- E., Annales. H. P. GRICE: “A more complicated case of majestic
plural than ‘We are amused.” Ennio implicates that he and his descendants are
Roman. The use of ‘fuimus’ implicates, but does not say, that he yielded his
own citizenship to that place in the middle of nowehere. Ennio, messo a capo
del collegium scribarum histrionumque, vive con una sola serva al suo servizio,
attendendo alla sua filosofia e la composizione delle sue tragedie e del poema
epico. Annos septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae
maxima putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari
videretur. A settant'anni - tanti, infatti, ne visse – E. sopporta la povertà e
la vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi
sembrando che ne godesse (Cicerone, De Senectute). Tra i suoi discepoli
ricordiamo il nipote, figlio di sua sorella, il tragediografo e pittore MARCO PACUVIO,
e il commediografo CECILIO STAZIO, con cui condivide l'abitazione. Sofferente
di gotta, E. muore a Roma. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia
personale, e sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove e
raffigurato da un busto su cui e inciso un epitaffio in distici elegiaci che CICERONE
crede composto dallo stesso E. Aspicite, o cives, senis Enni imaginis
formam: hic vestrum panxit maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec
funera fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum. Ecco, o cittadini, i
tratti dell'effigie d’Ennio: costui le massime gesta canta dei vostri padri.
Nessuno di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le
bocche degl’uomini. Testa di E., dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. E.
sperimenta la filosofia in numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma sono
poco conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero
padre della filosofia e della letteratura (‘grammatica’). Della maggior parte
di questa filosofia rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto
riguarda la filosofia epica, si conoscono gli “Annales” e “Scipione”. Gl’ “Annales”
sono il testo nazionale del popolo romano. E. narra la storia di Roma anno per
anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini. Gl’Annales e strutturata in XVIII
libri, suddivisi in III gruppi di VI, detti esadi. Nel proemio E. racconta che
Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di essersi re-incarnato in
lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della trans-migrazione dell’anime.
Mentre nei primi libri sono raccontati gl’eventi che vanno dalle origini
all'invasione di Pirro, nei successivi il racconto arriva fino a due anni prima
della sua morte. Nella seconda esade, poi, E. polemizza con coloro che lo
criticano per aver introdotto l'esametro, polemizzando contro gl’autori che
scriveno in saturni, con chiaro riferimento a NERVIO, che comunque omaggia, non
ripetendo la narrazione della guerra punica - e racconta gl’eventi sino alla guerra macedonica. Per quanto riguarda l’altre
composizione, per concorde affermazione degl’antichi, E. eccelle nella
tragedia, con composizioni come “Alessandro”, “Andromaca prigioniera”, “Medea”,
“Tieste”, “La morte d’Achille,” “La morte d’Aiace”; “Il riscatto del corpore d’Ettore”;
“Ecuba”, “La morte d’Ifigenia ad Aulide”,
“Telamone”, e “Telefo”. A parte, come “praetextae”, “Il ratto delle Sabine da
Romolo e i suoi compagni” e “Ambracia, o la gesta del generale Fulvio”. Che non
e un grande comico, lo testimonia il fatto che restano solo pochissimi versi e
due titoli di testi commedidi la “Caupuncule” e il “Pancratiaste”. Allo
stilo dotto apparteneno “Epicarmo” ed “Euhemero”, DI CARATTERE STRITTAMENTE
FILOSOFICO; gl’ “Edifagetica”, o ancora, sul versante della poesia
disimpegnata, le “Saturae” e gli “Epigrammi.” E. e il primo romano
(naturalizzato) a scrivere un poema in esametri, no saturnini. Il suo
capolavoro, gl’Annales, e la prima epica a narrare la storia di Roma dalle
origini facendo di E. il vate filosofico di Roma e tra i principali modelli
stilistici del De rerum natura di LUCREZIO e dell'Eneide di VIRGILIO. Scrive
numerose commedie e tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri
frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune satire filosofiche,
anticipando addirittura LUCILIO, considerato il padre del genere. O Tite
tute Tati tibi tanta tyranne tulisti. O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti
disgrazie tanto grandi! Poiché i frammenti a noi pervenuti sono pochi e giunti
per tradizione indiretta, non siamo capaci di valutare la struttura compositiva
del poema maggiore e le tecniche della narrazione, ma emergono con sufficiente
chiarezza le caratteristiche della lingua e lo stile elevato e solenne, che
appaiono frutto di un geniale contemperamento di tratti tipicamente romani e
audaci innovazioni. Ricorre spesso ad arcaismi, tratti distintivi di
derivazione omerica -- tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e
ORAZIO stesso lo definisce alter Homerus, "altro Omero". Infatti e
ritenuto uno dei principali fautori dell'ellenizzazione. Nonostante CATONE e
uno dei filosofi più attaccati alla cultura romana, riconosce e apprezza in E.
le doti filosofiche. E. introduce l'esametro nella letteratura, formando i suoi
versi anche solo con degli spondei -- infatti sono detti versi olospondaici.
In E. abbonda LA METAFORA FILOSOFICA, sempre molto presenti nei poemi epici, le
allitterazioni e l'uso della retorica. La vita: Ennio e i suoi
continuatori, su sapere.it, De Agostini Editore S.p.A. Annali. Commentari.
Napoli: Liguori Editore, Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat, quod
loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre
anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes
Atticae, Cornelio Nepote, Catone,
Skutsch. Quinto Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano
solo 14 versi, dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero viene
descritto come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle
Sabine. ^ Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro
gli Etoli nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^
Catalogo di cose buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente
superficiale, come evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in
Apuleio, De magia, 11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a
momenti particolari della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae
Sepolcro degli Scipioni Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E., in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere
di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di
Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Quinto Ennio, su
Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da
Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, Remains of old latin.
Vol. 1: Aennius and Caecilius, Warmington (a cura di), Cambridge-London,
Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus Teubneri.
Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Letteratura Portale Lingua latina Portale Teatro. Annales
(Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio Marco Fulvio
Nobiliore politico romano Ambracia. Quinto Ennio was a famous arly Roman
poet. In his poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from
philosophy and helped to introduce these to the Roman world. Grice: “We can
tell an English philosopher by his references to events in the history of England
– as when I say that “Harold Wilson is a great man’ means the same as ‘the
Prime minister is a great man’. The Romans were able to refer to Roman history
through Ennio, who knew it!” -- Ennio. Keywords: il primo filosofo inglese, il
primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ennio”, The
Swimming-Pool Library. Quinto Ennio. Ennio.
Grice ed Emiliani: l’implicatura
conversazionale della semiotica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lugo). Filosofo italiano. Grice: “I like
Emiliani; of course in proper English we don’t pluralise ‘meanings’! But he
speaks of ‘significati,’ which is literate! The vernacular Italian is ‘segno,’
and the ‘ficare’ is also learned latinate! Gotta love him!” Dio è la mia speranza Anch'io vivo nella
speranza di avere amici in cielo che pregano per me e che attendono di unirsi a
me nella nostra comune patria. Dobbiamo sempre ricordare che questa vita
terrena è soltanto un passaggio verso la nostra vera patria che è quella
celeste. La Madonna è apparsa e ha parlato a moltissimi veggenti di molti
popoli e nelle più svariate circostanze, come una persona viva, che promette,
annunzia, loda, esorta, profetizza, prega, guida e protegge dai pericoli,
risana i malati, opera i miracoli, piange, invita alla conversione ed alla
penitenza, aiuta ad avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La mia sicura bussola è
camminare sulla strada della carità in ogni circostanza della vita. La presenza
in noi dello Spirito Santo è la caparra della nostra vita eterna futura. Solo
Dio resta. Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare per non essere
travolto dai flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio. E., Dio è la mia speranza, Edizioni Studio
Domenicano. Nel suo saggio sul segnato, valore,
communicazione e ragionamento, Emiliani presenta un'analisi del ‘segnato,’ topico
della semiotica. Il segnato è un modo di una
correlazione astratta posta dall'attività razionale intersoggettiva e
cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato in ordine al
valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento conversazionale.
La forme logica non è innata, né e un atto o
evento psichico soggettivo, ma una struttura intersoggetiva astratta e
relazionale, invariante intersoggettivamente. Il segnato (non il ‘segno’) fonda
la correttezza del ragionamiento conversazionale (colloquenza – dialettica),
segnato dal segno di una operazione (negans, negatum, negatore; connettivi, --
conjunctum, congiutivo, disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore
universale o totale (ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G.
jemand), il descrittore, descriptum) non è
privo di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna la negazione.
‘Non piove’ segna che non è il caso che piove.
Il segno (‘non’) ha come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica
(explicatura, no implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò
che è mentato o segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e
spiegabile in una teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante
una determinata struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di
predicare sono le due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is
shaggy”). Un oggetto dell'universo di riferimento, considerato reale nel modo
più ampio (valore di una variabile). Il valore di una profferenza è spiegato da
una teoria della correpondenza. Il valore di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la
semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento
della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico,
simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del
linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il
valore della profferenza di soddisfacibilità e
meta-linguistico. Rapporto tra sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi-
oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio di una teoria del ragionamiento
formalizzata elementare – Sistema G-hp. Calcolo di predicati di primo ordine
con identità.
Sintassi di una generica teoria del ragionamento normalizzata
elementare. Simbolo primitivo. Definizione ricorsiva del termine, definizione
ricorsiva della formula del sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso.
Formula aperta e formula chiusa. Profferenza semplice, proferrenza complessa.
Componente deduttivo, induttivo ed adduttivo di una generica teoria del
ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. – gruppo per la ricerca dell’inferenza
e la comprensione elementare). Il segnato di una profferenza in romano ed
italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una profferenza semiotica
comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e forma intenzionale
con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità e
consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità
intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il
segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una
profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una
profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The
dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del
termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano
l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del
ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e
referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno
predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra
segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato
referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il
referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico.
Il segnato logico del segno del negare
(cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di
connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante,
‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il
segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale
(Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el
segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di
una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza
complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle
impostazione convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di
Strawson circa l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza
dell’approccio di Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale
e interpretation referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare,
interpretazione intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione
referenziale del linguaggio di una teoria, il valore di satisfactorieta di una
profferenza nel sistema G-hp nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della
definizione del valore di soddisfacibilità; condizioni
che rendono la definizione di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della
nozione intuitiva, condizioni che devono essere soddisfatte perché la
definizione del valore sia formalmente sana. Il valore di soddisfacibile associato
a una profferenza del sisstema G-hp. Considerazioni sulla definizione del
valore di soddisfacibile, distinzione tra concetto di soddisfacibilità e criterio di soddisfacibilità. Il valore di soddisfacibilità associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla
profferenza o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla
profferenza a cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è
meta-linguistico, profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza
soddisfacibile e ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non
datur – il terzo incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore
di soddisfacibilità è associabile soltanto
alla profferenza per la quale il communicatore o profferente (implicans,
implicaturus) segna che p o q, il valore di soddisfacibilità e associabile a
ogni profferenza. Critica di un sistema bivalente che accetta la categoria
confuse di “lacuna” di valore di soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato
poli-valente. Bivalenza e l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e
segnato, rapporto tra materia e forma dell’espressione per la quale il
communicatore o profferente o implicaturus segna (empiega) che p o q e il
rispettivo segnato. Il segnato come
criterio per determinare la primitività di un
simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica d’introduzione e
eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla sintassi e il
segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale, arbitrario, non
naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza della forma e
struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa (“Fido is
shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica, natura,
genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e funzione della
forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione logica, Rapporto
tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la struttura logica
intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He went to bed and
took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura logica. Significato.
«Noi non sappiamo che cosa significano
le parole più semplici, tranne quando amiamo e desideriamo.» E.,
“Significati e verità dei linguaggi delle teorie deduttive (Emerson) Il
significato è un concetto espresso mediante segni che possono essere grafici,
verbali-orali, o mediante cenni e gesti. Il significato permette di capire o
esprimere il senso, il valore o il contenuto del segno. Secondo il linguista
ginevrino Ferdinand de Saussure, il segno linguistico è costituito dall'unione
di un significato (un concetto, cioè la nozione mentale che abbiamo di un
determinato oggetto) con un significante (cioè una forma sonora, o un'immagine
uditiva). Il triangolo semiotico In semantica (la disciplina che
studia i rapporti tra segni e oggetti), secondo il classico modello a tre
elementi, il significato è la nozione o immagine mentale generica che
possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. Ad es. il concetto
di albero ci dà modo di riconoscerlo sia che si tratti di una quercia sia di un
melo. Il significato è indicato graficamente o foneticamente dal significante,
mentre l’albero reale al di fuori della sfera linguistica è detto referente. Va
notato che mentre significato e significante sono sempre presenti, il referente
può mancare o cessare di esistere (es. nelle parole “Napoleone” o
“unicorno”). In semiotica, il significato è uno dei vertici del triangolo
semiotico postulato da Peirce, come mostrato nella figura accanto. Per
quanto riguarda la porzione di realtà indicata, si distingue in genere
tra: denotazione, ovvero ciò che una parola indica in quanto tale (uomo,
e il suo significato di animale razionale); riferimento, ovvero ciò che una
parola indica in una frase determinata (quell'uomo è alto). Frege, Senso,
funzione e concetto, (edizione originale). Giorgio Graffi; Sergio Scalise, Le
lingue e il linguaggio. Bologna, Il Mulino, Ogden e Ivor Armstrong Richards, Il
significato del significato. Studio dell'influsso del linguaggio sul pensiero e
della scienza del simbolismo, con saggi in appendice di B. Malinowski e F. G.
Crookshank, trad. Luca Pavolini, Milano, Il Saggiatore (orig.: The Meaning of
Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of the Science
of Symbolism, London, Routledge & Kegan Paul). Ferdinand de Saussure, Corso
di linguistica generale, Bari, Laterza, Disambiguazione Semantica Semantica
lessicale Significato (psicologia) Struttura (semiotica) Triangolo semiotico
Alemma di dizionario «significato» Portale Linguistica: linguistica Segno concetto base della semiotica
Significante Triangolo semiotico. Grice: “Alessandro Emiliani should be carefully
distinguished from Alessandro Emiliani. Alessandro Emiliani is a philosopher;
Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro Emiliani. Emiliani. Keywords:
semiotica, Dr. Wilde, Wilde lectures on religion? That’s after Henry Wilde, not
a doctor? He was a doctor: “Dr. Henry Wilde”, significati”-- -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Emiliani” – The Swimming-Pool Library.
Grice ed Emone: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. A Pythagorian according to Giamblico. Emone.
Grice ed Empedo: la setta di Sibari -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Sibari). Filosofo
italiano. Pythagorean. Giamblico. Empedo.
Grice ed Endio: la setta di Sibari -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico. Endio.
Grice ed Enriques: l’implicatura conversazionale
arimmetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo italiano. Grice:
“I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’ implicates that
philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo
Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via
Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello
Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria
Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa
e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di
perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare
con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi.
Lincei. Insegna a Bologna. È invitato presso l'Roma, per occupare la
cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath
a divenire un collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui
pubblicazione è stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del
movimento per l'unità della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”).
Quando però sono promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso
dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata all'attività
culturale. Durante l'occupazione tedesca è dapprima nascosto in casa di Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna
a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani
ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni
articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato
direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di
geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico
occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società
filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e
Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato
direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra
l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. È un
filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta.
I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. E. recepì immediatamente la portata delle novità
introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza
a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi
scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole
superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la
trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue
opere più diffuse di matematica elementare si ricordano: Questioni
riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare,
Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con
U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe); Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni
(con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica
antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura,
Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in
particolare: Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria
descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle
funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie
algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative
ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza.
Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non
facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima
metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto
interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste
materie si ricordano: Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo
e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il
pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e
razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G.
Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato
da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni,
Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti,
ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina
al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi
italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della
scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti
fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti
interpretativi ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio
storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta
questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo carattere,
comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio, Newton,
Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto agli
indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva
frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali
della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali
con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e
la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo
aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e
impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa
parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è
stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della
scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e
scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti
geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della
fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano
una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato
delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati
geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici
a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La
tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con
orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato
un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito
molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri
e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su
amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il
significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su
amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella
cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo. su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito
nella storia del pensiero” su amshistorica. cib.unibo. La filosofia positiva e
la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano,
su amshistorica. cib.unibo. Recensioni (in francese) Ailly (D'), Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza
nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, R. C. Outline of the History of
Mathematics, su amshistorica. cib.unibo. Bignone, L'Aristotele perduto e la
formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo. Blanche, Le rationalisme de Wewell, su
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et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.
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dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.
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l'analyse logique du langage, su amshistorica.cib.unibo. Caullery, La science francaise, su
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of Peirce, su amshistorica.cib.unibo.
Correspondance du Marin Mersenne, su amshistorica.cib.unibo. Cournot Considerations sur la marche des
idees et des evenements dans les temps modernes, su amshistorica.cib.unibo.Crowter,
British Scientists, su amshistorica. cib.unibo. Amato, Studi di storia della
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l'histoire de la science hellène, su amshistorica.cib.unibo. Wind, E. Das Experiment und die Metaphysik,
su amshistorica.cib.unibo. Wolf, A
History of Science, Technology and Philosophy, su amshistorica. cib.unibo.L'autore
cura una decina di manuali didattici di geometria e algebra elementare e oltre
20 trattati di matematica superiore. Inoltre pubblica un'ampia serie di testi
di storia e di filosofia della scienza e numerosi articoli specializzati. Mille
anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia
della Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul
Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di
Scientia. Antonucci e Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nell’università,
Roma, Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Nastasi, E. e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di
Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E. E. (altra versione), in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E., su
MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics
Genealogy Project, North Dakota State University. Opere di E., su Liber Liber. E. su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
di E., Polizzi, E.,in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Edizione nazionale delle
opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS
Historica. Sito ufficiale del Centro Studi E. di Livorno. "Le Armonie
Nascoste", un recente documentario su Enriques su lalimonaia.pisa. Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone
di Chio, fanno come i mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il
loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi
aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni.
Da noi, dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di
polpa. Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici,
domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato
di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché
una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in
la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto
occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che
presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro
accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se
pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo
esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo
delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun
bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica.
Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento
della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione
stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo
della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che
hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come
padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere
ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e
elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver
recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando
si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno
sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine
degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga
tutto il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o
dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro
asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si
cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio
all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da
cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una
profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il
precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la
dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei
Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi
— come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il
razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i
Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici,
ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di
alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a
testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui
fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli
Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro
avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei
principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico
dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute
diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più
vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di
Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo
di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla
pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De
Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle
espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a
tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora)
svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del
ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono
l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto
al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della
colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di
‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio
dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui
dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento
questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion
pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è
usato dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi,
non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima,
[Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi
nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera: rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui
si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’,
rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la
quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora
questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón”
quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che
comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di
grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha
tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole
del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta
opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si
ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle
opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per
formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di
ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B.
10^. Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina
che il nome proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come
nome comprensivo di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi
peripatetici che dagli stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei
matematici e le sottili disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per
spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à
convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux
vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è
dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que
la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son
habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de
demontrer qu’ elle est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate,
giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza
diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori,
che hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare,
a questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora
e di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono
attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr.
Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso
genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso
Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e,
d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri
argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo
in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile
dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’,
si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni
che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo
riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il
pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica
del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione
e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2 ) Cfr. Diog., L., Vili,
57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot]
di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva
urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il
lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti
dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo
che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci
viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè
dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che
si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le
controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si
proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad
involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca
logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali
della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della
scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede
riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene
forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può.
“Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à
laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di
Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto,
allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica
dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si
occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”,
e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni;
e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per
ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua),
tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse
i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ».
(511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che
l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci
valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con
lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare
oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti
al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di
fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica,
considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi
punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al
principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne
derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede
dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la
distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e
l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la
ragione”. La stessa distinzione ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le
scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad
occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non
sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e
che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla
scienza?... ».Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto
giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo
che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o
di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo
d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie
ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla
dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze
(pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate
come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi
dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527)
anche coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in
dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla
terminologia che usano quelli che la professano. È una terminologia troppo
ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico — parlano
sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece tutta la scienza si
coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento della geometria
vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i principi? I
passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla scienza un valore
razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece.
Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe
eliminare quelle domande che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto
il nome di postulati (axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe
costruzioni, facendo appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La
base della geometria, edificata secondo i criteri della dialettica,
consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto
come scopo di definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi
— che Platone riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della
reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà
elementari che una figure visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1
intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione
(nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più
precise sui criteri adottati dai geometri nell ordinamento logico della
scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in
atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora,
l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto
e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la
dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi,
negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico
o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora —
l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche.
Quest’ ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’
enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva
sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte
le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione,
di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue
necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi
immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui
precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due
specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno
principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un
regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15
(5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice
(òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle
dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento
degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo
le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune osservazioni
logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una questione di
parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione ‘nozione
comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici pitagorici)
* assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow » compare solo più
tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare che la
stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo assume interesse per
la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Euclide, degli
Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui
Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che questi lasciano (*)
Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi,
Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano ugualmente
dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la definizione
(15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma non giova
insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i
criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo
soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i casi
d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da
supposizioni d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da
una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di *
assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti
o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è
la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli
àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando
soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide,
cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla
logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino
accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica
dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la
copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo
spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo
statico della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il
carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina
platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo
più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono
nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna a (i)
Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla
fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià
Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. /. ' (l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. (! ) Cfr. Enriques: La
teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia,
n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il primo a
trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate
crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene
intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica,
in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è
più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello
alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti;
e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate
sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di
Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono
distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j;
Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente
Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza: una conoscenza pura o legittima
(yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima
forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il
gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura
è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad
un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223,
2). (! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto
di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche
in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere;
per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce,
apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo
parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la
tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una
notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di
Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea.
Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della
conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto
sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi
questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente
acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa,
ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto
alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione
atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione in generale derivassero da
piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli
organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la
luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza
inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni
ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i
caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse
il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza,
resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli
assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come
criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole
lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di
y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto
che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2
) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece,
più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£
sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici
allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si
conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene
Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della
verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata
l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando
l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici
davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De
Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei
sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint
sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam
ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant
èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti
sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele,
la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani
fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a.
C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei
conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i
concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli
intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene
ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id,
quod non percipiebatur, adducit.” In
corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante
rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone
Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione »
(à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione,
nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto
gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da
Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza:
richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che
per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o
logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim,
111. () Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68.
(' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61. 3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre
conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla
veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono
ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata,
attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria
stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica.
Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del
determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono
la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico.
Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro
d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento
da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua
Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate.
Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta,
in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. Pari 1,
De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu
prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel
similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti
appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est
anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei
evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito.
D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la
riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la
sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o
imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle
passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con
Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia
indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore
della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente
estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista
aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo
sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti,
sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi
riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto
il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche
nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che
investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad
ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal
guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per
cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di
Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda)
alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a
negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della
materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo
fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della
verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a
tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità,
costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza:
lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo
moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira
oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica interessa
soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto aristotelico
della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare
qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi
oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni
premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende
forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici
pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si
ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione
si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che
sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e
valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che
critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma resulta assai chiaro
che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse
qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla
scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già
accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie
367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da Aristotele, ove
eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un
circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando
che dal vero si può dedurre il falso; e certo l'argomento — in stretta logica —
non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il
maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo
aver negato l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso,
egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo
riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente
evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una
all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in
ultima analisi, il cri¬ terio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il
valore delle teorie scientifiche: soltanto appare, ai nostri tempi, un
atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione
matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una
scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a
quella dei circoli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza.
Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla
verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il
metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale
si disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della
logica post-aristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di
qualche predecessore, ci ha mostrato che in verità il realismo logico di
Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco; il quale ha toccato
posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica
speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per
misurarne il significato; e secondo le apparenze dobbiamo ammettere che le fini
ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano trovato prosecutori.
D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nella
filosofia romana, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e
tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più
raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia
dato di riprendere e di proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi
matematici, la confutazione di un ordine di verità necessario, quale è affermato
da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della
scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che
ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della
logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto
sviluppo formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo
il disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio),
tuttavia non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (I. grammatica, II. Rettorica, III. Dialettica)
ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria. VI. Astronomia. VII.
Musica). Specialmente degno di nota che
questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche,
fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la
progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili
distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui
a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma
aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto,
sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per
esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della
particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et
q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).
(notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo
Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si
tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se
all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un
passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il
genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste
soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se
apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza
separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo
profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel
vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la
realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche,
avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per
riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni
Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha
preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di
Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa)
della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica
si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam,
Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio
significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut
consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo
stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’
(o ‘signato’) dell’espressione sia da
cercare nella sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o
attributi, di cui esso esprimerebbe l'unità sostanziale; e
si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’
insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la
specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di
questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale
al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde
è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della
esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato della polemica
intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la
libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità
delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice
l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente
tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della
logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e
si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Studio
storico preliminare SeaR Edizioni Quanto segue è, nella
sostanza, il contenuto di una conferenza tenuta a Palermo presso
ristituto Platone il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine
di queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬ pie, con
aggiunte note critiche e documentarie, per le «Dispense di Arx» di
Messina, edite da Salvatore Ruta. Oggi il testo viene
ripresentato con maggiore digni¬ tà tipografica e tiratura, onde
favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova
col¬ lana della Sear di Scandiano. Poiché è certamente la
prima volta che con una certa organicità viene affrontato questo
argomento, il presente scritto può a ben diritto definirsi una
novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene
presentato come uno «studio storico preliminare», il lettore potrà
dedurne che: a) i dati storici, biografici e letterari, le notizie
contenute ed ogni altra informa¬ zione non sono frutto di fantasia o di
illazioni avven¬ tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi
riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da suc¬ cessive indagini e approfondimenti di maggior
respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte
notizie documentarie non sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel
corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi
per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa
parte di alcun segreto esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del
patrimonio sto¬ rico della nazione italica e come tale lo offriamo
alla meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno trovarvi
spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬ rici «laici», perché
almeno in questa occasione si ren¬ dano conto del tipo di dimensione occulta
che corre parallela e interferisce nelle vicende della storia:
nella fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬
rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al fascismo
queiranima priva di compromessi che non fu capace di far sua.
Renato del Ponte Entrando il Sole nei Gemelli — Nella
prefazione da lui posta ad un recente lavoro dedicato soprattutto alla
cosiddetta «Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve
senza dubbio riconoscere una notevole apertura mentale e un’intelligente
operazione culturale volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie
della de¬ stra tradizionale, ha potuto osservare come alla «Nuova
Destra» sia mancata «precisamente una ri¬ lettura della componente
“magica” ed “esoterica” della cultura di destra». La «Nuova Destra» si
trove¬ rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬
priamente politico forse anche perché ha trascurato l’analisi di fenomeni
ai quali si dimostrava sensibi¬ le (...) la destra tradizionalista
“esoterica’^): tale fal¬ limento, dunque, sarebbe implicito nel
«completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬
levanza» (1). Tale diagnosi ci pare esatta e le acute
osservazioni del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬
netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬ prio perché poco
adeguatamente studiato, dell’eso- GALLI, prefaz. a: ZUCCHINALI, A
destra in Ita¬ lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro
non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto
superficiale e limi¬ tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e
in questo largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto
decisamente a sini¬ stra, come La destra radicale, a cura di F.
Ferraresi, che è del 1984), ec¬ cessivamente ampio e parziale nei
confronti della cosiddetta «Nuova Destra», mentre la «destra
tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬ stanza, ciò che dà rilievo
al libro, sono le poche notazioni preliminari del Galli, che peraltro
suonano da campana a morto per i profeti della fine del «mito
incapacitante»... terismo del III Reich), che ben difficilmente, del
resto, potrebbero essere recepite nella loro portata da quanto sopravvive
della «Nuova Destra», pro¬ prio per la sua impostazione profana e modernista
(per non parlare della destra «tecnocratica» missina, per sua intrinseca
natura da sempre impermeabile ad ogni discorso «intelligente») (3),
potranno ser- In una relazione sul tema tenuta nel giugno 1984 a
Torino (pare per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto
leggere, il Galli osserva come «la storiografia ufficiale e accademica
abbia sempre esita¬ to a muoversi in questa direzione, appunto per il
timore di spostarsi dal piano della storia a quello della fantasia».
Ciononostante il Galli, che dunque sembra muoversi tra i primi al di
fuori di tale logica paralizzan¬ te, afferma come «vi siano sufficienti
elementi per una riflessione stori¬ ca organica sulla componente
esoterica soprattutto dei nazismo, mentre per quanto riguarda il fascismo
italiano questa riflessione potrebbe con¬ cernere esclusivamente la
personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬ metto dovrebbe dunque
servire ad ampliare le prospettive conoscitive del Galli e di quanti
altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ulti¬ mo punto,
quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti esoteri¬ che del
nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha prece¬ duto la
sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni
settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo an¬
ticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragi¬
li, contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in que¬
sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sul¬
la scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un
discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio sag¬
gio su La realtà storica della «Società Thule», in introduzione alla pri¬
ma traduzione italiana di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von Se-
bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino 1987. Su Evola e certi am¬
bienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archi¬
vio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali temati¬
che saranno ulteriormente trattate. (3) In un recente articolo che
vuole costituire una sorta di recensione del libro della Zucchinali, un
anonimo missino cosi sintetizza gli interes- 14 virci
qui da spunto iniziale per una breve indagine preliminare,
necessariamente per ora limitata, su una corrente di pensiero
indubbiamente assai mino¬ ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è
stato di re¬ cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬
cessaria per l’Italia» (4), che ha svolto ed è destinata a svolgere
ancora una funzione molto importante, per non dire essenziale, per la
nostra nazione: quella della conservazione dtXV identità delle nostre
radici. Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una
classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬ tà e colpevole
negligenza, nondimeno persiste im¬ mutata, come presenze e immagini
primordiali, ne¬ gli archetipi divini che presiedono alle nostre
sorti. Il compito di tale minoranza, al di là della pura e semplice
azione conservativa, è stato quello di saper ridestare nei momenti
opportuni quelle immagini, sì che divenissero presenze vive ed operanti,
concretiz¬ zandole nelle nuove realtà della nazione italica.
Si tratta delle immagini primordiali e delle epifanie divine del Lazio e
dell 'Italia delle origini, ovvero della Saturnia tellus: quelle che
hanno reso possibile la manifestazione sul nostro suolo della
tradizione di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni
si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in
concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta»).] Conventum Italicum,
comunicato anonimo in «Arthos»] hanno reso evidente essere emanazione
della Tradizione primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attra¬ verso i
tempi. Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo è,
nel nostro caso, più che pertinente, dal momento che la trasmissione e
perpetuazione della tradizione romana, almeno negli ultimi quindici
secoli, ha po¬ tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via
segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie anche molto
diverse. Se oggi si può parlare di «de¬stra» esoterica è soltanto perché, per
circostanze sto¬ riche particolari, in un ambito (peraltro, assai
ri¬ stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche hanno
potuto trovare parziale ospitalità (6): va da sé — e non sarebbe il caso
di insistervi sopra — che la .tradizione di cui tali correnti sono
portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni miserabile
dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione
parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad inquadrare forme di
realtà spirituali quali quelle a cui ci riferiamo. Tuttavia,
dal momento che il presente intende es¬ sere semplicemente uno «studio
storico» su tale cor- Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad
alcuni capitoli del mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente
in con¬ nessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a lui
connesso). (6) Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici
inerenti anche alla tradizione romana non furono aliene certe personalità
della «sinistra storica» e nel corso della nostra esposizione non mancherà
un esempio concreto. ] rente, dovremo fare solo riferimenti
indiretti e limi¬ tati al suo lato esoterico, quanto invece insistere
sui suoi riflessi politici, culturali e religiosi. L’abbiamo
definita «corrente tradizionalista romana» (7) nel Novecento: un’élite che ha
in ogni ca¬ so lasciato una sua impronta in una certa epoca e che,
nell’incertezza del «pensiero debole» attuale, potrebbe ancora essere
portatrice di un messaggio radicalmente alternativo, poiché radicalmente
(e qui l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel suo
pieno valore etimologico, a radicibus) orientata contro gli pseudovalori
che reggono la scena del mondo moderno. Non è mio compito qui
riassumere i termini della questione intorno alla possibilità della
trasmissione della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca
degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è uno studio che, in
riferimento soprattutto alle gentes dei Simmachi, dei Nicomachi, dei
Pretestati ed altri, abbiamo da anni iniziato in varie riviste e
pubblica- (7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista
romana» dal po¬ deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e
Guénon. Tradizio¬ ne e civiltà, Napoli, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬
punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬ li
casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene
organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬
muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza che
potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di
Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a
dimostrare. zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.
In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca
gravida di grandi e decisive trasformazioni che fu il Rinascimento italiano. È
soprattutto nel corso del XV secolo che tradizioni occulte, sopravissute per
secoli nel più grande segreto, paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad
una nuova manifestazione dal contatto con personalità dell’Oriente europeo di
altissima rilevanza intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto
Pletone, il grande rivitalizzatore della filosofia platonica negli
ultimi anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cenacolo esoterico a
Mistra, la medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a
conservare testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬
ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬ bravano veri e
propri riti e si elevavano inni in onore degli dèi olimpici (9).
La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pletone sono ancora troppo poco
note in generale e, in Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si
limi- (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della
tradizio¬ ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»] ; vedi
anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬ ria, con
un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬ zioni del
Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a
livello popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX
secolo della no¬ stra era. (10) In lingua italiana mancano
ancora del tutto studi approfonditi. 18 ta a citare,
a proposito di lui, la sua partecipazione al Concilio di Firenze e
l’istituzione dell’Accademia Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella
villa di Ca- reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Cosimo il
Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico su suggestione del Pletone.
Ma gli effetti dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di
conseguen¬ ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬
gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala- testa. Signore di Rimini:
colui che ne sottrarrà il ca¬ davere agli Ottomani (1464), i quali
avevano occu¬ pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in
un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬ stiano». Lo stesso
Malatesta dovette pure essere in rapporto con la ben nota «Accademia
Romana» di Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-
stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo Ci si dovrà
pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del
Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936;
P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie
della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è
in corso di stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo
«Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di
recente, ci è ca¬ pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una
rivistina satirica di si¬ nistra, un reportage da Mistra singolarmente
informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO
SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire»]
Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi- mus), 1
’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il
quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori «spregiava
la religione cristiana ed usciva in vio¬ lenti discorsi contro i suoi
seguaci... venerava il ge¬ nio della città di Roma.Quale
rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬
simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬ nio un certo numero di
giovani, spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli
iniziati consideravano la loro dotta società come un vero collegio
sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬ sta un pontefice massimo,
alla quale dignità fu elevato Pomponio Leto» (12). Si noti
che sembra certa l’adesione alla cerchia del Leto del principe Francesco
Colonna, Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto
l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni
modo, una sapienza ermeti¬ ca si sposa all’esaltazione, non tanto
filosofica. fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del
movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de
Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Pla¬ tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione,
si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei membri
dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa Paolo
II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343)
si domanda se l’Accade¬ mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale
di quella di Mistra». (12) L. von PASTOR, Storia dei Papi,
voi. II, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità romano¬ italica,
culminante nella visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al
fatto che Francesco Colonna, rea¬ lizzatore fra il 1490 e il 1500 del
nuovo imponente palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio
di Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili nelle
strutture originali), vantava discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e
quindi da Venere (13), si potrà allora intravedere come l’apporto
vivificante della corrente sapienziale reintrodotta in Italia da
Gemi¬ sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio di
una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬ to nel silenzio dei
secoli col tramite di alcune fami¬ glie nobiliari italiane, in ispecie
laziali, generosa¬ mente fruttificando: nel senso di spingere ad un
rin¬ novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬ no, ad un
certo momento, lo stesso papato, se avventi 3) Risulterà forse sorprendente
apprendere come i Colonna posse¬ dessero ancora fino ai nostri giorni (è
documentato almeno sino al 1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare,
Boville (Frattocchie d’Alba- no). Sempre era visibile nel giardino
Colonna al Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia
(notizie ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo
1 Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e
Julia stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana», X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia
Poli¬ phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di
France¬ sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma
1980. Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte
del¬ l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in
considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco
Colonna, la considera come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce
(/ Rosa¬ croce, Milano). ne che poco mancò che salisse al soglio
pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo
diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato, come scrisse in una
lettera privata ai figli del mae¬ stro dopo la sua morte, «il più grande
dei Greci do¬ po Platone». Ma altri tempi tristi dovevano
giungere, tempi in cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimostrò
il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo
1600 il corpo, ma non l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso,
ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco
— frutto di una linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale —
nella poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso
Campanella, lui pure oggetto di odiose persecuzioni.
Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬ mente
realizzatasi nel 1870 con la fine della millenaria usurpazione temporale dei
papi, per trovare una situazione mutata. A questo punto bisogna
chiarire una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che dal
punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬ tà d’Italia —
indipendentemente dai modi con cui (14) Si dovrà ricordare che il
Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti
del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi,
dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata, a Venezia.
potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e prevaricatori
della dignità e delle sacrosante autonomie di diverse popolazioni italiche) e
dall’azione di certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette
varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla — era e rimane
condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica
dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimanifestarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che ab
origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi
indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente,
per meglio intendere certi fatti che avremo modo di esporre in
seguito. Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬
ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più
sensibili. Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con
un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬ ci, valendosi di una
sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli stessi anni
conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca Commedia, con il
seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬ tri latini, da noi
non riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica la solennità
«L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso ad una
branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia il
frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del
toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera
in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto
nuovo di ordine archeologico il punto di riferimento im¬ portante
ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬ si: la scoperta nel Foro
da parte dell’archeologo Giacomo Boni (un nome che non dovremo scordare)
del cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in
caratteri antichi del termi¬ ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente
l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne consegue,
la sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana, trasmessa
nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬ ximi
dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI,
Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna.
11 lettore esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe. ] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes
sacerdotali ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori
della sapienza delle origini, come poterono essere un Macrobio ed un
Marziano Capella nel V secolo. È come se, fisicamente, una parte di
tradizione ro¬ mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a
smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in
nome di un presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬ guaci
italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni
tradizione da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli
in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che
Giacomo Boni fu in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere
degli studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della
sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di
una principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’au¬ tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal
1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo»
che apre le porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli
iniziati di Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e
quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M.
CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva
l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe
stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate
al¬ l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa
proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz
(cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come
Schola Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬ vista «Commentarium»
diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una lettera di
congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini la
pro¬ ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente
auto¬ revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz
tanto da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore (...) Don
Leone Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI,
Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest,
Genova). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬ rium» sono
tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬ seppe
Borri, Gnosticismo e iniziazione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In
quest’ultimo scritto, con¬ sistente in una lettera di congedo come
collaboratore della rivista, si ri¬ manda all’opera di un altro
personaggio che, come «Ottaviano», doveva riconnettersi allo stesso
ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬ ganismo kremmerziano:
l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un curioso libretto intitolato
Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola anima o anche col corpo? (Torre
Annunziata 1899), in cui nuovamente si accenna al «ramoscello dorato del
segreto, ossia la voce mistica di con¬ venzione» (p. 66) che Enea
presenta a Proscrpina. 26 pria fede pagana:
«... non sono che pagano e ammiratore del paga¬ nesimo e divido il
mondo in volgo e sapienti (...) volgo, che i miei antenati
simboleggiavano nel ca¬ ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del
Do- mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬ ne perché
latra, addenta e lacera» (18). In quegli stessi anni (a partire dal
1905) era co¬ minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Reghini.
La sua importanza fra i più autorevoli esponenti europei della
Tradizione, e del filone romano-italico in particolare, risiede
cer¬ tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente destinato
all’insuccesso, per quanto disinteressato, di rivitalizzare la massoneria
al suo interno (19), quanto nell’attenzione da lui portata allo studio
ed [OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210. (19)
Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito
Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed
altri (vi sarà accolto come membro onorario Aleister Crowley...), ma
dall’esistenza effimera, dal momento che si fuse con la massoneria di
Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del Gesù. 11 Reghini seguirà
le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul Palermi, molto
favorevole nei confronti del fascismo, sino ai provvedimenti contro le
società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬ dicato alcune pagine nel
contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬ ghini di cui fu amico negli
anni giovanili, cosi concludendo: Reghini visse, povero e solitario, una vita
di pensiero e di sogno: anch’e¬ gli difese e incarnò, a suo modo, il
“primato dello spirituale’’. Nessuno di quelli che lo conobbero potrà
dimenticarlo» (Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze).alla riscoperta della
tradizione classica e romana, che gli era stato dato in compito di
rivitalizzare «in segreto», così come egli stesso si esprime in una
let¬ tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel numero di aprile
1914 di «Ultra»: «sai bene come il nostro lavoro, puramente
meta¬ fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto sempre e
volontariamente segreto» (20). In tal modo il Reghini ben si
inseriva nel filone della corrente tradizionalista romana, in quella
sua variante che si può legittimamente definire orfico- pitagorica,
col contributo di numerosi scritti, soprattutto sulla numerologia
pitagorica, sparsi fra molti articoli e opere impegnative, come Per la
resti¬ tuzione della geometria pitagorica, I numeri sacri della
tradizione pitagorica massonica (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia
(postumo REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra»
Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si
potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente kremmerziana.
È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬ dere di
identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come
vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri
giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni
validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione
romana è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al
di sopra nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la
cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano,
non per caso divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il
tuttora inedito Dei numeri pitagorici. Con questa attività egli
avrebbe perseguito la mis¬ sione affidatagli da un’antica scuola
iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,
ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe
divenuto il suo maestro spirituale: Amedeo Rocco Armentano (24),
calabrese, ufficiale dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il
Reghini. Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva
(22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del
Reghini, è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬ mo,
pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬
l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984
con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta
discen¬ denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo
eseguita con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti
storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno addirittura incompleto)
non seguono nè un ordi¬ ne logico, nè cronologico. Il saggio suW
Interdizione pitagorica delle fa¬ ve si potrà leggere ora completo in
«Arthos» n. 30 (1986, ma stampato 1987). (23) DIOGENE LAERZIO
(Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pitagora avesse trovato accoglienza
presso gli Italioti della Magna Grecia: «Come dice Alcidamante tutti
onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco, che pur era blasfemo,
e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente
der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v.
I). Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R.
SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno
dell’Associazione Pitagorica, Di Armentano si vedano le Massi¬ me di
scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di «Atanòr» ed
«Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬ talia per il
Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano» in quel periodo
si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬ ver in Canada.]
quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬ detta diroccata,
su di uno scoglio deserto» (25) dove, con gran dispiacere di Sibilla
Aleramo, il giovane protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬
dadori, Milano), «Luciano» {alias Giulio Pari¬ se), avrebbe dovuto
«diventare mago» in compagnia di un amico non nominato, vale a dire
proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di Scalea, in
Calabria, che il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della
tradu¬ zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a cui
premise un ampio saggio di quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua
magia. Vi scriveva, fra l’altro: «E perciò, in noi, il senso
della romanità si fonde con quello aristocratico e iniziatico nel
renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e
deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà possibile di rimettere
un po’ a posto le cose, e noi speriamo che ci venga consentito, una
qualche vol¬ ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬
smo romano. Quanto alla permanenza di una “tradizione romana”, si vorrà
ammettere che se una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬
to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬ soluto mistero. Non
è quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni. ALERAMO,
Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere
mago! M’hai detto d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a
narrarsi, ma realmente accadute». REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia,
in: E.C. AGRIPPA, Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi
aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬ zione italica.
Nel numero di gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal
titolo fortuna¬ to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, Reghini
coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio
universale che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e
l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata
nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di
alcuni grandi ini¬ ziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagine
di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante articolo
dottrinario, che: «Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storica¬ mente come una di queste regioni magnetiche
della terra. Se noi parleremo del mito aureo e so¬ lare in Egitto, Caldea
e Grecia prima di occuparci della sapienza romana, non è perché questa
derivi da quella, ché il meno non può dare il più» Lm Filosofia occulta o
la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972, pp. XCIII-XClV,
nota. L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo
1924), pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa
edi¬ trice di Roma). (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della
filologia in rapporto alla sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5
(ottobre 1914), p. 506.Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del
1913, si era verificato un insolito episodio, gravido di future
conseguenze: in seguito a misteriose indi¬ cazioni, nei pressi di un
antico sepolcro sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura di
«Ekatlos» (29), accuratamente celato e protetto da un involucro im¬
permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i segni di un
rituale. «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬
to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati,
accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella
sua lu¬ ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della razza
nostra romana; e un “segno che non può fal¬ lire” fu sigillo per il ponte
di salda pietra che uo¬ mini sconosciuti costruivano per essi nel
silenzio profondo della notte, giorno per giorno». «Il
significato, le vere intenzioni e le origini di tali (29) Lasciamo
ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬ tlos» con il
principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore (si
tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista islamico)
di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista evoliana
«Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka- tlos, seguito da
una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les écrits de «Ur» &
«Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475- 486). Ancor più
lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una volta si
dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un divario
invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli
espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.
(30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur», oggi in:
GRUPPO di UR, Introdu¬ zione alla Magia, voi. Ili, Roma] riti pongono un
problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine immediato fu
esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel
dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la
vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un
seguito: il 23 marzo 1919 (giorno in cui cade la festa romana del
Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a
Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di
Combattimento (dal 1921 de¬ nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli
astanti vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva
riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito Mussolini: «Voisarete
Console d’Italia». E fu la stes¬ sa persona che, qualche mese dopo la
Marcia su Roma, vestita di rosso, offrì al Capo del Governo un’arcaica
ascia etrusca, con «le dodici verghe di betulla secondo la prescrizione
rituale le¬ gate con strisce di cuoio rosso. Con tale atto dal sapore
sacrale, come è evidente. VONA, Evola e Guénon EKATLOS, art. cit.,
p. 382, nota. La notizia è riportata con altri particolari nel «Piccolo»
di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬ pendice 1]. Particolare
curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini parti in aereo alla volta
di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo, 24 maggio, anniversario
dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero di Redipuglia, alla
presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via del ritorno verso
Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad un atterraggio
di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde
forse proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della
tradizione ro¬ mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione
in senso «pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti
concorrono a rafforza¬ re questa supposizione. Dopo essere stata
composta proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923
(altre significative coincidenze di date), fu rappre¬ sentata sul
Palatino la tragedia Rumori: Romae sa- crae origines (il solo terzo
atto), col beneplacito e la presenza plaudente di Benito Mussolini. La
tragedia (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta opera
di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero
Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai influenti,
co¬ me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e appare,
specialmente in quel terzo carmen che fu re¬ citato, più che una semplice
rappresentazione sceni¬ ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di
consa¬ crazione, certamente denotante nell’autore, o nei gruppi
restati nell’ombra di cui egli era emanazione, una conoscenza non solo
filologica della tradizione romana (si pensi che in intermezzi scenici
vengono cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei
Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti, come lascia
intendere il rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e
l’esegesi, voluta- mente incompleta, dei significati del nome di
Roma. Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste
affinché i simboli da esse evocate, come l’aquila o il fascio, non restassero
puro orpello di facciata, continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in
cui Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla
Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di caratteri arcaici romani,
disegnati appositamente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del Lapis
Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla sua
morte, di essere inumato sul Palatino stesso. Ancora noteremo
come sintomatica l’uscita, nello stesso 1923, della Apologia del
paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro
collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola. Uscirono le due
riviste di studi iniziatici «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Reghini, e in cui
iniziò una collaborazione il giovane Evola: affronteranno con un rigore
ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista
dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬ colare interesse:
vi comparvero, per la prima volta in Italia, scritti di René Guénon, fra
cui a puntate, pri¬ ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È
peraltro evidente come il contenuto di queste riviste non avesse un
valore puramente speculativo, come dimostrano gli scritti di «Luce»
suirO/7M5 magicum (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri
di (33) Fu proprio Giacomo Boni che, risalendo ai modelli
d’origine, mi¬ se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo
dell’Impero) per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da
due lire di quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime,
Volpe, Roma «Ignis», che preludono a quelli del successivo Grup¬ po
di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pagano da parte del fascismo
sperata dalla corrente tradizionalista romana non solo stenta a
verificarsi, anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene degli
ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini con parole di fuoco depreca
alcune espressioni pronunciate da Mussolini in occasione del Natale di
Roma: «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo
il Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle genti civiir.
In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità, perviene
piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di
subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle del
Campidoglio». E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:
«... ecco un clamoroso delitto politico viene a sconvolgere la vita
della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari e da ogni
gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe che battere
la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse un partito che già
lo sta esautorando... tengano ben presente i nostri nemici che,
nono¬ stante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste
ancor oggi, come è esistita in passato, traendo le sue radici da quelle
profondità interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa
catena iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente
perseguitata». L’ordine del giorno Bodrero e le successive
leggi sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’attività
pubblicistica di Reghini, che peraltro confluisce nel «Gruppo di Ur»,
formalmente diretto da Julius Evola. A noi qui non interessa tanto
esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui
parteciparono, come è noto, personalità appartenenti alle principali
correnti esoteriche operanti in quegli anni in Italia, dai pitagorici ai
kremmerziani, dagli steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi
come il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella sede dovesse
essere stato, almeno in parte, ripreso il programma di influenzare per
via sottile le gerarchie del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo
manifestatosi con la testimonianza di «Ekatlos» (che, non lo si
dimentichi, viene riportata proprio nel terzo dei volumi che raccolgono
le testimonianze di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse
— successivamente apparse col titolo di Introduzione alla Magia).
In un inserto per i lettori comparso nel n. 11-12 di «Ur», Evola poteva
scrivere: «... possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che
mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬ barie, che è la
cosidetta “civilizzazione” contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di
fatto ad una opera che trascende di certo ciascuna delle nostre
stesse persone particolari». Del resto, molti anni più tardi, Evola
stesso di¬ chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬
grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a
«destare una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di
ciascuno», di far sì che «su quella specie di corpo psichico che si
voleva creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera influenza
dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu sa la possibilità di esercitare,
dietro le quinte, un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente
generale» (34). Un’indagine ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di
essere svolta sugli evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno
del Grupo di Ur, delle radici esoteriche e dei conte¬ nuti
iniziatici della tradizione romana: a parte i contributi dello stesso Evola
(che firmerà come «EA» e, pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di
cui ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul «sacro»
nella tradizione romana, ancora una volta fondamentale resta l’apporto
del Reghini (che firma come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione
Sul¬ la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta esegesi
delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e di personali acute
intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà
ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il senso e il
massimo mistero iniziatico della tradizione EVOLA, Il cammino del
cinabro, Milano (li ed.), p. 88. Un esame generale,
storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬ to da me compiuto in
lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del I volume di
Introduzione alla Magia (Ansata Verlag, Interlaken 1985). Si tratta del
notevole ampliamento, riveduto e corret¬ to, di un mio precedente studio
già apparso in «Arthos» n. 4-5 (1973-74). 38
romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬ riormente nel nostro
recente Dèi e miti italici. Intanto, nella seconda metà del 1927,
una serie di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e
chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬ tica fascista» di
Bottai e in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa,
nella primavera del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli
raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti
attacchi clericali, fra cui è in¬ teressante segnalare quello
particolarmente violento e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Montini,
allora assistente centrale ecclesiastico della Federazione Universitari Cattolici
Italiani (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista
«Studium» (redazione a Roma e a Brescia. Dalle pagine di «Studium» il
Montini accusava «i maghi» riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero
e di pa¬ rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e
di superstiziose magie.. G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in
«Studium». Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più nefasto fra i
papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli attacchi del
futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore del
paganesimo; // nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola
replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente
che vesti gli si confacciano più che non quelle della romana virilità» —
nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬ no. Contro Imperialismo
pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa, presso Ar di
Padova) si scomodò tutto Ventourage del giornalismo clericale, da
«L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso,
inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della «corrente
tradizionalista romana», prima del triste compromesso del Concordato,
affinché il fascismo, come si esprimeva Evola, «cominciasse ad
assumere la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬
scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto per comprendere e
realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi e degli esseri, sta più
su: per comprendere e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico
della Tradizione». A questo scopo Evola non risparmiava taglienti
critiche alle gerarchie del Regime. Il fascismo è sorto dal basso, da
esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra europea.
Il fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬ mentato di
retorica, si è alimentato di piccole ambizioni di piccole persone. L’organismo
statale che ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,
non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevedeva
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, da «Educazione
fascista» a «Bibliografia fasci¬ sta», sino alla stessa bottaiana
«Critica fascista» che aveva ospitato i primi articoli evoliani.] esiti e
gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale: «L’Inghilterra e
l’America, focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero essere le
prime ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe
parole per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le
sue possibilità si compenetrano strettamente con la potenza industriale
ed economica delle grandi nazioni.Era dunque necessario che il fascismo,
che «bene o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora
un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a quella della Roma
precristiana prima che fosse trop¬ po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e
il fascio e non le due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione.
Nostro Dio può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio dei
patrizi, che si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa
delle legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli
afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto
il proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, dal
1870 considerato dai papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato
con la Chiesa Cattolica e nasceva il monstrum giuri- (37)
Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco nefasto
sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori- dico
della Citta del Vaticano. Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di
azione all’interno de¬ gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che
di Re- ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in
ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è
accennato in nota, abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo
Continente nel corso degli anni Trenta. Restava il
«programma minimo» indicato ancora da Evola in Imperialismo pagano,
secondo cui il fa¬ scismo avrebbe dovuto: «promuovere studi
di critica e di storia, non parti- giana, ma fredda, chirurgica,
sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente dovrebbe promuovere
studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato spirituale della paganità,
sopra la sua visione vera della vita.]. che successive ben
presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di Evola), ma
della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi sulla nostra
pelle, dopo che un quarantennale dominio clericale-borghese ha
provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬ re la coscienza delle
«masse» ed a stroncare, con un autentico «terrorismo di Stato», qualsiasi
velleità di reazione delle minoranze coscienti della necessità di mutare
uno stato di cose ormai incancrenito. Mussolini non si era reso
conto che prima di lui uomini non so¬ lo autoritari, ma dal potere
assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano dovuti
pentire di ogni intesa, patto e transazione con la Santa Sede. ogni intesa tra
Santa Sede e Stato italiano avrebbe significato unicamente il
riconoscimento giuridico della validità Chi avesse pensato che la
Scuola di Mistica Fascista, fondata significativamente poco dopo la
«Conciliazione», nell’ambito del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò
Giani, avrebbe svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben
presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimento religioso dichiarato di
quella che avrebbe voluto costituire Vélite politico-intellettuale del
fascismo si configurava con precisione come cattolico. Lo dichiara, in
una maniera che non potrebbe essere più esplicita, lo stesso fratello del
«Duce», Arnaldo Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola. La nostra
esistenza deve essere inquadrata in una marcia solida che sente la
collaborazione della gente generosa e audace, che obbedisce al comando e
tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa nostra, vicina o lontana,
piccola o grande, contingente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non
parlo qui del Dio generico che si chiama talvolta per sminuirlo
Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro Signore, creatore del cielo e
della terra, e del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni
ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, speriamo, i molti difetti
legati alle vicende della nostra esistenza terrena.]. dei
principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬
lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica
conciliare. Volpe, Roma2). Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1°
dicembre 1931. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si veda: D.
MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano. E il filosofo
Armando Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la nota più
originale del fascismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi
cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di Mussolini vuol essere quello
definito dai due dogmi fondamentali della nostra religione: il
dogma trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo detto
minimo cercherà Evola più tardi in parte di compiere con l’organizzare il
lavoro di alcuni suoi insigni collaboratori attorno al «Diorama filosofico», la
pagina speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindicinale e
mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di Farinacci, «11 Regime
Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata nei suo simboli, nei
suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequentemente negli
scritti dello stesso Evola, di Giovanni Costa (già da noi incontrato), di
Massimo Scaligero e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund
Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬ nica) e lo storico
tedesco Franz Altheim. Analoghe collaborazioni sono fornite dall’allora
giovane An¬ gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel
dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor- (40) A. CARLINI,
Mistica fascista, in «Archivio di studi corporativi». Saggio sul pensiero
fUosofico e religoso del fascismo, Roma tante cattedra, che fu del
Pettazzoni, di Storia delle Religioni nell’Università di Roma, e da Guido
De Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziative evoliane. Nel
contesto della corrente da noi defi¬ nita del «tradizionalismo romano» il
De Giorgio occupa una posizione piuttosto anomala e tale che il Reghini
avrebbe visto con sospetto: egli infatti concepisce in Roma la sede eterna,
geografica e storica, ma soprattutto metafisica, in grado di unire in
sé stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬ borata
soprattutto ne La tradizione romana. D’altra parte, è lo stesso De
Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la persistenza del culto di
Vesta in un misterioso centro, nascosto e inaccessibile: «Il fuoco
di Vesta arde inaccessibilmente nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo
profano sa- [L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata
come Ed. Flamen, Milano) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso,
il manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della
nota introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli
ispiratori del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei
fascicoli omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di
Ur, che noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» , cioè Corallo
Reginelli, tuttora vivente. L’uscita della Tradizione romana, in
ogni modo, è stata 1 ’occasione per una salutare riflessione sul tema da
parte dell’ambiente tradizionalista nella prima metà degli anni Settanta, sia
da parte cattolica (si veda¬ no il bollettino «Il rogo», e la successiva rivista «Excalibur»),
sia da parte propriamente «pagana» (si veda la nostra recensione dell’opera del
De Giorgio, confortata da un parere di Evola, in «Arthos» n. 8:
essenziale come punto di ripresa del discorso sulle origini della
tradizione romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la
sua vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo fuoco
occulto partono scintille che alimentano le crisi e risollevano
periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità attraverso le varie vicende
di cui s’intesse la storia delle nazioni europee considerata
geneticamente, internamente e non sul piano li¬ mitatissimo della
contingenza dei fatti e degli uomini. Queir immane conflitto, già
previsto da Evola nel 1928, e che anche il De Giorgio giudicava del
tutto inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e il
nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato più manifesto, per i
fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del tutto le fila
della corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorrendo la trama.
Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la ristampa
dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta pare significativa),
curata nel 1968 dal «Centro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a
tentare [ GIORGIO, (vedi
anche L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne
tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si
può considerare oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i
termini di un antico discorso: «L’angoscioso grido d’allarme
rivolto dall’Autore a Mussolini per metterlo in guardia contro il
ventilato proposito della cosiddetta “Conciliazione’)) si afferma
nell’anonima introduzione — «risuona oggi con inusitata attualità e fa si che
Imperialismo pagano venga guardato come un oracolo». Ed è proprio
provenendo dalle fila di «Ordine Nuovo», un’organizzazione che lo stesso
Evola ha tenuto in buona considerazione
— almeno fino a che la sua ala borghese¬ modernista,
condotta da Rauti, non confluì nel MSI
— che comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i
primi anni Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con sede principale a Roma
e diramazioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei
Dioscuri» venissero riprese [EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212:
«L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in
compro¬ messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».
L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine Nuovo»
si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una parte,
la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed
estenuanti «giochi di potere» all’interno del partito e in declamazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova Destra»
proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente
compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista» ed
extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì nelle
velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con
conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche
e pratiche operative già in uso nel «Gruppo di Ur» ed è perlomeno probabile che
lo stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei
quattro «Fascicoli dei Dioscuri», usciti in quel torno di tempo, l’idea
di Roma da una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il
tra¬ dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano con grande
evidenza. Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei
Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sovversione (Centro di Ordine
Nuovo, Roma), il più grande dei meriti di Evola è quello: «di
avere rammentato il destino di Roma quale portatrice dell’Impero Sacro
Universale e di avere tratto da tale verità le necessarie conseguenze
in ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate per una vera
rivoluzione tradizionale». Qualche anno dopo, al termine del terzo
«Fascicolo» intitolato Impeto della vera cultura, il mito di Roma viene
additato come l’unico che sia in grado di condur¬ re ad una superiore
unità gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani: «a tutti i
tradizionalisti, anziché proporre uno dei tanti miti soggetti a rapido e
facile logoramento, si può ricordare la presenza di una forza
spirituale perennemente viva e operante, quella stessa che il mondo
classico ed il medio-evo definirono l’AETERNITAS ROMAE» Il «Gruppo dei
Dioscuri» ebbe notevole importanza come cosciente riconnessione alle
precedenti esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni
elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬ stra radicale, di
possibili indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo romano», anche
se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata qualificazione
di taluni componenti, porterà ben presto alla distruzione dall’interno
del Gruppo stesso, di cui non si sentirà più parlare già prima della metà
degli anni Settanta (ci viene detto che frange disperse del gruppo
continuerebbero a sussistere soprattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che
alcuni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne abbiano continuato il
retaggio se, ad esempio, a Messina, molto probabilmente nell’ambito di alcuni
dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri» viene elaborato un testo
dottrinale ed operativo, a circolazione interna, sotto forma di «lezioni»
di un maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La via romana
degli dèi: «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosità,
fornendo alla tua mente profonda gli argomenti per una serie di esercizi di
meditazione affinché con saldo cuore, tu possa prepararti
all’assolvimento del rito» [ La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia
Superiore Operativa, Messina
(ciclostilato ad uso interno),E certamente non priva di connessioni
genetiche col gruppo romano appare la sortita, improvvisa, verso la
fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬ na, del «Gruppo Arx»,
successivamente editore del periodico «La Cittadella» e degli omonimi
quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari di approccio
alla «via romana degli dèi» sono indicati attraverso la cosciente
riappropriazione del- Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso,
e nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a forme
anche esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia dei
nostri giorni, dal mo¬ mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta
vi è stata una nuova cosciente ripresa del moderno «movimento
tradizionalista romano», una cui rimanifestazione «pubblica» si estrinsicherà
in una data ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel
1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro romano), a Cortona
(donde in epoca primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso
alla volta della Troade) si tenne un importante Convegno di studi
sulla Tradizione italica e romana, che, a [Gli Atti sono stati pubblicati
nel numero speciale triplo di «Ar- thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di
pp. 192. Per una sintetica analisi sulla diversa valenza del termine
«italico» nei vari interventi, cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione
italical, in «Vie della Tradizione» parte l’emergenza di differenti prese di
posizone dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre
la questione — non puramente dottrinale o formale — di una cosciente
riconnessione aWaurea catena Saturni della tradizione indigena da parte
di chi, pur in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,
intenda coscientemente riassumere il fardello delle proprie radici
etniche e spirituali. Successivamente ad un nuovo Convegno a Messina, sul
Sacro in Virgilio, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale
dei valori difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo
romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune
collane di libri specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la
loro presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬ za
sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente sensibili di un’area
superante i limiti stessi del mon¬ do della «destra politica».
Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬ noranza (ben
cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati
pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos» ,
daH’omonimo titolo. [Ci limiteremo a ricordare la collana «1
Dioscuri» per le ECIG di Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani
di C. Pascal, il mio Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell
’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di
«Studi Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di
antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi,
De Angelis, Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di
testimonianza, sia pure «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito
capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere
continuamente dalle sue ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli
dèi archegeti di questa terra. Appendici
documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma: Il Fascio littorio a
Mussolini» Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a
Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina
Ribulsi, che offriva al Presi¬ dente del Consiglio come augurio per la
data del XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente
ricostruito secondo le indicazioni storiche e iconografiche.
L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria
ed ha la forma sacra col foro per la legatura al manico: alcuni esemplari
simili so¬ no conservati nel nostro Museo Kircheriano. Le
dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬ ne rituale, sono legate
con stringhe di cuoio rosso che formano al sommo un cappio per poter
appen¬ dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del Palazzo
Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con elementi
antichissimi e nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo della sua
opera organica di ricostruzione dei valori del¬ la nostra stirpe
allacciando le vetuste origini alle fome più vibranti dell’attività gagliarda e
rinnovata che prende le mosse. La rudezza espressiva del
Fascio è ingentilita dal contrasto tra il verde della patina bronzea e il
rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che
producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo àcWheroon di
Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano. L’offerta era
accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria composta dall’offerente,
la quale nell’Università Popolare fascista svolge una fervida opera di
propaganda di romanità viva. Il Duce gradì l’augurio ed il voto
accogliendoli colla sua consueta serena nobiltà, non senza un segno della
vivacità del sorridente suo spirito latino: «Lei mi ha dato una lezione
di storia» — osservò in tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi
dà e darà non poco a fare agli storici futuri. (La notizia è
riportata in una rubrica dedicata a «I solenni riti del XXIV Maggio»,
senza indicazione di paternità). Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae
origines, tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,
Roma pag. non numerata, IV dopo il frontespizio: LETTERA DI
ARDENGO SOFFICI A S.E. MUSSOLINI Mio caro Presidente, (...)
permettimi ti dia, scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto
garante, al¬ cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che,
in fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬ tazione
di oggi della nostra stirpe. Comincio da un mio giudizio, già a te noto;
Rumori è tragedia roma¬ na che può stare a paro col Giulio Cesare di
Shakspeare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Ro¬ ma, dato
da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto,
vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui
protetti, che per la sua politica imperiale. E tu vedi come
Rumori sia stato giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la
forza fascista, tragedia degna di Roma quando competenti — dai nostri a
Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per
lodare Rumori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬ vanti ad
un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è,
anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista
(...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico carissimo, di
averti scritto una lettera storica. Fai che non sia stata scritta invano,
ma invece il tuo no¬ me vada unito a quello della tragedia Rumori,
al poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬ me in avvenire,
spero che tu possa essere un po’ gra¬ to al tuo affezionato amico e
devoto ARDENGO SOFFICI pag. successiva non
numerata: IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro
Soffici, bisogna assolutamente far marciare Rumori. Il Governo
appoggia fervidissimamente l’iniziativa perché essa rientra nel grande
quadro della rinascita nazionale. Saluti fascisti e
cordialissimi. f.to MUSSOLINI Roma, AUGURE
Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA. Se tutte move, ed
incende, le create cose... legge si è — Amor — dell’universo
vita... così, un tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà
sovra ogni terra, e dello spirito, e d’imperio. Confirmato si
è, per te, prodigioso il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi
occulti... su la Città terribili chiamerebbero fortune... Li
trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici. Né mai più, tu,
l’eccelso pronuncia Nome palese, se concluso non avrai, prima, il solco
sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia,
al Popolo... quel Nome che licito non più mi è dire quando,
già per tre volte, qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il
Nome risonò. {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per
numerare i significati del nome). Di significati cinque:
È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città:
Valentia... Ròbure... Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma
Nutrice! Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...
Come del grande Rumon: URBE: la Città del Fiume!
{Pausa) Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,
in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani. Mirifici! donando
Nomi nove: in quattro occulti ed un — Medio — palese, e
quando, nove, siamo al Rito. Ili Da: COSTA, Apologia del
paganesimo, Formìggini. Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,
né un romano avrebbero concepito che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso
da ciò, che in lui litigassero per così dire due nature, che la manifestazione
esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella
sociale vi fossero mezzi termini, transazioni, compromessi. Esso è
quello che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬ mo della
vita, come dovere, come necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli
vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,
con un pragmatismo sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze,
scuse. Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato
concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali che si sono formate
a lui d’intorno, una distinzione ed una separazione del suo essere
intimo, spirituale, psicologico, dal suo essere apparente, esteriore,
materiale. All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la
possibilità, egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino la
concezione. La concezione pagana della vita ha fatto perciò
l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1
’azione. Ecco perché la vita nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo
sviluppo ed è stata accettata non come un male, ma come un bene che
bisognava con interezza di carattere vivere interamente e sanamente per
sé e per gli altri : Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve
tornare al paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera
cui le sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è sincerità e
l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto
per due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio cristiano
e la sua manifesta impotenza di non saper¬ lo fare, deve risolversi in
armonia se egli vuol sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la
carne debbono avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può
essere determinato che da circostanze speciali di individuo, di momento e di
luogo che l’uomo può intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine.
L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere
nella dottrina, come nella vita, assoluto. Da: Im via romana
degli dèi, ciclostilato anonimo, Messina: L'immagine di un
dio è lo stemma della Forza che essa rappresenta. A tutti i fini pratici
tali immagini sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere
nella realtà esse sono state personalizzate e forme di pensiero sono
state proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro
attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con tanta
ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬ struirsi da se
stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che l’allievo può fare
su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, perché il
meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬ ga, sia pure su un piano
semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro, dispersa su un
piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto in mezzo.
Se il magnete è forte esso attirerà i granelli anche se essi sono pochi e
molto distanti. AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (imda «Ygieia», Reghini
Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-
bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.»
pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬ guo
romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte
licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie e leooograflclia.
l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa tomba etmaca hlmtneoarta ed
ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi manico: alcool
eaamplan slmili sono coosenrat: :.«! nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é La
dodict verace di l>ctulla. ascondo la prescrizione rit'iale. sono
legala con tirisele cuoio rosso cba formano al tonimo ua cappio per poter
appendere fi fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa
lazzo Capitolino dd Conaenalori. Il fascio ricomposto con elementi
antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al Dora come simbolo
della saa opera onrantea di rieoatruztona del valori della no- Mra attrpa
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ga- giarda a rinnovata cha prendo la mosse Là rudezza espressiva
dal Fascio è ingantlHta dal contrasto tra (I verde della patind bronsea e
U rosso del molo che ri¬ corda la stes.aa armonica tonalità che pm-
doeono le colonne di porfido presso la porta di bronzo deD'brroon di Itomdlo,
figlio 41 Massenzio al foro romano. L'oflerla efa accompagnata da
ani epl- graia latina dedicatoria composta dall'orfarente. la quale
nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una fervida opera di pro-
pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi raugorto a fi voto
acro- Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà. 2«m senza tm
segno della vivacità del sor> ridaots ano spirito latino: Let mi ba
dato nna testone di storiaosservò In tono aehanoao. Btngolart
parole In bocca di r.hl db a darà non poca a fare agli storici fu-
tnrl Riproduzione da «11 Piccolo. Grice: “Like Reghini, of
the movimento tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all
into Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature
arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the
synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce, l’arimmetica pitagorica,
Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool
Library. Enriques.
Grice ed Enzo: l'l’uomo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Burano). Filosofo. Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi
es?” is a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es”
can be interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”.
Figlio di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante,
morirà appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale
bontà. La madre, Flaminia Vio, è una
bravissima maestra merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di
rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio
della Chiesa, ad accompagnarlo dalle
suore perché serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la
proposta del parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di
continuare gli studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote
di ospitare a Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come
esterno. Negli anni di studio ginnasiale, si imbatte per la seconda volta nella lettura
della Bibbia. Il primo contatto era stato quando, aveva deciso di leggere ai
fratelli, nella traduzione di Martini, una vecchia Bibbia trovata in casa, per
accompagnarli al sonno. Il contatto è più corposo e sistematico, ma come la
lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo delude, intuisce infatti la
mancanza di adeguate conoscenze e strumenti concettuali per poter penetrare
pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa reazione anche quando, finito il
liceo, sceglie gli studi, dove la lettura della Bibbia è seria e critica, ma
rimane, per importanza, sempre la seconda o la terza materia dopo la dogmatica
e la morale. Viene mandato a fare cura pastorale come vicario cooperatore a
Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del Polesine. Qui, meta preferita di
turisti tedeschi, studia da auto-didatta la lingua tedesca per meglio servire
la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso incarico nella vicina frazioncina di
Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e nella popolare parrocchia
di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva conosciuto questa comunità quando
vi era stato per una stazione quaresimale con il patriarca Piazza e
l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità vista come filo0fascista
aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S. Giuseppe di Castello compera
un appartamento, indebitandosi, per fare patronato con doposcuola tutti i
pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i ragazzi più grandi. Insegna
al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi", organizzando anche uno
spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni". Il vicario generale Gottardi,
dopo essersi consultato con monsignore Capovilla, segretario del cardinale Roncalli,
gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi era stato suo insegnante di
teologia e scienze bibliche in seminario e aveva conosciuto il suo profondo
interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato il saggio, “La
'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le varie
interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle tradizioni
patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello ascoltate dallo
stesso vicario generale avevano poi confermato quella scelta. A Roma è ospite presso il Pontificio Collegio
Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a prelevare Capovilla per una
visita guidata alla città, alla vigilia del Conclave da cui uscirà papa Roncalli.
A fargli da cicerone è proprio il futuro papa Giovanni XXIII e le bellezze
della città illustrate da una guida tanto preziosa assieme al paterno congedo
di Capovilla costituiranno il ricordo più bello della sua vita. Consegue la
Licenza con una tesi su "I Carismi" e contemporaneamente i corsi in
scienze bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico, dove perfeziona lo
studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma soprattutto ha l'incontro,
decisivo per i suoi studi, con il grande biblista Schoekel. Segue i corsi del
quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere il saggio su "Grazia e
benevolenza" per la laurea, tesi che non può però portare a termine perché
torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la funzione di vicerettore del
Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra il rettorato di Vecchi e Villa.
Da vicerettore del seminario insegna anche scienze bibliche, diviene in seguito
pro-rettore, sino a quando chiede di essere sollevato dall'incarico per poter
assistere la madre paralizzata ed è quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria,
dove abiterà con la madre. Qui si fa promotore dell'allestimento e della
conduzione di un teatro, dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del
cineforum, dell'istituzione della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di
opere di risanamento e ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai
ragazzi. Continua ad insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel
Benedektiner Kloster di Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla
maturità i seminaristi che studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo
stipendio con l'insegnamento nella scuola pubblica, come il liceo classico
"M. Polo", dove matura la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto".
Viene nominato patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo
insediamento emerge il suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione
culturale al clero, trattando il tema della "Consumatio saeculi" o
secolarizzazione nella Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le
dimissioni dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi
invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel
manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il
capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o
non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per
la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime
dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti
su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C.
Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. DISCORSO
DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI, ’fcSbr lnjìeme <rrn
altro Difcorfo della CaUrametatione , f£) difciplma militare, % agni,
& efferati] an- tichi di detti Xomani, Comporti in Franzefc dal
S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo Li onde, & Bagty delle Montagne del
Dclfinato, 'otti in Toscano da M. Gabriel Simeoni Fiorentino.
di Medaglie & Figure , tirare de i marmi amichi, quali fi
trouano à Roma , & nella Francia. IN LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries
dudiB S.(juiUdume du Choul. hi'* BEATVS. J
m I r I r Hi. alla christianissim a
et ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri- na de
Medici, Guglielmo Rouillio humiliflìmo fcruitore, (aIutc & con^ 'c'N
tentezza Tempi- '% terna. i ^4. purità & dolcetta della
lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in
tanto pregio, che doppo la (^re- ca (èj? la Latina fi Toscani medesimi Jludian dolaci ingegnano
ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj (
come hanno fatta t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne
iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi troua natione à cui
non piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che
in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera nel
fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co- me io
credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi fcriuono di
\na medefima maniera, come fanno la Latina & In Toscana, le quali
oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle
‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono
meritamente nominare f or elle. Jtla fi come ogniTofianofe non ben
letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire
le parole, (gfi leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi
ritrova. Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare
Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à
quelli ' & I ig* 10 che io medefimo ne
ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di' mojlro in più opere fue
fampate in Francia & in Italia, mi fon mojfo à gregario di tradurre in
toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe
dal S. (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale
fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro
della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando
futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato
nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i ardire di
dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri- guardo che il
prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter
più degnamente quello mio conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non
meno nobile, che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono
fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque
ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto
frequente (anchora chefaljo, altrettanto che 11 noffro ordinato
dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero } della Religione dei loro
falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni
come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole
felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non
haueuono poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre
&> Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono
animo loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata
dal Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti che
io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la fua regia &
bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini# fineffl longa vita. Di
Lione el dì }0.dùdgofio,itf8. Difcor, 'S:5Stata comune
opcnionc d’alcuni hiftori ci antichi che lano, primo Re de Latini,
forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che
quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,& che di qui tutte
le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi
poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i
Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo- nie,
& culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi
& merauigliofc, come anchora hoggi fi vede per quella piùintcra &
più bclla, chc in Ra marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano
Imp.da; luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto
alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo- no di mattoni, & dentro
folcua eflcre ornato di marmi di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in
ogniuna delle quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma
fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada- uorio per
lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc- co:5 e dart'altrapartc quella
di Venerei gl orecchi della A 3 Imo prima
inuentore it templi Tempio dt M.Agrip- JW.P tfó t Udititi
dtUa Perla di Cleopatra. Torma er ricchezza del Panteone
dedicato i Gioite. Sacrilegio di Costantino impera.
quale pendeua la Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana d’Egitto , la quale
Augufto haucua per quello effetto fatta diuiderc in due parti, non
hauendo potuto trouar- nein tutto il mondo vn’altra che la
fomigliaflc.Concio Ila che la compagna di quella mangiata da
Cleopatra nel conuitodi Marcantonio pefaflc mezza oncia, che fono l
x x x. carati, & folfc (limata cento fcllerti j , di lc- flertij che
al modo nollro varrebbono cc. cinquanta mila feudi. Di quella Perla
Icriuendo Plinio ncll’v ni. libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella
era di co lì ma- rauigliofa grandezza Se bellezza, che la Natura non
ha- ucua mai fatto opera ne più perfetta ne più pretiofa. Ma
tornando al proposto del nollro tempio , dico che egli ha le porte di
bronzo di fmifurata groflezza & altczza,con colonne innanzi nel medelìmo
modo fmifu- ratcrte quali nel principio lolcuono ellèrc x v i. ma
hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa che due ne fumo guade dal fuoco ,
& la terza non fi fa ciò che ne lìa fe- guito. Le traui , architraui
& cornici di querto mirabile tempio erano ùmilmente di bronzo dorato,
& finalmcn te fu la fua principale dedicatone à Giowc Vincitore,
ò Vendicatore, quantunque Dione fcriua che Agrippa lo facerte fare
in honorc d’Augudo. Collantino terzo dipoi, Imperatore & nipote
d’Hcraclio,Ieuò la copertu- radi qucdotcmpio,la quale era di piadrc d’argento
, & interne con molte rtaruedi marmo & di bronzo, che
feruiuonodi bellezza & d’ornamento àRoma, le fece metrere lòpra mare
pcnlàndo diportarle in Codanti- nopoli,il q naie facrilegio non volendo
lafciare impuni- to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì
morì Codand Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo
rapite dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!
fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior- nichcegli (lette
in Roma, che in c c.anni non haucuor- no fatto i Corti & tante altre
barbare narioni. L’architettura di quello tempio (per quello che io ne hò
potuto conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile ,
lì come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui quelli,che
non vi fono (lati, per la medaglia di detto Agrippa^riprcfcntata qui
difottoal naturale. MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici
quello tempio fece già fare (pacan- do per Atene) HadrianoImpcratote,il
quale dedicò li- milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne
di marmo Frigiano, conporrichi&loggieintorno per pai- feggiare
al coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel
detto tempio vnn libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi
mar- T empio d‘- H adnano. Librrrié d'HadrU- no. HMSfri.v, 8
raufanU. mo che egli haucua,comc fcriuc negl’ Attici Paufiinia? fatte
condurre di Libia: foggiugncndo il detto Autore che il nome d’Hadriano fi
trouaua per infino nel tem- pio comune à tuttegli Dijila quale verità
apparile an- chora per le medaglie Greche, quiui battute per memo-
ria di cofi nobile edificio:& nelle quali fi vede il*? «fcp.,, chcè
il portale della chicfii, con altre letrerc Greche, che
diconoKoiNON&moTNiAs, cioè tempio com- muneà ruttigli Dij.
HADRIANO GRECO. BRONZO. BRONZO. Ma.lafciando
(lare i templi dedicati à tutti quelli fal- fi Dij & Demonij , pieni
di fuperftitioni & di bugie, venghiamo (blamente à confiderarc la
grandezza & Tempio di ma g n ificcnza di quello di Salomone, il quale
di ricchcz Sélmonc. ^ ^bellezza ha pafiito tutti gl’altri ,conciofia
chcncl- l’ Arca douc erano ferrate le leggi & comandamenti
di Dio, fi vedeuono infinite pietre pretiofedi grandifiìmo
pregio, pregio, & l’Arca medefima era coperta di grolle
piaftre tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta doro malficcio
con innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo - calici ,
ampolle, & altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf ' niftrationc
& cerimonie de i facrificij. Vncandellicre S andiflimo d’oro,
del quale vlciuonotre rami da ogni to con altrettante lucerne, figurate
per i fette pianeti, tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco
, era più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al-
tre ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del prefa
di Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di Titofuo figliuolo,
&pofte nel tempio della PaceàRo- ma, &di poi {colpite nell’Arco
trionfale di marmo, edi- ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato
Roma- no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora quafi
tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu
IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione Minio.
nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi
Commodo Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog- giugnendo ch’eglicrafopra
ogn’altro ricchiflìmo &or- natiflìmo di (lame & altre cofc belle
coli dentro >comc fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le
meda- glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori.
VESTTqvTZd R ITR u TT^i Z> f xArco Triomplfdle di Tito in
Ronu. i BRONZO. BRON ZO.
Della bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir
duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza de Romani, &
della miferabile prefa &diftruttioncdcl tcjnpio di Salomone, ha
Icritto affai à pieno Iofcpho nel fuo libro, che tratta della guerra de i
Giudei. VESPA SIA NO. "C TITO. ARGENTO. ,
BRONZO. Il VESPASIANO. TITO. bronzo. argento.
VESPASIANO. BRONZO. ARGENTO. AMA i}
Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa, quale è nelle mani Je fautore.
gradiftìmo piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f
edificare & ornare quello tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm »
belIecole,ch’ei potette haucrc,come quello, che doppo ve- la prefadi
Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto il mondo: il che moftrano anchora le
Medaglie battute al Tuo tem po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne
trouano alcune colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette- re
che dicono,PACi orbis ter rar vm. & in alcune altre fi vede la Pace
con vn torchio accclo in mano, che abbrucia & diftrugge vn fafeio
d’archi, di frcccic, di cela tc,di fcudi,& di corazze con altri
inftrumenti della guer- ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo &
lettere che moftrano la pace d’Augufto, con quelle parole, pax
ptee. avgvsti. VES.VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO. BRONZO.
BRONZO. Et li come Vefpalìano ha di fopra figurata la pace
eoa Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la difegnà poi
con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle fono tutte le figure antiche
della pace, tanto cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè
nutrice della ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con lafclicitàdellaquale
fi conferma il mondo.La pace è quella, per la quale la Natura Huma-
na va crefcendojlc richezzc fimilmcnte multiplicano,la virtù
VESPASIANO. TITO. BRONZO. virtù c in pregio, &
finalmente ella contiene in (e tutte le
colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo. Et che ciò fia vero,
ficonolce, che nel tempo di pace fiorifeono affai piu i begli
ingcgni,& i principi fauorifeo no piu i letterathcomc quelli , che
intrattenendo coli i virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il
numcrodeCol legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà
reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba per- petua à gl’orccchi
de noftri fucccflori : fi come lenza quelli vegliamo che non farebbe piu
memoria de nomi & fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni
a,diCe (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii , ne de Greci:&
la gloria &grandezzade Romani col nome di tanti huomi ni
eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co- là(Signore
illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio re gloria &
honore,facendoammacftrarc & introdurre nelle buone lettere il
figliuolo del Re, che meritamente fua MaelU haconftituito lòtto
ladifciplina & cuftodia voftra:dclla quale tornando à propofito della
noftra pa- ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa
re l’altare della Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi
comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci dice,
Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram, Hac erit a mtnjis
jìnefecunda dies. Veggonfi le forme di quello altare perle
Medaglie diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à
quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono pace avgvsti p erpet v a,
& nell’altra, ara pacis. TI >5 Lf
Intere C T letterati rendono il nome de U principi
im- mortale. V Altare d Pace.
Ouidio. TIBERIO. NERONE T
BRONZO. Tempio di Numa Pompilio fu il primo che infegno di pace
edi Un °uJrI & ^ crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro
- tL ? copio)era quadro &grandecomc vna Capella, tutto di
bronzo,& tanto alto, quanto la ftatua di ramedi Iano vi potefle
ilare dentro, la quale non era lunga piu di cinque piedi,& con due
vifi,l’vno riuolto allenente, & all’occa fo l’altro ronde ci fu detto
Gemino ,& del quale Plinio nel libro xx x v.de l'hifloria naturale ha
cofì fatto men- tione. unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd
Rege dicdttts , qui pdeii, belli que dr~ gumenro colitur.
Augufto AVGVSTO. BRONZO. Haucua quello tcpio due porte
di bronzo, Icquali in tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in
quello della gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice,
Sunt gemina belli porta. Furono quelle pone tre volte fermate al
tepo de Romanica prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo Tito
Manlio,& la terza & vltimafotto Augullo,quado piacque al
Signorc&fabbricatorc del’ vniucrlo,vcro au tore& di pace & di
luce, pigliare carne humana: della quale cola lafciò mcmoriail
fucccflorcd’ Augullo(dop- po che ei fu deificato) facccndo battere
medaglie, nelle quali lì veggono due mani llrettcinfieme,convn Cadu
eco nel mezzo, & due corni d’abbondanza con parole, che dicono, pax.
Significando che dalla concordia dipende la copia di tutù quanti i
beni. Caduceo inftgm pace. Bavgvsto: ARGENTO. Tito
Liuio lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc- % do Ccfarc pacificato il
mondo per mare & per terra, fer- mò il tepio di Iano. Et Nerone
dipoi lenza haucrc rigar- do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc
medaglie, & la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto
lapacc Umilmente per mare & per terra al Popolo Romano^,
facendo fcolpire coli fatte parole ,pace popvlo ROMANO TERRA
MARIQVE PARTA, I A- NVM CIVSIT. NERONE. DI
BRONZO. Tro . ip Trouafi vn Marmo in Roma di colore bia
co & ton- do/! quale mie parfo di riprefcntarc qui innanzi, per
moftrarcla differenza delle parole che gli fono intor- no, limili
nondimeno nel fenfo à quelle, che nella meda- glia di Nerone habbiamo
viftequi fopra, ianvm c l v- SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO
VBIQVE PARTA. Plinio nel libro xxm. dell’hiftoria naturale
(feri- IANO uendo di Iano gemino) dice che i Romani nella primin0 ‘
magucrra,chchcbbonocon i Cartagincfi,fcciono bat- tere molte medaglie di
bronzo, da vn de lati delle quali era la teda di Iano con due vili, &
dall’altro la poppa d'vnanauecon quella parola, Roma. Si trouano
ancora medaglie di Iano,ncllc quali fi ri- prefentano nauili &
trofei'Ja deferittion delle quali fi vedrà piu allongo nel libro de
l’Antiquità di Roma, il quali’ Autor mcttra torto in luce.
MEDAGLIA DI I A Na BRONZO. La caufa perche Iano fi depingeua
con due vili, ella- ta affai benedichiarata da Plucarcho nel libro delle
lue Ijjjf quilUoni,doucdicc chcqùcflo nacque perche Iano era B aUno
con due uijì. Ouidio. Berofo. Uno
Dio- deli pace . IO (lato i! primo che haucua rend u ti i collumi
rozzi delle pedone piu ciuili , dando loro leggi, & inoltrando
che per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini potc- uono
hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc , tranf- portandolc d’vn luogo
ad altro. Alcuni altri dicono che arriuando Saturnoin Italia in vna
naue,& infegnando a Iano l’arte dcllagricultura, & altre cole
vtili & buone, lancio prclèpcr compagno nella Monarchia, &
per eterna memoria del Tuo- nome, fece battere medaglie con due
vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale Satur- no era venuto in
Italia:di che anchora. pare che habbia. rcnduto teftimonio Ouidio,doueci
dice, ±At bona pojleritds Unum formante in are Hofitis
aduentum tejlificata Dei. Io nondimeno m’accofterci piu volentieri
all’oppe- nionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu (colpito con due
vift,percflere Rato vn Re molto Tauio , che confi- dcrado le cole pallatc,giudicaua
Se prouedeua à quel- lo che doucuaaucnircjchc e certo, quella prudenza,
la quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni : laonde
confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi de gli huominbparc
che quafimcriramcntelanollravi- ta fi polla aflomigliare alla figura di
Iano con due vili. ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di pace Se di concordia,
doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie mcj&che per la pacc&
vnioncchc quelli due popoli ha - ucuonofatta l’vnacon l'altro, l’imagine
di Iano Tu Tcol- pita con due vifi,& nel tépo pure di Romolo fatta di
le- gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de grantichi,volendo mollrare Se
fignificarcchclapoucrtaè amica diDio, come zi
come quelle che contienile in fe l’honcftà , & la pace, quello che
conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar- ritmilo. landò
dellantichcimagini degli Dei, dice. Ne pudeatprifco Vos ejjìe e
Jìipite fatto s. Sic Reterei fedes incoluijhs aui. Tunc
meline renuere fdem } cttm paupere culeu S tabarin exigua ligneus
adcDetts. N urna di poi fu quello, che fece fare quxfta
imagine di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di Ju
xm<t. fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia- mato
àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di poi foleuono portare nei
facrificij r faccrdoti detti Salij, come noi moftraremo apprclfo piu
dillcfamcntc nel difcorlo de noftrifacerdotij. Quello Iano fu
chiamato anchora quadriforme, & dipinto con quattro vili, come quello
che haueua fi- gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo,
nella qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel- le fuc
Medaglie.M. A VRELIO. DIOCLETIANO. HADRIANO.
BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore Iacopo Strada Mantova- no,
grandiflìmo & diligente amatore &inueftigato delle cofe antiche,
mi fu altre volte donata la figura d’ tempio di Ianoquadrifrontc, però
mie parfo di fentarlo qui fotto al naturale, ocr maggiore inrell
del lettore. ~Ò CON z 4 - Hauendo à baldanza fcritto de templi della
Pace &di Iano,ragionercmo al preferite di quelli della Dea
Cócor dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati, che non ha
rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccomin- ciando da
quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia c oneordu ^ ua ^ a< ^
re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impe- sto da radore, diremo,
chele la concordia & la pace fono vnà Tiberio. mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc
quello, del quale Dionr. Dione haragionato nel libro l v i. dell’
hiftoria Roma- na, fcolpito per le medaglie di molti Imperadori,
nelle quali fi vède la concordia con vna tazza in mano, in le- gno
della fuadcità,& nell’altra tiene vn Corno d’abbon-
danza,fignificatorc della copia di tutti i beni, quando gli
huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta con due figure , che fi
danno la mano I’vna all’altra : nel modo che fi vede qui difotto , potrà
il lettor vedere la concordia. «—
wm . aj Et perla medaglia di
Bronzo, di Caracalla, potrà ve- der il lettore la concordia tra lui &
il Tuo fratello Geta, lignificata per la mano delira che fidano l’vno all’altro,
accompagnati da vna vettoria che gli corona améduc. ''che mollrala
vettoria d Inghilterra, douc erano Ita- ti tutti infieme. Nelle
McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua anchorala tefta di Concordia da
vn Iato , Se dall’altro duemani ftrette infieme con vn caduceo nel mezzo,
& lettere che dicono, marcvs antonivs, caivs BLICAE
CON- .r Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la
Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad
Auguflo, lignificando la concordia del Triumuirato:& nelle medaglie
d'Augufto li figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano
tiene U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti
àiTriumui ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra
rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R ca,&di tutta fhumana
generinone, fpecificato mili parole, salvs generis h v m a MARCO
ANTONIO. ARGENTO. AVGVSTO T RI V MV IRÒ.
ARGENTO. Ma volendo vedere quanto folle {limata la
concor- dia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli
Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie , che fole- uono fare, in
alcune delle quali fi vedeuano cofi fatte parole, concordia miei tv m ,
con vnavettoriache coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due
Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc &
vir Concordi* degli folda- ti Romani, I
& virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la
concor- dia con due infegne militari in mano, & le medefime
parole. SEVERIN A. ARGENTO. C^VINTILIS. ARGENTO B—i.
11*a* ’•/»-••*•• 19 Hcbbono Tempre tutti i piu faur
Imperatori quefta ferma Ipcranza^he nella concordia de foldati
confi- ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo Romano, &
pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia. HADRIANO BRONZO.
BRONZO. Per alficurarfi poi meglio deirvnionc degli
Efferati loro , gli faccuono giurare per mezzo i facrificij, non
trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto la religione. A quefta
concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C om<tcchU chia,&di qui
nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht dcdUaual- ncl far matrimonio
inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0, ’Iitiano fcrittorc diligcntiffimo
fa. nelle lue Mifccllancc mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice
haucrc veduta vna medaglia doro della minore Fauftina, figli- uola
di M. Aurelio, Semoglic di L.Vcro,ncI rouefeio della quale era vna
Cornacchia con lettere, che diccuo- no, concordi a. Et perche io n’ho vn
altra limile nel- fc mani, però mie parfo riprcfcntarla qui
difotto. Fauftina. La quale colà per p UMU vo ! u
1 , ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con moglie di vn alcra d orodl
Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo, cauviu Jaqualc fiotto Scucro
goucrnò tutto Tlmpcrio Roma- ** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla,
figliuolo di Scucro Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi
dauano la fede in fiegno di concordia due pcrfionc ma- ritate,con quelle
parole, felix concordia.: FAVSTIN A. doro. PLA
VTILLA. D ORO. Vfauono .' Vfauono
limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man drittafoprale infegne dciloro
foldati , inoltrando 1 vni~ onc &concordiache doucuaclfcrcin vn
Campo, & dal- lequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come
io ho già inoltro nel dilcorfo pallàto , che io feci del modo del
campare antiquo de Romani; TRAIANO. FILIPPO.
ARGENTO. BRONZO. Erano à Roma anchora moiri altri
Templi , come quello della Speranza col Tuo limulacro, adorato da i
Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglied’Hadria- no,d’Anronino Pio, di
Traiano & di Plotina, con limili fcritturc, spes popvli roman \ y
spes Temp i 0 a PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane.
HA 3i HADRIANO. ANTONINO PIO. BRONZO.
BRONZO. Per mezzo di tutte le fopralcrittc imprefe
noihabbia- comegtd n mo conolciuto chiaramente come gl’antichi
figura- gli Tu uono laPace ,Ia Concordia,&la Speranza, reità à
mo- Ttdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuono
quello per mezzo di due mani diritte congiunte in- terne,
nclmodoqualichclioggianchora fanno i nollri orefici in certi anelletti
d’oro: ma l’accompagnauono i Romani con l’H onore, con la Verità , &
con l’Amore, come a Roma li vede anchora hoggi fcolpito in vn mar-
mo bianco. FICV de gl* Antichi romani. F I (j Z/ It D E
L L <A FEDE ritratta da yn marmo antiquo in Roma. lo non
midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì , modi, in quanti gl’antichi
dipingcuono la fedc,& malfi- mccol caduceo, & con le mani,
macontenterommifo- lamenredi ripreientare come priuatamentc &
publica- mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni &
cat- tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì
PLOTINA BRONZA VESPASIANO. DOMI TI ANO
BRONZO BRONZO. ohi» da vede per la medaglia di Com
modo Imperatore,}! qua - lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua
comperare da soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto.
, -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-'
ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac O !tiu 0 • E;n.».v *
i ; ili i ,j& ti i rjjscjj
Hadriano, 1 fclijiàojrn HADRIANO. COMMODO.
BRONZO. BRONZO.Tra tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho *
vna d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro, (iugulari flìmo
amatore delle co fc antiche, nelle quale fi vede daduc lati fcolpitc le
mani in legno di concor- dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x
er- oi t v v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La quale
cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi dilettano delle
mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1 marauiglia,pcrò fara
caufa che io narrerò qui le cagio- ni, ond^ ella fu in tal modo
battuta. Quello era che volendo le Prouincic, alla guardia De f
critlio , delle quali erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze-
no reiterare la fede & patti che haueuonoinficme, face- uono
nel melò di Gennaio battere cofi fatte monete : & infogno diconcordia
ne faccuono prefente l’vno all’altro. MEDAGLIE. D'ARGENTO. il
primo che edificate mai tempio alla Fedepubliea, piddcUdfe- fu
NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco, quiui de fatto U facendo
lacrificio alle fpefe del comune , doue i Saccr- N|WM ‘ doti detti
Flamini facrificauono fenza fare fangue, vediti di panni bianchi, & portati
in vn carro con vna mano coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede
pu- blica,comc cofafagranon fi debbe violare. Ma perche io mi
trouohaucre detto di foprachegrantichiftimor- hono- no l'honorc come
Dio,&gli fecero vn tempio ,come à re. conferuatore della fede
promefla: però àconfermatio- ne di quello dico,chc chi di ciò dubitate ,
vada à vedere cicerone, il fecondo libro, che Cicerone ha fatto della
nkura de r. Liuto." gli Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu
quello T 'd* m 1" che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl
lonorc > & Mario no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle
medaglie di Vitcllio, tù cr ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali
mezza ignuda Tifici, tiene nella mano delira vn’hafla,& nella
finillravn Cor tbonorea- noc0 pja,con il piè deliro fopra vno morrionc:
l’altra detta utrta. ^ l atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna
halla nella mano manca, & nella ritta vn fccttro,Ie gambe
ar- mate, & il pie ritto fopra vna tcftugginc,con lettere che
dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmen- te nelle medaglie d’Antonino
Pio dipinte Iefigure del- l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale
tie- ne nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti i noftri Dei
& Dee. VITELLIO. M. A VRELIO. BRONZO. Fu anticamente
collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0 & à quello
dell’honorc, lignificando che all’honorc & di- gnità mondane, non fi
può facilmente peruenirc lenza il mezzo di virtùràpropofito della quale
materia io ho tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel rouefeio
della quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua jj mazza
,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette coUfìgura
rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 ** medaglie di
Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di Filippo fi vede che la virtù
c dipinta in altri modi come qui di lotto. FILIPPO.
GORDIANO." ARGENTO. ARGENTO. Per la dili-
gizafeuie- ne al fine deU'impre- r<- Come
gfan tichi ordi- nauono le eafe [agre 4 iloro
Dif. Tempio di Mercurio cr di Bac- co.
Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio & quella di
Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza, vn morrionein
tcfta,vn’hafta in mano,& accompagna- to da Tuoi foldati paflarc
fòpravn ponte innanzi à tutti, perfornirela fuaimprefaja quale ha
figurata per le pa- role che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra
me- daglia di Filippo fi vede il padre & figliuolo correre à
cauallo leggiermente, per moftrare la diligenza ,con la quale ei veniuono
à capo di tutte le loro imprefc,con li- mili parole, virtvs
avgvstorvm. Ma lafciando qui l’interpreratione di tutte
quelle cole , farà piu à propofito tornare alla noflra religione,
& moftrare, fecondo Virruuio, come &douc gl’antichi foleuono fare
iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer- curio nel mercato-.cT A pollo
& di Bacco vicino al Thea- trord’Hercolc nella Citta , douc anchora non
eranoi gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra: di
Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora della Città,
eleggendo femprcluoghi,doue non frequen taflino
35 taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità de
facrificij , & i quali fi guardauono rcligiofamcntc & cattamente.
Il medefimo Autore fcriuendo dcH'archi- tettura dcrcmpli nel fuo terzo
& quarto libro dice,chc a Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua
ofleruar l’or- dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N ymfc
de Fonti, Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu-
lite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee: & fé Ionico, à
Giunone & Diana, fi doueua nondimeno in ciò alla mediocrità haucrc
riguardo: fcriuendo an- chora appretto le regioni &quarticri,verfo i
quali doue- uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre
fì- gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,
che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno grandemente i
Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha- uerc conofccza d vn folo &
vero Dio, come piu oftina- to in quella imprcffionc che vna volta ha
fattada cagio- ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne
Tuoi verfi, quando ditte, Puerorum infanti a primo
Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter Uagìtus de ftrre mola.
Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il piu celebrato
fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia- mato per cffcrc ftato fatto in
Campidoglio, fi come fi vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve
- ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a fcdere,fatto
in forma quadrata con la factta in vna ma- no, & nell’altra vno
feettro con lettere che dicono, iyppi- ter. o p t iu vi max.
capjtolinvs. C 4 Tempio di Minerva,
di Marte , CT d’HcT' cole, di ve- nere, di fio ra , c
di Proftrpina. Errore de Romani nel la
religio- ne. Pruduti io. Tempio
di Gioue Ca- pitolino. Tempio di Giove Veti
dicatore , Olympico, CT Tonile. AVRELIA QVlRINA,
VESTALE. ARGENTO. Quello tempio fu prima deftinato da
TarquinoPu- fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma
quadra, & ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di co- lonne, fi
come lì troua nelle medaglie di Traiano, nelle quali lìveggono fopra al detto
tempio molti trofei, carri trionfali, vetrorie, & altre cofc belle.
Vna altra mc- daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Ven-
dicatore, la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli- uolo di
Mammear&r altre di Gioue Olympico & To- nante, fatte da Augufio,
comepiu àlungo lì vedrà nel mio libro delle Antichità di Roma.
Traiano r* fe,
TRAIANO. ALESS. SEVERO. BRONZO. 4 BRONZO. AVG vh O,
AVGVST 67 argento. MEDA. DE PETIHVS. ARGENTO. 4
+ '(co- pura tito- lano
tcile pio, che : de
yit TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E, ritratto
dalli Antico. Spefa fatta nel tempia di Gioue. Cofe
ftngu- l ari nelté- pio di Gio- ue Capitolino*
h aUcmdf feo. Tlinio . Dicono gl
Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nel- la fondanone di quello tempio x
L.mila libre d’argento, nel quale oltre all’altre cole lingolari fi
vedeua vna ftatua d’oro aita dieci piedi, vi. Tazze di fmeraldo, vi. vali
mur rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando di quella pro-
uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che melìa àparagonc
con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le faceua parere di colore di cenere
pi u tolto che di fcarlac- tordella quale velie dicono che era già fiato
fatto vn pre fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcr-
fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al detto Im- pcratorc.Era
fimilmcntc in quello tempio vna calìa di marmo, guardata da
x.huomini,ch’ci chiamauono Dc- ccmuiri, nella quale erano i libri
Sibillini , contrccap- pellcttc legrctc d’vna medefima maniera, douenon era lecito
à neffuno d'entrarc(comc fcriue HaIicarnalTeo)fi: non à
ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle Cappelle, cioè quclladcl mezzo,
era lartatuadiGioue, nell’altra ama diritta Mincrua, Stalla finiftra
Giunone: douc afferma Plinio hauerc veduto vn cane di bronzo, che
c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua vna ferita. Io
nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral- tri vccelli dedicata à
Gioue,non volédo gli antichi ligni- ficare altra cofa , fc non che come
l’Aquila è Reina de gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti gli altri
Dij,fi co- me hanno mofiro non folamcntci Romani, mai Gre- ci
anchorancllc loro medaglie. Àlefian ALESSAND. RE DI GLI
EPIROTI." ARGENTO. Non voglio mancare d’aucrtire il
Icttorecomc Gio- ue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi
per tre animalirquali furono , per la ductta Minerua, per Giunone
il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come fi vede in vna medaglia d
Antonino Pio. ANTONINO PIO. V arieti deli
Aqui- la falla tef- ta di Cio- Vcdefianchora in
dì molte medaglie, tanto di Con- foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c
poftafopra la fa- cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò fi-
gura filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc &di Giunone
fopra le due alle. Per la figura d’vna Pila antica che fi vede qui
di fiotto, Giouc c accompagnato della fina Aquila, &Giunonc dal
fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente, &pre- fientc al
fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo cadu- ceo, & col Cappello
chiamato Galero da i Latini. V Z>’ V N ? 1 ÌTJl .
"> fica ritratta et\n marmo di Roma. H
AD AVGVSTO. argento. re Den cnc Scappella di
Giunone foflefeome e detto) nel tempio di Giouc, nodimeno haueua
anch’ella il Tuo tempioàpartCjComefi vede nella medaglia di bronzo
d’Augufto,doueè il tempio di Giunone arrichito dinan zi di quattro
colonne Doriche, & nel fregio e tale inferir zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri
di HI ROMANI. HADR. GRECO. BRONZO.
BRONZO. AVGVSTO' n r n m i n Et come l’Aquila era di Gioue ,
coli il pagonc&lo bruzzolo furono cólagrati à Giu none, come fi vede
nel- le medaglie di Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe
ratorc,& il Tuo carro tirato per i Tuoi pauoni, di che ha fatto
mentione Ouidio, * Halili Saturnia curru Ingrediturliquidum
fauonibus aera fiBis. FAVSTI NA FILIPPO ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA. BRONZO.
ARGENTO. MINER- A Mincrua(comc c detto) per
eflcrc dedicata la Ci- v A - uctta , nafccua che nelle Medaglie degli
Atcniefi fi ve- JJ“J dcua da vn lato la teda della Dea , & dall’altro
il detto Minena. vccello con lettere Greche che diccuano ,athna,
cóli nominata da loro Minerua:&come m olirà il rouefeio de la
prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe , & tenendo vn ramo
di Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci- uettagli Ateniefi ftimauano il
fimbolo de la vittoria. D 5 Giouc
Vincitore. Mintruj nutrice.
Lypnuco. MONETA ATHENIESE. ARGENTO. MONETA
ATHENIESE. ARGENTO. Ec fi come Gioue fu
da Greci & Romani chiamato Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con
vna vetro- ria nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo
di fccttro,cofi fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac-
compagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi vede per le medaglie di
Lyfimaco , vno de fucccflbri d’Aleffandro Magno, doue da vn lato è la fua teda
con vn i Diade u. Diadema, &dua corna, in fegno di grande
honore , per haucrc fermato & ritenuto vn toro per le corna, il quale
(cappato delle manidi colui, che lo menauaper fare facrificio ad
Aleflandro, fi fuggiua. LISIMACO. ARGENTO. LYSIMACO. BRONZO.
Erano principali tutori & auocatidella Città di Ro- ma G ioue, Mi
nenia, & Giunone, &di qui nafccchePol- lioneha fcrittonel libro
della fua Architettura, che il D a ' Si luogo
più a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire & Icorgcrc tutto il fito
di Roma, quale c il Capidoglio ,fu eletto per edificami il tempio di
quelli tre dij.Ondc tor- ntdiToZ riandò alla ftolta fupcrllitione de
Gentili , che non fola- nL mente adororno Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi
con tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come Reina di tutti gl’ vc-
cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma gli con Ammone f a g
rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter Am- moni mettendolo
fopraquello à fcderccon lo Icettro in mano. Nacque quello vocabulo Ammon
dalla rena, che i Greci chiamano «w** .ciochc Plinio (fcriuendo del
Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato in quello modo.
Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum Jìiìldt in
drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd quod gignitur drhor.
Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo, ó Celare che fi
fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che anchora di poi fu meflb il
primo tra i legni cclelli per ha uerc infognata a Bacco Tacquaperilfuo
ElTercito,chc da lui condotto per la Libya fi moriua di fete,fi come piu
à pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di Q^Curtio, o xv 1 1.
di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che Arriano ha Icritto de fatti d’
AlclTandro Magno. Meda. MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA,
BRONZO. BRONZO. Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per
hauerlo t* c*pré nutrito del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da
Greci ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono quella della Nymfa
Amaltea^he l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma nico Celare ncAioi
vcrA d’ Arato, douc ci dice, -lUaputatur Nutrix ejje
louu/i 'vere luppicer infdm Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra,
Sy dere qua clarograrum cejlaturalumnum. Il che moftrarono
anchora meglio Filippo Se Valc- riano Imperatori , facendo nelle loro
medaglie mettere vna volta la Capra fola con lettere che dicono , io v
i conservatori a v cvsT i, & altrouc la Capra che portaua
addoffo vn Gioue à modo di fanciullo con altre lettere à quello modo ,
iovi crescenti. Vi V
54 Gioite vit- tore.
Calcidonio dittico. DELLA’
FILIPPO. ARGENTO. RELIGIONE
VALERI ANO. ARGENTO. Attribuì Umilmente molti altri nomi & dignità la
fu- perftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman dolo
Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf fclcvcttoricj&cohlo
fugurauonoconvna Vettoriain mano,& con vno fccttro nell’altra:&
vn’altra volta face uonola Vcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’ Allo-
ro,(ì come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci donio antico,
poco minorcd’vna medagliada quale pie- tra anticamente fu confcgrata à
Gioue Fulguratorc, per vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati
l'adopranoancho ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO BRONZO
MEDA. GRECA. BRONZO. DOMITIANO. BRONZO. MARCO
AVRELIO. BRONZO. BRONZa
cottegli Per le medaglie qui appreflo , fi vede Gioue mezzo '•
ignudo di Copra, & dalla cintura in giù vcftito,chc fta à ciò**.
federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo da vna mano vna hafta ,
& l’altra la ripofa Copra la tefta de l' A- quila,fi
comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce- ledi dclSo!c,&
delaLuna:& per i due fimulachri che fono Cotto i Cuoi piedi,
lignifica gl’altri due elementi, cioè , l’acqua & la terra , hauendo
il Z odiaco attorno, doue Cono riprefentati i dodici Cegni ideili. Et la
ca- gion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’an- tichi
nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono lignificare, che le
cole lupcriori debbono a gli huomini efìcrc celate, & Colamcnte manifcftc
à Dio. Mafuadi- uinità & tutte le Cuc potenze, ci ha moftrato
Alcxan- dro figliuolo di Mammea per i Cuoi medaglioni bat- tuti in
Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri ab- bre
DE GL’ ANTICHI ROMANI. 57 breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp
K^riAP ma'pkos atpe*aioì iebaitòs a* AEfg a n a po z , che
iLatinihan no interpretato ,imperator caesar marcvs AVRELIVS
AVGVSTVS ALEXANDER. Alexandr o mamme a.
bronzo. I Greci chiamorono Gioue per varij nomi, malfima-
mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel quarto libro della terza
Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio di pio di Gioue detto
Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato primajpcril Tuo oracolo, & dapoi
per i giochi publici che lìfaccuono in Elide , nel Campo di Pifar&di
là e ve- nuto il nome di Gioue Elco,come lì potrà vedere per la
medaglia Greca polla quidifotto,nelìa quale lì troua da la bandadritta il
lìmolacrodi la teila di Gioue con que- Gioue Ite lettere Grechc,s e rs
iAET02 > chcfignificano J ciovE ^ ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo
Folgore & l’Aqui- la con tale inlcrizionc,zr paro sion: la quale
cifaap- parircchela città di Siracufa portògrandiflimo honorc
a Giouc Eleo, à cui fece edificare vn cofi bcllilfimo tèni pio,&
battere fimili medaglie in fua eterna memoria. MEDA. DE I
SIRACVSANI. BRONZO. SttBd fot»-
tiferà di Giouc. Per le medaglie d’argento che
furono battute per Lucio Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la
te- tta di Giouc d'vna banda con tale inflizione, ivcio L E N
T V L Oj CAIO MARCELLO C ONSVL I» b v s. &da l’altra è vn Giouc
coi fuo Folgore nella man dritta,& l’Aquila nell’altra , &innanzi
aìui vno piccolo altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla
nel fe- condo luogo tra le fteile erranti: lignificando tutte que-
lle cofc vn facrificio fatto per detti Confoli à Giouc, per caula del
Folgore caduto fopra il fuo tempio Capitoli- no à Roma.
Meda? ss> MEDA. DI L. LENTVLO, ET
C. MARCELLO, CONSOLI. ARGENTO. I Romani
chiamorono quello Giouc Confèruato- Gioite cc%> re , fi come noi
leggiamo nelle medaglie di Diocletiano { enutort ' Si di Gordiano Imp.che
lo dipinlcro ritto eon due faeffe nella man delira, & nella finiftra
vn’hafta, infieme col medefimo Imperatore fiotto la cuftodia fua,&
lettere che dicono, io vi conservatori. Nclrouelciodcl- l’altra
medaglia di Diocletiano fi troua vn’altro limile Giouc, che prclènta vna
vetraria, la quale ha fiotto i pie- di vnglobo,&Gioue {aquila vicina
àifiioi: fi come Li- cinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain
becco vna Corona d’allòro & lettere in quella guifa, ioyi
CONSERVATORI AVGVSTORVM NOSTRORVM. Domi DOMITIANO ANTON.
PIO. ARGENTO. ARGENTO. GORDIANO.
BRONZO. ARGENTO. MASSIMIANO • LICINIO.
ARGENTO. ARGENTO. Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu
Dìutrfe po anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl
& Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore fu honoraro
da Romani, coll ancora fu adorato da loro Gioue Vendicatore, perche da
lui erano punitele cole Gl- owf v j_
malfatte. tote. GORDIANO. ARGENTO. ALESS.
SEVERO. ARGENTO. GORDIANO. DIOCLETIANO.
argento. ARGENTO. Del
Seneca, CJ. della religione Del
foprafiguratoGioueCullodc nella medagliadi Nerone, ha fatto mentionc Seneca,
nel fuo fecondo li- bro delle qucflioni naturali,douecidice:
Quem Iouem tnteUigunr cujlodem rettorémtjue \niuerf.
Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d Ha- driano, douc
Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono conia filetta in mano dritta, Se
lettere chcdicono, ivpi- ter cvstos. Vcfpafiano le fece battere con
inferi - zion diffcrcntc,chc dice, iovis cvstos. Cicerone.
NERO. ORO.VESPASIANO. ARGENTO.
Ma quanto à Gioue Statore, cofi chiamato, perche, mediante
lui, fi confcrua ognicofinli vede che Cicero- ne ne fece anch’egli
mcntione nclloratione, cheei fece innanzi che andare in cfiglio:doue ei
dille; O Gioue Sta- torc,quale i noftri antichi cofi chiamarono , come
con- fèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rem- pio
io tenni difcollo le violéti imprefedi Cati!ina,dop- po che Romolo
l’hebbe edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io
ti priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in
tutte le dif- gratie mie. yltore P'S . <r
3 Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come Marce,
per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe mal fatte: & in
Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca- pouano detto Auxur,& figurato
il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza barba, del qualefcce
mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando
dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis r
Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna
medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-
re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la manca lo
fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho potutotroppo
bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-
machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di perpetuitàrperchc
egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del colore cclcltc.
ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Tempio
d'Augufto in Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua
in Roma (come e dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato
Scruatorc Se Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile
conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio
Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era
quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al
Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di flacuc
marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se d’oro, con portichi
Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare, & vna libraria
accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di
lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-
uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per tutto il modo
foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem pii in memoria
d’Augufto & per eternità del fuo nome, li come li troua nelle
medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale cominciò vn tempio in
honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon
ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei
con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula- cro della
pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA
ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per
C4ligula. - *"*
<r 5 detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn
Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con
vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri do vna razza nella
mano deftra,& dietro alle fpalc vn miniftro con
vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVG VSTO.
ORO. MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio
dkugujlo reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare,
Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie
d’argento, d’oro, & di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm
divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare
vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che
haucua riccuuti da lui. Anto » c-j
ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi ,
furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per
moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità
con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana
opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto quello,dichehaueuonobifogno
per laucnire. tu»-,
-Et coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano
(lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari
in legno della loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco
nel dogma di Platone , chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza
diuinachc mantie- ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti
cura: & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-
Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro.
deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di
quella Prouidenza mi ricordo ha- uerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin ho- nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna
vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro- K de
Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda- de*K4.
menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa della
Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà- ra,mi c parlo farla
ritrarre qui Cotto al naturale. — Diafpro Et perche Plotina
ha già comporti in 4. libri della Prouidenza, inoltrando che tanto le
piccole come le grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io
rimet- terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli
- to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per Dea, come
anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla
Tua figurabile clafem- bianzad’vna matrona ftolata , ò velata &
dritta , che in vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn
globo, chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-
uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma- dre di famiglia, nel
modo, che nelle loro medaglie la fi- gurorno (benché con diuerlì atti)
Traiano & Pertinace Imperatori. r. ;• -
fiorini. PROVI DENZA.
Cietront. Alcuni altri Imperatori, comeTito, la
fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella
gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di Giouc
accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno di
fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo in
mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi.
Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare
,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi
Roma ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o
catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro
templi,ttatue & altari , & doppo la morte di
lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni Principiai
fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino maltrattato il
Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSE CRATIO- NB. V<tra f a
. flit ione ir Romani nel fanttfi- tar loro
^ imperato^ ri. FLORI AN
A HI S S. MAMM EAT BUON Z O.
. ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-
cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla
dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo
Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì
& fece dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-
ti i titoli di buono Imperatore. S A R G E N
T < Ma che diremo
noi di quello Monftro di Natura co- minciato & non finito,il quale
doppo la fua morte fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni
Dei,& del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-
nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone d’vn
fungo? clodio; ORO. Et per
contrario furono i buoni Principi, di T raiano, Antonino Pio,& Marco
Aurelio, che per le loro virtù &: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre
chiamati ottimi Im- c . pcratori,& canonizati,fe lecitaméte
fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre
nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che
piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino, che
ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino piena di pietà
& degna d’vn buono Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil
Senato, facendoli dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel
modo che £ Antonino fi vede qui di fono. 'i .... e $ c
w • . • • r 0 amo moftraco cornea! tempo anticogli
ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati, &diuentauonoDijdoppo
^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-
tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli
ficdegl’agncl-' & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS
che di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti».
Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque
adytit } & fiamme^ tris ANTONINO PIO. BRONZO.
ON. PIO. BRONZO. Uuguft
AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar
iacuit, refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.
Equanto al reità della conftgratione , chiamata da Greci &
della quale ha le ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del
iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc di figurarla cjui fottoal
naturale, ritratta dalle me- daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M.
Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del
lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO. BRONZ
O. c Soleuono i Romani confagrarc doppo
la morte lo- ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i
figliuoli heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--
ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita
abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente fatta
fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato re, la poneua dentro a vn
ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era
quello letto coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella
ima- gine H erodiano. b
o«».f W «HV Ccrimonù de Roma* nella mori
de loro l« fe rotori. ginc pallida àguifa quali di
ammalato Imperatore/! ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i
Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo
rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo
ladignità & grado dcloro padri,ò mariti, . fenza ornamento
alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco
leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne in Francia)#
tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’amma- lato,# mollrando che gli andaua
fempre peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati
tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro.
officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal- chi con
ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani & patritij Romani,
& dall’altro le piu illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni &
Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla ncllcpópe
funebri. Dopo quello i Senatori di pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara
fullc Ipallc, &la portauono fuora della Città in vn luogo chiamato il
capo di Mar- te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi legni
fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine, & di
fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli
di mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo
modo fempre diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe
Torri fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,
Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi
perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra
al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno
al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé Pyrricada gli
antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 ' ceuono il mcdelìmo
i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri erano
vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à i
Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et
con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-
Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco nel
Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio, & gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra » Crwr, -* r-’ìRtn '’ M. AVRELIO. FAVSTINA
4U« tu1 PERTINAX. BRONZO. FAVSTINA. ARGENTO.
Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non Iblam" elfere
vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire del fuoco l’anima dell
Imperatore , & altri pagauono huomini à polla per confermare coli
fatta bugia, diccn - do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo,
& coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo*
collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori &
Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir per forza
9 COM forza alciclo nel medefimo modo
che Scucro. Ma ri - tornando alla materia de noftri templi, doppo
haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di
Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-
dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K rcil
marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione del
quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Republichc dell* Alia maggiore,
contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in
CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-
mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, &
di poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. “
CLAVDia ‘ ' A R G E N T O. stnr. *4
• Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio
degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi
fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel
modo , che io ihoirt e ” due '.Ikimfc
K.OII 8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’
vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna delle quali e
Icritto aptemhx e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , &
nell’altra quella l ola parola, e « e sia spedendo tutte l’altrc lettere
perdute. ANTOM. PIO. COMMODO.
BRONZO. Dtfcrizìon del tempio di
Diana. Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv.
piedi, & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne,
ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel- lo
fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua fatto qualche cofa
degna di mctporia:bcnche di poi fu rillaurato & rifatto anchora piu
bello da Dinocratc, Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui
aduque lolc- cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la
fella di ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini
del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il
fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue dignità & qualità
dipinto & figurato da gli antichi in di- uerfe manierc,lt come ella
fu pariméte chiamata perdi; JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera
tutta pie- na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-
chio v 8x chioaccelo in ambedue le
mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero
Imperatore, con lettere chedicono, di an a lvcifera.
GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et per
inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl tempo vna
mcdefimacofa,ioho fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della
mecfefima Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo
carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia,
quantunque l’interprete d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la
fila leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono poico
vnolpiedcinma no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che
cac- ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no minadola
»^óa«c, & per memoria che ella era la prima cacciatricc,fofpcndcuono
le corna de cerui dinanzi al fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à
baftazadif- corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli
iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette rò il lectorcà
vederne quello, chcion’hò quiui trattato. MEDAGLI E D’H OSTILIO.
ARGENTO. Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac di-
pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua ammazzarci
cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia di Gcta Triumuiro, nella
quale da vn lato è fcol- pita la tefta di Diana , & dall’altro vn
cinguialc , ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana
cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-
fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -
gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come mortra la medaglia
qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T VMO. ARGENTO. Ma nelle
medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia- na figurata tutta ritta in
habito virginale, con l'arco in vna mano , & con l’altra /opra al
turcharto, facendo le- gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel
mezzo lette- re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-
x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn
altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , &
nell’altro vno fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti
infino à mezza gamba , colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice,
&i quali daPolluccfono An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des
' AVGVSTO. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno
ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle
mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col
Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn
trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della prua della
natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna
corazza, & da l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie
del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro
racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc
J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici lettere che
dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che Augullo
ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi. -
av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt
Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato
in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a*-
ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te- foro
portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to quello che i Romani
cauorno di Cartagine. * MAJICELLINO BRONZO.. Animali
tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi placare Diana
imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali
confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &
chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade, lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli* i
ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN
DAMASI AZ. MED MEDAGLIA GRECA D I
DIANA. ARGENTO. Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata
chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che
l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti.
libro, douc parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua
ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu
facilmente tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo
le fare vn cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora
conferma Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella
medaglia d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato
Diana con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il
fa orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F
4 Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na
deli a- mazonc. Diana chi» mata Tau-
robolos . A VLO PO STHVMO. - ~ i ARGENTO. eia, &
ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì - quantità,
donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c amatore
delle cofc antiche, fi conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i
facendoti alla madre degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati
TAuroj>olium& •>• altre volte Taurtuolium , &non folamente
à Diana Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente
credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai
diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la
Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri devm pomp.
philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM F e e r T.
. tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge l’altare
grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè
gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla
madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di Sabina
Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in
columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI
GOR- < DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£,
PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N.
GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M.
EROTIO ET FESTO CA- NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho
io veduto altre yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto
in quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE
SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII
FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA- LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI
VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EORVM. Trouafià Roma vn gran marmo
antico fcolpitoin otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione
del- * cibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea coronata
d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato fopra
alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à federe
fui fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis, che
tiene vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero
con- F 5 Carro de la madre de gli Dei,
tirato di duo leoni. Dichiara- tionedel'in
fegna de la madre de gli Dei. {agrato arale Dea,
à caufa della monragnad’Ida, eh ciò Candia, òdi quella di Frigia,
abondantifiime ambedue diPinij&doue cllac adorata principalmente per
Dea,' & dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle
parlando, Toma fumus Cybeles. Ma quanto à i due
Iioniche tirano il Tuo carro ,co-. mefcriuc Virgilio, Et
iunBi rerum dominai fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non
fi troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile &
buona. La torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è
orna- taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino
che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la
terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura u :• '• :•> FJG y R A~ DE LA MADRE DE
I DEI R I 7 RATTA del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa
di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS
L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE
CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO
COSS. Cibelt tOf- riU. Nell’altra medaglia
pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il folgore
di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che
non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.
Meda Vari I nomi de la madre dei
Dei. Diana con- feruatrice, adorata in
Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi
madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini
& animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le
dettono più nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc,
Cere- re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle
beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due medaglie
di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle
parole, 2 atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia
,& limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia
battuta dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo,
che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà
Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc
convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi
cparfo non fuora di fotto. L’vna.
GLIA GRECA. bronzo. if pino con- L’vna dell altre due
medaglie e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila
in compagnia di due lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo
di pino in vna mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro MED. DI
C. VOLTEIO. ARGENTO.; ANTO. Pio.
BRONZO. p JJ W Figurornoanchoragl’antichiil
lìmulacro di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che
cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i
bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea della
Natura, & di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, &
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che
ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì dipintore
Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli dèi , per
dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte quelle
forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come per il
tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio, dichiarandoci
che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,& nell’inferno
Profcrpina , coli laf : ciò fcritto, Tergeminamque
Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche la figuradi Diana,
ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell
anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola- mence
dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più ricchi Romani foleuono
ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra i canti delle llradc
della Città, pane & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via
, co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-
ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà baftanza parlato di
Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij,
comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo
diGio Dea di mtura. Diana triforme. Paufinid.
Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia na fotto il nome
di He tate. Ateneo. MINERVA. di Giouc,
pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell* huomo.Armaronla oltre à
quello gl’antichi d’vno feu- do, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo
refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*
ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di lontano
& con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come
habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c
vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata
nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del redo
del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4 cioè
Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non
fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma
proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc
molto bene le forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio
dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio,
& la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-
gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è,
che dicono che nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede
porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli,
&giudicorno che Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc
alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il che
pcrcoccn- do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo,
& Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il
ca- uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-
do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia- mata
Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -
Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut 1 q ncrua. fT
V * 1 t\ e k \l A ,|f I. fi , * .
I 1 • "• «f; IM ,1 - f . n
L M. AVRELIO. COMMODO. BRONZO. Ttfle di mi
Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho- ra la celcbrationc
della fella & giuochi di Minerua, tjuatria. chiamati Quinquatrij,
quali erano, che i fanciulli facen- do vacationc dalle fcuolc & da
gli ftudij porrauono la mancia ài loro maellri in honore della Dea,come
quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-
bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia- rato, quando ci dice,
'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella: Qui lene
placarit Palla Ja,Jolhuerir. L’occafione fopradetta della difeordia
di Mincrua nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea
conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale
(come il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto
il dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo
il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei
delle medaglie di M Agrippa. M.Agr
M. AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno
con uettunodi vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di
galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr una medaglie
d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa* fiano.douc fono
lettere che dicono, neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice
ritorno dal- le imprefe nauali. Acrojlolta dagli
antichi. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. G z
100 ut -inai* : vufciiut
4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n
%no dello feettro , & ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento
molto ncceflario à i marinai, dipingendolo vna volta pacifico>&
vn’altra adirato ,come fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela
fatta, & la vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono
lettere, che dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro,
PRAEFECTVS CLASSIS ET O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO
MP ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate
di diuerfc Ag<tu <m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella
quale è il mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn
tmo* va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna
Corniolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro,
tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in
vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono
aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M.
AGRIPPA. argento. . v."“ v - -m *
.... VA monete
ioz N rtttmo i fiutilo. La caufa perche
glancichi dedicorno il causilo à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che
trouò il modo di domarli &frenarli, come dice Virgilio nel
y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir
Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat. Fanno vera
teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede
Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn
Delfino. HÌppOCTé- tid. Confutili.
Nettuno in h entore di tutte del tuuigtr.
A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem- pio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel quale tempo tutti i
causili > muli, & mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che . 103 ' che per quello ci fu fatto da Giouc
Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due
medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi
li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^
quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta &
diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la terra)
ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino. ANTICO
NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO. Quando i Romani volcuono
moftrarc di ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo
facc- uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^
dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale
modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.
Imp.Rom. MED.DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO.
ARGENTO. ARGENTO. Ritor I E
serv- ir API a Machione Ritornando à gl’altri
noflri Dij,& loro templi, altari & fimulachrijdiciamo
chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo chctrouò l’vfo della Medicina,
infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al
rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo- cato nel
numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa medicare àPconcle piaghe
di Marte. Ma quadoci parla diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama
huomo Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij
figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato
eccellete in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat
Stantio. tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6
fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à vn campo,&
trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar- dia à Chironc
Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica- renella quale vfarono dipoi
fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata
ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto)
che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L
LrO. ORO. BRONZO.
Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I- foletta à modo d’vna
galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga due ottani di miglio, appuntata da
bado , & piu larga di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale
Ifola fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop- po che Romolo
l’hebbe edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io
ti priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in
tutte le dif- gratie mie. yltore P'S
<r 3 Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come
Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe mal fatte:
& in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca- pouano detto
Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza
barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’
Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus
aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra
vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-
re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la manca lo
fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho potutotroppo
bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto
affer- machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del
colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Et
Ti *4 Tempio d'Augufto in
Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e
dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se
Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome
fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio Ccfarc) à A
uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era
quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al
Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di flacuc
marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se d’oro, con portichi
Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare, & vna libraria
accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di
lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-
uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per tutto il modo
foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem pii in memoria
d’Augufto & per eternità del fuo nome, li come li troua nelle
medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale cominciò vn tempio in
honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon
ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei
con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula- cro della
pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA
ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per C4ligula.
-. <r 5 detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn
Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con
vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri do vna razza
nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn miniftro con
vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO. ORO.
MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio dkugujlo
reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare, Antonino Pio lo
fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie d’argento, d’oro,
& di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm divi avgVsti
restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare vn’altroad Adriano fuo
predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da
lui. Anto c-j
ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi ,
furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per
moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità
con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana
opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto
quello,dichehaueuonobifogno per laucnire. tu»-,
-ilKrTivb'Jì / Et coli per tutte
l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro
deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della
loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di
Platone , chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc
mantie- ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:
& altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi
uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio
non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di quella
Prouidenza mi ricordo ha- uerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin ho- nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita
vna vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della
Pro- K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i
fonda- de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia
cafa della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà-
ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. — Diafpro. Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri
della Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le grancofe
cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet- terò il lettore à quella
lcttione,& ritornando al propoli - to mio, dico chegl’antichi
riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel
libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-
bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Pro- uidenza goucrna tutto il mondo, come
vna buona ma- dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la
fi- gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace
Imperatori. r. ;• - fiorini.
PROVIDENZA. Cietront. 'V ' >
r ! Alcuni altri Imperatori, comeTito,
la fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella
gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di Giouc
accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno di
fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo in
mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi.
Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare
,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi
Roma ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o
catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro templi,ttatue
& altari , & doppo la morte di
lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni Principiai
fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino maltrattato il
Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSE CRATIO- NB. V<tra f a
. flit ione ir Romani nel fanttfi- tar loro
^ imperato^ ri. FLORIAN A S S.
MAMMEAT BUONZO. ftauratori della Città di Roma, fteome auenne
di Lu- cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla
dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo
Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì
& fece dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-
ti i titoli di buono Imperatore. S ARGENT
< 3*23 ‘ 73 Ma che diremo
noi di quello Monftro di Natura co- minciato & non finito,il quale
doppo la fua morte fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni
Dei,& del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-
nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone d’vn
fungo? clodio; ORO. Et per
contrario furono i buoni Principi, di T raiano, Antonino Pio,& Marco
Aurelio, che per le loro virtù &: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre
chiamati ottimi Im- c . pcratori,& canonizati,fe lecitaméte
fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre
nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che
piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino, che
ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino piena di pietà
& degna d’vn buono Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil
Senato, facendoli dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel
modo che £ Antonino fi vede qui di fono. amo moftraco
cornea! tempo anticogli ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo
^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-
tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli
ficdegl’agncl-' & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS
che di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti».
Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque
adytit } & fiamme^ tris ANTONINO PIO.
BRONZO. ON. PIO. BRONZO.
Uuguft AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno:
Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit. Tcjlantur
tituli,prod»nt confulta Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia
templum. Equanto al reità della conftgratione , chiamata da
Greci & della quale ha le ritto minutamente He radiano al
vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc di figurarla cjui
fottoal naturale, ritratta dalle me- daglieantiche d’Antonino Pio,&
dt M. Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del
lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO. BRONZ O.
c Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo- ro
tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell'
Imperio, in quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel numero de loto
fallì DijrEa Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di
lamenti, folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto
Imperato re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in
alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di
prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima- gine
H erodiano. b o«».f W «HV
Ccrimonù de Roma* nella mori de loro l« fe
rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/!
ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato ri
vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo rauono.Et dal lato
deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo ladignità & grado
dcloro padri,ò mariti,. fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò
catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì come
portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue te piene di
maninconia. Durauono quelle cerimonie vij.giorni,nel qual tempo i Medici
ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo
all’amma- lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando. Ma
fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi letto i Up4
Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘
a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati tutori Romani
Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro. officij.Erano in quello
luogo da due lati fatti certi pal- chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i
piu nobili giouani & patritij Romani, & dall’altro le piu
illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli#
pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i
Senatori di pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la
portauono fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-
te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi legni fcccjii,&
ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine, & di fuora riccamctc
adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come l'altro,cccetto
che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano
mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre
diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri
fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni, Fanali,
dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a
inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra al fecondo
ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre
all’- Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco
nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio,& gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra. » C rwr,-* r-’ìRtn M.
AVRELIO. F AVSTINA 4U« tu 1 -
PERTINAX. BRONZO. F AVSTINA.
ARGENTO. Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non
Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire del
fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono huomini à polla per
confermare coli fatta bugia, diccn - do che l’Axjuila di Gioue l’haucua
portata in Ciclo, & coli ecco in cheniodofu anchora canonizato
Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon
moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir
per forza COM forza alciclo
nel medefimo modo che Scucro. Ma ri - tornando alla materia de noftri
templi, doppo haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello
di Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-
dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K rcil
marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione del
quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu blichc dell* Alia
maggiore, contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in
CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-
mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, &
di poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. “
CLAVDia ‘ ' ARGENTO. stnr. *4
• Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio
degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi
fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel
modo , che io ihoirt e ” due '.Ikimfc
K.OII 8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’
vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna delle quali e
Icritto aptemhx e «• exian , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra
quella l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere
perdute. ANTOM. PIO. COMMODO. BRONZO.
Dtfcrizìon del tempio di Diana. Era la
lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi, & la larghezza e e x x.
ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno
fu abbruciato da quel- lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli
hau ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi fu
rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc, Celebrati!)
Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc- cUDianf* L, ono
ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di ~ Diana, trouarlì tutti
i giouani ,& fanciulle , vergini del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò
lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo
le fue dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in
di- uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi; JSSL.
uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie- na, la dilegnauono per
la lua chiarezza con vno tor- chio v 8x chioaccelo
in ambedue le mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia, moglie di
Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a lvcifera.
GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et per inoltrare anchora
meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho
fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima
Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo carro tirato
daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia, quantunque
l’interprete d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la fila
leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma
no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac- ciando, ella
pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no minadola »^óa«c, & per
memoria che ella era la prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de
cerui dinanzi al fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à
baftazadif- corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli
iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette rò il lectorcà
vederne quello, chcion’hò quiui trattato. MED AGLI E D’H
OSTILIO. ARGENTO.Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac
di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua
ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia di Gcta
Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol- pita la tefta di Diana , &
dall’altro vn cinguialc , ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR 83
Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice, ordinariamente la
folcuono accópagnared’vn turchaf- fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn
cane da ghignerei fc - gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci
come mortra la medaglia qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T
VMO. ARGENTO. Ma nelle medaglie
d’Augurto fi vede vna volta Dia- na figurata tutta ritta in habito
virginale, con l'arco in vna mano , & con l’altra /opra al turcharto,
facendo le- gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo
lette- re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici- x.i
a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn
altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , &
nell’altro vno fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti
infino à mezza gamba , colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice,
&i quali daPolluccfono An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des
' A V G V S T O. Tra cucce le medaglie d oro,
che fanno ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle
mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col
Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn
trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della prua della
natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna
corazza, & da l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie
del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro
racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc
J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici lettere che
dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che Augullo
ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi. -
av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute
in honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani
lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a
*- ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-
foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to quello che i
Romani cauorno di Cartagine. MAJICELLINO,. BRONZO.. Animali
tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi placare Diana
imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali
confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine & chc,che
io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*
i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN
DAMASI AZ. MED f vi.
MED AGLIA GRECA D I DIANA. ARGENTO.
Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata
TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era
confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti. libro, douc
parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua ogni giorno
cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente
tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn
cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i Collcttanei,
chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora conferma Euftathio)
il quale l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento '
d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana con vna luna in
teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa orifìcio del toro,
nel modo, che fi vede qui di fotro. F 4
Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na deli
a- mazonc. Diana chi» mata Tau- robolos
. tttJICi : v ni' A VLO PO STHVMO.
- ARGENTO. eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede
grandi/fim» Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto
Se deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi
conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre
degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&
•>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana
Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente credere àSuidas:
benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai diftefamete fcritto
negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la Francia. *
'a • ; ' b - •• t . * e* V. ... LeBor* inpropugrutcttlo
\rbis. matri devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE
TAVROBOIIVM F e e r T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna
piccola chiefa di S. Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra,
vn’altro epitaffio in vna S* hi vna
colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi conolce che i
Decurioni di quel tempo , cioè gouucr- torì della Tcrra,feciono il
facrificiodi Tauropolium alla madre degliDij per la falutc diGordiano
Imperato- re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie.
In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i aitarli vijìrur.
1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- < DI ANI PII FEL
AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR.
TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET POMPEIANO COS.
VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- »
NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto
altre yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in
quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE SANCTISSIMAE A
V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A
VG V STI DECVRIA- LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE
EO- R VM. Trouafià Roma vn gran marmo antico
fcolpitoin otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione
del- cibele Taurouohum,& quiui
lì vede l’imagine della Dea co- ronata d’vna Torre con vn tamburo nella
man manca appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta
tiene cer- te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due
liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla in mano, &
cappeggiato à vn Pino, come albero con- F 5 90
Carro de la madre de gli Dei , ti- rato di duo
leoni. Dichiara- tionedel'in fegna de la
madre de gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa della
monragnad’Ida, eh ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime
ambedue diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'
& dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle
parlando, Toma fumus Cybeles. Ma quanto à i due
Iioniche tirano il Tuo carro ,co-. mefcriuc Virgilio, Et
iunBi rerum dominai fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non
fi troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile &
buona. La torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è
orna- taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino
che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la
terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura
: - FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA del marmo
artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS L.
CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM ,
FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO COSS.
Cibelt tOf- riU. Nell’altra
medaglia pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il
folgore di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia &
frulla, che non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.
Meda Vari I nomi de la madre dei Dei.
Diana con- feruatrice, adorata in Sieilia.
Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi madreche
nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini &
animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più
nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere- re,^
Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda,
&Diana:il che li vede & conferma per due medaglie di bronzo
Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle parole, 2
atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,&
limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta
dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo, che
io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà
Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc
convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi
cparfo non fuora di fotto. L’vna.
GLIA GRECA. bronzo. V «A
» if pino con- L’vna dell altre due medaglie
e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in
compagnia di due lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di
pino in vna mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO.
Figuro MED. DI C. VOLTEIO. ARGENTO.; ANTO. Pio. BRONZO. p
JJ W DE GL’ANTICHI DOMANI. Figurornoanchora gl’antichiil lìmulacro
di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che
cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i
bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea della Natura,
& di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, &
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che
ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,&
nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma
fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più
ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra
i canti delle llradc della Città, pane & altre cofe,chcfubito da
ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la
Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà
baftanza parlato di Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc
degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti,
nacque.de l capo diGio Dea di mtura. Diana triforme.
Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia na fotto
il nome di He tate. Ateneo. MINERVA.
di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*
huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feudo, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo
refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*
ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c
vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata
nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del
redo del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4
cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non
fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma
proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc
molto bene le forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio
dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio,
& la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-
gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è,
che dicono che nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede
porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli,
&giudicorno che Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc
alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il che
pcrcoccn- do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &
Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca- uallo
fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re- do la Dea
vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia- mata Pacifera, come
fi vede nelle medaglie di M. Aurevulimit - Iio,& di Commodo
Imperatore. 4 ut 1 q ncrua. fM. AVRELIO. COMMODO.
BRONZO. Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
ancho- ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,
tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen- do
vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la mancia ài loro
maellri in honore della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che
Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia-
rato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì tener a j ornate p
nella: Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.
L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua nettv- & di
Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta
, fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr IM. AGRIPPA. BRONZO. Fu
Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente &
vna Acroftolia (ornamento antico di galea) in mano , come fi vede ne
rouefei di due mie te cr una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,&
l’altra di Vefpa* fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv-
ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal- le imprefe
nauali. Acrojlolta dagli anti-
chi. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. G
z 100 ut inai* : vufciiut 4t- Attribuirno
parimente grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro
, & ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à
i marinai, dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato
,come fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la
vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che
dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET
O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP
ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc
Ag<tu <m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-
niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro,
tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in
vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono
aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA.
argento. v."“ v - -m * .VA monete
ioz N rtttmo i fiutilo. La caufa
perche glancichi dedicorno il causilo à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo
che trouò il modo di domarli &frenarli, come dice Virgilio nel
y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir
Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat. Fanno vera
teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede
Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn
Delfino. HÌppOCTé- tid. Confutili.
Nettuno in h entore di tutte del tuuigtr.
A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem- pio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel quale tempo tutti i
causili > muli, & mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 ' che per quello
ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per
le due medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono
glantichi li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno
^ quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta
& diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la
terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino.
ANTICO NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani
volcuono moftrarc di ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in
mare, lo facc- uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-
dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale
modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo
figliuolo. Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO.
VESPASIANO. ARGENTO. ARGENTO. Ritor
I E serv- ir API a Machione DE GL’ ANTICHI ROMANI.
105 Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari
& fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo
chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor fc prima da qualche Dio
flato innazi à lui. Quelli al rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora
flato collo- cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta
fa medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla
diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj figliuolo
d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo ncccflarij perla
fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete in quella arte, che ci dice
che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio. tantiochc Efculapio nacque di
padre & di madrc,chcn6 fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato
in mezzo à vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n
guar- dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-
renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-
pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti
dedicata ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo
Fornuto) che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L LrO.
* ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero
vn’I- foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga
due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga di fopra, à
modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già confagrata à E(culapio,doppo
che il fuo lìmulacro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcr-
pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale fedo* no già i Raugei battere
monete con la lèrpc &: conlctre- re Greche, che diceuono epuat pio
N,la. quale Città (comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal
tempio d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon molte cerimonie
fu adorato come Dio. MON. Simulacro d'Efculapù
portato fa Roma. Moneta é i Epidauri Quelle parole
Greche attorpatop o taaepia- •NOS, r A A A I E NO X , O TAAEPIA NOJ
KAJXAPES.nOH dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano Imp.fccc
bat- tere quella medaglia con l’effigie Tua &rde due Tuoi
figli- uoli Gallieno & Va!criano J & i tre tcpli nel rouelcio
con tali parole Greche, tpix neokopoi nikomhaeon: lignificano
chetrc guardiani de detti tcpli pregauono pcrlafanità &
falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti tre Impcradori. iTP I
C N t^KD k PvA-N Nel Vittri
di ThafiU. . io* Ncllhorto dcllachielàdi
S.BartoIomeo,che c ncll’l- fola nominata di (opra, fi vede anchora vna
nauicclladi pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de
(uoi colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe, che
alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già detto d’Efculapio :
&quafi Tempre nelle medaglie de gli Imperatori fi trouala ferpe con
la fanità,chc fiotto figura SANITA> d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò
veramente la ticneabbrac- ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua
la fani- tàfiola. Anton, pio. BRONZO. M. AVRELIO.
ARGEN TO. M. AC ILI A. ARGENTO.
ARGENTO. Sono no Medaglione din. Aurelio trouato
in JU ione. Pub. Vittore. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi
portato vna vecchia medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti
del la vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui di
fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama- tori del l'antichità in
che modo,fotro colore d’vna ferpe, gl’antichi fingeuonodi fare facrificio
iEfcuIapio per le manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno
vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie- na di
frutte. MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi
potendo lenza la finità fare bene alcuna cofa, pare che meritamente ella
debbia haucre luogo tra tanti altri Dijril tempio della qualefcome fcriué
Publio Victore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun- que
Domitiano le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo, 1 doppo il pericolo
che egli haueua portato nella venuta di Vite Uioà Roma. DO.
Ili CASTITÀ. L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua,
(colpita nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-
tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra vna Tedia con lo
feettro in mano, & due colóbc appref- fo, lignificando che come la
colomba c bianca & pura, ^ fo/om _ coli la caftitàdcbbe edere fenza
macchiarla Donna da bt j imbolo bene fcmplicc&purafimilmentc.
dictjUu. gTvlia PIA. ARGENTO. DOMITIANO.
ARGENTO. Quelli, che hanno dichiarata la Caftità, dicono che
dtu cajli - ella c vna virtù, che cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co-
fentc di patirc,chc fare atto lontano dall’honcrto &dal- l'honore.Et
le pure egli auicne che cllafia forzata, non per quello riccue alcun
torto, non fi potédo corrompe- re il cuore accompagnato da vna buona
indiamone & nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara
& li ber P ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la
Libcrtà,chia« T a. madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i
begli ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à
pieno lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza
ambinone, fi contenta di quello checglihà, ncconofcc perfona che per
Pallidità de beni di quello mòdo (fotto- poftiaU‘inuidia& alla fortuna)
gli porta comandare, & farlo pervn poco di bene incorrere
ingrandirtìmima- li, quello che anchorapcr Euripide c ftato
dottamente Euripide. dichiarato,douc ci dice: 'Ham hberum
effe, maximum dico bonum: Quoti fi quii ejl pauper,puter fe
diuirem. Et Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà
fimilmente dille, che la vera libertà non era alerò chcpo Tempio di tere
viucrecomc l’huom volcua.il tépiodi quella Dea uberei. cra nc j m 5 tc
Aucntino, ornato di molte ftatue &r cotóne di bronzo, onde per
l’orazione che Cicerone fece à i Pó- tcfici per la fuacafa, fi conofcc
come Claudio l’haucua conlagrataalla Dea Libertàd’habito della
qualeerad’v- naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain vna
mano, & nell altra vn capello, folitodarfi àiferui, che erano liberati
da i padroni, quantunque alcuni altri habbino detto che forte vna
campana.GAL. Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il
cappella me io ho più chiaramente inoltrato nella fine del mio li
bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu rein honoredi
Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa- quidi fotto al
naturale. CALIGVLA. BRONZO: GALBA. ~ TRAIANO. BRONZO-
ARGENTO. cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa-
FELICI gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA ‘
fcciono vn tempio & vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli- H
iM •. nio dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da
rufits! ° Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter-
tij, (limando i Romani cflcre all'hora i tempi felici , & la vera
Felicità regnare per tutto, quando i loro Imperato- ri haucuono viuuto,ò
regnato lungamente:quando ha- ueuonogencratibci
figliuoli,&foggiagati, & vinti i lo- ro nimicijondclapaccpublica
regnaua: quando fi feo- priua qualche tradimento òcogiuratione contro all
lm perio,& quando egli era abbondanza di grano, ò le naui
cariche di quello, & d’altre mercanzie arriuauono al
portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTIN A. BRONZO. BRONZO.
CARACALLA. TACITO. ARGENTO. ARGENTO. wj ANTON. PIO.
SEV.ERO. BRONZO. ARGENTO. Maqucllacla vera felicità quando la
Giuftitia regna in vn Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le
Re ^ia* 71 publichc durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i
Principi dire che Giouc fenza la Giuftitia non farebbe potuto fta
reinciclo,nclaRepublicain piede pu re vn’h ora. E v la Giuftitia vna
perpetua & ferma volontà di fare ragione adogniuno, &viuédo
virtuofamente, non fare torto à perfona , rendendo àciafcuno quello che c
fuo. Della Giuftitia fono nate due leggi , l’vna publica , & priuata
Lfgg[ fUm l’altra. La publica c di por méte alla comunefalutc de-
blica&pri gli ftati,& la priuata è quella (come
anchoras’accordail uiU ‘ Iurifc5fuIto)de i particulari. Quella cóccrnc la
religio- ne, le colè fagrc,i Sacerdoti & iMagiftrati:& quella è
fon data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della qua- le
fc piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.
doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài: chiaramente quantoprctioIa,fanta
, Se ncccflariacofa è la Giuftitia :lacui forza è tale, che ella regna in
inferno (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi gate le fcc-
H » rr n:i n* DELLA
RELIGIONE leratczzc degli huomini fecondo i meriti &
grandezze loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò dipingercglan-
tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era la gruatMgii r ‘ tta :
& nella manca le dauono lo feettro , ponendola à intubi u federe in
vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria- Giujìitia, no nc jj c f uc
mC( J a gIi C- quelli che non hanno co- gnitione delle cole antiche,
l'hanno figurata nel modo, che fi vede hoggi, cioè con la fpada & le
bilancic,che fo - no propriamente le infegne,con le quali foleua l’Equi-
tà cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO. BRONZO. BRONZO.
I HADRI ANO- ALE X.M A M M E
A. ARGENTO. BRONZO. Che l’Equità folle dipinta nel modòdettodi
fopra,& E ^in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li vede ta. per
le medaglie di Gordiano & di Filippo, non altriméti che fi folle in
limile modo il fimulacro della Dea Mone rain quelle di Collante ,& di
Diocleciano,con lettere, che diccuono, sacra moneta avgvstorvm et nontuf CAESARVM
NOSTRORVM. fr< GORDIANO. ARGENTO.
FILIPPO. BRONZO. «MITCJb
MS COSTANTE. DI OC LETI A N O. BRONZO.
MED. D I T. ARGE N Volendo t»TlmpcracoriRomani
dare cimorc ài talli £!$Z ficittori delle mon'ete,hlccuono in quelle
(colpire le ima perfori f, inj lorojconfidciando che non e cola che piu
ìmpedll- ZX. ca l'abbondanza de iviueciin vna -Città, quanto la mo-
‘ inugini nel nc rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami
u lormonc ^ j oro mcrc hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-
me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno all’vniuerfale per
vno vtile particularcjcorrópino quek lo che
-irJP» DE GL’ ANTICHI ROMANI. u*
Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non hanno
potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin Romani crearono
tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone- fopraie monete con
autorità di fare battere oro, argéto & bronzo, come fi vede per le
medaglie di Celare Dit- A VGVSTO BH.ONZO.
L'officio di Macftri delle monete era di
guardare,& fa reproua selle erano di buona lega, prima che farle
fta- pare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di pefo :
on- d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim za fi
mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro- mano, ^erò lafirinflè a i
Triumuiri delle monete quella autorità accompagnata dalla poflànzade
Tribuni, co- me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc,
CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri. UO della religione
AVGVSTO. ' BRONZO. BRONZO. Trouanfi anchora molte altre
medaglie lenza l'ima- ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere
vc- ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc per
lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico- no, avgvstvs tri
bvnitja pot est a t e. & dal- l’altro lato , AERE, ARGENTO, AVRÒ
FLAVO FE- RVNTO. A V.GVST O. ~ BRONZO. BRONZO.
Pc l'cr i quali
tcftimonij chiaramente vergiamo che tale autorità di fare battere monete
, pcfarlc,& e {lami- narle, apparteneua anticamente à i Tribuni ,
& mafiì- tnc che tra le loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa-
hrggi (fr _ role, TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM PVBLI-
ttnuirali. CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES, ARGENTVM,
AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO. Erano tutti huomini da bene &
virtuofi quelli, à qua • li gl’imperatori concedcuono cofi fatto
Magiftrato, con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i
nomi> loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il popolo
conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate battute.Pur
nondimeno mancò col tempo ( come fan- no tuttel'altrc^quefta buona
vfanza,& pallate le meda- gliedi Claudio & di Neronc, non fi
trouò neviddepiù l’Equità dipinta con la bilancia in
mano. BRONZO. NERONE. BRONZO. Soleuono tutti i buoni
Principi & Imperatori Ro- mani vifitando le Prouincic fuggette alloro
Imperio H 5 ua DELLA RELIGIONE fare lcrcparationi
per tutto doue erano neceflàrie,& fo- pra tutto liuiHtarc Je monete ,
& farne battere dcllc : nuouc per le Città principali in ogni
regione. Ciò che strabane, conferma Strabonc, quando ci dice, che i
Principi Ro- mani lèdono battere monete d’argento & d’oro nella
Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi mi. Impera- perutorc 4 .
tore & Principe virtuofo & bellicolb, amato da tutto il Rrdì ma
mondo, quantunque sfortunato fi trouafleneH’imprelà che ci fece in
Vnghcria. Somigliò molto quello buon Principe Hadriano Imperatore, con
ciò lìa che ei fece-* a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli
hauc-ì ua rillaurateal fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei buoni
Principi Romani ficeuono fcolpirc le* infegne della Religione nelieloro
medaglie,colì quello religio- fó Imperatore mctteua nelle fue monete da
vn lato vn tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che
diccuo- no, c hristi an a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce
maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs impe- rator. MED. DI
LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT RE DI FRANCIA. ARGENTO. Non è
molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo piena paefedi Lione, trouò
lauorado vnltio campo, vicino à vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran
vafo di terra troultoa'p- pieno di medaglie d’argéto del detto
Imperatore, delle quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro-
Uour ' polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore.
~ MONETA DI LVÌGÌ IlÌL 'Mone li 4 MONETA
DEL MEDESIMO. ARGENTO. tini A' ri.
c icerone. Volle quello magnanimo &
virtuolo Principe (coli valorofamencc operando, & facendo officio di
pio & catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che modo fi
debbe imitare la virtù, honorare la memoria de gl'anti- chi, portare
riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, & ama re la Republica& la
Patria: Quello, che anchora ci ha infegnato Cicerone dicendo, nel fuo
libro della Natura Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc pio none altro che
la riucrenza w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri
maggiori, ài pitturi de parenti,à gl amici,& alla patria. Quella
virtù fu dipinta da Antonino Pio in habito di Matrona, ò dona
vedoua conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo da i
Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn fefto- nccol fuoco accefo
pcrfacrificare. Antonino Wt -r.'- . JWjr .
' £ -pr • Xttrr 4. onci/ ANTONINO PIO.
HADRIANO. BRONZO. ARGENTO. diariamente nel libro della Cita
di Dio, dice chela vera pietà non è altrochel’adoratione d’vnfolo
Dio,creato- re del ciclo & della terra, ribattendo & dannando
l’op- pinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRo- ma(comc
afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*. ti penlàuono
edere Dij nella Naturaci che tutta volta fivcdechcnalceuada buona
intentione, facendo que- llo per religione : della quale cofa ci fan fede
le meda- glicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f
egntlìano, d’Hadriano, d’Antonino Pio, & di Màico Aure- l*
rtii&io- lio,pienc d’antichi inftrumenti di religione, come
d’vn cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn
coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte fort£ dequah (come
cofa aliai nota) non bilognagià fare più lunga mcntione. j
GIV. ANTONINO PIO. M. AVRELIO. argento. Argento.
PtlUdioii Da l’atto pio di religione, venendo à quello che fi
Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi ne faremo qui fede per
lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre Tulle fpalle,& per
quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fi- milmente portò Anchife nel
medcfimo modo, portan- doin manpil Palladio di Troiarondc
Vergiliolcrifle, ^At t>w ^ÀeneAs. M. HE- DE GL'ANTICHI
ROMANI. M. HERENNIO. GIVLIO CESARE. ARGENTO.
ARGENTO. Quello medefimo ateo pio pare che habbia
concefi. Co la Natura infino à gl’animali bruti, onde
veggiamo che la Cicogna fofticne & nutrifee il padre & la madre
vitti di u nella loro vecchiezza: Cofa da farebene arroflìre , & c,f0
£' w * vergognare gl’ingrati, che rendono male per bene ài loro
benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al quale temendo anchora
di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di che fumo amorcuoli &
grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa gliuoli,& maflìme
Antonino Pio,nel rouefeio d’vna medaglia, nel quale fi vede la Pietà con
due figliuoli in braccio, & due altri ài piedi:Et nelle medagliedi
Domi- na, & di Sabina moglie di Traiano fi vede anchora la
Pietà figurata in diuerfe maniere. Anton. AV ÌJÌ3K
fcl & * l»,° ì'r* iz* ANTON. PIO. M. AVRELIO.
BRONZO. DOMITI A. ARGENTO. ARGENTO. SABINA.
bronzo. .Tv DE
G’LANTICHI ROMANI. izp Per le medaglie battute di Titofigliuolo di
Vefpafia - no, fi vede la Pietà che mette inficine d’accordo i duo
fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano l’vno ali ai tro,pcr
mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli portare I’vno
all’altro. TITO. BRONZO
ma. Vlinio. CLEMENZA. Era il tempio della Dea Pietà in
Roma, fatto da At- t mpio di tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di
quella figliuo-la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigio-
nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà- to da lei, & col
quale(comcdice Plinio) non fi può fare comparatione alcuna.Et perche
dalla pietà nafee lami*. fericordia& la clcméza,hò giudicato. non
fuora di pròpofico accópagnare con qucfti eflcmpli la cella di Giulio
Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza pafiò tuttii Principi
del mondo) ftampatain vna meda- glia di Tiberio , aggiugnendoci vna
Temenza antica degna d’efierclcritta con lettere d’oro, fi come era in vn
BcUifiima marmo, che diccua ,nihil est qvod magis ftntmùu
I 1 DECI AT PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET
ole menti a. Etnei vero, non è cofa nel mondo piu E retiofa & piùconueneuoleà
vn Principe che la liberata & la mifcricordia. TIBERIO.
BRONZO. VITELLIO. ARGENTO. Da quelli atti
pij inuerfo la rcligione, il padre, la madrc,i parenti & la Patria,proccdc
poi l’eternità de nomi di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno
dimoftra- to i Romani per ifimulacri delle loro vcttoric, perle
fcftc & giuochi fccolari, penanti magnifichi & ricchi templi
&cdifitij, ne i quali faccuono fcolpirc f Eternità come vna Dea in
habito di matrona, con vn’hafta nella man dritta,& nell’altra vn
Corno d'abbondanza, & il pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno
figura- ta con due teAe in mano, fi come fi vede in vna meda-
aliad'Hadriano, ° Tito TITO VESPA. FAVST1NA.
rii. Et Filippo Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot
giuochi Secolari fopra vno elefante^ quale fignificaua vna longa &
cjuafi eterna vita. I Romani la difpinfero con duo elefanti, & alcune
volte conduolioni cnetira- uono il cirro de glImperatorc> o
Imperatrice eh crano> fiati deificati. W
I x TER- RA. Gl'
titubi ftcnficaut noi la ter- T4. :
TJt GfVLIA PIA. FILIPPO. E certo,cofa molco difficile
(confìderato il numero fìgrandedcgli Dij antichi) di potere crollare Je
meda- glie àpropofito di cutrùpurc fermando la mia imprefa, io m
ingegnerò di ripreientarci tutte quelle, nelle quali furono figurati gli
Dij.ò Dee à modo loro, che portor- noqunlche vrilcalIJuimana natura, come
la terra, alla qualcfc ono vn tempio, & in luogo che a' glabri
Dcifà- crificauono con l’inccnfo J & altri buoni odori, à
quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, &
al- tre colè aromatiche : là onde per la medaglia che fece
ftamjxtrcCómodo in honorc della tcrra,fi vede che ei la fece a giacere in
terra mezza ignuda , come cola ftabilc con vn braccioappoggiato (opra vn
vafo,dcl quale efee vna vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo
celefte, in- torno al quale fono un. piccole figure che le prefenra-
' no TvnadclTvuc, l’altra delle fpighccon vna corona di fiori, l
altra vn vaio pieno di liquore,*: l’vltimac la Vct- toriaconvnramodi
palma & lettere che dicono, te l- tvs stabilts, lignificando che
tutte quelle cofechc la tetra produce/onoper lavitadelThuomo.
MEDAGLIONE CO M MODO. Perhaucre affai
lungamente trattato delle feite Ce- C e r e* reali nel mio libro
dell’Antichità di Roma, io non nc RE * parlerò qui altrimente,
contentandomi folamétc di met tcrc innanzi il rouefeio della medaglia di
C. Mcmmio c nummi» Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere che hà in vna
^naltQt mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo, &il pie
rc»u. manco fopra vna ferpe, con parole che dicono , mem- I 3
MIVS. AEDILI5 C £ R. £ A L I A PR.IMVS F E C I .tJ Ma per altre
medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi vede femprc Cerere con due
torchi nel fuo carro, tirato da due lerpi.Etin due altre medaglie fi
trouacon la ve- de alzata, con due torchi, & à i piedi la manica di
Tara- ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli
antichi le fo- enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde
Ouidio haferitro, Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine
porca, i Ulra fuas merita cade nocentu opes. debutiti ^
comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli era fcfo fra li proibito
d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere, per- Roawni. chelauorano Se non
guadano i beni della terra, onde ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi
fende anchora, kA bone fuccintti cultros remouete minijìri:
%os aree, ignauamfacrijì care fuem. lAptd mgo cern ix non efl
ferienda fecuri: ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *
« Ve. ME MED. h Óf>ì
» » ùueihi Cerere e la Pace, con ciò
lìache la guerra porga impedimento al lauoratore di
coltiuare&lcminare i campi, eflendo conrtretto di fug- girli
&faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i Tuoi beftiami. Quello
che Umilmente ha bene fcrittoOui- dio nel u n. deludi Farti, doucei
dice, Pace Cerei Uta \os orate coloni . ‘Perpetuam
pacem,pacifì cum <jue Z)eum. EtTibullo quel medelìmo nella
x.Elegia> Intere a pax ama coldt,pax candida p)
Z)uxit aratura fub tuga curila boues. Et poco piu
difetto, ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta
Stillini in tenebra occupat arma Jìtics. Quando gl’antichi
dipingcuono la Pace col Cadu- ceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil
corno d’ab- bondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf ce-
lia multiplicarc il grano & le frutte per la vitadcU'hua-
i , - \ I 4 uloitioJ
- PACE. L4 guerra contraria à
Cerere. Ouùlio» ’i h t%J*v
Tibullo» BACCO. Il buco fi reificato,
Bieco. mojondc il raedelìmo Tibullo nella x.Elegiaparimen- tc
dille, irnobispax alma y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P erfluat pomis candidai
ante [mot. OTTO. ARGENTO. VESPASIANO.
ARGENTO. Et lì come Cerere haueua la corona di ipighe per
in- fegna,& per vittima la T roia,colì al atdrc Libero, altri-
mente detto Bacco, lì ponetiaintcfta Ta corona d’Ellcra, & il becco à
i piedini quale gl era £acrificato,perchc gua- ita le vignc,ondc Virgilio
dille, Saccho caper omnibus ari* Caditur.
Et nel rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn faccrdote col Tuo
habito innanzi à vn’alrarc riucllito d’vn fellone, che con vna mano tiene
il Jituo,&: con l’al- tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda
vnmini- llro per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua-
menteferbato vna Corniola antica, nella quale c vn Sa- tiro , che conduce
vn becco fuiralrarc,doue e il fuoco aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio
Bacco. Corniola «57 CORNIOLA
ANTICA. f 'Wm. ir ■ Ma perche
di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'. ma
d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,& vn'altra volracome
vngiouane co vn ramo di Pino, nel modo che fi potrà vedere nel libro, che
io ho comporto in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e
par fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di
bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re & arti fitio* f
à)tra le mie ftatuc & medaglie antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI
BACCO. d’antichi lo leuono dipingercilfimulacrò .
Ciltuv. il V Vogliono
gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo) lignificare che vn'huomo troppo
fuggetto al vino,diué- ta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic
fifa. Tro- uomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano
quello Bacco ignudo con vnbaftoncin manometto da i Latini Tyrfo,&
nell'altra vn grappolo d’vuc,& intorno kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^
c di Tigre, animale particularmentc Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et
quanto alle Baccanti , ò Bacchi- dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella
di Bacco, io ^ ne metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia
Greca, & M , chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma
,gran- - • • diflimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c
Bacco incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chedico- nó avì un, cioè
libcro,& dall’altro fono le Baccanti,chc ballano, facendo vn prclcntc
à Dionifio (chccofi ancho ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di
facrifì- cio , & lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol
dire, Donod Dionifio. • ••••’. .• • » i ,* * *" ,
NICCOLI ANTICHI. Medaglia . m
MEDAGLIA GRECA. ARGENTO. Et per glabri
due medaglioni di Bacco porti qui di fiotto, dequali vno e di Nerone,
& l’alerò d’Antonino Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco
nel Tuo car buccmmIì. rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui)
accom- pagnato de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : &
qual- che volta per due tigri, comcdice Propcrtio , parlando
d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in c*lnm \c&d \ArUdna.
tu'u. Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi vede
anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che dicono
, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV- - sti, rimettendo il lettorcal
mio primo libro dell’Antichità di Roma, doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a
J querti Baccanali.»V, ME 1 ’»t 4 - k V
km LIBERALITÀ. XAuitdeU Oberatiti.
FILIPPO MEDAGLIONI. NERO. ANTONINO PIO. Si
come daCcrerc]& Bacco nalce l’abbondanza d’o- gni cofa,cofi
dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea delidcrata & cara acuito
il mondo , la quale tira à le il cuore dcH'huomo.comc la Calamita il
ferro, tanto che lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del
mon- do per la loro liberalità ne vengono lodati, anchora che non
lì fpcri cofa alcunadaloro:!! come vituperati &in poca Rima fono
quelli , che fono tutti lepolti nella loro GALLIENO.
BRONZO auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo
fplcn- Liberalità dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito, di
Vef pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca, trouer
rcmoch’ei dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che fi fponga mai :
della quale cola fé alcuno dubicalfc, va- da à leggere Tranquillo, &
vedrà come Auguftohauc- sartorio ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al
popufo Romano vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata
Congiarium , da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe zarlc quali
quando fi dauonoà i foldati, fi chiamauono Donatiuojcomc fi vede in più
luoghi nel libro di Taci to,douc parlando di
Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^. pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai
mancòquefio li- beralifiimo Principe nel Tuo Imperio, che palio
cin- quanta anni, di donare quella mancia, dilhibuendot.il volta
xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre volte x l. & altre
volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché non crafanciullo(purccheci
pallafic xi i. anni) che non ha- ueffe qualche colarla quale vlanza fu
conferuata da tut- ti glabri Imperatori buoni &cattiui,chc
voleuonoha- licre lagratia del populo Romano ,come fi inoltrano le
Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia- no, d’Hadriano,d’ Antonino
Pio,di M. Aurelio, &: dimoi ti altri, i quali tutti farebbono tropo
lunghi à raccon- Congiario .
Liberalità di Augufto Ce fare. tare.
TI IV t/i liberatiti di
il. Aure Ito . Pittiti* de U Liberati ti.
TITO. TRAIANO. BRONZO. RRONZO. La
maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcf- fò,mala minore fi
benc,comchà {cricco Succoniordalla quale liberalità cofi
vfacainuerfoilpopolo,nafceua che Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano
màtenuti in ilia- co &difefi da lui,& da foldaci nella pacc,&
doppo hauc rcccrminaca qualche pericolofa & difficileimprefa,
nel quale ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello con- ciario, &
faceuono quello donaciuo. Onde era le mie medaglie io in ho vna di M.
Aurclio,doucfi vede che egli baucua vlaca quella liberalità già fecce
voice, figurando nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d
vna velia funga,. come falere Dee > con lettere che dicono,
liberalitas avgvsti s epti m a. nel modo che anchora fi vede nelle
medaglie di Gordiano minore, & Tacito Imperatore con altre limili
parole, cioè, li b e- RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ
che anchora fccionoin vna altra maniera Filippo il pa- dre &
figliuolo, come fi vede per le lor medaglie pólle qui appreflo.
M.Au DE GL’ANTIC HI ROMANI.
*43 M. AVRELIO. GORDIANO. BRONZO. BRONZO.
tt nella medaglia a Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti
fi veggono ìin.figurc, onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff Im
pcratoreà federe fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. * carta in
vnamano,& con l'altra moftra di donare qual- che cofaà vno,chc fi
prefenta innanzi àlui:la qualità & Comma della quale,parc che
fia figurata per i punti, che fi veggono notati nel rialto doue ci tiene
i piedi,! quali fa cilmente potrebbono cflère il numero de
feftcrtij:& l’al- tro FILIPPO PADRE.
FILIP. FIGLIVOLO. i44 DELLA RELIGIONE
trochemoftradilalire, e colui che riceuc il donatiuo conlimaginc ritta
della Liberalità da vn lato, che tiene vn Dado in mano con limili parole,
liberalità* a ve v s t i ; \
Dentizio- ne di nobili tì. HADRI
ANO. BRONZO. ALESS. SEVERO.
BRONZO. Ugge de Macedoni/- Ugge
delle Amazzoni, crdrglt Sey ti. Il Dado,
portato dalla Liberalità, è tanto conofciu- to,che io non ne parlerò piu
oltrc,dcliderofo di moftra- re che la liberalità nafee da nobilità di
cuore: la quale co là fola ha cauGito che i nobili virtuofi fono (lati
hono- rati comegiufo, onde c vfcitalapoflanza reale,& tutti gli
altri principati, che mediante la Giu fona & l’Equità hanno mantenuti
i loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro nimici.Di qui nafee che tutti
coloro , che afpirano alla lode & alia gloria, li danno volentieri
all'eflcrcitio della guerra, per eflèrc tanto
priuilegiati:ondeiMacedonijfo leuono condannare colui àportarcvna corda
in luogo di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola hono-
rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo maritarli , fe prima
non haueuono fuperato vn loro nimico. i
45 nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona toccare la tazza
òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla guerra meritato qualche
honorc. Di tutte quelle cofc fanno fedele hiftorieRomanc,douefi leggono
le qua- lità de premi) che fi dauonoà coloniche haueuono fat-
toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0 "'
ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le nauali,infieme con ti- KomLi.
toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro: onde non c da
marauigliarfi,fe Roma venne in coli fat- ta grandezza, poi che di grado
ingrado dTaltaua & ho^ norauai Tuoi foldati, fino alla dignità
dell’Imperio,& il Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con
ca- tene d’oro,maniglie, corone, & ricchi fornimenti dica-
ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi vede in Turino, inoltratomi già
dal Symeonc,il cui tenore è quello, C. G A V IO L. F.
STEL. SILVANO PRIMIPILARI LEG. Vili. A VG. TRIBVNO COHOR.
II. VIGILVM TRI B V NO COH. XIII. VRBAN. TRIBVNO COH. XII.
PRAE TOR. DONIS DONATO A DIVO CLAVD. BELLO
BRITANNICO TORQVIBVS ARM1LLIS PHALERIS CORONA AVREA PATRONO
COLON. D D Et fi come dei buoni Temi nalcono anchora i
buoni frutti, cofidegli huomini virtuofinafconoinobili, purc che
fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali quado fono accompagnate
infieme, fanno che la nobilità fia K Cicerone. Dichiaratione
delti nobiliti. Tlinio. Cornelio
Nipote. Tullio. luuenale.
Annotile. perfetta & duri fiempiternamentc.
Stimauafi amicameli te la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del
fanguc,di- fcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo, C
tntile s fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui s oriundi
funr quorum maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui capire non funr
diminuti. La quale definitionc dice Tul- lio edere nata
daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrpreca- ra in quello modo, Nobili
fono coloro che ha no vn me • defimo nome, che nafeono di padri &
madri liberi, glan tichide quali non hanno mai fcruiro,nccambiato di
(la to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere la nobili- ta
& la gctilczza , la quale gl'antichi riprefentauono per
leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro maggiori, come
recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo' ria naturale , Se Cornelio
Nipote nel libro de gli Huomi ni illuflri.il quale parlando di Portio
Catone òìcc, Ima- go buius funeri* grati* producifolet. Della quale
oppenione canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali ima- gi ni
Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando beffan doli di tale nobilita
fienza l’operc nobili, dice. Stemmata quid ' fucilanti quid prodejl
Pontice longo Sanguine cenferifè) pt&os o fendere vultas
Jrfaiorum?& fante s in curri! us ^AemilUnosI Ariflotilc nondimeno
nclv.libro della Politica dicc,che nobili fono coloro, i preccfTori de
quali fono flati, ò ric- chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie
per foccor rere la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza
la ricchezza non può flare.Etfc qualcuno domadafleche differenza c
tra la nobilita d’AriflotileSr di Sceuola, tifi- pondo, che Ariflótile
domanda la ricchezza, &Sceu ola non:
nonrattclochc la nobilita può viucrccon la pouertà: benché col
tempo poi(volendofì palcerc di quello fumo di direche fono nobili) fi
muoiam di fame : onde nafee che gli antichi faui hanno Icritto che la
vera nobilita condite nella virtù,comc quella, alla quale non può
mai mancarc:& quello è quello di che ragiona luucnale, di-
cendo: Tota licet Veteres exornent indizile cera
tria:nohiliras fola efyOtque Vmca v ireos. Conciò
lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua nobi- lita, mediante i fattidefuoi
antccclTori,condannafeme- delìmo,non fendo egli virtuofo,& lì può
dire di lui quel locherifpofe Anacarfeà vn’altro che lo chiamaua bar-
Rìjpofta baro,& nato nella Scytia,chc fu tale, la mia patria
****&& COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1 N- f AMIA,
MA TV FAI D 1 S H O N OR E ALEA T V A che e' tanto nobile et c e
nti l e. Circa che bifogna conchiudere che la vera nobilita c quella,
g* che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua Boetionelm.
libro di Confolatione,doucei dice,^?#^ Jì quid ejl in nobilitate
bonumjd arhitror effe folum,vr impo- rta noi? dii us necefuudo vide a
tur, ne a maiorum V ir tute dege- nerent. il quale propofito feguita
dicendo, TJmu enim rerum pater ejl, XJnus cuntta
mmiBrat-. J Ile dedir Tinello radiati Dediti cornua
Luna: 1 He h ornine s & ferri* Omne liumanumgenus
m terris Similifurgit ah or tu. K i i 4 »
Dedit fè) fiderà Calo: Hic claufit membri! animo s
Celfafedepetitos. Mortale! igitur cunBos Edit nobile
germen. Quid gentts féj proauos Jlrepifù ? Si primordia
'vejlra ^yiutorénujue Deum fieftes, Nullus degener exrat ,
Ni 'finn peiora fouens ‘Propriumdeferat ortum. Parmi
d’aucrtirc qui il lettore della differenza eh ed tra nobile &
generoforcon ciò fia che A riftotilc nel prin- cipio dell’Hiltoria degli
animali,fcriue che nobile è quel ladifftren lo che c nato di buona razza,
& colui gencrofo che non ** traligna dalla fua razzala buona , ò
cattiua , allegando fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il
lupo (dice egli) farà ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo,
perche non deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:& ignobile
perche egli e ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può dire
nobile & gc- nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme,
& gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee che fi
comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc lodate con parole, l’opere
virtuofe richieggono d’cficrc hono- ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è
impoffibile che vn principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare
vn’huo- mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai
bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta, figliuolo di
Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita inhabitod’vnaDonnada
benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua
, per inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-
'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac- compagnato.
GETA O natura tegli huo.miiu
e la no - genio» pinta conieruata&.crc(ciuta, però non
fàràimpertintn- tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura,
G°iró d io chiamato dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa-
dredegli huomini,& figliuolo diDiorpenfandoncllalo ro rèligiòncehc
ciafcuno haueffe particolarmente vn ge nÌGk& vno intelletto diuerfo
Se propriojcomc lì vede per la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto,
genio a v- cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs, in quelle
di Collantino, genio pop vii rom ani^ in quelledi Claudio, genio
exerci t v vMrfigù- randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con vno
altare ^io. innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, & nel-
,• - ;; » j l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m
rhi ano Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta 'di Giuliano
Imperatore.. " K •n ANT.
PIO, BRONZO. NERONE BRONZO.
COSTANTINO CLAVDIO Scriuc Ccnforinoncl
libro da lui fatto De die nautiche (ubico che noi nasciamo, noi fiamo
accompagnati da vngcnio, chcciconducc,guarda & non mai ci
abbati donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc
lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era b
KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo- mohabbia due
Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo, chiamado il buono
Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi hoggi anchora diciamo buono
Angelo & cattiuo;à pro- { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo
nella vita di Bruto } chc a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna
accerti alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-
ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci quale fubito
domandò Bruto (comehuomo intrepido che egli era)chi egli folle , ò quello
che ci cercaflc , & che quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio,
il quale tu ve drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli
dif- fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot innanzi eh’
eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione fono flati & fonoi
noftriTcologi, cioè che noi flamo Tempre accompagnati (cornee detto) da
vno Angelo buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci
mena al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein lui era
vno fpirito, ò Genio particularc & diucrlo da glaltri-Nel tempo de
Romani non era lccito(comelcri uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \
erborarti oUigationi- bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del
Principe, ri- putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc-
dolo& fapendofl, erano puniti graueméte, laonde rom peuonograntichi
più torto il giuramento fitto fotto il nome d’ogni loro Iddio, che Torto
il Genio del Principe lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia
da lui fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu- ra
che hanno di noi i noftri Genij,quando ci dice: Et vigiUntnoJìnt
frmper in \rbt Ldres. Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo
à par- te &fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro
K 4 >5* Lare c r L( mure-
Buoni c r canini fal- liti. Genio appi rato
4 Bruto. P Ul* Difefo di giurar per il genio
de t'imperato, re trai Ro- mani.
Tertullia-no. Gnidio, f$i, Xf
tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà confermato Spar-
baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo di Mam- fui
Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine di GUfuchrf-
Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo fio. che in Lione
fui monte della croce di Colle fu trouara vna Lucerna ant cadi bronzo
che mi fu donata , nella quale erano fcrittc coli fatte pa rolc, l a ri b
v s sacrvm . 1 con altre più baflc,^ più piccole, che lignificandola
pu blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e telici* tati ro m
a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi ' ~LV CE jTiTJl JL
KT1 ' di H ronzo , trovata in Lione Canno LARI
B V S SACRVM P. F. ROMAN. Stima
5 r 153 Stimarono gl’antichichei Lari follerò figliuoli
della iUri pgiil Luna & di Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori ,
la «oli di uh quale oppenione mi porge materia di parlare di Mer-
curio lecondo la Teologia de gl’antichi , che volcuonò mercv- che la
ftella di quello Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °* ìquenti
&grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì èra congiunto col
Sole & con Gioue,comeper contra- rio volcuonoche ci folle dannofo
cficndo accompagna to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti
nan ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il ca- duceo,
il cappello chiamato Galero da Latini, & laiicaf capo & ài piedi,
è, pcrchevolcuono lignificar, che fico- me vn’vcccllo vola
leggiermcntepcr l’aria, coli la paro- Jafàcilmcnte efee della bocca
d’vn’huomo eloquente. I Greci lo chiamornoe PMH2,cioé interprete ,
ò Tur- uermet. cimanno,&Dio della Mercatura, perche le parole
fo- no quelle che fono mezzane d fare comperare, ò vende- menadi»-
revnacofa. *'• a 7 r N T O. coprilo di Plauto nondimcmo
& glabri Icmtori più antichi Mercurio hanno chiamato il cappello
Pccafo, come fi vede perle ntafo. Icntture di piu marmi antichi che
dicono, cvm m e r- cvrio petasato, volendo lignificare cheli
co- me il cappello cuoprclatcfta,cofi le parole fcruono per
coprirli & giuflificarlì contro alle falfc calunnie degli huomini
maligni & inuidiolì. Altri hanno detto, che quello cappello
lignificauache vn buono Ambafciado- redoueua goucrnarli nelle fuc faccédc
fegrctamente:& il Caduceo che Mercurio ha in mano,Ia pace che il
piu delle volte lì tratta per mezzo d hu omini eloquenti, co- me lì
vede in diuerle medaglie de glantichi. VESPASlANO.
FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO. ylìnio Della lignificatione delle
dueferpi intornoai Cadu- ceo ha Icritto Plinioallài
diftefamentc,& però io (come cofa fu peritinola) rimetterò il lettore
à quella lezione: & pcrfaperncla fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo
libro t adirò in Agronomico ha fatto il medelìmo, confermando
che f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à Mercurio in légno della pace: "
la i 5f la quale volendo dipingere gl’imperatori nelle
loro monete, &moArarecncei n’erano flati autori, faceuono
battere nelle monete la Dea di Felicità, con vn Caduceo peuci-
invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni- T A ficandochc nella pace
publica non fi (ènte careflia. GALBA. TITO. BRONZO.
BRON ZO. Ne i Comenrari j di Celare fi troua fcritto che i Fran-
ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte Farti, & guida de
camini , (limando che egli hauefle gran pof- fanza per fare ricchi i
mercanti, ciò chcconferma Plinio nclxxxnii. libro dellHiftoria naturale,
parlando de coloflì&ftatue antiche, & doueei dice, che
Scnodoro haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di fiatue tutti
glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer- nia quella di Mercurio
d'altezza di c c c c. piedi.Solc uonooltreàqucflograntichi attribuire il
galloà Mcrcù rio,figni beando che i mercanti debbono edere vigilati
ti&folliciti lamattinaàbuon’hora, volendo arricchire &farc bene
le faccende loro. Tra le mie pietre antiche, io ho
Mercurio dorato da franctjì. Plinio.
Scnodoro fcultor ec- ctUauifii. mo. Statua
di Mercurio fatta in AuMernia. ij<r io Ho vn Niccolo
&dùe Corniole, ncllequalrfono le fi- gure di Mercurio. Nel Niccolo fi
vede con vna boria in mano,& nell’altra il caduceo. Et nella
Corniolaàfc- dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in vna
mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio; col cappello
in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro Ja,& per il granchio, che
i mercanti non fi debbono af- frettare nelle parole, ne (penderci loro
danari fenzacon fidcratione. I fi s /
* < /.r V i >
7 Sono (lati alcuni altroché hanno detto che l’eloquen zà fu
attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che haueua ordinate &
meflè le parole inficine per ifprime- fei concetti della mente, deformare
vna bella oratione, ncceflaria à gl'Auocati & Procuratori , &
pero dille Vi- truuiocheil fuo tempio lì doueua edificare preflò
alle piazze. Grande fu certamente la curiofità &
fupcrlìitionc de gl’antichijvolendoche Gioue finalmente fignificaflè
il ciclo, &Giunone l’aria, per cflerecofi vicino l’vnoallal-
tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra, 8c che la mo- gi ie di Netruno
folle Salaria, & quella di Plutone Profcr- 1 >ina,fi come
Giunone di Gioue, alla quale attribuirno a cura delle Donne
grollèjinuocandola in quel tempo cheell’crano vicine à partorire , &
poi che il figliuolo era nato (come Diodoro afferma) lalciandone la cura
à Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto da Callimaco
in honore della Dea. Et quando le Donne Romane che non
potcuonoingrauidare,voleuono ha- uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi
Giunone,chia mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,
che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra, le
pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co- me fi vede per le
medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle quali fi vede Giunone à federe
in habito didonna ve- douacol fuo lecttroinmano come Rcina,&
nellaltra vna sferza & lettere che dicono, ivnoni
lvcinae. Lucilla Menurio Dio
d’rioquenza. Vitruuio. GIVNONE. Giunone *
- iutrice de le dine gr 4 uide. Diuotione
de le donne Romane 4 Giunone Lucina»
*J« DELLA RELIGIONE L VC I L L A~
BRONZO. BRONZO. cerimonie Quando quelli facerdoti Lupercali
corrcuono per dt faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti ignudi,eccctto le
parti vcr- t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c erano coperte di pelli di
beccbi,llati faenfi cati fu l'altare di Giunonc.Et delle coreggie che
haueua- no Era pure grande quella
luperllitionc chele Donne Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da
ifacerdoti di Giunone) d’hauereàingrauidare,&chc la felicità
piu grande era di hauer molti figliuoli, come fi vede perle
infraferittte Medaglie. FA V S T I N A. GIVLIA M A MME A.
ARfitNTO. BRONZO 155 no in manoandauono pcrcotcdo le mani delle
Donne che le norgeuono loro per ingrauidarc. Era qucfto luogo
chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma, & de- dicato allo Dio Lupino,
chiamato altrimenti daiRo- maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già-
poppa- tala lupa Romolo & Remo, come moftrano le piccole
imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora fi veggono in Campidoglio ,
& le molte medaglie di Confoli & d’imperatori. ME
DAGL ÌE Di' D io lupino ò nero, Pan Lyceo.
MEDA. DI SESTO P lOmI
l(Zo DE LA RELIGI ONE DOMITI ANO.
HADRI ANO. Fu Romolo di poi la Tua morte conlagrato &
meflo nel numero de gli Dei, come fi vede perle medaglie d’Anconino
Pio, nelle quali è Romolo veftito come vn Marte,che tiene da vna mano vn’hafta
& dall’altra vn trofeo fullcfpallc con quelle parole , romvlo
avg. ANTO N I N G~P To. BRONZO. BRONZO. La lini
plici ta degl’antichi fu tale, che non badando roma. j oro j iaue r C
deificato Romolo, fcciono anchoradiuerfi templi à Roma, & la
chiamorno Dea, dipingendola vna r volta DE GL’ANTIC HI
ROMANI, k;i volta vcttoriofa con vna hafta in vna mano,& nell
altra vna vcttoria che l’incoronaua di lauro , & altra volta
con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili paro- le* r o m ae AETERNAE. NERONE.
ARGENTO. FILIPPO. ARGENTO. Roma eter
no. Et nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmen- te più templi
dedicati i Roma eterna, la quale i lèdere fopra certe infegne militari,&convn
morrione in tcfla, hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo,
che ella prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando
che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio vna
Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il ‘onferu*- dardoche
egli hi in vna mano,& dell’altra piglia ilglo bordino con la fiua
corazza & mantello militare , & lettere intorno che dicono ,
conservatori vrbis AE T E R N AE. \C l
MA SSENTIO. BRONZO. BRON ZO. Vcfpafiano
fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda SdTRoM gta Roma con vn celatone
incapo, la veflecinta, mez- nrOr meda- za ignuda, lo feettro in mano, gli
(liualetti in piedi , col glie di ve- Teuero prediche havn giunco in
manovella appog- frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co ijj ? lettere che
dicono , Roma.Ec nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn ramo d'allo-
ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn globo fotto i
piedi. VESPA’ iiti M. AVRELIO.
BRONZO. Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu
donata vna KmJi. 4 medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la
teftadel Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, & due
(Ielle r opra,con lettere fottoche dicono, Roma, lignifican- te le
vectorie & fatti de Romani rifplcndeuono , co- ll Sole per tutto il
mondo, &erano (àliti (ino al cielo. ITALIA. MEDAGLIA DI
ROMA? BRONZO. Non ballando à i Romani haucrc
figurata Roma in tanti modijfcciono quel limile d’Italia, coronàdola
co- me Reina del mondo à federe fopra vn globo (Iellato, &
mezza ignuda con vnofcettro&vn corno d’abbódan- za,in fegno della
fertilità del paefe d’Italia, come fi vede nelle medaglie d’Antonino
Pio. ANTONINO PIO. B R O N Z O. BRONZO. Volendo à
pieno narrare le Iodi di queda Prouincia, noi ci diuertiremo troppo dal
nodro intento principale: Pur D E GUANTI CHI ROMANI.
i<r 5 Pur nondimeno non lafciercmo di recitare qui quei yerfi
che il Petrarca , tornando di Proucnzain Italia, Pt(Wrt , cantò arriuato
falla cima del Mon Gencua,in quello modo, Saluecard
T)eo tellnsfdnBifimd ftlue, Teìlus tuta honis } teUus
metuenddfuperbis » Tellus nobilibus multum genero f or oris .
Ne manco voglio lafciare in dietro che Collanti- no Impciatorc fece
battere medaglie di bronzo in Ro- ma,nelle quali da vn lato è la lupa che
lecca Romolo & Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la Tua
te- tta. Et in Collantinopoli Umilmente dipoi fece batte- re monete
d’argento & d’oro con la Tua tetta , & lettere che dicono,
constantinopolis, lì come in quel Jc di Roma haueua metto, vr b s
koma. Ver fi iti Vttrarcd in lode i'itn-
IU. COSTANTINO. BRONZO. ARGENTO. ScriueStrabone(parlado
d’Italia) che in quettaPro- uincia fitroua il temperamento dell'aria
migliore che in altro luogorl’abbondanza delle fontane & de bagni ft
«* falubri,per Jacommodità&fanità dell'huomo, i frutti i L
3 buonijc mine-di cuttii metalli, & marmi di diucrfi co- ìtJid
gU lori, onde non fcnza ragione, è ella Hata Regina del rtgin* del mondo
, producendo tutte le cofc neceflarie alla vita mondo. humana:huomini
eccellenti ncllarmc, & nelle lettere, nella pittura, (cultura,
architettura, & in tutte lecofe più rare&fingulari,lc quali con
molti libri farebbono an- chorain piede, fe la maladctta & barbara
natione de Gotti, non l’haueflc tante volte corla &
moleftata.Ma perche di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato
vetto- delle Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuo- radi
proposto (feguitando il fubietto della noftra ma- teria) di
(criucrecomeanchora quella fu da gli antichi riputata vergine & Dea,
& fattili più templi nella Gre- . pittura del cia,douc
(comefcriucTaufaniaró^tf/Và) ella fu adora- la vetto- figuratacon
l’alie,vna corona d’ Alloro in vna mano,& nell’altra vna Palma, ’&
lotto i piedi vn globo :an- chora che Domitiano la facelTc dipingere con vnCornocopia,fignificando
che dalla Vettoria nafee l’abbondanza delle cofc. DOMITIANO.
BRONZO. BRONZO. ic 7 tc perii rouelcio della medaglia
d’argento diL.Ho- ftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo
in vna delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncL- l’altra
vn trofeo delle fpoglie d i ninnici , modrando-chc la guerra & la
Vertoria apportano la pace.JL. HOSTIL1O. ARGENT O.
DOMITIANO. BRONZO. Ma Tuo Imperatore la
feccfcolpire nelle fue meda- vittore del glie d’argento con vna palma
& corona d’Alloro fenza 'alimonie quellochc no voleua chcella
difpartiffc mai da.ìui: Se co fi la dipinfero gli Atenicfi (come dice
Pau- fania nelle fue Attiche) per quella medefima ragione. '“VÈSPA
SI ANO. ' TITO VESPA - . L # ics Labaro in l cm,c
medaglie doro io n’ho vna d’Auguflo,’ ftSM pria- nel rouefeio della
quale e vna Vetcoria Copra vn globo cipde de & l’alie aperte per
volare, con vna corona d’Alloro in ri«per<- vna mano ^ nell’altra il
Labaro, infegna dcll’I mpera- tore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta,
folita por- tarli innanzi al Principe, quando in perfona fi trouaua
alla guerra, come inoltrano le lettere che intorno alla, medaglia dicono,
i mperator c Nella declinatiòne dell’Imperio Romano,commin-'
linoni ciorno di P oi gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila
in tT quello labaro, come fi vede nel rouefeio della medaglia
di Maflcntiojdouc fi vede armato della corazza, & velie
militare con il Labaro in vna mano,& nell altra vn ra- mo d’Alloro,le
gambe armate , & vna Prouincia , ò ni- mico folto i piedi, &
lettere che dkono, victqru 1 AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM.
Bctt che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore , in
virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al detto Co- , - "
llantino i<r? {lamino in vifionc , & ancho
perche fu aiutato affai i lf'g»optr da 1 medefimi Romani, & chiamato
in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un do più fopportarela tyrannide di coli
crudele huomo. Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità
Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino
adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per l’innanzi portò
lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii pcrinfegna,di
fcarlatto, & d’oro con quello carattere» fesche non lignifica altro
fe non il nome & la virtù di christ o, accompagnata da lettere, A.
& w .cioè , che sìgnìficatio il principio & la fine di tutte le
cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n che i Greci feriuendo il
nome di Chrillo , cominciano per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti
hanno er- rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-
ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di Francia per andare
à combattere in Italia con Malfen- tio. Vfarono poiifucccfiori di
Collantino lungo tempo quella infogna, come fi vede per le monete di
Collante» nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr- ra,
vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al loro,& in vna altra
tiene il labaro col fopradetto fegno di Collantino , pofando i piedi
fulla prua d’vna galea» il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria,
& let - tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio* V, L
MASSENTIO. ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO.
G'udUno Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino
àpojìata. £ j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella
inlègna&figillodi Coftantino con limili parole, s a lvs DOM INO
RV M NOSTRORVM AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO.
BRONZO. BRONZO. s. a mbro- Chetale figillo
forte il fegno diChrifto , dimoftra S. I 10 ' Ambrogio nel v. libro,
& nella Epiftola xxix. che egli
fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi àquerto
modo: Chrijhts . i 7 x Chrijlus
purpureum gemmanti textiu in auro , Signabat labarum,clypeorum
infignia Chrijlus £crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis.
Era quello flcndardo fatto di fcta pagonazza chermi fina con vna
frangia d’oro tutto intorno, ornata di pie- tre pretiofe,nel mezzo del
quale era la Croce di Chrifto fatea di riite uo,& nel mezzo di quella
ricamato il fegno ■di Coftantino,&cofi legata fullacima d’vna lancia
do- rata fi portauain tutte le guerre dinazià fopradetti Im-
peratori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi, dedicati chià vn
Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio iccompagnie. Ma ritornando all’imagini
delle noftrc comedipin Vettorie,dicochegrantichi ladipinferoin
formad’An gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra le fpogliede
torio. nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con vna
palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a a vg vs ti, nel
modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano. do ci dice:
Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos, Et palma viridi
gaudens & amica trophaù. Cujlos imperij 'virgo qua fola
mederii ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m. Et
Plinio dille, Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M.
IONE COMMODO. avremo. BRON/O. Et perche la
vettoria non fi può acquetare IcnzaFati- t ° ca >f enza virtu,ne lènza
forza, non farà fuora di propofi- figura codi ragionare qui d’HcrcoIe,
che ne guadagnò tante in <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo
figurare la virtiUo ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro
appoggiato fopra al fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata
intorno al braccio, & altre volte tenédo abbracciato Anteo, il
qua- le vccifc, come dice Giuucnalc, - Ceraie il us
ctquat H erettiti ^Anteum pronti a tellure tenenti*.
Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle loro meda- glie
Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli MACVSANO,
HA D. DE HADRIANÒ. POSTVMIO.
BRONZO. BRONZO. Et fi come
la mazza & in lione fono due cofc fortiflì- Pm . mc,& la virtù e
fiata Tempre figurata ignuda, come quel tribuirono la che non cerca
ricchczzc,ma immortalità,gloria,& ho norc,comc fi è vifto in vn marmo
antico che dice, vi r- U pelle del T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST,
Cofi el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole , doppo
la morte lo figurorno ignudo , con la pelle del lione & con la mazza,
&. la mazza & la pelle infiemc,comc fi ve- de per le medaglie qui
di fiotto. PRIN. Ss. JW/
»74 PRINCIPESSA DI
MACEDONIA. BRONZO. BRONZO. Q^CINCINNIO III. VIR.
AVGVSTO. argento. ARGENTO.
mix* di Fu chiamata da Greci quella mazza psrraAc*, la quale
Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo Hercolc)accompa-] Ja
Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn ramod’Alloro Kbopalos. nc J}
a ma dritta,& nella finiftra la mazza,& vna pelle di
lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la mazza anchora
lignificare la prudenza, conia quale fi gouer- naua in tutte le
fucimprefe. ;; i C. AN.
i 75
uaif f [lor llc<5
n» ifltf Vii C. A NT IO.
MEDAGLIONE DI ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del
mondo, domatore Epitetili de gl huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore
di lioni & di tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. In honorc
fuo,ncI modo che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C.
BRONZO. POBLITIO. ARGENTO. tk ^ | iv laVttUia
i/wiv»»*» » «■»»». w v< » »•»» pelle di lione & della mazza,
fu, perche in quel tempo nons’vfauonoaltrearmijche le pelli
dcgranimalifalua- tichi> per coprire il corpo : & i baffoni per
offendere i nimici, i 7 <r Arme che nimici^
vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con o mo ^‘ a ^ cr * P° ct * hanno
fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe "L Suo ro cane con tre
teftejdell’inferno^crò mi c parfo non HtrcoU. fuoradi propofito
riprefentare qui appreso la figura d’vna pietra antica, fiatami mandata
da Narbona,&ri- trouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de
i baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di
fiotto. S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI Cerbcro.ririrato d’vn mattilo
antico di Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero
per tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe,
co me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato * che hà
fatto Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi leda (fatua del
quale fu altrimenti dipinta con tre palle nella mano diritta, &nclla
manca la mazza, volendo Lffr ; wr . perle tre palle lignificare la virtù
di tre colè, cioè, lènza tudiHcrto ira,fenza auaritia,& lenza
defiderij vitiofironde ancho- k ’ ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua
di bronzo con vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era
flato il fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi. Fu oltra
à quelfo dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A fpctic di
Salicio, del quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica girlandc,
volédo fare à Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 " ffro
Virgilio, doueci dice, “ Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria
circuì n *?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit. Soggiugncndo
altroue, Copulai ^Alcida gratif ima. La quale cofa fi
conferma ancora meglio per la me- daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da
vn Iato c la fua telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno
ai collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , &
Fe- tonte caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac- cia
del fole, & lettere intorno che dicono, a’at'nata z h t n n,
lignificando che ei cercauacofc impolfibilipcr le forze fiumane.
M MED. GRECA D’HERCOLE. BRONZO.
BRONZO. Fuanchoradipintoquefto Hercoledagl’antichiGrc
cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di celata,
vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo lignifi- care che la virtù
dell huomo fcrcifccdi lontano. MED. GRECA BRONZO.
D’HERCOLE BRONZO. Non V .r ,.t* mi
t'W. §* T* 1 b i^v
flfr m m 17* * Non porto fare che
(criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor di&non mi rida anchora della bertialità
di Commodo Imperatore, che vanamente afpirando aU’immorralita p *
zz u del Tuo nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £
della virtù d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio, &della
carta fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M. Aurelio,
vollceflcrc chiamato Hcrcole figliuolo di Gio- uc:& lartciando
I'habito d’imperatore Romano, fi veftì d’vna pelle di lionc, portò vna
mazza in mano:&mefco landò le vcfti di porpora ricamate d oro con
quella altra, non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al
popo Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar-
gcnto,& di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac- concia
come quella d'Hercolecoil la pelle del lione, & d’allaltro l’arco, il
turcaflo,le freccierà mazza, & lettere che dicono, hercvl 1 romano
avgvsto. ■p , MEDAGLIONE DI COMMODO. bronzo. bronzo.
M z i8o Dione.
Colonie Commo- dma. COMMODO.
BRONZO. Ne contento anchora Commodo di quello,
vollc(co me ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di Roma,
facendo battere monete, nelle quali fi vedeua in habito d’Hercolc
condurre due buoi, in fegno di nuoua colonia, Scche ci voleua mettere
nuoui habitatori in Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani
i Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere, chcdicono,coLo N I A
LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO- UC, HERCVLES ROMANVS
COND1TOR. COMMODO. Ma quello chein quello moltrò anchora
più la Tua pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo al Senato Roma-
nojs'atcribuiua in quello modo, IMPERATOR CAESAR LVCIVS
AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS FELIX SARMATICVS GERMANICVS
MA-XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S TERRARVM INVICTVS ROMANVS HER-
CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNITIAE POTESTATIS XVIII. IMPERATOR Vili.
CONSVL VII. PATER PATRIAE CON- SVL1BVS PRAETORIBVS TRIBVNIS PLEBIS
SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI- CI SALVTEM. Andando poi per paefe. lì
faccua portare innanzi la mazza,& la pelle di lionc , onde mol-
te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza dell’altro Hcr cole antico.Dal
quale propofìto ritornando à quello del noftro Hcrcole vcro, &
lanciando in dietro tutte le fauo- lepcr accodarci alla verità
deirhiiloria, diciamo che(lc- condo Halicarna lTeo) Hcrcolcfu vno
eccellente Capitano, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn efferato
gagliar do, pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando i
cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,! ladri , & giada
Alni coll Greci , come Barbari , & Latini: edificando
nuouecittà:& drizzando per publica vtilità (quello che è il debito
d’ogni buon Principe) i camini, & fiumi che guadarono il paefcrdella
virtù del quale, qua- tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo
dffeorfo* nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua di lui,
mi conllringono,per piacere ai letterati amatori delle cofc antiche, di
leguitarc & mettere inanzi Hcrco- le,chiamato da i Franiceli
Ogmionffccondo la narratio- r. ri M
3 . rou[' r8i I
nomi is- tituii che fi duua Com- modo.
Qual fu hcrcole fe- condo li Hi fonografi.
hcrcole Gallico . l i$zne di
Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della come i Fri quale
fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in « fi dipinfe loro
lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’han- roucrtole. n0 formato
in vn modo molto nuotio & Urano, però che ei l'hanno figurato vecchio
, canuto , & decrepito, tutto caluo dinanzi, con pochi capelli ,
dietro "rinzuto, & cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o
marinic rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per
l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la mazza, l’arco
tefo, & il turcafiòda quale cola io harciccr tamentc penfaro che
folle Hata fatta da i Francefi in dc- Htrtolc rifione & difprcgio di
quei Grcci,chc haueuono fcritto negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come
virtcitorc ilRe- f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo
vn numero infini- to di huomini,& di donne legate per
gl’orccchicon cate- • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe,
lenza fa- re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro alla
loro voglia, & di volere rompere i legami, ma parendo che tutti
facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu di lui, dubitando nonrcllarc
indietro, anzi leccando lecatenc, comecola grata, métrcchc Hercole col
vifo volto inuer fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril quale
miflcrio mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à Lucia no,
dice che vn altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grc- co,fc gli fece
innanzi & dille. Amico io ti voglio dichia- rare la difficultà di
quella dipintura: Sappi che noi altri Francefi non attribuiamo
l’eloquenza à Mercurio, co- me vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à
Hercole, come qucl- édanreolc. lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu
non «debbi marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con ciofiajchel’clo-
quen qucnza rade voice è ne i giouani,eflendo offufcaci
dalle tenebred’ignoranza,ondc la lingua de vecchi lènza paf- jfione
pronuncia più cleganrcmcnrcifuoi concerti,cncc il lignificaco di quella
pitcura, volendo inoltrare, che il parlare ornaco li eira apprcflo le
perfone perlaconue- nicnza,che hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci
debbi marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc, che egli habbia la lingua
toraca, conlidcrandoche noi vfiamo nelle nollre Comedicdidire,che cucci
coloro hanno bucara la lin- gua che parlono aflai,& bene, come faceua
Hcrcole:che per ciò(lecondo l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn-
Hfrf0 / f dcua luggecce cucce lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo
fcrf ccua, mediate léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci
{àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe
leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom * freccie,
per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo- Iecedirechela
parola c pennucacome vndardodaqua- lcinccrprecacione ci fcruiràhora
Umilmente per ilcriuc redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon le quali
am- mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco L0>
^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu- rornoinquello modo,
come fi vede per le medaglie di Nerone, doue da vn laro c dipinco con vna
corona d’al- loro, il curcaflo Tulle fpalle & la ftella di Febo, con
lectcrc che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo Conferua tore,lì
come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel me defimoTenfo.
A M 4 CLAVD. NERONE. ARGENTO.
MEDAGLIA GRECA. BRONZO. Apollo dio
di [oiukori di lira. Quella lira fu attribuirai
Apollo, perche gl'antichi penfornoche cifofle Dio de fonatori,
dipingendolo ancora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn ramo
d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna, velie
lunga fino à i piedi, per mollrare la fua deità. AN I
l ANTON. PIO. CARACALLA. ARGENTO. ARGENTO.
- Mai Grecigh attribuirne non folamcntclalloro per vdHoroc
5 la fauoladi Dafne, ma per la virtù della pianta Tempre f*sr*to
ai verde, volendo mollare l'ctcrnftà del Sole, & perche - 1
ella feruiua nella purificatone de i facrificij, & perche la è mai
touo factranonla tocca,comciha fcritto Plinio:& pcrchcdi U f* u
~ quella s’ornauonoi turcaflì, le citare, &i cappelli de gli L'alloro
de Imperatori, quando trionfauono con vn ramo d’alloro dic .* t0 *
* in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò Portina- ea delle cale
de i Cefiiri & de Pontefici , & nuntiatrice di \ vettoria,
conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1 camente Ilare
legata dinanzialpalagio de gli Imperato- ri, con quella di Quercia in
mezzo, come fi vede per il tcftimoniod’Ouidio nel primo libro del
Mctarriorfo- o iddio. (co douc ci dice, * JMediamtjtie
tuebere ejuercum. Delle quali corone fi rrouano tutte piene le
monete de gl'imperatori in quello modo, < M j
v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA
RELIGIONE A VGVSTO. BRONZO. ARGENTO.
Plinio. Inodore di rdUoroftfc ttiU pejle.
Dbterpcpà ture de U flatua d'Ar pollo.
Probo. La virtù di qucfta pianta c tale, che fc nel
tempo di peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo (blamente l'odora Se
porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo fi legge che cflendo
vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò à Laurentojcoficonhgliacoda i
medici Tuoi, per cflcrc quel luogo abbondante d’allori. Et quanto
alì’imagine d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la lira, con la quale
lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore Gallieno (volendo moftrarela
(ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol- pire informa di Ccntauro,con la lira
in vna mano, & nell'altra vna palla con quefte parole., apollini
co- miti, moftrando che egli andaua col fauorc del Sole. Ma Probo
lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in ca- po, & con la briglia
in mano di n n.caualli, chiaman- dolo luuitto con quefte parole, soli
invicto. Et glabri Imperatori , come Coftantino , Aureliano Se
Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole ignudo, coronato di razzi,
con vna palla nella mano diritta, Se nella DE G
L' ANTICHI ROMANI. 187 nella manca vnasfcrza, con limili parole,
soli invi- cto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apol- lo egli
haueuono vinto &lbttomeflcdiucrfe
regioni. GALLIENO. BRONZO. COSTANTINO.
BRONZO- PROBO. BRONZO. A VP ELIANO. BRONZO.
, Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè Tempio del
era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe ' medaglia di
M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi- figurato il Sole in vn.tcmpio
quadrato,& accompaqna- to da limili. parole, in. v ir r, p. c. cioc,
trxvm- vir i38 vir
reipvblicae constitvendae, &dalf altro Ia- to, MARCVS ANTONIVS
1MPERATOR. M. ANTONIO TRIVMV IRÒ. ARGENTO.
Moneta di I Rodianidipinfono nelle loro monete il Sole coni
KodianL razzi j n capo, lenza barba, & con i capei lunghi da vn
lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in vn modo,& horain
vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto- KPITOI, Se POAION,
MONET ARO PIANA. VVù OiT^ v iV MONE
DE GL'ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI
ANA. BRONZO.ALTRA MON. RODIANA. ARGENTO. Etne roucfci delle
medaglie d’oro di Traiano, Ha- Vorlpat ' driano>& Aureliano
Imperatori fi troua ( fecondo l'v- u°mc2gul fanza de Greci) fcolpito I
Oriente per la faccia del So- de limpt- le,con lettere che dicono,
oriens. Ma in quelle di ratoru Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo
accompagnara dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi-
ma medaglia vna Vettoria,che tiene per la briglia i caualli del
Sole. TRA Coloffo Rodi- T
R A I A N CL AVREL1ANO. ORO. ARGENTO. , ' Non
erTlaTnaTa Tintcntionedi fcriuerc altrimenti del * ColofTodiRodi,il quale
era la flatuad Apollo, perche io ne haueua già parlato.nel fecondo mio
libro dell Antichità di Roma,maeflèndomi flato predato vn certo libro
Greco antichiflìmo, & lenza Autorc/critto a ma- no da M Giorgiodi
Vauzelles Caualierc di Rodi, &h-
onore della Torretta, quale egli haueua portatodi Grccia, non ho voluto
mancare di communicarc a gl altri huomini ì*r huomini quello, che io ne ho
ritratto intorno à quello, nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del
mon- do (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi
Deferito- fatto in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,&
al- todi fettanta cubiti. La bafeche lo fofteneua era trian a.
golare , & ciafcuno lato (ottenuto da fettanta colon- ne di marmo. La
(tatua era tutta vota dentro & fatta à (cala à vite, per la quale fi
faliuafinoà la cima:&quiui erano diuerfi ftromenti, che in verfi
Iambici faccuo- no vna mufica foaue. In quella (tatua, la quale era
volta inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il paefedella Si- ria, & i
nauili che andauono in Egitto, mediate vno fpec- chioche ella haucua
legato intorno al collo , cttcndo del retto tutta ignuda, con vnafpada
nella mano diritta, & nella manca vn’hafta lunga,tanto che la
(pefa cofta- ua ccc. Talenti d’oro. Aucnne di poi, che doppo cinquanta
anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per ter- ra da vntremuoto, che
durò vii. giorni , & coli rotta in Mirrile piu parti (ì trouauono
pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto ' tracciare vnodei fuoi diti
grottì,& colui che ne compe- rò i pezzi del bronzo, ne caricò 500.
Camelli.Ma ritor- nando al noftro Apollo, & alla diferenzachc egli
hebbe rifiorii* con Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A
P °£ 9 libr.de fuoi Floridi, dico che à cottui parcua edere coli eccellente,
che accecato dalla fua infolenza , non fi ver- gognò di volere competere
nella mufica cori vntanto . v Dio,allaprc(cnza delle mule, le quali, data
la fentenza in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad vno al- M
- bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità, fiortiutt.
lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i. t: fuoi
isn . Tuoi Farti, dicendo, o uidio. ‘Prouocat & e Phcebum
i < Phxbo fuperante pependin . Cafa recejprunt a cute membra
fua. Et Nerone nel fuofuggello, del quale la figura cpofta
qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTRATTO d’ t ma pietra
tattica. Dipingeuono fimilmcntcgrancichi Apollo
accom- dtUc°Mufe pagnato bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare
che con Apollo, tra lui Sdoro, è vna naturale conuentione, fi
comcmo- Virgilio, rtrò Vergilioall’horache della natura di quelle
ragio- nando dille, In medio rejìdens compleBìtur omnia
‘Phccbut. l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini
figurate(coucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto delle feienze
« . ' nafee , 1*3 nafcc dal giuditio dell’ingegno, & perche la
virtù occul ta fi contenta del fuo ornamento naturale: &: che
l'ha- bitationc delie Mule uer i monti &; per i bofchi,non fi-
gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti & ccccl- imonti. lenti
viuono,& vanno volentieri foli,& feparati dalla ignoranza della
plebe, (blamente (come dille il Petrar- ca)al vii guadagno intenta,
imaginandofi la (ciocca, che le lue ricchezze le habbinoà infondere ad vn
tratto la fapienza,& la dottrina nel capo , perii che diuenuta
infolcntillìma, & volendo riprendere quei, che fanno più dilei,
rimane alla finelcorbacchiata & fcorticata, co- me vna bcllia della
propria pellciilqualc propofitocoti fermò Plutarcho quando fcrilTechei
templi delle Mufe non fi trouauono altrouc le non lontani alle Citta ,
& a i eradichi de gli huomini plebci:& Orfeo & Proclo
ha- no voluto che le Mufe fodero le prime inucntrici della gionc .
rc rcligionc,dclla quale
ritorneremo fubito a parlare, che noi haremo inoltrata la figura del
Trepie,ò Tripode d'Apollojgià tanto celebrato & venerato da
gl’antichi. S Apollo, Di quello adunque fi vede il difegno nelle
medaglie d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che
io Rimo anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò antico che io hò
meco , douc egli e figurato con vna cornac- a j chia,la lira,& vn
ramo d’alloro, tutte cofe conlagrate à a pollo, lui, come qui fi vede. N t>4
DIASPRO ANTICO. VITELLI O. ARGENTO. VESPASIANO:
ARGENTO. Il iimu Tf » Il
fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella ìtsoledrt - loro lingua
HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe- latore Antonino, coli chiamato
anchora lui, il quale nel (,«/„* monte Palatino gli fece fare vn tempio
(come fcriuc Lampridio)& qui volle che non folamcntci Romani, r
ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti i loro facrificij, non per
altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio dedi za egli era
flato fatto fàcerdotc del Sole , honorato & ** s ®: tenuto in
grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha- tiero&mo» ueuono fatto
vn tempio marauigliofo di pietre quadra- Antonino te, & (come fcriuc
nel 5. libro Herodiano) ornato dar- gento,d’oro,& di pietre prctiofè
: onde io ho tra le mie le. due medaglie d’argento del detto Imperatore,
nelle quali fi vede in abito di fàcerdotc di Fenicia facrilicare al
Sole con vna tazza in vna mano,& nell’altra vn ra- mo
d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco accefo,fi Vede il
Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle meda- glie, svmmvs sa cer do
s, & nell’altra, invictvs sacerdos ,chc fono i medefimi epiteti del
Sole. HELIOGABALÒ.
ARGENTO. FORTV NA. t5rf Io nonmidiftcnderò più oltre
àfcriucre la vita fede- rata di quello Imperatore, ma bene mi dorrò del
cieco & tirannico arbitrio della Fortuna, che lo meflc in quel
luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora veggiamo che ella fa di molti
altri à i tempi no(lri,onde gl’antichi volendo moltrarc la fua portanza ,
& come ella gouer- naua tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn
corno pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn
timone U fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO. HADRIANO.
ORO. ARGENTO. ANTON. PIO. ARGENTO. 1*7 F,u
Umilmente figurata da glantichi à federe in terra col comocopia,& vn
braccio appogiato fopra vnaruo- ta,per moflrarc la fua inconftanza ,
& limili parole, fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le
Aprile rr- cclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche hauc-
uadipinta la Fortuna à federe, rifpof? chchaucuaciò fatto per che ella
non haucua mai ripofo. ANTON. GETA TRAIANO. argento. argento.
Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i Greci
lachiamorno sella folle fiata buona,*«^ w, ^ ^ *»»comc fi vedrà per vno
intaglio antico portato di Gre- fortuna cia,& donatomi da Frate
Andrea Thcuet d’Angulcmc, nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con
molte al- Caladi tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel
libro che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan- do in quello
mezzo la nollra Fortuna d’vnDiafpro , & d’vna Corniola antica,doueella
c fcolpita con vn cor- no d’abbondanza, & vn ramo d’alloro,
lignificando DIASPRO antico, corni O- LA ANTICA. La
fortuna accompa- gnava il Ut to diCefa- ri.
Vlinio. Difftnition de la
fortuna. Arijlofane. Tempio fuperbo de la Fortuna
in Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro
acr compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che quando
ci veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta- taàiloro
fuccelforr.ondePlinio la chiama leggiera, in- conftante,&fallacc,come
quella che fauorilcei manco degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna
non c altro che la prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri
iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et la caufa perche gl'antichila
dipinfono anchora cieca, fu per la cagione nominata di fopra-di che ha
molto bene icritto Arifto- fahe nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il
quale argu • mento hà Tradotto Luciano nel fuo Mifarftropos.il det-
to Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale richczzo à i buoni, ei fi
moftra zoppo, & porgedoleà icattiui,cor- re leggiermente. A‘
Prtfncftc anticamente fu il fupérbo . tempio di Fortuna cdificatoda Sylla
, con la Tua ftatuà di bronzo dorata, la quale èra di tanta eccellenza
cheli foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna cofaben
dorata w> dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla
di quello, cominciò à fare il pauimento di detto tempio di
Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates , con mirabili figure di
diuerlì colorali comcPlimo (parlando dei pauimenti) fcriuc nel xxxv.
capitolo del xxxvi. li- bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna
può molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo lo Dio
Marte, al quale i Romani feciono fare diucrli
templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo chiamorno vna volta
Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria (lilla mano:vn’altra volta
Propugnatore, Vendicatore, &Pacatore, quando egli haucua nella mano
dritta vn ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i
piedi, & dinanzi targhe, rotelle, & il celatone,con vn pen
nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori, li- gnificando che
quelli che vanno alla guerra, li debbono lenza paura moftrarc à
inimici. M« [aito. MARTE-
Epiteti di Marte. Qui ua alla guerra non deve ha
tter paura. V1TELLI O. ANTON. PIO. zoo L’haftachc
eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi- ni,& Romolo Quirino,comefi
vede per le infralcrittc medaglic,doue egli è dipinto tutto armato, per
fignifi- care,che lui era vendicatore, nel modo che lo chiama- rono
i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno. ANTON. PIO. BRONZO. V aoi GORDIANO.
ALEX. MAMMEA. BRONZO. HADRI ANO. ARGENTO. CLAVDIO.
BRONZO Il tempio di Marte Vendicatore fu fatto i Roma per
Tépioetifì Cefare Auguftoin forma tóda,à cau fa della gucrra.chc
egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare fuopa da a ugufto
dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei Ct f* re ’
dice Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori ouidio.
Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit. Scriue Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana,
che OÌ9at » N 5 ARGENTO. r pmfr. 101
DELLA RELIGIONE Celare Augufto edificò quello tempio in
Campidoglio} & vi fece portare gli ftendardi &inlcgne militari,
con l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo an- chora
maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece condurre il carro fui quale
egli haueua trionfato. A VG V STO. L. - CTN NX ARGENTO.
ARGENTO. Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere
già ville di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica torc
& Propugnatore, & in molti altri modi Greci & La- ùniche
forebbono troppo lunghi à raccontare, coli dir
pin AVGVSTO. ' , . Ci , ' *
ARGENTO. . *>3 jpingendo Venere,
la chiamorno Vincitrice, con la Vet- raria, Io feeeero & appogiata
fopra vno grande feudo, & v e n b - altra volta con vn morrionc in
luogo di Vettoria,ò con R E * vna palla, in figno che ella haucua
fupcrate in bellezza tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde
Poeti, era carro div e tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio,
- JuriBif^ue per dir A cygnis 'C arpie iter. CARACALLA
M ACNVR B FcX nere tratto da duo ti- gni.
PLAVTILLA. FA VSTINA. La Ve
io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi ,i Latini
1 hanno detta Dea di bcllcza,&di gencratione,nata(fec6 do i
Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel libro della Natura de gli
Dei,parlado di i n i. Venere, dice che Tempio di l’vna fu figliuola del
Cielo,& di Giouc,&haucre vifto il eMc* hi o tempio in Elide:
l’altra vfeita della fchiuma del mare: la terza di Gioue& Dione
moglie di Volcano:& la quar ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc
fu quella mari-J D*r vene* tat ‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio
hàpo re fecondo fto due Venere, vna cclefteche incita gl’huominialbuo
vintone. no amorc> & l’altra terrena che gli muouc al piacererdi-
cendo chela prima fenza madre fu figliuola del CicIo,& venere uc- 1^
altradi Dione &diGioue:Iaquale 1 Fenicijvenerauo- ne rata
Tcnicij. ta dai no afiai, per cflere (lata moglie d’
Adone, & Adone nato nel pacic loro, onde in memoria della mortedi
quello lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali
fàuololc opinioni & fu perftitioni lanciando tutte in dietro,
ven- ghiamoà vedere come fenfa laVcttoriala dipinfcCe- fare
Dittatore nellefue medaglie. ARGENTO
GIVLIO CESARE. Et ne ANTICio* Et ne i
rouelci delle medaglie d’argento di Cefa re mi - norc,fi veggono due
Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut re volando, & lei che
ticncabbracciato il fuofccttro con 11,. lo d 4 duo
lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi. Gl
VL. CESARE. ARGENTO. AVGVSTO. ARGENTO.
Auguftodipoi dedicò à Giulio Celare il tempio di Tempio
di Venere Genitrice, coli adorata da i Romani, &alla qua- j' n ' rede
' le haucua Cefarc fatto vn bullo di perle, le quali (come A u g u ji
0 fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell Hilloria naturategli Ctfurt,
haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima farrofa- bricarla detta
figura diVenere Genitrice da Archefi- lào:& per la fretta di
dedicarla,non fi fendo potuta for- nire, coll imperfetta la collocò nel
mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES ANT I-
NOVS. Tempio £ fAntinoo magnifico e di
fiotto da Adriano, fopra il Ni lo. Taufania
in Arta£ck. Io non hareì altrimenti qui fcritto d’
Antinoo , quali tunqucHadriano Imperatore lo faccflegià deificare,
fc 10 non mi forti per forte ritrouate due fue medaglie, che
11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello, doppo chcei fu
morto, accompagnando Hadriano nellafuapc regrinationc fopra al Nilo:il
quale non cotento di que- llo, & doppo haucrlo pianto molti giorni,
gli fece edifi- care vn tempio, &vno altare, con vna Città
chiamata dal fuo nome,douc meflè faccrdoti & Flamini per farti
làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir milmcntc
vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne igynnafij,& per tutta
la Città fono nome di Dionifio, come narra Paufania.EtpcriI rouefeio
dvnamcdaglia ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio ma-
gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo honore,&
adornare & arricchire di belle ftatue& indagini, con talcinfcrittione, AAPiANos
okoaomhìen, che voi dire, adrianvs constrvxit, frdifottoil
tempio de gl’Antichi romani. tempio è
vnCrocodilo, animale particolare del fiume Nilo, nel quale mori
Antinoo. MEDAGLIONE GRECO CANTI NO O. k
MEDAGLIONE GRECO D-ANTINOO. Antmoo tu Ma
nell'altra fua medaglia fi vede vn giouane di Biti toin b iti- n i a Ji
marauigliofa bellezza con lettere Greche che dico nO,OZTIAlOZ
MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * » or. & dall’altro lato, t 012
axaioxx an e ©hke , cioè , HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS
ANTIN0I acheis dic avit , & nel rouefeio della medaglia c
il eauJb fcolpito il cauallo Pcgafo,& Mercurio con i talari & il
regdfo. Caduceo. DAGLIONE GRE D'ANTJNOO.
Fina i °9 Finalmente per l'intera cognitionc de i
templi antichi, quanto alla religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui
di lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non ho potuto tirare
(enfo alcuno. CL. NERONE. TITO. BRONZO.
BRONZO. SEVERO. bronzo. bronzo. L’ vicini
o di quelli quartro templi,fattoin forma ron VESTA - da,parequafi limile
à quello di Velia tanto riuerira da r Romani, per ripofare là dentro
Iaftatuadi Mi nenia, fta- ta portata, da T roia:& la quale era in
tanta vencrationc O no Tempio di
Pace abbru ciato. DELLA RELIGIONE che mai huomo non
l’haucua vida.Nondimeno quado abbrucici il tempio della Pace, il fuoco
s’appicò anchora à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio, &
con cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio
dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei del- le medaglie di
Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è altroche vna piccola datua di PaIlas,con
l’hadainvna mano, & nell’altra vno brocchiere.
VESPASIANO. GIVLIA PIA. ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO VESPASIANO. ARGENTO
BRONZO. Fedo DEGL'ANTICHI ROMANI. in Fccionogl’antichi
quello tempio di Vefta informa Tempio di tonda, llimando che tale Dea
folTe la terra, & il primo fu Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto
Ipctie direligione, la ferocità de Tuoi fuggetti. EVINTO
ARGENTO. NERONE. ORO. VESPASIANO.
ORO. ~ L’entrata dfq nello tempio era vietata à
gl’liuomini, comeànoi hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^
nache già (late riformate :& il numero delle Vertali fu drOcvrfia-
ncl principio mi.&dipoiv i.& coli durò lungarni nte, w - O
‘ z mi come mollrano le medaglie di Fauftina , &
di Lucilla^ ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di facrificare,con
i loro li. vefti menti bianchi.chia mari dai Latini Sufftul* , lun-
ghetti & quadrati , tanto che le ne potcuono coprire la iella,
& Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc la BadefTa)hauere come
prima il fympulo (vafo ordinato peri facrificij)in mano, & l’altra
innanzi alci, chela ri- guardaci turibulo in mano Umilmente detto
^cerradi Latini, col quale(facendoalIa Dcafacrificio)dà lo incen-
do alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc concila nel modo che fi
vede. '-'FAVSTINA: medaglione di BRONZO. LV
CILLA. Augmcntornocoltcmpo quelle Vertali fino al
nume fiali orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere Monache
cheellefof tt al [imi- £ no natc Ji padre libero non feruo, vergini,
& lènza ma fta. 1 Vt ~ cula alcuna nella loro pcrfona,& d’età di
Tei anni fino à dieci, nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo del
facrifi- care,comc moflra la medaglia di Fauftina, netta quale fi
vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al Munifleroda quale
zi 3 quale à capo d’altri X. anni faceua làcrificio , &
ncl- l’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre que-
fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io. fi
poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u ge^tutte
quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari - lunate &.
capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘ detto che la principale
di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro mani chiamata Maflìma : noi prouerremo
quello per due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro
tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello modo.
Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale. FL. MANI LI AE
V V. MAXIMAE, CV1VS EGREG1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM MORVM
D1SC1PLLNAM INDEOS QVOQ. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENATVSLAVDANDO COMPROBAV1T
AEM1LIVS FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I SILVANVS ET H IR E N E
V S SOROR 1 S FILII A' MILITUS OB EXIMIAM ERGA SE l’IETATEM PRAESTANTIAM
Q Epitaffio di Claudia Elia Claudiana ZJ e fiale. CL. AE LI AE
CLAVDIANAE V V. MAX. RELI- GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q. CVIVS RITVS
ET PLENAM SACRORVM ERGA DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE- TERNAE LA V
DIBVS SS. COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS ADMON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano
quelle vergini Veftali hauute in grandilfima vcnerationcdal popolo
Romano, come fi vede nelquin veneranoto libro della prima Deca, di Tito
Liuio, douc èferitto wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede
Albino huomopo fiali. polare,comadòalla moglie & a i figliuoli di
Icéderedel carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto
aueniua pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr- fuoco
per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d pttU °'
qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal gran
Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni r inoiutio- annofoflTcda
loro rinouato,quafi nel modo che foglia- ne del fuoco mofarenoidcl gran
cero di Pafqua.Su l’altare degli He U fitto fan brei fimilmcntcftaua
Tempre il lumeaccefo,fignifican- no in anno . do che le grafie di Dio Ita
no Tempre per gl'huominiap- parecchiatc tanto di dì, che di notte:&
nella miftica Tco logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché
fuoco, ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo mouimcnto
per le medefimo non genera nulla,però era dalle vernini guardato : &i
Poeti anchora (parlandodi fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa & intefa
in qucfto fcnlo,co- me fi vede in Ouidio,quando ci dice,
’Nectu aliud "vejlam ejuampuram intelligejlammdm, ‘Natdque de
fiamma, corpora nulla. vides. Iure igìtur virgo e[,(jua [emina
nulla remittìt, *tiec capirà comires virginitatis amar,
dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf-
flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre
ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la prima Lt ve fiali
volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi fan togate. no ] c
Monache noftre: ne era loro permelTo di lafciarfi piu DE GL’
ANTICHI ROMANI. più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando
al xvi.Iibro dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos efiejua
C<t pillata dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea capillus
defertur.\\ vitto loro vfciuadal publico, & durò quella vfanza (ino
al tépodiTeodalio Imp.chriftiano, al quale mandorno iGécilhuomini Romani
Symmaco Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora
faceua refideza il detto Impcratore^pregandolodi con- fcruarc i priuilegi
alle loro Vertali, acciò che elle potelfi- no cflèguire i teliamoti
&lafciati ftati loro fatti da diucr Ce pcrfone,però che i loro beni potcuono
cflcrc tali, che di quello che farebbe auanzato loro, harebbono
potu- to aiutare molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di
loro nonfoflero andate mendicando per Roma, & po- tendo giouare
anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan to in quello
roftinationedcH’Imperatore,che Symma- co non potette ottenere il
defiderio Tuo, ne del Popolo Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali
tutte l’entrate, di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili
parole: Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros
Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius integriti
yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnen- do più baffo. : Sequura ejl
hoc fames puhlica , & Jf>em prouinciarum omnium me fi agra
decepit,. 'Non fìtnt hac "pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu ,
nec rubigofe - getibus ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio
annus exaruit. Ne cefi enim fiit perire omnibus quod religioni- bus
negabatur. Quid tale proauipertulerunt,cum religtonum miniftros honor
publicus pafeeretì A' i quali argu menti rifpofe poi affai bene
Prudentio,moftrando che innan* O 4 ir 5 Le
Veftali haue ujno lor vitto dal publico. Teodofìo
imp. Cbri- ftiano. Symmaco patritio am bafi.
Amba f. di Symmaco nulla . Aifrojìa
de Prudcntioi Symmaco- zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari,
ne Dei penati follerò itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra picnodinaui-
li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,& tanta gran de
abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo reitiero che vi venifle
per vederci giuochi Circciì,non morì di famc,& che fc tal volta la
terra iterile non ren- derla le biade in abbondanza, naiceuaqueito,ò per
cagio Trudtntio. ne dcH'aria.ò per altri accidenti naturali, il
cheanchora meglio dichiara nel principio del iuo libro fecondo, do-
ue dice parlando contro àSymmaco: Ultima legati defitta dolore
querela ejl , ! Palladiu quod farra focu,vel quod fip'u ipfs
U irgimbm } caìlifque torti alimenta negentur. h XJeJlales foluù
faudenturfumptibus ignei. Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita
& modi ho- nciti delle vergini Vertali, dice in quello modo:
Qua nunc Oefalis fu virginità tu bone fot, 2)ifcutiam,qua lege
regat decus omne pudori*. kA c primum parua teneri i capiuntur in
annis, lAnte Voluntati* propria, quam libera feda Laude pudiciria
feruens,(Q amore Deorum, 1 tifa maritandi condemnat vincala
fexus. Captiutts pudor ingrata addicitur arit , ‘Nec
contenta perir miferisfed adempta voluptas , Corporii intatti meni
non intatta tene tur. ’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut
innuba cacum ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina redat.
Tum,quianon totum JJ>es falua interfeit ignem, Nam refdes
quandoquefaccs adolere licebir, Feda Dtfcrizione
della ui ■ ta delle Ve fiali. FeJldrjue decrepiti s
offendere flammea canti Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens
, Tandem virgineam fajlidit Zdejìa feneBam, 2)um rhalamit
habilis timuit Vigor, irrita nuUns Foecundauit amor materno vifcera par
tu , Tdubir anta veterana [acro perfunBa labore ,
2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata tuuentus, Transfert emerita* ad
f ultra iugalia rugar, Z)ifcit &• in gelido noua nupra
repefcere leBo. Intere a dum torta vagos ligat infula crine s,
Fataléfjue adoler primas innupta facerdos, Fertur per mediai vt
publica pompa platea t. Rilento refdens, molli scejue ore
reteBo Imputar attonita virgo ffeBabilis Vrbi: Inde ad
concejfum cauea pudoralmus expers Sanguina, it pietas hominum vifura
cruento s Congrejfu, morte fjue,^d vulnera Vendita pajlu Spellatura
facris oculisfed & illa Verendis, Vittarum infignU phalerufuiturtjue
lanifis. 0 tenerum mirimene animarne onfurgit ad iBus, Et
tjuoties viBorferrum iugulo inferir ,illd T)elicias ait effe
fuas,peBufe]ue incentri TJirgo mode fi a iubet conuerfo pollice
rampi, *He lateat pars ‘itila anima vitalibus ima girini
impreffd dum palpitar enfe fecutor. Hoc illud mentum efl,tjuod
continuare feruntur Excubiat, Lari] prò maiejlate palati],
Quod redimane viram populi.procertimaue falutem, ‘Perfundunr quia
colla comis bene, Voi bene cingane Tempora taniolrsjtf litia crinibue
addane. 9 5 p ompa iti le V filali
nel tempo di Pruden- ti. Di qual ma feria
fabri- cauono gli antichi le imagini. p aufania
in Arcadie if. \A uite è mtn fugget ta à
corro- sione. U8 Et quia fubterhumum lujlrales
rejlibus Ombrìi In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc
mifeent. Quello c tutto quello che Prudentio fcriue della fuper
(licione & pompa delle Vertali , che acconcic lafciua- mente andauono
fopra i loro cocchi, o carrette à vede- re tutte le felle St giuochi
cheli faceuono ne i circhi & Amfiteatri & (oltre à quello che fi
conuienc all’habi- to,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere
di vedere i gladiatori combattere con le beftic feroci, &
ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine de ver- fi fopradetti
priega l'Imperatore di tor via coli fatti fpettacoli crudeli, dicendo in
quello modo, Te precor ^ Aufonij T)ux ^Auguftifìme regni,
TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a rolli. Hauendo à
baftanza fcritto de templi, & nomi de gli Dei & Dee de gl’antichi
Romani ,rcfta à vedere, & faperela materia della quale ei fabricauono
le imagini Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania) dc-
bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc, & di
boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga la radice deU’vliuo per le
ftatue minori, & Plinio la vitc^ quando ci dice dhauere veduto nella
Città di Polo- nia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno
di vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere fiata
vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i fopradetti legnami,
come quelli che durauono aflai, la vite fenza dubbio, è quella che è men
fuggetta alla cor- rozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze,
quan- tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta
d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c chiama
zip chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya.
quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore & di
frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per l’odore tra tutti
quelli, che nafeono nella contrada di Cyrcne,foggiugnendo che della Tua
radice fi faccuo- no anchora mille intagli & cofc pretiofe. Vfiirono
fi Gli antichi milmcntc gl’antichi di fare ftatue di cera & di falc,
onde u b aron ? di non è molto tempo che in vna grotta prefloà Volterra i
magni & nefurno alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano
molte cole antiche di vetro, tra le quali io ho vn vafo fatto in forma
della teftad’vn Moro, & ripieno il fondo di certa compofitionc
anticaglie fa molto di buono, il qualccon molti altri fu trouatogiànel
Delfinaroin ca- la del fignore della Motta, che ne fece prefente alla
buo- na memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno ol- tre à quello
gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto, il bronzo,il ferro, lo
llagno,il piombo, l’auorio, &ìater ra grafia detta arzilla,
accompagnandole permaggiorc ornamento de iloro templi, di pietre
pretiolè, & final- mente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati
dilon tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo
&ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu Ili fumo
diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani. Flamini,
&Archiflamini, che tcneuono i primi ordini fagri:gl’Auguri per
gl’vccelli:i Salijper Marte, & altri preti particulari (quali
come i noftri Canonici) che fur- r rr lì 1 • i i Sacerdoti no afiegnati alla
memoria de loro Imperatori, da poi che Augnati» egl'erano fiati
deificati, come gl’Auguftali d’Augufto, gl’Heluiani d'Heluio,gr
Antoniani d'Antonino, gl’Au - TulTiìanU rcliani d’ Aurelio, & i
Fauftiniani di Faufiina , tutti oidi- f*»fiinia- na nati per la
religione, pietà, & fàntità, la quale Cicerone interpreta per la
fciéza d’adorare i loro Dei, ò più rollo demonij,& per fare
facrificij, cerimonie fagre,dedicatio-
n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti &altre loro vane pompe
diaboliche, & vane fupcrllitioni. Sicrrdotio
ic i futi Amili. QUffto fi- enfi do è detto
da Li tini. Ambir tuli fieri. 2) e s^t Cervo ti
1 et fz^ti Ornali elei facrificio chiamato isi mheruale
. Omolofuil primo inuentorc di quello ordinc,8c dicreare il
primo facerdotc per i facrificij publici intorno alle terrc,&
al- le biade , acciochc elle crcfccffino in maggiore
abbondanza , pigliando per infegna vna corona, ògirlanda di fpighe,
legata con vn cintolo bianco, ne palfauono il numerodi xn. Quelli
cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio era tale. Il primo
di quelli facerdoti accompagnato da tutti graltri,&r coronato d’vna
girlandadi quercia , cantando le Iodi di Cerere con vna troia,© vna vacca
pregna cir- cundaua tre voltci campi pieni di biade, & doppo
ha- uerebeuto del vino,& del latte innanzi che fegarc le
biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et il pa-
ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna & da tutte altre
malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra, &di poifatta
vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo- lata con zolfo
I’acccndeua,& tre volte circondando il Tuo belliame con certi verlì
facri Io profumaua,facrifi- candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di
latte alla Dea Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo
rende , in rendere ficuro( come e detto) il Tuo
gregge da tutti quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z>
E U lor dignità. Verta fpetie di religione fu portata à Ro-
cicerone ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.
Cicerone (per eflèrc flato di quefto or- dinc^ Icriue nel libro della
Natura de rate di prò gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin-
^tf^aiKo natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.
harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro o fuora di Roma,che
prima non haueflìno prefo l’Au- gurio. Anzi venne quella dignità in tale
riputatione, rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono
quelli eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en- trare in
quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie di Pompeo, &di Ccfarc
Dittatore, che vi mcllèanchora M. Antonio & Lepido, nelle quali fi
troua il lituo(bafto- m. Anio- ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri
vclcoui^ilfym- pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne
che moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio.
IL LI * « IL L 1 TU 0, S USTORI B UV- gurale
degli antichi Romani. GIVLIO CESARE. POMPEO.
argento. a r r. f. n t o. M. AVR.
zz 5 M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO. RESTI T.
ARGENTO. ARGENTO. ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO. ARGENTO.
Erano Nuwfro de gli Auguri.
Auguratorio. jJtuoJbajlo ne Augurale. zi 4 Erano
in quello Collegio degli Auguri tre nel principio diputati,àcaufia delle
treTribu,&di poi quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il
popolo col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro no
aggiunti cinque della Plebe & mi. Patri tij, & coll continouò
dipoi femprequeftavfanza di noueinterpre- ti de gli Dei fino alla fine.
Il luogo, nel qualcfipiglia- uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc
l’Au- guratore ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in
mano,col quale fegnaua 1 quattro angoli del ciclo, eficn- do veftito
d’vna verta doppia, & lunga,tintain Scarlat- to, &chiamata Lena,
o Trabea da i Latini, come fi vede nelle medaglie di M. Antonio ,
con tale infcrizione, MARCVS ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI NEPOS,
AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M. Et in vn’altra fi vede la terta del Sole ,
con tali parole abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti. TVENDAE
CONSVL DESIGNATVS ITE R VM ET TERTIVM: & figurate con altre di
LcntuloSpin- ter,nel modo che fi vede qui di fiotto. m.
anto"n ia ARGENTO. Lcntu
LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO. ARGENTO. Ec
per venire alla conclùfione di quanto io voglio vtjtidift- fcriuerc de
gl’Augurij, io metterò qui dinanzi la. figura a»*
ritrattadVnàmedagliad’argétod’AuguJfto, nella quale SUuU ' fi veggono
ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il fimpu I . lo , & lituo in
mano x tutti inrtrumenti accomodati alla loro religione,
• -V P • H] k
i fi Wc ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE.
PORTANO L'Vfitt- gnt tltld religioni per mejlrdr U fitti. Quanto
all’augurio de Galletti , & del loro beccare, onde gl’Aurpici de i
Romani folcuono pigiare l’augu- rio, & giudicare delle
cofefuture,anchora che io ne hab- bia ragionato qui difopra,&chciociò
ftimicofa ridicu la, vana & piena di fuperftitionc, io nondimeno non
ho voluto mancare per fatisfatione del lettore & de gli amatori
delle buone lettere di moftrarne qui Ja.prefen- te figura.
P a FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA D'iAM-
gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt. I Romani hcbbcro in tale venerationc i
lacerdoti drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il loro
giuditiodcllccolcaucnire & di quello che doucuono fare,(opra il
beccare de polli, non cominciando alcuna imprefa che prima non hauclTìno
prefo quello augu- rio,ncl quale fé vedeu ono beccarli allegra
mentc,piglia *uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de
ro- non faccuono in quel giorno cola alcuna. L’huomo, che baueua la
cura di quelli polli, li chiama ua pvll a • Rio, & la gabbia, ò
Hia douc erano rinchinlì, cavea tVL l aria, fatta nella medelìma forma
diqucliachclì vede di marmo nella loggia del palagio dei Cardinale
Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio pollo qui di Lotto nel
modo chefegue, wt I. 0 ST1U *P ZJ L L
ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma . M. POMPEIO M. F. ANI
ASPRO LEG. XV. APOLLlNAR.> COH. III. PR. PRIMOP. LEG. III.
CYREN PRAEF. CASTR. LEG. XV. VICTR. ATIMETVS LIO.
PVLLAR1VS FECIT ET SIBI ET M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE
COL. ASPRO SATVRNINAE , FILIO SVO ET VXORI SVAE M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO
MINGRI U.varro. 1 fdctrioti differenti
fecondo le dijferentìt de gli Dij. Ornamen- to del
fla- mine Dia- le. Del Flamine Diale. Sacerdoti di
Giouc& di Marte fumo ora- dinari, & chiamati Flamini da
Numa Pompilio: onde Varrone nel libro della Lingua Latina
dicc,chcgrantichi hebbe- ro tanti Flamini j. quanti haueuono Difc
come il Diale di Gioue,il Marnale di Marte, il Quiri- nale di Romolo, il
Volcanale dì V òlcano, & molti altri alla differenza de noltri che
noi chiamiauono Vcfcoui, Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail
Senatodipoi ordinò anchora Flamini à ^'Imperatori diati da
loro deificati-come gl’Auguftali per Augufto,& gl’ Antoni- ni
per Antoninoctra quali il Diale era meglio vellico de gl'altri, &
haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata loia- mente per i Magiftfaci, &il
Flamine lolo portauail cap- pello biancojfcnza.il quale non gli era
lecito vfeire fuo- ra dicafa- CAP .«. z)i
CAPPELLO DEL FLAMINE ritratto et i>n fregio antico di marmo eh e
in /Lorna. De Sali], Ra tutti quelli faccrdoti ne fece
Numa anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io Icnni,che ei
faccuorio ne i loro facrificij. Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe
infì- noà x xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir- tanti che
feciono vngran Collegio^, ne potcuono cfleredi quello ordine le non
quelli, che non haueuo- no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito
Liuio, egli andauono cantando & ballando per mezzo la Ara- ba,
& cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra- uono in mano lo
feudo célerte 1 chiamato , zHncilè ì in ho- norc di Marte, come lìvedeDtr
le medaglie d’Àu’truAn <^efaxe,& d’Antonino nmm
Poi» pii infittiti iSalif. Tutto fillio. Anale,
jcu- ànrrltM* 1 AVG. CESARE. ARGENTO. ANT.
PIO. BRONZO. totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra
vna velie honorc- turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata
in capo,& quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna
daga,o pugnale che portauonoin mano. Uj, <
Sdendoti tbumeti Epuloni.
2>e \ij. h uomini Epuloni. Er quanto fi è potuto
conofccre, quello ordine d’Epuloni era vna fpetie di faccr-
doti,trouatida i Pontefici ppr ordinare! conuicichei Romani
faccuono,cclebran do le fede de i loro Dij, annuntiando il giorno
nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc per fortuna accadcua che
la folcnnità non foflcintcra- mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci
lo diccuono à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i i
lutili*. GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di buon tem
po, che fare facnficio à i loro Dij. L. CAL xjj L.
CALDO SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO. Vedeli la
memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e • 1 _ | \ c ' c
* . . , ittica che per le paroleinragliarcin vna Guglia, o Piramide
di mar fìutdcint *■ jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm D i E _
«irto*. BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB. pleb. septemviri
epvlon v m> le quali interpreta* tc voltano dire,ch'ella fu fatta in
ex xx. giorni per tc> ftamenro di Caio Cornelio,Tribuno della plebe,
& del numero di quelli v 1 1. Epuloni, moftrando l’autorità
& portanza che egli haucuono con limili parole, tv c ivs
CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM. De due y cl xv. huomini.
Tarquino fumo ordinati due mini per fare fieri
ficiorà quali ne agg Zeftio & Licinio Tribù olì fletterò lino à
temp Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan donc duciamo che in tutto
furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni- tc:l’officio de quali era d» leggere
& interpretare i librila- P 3 mento il
tm. — J»< tf- cri; oSibilIini:&rifpondcre
& consigliare al popolo Romano tutte le cole dubbiofcj affiftcndoiifacrif icijd'A*
pollo.romcmoftra il Tri podeftampato nelle medaglie di Vitcllio & di
Velpafiano con lettere che dicono» qvindecim vir sacris fAc ivndis.
\ VITELLIO. VESPASIANOTli '* ARGENTO. ARGENTO. Del gran
‘Pontefice. Ra tutti i Pontefici creaci da Numa nc fu fatto
vno più grande degl altri,il qua* lecol tempo venne in tanta
riputatone chenonpoteua eflerne alcuno fenonSe t l cttione Ba^aa a
natorc,& cofi m orendo glabri Pontefici drigri fon minori
ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i nc *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa.
Haueua quello gran Pontefice 5 cura delle eofc Sagre, coli priuatc come
publiche» delle cerimonie, prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc
diui? hp.u * nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij
fi * doucuono fare i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t ■
’ prohibire a x J5
prohibirc che nuoue vfanze non entragno in Roma
perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla loro pri ma religione
& loro Dij : della quale autorità ha ferino non ricette-
Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto della fua prò U0 "‘ 0n 0tte
pria cala in quello modo» Cum multa, diuimtusfponnfi- cerimonie
ces.amaiorilms no (lri« inuenta arane inftirura fune, rum mini rt
^~ , . , J v , , 1 . / _ 1 gwnr. praclanns quam quod
)>o; @T religioni bui Deorum immorta- lium , (g) flemma
Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi fimi clarifiimi Citte;
ReipuMicabene gerendo , ‘Pontifico s reli- gione; fapienttr interpretando
, Rempuilicam conferttarenr. Laonde per meglio inoltrare la lua
autorità & dignità chcgl’antichi (timauono tanta, eiportaua vn
cappello, fatto nel modo che lì vede per le medaglie di Celare Die
tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono, ^fg^UnPò CAESAR
IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc. chora che in altre medaglie
fi vegghino la tazza, il cappcl lo, il limpulo,&: il lituo , come
proprie infegne del gran Pontefice. GIVL.
CESARE. ARGENTO argento li „
Non ottante quello fi veggono anchora affai meglio cappella ^
quelle inlègnc della religione, & cappello del gran Potè u$xT ° ^ ce
nc » fregi di marmo , che fono in Roma {colpite in quello
modo. .MM CAPPELLO 2) E L ‘Pontefice.
confetta- La confccratione di quello Pontefice è tanto ridicu- tione dipo
la & llrana,che ella merita d’efièrc tutta interamente di- “rldentio.
mollrata nel medefimo modo che l’hà ferina Pruden- tio:il quale dice che
quello Pontefice nel fuo habito P5- tificale,con la miccra in tc(la,&
la velie alzata entraoain vna foflà,fopra la quale era vn pótedi legno
tutto bue- cato,douc dal Victimario era condotto vn toro ornato
Horr Mi tutro fi° r * > & d’oroin torno alcapo , che il detto coa-
ctto,& del fangue co fi caldo che n’v • cr i bufehi del ponte,cra
il detto Pon teficc cerimonie
ductorctcriuanelp Mti - feiua & trapclaua
p Cenativi loridi. il tordo di *
litato libo. *37 teficc tutto imbrattato con
fregartene gl’occhi 3 gI’orec- chUclabia & la bocca, & coll
vfeendo fu ora coli fpor- cho & brutto,& molto terribile a
riguardare, era da tut- to il popolo falutato & adorato. L’altre
cerimonie , fatte per i piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini &
albera- no i conuiti magnificamente apparecchiati, de quali hi
jfcritro Macrobio dicendo, che all'entrare della Cenale tifici, prime
viuande prefentate erano fpinofi di mare, dipoi s P ino fì & peloridi
& fpondili,fpetic di nicchi , o chiocciole mari- spo ^ c p* ne,&
tordi,chc i Romani ftimorno cofi dilicato cibo, che venuti in
tauolalafciauono ogni altra viuanda , & pc^trouarli mcgliori nel
tempo d'Auguftogli riempie- uono dentro di più buòne cofe. Dipoi
feruiuòno fpara- gi con vna gallina grafia, oingraflàta àpoda, la
quale vfanza leuò via pcrleggc & bando publico Caio Annio cjjoAmifa
Eannio, volendo che le galline fi mangiaflero,comc elle ramo. erano
trouatc,dclmodode iquai conuiti chivuole an- chorapiù àpieno vederne
lniftoria, legga Varrone & ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi
della gola. Doppo quelle colè veniuono piatti d’oftrighe, peloridi,
che ci chiama , Salanos nigros ffialbos, fpondilos&gly- BaUnL
comandas,fpetie di nicchi & d'altri pefei che non fi pof- fano (non
fendo in vfo) altrimenti dichiarare al nortro BeccafiebU tepo,
bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di porco, cingialc, rorpórj . capretti,
bcccafichi impattati, po!ipi,oporpori et murici «i [angue del (angue de
quali gPantichi faccuono lo fcarlatto , & de quali fcriuédo Seneca
nella prima Epiftoladel x 1 1 1 1. libro dice , marauigliandofi della
gola degli huomini, O quanteforti di Conchili portati di lontani
paefi pallazfcUmatti noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri
d’in Seneca. gegno. gegno, &dilgratiati
poi che maggiore hanno lappemo che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna
teda di cinguia- Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di
Som- sommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc figliato
frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan- to più erano piene
di latte. Doppo quelle leruiuonoi petti dcH'anitre
faluatiche,ccrucllid’animali Jeifi , lepri, vani detta molti vccelli
arroftiti,con pani della Marca d’Ancona, ^Ancona. * quali fifaccuo no di
farina ftcmpcrata noue giorni ncl^ latifana,oalica,&poiarroftica con
zibibbo in vna pen- tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come
dice Plinio) non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non
meda nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo do del cenare
& l’apparecchio delle viuandede Pontefi- ci, ripiene d’vn fi grande
numero di viuande mefeokte. 2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di
loro collegio* I berlo Celare fu quello chccrcò prima,
il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò Ihauerc edificato vn ten^io ad
Augu- ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi ap- porne fi
vede rUerio c» fare fondi glihngyfU
predo la morte di Tiberio per la fua medaglia di bronzo..CESARE.
CALIGVLA. BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell in.Iibro della
Tua Geografia che Tempio à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono
in- * A w* ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte
’^yoM? d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin- cic
della Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che quello
poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di né,rifpctto alle
gran colonne di getto che vi fi veggono w dentro:&quiui penfcrei io
che folle fiato il collegio de i faccrdoti Auguftali, come chiaramente
dimoftra vna pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle
Mo nache di S. Pietro, in Lyonc, IO VI O. M. (VADCINNIVS VRBId FIL. MARTINVS
SEQ. SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES
ARA. RIS ET RHODANI FLAMEN ff. V 1 R IN CIVITATE
SE QJ/AN OR VM. Ter Per il (opra (cricco epitaffio (ì
conofcc , che non Co Ia- menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il
mondodoppo la morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati
a ^ CiU ' con vn collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu Ut.
gujlalesjin honored’Auguflo, comcanchora fi vedein vna pietra fcritta
alla porta di S.Giufto in Lyone,in que- llo modo, D. M.
C AL VISI AE VBRICAE ET MEMORI AE S A N C TISSI MAE P.
POMPONIVS GEME LLl N VS limi. VIR AVG. LVGD. À CONIVGI
CARISSIMAE ET INCOMPARABILI POS VIT. Tranquillo Quello
collegio de gl’ Augurali venne col tempo in sagio gA tanto credito,
che( fecondo che fcriuc Tranquillo) Scr- ba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi
che fode Imperatore, vi. volleencrare dentro, & fu riceuutotraifàcerdoti
Auguflali ,de quali inficmecol Scflumuiratohaucndo
àbaflanzafcritto,& maffime neh n.libr.delle mie Antichità di
Roraacócro all’oppenione dclI’Alciato nelm. libro.del Codice, &
moftroqual’era rautoritàdc Decurioni,&comeei dona
uono&diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor nero à parlare
della Cittàdi Lyone,la quale doppo ede- re data popolata daPlanco per
ordine del Senato Ro- mano, paflò di grandezza, di magnificenza, & di
richez- za tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffi-
chi che fempre fono flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io ho moflro ne
detti mici libri dell’Antichità di Roma, cdcndoobligatodi pagare quello
debito alla mia patria. De Aleuto.
lodi della Città di Lyooe. X 2) e
Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei. Sacerdoti di quella dea fumo detti
Gal- li^ Archigalio il maggiore di loro:i qua li nel principio
della primaucra (come recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa re
vnagran fella in honoredi quella, por il lìmulacro.o ftatua della,
acompngnato dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come
vali riccamente lauorati d’oro & d’argento, elfendo permef- foà
ogniuno di traucllirlì & vcltirlì in che modoglipia- ccua celebrando
quella fella,la quale chiamarono Me- galejìa&ioè, maggiore di tutte
lai tre. Quella fu folcnne- mcntc già fatta da Com modo Impalipoi che
cghhcbbc (campato dallacongiurationedi Materno, & fattoli ta-
gliare la tella, però che clTo Commodo volendo ringra- tiare la dea del
pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue tele reliquicdi quella, & il
popolo fecegrandi/Tima alle- grezza & diuerlì giuochiper la falutc
del Principe, chia- mandoli Seteria, cioè,facrifìcij di falutc:dcllc
quali ceri- monie chi vuole più largamente fapere, legga ilxxix.
libro delle Decadi di Liuio.Vedclì adunque che l’officio di tutti quelli
faccrdoti non era altro che fare facrificio à i loro demonij più rollo
che Dij,inlIcmecon procef- fìoni& orationi, oringratiamenti di
qualche vetroria hauuta, opcr mitigare l’ira dclcielo : portando
innanzi il lìmulacro di Giouc,& fu per i canti delle vie
pofando- lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa •
re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non con uenga quelle vere
& lecite à quelle falfc & profane ceri- ci Calli,
Sacer doli di Cy- bele. Tejla in ho nore di
<jne /la Dea. MrgalcfU. Sacrificio di
falutc d't to Sotcria. Tifo Limo. Qual tra l'officio
d'i faccrdoti. Cofiumi de gli antichi
guardati in trancio. Ordine del le
procreo ni degli an- tichi. Nel I-libr.
degli F ajli. monic aflomigliare.Et à quello propofito io mi
ricordo hauere veduta vna medaglia di Dominano, nel rouclcio della
quale era vna proceflìone fatta da i Romani,do- uc fi vedeuono innanzi à
tutti i fanciulli chetici, & poi i fiiccrdoti più vecchi in habito,
& getto dicaminarei tutti con vna girlanda in tcfta.in mano vn ramo
d’allo; ro,& l’Imperatore ncll’vltimo, vettito di
(carlatro:onde none dubbio alcuno che i prieghi, l'offerte, i voti,i
facri- ficij,& l'orationi fono i mezzi, per i quali
s’arriuaàgl’o-, recchi di Dio: quello che afiai bene haferitto
Ouidio quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce rogante
Deut. Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet Fulmina, th ur
e dato fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo
Pittagora,chc media te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella
conduce l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo
Dio.il quale c quello che ci fa forti contro àtutte le pafi*. fioni&r
dilgratie humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran- za che faremo difefi da
lui,&per mezzo dcH’orationcfà remo ripieni di carità con animo di
correggerci de no- ftri errori, &nó tornare piùà peccare,
comchabbiamo fatto per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi
fa cilmentenon potremo piùcrrarc:Sc finalmente delibe- rando di
viueregiuftamentc, & accompagnarci con la temperanza con fermo
propofito di vincere tutti gl’tn- fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio,
eflendo ragionc- uole che fotte ringratiato colui,checidaua&dona
tutti i beni, il che non fi può fare per altro mezzo migliore.
fittene, che quello dcll’orationc:ilchc cófcrmò finalmente Pi*
F de loratione fecondo Pit tagora .
cone tonedicendo,chcà l’huomoera ncccflàrio
d’honorarc, & riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,&
prolpc murre in rare in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que-
;ìfi fto non hanno curarono il più delle volte dilgratiati, ne
damentode fono mai eflauditi da Dio, come per contrario fortunati o
felici tutti coloro che ricorrono à Dio, come moftra Homcrodicendo,
o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut Ti<t>u»r iu-n. Cioè,
coluièeffauditodaDio,cheolIcruaifuoi precetti. colui indi Era
parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare ogni [ 0 he annoi voti
publicidoppoleCalendidi Gennaio, come fuoiprtut- fcnueTacito nelfcfto
libro de fuoi Annali, & Plinio Se *«• condo nel fuo Panegirico,
dicendo che i Romani vfauo atiiom* nodi nominarci voti perl’eternità.
deH'Impcrio , per la rL fanità de Cittadini, & principalmente per Ja
falutc de Principi, che è quello che i Latini propriamente hanno
detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici : onde 2T* 0 * nafccche
fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella for- ma , vota PVBLICA, QVIN
QV ENNAL1A, DECEN- N ALI A, VICENN ALIA, TRICENNALIA, QVADRI*
c e nn a l i a , come fi vede in più medaglie di Impera -
severo geta: ARGENTO. ARGENTO. CRISPO. GIVLIANO.
BRONZO . ARGENTO CONSTANTI NO. GIVLIANO. BRONZO.'
BRONZO. Mallìm/a MAòSIMIANO. DIOCLETlANO. BRONZO.
BRONZO. Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flami- ni vertici
nel loro habito (accrdotalc alla pri Lenza de- Confoli, Pretori
&Cenfori, che pigliauono il votopubli cp innanzi à tutto il popolo
Romano. CARAC ALL A. bronzo MEDAGLIONE
DI CR tSPINA. ' Tutti iM agi tirati di
poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferit- ri in vn marmo>o in vna tauola
di ramc.battendo meda wlicchc mollrauono gl’anni domadati per
ricominciar- uolc di t *■ li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di
xx.di xxx. &tal Wf * Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le
medaglieri Maf- fentio & Dccentio,neIlcqualic ferino, votis
qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di
cappelletti guarniti nella fommitàdel laboro,& intór- no
lettere che dicono, v ictorue do minouvm NOSTRORVM AVCVSTORVM ET
CAESARVM. M ASSENTI O. DECENTI O. BRONZO-
BRONZO. *47 $CUZ> O 7)1 FORM .A oliale gratto del marmo
antico . TERi Etpcr le medaglie d*
Antonino Pio &. di M. Aurelio Ci veggono i voti fatti per zo.anni
conejueftc parole,v ot a syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual
prò-, metto de render i voti. ; i-
,|K3Kl L'/ * v Ó Q.
4 é MS della religione
FLAVIO Gl VL IO CRISPO ” BRONZO. BRONZO..
Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento l’vna di Valente &
l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle, voti# jo. fi veggono i voti di
xxx.&2fxxx.anni,conrimagi tir 4 m ne di Roma à federe,chc tiene
vn globo io mano con la croce difopra , lignificando [imperio de principi
Chri- ftiani. VALENTE. TEODOSIO. Quello
elici faccrdotidomandauonoin quelli voti inliemecol popolosa lunghezza di
vita per gl’impe- ratori. Ronwiù w lor
uoti,<ì gli Dei. a*? ratori , ficurtà
dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i i.Principi,la
fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no ' to,la
bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto- ria contro à
nimici,comc li vede per le medaglie polle quidi fopra,doue habbiamo
villo, vie tori a domi- NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAE-
s a r v m, in maniera che quelli voti hanno durato infi- no
àhogg’,&fubito che i Romani erano giunti al ter- mine di elfi, di
nuouo ringratiauono Dio,& (come fcri- uc Plinio Secondo à Traiano)faceuono
altari con facri p /&„•„ $ f _ ficij, balli, fede & conuiti, dimando
opera rcligiofa & pia,quello che piu torto fi doucua profano Si empio
KO manintt giudicare, poi che egli haueuono licenzadi fare ogni ma
ringratù - lcicon ciò fia infino che negli Anfiteatri i carcerieri
correuòno per il circo, le bertic feroci erano ammaza- noti «iu- te, i
gladiatori sbranati, & gli Imperatori faliti lopra vn piut, ‘ palco
ragionauono di dare la Mancia ai-popolo , che fdtrimnti gridaua ad alta
voce, c<w ?~ Denofins dnnu dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino,
cr Et mentre che fi faceuono quelli voti, il Pontefice era tramo di
- vcftito d’vna verta lina tutta bianca, & lunga fino ài
piedijfignificando la fermezza d’vna rifplendcnte virtù: za. &
de gli altriiàcerdoti chi cantaua hymni &peani,chi fonaua flauti, chi
la lira, o la ceterajn tanto che il mini- ftrodcl facrificio tcneua vn
bue,& vn’alcro detto vitti- roario lammazaua,comc fi potrà vedere
nelle Meda- glie di Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i
cMtuu* loro giuochi, & fcfte feculari. ™ bi 5
ri. » ■ -enfe- r*b% tljrm 4
FtGVRA ritratta ht* gmochifeciLm
d\yt*g*fb. iiiiiii DOMITIANO ANT. GETA
BRONZO. BRONZO. domiti
ano: BRONZO. BRONZÒ. Facendoli quelli facrificij ,
tutto il popolo in Geme con l lmperatorc fi
inginocchiaua.&adorauono i loro fallì Dij,come lì vede
nelle mcdagliedi Dominano. DOMI Sagrauono nmilmcntc le
imagini de i loro Dij > non firn* togli per amore di quelle (come dice
Platone) ma perche elle fomigliauono le deità di quelli, come noi hoggi
figuria- mo le no(lre,& tral’altrc cofc venerauono affai la
faetta di Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal gran d! UtoZ
Pontefice, (limando che per quella via il popolo &lc fiumi!*» biade
farebbono accurati dalla tempefta del ciclo, co- 4i Romam. me fa vc dcpcr
le medaglie qui di fotto. AVGVSTO! A N T. P 1 0~ A’ que
ijj A' quello mcdcfimo effetto quello che i Cetili oflci>
ùauono& crcdcuono nella loro fupcrftitiofa religione, noi l’vfiamo
hoggi nella conlàcrationcdcllc noftrc cam Confacra- panc, (limando che
fonate caccino il mal tempo, fi co- me egli vfauono
ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan • do che cacciafiìno i cattiui
(piriti d intorno à i luoghi, & à le perfone:ondcio mi
marauiglio grandemente che tanti begli ingegni, & valorofi faui,&
prudenti huomi- ni, come fumo i Romani, penlàflino ((appendo la
licen tiofa& dishonefta vita di Gioue) che egli hauefle forza La uta
4 di tonare, danneggiare, mandare laette, & beneficare le ^ iou
* co le humanc,chiamandolo Ottimo, Mafiìmo & Omni potente ,
& perche più torto non crcdefiìnodi poi che Chrifto era già nato di
molto tempo, che come illoro Efculapiojchci fcciono volare al cielo per
forza, non hrrtligio. poteflè più torto Giefu Chrifto hauere rifulcitato
i mor- • ti,& che ci folTc figliuolo d’vna vergine, come ei
diceuo - no che vergine era Verta &madrc de gli Dei, &
chcno- ftro Signore haueua alluminato vn cicco, come egli af-
fermauono hauere veduto fare quello medefimo mi- racolo à Vcfpafiano in
Alertandria.Ma tutta quella in- credulità nafceua dal demonio che
gl’accccaua. Ha- ucndo aliai à balla nzaoflcruato & Icritto de
l’ordine di quelli facerdoti,facrificij & voti , i quali erano
anchora, che fecondo lefortune che egli haueuono (campate & la
qualità de voti fatti, egli appicauono alle mura de haucr t /Um templi le
tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi come pato qual - hoggi fi
coftuma in Fiorenza, & in molte altre chicfe f . he ca f°
d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw. Me rnr
qual ca gioitegli ut fichi facri * ficomo.
Cerimonie del ftcrifi- ciò. Moti. Plinio
nel 17. libr.de tHifioria tutur. N«n»M fa- cùfico
il primo 4 Dio, fecon- do il diredi Plinio.
Microbio. Virgilio. purgatione degli anti-
chi con l'oc qua ffiarfa. Jrfe tabula facer ZJ attua paria
indicai h umida Sufj>endiJJe potenti ZJefimenta maria Dee.
Refla à vedere tutte le cerimonie & inftrumcnti vfad da
glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi do- mandali! perche
erano fatti, rifponderei per tre cofc. La prima,pcr honore di
Diod’altraper vtilcdel faccrdote, che impetrauafanitàper il
Principc,& per il popoIo;co- mc cofa più prctiofa tra l’altre, &
la terza , per doman- dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo
di volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il princi- pio di quello
facrificio che il prete innanzi, che ammaz- zare la bcflia,lcmcttcua fui
capo , o Culla fronte della farina, dell’orzo arroflito,& del fale
tutti mcfcolati in- ficine, la quale millura gl antichi chiamorono
Mola, come fi vede in Plinio, quando ei dice, che Numa fu il primo
chcfacrificò à Dio col grano, & lo pregò con la mola falatarnondimeno
innanzi che fàcrificareil faccr- dote fi lauaua,& quando volcua
folamcntc rappacifi- care l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua
l'acqua fopra» come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di
Didone apparecchiata per fare facrificio, ^yfnnam,cara mihi
nutrixfuc fi fi e fororem. Die corpus properet fluuialifargere
lympha. Etaltroue quando il detto Poeta parla della fèpoltura
di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al facrificio erano purgati dal
facerdote con l’acqua fparfa convn ramo d’vliuo,o d’alloro nel modo
chefeguev Idem ter focios pura circumtulit inda,
Spar $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi olia*, _ \ Mai
Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono vn’afperge, limile a
quella che fi colliima hoggi nelle nollre chicle, come li vede in più
medaglie & fregi an- tichi che fono à Romaà quello modo.Quelta
alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la- ro fpcntovn torchio
accerojchchaueuaferuiro al làcri- ficiofu l’altare. Et di qui
nacque l’acqua di Mercurio . predo alla porta Appia,della quale via ua il
popolo Ro" « £££ manoinuocando Mercurio, & penfando coli
fcanccl- s ^ rr fi i ~ Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la fede
rotta , & le ‘ÌZ bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi
driza- uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc del
continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca- uono prima che entrare
nel tempio per fare fa orificio. A %}( ‘PILLjl T
1 2t sAT DEL ' marmo antico. I
!» ir Vfauonodi poi vn’altro vafctto
minore & portatile. li con acqua, limile à quello che portano anchora
hoggi uà nelle chicfc & fuora i noftri preti. 1 1
Fi g V a sin ir tot
tf VI 257 FigVK^l 2)' UK VASETTO
portàtile a tenere l acqua [aera. Ma gl’Hebrcià l’entrare
de loro templi vfauonovn Tind gran vafo fatto in forma di Tina, chiamato
da i Latini altrimenti lal>rum ì del quale i facerdoti che andauono
per (acrilica- re pigliando dell’acqua lì lauauono le mani,& i piedi,
& il modo di volendola benedire vi gittauono dentro le cenere della f
ar l ac ì u4 vittima arfa,& di quella con vn ramo d’hifopo bagna-
degli h «- uonogl’alfiftenti, benché io ho ofleruatoche nella fine trfi
* de loro facrifìcij, quando il fuoco era per mancare, vi gittauono
fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo , & co- rnino, & della
cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua facra.Douec danotarcchein tutti
i facrifìcij antichi lì rrèfortidi trouauono tre forti di purgationi,cioè
di pino, di zolfo, pmrgationi & d’acqua, quello che conferma Plinio
nel vi. libro quando ei dice che la teda, o vero pino tra tutti
gl’albc- ri, che fanno la ragia, è molto grato per il fuo fuoco nei
R i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come dice Proclo)
vfarono i faccr- doticon 1 alphalto o bitume, & acqua di mare nelle
loro purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odo-
zoìfo. ^ re ha forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è
buonoalla religione &per purgare le cafe col fuo fu- mo. Oltre a
quello i fàccrdoti ftauono conrinenri & di- giunauono prima
checntrarc al facrificio,ondc volen- ti»* ^.° ^ uma Pom P'^° pregare
perla ricolta & facrificnre, Tompj&di s aftenne prima dal
mangiare della carne, & dalle don- GiulUno nc. Et Giuliano
Imperarore(fe noi vogliamo crede- spartùno. re a Spaziano) fi contentò
prima che andare al facri- ficio di cenare d’hcrbe & di pere
folamenteicon ciò fia (come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca
piùto- fto alla fanità chele gioui,confiderato che le
infermità nenzf. afii ' fi N g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et
cofi per fobrie- ta,pcr carità, & religione debbiamo cercare di
purgare, & nettare l’anima , acciochc ella viua ficura contro ì
ogni pericolo che le poteflè auenirc, cacciando da noi . tutti i
penfierichecipo{ Tonoporrarepregiudicio, &o£ fufcarci 1 ingegno
& la ragione, confiderato che I’aftinenzaguardal huomo di peccare, la
/obrietà fa finge - TauoUfu- gno fottile, &ildigiuno perl’eflèmpiodellatauoIa
/agra bru'dì ri- & ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc
lungamente. La legge tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua
, che alcuno ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi
dalla diunto i carne, dal vino, & dal peccato. Et le noi porremo
ben hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo
il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei di-
ojjWo ce, che comandando il Senato all’officio de’Dicci huo- Sf anti '
mini di riguardare i libri Sibillini,pcr intendere il /igni-
iìcato d'alca ni prodigaci rilpofono,chc bilognaua di cinque in
cinque anni ordinare i digiuni in honore del- la Dea Cerere. Ma quanto
alla continenza, ella c vtile all’anima &r al corpo,comc inoltrarono
ilaccrdori de- gli Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h
icrofdn* col bere il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us
‘ che ei bifogna fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone
particulare , come dice Cicerone nelle Tue queltioni cicerone Tulculanc,
chiamandole pcllifercmallattie dell’animo: ondeincambio, che gl’antichi
penlauonodilauare con l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la
penitenzai penitenza noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di
Seneca. èilueromo in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£ Qutm
poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute. La quale cofa ci
feruira di vero zolfo , Se vera bitume , Seneta * come Icriflc Ouidio,nel
libro </r Tonto, ouidio. Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia*
reddunt, Cùm bene peccati poenieuijje V idear. Vlauono
anchora gl’antichi rElcmolìna , come ferme Spartiano nella vita
d’Antonino Caracalla, dicendo, s P* rtiano ' 'Nontenaxin Urgitionem , non
lentus in eleemofynam. Ec La limojìn* Homcro narra d’vn giouaneche
s’adira con Anrinoo “ ^P r< \“ Proco, perche egli haucua ingiuriato vn
pouero huo- m tr^gU mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R-
0 '"*'"*"»- della Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle
lopunireb- *** ** be.E' certo che i laccrdotidc Gentili innanzi che fare
tf*eerdo i i facrifìcio lì confeflauonod’hauereerrato,domandando
(come dice Pitagora & Orfeo) ài loro Dij Tempre cofe facrip.care
giulle,doppo la quale confcdionc publica il preteche u f auAno ld andaua
innanzi & miniltraualecole fagre vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘
R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age , per
fare che il popolo tacef- <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i
facrificij, facccndo fare largo con grf . 7 vna bacchcttaùlqualcfilentioè
neceffario nelle cofcfa- grc,come Icriuc Ver^ilio quando dice,
Hinc fida filtntia fiacris. Non elfendo dubbio alcuno che
ogni bene procede rune ft- d a l poco parlare. Et coli il prete comandaua
fautrtfa- trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è (come dice
Fedo) che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per
non vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì- «
inamente che i noftri poethvolcndo dire filentio, vfa- rono aliai quello
\cxbo fiauere. Finalmente quando il -, . prete s’appreflaua all’altare
per facrificare, ei lo trouaua ornato in quello modo,
FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0 nato de fiefioni,come fi vede nel marmo
antico Menandro. Et il faccrdotc era coronato d’herbe
chiamate ver- verbene. bene, per edere appropriate,& (limate felici
ne i facrifì- cij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri : quantunque
noi impropriamente parlando chiamiamo verbene Tallo- ro,Tvliuo,&
la mortine, nondimeno Mcnandro afferma che quello era proprio la mortine
vfata nelle loropurifi cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo
cinque foglie:anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè
proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra
^Muo. femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè frutto,
& fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo- ro altari di quede
foglie , pur nondimeno (limauono che ogni Dio haueife la fua hcrba,&
albero particularc: comeGioue Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia,
Apollo l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel fuo
buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci- preflò, per non
rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato tagliata, non più che
vn morto non e buono à nulla: Bacco Tcllera,& Hercolcil popolo
nominato di (opra. veUeraeo- Stimauonoparimentechc ogni loro Dio hauede
vna- * nimale proprio, come Bacco la capra,o ilbecco, perche ogni
dìo I Romani eonfatraro - no ad ogni Dio
la fua berba. Varcipref- ei nuoce alle vigne.
Cerere la troia, perche guadale *» biade, Diana ilceruio & il cane,
Nettunodl cauallo per proprio. le ragioni allegate di
fopra,Fauno,laca^l,Gioue il to- ro, Efculapio il gallo,
& Ifis , Tocha. NclTimmolaré adunque, o (àcrificarc quedi animali, il
Flamine, o fa'- cerdoteera veditod’vna vede di lino bianca,
chiamata da Latini lignificando che la purità e grata
àDio,& perche ogni colà che efee della terra , è nel fuo t fce di
u principiopura & nettadaquaje vfanza c anchora hoggi terra ' m
~ R 3 “ t0 ' Zdi trai noftri preti nella
popa di loro faenfieij, & nel prin cipio che egli entrano all'altare
: & vogliono alcuni che gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette
velli ne i fa- crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede
Xylin* rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro
dell’Hi- cucrone. fLoria naturale. He Cicerone dice nel libro delle
Leggi, che il colore bipco e molto grato à Dio:&r che le vedi
colorate non debbono fcruire le non à gl'huomini di HrfWfo de
guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun- [kcerdoti
go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede per la prclcnte
figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI, co Ài Jlom*.
Veluuon a * 3 Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna
tonaca dr- pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto,
fi comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li- uio,dicendo che
ei creò à Giouc vn Flamine Diale per- petuo, vcftillo d’vna bella verte ,
&gli donò la Iella Cu- rulc:& clic oltre à quello ordinò xii.
preti Salij per fa- re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca
dipinta con vna falcia di rame intorno al petto, quali nella ma-
niera che vlàno hoggi i noftri facerdori.ma di feta orna- ta d’argento,
& d’oro, & di piecre pretiofe.Ornolli Umil- mente d’vn cappello
di la nabiàca, chiamato Albogalc- ro,il quale perche à caufa del troppo
caldo non pote- uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno
al capo,non ellendo loro lecito d’andare lènza nulla in te-
rta,nondimeno bifognaua che idi delle felle lo portafli- no,pcr moftrare
meglio la dignità facerdotale: oltre à tutte quelle cofe bifognaua che il
facerdore antico ha- uerteil caporafo/ccondoil modo degli Egitti] ,
come fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i pre- ti
portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Com- modo Antonino volendo
portare (come fcriue Lam- pridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il
capo: ia quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , &
mallì- mc S. Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa non
vuole altro lignificare,, che la depofitionc di tutti i penficri &
cofe temporali, & che la corona, ò cherica de ipreti fignificala
corona del cielo. Ma ritornan- do alle cerimonie de noftri facrificij
antichi , dico che quando fi veniua à facri ficare , il facerdore
voltando- li dallaltarc inuerfo il popolo, fi mcttcua la mano al-
R 4 Tonaca do i fateraori. Tito
Lir. MÌO. A Ihogale- royucjlimtn to del fla- mine
Diale* Alfacerdo- te non tra lecito an- dar con
la tefta ignu- da. il facerdo- te antico
baueua la tejta rafa. Commodo fi fece ra- dere il
ca- po. Hieroni- mo. Cherica de
freti. Segno di fi- lmilo. *?4
DELLA RELIGIONE la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che
fi sonatori volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo *
"io. ^ auc ‘ & ^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij
erano di boflolo : & nelle fede & giuochi fècolari d’àr-
ornamento g cnto > & la vittima paffo à paflo andaua caminando
4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, & certi
pa- m ' ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni,
efifendo condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli ntn ,
JU di beftie,chc egli haueuonogia facrificate, comcmoftra Ouidio
dicendo, -Induraque cornilus auro vaglio. Vittima.
EtVergilio, vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte
iuuencum. Quello che ha confermato Umilmente Plinio , nel
xxxiii. libro deH’Hiftoria naturale, douc ci dice, che non fi penfaua nel
fuo tempo ad altra colà che trouare vna gran bcftia,con le corna
doratc,pcr farne honore & facrificio «à gli Dij immortali nel modo
che fi vede qui difotto. FIG V DE
GL ANTICHI ROMANI. is 5 • FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ marmo
antico, che fi vede in Roma. Mala viteima minore cheli
doneua imolareà qual- i» oUtione che Dio,era coronata d’vn ramo delle
foglie dell albero dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di
lana, chiamata infula, dalla quale pendeuonoduc bendedette Tal viti
da Greci, & Vitu & a i Latini, & fe menata all'alta- re Lenza
clfcre legara(quantunquc per l’adietro ella lo fo ledè ellèrcjcome
inoltra Iuuenaledicendo, Sei proctil extenfum perulans <j uatìt
hojìia funem.) segni di ella faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi
fuggiua,o che per-, colla gridaua,o cadcua da vn’altro lato che quello,
che lime de ro dilègnauono i Romanici pélauono quello cllere mal- mani
• R 5 Virgilio . 1 Vittima ri
j dowrjli- t duerno le bejUcperle vittime.
Tranquil- lo. Audacia di Ceftre.
Btfticpiù utili ithuo a<r<? ‘l’augurio,#
illacrificio non grato à gli Dij, nondimeno non lafciauonod’ammazzarlaful
luogo medcfìmo,do- ue era fopragiunta, come per
contrario,pigliauonoin bcne/c pacientcmente ella afpcrtaua il
colporqucllo che ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc dice.
Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm. & Hadriano
Imperatore nelle fuc medaglie. MED. GRECA D’HAD~RIANO.
BRONZO. BRONZO Dipoi
per ouuiare à quefli dubbi) , Scnondiftur- barei {acri fìcij,ordinorno
gli antichi i vittimarij à polla, che domellicauono le beftie, & coli
facilmente le conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire, o
non fuggire della vittima(come lèriucTraquilh faceflèconto,&non
IalcialTedi combattere doue rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in
quelli, riolì , che prima che itnolare vna bcftia.la poneuo
mentedaleapo lino ài piedi, accioche ella folle fènz "^ , ~ula,&
coli pcnfauonodouerc cflerc molto piùgra- Ioro Dij.Etfurono le vittime
vfatedai Romani,!* ;a,la troiani bue, &la capra,comebellicpiù
man- fuece z6 7 fuctc& facili à
condurre douc l’huomo vuole, & an- no, trono cho come beftìe più
vtili alla vira dcH’huomo, con ciò lìache le pecore danno il latte &
la lana, & i buoi lauora- p t u e de «- noia terra , & del jfelo
delle capre gl’antichi faccuono ft roniin feltri per la pioggia, &
delle pelle dccaftroni cucite in- v ^ 0 ‘* , ^ oUd ficme , i foldati
mantelli perla guerra.Et coli nelprin cipio del facrificio illàcerdotc
Romano veniua all’al- tare velato Scoronato d’alloro in compagnia del coro
di fanciulli^ fonatori di flauti & di ccrere.che fonauo-
no&cantauono,come moftralaprefcnte medaglia di Longino
Triumuiro. ti Romani perla gu nr ra.
LONGINO TRIVMVIRO. ARGENTO. ARGENTO.
Oltre àqueflo non farebbe parfo interamente buo- no
ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la ma- no fu l’altare ,
come ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac- vtrgilio. neid.doueei
dice: Talli ut orantem JiBis ardfijue tenentem ’ *
^duJtit omniporens. Volta soltuono
i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il vifo all’Oriente nel g^Umt P rc
g arc gli Di j, -fida mattina di buon’hora, {limando titutxr f*-
gl’antichi che quello folle il tempo proprio, nel quale gli ucrfrorié-
Dci lecndeuono nel tempio perricctiere & vdirc i prie* te. ghi,&
voti di queflo &dic]ucllo:Ia<]uaIev{anzahabbia Forano,
moritenutaanchora noi ncllanoflra Rcligione:& Por- fino ha voluto che
le ftatue & entrate de templi fiano tutte volte aH’OrientCjConforme
in <juc{lo(feben miri- cordo)con Vitru uio. ' FiqLm^t
TlTt^T^l Z> L- la colonna di Traiano. tifine 1
Doppo quello il facerdote pigliaua tra le corna della vittima del pelo,
& lo gitrauafoprail fuoco accelo, nel modo che ha fcritto Vergilio
quando dice. Et fummat carpens mediti inter comua feto*»
Jgnibta imponitfacris. La quale fuffumigatione fatta con
altre di frutti & biade primaticcie, chiamate dai Greci come fi
vede per la prelènte figura. i Co
Virgilio . Fl^VR^A T> E COLTURE, don erano
polle le primicie ftj fruttijnnanzi cine facrifìcafiino.
Gl’antichi penfauono quelto cflcreaugurio di futura fertilità,
rendendo gratic à gli Dij d’cflcrc arriuati in vn tempo più ciuile,&
più bcllo,nel quale in cambio di ghi ande & d’orzo potcuono mangiare
viuande più dili- catc. I granelli di quello orzo mclcolati con Tale (
Sic mifcel a 7 o Cerche mef tnifìellam
inteìligunt Oraci ex hordeo, & f*le> mar eri am ) Ronuni f-
fichiamauono Ole&cUle,\ quali coli magiauonagl'an- orzo con il
tichi,prima che folle in vfo il macinare. Ne vi mefcola- rt ficrifi- uono
*1 P cr h fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc manco àj. per
ringratiaregli Dij,ma perche lo Rimarono vn lega- Uftlcriprc mc £ f e£ ,
no d’amicitia , & di qui nafceua che innanzi à game dumi gl
hofti&aglamici liprclentaua il (ale prima che tutte citu.
l’altrccofè, volendo /igni ficare la fermezza dcH’amici- tia,&
moltrarechecomedi più acque fijfavn corpofo- Iidò(quajc c il (ale)cofi
della volontà di più perfone fi genera vna perfetta concordia &
amicitia. il medefimo faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima
la mola, & verfaua del vino,comehà moftroVergilio, douc ei
dice. Simbolo di ucraamici- tu. Mola.
Vrobatione -Frontone inuergit vinafacerdos. della uitti -
lignificando per quello che la vittima era crcfciuta in di ma "
gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc fecllahaucua paura ,
{limando che lenza la mola il ficrificio non era . . grato à i loro
Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto l 0 . Prcfcriculo,per
vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo chcfe ne veggono à Roma invìi
marmo antico. VUSO VUSO, Tinnirò DEL M^tR- mo
antico-, chiamato ^ref inculo. Ma innanzi che il prete
fpargefleil vinofu la tcftadel- Ia vittima, eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro
pie s imputo. colovafo , fatto nel modo che fi vede qui
difotto,& ri- tratto da diuerfi marmi & medaglie antiche.
SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST fregio dntico cine in Roma.
Ne man t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono
quelli fiicrificij fenza fuoco, il non fucrifi- q Ua J c era
dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi come vfiamo ““fuoco, anchora hoggi ne
i noftri facrificij (non per ouuiareallc tcnebre,ma per moftrarc
nell’adoratione fegno di gioia) & come fi vede per il candeliere de
gl’antichi, fatto in quella forma, CERVELL ERE,
RITRUT- to del nurmo antico. Lclegnedel detto
facrificiononpoteuonoc/Ièred’v- téttiu o tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia,
perche gl’antichi ftimauono *’"*• che tutti quelli alberi
faceflìnocattiuoaugurio:& quan- fidccold il do il facerdote
racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi- P in0 \ • no guardando bene di
non errare fecondo l’ordine delle Cerimonie ’o , • i , i i<
-t primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali il prete
toccaua eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella per infino
allacoda, yergìlìo, come ha moftro Virgilio, douc dice»
Et V 273
(. -Et tempora ferro ' Stimma notar pecudum.
Comandando dipoi al vittimano di mettere i coltelli fo pra alla
bcftia,come dinuouo ha inoltrato Virgilio qua do dice,
Supponunr alif cultros , Et di qui c nato che gl’antichi
diceuono mattare, cioè crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto
nel modochefi vede qui difotto, MAGLIO ET SCURE
con quali ammazzinone le Vittime. Non era
lecito à i miniftri di percuotere la vittima» ^ fé il faccrdote non
Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi cflerc differenti , mi è
parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte >
(beco. FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ del facrifdo,
ritratta del marmo antico. Et tutti quelli ch’andauono
innanzi 1 . grand jfacrifì cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè
trombet ti, fonatori di flauti, o dicorni, & quei chcconduccuo
no le vittime , óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne ceflaric per il
ficrificio, èrano differen temerne corona ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi
vedc.qui difolto, H eeatobr.
SO no innanzi alle vittime, Quella vittima
era bene fpellbammazata di coltello, colteUochi fubico che il làcerdotc
comandaua di ferirla nella gola, Sf " il quale coltello, chiamato
Seeejpira, era limile à quello ritratto da i marmi & fregi antichi ,
che fi veggono in Roma. S a ■v zf? Wf i
<K1 / X r z J ! qjj ^ L 1 ammazzino le vittime.
Etalcunialtri tcneuonograndillìmi bacini da loro detti difchi,per
riceucre gli inteftini della beftia,Ia forma de quali Ci vede in Italia
& in Francia in molti luoghi fatta à quello modo.
S Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con ciò
lìa,chc doppo haucre glatichi lacrificato i buoi, per Mijitrio memoria
del facrificio,& in honorede loro Dij faccuo- no f u I luogo (colpire
1 bacini, &:i tcfchidc buoi, có fcfto* pojitnticni. # . c • . \
| . r, nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti- chi, &
maflìme fopraà gl’archi delle pone di S.Giufto in Lyonc. 2) 1 S CO,
0 2 CI Fregio *7* FX3 q io TTYZTro
Wltm marmo antico eh' è in Lyone. Pelle detto vittima
in- Alcuni alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère
la pclleconl’altreinfegne della religione, dormendo bene fpeffone i
templi fopra le dette pelli, per affettare la ri- religione. fpofta de
iloro Dij,come mollraVerglio, quando dice, y ‘Pellihus ine uh ut t
JlratisJomnofque perirne. S 4 vìD l
UT'' I Giu Etficomeletcftedc buoi erano quiui collocate
per moftrare la pietà & la religione, & tutte le loro
cerimo- nie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle de
caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fre- gio, onde io ho
fatta ritrarre la prefente figura. a i ,/V'y, '■ ' . ^ x
yfq i8o' /. TESCHIO DEL' TO X q mejfo tra le infegne
della religione.
ito ‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi. libr.)haueuo- i
Giudei no anch’eglino quella vfanza di dormire ne i tcmpli,& di
vegliami dentro , come faccuono i Romani , perche tomcTUo- comehà detto
Cicerone, gli Dei parlano (blamente à mni ' coloro che ei trouano
dormendo : la quale vfiinza (co- me (criucEufebio Panfilo) fu dipoi tolta
via daCoftan E “A bio tino,auertito de i maliche fotto colore di bene fi
face- uono là dentro. ‘PELLE PELLAI
VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna gran ta- uola chiamata
EncUhrnjz ome i vafi , che fcruiuono per ifacrificij, fumo detti
EncUbria, , fopra la quale faceua porre la vittima (parata percercarcdiligctemente
gl’in- QsoUinte- teftini (quali erano il cuore,iI polmone &il
fegato)con vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli Dei s’erano con-
* tentati del facrificio & pacificatila i Greci (come'
fcri- ue Paufania) appreflo hauere guardati gl’inteftini de Taufaù.
glagnclli, capretti, & vitelli, folcuono predire le cofc ■;.v: - - _
S 5 jl8i della religione officio de
future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme t^nelfacri' delfuoco,dal
q ua le era la vittima abbruciata. Hauen- ficio. do i faccrdoti coli bene
effeminati gl’intcftini , faccuo- no diuiderele membra della beftia,
& quelle coperte di farina,& polle in vn paniere, ne faceuono
offerta à c o- lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la
vit- tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar-
DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici* , fi come Tito Liuio
ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se-
ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am-
mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come ottico nel hàmoftro
Ouidio quando ci dice, il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros
form, lnficit. Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia,
detti Ve- natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita
di Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu- hlico cum
dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei
Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra.
putra per * e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\
Laltro Ì83 L altro coltello , col quale era
fquartata la vittima, coltelli per era fatto nel modo,che fi vede qui
(otto. uìttim LTXO CO LTE L LO
^ANTICO. Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per
fare pia- piwr p f j ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare
quindi de coltelli forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij
porta- * uono appiccati alla cintura in quello modo.
COL i8 4 della religion e • COTTE L Li CHE
‘PORT^V^'HO w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura.
4 Etfc alcuno purefteflc anchora in dubbio del
mo- do di quelli facrificij, mi è parfo di riprefcntarc qui al
naturale quello che fi è potuto ritrarre della colonna di Traiano à Roma.
. S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51 ■1141^♦Ha
. ; t pn jnnr. 3 KV)*j f ■ :J. ^ 'ff ’ !:Ì,W MJtll
11 * 03 1 n I : ,obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; :
onta* zfy s uc r i fTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò
dalla colonna diTr alano. Riguardata la vittima, &
fatto preferite al facrifica- tore di pezzi migliori , il prete gli
faceua abbruciare fu l'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i
i fa- ccrdoti doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno- ftro
Vergilio quando ei dice, Sanguinis @r [acri patera*.
Mane gran &crificij .dntida i la vittima h gittaua tutta intera
dentro al fuoco , come hi dimoftroil mcdefimo Poeta dicendo,
Etfolida imponunt taurorum inferra fammi s. La
ittLa quale carne non era coli torto porta dentro a 1
fuo- frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua fopra delì incenfo del
corto, nerliiuen- & altre cole odorifere, che ci pigliaua dentro à
vna caf- fetta detta ^ cetra da i Lati n i,& de noi hoggi Turibulum
, come moftrala predente figura, , t ~ . ~ ‘ d C
S S E TT yA DOVE TEMEVANO ifacerdoti line enfi. W ’ :
il uino in Qucfto iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab- ufo ntl fa-
bruciaua per amorzarc il cattiuo odore della carne «rifido, abbruciata,
doppo il quale il facerdote vcrfauadcl vino rane in mag fu l’altare
, & all’hora fi ftimaua fornito il facrifici tono in ma
g LU I aitare , oc auuuia u muuw lumuu n facrificio, gior pregio
quantunque il più perfetto & maggiore era tenuto quel mi Curi - j Q ^
c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn becco, &d’vn montone, &
appreflo àgl’Ateniefi d’vna troia.d’vn mon- tone & d’vn
toro,chiamatodai Romani Solitaurilia , & fatto da Cenfori ogni
cinqueanni,pcrluftrarc,o purga- re la Città di Roma, come qui lo dimoftra
la figura, "" ■'* “ ' ~ “ SjLCZi nel
facrifi ào . Solitaurilia. SACRIFICIO CHIAMA TO S
0 L 1- taurihajirato dui marmo antico. ~ Qiì e ft ovoca
bolo,folo,dirnoflra laqualirà delfacrU ficio, cioc che egli era perfetto
& intero, conciofia che Solum in lingua T ulca lìgnificaua intero,
come dimoierà . Solum - Tito liuio, chiamando gli ftrali fohferrei,cioè
tutti di T i itoiiuio. ferro.Nel refto & vlrimo de làcrificij i
medclìmi preti apparecchiauono la cena, alla quale era permeilo di Ctnd ^
i trouarfì à ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio:& preti
Ro- di quel che auanzaua,poteua il facrificarorcportarc & mnu
donare ài parenti, &à gli amici,qualì come li fa nella <
noftra religione hoggi del pane ,che ogni domcnicair
diftri nijlribu- diftribuifce per
Icchicfc.il modo del loro mangiare craj tionejetta nc l tempio ftauono
tutti ritti con certi panetti ton- ati anti * diin mano, mentre che
ficantauono d’altra parte le lo- «*>*• di di Dio , facendo cuocere la
loro carne dentro à vn vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo
che da i marmi antichi ella fi vede ritratta qui difotco. •
PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El- ettori ftceuano cuocere Ucarne de li
facrijìcij. Hauendo anchora olìcruato per la icultura
d'vn'al- tro marmo antico, che fi vede fopra la porta della chicia
di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit- tima era fiata pofta
morta lu l’altare, il vittimario fe la caricaua fu le (palle,& la
portaua per metterla in pezzi, & farla cuocere, come fi vede
pcrilgiouane vittima- rio,che porta la pentola & la mcfiola,& il
facrificatorc noUfiU- il paniere douc era la mola falata , però mi è
parlo di u, riprefentarne qui la figura al naturale. r • ~ ■
Eigv 4 > M Me
FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N fico eh’ è /opra la porta
de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois. . J Cerere
lulus^ per le biadc,di Venere Ereriches,c ioc picn d’amore, & di
Bacco, Dityramhus : benché grimbriachi h yanl de haucuono i loro hynni à
parte, i quali Ariltofanc inXd- ba chiamati *ft**yÌHunct , à caufa che i
Greci chiamano e». 4 >1 tremito de la tefta*p>*a'>irr, &
mangiare & bere J troppo. H ora appreflo à tutte quelle cole,
il prete, liccn- venilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio, quando
dice, -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1* il fine del
^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni- fecrifieio.
to,comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine del- la mefla, quando
dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi tra l’altrc era vna Tedia à parte
dinanzi all’altare, perii ^ Principe, o quello che tencua la
giuftitia, intorno ali ai- r tare vn coro, & nel rcfto del
tempio erano portichi Ioggie,doucil popolo lpaflcggiaua,afpcttando che
lì facelle il lacrificio. Et certamente che Te noi mettiamo ogni
induftria & facciamo ogni grande fpela per Tare ^ bei palagi,
&: belle cafe,tanto più douerremo ingegnarci ^ di fare beile chielc,
Scorationi à Dio , per intrattenere Religione co *‘ * a P‘ cta, * a
religione & la mifericordia,come ci hati degli enti-
noinfegnatoCefarc Augufto,Vclpafiano,Ncrua,&M. 'Jf ehi impero
Aurelio, tutti buoni & diuoti Impcratori,pcr quanto li tifarne- vede
nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne della gnifiebité- antica
loro religione, nel modo che fi trouano qui di- fottO;
ANTON. A Pf- 2*1 ANTON. PIO. M.
AVRELIO. ARGENTO. ARGENTO. Ma perche gl’ Egitcij fono (lati i primi
, che Icuando Religione gl’occhi in verfo ilcielo,& affifando la
mente nella co- E S‘*' gnitione di Dio.trouorno molte cerimonie, &
modi di religione:pcrò ho giudicato non fuora di propofito , Io
fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: & come penfando che il
Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno quello Ofiris,& quell’altra
Ifis, adorata poi infino à Ro- ^ s ' ma,come fi vede per la infraferitta
mcdaglia,dclla qua- le io ho fcritto altroue adai largamente.
MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. T 2 Et Commodo
Imperatore (come fcriuc Spartiano) hpiiorò molto tra gli altri
facrificij, quello di quella Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue
ella tiene vna sfera in mano, come madre di tutti Parti, & vn vaio,
ovcroamfora piena di Ipighe, lignificando la fertilità
d’Egitto. BRONZO. BRONZO. L’vfanza de gl’Egitij
nell’adorarc i loro Dij,fu nel principio pura &femplice,fenza
effuzione di fanguc, o vfare altra crudeltà, però che egli offeriuono fu
l'altare quei mcdcfimi frutti, che ei magiauono, il che fecio-
noanchora tal voltai Romani, come dimoftra Iaprc- fente figura: &
abbruciando le radici & le foglie infic- mc,guardauonoi frutti
offerti all’altare, pacificando gli Dei celefti col fumo fidamente. v
pinzi fo- gli Egitti/ nelTadora- rt » loro
X>ij. s^Cz/ SACRIFICIO 2)1 FRVTTI TIRATO del
marmo antico di Roma. Scriue Porfirio che in quel primo tempo non erano
Porfirio. invfo ne rincenfo, nc Iamyrra,nc la cannellate il zol-
fine il zafferano, ma l'hcrba verta, la quale moftraua » la potenza
della cerra, & tale facrificio quale fi faccua propriamente delle
herbe fi chiamaua da Greci 5v*t*. Di poi vennero Hipcrbio &
Prometeo che trouorno il Hipfr&io modo di Eterificare le bclfic,&
di conofcere selle erano intere &fane,& il facrificio grato à gli
Disperò chefcil fiacri fi tato- toro rifiuta u a la farina, o le capre i
ceci,chc erano pre- acif ~ (curati loro , giudicauono il facrificio ne le
beftie edere buono.Dipoi offerirno myrra &: zafferano, &
ndl'vlti- T 3 Cerimonie degli Egit- ti f, i
felli' tarloroDij ld mattina. Vitruuio. Itore
certe per far ora tione,cr ci tare. P
linio. Tacito. Macrobio, Marcelli- no, Cojlume
t Orfeo à far giurare i forejiitri entrido nel la fua religione. L
ecofebuo ne communicate ima Ugni, perdo nolorripu-
tatione. mofcciono vna vera beccheria dei facrificij loro. L’al-
tre cerimonie de gl’Egittij erano di falutare la mattina i loro Dij,il quale
modo da gl’antichi fu detto adoratio- nc,comc moftra Vitruuio nel in i.
libro della Aia Ar- chitettura,doueci vuole che i templi de gli Dei
fiano prdl'o alle ftrade macftrc:acciochc i paflànti gli pollino
più commodamentc falutare & adorareda quale vfanza pare che habbino
ritenuta i noftri preti,diccndo il mattutino, &terza &feda, comcgr Egirtij
faccuonoorationc la prima, feconda & terza hora, cantando hynni &
altri canti, fitti in laude del loro Dci,& fcritti (come fcriuc
Plinio) ne i loro libri di Rcligione,per figure & caratteri di
beftic,d’vccelli,& d’altre cofe, che Tacito, Macro- bio &
Marcellino chiamano Hycrogliphice , come an- chora fi può vedere ne i
loro obclifci, o vero piramidi & guglie, delle quali ragiona Plinio
al x x x v i. hb.dcl- fHiftoria naturale in quello modo,Gl’intagli,
caratteri, & imagini,chc noi veggiamo, fono lettere de
gl’Egittij fcnzaordine& inrclligcnza di perfona,fcnondi coloro
che crono prepolli alla religione. Et Orfeo (come narra Firmico)
mollrando à gli huominiforellieri,chc entra - uono nella fua religione, i
lecreti & miflerij di quella, gli faceua prima folla portadel tempio
giurare, che non riuclcrebbono maicofa,che egli hauellìno veduta ài
profani, cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro:& certamente non
fenza ragione, conlìdcraco come le co- le buone perdono di
rìputationcquando ellcfonocoftì municatc à huomini ignorami,
incredulfonuidioii, per- fidi & maligni. Vlauono oltre à quello
gl’Egittij, che pi- gIiauonogl’ordinifacri,di pigliare anchora
prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi faccuonovn
conuitoà tutti quelli , che erano flati prefentialle cerimonie loro:
&il gran facer- dote (come noi diremo hoggi vno de i noftri
vefcoui) infegnaua poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn
libro, o ruotolo , come quelli che vfauono i Giudei. I Romani poi
(come habbiamo detto) haueuono altri vigniti de ordini tra loro, come il
maggiore & minori Pontefici, flamini,archiflamini,& protoflamini,
limili alnoftro Papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vefcoui ,
abbati* priori, canonici & altri , à i quali porta uono molto
ho- nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cicerone fcriuc,che
la religione fu quella che fece coli gran- urrllgim di i Romani, anchora
che egli haueflino affili nationifu- periori à loro in molte cofe. Pofledcuono
parimente gl’antichi benefici) con la difpenfa del maggiore Ponte-
eB fìce,come fi vede in Tranquillo nella vita di CLAUDIO, & doti
Antichi in LIVIO, quando ci dice che il figliuolo di Fabio Maflimo
haueua due bencficij,quando ci fu fatto Pon- tefice:i quali benefici)
erano di fi gran valuta, che non folamentc ei poteuono intrattenere le loro
cafc& famiglie magnificamcnte,ma peruenire alle fbmmc dignità de
i loro trionfi, nonlafciando perqueftodi tenere altri of- fici)
fecolari & publichhandarc alla guerra, & fare mer- canti a,
fecondo che roccafionc fi prefcntaua:& erano quefli
bcneficijdidueforti d’vnaVfa fuggettaalla colla- tionedc Ponteficbde la Republica,
& degli Imperatori, & l'ahra reftaua libera &
hcreditaria di mano in mano à R 0m JT « i fucceflorijche chiamorno tali
facerdotij Gentilirij,& tuamentr. quafi al modo noftro patronati:de
quali hà coli parlato CICERONE, nel libro de Aruftìcum reftonfìs, Ei fono
(dice citarne. , che hanno fattoi T 4
egli) in qucfto ordine molte perfone intrjte de facrificij
Gentilicij in quello iftclTotcmpio.Nc e dama- tntjiaf. rauigliarfi fc
l’enrrattc di quelli benefici j antichi erano cofi grandi, confidcraro
che quando i ROMANI veniuo- noa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono
digran- dilfimi beni, cofi indanari,& penfioni,comcin
tcrre& altre cole (labi li, & i Re &gl IMPERATORI le faccuono
fi- jonluioni a quelle , che in Francia fi chiamono Fondationi
rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe & pagate dai
Riceuitori del Dominio, cofi quelle de ROMANI paflàuono per le mani de Questori,
o Telorieri, fi co- coUcgìdd m x c m °ft ra LIVIO, quando ei dice che NUMA
ordine V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle vergini Vcftali,&:
aflc- - N ^ id4 £ n ° foro entrate & prouifionidei beni publicida
quale vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi ofleruata &
matcnuta da gl altri fondatori che vennono do- cSformiti P° lui.
Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi troucrrcmo & vedremo che
gl’ordini della noflra reli- Gentili con gionefonóin moire cole limili à
quelli de gl’antichi Egit k nojircin tij, ROMANI, comclbno i camicide
pretine ftolcde piì- netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano
Corone, lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il
principio et la fine del facrificio, i prieghi,i voti,l’orationi , gl’fiy
tini, le mufichc delle voci,ifuonicomequellidegli organi, proccfIìoni, &
molte altre cofc,chc vn buono spirito potrà facilmente ricorre, hauendo
bcneconlideratc quelle cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’
df ti,icrano ^«tlupcrfiitiofe, ma lenollre fono Chri- g aitili. diane
& catholichc, eflèndo fatte inhonoredi Dio Pa- dre Omnitenrc,
&di Gicfu Chrillofoo figliuolo, à cui fia gloria eternalmente. Grice:
“There are many issues about philosophical theology, as we may call it. The
romans were into cult, rather than religion – they didn’t even know where
‘religio’ came from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero – It seems it
was all about killing livestock in lieu of humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo should concentrate a bit on how the
ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo.
Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis
to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps Moses got
more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita pagana – la
teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei romani – I
simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale della Roma
antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool Library.
Grice
ed Epicaride: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. He is said to have been a Pythagorean who solved the problem of not
being allowed to eat living things by killing those things first!
Grice
ed Epicarmo: all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes
comedies. He achieved a reputation as a philosopher through several works. He
was one of the seven sages (according to Hippoboto) and may have been a
Pythagorean.
Grice
ed Epicoco: l’implicatura conversazionale della religione civile dei romani -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Mesagne). Filosofo italiano. Grice: “I like Epicoco; he has
a way with words – e.g. ‘only the sick heal.” Is that synthetic a priori?”
Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis on some symbols, like blood, and
Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’ Insegna a San Carlo Borromeo
all'Aquila. Altre opere: Vergine Madre
figlia del tuo figlio; Itaca editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca editrice; Il
grido di Benedetto XVI; con Michele G. Masciarelli; Tau editrice; Futuro
presente. Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo
Amato e Paola Bignardi; Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in
preparazione alla festa dell'Immacolata; Tau editrice Io vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau
editrice Ex coelesti virtute.
Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di
Sacerdozio; Tau editrice Etty Hillesum.
Introduzione ad una donna; Tau editrice
Piccola introduzione alla Bibbia; Tau editrice Qualcuno accenda la luce. Conversazioni
sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau editrice Giovanni Paolo II. Ricordi di un papa santo;
con Mons. Piero Marini; Tau editrice La
misericordia ha un volto. Il Giubileo straordinario della Misericordia secondo
papa Francesco; Tau editrice Preghiere
di ogni giorno; Tau editrice Nati per
amare. I giovani raccontano la famiglia; LUP
Solo i malati guariscono. L'umano del (non) credente; San Paolo,
Milano Educare è meglio che curare; Tau
editrice, La malattia è un dono di vita.
Storia di Teresa Ruocco; Tau editrice La
stella, il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano. Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma,. Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che
può cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre. Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca
libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi
diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su
diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco Radio Radicale Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato il 18 gennaio in. Testimonianza nella rivista Credere Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San
Paolo Intervista e nuovo libro sul sito
Aleteia La prefazione di Massimo
Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco
Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza
il 13 novembre. Wikipedia Ricerca Religione sistema di credenze e attività
umane nei confronti di una o più entità sovrannaturali Lingua Segui Modifica La
religione è un costrutto sociale formato da quell'insieme di credenze, vissuti,
riti che coinvolgono l'essere umano, o una comunità, nell'esperienza di ciò che
viene considerato sacro, in modo speciale con la divinità, oppure è
quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni che, nell'insieme, entrano a
far parte di un determinato culto.[1] Alcuni simboli religiosi. Da
sinistra a destra, dall'alto verso il basso: Cristianesimo, ebraismo, induismo,
bahaismo, Islam, Neopaganesimo, Taoismo, Shintoismo, Buddismo, Sikhismo,
Brahmanesimo, Giainismo, Ayyavazhi, Wicca, Templari e Chiesa Nativa Polacca Va
tenuto presente che «il concetto di religione non è definibile astrattamente,
cioè al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un
riferimento a determinate formazioni storiche».[1] Lo studio delle
"religioni" è oggetto della "Scienza delle religioni"
mentre lo sviluppo storico delle religioni è oggetto della "Storia delle
religioni". EtimologiaModifica Cicerone fu il primo autore a
proporre un significato etimologico, collegato all'attenzione verso ciò che
riguardava gli dèi, e una definizione del termine religio. Lattanzio
(250-327), apologeta cristiano, criticò l'etimologia di "religione"
proposta da Cicerone, ritenendo che questo termine dovesse essere riferito al
"legame" tra l'uomo e la divinità. Il termine religione deriva dal
latino relìgio, la cui etimologia non è del tutto chiarita[2]. Secondo
Cicerone, la parola originerebbe dal verbo relegere, ossia "ripercorrere"
o "rileggere", intendendo una riconsiderazione diligente di ciò che
riguarda il culto degli dèi[3]: (LA) «qui autem omnia quae ad
cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et tamquam relegerent, sunt
dicti religiosi ex relegendo, ut elegantes ex eligendo, diligendo diligentes,
ex intelligendo intelligentes» (IT) «invece coloro che
riconsideravano con cura e, per così dire, ripercorrevano tutto ciò che
riguarda il culto degli dei furono detti religiosi da relegere, come elegante
deriva da eligere (scegliere), diligente da diligere(prendersi cura di),
intelligente da intelligere(comprendere)» (Cicerone. De natura deorum II,
28; traduzione in italiano di Cesare Marco Calcante in Cicerone. La natura
divina. Milano, Rizzoli, 2007, pagg. 214-5) Jean Paulhan evidenzia come
Lucrezio fece invece derivare religio dalla radice di re-ligare, nel
significato «dei legami che uniscono gli uomini a certe pratiche»[3] –
derivazione che fu poi ritenuta tale anche da Lattanzio e Servio Mario Onorato
(però col significato di «legarsi nei confronti degli dei»[4]). Secondo Michael
von Albrecht, da essa, poiché verbo contrario all'idea di liberazione, Lucrezio
ne derivò il significato negativo, del quale è: «molto grafica l'espressione
religione refrenatus (5, 114), che rispecchia le inibizioni al pensiero
filosofico causate dal paganesimo: l'uomo è trattenuto, impedito, essendo le
sue mani letteralmente "legate dietro la schiena"». Inoltre «parla
spesso dei “nodi stretti” [...]della religio, dai quali Epicuro avrebbe
liberato l'umanità».[5][6] Un significato simile le aveva attribuito lo storico
greco Polibio, dando alla religione, ma con particolare riguardo alla
tradizione e ai costumi dei Romani, il senso di un instrumentum regni.[7] Nello
specifico Lattanzio (250-327)[8], che fu ripreso anche da Agostino d'Ippona
(354-430)[9], correggendo Cicerone, sostiene: (LA) «Hoc vinculo
pietatis obstiicti Deo et religati sumus ; unde ipsa religio nomen accepit, non
ut Cicero interpretatus est, a relegendo.» (IT) «Con questo vincolo
di pietà siamo stretti e legati (religati) a Dio: da ciò prese nome religio, e
non secondo l'interpretazione di Cicerone, da relegendo.» (Lattanzio.
Divinae institutiones IV, 28. Traduzione di Giovanni Filoramo. Le scienze delle
religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286) Così lo studioso Luigi Alici
(1950-) mette a confronto la lettura etimologica offerta da Agostino in De
civitate Dei X,3, che si richiama a Cicerone, con quella di Lattanzio il quale
"preferisce insistere sull'idea primitiva di 'ciò che lega' di fronte agli
dèi": «tale legame sarebbe pure indicato dall'uso simbolico delle
vitae, cioè delle bende con cui si coprivano il capo i sacerdoti» (Luigi
Alici. Nota 5 in Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462)
Tuttavia lo storico delle religioni italiano Enrico Montanari (1942-) osserva
che: «Etimologicamente, religio non deriva da religare('legarsi faccia a
faccia con gli dèi'): questa interpretazione, di fonte cristiana (Lattanzio),
fu attribuita agli antichi, ma sulla base del nuovo culto monoteistico.»
(Enrico Montanari. Roma. Il concetto di "religio" a Roma. In
Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi,
1993, pag.642) Quindi, per Enrico Montanari, l'origine del termine
"religione" è da ricercarsi nella coppia dei termini
religere/relegere intesi come "raccogliere nuovamente",
"rileggere"[10] osservare "con scrupolo e coscienziosità
l'esecuzione di un atto"[11] e quindi eseguire con attenzione l'"atto
religioso". Furono i primi teologi cristiani, nel IV secolo, a rovesciare
il significato originario del termine per collegarlo al nuovo credo[12].
Allo stesso modo osservò Gerardus van der Leeuw(1890-1950) che coniando
l'espressione homo religiosus lo oppose all'homo negligens: «Possiamo
quindi intendere la definizione del giurista Masurio Sabino: religiosum est,
quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a nobis est. Ecco
precisamente in che cosa consiste il sacro. Usargli sempre debiti riguardi: è
questo l'elemento principale della relazione fra l'uomo e lo straordinario.
L'etimologia più verosimile fa derivare la parola religio da relegere,
osservare, stare attenti; homo religiosus è il contrario di homo
negligens.» (Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933).
In italiano: Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino,
Boringhieri, 2002, pag.30) Storia della definizioneModificaOccidenteModifica
Grecia anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Religione dell'antica Grecia. Il termine che nella lingua greca moderna indica
la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è collegato a
θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio"). Quindi anche
se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine che riassumesse
quello che noi intendiamo oggi per "religione"[13], thrēskeia[14]
possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi[15]: indicava la modalità
formale con cui andava celebrato il culto a favore degli dèi[16]. Scopo del
culto religioso greco era infatti quello di mantenere la concordia con gli dèi:
non celebrare loro il culto significava provocarne l'ira, da qui il
"timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso culto provocava in
quanto connesso con la dimensione del sacro. Roma anticaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Religione
romana Monaci manichei intenti a copiare testi sacri, con un'iscrizione
in sogdiano (manoscritto da Khocho, Bacino del Tarim). Il manicheismofu una
religione perseguitata, al pari di altre, nell'Impero romano in quanto
contrastava con il mos maiorum. La concezione romana di "religione"
(religio) corrisponde alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore
degli dèi, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti
correttamente eseguito[17]. In questo senso i romani collegavano al termine di
"religione" un senso di timore nei confronti della sfera del sacro,
sfera propria del rito e quindi della religione stessa[18]. In un ambito
più aperto i romani accoglievano comunque tutti i riti che non contrastassero
con il mos maiorum dei tradizionali riti religiosi, ovvero con il costume degli
antenati. Quando nuovi riti, e quindi novae religiones, venivano a contrastare
con il mos maiorum questi venivano proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta
in volta, delle religioni ebraica, cristiana, manichea e dei riti
bacchanalia[19]. La prima definizione del termine "religione",
ovvero del suo originario termine latino religio, la dobbiamo a Cicerone il
quale nel De inventione così la esprime: (LA) «Religio est, quae
superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»
(IT) «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti
ad un essere superiore la cui natura definiamo divina» (Cicerone. De
inventione. II,161) Con l'epicureo Lucrezio (98 a.C.-55 a.C.) si affaccia una
prima critica alla nozione di religione intesa qui come un elemento che
sottomette l'uomo per mezzo della paura e da cui il filosofo deve
liberarsi[20]: «Humana ante oculos foede cum vita iacere / in
terris oppressa gravi sub religione / quae caput a caeli regionibus ostendebat
/ horribili super aspectu mortalibus istans, / primum Graius homo mortalis
tollere contra est / oculos ausus primusque obsistere contra» «La vita umana giaceva sulla terra alla vista
di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo
dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un
uomo greco[21] per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e
per primo resistere contro di lei.» (Lucrezio. De rerum natura I,62-7.
Traduzione di Francesco Giancotti in Lucrezio. La natura. Milano, Garzanti,
2006, pagg. 4-5) (LA) «primum quod magnis doceo de rebus et artis
religionum animum nodis exsolvere pergo»
«prima di tutto in quanto grandi cose insegno, e tento di sciogliere
l'animo dai nodi stretti della religione» (Lucrezio. De rerum natura
I,932) Occidente cristianoModifica Massacre saint Barthelemy di François
Dubois (1529–1584) conservato presso il Musée cantonal des Beaux-Arts di
Losanna. A seguito dei massacri provocati dalle Guerre di religione i pensatori
francesi del XVII secolo misero in dubbio la sovrapposizione delle nozioni di
civiltà e religione fino a quel momento in vigore. Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:Cristianesimo. Ebrei in
preghiera il giorno dello Yom Kippur, opera di Maurycy Gottlieb(1856–1879).
Nell'Occidente cristiano, l'Ebraismo, come l'Islām, verrà indicato come una
religione solo a partire dal XVII secolo. Le prime comunità cristiane non
utilizzarono il termine religio per indicare le proprie credenze e pratiche
religiose[22]. Con il tempo, tuttavia, diffusamente a partire dal IV secolo, il
Cristianesimo adottò tale termine nell'accezione indicata da Lattanzio,
individuandone l'unicità in quanto la "religione" era l'unica via di
salvezza per l'uomo. La relazione tra religio cristiana e quelle dei
culti o delle "filosofie" precedenti fu variamente interpretata dagli
esegeti cristiani. Giustino (II secolo)[23], ma anche Clemente Alessandrino e
Origene, sostennero che partecipando tutti gli uomini al "Verbo"
coloro che tra questi vissero secondo "ragione" erano comunque dei
cristiani[24]. Con Tertulliano (III secolo) la prospettiva cambiò e le
differenze tra mondo "antico" e il mondo dopo la
"rivelazione" cristiana furono decisamente accentuate. Con
Agostino d'Ippona (354-430), ma già precedentemente con Basilio, Gregorio
Nazianzeno e Gregorio di Nissa, il pensiero platonico rappresentò per i teologi
cristiani un esempio della comprensibilità di cosa fosse la vera
"religione"[25]. Rispetto ai significati del termine
"religione" nel mondo cristiano, lo storico delle religioni svizzero
Michel Despland osserva che: «Diventato cristiano l'Impero, si trovano
presso i cristiani tre accezioni della parola. La religione è un ordine
pubblico mantenuto dall'imperatore cristiano che instaura sulla terra la
legislazione voluta da Dio (idea imperiale). Può anche essere l'eros dell'anima
individuale verso Dio (idea mistica). Infine religio può designare la
disciplina propria ai battezzati che hanno fatto voto di perfezione e sono
diventati eremiti o cenobiti (Monachesimo).» (Michel Despland. Religione.
Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg.) Quindi se
inizialmente il termine "religione" è assegnato esclusivamente agli
ordini religiosi[26], a partire dalla Francia il termine accoglie dapprima
anche quei pellegrini o cavalieri che se ne mostrano degni attraverso il
mantenimento dei loro voti, poi i mercanti onesti e gli sposi fedeli, aprendo
così il termine all'intero mondo laicale che osserva con scrupolo i precetti
della Chiesa. Con la Scolastica la "religione" venne collocata
tra le "virtù morali" inserite nella "giustizia" in quanto
essa rende a Dio l'onore e l'attenzione che gli sono "dovuti"
esprimendosi con atti esteriori, come la liturgia o il voto, ed atti interiori,
come la preghiera o la devozione[27]. Infine il termine
"religione" diviene sinonimo di "civiltà". Con la Riforma
protestante a partire dal XVI secolo il termine "religione" è
assegnato a due confessioni cristiane distinte, e solo con il XVII secolo
l'Ebraismo e l'Islām saranno considerate "religioni"[28]. Le
Guerre di religione del XVI secolo provocarono in Francia l'abbandono dell'idea
che il termine "religione" potesse essere sovrapponibile a quello di
civiltà e, ad incominciare dal XVII secolo, alcuni intellettuali francesi
avviarono una critica serrata al valore stesso della religione[28]. «Vive
forze nazionali si risvegliano e insorgono contro l'adattamento compiuto dopo le
guerre di religione. Da allora la religione è vista come riguardante
un'autorità oppressiva, la fede come una credenza poco ragionevole, anzi quasi
irragionevole. In Francia, le intelligenze cominciano a preferire la civiltà
alla religione. E c'è la tendenza a credere che quanto l'uomo più si
civilizzerà tanto meno sarà incline alla religione.» (Michel Despland.
Op.cit.) Occidente moderno e contemporaneoModifica A partire dal XVII secolo,
la Modernità attribuisce valore supremo alla razionalità affrontando con questo
strumento conoscitivo anche l'alveo della religione che così viene sottoposto
al suo esame. Se da una parte autori come Gottfried Wilhelm von Leibniz
(1645-1716) e Nicolas Malebranche (1638-1715) dopo l'analisi razionale
esaltarono i valori religiosi, altri, come ad esempio John Locke (1632-1704) o
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), utilizzarono la "ragione" per
spogliare la "religione" dei suoi contenuti non giustificabili
razionalmente. Altri autori, come l'irlandese John Toland (1670-1722) o
il francese Voltaire (1694-1778) furono propugnatori del deismo, una lettura
decisamente razionalista della religione. Con David Hume (1711-1776) vi
fu un rifiuto dei contenuti razionali della religione, nell'insieme considerata
un fenomeno del tutto irrazionale, nato dai timori propri dell'uomo nei
confronti dell'universo. Partendo dal giudizio di "irrazionalismo"
della religione, in Occidente, con ad esempio Julien Offray de La Mettrie
(1709-1751) o Claude-Adrien Helvétius(1715-1771), si affacciarono le prime
critiche radicali alla religione che portarono all'affermazione
dell'ateismo. In questo ambito Paul Henri Thiry d'Holbach (1723-1789)
giunse a sostenere che: «L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un
despota, ha dovuto rendere inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non
crea che schiavi [...] che credono che tutto divenga lecito quando si tratta o
di guadagnarsi la benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti
castighi. La nozione di un Dio-tiranno non può produrre che schiavi meschini,
infelici, rissosi, intolleranti.» (Holbach, Il buon senso, a cura di S.
Timpanaro, Garzanti 1985, p.150) Culture non occidentaliModifica Nelle culture
non occidentali il termine "religione" viene reso con termini che non
hanno la stessa etimologia latina. Così, se in Occidente, fatto salvo la lingua
greca, il termine "religione" ha ovunque origine dal latino religio,
l'etimologia del termine ebraico origina invece da un termine proprio
dell'antico persiano, allo stesso modo l'arabo dove il termine
"religione" origina dall'avestico. Nelle lingue del Subcontinente
indiano invece il termine "religione" viene reso con termini di
origine sanscrita e, in Estremo Oriente, con termini di origine cinese.
Vicino e Medio OrienteModifica In lingua ebraica il termine occidentale
"religione" viene reso come(alfabeto ebraico) traslitterato in
caratteri latini come dath. Tale termine compare alcune volte nel Tanakh, così
nel Libro di Ester Il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto (dath) fu
promulgato a Susa. I dieci figli di Amàn furono appesi al palo.» (Libro
di Ester, IX,14) In questo verso (dath) sta per "editto",
"legge", "decreto". L'ebraico dath deriva dall'avestico e
dall'antico persiano dāta[29]. Il termine avestico dāta possiede in
quella lingua sempre il significato di "legge" o di "legge di
Ahura Mazdā"[30], ovvero legge del Dio unico e supremo dello
Zoroastrismo. (AE) «ahmya zaothre baresmanaêca mãthrem speñtem
ashhvarenanghem âyese ýeshti, dâtem vîdôyûm âyese ýeshti, dâtem zarathushtri
âyese ýeshti, darekhãm upayanãm âyese ýeshti, daênãm vanguhîm mâzdayasnîm âyese
ýeshti.» (IT) «Con questo zaothra e baresman desidero questo Yasna
per il generoso Manthra, il più glorioso e lo desidero per Dāta, la Legge, la
più gloriosa, santificata Aša, istituita contro i daēva, e per la legge
insegnata da Zarathuštra. Desidero, questo Yasna, per Upayana, l'antica
tradizione mazdea, e per Daēna, la santa religione mazdea.» (Avestā II,
13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.96) In
lingua araba il termine occidentale "religione" viene reso come دين
(alfabeto arabo) traslitterato in caratteri latini come dīn. Oggi ho
perfezionato la vostra religione ( dīn) compiendo per voi il mio beneficio e ho
scelto per voi l'Islām come religione ( dīn)» (Corano V,3) Il termine
arabo dīn deriva dal medio persiano dēn[31]. In lingua persiana il
termine occidentale "religione" viene reso come دین (alfabeto
arabo-persiano) traslitterato in caratteri latini come dīn. Tale termine deriva
dal termine medio persiano dēnche, a sua volta, deriva dall'avestico daēnā che
in quella antica lingua significa "religione" intesa come splendore,
luminosità di Ahura Mazdā. Daēnā a sua volta proviene, nella medesima lingua,
dalla radice dāy(vedere). (AE) «nivaêdhayemi hañkârayemi mãthrahe
speñtahe ashaonô verezyanguhahe dâtahe vîdaêvahe dâtahe zarathushtrôish
darekhayå upayanayå daênayå vanghuyå mâzdayasnôish» (IT) «Annuncio
e celebro in lode del benefico ed efficace Manthra, ašavan, rivelazione contro
i daēva; rivelazione che viene da Zarathuštra, e in lode di Daēna, la buona
religione mazdea, che ha un'antica Tradizione» (Avestā I, 13. Traduzione
di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.92) Subcontinente
indiano Modifica
La bandiera dell'India. Al centro della bandiera è collocato, raffigurato in
blu, il Čakra di Aśokaovvero il sigillo che compare negli editti promulgati
dall'imperatore indiano Aśoka (304-232 a.C.) e che rappresenta il Dharmačakra,
la "Ruota del Dharma". Nella lingua hindi, la lingua ufficiale e più
diffusa dell'India, il termine occidentale "religione" viene reso
come (alfabeto devanagari) traslitterato in caratteri latini come Dharma.
«È abbastanza difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale
che denoti ciò che in italiano è definito "religione", un termine
effettivamente piuttosto vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine
più appropriato potrebbe essere il sanscrito dharma, traducibile in diversi
modi, tutti pertinenti alle idee e alle pratiche religiose indiane»
(William K. Mahony. Induismo, "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9:
"Dharma induista". Milano, Jaca Book, 2006, pag.99) Gianluca Magi
precisa tuttavia che il termine Dharma «è più ampio e complesso di quello
cristiano di religione e, dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni
occidentali di "dovere" o di "norma", poiché privilegia la
consapevolezza e la libertà piuttosto che il concetto di religio od
obbligo» (in Dharma, "Enciclopedia filosofica" vol.3. Milano,
Bompiani. Il termine Dharma è usato nella maggior parte delle religioni di
origine indiana per indicare tali contesti religiosi: Induismo Sanātana
Dharma), Buddhismo Buddha Dharma), Giainismo Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh
Dharma). Ma anche per indicare le religioni occidentali come l'Ebraismo
(Dharma ebraico) o il Cristianesimo (Dharma cristiano) Il termine Dharma
deriva dalla radice sanscrita dhṛtraducibile in italiano come "fornire una
base", ovvero come "fondamento della realtà",
"verità", "obbligo morale", "giusto", "come
le cose sono" oppure "come le cose dovrebbero essere". O
guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le cui leggi (Dharma) sono sempre
realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo più alto; a chi, Mitra e Varuṇa,
mostrate il vostro favore, la pioggia del cielo dona abbondanza di miele»
(Ṛgveda, V 63,1 a-c) Estremo Orientesānjiào yījiào Tre religioni (insegnamenti)
una religione (insegnamento). Confucio (Kǒng Qiū) e Lǎozǐ proteggono il Buddha
Śākyamuni Shìjiāmóuní) infante. Rotolo dipinto su seta, Dinastia Ming
conservato presso il British Museum di Londra. Scrittura oracolare su
ossa, all'origine del carattere cinese
(zǐ, bambino). Il carattere cineseche indica la singola
"religione" è (jiào) e si compone, oltre del carattere (zǐ), del carattere (lǎo, vecchio), il tutto ad indicare
l'insegnamento. In lingua cinese il termine occidentale "religione"
viene reso come , traslitterato in caratteri latini in zōngjiào (Wade-Giles
tsung-chiao). Da questa lingua il termine religione viene così reso nelle altre lingue
estremo-orientali in: lingua giapponese shūkyō; lingua coreana jonggyo lingua vietnamita tôn giáo. In lingua
cinese (jiào) rende anche il khotanesedeśanā, a sua volta resa del sanscrito
deśayati(causativo del verbo di III classe diś: "mostrare",
"assegnare", "esibire", "rivelare") e anche il
sanscritośāsana (insegnamento). Il carattere è formato da (zǐ, bambino, dove la figura
stilizzata è avvolta in fasce e agita le braccia), (lǎo, vecchio). Mentre (zōng) indica "scuola",
"tradizione acclarata", "religione" quindi
"insegnamento di una tradizione acclarata/religione". Il
carattere cinese (zōng) è formato dai
caratteri (mián, tetto di un edificio) e
( shì "altare", oggi nel significato di "mostrare") a sua
volta composto da (altare primitivo) con
ai lati (gocce di sangue o di
libagioni); il tutto a significare "edificio che contiene un
altare". Le singole religioni vengono indicate dal nome che le
caratterizza seguite dal carattere (jiào): Buddhismo (Fójiào da Fó Buddha),
Confucianesimo (Rújiào, da Rú, letterato confuciano), Daoismo (Dàojiào da Dào)
Cristianesimo (Jīdūjiāo da Jīdū Cristo),
Ebraismo ( Yóutàijiào da Yóutài Giuda),
Islām (Yīsīlánjiāo da Yīsīlán Islām). DescrizioneModifica Il dibattito
sulla nozione di religioneModifica La nozione di "religione" è
problematica e dibattuta. Da un punto di vista fenomenologico-religioso
il termine "religione" è collegato alla nozione di sacro:
«Secondo Nathan Söderblom, Rudolf Otto e Mircea Eliade, la religione è per
l'uomo la percezione di un "totalmente Altro"; ciò ha come
conseguenza un'esperienza del sacro che a sua volta dà luogo a un comportamento
sui generis. Questa esperienza, non riconducibile ad altre, caratterizza l'homo
religiosus delle diverse culture storiche dell'umanità. In tale prospettiva,
ogni religione è inseparabile dall'homo religiosus, poiché essa sottende e
traduce la sua Weltanschauung (Georges Dumézil). La religione elabora una
spiegazione del destino umano (Geo Widengren) e conduce a un comportamento che
attraverso miti, riti e simboli attualizza l'esperienza del sacro.»
(Julien Ries. Le origini, le religioni. Milano, Jaca Book, 1992, pagg.7-23) Da
un punto di vista storico-religioso la nozione di "religione" è
collegata al suo esprimersi storico: «Ogni tentativo di definire il
concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso
comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri
concetti fondamentali e generali della storia delle religionie della scienza
della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che
ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa
prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura
operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la
"realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come
work in progress, che cosa sia "religione" in quelle società e in
quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e
nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo.
Religione in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino,
Einaudi, 1993, pag.620) Da un punto di vista antropologico-religioso la
"religione" corrisponde al suo modo peculiare di manifestarsi nella
cultura: «Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in
forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di
orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di
modelli di riferimento» (Enrico Comba. Antropologia delle religioni.
Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, pag.3) Anche se come evidenzia lo stesso
Enrico Comba: «Non è dunque possibile stabilire un criterio assoluto per
distinguere i sistemi religiosi da quelli non religiosi nel vasto repertorio
delle culture umane» (Enrico Comba. Op.cit. pag.28) Quindi, come notano
Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio, il fenomeno della religione:
«come forma specifica della cultura umana, ovunque presente nella storia e
nella geografia, è un fenomeno estremamente complesso, che va studiato con
molteplici procedure, mano a mano che queste ci vengono offerte dal progresso
degli studi delle scienze umane, senza pretendere di dire mai in proposito
l'ultima parola, come accade per un lavoro che sia costantemente in corso
d'opera.» (Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio. Religioni Simboli
Società: Sul fondamento dell'esperienza religiosa. Milano, Feltrinelli, 1998,
pagg. 71-2) Analisi filosoficaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: scienze delle religioni Natura problematica della
definizione di "religione" Max Weber (1864-1920) sostenne
che la definizione di "religione" si può declinare alla fine della
ricerca su di essa. Leszek Kołakowski(1927-2009) ha osservato che, come
per altri ambiti umanistici, difficilmente si potrà addivenire ad una
definizione condivisa del termine "religione". La definizione moderna
del termine "religione" è problematica e controversa: «Definire
la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente
che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima
non può avere luogo in assenza di una definizione.» (Giovanni Filoramo.
Op.cit 1993, pag.621) Già Max Weber aveva sostenuto che: «Una definizione
di ciò che la religione 'è' non può trovarsi all'inizio, ma caso mai, alla fine
di un'indagine come quella che segue.» (Max Weber. Economia e società
Milano, Comunità, 1968, pag.411. (prima ed. 1922)) Melford E. Spiro (1920-)[32]
e Benson Saler[33]obiettano in proposito che quando non si definisce l'oggetto
di indagine in modo esplicito si finisce per definirlo in modo implicito.
Lo storico polacco Leszek Kołakowski (1927-2009) rileva invece che:
«Studiando le attività umane nessuno dei concetti di cui disponiamo può essere
definito con assoluta precisione, e, sotto questo aspetto, 'religione' non si
trova in una situazione peggiore di "arte", "società",
"storia", "politica", "scienza", "linguaggio"
e innumerevoli altre parole. Ogni definizione della religione deve essere fino
ad un certo punto, arbitraria, e, per quanto scrupolosamente tentiamo di far sì
che si conformi all'impiego attuale della parola nel linguaggio comune, molte
persone riterranno che la nostra definizione comprenda troppo o troppo
poco.» (Leszek Kołakowski. Se non esiste Dio. Bologna, Il Mulino, 1997)
Le spiegazioni sulla natura e le ragioni dell'esistenza dei credi
religiosi Ulteriori informazioni Questa sezione sull'argomento religione
è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di
Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Il filosofo
tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872) sosteneva che: la religione consiste di
idee e valori prodotti dagli esseri umani, erroneamente proiettati su forze e
personificazioni divine. Dio sarebbe quindi la costruzione di un Super uomo
(uomo potenziato con attribuiti ideali dati dall'uomo stesso). È una forma di
alienazione (che non ha lo stesso significato attribuito da Marx), in quanto la
religione estranea l'uomo da sé stesso facendogli credere di non essere in
prima persona: l'uomo è sottomesso da sé stesso. La religione si trova ad
essere dunque un rifugio dell'uomo di fronte alla durezza della realtà
quotidiana. Karl Marx (1818-1883) affermò che: la Religione è «il gemito
della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo
spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei
popoli»[34]. Secondo l'ottica di Max Weber (1864-1920): le Religioni mondiali
sarebbero capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di influenzare il
corso della storia universale. Weber non crede che la religione sia una forza
conservatrice (Karl Marx), bensì crede che essa possa provocare enormi
trasformazioni sociali: La religione influisce sulla vita sociale ed economica.
Il Puritanesimo e il protestantesimo, ad esempio, furono all'origine del modo
di pensare capitalistico. Ne ”L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”
Weber discusse ampiamente l'influenza del cristianesimo sulla storia
dell'Occidente moderno. Weber scoprì che effettivamente alcune religioni sono
caratterizzate da un ascetismo ultramondano, che privilegia la fuga dai
problemi terreni, distogliendo gli sforzi dallo sviluppo economico. Il
cristianesimo sarebbe una religione di salvezza per Weber, poiché è incentrata
sulla convinzione che gli esseri umani possano essere salvati purché scelgano
la fede e seguano le sue prescrizioni morali. Le religioni di salvezza
presentano un aspetto rivoluzionario perché sono caratterizzate da un ascetismo
intramondano, cioè uno spirito religioso che privilegia la condotta virtuosa in
questo mondo. Le religioni asiatiche invece avevano un atteggiamento di
passività rispetto all'esistente. Tra le riflessioni contemporanee,
particolarmente interessante è la spiegazione del fenomeno religioso proposta
da Marcel Gauchet a iniziare dall'opera del 1985 Il Disincanto del mondo[35]:
secondo lo storico-filosofo francese, la religione non è né una tensione
individuale verso il trascendente, né una costruzione funzionale alla
giustificazione del potere. La religione va invece intesa, in una prospettiva
storica e antropologica, come maniera particolare di strutturazione dello
spazio sociale e umano. In particolare la forma più pura di religione è da
rintracciare negli animismi che caratterizzano quelle società che Pierre
Clastres definisce “contro lo Stato”. Nelle società di questo tipo, la legge
viene cioè fatta risalire a un tempo e a forze assolutamente altre rispetto al
presente e nessun membro della società può quindi rivendicare un rapporto
privilegiato con il trascendente. La nascita di un'istanza separata del potere
è indisgiungibile da una trasformazione della religione: dopo tali
trasformazioni, il mondo terreno e la realtà trascendente entrano in rapporto.
La religione, che nella sua forma più pura era un disinnescamento totale
dell'instabilità sociale, una rimozione assoluta della divisione attraverso
l'assolutizzazione della separazione terreno/trascendente, si apre a quella che
Gauchet definisce l'uscita dalla religione. Alcuni termini classificatori
e descrittivi delle religioniModifica Edward Burnett Tylor introdusse,
nel 1871, la nozione di "animismo". Il teologo calvinista
svizzero Pierre Viret (1511-1571) che, nel suo Instruction chrétienne del 1564
introdusse il termine "deismo". Friedrich Schelling nel 1842
introdusse per primo il termine "enoteismo" poi ripreso e diffuso
dall'indologo Friedrich Max Müller (1823-1900). John Toland(1670-1722)
nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705) utilizzò per primo la
nozione di "panteismo". AnimismoModifica "Animismo"
(dall'inglese animism, a sua volta dal latino anĭma) è il termine introdotto
nello studio delle religioni primitive dall'antropologo inglese Edward Burnett
Tylor (1832-1917) che, nel 1871 nel suo Primitive Culture: Researches into the
Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, lo
utilizzò per indicare quella prima forma di credenza spirituale
("anima" o "forza vitale") che viene riscontrata in oggetti
o luoghi. In tal senso la teoria di Tylor si opponeva a quella di Herbert
Spencer(1820-1903) che invece poneva nell'ateismo le convinzioni degli uomini
primitivi[36]. La teoria "animistica", già messa in discussione
da Marcel Mauss (1872-1950) e da James Frazer (1854-1941), è rifiutata oggi
dalla maggior parte degli antropologi. Tuttavia, come nota Jacques
Vidal[37] «in mancanza di altre espressioni l'uso del termine rimane
frequente.» Carlo Prandi[38] nota anche come tale termine venga
utilizzato per indicare le credenze religiose dell'Africa subsahariana, quelle
afrobrasiliane e quelle attinenti alle culture dell'Oceania.
AteismoModifica Esistono religioni atee, per considerarle tali prevale la definizione
legata al culto piuttosto che al sacro, e l'interpretazione strettamente
etimologica su quella abituale di "atteggiamento antireligioso".[39].
Nel 1993 durante i lavori del Parlamento Mondiale delle Religioni (PoWR) i
buddisti, guidati dal Dalai Lama, protestarono contro l’uso del termine Dio che
essi rifiutano, concordando solo su quello di Realtà suprema[40].
DeismoModifica Il termine "Deismo" (dal francese déisme, a sua volta
dal latino deus[41]) fu coniato dal teologo calvinista svizzero di lingua
francese Pierre Viret (1511-1571) che nella sua Instruction chrétienne
(Ginevra, 1564) lo utilizzò per indicare un gruppo che si opponeva agli
"ateisti", ma Viret descrisse questo "gruppo" come di
coloro che pur credendo in un Dio unico e creatore rigettavano la fede in Gesù
Cristo. Il poeta inglese John Dryden (1631-1700), in Religio Laici del
1682 definì il "Deismo" come la credenza in un Dio creatore
rifiutando qualsivoglia dottrina propugnata dalla tradizione e dalla
rivelazione. Con la pubblicazione del Dictionnaire historique et critique
(Rotterdam, 1697) di Pierre Bayle (1647-1706), che riprese la nozione di Déisme
(s.v. "Viret"), il termine si diffuse ampiamente nella cultura
europea. Tuttavia il significato di "Deismo" ha posseduto, di volta
in volta, connotazioni diverse. Allen W. Wood[42]ne ha identificate
quattro: credenza in un Essere supremo privo di tutti gli attributi di
personalità (come intelletto e volontà); credenza in un Dio, ma rifiuto di
qualsiasi cura provvidenziale da parte di questi per il mondo; fede in un Dio,
ma negazione di ogni vita futura; credenza in un Dio, ma rifiuto di tutti gli
altri articoli di fede religiosa. Molti filosofi e scienziati, per lo più
illuministi del Settecento, sostennero tali posizioni; varianti
istituzionalizzate del "Deismo" sono il Culto dell'Essere supremo
durante la Rivoluzione francese e la spiritualità della Massoneria.
EnoteismoModifica "Enoteismo" (dal tedesco henotheismus, a sua volta
dal greco εἷς eîs + θεός theós "un dio") fu il termine coniato dal
Friedrich Schelling (1775-1854) in Philosophie der Mythologie und der
Offenbarung(1842) per indicare un "monoteismo " rudimentale sorto
durante la preistoria della coscienza e precedente al "monoteismo
evoluto" e al politeismo. In questo senso il termine si presenta simile a
quello di Urmonotheimus ovvero "monoteismo primordiale" elaborato nel
1912 dall'antropologo e sacerdote Wilhelm Schmidt. Successivamente,
l'indologo tedesco Friedrich Max Müller (1823-1900) utilizzò questo termine[43]
per indicare una pratica propria del Ṛgveda consistente nell'isolare una
divinità rispetto alle altre durante le invocazioni rituali. Nel suo
significato storico-religioso, "enoteismo" occorre ad indicare quella
forma di culto per cui una divinità viene, durante il rito, momentaneamente
isolata e privilegiata rispetto alle altre, assurgendo così a divinità
principale. MonoteismoModifica Il termine Monoteismo (neologismo greco,
dal grecoμόνος, mónos = unico, solo e θεός theós = dio) caratterizza quelle
religioni che propugnano l'esistenza di una singola divinità. André
Lalande (1867-1963) ha così descritto, nel suo Vocabulaire technique et
critique de la philosophie, revu par MM. les membres et correspondants de la
Société française de philosophie et publié, avec leurs corrections et
observations par André Lalande, membre de l'Institut, professeur à la Sorbonne,
secrétaire général de la Société (2 volumi) Parigi, 1927, il termine
"monoteismo": «Dottrina filosofica o religiosa che ammette un
solo Dio, distinto dal mondo» Il tema, controverso, è quali possano
essere le religioni ascrivibili a questo contesto. Dopo una disamina di tale
problema, Paolo Scarpi così chiosa: «In questa prospettiva, pertanto
conviene limitare l'uso del termine monoteismo alle forme religiose che storicamente
si sono affermate come tali e che hanno elaborato una speculazione teologica
finalizzata alla dimostrazione dell'unicità di Dio» Intendendo in questa
prospettiva sostanzialmente l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islām. Di
tutt'altro avviso è invece, ad esempio, Theodore M. Ludwig che nella
Encyclopedia of Religion nata dal progetto internazionale proposto da Mircea
Eliade include, sia nell'edizione del 1987 che nella seconda edizione del 2005,
nella voce Monotheism[44], altre religioni oltre quelle qui sopra citate come
lo Zoroastrismo, la Religione greca nella forma di alcuni culti e nel pensiero
di alcuni teologi greci, la Religione egizia del culto di Aton, il Buddhismo
nella forma della Terra Pura, l'Induismo in alcune sue particolari manifestazioni
e il Sikhismo. PanteismoModifica Il termine Panteismo (dall'inglese
pantheism a sua volta dal greco παν pan + θεός theós = tutto Dio) letteralmente
significa "tutto è Dio". Tale termine fu derivato da analogo termine,
pantheistic, utilizzato dal filosofo irlandese John Toland (1670-1722) nel suo
Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705), ed ebbe larga diffusione in
Europa durante le polemiche inerenti al Deismo. Oggi il termine
"Panteismo" occorre come termine tecnico-descrittivo per individuare
quei credi religiosi, o filosofico-religiosi, che individuano una divinità che
abbraccia ogni cosa, ovvero Dio che compenetra ogni aspetto e luogo
dell'universo rendendo così sacro ogni aspetto dell'esistente, anche quello
naturale[45]. Sono imparentati ad esso i termini di "panenteismo",
termine coniato nel 1828 da Karl Krause per indicare una visione in cui Dio è
sia immanente che trascendente. e di "monismo", genericamente ogni
dottrina unitaria che presuppone un'unica sostanza, nella fattispecie la
concezione di un unico Dio impersonale ed ozioso [46]. PoliteismoModifica
Il termine "politeismo" è attestato nelle lingue moderne per la prima
volta nella lingua francese (polythéisme) a partire dal XVI secolo[47]. Il
termine polythéisme fu coniato dal giurista e filosofo francese Jean Bodin, e
quindi utilizzato per la prima volta nel suo De la démonomanie des sorciers
(Parigi, 1580), per poi finire nei dizionari come il Dictionnaire universel
françois et latin (Nancy 1740), il Dictionnaire philosophique di Voltaire
(Londra 1764) e, l'Encyclopédie di D'Alembert e Diredot (seconda metà del XVIII
secolo), la cui voce polytheisme è curata dallo stesso Voltaire. Utilizzato in
ambito teologico in opposizione a quello di "monoteismo"; entra nella
lingua italiana nel XVIII secolo[48]. Il termine polythéisme, quindi
"politeismo", è formato da termini derivati dal greco antico: πολύς
(polys) + θεοί (theoi) ad indicare "molti dèi"; quindi da polytheia,
termine coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20
a.C.-50 d.C.) per indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo
rispetto alla nozione pluralistica dello stesso propria delle religioni
antiche[49], tale termine fu poi ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio
da Origene in Contra Celsum). Tale termine indica quelle religioni che
ammettono l'esistenza di più dèi a cui destinare i culti. Non vi rientra
pertanto il Dualismo, che nella versione classica del Manicheismo vede il mondo
retto da due principi opposti in lotta tra loro, il Male e il Bene,
quest'ultimo destinato a trionfare alla fine dei giorni. Il termine Dualismo
viene inoltre esteso ad eresie quali gli Gnostici e i Catari, che nell'esaltare
la figura del male distinguono nettamente tra spirito e materia, ma trattandosi
di Cristiani, per quanto borderline, vanno inclusi tra i Monoteisti.
Religioni (in ordine alfabetico) con maggior numero di fedeliModifica
BuddhismoModifica Il Buddhismo nel mondo Il Buddhismo è una religione che
comprende una varietà di tradizioni, credenze e pratiche, in gran parte basata
sugli insegnamenti attribuiti a Siddhārtha Gautama, vissuto nel Nepal intorno
al VI secolo a.C., comunemente appellato come il Buddha, ossia "il
Risvegliato". Le numerose scuole dottrinarie afferenti a questa
religione si fondano e si differenziano in base alle raccolte scritturali
riportate nei Canoni buddhisti e agli insegnamenti tradizionali trasmessi
all'interno delle stesse scuole. Le due grandi differenziazioni
all'interno del Buddhismo riguardano le correnti Theravāda, presente
prevalentemente in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos, e Mahāyāna,
presente invece prevalentemente in Cina, Tibet, Giappone, Corea, Vietnam e
Mongolia. CristianesimoModifica I cristiani nel mondo per nazione
Il Cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, in particolare in
Occidente (Europa, Americhe, Oceania). Le forme storiche del cristianesimo sono
molteplici, ma è possibile indicare quattro principali suddivisioni: il
Cattolicesimo, il Protestantesimo, l'Ortodossia e l'Anglicanesimo. Oltre a
queste quattro suddivisioni, esistono alcuni credi che si riallacciano al
Cristianesimo ma non sono classificati nelle quattro categorie principali, tra
cui Mormonismo e i Testimoni di Geova. Tutte queste tradizioni cristiane
riconoscono, seppure con piccole varianti, che il loro fondatore, Gesù di
Nazaret, è il Figlio di Dio, e lo riconoscono come Signore. Credono altresì, a
parte i Testimoni di Geova, i Mormoni e i Protestanti Unitari, che Dio è uno in
tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Inoltre, tenendo
presente che la Bibbia protestante ha 7 libri in meno della Bibbia cattolica,
considerano la Bibbia un testo ispirato da Dio. La Bibbia dei cristiani è
composta dall'Antico Testamento, il quale corrisponde alla Septuaginta,
versione e adattamento in lingua greca della Bibbia ebraica con l'aggiunta di
ulteriori libri[50], e dal Nuovo Testamento: quest'ultimo ruota interamente
sulla figura di Gesù Cristo e del suo "lieto annuncio" (Vangelo).
InduismoModifica Induismo nel mondo L'Induismo è un insieme di dottrine,
credenze e pratiche religiose e filosofico-religiose che hanno avuto origine in
India, luogo dove risiede la maggioranza dei suoi fedeli. Secondo la
tradizione, questa religione è eterna (Sanātana dharma, religione eterna) non
avendo né un principio né una fine. L'Induismo fa riferimento ad un
insieme di testi sacriche per tradizione suddivide in Śruti e in Smṛti. Tra
questi testi occorre ricordare in particolar modo i Veda, le Upaniṣad e la
Bhagavadgītā. IslamModifica Presenza musulmana nel mondo L'Islam è
la più recente delle tre principali religioni monoteiste originarie del Vicino
Oriente. Ha come principale riferimento il Corano considerato libro sacro. Il
testo in lingua araba, una raccolta di predicazioni orali, è relativamente
breve rispetto ai testi sacri ebraici o indù. Il termine Islam significa
letteralmente "sottomissione", intesa come fedeltà alla parola di
Dio. L'Islam condivide con l'Ebraismo e il Cristianesimo gran parte della
tradizione dell'Antico Testamento, legittimando il riferimento biblicosecondo
cui Isacco (progenitore degli israeliti) e Ismaele (progenitore degli arabi)
erano entrambi figli di Abramo. Riconosce la vita e le opere di Gesùritenendolo
però un profeta. La figura di riferimento dell'Islam è Muhammad (Maometto),
vissuto nel VII secolo nella penisola arabica, di cui la Sunna raccoglie gli
aneddoti. Le due suddivisioni principali di questa religione sono l'Islam
sunnita e l'Islam sciita. Altre religioniModifica Altre importanti
religioni, diffuse soprattutto in Asiasono: Animismo Bahá'í
Confucianesimo Culti sincretici africani Ebraismo Ermetismo Esoterismo
Giainismo Gnosticismo Manicheismo Mitraismo Shintoismo Sikhismo Taoismo
Zoroastrismo Nuovi movimenti religiosiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Nuovo movimento religioso. Bambini di Dio Chiesa
dell'unificazione Meditazione trascendentale Movimento raeliano Neopaganesimo
Organizzazione Sathya Sai Pastafarianesimo Rajneeshismo Rastafarianesimo Sahaja
Yoga Scientology Testimoni di Geova Wicca NoteModifica ^ a b Religione, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL
consultato il 6 settembre 2020. ^ Sull'etimologia di "religio" si
possono vedere gli studi di Huguette Fugier, Recherches sur l'expression du
sacré dans la langue latine, Saint-Amand, Ch.A. Bedy, 1963, pp. 172-179 e Godo
Lieberg, "Considerazioni sull'etimologia e sul significato di
religio", Rivista di Filologia Classica, (102) 1974, pp. 34-57. ^ a b Jean
Paulhan, Il segreto delle parole, a cura di Paolo Bagni, postfazione di Adriano
Marchetti, Firenze, Alinea editrice, 1999, p. 45, ISBN 88-8125-300-3. ^ ««le
fait de se lier vis-à-vis des dieux», symbolisé par l'emploi des uittæ et des
στέμματα dans le culte.» (( FR ) Alfred Ernout e Antoine Meillet,
Dictionnaire étymologique de la langue latine - Histoire des mots ( PDF ),
ristampa della IV edizione, in nuovo formato, aggiornata e corretta da Jacques
André (1985), Parigi, Klincksieck, 2001 [1932] , p. 569, ISBN
2-252-03359-2. URL consultato il 24 luglio 2013.) ^ Michael von Albrecht,
Terror et pavor: politica e religione in Lucrezio ( PDF ), su
basnico.files.wordpress.com, ETS, 2005, 238-239. URL consultato il 5 giugno
2017. ^ cfr. anche ( EN ) Robert Schilling, The Roman Religion, in Claas Jouco
Bleeker e Geo Widengren (a cura di), Historia Religionum I - Religions of the
Past, vol. 1, 2ª ed., Leiden, E. J. Brill, 1988 [1969] , p. 443,
ISBN 978-90-04-08928-0. URL consultato il 5 giugno 2017. ^ Polibio, Storie, VI
56. ^ Concetta Aloe Spada, “L’uso di religio e religiones nella polemica
antipagana de Lattanzio”, in Ugo Bianchi (ed.), The Notion of «Religion» in
Comparative Research. Roma: 'L'Erma' di Bretschneider, 1994, pp. 459-463. ^ Retractationes
I, 13. Anche se in De civitate DeiX,3 Agostino segue invece l'etimologia
offerta da Cicerone: «Eleggendo quindi Dio, o piuttosto rieleggendolo (da
cui verrebbe il termine religione) avendolo perduto per nostra
negligenza» (Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462)
^ Cfr. anche Giovanni Filoramo. Che cos'è la religione. Torino, Einaudi, 2004,
pag.81-2. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 1993. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 2004
pag.82 nota 2; Op.cit. 1993, pag. 624; Le scienze delle religioni. Brescia,
Morcelliana, 1997, pag.286 ^ Cfr., ad esempio, Paolo Scarpi. Grecia (religione)
in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi,
1993, p. 350. ^ Dialetto ionico. ^ Questo tuttavia al di fuori del dialetto attico,
cfr. in tal senso e per una più approfondita disamina dei termini Walter
Burkert, La creazione del sacro, pp. 491 e sgg. ^ «Tutti questi dati si
intrecciano e completano la nozione che la parola thrēskeia evoca di per sé
stessa: quella di 'osservanza, regola della pratica religiosa'. La parola si
ricollega a un tema verbale che denota l'attenzione al rito, la preoccupazione
di restare fedeli a una regola.» Émile Benveniste. Il vocabolario delle
istituzioni indoeuropee, voll. II. Torino, Einaudi, 1976, p.487. ^ «Per i
Romani religio stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in
senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore
degli dèi.» (Mircea Eliade. Religione in Enciclopedia del novecento.
Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag.121) ^ Enrico Montanari. Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.
642-4 ^ Enrico Montanari. Op.cit., pag. 642-4 ^ Va precisato tuttavia che gli
epicurei non negavano l'esistenza delle divinità quanto piuttosto affermavano
la loro lontananza e il loro disinteresse nei confronti degli uomini. ^ Si
riferisce ad Epicuro. ^ Michel Despland. Religione. Storia dell'idea in
Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi,
Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle
religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg. ^ I Apologeticum XLVI, 3
e 4. ^ Tra questi Giustino cita esplicitamente Socrateed Eraclito: «Coloro che
hanno vissuto secondo il Logos sono cristiani, anche se sono stati considerati
atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito, ad altri simili, e tra i barbari,
Abramo, Anania, Azaria, Misael, Elia, e molti altri ancora, dei quali ora non
elenchiamo le opere e i nomi, sapendo che sarebbe troppo lungo. Di conseguenza
coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non secondo il Logos, sono stati
malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli che vivevano secondo il Logos;
al contrario coloro, quelli che hanno vissuto e vivono secondo il Logos sono
cristiani, non soggetti a paure e turbamenti» (Giustino. Apologia I, 47,3
e 4. Traduzione di Giuseppe Girgenti in Giustino Apologie. Milano, Rusconi,
1995, pagg. 125-7) . ^ Cfr. a titolo esemplificativo Agostino d'Ippona. De vera
religione 1-3. ^ «Nel XIII sec. una religione è un Ordine religioso»
(Michel Despland. Op.cit..) ^ Antonin-Dalmace Sertillanges. La philosophie
morale de saint Thomas d'Aquin. Parigi, 1947. ^ a b Michel Despland. Op.cit.. ^
F. Brown, S. R. Driver, Ch. A. Briggs. A Hebrew and English Lexicon of the Old
Testament. Oxford, Clarendon Press, 1968 ^ Dāta' nella Encyclopædia Iranica. ^
«DlN, I. Definition and general notion. It is usual to emphasize three distinct
senses of din: (i) judgment, retribution; (2) custom, sage; (3) religion. The
first refers to the Hebraeo-Aramaic root, the second to the Arabic root ddna,
dayn (debt, money owing), the third to the Pehlevi dēn(revelation, religion).
This third etymology has been exploited by Noldeke and Vollers.» (Louis
Gardet. Encyclopedia of Islam, vol.2. Leiden, Brill, 1991, pag.253) ^ Melford
E. Spiro. Religion: problems of definition and explanation, in M. Banton (a
cura di) Anthropological Approaches to the study of Religion. London,
Tavistock, 1966, pag. 90-1. ^ Benson Saler. Conceptualizing Religion: Immanent
Anthropologist, Trascendent Natives, and Unbounded Categories. Leiden, Brill,
1993, pagg. 28-9. ^ Karl Marx, "Introduzione" alla Critica della
filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili,
Torino, Einaudi 1969. ^ (traduzione italiana Einaudi 1992) ^ Kees W. Bolle.
Animism and Animatism. Encyclopedia of Religion vo.1. NY, Macmillan, 2005
(1987) pagg. 362 e segg. ^ Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pag. 60. ^ Carlo Prandi. Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.37 ^
Giancarlo Bascone, Manualetto di storia religiosa: introduzione ^ Hans Küng,
Ciò che credo, Rizzoli: cap. 6 ^ La sua etimologia è del tutto simile a quello
di "Teismo" derivando quest'ultimo dal greco théose il primo dal
latino deus. ^ Encyclopedia of Religion, vol.4. NY, Macmillan, 2005, pag.
2251-2 ^ Friedrich Max Müller. Selected Essays on Language, Mythology and
Religion, vol. 2, Londra, 1881. ^ Theodore M. Ludwig. Monotheism, in
Encyclopedia of Religion vol.9. NY, Macmillan, 2005, pagg. 6155 e segg. ^ H. P.
Owen. Concepts of Deity. Londra, Macmillan, 1971. ^ Maria Vittoria Cerutti,
Storia delle religioni, EDUCatt: 2. 4 ^ Paolo Scarpi, Politeismo in Dizionario
delle religioni, Torino, Einaudi, 1993, p. 573. ^ Alberto Nocentini,
L'Etimologico, Firenze, Le Monnier, 2010 edizione elettronica ^ Gabriella Pironti.
Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione vol.6
della Grande Storia dell'antichità (a cura di Umberto Eco). Milano,
Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.22. ^ Da tener presente che la Bibbia
protestantecontiene una differente raccolta di libri rispetto a quella, ad
esempio, cattolica. BibliografiaModifica Ugo Bianchi (a cura di),
The Notion of 'Religion' in Comparative Research. Selected Proceedings of the
16. Congress of the International Association for the History of Religions,
Rome, 3.-8. September, 1990, Roma, 'L'Erma' di Bretschneider, 1994. Angelo
Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza,
1991. Walter Burkert, La creazione del sacro, Milano, Adelphi, 2003. Yves
Coppens, Origines de l'homme - De la matière à la conscience, Paris, De Vive
Voix, 2010. Yves Coppens, La preistoria dell'uomo, Milano, Jaca Book, 2011.
Alfonso Maria Di Nola, Attraverso la storia delle religioni, Roma, Di Renzo
Editore, 1996. Ambrogio Donini, Lineamenti di storia delle religioni, Roma,
Editori Riuniti, 1959. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni,
Torino, Bollati Boringhieri, 1999. Giovanni Filoramo, Storia delle religioni,
Roma-Bari, Editori Laterza, 1994. GiovanniFiloramo, Maria Chiara Giorda e Natale
Spineto (a cura di), Manuale di Scienze della religione, Brescia, Morcelliana,
2019. Voci correlateModifica Ateismo Antropologia delle religioni Credenza
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(a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Dale Tuggu, Theories
of Religious Diversity, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Centro Studi
sulle Nuove Religioni (CESNUR), su cesnur.org. Controllo di autoritàThesaurus
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Ontoraul PAGINE CORRELATE Religione romana credenze del popolo romano
Storia delle religioni Dio entità divina, essere supremo e oggetto di
fede Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Religione romana credenze
del popolo romano Lingua Segui Modifica La religione romana è l'insieme dei
fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come
varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città
e del suo popolo[1][2]. Giove Tonante in una scultura risalente al
100 a.C. circa. Le origini della città, e quindi della storia e della religione
di Roma, sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea
Carandini[3] sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine
di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli
scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita
dal racconto tradizionale[4][5]. Le origini della religione romana vanno
individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia[6], nelle
tradizioni religiose dei popoli indoeuropei[7] che, probabilmente a partire dal
XV secolo a.C.[8], migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca[9] e della
Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i
secoli. La religione romana cessò di essere la religione
"ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di
Tessalonica e i successivi editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore
romano convertito al cristianesimo Teodosio I[11], il quale proibì e perseguitò
tutti i culti non cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli
pagani[12]. Precedentemente (362-363) c'era stato il vano tentativo
dell'imperatore Giuliano di riformare la religione pagana per contrapporla
efficacemente al cristianesimo, ormai ampiamente diffuso. Una religione
civile L'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il
termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara
etimologia nel termine latino religio ma, nel caso del termine latino, esso
esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del
rito a favore degli dei, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non
risulti correttamente eseguito[13], e in questo senso i Romani collegavano al
termine religioil vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera
propria del rito e quindi della religione stessa[14]: (LA) «Religio
est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque
effert» (IT) «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la
venerazione rivolte a un essere superiore la cui natura definiamo divina»
(Cicerone, De inventione. II,161) Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma
(monarchica, repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo
scopo, doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il
diritto di stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione
romana è una religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di
conseguenza, nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un
apparato religioso"[15]. La nozione moderna di
"religione" è invece più complessa e problematica[16] andando a
coprire un più ampio spettro di significati: «Le concezioni religiose si
esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche
che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del
mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento» (Enrico Comba,
Antropologia delle religioni. Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, p. 3)
Precisare la differenza di "contenuto" tra il termine latino religio
e quello di uso comune e moderno di "religione" rende conto della
caratteristica unica dei contenuti religiosi del vivere romano: «La
religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da
due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di
culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una
comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una
religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita
la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di
culto, e soprattutto, la comunità politica.» (John Scheid, La religione a
Roma. Bari, Laterza, 1983, p. 8) Ne consegue che per i Romani la religio non
aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa
individuale in quanto è lo Stato a essere il tramite tra l'individuo e la
divinità[17]: «L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal
sistema della fede. Religio non equivale a credo.» (Robert Schilling,
Rites, Cultes, Dieux de Rome. Parigi, Klincksieck, 1979, p.74; cit. in John
Scheid, Op.cit., p. 8) Il sentimento religioso romano (pietas) verte dunque
nella forte volontà di garantire il successo alla respublica mediante la
scrupolosa osservanza della religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua
tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dei e garantire
la pax deum (pax deorum)[18]. Tale concordia con gli dei determinata dalla
scrupolosa osservanza della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i
Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel mondo.
(LA) «...sed pietate ac religione atque una sapientia, quod deorum numine
omnia regi gubernarique perspeximus, omnes gentes nationesque
superavimus.» (IT) «... ma è nel sentimento religioso e
nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto
intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi
abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.» (Cicerone, De
haruspicum responso, 9; traduzione di Giovanni Bellardi, in Cicerone, Le
orazioni vol. III, Torino, UTET, 1975, pp. 302-305) Il che fa concludere a
Cicerone: (LA) «Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris
rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu
deorum, multo superiores.» (IT) «E se vogliamo confrontare la
nostra cultura con quella delle popolazioni straniere, risulterà che siamo
uguali o anche inferiori sotto ogni altro aspetto, ma che siamo molto superiori
per quello che concerne la religione, cioè il culto degli dei.»
(Cicerone, De natura deorum. II, 8; traduzione di Cesare Marco Calcante.
Milano, Rizzoli, 2007, pp. 156-7) La "mitologia" romana: le fabulae La
nozione di "sacro" (sakros) nella cultura romana Lapis niger stele
(modificato).JPG Qui sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI
secolo a.C. che riporta un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto
archeologico compare per la prima volta il termine sakros (Forum inscription
(dettaglio).jpg: sakros es)[19]. Dal termine latino arcaico sakros originano
due successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros,
nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per
via del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso
nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak,
possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben
descritto da SESTO POMPEO FESTO nel suo “De verborum significatu” dove precisa
che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est
eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur». Quindi, e in questo
caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle
dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non
si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non
è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che
appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli
animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak
inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è sak) come non attinente
agli uomini. Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve
essere protetto dalle offese degli uomini. È sanctaquell'insieme di cose che
sono sottomesse a una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non
sono comunque consacrate agli Dei, non appartengono a loro. Ma sanctus non è
nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che
circonda il sacer anche se non lo riguarda. Sacer è tutto ciò che appartiene
quindi a un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer. Mentre sanctus non
appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus. Sanctus è tutto ciò che è
proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si
relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si
sovrappongono. Sanctus non è più solo il "muro" che delimita il sacer
ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus,
all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus. Su questi due termini, sacer e
sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta,
religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono
all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti
e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei. Così la città di Roma
diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla majestas che il dio Iupiter
ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città
di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da
essa rappresentato. La sfera del sacer-sanctus romano appartiene al sacerdosche,
nel mondo romano unitamente all'imperator[21] si occupa delle res sacrae che
consentono di rispettare gli impegni verso gli Dei. Così sacer divengono le
vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua
purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti". Mentre
sanctus è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater sancti)
e da questi alle stesse divinità. La radice di sakros, è il radicale
indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità
ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al
cosmo[22]. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle
leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il
sakrossancisce un'alterità, un essere "altro" e "diverso"
rispetto all'ordinario, al comune, al profano[23]. Il termine latino arcaico
sakros corrisponde all'ittita saklai, al greco hagois, al gotico sakan[24]. La
presenza di una mitologia romana che prescindesse da quella greca è stato
oggetto di dibattito fin dall'antichità. Il retore greco Dionigi di Alicarnasso
(I secolo a.C.) ha negato questa possibilità attribuendo a Romolo, fondatore
della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare qualsivoglia racconto
mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti degli
uomini[25]: (GRC) «τοὺς δὲ παραδεδομένους περὶ αὐτῶν μύθους, ἐν οἷς
βλασφημίαι τινὲς ἔνεισι κατ´ αὐτῶν ἢ κακηγορίαι, πονηροὺς καὶ ἀνωφελεῖς καὶ ἀσχήμονας
ὑπολαβὼν εἶναι καὶ οὐχ ὅτι θεῶν ἀλλ´ οὐδ´ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀξίους, ἅπαντας ἐξέβαλε
καὶ παρεσκεύασε τοὺς ἀνθρώπους {τὰ} κράτιστα περὶ θεῶν λέγειν τε καὶ φρονεῖν
μηδὲν αὐτοῖς προσάπτοντας ἀνάξιον ἐπιτήδευμα τῆς μακαρίας φύσεως. Οὔτε γὰρ Οὐρανὸς
ἐκτεμνόμενος ὑπὸ τῶν ἑαυτοῦ παίδων παρὰ Ῥωμαίοις λέγεται οὔτε Κρόνος ἀφανίζων τὰς
ἑαυτοῦ γονὰς φόβῳ τῆς ἐξ αὐτῶν ἐπιθέσεως οὔτε Ζεὺς καταλύων τὴν Κρόνου
δυναστείαν καὶ κατακλείων ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ τοῦ Ταρτάρου τὸν ἑαυτοῦ πατέρα οὐδέ
γε πόλεμοι καὶ τραύματα καὶ δεσμοὶ καὶ θητεῖαι θεῶν παρ´ ἀνθρώποις»
(IT) «Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano
offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non
degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli
uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso
possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura
divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli
né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose fine
alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri del
Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro
servitù presso gli uomini.» (Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19;
traduzione di Elisabetta Guzzi, p.94.) Calco in gesso della fronte del
"Sarcofago Mattei" (III secolo d.C.), conservato presso il Museo
della civiltà romana (Roma). L'originale del calco è murato nello scalone
principale di Palazzo Mattei in Roma. Questa fronte del sarcofago intende
raffigurare una delle fabulae fondative della civiltà romana: il dio Mars
(Marte) che si avvicina a Rhea Silvia (Rea Silvia) addormentata[26]. I gemelli
Romulus (Romolo) e Remus (Remo) saranno il frutto della relazione tra il dio e
Rhea Silvia, figlia di Numitor (Numitore), questi discendente dell'eroe troiano
Aeneas (Enea) e re dei Latini. Allo stesso modo il filologo tedesco Georg
Wissowa[27] e lo studioso tedesco Carl Koch[28] hanno diffuso in età moderna
l'idea che i Romani non avessero in origine una propria mitologia. Diversamente
il filologo francese Georges Dumézil in varie opere aventi come oggetto la
religione romana[29] ha invece ritenuto di considerare la presenza di una
mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella indoeuropea, al
pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente il contatto con
la cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto dimenticare ai Romani
questi loro racconti mitici basati su una trasmissione di tipo orale. Lo
storico delle religioni italiano Angelo Brelich[30] ha ritenuto di individuare
una mitologia propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza come quella
greca, è comunque parte autentica e originaria di quel popolo. Lo storico delle
religioni italiano Dario Sabbatucci[31]riprende di fatto le conclusioni di Koch
quando individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno concentrato
nel "rito" religioso il contenuto "mitico" non estraendone,
a differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente lo storico
delle religioni olandese Jan Nicolaas Bremmer[32] ritiene che i popoli
indoeuropei e quindi di eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i
Romani, non abbiano mai posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non
in forma assolutamente rudimentale, la particolarità della mitologia greca
risiederebbe quindi nel fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli
appartenenti alle antiche civiltà orientali. Allo stesso modo Mary Bread[33] ha
criticato le conclusioni di Dumézil sulla presenza di una mitologia indoeuropea,
collegata all'ideologia tripartita, presente anche nella Roma arcaica. Di
certo a partire dall'VIII/VII secolo a.C. si osserva la penetrazione di
racconti mitici greci in Italia centrale con i reperti archeologici che li
raffigurano[34][35]. Nel VI secolo a.C. l'influenza greca emerge in modo
decisamente impressionante con la costruzione del tempio a Iupiter Optimus
Maximus al Campidoglio[36]. Andrea Carandini ritiene di individuare una
precisa cesura tra la mitologia originaria del Lazio e quella successiva
determinata dall'influenza greca: «Ma a partire da un certo momento la
creatività mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori sviluppi cominciano a
perdere autenticità, per cui viene a prodursi una cesura. Questa cesura cade a
nostro avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando avvengono manipolazioni
del mito indigeno ed intrusioni di miti greci paragonabili a un grosso
intervento chirurgico nella cultura del tempo.» (Andrea Carandini, La
nascita di Roma, p. 48) Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini, per mezzo
della quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche proprie dei
Greci, era già stata evidenziata da Mircea Eliade: «Sotto la dominazione
etrusca perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove, Marte e
Quirino, che viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e Minerva,
istituita all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza etrusco-latina, che
del resto apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno ora delle statue:
Juppiter Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è presentato ai
Romani sotto l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.» (Mircea Eliade,
Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. II, p. 128) Se quindi già a
partire dall'VIII/VII secolo a.C. i racconti mitologici greci, questi
decisamente influenzati dal contatto della civiltà greca con quelle orientali,
segnatamente con la civiltà mesopotamica[37], penetrano nell'Italia centrale
determinando la successiva e decisiva influenza della mitologia greca sulle
idee religiose latine, resta che alcuni racconti di natura mitica, alcuni dei
quali anche di possibile eredità indoeuropea, possano essere appartenuti alla
cultura orale latina arcaica e poi ripresi e in parte riformulati dai letterati
e dagli antichisti romani dei secoli successivi. L'accezione moderna del
termine "mito" inerisce a racconti tradizionali che hanno come
oggetto dei contenuti di tipo significativo[38], il più delle volte afferenti
al campo teogonico e cosmogonico[39], e comunque inerente al sacro e quindi del
religioso[40]: «Il mito esprime un segreto proprio delle origini, che
conduce ai confini tra gli uomini e gli dei.» (Jacques Vidal, Mito,
in Dizionario delle religioni(a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori,
2007, p. 1232) «Il mito si distingue dalla leggenda, dalla fiaba, dalla favola,
dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di ciascuno di questi
generi letterari. [...] Tutti questi tipi di racconto hanno in comune il fatto
di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono il mito
profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso» (Carlo
Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo),
Torino, Einaudi, 1993, p.494) Il termine moderno "mito" risale al
greco μύθος (mýthos)[41] laddove, invece, i Romani utilizzano il termine fabula
(pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for, "parlare" di
contenuti religiosi[42]. Se fabulaper i Romani è quindi il "racconto"
di natura tradizionale circondato da un'atmosfera religiosa, esso possiede
l'ambivalenza di essere anche il "racconto" leggendario che si oppone
a historia[43], il "racconto" fondato storicamente. Ne consegue che
il fondamento di verità di una fabula è lasciato all'uditore che ne stabilisce
il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla tradizione. Così Livio, in
Ad Urbe Condita (I), ricorda che tali fabulae fondative non si possono né
adfirmare (confermare), né refellere (confutare). Le fabulae fondative di
Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una letteratura che prosegue
per circa sei secoli[44]. Tali fabulae narrano di un primo re dei Latini, Ianus
(Giano), cui segue un secondo re giunto esule dal mare, Saturnus (Saturno), il
quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Picus (Pico), a sua
volta padre di Faunus (Fauno) che generò il re eponimo dei Latini, Latinus
(Latino). A partire da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la
civiltà, quindi l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città.
EvoluzioneModifica Lo sviluppo storico della religione romana passò per quattro
fasi: una prima protostorica, una seconda fase dall'VIII secolo a.C. al VI
secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una terza
contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e
greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si
diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale. Età
protostoricaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fondazione di Roma. Nell'età protostorica ancora prima della
fondazione di Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel
territorio dei colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni
di forze soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano
tuttavia personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi
dei contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci (nell'VIII secolo a.C. poi
nel IV-III secolo a.C.), i Sabini e gli Etruschi, tali forze cominceranno a essere
personificate in oggetti e, solo a Repubblica inoltrata, in soggetti
antropomorfi. Sino ad allora erano viste come forze chiamate numen o al plurale
numina, grandi in numero e ciascuna avente il suo compito nella vita di tutti i
giorni. Età arcaicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Età regia di Roma. La fase arcaica fu caratterizzata da
una tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei
culti indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine
indoeuropea. Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di
Roma, la sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di
leggi scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto ordini
religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i
Feziali e i Pontefici[45]. Busto di Giano bifronte, culto istituito
da Numa Pompilio[46] Gli dei principali e più antichi venerati nel periodo
arcaico, la cosiddetta "triade arcaica", erano Giove(Iupiter), Marte
(Mars) e Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil definisce invece
“triade indoeuropea”[47]. Proprio a Iupiter Feretrius (garante dei giuramenti)
è dedicato il santuario cittadino di più antica consacrazione: stando a Tito
Livio era stato proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[48], così come fu
responsabile della creazione del culto di Iupiter Stator (che arresta la fuga
dai combattimenti)[49]. Tra le divinità maschili troviamo Liber Pater, Fauno,
Giano (Ianus)[46], Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il dio del silo in cui si
racchiude il frumento), Nettuno (in origine dio delle acque dolci, solo dopo
l'apporto ellenizzante dio del mare[50]), Fons (dio delle sorgenti e dei
pozzi[51]), Vulcano (Volcanus, dio del fuoco devastatore[52]). In questa
fase primitiva della religione romana è riscontrabile la venerazione di
numerose divinità femminili: Giunone (Iuno) in diversi e specifici aspetti
(Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno Moneta)[53], Bellona, Tellus e
Cerere (Ceres), Flora, Opi (l'abbondanza personificata), Pales (dea delle
greggi), Vesta[46], Anna Perenna, Diana Nemorensis(Diana dei boschi, dea
italica , introdotta secondo la tradizione da Servio Tullio come dea
lunare[54]), Fortuna (portata in città da Servio Tullio, con vari culti entro
il pomoerium), la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo chiaro[55]), la dea
Agenoria (la dea rappresentante dello sviluppo). Frequenti sono le coppie
di divinità legate alla fertilità poiché essa era ritenuta per natura duplice:
se in natura esistono maschio e femmina dovevano esserci anche maschio e
femmina per ogni aspetto della fertilità divina. Ecco così Tellus e Tellumo,
Caeres e Cerus, Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In queste coppie il
secondo termine rimane sempre una figura secondaria, minore, una creazione
artificiale dovuta ai sacerdoti teologi più che alla reale devozione[56].
Il periodo delle origini è caratterizzato anche dalla presenza di numina,
divinità indeterminate, come i Larie i Penati. Età repubblicanaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Repubblica
romana. La mancanza di un "pantheon" definito favorì l'assorbimento
delle divinità etrusche, come Venere(Turan), e soprattutto greche. A causa
della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche della religione
romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci, acquisendone
l'aspetto, la personalità e i tratti distintivi, come nel caso di Giunone
assimilata a Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo, come nel
caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato sulla religione, infatti, non
proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva a favorirla, a
condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e politico. Nel II
secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali con Senatus consultum de
Bacchanalibusdel 186 a.C. perché durante tali riti gli adepti praticavano la
violenza sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò
era in contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini,
pur permettendole nei confronti degli schiavi, mentre il culto dionisiaco fu
represso con la forza. Età alto imperialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Alto Impero romano.
L'imperatore Commodorappresentato come Ercole La crisi della religione romana,
iniziatasi nella tarda età repubblicana, s'intensificò in età imperiale, dopo
che Augusto aveva provato a darle nuovo vigore. «[Augusto] ripristinò
alcune antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio
della Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei
Ludi Saeculares e dei Compitalia. Vietò ai giovani imberbi di correre ai
Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle
rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un
adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori
due volte all'anno, in primavera ed estate.» (Svetonio, Augustus, 31.) Le
cause del lento degrado della religione pubblica furono molteplici. Già da
qualche tempo vari culti misterici di provenienza medio-orientale, quali quelli
di Cibele, Iside e Mitra, erano entrati a far parte del ricco patrimonio
religioso romano. Col tempo le nuove religioni assunsero sempre più
importanza per le loro caratteristiche escatologiche e soteriologiche in
risposta alle insorgenti esigenze della religiosità dell'individuo, al quale la
vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. La critica alla
religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche dell'Ellenismo,
che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa, come la
concezione dell'anima e la natura degli dei. Un'altra caratteristica
tipica del periodo fu quella del culto imperiale. Dalla divinizzazione
post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si arrivò
all'assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole e alla
teocrazia dioclezianea. Età tardo imperialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano. Nel 287 circa
Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di
Herculius[57][58]. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune
caratteristiche del sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove,
era riservato il ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano,
assimilato a Ercole, avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente"
le disposizioni del collega[59]. Malgrado queste connotazioni religiose, gli
imperatori non erano "divinità", in accordo con le caratteristiche
del culto imperiale romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei
panegirici imperiali; erano invece visti come rappresentanti delle divinità,
incaricati di eseguire la loro volontà sulla Terra[60]. Vero è che Diocleziano
elevò la sua dignità imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione
romana. Egli voleva risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et
deus, signore e dio, tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita
una dignità sacrale: il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri
sacrum consistorium[61][62]. Segni evidenti di questa nuova qualificazione
monarchico-divina furono il cerimoniale di corte, le insegne e le vesti
dell'imperatore. Egli, infatti, al posto della solita porpora, indossò abiti di
seta ricamati d'oro, calzature ricamate d'oro con pietre preziose[63]. Il suo
trono poi si elevava dal suolo del sacrum palatium di Nicomedia.[64] Veniva,
infine, venerato come un dio, da parenti e dignitari, attraverso la
proschinesi, una forma di adorazione in ginocchio, ai piedi del
sovrano[62][65]. Nella congerie sincretistica dell'impero durante il III
secolo, permeata da dottrine neoplatoniche, e gnostiche, fece la sua comparsa
il cristianesimo. La nuova religione andò lentamente affermandosi quale culto
di Stato, con la conseguente fine della religione romana, da ora indicata
spregiativamente come "pagana", sancito, nel IV e V secolo, dalla
chiusura dei templi e dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare
religioni diverse da quella cristiana. Flavio Claudio Giuliano,
discendente del cristiano Costantino I, tentò di restaurare la religione romana
in forma ellenizzata a Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose
fine al progetto. Teodosio Iemanò nel 380 l'editto di Tessalonica per la parte
orientale, rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, poi nel 391-92
con i decreti teodosianicominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani nell'Impero
romano; infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte occidentale, dove
stava avvenendo specialmente a Roma una rinascita pagana. A partire dal
XX secolo emersero correnti neopagane, come la Via romana agli dei e il
neo-ellenismo. Organizzazione religiosaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sacerdozio (religione romana).
Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari sacerdozi e a
stabilire i riti e le cerimonie annuali[66]. Tipica espressione dell'assunzione
del fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario, risalente alla
fine del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere l'anno in giorni
fasti e nefasti con l'indicazione delle varie feste e cerimonie
sacre[66]. Collegi sacerdotali Augusto nelle vesti di pontefice massimo
La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali
dell'antica Roma, i quali costituivano l'ossatura della complessa
organizzazione religiosa romana. Al primo posto della gerarchia religiosa
troviamo il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni
religiose compiute un tempo. Flamini, che si dividevano in tre maggiori e
dodici minori, erano sacerdoti addetti ciascuno al culto di una specifica
divinità e per questo non sono un collegio ma solo un insieme di sacerdozi
individuali[67]; Pontefici[66], in numero di sedici, con a capo il Pontefice
massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso;
Auguri[66] , in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare, addetti
all'interpretazione degli auspici e alla verifica del consenso degli dei;
Vestali[46] , sei sacerdotesse consacrate alla dea Vesta; Decemviri o
Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione
dei Libri sibillini; Epuloni, addetti ai banchetti sacri. SodaliziA Roma vi
erano quattro grandi confraternite religiose, che avevano la gestione di
specifiche cerimonie sacre. Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli
dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano
sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più
tardi identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano
un'antichissima cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia. Luperci,
presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si
teneva il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani.
Salii[66] (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi
in due gruppi da dodici detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i
sacerdoti portavano in processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi
di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte
costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La
processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il
Carmen saliare ed eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[68]. Feziali
(Fetiales), venti membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere
Bellum Iustumdoveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater
Patratus pronunciava una formula mentre scagliava il giavellotto in territorio
nemico. Dal momento che, per motivi pratici, non era sempre possibile compiere
questo rito, un peregrinusvenne costretto ad acquistare un appezzamento di
terreno presso il teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna
Bellica, che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva
quindi svolgere il rito. Feste e cerimonieMagnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Festività romane. Suovetaurilia, Museo del
Louvre Delle 45 feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a
quelle suddette, erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle
dedicate ai defunti, in febbraio, come i Ferialia e i Parentalia e quelle
connesse al ciclo agrario, come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli
Opiconsivia di agosto. Sulla base delle fonti classiche si è potuto
individuare quali tra le numerose festività del calendario romano vedevano
un'ampia partecipazione di popolo. Queste feste sono la corsa dei Lupercalia
(15 febbraio), i Feralia (21 febbraio) celebrati in famiglia, i Quirinalia(17
febbraio) celebrati nelle curie, i Matronalia (1º marzo) in occasione delle
quali le schiave venivano servite dalle padrone di casa, i Liberalia (17 marzo)
spesso associata alla festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i
Matralia (11 giugno) con la processione delle donne, così come i Vestalia (9-15
giugno), i Poplifugia (5 luglio) festa popolare, i Neptunalia (23 luglio), i
Volcanalia (23 agosto) e infine i Saturnalia (17 dicembre), la cui vasta
partecipazione di popolo è attestata da numerose fonti[69]. Durante le
cerimonie sacre spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle
divinità cibi e libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una
cerimonia, la lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi
circensi (ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario
(dies natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si
svolgevano i Ludi Magni. Pratiche religiose «Cumque omnis populi Romani
religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid
praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve
monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita
persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse
nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum
inmortalium tanta esse potuisset.» (Cicerone, De natura deorum, III, 5)
Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era
l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei.
Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario
conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti
adeguati. Le pratiche più seguite riguardavano: il volo degli uccelli:
l'augure tracciava delle linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi
Lituo), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per interpretare
l'eventuale passaggio di uccelli; la lettura delle viscere degli animali:
solitamente un fegato di un animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici
di provenienza etrusca per comprendere il volere del dio; i prodigi: qualsiasi
prodigio o evento straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi,
ecc., era considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed
era compito dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni. Lo spazio sacro Edicola
dedicata ai Lari nella Casa dei Vettii a Pompei Lo spazio sacro per i Romani
era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali,
secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del
cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o
ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai
sacrifici. Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente
gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli
incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i
sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale
edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del
dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini
diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro. Il tempio romano
risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti elementi
dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del tempio
romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto podio,
accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare maggiore
importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro di
recinzione e privo dunque del colonnato. «“Roman religion” is an
analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient
city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and
social structure of the city.» (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke
(2005), Roman Religio, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) ^ Sul considerare la "religione romana"
strettamente collegata alla città di Roma: «Although Rome gradually
became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the
capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions
and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and
its nearby surroundings (ager Romanus).» (Robert Schilling (1987) Jörg
Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol. 12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) Ma anche: «La religione romana esiste solo a
Roma o là dove stanno i Romani» (John Scheid, La religione a Roma. Bari,
Laterza, 1983, pp. 13-4) ^ Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi,
Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà. Torino, Einuadi, 2003; Milano,
Mondadori, 2010. ^ La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco
Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da
Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore
indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino
all'814-813. ^ Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, L'eta dei re in La
grande storia dell'antichità -Roma (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e
sgg. ^ Così Mircea Eliade in Storia delle idee e delle credenze religiose, vol.
II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il
risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli
invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente Georges
Dumézil, in La religione romana arcaica, p. 69-70: «A differenza dei greci che
invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in
Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che
occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da
un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono
a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati
semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi,
i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.» ^ Per un'introduzione alle
religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei
in Dizionario delle religioni (a cura di Paul Poupard). Milano,
Mondadori, 2007, pp. 891-908; Renato Gendre, Indoeuropei in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp.371 e sgg.;
Regis Boyer, Il mondo indoeuropeo in L'uomo indoeuropeo e il sacro, in Trattato
di antropologia del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book,
1991, pp. 7 e sgg. ^ André Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture,
Bari, Laterza, 1989, pp. 78-79; Francisco Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il
Mulino, 1997 p. 480. ^ Per le decisive influenze della cultura religiosa
etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, L'homo romanus: religione, diritto,
e sacro, in Le civiltà del Mediterraneo e il sacro., in Trattato di
antropologia del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991,
pp. 7 e sgg. ^ Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca
sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in La
religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg. ^ Cfr. al
riguardo Salvatore Pricoco, in Storia del cristianesimo (a cura di Giovanni
Filoramo) vol. 1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg. ^ Gli editti contro gli
eretici e gli apostati furono in seguito raccolti nel sedicesimo libro del
Codice teodosiano del 438. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie
di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza,
sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade, Religione
in Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag. 121)
^ Enrico Montanari, Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo,
Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-644 ^ Pietro Virili, La politica religiosa
dello Stato romano, Nuova Archeologia (inserti), marzo/aprile 2013. ^ «Ogni
tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo
l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione
che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle
religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e
suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...]
Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è
per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di
cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo
provvisorio, come work in progress, che cosa sia "religione" in
quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si
differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi
abituali.» (Giovanni Filoramo, Religione in Dizionario delle religioni (a
cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620) ^ In tal senso
Pierre Boyancé, Etudes sur la religion romaine, Roma, École française de Rome,
1972, p.28. ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del genitivo. ^ Cfr.
Julien Ries in Saggio di definizione del sacro. Opera Omnia. Vol. II. Milano,
Jaca Book, 2007, pag.3: «Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino al
Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che
si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola
sakros: da questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del
sacro.» ^ Cfr. Émile Benveniste: «Questo presente in latino in -io con infisso
nasale sta a *sak come jungiu 'unire' sta a jug in lituano; il procedimento è
ben noto.», in le Vocabulaire des institutions indo-européennes (2 voll.,
1969), Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981, pag. 426-7. ^
Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo l'inauguratio, ovvero pieno
della "forza", della "potenza", che gli consente di avere
relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione molto più tarda riferita
prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della Storia
romana. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, in Grande dizionario
delle Religioni (a cura di Paul Poupard). Assisi, Cittadella-Piemme, 1990 pagg.
1847-1856 ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit.. ^ Julien
Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit. ^ Dionigi di Alicarnasso, II,
18-19 ^ Questa versione della fabula è in Ovidio, Fasti, III, 11 e sgg. ^
Religion und Kultus der Römer, 1902 ^ In Der römische Jupiter del 1937. ^ Una
riassuntiva è La Religion romaine archaïque, avec un appendice sur la religion
des Étrusques, Payot, 1966, edito in Italia dalla Rizzoli di Milano con il
titolo La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa
romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi; in tal senso cfr. p.
59 edizione del 2001. ^ In Tre variazioni romane sul tema delle originidel 1955
con revisioni fino al 1977, Roma, Editori Riuniti, 2010. ^ Ad esempio in Mito,
rito e storia, Roma, Bulzoni, 1978. ^ Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth
and Mythography, University of London Institute of Classical Studies, Bulletin
Supplements S. No.52, 1987. ^ Cfr. ad esempio Early Rome, In Religions of Rome
I vol. (con John North e Simon Price), Cambridge, Cambridge University Press,
1998, pp. 14 e sgg. ^ In tal senso cfr. Mauro Menichetti, Archeologia del
potere. Re, immagini e miti a Roma e in Etruria in età arcaica, Roma,
Longanesi, 1994 ^ Da ricordare che la stabile presenza dei Greci nelle colonie
italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C. ^ «The most impressive testimony
to early Rome’s relation to the Mediterranean world dominated by the Greeks is
the building project of the Capitoline temple of Jupiter Optimus Maximus (Jove
[Iove] the Best and Greatest), Juno, and Minerva, dateable to the latter part
of the sixth century. By its sheer size the temple competes with the largest
Greek sanctuaries, and the grouping of deities suggests that that was
intended.» (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), Roman religion, in
Encyclopedia of Religion, vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895) ^ In tal
senso e ad esempio cfr. Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia:
Parallels and Influence in the Homeric Hymns and Hesiod, Londra, Routledge,
2005. ^ «Myth is a traditional tale with secondary, partial reference to
something of collective importance.» Walter Burkert, Structure and History in
Greek Mythology and Ritual. Berkeley, University of California Press, 1979, p.
23. ^ Per il livello teocosmogonico cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.492 e sgg. ^
Come "fondamentale indicatore religioso" e come "irruzione della
dimensione del sacro" cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.494 ^ Da
considerare che il termine "mito" (μύθος, mýthos) possiede in Omero
ed Esiodo il significato di "racconto", "discorso",
"storia" (cfr. «per gli antichi greci μύθος era semplicemente
"la parola", la "storia", sinonimo di λόγος o ἔπος; un
μυθολόγος, è un narratore di storie» Fritz Graf, Il mito in Grecia Bari,
Laterza, 2007, 1; cfr. «"suite de paroles qui ont un sens, propos,
discours", associé à ἔπος qui désigne le mot, la parole, la forme, en s'en
distinguant...» Pierre Chantraine, Dictionnaire Etymologique de la Langue
Grecque, p. 718). Un racconto "vero" (μυθολογεύω, Odissea XII, 451;
così Chantraine (Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, 718:
«"raconter une histoire (vraie)", dérivation en εύω pour des raisons
métriques».), pronunciato in modo autorevole (cfr. «in Omero mýthos designa
nella maggior parte delle sue attestazioni, un discorso pronunciato in
pubblico, in posizione di autorità, da condottieri nell'assemblea o eroi sul
campo di battaglia: è un discorso di potere, e impone obbedienza per il
prestigio dell'oratore.» Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in
Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.50), perché «non c'è nulla di più vero e
di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio»(Giacomo Camuri,
Mito in Enciclopedia Filosofica, vol.8, Milano 2006, pag.7492-3). Nella
Teogoniaè μύθος ciò con cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di
trasformarlo in "cantore ispirato" (cfr. 23-5: Τόνδε δέ με πρώτιστα
θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον) ^ Deriva *for, il suo valore religioso è messo in evidenza
da Émile Benveniste (in Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee,
vol. II, Torino, Einaudi, 1981, p.386). Dall'arcaico *for deriva anche fatus e
fas ma anche fama e facundus; il suo corrispettivo greco antico è phēmi, pháto,
ma manca completamente in indoiranico il che lo attesta nell'indoeuropeo di
parte centrale (vedi anche l'armeno bay da *bati). ^ Termine e nozione di
eredità greca. ^ Angelo Brelich,op.cit. p. 83; per un'esaustiva rassegna dei
testi Brelich rimanda ad Albert Schwegler, Römische Geschichte, Tübingen, 1853,
Vol. I, pp. 212 e sgg. Cfr., comunque, Virgilio Eneide, VII 45 e sgg. 177 e
sgg.; VIII, 319 e sgg. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 63-73. ^
a b c d Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.3. ^
George Dumezil, La religione romana arcaica, p. 137 segg. ^ Tito Livio, 1, 10,
5-7 ^ Jacqueline Champeaux, La religione dei romani, p. 23 ^ Jacqueline
Champeaux, p. 32 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32-33 ^ Jacqueline Champeaux, p. 33
^ Jacqueline Champeaux, p. 25-26 ^ Jacqueline Champeaux, p. 37 ^ Jacqueline
Champeaux, p. 44 ^ Jacqueline Champeaux, p. 29 ^ Aurelio Vittore, Epitome 40,
10; Aurelio Vittore, Caesares, 39.18; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 8 e
52.3; [1]Panegyrici latini, II, XI, 20. ^ Bowman, "Diocletian and the
First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Liebeschuetz, 235–52, 240–43; Odahl 2004,
pp. 43-44; Williams 1997, pp. 58-59. ^ Barnes 1981, pp. 11–12; Bowman,
"Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Odahl 2004, p. 43;
Southern 2001, pp. 136-137; Williams 1997, p. 58. ^ Barnes 1981, p. 11; Cascio,
"The New State of Diocletian and Constantine" (CAH), 172. ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.4. ^ a b E.Horst, Costantino il Grande, p.49. ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Zonara, XII, 31. ^ . ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Eumenio, Panegyrici latini, V, 11.
^ a b c d e Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.2. ^
Jacqueline Champeaux, p. 39 ^ Jacqueline Champeaux, p. 43 ^ Jörg Rüpke. La
religione dei Romani, Torino, Einaudi, Montero, Sabino Perea (a cura di),
Romana religio = Religio romanorum: diccionario bibliográfico de Religión
Romana, Madrid, Servicio de publicaciones, Universidad Complutense, 1999. Fonti
primarie Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I. Tito
Livio, Ab Urbe condita libri. Fonti storiografiche moderne R. Bloch, La
religione romana, in Le religioni del mondo classico, Laterza, Bari 1993 A.
Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Editori Riuniti, Roma
2010 J. Champeaux, La religione dei romani, Il Mulino, Bologna 2002 R. Del
Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica,
ECIG, Genova 1985 R. Del Ponte, La religione dei romani, Rusconi, Milano 1992
G. Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 2001 D. Feeney,
Letteratura e religione nell'antica Roma, Salerno, Roma 1998 K. Kerényi, La
religione antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio, Roma, 1951 U. Lugli,
Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico, ECIG, Genova 1996
D. Sabbatucci, Sommario di storia delle religioni, Il Bagatto, Roma, 1985 D.
Sabbatucci, Mistica agraria e demistificazione, La goliardica editrice, Roma,
1986 D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, Il Saggiatore, Milano, 1989 J.
Scheid, La religione a Roma, Laterza, Roma-Bari 2001 Voci correlateModifica
Mitologia romana Via romana agli dei Sacerdozio (religione romana) Sacro
(Romani) Dies religiosus Religione romana, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Religio romana, su novaroma Portale
Antica Roma Portale Religioni Flamine floreale Palatua Flamine
pomonale Wikipedia Il contenutoGrice: “The
Italians take ‘natural theology’ for granted; at Oxford, as Webb pointed out in
his very first Wilde lecture on natural theology, things ain’t that easy, and
they are not meant to be easy by the lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses
Wilde’s letter in some detail. There’s naturalism and natural theology, there’s
revealed theology, but there’s also civil theology, and it’s nice Webb’s main
source is Varro!” Grice: “Most of the best Italian philosophers have been very
much ANTI-ROMA; in part influenced by classical culture, but more so by the
German protestant movement, which also had affinities with the Italian passion
for ‘l’antico’” “Ironically, Roma is considered hardly a representative of
romanita!” Cf. the neo-paganism of Evola, which is meant to represent romanita.
-- Luigi Maria Epicoco. Epicoco. Keywords: Wilde readership in natural
religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Epicoco” – The Swimming-Pool
Library.
Grice
ed Epitetto – Roman slave – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Upon
freedom, he studied philosophy under Musonio Rufo, but he was expelled from
Rome under Domiziano. For some reason, the emperor Antonino took a liking to
his mode of philosophising, even though, of course, due to their different
classes, they never met in the flesh.
Grice
ed Eraclide: esperienza -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. He writes
a large work expounding the empiricist philosophy which attracted the
admiration of Galeno.
Grice
ed Eraclio: il cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo.
He invited the emperor Giuliano to one of his lectures, hoping to make an
impression. He did, but it was an unfavouable one, and Julian duly produced a
written piece critical of him.
Grice
ed Era: il cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of
the Cinargo, and emulated the antics of Diogene the sophist by publicly
criticizing emperor Tito in a packed Roman theatre. Unfortunately for E.,
whereas Diogenes had only been flogged, E. was beheaded.
Grice
ed Erato: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo romano. A
Pythagorean, according to Giamblico.
Grice ed Ercole: l’implicatura
conversazionale della difesa della metafisica – transnaturalia -- esologia,
essologia, e sinautologia – filosofia italiana Luigi Speranza (Spinazzola). Filosofo italiano. Grice:
“I like it when Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love –
every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole
quoting from the Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say
I love Ercole; for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of
philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be
regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism – this is pretty
interesting; for another, he tutored for years on the very same topics I did,
notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a theory of
semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si
perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla
"Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo
iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione
all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato
contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo
classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre
opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia,
Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua
abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana,
Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e
storicamente considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano”
(Torino, Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e
Spencer” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del
pitagorismo” (Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia
della natura di Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica
di Ceretti” (Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di
Ceretti”, “La sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica,
la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona),
“La logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani. Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo
quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano
mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e
l'uno e l'altro. È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle
mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o
fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in questa
Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli scritti
suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo
permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza
voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso. Ciò non ostante,
non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo
general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato (1)
Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata
da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità »
per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si
potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua
Sinossi. Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora
non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra
nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci,
dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito
de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che
può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico. In giovinezza viaggiò, e
per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse
genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone
la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ed è, certo, da tal
visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a
procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto
più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e
lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le
lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure
conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida
e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe
mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente
un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero
filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un
fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere
(1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario
comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche
e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano
una riforma sociale basantesi su principii filosofici. In una dozzina
d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e
propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio
in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di
un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti
poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto
filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più
importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a
comprendersi l'oscurità del Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a
scandagliar primamente con essi la pubblica opinione. De' primi qualche
giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del
secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse
nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi
specialmente a questa (1) L'elenco compiuto di esse si trova nella mia
citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una
quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero
letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti
essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della
madre notte, che non lascia vedere cosa veruna » (1). Dopo questa prima, quasi
ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e
cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità. Singolare uomo!
rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e
quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che
sovente ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente
non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei
volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche,
filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante,
queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli
stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto nel 1874 da
una paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a
poco a poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor
sempre l'occuparono fino alla morte, avvenuta nel 1884. Quanto agli
scritti, omettendo di allegare i poeticoletterari, che non è qui il luogo e
l'intento, ricordo i principali filosofici. La citata opera latina doveva
essere (1) La mia celebrità, pag. 101, allegata alla mia citata
opera. di otto volumi, ma egli non ne scrisse che propriamente cinque e
non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e ad un'altra opera filosofica,
intitolata : Idea circa la natura e la genesi della Forza, e rimasta incompiuta,
scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa; Sogni e Favole (il
titolo par letterario, ma è opera filosofica e voluminosa); Considerazioni
circa il sistema generale dello spirito e circa il sistema della natura entro i
limiti della riflessione; Insegnamento filosofico; Stramberie filosofiche, e
parecchie altre minori. Nella gran massa de'suoi scritti il pensiere del
Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma si mutò anzi non poco, e passò
per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche il pensiero poetico, sociale e
letterario) si possono riassumere in quattro o cinque, e sono la fase poetica;
la fase filosofica hegeliana; la fase filosofica di transizione; la fase
utopistica e riformativa sociale; e finalmente la fase detta del sistema
contemplativo (filosofica anch'essa). La fase poetica fu la prima della
mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che per studi e produzioni.
Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione della sua mente, va
notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto egli passò per varii
stadii e varie maniere di concezione e corrispondente produzione poetica,
cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po' per quella di
Giusti e finendo con una concezione e forma poetica umoristicofilosofica.
Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla sua propria designazione
indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne' suoi svariati, larghi e
profondi studi filosofici giunse ad accogliere come risultato finale di essi la
filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato, credo, il solo hegeliano, o
certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più che egli non si limitò alla
pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma si allargò ed elevò ad una
propria produzione sotto il nome di riformazione del medesimo (1). Ma
ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere subisce di bel nuovo una
evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno de'quali è una specifica
fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o queste specifiche fasi
sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come « speculazione hegeliana»,
l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa come di « divorzio dalle
idee hegeliane » 2). Io però (come ho ampiamente mostrato nella mia
citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere dell'autore, dico
che queste fasi specifiche del suo [ocr errors] (1) Nella prefazione alle
Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei tipi di Bona,
alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia filosofica
passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica, del
neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo,
guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo
speculativo, e si costituì in proprio sistema ». (2) Vedi La mia
celebrità, pag. 92 e 107. pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana,
una seconda, che ho appellata di transizione, e finalmente quella del sistema
contemplativo. Or la Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera
che cade appunto nella fase di transizione del pensiere filosofico di Ceretti;
e di ciò fra poco. Quanto al così detto sistema contemplativo cerettiano, che
non entra neppur esso nella considerazione e nei limiti della mia Introduzione,
rimando il lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a
pagina cccxxix ss. Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di
idee stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già
cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un
subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò
coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo
di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e
questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel
senso predetto. La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente
designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna
uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli
della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura
utopistica. Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di
questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo [ocr errors]
particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe
ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico
cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione,
cosi comincerò da quest'ultimo. L'antecedente pensiere, che fu anche il
primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il
Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma
come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo?
pensava che, nella storica evoluzione filosofica il pensiere hegeliano
rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però
non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto (1). Da
questo modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due
cose. L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere
hegeliano fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente
compiuto, era ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed
integrarlo. La correzione e la integrazione sono appunto la riforma
dell'hegelianismo, quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò
costituisce un proprio sistema filosofico, che è il sistema panlogico
cerettiano. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] (1) Logus
hegelianus (aveva egli detto nella citata opera latina, vol. I, pag. 685) est
cogitationis cogitatio magis pura quam omnis hactenus a philosophia prolata
logica cogitatio, nondum vero quantum logus absolutus requirit. Chi non ha
l'edizione latina confronti la traduzione italiana, vol. I, Prolegomeni, pag.
875.I difetti, che il filosofo intrese trovava nel filosofo di Stoccarda si estendevano
a tutte le tre parti della filosofia di quest'ultimo, alla Logica, alla Natura
ed allo Spirito. Rispetto alla Logica ei trovava i seguenti. Primo: la
Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si genera dialetticamente in sè stessa in modo
inconscio. Ora, il Ceretti trova giusto che la Nozione si generi
dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però vizioso ed irrazionale il
prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce Nozione (di un'Idea che
non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica, nel suo processo
dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle categorie, mentrechè,
per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il Ceretti, un processo di
esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta trattazione costituisce
piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume astrattamente in un
risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso esplicativo.
Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano in linguaggio
più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e astrazione (non
concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il rimedio a questi vizii
(e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per lui, primamente che la
Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza, secondamente che il
processo dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo ad un tempo, in
terzo luogo, che tal processo logico non lo si vedesse ed esprimesse in un
semplice risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in ogni singolo momento
del suo corso. Rispetto alla Natura (e corrispondente filosofia), ei
trova il general difetto che il processo dialettico, che Hegel segue in questa,
è anche astratto (come nella Logica) e non locca le concretezza della Natura
istessa. La filosofia della Natura pel Ceretti non dev'essere, come per Hegel,
un’Idea raccoglientesi in sè stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua
esteriorità, ma dev'essere anche e piuttosto un veramente naturare l'Idea
logica. L' emendazione a tal difetto s'intende bene che pel Ceretti consista nell'effettuare
il processo naturale della Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si
obbiettivi e concreti nell'esteriore realtà. Finalmente, rispetto allo
Spirito, il filosofo intrese trova, lasciando da banda qualche vizio
secondario, due vizii principali. Il primo è che, nel processo dialettico
hegeliano, lo Spirito sorga in ultimo come un risultato, invece di sorgere e
costituirsi in tutta la serie evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che
lo Spirito non raggiunga quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco
lo fa massimamente consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i
notati difetti, e però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc:
cession graduale della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà.
lo qui allego senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale,
altri no: rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una
discussione piuttosto ampia in proposito (1), veda e giudichi da sè
stesso. Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e
la conseguente riforma dell'hegelianismo? Come segue. Va innanzi
tutto notato che egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso;
e qui ha ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e
profondo. Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti
costituiscono e debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di
un solo universale Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale
Pensiere. L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio,
comprensivo di Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica
della filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur
accogliendolo, ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli. Di
fatto, oltre al pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato
della storia filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il
principio, pur hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il
sistema dommatico, lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il
pensiere hegeliano fondamentale della triplice forma del principio assoluto,
forma logica, naturale e spirituale, non che la conseguente triparti (1)
Citata Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini
dell'opera del Ceretti, zione e trattazione di tutta la materia
filosofica. Ha parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il
metodo dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii.
Ma, ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma
l'hegelianismo. Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto
ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi
il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel
cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la
filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana,
mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è
l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo
assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione
riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente
disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una
universale considerazione speculativa del Logo. Il Logo è cosi il nuovo
principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e
specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di
Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione
di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda
designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del
Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella
seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere
chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo
e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano. Si
noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la
Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi,
d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e
modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal
Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa
emendazione) il Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che
naturale, è una naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in
lui Coscienza (non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta). In tal
guisa Logo assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un
sol principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico
emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto
all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo
Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa
cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno
due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol
principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico
principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo
e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o
puramente e semplicemente la Coscienza. Che poi e come poi il Ceretti
colla Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di
Hegel, o almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel
progresso del discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è
che dei predetti due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo
o Logo assoluto è quello che dà più specialmente denominazione, concezione e
sistemazione alla fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il
secondo, o la Coscienza (pur già appariscente nella predetta prima fase), è
quello che dà più specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione
della seconda fase, cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il
che vuol dire, in altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema
panlogico dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza
informa più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi.
Diamo ora brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce
ancor sempre il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per
veder ciò, naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo
cenno che ne fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon
aiuto, mi lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia. del Ceretti: il
quale sguardo ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera
sinottica. Il Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta
realtà; e la filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua
universalità ed assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in
sé, Logo fuori di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il
significato e valore di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella
sua Obbiettività (obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività
e Obbiettività. Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si
troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza
che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è
Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere
nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza
nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per
dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il
Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è
essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non
è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è
soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed
è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali,
sono le tre predette. Queste tre forme di esistenza, speculativamente
considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali
è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un
po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o
dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da
(85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da
cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè. A maggiore
intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto
di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di
considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come
il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi
dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è
pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e
obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la
Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la
(1) Lo dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha
in Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può
intender meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del
Panlogismo cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole,
dottrine del Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o
Pasalogice: titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche
un'altra cosa, cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane,
in quanto la Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia
corrisponde alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la
Sinautologia corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del
medesimo. Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del
pensato, e finalmente la Sinautologia è la considerazione speculativa del
pensiere del pensante. Sempre dunque considerazion del pensiere: Il
pensiere del pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere
del pensato è la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e
l'ultima è la considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di
pensiere subbiettivo e pensiere obbiettivo). Ciò posto, ecco ora come
l'autore pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali,
dirò qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente
Sinossi apparisce poco o punto. Esologia. Questa è la logica cerettiana,
nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è
essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La
Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora
esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo
naturale, Natura). Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre
dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La
prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la
seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo
considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.
Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana,
corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella
dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo
il Ceretti col nome di Prologia. La Prologia cerettiana (vicinamente alla
dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e
del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla
Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi
diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè
l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la
Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del
Giudizio stesso. Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento
della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non
posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che
pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale
triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione.
È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle
particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio
e del sillogismo. La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera
questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di
Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti
e La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea
appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii subordinati,
come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la essenza, la
necessità, ecc. Chi è pratico delle cose hegeliane, si accorge che il
Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli spostamenti, trasportando
e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e persin l'essenza stessa),
che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La cagion di ciò, a mio
credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica (anzi tutta la materia
filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della Riflessione e della
Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii o momenti hegeliani
dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della riflessione) sotto il
proprio Essere, considerato appunto secondo il momento della riflessione; ossia
ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso. L'Autologia finalmente,
che è pensata come unità della Prologia e della Dialogia, tratta de'tre
principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che anche in questi vengono
distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati come Sapere immediato,
mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc. I tre principii
predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa e sfera
subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e
costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico
(ossia logico). Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane
poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella storia,
e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche
(esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle
particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è
pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di
Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò
un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e paragonarla
con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e il generale
andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una modificazione.
EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice anche Non-Logo, ossia
l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa parimenti come
Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza ancora
inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende benissimo;
perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a passare
per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza. Questo stato
ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella mentovata
designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di incoscienza. Qualche
cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche come Coscienza
dormente. Distingue la Natura (alla hegeliana) in meccanica, fisica,
organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo fisico e Logo
organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il punto culminante
della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è l'organo sensorio.
Col senso poi (che è funzione e manifestazione di quest'organo) si esce dalla
sfera della Natura propriamente detta e si entra in quella dello Spirito, ossia
della Coscienza del Logo conscio, e però del pensiero del pensante, la cui
speculativa trattazione è la SINAUTOLOGIA. Il concetto della sinautologia
dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in questo, che il pensiero del
pensante da essa considerato esprime la concretezza del pensiero istesso, cioè
la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel Pensiero), che nella Esologia e
nella Essologia era ancora inconscio. Le parti in cui si suddivide la
Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica e l'Antroposofia. Queste
stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre subordinate, trattandosi in
ciascuna in grosso quei principii che nell' hegelianismo fan parte dello
Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle particolarità io rinunzio di
entrare, tanto più che la maggior parte di esse entrano nella Sinossi, che si
presenta ora al pubblico. Con ciocchè è detto, che io lascio senza
apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel caso di conoscere quelle
antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è continuazione, dall'altra,
ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla presente opera sinottica.
Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi riferirò: l'uno è quello
dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa: l'altro è quello di dare
una idea generica del suo contenuto e di rilevare alcune cose che mi paiono
degne di nota. Per ciò che concerne il primo punto, il manoscritto che mi
fu consegnato, di indicazioni del contenuto e dello scopo dell'opera non portava
che soltanto il titolo generale di essa, cioè Synossi dell'Encyclopedia
speculativa. Non aveva prefazione od altra indicazione di sorta, ma cominciava
subito col primo paragrafo, e così senz'altro continuava in sussecutivi
paragrafi fino all'ultimo. Or bene, io ho creduto utile di fare innanzi
tutto due piccole innovazioni: primamente, di ammodernare l'ortografia
dell'autore; secondamente di fornire l'opera di intestazioni. Quanto
all'ortografia, il Ceretti era un uomo, dirò cosi, stampato sul classico, e
però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme latine e greche. Gli è per
ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel titolo predetto, egli scriveva
analysi, systema, sympathia, philosophia, abysso, e via dicendo. Adduceva anche
le ragioni di ciò, e, in una scrittura umoristica (1), riferendosi a questo
punto, pregava che lo « si lasciasse spropositare a suo agio, perchè la sua
crassa ignoranza di orthographia italiana non gli permetteva di fare altrimenti
». Senza che io mi distenda su questo punto, il lettore intenderà che al
nostro tempo una tale ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico.
L'autore stesso, (1) Nella Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti,
ma che si pubblicheranno fra non molto). del resto, non l'aveva seguita
neppur egli in tutte le sue scritture italiane. Per esempio, non l'aveva
seguita nè in una sua prima opera filosofica italiana, rimasta incompiuta
(intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza), nè in qualche opera
letteraria de' primi tempi (poniamo, nelle Lettere d'un profugo): in generale
poi non l'ha mai seguita nelle sue opere poetiche italiane. Io poteva dunque
senza scrupoli innovarla. Quanto alle intestazioni, mi sono parse
utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno scrittore molto difficile, è sovente
oscuro. Leggere una sua opera senza intestazioni di sorta, tranne quella del
titolo generale, è una cosa che non invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad
agevolare a questo l'intelligenza e la lettura della medesima, ho diviso
innanzi tutto l'opera nelle grandi e generali parti che la costituiscono, e ho
dato loro le rispettive intestazioni; poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi,
dando, sia ad un solo sia a più insieme, la intestazione corrispondente al
pensiere da essi espresso. Per la giusta lezione del testo mi son dato
tutta la cura possibile. Non una, ma ben molte volte sono intoppato in
difficoltà: tanto più che il manoscritto era scritto da un amanuense. Nelle
difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti coll'originale, nei quali la figlia
dell'illustre filosofo, tuttora amorosamente intenta alla pubblicazione delle
opere paterne, mi ha prestato valido aiuto (1). Ma, (1) Ad onor del vero,
mi piace di far noto che l'opera della figlia verso il padre non è soltanto di
riconoscenza filiale, ma di intelligente ad onta del buon volere e degli
aiuti, mi è rimasto qualche scrupolo, che in questo o quel luogo qualche
mancamento od inesattezza vi sia rimasto. Quanto a mancamento, mi cade in
acconcio di potere affermare siccome una verità, che, per chi conosce le opere
filosofiche cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere si
risentono un po' tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e
all'integrità del pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una,
che, avendo ogni scrittore un momento culminante nella sua attività
intellettiva, il Ceretti lo ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo
egli, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi di questa, fermamente
deliberato di non pubblicar più nulla, ha creduto che le sue opere rimanessero
inedite; e con tal credenza la cura di esse è minore: una terza, che negli
ultimi dieci anni di vita (in cui cadono quasi tutte le opere filosofiche
italiane, compresa la Sinossi) egli fu travagliato dalla mentovata infermità.
Continuando a dire dell'opera da me prestata, rilevo che, per l'accennata
difficoltà e talvolta anche oscurità del pensiere dell'autore, vi ho pure
aggiunto delle note illustrative, ove mi son parse necessarie od almeno
utili. E finalmente, un po' per la ragione ora detta, un po' per
continuare a far conoscere la persona é gli scritti del Ceretti, un po' per
agevolare al lettore l'entrata nel prestazione, come ha anche dimostrato,
benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata pubblicazione delle Grullerie
poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse contemporaneamente ad
esse. pensiere della Sinossi, vi ho preposta la Introduzione che sta ora
leggendo. Per ciocchè concerne il secondo punto, quello del contenuto,
comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del lettore sul principio
costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio, come ho già detto
innanzi, che l'autore crede distintivo della propria filosofia da quella di
Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più specificamente l'Idea
conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho detto,
antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la
differenza che il Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di
Hegel a me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E
che la cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore.
Nella sua Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso
de'suoi pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi (1) che l’Assoluto
è la Coscienza, e la Coscienza nel suo svolgimento è, correttamente parlando,
una storia, ma fui lontano dal distinguere la Coscienza dallo spirito e
considerare lo spirito come un momento storico della Coscienza. Per me la
Coscienza era un ente, piuttosto che il termine generale, la cui distinzione
costituisce gli enti ». È chiaro dunque che una distinzione vera dei due
principii non l'aveva ancor fatta. Però qualche cosa di (1) La mia
celebrità citata, pag. 89. Il tempo di cui parla è verso il 1870, certo, dopo
la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina, pubblicazione che
cessò il 1867, distintivo cominciava ad andargli pel capo. Di fatto, egli
afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di cui si sta parlando
« principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più generale dello spirito,
Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico momento. Quest'idea gli era
balenata molto tempo prima, ma piuttosto come un'imagine dell'idealità che come
una categorica avvertenza, la quale avvertenza principiò in questo tempo ed
ebbe il suo categorico fondamento anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale
riposa la nostra cogitabilità » (1). Da questo luogo, che conferma il
primo, non solo emerge ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor
veramente fatta nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure
aveva cominciato a parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo
baleno di pensiere presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora
veramente visto, compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto,
che io non aveva neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato
e, sopratutto, documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di
farlo qui. Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal
distinzione, ed è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale
e fondamentale principio (1) Loc. cit., pag. 104. Può parere strano che
il Ceretti faccia poggiare la cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano
sparisce, quando si pensa che per lui l'infinito nulla è uno de' modi di
designare l'essere indeterminato. Ora, il pensiere è appunto o una
determinazione dell'essere indeterminato, o una ulteriore determinazione
dell'essere già determinato. di tutto l'Essere e di tutto lo Scibile
(Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come si scorgerà dalla
lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò: Che, giusto perchè la
Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico universale essere, ella
accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de' propri momenti, una delle
proprie manifestazioni e forme di esistenza (1). Ad intendere ciò, e in
generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego volentieri il seguente
luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo « considera l'animale come
un momento definito nel sistema della Natura, la Natura come un momento nel
sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel sistema della Coscienza »
(2). Ora può meglio comprendere il lettore, perchè io, nel dividere la
Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la relativa intestazione, ho
sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto, l'istesso autore dice che: « la
Coscienza, sendo il termine più generale, che possibilita l'essere e
l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più generale, nella cui
distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia speculativa » (3).
Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel contenuto della Sinossi,
rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle quali ella è divisa, sono
la Coscienza universale, ossia i Principii logici o logico-metafisici,
che (1) Vedi in questo stesso volume appresso $ 21, pag. 10. (2) Si
confrontino specialmente il g 164 e la mia relativa nota, non che il S
203. (3) Sinossi, $ 163, pag. 124, voglian dirsi (Logica); la
Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza
spirituale o Principii spirituali (Spirito). Quanto alla Coscienza
universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in
particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto
ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità;
poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere
la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere
sistematico logico. Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in
a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile
speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è
quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè
stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore ». Queste verità
necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella
Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei
pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della
Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia
necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale
a dire, alla forma o tipo logico. Quanto alle verità logiche supreme,
elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza. E, di fatto,
ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come
« verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta
nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più
particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella
proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante » (1). A queste due
proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin
dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può
essere fuori della Coscienza » (2). Quanto alla natura della Logica, ei
l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della
cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».
Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma
limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la
categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e
quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale
il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati
ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero
finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza » (3). Questa
individuazione, soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura. (1) La
Coscienza pensante è per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la
dice, a differenza delle forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza
riflessa e la Coscienza sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza
estetica e si estende alla religiosa). (2) Sinossi, S 203, pag.
218. (3) Vedi Sinossi, pag. 1-12. [blocks in formation]
Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione,
in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa
in due termini, che hanno l'apparenza della separazione », e che sono a l’lo e
il Non-Io » (1). Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la
Natura in a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica). Cominciando a
dir della prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura
istessa, di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e
persin coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o empirico-induttiva),
la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura come disanimata e
puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per egualmente false,
ritenendo invece per unicamente vera la considerazione speculativa.
Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii primitivi e
condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il Movimento, la
Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi la Materia.
Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la consimile
unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è stata già
hegeliana. Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la considera nella
vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la considerazione estetica, che
attribuisce a « Vita e Coscienza analoga all’umana », siccome
questi (1) Sinossi, $ 28, pag. 13. [ocr errors] fantastica.
Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e considerazione
speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi celesti.... debbano possedere
necessariamente la propria vita, dalla quale abbiano il proprio movimento, la
propria forza e le proprie fasi formali ma respinge interamente che « detta
vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale » (1). Passa
quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi celesti;
e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice che « la
Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto somigliare a
quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che « l'armonia generale
de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici prova evidentemente
che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla coscienza pensante e
razionale » (2). Allontanandosi, ciocchè qui dice l'autore, non poco
dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare ulteriormente il suo
pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la ragione, per la quale egli
respinge anche la considerazione riflessa della Natura (che è poi in grosso la
considerazione delle scienze naturali). Riattaccandosi a quest'ultima, dice
che, se la considerazione estetica attribuisce vita e coscienza agli astri,
sbagliandosi nel modo dell'attribuzione, la riflessione spegne (1)
Sinossi, § 41, pag. 22 e seg. (2) Sinossi, $ 42, pag. 23. addirittura
l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione della
natura, è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il pianeta
terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un organismo planetario
vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra dalla vegetabile ed
animale » (1). L'autore attribuisce alla riflessione l'errore della «
diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve
necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita
e della Coscienza o (2). Diversa poi, a senso dell'autore, è la
speculativa considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine
terrestre. In quanto che « la speculazione, ponendo il principio generale, che
la Natura e l'Idea della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere
necessariamente che una Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e
cosciente. Le diverse specifiche nature sono appunto differenziate dalle
differenze specifiche della loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò,
rileva i diversi gradi di vita e coscienza de' corpi celesti, de' minerali,
delle piante, degli animali. « La speculazione (aggiunge egli) concepisce
che nessuna esistenza è possibile se non in quanto sia Coscienza, e nessuna
Coscienza è possibile se non come un sistematico svolgimento dall’una
nell'altra determi (1) Sinossi, $ 49, pag. 30. (2) Sinossi, $ 52,
pag. 32. nazione, locchè è Vita ». Mette però in rilievo che « Vita
e Coscienza nella speculazione non sono menomamente limitate all'analogia del
processo vegeto-animale; epperciò, dicendo che i corpi celesti, il globo
terrestre e le materie terrestri sono vive e coscienti, non intendiamo dire che
un numero finito di organismi componga un tale organismo, ma semplicemente che
tutta la natura è organica, viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo
è principio e fine di altri organismi, cosi nel proprio totale, come in
ciascuna minima particella divisibile all'infinito » (1). Non men lontano
dalle comuni intuizioni è ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia
e psicologia del globo. Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti
non attribuisce il significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per
la quale egli ha adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo
siccome un organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il
globo come un individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente
che vi sia un'anatomia, una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte
però ch'egli « usa questi vocaboli in un significato più generale che non in
quello della vita vegeto-animale » (2). E quanto all'espressione di psicologia
del globe, che è quella che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne
giustifica e chiarisce (1) Sinossi, $ 53, pag. 29 e seg. (2) Loc.
cit., $ 59, pag. 36. il significato come segue. « Dobbiamo per prima cosa
notare, dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato
analogo a quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato
amplissimo di coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso
della sua facoltà locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica;
ma questo non vuol dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e
di meccanica razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma
semplicemente il senso regolativo della statica, requisito della pratica della
locomozione; ma non è una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della
medesima. In questo significato generalissimo di coscienza la terra possiede la
sua psicologia, non altrimenti che ogni individuo vivente » (1). Da tutto
ciocchè il Ceretti dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza
e corrispondente psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli
attribuisce sì ai primi che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo
ultimamente allegato chiama coscienza vivente, cioè una coscienza che si
caratterizza e risume nella vita, una coscienza che potrebbe chiamarsi
inconscia. E questa è quella coscienza che antecedentemente io stesso ho
designata come generica, non già come specificata e molto meno come
individuata. Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti il principio
universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la (1) Sinossi, $
74, pag. 47. Coscienza come universale ed assoluta. In quanto la
Coscienza è universale ed assoluta, è già Coscienza la Natura stessa, che è una
delle forme di manifestazione ed esistenza della Coscienza. Se è così, è ben
naturale ch'ei pensi come cosciente (genericamente, non individuamente gli
astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la Coscienza della Natura, nelle formazioni
siderali della medesima, non si è ancora individuata, soggettivata , ossia è una
coscienza che non è ancora presente a sè stessa, non è consapevole di sè
stessa, è una Coscienza ancora inconscia. Ora, il Ceretti pensa che tutto
il processo della Coscienza naturale o, come comunemente diciamo, della Natura,
consiste appunto nella graduale individuazione e soggettivazione di questa
Coscienza. Nella terra ed in genere nella natura minerale tale individuazione,
almeno tal vera e reale individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua
i relativi gradi evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza
verso una propria individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare
nella vita vegetativa» (1). E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa,
chè, benchè la pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità
planetaria, quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita
vegetabile » (2). E di questa equivocità arreca varie ragioni. (1)
Sinossi, $ 80, pag. 52. ' (2) Sinossi, $ 85, pag. 55.
Additata l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella
ulteriore e superiore forma di esistenza della animalità. È primamente
nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene la compiuta
individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in tutta
l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo dell'individuazione, da
una parte, « si palesa progressivamente nelle specie superiori », dall'altra,
si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto nell’uomo; il quale nella
serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico
dell'animalità » (1). « Quando l'animale, dic'egli, arriva definitivamente alla
soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io distinto
categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza spirituale.
Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo
passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano »
(2). Con l'antecedente esposizione il Ceretti, nella Evoluzione della
Coscienza, esce dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale,
cioè nella terza parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di
senso e pensiero, vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice,
fasi dello spirito, le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il
concetto. Il concetto è la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva,
secondo (1) Loc. cit., $ 96, 106, 107, pag. 61 e seg. (2) Sinossi,
$ 115, pag. 76. che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento
è da lui inteso in senso più largo del senso, tanto che designa come momenti
del sentimento l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il
sentimento viene ad esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto,
quella funzione che costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente
alla cogitante (1), e che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano
facoltà rappresentativa (Vorstellungsvermögen). Segue l'evoluzione della
Coscienza spirituale in quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana,
fan parte dello spirito soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato
primitivo dell'uomo (primitiva coscienza umana); sonno, sogno e veglia ;
temperamento; specifiche disposizioni mentali, tra le quali piglia di mira
anche il genio nella sua distinzione dall'ingegno; carattere e criterio.
Dopo di ciò passa alla considerazione di quei principii che possono designarsi
come costitutivi della Coscienza oggettiva (oggettivata), che corrispondono a
quelli del cosi detto spirito oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa Sinossi
risume ne' tre di Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti sociali
degl'individui consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla Coscienza.
Il Diritto, facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza morale,
statuisce (1) Ei dice di fatto: « La Coscienza che dalla sensazione si
svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla
umanità ». Sinossi, S 128. una legge che divien comune e normativa nei
rapporti esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le esigenze della
Morale e del Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo
della civile società (1). Continuando, l'autore segue l'evoluzione della
Coscienza spirituale nella sua costituzione sociale. Da prima rileva e determina
i gradi evolutivi di questa ultima nel regime patriarcale, strategico
(militare) e politico. Poscia viene alla determinazione della ragione, la quale
è « come il fattore essenziale del buono e del giusto contenuto » nelle
organizzazioni sociali. Alla ragione disposa la coltura, in quanto l'una e
l'altra si suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei si esprime,
reclama un libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo della
ragione; questa e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si possono
reciprocamente realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del proprio
sistema » (2). Termina questa parte con la distinzione, la determinazione ed il
rapporto dello scibile delle discipline finite e dello scibile
speculativo. Assolta questa parte della Coscienza spirituale, passa
all'ultima e suprema della medesima, che è quella che si riferisce all'Arte,
alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale lo stesso, alla Coscienza
artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste tre ei considera non
solo (1) Sinossi, § 139, pag. 96 e seg. (2) Sinossi, S 134, pag.
113. nel suo principio, ma anche nella sua storica evoluzione. Gli stadii
di si fatta evoluzione sono in genere l'asiatico, il pagano, il cristiano; e
quindi arte, religione e filosofia asiatica; arte, religione e filosofia
pagana; arte, religione e filosofia cristiana. Quanto all'arte, egli
accenna non solo all'arte in genere, ma anche alle diverse forme di arte,
additandone l'evoluzione appunto ne' predetti stadii asiatico, pagano e
cristiano. Il medesimo fa per la religione, e qualificando la religione e
le religioni asiatiche per naturalistiche, la religione e le religioni pagane
per antropomorfistiche, la religione e le diverse forme religiose cristiane per
spiritualistiche. E finalmente, quanto alla filosofia, rilevato il
generale concetto di essa e il suo legame coll'arte e colla religione, viene a
toccare della sua storica evoluzione. Comincia dalla filosofia asiatica, nella
quale dà importanza alla filosofia indiana, essendo questa nell’Asia « la sola
che si possa considerare come un tentativo di speculazione esordiente. Ella si
distingue in tre grandi periodi, di cui il primo è teologicamente ortodosso,
epperò armonizza colla religione costituita; il secondo ed il terzo consistono
di sistemi teoretici, che però non negano il principio fondamentale della
religione, alla quale contradicono » (1). Passa alla filosofia pagana, la
quale si risume essen (1) Sinossi, S 191, pag. 188 e seg. zialmente
nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla
teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni
estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della
filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ».
Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione
naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è
speculazione pneumatologica » (1). Termina colla filosofia cristiana,
nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta
filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma
piuttosto a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto
di vista filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a
nuova speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una
semplice rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si
distingue per la forma delle nuove filosofie », come in Giordano Bruno, in
Giacobbe Böhm e in qualche altro. Quello però che fonda la filosofia
cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i
posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia
cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano
dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella
si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia (1) Sinossi, $ 195,
pag. 192 e seg. unità distinta dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla
Idea fuori di sè stessa (Natura). Questa concreta unità prima è realizzazione
dei suoi termini separabili, che astrattamente si svolgono in astrazioni
fisiche o metafisiche; poscia è concreta unità dei suoi termini indirimibili e
distinti » (1). Questa è la tela del pensiere filosofico della Sinossi
dell'enciclopedia speculativa. Ora, a complemento della cosa, credo ancora
utile di rilevare alcuni punti ed alcune opinioni dell'autore, che mi sembrano
degni di nota. Primamente mi riferisco al punto concernente le idee
cerettiane sugli astri in genere e sulla terra in ispecie, e propriamente
riguardo all'animazione e persin coscienza che l'autore ha vedute in
essi. Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera di lui: in questo
si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione planetaria, la quale poi non
è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in questa mia
Introduzione si è appellata la Coscienza naturale. « La mia astronomia,
dic'egli, ossia perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia punto alla
disciplina finita (cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo nome, ma si
riferisce semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la genesi di quei
corpi. L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo celeste corrispondono
alle varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e cosi oltre, e
conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso appartengono
a (1) Sinossi, $ 199, pag. 204 e seg. vari momenti della sua età.
Cosi, per es., la vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale
momentaneità della vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si
chiama Terra » (1). Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed
animale, ossia vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una manifestazione
planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in altri termini
che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In conseguenza di ciò il
Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita e coscienza del
pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha parlato di
anatomia, fisiologia e psicologia della terra. È indubitato che queste
ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente ancora
suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada nella
scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano perdendo
non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e senza
meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri
seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti
libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per
esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen
Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von D. Hermann
Wolff. Leipzig 1890. Zwei Bände ». (1) La mia celebrità già citata, pag.
66 e seg. Ebbene, il Wolff parla anch'egli non solo di psicologia
animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula.
Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Ernesto Haeckel, seguito poi
da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Il Wolff va ancora più
innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene,
inorganica) (1). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di
manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi
segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene
alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen
psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur) (2). Siffatte
manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza
individuale animata, ma comuni manifestazioni di specie » o generi (3). Anche
il Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza
degli astri e della terra non è individuale, ma generica come ho fatto innanzi
rilevare. Fo considerare, inoltre, come ora si parli non poco di
Panpsichismo: chi è a notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo
spirito universale di Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del
medesimo sono imparentati con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato
l'Inconscio del vivente filosofo Eduardo di Hartmann; giacchè l'Inconscio
contiene in sè un ele (1) Vedi dell'Opera citata del Wolff, vol. I, pag.
239 e seg., 245 e seg, (2) Loc. cit., specialmente a pag. 334. (3)
Al secondo volume di detta Opera, pag. 145, mento pensivo e spirituale
che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si
manifesta ed agisce nel mondo materiale. Altra intima parentela con
queste intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si
ha un solo principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed
inconscio insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo,
come anche nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e
giudicare con sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice
intorno all'animazione e coscienza degli astri. L'aver testè ricordato il
nome di Eduardo di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per la
mente, che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e
propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito
a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi
provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un
principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando
l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai
degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può
entrare in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro
che ora conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra
occasione, nella quale ritornerò su di ciò. Un altro punto, che si
collega ai precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il
dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura
meramente inorganica, cieca e macchinale » (1). Con questa dichiarazione egli
si fa, sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e
dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a
lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche
ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra
volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto il generale
concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente irrazionale
l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono spiegare i
prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza, la vita
domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e diventano
inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni dei
medesimi. Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere
naturalistico aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle
scuole platonica ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi
e filosofi posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da
Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale,
razionale e progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue
maravigliose forme. L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito
a [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in
moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha immensamente
regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che
la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è
proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta il
meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e spenceriani
riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a una tale
assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o
bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo
mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai
rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur
movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a
quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto anch'io(1). Altro
punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto
all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa
oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse
tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla
stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una
specie si (1) Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris 1884,
specialmente il capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso
anno 1884, nel mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del
filosofo francese, ho sostenuto (vedi pag. 414 in nota) lo stesso principio,
con la stessa espressione di evoluzione finale. tramuti in un'altra come
tale, perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto.
La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò
parrebbe quasi quasi che non ammettesse vere specie di sorta e non si
accordasse col darwinismo. Ma, d'altra parte, ei soggiunge: « La vera
trasformazione della specie non si deve investigare nelle specie come lali, ma
piuttosto ne'minimi termini della specie, ossia nelle variazioni individuali.
Queste variazioni, tuttochè lentissime, modificano col volgere de' secoli le
specie » (1). Ora a me pare che l'opinione cerettiana si converta colla
darwiniana: perchè secondo i darwinisti le modificazioni alle specie provengono
e non possono d'altronde provenire che dagl'individui. Un altro punto non
meno dibattuto e controverso è ai di nostri quello della religione; e mi piace
di rilevare l'opinione cerettiana in proposito. Innanzi tutto egli è contrario
ad ogni religione filosofica o scientifica che voglia dirsi. « Provate,
dic'egli, a istituire un culto, ossia una pubblica credenza filosoficamente
ragionata; e voi fallirete senza dubbio al vostro scopo, perocchè la Coscienza
pubblica non è disposta a un filosofico sistema ». E per tal rispetto può
dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a dir vero, non a quello del fondatore del
medesimo, perchè Comte ammetteva la ragion di essere della religione, ma al
comunale positivismo, che vuol sostituita la religione colla scienza. E,
venendo poi ad esprimere (1) Sinossi, $ 185, pag. 174 e seg. il suo
pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che conviene al
nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di miti e di
misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un luogo,
epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una
tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è
l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione
generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio,
possibile oggetto d'una credenza religiosa » (1). Probabilmente il
lettore troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che
abbastanza generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da
filosofi, scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io,
per parte mia, penso lo pensava anche il filosofo intrese) che la
religione in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè
può essere mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione
scientifica, quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera
e, per giunta, assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che
costituisce qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa
de' credenti. Questi sono i punti principali e le relative opinioni
dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.
(1) Sinossi, $ 108, pag. 71 e seg. Prima di terminare questa già lunga
Introduzione, non posso a meno di rivolgere ancora l'attenzione del lettore
sulla posizione della Sinossi nel complesso e nel corso del pensiere filosofico
dell'autore, non che sulle ragioni che hanno consigliata la pubblicazione
dell'opera. Quanto alla posizione, ho già detto che essa rappresenta una
fase o momento di transizione dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto
dall'autore ed espresso, pur già con modificazione, nella sua opera latina) ad
un assoluto idealismo subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai
vicino a quello di Fichte. Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso
dello schellinghianismo, del quale son visibili alcuni vestigi nella presente
opera. Il lettore che leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da
sè stesso. Se non che io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho
già rilevato nella mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso,
rimando il lettore a questa (1). Quanto alle ragioni della pubblicazione
(oltre al desiderio, anzi volere della figlia del filosofo, la quale crede
dovere filiale di cooperare a far conoscere e pregiare il suo genitore), elle
son varie. L'una è che, benchè ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla
latina, ciò non di meno, con tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre
parti che la costituiscono, è pur sempre tale da meritare di essere conosciuta.
Una seconda è che, (1) Alla più volte citata notizia, e propriamente alle
pagine clxxx e seg., CXCIII e seg. siccome essa rappresenta una delle
fasi di transizione del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer
questo tutto intero, era necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che
essa, tra le opere filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle
migliori. Una terza ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica
latina, è bene che se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che,
essendo rimasta incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che
concerne la filosofia dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi,
che si estende anche a questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello
spirito nell'opera latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un
generico fondo hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è
questa che, come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai
probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o
logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è
rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione
della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa
giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la
Sinossi, invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la
filosofia della natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non
è improbabile che il Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la
logica nell'opera latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella
Sinossi, che fu scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così
eminente individualità filosofica, poetica e letteraria, quale fu il Ceretti,
venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla
degnamente, non bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna
abbracciarle tutte; giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e
complessa, bisogna vederla e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue
opere. Dividerò e tratterò in "varii punti la quintuplice forma
di Logica enunciata nel titolo. Il primo punto è che questa
quintuplice forma di Logica si riattacca nel modo più intimo al mio
scritto già pubblicato ed intitolato: L'Essere evolutivo finale come
tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico
uscente dal- l' Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione,
la posizione e la soluzione delle indicate forme logiche dipendono in
tutto e per tutto dal medesimo. Il secondo punto concerne la
importanza della trattazione delle enunciate forme logiche. La
importanza, quanto alla Lo gica aristotelica, è addirittura imm ensa, in
quanto sì fatta Logica conta ormai 24 secoli di esis tenza, di
ammirazione e di attuazione nel pensiero umano in genere e nel pensiero
filosofico in ispecie. Per ciocché concerne la importanza della
Logica kantiana, benché questa, rela- tivamente al tempo, conti poco più
di un secolo di esistenza, pur la sua importanza è assai grande, in
quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la Logica
aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa materia alla
susseguente Logica di Hegel. Quanto poi alla Logica
hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è immensamente minore
della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con- tando
appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à
del fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la
Logica hegeliana, da una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_
reale od ontolog ica alla aristotelica ritenuta e detta formale, e,
dall'altra, sviluppando, integrando e realizzando in un compiuto
organismo dialettico il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più
impor- tante fatto e pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla
importanza della cosi detta Logica matematica, tale importanza rispetto
al tempo è di bel nuovo assai minore non solo della 24 volte secolare
ari- stotelica, e della poco più che secolare kantiana, ma della stessa
secolare hegeliana. Giacche la Logica detta matematica conta soltanto
pochi decennii di vita, ed anzi, nella sua ultima determinata forma,
appena una ventina d'anni. E da ultimo, per ciocche concerne la
importanza della Logica indiana, tale impor- tanza è grandissima
anch'essa; in primo luogo, perchè la Logica indiana è una reale e vera
forma logica distinta dalle altre, e pensata ed esercitata da un popolo
anti- chissimo tuttora pensante e logicante con essa; in secondo luogo,
perchè, rispetto alla universale evoluzione della Logica in genere, la
Logica indiana è la prima ma- nifestazione, avente ragion di essere come
le altre. A queste ragioni essenziali potrei aggiunger l'altra di
opportunità ; ed è che essa è assai poco conosciuta, ed è invece
degnissima di esserlo, il che avverrà coll'accenno mentovato della
medesima. Un'ultima considerazione rispetto alle predette forme
logiche, e specialmente rispetto alla sequela storica delle medesime, è
la seguente. Che, cioè, benché la indiana sia la prima in ordine di
tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e trat- tarla in ultimo,
perchè essendo essa di un tipo abbastanza dissimile dalle altre enun-
ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne la natura dopo aver
esposte quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e razionale rispetto
ad essa. Il terso punto concerne lo scopo della trattazione delle
predette Logiche. Il quale scopo è quello di determinare quale è la vera
natura di ciascuna di esse, consi- derandole sì dal punto di vista
storico, epperò evolutivo, sì dal punto di vista teoretico.
Di tutti questi punti dunque tratterò separatamente, cominciando dalla
Logica aristotelica. Aristotele è detto il Padre della
Logica. Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L ogica
prima _della sua ? e se ce n'è un'altra, in qual relazione sono quest'altra
e la aristotelica, da una parte, dal punto di vista della anteriorità e
della posteriorità, dall'altra, dal punto di vista della evoluzione
storica dall'una all'altra ? La risposta a tal quistione sarà più
opportunamente fatta e compresa dopo la trattazione e giudicazione di
tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari- stotelica.
Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra esposizione e
trattazione. Tutti intendono che la prima ed essenzial Fonte è
Aristotele stesso e questa noi avrem sempre presente nel testo originale.
Aggiungiamo solo che, come Aristo- tele, specialmente attraverso del
Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e riferito nella famosa
traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta come giusta
interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci serviremo anche di
questa, allegandola persino ordinariamente accanto al testo greco.
La edizione de' due testi che noi abbiam presente e seguiamo è quella
della « Academia Regia Borussica, Berolini, 1831-1836 „ fatta da Emanuele
Becker e da Cristiano Augusto Brandis. Altre Fonti
importantissime sono le seguenti: Severino Boezio (l'infelice e
insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere dal re Teodorico).
Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come tradut- tore
e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist. Stag., Organimi,
Boethio Sever. interp. età, Venetiis, 1547. Geschichte der
Logik etc, von D/ Cari Prantl, che è un'opera addirittura mo- numentale
nel suo genere. System der Logik und Geschichte der Logischen
Lehren von D. r Friedrich Ueberweg, 4 e Àufl., Bonn, 1874: opera
eccellente anche questa, dovuta al merito e alla giusta fama di
quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia
della Filosofia. Aristotelis Organon etc, edidit Theodorus
Waitz Philos. Dr. Lipsiae, MDCCCXL1V: importantissima e stimatissima
opera in due volumi contenenti il testo greco e il commento di lui al
medesimo. D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc,
nella quale (zweiter Theil, zweite Abtheilung) vi è un volume speciale,
di quasi un migliaio di pagine, trattante di Aristotele.
Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der Geschichte
der griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione del 1911
(Leipzig) elaborata (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing.
Trendelenburg, Elemento logìces Arist., Berolini, 1836, 9* ediz. 1892 :
notissima e importante operetta. Barthélemy
Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4 voi. Alle Fonti
già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella del nostro
Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli Elementi di
Filosofia, in cui ha- una lunga trattazione della Logica pura; l'altra,
amplissima, quella delle Lezioni di Logica e metafisica; e,
occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte, per esempio quella di
Ruggiero Bonghi. E ora vengo alla indicazione ed esposizione degli
scritti logici aristotelici. Gli scritti logici o V Organo (tò òqyavov)
della filosofia aristotelica. È opportuno riferire una osservazione che
fa il Waitz [Arist. Org., II, 293 ss.), e che accoglie e riferisce anche
il Zeller (nel suo terzo volume precitato, pag. 187, nota 3), sulle
denominazioni di Logica ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli «
espositori greci fino al sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di
queste deno- minazioni come l'espressione tecnica e generalmente
accettata degli scritti logici di Aristotele : ma che però più tardi
questi vengono " già denominati organici {òqya- « vmd), perchè essi
si riferiscono all' òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo- ■ aotplag
». Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono:
1° Le Categorie (KaziqyoQiaì); 2° De Interpretatione {LTeoì c
EQH7]vslag) ; 3° I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa
; 4° 1 Secondi (o Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa;
5° I Topici (8 libri): Tomxd; 6° 8U Elenchi Sofistici (De
Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì "EÀsyxot. Le Categorie.
Questa prima parte degli scritti logici aristotelici è importantis- sima,
perchè essa costituisce come un anello di congiunzione tra la Logica e la
Me- tafisica di Aristotele. Il lor significato e la loro estensione
appartengono e si allar- gano ad entrambe queste parti del pensiero
filosofico aristotelico. Il significato è che essi esprimono i
supremi pensabili, cioè, i supremi concetti sotto cui cadono e si
aggruppano nel nostro pensiere gli ogge tti della universale realtà.
Il numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie, secondo
Arist., è, notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg., cap. 4,
all'inizio): zwv xazà firjóe- filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv è'xaozov
tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq zi f} nov ^ note f}
xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men- tovata
di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur,
unumquodque " aut substantiam significat aut quantum aut quale aut
ad aliquid aut ubi aut quando " aut situm esse aut habere aut agere
aut pati „ ■ Il predetto numero e la denominazione delle Categorie
son anche riferiti in modo chiaro e preciso nei Topici (I, 9, al
principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic. zà yévrj %&v
xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov,
nozè, xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv (1). Per lo scopo
che io mi propongo non posso entrare in tutte le particolarità, nelle
quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come
rias- suntivo dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo
del Zeller (loc. cit., pag. 267). " Fra le singole
Categorie, dice questo, la più importante è di gran lunga la * SQstg^za,
della quale in seguito dovrà parlarsi più diffusamente. La Sostanza, in
" senso stretto, è sostanza singola. Ciocche si lascia dividere in parti è
un Quanto " (ein Quantum) ; se queste parti son divise (getrennt),
il Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse sono insiem
congiunte, il Quantum è una Grandezza; " se sono in una determinata
posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi le " parti
son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la Grandezza non
e (1) Vedi pei due luoghi greci Zeller, 3° voi, citato, pag.
259; e nel testo greco stesso, vedi Arist., KaTijy., cap. 4° e Tonino, al
luogo indicato. » Secondo il gusto e l'uso de' versi memoriali,
queste 10 Categorie furono espresse dal seguente distico :
Àrbor sex servos calore refrigerat ustos ; Cras ruri stabo, sed
tunicatus ero. spaziale (ist eine unràumliche). L'Indiviso (das
Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo di cui vien conosciuta (erkannt) la
Grandezza, è la Misura della Grandezza stessa; ed è questa appunto la
nota distintiva della Grandezza, che essa è misurabile, che ha una
Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al Tutto sostanzialmente di-
visibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante le quali vien diviso
il Tutto. Giacché per Qualità in senso stretto Aristotele non intende
altro che la nota distin- tiva, o la determinazione più vicina, in cui si
specifica un dato Generale. E come le due specie principali delle Qualità
egli designa quelle che esprimono una deter- minazione essenziale, e
quelle altre che esprimono un movimento od attività. In altro luogo egli
novera quattro determinazioni qualitative come le principali; ma - queste
però si lasciano sottordinare a quelle due. Siccome nota propria della
Qua- ■ lità vien considerato il contrapposto di Simile e Dissimile. Del
resto, l'istesso Ari- * stotele è imbarazzato nel conterminare
questa Categoria verso altre. Al Relativo " appartiene tutto ciò, la
cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un deter- « minato
comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui
* corrisnonde la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie,
le quali però « si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non
rimane eguale a sè stesso ; ed ancor * meno sa evitare più di una
miscela (Vermischung) con altre Categorie, ovvero ot- * tenere una
nota sicura di quella costituente il Relativo. Le altre Categorie furono
* da Aristotele sì brevemente trattate nello Scritto delle Categorie, che
anche noi " non possiamo trattarne più diffusamente „. E
basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del secondo scritto
del- l'Orbaco, cioè del " IIeqì èqiirivtiac, „, o De
Interpretatiom. Rispetto al tempo in cui fu composto questo scritto, è
bene di rilevare, che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo stesso
Aristotele dice chiaramente ed esplicitamente al cap. 10 di questi.
L'oggetto di questo piccolo trattato dell' Ermemia è la £rojosizione, e
non . nel senso di pura e semplice pr oposizione grammatica le, ma di
proposizione logica od esprimente un pensiere logico.
Aristotele, analizzatore per eccellenza, comincia coll'esaminare e
stabilire ^li elementi della proposizione stessa, i quali non sono altro
che i nomi delle cose. E comincia a farlo con una osservazione
importantissima intorno al nome (tò ovo/ia) e al verbo (tò §fj/ta), la
quale è che i nomi prima della loro unione, sia tra loro sia col verbo,
non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo lui, quando si
dice nome (dvo/ia) in senso lato, vi si comprende anche il verbo IIzqì
yàg (die' egli al Capo I dell' Ermeneia) oév&EOiv k<xì
òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és (nella corrispondente
traduzione latina: * nam in compositione et divisione est ve-
" ritas aut falsitas „). Quando poi col collegamento e
colla divisione delle parole,, Qffàa d<jLnomi, co- mincia la verità e
la falsità, allora il noma, come specificamente logico, è propria- mente
Uyog. Uno scrittore che ha rilevata bene la differenza di òvofia e di
Myog e il Biese {Die Philosophie des Aristoteles, Berlin, 1835, I Bd., p.
55 e 90), dicendo che " Uyog designa la parola in quanto è
espressiva del pensiere „. In altri termini, kóyog è la parola logica per
eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo Aristotele (IIeqì
'Eq^veiag, c. 4), ogni discorso, Àóyog, è significativo di alcun che
(arjfiavxixóg) ; ... ma non ogni discorso è enunciativo, giudicativo
(dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i) col vero e col
falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera {eb%<t\, deprecatio)
è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e
la falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il
quale senza di esse non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza.
Che il g iudizio sia da Aristotele così concepito, ha una importanza
straordinaria rispetto alla quistione della Logica formale e della Logica
reale od ontologica. Comunemente si dice che la Logica di
Aristotele è formale. Ciò è vero in certi limiti e non in tutto e per
tutto. Infatti, il dire che un giudizio è tale soltanto rispetto alla
verità ed alla falsità, vai tanto quanto dire che un giudizio è vero o falso
se- condo che esso è conforme o non conforme alle coso, ossia alla
realtà. Per forma che un giudizio non potrebbe neppure aver luogo, se, a
così dire, non sorgesse ed anzi non fosse prodotto dalle stesse cose
reali. Il Trendelenburg, autorevolissimo in tal materia, dice (1):
" Senza un tal rap- " porto alle cose non v'è alcun giudizio ».
E, conformemente a ciò, lo stesso Tren- delenburg ne' suoi Ehm. logie.
Arisi., p. 63, aggiunge: Aristotelem, qui quidem enun- ciationis naturam
in rerum peritate positam esse voluit etc. Del resto, già in antico aveva
pensato ed espresso lo stesso Boezio (nel cit. Arisi. Stag. Organum, etc. pag. 6)
dicendo: " Sed denominationes istae (seilic. categoriae) ex rebus pendent
etc. „ Ciò posto, passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo
stesso, della proposizione' logica. E per l'esposizione di questo punto,
ne' limiti dello scopo che ci proponiamo, ci varremo degli stessi
Analitici, i quali furon composti prima dell'Ermeneia, e nei quali
Aristotele ne aveva appunto trattato. La Proposizione (Ilqóxamg)
(2). La definizione che ne dà Aristotele è la seguente : Ilqóxamg [tèv
odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog : cioè: "
La ; proposizione è un discorso affermante o negante alcunché di alcunché
„. E la fa- mosa traduzione latina ha: " Propositio igitur est
oratio affirmans vel negans aliquid " de aliquo „.
Subito appresso, determinando l'estensione e la specifica natura della
proposi- zione, o del predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $
èv fiéqei j} dòióqiaxog. Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì
fmaq%£iv, èv fiéqei de xò xivl % (irj navxì iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò
Ò7iàq%eiv | fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog, oìov xò
xCùv èvavxiav slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai
dyadòv. Cioè, nella traduzione latina: " Haec (scilic. oratio) autem
aut est universalis, aut " in parte (particolare), aut indefinita,
universale appello omni aut nullo inesse, in * parte vero, alicui aut non
alicui aut non omni inesse, indefinitum autem, inesse " aut non
inesse absque universali aut particulari nota, veluti contrariorum eandem
t esse scientiam, aut voluptatem non esse bònum „. (1) In
Erlauterungen zu den Elementen d. aristot. Logik, 2 e Aufl. Beri., 1861, pag.
6. (2) In Waitz, Aristotelis Organon etc, voi. I, pag. 368, vi è
una interessante nota sulla voce jiQÓiuais e le corrispondenti in
Cicerone, negli Stoici ecc. „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA
ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad
ulteriore intelligenza della eosa, debbo ricordare al lettore la famosa
finzione dello quattro forme di posizioni ohe rappresen ano una parte „ levan
e nella funzione del Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU
nevai m la 7er 9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo
« ed i da afnrnro ed e ed o da "^Urliamo egualmente
l'attenzione del lettore su di un'alt» parlar ^ricor- rente poco appresso
nel luogo stesso e riattaccante* a ciocche e teste detto che ZTu dire di
una cosa ohe è interamente in un'altra vai tanto quanto due che essa
interamente attribuita ad un'altra «-** -W*? « «• ohe il re che una
cesa non è in alcun modo frrt nHj B ™ lta °' uanto dire che essa non è in
alcun modo attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann TelTe due
espressioni de. e del «* la ^ oorrisnondente espressione latina del
Didum de amni et de nullo (2). . Tvendo testò detto che nel
trattare della Logica aristotelica m sare, limitato ai punti
fondamentali, Ve *V^SJS!^^^^^1 tale e che non posso a meno di riferire.
Onesto concerne le regole della conversione t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo
secondo; e per migliore intelligenza ed appre - zam nt'o le allego nella
sua integrità. Però nell'allegarie, s> perche e comunemente neTa la
lingua Francese, si per la grande autorità che ha un traduttore delle
opere aristoWi'he, quale è il B~mv ok S^-H^rna, mi valgo della tradu-
ZÌ °" Oomte tonte proposition (eoa, quest'ultimo) exprime quo la
obese est sim- ■ moment ou quelle est nécessairement, en qu'elle
peut étre; et que dans tonte •I pTee d'attributien, les prepesitions sont
afflrmatives ou negative*: comme, de - plus les prepesitions afflrmativee
et négatives sont tant6t nmverselles, tentot par • Mières tantot
indéterminées, il y a necessitò ,ue la proposto simple umver- • et
privative pnisse se eonvertir en ses prepres termes; par exemple, s, neon
■ nWsir Test un bien, il faut nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit
un plaisir. ■ Crepo tion afiirmative doit anssi se convertir, non
pas en umverselle, ma, • L narticulière; si, par exemple, tout
plaisir est un bien, il faut anssi quo qnelqne . U sl un piparmi les
prepesitions particella, ,'afnrmative se cenver • nécessairement en
particulière ; car si quelqne plars.r est un • „ue quelqne bien
soit un plaisir. Mais il n'y a pas de couversion necessaire peur •
a prTpositien privative: en effet, si homme n'est pas attrihnable qnelqne
animai, . il ne s'ensnit pas qne animai ne soit pas attribuable à qnelqne
homnie. ■ La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la meme
encore pour les p.o (1) Notoriamente in queste Ufiene delle
Scolo, si esprime™ ciò, dicendo: A.serit a, no B »t «, veruni
universiditer «mbo: Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo.
(2) Il si.eiao.to di „..t. ».'*. & — « * "»» 6 <* e
"""" positions nécessaires, c'est-à-dire
que l'universelle privative se convertii en uni- ! vergelle, et que
chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière... Quant ' à
la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non plus se convertir,
par " la mème raison que nous avons dite plus haut. ■
Pour les propositions contingentes, comme contingent se prend dans bien
des " sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible
sont contingente, * la conversion de toutes les propositions
affirmatives se fera ici de la mème ma- 8 niòre... La règie change pour
la conversion des négatives; mais elle est encore la * mènie P° ur
les Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que
" nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas
nécessairement. *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre
cheval, et que la blancheur [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux
choses lune nécessairement n'est pas, " l'autre n'est pas
nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma- " mete.
En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme
peut * n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut
n'ètre à aucun vètement, ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune
blancheur. Autrement, s'il n'y a nécessité que '• vétemen t soit à
quelque blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque *
véfcemen t- C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses
que " l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus
habituellement et naturellement " de telle facon, ce qui est la
définition que nous donnona de contingent, il n'en * sera plus de
mème pour les conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle
" privative ne se convertit pas, et la proposition particulière se
convertit. Ceci de- ! viendra évident quand nous traiterons du contingent.
Bornons-nous ici à constater, " a P rès tout ce <l ui précède,
que pouvoir n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre' " pas à quelque
chose, ont la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir est "
place dans la proposition comme le verbe ètre; et que le verbe ètre, à
quelques * attributions qu'on l'ajoute, forme toujours et
absolument une affirmation : par * exemple, ceci est non bon, ceci
est non blanc; ou, d'une manière toute generale, « ceci est non cela. Du
reste cotte théorie sera reprise et confirmée plus loin. Mais, "
quant aux conversions, ces propositions contingentes seront comme les autres
pro- " positions „. E ciò basti per lo scopo propostomi,
delle proposizioni, e passo a dire dell'ele- mento del termine.
Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così:
"Ogov óè xalib rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re
xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu f] nQoa'uèefiévov % òuuQovftévov
%ov elvai mei elvai. Ossia: Io chiamo termine quello in cui la proposizione
si scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si attribuisce, sia che si
aggiunga sia che si separi Tessere o il non essere (nella traduzione
latina: « Terminum vero appello in quem dissolvitur propositio, ut
attributum et id cui at- ■ tribuitur, sive adiiciatur sive separetur
verbum esse vel non esse „). L'attributo e quello a cui si attribuisce
sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed il soggetto.
Ciocche è qui allegato intorno al termine concerne il concetto e la
definizione del medesimo. Ma vi sono altre particolarità essenziali che
si riferiscono ad esso. Se non che, come queste si riferiscono più
direttamente al Sillogismo, e si inten- dono meglio dopo aver detto di
questo, così io passo a dir prima di questo. Il Sillogismo
(avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è bene ricordare un
importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più importante, m
quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma anche degli
Analitici, che sono la teoria del Sillogismo stesso. "
Duo sunt, dice Boezio (1), in syllogismo, tamquam in homine corpus et
animus. « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in animo
vis et vita et « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici)
Aristoteles velut de syllogismi « praecipit corpore, hoc est, de
partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque « priora nominantur.
In his autem posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re- « conditis
de anima ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia «
rationis. Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur,
sed hi « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo
ac facie, Aristoteli " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. _
Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla stupenda definizione
che egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà sempre una delle più
belle, più precise e più espressive della vera natura del medesimo.
SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv tivùv foeqóv fi wv ^ifiévcov
ég àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè (in italiano): Il Sillogismo è un
discorso, nel quale, posto alcun che, segue necessariamente qualcosa
d'altro da quel che e posto, perciò solo che è posto. E la corrispondente
traduzione latina ha: " Syllo- « gismus autem est oratio, in qua
quibusdam positis aliud quiddam diversum ab us " quae posita sunt,
necessario accidit eo quod haec sunt „. A spiegar meglio il modo e
la necessità della consecuzione, Aristotele (nella predetta traduzione)
soggiunge subito in continuazione: '< Dico autem eo quod haec "
sunt, propter haec evenire, ac propter haec evenire intelligo, nullo esterno
ter- " mino opus esse ut sit necessaria consecutio Il caso della
consecuzione necessaria senza bisogno di altro termine esteriore è poi
quello che costituisce il Sillogismo perfetto (léAeiog ovXXoyiafióg),
come Aristotele lo appella. Che il Sillogismo imperfetto (cheftfc)
si possa poi ridurre al perfetto coi mezzi da Aristotele indicati, è cosa
a tutti nota, che occorre appena di rilevare. Invece è bene di
rilevare intorno al concetto aristotelico del Sillogismo alcune cose
degnissime di attenzione. La prima è che il rapporto delle proposizioni o
de* -iudizii sillogistici ed il procedimento de' medesimi son tali che
costituiscono una necessaria connessità. Il che importa che il Sillogismo
non è un fatto accidentale, ma è tale che ha una necessaria ragion di
essere. La seconda è che la conclusione non è una ripetizione e
riproduzione delle due premesse, ma esprime altro da quel che è espresso
da esse: insomma, esprime un principio nuovo. Questa seconda cosa è tanto
più importante, in quanto in tempi posteriori ad Aristotele è stata messa
(1) In Abist. Stag., Organum, già mentovato, pag. (2)
Dic'egli subito all'inizio dei Primi analitici. innanzi la opinione (1)
che nella conclusione non si contenga un novello principio, ma soltanto
la ripetizione del contenuto delle premesse. Una terza cosa è che la
parola conclusione è a prendere ed intendere nel vero" significato di
inclusione di uno de' termini negli altri due : per forma che la
conclusione esprime addirittura il vero chiudersi de' termini l'un
nell'altro. E giacche si è accennato al concetto del Sillogismo, è
hene di accennare anche al concetto del Sofisma, il cui concetto è
proprio l'opposto di quello del Sillogismo. Infatti, il concetto di
quest'ultimo, come si è visto, è costituito da ciò, che le due premesse
conducono ad una necessaria conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó-
<piafia) (2), al contrario, è costituito da ciò, che la conclusione è in
contraddizione colle premesse, che, cioè, queste non concludono
rettamente, e però concludono fal- samente. Ma del Sofisma si dirà più
ampiamente in seguito. Ora è opportuno di ritornare alla
esposizione dei Termini, ad integrazione di ciocche di questi è stato
teste detto. I Termini di un Sillogismo son tre, e non pos- sono essere
più di tre (Sqol tQsìc;). I quali tre hanno un contenuto od estensione
diversa; e sono il termine maggiore (fist^ov àxqov), il minore (è'Àanov) e il
medio (%ò \ièaov). Aristotele li designa anche puramente e semplicemente
coi nomi di primo (tò TiQ&'cov), ultimo (tò ia%a%ov) e medio (tò
[aégov). Il numero di soli tre termini non vien contradetto neppure
dal caso del Poli- sillogismo, nel quale vi possono essere più medii.
Perchè i più medii son ciascuno sempre il medio di un solo Sillogismo nei
varii Sillogismi costituenti il Polisillo- gismo stesso, cominciando dal
cosidetto Prosillogismo e terminando coll'Episillogismo. Indicata
la denominazione e l'estensione de' Termini, la maravigliosa e precisa
mente aristotelica passa alla definizione di essi, che è la seguente:
* Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò
fièaov òv... KaÀà) óè fièaov fièv o xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv
to-ùto) èativ, 8 xal %f\ &éoei yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te
èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv (3). Cioè (in italiano): Chiamo
(termine) maggiore quello in cui è (contenuto) il medio; e
(termine) minore quello che è accolto nel medio Chiamo termine medio
quello il quale è esso stesso in un altro, e nel quale è alla sua
volta un altro, che divien medio anche per posizione. Chiamo poi estremi
sì quello che è in altro, sì quello in cui è altro. E la nota traduzione
latina ha : " Maius extremum appello, in quo medium " est,
minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et ipsum est
" in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit medium. Estrema
autem " appello et id quod est in alio, et id in quo est aliud
„. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa
comprendere come questa espressione aristotelica nella dizione greca è
perfettamente esatta. Infatti, nella prima Figura sillogistica (che è
quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo: B (l'uomo) è A (mortale); C
(Pietro) è B: dunque C è A. Aristotele, invece, nella dizione greca
dice: A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C.
(1) Opinione già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne' tempi
moderni. (2) Amst, Top., 8, 11. (3) Ibid., paragr.
4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a vera Ma questa
popone medtana non e q»> ^ ^ come la conclusione. ; Qfflntfismo
Aristotele ne fa cadere Però, ooanto a -amerò * che ne. Sillogismo
non tatto il poso «olle promesse, e penano m p u» Ae e dimostraai(m
e ed ogni vi sono ohe A» proposizioni. E dopo aver dette ^consta, e
ogn Siilogismo di soli tre termini (nella tradazmne
'^^Zm^J^,: ■ 8 iCplan.mestotiams y llo S ismnmoe„stareexdaabas
propos t,on » ^ p preponi ohe 4 »i sono indahhiamen e ^ ^ adsu
. • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S »v » 3ec nndnm priama
t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^, Lia eipa.es
pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » — : ffs :^^r^ti~ - *U-r + — -
? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0 la Logica
aristo- ::' "re S?- " — ""•
seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole). Termina
esto triple*, medius, maiorque, minorque; Latius hos quam praemissae
concludo non vult; Nequaquam medium capiat concludo oportet; Jtot
semel, mot iterum medi™ generalità esto; Utraque si praemissa neget, mail
inde sequetur; Ambae affirmantes nequeunt generare negantem; Nil
sequitur geminis ex particulanbus unquam; Peiorem sequitur semper
conclusio partem. ki igiene di ,neste rogo.e si a^ «ohe ^ le
cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema, V
pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai: perderò
Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre prepo- " an
possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu taPP itit:::v:c: o
u^^ lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per le Scuole; e
passo a dire delle Figure sillogistiche pur ricorrenti negli Analitici, e
intimamente connesse col Sil- logismo. Le Figure (%à
affiliata) sillogistiche. Secondo Aristotele il Sillogismo è di tal
natura che si distingue in tre Figure sillogistiche, delle quali la prima
{o%i\fia jiqùxov) poggia sul Sillogismo perfetto, la seconda e la terza
(axVP® devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul Sillogismo im-
perfetto. E qui è necessario di rilevare una cosa, che a primo
aspetto pare di poco mo- mento, ma che è invece importantissima. Ed è che
Aristotele nella esposizione e dimostrazione delle predette tre Figure si
serve come simboli delle lettere dell'Al- fabeto greco, specialmente
delle prime tre del medesimo a, /?, y. Il significato
dell'adoperamento di tali simboli, specialmente per l'applicazione di
queste alle Matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle Figure,
è bene avvertire che Aristotele per esse si vale in com- plesso degli
stessi esempi allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di
questi rappresentare uno de' tre termini sillogistici. Così,
per darne una idea, nella prima Figura (ove adopera i simboli alfabetici a, p,
y) si vale de' termini piacere - bene - animale ; animale - uomo -
cavallo ; scienza - linea - medicina; bene - abito - sapienza ; bene -
abito - ignoranza; bianco - cigno - neve. Nella seconda Figura (ove
adopera i simboli alfabetici <5, e, £, ecc.) si vale di questi esempi,
animale - cavallo - uomo ; animale - inanimato - uomo ; animale - scienza
- animale selvaggio; corvo - neve - bianco. Nella terza
Figura (ove adopera i simboli alfabetici n, q, o) si vale di bel nuovo
degli stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella seconda. E,
per essere quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due Fi-
gure seconda e terza, oltre agli indicati simboli alfabetici, si vale anche dei
primi tre a, /?, y. La conclusione cui giunge Aristotele
nelle indicate operazioni è che " tutti i * sillogismi
imperfetti diventan perfetti mediante la prima Figura (nel famoso testo
* latino : perspicuum est omnes imperfectos syllogismos perfici per
primam figuram) „ . La maravigliosa analisi di Aristotele intorno
al Sillogismo non si arresta a ciò, ma si estende alla considerazione e
determinazione di altre forme del medesimo, quali sono il Sillogismo per
Analogia, il Sillogismo per Riduzione all'impossibile, quello per Induzione,
per Ipotesi, per Verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo entrare anche
nella considerazione di queste forme speciali sillogistiche, e passiamo a
consi- derare la seconda delle tre predette cose. Questa
seconda è quella concernente la diretta relazione delle Scienze matema-
tiche colla prima Figura, o, che vale lo stesso, col Sillogismo perfetto : il
qual punto è da Aristotele trattato nel Primo degli Analitici
Posteriori. Prima di riferire da questi ciocche concerne le
Matematiche, rilevo che Aristo- tele anche per queste, come ha fatto per
le altre discipline, si vale di esempi per chiarire e determinare la
cosa. Se non che gli esempi che egli arreca per esse sono sopratutto di
natura matematica. Infatti (nel paragrafo 5 ibid.) allega i seguenti
esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K Triangulo,
dio'egli nella famosa traduzione latina, inest linea et lineae punctum; ed
anche: Triangulo, * qua est triangumm, insunt duo recti, quia per
se triangulum est aequale duobus " recti s, etc. ». Ed
è, inoltre, oltremodo importante per la determinazione della natura delle
Scienze matematiche, che per lui (ibid., paragr. 13) Me Scienze matematiche
versano " intorno alle forme, perchè le cose matematiche non sono in
alcun soggetto „ (" etenim " scientiae mathematicae circa
formas versantur, quia res mathematicae non sunt in * ullo subiecto
„) (1). Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta
relazione delle Scienze mate- matiche col Sillogismo e colle Figure sillogistiche,
dice (ibid., paragr. 14): « Delle 8 Figure la prima è attissima a
produrre la scnenza; imperocché le Scienze matematiche \ "
effettuano le dimostrazioni .mediante tal Figura, come V aritmetic a, la
geometria^ e | « l'ottica „ (nel testo latino: " Ex figuris autem
prima est ad scientiam gignendam * aptissima ; nam mathematicae
scientiae per hanc figuram demonstrationes afferunt * ut
arithmetica et geometria et optice Passo alla terza ed ultima delle
tre cose predette, a quella, cioè, concernente la formazione della
conoscenza. La qual formazione è dal grande filosofo (al paragr. 19,
ultimo degli Analitici Posteriori) espressa come segue: " Dal senso si
genera la " memoria Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta
riproduzione della stessa * cosa, si genera l'esperienza; giacche
molte memorie costituiscono una sola esperienza. * Se non che,
dalla esperienza si genera il principio dell'arte e della scienza;
' dell'arte, se spetta alle cose della generazione (2); della scienza, se
spetta a ciocche «è,; (nella traduzione latina: " ex sensu igitur
fit memoria ex memoria vero * saepe eiusdem rei facta fit
experientia; multae enim memoriae numero sunt una * experientia; at
vero experientia fit principium artis et scientiae, artis, si per-
* tineat ad generationem, scientiae, si pertineat ad id quod est „)
(3). La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda
designazione poco appresso è denominato <5ófa, mentre la
considerazione della scienza è appellata Àoyiafióg (4). Ed ora è
tempo che veniamo a determinare quale è in Aristotele il significato
dell'adoperamento dei simboli alfabetici come espressione del Sillogismo e
delle Figure sillogistiche. Ebbene, tal significato, brevemente indicato
nella sua genericità, è che le proposizioni del Sillogismo (le premesse e
la illazione) in tutte le Figure sillogi- stiche di questo vengono intese
e adoperate in Forma universale, ossia in forma estensibile ed
applicabile a tutti gli elementi della Realtà. Ora, questi elementi
sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di entrambi, ossia
il modale (il modo, la misura). Che questo triplice elemento sia
costitutivo (1) E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè,
singola e determinata ,_cosa_del_la realtà. (2) La generazione
concerne il sorgere e perirò delle cose. (3) " Id qnod est „
nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche nell'Hegelianismo, e
propriamente nella Logica hegeliana, è stato designato come das Sein an
und fiir sich. (4) Anche questa denominazione di Àoyurpós è degna
della più grande considerazione, perche Aristotele ha già con essa
additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico per
eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto
opinativo. della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola
aristotelica de' giudizii, cioè de' giudizii quantitativi, qualitativi e
modali, come più chiaramente si sono appellati nelle posteriori Logiche
aristoteliche delle Scuole. Qui basti l'avere accennato di ciò; le
importanti applicazioni che ne derivano rispetto alla Scienza matematica
e alla voluta corrispondente Logica matematica le faremo, quando
giungeremo alla esposizione e giudicazione di quest'ultima; e ritor-
niamo per ora all'argomento delle Figure sillogistiche, per prendere in
considerazione, da una parte, i Modi, dall'altra, il Numero di
esse. Quanto ai Modi, è di bel nuovo il caso di dire che essi sono
comunemente al- legati e discussi in tutte le Logiche aristoteliche delle
Scuole. Fra i tanti uomini autorevoli che potrei citare a tal riguardo,
rimando il lettore alla citata Logica e Storia della dottrina logica di
Friedrich Ueberweg, che ne tratta ampiamente a pp. 296-344. Ma, per un
breve ricordo di questo punto della Sillogistica, mi varrò invece del
nostro insigne Galluppi, il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica,
Milano, Voi. I, pp. 358-385, espone tal dottrina con la solita sua lucidezza e
preci- sione. Della sua esposizione e discussione di questa materia, io
riferirò brevemente 1 essenziale. " Il Modo del
sillogismo (dice egli, p. 36) consiste nella disposizione delle tre
* proposizioni secondo le loro quattro differenze A, E, I, 0 „.
Ora, * secondo la dottrina delle combinazioni, quattro termini quali sono
A, E, " I, 0, venendo presi tre a tre, non possono diversamente
disporsi in più di 64 ma- * niere ; ma di queste 64 maniere, 54
sono escluse dalle regole generali sillogistiche „ che sono state innanzi
allegate: " restano perciò soli dieci Modi concludenti „. Ma
ciò non vuol dire " che solo dieci sieno le specie de' Sillogismi, perchè
un " solo di questi Modi può formare diverse specie „, secondo la
varia disposizione de' tre termini innanzi detta. E qui il
nostro Galluppi dispone addirittura i tre termini secondo le possibili
combinazioni, e ne risulta una tavola di 64 Modi, emergenti dalle quattro
Figure sillogistiche, delle quali egli indica anche brevemente le diverse
regole. A questo breve cenno aggiungo però volentieri due cose:
l'una, alcuni versi memoriali dei Modi delle quattro Figure: l'altra, un
esempio di Sillogismi secondo i predetti Modi. I versi
memoriali, fra i tanti, li allega Federico Ueberweg, loc. cit., p. 343
seg., come segue: Barbara, Celarent primae, Darii
Ferioque. Cesare, Camestres, Pestino, Baroco secundae. Tertia
grande sonans recitat Darapt, Felapton, Disamis, Datisi, Bocardo,
Ferison. Quartae Sunt Bamalip, Caleraes, Dimatis, Fesapo, Fresison.
Dinanzi a queste parole stranissime e non additanti per se stesse alcun
senso, il buon Galluppi fa la seguente sensata osservazione: "
Queste formole (dic'egli, " ibid., p. 368), di cui la prima
cominciava infelicemente con barbara, sembreranno in " effetto oggi
molto barbare. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che onore
" in mille anni; esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio;
coloro che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di
meditarle... Il filo- * sofo che riflette con attenzione sulle
regole dell'antica Logica è sorpreso nel vedere " sino dove gli
autori avevano portato l'analisi del ragionamento. Colla più severa
* imparzialità alcuno non può impedirsi di convenire che ciascuna di
queste regole * era di una rigorosa esattezza, e che il loro insieme
era sì completo che una sola ■ delle forme possibili del ragionamento non
era loro sfuggita. Aristotele, senza dubbio u non aveva sovente il
soccorso dell'esperienza : era questa la disgrazia del secolo, nel
* quale egli nacque; ma egli è stato forse il pensatore più profondo, il
genio più * eminentemente didattico che si sia mostrato
sull'orizzonte della filosofia. Io dubito 8 che siensi innalzate dopo
teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha lasciato il *
modello „. Quanto alla profondità e genialità di Aristotele, il
Galluppi ha perfettamente ragione, e queste due doti spiccano di tale
luce e verità proprio nella sillogistica aristotelica e ne' Modi della
medesima, che i posteri non hanno avuto ad aggiungervi nulla, o nulla
d'importante. Solo che, contrariamente al Galluppi, che accoglie il
pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro Figure, il grande Stagirita non
ne ammette che tre con tre soli corrispondenti Modi (1). Ma del Numero
delle Figure e de' Modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare e
concludere secondo le quattro Figure, è pel Galluppi il seguente:
(1) La tavola aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz,
Arisi. Organon, voi. I, pag. 385 (rilevando le espressioni tecniche di
nata navtòg, **** m óevòg ecc., sia colle corrispondenti De omm et de
nullo ecc., sia colle note quattro iniziali A, E, I, 0), è la seguente:
I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B, tò B %mà navTÒg tov P,
tò A narà navtòg tov P. IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg zov
B, tò A xatà navzòg zov P, rò B xazà fiydevòg zov P.
y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B, zò A xazà Tivòg tov P,
zò B xatà Tivòg tov P ov. III. tò A xazà navzòg tov P,
tò B xazà navzòg zov V, zò A xazà zivòg zov B, y'
. zò A xazà zivòg zov P, zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà
Tivòg zov B. e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg
zov P, tò A nata zivòg tov B oli §. tò A nata
^ijóevòg zov B, tò B xarà navTÒg tov P, tò A xazà /^tjdevòg
tov P. /5'. rò A xazà navzòg tov B, tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov
P, tò B naia fA,t]devòg zov P. 5'. tò A xazà navzòg tov
B, zò A xazà zivòg zov P off, tò B xazà zivòg zov P
oi!. zò A xazà [A,t]Sevòg tov P, tò B xazà navzòg tov
P, tò A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata navTÒg
zov P, zò B xazà zivòg tov P, tò A xazà Tivòg tov B.
zò A xarà fifiòsvòg zov T, tò B xazà zivòg tov P, tò A
xatà tivòg tov B oil.Figura (avente il medio come sogg. del magg. e
predio, del minore) Ogni sostanza pensante è semplice,
L'anima umana è sostanza pensante, L'anima umana è dunque semplice.
II Figura (avente il medio come predicato de' due
estremi) Niun corpo è una sostanza pensante, L'anima umana è una
sostanza pensante, L'anima umana dunque non è corpo. Ili
Figura (avente il medio come soggetto de' due estremi) Ogni
sostanza pensante è semplice, Ogni sostanza pensante è
indistruttibile, Dunque qualche sostanza indistruttibile è
semplice. IV Figura (avente il medio come predio, del
maggiore e sogg. del minore) Qualche essere semplice è sostanza
pensante, Ogni sostanza pensante è attiva, Dunque
alcune sostanze attive sono esseri semplici. Il numero delle Figure
e de' Modi. — Il lettore ha visto a pie' di pagina le tre Figure e i tre
corrispondenti Modi aristotelici allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco
volentieri una osservazione concernente la seconda e la terza Figura, nelle
quali ei dice (loc. cit.): " ultimum modum secundae et quintum
tertiae Figurae non demonstrari nisi 8 deductione facta ad absurdum
„. Galluppi, come si è visto, ha opinato doversi ammetter come
valida anche la quarta figura e i corrispondenti Modi. Ma, francamente
detto, il Sillogismo, ch'egli ne arreca ad esempio, da una parte, cammina
stentatamente, dall'altra, è di difficile comprensione. In generale,
potrebbe dirsi che la mente umana nel suo naturale proce- dimento logico
non ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria la
natura nè può considerarsi come il migliore, nè deve ammettersi come buon
proce- dimento logico. À conferma di tale osservazione rilevo
che in generale i grandi filosofi si son tenuti alla aristotelica
triplità di Figure e di Modi. Notoriamente, è stato il famoso
medico Claudio Galeno di Pergamo (1) quello che ha così " legato il
suo nome alla Dottrina del Sillogismo (2), che apparisce in " quasi
tutti i compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè,
secondo * l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre
Figure aristoteliche del Sillo- " gismo categorico coll'aggiunzione
di una quarta, nella quale il concetto (o termine) " medio è
predicato della maggiore e soggetto della minore „. Soggiunge che "
la * notizia di tale innovazione „ " non si trova in tutta la
Letteratura greco-romana „, (1) Zellek, Grundriss d. Gesch.
d. Griechischen Phiìosophie, nella citata 10" ediz. del 1911 del
Loktzing, pag. 298, come anni di nascita e di morte 131-201 d. C.
(2) Così Prantl, Gesch. der Logìlc, età, I Bd., pag. 570 s.
ECC. 117 e che proviene da fonte
arabica, e propriamente da Averroe. Il quale Averroe, per Giunta ne fa
menzione proprio nella confutazione che fa della quarta Figura.
Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto ai Modi, quanto
rispetto alle Figure sono le seguenti. Quanto ai Modi,
Aristotele, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e cor-
rispondentemente alle possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le
indi- cate lettere A E I 0, ha trovato che i Modi valevoli, perchè non
contrarli alle otto regole sillogistiche, sono 4 per la prima Figura, 4
per la seconda e 6 per la terza, in tutto dunque quattordici.
Galluppi, che (con Galeno) ha ammesso la quarta Figura, ha anch'egli
esaminato le combinazioni e Modi che son possibili e valevoli in questa;
ed ha trovato che, accanto ai molti Modi contrarli alle otto regole
sillogistiche, ve ne sono però 5 validi; sicché il nostro filosofo
napoletano, invece di 14, ammette 19 Modi validi. Quanto poi alle
Figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè, quello della
riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a
che sola li dà perfetti. , Ora, tal riduzione, secondo
Aristotele, avviene per mezzo di conversione: Azi yaq ytyvstai òià %fjs
dvvunqof^g ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr., I, cap. 7. Inoltre, la
conversione può avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero per
riduzione all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov). E da ultimo,
secondo lui, " tutti i sillogismi, quando sono rettamente
convertiti, « si riducono a sillogismi universali della prima figura „
{tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg àva%Sf\aov%ai eig rovs & %<$ nqcbto?
oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di quest'ultimo punto, a maggior
intelligenza e a complemento della cosa, allego la solita traduzione latina
non soltanto de' passi corrispondenti a quelli da me alle- gati in greco,
ma anche della rimanente parte, che è dimostrativa e illustrativa dei
medesimi La traduzione suona così: « Semper enim fit syllogismus per
conversionem, « praeterea manifestimi est pronuntiatum indefinitum prò
attributivo particulari « acceptum efficere eundem syllogismum in omnibus
figurili, item perspicuum est « omnes imperfectos syllogismos perfici per
primam figuram. aut enim demonstratione " aut per impossibile
perficiuntur omnes: utroque autem modo fit prima figura, ac « demonstratione
quidem si perficiantur, fit prima figura, quia sic omnes perficie- «
bantur per conversionem: conversio autem efficiebat primam figuram. si vero
per « impossibile confirmentur, adhuc fit prima figura, quia posito quod
falsum est, syl- " logismus conficitur in prima figura, ut in
postrema figura si tò a ac tò p omni y, « probatur tò a inesse alicui p.
nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò a « inerit nulli y. sed
antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam in alns. licet •
etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales primae fìgurae.
nam » qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos perficiuntur, non
tamen omnes « eodem modo, sed universales converso pronuntiato privativo,
particularmm autem « uterque per deductionem ad impossibile, particulares
autem primae fìgurae perfì- » ciuntur quidem per se ipsos, sed licet
etiam secunda figura eos confirmare ducendo « ad impossibile, ut si tò a
inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y. nam » si nulli
insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc enim scimus
per « secundam figuram. similiter enim in privativo syllogismo erit
demonstratm. nam si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest, tò a alicui y
non inerit. etenim si omni ■ insit ac nulli § insit, zò § nulli y inerit:
hoc enim erat media figura, itaque cum " omnes sillogismi mediae
figurae reducantur ad syllogismos universales primae 1 figurae,
particulares autem primae ad syllogismos secundae, perspicuum est etiam
" syllogismos particulares primae figurae reduci ad syllogismos
universales primae " figurae. qui vero fiunt in tertia figura,
terminis quidem universaliter acceptis statim " per eos syllogismos
perficiuntur, terminis autem in parte sumptis perficiuntur per "
syllogismos particulares primae figurae. hi vero ad illos reducti sunt:
quapropter " ad eosdem reducentur etiam syllogismi particulares
tertiae figurae. perspicuum " igitur est omnes reduci ad syllogismos
universales primae figurae „. E ora, ritenendo di aver detto a sufficienza
della Sillogistica aristotelica, passo a dire del quinto scritto
dell'Organo, cioè di quello de' Topici. I Topici {Tonino). —
Di questo scritto del grande Stagirita Boezio (loc. cit., p. 7) dà la
seguente notevole informazione e giudicazione: " Topica: hoc est, loci,
unde " ducuntur argumenta. Opus est octo voluminibus distinctum,
varium sane, hoc est, " multae eruditionis et observationis rerum
diversarum. Sed ut illa omnia primus " ipse pariebat, non potuit tam
multa simul edere, simul expolire : itaque relieta est " velut
ingens quaedam materia et dives, ad extruendum pulcherrimum aedificium
Questo giudizio di Boezio, primamente, è vero, come il lettore stesso se
ne convincerà dal cenno che noi faremo de' Topici; secondamente, ha
grande importanza anche per l'influenza da Boezio esercitata
nell'insegnamento logico delle Scuole cri- stiane medioevali (1). Accanto
al giudizio di Boezio debbo riferirne un altro vera- mente acuto e
profondo di Trantl {Gesch. d. Logik im Abendlande, t** Bd., 1855,
Leipzig, pag. 341) sulla grandezza speculativa della mente di Aristotele.
Prantl dice che ■ la superiorità {Ueberlegenheit) della mente di lui era
capace di esaminare secondo " il concetto {begrifflich) e di
costruire teoricamente secondo concetti adeguati anche campi (Gebiete) ed
aspirazioni che sono al di sotto della speculazione propriamente "
detta », come sono il campo e la materia de' Topici. Rispetto a'
Topici riferisco volentieri anche una circostanza rilevata dal Zeller
(2), che cioè,il 5° libro de' Topici rimastoci non provenga da
Aristotele, come dimostra " Pplug, de Ar. Topicorum libro V (1908)
„. Ma, ciò nonostante, noi ne accenneremo egualmente.
Cominciando dal Libro I, Aristotele subito nel primo paragrafo indica lo
scopo de' Topici in genere, il quale scopo è quello di trovare il metodo
di argomentare di ogni problema proposto dajrobabili je£ èvóófrv), e
disputarne in guisa da non dir nulla di ripugnante. Nella traduzione latina
il predetto scopo è indicato così: * Propositum huius tractationis est
invenire methodum per quam possimus argumentari (1) Tale
influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra gli altri,
Friedrich Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d. Philosoph., 8°
Aufl., das Alterthum, Beri., 1894, p. 213. (2) Nel Grundriss d.
Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz. 10% 1911 del
Loetzino, pag. 174. « de omni proposito problemate ex
probabilibus, et ipsi disputationem sustinentes " nihil
dicamus repugnans „ (1). _ E soggiunge doversi innanzi tutto dire
" che cosa sia il Sillogismo „, estenden- dosi intorno a questo ed
indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del Sillogismo,
della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della
tratta- zione de Topici è quello di trovare il metodo di argomentare,
foss'anche da' probabili, l'argomentare è un sillogizzare, e quindi
bisogna conoscere come si sillogizza, ecc. Ed in generale il lettore
vedrà che in questi Topici si tratta di una grande quantità di cose di
cui si è già trattato nelle Categorie, nell'Ermeneia e negli Analitici
tanto Primi quanto Secondi. Intanto Aristotele, sempre
preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba inten- dersi per probabile.
E lo determina dicendo (nella traduzione latina): " Probabile «
autem sunt ea quae videntur omnibus vel plerisque vel sapientibus, atque his
vel « omnibus vel plerisque vel maxime notis et claris „. Nel
secondo paragrafo investiga e determina « a quante e quali cose sia ntite
« questa trattazione , de' Topici. E statuisce che ella sia " utilis ad
tna, ad exerci- « tationem, ad congressi, ad philosophicas scientias.
quod igitur ad exemtationem « sit utilis, ex his perspicuum est, quoniam
hanc methodum habentes facile de omni « re proposita poterimus
argumentari, ad congressi autem, quia multorum opmiombus » enumerata, non
ex alienis sed ex propriis singulorum sententns poterimus cum « eis a-ere
refellentes quod non recte dicere nobis videtur. ad philosophicas autem «
scientias, 'quia cum poterimus in utramque partem dubitare, facile in smgulis
per- " spiciemus veruni et falsum „. Il predetto
metodo, soggiunge egli nel terzo paragrafo, sarà perfettamente pos-
seduto, quando lo si adoprerà nella retorica e nella medicina, come fanno
l'oratore e il medico. Ho rilevata volentieri questa
circostanza della retorica e dell oratore, perche tutti sanno come questa
materia trattata ne' Topici è passata realmente, se non m tutto certo in
buona parte nella Retorica: Retorica, che specialmente noi vecchi abbiamo
studiata, con qualche profitto sì, ma anche con non poca pedanteria d'in-
\ segnanti e d'insegnamento. Sono stato piuttosto diffuso
nella indicazione di queste generalità del 1° Libro de' Topici per dare
una idea della trattazione e del modo di trattazione de' mede- simi. Ma
ora procederò più speditamente e più brevemente, fermandomi però alquanto
di più ne' punti di maggiore importanza. Nel paragrafo 4 continua
ad occuparsi di sillogismi e di proposizioni, ma con riguardo ai
principii comuni ad entrambi, come sono il genere, il proprio,
l'accidente, Indifferenza, la definizione, ecc.; e nei seguenti paragr. 5
e 6 determina e illustra siffatti principii. Nel paragr. 7
pone il quesito: 11 Quot modis idem dicatur , ; e lo risolve dicendo:
(1) Quanto alla materia de' problemi proposti, anch'essa, secondo
l'uso delle Scuole, fu espressa nel seguente verso memoriale:
Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur? quomodo? quando? Videri autem
possit idem, ut typo expìicem, tripertito distributum esse, aut
enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus appellare, etc.
Più avanti al paragr. 9 si propone di definire i generi delle Categorie,
e di indi- carne il numero, che è di dieci; e il relativo luogo è stato
già riferito. Nei paragr. susseguenti determina la natura della
proposizione dialettica, del sillogismo dialettico, della tesi
(determinata al paragr. 11 come " sententia alieuius * nobihs
philosophi , ut dicebat Antisthenes ,). Nel seguente paragr. 12 si
propone di " esplicare quot sint rationum dialecti- « «tram species
„; e in seguito si occupa ancora de 3 generi delle proposizioni, per
quindi occuparsi nel paragr. 17 della somiglianza (e propriamente della «
similitudo consideranda in iis quae sunt in diversis generica „). E con
ciò si chiude la consi- derazione del 1° Libro. Il lettore
che consideri bene la trattazione aristotelica deve convenire nell'acu-
tezza e giustezza del giudizio di Boezio intorno ai Topici. Libro
II. Nel primo paragrafo di questo, Aristotele torna ad occuparsi de' pro-
blemi, in quanto « alia (scilic. problemata) sunt universali», alia
particularia „ ; e si fa a considerarli ne' diversi rispetti della
generalità e della particolarità. Nei paragrafi immediatamente
susseguenti torna a considerare i varii modi secondo cui alcunché si
dica, sia quantitativamente sia qualitativamente. Ma nel paragr. 7
passa a considerare un punto importantissimo, e propriamente quello
concernente: La Opposizione e il Principio di contraddizione: il
qual punto è da lui considerato ne più minuti casi ed aspetti, con
relative distinzioni, suddistinzioni ecc.; e noi ne riferiremo con
qualche ampiezza. ' Q uoniam au * em contraria (dic'egli, nella
traduz. latina) sex modis inter se * coniunguntur, contrarietatem
autem efficiunt quattuor modis coniuncta, oportet " accipere
contraria prout expedit evertenti et adstruenti. sex igitur modis ea
coniungi " manifestum est. aut enim utrumque utrique contrariorum
iungitur, atque hoc bi- " fariam, ut de amicis bene mereri et de
inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis bene, autem ambo
de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis ' bene mereri et de amicis
male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis male. " aut autem
de ambobus, et hoc quoque bifariam, ut de amicis bene et de inimicis
• bene, vel de amicis male et de inimicis male, primae igitur duae
coniunctiones " quas dixi, non faciunt contrarietatem : de amicis
enim bene mereri et de inimicis " male non sunt contraria, cum ambo
sint optabilia et eorundem morum effectus „ (badi il lettore alla
circostanza e corrispondente espressione del morum effectus, che net
testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov ij9ov S ). « neque item
contraria sunt de amicis male et de inimicis bene mereri. nani et haec
sunt ambo fugienda " et eorundem morum effectus „. E
Aristotele nelle dette distinzioni e suddistinzioni non si arresta neppur
qui, ma procede ad altre, che noi omettiamo di riferire. N Se
non che, continuando a parlare de' contrari!, passa a considerarli da
quel rispetto, che è stato appellato i\ principio di contraddizione,
sostenendo: " fieri nequit " ut contraria simul eidem subiecto
insint „ (cioè, nel corrispondente testo greco: àòvvaiov yàq tàvavxia
djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E trattandosi di un principio tanto
importante, che, per giunta ha avuto poste- riormente una rigida e non
sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche nella forma più
compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò
djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó
(nella traduzione latina: " idem enim simul inesse et non inesse
eidem et secundum idem impossibile " est „). E soggiunge poco
appresso che questo è il più certo di tutti i principii: avxr\ ài]
naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (traduz. latina : " hoc autem est
omnium prin- " cipiorum certissimum „). Noti però il
lettore che, per non fraintendere il principio aristotelico di contrad-
dizione, si deve aver presente ciocche Aristotele ha detto teste, che, cioè gli
opposti non sono contraddittorii, epperò non escludentisi (poniamo, come
amici e nemici) quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia
effetto della natura di essi. L'uomo, per chiarire ancor meglio
l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico ed anche l'essere
nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche cattivo.
Non sarà l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo; ma l'uomo è però
pur sempre il medesimo soggetto, che .ora è amico ora nemico, ora buono ora
cat- tivo: ed inoltre, è amico e buono ne' tali e tali uomini, ed è
nemico e cattivo ne' tali e tali altri uomini. E basti di
questo importantissimo punto. Ne' paragrafi immediatamente
susseguenti si continua a parlare dell'opposizione, si accenna anche alle
simiglianze, e non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del
Libro III. Aristotele apre questo Libro col quesito di ciocche sia
migliore e più desiderabile, e, per giunta, di esaminare e a tal riguardo
" sermonem instituere * (paragr. 1) non de iis quae longe
inter se distant et magnam differentiam habent..., " sed de iis quae
vicina sunt „. E risolve la quistione dicendo che " quod est
diuturnius * et constantius, magis est eligendum quam quod est
minus tale „. E nella elezione è certo anche di peso " quod
eligat vir prudens, aut lex recta..., aut ii qui in uno quoque genere
scientes sunt „. Ne' due seguenti paragrafi continua in grosso
l'esame e soluzione dell'istesso quesito, per poi venire, ne' paragrafi 4
e 5, a prendere in considerazione i luoghi utili a conoscere ciocche
debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E statuisce (paragr. 5): *
Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime universales. sic enim
sumpti ad plura problemata utiles erunt „. E questa è la sostanza
della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo Libro. Passo
al Libro IV. E qui posso essere ancora più breve di quel che sono
stato nell'an- tecedente Libro. Giacche in questo IV si torna a
discorrere " de iis quae ad genus " et proprium pertinent „,
colla considerazione di differenze, specie, distinzioni e suddistinzioni
di casi, di esempii, di applicazioni (anche al principio di
contraddizione), che servono ad illustrare e confermare il proposto
quesito. E si giunge così al Libro V (che, come è detto innanzi,
non proverrebbe da Aristotele). Ma in questo stesso Libro V non vi
sono altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli
antecedentemente trattati. Infatti questo Libro comincia così:
" Utrum autem proprium sit necne id quod * est propositum, ex
his locis quos deinceps exponemus considerandum est „. E
prosegue dicendo: * Proponitur autem proprium vel per se et semper, vel
per com- " parationem cum altero et interdum „. E passa ad
investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per
comparazione, ecc. E ne' seguenti paragrafi 2, 3 e 4 continua ancor
sempre il discorso intorno al proprio ne' suoi più diversi aspetti e
rapporti : ne' quali aspetti e rapporti non manca la considerazione de'
principii contrarii (fatta nel paragrafo 6), e de' principii con- trarli
relativamente al proprio, per scorgere " an contrarium sit contrarii
proprium „ etc. In grosso è lo stesso nel paragrafo 7, in cui
" ex casibus refellitur, si ille casus " non est illius casus
.proprium „ etc. E finalmente, nel nono ed ultimo paragrafo, "
refellitur, si quis potestate proprium " tradidit, etiam ad id quod
non est rettulit illud potestate proprium, cum potestas " rei quae
non est, inesse nequeat „ etc. Rispetto alla predetta opinione di
Pflug accennata dal Zeller, dico rispetto a tale opinione, non contro ad
essa, mi permetto di fare una personale osservazione. Ed è che, leggendo
e considerando attentamente questo V Libro, la materia, il modo di
pensarla, ordinarla, distinguerla e suddistinguerla ne' suoi varii rispetti e
rapporti, si mostra, da una parte, interamente simile a quella degli
antecedenti Libri topici, dall'altra, interamente conforme alla mente di
Aristotele. Ed ora vengo al Libeo VI. Questo si inizia
coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con esse ; ma
queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con rife-
rimento al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un
argomento che ha della importanza, e che si addentra nella natura delle
definizioni e nelle diverse parti costitutive di esse, allegherò un lungo
luogo, in cui ciò è effettuato. Della trattazione dunque * quae ad
definitiones pertinet quinque sunt partes. " vel enim definitio
reprehenditur, quia omnino non vere dicitur, de quo nomen, 14 etiam
oratio, quandoquidem oportet hominis definitionem de omni homine vere
" dicitur. vel quia cum sit aliquod genus, non collocavit rem definitam in
genere " aut non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is qui
definit, cum in genere " definitum collocaverit, differentias
adiungere, si quidem eorum quae in definitione " ponuntur, maxime
genus videtur rei definitae essentiam declarare ; vel quia oratio "
non est propria (nam oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et
supra u fuit); vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non
definivit, nec dixit " quidditatern rei definitae. reliquum est praeterea
definitionis vitium, si definivit " quidem, non tamen recte
definivit. an igitur de quo nomen dicitur, non etiam " oratio vere
dicatur, ex locis ad accidens pertiuentibus considerandum est. nam ibi 8
quoque omnis consideratio in eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an
non " verum. cum enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus
esse verum. cum " autem ostendimus non inesse, dicimus non esse
verum. an autem non in proprio " genere posuerit, vel non propria
sit oratio tradita, ex dictis locis, qui ad genus " et ad proprium
pertinent considerandum est. reliquum est ut dicamus quomodo "
disquiri debeat an non sit definitum, vel an non recte sit definitum, etc.
„. Nel susseguente paragr. 2 vien la considerazione dell' omonimo,
del simmetrico, con le corrispondenti definizioni. Qui stesso Aristotele
si fa a considerar la definizione in rapporto al sillogismo, e se in tal
rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente ecc. Ne' paragrafi 3 e
4 continua sempre l'argomento delle definizioni. Nel para- grafo 5 si
considera la definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre
ripetuto e si ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner
ed altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome « id quod habet tres
dimensiones „. Nel paragr. 6 Aristotele fissa l'attenzione alle
differenze, in quanto in esse ' considerandum est an generis differentias
dixerit „. Se tali differenze non sono state indicate e precisate, non vi
sarebbe stata vera definizione. Nei susseguenti paragrafi continua
sempre lo stesso argomento delle definizioni, con esemplificazioni
intorno all'abito (paragr. 9), alla simigliala (paragr. 10), e si termina
con la considerazione della composizione delle cose, della quale, per avere
una giusta definizione, bisogna indicare tutti gli elementi che la
costituiscono. E così si passa al Libro VII. — Gli argomenti
di questo Libro sono anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati
negli antecedenti Libri con speciale riguardo all' Oratoria, la quale
naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc.,
col consueto riguardo ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi
tali o tali altri. Ecco, infatti, come al principio del Libro è
enunciata la materia da considerare in essa : " Utrum autem id de
quo agitur sit idem an diversum, secundum eum modum * qui inter
modos supra de eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum « est.
dicebatur autem maxime proprie idem esse quod est numero unum,
considerare « autem oportet atque argumenta sumere ex casibus et
coniugatis et oppositis. nam « si iustitia est idem quod fortitudo, etiam
iustus est idem quod fortis, et iuste idem " quod fortiter. similis
ratio est oppositorum etc. J. Qui stesso vien la volta di pren- dere in
considerazione anche il sorgere e perire " ortus et interitus „ delle
cose. Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono :
" nam quae " alteri accidunt, etiam alteri accidere debent „. E
ciò vien messo ivi stesso in rela- zione anche colle Categorie, in quanto
" videre oportet an non in uno categoriae ' genere ambo sint, sed
alterum qualitatem, alterum quantitatem vel ad aliquid * relationem
declaret „. Al paragrafo 3 vien la considerazione della definizione
e del sillogismo, pur con riferimento ai generi, alle specie, alle
differenze, non che ai contrarii, alle diffe- renze contrarie, ecc.
Al paragrafo 4 si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma
con riferi- mento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce : "
Maxime autem locorum omnium » apti sunt ii quos nunc dixi, necnon ex
casibus et coniugatis. Ideoque maxime me- « moria tenere et in promptu
habere oportet hos locos (utilissimi enim sunt ad « plurima problemata),
atque etiam ex ceteris eos qui sunt maxime communes, quo- " niam
inter reliquos sunt efficacissimi „. Nel seguente ed ultimo
paragrafo 5 ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti a
definizione, sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il
Libro. Libro Vili. — L'argomento principale di questo Libro de'
Topici è la disposi- zione della materia del discorso, con riguardo
speciale ad interrogazioni, risposte, e ritrovamento (inventio) di quegli
argomenti che spettano ed importano al dialettico, al filosofo. E quale
argomento conduce naturalmente Aristotele a connettervi, come
d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc. Ma sentiamo Aristotele
stesso. Egli indica (nella traduzione latina) lo scopo e la materia della
trattazione con queste parole : " Post haec de dispositene, et
quomodo interrogare oportet, dicendum " est. primum autem debet is
qui interrogaturus est, locum invenire ex quo argu- s mentetur, deinde
interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo "
haec dicere contra alterum. ac loci quidem inventio aeque ad philosophum et
ad " dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt
dispositio et interrogatio " dialectici est propria, quoniam hoc
totum adversus alterum est : philosopho autem " et ei qui ipse secum
veritatem inquirit, curae non est, si vera sint et nota ea ex "
quibus efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet, propterea
quod " propinqua sint quaestioni ab initio propositae ac provideat
quod eventurum sit. " quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint
maxime nota et problemati pro- * pinqua, quandoquidem ex his Constant
syllogismi qui scientiam pariunt ,, Sillogismo senza proposizioni
intanto non si dà ; perciò Aristotele rivolge la sua attenzione a queste.
Di queste ve n'ha di necessarie ed anche di non necessarie. "
Necessariae autem „, dic'egli, * dicuntur eae ex quibus syllogismus conficitur.
quae vero praeter has sumuntur, quattuor sunt : vel enim sumuntur
inductionis causa, " ut detur quod est universale, vel ut
amplificete oratio, vel ut celetur conclusio, " vel ut magis
perspicua sit oratio etc. „. Nell'anzidetto si contiene il pensiere
aristotelico di questo Libro, e s'intende che ciocche segue non può
essere che l'ulteriore e più ampia esplicazione di ciò con applicazione a
singoli casi e quesiti ed a singole corrispondenti soluzioni. A
conferma di ciò, nel paragrafo 2 si pone che nel dissertare " utendum
syllo- " gismo apud dialecticos potius quam apud multos ; contra
inductione apud multos " potius „. Si fanno di ciò, ad illustrazione,
applicazioni a casi vari, poniamo al caso della salute, valetudo, della
malattia, morbum, ecc. Quanto alla natura della proposi- zione dialettica
e al corrispondente elemento dialettico, si dice poco appresso : "
Pro- " positio enim dialectica est, ad quam respondere licet etiam
aut non „. Al paragrafo 3 si prendono in considerazione le
hypoiheses, le captiosae argu- mentationes con riferimento ai principia
ultima, da cui tutte le dimostrazioni e tutti i principi subordinati
traggono origine e ragione probativa. " Nam cetera (scilic. "
principia) per haec probantur, ipsa vero per alia probari non possunt „.
Nel paragrafo 4, riferendosi all'interrogare e rispondere, dice: "
De responsione " autem primun determinandum est, quod eius sit
officium qui recte respondet, quemad- " modum eius qui recte
interrogai est autem interroganti^ ita disputationem deducere, " ut
respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter thesim
sunt necessaria ; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire quod
absurdum vel praeter opinionem est, sed propter thesim „.
L'istesso argomento dell'interrogare e rispondere viene svolto nei
paragrafi 5, 6 e seguenti con ulteriori considerazioni di altri casi e
rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo 11, a proposito della
reprehensio argumentationis, ricorre l'accenno ad argomentazioni false e
vere nel senso ed intendimento di ciocche si è discorso ed esposto negli
Analitici ; e il corrispondente luogo, relativo a molti modi di
argomentazione, è degno di essere riferito e suona così : " Qui vero „,
dice Aristotele, " ex falsis verum concludunt, non possunt iure
reprehendi, quoniam falsum " quidem semper necesse est ex falsis
concludi, sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere : hoc autera
est perspiciram ex Analyticis. quando autem argumentatio quae dieta est,
alicuius rei est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil * cum
conclusione probanda commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus.
* sin autem videatur, sophisma erit, non demonstratio. est autem
philosophema syllo- * gismus demonstrativus, epicheirema vero
syllogismus dialecticus, sophisma syllo- * gismus contentiosus,
aporema syllogismus dialecticus contradictionis „. Per ragione del
tecnicismo di queste ultime espressioni della Logica aristotelica, allego
quest'ultima parte del luogo nel testo greco, il quale suona così : "Eati
òe (piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè
avlkoyiofiòg òiaXemmóg, oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe
ovZAoyiofiòg òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo 12 si
stabilisce come massima che 8 argumentatio est " perspicua uno modo,
eoque maxime vulgari, si ita concludat ut nihil amplius opor- " teat
interrogare „. E dopo altre consimili considerazioni si conclude il Libro
Vili con quest'altra massima di carattere generale : - oportet paratas
argumentationes " habere adversus eiusmodi problemata, in quibus cum
paucae argumentationes " suppetant, adversus plurima problemata
utiles erunt. hae vero sunt argumenta- " tiones universales, et quas
assumere ex rebus passim obviis difficile est „. Dopo siffatte, se
non diffuse, certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo scopo e
sul modo di trattazione de' Topici, passo a dire degli Elenchi Sofistici.
JUeqì t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. — Anche per questa parte, come ho fatto
per le altre, della Logica aristotelica comincio coll'allegare un
notevole giudizio di Boezio, il quale (loc. cit., p. 7) dice: * Elenchus
multa significai sed hoc loco prò redar- 14 gutione sumitur. Libri sunt
duo, ad cavendas sophisticas captiones, et ne in disse- " rendo
falsa prò veris per ignorationem colligamus, aut admittamus. Huic operi *
initium dedit Plato in Euthydemo : ostenduntur illic pauci quidem doli
disputatoris " captiosi : Aristoteles autem rem omnem, ut solet, a
primis initiis complexus, " digessit in ordinem et formulas „.
A questo giudizio di Boezio si unisce Prantl. il quale colla sua autorità
in tal materia, lo allarga ed integra con altre importanti osservazioni.
La qual cosa egli fa nella pagina 346 della sua citata opera Gesch. d.
Logik, età, voi. I, primamente, osservando come questi Elenchi Sofistici
si colleghino intimamente ai Libri topici in genere ed al Libro Vili in
ispecie ; e secondamente, esponendo in un breve e succoso cenno la
materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è stato in Italia un uomo,
che, riattaccandosi ai due nominati scrittori, ha fatta una traduzione
eccellente de' primi 14 capitoli degli Elenchi, facendovi pre- cedere un
elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di
sommarli ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche
de' rimanenti venti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare
il tutto con note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata
tutta la parte storica dell'argomento, fino al secolo XIII
inclusivamente. Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è
Buggero Bonghi, il quale non solo mostrò vastità di dottrina in questo
speciale argomento della Logica aristotelica, ma ha allargato ed
approfondito i suoi studi nella traduzione e illustrazione delle opere di
Platone e della Metafisica di Aristotele, traducendo ed illustrando quasi
tutte le opere del primo, e i primi sei Libri della Metafisica del
secondo. E, per giunta, fortificò i suoi studi filosofici, oltre che collo
studio della Storia della Filosofia fino agli ultimi tempi
inclusivamente, anche colle sue amplissime conoscenze di Storia di tutti
i tempi, e con un'ampia erudizione nelle altre discipline dello scibile.
La esposizione che io, per assolvere il mio scopo e compito, farò di
questi Elenchi, consisterà in tre diversi cenni : il primo, quello di
valermi della traduzione italiana stessa e delle corrispondenti
illustrazioni del Bonghi ; quale migliore e più sicura guida
nell'adempimento del mio scopo ? il secondo, nell'allegamento di un
brevissimo luogo del Boezio, riportato in nota dallo stesso Bonghi, luogo che
ser- virà alla indicazione delle espressioni latine de' sofismi trattati
da Aristotele ; il terzo, nell'allegamento di un luogo importantissimo
dell'Ueberweg, nel quale, in breve e succoso cenno, sono distinti e
illustrati tutti i sofismi con le relative denominazioni greche. E vengo
alla esposizione. Cominciando dal Bonghi, è bene ed utile di
rilevare alcune importanti afferma- zioni e considerazioni di lui in
riattaccamento a Boezio, a Prantl, allo stesso sorgere e costituirsi
della Sofistica, ed anche a Socrate, Platone ed Aristotele in quanto
riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e
costituirsi della Sofìstica, benché egli ricordi cose note, pur voglio
ricordar le parole di lui. Prodico, Gorgia e Protagora (dic'egli nella
prima parte dell'Introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, pag. 15) "
per i " primi accettarono i nomi di sofisti e fondarono la sofistica
„. E, come essa 8 è il " principio e il fondamento dell' 'eloquenza
e il più grande stimolo e sprone di coltura, " essi furono maestri
di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia ».
Senonchè, pur troppo la sofistica degenerò in eristica. Ora, Platone
(ibid., pag. 18) " si oppose a questa perversione di giudizii „ :
tanto più che " non si sarebbe potuto " mai far intendere il
valore di Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccu- "
pato le menti „. Si aggiunga a ciò, che quando " in Grecia si moltiplicò
il numero " di quei professori o maestri che si ripromettevano
d'insegnare al cittadino la miglior " maniera di condursi per se e
per gli altri nello stato „, nacque una gran " contra- " rietà
d'opinioni ne' nuovi metodi d'insegnamento „. E da questa, e dal " nome
di 8 uno degli Eristici che vi discorre „ trasse origine YEutidemo di
Platone. Vengo ora alle Confutazioni Sofistiche.
Nell'avvertenza alle Confutazioni Sofistiche, come Bonghi traduce il
trattato jieqì %ùv oocpMmxcòv èÀéyx<op (1), egli dice di essere stato
indotto alla traduzione * dal " pensiero, che avrebbe potuto riuscire
di molto interesse e utilità il vedere come una " mente così
sottile, investigatrice, sistematica (come quella di Aristotele) abbia
per " la prima volta messo ordine e luce in una materia per sè così
complicata e buia, " com'è questa del ragionamento usato a inganno
altrui. Neil' Eutidemo Platone aveva " rappresentata l'arte ; nelle
Confutazioni Sofistiche Aristotele, che vi ricorda tante volte " l'
Eutidemo e Platone, ne dette la teorica „. Soggiunge, Aristotele
" non esser facile in nessuno suo scritto; e questo è uno " di
quelli ne 1 quali è più difficile „. Indicando la ragione, i limiti e il modo
come ha Vedi Dialoghi di Platone, trad. da Ruggero Bonghi, voi. IV
(continuaz.), Eutidemo, 2* ediz.; Aristotele, il primo Libro Delle
Confutazioni Sofistiche, ecc. Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la
propria opera, dice essergli • mancato il tempo „ di condurre a termine
la traduzione ; ma che, ciò non ostante, " la trattazione teorica de'
sofismi è ne' primi " (14 capitoli) compiuta „ essendo 8 nei
seguenti (venti capitoli) solo indicate le vie « praticamente utili a
cavarsene fuori „ ; e che, per giunta, come si è detto, anche per questi
ultimi ha aggiunto " lunghi sommari! „ ; sì che il lettore finisce per
aver conoscenza di tutta la materia dell'ultimo trattato logico di
Aristotele. Ora ecco i punti sostanziali di questo.
Aristotele nel Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo dice che
"prende a • discorrere.... delle Confutazioni Sofistiche e di
quelle che paiono bensì confutazioni, " ma sono paralogismi e non
confutazioni , . E nel seguente paragrafo 2 fonda questo suo
giudizio con questa osservazione : " Che de' sillogismi alcuni son
veramente tali, altri paiono e non sono, è manifesto ; " chè come
questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal simiglianza,
• così accade ancora nei ragionamenti. E difatti, la persona, che altri
hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi.... paiono averla.... E
delle cose inanimate è del " pari ; chè di queste quale è argento e
oro davvero ; quale non lo è, ma pare al « senso ; per mo' d'esempio,
d'argento quelle di stagno e di piombo ; d'oro quelle * tinte di
giallo „. E allo stesso modo, sillogismi e confutazioni, quali sono,
quali non sono, ma paiono per l'imperizia. « Dappoiché
(continua egli nel paragrafo 3, indicando la ragione dottrinale della
* differenza di sillogismo e confutazione, ossia di sofismo) il
sillogismo si compone " di alcune premesse per modo, che di
necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle
proposizioni ; e confutazione è sillogismo in cui si con- " traddice
la conclusione „. Nel paragrafo 4, cominciando ad enumerare le
cause, dice che di queste « una " fonte è più copiosa e comune
di tutte, quella per via di vocaboli I vocaboli « sono finiti di
numero e i ragionamenti altresì ; dove gli oggetti sono infiniti ; sicché
" è necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più
oggetti „. Nel paragrafo 5 fa ulteriori esemplificazioni sulla
sofistica, che si intendono e spie- gano con ciocche è detto innanzi.
Ma passando ad indicare ,! le specie de' ragionamenti sofistici „
Aristotele dice che di quelli "che occorrono nel conversare, v'ha
quattro generi: didascalici, dialettici, pir astici ed eristici.
Sono: Didascalico – “insegnativo” -- quello ragionmento che si sillogizzano da'
principi propri di ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE
(chè chi impara, deve credere) :
" Dialettico” – “discorsivo” --
quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la
contradittoria: "drastico” – “tentativo” -- quell ragionmento conversazionale che lo fa
da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha
la scienza (e in che modo si è chiarito altrove): "eristico” –
“contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono
sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando
che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli
Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi
discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso”
-- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele,
proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si
puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione
II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e
questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo) o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna
di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello
che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo,
di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un
paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare
che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il
fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di
confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri
fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione
generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione
– aequi-vocal --, II anfibologia, III composizione IV divisione V accento
VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne'
susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della
dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione dei paralogismi
fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente, II dal
dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo o posto
o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente
V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal
fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi Aristotele
fa illustrazioni ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche
Aristotele statuisce intorno all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè
intorno a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto
a questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si
dia una unica risposta; benché rispetto a tal caso riconosca che in
alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Aristotele pone l'alternativa
che " o " s'hanno a distinguere così i sillogismi e
confutazioni apparenti come si è detto e fatto negli antecedenti
paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per
principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son
detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente
soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi
paralogismi allegati. Si continua a prendere in
considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli
dall'equivocazione, dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione,
dall'accento e dalla figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il
modo di conoscerli e confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si
generino i sillogismi apparenti, sappiamo altresì per quante si possano
generare i sillogismi e le confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e
confutazione sofistica non solo il sillogismo o la confutazione che
appare e non è, ma anche quello che è bensì, ma proprio della cosa appare
soltanto. E cotesti sono quelli che non confutano secondo la cosa, e non
mostrano che altri l'ignora, che era il caso della pirastica. Ora, la pìrastica
è parte della dialettica. Questa può sillogizzare il falso per ragione dell'
igno ranza di chi rende ragione. Invece, le confutazioni sofistiche, quando
anche sillgizzino la contradizione, non fanno manifesto se altri ignora, poiché
anche chi sa, impacciano con siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo
collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per quante vie appare a chi
ascolta, che si siano sillogizzate appunto le proposizioni di cui gli s'era
fatta interrogazione, per altrettante potrebbe altresì parere a chi
risponda. Sicché per queste, o tutte o alcune, verran fuori sillogismi
falsi, che quello che uno non interrogato crede d'aver conceduto,
interrogato lo conce- [derebbe. Eccettochè in alcuni paralogismi succede
insieme che si dimandi quello che manca, e la falsità si chiarisca, come
in quelli dalla dizione e dal solecismo. Si fanno consimili considerazioni
intorno ad altri paralogismi, come quelli risultanti dall'accidente, dal
conseguente, ecc. Aristotele statuisce che da quanti luoghi si
traggano confutazioni di quelli che son confutati, non bisogna provarsi a
determinarlo senza la cognizione delle cose tutte. Ora, ciò non è
di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse, sicché è chiaro
che anche le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve n'ha anche di
vere; stantechè quante cose v'ha luogo " a dimostrare, tante v'ha luogo
a confutare a chi asserisca il contraddittorio del " vero ; p. es.,
se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe col
* dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere scienti
d'ogni cosa, ecc. „. " Però (paragrafo 2) , anche le
confutazioni false saranno del pari infinite ; chè * v'ha secondo
ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo geometria il geo- 8
metrico, secondo medicina il medico ; e dico secondo ciascun'arte quello
secondo* " i principi di essa ,. E ne' seguenti paragrafi, su questi
stessi principi stabiliti, si fanno consimili considerazioni. Aristotele
pone in discussione e srisolve la seguente importante quistione intorno a
ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero : " Non * v'
ha ; dic'egli, tra i ragionamenti la differenza che taluni dicono ; alcuni
ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il
pensare, che altri " sono i ragionamenti che si riferiscono al
vocabolo, e altri quelli al pensiero, e * non già i medesimi
„. " Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al
pensiero se non quando * uno non usi del vocabolo nel senso cui
l'interrogato ha consentito, credendo che * fosse quello che avesse
nella interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al voca- *
bolo. E riferirsi al pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha
consentito, ecc. „. E ne' paragrafi immediatamente seguenti viene
confermando ciò con ulteriori non meno acute illustrazioni ed
applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione che ne fa alle
Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra attenzione per la
trattazione della così detta Logica matematica. " I ragionamenti nelle
matematiche, * dice infatti Aristotele al paragrafo 7, si
riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno D'Ercole. c
I t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso
sia la figura flì della quale s'è concluso, che son due retti rnWn ,
■ ! tì g ura 0)> " al pensiero di questo o no? '
'«Wonamento s'è egli diretto =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii
cose secondo ciascuna è dialettico- eh «ut 71 m aPPa T a ' è ^ - D
°" d6 " » ritornare suìl' TZ a h W * ^conducono , so/fe «
stessi, ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni ■nodo, sappiano a tatto
„ come appunto • fauno gli eristici 8 SousUcTche "f T" Ò SOt '
ile, Se,Tat °' ""-*»■*' » mesta m at"eria degli Elenchi ci
: lc n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8 ** * "' Ksta ^ r te 8 log I
' ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo 1)
cacca adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più ' e
parlano a caso, quando non si siano proposto nulla P P &
• e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a "' abbatteraÌ 1 " na
Wsita ° a » paradosso ' dir r„Zo s are ' er v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge
"° ^ mt.rroga.iene, ma • d'attacco ! ' S ° ,mParare ; daF P°
Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do di £ r:i n ~:ir che A "
istotek abbk ~— « -** • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a ArÌ8t °
tele " Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio luogo
quello aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di
aL m „ta z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs
l So ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™
alla ' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come
segue - ■ Il (1) La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore,
rappresenterebbe qui Trento del vocabolo. 81
LA LOGICA ARISTOTELICA, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA, ECC.
1essere cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella.
Sicché bisogna chi * parla secondo natura, affrontarlo secondo
legge ; e chi secondo legge, menarlo alla a natura; giacche vi sia luogo
a dir paradossi ne' due modi „. Capitolo XIII. — In questo Capitolo
si tratta di un argomento che par futile, cioè quello del cianciare;
eppur questo dà luogo a una acuta e teorica disamina della sofìstica da
parte di Aristotele. Prima di allegare le parole del grande
filosofo, allego una osservazione inter- pretativa che fa il Bonghi in
proposito, e che è questa : Col cianciare, cioè, dice quest'ultimo,
" si passa al quarto fine del sofista, che è il forzare l'avversario a
dir " più volte la stessa cosa, che torna al cianciare o infilzar
parole senza senso. Il presupposto di tali sofismi è che il vocabolo è
tutt'uno colla sua definizione e quello " non differisce in nulla da
questa, sicché si può in una proposizione surrogare l'uno *
all'altra. P. es. doppio si definisce doppio di metà : ora, se la definizione
può essere 8 surrogata al definito, noi possiamo definirlo : doppio di
metà di metà ; e da capo 41 doppio di metà di metà e così in infinito
„. Ciò posto, ecco ciocche dice Aristotele (al paragrafo 2) intorno
al discorrere per puro cianciare : * Tutti i siffatti discorsi vogliono
far questo ; se non differisce " per nulla il dire il vocabolo o la
definizione, doppio e doppio di metà è tutt'uno; se adunque è
doppio di metà, sarà doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo
" di doppio, si ponga doppio di metà si sarà detto tre volte : doppio di
metà di metà " di metà(l). Ed evvi egli il desiderio del piacevole?
Ora, questo è appetito del * piacevole; dunque, desiderio è
appetito del piacevole del piacevole, ecc. L'argomento di Aristotele è il
Solecismo e la sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Aristotele
parla e ragiona in questo modo. Questo, cioè, il Solecismo, v'è luogo a
farlo e a parere senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome diceva
Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono un mascolino ; giacché chi "
dice oi)Aofiévt]v solecizza secondo lui, ma agli altri non pare ; chi
ovÀó/ievov pare bensì, ma non SOLECIZZA. (Si noti che firjvig e JvfjÀrji
son propriamente femminili). Sicché è chiaro che uno potrebbe ad arte far
questo ; per il che molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo
paiono di sillogizzarlo, sic- * come nelle confutazioni „.
* I solecismi apparenti (paragrafo 4) hanno occasione pressoché tutti dal
vóde, * e quando la desinenza non manifesta né maschio nè femmina,
ma il di mezzo. Difatti ofirog significa maschio ed a%%r\ femmina ; ma tomo
vuole bensì significare il di " mezzo, pure spesso significa
anche l'uno o l'altro di quelli : p. es. , che è %ov%o ? Calliope, legno,
Corisco. D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de' casi
Qui mi par di vedere Aristotele (senza menomare la fina osservazione e interpretazione
del nostro Bonghi) riferirsi al famoso dialettico Zenone eleate, del
quale uno degli argomenti famosi, quello cioè del non potersi andare da
un punto all'altro dello spazio, era pensato e condotto appunto in tal
guisa: cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza giungere alla metà
di questo, non potersi giungere a questa metà senza percorrere la metà di
questa metà, e così non potersi giungere a questa seconda senza
percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito, il che era
impossibile a fare in un tempo finito." differiscono tutte, ma del genere
di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso, " essendosi lor
concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov ; e del
" pari una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si genera
perchè il tóóe * è comune a più desinenze ; giacche tomo significa quando
ovzog quando zovxov. 8 Però deve significare quando l'uno e quando
l'altro ; con è oixog, con essere iqviqv, 8 per es., è KoQioxog, essere
Koqioxov. E nei vocaboli femminili del pari ; e in quelli, " che son
bensì d'utensili, ma però hanno appellazione femminile o maschile. Dap- 8
poiché tutti quelli che terminano in o e in v, hanno soli l'appellazione da
utensili, 8 come ^vkov, o%oiviov ; ma quelli che non così, l'hanno
maschile o femminile, di 8 cui applichiamo alcuni agli utensili ; p. es.
daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj fem- " minile. Per il che anche
rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere „. " E in
un certo modo (paragrafo 5) il solecismo è simile alle confutazioni
tratte 8 dal prendere per simili cose non simili. Giacché come a queste
accade di sole- 8 cizzare sulle cose, così a quello su' vocaboli ; chè
uomo e bianco sono e cosa e 8 vocabolo „. Sicché è manifesto che da
simili desinenze bisogna sforzarsi di " sillogizzare il
solecismo. " Le specie, dunque, de' discorsi contenziosi e le
parti delle specie e i modi son 8 quelli che si son detti „.
Con questi quattordici Capitoli finisce la parte teorica degli Elenchi
Solistici, e che, come si è detto, nei seguenti venti Capitoli si espone
e fa l'applicazione dei primi quattordici. Io ometto di esporre anche
questa parte applicativa, ritenendo suffi- ciente pel mio scopo la
conoscenza della teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice
cenno che io voleva fare degli Elenchi predetti, cioè alla indicazione
latina de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione di Boezio.
Questi infatti (vedi Bonghi, nota 129 alle Confutazioni Sofistiche, pag.
529) indica le tredici denominazioni sofistiche di Aristotele così : 1°
Aequivocatio ; 2° amphi- bolia; 3° compositio; 4° divisto; 5° accentus;
6° figura dictionis; 7° propter accidens; 8° propter id quod simpliciter
vel non simpliciter ; 9° propter redargutionis ignorantiam ; 10° propter
consequens ; 11° propter id quod est in principio sumere ; 12° propter id
quod non est causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut causam; 13°
propter phires interrogationes unam facere. In questa stessa
nota 129 il Bonghi ha un notevole accenno ad Alberto Magno, che pure
scrisse degli Elenchi Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha
nella nota 160 per Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella
nota 163 per Duns Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella Scolastica,
e che è intitolato De sillo- gismo sophistico sive fallaciis.
Ed ora pongo termine alla mia esposizione coll'allegamento dello stupendo
e comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen
Lehren, citato, pag. 370), che suona come segue: "
Aristotele nel suo scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v èXèy%(àv si è fatto
guidare 8 nelle diverse parti del medesimo dallo speciale riguardo ai
sofismi molto disputati " al suo tempo. Egli definisce (Top. Vili,
11) il oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg, " e divide i Sofismi
in due Classi principali : naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog.
" Alla Prima Classe principale novera (De Soph. Elench., c. 4) come
appartenenti sei specie: ófihìvvfila (aequi vocatio), àfMpifioXia
(ambiguitas) , ovv&soig (fallacia a 8 sensu diviso ad sensum
compositum), diaigeoig (fallacia a sensu composito ad sensum "
divisum), jiQoacpòia (accentus), a%f[na vf/g Aé^sojg (figura dictionis) : de'
quali Sofismi " però il terzo ed il quarto (la confusione del senso
distributivo e del collettivo, " ovvero la confusione di ciocche
vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni " singolo
rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto appar-
" tenenti alle fallaciis secundum dictionem, si lasciano aggruppare
(subsumere) sotto " il concetto dell'anfibolia nel senso indicato di
sopra. (Per ayfifiaza zfjg Aé^scog " Aristotele intende qui le forme
grammaticali de' nomi e de' verbi, e, secondo " Poet. c. 19, in modo
speciale le proposizioni grammaticali fondate sui diversi rap- 8 porti di
Predicato con Soggetto : proposizioni grammaticali, alla cui espressione
" servono in parte i Modi verbali, come Comando, Preghiera, Minaccia,
Enunciazione, " Domanda e Risposta). " Alla Seconda
Glasse principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, Aristotele novera
" come appartenenti le seguenti sette specie : naqà tò avfi^s^rjìióg
(fallacia rationis " ex accidente), tò ànX&g fj [lì] àicl&g
(a dicto simpliciter ad dictum secundum quid), " fj tov èXéy%ov
àyvoia (ignoratio elenchi), naqà tò èuó/À,evov (fallacia rationis ex
* consequente ad antecedens), tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai
(petitio principii), " tò /li] ahiov Ti&épai (fallacia de non
causa ut causa), tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma ev " noielv (fallacia
plurium interrogationum). Se non che questi errori sono in parte
errori di dimostrazione (Beweisfehler ; " ved. appresso paragr.
137). Degli errori indicati adduce Aristotele stesso esempi " nel
suo scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v èXéy%(av ; si può paragonare con esso
il Dialogo " di Platone (o di un platonico) Eutidemo. Antiche e
moderne esemplificazioni, però * in gran parte già fatte, dà il
Fries {System der Logik, paragr. 109). Una diffusa ed esatta disamina di
Sofismi si trova in Mill, Log. trad. da Schiel, 2 (e 3) Ediz., "
pag. 398-432. Rispetto al carattere nebuloso e confuso di parecchie moderne
spe- * culazioni, e rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo de'
quali, dato l'insolvibile " compito di derivare il pieno dal vuoto,
si è creduto di ottenere l'apparenza di una * soluzione, ha detto
il Trendelenbtjrg (Eri. su den Ehm. der Arisi. Log., 1842, p. 69) "
con ragione : * Sarebbe tempo di tradurre secondo il tempo moderno (iris
Moderne) " lo scritto aristotelico degli Elenchi Sofistici „. Questo
compito è stato risolto soltanto in modo unilaterale mediante Y Antibarbarus
logicus von Cajus, 1851 ; 2 a Ediz., " 1° fase, 1853, comunque il
suo autore nel campo del pensiero filosofico sappia " esercitare con
destrezza di Polizia certe funzioni (polizeiliche) di vigilanza s .
Chiudo la mia considerazione ed esposizione della logica del lizao, e
concludo dicendo che questi punti fondamentali del pensiero logico del
lizeo e la corrispondente legislazione del medesimo sono addirittura una
immortale creazione, che non i soli 24 secoli passati han già confermata
e glorificata, ma che continueranno a confermare e glorificare anche i
secoli venturi. Grice: “How can people speak of
‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics rests on logic?!” –
logica aritmetica, aritmetica logica – His exposition of ‘logica aristotelica’
is impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De
Interpretatione. His editorial work on Ceretti is excellent. He has written on
some other Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa
della metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
ed Ermino: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch.
Contemporary of Plotino. He confined his activities mainly to teaching and
wrote little or nothing.
Grice
ed Ermodoro: all’isola -- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A
pupil of Plato of whom he wrote a biography. He also wrote a history of
mathematics. According to Suda, he took Plato’s books and sold them.
Grice
ed Erode: la filosofia degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. One of the richest and best connected people in the Roman empire.
More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He
condemned the Porch philosophers for their lack of feeling. Erode Attico.
Grice
ed Eschine: la setta di Napoli. Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni,
G. (1990), Socratis et Socraticorum Reliquiae, iv (Elenchos. Collana di testi e
studi sul pensiero antico diretta da Giannantoni, Naples). 'L' Alcibiade di E.
e la letteratura socratica su Alcibiade'. In Giannantoni e. Narcy, Lezioni
Socratiche (Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta Giannantoni,
Naples. E. of Neapolis (Naples) –According to Diogene Laerzio, E. was a
Platonist and favourite pupil of Melantio di Rodi. He seems to have been the
same person as the E. said by Plutarco to have studied under Carneade. Eschine.
Grice
ed Esimo – Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An
undated inscription found at Pergamum refers to Claudio Esimo as a philosopher.
Grice
ed Estieo – la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Suda says he was the father of
Archita di Taranto.
Grice ed Esposito: l’implicatura
conversazionale -- il sistema dell’in/differenza – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Piano di Sorrento).
Filosofo italiano. Grice: “I like Esposito; of course, his ‘origine della
filosofia italiana’ owes a bit to the historians of Roman literature and that
infamous embassy of the very best of Grecianism: Carneade, Critolao, and
Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte dalla constatazione dell'esaurirsi del
tradizionale lessico della politica e dalla consapevolezza della necessità di
una sua diversa formulazione. Su questo presupposto, si incentra sulla ripresa
e sulla rielaborazione di questa tradizione all'interno di nuove esigenze, a
partire da una re-interpretazione delle categorie classiche della filosofia. A
tal fine nelle sue opere lascia interagire saperi e linguaggi differenti, dalla
filosofia alla letteratura, all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla
teologia. Dopo i primi studi su Vico e
Machiavelli, il suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico
viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo
tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove
pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma,
Donzelli). La filosofia della comunità e
biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino
della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il
concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati
e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da
Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto
legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che
contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas:
protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica
dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo
teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di
questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società
rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso
l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita
che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale.
“Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a
partire da Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian
Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie di storia, politica e
vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli);
Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica (Mimesis, Milano);
“Politica e negazione: per una filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La
filosofia italiana come problema: da Spaventa all’Italian Theory, "Giornale
Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita
(Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi,
con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso dell'impersonale,
di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. The category of applicational generality relates to
Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona is not a person like
“I” and “thou”. Grice uses ‘person’
generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex) with the
addition of ‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a someone – a
dog is not for Grice a someone. But then ‘someone’ is a solecism. Esposito considers the communication and
community alla Tonnies. Grice knows the connection community and communication,
when he criticizes Stevenson for trying to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’
circularly, in terms of ‘communication. – The problem of the third person is
fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a grammarian usually not
knowing anything about philosophy, used philosophical concepts – such as person
– first person for “I” is ok, second person for “Thou” is okay – when it comes
to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La sedia e comoda.) – there is
nothing personal about a chair being personal. It is not true that someone is
comfortable (jemand). – there’s nothing personal about this. Since Homer,
prosôpon [πϱόσωπоν], etymologically “what is opposite the gaze,” has designated
the human “face” in particular, and then, metaphorically, the “façade” of a
building, and synechdochically, the whole “person” bearing the face. Another
remarkable semantic extension is that of the theatrical “mask” (Aristotle,
Poetics 1449a36), leading in turn to the meaning “character in a drama”
(Alexandrian stage directions for dramatic works regularly included the list of
the prosôpa tou dramatos [πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς]), and then to a narrative. Its
Latin equivalent, persona, refers in its turn to the mask that makes the voice
resonate (personare), before it designates a character, a personality, and a
grammatical person (Varro). The meaning of the compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to
compose in direct discourse,” that is, to make the characters speak
themselves—clearly shows that the dramatic meaning of prosôpon had a
particularly great influence on the history of the word. In any event, it seems
quite likely that when grammarians adopted prosôpon to designate the
grammatical “person,” they were thinking of the dialogue situation
characteristic of the theatrical text, which makes use of the alternation
“I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is rooted in the
category of the “person” (see SUBJECT, Box 6). Whereas terms like “tense”
(chronos [χϱόνоς]) and “case” (ptôsis [πτῶσις]) are attested before they appear
in strictly grammatical texts, this is not the case for prosôpon used to refer
to the “person” as a linguistic category. On the other hand, in the earliest
grammatical texts, and in a way that remains perfectly stable later on,
prosôpon is adopted to describe both the protagonists of the dialogue and the
marks, both pronomial and verbal, of their inscription in the linguistic material.
In fact, the main difficulty encountered by grammarians regarding the notion of
prosôpon seems to have been how properly to articulate reference to real
persons occupying differentiated positions in linguistic exchange (speaker,
addressee, other) with reference to the person as a grammatical mark. This
difficulty occurs notably in a quarrel about definition. In the Technê
attributed to Dionysius Thrax (Grammatici Graeci 1.1 [chap. 13, p. 51.3 Uhlig =
57.18 Lallot]), the verbal accident of prosôpon is defined as follows: Prosôpa
tria, prôton, deuteron, triton; prôton men aph’ hou ho logos, deuteron de pros
hon ho logos, triton de peri hou ho logos [Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν, δεύτεϱоν, τϱίτоν·
πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ
λόγоς]. There are three persons: first, second, third. The first is the one
from whom the utterance comes, the second, the one to whom it is addressed, the
third, the one about whom he is speaking. This minimal definition clearly sets
forth the two protagonists of the dialogue, distinguishing them by their
position in the exchange, and introduces without special precaution a third
position, characterized as constituting the subject matter of the utterance.
The parallelism of the three definitions—a simple pronoun for each
“person”—masks the lack of symmetry between the (real) first and second persons
and the third person; the latter, as Benveniste pointed out (Problèmes de
linguistique générale, 228), may very well not be a “person” in the strictest
sense. This definition, which remained canonical for several centuries, was
attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as follows (I adopt the
formulation in Choeroboscos [Grammatici Graeci 4.2 (p. 10.27 Uhlig)], a
Byzantine witness to the Alexandrian master): Prôton men aph’ hou ho logos peri
emou tou prosphônountos, deuteron de pros hon ho logos peri autou tou
prosphônoumenou, triton de peri hou ho logos mête prosphônountos mête
prosphônoumenou [πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν
δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε
πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The first person is the one from whom the
utterance comes meaning me, the speaker, the second, the one who to whom the
utterance is addressed meaning the addressee himself, the third the one about
whom the utterance speaks and who is neither the speaker nor the addressee.
Apollonius’s arrangement contributes useful explanations: (a) each “person,”
including the first two, can be the subject of the utterance; (b) the third is
defined negatively as being neither the first nor the second (which implicitly
opens up the possibility that it is a “person” only in an extended sense,
insofar as it does not need to be competent as an interlocutor); (c) the
overlap of enunciation and enunciated is explicit: there is a first person when
the utterance refers to the enunciator-source, a second person when it refers
to the addressee, and a third when it refers to someone or something else. Despite
the incontestable advance represented by Apollonius’s revision, it nonetheless
leaves an ambiguity regarding the designatum of prosôpon: are we talking about
extralinguistic entities, “persons” engaging in dialogue or not, or are we
talking about linguistic entities, “accidents” of the conjugated verb and the
pronomial paradigm (personal pronouns)? Apparently the former, which is
surprising coming from a grammarian who prides himself on correcting another
grammarian. In fact, there is hardly any doubt that in Apollonius, the
ambiguity I mentioned is still attached to the term prosôpon. Consider the
following text, taken from Apollonius’s Syntax 3.59 (Grammatici Graeci 2.2 [p.
325.5–7 Uhlig]): Ta gar meteilêphota prosôpa tou pragmatos eis prosôpa anemeristhê,
peripatô, peripateis, peripatei [τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα
ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ]. The persons who take part in the
act [of walking] are distributed into persons: I walk, you walk, he/she walks.
We can interpret this to mean that in a group of persons—extralinguistic
entities— who are walking, every utterance concerning the walk will elicit the
appearance of verb endings distributing the walkers among the three grammatical
persons: such is the alchemy of Apollonius’s prosôpon. Jean Lallot BIBLIOGRAPHY
Benveniste, Émile. “Structure des relations de personne dans le verbe.” Chap.
18 in Problèmes de linguistique générale, 225–36. Paris: Gallimard, 1966.
Translation by M. A. Meek: Problems in General Linguistics. Coral Gables, FL:
University of Miami Press, 1971. Grammatici Graeci. Edited by A. Hilgard, R.
Schneider, G. Uhlig, and A. Lentz. Leipzig: Teubner, 1878–1902. Reprint,
Hildesheim, Ger.: Olms, 1965. Lallot, Jean. La grammaire de Denys le Thrace.
Paris: Le Centre National de la Recherche Scientifique. Wikipedia
Ricerca Liberté, Égalité, Fraternité motto della Francia Lingua Segui Modifica
Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento società non cita le
fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Liberté, Égalité,
Fraternité (in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto
risalente al Settecento e associato in particolare all'epoca della Rivoluzione
francese, divenuto poi il motto nazionaledella Repubblica Francese.
Testo esposto su un cartello che annunciava la vendita dei biens
nationaux, ovvero di quei possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti,
terreni e foreste) che furono confiscati dopo la Rivoluzione francese (1793).
All'epoca, il motto fu talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o
Morte: ma quest'ultima parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente
associata con il regime del Terrore LibertàModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Libertà. La prima parola del motto
repubblicano francese è "Liberté", che fu all'inizio concepita
secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
(1789) la definiva così: «La libertà consiste nel potere di fare ciò che non
nuoce ai diritti altrui». «Vivere liberi o morire» fu un grande motto
repubblicano, adottato nello stemma originale del Club dei Giacobini. Sotto il
governo giacobino-montagnardodel Comitato di salute pubblica, di cui Maximilien
de Robespierre fu il leader più importante (cosiddetto regime del Terrore),
divenne famoso il motto: «Nessuna libertà per i nemici di essa».
UguaglianzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Uguaglianza sociale. Timpano di una chiesa con un'iscrizione risalente
al 1905, anno della legge sulla separazione tra Chiesa e Stato Secondo termine
del motto repubblicano, la parola "Égalité", significa che la legge è
uguale per tutti e le differenze per nascita o condizione sociale vengono
abolite (egualitarismo); ognuno ha il dovere di contribuire alle spese dello
Stato in proporzione a quanto possiede. Il principio teoricamente era già
presente nel concetto di Stato di diritto, ma con la Rivoluzione Francese venne
praticamente messo in atto. FratellanzaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fraternità. Nella Dichiarazione dei
diritti e doveri del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione
dell'anno III (1795), la parola "Fraternité", terzo elemento del
motto repubblicano, è definita così: "Non fate agli altri ciò che non
vorreste fosse fatto a voi" (cosiddetta etica della reciprocità)
Origini e usoModifica I primi contenuti riferibili al motto Liberté, Égalité,
Fraternité sono presenti nel saggio pubblicato nel 1774 a Londra da Jean-Paul
Marat, Work wherein the clandestine and villainous attempts of princes to ruin
liberty are pointed out ("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e
scellerati tentativi dei prìncipi di cancellare la libertà"), che egli
pubblicherà poi in francese col titolo più noto Les chaînes de
l'esclavage("Le catene della schiavitù"), dove si anticipavano i temi
dell'azione politica: una violenta presa di posizione contro il dispotismo a
favore della sovranità popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro
La Costituzione, o Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del
Cittadino del 1789 vengono ripresi e perfezionati gli ideali di Libertà,
Uguaglianza e Fratellanza che verranno progressivamente adottati a motto e
simbolo. La prima formulazione del motto è attribuita a Camille Desmoulins
(l'inventore anche della coccarda tricolore francese) per la Festa del 14
luglio 1790, anniversario della presa della Bastiglia.[1] Sebbene
Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto nato dalla Rivoluzione francese e
usato nella Prima repubblica, occorre attendere la IIIe République (Terza
Repubblica) perché venga adottato come simbolo ufficiale: prima di allora il
motto subisce una battuta d'arresto, insieme ai principi fondanti della
Repubblica. L'Impero e la Restaurazione trascurarono la valorizzazione
legislativa del motto, che ritorna alla pubblica ribalta solo nel 1848 grazie
alla penna di Pierre Leroux, all'epoca rappresentante del popolo in seno alla
Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale). Egli partecipa attivamente al
percorso di riconoscimento del motto come principio costituente della Seconda
Repubblica. Nell'ambito di una repubblica a cui sovente si pospone
l'aggettivo "operaia", il motto acquista significati più ampi:
l'adozione del suffragio universale estende a tutti la Liberté di scelta
politica. La Commission du Luxembourg (Commissione del Luxembourg), nel
promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle cooperative di produzione),
estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia e della società. Infine,
per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al popolo, la Fraternité
esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali ardori estremisti
delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'Égalité
o la Liberté, questa fase storica vede la Francia percorrere la strada della
democrazia con un maggiore equilibrio. Tuttavia, ancora una volta, la
Repubblica si divide: la repressione popolare del giugno 1848 e il ritorno
dell'Empire rimettono in vigore la filosofia e la portata sociale del triplice
motto. È necessario che trascorrano ancora dei decenni per arrivare a vedere,
nel 1880, la celebre massima incisa sui frontoni di tutti gli edifici pubblici.
Poi, le Costituzioni del 1946 e 1958riconoscono autorevolmente il valore che il
triplice motto ha per la storia del Paese d'oltralpe. Liberté, Égalité,
Fraternité rappresentano un valore così grande da travalicare i confini della
Francia, sono simboli che hanno portata e rilevanza universali. Questo motto,
nato dalla fucina d'idee della rivoluzione francese, è un caposaldo
irrinunciabile della moderna cultura dell'Occidente. Alcune repubbliche
sorelle della Francia rivoluzionaria come la Repubblica Cisalpina napoleonica e
la Repubblica Napoletana adottarono un motto simile ("Libertà
Eguaglianza" e "Libertà e Uguaglianza"). NoteModifica ^
Yannick Bosc, «Sur le principe de fraternité», 19 janvier 2010. Voci
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(IT) Il motto della Repubblica francese - Il sito ufficiale della Francia
( FR ) Liberté, Égalité, Fraternité, su Les symboles de la République
française, Présidence de la République - Élysée.fr. URL consultato il 9 giugno
2010 (archiviato dall' url originale il 4 aprile 2010).
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diritti e doveri Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sugli
argomenti diritti umani e sociologia è solo un abbozzo. Contribuisci a
migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del
progetto di riferimento. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli
argomenti diritto e sociologia è priva o carente di note e riferimenti
bibliografici puntuali. L'uguaglianza sociale - che si applica ai diritti e ai
doveri della persona, considerati in termini di giustizia- è un ideale che dà
ad ognuno, indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua
provenienza, la possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri
individui in ogni contesto. Si tratta di un ideale presente, almeno come tale,
in tutti i paesi civilizzati, come rivendicazione di pari dignità individuale e
sociale per tutti. Luigi Taparelli d'Azeglio Mentre il concetto di
giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di sant'Agostino e alla
filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia sociale" iniziò ad
essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del 1700. Al sacerdote gesuita
Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto l'aver coniato il termine, che
si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari del 1848attraverso le opere di
Antonio Rosmini.[1][2] StoriaModifica Studi antropologici su siti
archeologici indicano l'esistenza di una sostanziale uguaglianza nelle società
di cacciatori-raccoglitori mentre con l'avvento dell'agricoltura si rilevano
gli inizi delle disuguaglianze[3]. Concetti di baseModifica L'uguaglianza
sociale è una situazione per cui tutti gli individui all'interno di società o
gruppi specifici isolati debbano avere lo stesso stato di rispettabilità
sociale. Come minimo, l'uguaglianza sociale comprende la parità di diritti
umani e individuali secondo la legge. Esempi sono la sicurezza, il diritto di
voto, la libertà di parola e di riunione, e dei diritti di proprietà. Tuttavia,
essa comprende anche l'accesso all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri
basilari diritti sociali, ed inoltre pari opportunità e obblighi. Genere
sessuale, orientamento sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e
proprietà, lingua, religione, convinzioni, opinioni, salute o disabilità non
devono tradursi in una disparità di trattamento. Un problema aperto è la
disuguaglianza orizzontale, la disuguaglianza di due persone della stessa
origine e capacità. Nel mondo contemporaneo, poi, "i confini
dell’uguaglianza sociale si spostano in avanti: dopo le importanti conquiste
dei diritti sociali, legate alle lotte di emancipazione dei lavoratori e alla
costruzione dei moderni welfare state, si apre oggi un piano di azione per una
emancipazione ulteriore, che ha caratteristiche più sottili e insieme più
profonde: quelle della agibilità effettiva dei diritti sociali formalmente
sanciti e del pieno dispiegamento delle capacità individuali ancora compresse o
sotto-utilizzate per una larga parte della popolazione. In questi termini
appare evidente la natura «universalistica» delle nuove politiche, come
politiche per la promozione delle capacità e l’empowerment di tutti i
cittadini. Il principio universalistico dunque è costitutivo dell’approccio di
queste nuove politiche"[4]. In filosofiaModifica L'uguaglianza in
termini aristotelici è l'analogia delle parti da attribuire a soggetti uguali
rispetto a qualche caratteristica specifica (eguaglianza proporzionale) o la
pura uguaglianza matematica. Ci sono diverse forme di uguaglianza relative alle
persone e alle situazioni sociali. Per esempio, si può considerare la parità
tra i sessi per quanto riguarda l'accesso al lavoro; le persone interessate
sono di sesso opposto, la cui situazione sociale comune è l'accesso
all'occupazione. Allo stesso modo, la parità di opportunità, in senso generale,
implica l'idea che le persone dovrebbero essere nelle stesse condizioni di
partenza nella vita, ovvero che tutti dovrebbero avere pari opportunità
indipendentemente dalla loro nascita e successione. Peraltro, una
perfetta uguaglianza sociale è una situazione ideale che, per vari motivi, non
ha riscontro in alcuna società odierna. Le ragioni di ciò sono ampiamente
dibattute: circostanze concrete, addotte per il perpetrarsi della
disuguaglianza sociale, sono comunemente ritenute l'economia,
l'immigrazione/emigrazione, la politica estera e gli altri vincoli di cui
soffre la politica nazionale. Storia delle ideeModifica L'uguaglianza
sociale è un obiettivo politico soprattutto dei partiti di ispirazione
socialista in tutte le sue variegature storiche. Il concetto di uguaglianza
anche in massoneria è estremamente importante, divenendone uno dei cardini unitamente
alla tolleranzaed alla fratellanza. Le battaglie in questa direzione hanno
avuto un apice con l'abolizione dei privilegi della rivoluzione americana del
1791. La prima parla di Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
versione francese del 1789, comincia così: Les hommes naissent et demeurent
libres e lala7 en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali
nei diritti). In antitesi vi è il concetto di gerarchiameritocratica tipico
della destra, mentre un sincretismo può considerarsi il
"comunitarismo". Un controesempio di uguaglianza sociale è stata
ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa medievale.
MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si riscontra anche
in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato dall'epoca della
cavalleria (che raggiunse il suo apice durante il XII secolo), dove grande
importanza aveva l'ideale secondo cui la vera nobiltà sgorgava dal cuore delle
persone, i quali quindi sarebbero stati al fondo tutti uguali. «...tu
vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo
Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali virtù
create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne
distinse;» (Boccaccio, Decameron) Tra gli studiosi dell'epoca medievale
c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in quei documenti che testimoniano
la diffusione di questo principio i presupposti per poter parlare
dell'esistenza di un ideale egualitaristico già in epoca medievale.[6] Se così
fosse, nonostante la grande diffusione nella letteratura di corte dell'epoca,
andrebbe comunque sottolineato come questo primitivo concetto di uguaglianza si
limiti tuttavia a una mera considerazione di natura morale, senza che sia minimamente
avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia tale ideale (nella
fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per operare attivamente sulla
società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò si può anche spiegare in
base al fatto che durante il Medioevo dominava nella cultura popolare e
nobiliare una visione della società divisa in classi, regolate da rapporti
gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva essere messo in
discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità[7]. Rimanendo
nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa relativa
all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali nobiliari,
è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Nella Costituzione
italianaModifica In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3 della
Costituzione il quale afferma che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali» (eguaglianza in senso formale) Quest'articolo esprime il
principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate
discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire
scontato ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non
era assolutamente riconosciuto. Concludendo, poi, che: «È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana» (eguaglianza in senso sostanziale. Paine,
Agrarian Justice, Printed by R. Folwell, for Benjamin Franklin Bache. ^ J.
Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, Education and Social Justice, 2006, ISBN
1-4020-4721-5 ^ Kohler,et al., Greather post-Neolithic wealth disparaties in
Eurasia than in North America and Mesoamerica , Nature, 2017, 551, 619-622, in
Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, 2019,
ed.Laterza, Bari, Paci e E. Pugliese (a cura di), Welfare e promozione delle
capacità, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 25-26. ^ Domenico V. Ripa Montesano,
Vademecum di Loggia, Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix, 2009, ISBN
978-88-905059-0-4. ^ L'autunno del Medioevo, p. 82. ^ L'autunno del
Medioevo, p. 77. ^ Tra i contributi alla stesura di questa parte della
norma costituzionale si ricorda quello di Massimo Severo Giannini, offerto su
richiesta del costituente Lelio Basso. Ritenendosi da parte socialista che
fosse “un tradimento fermarci all'enunciazione dell'uguaglianza formale”, ma
non essendo “pensabile una norma di garanzia dell'uguaglianza economica e
sociale, che presupponeva un tipo di Stato allora e anche oggi inesistente”,
Giannini propose due soluzioni alternative: la prima più spinta, che impegnava
la Repubblica a offrire a tutti i cittadini “uguali posizioni economiche e
sociali di partenza”; l'altra che corrispondeva al testo poi accolto. E senza
una minima carica retorica noterà che “non avevamo intenzione di fare del nuovo,
ma solo di affermare un principio di dinamica dell'azione dei pubblici poteri
per una società più giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in
Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 36). BibliografiaModifica Carlo Crosato,
L'uguale dignità degli uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una
politica morale, ed. Cittadella, Assisi 2013. Huizinga, L'autunno del Medioevo,
Roma, Newton Compton, 2011 [1919] , p. 82. John Rawls, Una teoria
della giustizia, in Sebastiano Maffettone (a cura di), Universale economica,
traduzione di Ugo Santini, 5ª ed., Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto
sociale, in Universale economica, traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione
di Alberto Burgio, 12ª ed., Milano, Feltrinelli, Alberto Burgio, Eguaglianza,
interesse, unanimità. La politica di Rousseau, Napoli, Bibliopolis, 1989, ISBN
9788870882094. Accademia nazionale dei Lincei, Disuguaglianze e classi sociali:
la ricerca in Italia e nelle democrazie avanzate, in Atti dei convegni lincei,
Roma, Bardi, 2020, ISBN 9788821812026. Voci correlateModifica Differenziazione
sociale Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza#Disuguaglianza
Egualitarismo Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari
opportunità Femminismo Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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esterniModifica Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale Diritto
Portale Politica Portale Sociologia Egualitarismo dottrina
politico-sociale che propone la parità di diritti e opportunità degli
individui Una teoria della giustizia Uguaglianza di genere in Azerbaigian
Wikipedia Il contenutoeguaglianza Condizione per cui ogni individuo o
collettività deve essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè
pari, soprattutto nei diritti civili, politici, sociali ed economici.
L'eguaglianza di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto
fondamentale dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica.
In Italia l'eguaglianza è garantita dall'articolo 3 della Costituzione. Le
costituzioni democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini
attraverso la libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire
pari opportunità nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse
possibilità di crescita e di affermazione personale e professionale.
eguaglianza formale e politica Di eguaglianza si parla in molti sensi:
innanzitutto come eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto
che tutti i membri della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei
doveri senza distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni
religiose o politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza
politica, invece, sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e
può a sua volta essere eletto. Questi ideali di libertà e di eguaglianza si
sono venuti affermando in Europa e negli Stati Uniti alla fine del Settecento,
dopo una lunga lotta contro i regimi monarchici e assolutistici (e contro la
Gran Bretagna per le colonie americane) che riconoscevano, tra l'altro,
privilegi e differenze di status giuridico alle classi aristocratiche. Gli
ideali di eguaglianza hanno trovato espressione nelle dichiarazioni dei diritti
della storia inglese (a cominciare dalla Magna charta libertatum, 1215) e
soprattutto nella Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) e nella
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata dall'Assemblea
costituente francese nel 1789, in cui l'enunciazione di tali principi gettava
le basi di un nuovo ordine politico. APPROFONDIMENTO di Stefano De
Luca Entrata nella cultura occidentale con lo stoicismo e soprattutto con
il cristianesimo (che considera tutti gli uomini dotati della stessa dignità,
in quanto figli di un medesimo Padre), l'idea che gli uomini siano eguali tra
loro ha giocato un ruolo decisivo nelle vicende sociali e politiche soltanto a
partire dal Seicento. I principali pensatori politici del 17° e 18° sec. (da T.
Hobbes a J. Locke, da J.-J. Rousseau a I. Kant) partono dall'ipotesi che gli
uomini siano liberi ed eguali e di conseguenza pongono l'origine dello Stato in
un accordo volontario (il patto o contratto) stipulato dagli individui stessi.
Mentre per Platone e Aristotele esisteva una gerarchia 'naturale' (fondata
sull'intelligenza e sul sapere) tra chi è adatto al comando e chi è adatto
all'obbedienza - gerarchia che durante il Medioevo si irrigidì nel criterio
ereditario, fondato sulla nascita - per i moderni pensatori contrattualisti gli
uomini dispongono di eguali diritti e di conseguenza l'ordine sociale e
politico è qualcosa di 'artificiale', che gli individui costruiscono tramite
accordi. Queste idee troveranno spettacolare applicazione nelle due
grandi rivoluzioni moderne, quella americana e quella francese, i cui più
famosi documenti si aprono con un solenne richiamo all'idea di eguaglianza.
All'inizio della Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) troviamo un
elenco di 'verità' autoevidenti, la prima delle quali è "che tutti gli
uomini sono creati uguali"; e nel primo articolo della Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino (1789) troviamo proclamato il principio
secondo cui "gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei
diritti". 1. Diverse interpretazioni di una stessa idea Il
principio dell'eguaglianza si rivelò ben presto suscettibile di varie
interpretazioni: esso poteva infatti essere invocato sul piano civile, come
eguaglianza di fronte alla legge e nei diritti di libertà (garanzie
giudiziarie, libertà di coscienza, libertà di iniziativa economica); oppure sul
piano politico, come eguale partecipazione al potere tramite il diritto di
voto; oppure, sul piano sociale, come eguaglianza nel possesso di risorse
economiche. La richiesta dell'eguaglianza civile ha caratterizzato, tra 18° e
19° sec., i movimenti politici di ispirazione liberale, la cui principale
preoccupazione era la tutela della libertà individuale da ogni forma di potere collettivo;
l'eguaglianza politica - con la connessa richiesta del suffragio universale - è
stata invece, nella seconda metà del 19° sec., la ragion d'essere dei movimenti
democratici, i quali consideravano la partecipazione di tutti al potere
politico (cioè l'autogoverno collettivo) la forma più alta di libertà;
l'eguaglianza sociale, infine, è stata la bandiera dei movimenti socialisti,
che hanno teorizzato - sino alla metà del 20° sec. - la scomparsa della
proprietà privata e del libero mercato, nella convinzione che la vera libertà
potesse scaturire soltanto dall'eguale possesso delle risorse economiche e non
dal possesso di 'diritti astratti'. Tra questi diversi tipi di
eguaglianza, la differenza più grande è quella che separa l'eguaglianza formale
da quella sostanziale. L'eguaglianza nei diritti civili e politici è
un'eguaglianza formale, perché riguarda la sfera dei diritti e non quella dei
beni; di conseguenza, è compatibile con un grado più o meno ampio di
diseguaglianza sociale. Il fatto di essere eguali di fronte alla legge e nelle
libertà individuali significa che ogni individuo non subisce discriminazioni e
che dispone delle stesse facoltà: ma quanto ai risultati, sul piano sociale,
questi dipenderanno dal suo impegno e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza
politica non incide direttamente sulla sfera sociale, sebbene la partecipazione
di tutti al voto (e quindi, indirettamente, alle decisioni legislative) possa
far prevalere politiche di ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza
sociale, invece, è un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i
diritti, ma i bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché
si tratta di una forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti
parlare di egualitarismo. 2. Diritti sociali e pari opportunità Se
per gran parte del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e
democratici (divisi dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo
lo scontro è stato tra liberali e democratici da un lato e socialisti e comunisti
dall'altro, divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici e della
libertà economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti, infatti,
l'eguaglianza civile e politica era soltanto una maschera degli interessi
economici della borghesia, i quali determinavano la più reale e oppressiva
delle diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte correnti di
socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti conquistati
da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con una serie di
diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione, assistenza
sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi sociali), il cui
scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e ridurre le
diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale si è
manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel principio
dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di studio, i
prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui delle stesse
possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza. A partire dagli anni
Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato un ruolo decisivo
nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le discriminazioni e
le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti personali e dei
ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo ambito, ha avuto
negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti apposite istituzioni il
cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità di carriera nel settore
pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita politica (a livello
locale e nazionale).egualitarismo Concezione politico-sociale tendente a
realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto sancita dalle norme
costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto, fondata sull’equa
ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di una società.
L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella Rivoluzione
francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti socialisti.
1. Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale mirante a ridurre
le differenze retributive tra le diverse qualifiche nell’ambito di una
categoria o nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In Italia si è parlato di
egualitarismo salariale per gli aumenti retributivi in cifra fissa previsti dai
contratti collettivi di lavoro (1969-79) e per l’unicità del punto di
contingenza (1975-86).Roberto Esposito. Esposito.
Keywords: fascismo, il Sistema dell’in/differenza, Vico, Spaventa, Machiavelli,
Bruno. Tanato-ethics, tanato-politica, three features of the conversational
imperative: generality: formal generality, applicational generality, conceptual
generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Esposito” – The Swimming-Pool
Library.
Grice
ed Eudemo: il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The
father of Publio Elio Aristides. A philosopher. Antonino liked him.
Grice
ed Eudemo: il lizio romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend
of Galen. Lizio.
Grice
d Eudico: la setta di Locri -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A
Pythagorean, according to Giamblico.
Grice
ed Eudosso: la setta di Taranto -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Pupil of
Archita di Taranto.
Grice
ed Eulogio: il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Little is
known about him other that he was a philosopher and that the emperor Leo I
arranged for him to be supported at public expense.
Grice
ed Eumenio: la scuola di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) FIlosofo italiano. He
studied philosophy alongside Pharianus and Giuliano.
Grice
ed Eufemo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Grice
ed Eurimedone: la diaspora di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Grice
ed Eurifamo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According
to Giamblico, Eurifamo was a disciple of Pythagoras. As an indication of how
seriously Pythagoreans took any agreement, Giamblico relates how Eurifamo once
asked Lisi of Taranto to wait for him outside the temple of Era. Lisi agreed.
Eurifamo forgot all about him and returned the next day to find Lisi still
waiting there. Some fragments of a work on life supposedly by him have
survived.
Grice
ed Eurifemo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Grice
ed Eurito: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. The
information concerning Eurito is extremely confused. Giamblico describes him as
a pupil of both Pythagora and Filolao di Crotona. He is variously described as
coming from Taranto, Metaponto, and Crotone. According to Diogene Laerzio,
Plato visits Filolao and Eurito in Italia. The connections with Pythagoreanism
and Italy are constants, but unless Eurito lived an ionordinately long time, it
seems safer to assume either that two people by the same name have been
confused with each other, or that some of the information is simply wrong. The
association with Filolao is widely attested and seems unlikely to be wholly
mistaken. Eurito.
Grice
ed Eusebio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Eusebio was
the tutor of Sidonio and Probo. He had his own schoot at Arelate (Arles).
Grice
ed Eusebio: il circolo di Giuliano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Friend and teacher of Giuliano.
Grice
ed Eustatio: il circolo di Macrobio -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Appears in the Saturnalia of Macrobius.
Grice
ed Eutino: la setta di Locri -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Pythagorean
according to Giamblico.
Grice
ed Eutino: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean
according to Giamblico.
Grice
ed Eutosione: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Grice
ed Eutropio: l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend
of Sidonio. Chastised by Sidonio for manifesting an indifference to public
service that smacked of The Garden.
Grice
ed Evagrio: l’implicatura degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Evagrio was an aristocratic philosopher based in Rome.
Grice
ed Evandro: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Grice
ed Evandro: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. A Pythagorean, according to Giamblico.
Grice
ed Evanore: la setta di Sibari – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico.
Grice
ed Evareto: il circolo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He as a
philosopher in Rome, a friend of the lawyer and legal scholar Publio Salvio
Giuliano. Quinto Elio Egrilio Evareto.
Grice
ed Evete: la setta di Locri -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A
Pythagorean according to Giamblico.
Grice ed Evola: l’implicatura
conversazionale della romanità – l’implicatura di Romolo – filosofia romana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “Evola was a bit of a linguistic
philosopher; I enjoyed his rambling on the proper use of “Latin” versus
“Roman;” Evola notes that the implicatures differ. ‘Roman’ he links with
Spartan, and he opposes to the formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin”
he applies to “lingua romana,” as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I
had to think of the equivalent linguistic analysis by an English philosopher, I
can only think of DeFoe, and his satire on what constitutes an Englishman!
Later parodied by Gilbert and Sullivan and put to good effect in “Chariots of
Fire,” where Abrams is seen referred to as “HE IS.. an Englishman! For he
himself has said it!” -- - Italian philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone
di Castropignano. Studia a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto
in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio
divino e della grazia. Studia filosofia. Entra
in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa
alla esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il
conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo
del suicidio. Aderisce al Dadaismo ed entra in contatto
epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo magico. Si
deve superare i limiti dell'umano per andare verso “l'oltre-uomo”.Studia la teoria
e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel
“L'uomo come Potenza” compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del
tantrismo e del taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta:
passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo
pragmatico. Cerca infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali
calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia
un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico
e collabora a riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta
i circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano
qual è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è
trovato dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva
fantasticato chissà quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta
l'ha turbato, l'ha commosso, segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di
esoterismo. Conosce Reghini. Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma
ed esorta a ritrovare la grandezza della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere
qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto
la potenza augustea, solare, regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione
mediterrane? Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a
favore del concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a
difendere principi sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si
battevano per una Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni
personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di
Starace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce
a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla
fine, viene sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di
affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie
del corpo (come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette,
intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento
dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che
divengono due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente
pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo.
“La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi
quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una
serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati
pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le
posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia
in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale
europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia
fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue
ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau,
Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene
al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando
l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico.
Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito,
dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di
questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche restando
biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha perso la
propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data razza si
liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni teorizzazione
del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore tradizionale tra
coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con
tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo
obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serieta.
Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre note figure
della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se ne
dissociano. L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del
pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.
Anche Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale
che rinvia a Il mito del sangue di Evola. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro
di lui, con una vena più scadente, comparvero Romanini ed Evola. C’e tre ordini
di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, Evola riprende, seppur in maniera meno
esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una
gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di
avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della
Massoneria. E. non aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce di
arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda
guerra mondiale. Critica del germanismo tuttavia l'incompletezza
nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai
principi della "Tradizione".Per esempio una difesa della razza e improntata
giuridicamente e il potere e derivato dal popolo e non un potere regale di
origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini. Teorizza
dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri
principi e di far trionfare la cultura romana pagana delle origini -- un impero
europeo e pagano sotto la guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno
nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo rigorosamente
contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in
una Repubblica, intraprende tentativi di influenza.Si occupa di studiare e
combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria. Pubblica
“Impero”.Scrive E.: “Io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere
certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il
processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo stesso
banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del De
Monarchia e via dicendo.” Si tenta di effettuare una "doppia lettura"
dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica"
per gli "iniziati". Pubblica “Gli uomini e le rovine” che esercita
grande influenza negli ambienti della destra italiana nel quale spiega la
decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di
autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del
razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della tradizione. In
“Metafisica del sesso” tratta la forza magica e potentissima dell'atto
sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. L'«Operaio»
in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto metafisico ed immanente di
tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre”
sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è una fattiva
adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino del cinabro, la sua
autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste alla costituzione dei
“dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica,
di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti sulla romanità, il
paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di
intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è propugnatore del
Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato
in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da
un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana non si basa
su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e gestita in base a
criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale. Ogni
azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia
direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque
imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo avviene attraverso un
percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio,
nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli
eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da Evola si basa dunque
su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché
su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera
divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione),
utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di
contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). Non esiste differenza
quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale. Ogni dio un uomo
immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta una visione zoological,
in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle
influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi compiutamente.
L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque sulla base dello
spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo ultime il segno
visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale del quale
parla E. parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo zoologico,
rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano
dello spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano metafisico. Intendeva
potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una nebulosa
filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da E. a Croce (più una indirizzata all'editore Laterza.
Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza per
la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”. La
seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. E. scrive a Croce chiedendo aiuto per “La tradizione
ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, E. ringrazia Croce
per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi dell'editore
barese. E. invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le marcate
divergenze sul piano filosofico E. si discosta dall'attualismo gentiliano in
favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico) il pensatore
tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del mondo accademico.
Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il profilo speculativo
in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti, ed anche i
presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il tentativo di E. di aprire
un colloquio costruttivo rimane un fiore che non sboccia. Evola cerca di
costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di riferimento culturale
alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare così le
ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento extra-filosofico di cui il
mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo pretesto per l'ostracismo.
Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che accordava un posto
perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e di altri relitti
superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei termini di un
rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve. Però anche da parte mia vi e un
equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la mia fatica
speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di una introduzione filosofica
ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un significato nei soli
rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato luogo ad una profonda
crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di questo in seguito mi
resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè l'abito del pensiero
astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più sfavorevole affinché
tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da me indicato, con un
passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia riconosce ad Evola una
certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo
della tradizione di curare la voce “atanor” per l'Enciclopedia Italiana. Anche
alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolare
Calogero. Giuli successivamente riporta altre informazioni, relative al
carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della "Fondazione Giovanni
Gentile per gli studi filosofici", occupandosi dei saggi che Evola invia
con dedica a Gentile. Invia sette lettere a Schmitt che mette in luce da
una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori (Jünger, Mohler
e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la pubblicazione
in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista Cortes.Tale tentativo non
va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto di pubblicare
un'antologia schmittiana. Di rilievo, all'interno dello scambio
epistolare, le due divergenti visioni rispetto al ruolo dell'uomo politico e la
sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dittatura incoronata come
«necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un livello di una
dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per Schmidt, invece,
esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal concetto della
legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura incoronata significa
solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo espediente pragmatico come
una forma di salvezza. E in questo caso così come già ampiamente esposto in
Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di Evola ad un fondamento
trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile discrimine che non
può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario assume rilievo
in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti ideologici e
culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a
combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare con Benn, appartenente
alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice. Il primo incontro risale durante la
tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania. Da quell'incontro
scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di “Rivolta contro il
mondo moderno” che appare in “Die Literatur di Stoccarda”. Nel presentare
“Rivolta contro il mondo moderno”, Benn espone le sue teorie convergendo con la
visione del mondo di Evola. Si ha rintracciato tre lettere da Evola a Benn. Le lettere
sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due autori
rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo conservatrice,
oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel establishment. “Sono sempre
più convinto che a chi voglia difendere e realizzare senza compromessi di sorta
una tradizione spirituale e aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel
mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno che non si pensi unicamente a un
lavoro elitario». E un tentative di riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con
i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si tratta di una trentina di
documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del cammino artistico del
filosofo romano sono già note prima del rinvenimento della corrispondenza con
Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella sua autobiografia, in
parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità
di articolista, che ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache
d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto prima del rinvenimento
della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura evoliana nella sfera
artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava. L'archivio
della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il
vuoto di un periodo poco conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia
attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune date,
partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe
più specificamente psicologiche. In particolare quelle che portano Evola ad
annunciare il proprio suicidio e che raccontano di un uomo colto nel pieno male
di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive,
dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta,
posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage
intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico,
Todi-Roma, Atanòr); L'individuo e il
divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza,
Todi-Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo
pagano, Todi-Roma, Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino,
Bocca); “La tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno,
Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero
del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per
una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La
dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca);
“Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni
dell'Ascia); “Metafisica del sesso, Todi-Roma, Atanòr); L'«Operaio» in Jünger,
Roma, Armando); “Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller); Il cammino del
cinabro, Milano, Vanni Scheiwiller); “Saggio
di una analisi critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller);
“Raâga Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller); “Il taoismo, Roma, Mediterranee); Ricognizioni.
Uomini e problemi, Roma, Mediterranee); Lao Tze, Il libro della via e della
virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, Bari,
Laterza, René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, Emanuel Malinski, Léon De Poncins, La guerra
occulta, Milano, Hoepli, Gustav Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano, Fratelli
Bocca Editori, Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Fratelli Bocca
Editori); Bachofen, La virilità (Torino, Bocca); Gustav Meyrink, L'Angelo della
finestra d'Occidente, Milano, Fratelli Bocca Editori, Mircea Eliade, Lo
sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Fratelli Bocca Editori, Ur,
Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Otto Weininger,
Sesso e carattere, Milano, Bocca, Spengler, Il tramonto dell'occidente, Milano,
Longanesi, Eduard Erkes, Credenze
religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora I Versi d'Oro” (Todi-Roma,
Atanòr); Lao Tze, Il Libro del Principio e della sua azione, Milano, Ceschina, Gabriel
Marcel, L'uomo contro l'umano, Roma, Volpe, E. Jünger, Al muro del tempo, Roma,
Volpe, Hans-Joachim Schoeps, Questa fu la Prussia, Roma, Volpe, Erik Von
Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, Roma, Volpe); Theodor Litt, Le scienze
e l'uomo, Julius Evola, Roma, Armando, Pascal Bewerly Randolph, “Magia
Sexualis”, Evola, Roma, Mediterranee, K. Loewenstein, La Monarchia nello Stato
moderno, Julius Evola, Roma, Volpe) Robert Reininger, Nietzsche e il senso
della vita” (Roma, Volpe); Avalon, Il mondo come potenza, Roma, Mediterranee, Daisetsu
Teitarō Suzuki, Saggi sul Buddhismo Zen 1, Roma, Mediterranee, Lu Tzu, Il mistero
del fiore d'oro, Roma, Mediterranee, Lu K'uan Yû, Lo Yoga del Tao, Roma,
Mediterranee, Come “Carlo d'Altavilla”: Theodor Litt, Istruzione tecnica e
formazione umana, Roma, Armando, Gustav Meyrink, Alla frontiera dell'Aldilà, Napoli,
Casa Editrice Rocco, Litt, Spranger, Enrico Pestalozzi, Roma, Armando, Franz Hilker, Pedagogia comparata: storia,
teoria e prassi, Roma, Armando, Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e sport
dall'antichità ad oggi, Roma, Armando, Karlfried Graf Dürckheim, Hara: il
centro vitale dell'uomo secondo lo Zen, Roma, Mediterranee, Bernard George,
L'ondata rossa sulla Germania dell'Est, Roma, Volpe, Erik von Kuehnelt-Leddihn,
L'errore democratico, Roma, Volpe, Hans Reiner, Etica, teoria e storia, Roma,
Armando, Stephan Leibfried, L'università integrata: l'istruzione superiore
nella Repubblica federale tedesca e negli Usa,
Roma, Armando, Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo: introduzione ad una
filosofia della cultura, Roma, Armando, Walter Wefers, Basi e idee dello Stato
spagnolo d'oggi, Roma, Volpe, François Gaucher, Idee per un movimento, Roma,
Volpe, Keyhoe, La verità sui dischi volanti, Milano, Atlante, Altre: I saggi di
"Bilychnis", Padova, Edizioni di Ar, I saggi della "Nuova
Antologia", Padova, Edizioni di Ar, L'idea di Stato, Padova, Edizioni di
Ar, Gerarchia e democrazia, Padova, Edizioni di Ar, Meditazioni delle vette, La
Spezia, Edizioni del Tridente, Diario, Genova, Centro Studi Evoliani, Etica
aria, Genova, Centro Studi Evoliani, L'individuo e il divenire del mondo,
Carmagnola, Edizioni Arktos, Simboli della Tradizione Occidentale, Carmagnola,
Edizioni Arktos, La via della realizzazione di sé secondo i misteri di Mitra,
Roma, Fondazione, Considerazioni sulla guerra occulta, Genova, Centro Studi
Evoliani, Le razze e il mito delle origini di Roma, Monfalcone, Sentinella, Il
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Filosofia, etica e mistica del razzismo, Monfalcone, Sentinella d'Italia, Monarchia,
aristocrazia, tradizione, Sanremo, Casabianca, I placebo, Roma, Fondazione
Julius Evola, Gli articoli de "La Vita Italiana" durante il periodo
bellico, Treviso, Centro Studi Tradizionali, Dal crepuscolo all'oscuramento
della tradizione nipponica, Treviso, Centro Studi Tradizionali, Il ciclo si
chiude, americanismo e bolscevismo, Roma, Fondazione Julius Evola, Il Cinabro, Julius Evola, Il problema di
oriente e occidente, Roma, Fondazione Julius Evola, Fenomenologia della sovversione
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fascista,” Parma, Edizioni all'insegna del veltro, Julius Evola, Esplorazioni e
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l'operaio, l'anarca, Passaggio al Bosco,, Rigener Azione Evola, E., Il Fascismo
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"Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della
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Gianfranco De Turris, Testimonianze su E., Roma, Mediterranee. E., Il cammino del cinabro. Egli prende la
terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e
si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. L'estinzione
vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non
pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.” Lettere a
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futurismo e dadaismo, su juliusevola. Claudio Bruni, Evola Dada. Per un
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Atti del convegno di studi "E. e la politica", Alatri Emiliano Di
Terlizzi. Luciano De Maria, Introduzione a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione
futurista, Milano, Mondadori, Per un approfondimento sulla produzione pittorica
di Evola si rimanda a due cataloghi: Evola e l'arte delle avanguardie. Tra
Futurismo, Dada e Alchimia, Roma, Fondazione E., e Vitaldo Conte, Julius Evola.
Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, E., Il cammino
del cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur,
Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955. Per una trattazione esaustiva dell'argomento
si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, Sea R, Evola,
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Dada di Maurizio Murelli. DVD dalla
Società Editrice Barbarossa di Milano, della durata di 101 min., che ripercorre
il periodo artistico di Evola. Con musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma,
Wien, Zetazeroalfa. Pio Filippani Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo
Tradizionalismo, Paganesimo, Via romana agli dei, Fondazione E. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Rigenerazion Evola, Centro Studi
La Runa. Vatimmo, “E., un filosofo scomodo per tutti”; Approfondimenti sul
pensiero Francesco Rosati, Intervista a Evola, su juliusevola, Monastra, E. tra
la seduzione e l’aristocrazia. Michele Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org,
Alberto Lombardo, Da Rivolta contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Mario
Polia, Linee per una critica al concetto di tradizione in Evola, Giano Accame,
Evola e la Konservative Revolution, Luca Lionello Rimbotti, E. così com'era, Vitaldo
Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente, Aleksandr Dugin,
Astrazione e differenziazione in E., Opere dadaiste, futur-ism. 2artericerca.
Interviste Intervista a Julius Evola, su you tube Intervista a Tringali, su youtube
Intervista a Lami, su youtube Quando E. intervistò il conte Kalergi, su
rigenrazione evola. ROMA. E. parie dall’idealismo: il mondo è
per lui a rappresentazione dell’Io. Ma poiché l’Io subisce Kfa
rappresentazione del mondo come nn limite e wLffrc in essa la sua
passività, s’impone all’Io l’obblitpi pratico di sciogliere la sua passività in
atti- vità riducendo il mondo sotto il comando suo, [a- j rendo di
esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro- gresso di risoluzione
del mondo nell’Io è data dal- l’Occultismo magico. Dall’innesto
dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di E..
irò I; r„ Opere principali. Saggi sull’Idealismo magia.
L’uomo come potenza. Imperialismo pagano, Todi, Atanor; Teoria dell’individuo assoluto.
Fenomenologia dell’Individuo assoluto. Maschera e voi. to dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca; L’indivìduo e il divenire del
mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere; La Tradizione ermetica Bari,
Laterza; Rivolta contro il mondo moderno Milano, Hoepli. Ha diretto le
riviste Ur e La Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico.
La Grande Solitudine. Una volta che l’Io si sia costituito a principio a
sè, a centro distinto di autoriferimento. il fatto stesso che egli possa
comunicare con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che egli
possa in generale conoscere, appare come un singolare mistero. E poiché è
evidente che posto il soggetto da una parte, l’oggetto dall’altra non vi
è più alcun modo di intendere come quella lor congiunzione, in cui
consiste il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra parte l’Io
ha preso ormai coscienza di sè e non può più tornare a quello stato di
ingem )4 adesione, di compenetrazione con le cose cli f era appunto
condizionato dal suo non esser.! si ancora posto; resta aperta una sola
via al problema della conoscenza, e cioè: negar,, che l’idea di una
realtà esistente in sè stessa abbia un qualunque senso, affermare che ]
a sostanza delle cose consiste semplicemente nel loro venire
rappresentate o pensate dall’io, intendere dunque che l’intero sistema
mondiale, nella ricchezza sterminata delle sue forme, con i suoi oceani,
i suoi soli e ] t . sue vie lattee, non è che un fenomeno, una
apparizione che è di questo Io e per questo Io, fuori dal quale non gli
si saprebbe coerentemente garentire alcuna consistenza. Lungo una tale
via l’uomo vede dunque venir meno progressivamente tutti quegli appoggi e
tutte quelle naturali evidenze su cui prima riposava — tutto gli si fa
ora dubbioso, problematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che egli ora
si trova così e così determinato, che questa è la sua attuale esperienza,
queste le leggi e le categorie secondo cui egli si trova costretto
a pensarla. Ma circa il fondamento di tale determinatezza, di tali leggi
e di tali categorie, egli non sa nulla, e così nulla saprebbe garentirgli
che le cose, se così sono ed anche sono state nei casi osservati,
non possano ad un tratto cambiare, che ogni uni- L rI )iilà cd
ogni costanza non sia astratta e precaria, c h e , fondato su una
radicale contin- g c,lZ za , questo sistema di
fenomeni e di cateti» 1 ' j e non sia che un episodio fugace, disper- mia
incoercibile, imprevedibile vicenda. in Se, dopo di
ciò, l’individuo cerca ancora „ n punto fermo, egli soltanto nel suo io
può Irovarlo. Il mondo è una rappresenta- r joiie,
sta bene: ma si può forse parlare di Ljpprescnlazione, senza nello stesso
punto resupporre resistenza di un « rappresen tall- ite». di un
soggolo cioè che la rappresenti? [n mondo è un sogno: ma ogni sogno non
im- Iplica forse un sognatore? Si può chiamare f a | S o,
illusorio, non esistente l’insieme dell’esperienza — ma colui che sperimenta e
afferma cotesta falsità, illusione, non esistenza non può essere, lui,
falso, illusorio, non esistente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazione delle
cose che sono e non sono vi è dun- que una sola certezza: 17o. Soltanto
qui l’individuo, con un possesso, ha una realtà assoluta ed in sè stessa
evidente. Di tutto il resto _ dell’oceano sterminato dei nomi, delle
forme e degli esseri — non vi è reale certezza: parvenza, contingenza,
violenza di un bruto, irrazionale esser là, tali ne sono i princi-
pi. * lo solo sono — il resto è mia rappresentazione: in ciò si può dunque
intendere la conclusione del secondo stadio della storia della
coscienza. Prima di passar oltre, occorre rilevare v necessità che
questo momento critico deli storia ideale dell’individuo sia portalo e
vk suto sino a fondo. Non prima che egli abbj a di tutto dubitato e
tutto negato, non prima eh,, egli abbia fatto intorno a sè il deserto,
noft prima che di ogni realtà abbia sofferta I’j N realtà, di ogni
evidenza la precarietà, di ogi,, luce l’oscurità: non prima che egli
abbia di- strutto ogni appoggio e ogni rifugio ed abbj a realizzato
il punto della grande solitudine — non prima di ciò l’individuo può
chiamarsi veramente tale, non prima di ciò egli è un essere autonomo ed
autocosciente. E’ quest,, atto negativo, questo assoluto strapparsi
da quanto prima gli dava consistenza — che ora lo fa essere. Così
come secondo l’energico detto di STIRNER: l’Io non è tutto, ma ciò che
distrugge tutto; per questa assoluta negatività albeggia nell’uomo quel
principio tragico che — come fu distintamente visto dal
buddhismo — lo fa superiore all’insieme della natura ed allo
stesso regno degli dei. Si può
precisare il luogo di un tale Io come segue. Ogni esperienza è
inseparabilmen- te accompagnata dalla nota, implicita o espli-
cita, di essere una mia esperienza. Uautorife. rimento, l’ahamkàra della
metafisica indiana, è la condizione elementare, senza di cui non è
concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui posso concretamente
parlare è iella che, in un modo o nell’altro, si risolve r
eal |:l in ull a mia esperienza. Ora è possibile
staccare cpiesto principio di autoriferimento dai particolari contenuti
delle esperienze per rilegarlo in un certo modo su sè stesso. Allo- ra s
i ha: IO — IO, cioè una nuda esperienza, un possesso, qualcosa di
semplice e di ineffabile. Questa nuda esperienza si presuppone, ,|i fatto
e di diritto, a qualsiasi altra esperienza si può dire che essa è come la tela
sul- i a quale poi tutte le particolari esperienze si ritagliano:
qui si ha quel veggente che non -, mai veduto », quel « conoscente che
non è ina i conosciuto, quel punto di centralità pura di cui parlano le
Upanishad, e rispetto a cui ogni particolare esperienza, fenomeno o
pensiero è un posterius, qualcosa che vie- ne dopo e che sta alla
periferia. Si badi: qui non si tratta nè di un io superiore, nè di
un io inferiore, nè di un io empirico, nè di un io trascendentale, —
semplici nomi e astrazioni concettuali — bensì del mio I>>, di
quella assoluta presenza che sono nella profondità del mio essere
individuale. Ora che un tale Io sia qualcosa di immoltiplicabi- lr,
qualcosa che è solo e senza un secondo, è troppo evidente. Parlare di
altri Io da questo livello è infatti contradizione in termini. Gli altri
Io, in quanto sono altri, non sono io, bensì dei particolari contenuti p
P senti nella mia esperienza — dunque degl; oggetti, dei
conosciuti, al più il concett di un conoscente e di un soggetto, non il
So getto, non il conoscente quale è in sè stesso (cioè: come
autoesperienza), che, come t a |^ esso è unico e incomunicabile. Fenomeni
pJj tieolari in questo grande fenomeno, che è il mondo a cui, come
individuo, mi sveglio, altri io ne partecipano la contingenza, sono
qualcosa il cui principio mi sfugge, di cui non ho alcuna reale certezza --
forse che ara che i sogni non mi presentano la parvenza di altri
esseri simili a me? E non potrebbe essere la cosidetta esperienza reale
un sogno più po. tenie e costante impresso in me, come lo suppose la
scepsi cartesiana, da un qualche spirito? -- che cadono fuori da quel centro
che, solo, può costituirmi una terra ferma nel gran mare
dell’essere. E’ questo un punto su cui occorre richiamare particolarmente
l’attenzione: colui che, o per preoccupazioni morali e sentimentali — a
dir vero riconnettentisi alla precedente fase dell’evidenza naturale — o
per insufficienza di riflessione critica, non sia giunto ad estendere il
dubbio sulla realtà stessa degli altri soggetti, epperò a
concepirli come null’allro che mie rappresentazioni, quegli non ha
veramente condotto a fondo quel distacco, di cui poco fa si è parlato,
ep .SO però non ha ancora perfettamente
realizzala la pura essenza dell’individuale. Costui non è ancora
maturo per il passaggio alla terza epoca giacché di nulla può avere
assoluta I certezza quei che prima non ha saputo di tulio
dubitare. Passando dunque alla terza fase, diciamo subito che in
essa si ha un superamento del lato negativo connesso all’adergersi
dell’individualità. Come chi una avversa vicenda avesse gittato sur una isola
deserta incalzato, di là dal primo sgomento, dalla volontà di vivere, va
a cercare ed a creare mezzi per una nuova esistenza, così 1 individuo,
che si sente ormai solo con se stesso nell’intero ambito del mondo, può
essere portato a trarre dal proprio interno un principio che sappia
fissare una nuova realtà di là dall’ordine della parvenza e della mera
rappresentazione, in cui ogni cosa ormai è andata sommersa. Questo
principio è LA POTENZA DI DOMINIO. L’io, infatti, non è una cosa, un
dato, un fatto, ma, essenzialmente, un centro profondo di volontà e di
potenza. Come lo dice FICHTE, egli non è, che in quanto si pone — e
soltanto un puro porsi è, a dir vero, il suo essere. Come tale si rivela,
per un ulteriore autoapprofondimento, la natura di quel punto fermo, che
si è realizzato nel secondo stadio. Ora questo punto fermo può comunicare
la propria consistenza a quel che non ne ha, e ciò evidentemente quando
si vadano a riprendere secondo il rapporto pro- prio ad una affermazione
incondizionata dell’individuale i vari ordini di quella realtà, che prima
appariva irrazionalmente, in bruta con- tingenza, senza partecipazione
della volontà dell’io — quasi come in un sogno. Resta da procedere
ad una determinazione di questo stadio, tale che si definisca l’oggetto
della presente trattazione, e cioè il rapporto del- l’individuo al
divenire del mondo. Nel frattempo si può dire quale sia il criteiio di certezza
che si impone a questo punto. Esso è espresso dal principio. Vi è
assoluta certezza — ed è postulatile realtà — soltanto di quelle cose,
dell’essere o del non essere, del- l’essere cosi o dell’essere altrimenti
delle quali l’io ha in sé, in funzione di dominio, il principio o la
causa', delle altre, solamente nella misura di ciò che in esse soddisfa
ad un tale criterio. Queste cose dipendendo infatti interamente
dalla potenza dell Io, partecipano dell’intrinseca evidenza che è inerente
al nudo principio di questo. Volendo dunque sviluppare la
posizione assunta dalla coscienza nel terzo stadio, si ns idererà
l’unica vera obbiezione incontra- W dall 'idealismo assoluto.
Nell’idealismo assoluto si ha la dottrina che cerca di trasfor- I re in
qualcosa di positivo quel lavoro ne- 1 ,ivo di critica e di scepsi che
definisce il secondo stadio. E ciò cessando di intendere I il
inondo come un fenomeno, come una sem- jj cC apparizione (unica legittima
conclusio- I „ e dell’indagine critica) per intenderlo invece [
come qualcosa di posto, di creato dall’Io. Per- Bianto quando si parla
non più di rappresenta- la bensì di porre e di creare, entra in
giuo- Ico il concetto di una libera volontà, ed allo- I rii sorge
questo problema: lo posso ben ri- B durre il mondo alla mia ruppi
esentazione, nui fino a che punto posso ridurlo anche alla mia
volontà ed alla mia libertà? Qui bisogna porre un punto
fondamentale, e cioè intendere l’essenziale differenza che in- I
lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spon- taneità là dove il
possibile essendo identico al reale ossia dove quel che è essendo ciò
che soltanto poteva essere, l’atto ha la forma di I una
inconvertibile compulsione, di un bruto accadere e scatenarsi, ed è
passivo, impotente rispetto a sè stesso. Invece nella volontà vi f è una
eccedenza del possibile sul reale, non si passa cioè dal possibile al
reale immediata- mente, ma un punto di autarchia, di potestas, domina
l’atto come l’estrema, incondizionata ragione del suo essere o del suo i
1(Jll essere, del suo essere così o del suo essere altrimenti come
alto che è solamente uno c| e j possibili, anzi dei compossibili. E’
importante notare che tanto la spontaneità che la volontà possono
dirsi libere: però mentre nella spoj,. taneità si tratta di una libertà
affatto ncgatj. va, di una libertà cioè che vuole semplicenieji. te
dire: non essere determinato dall’esterno, nella volontà si ha una libertà
positiva, una libertà cioè che significa assoluta assen- za di
condizioni, siano esse interne che esterne, e quindi contingenza, o, se si
preferisce, arbitrarietà dell’atto. Una volta compresa questa
distinzione, che non poggia tanto su concetti e sottigliezze
intellettuali, quanto piuttosto sur un dato immediato di coscienza, sur
una evidenza interna che o si ha o non si ha, quando l’idealista assoluto di
contro al sistema della realtà afferma essere stato l’io a porlo, è
evidente che egli si riferisce non ad una volontà, ma ad una
spontaneità. Egli si riferisce infatti a quell’attività onde le cose
vengono percepite e rese intime al nostro Io, a
quell’elementare assenso onde ci si accorge di esse — as- senso che
se è condizione necessaria per ogni realtà, in quanto realtà sperimentata
dall'Io (e di altra realtà noi non possiamo coerentemente parlare), è ben
lungi dall’essere anche r
^dizione sufficiente. Infatti nel rappresen- c , il reale non è
dominato dal possibile, l’io passivo rispetto al proprio atto — non tanto
Lff ernia le cose, quanto piuttosto è come se i L » cose si affermassero
in lui. Come la passione e l’emozione, la rappresentazione è sì qual- ,
sa di mio, qualcosa che io traggo dal mio proprio interno (e fin qui
arriva la legittimità dell’istanza dell’idealismo, del resto soddi-
sfatta sin dal Leibniz), ma non è me, giacché jo non posso darla
liberamente a me stesso, giacché io non sto in rapporto di signoria
alle determinazioni di essa, onde mi si dispiega lo spettacolo
della realtà che è questa realtà, |l0) i la realtà che io voglio.
Conseguentemeu- i c; in tanto l'idealista può dire di essere stato
[lo a « porre » la natura, in quanto egli riduce l’io a natura, cioè in quanto
di quello, che. c libertà, non sa nulla, o, per meglio dire, fa
come se non sapesse nulla, e, con evidente paralogismo, mutua il concetto
di Io con quello del principio di spontaneità. Posso dire di essere stato
io a porre la natura, ma io in quanto sono spontaneità, non in quanto
sono propriamente un Io, e cioè libertà e dominazione. E questo è il
primo punto. Il realista, riferendosi propriamente al punto della
reale individualità, avanza dunque una istanza che è interamente legittima.
Egli ci pone dinnanzi ad una qualunque contingenza dell’esperienza, per es.
dinnanzi a ,| una tempesta, e ci domanda se possiamo ( |j. re di
essere stati noi a porla. Mentre q U j l’idealista risponderebbe
con l’affermativa e ciò perchè, come si è detto, per lui porre
significa semplicemente rappresentare C o a libera necessità — noi invece, riferendoti ad un porre
che il principio del dominio dell’incondizionata libertà comandi, risponderemmo.
Ciò, in verità, non è posto dal- l’io. Altro non chiede il realista per
dire subito. Poiché ciò non è posto dall’io, vi deve essere un “ altro ”
a porlo » — ed inferisce ad una causa reale o esistente in se stessa
delle rappresentazioni, quale Dio, la materia, il noumeno, ecc. Qui sta
invece l’errore e il punto su cui ci si permette di richiamare tutta
l’attenzione del lettore. — Dire che io, come lo, cioè come principio
sufficiente e libero, non posso riconoscermi come causa incondizionata
delle rappresentazioni, non vuole affatto dire che queste rappresentazioni
siano causate da altro e abbiano per substrato delle cose reali o
esistenti in sè stesse, ma vuole semplicemente dire che io sono
insufficiente ad una parte della mia attività, la quale è ancora
spontaneità, che una tale par- te non è ancora MORALIZZATA, che l lo come
libertà in essa soffre una PRIVAZIONE. Tutto ciò su cui non posso, tutto
ciò che re- 5 j e a iia mia volontà, non è che una privazione
di questa volontà stessa, qualcosa di ne- (ivo, non un essere, ma un
non-essere. Per- il realista va respinto par ime fin de non ecevoir
: egli nel suo riferirsi ad un altro -- Dio, noumeno, sostanza, ecc. — fa del
non- ^sere un essere, chiama reale ciò che essen- j 0 solamente una
privazione della mia potenza , essendo nuH’altro che una negazione ed ’
vuoto nel corpo immoltiplicabile della mia attività, si dovrebbe invece,
secondo giustizia, dire irreale. Così conferma questa privazione
slcssa così {ugge-, all’atto che,
dominandole, possedendole, annulla le cose (1) e redime la privazione,
egli invece sostituisce l’atto che le riconosce e che dà loro
superstiziosamente un essere e una realtà autonoma. Proprio al
primo atto si appunta invece il criterio di certezza della terza delle fasi
indicate: esso chiede cioè che l’Io libero e nudo dell’individuo possa
veracemente affermare il principio dell’idealismo assoluto, epperò dire. In
verità, io stesso son la causa ed il signore di questo mondo, in
cui mi vivo. Ma quando sarà possibile affermare ciò? Evidentemente quando l’individuo
abbia redento in un corpo di li- ti) Naturalmente: le annulla in
quanto sono altre, per affermarle invece come gesti di una vulon- U)
potente. berla l’oscura passione del mondo, quando abbia
fatto passare la forma secondo cui egli vive l’attività rappresentativa
(quell’attività cioè per cui si forma in lui lo spettacolo
dell’universo), da spontaneità — da coincidenza di possibile e reale — a
nuda, incondizipnata causalità, cioè a: volontà potente. Ora
che soltanto in una tale veduta l’atto dell’individuo abbia un valore
cosmico, e che invece in quella del realismo all’attività venga tolto
ogni vero senso e scopo, può risulta- re ad ognuno chiaro. Infatti
l’attività ha veramente un senso ed un valore soltanto là do- ve vi è da
far reale qualcosa, che già non e tale. Questo caso si verifica appunto
là dove l’altro — ossia ciò che rispecchia il limite Come questa
trasformazione, che affermiamo essere non un mito, ma possibilità reale,
possa poi praticamente compiersi, è un problema da noi trattalo almeno
nei limiti in cui sia possibile pubblicamente e genericamente trattarlo —
altrove, c che qui non trova posto. Si può dire soltanto che è un
compito a cui nè cultura, nè devozione, nè FILOSOFIA, nè arte, nè morale, nè
nient’altro di ciò che gli uomini chiamano spiritualità, può portare il
menomo contributo. Quanto alla FILOSOFIA, il suo limite è l’idealismo
magico, in cui perviene a riconoscere la propria insufficienza e a postillare
la realizzazione della potenza come ciò in cui i suoi mas- simi problemi
possono trovare l’unica assoluta lo- ro soluzione. Ella mia ,i,)erla
— venga inteso non come "f 1 realtà bensì come una negazione ed
un K » 0 - allora il mondo appare come qualco- ' l \]i incompleto,
come qualcosa che chiede E u a integrazione a quell’atto
dell’individuo, ILe 1« necessità si faccia libertà, a quello f ii u
pp° deirautoaffermazione onde l’attuale potente dell’unico si estenda e
riaffermi r q U anto ne è la privazione. Se invece si po- f c i K .
1’ « altro » in quanto tale — cioè pro- |Ljo come quel principio che
limita la mia |j!j )ert à — sia non una privazione e un non-es-
bensì una positività e una realtà — allo- ro tutto è già perfetto, tutto
è già essere, e „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni va- lore
dell’attività e del divenire, ogni responsabilità vengono meno — giacché i
vuoti del ìmio essere non sono anche vuoti dell’essere in generale:
l’altro, con la realtà attribuitaglili riempie. Invece nell’altro caso tutto
il inondo appare come una oscura, dolorosa richiesta all’Io affinchè
questi si dia a sè me- desimo secondo potenza e, in ciò, lo attui
nell'essere, in ciò lo redima dalla privazione, in ciò lo faccia reale. E
il divenire — ciò che io faccio — ha allora un valore, un valore
cosmico. Esaminando più da vicino la posizione realistica, si vede
che essa si fonda su questo presupposto: che una attività imperfetta, una
attività limitata da per sè stessa non poJ sa venire concepita, che non
appena sia p r .ì sente una attività limitata si debba snjjju
pensare a qualcosa che sia causa di questa limitazione. Infatti così sta la
quistione nel problema della conoscenza: nelle cose vi è Utl aspetto per
cui esse indiscutibilmente dip,.,,. dono dall’attività dell’Io, aspetto
che si rif c . risce al loro venire in generale rappresentale o
sperimentate; ma vi è anche un secondo aspetto, che rappresenta un lato
negativo nell’attività dell’Io, riferentesi appunto aU’in 1J)(> .
tenza di percepire, non percepire o trasmutare la percezione come si
vuole. Ora su che cosa si basa il realismo? Appunto su ciò, che à
sente il bisogno di dare una spiegazione a questa limitazione, che esso
non vuole ammettere che una attività limitata, cioè una attivi- tà
incompleta, sia ciò che sta prima, e quindi sente il bisogno di spiegare
la limitazione con qualcosa di altro. Si riferisce dunque ad una
realtà distinta dall’Io come causa delle rappresentazioni. Ma un tale
presupposto ilei realista è ciò che vi può essere di più
contestabile. La concezione a cui si rimette è questa: che ciò che
sta prima debba essere l’assoluto e che tutto ciò che è particolarità e
finitezza non sia concepibile altrimenti che come una negazione
operata da parte di un altro. L Ila pienezza di questo assoluto
preesisten- tratta cioè della posizione platonica e te -noziana,
espressa dal principio: « Ciò che ' veramente, è l’universale; il
particolare da 1 ' s è stesso non esiste, cioè: in ciò che esso .
l’universale, e in ciò che è propriamente Articolare non è, è fredda e
piatta negazio- r s Ora ad una tale concezione si può con- Lmporre
l’altra, secondo cui non si va a pre- ' apporre 1,asso,uto al
finito e al P articolare’ f. aim nette invece che ciò che sta prima
sia precisamente il finito e il particolare, intesi \ r ò non come
qualcosa di in sè contraditto- Ijjjo bensì come qualcosa di incompleto,
non conni qualcosa che non esiste da sè stesso, bensì come qualcosa
che già in una certa misura possiede l’essere e rispetto a cui l’assoluto non
ne sarebbe la negazione, ma lo sviluppo- P unto in cui esso va a rentlere Per
' folto il proprio principio secondo un proces- so continuo dal
meno al più, dalla potenza all’atto, da un grado più povero ad un
grado pii, intenso di attualità e di essere. Ora in una tale
concezione — che si impone dovunque sviluppo, sintesi e divenire non
siano un vuoto nome — a ciò che viene prima, in quanto viene prima,
inerisce un certo grado di privazione, il quale gli è naturale e in
nessun modo chiede di venire spiegato. La sua spiegazione, se mai, non
sta indietro — in un assoluto limitato dalla potenza di un altro — bensì avanti
— nel processo dell’incornpi^ to che si integra, della potenza che arde
nel l’atto, onde non vi è propriamente da spiega re, ma da agire,
da procedere in una più j, tensa affermazione. E’ importante notare la
relatività del conte!, to di privazione. Un dato elemento non è mai p ri
. vazione in sè, ma sempre in relazione al valore del- Pautarchia.
Il passaggio ad un tale valore fa di q ll( ,| che era positivo come
spontaneità qualcosa di ne- gativo e di in potenza rispetto al punto
ulteriore. Cosi pure per chi non vuole passare dal punto di vista logico
a quello della volontà il concetto di privazione non è intelligibile, ma
allora l’idealismo astratto resta l’ultima istanza. Quando si crede di
superare la presente dottrina spiegando la privazione con una realtà
distinta, non si fa un passo avanti ma un passo indietro, giacché si [
a uso della categoria logica della causalità, con il chi- questa
stessa realtà diviene condizionata, logicamente posta dall’Io. E il cerchio si
richiude e il livello critico resta il limite. Si passa invece oltre per
un assoluto positivismo. Quale è la differenza fra una cosa reale ed una
imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egualmente; ma di là da ciò
l’attività rappresentativa a cui corrisponde la cosa reale è una attività
rispet- to a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui non posso.
Questo è tutto. Il problema di interpretare questo non-potcre non lo
risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi tacciamo di intellettualistica,
di astratta, di irrile- Si può dunque contestare il
presupposto lei realismo, si può non concedere il concel- |.
gpinoziano del finito come negazione su : peso si basa. Poiché le
cose sono, in quan- cu* ^ f anzitutto sono rappresentate,
cosi che un ole rispetto a ciò che davvero importa a questo
unto ogni ricerca di tale genere. Questo è un punto fondamentale: noi
affermiamo che la spiegazione EL] fatto che si è impotenti in certe
situazioni con ricorso ad un altro — cosa in sè, Dio, storicità dello
spirito et similia — è una psendospie- Laziorie, anzi un circolo vizioso
per questo: che in noi il concetto di « altro » trae il suo senso e il
suo fondamento dal concetto di non potere, il quale l ciò che sta
prima e di cui oggettività, cosa in sè, ilio. ccc. non sono che tanti
simboli e traduzioni intellettuali. Le cosidette cose reali sono
simboli ,1,1 mio non-potere, della mia privazione. E’ perché sperimento
una privazione che chiamo reale una cosa c non viceversa. La privazione
spiega il concetto di una realtà oggettiva e non la realtà og-
gettiva il concettò di privazione. Segue da ciò una dichiarata
professione di agnosticismo, un arreco dinnanzi al nudo fatto del non-potere
con ri- nuncia a spiegarlo come che sia? Niente affatto. Ciò che
neghiamo (non perchè non ne possiamo dare una, ma perchè tali spiegazioni
non ci servono e non ci bastano ) è la pseudospiegazione
intellettuale, che lascia i fatti come sono, che non trasforma il
rapporto reale della mia potenza con le cose. (Si crede sul serio che la
miseria e la contingenza che dannano l’essere finito siano in qualche
cosa rimosse quando le si spieghino con la materia anzi-
grado di attività e però di positività è già j n , plicito; poiché
l’Io si può sperimentare imme- diatamente come una energia, come un p r j
n . cipio di azione, come qualcosa che non chi e . de ad altro il
suo essere; poiché di diritto non esiste un limite inconvertibile per lo
svilupp,, del potere; non vi è alcuna necessità di t ra . scendere,
in ordine al problema del conoscere, il concetto di una attività imperfetta (qu
a . le è la spontaneità rispetto alla volontà) che solo, ci viene
imposto da un esame positivo e spiegare la rappresentazione con il
riferimento realistico ad un altro che la causi e la sottenda. In ciò si
avrebbe non tanto una che con Dio. con l’io trascendentale anziché
con la materia, e cosi via, in simili cattive e a buon mercato
astrazioni?. La spiegazione che l’ idealismo magico esige è ben altra: è una
spiegazione mediunte l’azione, una spiegazione risolutiva: è ex-plicare,
ossia attuare, rendere perfetto: far passare in atto ciò che è in
potenza, in perfezione ciò che è imperfezione, in sufficienza ciò che è
insufficienza, secondo un processo sintetico, originale, creatore. Questa è la
sola, vera spiegazione. Il resto è passatempo. Noi aspramente combattiamo
tutta la rettorica intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia
a discorrere intorno alla sua impotenza (ciò noi intendiamo quando ci si
parla di verità, razionalità, ecc., anziché balzare finalmente in piedi,
impugnarsi e, ardendola, farsi ciò che in sé è: un Dio, un costruttore
del mondo. Baione intellettuale, quanto piuttosto il Rfjsnia infingardo
di colui, che, insufficiente, dall’atto. perciò la concezione che si
presenta al ter- s tadio dello sviluppo dell’individuale è, tj
complesso» la seguente: un continuum di Eit’vità che ha per limiti da una
parte la spon- f c ità, dall’altra la volontà libera. La spon- r c
jtà è l’universale, la volontà libera l’individuale. Questi limiti stanno fra
loro come po- I a adatto: tutto ciò che nell’esperienza è Eretti
vità, immediatezza, necessità, è, rispet- to al punto dell’individuale,
il non-essere ine- [fcnte a ciò che è in potenza — e qui si com-
anderà forse a che cosa alludessero certi fistici quando parlavano
dell’oscura passione del mondo, dell’indicibile sofferenza dell’esistenza in
cui il corpo dell’ uomo I celestiale è crocifisso. Di una tale
tenebra, di una tale privazione, la libertà è l’a//o e la Lm ma
luminosa; e il mondo diviene, si fa reale secondo realtà assoluta
soltanto in e per questa fiamma, cioè soltanto nella misura in cui
l’individuo, affermandosi nel punto della potenza e della dominazione,
consuma, arde ! la sua originaria natura, fatta di spontaneità. Da
qui un punto fondamentale: Solamente nell’individuo assoluto, solamente
nell’autarca il mondo diviene reale: la sufficienza che egli si dà a sè stesso
dà alla natura un essere, una consistenza, una certe?*., e una ragione
che essa, prima di lui, non p 0 . siede già, ma chiede. Onde cercare la
verità e la certezza nella natura è un assurdo: <jj ac> che
la natura in quanto tale è privazione axépTjotc e la certezza e la verità
non l’ha i n sè, ma nell’individuo, epperò in tanto Pi la in quanto
l’ individuo se la dia a sè stesso. Il mondo è, soltanto se egli è. Ma questo
essere egli non potrà mutuarlo da nulla, chè, avuto «la altro, esso
non sarebbe più essere, essere essendo soltanto ciò che è da sè stesso
< xxil’ aùtó); se dunque egli non si fa il salvatore di sè
stesso, nulla mai potrà salvarlo. E’ così che la spiegazione e la verità
non stanno dietro, ma avanti — e non in un dedurre, ma in un
passare all’atto. Tutta la natura, insieme di esseri condizionati,
insieme di esseri che si rimettono ognuno ad altro da sè, gravita
sull’individuo: quei che non ha bisogno di nulla, quei che non si
appoggia su nulla — è ciò di cui tutti gli esseri hanno bisogno, su cui
tutti gli esseri si appoggiano e con cui, nella misu- ra in cui
essi sono, sono uno. Egli solo, come colui che ha in sè stesso il proprio
principio, come colui che è ente di possesso, clic è persuaso,
sostiene il peso del mondo: a lui, che consiste, il processo universale
si appen- de e in lui trova la sua condizione, ciò per cui
dall’eternità è, ed in cui ha la sua destinazione finale. Perciò solamente nel
punto in cui l’individuo si attua nella folgorazione jello potenza
sorge una finalità, una ragione f ii uno scopo nella natura: non prima ;
è lui che gliela dà. Essa la chiede al suo atto. Ep- però un solo
imperativo ha ormai l’indivividuo: «SII, fatti DIO, e in ciò fa essere, SALVA H
mondo ». 3 ) Il mondo, atto dell’Io. A lumeggiare
questo punto, connettiamo due ultime considerazioni, riguardanti
l’una il problema dell’essenza e dell’esistenza, l’al- tra quello
dell’uno e dei molti. Le cose sono essenza ed esistenza.
L’idea di cento talleri e cento talleri reali non sono
evidentemente la stessa cosa. Pertanto nei cento talleri reali, così come
lo ha mostrato KANT, non vi è logicamente compreso nulla più che
non sia nell’idea dei cento talleri. Ne segue che in tanto si fa
differenza fra gli uni c gli altri, in quanto ci si riferisce a
qualcosa ili irreduttibile all’elemento logico. Questo qualcosa è
1’ « esistenza », opposta all’essenza, o, più rigorosamente, l’esse existentiae
opposto all’esse essentiae. Ed ora un secondo punto. All’essenza, al
che cosa è di una determinata realtà principio esplicativo è il
concetto: quando una realtà venga mediante il concetto geneticamente
costruita in tutte le note che la individuano, l’istanza esplicativa
nell’ordine dell essenza è esaurita. Pertanto che un oggetto di cui si
sia interamente penetrato ciò che è, sia, il nudo fatto del suo
esser là come oggetto reale, ciò costituisce un punto che sfugge
interamen- te alla spiegazione razionale, è un àXcyov — e principio
esplicativo ad esso adegualo è non il concetto, bensì la volontà o, per
meglio dire, la potenza. Infatti il puro essere delle cose costituisce
per me un mistero fin quando esso ha carattere di bruto dato, di qualcosa
che è là senza partecipazione del mio volere, im- ponendosi anzi
secondo violenza a questo; breve: come una privazione della mia attività.
Mentre l’essenza posso pensarla e quin- di costruirla, l’esistenza
semplicemente la patisco — e per questo mi costituisce una oscurità. Si
imagini invece una situazione in cui possa connettere Tesserci delle cose
al loro volerle incondizionatamente, cioè in cui la mia volontà
avesse valore di potenza creatrice: allora la loro esistenza di fatto di là dal
loro concetto cesserebbe di essermi un mistero, essa al contrario mi sarebbe
perfettamen- te intelligibile — essa sarebbe spiegata. Essenza ed
esistenza hanno dunque per rispetti- vi principi esplicativi la
costruzione ideale opera del pensiero e la causazione reale l"[
0 pera della volontà. E questo è il secondo punto. Il terzo punto è il
seguente, che fra costru- F" nza od esistenza — non vi è
differenza di « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà 1111
ideale e volontà creatrice — quindi fraatura. ma soltanto di grado.
L’idea è già un dell’affermazione reale; e la eosiddet- f* realtà
oggettiva non è che l’affermazione pii 1 intensa e
completa di quella potenza che forma elementare, determina la cosa sempliceinente
pensata o rappresentala. La realtà non è che l 'atto dell’idea, ciò in cui
questa individua ed esprime interamente sè, cosi copidea non è che una
realtà in potenza, os- sia U na realtà semplicemente abbozzata o
al- lo stato nascente. Fra l’una e l’altra non vi è dunque salto,
vi è invece progressività. Il penderò di cento talleri e cento talleri reali
non sono evidentemente la stessa cosa — ma ciò n0 n
qualitativamente -- cosi come potrebbe pensare chi crede che il pensiero,
anziché un'Impotenza, sia l’imagine impersonale di una realtà
oggettiva -- ma intensivamente, nel senso che i cento talleri reali sono la più
profon- da, intensa potenza, relativa propriamente all’atto magico,
dell’affermazione corrispondente ai cento talleri pensati. Ed ora uniamo questo
risultato a ciò che si è detto poco la. Vi è una esistenza che è
morte, privazione, irrealtà — e tale è quella corrispondente
spontaneità rappresentativa, residuo .yl prima epoca, in cui l’atto è
passivo rispep sé stesso, die l’Io non domina come il SUo gnore. Di questa
esistenza non vi è certeàjj vera: non dipendendo da me come la n»«
ne o 1 emozione, essendo un puro accade un principio di radicale
contingenza la ripr e i de. Vi è invece una seconda esistenza, che
i quella che una volontà elevatasi a pot eri2 può
incondizionatamente produrre: sola mi! te questa è propriamente
esistenza, realtà ajJ solida, e solamente di essa — ove si trova L
nn giunto soltanto con se stesso in un possesso ed in un dominio —
l’Io può avere una reale) certezza. Fra l’una e l’altra di tali esistenze
vi è l’attività mentale propriamente detta. J In altre parole: di là dal
limite ideale del regno della pura necessità — della natura e della
spontaneità — come di là dalla sua privazione, l’individuo fruisce
nell’ordine razionale o ideale di un primo grado dell’at- tualità
sufficiente e della libertà. Questo gra- do procede verso la sua
perfezione nello svi- luppo secondo cui la potenza si riafferma in
livelli sempre più complessi e profondi della spontaneità — dell’antica
natura o dell’uni- versale — fino a dominare lo stesso grado
intensivo dell’esistenza reale. Allora da oscura passione e da feroce deserto
fatto di pii- Rione, il mondo si farà l'atto stesso dell’individuo, ed in
ciò sara redento e persuaso . . . Ji l'Individuo Assoluto.
Si può raccogliere insieme nel modo se- dente quanto si è
detto. Il punto di partenza è l’universale, il qua- L
nell’ordine della realtà non costituisce il grado più ricco — come lo
vuole il platonico — ma invece il grado più povero, non il punto di
arrivo, il terniinus ad quem, ma il punto di partenza, il terniinus a
quo. In esso s j ha infatti il semplice stato dell’essere che trova
sè stesso, che è pura spontaneità, che nini si possiede ma,
semplicemente, è. Stato di pienezza e di luce per l’io non ancor nato,
t presso al punto dell’individuale esso appare invece come oscurità e
morte. Cosi in un primo momento esso si dissolve nel mondo della parvenza
e della mera rappresentazione; in Jan secondo momento viene sentito come
passuine infinita, come il dolore cupo e muto della privazione, come
l’indicibile crocifissione nel mondo della necessità. Ma, nata da
lui, questa morte l’individuo la assume ora con gioia. Egli è
sufficiente ad essa. Egli sa che soltanto il suo proprio, sovrannaturale
valore l’essere fatto di possesso ne è la causa; egli la riconosce
come la materia, dalla q a . lo soltanto egli potrà trarre lo splendore
<ij una vita e di una realtà assolute. Ed allora l’oscurità
gradatamente si illumina, allora dall’abisso della necessità sorge il
fiore ferribile dell’individuo assoluto. Egli si erge lentissimamente nel cielo
senza stelle, liacndosj dalla vampa di ciò che egli divora nella
sua potenza. Le cose e gli esseri muoiono nell’intensità vertiginosa di
lui che, gradatamente, irresistibilmente, diviene — che, spaventevoh
nella sua purità, è signore del Sì e del K? Dominatore dei tre mondi. E in lui,
ente di possesso, ente che arde e fiammeggi, il processo
dell’universo avrà con il suo allo, la sua consumazione o perfezione
tinaie. Questo è, ad un dipresso, il senso del sistema che io sostengo; nel
quale da una parte ho cercato di fondere il problema gnoseologico e il
problema ontologico con quello etico e della autorealizzazione o magico;
dall’altra, di rivendicare il valore dell’individuo e di fargli nascere
la coscienza del suo compito e della sua dignità cosmica. E’ ciò che io
riconosco come verità, o, per meglio dire, è ciò che io voglio come
verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e
Lettere. Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO
writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a
divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and
inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to
consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other
people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque
superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi
mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or
superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the
only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no
value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there,
they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly
historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced
by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by
the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those
little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all
these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more
or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions
of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out
that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent
actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history
of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that
give birth to a people alongside other people although different in culture and
civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and
history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and
is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as
facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living
force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by
a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But
the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a
legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny
of a people that unravel in the most various ways in their historical
development go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of
its legend is connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which
evidence, by being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane
history, even when it is a positive witness to the spirit of a people. In that
way, a study of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us
to an interesting conclusion from the point of view of a theory of race that is
similarly not defined by the material aspects of the issues, but also addresses
the inner reality of race. We want to illustrate this interpretative method
with the birth of Rome -- applying it
precisely to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to
the birth of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on
general meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full
seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately.
Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which
are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf,
the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a
mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form
which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard
to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE
and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean
Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans
and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly
Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to
which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove
origin can with good reason also be considered to be Aryan and
Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god
uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden
meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without
the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her
consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by
her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say,
in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation
of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him.
In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is,
the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force
stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its
secret origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of
the Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE.
And this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the
sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO
and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again
is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the
waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved
from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan
tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics
are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations
and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as
follows. The waters have traditionally always depicted the current of time,
i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting
life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The
seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is
capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in
the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the
divine element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity.
The twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are
suckeld by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the
quality of “ruminus”, related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher:
the god who gives nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect
of the symbol. In general, in the most ancient traditions of the Aryan race,
the tree is the symbol of universal life, it is the tree of the world or the
cosmic tree. If it is in the form of a fig tree as it appears in the legend of
Roman origins, precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha
tree - it is depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express
that its roots are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood
from the tree is an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin,
Gilgamesh, etc. Naturally, according to the races and their spirit, this then
present diverse variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat
from the tree in order to make oneself like god is considered as the principle
of guilt, abuse of power, and a curse.Things are conceived in a very different way
in the myths of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of
Gilgamesh. Also, in the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme
prevails and the tree often appears as that of the universal empire, reaching
it in the symbolic lands of the mysterious Prester John means insuring the same
dignity that the ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king
of kings. Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins
of Rome, we therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree -
but also the Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in
all the stories that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and
GIULIANO recall that, in the ancient world, on the basis of the phonetic
resemblance between the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are
often associated – “lykos” – lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,”
light. But there are also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a
dark force. The wolf thus appears to us in the double aspect, symbol of a
ferocious and savage nature and also as the symbol of aluminous nature. This
duality is verifiable, not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also
in the Celtic and Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and
Delphic cults the wolf is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean,
Nordic-Aryan god, simultaneously conceived as the solar god of the golden age
and significantly associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the
wolf”, on this basis, was a designation for warrior and heroic peoples of
Nordic-Germanic origins, designations that persisted even up to the epoch of
the Goths and Nibelungs. Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf
signifies a dark age, marking the epoch of the outbreak of savage and
elementary forces, almost of the power of chaos, against the forces of the
divine heroes, or Aesir. Now we can certainly also relate this quality to the
principle that, according to the legend of origins, fed the twins insofar as we
see it reflected in their very nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO
e REMO, as related to us in the legend. As others already noticed, so also the
theme of a single principle from which an antithesis is differentiated, whether
depicted by the antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again
in many traditions, and not rarely in respect ot particularly significant
moments for the origins of a given civilisation, race, or religion. For
example, we only recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set
are two brothers of discord - conceived as twins - and one incarnates the
luminous power of the sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose
generation is called the “sons of the impotent revolt”. Does not something
similar also show through perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who
marks the contour of ROMA as the meaning of a sacred rite and a principle of
limit -- of order, of law - having received the right of putting his name to
the city form the apparition of the solar number, of the XII vultures. REMO is,
instead, the one who violates such a limit and is killed for this reason. One
could say that the primordial force of Roman origins thus are differentiated
and destroys the dark powers that are contained in themselves, affirms in its
luminous aspect of order, Olympian denomination, purified warrior force. There
have been attempts to see in the contrast between ROMOLO and REMO the
reflection of the contrast between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan
type, and non-Aryan or pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt
interesting. Problematic in its conclusions, if it intends to remain
exclusively on the plane of material facts, or archaeological and
anthropological evidence. It has greater possibilities if it also penetrates
legend in order to extract elements that integrate research in other domains.
Naturally, in order to accomplish that, it also needs to resolve to outline
general frameworks of various aspects of ancient Roman society, considering,
for example, with various philosophers, somewhat probable that the social
system of castes of ancient Rome has a racial substrate. In this totality, it
is interesting to examine the link between the two principles, whose symbolic
figurations could well be ROMOLO and REMO -- with the two hills Palatine and
Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill and the AVENTINO is REMO’s.
Now, according to the ancient Italic tradition, on the PALATINO, ERCOLE met the
good king Evander (who significantly founded a temple of the goddess Victoria
on the same Palatine hill) after having killed CACO, son of the Pelasgian
(pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules conquered and killed in
Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an altar to the Olympic god,
to whom he was allied according to the Hellenic legend. Researchers like PIGANIOL
are of the opinion that this duel between ERCOLE and CACO - with the
corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills - could be a mythic
transcription of the battle waged by peoples of opposing races. The mythic
legend of the origins of Rome is therefore saturated with deep meaning. The
triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the origin hidden in
Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and inner, spiritual,
social and racial battle, in part known, in part still enclosed in symbols or
in an event not yet penetrated with respect to their most essential aspect -
almost, we will say: with respect to the third dimension. Through this secular
battle, Rome rises gradually and asserts itself in the world as a triumphal
manifestation of a principle of light and of order, of an ethic and a vision of
life that, in its original and uncorrupted forms, is witness to the Aryan
spirit. And we know what it is, according to the most widespread tradition, the
conclusion of the legend of origins. It is the apotheosis of ROMOLO, ROMOLO
deified. He returned from the earth to heaven after his mortal part was
destroyed by means of the dazzling fire. So what has been treated is neither
fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous explanations recur in the
traditions of all peoples, according to a uniformity that should lead anyone to
reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend contains a faith and a
spiritual certainty. It is the meaning of a reality that, freed from the person
and symbol, is not once, but will always be, and will always be present, in its
greatness beyond history, the race that knows how to recall the mystery. E. è
stato il più importante teorico della rivoluzione conservatrice in Italia.
Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione consapevole della
espressione «rivoluzione conservatrice», la base teorica e i limiti entro
cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in E. la rivoluzione
conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana. La sua
elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta direttamente
dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà espressamente, pur con
alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea di rivoluzione
conservatrice in E. si situa in una linea fortemente critica verso la
tradizione teorica e storica italiana. A cominciare dall’idea stessa di
nazione, di cui E. sottolinea l'eredità giacobina, egli sottopone a
una critica serrata tutte le stazioni più importanti della ideologia
italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in tutta
l’ideologia italiana, è condotta da E. non più nel nome dell’inveramento del
Risorgimento, inteso come radicalizzazione o correzione di rotta,
ma diviene rifiuto e negazione del Risorgimento, visto come la traduzione
nazionale della rivoluzione francese, e rigettato come l'espressione di
un liberalismo anti-tradizionale. Qui E. accoglie l'eredità del pensiero
contro-rivoluzionario e si situa nettamente nel solco della tradizione
reazionaria, pur non condividendo il riferimento cattolico e cristiano
che la sottende. Critiche non meno nette E. rivolge al processo unitario
post-risorgimentale e a tentativi come quello crispino di generare una
sintesi tra nazional-populismo e autoritarismo. Ma la critica di E. non si
arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO, a cui pure il suo nome è solitamente
associato. Quasi tutta la critica evoliana verso il fascismo gravita
proprio sul tentativo fascista di costituire una ideologia italiana o di
inserirsi nella tradizione italiana, sia verticalmente, cioè come
recupero della storia italiana, sia orizzontalmente, come tentativo di
integrare le masse e tutte le diversità in una comunità nazionale. Per E.,
il fascismo non avrebbe dovuto abdicare al suo ruolo di MINORANZA attiva,
di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe anzi dovuto accentuare la sua diversità,
da quel che costituiva la linea italiana risorgimentalista. La
critica di E. all'ideologia italiana, così implacabile, sconsiglierebbe dunque
di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione
conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo
porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte
della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei
maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più E. teorizza una
tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente depurata
da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale,
tanto più Evola coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono
al mondo della rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra,
nichilismo attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che
segnano un indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo,
solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della
filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra
in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si
dispiega all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione,
se si considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il
periodo filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani,
la valorizzazione del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via
della mano sinistra). Elementi che convivono nell’opera evoliana con la
ricerca e l'affermazione della tradizione, il primato dell'essere, il recupero
della dimensione metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una
concezione fondata sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della
dottrina politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione
se si tiene presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la
tradizione non può che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la
rivoluzione. Il ritorno alla tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un
evento di rottura, una radicale inversione di rotta rispetto alla realtà
presente. La rivoluzione sarebbe dunque per E. il rigetto del presente
nel nome del passato; rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso
dell'astronomia classica, come già ripete E.. In uno scritto divulgativo,
tra gl’ultimi di E., il pensatore tradizionalista afferma. Se si vuole,
ci si può riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di
una rivoluzione conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si
impongono per la rimozione di situazioni negative, fattuali, necessarie
per una restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la
coerenza di questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione
conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di
pensiero in cui E. utilizza questa definizione, i due piani di
rivoluzione e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e
divisi. In E. vi sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la
pratica rivoluzionaria finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi
tradizionali e finisce con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una
pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto
nell’ultimo E., il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o addirittura
soppiantato da una scelta pratica di tipo conservatore, fondata sui
parametri del salvare il salvabile, preferire il male minore, allearsi
con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A parte questi
sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario evoliano nel suo
complesso, E. si pone legittimamente come il teorico principale della
rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo pensiero è alle origini
sia dell’integralismo di destra che del modernismo di destra -- in parte
defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere il neo-tradizionalismo,
anche quello cattolico, senza transitare per le opere di E. imperniate sui
valori della tradizione. Ma dall'altro verso non si potrebbero
comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura, della nuova
destra o i tentativi di andare al di là della destra e della sinistra,
senza risalire a quel filo rosso che scorre dall’E. dadaista e
iconoclasta all’Evola filosofo, al seguace del tantrismo e soprattutto
all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, neo-tradizionaliste
e moderniste, si sono staccate frange opposte e simmetriche, che hanno
parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una nel nome della tradizione
cattolica, l'altra nel nome della modernità assurta a valore. Se il
linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe dire che la sua opera genera una
destra e una sinistra evoliana. È curioso osservare che i modernisti di
destra ripercorrono, pur con specifici tratti, lo stesso cammino già
percorso da un certo radicalismo di destra che trova in Evola elementi per
fondare una scelta rivoluzionaria in senso nazional-popolare. Il
cammino dei modernisti di destra si rivela come la versione debole (e
quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo e più esitante) di quello
stesso processo di modernizzazione del pensiero evoliano, la cui versione forte
è costituita proprio dal rivoluzionarismo nazional-popolare. I vari filoni
dipartitisi d’E. ritrovano oggi sul loro cammino gli stessi incroci in cui si
dibatte la filosofia evoliana: trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione,
organicismo senza statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo,
rigetto dell’ideologia italiana e insieme esigenza di radicarsi nel
tessuto reale di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis
mutandis, sono ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali
della filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni
critiche della filosofia d’E. che si possono ricondurre a quattro tesi
fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di E. come maestro eretico
del pensiero negative. In secondo luogo, E. visto come teorico di un neo-paganesimo
anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, Evola visto come un
gentiliano minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, E. visto
come l'ispiratore del neo-nazifascismo. L’accostamento tra E. e il pensiero
negativo si può far risalire al tempo della contestazione, quando
qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero evoliano e il
pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso E. non ha mancato di sottolineare,
seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo. Di quel parallelo
aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle sue
valenze politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di Evola
nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI e CACCIARI.
Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa. Dopo NIETZSCHE,
si potrebbe quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra che coniuga
Nietzsche con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime, soprattutto,
ma non solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e Marcuse; e un
pensiero negativo di destra che coniuga Nietzsche con i valori
tradizionali e che si esprimerebbe tra gli altri con E., JUNGER e larga
parte del pensiero rivoluzionario-conservatore. Quale sarebbe il filo comune
del pensiero negativo? In primo luogo, la critica radicale della ragione
e delle pretese sintetiche e costruttive della razionalità. In
secondo luogo, lo smascheramento della civiltà moderna e borghese e la rivolta
contro la nostra società. In terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel
progresso ma anche negli antichi appoggi; la crisi del principio di
identità e di non contraddizione; indi, la concezione conflittuale e
catastrofica della storia. E scavando più a fondo si giunge alla matrice
del nichilismo: la morte di Dio, la perdita del reale, del senso e degli
scopi, l'incertezza esistenziale, l'oscuramento della metafisica. I due
versanti del pensiero negativo sarebbero dunque compresi nell’alveo del
nichilismo. Soltanto che il versante destro del pensiero negativo, a
cominciare d’E., per estendersi a buona parte della rivoluzione
conservatrice, tradirebbe Nietzsche, mascherando il nichilismo nell'irrazionale
e nella retorica dei valori. A questo punto le conclusioni di un MANCINI
conducono a una condanna senza appello del pensiero evoliano, le conclusioni di
CACCIARI conducono invece a un appello senza condanna agli evoliani:
liberatevi dal camuffamento irrazionalistico, liberatevi dalle
vostre certezze che reggono solo sulla retorica, e procedete con occhio
sgombro verso un sapere senza fondamenti, verso un nichilismo consapevolmente
vissuto e accettato come destino finale. In fondo il discorso ruota
intorno a un’equazione tutta da dimostrare: l'equazione, appunto, tra E.
e il pensiero negativo. È necessario dunque affrontare la differenza
radicale che allontana E. dal pensiero negativo. Una differenza di provenienza
e di approdi, di metodi e di aperture. È certamente vero che il pensiero
negativo e il pensiero evoliano nascono entrambi come filosofie
della crisi. Ma la crisi del pensiero negativo è la crisi di una razionalità
che ha perduto la ragione, di una dialettica che ha perso la possibilità
della sintesi, di un materialismo che ha perduto la materia, di un
orizzontalismo che ha perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha
perduto il progetto. La crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece
la crisi di una trascendenza che ha perduto Dio, di un verticalismo che
ha perduto il suo vertice, di un eroismo che ha perduto gli eroi, di un
Olimpo che ha perduto gli dei, di una tradizione che ha perduto i
suoi templi, i suoi riti e i suoi uomini. Da una parte è l’orfanità
della ragione che incita a ripensare i miti. Dall'altra parte l’orfanità del
mito che spinge a cercare le ragioni. In entrambe si assisto al
disormeggio della storia secondo la suggestiva espressione di CIORAN. Da una
parte in E. la tradizione sembra smarrire gl’anelli che la congiungono
al presente. Dall’altra parte nel pensiero negativo il progresso si separa
dall’ottimismo e dal migliorismo storico e scivola nella catastrofe, nel
vuoto. Ma differente è pure la reazione alla crisi. Il pensiero
negativo diviene pensiero della liberazione trasgressiva, sollecita a liberarsi
dai vincoli della realtà e della ragione, oppone la ragione distruttiva
come risposta alla ragione decretante. Opposta appare invece la
reazione evoliana alla crisi. Alla liberazione dal destino si oppone qui
l'accettazione del destino, la fedeltà ai valori oscurati, l’azione
nonostante i frutti, la risposta eroica al nichilismo. Entrambe le vie
germogliano dunque dalla crisi: ma il pensiero evoliano induce a vivere
come se i valori esistano. Il pensiero negativo induce a vivere come se
non abbia importanza avere valori. E. scommette sui valori, il pensiero
negativo rigetta la scommessa come insignificante, fuorviante,
mistificatrice. Nel pensiero negativo il nichilismo è pensato e vissuto
come esito finale; nel pensiero evoliano il nichilismo è inteso come
prova del fuoco, come deserto da attraversare. L’esperienza del nichilismo è
rivolta in E. a fortificare il bagaglio interiore, a essenzializzare la vita, a
denudare i valori dalle incrostazioni, per ricondurli alla nudità
originaria. Il nichilismo, secondo questa prospettiva che E. coglie da
Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce a spezzare. Il pensiero
evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra titanica che si allunga sul suo
cammino; il pensiero negativo trova invece Nietzsche davanti a sé,
scoglio insormontabile per la ragione dialettica. Ciò che in E. è punto di
partenza, che pure si allunga su tutto il percorso, nel pensiero negativo
è punto d'arrivo, oltre il quale non si può andare. Non è un caso, poi,
che il pensiero negativo si definisca tale, laddove il pensiero evoliano si
autodefinisce magico: il pensiero magico è per sua stessa vocazione
rivolto a comporre, a ordinare il mondo e non a disfarlo, a rivelare la
sua segreta armonia, a concepire la libertà come attività produttiva e
creativa. Il pensiero magico risale dal caos al cosmos, dal conflitto
all’armonia, ponendosi infine come pensiero costruttivo, pensiero positivo. Il
pensiero negativo al contrario dissolve il cosmos nel caos, nell'armonia scorge
il contrasto, eternizza il conflitto e la catastrofe, definendosi infine come
pensiero distruttivo. Nel crocevia tra magia e trascendenza, il pensiero
evoliano si inviluppa in alcune contraddizioni: le forti aporie tra senso della
trascendenza e immanentismo volon¬ taristico che si esprimono
nell'Autarca, le tentazioni faustiane, il pericoloso velleitarismo di chi
vuole traversare l'abisso, l'etica della disperazione che si risolve talvolta
in Evola in uno spiritualismo nobile ma cieco, che rigetta i frutti e le
prospettive. Ma pur nella contraddittorietà delle posizioni ciò che distingue
radicalmente E. dal pensiero negativo risale a una opzione di fondo: è la
opzione della trascendenza che conduce Evola alla riscoperta del sacro.
La trascendenza resta una dimensione assente nel pensiero negativo in
virtù di una originaria opzione immanentistica mai smentita. La f
iducia in una «più che vita», la scommessa sull’immortalità, la certezza del
sacro, il culto dell'invisibile e de fì'eterno, accend on o in Ev ola un bag
lioré metafisico che non é flato tr ovare, n el pensi ero negativo. Alla
luce del sacro, la stessa concezione eroica esce dal campo del puro
arbitrio, della mera retorica, del volere autarchico, per farsi essa stessa
segno di quella certezza metafisica e metaesistenziale, espressione e
testi¬ monianza che pure vacillando nel vuoto, la strada percorsa è
quella che sale. Occupandosi del radicalismo di destra, Civiltà Cattolica ha
individuato in E. il principale ispiratore di una nuova destra fortemente
anticristiana e neo-pagana . Le argomentazioni condotte a rinforzo di
questa tesi erano attinte quasi interamente dalla lettura di iperialismo
pagano. Che in E. vi sia una forte ascendenza di tipo pagano è certamente fuori
discussione: la grande valutazione del mondo greco e ROMANO, l’esaltazione
della spiritualità nordica, il risalto attribuito alla figura di Federico II,
sono solo alcuni tra i segnali di questa ispirazione pagana del pensiero di E.. Tuttavia
l’interpretazione di E. come padre di un neopaganesimo anticristiano, è
semplicistica e a tratti fuorviante. Vi è in primo luogo una ragione
metodologica: non si può valutare il pensiero evoliano soffermandosi sulla
lettura di Imperialismo pagano, un saggio che E. scrive non ae che in
seguito disconobbe. Imperialismo pagano è un pamphlet fortemente polemico che
risente degli umori del tempo e che si inserisce nel dibattito preconciliare.
Imperialismo pagano è un'opera certamente minore rispetto ad altre opere
evoliane di spessore ben più notevole. Per comprendere E. bisogna transitare
almeno da altre cinque, sei opere ignorate da Civiltà Cattolica. In
secondo luogo, il pensiero evoliano si alimenta di correnti e torrenti
che sarebbe improprio definire di tipo pagano: la tradizione gnostica e orfica,
pitagorica, la metafisica orientale, il buddismo. Se si vuol
definire pagano, nel senso di anti-cristiano, tutto ciò che non è
cristiano, si finisce nel più piatto manicheismo. In terzo luogo,
dal complesso dell'opera evoliana non si può dedurre un orientamento anti-cristiano
e ancor meno un orientamento anti-trascendente. Altrimenti non si
comprenderebbe in Evola la lettura dei mistici cristiani, l'influenza di certo
gnosticismo cristiano, l’attenzione positiva verso pensatori come Meister
Eckart e SAN GIOVANNI DELLA CROCE, la grande influenza di Carlo MICHELSTAEDTER
che rivela profondissime tracce di cristianesimo. E non si
comprenderebbe il carteggio evoliano con REBORA, il ritiro di E. in un convent,
la sua difesa della Chiesa del Sillabo (se la Chiesa fosse ancora quella
del Sillabo — afferma E.— non ci sarebbero esitazioni a schierarsi
dalla sua parte per affermare i valori della tradizione»), ma anche della
fede cristiana e del suo significato nella nostra epoca sconsacrata.
E non si comprenderebbe infine per quali misteriose ragioni la lettura di
Evola sia stata per molti una stazione d i transito ve rso una riconversion e
al cattolicesimo -- una riscoperta del sacro e del trascendente, del rito
e dell aJracE zionèr Sarà un paradosso^lha mòTti dfcoTo- ro che
hanno poi criticato il pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo
tradizionale, devono a E. la conoscenza di autori come de Maistre, Donoso
Cortes, de Bonald. È poi significativo che E. condanni le franga
moderniste [del cristianesimo , colo ro che riducono la religione nell’orizzonte
immanentistico de l messaggioso . ciale, la stòricizzazione e
l’umanizzazione del divino, la teologia dellà morte di Dio, la
razionalizzazione dei principi e delle tradizioni, la confusione del cr
stianesimo conjun moralistico sentimentalism o borghese. In E.
permane, certamente, un senso di estraneità al cristianesimo, ma non di
ostilità; vi è un differente tipo di spiritualità che trae alimento da
differenti tradizioni. Nel cristianesimo E. denuncia la mancanza di
una dottrina esoterica che possa affiancarsi alla
religione fideistica e devozionale. Appare quindi improprio il tentativo
di demonizzare il pensiero evoliano come l'espressione di una rivolta anti-cristiana
con esiti immanentistici. Questa riduttiva interpretazione del pensiero
evoliano rimanda a un'antitesi più vasta e insensata quando pretende di essere
assoluta: l’antitesi tra paganesimo e cristianesimo alla cui radicalità
mostrano di credere da un verso Civiltà Cattolica e dall'altro verso alcuni
esponenti della nouvelle droite, a cominciare da de Benoist. L'antitesi
autentica e radicale della nostra epoca, in realtà, non è tra paganesimo e
cristianesimo ma tra sacro e nichilismo, tra vocazione alla trascendenza e
sfaldamento nell'immanenza. Per un autentico spirito cristiano la santità
è intesa come il culmine del sacro, è il gradino supremo in cui il
sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo; per una autentica
religiosità di tipo pagano, la santità è una delle più alte manifestazioni
del sacro. Per entrambi resta essenziale l'antitesi tra sacro e
nichilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il senso elèi sacro può
dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale, quell'innata vocazione
metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede cristiana. Per una
spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non come la base ma come
il vertice verso cui convergono le religioni, il principio metafisico di
cui le religioni sono bracci, manifestazioni, assi di una ruota. Nel
pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più rigorosa è senza dubbio
quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e pensiero esaurito nell’iimmanenza,
tra pensiero fondato metafisicamente (proteso verso l'essere) e pensiero
senza fondamenti o comunque fondato storicisticamente, vitalisticamente e
materialisticamente (risolto dentro il divenire). In questa distinzione
di campo, il pensiero di E. ritrova una identità molto diversa da quella
che gli viene attribuita da Civiltà Cattolica e da taluni esponenti del
«neopaganesimo». Vi sono certamente alcune cadute immanentistiche e
superomistiche nel pensiero evoliano che in un pensatore come GUENON, ad
esempio, non sono presenti: ma il pensiero di Evola rischia l’impurità e
talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi contemporanea. È una
scommessa più difficile quella di E., un cammino più arduo: attraversare il
nostro tempo. Questa sua scommessa può essere intesa come la sua
peculiarità più feconda e insieme come il suo limite più netto: ma, in
ogni caso, il pensiero di E. si incammina sul l a s trada, del sacro. Un
autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in Evola un «gentiliano
minore» che tenta invano di superare l'attualismo. L’interpretazione di NEGRI
ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO, CARLINI, E SCIACCA che
appunto a GENTILE avevano ricondotto il pensiero di E.. Che l’ombra
gigantesca di Gentile si allunghi su tutta la filosofia italiana può essere
difficilmente confutabile. Persino lo spiritualismo cattolico o la filosofia
della prassi di GRAMSCI mostrano i segni di quella influenza. Ma che vi
siano specifiche e preponderanti tracce di influenza su Evola è largamente
inesatto. Si deve anzi osservare il fenomeno opposto: forse
non è mai accaduto che due pensatori, vissuti nello stesso tempo e
nella stessa nazione, associati seppur genericamente in uno stesso indirizzo
«filosofico» e in uno stesso ambiente storico-politico, siano stati così
lontani come Gentile ed E.. Alle sorgenti della formazione evoliana
vi sono correnti e autori in larga parte estranei a Gentile. Manca a
Gentile il riferimento alla metafisica orientale, al pensiero tradizionale e
legittimista, a Stirner, a Nietzsche, a Bachofen, a Weininger, a Michelstaedter
e a tutta la grande cultura mitteleuropea, a cominciare da Spengler e
Junger. E manca a Evola la lettura del pensiero risorgimentale,
l’influenza di SPAVENTA e di MAZZINI, di GIOBERTI e di ROSMINI, il
confronto con la filosofia di Marx e con lo storicismo, che sono invece
determinanti nella formazione di Gentile. I riferimenti comuni si limitano
a certi autori dell'idealismo tedesco. In E. l'idealismo è un
episodio, seppure notevole, inserito in un altro episodio, seppure
importante, quale è il suo periodo filosofico. Se si prescinde dalle coordinate
extrafilosofiche, si è già lontani dalla comprensione del pensiero
evoliano. Inoltre, va ricordato, della filosofia evoliana si occupa CROCE
ma non se ne occupò mai Gentile, che non vi riconobbe mai alcuna
parentela. E della filosofia gentiliana, Evola se ne è sempre occupato in
chiave critica. I suoi rilievi, le sue critiche all’attualismo sono notevoli,
radicali e tutt’altro che superabili. Sul piano storico, Evola condanna del fascismo
quel che Gentile approva o addirittura egli stesso ispira. E le
distanze con Gentile non si attenuarono nemmeno quando il vento del CONCORDATO
condusse Gentile ed Evola a scontare una comune emarginazione. Come
per Gentile, anche per Evola il fASCISMO e inteso come una rivoluzione
conservatrice, anzi una restaurazione. Ma restaurazione non della tradizione
italiana esaltata dal Risorgimento e dalla filosofia nazionale, come vuole
Gentile, ma restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA e ghibellina. Ovvero
una restaurazione così radicale che finisce con l'essere una rivoluzione
rispetto al passato più prossimo. Nel momento in cui E. superava Gentile in
radicalismo restauratore, lo supera al contempo in radicalismo rivoluzionario. Va
infine considerata l'evoluzione storico-politica del pensiero evoliano in
senso aristocratico e tradizionalista, che diverge nettamente dall'evoluzione
gentiliana verso l'umanesimo del lavoro. In definitiva, se è
riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo dell'idealismo, è
doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia di E. alla stregua
di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di superare Gentile. In
E. vi è ben altro. Per un tempo, E. è stato conosciuto come l'ispiratore
dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una definizione canonica che ha
dominato nel giornalismo e nella cultura politicante, che ha trovato la
sua giustificazione teorica in filosofi come JESI ma una definizione che
ancora resiste, come dimostrano certi interventi al convegno di Cuneo sulla
cultura di destra o certe pagine di un volume collettaneo sulla destra
radicale. In realtà, se vi è stato un autore di destra che più
ha contribuito à scongelare il neofascismo dall’ibernazione nostalgica,
questi è stato proprio E.. Da figla prima di ogni altro filosofo, la
destra ha imparato a leggere IL FASCISMO e il nazismo in
chiave critica, anche se la critica di E. ai due fascismi é pur
sempre dal punto di vista della destra, Leggendo il fascismo di Evola, le
sue Note sul Terzo Reich, la sua critica al nazionalismo e alla
statolatria, al bonapartismo e al populismo fascista, al razzismo biologico e
agl’isterismi del Fuhrer, all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo
cristiano-borghese, conoscendo le difficoltà che Evola dovette affrontare
durante il regime fascista, il radicalismo di destra ha avvertito l'esigenza di
rivedere il proprio patrimonio ideale e storico. E leggendo E.,
quella destra ha cominciato a conoscere orizzonti più vasti, prospettive
storiche e meta-storiche più ampie, nel tempo e nello spazio. Ha conosciuto filosofi
e tradizioni che con il fascismo poco o nulla avevano a che vedere. Si
deve principalmente a E., alle sue letture e alle sue divulgazioni, alle
sue traduzioni e ai suoi riferimenti, se quella destra ha potuto
conoscere ampi filoni della cultura mitteleuropea, a cominciare dalla
konservative Revolution, grandi pilastri della sapienza orientale, solidi
pensatori legittimisti e tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato
un autore di destra che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato
proprio Evola. Se un limite si deve individuare nella lezione politica di
E. esso è piuttosto di segno contrario: coloro che si sono avvicinati a Evola
si sono solitamente allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicinava
a E. alla ricerca di fondamenti per la propria scelta politica: ma la
radicalizzazione del Politico è coincisa con il rigetto della politica.
La lettura del pensiero evoliano ha avuto infatti un esito
generalmente impolitico. Quando E. richiama tradizioni lontane nello
spazio e nel tempo, remote età dell'oro, inaccessibili vette del grande passato
di cui non sopravvivono più neanche tracce e vestigia, né riti né
fiaccole viventi, la tradizione finisce di essere una radice per
diventare un'idea, cessa di essere una trasmissione di valori per convertirsi
in una rappresentazione concettuale, si estingue come pratica viva e
rituale per ridursi a un oggetto del puro pensare. Tradizione è
collegamento e qui diventa isolamento, è apertura verso il mondo e qui
diventa solipsismo, è anello di congiunzione e qui diventa rottura con
il tempo. Quando Evola definisce la tradizione una discesa
dell’Individuo assoluto nella concretezza storica, priva la tradizione
del suo significato metastorico e metafisico, riduce la tradizione o
travestimento dell'io, a una volizione del soggetto. Non vi è alcuna
tradizione che possa ricondursi a una soggettività. Ogni tradizione
si incarna e trascende i membri di una COMUNITA. Altrimenti tradizione
non è. Quando E. ripropone la dottrina tradizionale dei cicli storici, delle
quattro età, e ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci conduce davanti
a un paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla dottrina, devo
convincermi che io non posso modificare il corso metafisico delle epoche, e
quindi inutile sarà la mia azione politica, il mio impegno nel mondo. Se
viceversa penso che gl’individui possono cambiare radicalmente il corso
dell'epoca, la dottrina perde il suo vigore metafisico e la tradizione si piega
ancora una volta al soggettivismo volontaristico. Quando E.
sostiene che il fascismo sia stato rovinato dalla natura del popolo italiano,
può avere ragione sul piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione
impolitica, riduce il fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta
dalle coordinate storiche e temporali. La politica agisce in un dato
tempo, in un dato spazio e in un dato popolo: se si dice che il tempo, lo
spazio e il popolo sono inadatti per quell'idea si fa dell’idealismo assoluto,
e si è decisamente lontani da ogni considerazione politica. Non può
esistere una politica sradicata dalla storia e dalla natura degli uomini
su cui vuole agire. Quando E. sostiene che la nostra patria non
deve essere quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e
territoriale, ma la vera patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa
tradizione, a un'essenza disincarnata; riduce il radicamento, architrave di
ogni tradizionalismo, a puro convincimento intellettualistico. Sulla scia
di queste aporie ha serpeggiato tra molti evoliani una forma di
pessimismo assoluto, una specie di antiprovvidenza che vuole i migliori
sempre perdenti, poiché il successo di un’idea, nel nostro mondo sconsacrato,
sarebbe il segno del suo scadimento. Se la verità è ciò che si oppone alla
storia, è fatale che la via della verità diventi la negazione della
storia. Si è così insinuata una cultura della disperazione, il mito dell’eroe
perdente, del profeta inascoltato, del suicida veggente. Senza una adeguata
mediazione, questi orientamenti evoliani conducono fatalmente a un esito
impolitico. E conducono a quei due opposti equivoci che inibiscono
oggi il rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la politica: da un verso
lo sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una parte nasce il
tradizionalismo immobile, che per inseguire il soprastorico scivola
nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di attivo impegno
nel mondo e dunque un tradizionalismo senza tradizione perché senza
continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il tentativo di disancorare la
storia dalla tradizione, di liberare l’impegno civile e politico da
ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni appartenenza radicata. I
due pericoli sono opposti nello sviluppo ma uniti nella genesi: entrambi
nascono dalla convinzione che vi sia una frattura insanabile tra il mondo
dei valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale e il reale, fra la tradizione e
la storia. Partendo entrambi dalla constatazione di questa
frattura, le strade poi divergono: i primi seguono la via dell’imbalsamazione,
del dogmatismo e fatalmente approdano all'isola immobile dell’impolitico. I
secondi scelgono la via della liquefazione, del relativismo e finiscono
poi a inseguire il successo ad ogni costo, prescindendo dai motivi di
fondo per cui il successo avrebbe un senso. I due comportamenti sono
fondamentalmente contrassegnati dall'individualismo e si rivelano letteralmente
schizofrenici. Nascono infatti da una dissociazione di fondo tra pensiero e
atto, idea e realtà, essere e dover essere. L'esito dei primi è segnato
dall'idealismo, con la tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale
e soggettiva, disincarnata dalle sue forme visibili, sensibili e
comunitarie. L'esito dei secondi è il nominalismo, la riduzione dei valori a
strumenti di locomozione, a convenzioni e volizioni del soggetto.
In questo senso va ripensata non solo la frattura posta da E. tra i
valori della tradizione e gli strumenti della modernità. Ma occorre
rimeditare anche lo iato sancito da E. sul piano storico-politico tra
rivoluzione conservatrice e ideologia italiana. Una frattura,
quest'ultima, che ha contribuito non poco a generare a destra quel
rigetto della tradizione nazionale e quella ricerca di autori e modelli
attinti da altre tradizioni e da altri paesi. Nell'opera in cui Evola
teorizza esplicitamente i lineamenti di una rivoluzione conservatrice,
vale a dire Gl’uomini e le rovine, è ribadita con forza la frattura tra ideologia
italiana e rivoluzione conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui
si può positivamente parlare di rivoluzione conservatrice, E. aggiunge. Pel
vero conservatore rivoluzionario è questione di una fedeltà non a forme e
istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già
presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione
dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene
conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e quindi
fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi
fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e
modernità. E ancor più si può comprendere e apprezzare il riferimento
evoliano se si ha presente il contesto a cui E. si rivolge: riferendosi
agli ambienti del neo-fascismo, E. invita a non confondere la difesa di valori
con la nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non sono più
presenti. Quello di E. e un passo forse troppo prematuro, per dissociare
il mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo.
Ma E. si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad affermare che la
componente rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice, va
intesa nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare il
posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario le forze attive
«si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie storiche». E
a questo E. aggiunge: «Appunto perché l’appoggio materiale consistente in
un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in forme storiche non del
tutto scadute è da noi inesistente, la rivoluzione restauratrice dovrà
presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale ed avente come base
la pura idea. Rispetto a quel che E. intende per tradizione, la sua
conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto evidente è l'esito
impolitico e la separazione dalla storia che essa sancisce.
Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende scegliere una
strada esistenziale dissociata da ogni impegno politico, il rigetto della
ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di rigorosa coerenza
con le idee affermate da E. e ha una sua legittimità e dignità incontestabili.
Ma se, viceversa, si intende costruire una linea politica, se si intende
davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice, allora è
impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i ponti con la
storia del proprio paese e con la realtà del proprio popolo. Né si può
disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla
rappresentazio¬ ne storica che ha avuto. Occorre allora
rimeditare la storia italiana, almeno dal Risorgimento in poi, con
spirito critico, senza dubbio, ma senza apocalittici dinieghi. Né
va trascurato il fatto che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si
possono definire negative, possono trovarsi uomini e ragioni che hanno
intrinseci tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini
giusti per cause sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur senza
privarli della loro globalità, e risalire alle intime ragioni di certi
accadimenti. In questo senso la teorizzazione evoliana di una
linea rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di
carenza sul piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee
metafisiche e metastoriche, il pensiero evoliano risulta ancora di
inesaurita ricchezza e fecondità. E., Gli uomini e le rovine, Roma, E.,
Cavalcare la tigre, Milano E., Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi
scritti, Napoli cfr., Gli uomini e le rovine, cit., Galli su E. cfr. La destra
in Italia, ciLa tigre di carta ed il drago scarlatto, Bologna. Mancini, Il pensiero negativo e la nuova
destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a
G. De Turris, Z//r- razionale? E chi lo conosce..., in «Il Settimanale»,
e all'articolo È una figura complessa su Evola, apparso sempre su «Il
Settimanale». E. ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione
in Italia della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai
numerosi riferimenti sparsi nella sua opera, E. ha tradotto in Italia II
Tramonto dell’Occidente di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello stesso
autore, h a tradotto/!/ muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto un’ampia
sintesi dell 'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi contributi.
Cioran, Storia e utopia, Milano. Il riferimento è a un editoriale anonimo ma
attribuito allallora direttore della rivista, padre Bartolomeo Sorge, apparso
nella «Civiltà Cattolica», Il neo-paganesimo della Nuova Destra.
Imperialismo pagano, Roma Veneziani, E. tra filosofia e tradizione, Roma. A
tale proposito si veda Benoist soprattutto Come si può essere pagani?,
Roma. Negri, E. e il superamento dell'attualismo in appendice a Veneziani, E.
tra filosofia e tradizione. Negri si riferisce a E. anche nel suo
Sviluppi e incidenze dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini
e Sciacca sono stati raccolti da G. De Turris in “Omaggio a E.,” Roma. Gentile
non è il nostro filosofo, in «Tradizione», Il filosofo Gentile, in «Il
Conciliatore», (poi in Ricognizioni, Roma). Si vedano inoltre di E. su
Gentile: Saggi sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli
scritti Superamento dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti
in Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole
senza idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta,
cit. Si veda anche AA.VV., La destra radicale, Milano E., Il Fascismo
visto dalla Destra. Con note sul Terzo Reich, E., Il cammino del cinabro, A
proposito della teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai
Documenti segreti del Terzo Reich pubblicati a Roma a cura di Cospito e
Werner Neulen. In uno scritto, una nota inviata dal dirigente dell’Ufficio
politico della razza della NSDAR, dr. Gross, al ministro tedesco per
l’istruzione popolare e propaganda, E. e accusato di elaborare una teoria
razziale «italiana», e fondamentalmente antitedesca. Osservando che E. pone il
primato dello spirito sul corpo, l’estensore della nota rileva che Evola
aderisce all’idea della superiorità spirituale dei popoli latini e asseconda la
favola della barbarie nordica in un altra forma. Dopo aver accusato E. di
teorizzare un razzismo annacquato, privo di scientificità,
antievoluzionistico, il redattore afferma. Dalla latinità dell’autore
scaturiscono concezioni che costituiscono un atteggiamento totalmente
estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione colpisce in molti punti la
sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e prosegue con alcuni esempi (dr.
Huttig, Berlino). Su tale idea cfr. Gli uomini e le rovine, «Orientamenti», Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani,
Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma, Testimonianze su E.,
Roma; E. e la generazione. E., Gli uomini e le rovine. The Germans do not have the concept of virility.
Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex – vir sums up best. Julius Evola. “Giulio Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità,
virilità. pitagora, roma, origini di roma, romolo, romanità, virilità, pitagora
canti d’oro, ercole, male bonding, virilita, vir, Dioscuri, castore e policce,
Weininger, Buehler, homoerotic, intergenerational male bonding, tutor/tutee,
hero, Aryan, European – Roma, l’implicatura di Romolo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice
ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Evola.
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