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Saturday, April 13, 2024

Grice es Alvarotti

 97 

DIALOGO DELLE UNGVE. 



I NT ERLttC VTO R I, 

Tìembo l Lazaro, Cortegwo , Scolte, 1 
Lafcari, Perette. 

odo dir,mcffer Lazaro, 
che la Signoria di Vettetia iìb\é 
condotto a legger greco, la» 
tino nello jìudto di Padoua:è ite 
ro qucUot Lai. Monfignorp. 
BtM. Che prouificnc è lauo* 
fira:Ls z. Trecào feudi d'oro. 
SEM. Mcffir Lazaro,io me n'allegro co mi,con le buo 
ne lettere, cr con li lludiojì dtqucUeicon noi prona,pe» 
roche mnonsòbuomonifjuno della uojìraprofcfiiioue t 
che andaffe prejjb d quclfegnOìOite fetc armato : eoa le 
buone lettere pOÌ,le qualida qui innanzi non mendicherà 
no la uìta loro pot(erc s <£r nude; cerne fono ite per Io puf* 
fitojrì allegro etìandia con lo jìudioj^rglijiudkfidi pa 
doua;cut finalmente è tocca in forte tale macero iquale 
tingo tempo hanno cercato,?? difidetatoMabuauifo^ 
the egli ui bifognerà fedisfar r.an tanto aSmmetsjo difi* 
àtrio, che hanno gli huomn i i d'imparare , quanto adunai 
infinta {paranza, che sha diuoijZrdetk uojha dottrina. 
Ikhe fare nuoua cofanon iti farà i cofifetc tifato d'affati* 
carni, cr con le uofbre bieuoli fatiche operar gloria in 
uoi,et in aiuruiuertù.LA2.Mojignor,(cmpremaiionba 
pregato Dommcdio^hc mi du grattaci occajìosc una 

N uotd 




DIALOGO 



me ut concia: patti catdtopmow di Kd.RU per ztr* 
LtLmi^rtouoglu lidia, ^nadoncam 

ritti che mfTuno a* è ^op^ etw / M g" 
S I itine pnfettmcntc . On* egl. e Jt m* CT MU 

fi hLnU Éfee«W»e«^ è Aium» fi fattamente , 

f, prtri n***rrL«i Hetmi /ìmilmcOTtnaa *d £ 
feeinpret». ^mbeamcj^e^ndcmg^dacbe 

m fammorttlipcrfM*. LA2, Ifcgjucojif <U« 
,fenr icWi delolw&tectwto altre f ^«"f* 

frtae:>£ di <pdk<dtre ne il deh «e W4,« 



DELLE LINGVE. t)g 

può recare il parlar bene attamaniera del uolgo. Bem. 
1*2$ è ben uero,cbe tanto più uolontieri fi dotterebbe iin 
parar lalingua grecarla latina, che la Tofcanaì quan 
to di quc^a quelle altre due fono più perfette, er più ca* 
re. ma che la Tcfcafia da [prezzare dei tutfypermcn* 
te lo direi j parte per non èrebugia,parte per non parer 
dbauer perduto tutto quel tempo,che prender udii in ap 
prenderU DcUa bebrea.io non ne fo nulla: ma per quel* 
lo che io n'oda dirc,quan;o la Utina gli italiani, altrettan 
to o poco meno fiata la li Genna>ua.LAT.A me pare, 
quando m guardo, che talefia la uolgar Tofcana perù* 
fretto atta lingua Uttna ; quale la feccia al u'mo : pero* 
che la uolgar e non ì altroché la latina guatla^? corrot 
U boggimai dalla lunghezza del tempo, o dalla forza de 
barbari ; o dalla mjira uiltlPer la qual cofa gli italiani, 
U quali atto'ftudto della Imgualatina la uolgarc anttpon 
gono,o fono fcnzagiudiw, non dtjcerncndo tra ytcU 
lo , chcè buono, crnon buono io priui in tutto d'inge- 
gno non fon poffenti di pofiedert il migliore . Onde 
quthììauuiene,che noi ueggiamo auucnire di alcuna 
human* compietene :la quale fiemadi uigor natura* 
le nonbauendouertùdifare del cibo fangue, onde m 
m ilfuo corpo , quello in flemma cornate , che rende lo 
buomo da pocoì^r nelle proprie operatimù il fa ef= 
fere conforme atta qualità dcWbumore . Ma egli fi ud- 
rebbe dare per legge ad ogn'uno :a uolgariilncn parla- 
re latinamente , per non diminuir la riputatione di me- 
■ fìa lingua diurna: a letterati, che mai da loro, fe non 
. cojbrtìti di alcuna ncceftità , non fi parlale volgare 

U i atta 



D I A L O C O 

Si maniera de gli ignorantùacciocbel uclgo arrogante 
ton Vcfiempio&r autoritàde grandi huamini , no» preti* 
iefle argomento di far conferita delle fue proprie brutta 
rei & ai arte ridurre la fu* ignorantia. cort e G.Mef* 
(er haxaro , qui tranoi ditene il male che uoi tioiete di 
ùueflilmgm Tofamaifolamente quello non falche fe- 
ce Vanno pacato mejfer Romolo in quejia città ; il quale 
orando pubbcamente,con tante , er taliraghni biafimo 
total lingudAordfujbc innanzi bareitolto d'effer mor 
to famiglio di Cicerone, per batter bene latinamente par 
iato : che uiuer bora con quejia Tdpa Tofcano. L a z. Se 
io crcdefii bifognami perfuadere <t ifcokridi Padova , 
che la lingua latina fuffe cofa da feguitare , er da fuggir 
U Tofcana ; 6 io non u onderei a legger latino, ofbcrc* 
rei che delle mie letttoni paco frutto fe ne doueffe piglia* 
re, ebe dafe flcfli noi conofcendo t giudicarei,cb'ef$i man 
zafferò d'intelletto ,non fapendodtilmgueretra pnnei* 
pij perfe noti , strale conclufioni : il quale difetto non 
ha rimedio niffuno . Onde io tti dico , che pia toflo «or* 
retjiper parlare , comeparlaua Marco TuUio latino , 
che effer papa Clemente . Costig, Et io cono* 
feo di motti kuomini , che per effer mediocri Signori , fi 
(ontentarebbono d'effer muti, già non dico che iofta una 
didaeSo numero -.ma dico bene dicob con uofbra 
grati* , poi che il affitto è dal mio poco intetiettojo non 
tiedo per qual ragione debba Ibuomo apprezzare la Un 
gua greca , ne la latina > che per f aperte [prezzare , mi* 
tre, er corone, che fe ciò fujjfc, flato ferebbe di maggior 
égtàti il«iteJMK>i ol cuoco di Demoéìhene , er di Ci* 

terone: 



DI1IB LIKGVt 99 

cerone : che non è bora f imperio, & il Papato , EhmbJ 
Non creggiate , etw incjjèr L«&fre bramifolamente Lt 
lingua latmadi Cicerone, la quale era commune a lui t 
cr gli altri Romani : ma mfieme con le parole latine e* 
gli difìdera [eloquenza » o 1 ftpienza di lui : che fu fu* 
propria y ertoli d'altriita quale tanto più ecceUentt 
dee riputar fi d'ogni mondana grandezza, quanto aWal* 
tezza de principati fi [ale per fucccfbonc,o perforte,out 
a quella delle feienze monta. [anima nofira non con altre: 
ali, che con quelle del fuo ingegno ,%r della fua indù* 
foia . Io fo nuUa per rifletto a quegloriofi : ma qudpo* 
coccio nefo delle lingue, non lo cangierei al Marche* 
fttodi t&antoua . Laz, lonontredo Monfìgnor mio, 
ckeuoicrcggiate>cbe molti de Senatori, vde Confala* 
ri di Roma , non che tutta la plebe coft latino parlale » 
come faceua lAarco TuIlioiaMicuilìudijpiu fu Rem* 
obligata,èic alte vittorie di Cefare. Onde io difli,ty />£>= 
n dicodinuouo , che più i)limo,& ammiro U linguaio» 
tino, di ciccronctcbe [imperio d'AUgujìo. T>eUe laudi del 
la qual lingua parlarci al predente >non tantoperfodhfa* 
re aldiftderio di quefìo gentiluomo da bene, quato per 
che io fono obligato di farlo.ma otte uoificte,non fi con* 
«iene , ée altri che uoi ne ragioni : 0* chi faceffe altra' 
mcnteftrebbe ingiuria alla linguai egli farebbe («ih» 
toprofontuofo. Bem, Quejlo ufficio dilodar Ulingu* 
latina per molte ragioni dee effere mjbro ; parte per ef» 
fergiàdejlinatoad infegnarla pubicamente : parte per 
ejferltpiu partigiano che non fono io , il quale non tifli* 
no cotante: fi che però io difèregi la uolgare Tofana : 

n $ cr 



DIALOGO 

<jr a tcbe io non la prepofi fe non ad un Mirebefatoyoue 
■ci Ihauctc me [fa difopra all'imperio di tutto l mondo . 
Dunque a uoi tocca il lodarlaicbe il lodandola farete grt 
to iUa ]xngui,atta quale il nome uoflro,cr la fama uofhra 
è grandmane obligata: cr con quello buongentilbuo* 
ma corte fanente apcrarcte, il quale dianzi non fi curò 
di confeffire d'bauere anzi dello feemo, che nò, per udir 
uoi ragionar della fua ecceUenZd.L AZ.Et io, poi che UO 
lete cofi ; uolontieri la loderò , con pitto di potere ìnfìe* 
inamente bufano- la uolgarcje uoglii me ne uerrà; feri* 
ZA che uoi (babbiate per mule. B e m. San contento : mi 
fu ilpatto communc,cbe quaio uoi uituperarete; io pofa 
fa difendere. L a z . Volontieri. ma a noi gentiVbmmo 
dico,cbc io poffo bene incominciare a lodare labuond lin 
gua latina, rendendouila ragione perche io la preponga, 
atta fignark del mondo ; ma finire non neramente, tanto 
ho da dire intorno a quella materia : non per tato mi ren 
do fìcuro , che quelpoco } cliio ne dirò, ui perfuadcrà ai 
efferle molto più amico , che uoi non fiete al prefente al* 
Ù corte di Roma. Corteg, Qucfto uoi farete da* 
poi. bora io uoglio per lamia parte , che qual bora cofi 
direte,cbe io non intenda , interrompendo il ragionamen 
to,poffapregarui, che la chiariate. Laz. So» con* 
tento. Dunque fenza altro proemio farejo dico incornine 
cimio,cbt quantunque in mite cofe ftamo differenti dalli 
Muti animali, in quejl'una principalmente ci difcoliiamo 
da Lorójche ragionado^fcriuèdo comunichiamo (un (al 
tro il cuor nojbro: laqualcofanon poffano fare le bel tic. 
Dunque fe cofi è, quettipiu diuerfo fari dotta natura dé 



DELLE LINGV 




bruti , il qu*k parto ì er fcriuerà meglio. Per la 
cofa chiunque ama d'ejfer kuomo perfettamente , ceti o= 
giti Audio dee cerare 'dì parlare , er fcriuere perfetta* 
mente : er chi ha ucrtìi di poterlo fare , ben fi può dire * 
ragione lui effer tale fra gli altribuomini,quali fatigli 
buomini iftcfc per ricetto alle tejiie . qua! tutti di 
parlare,^ deferiucre i Greci e? Latini quafi uguabnè* 
te j appropriarono. Onde le loro lingue uègono adefur 
qucUexbcfole tra tutte {altre del mondo ci (anno diuerfi 
per eccellenza dalle barbare^ dalle irratioitaU creata 
re. Et è hi drittoiccnciofta cofa che tra poeti volgari ufi 
tiouerìhabbiajhy.taleagiudicio de liarcntinipcffitag* 
guagliarft a virgdio,ad Homero, ne tra foratori a De= 
molibene,oaì\ùrco Tullio, Lodate quaiouoltte il?c 
trarca,et i 1 Bocca«io,Nci no farete fi arditi,cbe ne egua 
Upò>ne inferiori troppo nicini li facciate alli antichwn- 
Zi da loro tanto lontani li lrouerete,cbe tra quei rifares- 
te cft d'annoverarli . Hcra no ucglio nominar d'un in n* 
no i jeriffori Greci, et Latini di gradcjcccllòta,cb'io «3 
ne Marci a capo in unmefe : ma fon cotento di quelle due 
copie. troucrajii a cofloro in altra lingua alcun paref di" 
rò di memai no fono di fi rea uoglia,ej fi fW/to.cbe leg* 
gelido i lor uer/i er Icrationi Icro^on mirallegri . tutti 
gli altri piacer iMtigU altri diletti, fejìcgiuochijuoni, 
caulinno dietro a que^uno.ne dee b«omo merauigliar 
fene,però the gli altri folazzifono del corpo jet quello è 
dell'animo . onde quanto èpiunobile cofa rinteflettodel 
Jen/o, tante è maggiore et più grato quejlo diletto di tut* 
ti gli altri. Coki. Beri iti credo ciò ebe dicete ipe* 

N 4 roche 



DIA LO G O 

roche qunlunche uolta io leggo «tirane noueUe del nojbro 
Boccaccio, hnorno certamente di minor fa\na t che Cice- 
rone nmè,Ìo mi fento tutto cangiare : majìtmamente leg 
genda quelli di Rujlico,&- d' Alibechrf Akthiel, di Pc 
ranella,^ altre cot4li,liqualtgouernatioiftntimenti di 
chi le legge , cr fanno fagli a lor modo , Ver tutto ciò 
io non direi ioutr buomo arguire f eccellenza d'alcuni 
lingua : più lofio credo U natura de le cofe deforme bd= 
vere uirtà d'immutare il cerpo,er la. mente di chi legge. 
B e m. Qucjìo nò,ma la facondia è fola,o principale c#> 
gtone di far in noi cofi mirabili effati. ey elicgli fìa ti ue 
rojeggetc Virgilio uolgareMo'-o Remerò, ey il Boc* 
caccio mnthofcanoiv non faranno quefti miracoli, 
dunque meffer Lazaro dice il «ero, quando di idi effetti 
pone la cagione nelle lingue . JM i non proua per qucjìo 
tafua ragione non fi doucr imparar altra, lingua , che U 
Istmo, i ej la greca : perocbejc la nofha volgare froggi= 
di no» è dotata di co fi nobili autori: già nonècoftimpof: 
fMe,cbe ella nbabbia,quando chejia poco meno ecc cl- 
ienti di Virgilio,©* d*Romero : cioè che tali fiano nella 
Ungi wAgare,qualifono cofloro nella greca,ty nella la* 
lina. Lai. Quando cgliamtcrra , che la hngtu hoU 
gxrehabbiaifuoi Ciceroni,ifuoi Virgili j,ifuot Romes 
rUy i [noi Xìemoflbcni iOÌlhoraconpglierò che ella fia 
cofa da imparare , come è bora la latina , ©- lagreca . 
Ma qucjìo mai non farà: conciona cofa che la lingua 
non lo patifee per efjer barbara ,fi come ella è ; er non 
capace ne di numerose di ornamento . Che fe que quat* 
tro,non che altri, rinafeejfero un'altra uolta, © con l'in- 
gegno. 



DELIA 1INGT A. IOI 

pgm,e con {"industria mcdefima,con la quale grecami" 
te cr ùtinmente poetarono cr orarono , parlaffero er 
feriueffero uoìgmncte^i no [{irebbero degnidel nome 
foro . Non uedete mi qaejìa pouera lingua batterci no* 
mi non declinabili, i utrbifetrzA coniugatone , cr /f nzd 
participio ;er tutta finalmente fetxtd niffuna bontà* CJ* 
meritamente per certo: contiofiaa>fa,cbe per quello che 
io n oda dire da fuoifeguaci , la fua propria perfettionc 
eofftc nel dilungarfi dalla lamaìneUaquale Miele par* 
ti dell or adone fono intere e? perfette.cbe fe ragione mi 
tajje di biafmurla, quejìofuo primo principio , cioè/co* 
farfi dalla latina,* ragione dùneflrdtìua dcSafua pravi* 
tà . Ma che i ella moiira ncUafua fronte d'bauer battuto 
la origine,e taccrtfeimcnto da barbari, cr da quelli pritt 
cipalmente,piu che odiarono li Komam t cioè da fracefv, 
tt da Provenzali : da quali non pur i nomi,i uerbi, ©* gii 
tduerbi di leim torte anebora deh" orare,*? del poeta* 
refiderittò. O gloriofo linguaggio . nominatelo come ni 
piacevole che italiano nòn lo chiamiate s effendo uenm 
to tra noi d'oltre il mare , 0* di Ila daUdpi } onde è chtufc 
f [Un : che gii non è propria de Frane* fi la gloria, che 
fiatine fiano inuentori,cjr accrefeitorim deh" inclinata 
ncMlmperiodiRomain quamainon uennein Italia 
ttatiom niffuna fi barbara,?? «>fi primi dtbumanità, 
Hwwi > Goffi , Vandali* Umgobardi,ctiaguifadi tro* 
pheo , non ni lafcùffe alcun nome , o alcun nerbo de pi» 
eleganti, ctìeUababbiaifj mi diremmo ibe Hoig<o» 
mente parlando poffa nafeere Cicerone, o Virgilio i Ve 
rmente fequejhkngM fujjc colonia delklatina ;non 

oferei 



DIALOGO 

«/era eonfefftrb : moiro meno il dirò,effendo lei una m 
óiftinti canfufione di tutte le barbarie del mondo.nelqui 
k Cbioi prego Dio che mandi ancbora li fu* difcordia ; 
U quale sparando una par oh daU altra , er ognun* di 
loro mandando alla propria fua regione ; finalmente ri* 
mmga a queHapouera Italia il fuo primo idioma : per lo 
quale non meno fu merita dalle altre prouincie ; che te 
muta per le anni . Io uerame nte poco ho letto di quefte 
tofe uolgari,?? guadagnato pimi d'baucre affai in per 
Aere di fìudiarlexb'egli è meglio non lefdpere che faper 
termi quante uolte per mia disgratia rìbo alcuna ueduta 
iltrettante meco medefmo ho Ugrimatokncftri mi/és 
ridtpenfando fra me quale fu già, er quale è bora li Un* 
gud,onds parliamo er fcriuiamo.zT noi uedranogUmai 
Cicerone } o Virgilio tbofcanofpiu tojto rmaf. eranno 
Schiumi , che Italiani uolgari ; faluo fe per gioco non 
fi dirà in quel modo, che iferui fanno ri lor Re ; er i prU 
gionieri iUor poderi. Ma tal Virgilio, er Mi Cicerone, 
Morder Turchi pofìonobauer nelle lor liiiguc;pa-ò 
parlando una uolu con un mio amico, che moto ben sin 
tendea della lingua Arabefca ; ini ricordo udir dire , chi 
Auicenna banca, compojìe di molte opere ; Uqualt fi con 
nofceumo efferfuenon tutto iWinuentione delle cofa 
quanto allo fide , ndquale di gran lunga auanxaua tutti 
gli altri fcrittori di quella lingua , eccetto quelbde l'Ai* 
corano. Dunque come proportioneuobncntc Auicenm 
fi direbbe Marco Tullio fi-agli Arabi ;cofi confeffodi.* 
vere nafcare,<mzi effer già nato er forfè morto il Virgi* 
Ito uolgare ; ma èco bene che tal Virgilio è un Virgilio. 

dipmto. 



DELLE L ISQVE. IOl 

dipìnto . Ma il buono cr il nero Virgilio , ìlquale , k* 
f dando fornire da canto, dotterebbe rbuomo abbraccia* 
re,ba Ut lingua Latina, come k Greca ha f Homero ; cr 
facendo altramente fimo a peggìor conditione, che non 
fono gli oltramontani, li quali esaltano cr riucrijcono 
fommamentek nojìralmgua Latina ;er tanto ne ap* 
prendono, quanto poffono adoprar ? ingegno ; il quale fe 
pare in loro fuffe al difio ; mirendo certo che di breue k 
Gcrmmia,et kGallia produrrebbe di molti ueri Virgilif 
Ma noi altri fuoi cittadini(cclpa er uergogna del nojiro 
pocogiudicio)non fokmcnte non l'honoriamoynaa guì* 
ftdiperfone feditiofe tutta uk procuriamo di cacciarla 
della fuapdtrkìzr in fuo luoco far federe queffaltra-Ael 
U quale ( per non dir peggio ) non fi fa patria, ne nome. 
Cori, A me pare meffer Lax<iro,che le uofbre ragia 
mperfuadano dltruia non parlar mai uolgarmente :U 
qulcofd non ft può far e, fatuo fenon fifabric&ffetmd 
nmua città* k quale habìtajferoìlitterati ; oue non fi 
parUfjefe non latino . Ma qui iti Bologna chinop. par.* 
laffe uolgare t non barebbecbil'intcndeffi ,ey pareb* 
be un pedante; ìlquale con gli artigiani fitceffe il TwI* 
Ho fuor di propofito . L a z. Anzi uoglio , che cofi 
come per U granari dì quelli ricebi fono grani d'ogni 
manierd,orzo,migUo,fromentOiO- altre biade fi fata- 
te , dtUe quali altre mangiano gli buemini , altrele be* 
fliediqueUa caja;cofi fi parli diuerjamente bor lati* 
no , bar uolgare , oue er quando è mejlieri . Onde fe 
Ibuomo è in piazza , in uiSa , o in cafa col uolgo , co* 
contadini, co' ferui, parli uolgare, cr non altramente : 

ma 



DIALOGO 
ma nelle [cole delle dottrine er tra i dotti, oue pofii/cmo 
Cr debbiamo effer huominifu bumano,eioè Ittino il ra* 
$jonamento.cr altrettanto fia detto della fcrittura:k* 
quale fard ti/Agar Lnecefìita,ma la elettrone latina, 
«taf imamente quando alcuna cofa faiuemo per defide* 
rio di gloria ; la quale mal ci può dar quella lingua , che 
«acque , er crebbe conia nofbra calmiti* fj tuttauia fi 
tonfava con krouina dinoi.'B & m. Troppo afpr amen 
\e acculate qucfta innocente lingua: la quale pare che 
molto più ui fu in odio : che non amate la lattina er k 
greca.Terocbe oue ci baueuatepromeffo di lodar quel* 
k principalmente, er k thofcana alcuna mito, uencndo 
il cafo,mtuperare; bora bautte fatto in contrario: quelle 
non bauete lodatoci quella una fieramente ci biafimate; 
et per certo a gran tcrto: peroebe ella non è punto fi bar 
tarara, ne fi priua di numero er ibarmonia, come la ci 
bauete dipinta, che fe la origine di lei fu barbara da prùt 
ciptoi non uolete uoi che in ifyatio di quattrocento o cin* 
qucccntoannifia diuenuta cittadina d'Italia? per certo 
fhaltramente liKomanimedefmi,liqualidi phrigia cac 
dati uennero ad babitarc in Italia, farebbero barbari: le 
perfone , i coflumi ,ryk Imgualoro farebbe barbara : 
lUalia, k Grecia, ©" ogni altra prouinàa , quantunque 
manfueta, er bumana fi potrebbe dir barbara fe l'erigi* 
ne delle cofefuffe bafìate di recar tcro quefìa infame de» 
nominatione . Confcffo adunque k lingua nojtramaterz 
tiaeffere una certa adunanza non con fu fa, maregokta 
di molte er diuerfe uocijnomi,uerbi t ZF altre parti dora 
tione ile quali primier amenti da prone ©* mie natani 



d e 1 1 v l i H o v i. ro^ 

in Italia iiffemirutcpid cr artificiofa cura denojìn prò 
genitori in fime raccolje : er ad m fuono , ad uru nor* 
md , dà un ordine ft fittamente compofe , ebe c$i ne/or* 
«uro» qttctk imgtu, k quale bora è propria nofha,cr 
tion d'alai, imitando in quefìo ld madre nofbd natura: U 
qudle di quattro elementi diuerfi molto fra loro per qua» 
liti , er per [ito ci ha formiti noi altri più perfetti , er 
più nabli i che gli clementi non fono , imaginatcui, mefi 
fer UXtro , di uedere [imperio , k dignità, le ricche 
zc , le dottrine , er finalmente le perfone , er la lingua 
£ Italia in forza de barbari in maniera , che il trark lor 
Me mani fu cofa quafi imponibile : ttoi non vorrete m 
uerc al mondo imercantarie ifiudiarc! parkre uoicuo 
fb-i figliuoli ì Ma kfckndo da parte [altre cofe t parla* 
rete latino, cioè inguifa,cbe no it intendano iBolognefi; 
o parlante in maniera ch'altri intenda,^ rif^odat Dan 
qut una uolta il parkr uolgarmente era fona in ìtalk ; 
ma in proceffo di tempo fece Ibuomo ( come fi dice > di 
quella faxa , er neceflita torte , er l'inéujìria detUfud 
lingud.Zt co/ì come nel principio del mondo gli fcuouii- 
mdaUefiere fi difendevano fuggendo,®- uccidendo few 
za altro; bor paffundo pia oltre a beneficio er ornamene 
to deUd perfona ci uefiiamo delle lor petit: co/ì da primi, 
d fine follmente d'effere intefi da chi regnata , perlaM* 
mo uolgdre : bord a diletto,er a menarla del nojbo no* 
me parliamo, crfcriuiamo uolgdre . O egli farebbe me* 
g(io che fi rdgiondffe latino : non lo nego ; ma meglio }w 
febbe anebord , che i barbari mai non baueffero prefa, 
ne dibatta [Udii i cr the l'imperio dì Komafuffe du- 
mo 



DIALOGO 
tato in eterno, Dunque fendo altramente., àie fi dee fa* 
re f uoglùtm morir il dolore! réiar mutolii V non par* 
tar man finche torni arinafcere Cicerone Virgàoì 
Le afe, i feinpi/jCr finalmente ogni artificio moderno, 
i difegni, i ritratti di metallo er di marno non fono da e\ 
fer pareggiatiagli antichi-Aoutrno però habitare tri ho 
fchi f non dipingere, noufmdcre, non ifculpirc , nanfa* 
criccare , non adorar Dio i bafla a rfciwwo mffer L*= 
zaro mio caro, che egli faccia ciò che egli fa, er può fa* 
re,wfi contcntideUefue fòrze. Coniglio adunque, & 
mmonifco ciafcuno, che egli impare la lìnguagreca,er 
Utina, quelle abbracàe,queHehabbia career con l'aiu* 
to di quelle fludie a farfi immortale.m a tutti quanti no 
ha partito ugualmente nomenedio ne Fmgegno,neUcm 
po P w ui uuò dtre, farà alcuno perauentura,cui ne na* 
turale wdufb-ianon mancherà ;nu&tdimeno egli ferì 
auafi che dalle fiette mimato a parlare o-fcrwer me* 
vUouolgare, ée latino inunfeggetto, rjmuna ma* 
ìerkmedefma; che dee fare egli f Cbecio fiadueroi 
vedete le cofe latine del Petrarca , cr del Boccaccio, & 
^tagliatele aUc loro uolgarUi quelle niuna peggiore 
iiquelicniunamigUore giudicarete. Dimqmda capo 
confei» & ammonifeo noi meffer Lazaro , [cratere er 
parlare Unno , comequetio che $ai meglio jatuete& 
parlate latino , che non uolgare : tua ira gcntilhuomo, 
il quale ì Ut pratica della corte,o {inclinatione del uoftro 
nlcanentollrmgedfar altramente , olir amente confi* 
dio • cf /scendo altramente nmfolmente non muerett 
l^ Q mrato,m4mopmghrÌpfo,qimtofamndo,& 

parlano* 



DILLI LINGVE, 104 
parlando" bene ttolgarc t almeno a ualgari farete caro ; 
ouetnalamentc fcrtuendo,et parlando latino,udt farelìe 
a dottiparimentc,cr indotti Ne làperfuadaTtloquen* 
tiadimejfer L-axaro più tofio a diuenir mutuiate com 
pontre uolgarmcnte,peroche co/i la prcja 7 comeil uerfo 
della lingua moderna, è in alcune materie poco meno nu 
torrefa, &■ di ornamenti capace delia grecai della fd=» 
ima. I uerft hanno lor piedijor harmonia,lor numeri le 
profe il lorfluffo di orationeje lorjigure,ey le loro eie* 
gonfie di parlare, rcpetitioni, conucrfioni } complefiioni 
cr altre tai cofe-per le quali uon è forfe t come credetegli 
uerfa una lingua dall'altra : chefe te parole fono diuerfr. 
Torte del cottiporteiet deU 'adunarle è una eoft mede firn* 
nella Lima, ey nella tbojcana . Se meffer tataro ci ne* 
gaffe quefio: io li dcm4ndercì,onde è adunque ^che le cen 
to noueUe non fono beUe egualmente,™ ifcnettt delVe 
trarca tutti parimente perfetti* Certo bifognarcbbe,che 
egli dkeffe niuna or ottone , niun uerfo tbofeano non ef* 
fer più brutto, ne piti bello dell'olir o,w per confeguen* 
te il Serapbmo ejfcr eguale al Petrarc&o neramente con 
feffarebbefra le molte compojìtioni uolgari alcuna più, 
alcuna meno clegóte et ornata demolirà trouarfhla qual 
cofa non farebbe cojj, quando eUefuffero del tutto priue 
dell'arte de Tarare, zj del portare. Lai. Alou/ignore 
io negai k lingua moderna bauer infe numero, ne orno* 
' mentore confonantia,w lo nego di nuouo, non per ejbe 
rknta ch'io rìbabbiama per ragione;chefc Thmmo,fttt 
za punto faptr fonare ne camburro , ne tromba, jolo che 
gUoiama mito, per la loro fpiacciiokzxa, pttogùtdi* 

care 



DIALO G O 

ure non effere firomcnti atti tifare hamtmU , ne 
Mo ; coft udendo, formando per me mcdefimo que* 
fte parole uolgari , alfuomdi ciafeunadi loro feparat*. 
tkU'altreifcnza ch'io la compone altramente affai bene 
comprendo , che diletto poffanorecare agli orecchi de 
gii afeokanti le profe, <y i uerfuchefe ne fanno : itero è, 
che queflogiudicianon Uhi ogrìuno t ma colora foUmcn 
te , i quéi fono ufatx a ballare al fuano de i liuti , er de i 
titoloni . E mi ricorda, emendo una nota in Ve:ietii,oue 
eri/io giunte alcune natii de Turchi, udire in quelle mi 
tornare di molti fbramenUi dei quale nel più. fpkceuole, 
nel piti noiofo non udì mai alla ulta tnkynondimeno a\co 
loro, che non fono ufi Se dclkie fìtalit , pareua quella 
una dolce muftea ndtrettanto fi puodire della numero? 
fità dett'omianc , er delnerfo di quefta lingua. Alcuna 
ttolta qualche confonanza ui fi ritratta, che meno i»gr*« 
(4 er mcn brutta fa CtmdeR'altrayna quella infe è tur* 
mania?? mufm di tamburri,anzi d'archibufì e di falco* 
netti , che introna altrui [intelletto, er fere,?? (ìroppia 
fi fattamente , che egli non è pw atto a riceuere impref* 
Clone di pindelicatoflromento, ne fecondo quello ape* 
rare. Per la qual cofa chi non ha tempora «erta di food* 
re i liuti, er i unioni deUa latina; più toflofi dee fare o* 
tiofo , che por mano a i tambum traile campane delia 
volgare: imitandoieffempio di PaUadede quak-per non 
fi dilìorcere ttelk faccia fonandogittò uia la piuaji che 
era data inuentrice va' fu a lei più gloria il partirla da 
.f<„er nondegnar d'dppreffarlafi attafuabocca, che 
non fu utile a mrfia il ruoglterla , a 1 fonarla, , onde ne 

perdette 



DELLE I.IHGVI, IOJ 

perdette la pelle. Vero écefìe Mofignore quéprinùm 
tiebi Tofani efferc fiati sforzati a parlare inquet?amd 
nicrjjHow udendo con /fatto trappaffar la hr uita : er 
àie noialtri pojìeriori habbiomo fatto dellahriii forza 
titsjba virtù i qucflo è uero : ma maggior laude dà altrui 
quelli violenza ; che a nei non reca quefla virtù . gloria 
fu a loro l'ejjlr folerti nelle miferie : ma biafmc,crfcor* 
noianatltrijhora che liberi femojl dar ricette &con 
jeruare lungamente un perpetuo tejlimcnio della ncjìra 
utrgognd>o quello ncnfoLmcntc nudrire j ma ornare : 
altro non effetido quefla ìmgua ualgarc , che uno iv.ditio 
dimojlratiuo della ftruitù che gli Italiani Guerreggiane 
do una j olla U uoibra Rcp iìbhca,crnon le baftavdo fo= 
ro tri argento a pagare t faldati ;fcc e ( cerne fi dice) 
Rampare gran quanta di danari di cuoio cotto col cerno 
di fan Marco, er con quelli fcjlcntò, tj uùifc laguerrai 
cr fu fapientùt Venetiana quefla .mafea tempo di pace 
hmeffero continuato a prendere quella moneta, ejrafar 
h digiorno in giorno più bclla,tj dimiglior ccramegià 
farebbe contienila in auaritia lafapienza. tiara fc alcu* 
no ci hiuejfejl quale, prezzato loro, cr f argento ,fa* 
eeffe del cuoio the foro ; non farebbe egli pazzo coftuiifì 
ueramtnte . Ma noialtri, cui mancando iltheforo lati* 
no, li ncftrd calamità fece prouedere dimoneta uolga* 
re ; quelli non cibajla di jpendere tuttauia col uolgo*he 
étto nonne conofee , «e tocca , ma uenutone fatto di ri* 
courarlc perdute ricchezze ; lei tuttauia conferiamo : 
crne ijecreit dell'anima nofca, ouefùkuano ferrar lo* 
ro, er l'argento di Roma , diamo ricetto alle reliquie di 

O tutta 



DI A I O G O 

iultta labarbariadehnondo. Cori. A me paremef* 
fer Lazaro,che quello non fu ne lodar la lingua Latin*, 
ne uitupcrar la uolgareyna più tojlo un certo lamentar fi 
drtìti reuma, d'ìtalia : la qual cefi, cerne i poco fruttile >ft t 
cofi è molto difcojla dal nofiro proponùnento ; onde non 
vi uedo partir ttobntieri. L a z. Varui che"! bufimo di 
quefta lingua fta poco, quando io congiungo ilnafcimen 
to di lei alla diftruttione deU'hìipaio,0' del nome latinai 
CT l'accrefcimcnto dilei dimane mento delnojìro intel* 
letto tgi'a me non laudante in que&a maniera , per far* 
mi piacere . Cor t. Citi non giudico biafmo-ma me* 
Tauìglia più to&o : che gran cofa dee effer quella, di cui 
non può Ihuómo parlare y tacendo larouìna di Rem, 
che fu capo del mondo . cr che quello fta ucro ì poniamo 
che non i Barbari, ma i Greci Ib^ejfcro disfatta,cr che 
da indi In qnaparlaffero Atemefegli Italiani ; un biaft* 
mrefte la lingua Àttica iperoebe tufo di lei fuffe con- 
giunto alla frittiti nojhra-L a 7. Se ciò jiato fujfe,no finb 
be fulaguafta ,ma riformata l'Italia .perche non fola* 
mente non biaftmerei il disfacimento di quejio imperio, 
ma loderei Dio che lui batte ffc uoluto ornare di linguag 
già conueneuoU alla fu* dignità. Cobt. Dunque mag 
giare il danno Sbatter perduta la lingua, che la libertà ì 
L A z. Si fenxadubbio : peroche in qualunque Stato fu 
fbuamo,o franco,ofoggettOì fempremai è huomo , ne da 
ra più d"huomo ima li lingua Latinaha uirtudiftre di 
buomini Dei, cy di morti , non che di mortali che ftamo, 
immortali perfamx.V,tcbe ciò fia uero$imperù> stoma* 
pò , efee/t dijìefe per tutto , è gii guajìo ; m U memori* 

dm 



DELLE LINGVE. IQ< J 

detta grZdexza di hà conferita* neUhijhrie ai Saltijlh, 
CT di Limojura ancora, durerà fin cbe'l deh fi mal 
uerauzr altrettanto fi può dire delF imperio^- della /w* 
gita de Greci. Cor. Quejìa ttirtà di far leperfone fmà 
le p molti fccoli non l'ba,cb'io credala bijùria arerai 
latinawne Greca, e Latinayna come l'bifiorid ch'èttà èi 
laqualejn qualuque idioma fu feruta da alcuno:i fempre 
mai (tome alcun due) testimonio del tempo , luce della 
ucriù, utta della memora , maefko della ima d'altrui, 
crnnoucUamento dell'antichità. Lat. Voiditeilucro 
no effer propria qucfla uirt* delibijìorie Greche,?? La 
Une,non che altra lingua ne fa partecipe , ma percioebe 
tutte l h,)lorie Gre. he , & Latine non hanno battuto tal 
pnuilegioi ma quelle jolamente, li quali artificio) ameme 
compoje alcuno hitomo eloquente ; fendo perfette quelle 
die lingue. Onde gli animali di KomaM quali lenza aiu 
no ornamento , ccnfanplki , er anclwra rozze parole, 
narrammo gli auenimenti di lei , non durarono molti an* 
ni m di hro fi parlerebbe ; fe altro fcrùtore,quafidaco 
paltone molfo, non ne faceffe parola. Dunque fe quelli il 
tempo ha fato dtuenir nulli , li quali affai doueuam ha* 
tur di elegantia , effeuio ferini latinamente , bar che}* 
dell btjhrie uolgart ì cui ne naturale dolcezza di lingua, 
ne artifiaofa eloquenza diferittori non può far care , ne 
gratiofegiamaif corteo. Non intendo anchcra ben 
bene in che coft confitta la foauit* della lingua, cj-dcUe 
parole latine , er la barbara jbiaceuotezza deRe uM* 
gari , anzL,conje}fandoui liberamente la mia ignoranza, 
grandìfiÒM numero di nomi, participi Latini con 

O 1 Lro 



DIALOGO 

toro ftrana prowntidtione, le più mite mi fuortd.no non 
fo che Bcrgamtfco nel capo : àkrdtant ù fogliano forcai 
ami modi cr tempi de ucrbi ; ttUe quéi parole una fimilc 
ielle uolgari la nojira corte Rom<m<t non degnerebbe di 
proferire. hte.louiricordogentil'buomocbe l'autori' 
Ù concijtor iole non è giudice competente del fuow , CT 
degli accenti deSe parole latine ; onde fé alcuna nota k 
Itnguaktindle pare tener della BergamafcdìeUd noni 
però Bergamafcd : ne perche tdefidgiudicdta^iumdo 
ffete merdMgliare,cbegia ui fiate merauiglkto , hiueda 
letto in Ouidio , lAida Re più falere lodare Io Ridere 
delle cannucae di Vdth che kfoautù deUd cetra fApal 
Ìo. C o r t. Ecco io fon contento diconfejfxrui , chele 
crecchie in tal eafo non fidilo bumanc, ma d'Afmojc uoi 
\nì due , per qual cagione la imncrofiù , ej confotidnza 
delle ordtioni, er de uerft di queftd lingua chiamale ma 
ftutarcbàuft : condofucofd che i gran mdejlri di con' 
tOyeui è propria profefÀone Ibannonidi rade uolte,o non 
mùfamo canto , o mottetto,cbe le parole di lui nofiano 
Sonetti , o Casoni uelgari.qucflo è pur fegno che i no» 
fai uerft fon da fe pieni dì melodia . l a 2. Già non è, 
gentilbuomo)come forfè penfate ) l'harmonk del canto, 
CT quella delle profe, cr de' uerfi una cofa medefimam 
suite fono,& diuerfe , onde non fotmente delle coft 
malgari , ma di chirìe anchcra,cr de ifantut fi fanno con 
fi , c>~ mottetti t della cui barmonix generabnente sinica 
4c ogni oreccbia;pcroche quali fono ifaporidUa lingua, 
fj a gli occhi , CT di ndfo i colori , & gli odori , tale i il 
J'iuw u gli orecctó degUhuoìnini ; li <{u4li per lor tutu* 



DELLE IIUCTI. 107 

ra,etfenzd jìudio ueruno facilmente difcmtono trai pia 
ccuotc,cl dijjikceuole.Mail numero,?? -Ubarmonk dei 
l'or ationc,&- del uerfo latino, nonè altroché artifìcio* 
fa dijpofitione di parole ; dalle cuifittabe , fecondo labrt 
uitì , er li lunghezza di quelle, nafeono alcuni nmerk 
che noi altri cbimkmopicdi, onde mi fioratamente carni 
m dal principio atta fine il utrjb , <cr loratione . er fono 
dìdiuerfe maniere quefìitai piedi , facendo i loro pafii 
lunghi,®- corti, tardi,?? ueloci, ciascheduno alfuo mo- 
do, er c beWarte quelli inficine adunare fi fattamète,cht 
iten disordino fra fc ftefiijna tuno, atfaltroyt? tutti in* 
ficmefiano conformi al foggetto : peroebe d'alcune ma* 
teric alami piedi fono qujfi peculkrhetfra lor piedi qua 
li meglio,quali peggio s'accompagnano al loro ukggio i 
CT qualunque perfona quelli a cafo congiugne, no bauen 
do riguardo ne atta natura diqueUitne atte cofe,diche iit 
tende di ragionare i uerfì,^ torationifue nafeono zop* 
pe,CT non dourebbe nutrirgli: et' di queftd eotal melodia 
non ne fono capacigli orecchi del uolgo : ne lei altreft 
poffmto formare le uocidella lingua uolgare : k cuipro* 
faianonfodireperquairagione fiammerofa chiama* 
ta,fe Hbuomo in lei non s'accorge,o non cura ne di fpon* 
dei,ne didattili , ne di trocbei,ne danapejU, er finabnè* 
te diniuna maniera di piedi : onde fi moue l'oraitone bea 
regolata . Veramente quefìa nuoua befìia di profit uol* 
gare,o èfenza piedi, er fdrucciok aguìfa di bifeia, o ha 
quelli dijpetie diuerfe molto dati* Greca , er dalla La* 
ima : er per confeguente dì coft fatto animale , come di 
tncftro <t cafo creato ,oltrdticojlume,a- l'ùitentione di 

O 3 egli 



DIALOGO 

6%ni buono inteUclto ; non fi dovrebbe fare ne arte , ne 
faenza . iuerfi neramente, inquanto fon fatti iundiàfìl 
libc t rion.paionoin tutto priui di piedi, che lefllibe 
in loro hanno luogo , rj- nfficio di piedi : ma in quanto 
qneUc cotal poffono effer lunghe , er breui a lor uoglia; 
m ti non.d'trò che fia diritto il lor eaUefaluo fe M ojìgnor 
non Jkeffelc rime effer fabpo^gio de uerfi , rbe zìi fi* 
ftaigono,zr fano andare dirittamente, la qual ofa non 
itti par itera ; pcroche , per quelle ch'io n'oda dir; le rime 
fono pia tefìo come catena del Sonetto&aUa Cannone; 
che piedino nunì, di uerfi loro, et tanto uoglio che ne fu 
detto da me breuemente certo ; per rijpetto a quello che 
fe ne può ragionare ; ma a bajlanza, fe alla uofbra richie 
jìacr troppa forf?, (e aUaerefenza Monfignore firn 
guarderà : il quale meglio di me conofe , er piton'ame* 
rare i difetti diquefla lingua. B e m. Quefta cofa de mt 
mcrì,come fi (lia&fe cofi la prefa, come il ucrfo Tofa 
no riha lafua parte, er m à>e modo la fi babbix , per ef 
fere affé facile da uedere,ma lontana dal noftro propos 
nimento ; bora con effò uoi non intendo di iifbutarldan* 
zi confidando quello effer itereche ne dicelie , non tan* 
to perche fa uero, quoto perche fi ueda ciò che nefegm 
io ni dico quefla linguamoderna, tutteche fidanzi dttem 
patena che nò-, effer però anchora affi picchia , er fot* 
tile uerga la quale non haappieno fioritolo che i frutti 
prodottile ella può fare: certo non per difetto della ni 
tura di lei,effcndo co/i atta agenerare s come le altre; ma 
p:r colpa di loro, che Fbebbero in guardia, che no la col 
tiuorono abaftazam aguiftt dipianta feludggiajn quel 



medeftmo deferto , atte perfe a nafctre cominciò, fenzai 
vidi ne adacquarU,ne potarla, ne difenderla da i pruni , 
che le fano ombra,lbdnno Itfciata inocchiare, et quafi 
morire . Etfeque primi antichi Romani foffero fiati jì 
negligenti in colature la Latina , quanto 4 pullular co* 
tnwciò i per arto in fi poco tempo non farebbe diuenu* 
td fi grande ; ma cfii,* grafi di ottimi agricoltori, lei pri* 
interamente tramutarono da luogofdudggioadomeftU 
co ; poi,percbe er pw toflo,cy piit belli, rt maggior frut 
ti faceffe,leuandolc aia dattorno le inutili frafchezn lo* 
ro (ambio lùmcftarono d'alcuni ramo felli maefircuol* 
mente detratti dalla Greca : li quali fóltamente inguift 
le t'appiccarono,^ in guifa.fi fama fintili al tronca che 
boggimat non paiono rami adottiuijna naturali . Quin* 
di nacquero in lei que fiorì, et qui frutti fi coloriti deli e - 
hquetiza-con quel numero,?? con qucU ordine ifltffo, A 
quale tanto cfftliate : li quali non tanto per fua natura > 
quanto d'altrui artificio aiutata , fuol produrre ogni Un* 
gua . Perochel numero nato per magiflero di Tbraft* 
macho,di Gorgia,di Tbecdoro ; ìfocrate finalmente fc* 
ce perfetto . dunque f Greci , er Latini huominì pi» 
foUeciti alia coltura della lor lingtù,ckc noi non fetno al* 
U nofka j noi; trouarono in quelle fe non dopo alcun 
tmpo,cr dopo molta fatica , ne leggiadria:, ne numero i 
già non de parer marauiglia, fenoi anebora non rìbaue* 
mo tanto , che bafìì , neSa uolgare ; ne quindi de prcn» 
der Ihuomo argomento a [brezzarla , come uil cefa , er 
dapoco . Oja Latina è migliore d'affai . ò quanto fa* 
rtbbt meglio dk fu >z? none una fa Ilota, per lo paf* 

o 4 /fife, 



DIALOGO 

fato , cr fa Mchor tuttauid fi gentil cofa : tempo forfè 
uerrà, che (f altra tinta eccellenza fia la volgere dotatd, 
che [e per effer e a wfhi giorni di ninno flato s crmen 
gradita ,non fi doueffe apprezzare U Greca; la quale e* 
ra gii grande fui nafeimento della Latina : ne uoftri ani 
mi non douea kfeiar fermare le radici furi ultra lingua 
nomila altrettanto direi àcllt Grecaper rifletto aU 
la Hebrea , Cancludcrebbefi finalmente dalle uofh-epre 
miffe Àouer effere al mondo fola una lingua t ej non più » 
anele [ertueffero , ey parkfjero li mortali , cr aiterebbe 
#f>e oue uoi crederefle d'argomentar folamente cantra U 
lìngua Thofcani , cr quella con uofbre ragioni efìirpare 
del inondo, uoi parlarefle etiandto cantra li "Latina , & 
U Greca . benché <j:«/f a pugna ftefìtn 'crebbe non fo* 
lamente contrai linguaggi del mondo ima cantra Dio: 
ilquale ab eterno diede per legge immutabile ad agni co 
fa creata non durare eternamente ; ma di continuo duna 
in altro fiato mulxrfi: bora duanzando,et bora diminuì* 
do fin che jinifea stili uolta che mai più pofcUnon rìno* 
ttarjt. Voi mi direte } troppo indugia boggitìtai la perfet* 
tione della lingua, materni : er io ui dico che cofs è,come 
dite imitale indugio non dee far credere altrui effer co* 
fi imponibile, che elk diuenga perfetta : anzi ui può fif 
eerto lei douerfi lungo tempo godere la fua perfezione , 
quarhora egli auuerrà ch'eUafe l'babbia acquiftata. Che 
cofì usici la natura : la quale ha deliberato, che qual or* 
ber tojlo nafce,fìorifcc,& fa frutto: tale tofla inuecebìe, 
ZTfs muoia : er in contrario , che quello duri per molti 
ami , il quale lunga Ragione bar a penato a far fronde , 

Sari 



DEI L S L INQYI. 109 

Sarà adunque U nofira lingua in conferuarfì la fua dota» 
ti perfettione lungamente difidcrata , ey cerati* lìmite 
forfè dd alami ingegni ; fi quali , qmnì o tnen fàa'&ttenfe 
dpprcnJoro le (kttrine;f auto pi» dijjìcìtmcntr le fi k/ei< 
no «/ciré (fella memoria. Q,eUa è tcjlìmonio della noftré 
vergogna >effendo uenuta in Italiainfieme con la rovi* 
wa di lei . Viu f o/Ìo efid è teftmonio dcUa nofìra folertia , 
cr del noflro buono or dimenio : che , cofì come uenenda 
Enea dt Troia in Italia ad bonor fi recò lafcìare fcrìtto 
in un certo trofico drizzato da lui,queUe cjfere (lato fe 
armideuincitoridelkfu4palm t cofi vergogna non ci 
puooffere l'hauer cofa in Italia tolta di mano a coloro, 
che noitolfero di libertà . virtifinabnente^itando effer 
uolcfti maligno, più toflo douerfì adorar daRe genti il So 
le orientc^c l'occidente: la lingua Greca& "Ldtinagii 
effer giunte ah"occafo:ne quelle effer più lunge,ma ebar 
tafoUmente tj ingk>flro:ouc quanto fio, difficile cof* 
Imparare a parlare : ditelo uoi per me,cbe non ofate dir 
cofa latinamente con altre parole, ebe con quelle di Ciee 
reme . Onde quanto parlate, uferiuete latino non è al* 
tro,che Cicerone trafyoflo più tofio da ebarta a Siria , 
ebedamaterka materia : benebe queflo non è fi uofhro 
peccato , che egli non fu anebe mio s c d'altri affai tj 
maggiori , er migliori di me i peccata però non indegno 
difeuft , non poffendofarfi altramente . Ma quejìepo* 
che parole dette da me cantra U lingua latina per land 
gare non difiiper uero dire : /o/o uolfmcfbrare quanto 
bene difenderebbe ejucjla lingua nouette chiper lei far 
uolcjfedifféfa : quando a lei non mancOttK cuore , ne or* 



D T A L O CO 

mictoffendere lAtrui. Cori. Pormi Monfignore che 
cofUetniatc dì dir maledeUa lìngua lattina ; cernie fe eU 
U f 'offe k lingua del uoflro Sant o di Padoua : alla quale 
è ditanto conforme, checome quella fu dipcrfimagin ui 
uaUctàfantitÀè cagione che bora pofla in un taberna* 
colo di criHallo fu dalle genti adorata; cofi quejU degna 
reliquia del capo del mondo R orna , guaflo er corrotto 
fià molto tempo , quantunque boggimai fredda crfecca 
fi taceu inondimene fatta idolo dalcune pqcbeeyjuper 
jlieiofe per folte , colui da loro non è Cbrtfìiano tenuto t 
the non l adora per Dio . lAa adoratela a uojb-ofetmo, 
fola che non parliate con effo ki. er «olendo tenerla in 
tocca cofi morta come è, firn lecito di poterlo fare : ma 
parlate tra uoi ciotti le uofhe morte Latine parole ; er d 
noi idioti le noflre uiue uolgari,con la lingttd che Dio ci 
dteiejafitte in pace parldre.BE ti . Doueuate, per ag* 
Quagliarla compitamente alla lìngua del j 'anta , foggion* 
gere qualmente torationidi Cicerone,* i tierfi divirgì 
Uo le fono degnLcr pretioftftimi tabernacoli ; onde ki co 
tuie cofa beata riuerìamo,et incbìniamoMa per certo ne 
lma,nt [altra non mcritaua che la tenejìe per morta-fi* 
perando tutt'horanewrpi nofìri et nei 'anime quella fa* 
httc,qnefla utrtutez con tutto ciò lodo fommamente la no 
fha lingua uotgare,cioè Thofcana ; aceìoebe non fta al* 
arno che intenda della uolgare di tutta italia : Thofcana 
dicojion la moderna, che vfa il nolgr hoggidi ;ma fanti 
eamde fi dolcemente pariamo il Petrarca tj il Boccac 
ào:rhe la lingua di "Dante fente bene^et fyeffo più del lo 
bardo,chc del Tbofcanoì tt oue è Thofcam, è più toflo 

Tbo* 



DELLE t I H G V E. 113 

Tbofrdiìo di contado,ehe di città. Cunque di quella par* 
h,quella lodo,queÙa vi perfuado apparare, ebequantm 
que ella nenfugiunta aìlafua uera perfettione, ella non 
dimeno le è gii uenutafi preffo ; che poco tempo ut è 4 
uolgere ; oue poi che arriuata farà ; non itibito punto , 
che quale è nella Grecaci nelk Latina, talefia in lei us- 
ti di far uiitere altrui mirabilmente dopò la tnorte, cr «I 
Ibora fi k uedremo mi fare dimoltinon tabernacoli, m*t 
tempi;, V ultori : alla cui uìfitatione concorrerà, da tutte, 
le parti del mondo brigata di fpirii i pellegrini j che le fi 
ranno lor tìo!t,er far amo efpatditi da lei . Co ut. Dime 
quefeiouorrò bene fcriuere uolgarmète, couerramitòr 
nare anafeer Tbof^ano! Bem. Kafcer nò ma fìudìar 
Tbofcano,cb"egli è meglio per auentura nafeer Lombar 
do,che Fior ent ino i per oche Tufo del parlar Thofcobog 
gidiètanto cÓtrario dUe regole della buona lingua ibo 
/tini, che piti nuoce altrui e ffernato di quella prpuincia. 
cbenongligiaua. Cosi, ÌDunque unaperfenamedefì 
ma wn può effer Thofca per natura cr per arte B E v. 
Difficilmente per certo^ffendoTujanza,che per lughe% 
za di tempo è quafi ccnuertita in natura, diuerfa in tutto 
dalTarte,Onde,eome cbiè Giudeo,o Ueretico,rade mi 
tediuienebuon Cbrijìiano, arpia crede in Cbrijh chi 
mila credcua,q'ianto fu battexata ; cofì qualunque tton 
è nato Tbofcano più meglio imparare la buona lingui 
Tbofcana , cfie colui non fa , il quale da fanciullo in fu, 
fempremai parlò peruerfamente Thifcano . Cort. 
Io , the mai non nacqui,ne fludiai Tbofcano , male pofjò 
rivendere alle ucftre parole ; mndimmo 4 me pare.cbe 



DIALOGO 

piti fi cormengd col uofho Boccàccio il parlar Fiorenti* 
no madcrno;cbe non fi il Bergamasco. Onde eglipotreb 
he effcr molto benebbe huomo nato in Milano,fenza b4 
Ucr mai parlato alla maniera Lombarda, meglio appren 
ieffe k regole deUa buona lingua Thofcana,cbe nanfa* 
rebbe il Fiorentino per patruàtia che egli nafca,et park 
lombardo boggidì,crdiman d^matàmparle,etfcrìud 
regolatamente Thofcano meglio , e? pi» facilmente del 
Thofcano medcftmo i non mi può entrare nel capo : al* 
trainane a tempo antico per bene parlare Greco,& Ld 
t ino, farebbe (iato meglio nafeere Spagnuolo,cbe Komai 
HOì& Macedone, che Atbenkfc. Bem. Quefìotw: 
perche h Uugud Greca et Latina a lor tépo erano egual 
tnevtc in ogni perfona pure,et non contaminate dSk bar 
borie dell'altre UnguexT coft bene fi parlauadalpopolo 
per le pìtzZCcottte tra dotti nelle lor [cole fi ragionata. 
Onde egli fi legge di Theophrafìo , che fu tun de lumi 
della Greca elcquenza,effendo in Atbene,*Ue parole ef 
fer fiato giudicato foreftiere da una pouera feminetta di 
contado . Cojt. lo per me non fo come fi fila quejì* 
coja; ma fi ui dico , che douendo Studiare in apprendere 
dama lingua ; più tcflo uoglio imparar la Latina c h 
Greca, che la uolgar : la quale mi contento ihauer por* 
tato con effo meco dalla cuna & dotte fafcie t fenz* eer* 
caria altramaite , quando tra te prefe , quando tra uerft 
degliauttorìThofcaniB i m. Cofi facendo ucifcriue* 
rete, et parlante a cafo,non per ragione: peroebe nium 
altra lìngua ben regolata a tltalkfenon queu n ma,di cui 
vi parlo , Cosi, Almeno dirò quello che io baucrò 



BELI, I t I M fi T li HI 

in cuore et Io jludìo che. io porrei in wfik&parolctte di 
qucfh et di quellofi lo porrò in trottare et dijporrc i con 
cotti del? animo mioionde fi Aerina la uitadellafcrittura: 
che male giudicò poterfi ufare da noialtri a figafkttre i 
nofìri concetti qucUalingtia, Thofca, o Latina ch'ella fi 
fu.U quale impariamo,®- effercàiamo non ragionando 
tra noi i nojbi accidenti ,ma leggendo gli altrui, QueSa 
d di notori chiaramente fi uede in un giouane Vadouano 
di nobili^imo ingegno, ilqttdk>ben che talhoracon mol- 
to (indio, che egli ui mette , akutid coft componga atU 
manieri del Petrarca , er fld lodato dulie perfone* non» 
dimeno non fono da pareggiare i Sonetti, er le Canzo* 
ni di lui atte fu* comedie , le quaUnelldfua lingua natk 
Mturabnente,<cr damma arte aiutato par che gli efebi* 
no della bocca: non dico però che huomo farina ne Vada 
uano , ne Eergdmafco ; mt uoglio bene , che di tutte le 
lingue d'Italia paliamo accogliere parole,?? alcun mo* 
do didire, quello tifando cornea noipiacaji fdttMcntti 
ehe'l nome non fi difcordi dal uerbo > ne l'adiettro dalfo? 
Slantiuù; la qual regola di parlare fi può imparare in tre 
giorni, non tra grammatici nelle [cole ; ma nelle corti ed 
gentilhiiommnon ijìudiando , maginocattdo er ritów 
do , fenza alcuna fatica » er con diletto de difcepoli , cT 
de precettori . B e m. Bene jlarebbe,fe quefìa guift di 
fiudio bajtaffe altrui a far cofa degna di laude,®- dt me* 
r duiglu, ma egUftrebbe troppo leggera cofa il farli e* 
terno per fama, er d numero de buoni er lodati lentia* 
ri in picelo/ tempo denterebbe molto maggiore, che 
egli non è. Btfognageuù^uomamio caro, uolèdo andar 



DI A L o e f> 



perlemmì,w per le bocScdeUe perfonedel monda, 
lungo tempo jcderfi ntUafua camera, er chi morto m fé 
flclfo } difa di ù** Mammona degli huomintjudar 
& agghiacciar più wltetct quanto altri itungii , et dùT* 
me a tuo Agio . pmr /urne , & mgghure .Cor t. 
Contatto ciò muffirebbe faalcofail diuemr ghrwfo j 
cucaltrc bifogna chcfaperfauelìarc.ée ne dite Hot mef 
(er Lataro.iopermefoncontento^ontenlandof: Hon- 
fenorèi che (i «o/ìr a JcntetEci ponga fine die nojhrt 
M L a z. Cote/io non/Vò w, cb'w uorrei éetditfen 
(oridiquefìa lingua uolgare foffero difeordt tra (ora, « 
cùct» d«ettt ^guìfa diregno partito , pw ^«ofmm- 
*erorà#ro kdifknfkmciiiilL Cobt. Dmpem 
Memi contro aftopimm dì lAonftgnore, moffo noiifoU 
mente dati 'amor denutriti lavale douete amare, er 
riuerire fapra ogm cofa , ma daltodw che uoi portate 4 
ùue&a lingua uolgare,che mncendo,utncerete il miglior- 

«JiWtijidgmafdo del quale prende dmodo argomento 

impararla , a «ti*** • L A C"»^* fM ^ 
totidcchdie con quelle armi mcdcfme,òe noi opra* 
tecomr*ULatùia,v la GrecaM wMra lingua «olg** 
refi M«> CT fi 4mua. Cobi. MWigmw . ne i 
rwilaretóe giorti Kwer me debole combattitore, & gii 
itinco«e& battagltadianzi Stinti conmeffer Lazaroì 

tauttonta, & dottrina Kotfro ledili ambedue mfiane 
mi datmaguerra fi fjwmte/b'uni conojco qualpm. 
perche, non ttokndo mjfer Lazmcongwar con ejjo 
*. - meco 



DELIE LIMGVE. 11Z 

meco <t difendermi^ ego uoifrgnor Scolare, che con fi 
lungo I '.kntìo, cj fi attentamente ci bauete afcoltatUcbe 
baimdo alcuna arma,con la quale noi mi poetate aiuta* 
re, fiate contento di trarla fuori per me,che poi che <jue« 
fla pugna non è martak,potete entraruifenza pma^ac 
cofiandoni a quella parte,cbe piti ui piace: benché più to 
fio ui douete accodare aSa mia,ouejete ricbie8o,ct oue 
è gloriai' effer uintodacofi degno auuerfarìo.S c no u 
Gcntffbuomo io non parlifìnhcra,pcrocbe io non japed 
che m dire , non effendo mia profetatone lo fatato delle 
linguema uolontieri afcoltati bramando , CT fperando 
pur d'imparare. Dunque bauenda a combattere m difejtt 
d'alcuna uo&ra ftntenza > non ui pojfendo aiutare , to ui 
coniglio , che fenzame combattiate; che eghè meglio 
per uoi il combatter foh,che da perfona accompagnato* 
la quée, come inejperta deformi , cedendo in fui prin- 
àpio della battagli ui dia cagione di temere , Cf fard 
dare al fuggire. Corteo. Con tutto ciò ,fe mipo* 
tete aiutare , che a pena credo che fia altramente } fendo 
fiato ft attento al nvfìro contratto , aiutatemi , che io uc 
ne prego ,faluofe non jprexzate tal queBione, come uil 
cofa, (jdift poco ualore, che non degniate di entrare in 
campo con cjfonoi.ScHÓL A. Come non degnarci di 
parlar di materia , di che ti Bembo al prefente , cr altra 
uoìtail Peretta mio precettore inficine conme})er Lrf* 
fcari con non minor fapienz*, che eleganza ne ragionò ì 
troppo mi degnarei,jei fapefii, ma di ognicvja tufo 
poco, cr delle lingue niente, come queiio, che della 
tìr«4 comfc<ì a pena, le kttere , CT dsfo togfM Lati* 



B I A L o e o 

tu. Unto follmente importi i quanto baflaffe per farmi 
intendere t li&rt di philofophia d'Arrotile ; U quali,per 
tjueUo che io noda dire di meffer Lazaro,non fena ktU 
ni,ma barbari: della uolgare non parb;cbe di fi fatti Un* 
guaggì mai non feppi,ne maìcurdidifapercjdlua ilmio 
Fado nano ; del quale, dopo iilatte delia nutrice, mi fu il 
uolgomaeSlro . C o r t. Tur a wi cor.ucrrà diparlare, 
fenm altro, quello almeno,cbe ri apparale àd vcreito, 
eydal Lafcari ; liquali cofi fauuinente ( ceree mi dite) 
parlarono intorno a qucUa mai erid .Scaoi, Poche 
cofe delle infmite,che a tal materia pertengono,puo im» 
parare > in un giorno , chi non le afcolta per impa* 
rare; penfando che non b'tfogni imparare , Beh. 
Dit ene almeno quel poeo , che ut rimafe neUi memòrid} 
che a mefic caro [intenderlo . Laz, Volentieri in tal 
cd/o udirò recitare lopenione del mio macibro Peretta 
il quale, auiiegna cheniuna lingua fapeffe dalla Manto' 
ima infuori; nondimeno come huomo giudiciofo, er ufi 
rade uoltc a ingannar fi , ne può bauer detto alcuna cofi 
eo'l Ldfcorixbe Fafcoltarla mi pucerà. Pregoui adùqu e, 
chefe niente ue ne ricordatdlcuna cofa delfuo paffuto n 
gionamentonon ni flagrane diriferire.S c h o l, Cofi 
ft faccia , poi che iti piace ; che anzi uogUo effer tenuto 
ignorante,cofa dicendo non canofeiuta da. mei ebedifeor 
tc/e rifiutando que prieghi^be deano effermi common* 
fomenti, ma ciò fi faccia conpatto, che cornea me non è 
bonore il riferirui gli altrui dotti ragionamenti ', cofi il 
tacere alcuna parali , li quale dailbora in qua mi fu «« 
fcit4detitt memoria t nonmifia ferino a vergogna. 

Cort, 



DELLE L I teC V E. 113 

Corte g. Ad ogni paltò mifottofcriuo t purche dicU 
te. Se ho L. L. "ultima itolta che mcjfer Lafckari uen* 
ne di Trancia in Italia j fondo in Bologna , oueuolontie 
ri habkaua i cr tuffandola il Perttto,come era ufo di fu 
re; un di tra gli nitri, poi che alquato fu dimorato con ef* 
fo lui , lo dimandò meffer Lafcbari, Vofira cccelienza 
macflro Piero mio caro,chc legge quejYamoiP e k. Si* 
gnor mio io leggo i quattro libri della Meteora d'Anito 
tele, L asc. Per certo bella lettura è la ucshra: ma come 
fate d'cjpofitorìt Per, De latini non troppo bene ; ma 
alcun mio amico m'ha feritilo duna AkffandrO. Lasc. 
"Buona ckttioncfacejìciperocbe Aleffandroè Ariftcte 
le doppo Arinotele : ma io non credeua che noi fapefìe 
lettere greie . P b ». Io t'ho Uttno,non greco. Lasc. 
Poco frutto doucte prendere, pir. Perche? Lasc. 
Perche io giudico Aleffandro Apbrodifco greco come 
c, tanto diuerjo da fé medejìmo , poi che latino è ridotto, 
quanto è uiuo damorto. Per. Qnejìo potrebbe efjer 
che uero fuffe : ma io non uifaceua differenza , anzi pai 
faua , che tanto mi doueffe gwuare la lettione latina , cr 
uolgare(fe uolgttre fi ritrattale Aleffandro)quàto a gre 
ci la grecai con quefia jperanza incominciai a jiudiar 
fo. Lasc. Vero è,cbe egli è meglio che noi I'babbut* 
te latino, che non Chabbiate del tutta, ma per certo la noe 
jka dottrina farebbe il doppio,^ maggiore, cr mr^/io* 
re, che ella non è,fc Aratotele cr Akffandro fuffè'ktto 
da uot inquelLi ltngua,nella quale l'imo fcnffe,cr l'altro 
lejpoje. Per. Per qual cagione ,'Lajc, Verciocht 
piufacilryeittc, cr con maggiore eleganza di parole jo* 

P no 



DIALOGO 

no tfbrefii da là ifuoi concetti ntUa fud Ungiti, che nel* 
l'altrui.V e r.V ero forfè direfìefe io fufiigreco,fi come 
nacque Aristotile : mw che huomo lobardo fludid greco, 
per douer far fi più facilmente pbdcfopbo,mi pur cofa. no 
ragioncuok,anzi difconuencuole, non ifcemandof pun* 
to,maraddoppiandoji U faccia dell'imparare: percioebe 
meglio, et più toh può àudiar lo [colare Loic<*/ok,o fa 
lamente pbibfopbu,cbc non farebbe , dando opera alla, 
grammatica-, fcetiahnente alla grcca.L \ s c . Per quefla 
ijtcffd ragione non doueuate imparar ne Latino,™ Gre* 
co ; ma follmente il uolgare Mattonano ; a" con quefo 
phibfopkare. Pee.Dk) uoleffe in feruigio di cbi uerri 
doppo mc,cl:c tatui libri di.ogni fdenzA , quanti ne fono 
greci,cjr latinùcr bebrei; alcuna dotta, et pictofa perfo* 
ni fi deffe a fare uolgari : forfè i buoni phibfopbantiff 
rebbom in numero affai pia jbefii,che a di noétri non/o* 
iios er k loro eccellenza diuentarebbe più rara. La se, 
O non u intendono uoiparlate con ironia. Peb. Anzf 
parlo per dire il nero ; er conte buomo tenero deU'honor 
degli Italiani, che fc ^ingiuria de nofbri tempi , cofì pre* 
f°nti,come paffuti «olle priuanni di quciìa gratin dio mi 
guardi,cbe io fu pienone cofi ar fo d'inuidta, che io dift* 
deri di priuarne chi nafeeràdoppo me. La s c. Volon* 
ticri tidfcokcròje ui da. il cuor di prouami quefìa nuo* 
tu conclufìone,cbc io non fintendo,ne la giudico intelli* 
gibile. p e r. DttcmiprintOyOnde è,cbc gUbuominidi 
quella età generalmente in ogni fetenza fon men dotti, et 
di minor prezzo, che gii non furon gli antichi f Oche e 
centrati dome icondofu copi che molto meglio , & 



DELIE LINGVt, 114 

pia fàcilmente fi poffa aggiugnere Acmi cofa alla dot* 
trina trouaU , che trovarla] da fe medcfimo ? La st. 
Che fi può dire altrove non che indiamo diw.ée in peg- 
giof? t r. Queflo è uerojtta le cagioni fon molte, tra le 
quéi mia ne n'ha, er ofo dire la principale , che noi aM 
modeniuiuiamo uhiirnogran tempro, confinando la mi 
glior parie de nolbi anni la qual cofa non aueniua agli 
anticbi.epcr dijling'iere il mio parlare, porto ferma i pe 
nione,che lojludio della lingua Greca, cr Latinaji* ca 
gione dell'ignoranza: che fc'l tempo , che intorno ad effe 
perdiJìno,li fbendejfc da noi impavido phihfophiaipcr* 
auetitura Feta miderna generarebbe quei piatovi, ry 
quelli A rifloteh , che proda eua Cantica . M<i noi tim 
più che le canne,pentitiquafi Shauer UfcUto la cuna,ey 
efierhuemini diuemti , torniti un altra uoita fanciulli, 
altro non facciamo dieci,cr urtiti anni di quella uita,cbe 
imparare a parlare chi hiino,chigreco,cs akuno(ccme 
Dio utiolc) Tofano : li quali anni finiti,?? finito con ef= 
fo loro quel uigore,zr quella prontezza , la quale natu* 
ralmente /«o/c recare alTtnteUettolagioucntù ; aVhora 
procuriamo difarcipbilofopbi, quando non ftamo atti al 
Ufheculatione delle cefe . Onde feguendo l 'altrui giudi* 
ciò altra cofa non uìcne ad e(fere quejla moderna Yilofo 
fa , che ritratto di quell'antica . però coft come ìlritrat= 
to,quaiitunquefato d' artificio f fimo dipintore , non può 
efier del tutto fintile all'idei ; cofi noi,benche forfè per al 
tezza d'ingegno nofamoputo inferiori a gli antichi ! 0* 
dimeno in dottrina tanto fiamo minori, quanto lungi > ì m 
po fiati fuiati dietro aUefaucle dcUe parole colera final* 

p i mente 



n I A LOGO 

mente mitwnopHklophando m^UakunACofié^ 
emiendodcemnw knojtra mduUru. Lasc. Dm 
IJcljhdiodeUe lingue nuoce altrui finalmente, co* 
Itici ditele fi dee f^kieivb? 9t% AnjA 

JW/i far deismo per taire , che d ogni coja per 
tutto Imoniopoffaparlcreogmlmgua. La se. Come 
wdfro pietrose i ciò cbc«oì4itef D«gtó d-reWe- 
uiihuorc diphilofopbare wlgarmenteta-fenxa bauer 
cogmtionedellalingua Greca, er UHM Vt% 
fiLrfupur che gli autori Greci,V Latmifmduceffe* 
rou dlani, Lasc. Tinto farebbe fruire Anftoff 
ledi line** Grw tn umbri* ; fatto trafbmtareun 
MMCKfi unaolm di un ben colto horUceUojn un bo* 
C CQ di pruni.oltracbe le cofe di plnlofophufono pefo A ai 
tre (ballcòe da queRe di aueU lìngua Volgare Per. 
Io bo per ferra*!* le Imgucd'ogm paefe, cefi 1 Arabi* 
ta er r ibJww, come U Kòmma , cr 1 Atemefefma 
d'un medino wforr.rt d« mortoli^ un fine ccnungm 
dici* formatele io non uorreiebe uoine parlato come 
di coLdaUa natura prodotte ; effendo fatte ,cr regolate 
dallo artifìcio delle perfone a beneplacito loro, non pian* 

^Jmih^io^mimcemiAv^. 
ondetutto^belecofedanamturacreate^tlejcicnzedi 

«uekJtatomMoytttro le parte delmndo una cofa 
mdefum ^nondimeno, perciò che diuerfi huomm fono 
didaerfo m lere,perèicriuono,o- parlano dwcrjamcn* 



te , la qitaU diucrfttà, er confufìane delle uoglìe mortali 
degnamente è nominata torre di B<tM. Dunque non na* 
fcono k ''»g" e pw f e medefme, a giàfadi albergo <fber 
he ; quale debbolc,w inferma nella fua fyetic,qu*kfaif<t 
^rrobufla, etatU meglio aportarlafommsdinofbi kit 
mani concetti . ma ogni loro uertit nafce al mondo dal uo 
ter de" mortali, Per la qualcofa , cofi come fcn%a mutarfi 
di co!ìume,o di natione, il Trandofo,et l'lngle{e,non pur 
il Qfccojy il Romano, fi può dare a philefophare , coft 
eredo ebe la fua lingna natia poffa dir iti compiutamente 
communicare la fua dottrina. Dunque traducendof; a no 
flri giorni la pbilofophia jeminata dal nofìro Arrotile 
nebuoni campi tf Atbene, dilegua Greca in uolgare,ciò 
farebbe non gittarU trafili in mezo a bofcbi.oue fìerile 
àueniffejna farebbe fi di kntam propinqua, V di for e* 
{licra > cbe etU è y cittadina (fogni prouinàa . Et forfè in 
quel modo che le fbeciarie^zr i'^rc cofe orientali ano* 
yroutile porta alcun mercatante d'india in ìtalia,oue 
meglio perauentura fon ccnofciute,cr tratMc,cbe da co 
loro non fono the olirà Umore lefeminorno > er ricolfc* 
ro; fnnihnente le fpeculaticm delnofko Arrotile cidi* 
ucmbbono più famigliarle non fon lwra-&' più faci* 
mente farebbero mtefedanai, fe di Greco in ttòlgare al* 
cuna dotto Imomo le riducejfe. L a s c. Hiuerfe Imguefo* 
no atte afìgmficarc diuer fi concetti , alcune i concetti di 
dotti,alcune altre de gli indotti, la. Greca ueramente Un 
to fi conuiaw con le dcttrincycbe a doucr quelle fignijicd 
re,natura ifieffxjio banano prouedimeto pare che ihab 
bu formata : er fe credere non mi miete , credete abne* 

P 3 f» 



DIALOGO 

no d Platone , mentre ne parla mljuo CrrfiRo . Onde ci 
fi può dir di tal lingua. , che (piale è il lume a colori , tale 
di i fu alle dijcipkne ifenza il cui lume nulla itcdrcbbc il 
ivijiro bumano intelletto; mi in continua notte d'ignoran 
tii fi dormirebbe. Per. Più toilo uò credere ad Arijìo 
tilt, CT alla ucriùycbc lingua alcuna del mondo{fu editai 
fi uoglia) non pojfa hauer da fe jlcjfa priuilegio di fignifi 
care i concetti del nollro animo >ma tutto confìtta nello 
arbitrio delle perfone. onde chi uorrì parlar di pbilofo* 
phia con parole Mamouane,o Milane fi inoligli può ef* 
/tv difdetto a ragione ; pia òe difdetto gli jìa il pbibfa* 
pbarc,or l'intender la cagion delle cofe, nero è,cbe,per* 
ebe limonio nonba incollameli parlar di phibfophia 
jc non greco & latino sgià credimi che far non pojfa aU 
frinente : cr fain di uiene ebe follmente di co/e tuli, er 
algori uolgarnun'e parla, orferiue la nofhra eti Et co 
m: i corpi,®- le reliquie de fanti non con kmani,ma con 
alcuna uerghsita per riuerenza to:cbiamv ; cafi i fieri 
mhleri della diurna philofophia più tojlo c5 le lettere del 
l'altrui lingue, che con li tiiua uoce di queila noBra mo* 
icrn a,à muiamo a lignificare : il quale errore conofei» 
to da molti, ninno ardtfcediripigliarb . Ma tempo forfè 
pochi anni apprejfo uerrà ebe alcuna buona perfona non 
meno arditi,che ingcnÌofx,porrà mano a cofufatto mer* 
catantia : cr per giouare aUdgente , non curando dell'oc 
dio,ne della inuidia de litterati , condurrà d'altrui lingua 
dia noilra le gioie, ryi frutti delle feicntie j le quallibo* 
r.i perfettanente nongujliamo.nc compriamo. Lasc, 
Veramente ne di fama , ne di gloria fi curerà , chi uvrrà 

prender 



DELLE tIMGVE. I I ó 

prender la imprefa di portar k philofophk dati* lìngua 
£-A tbene nella Lombarda : che tal fatica itow,cr bufi" 
mo gli recar a. P a s. Noia con/rflò , per fa Doniti dc/k 
ic/j<,ttM non kiir/rmo,cow:e credete: clic per uno che<U 
prima ne dica male,poco da pei mille, er mille altri lode. 
ramo,tt benediranno ìlfuoj\udio,queUo ritenendogli 
che antenne di Giefu Cimilo ; iìquale , togliendo di mo* 
rir per la fallite degli buomim ,fcbernito primieramen* 
te,bujmato,cr trucifìffo d'alcuni tippocriti.hcra alla fi 
ne da chi! conof<e,come iddio, et Saluttor noflro ft ritte 
rifce.& adora, Lasc. Tanto dkefte di <jae/fo uoftro 
buonbuomo; che di picciolo mercatante l'bxuete fatta 
Mefia : il quale , Dio uogliacbefta fintile* quello che 
anebora affrettano li giudei; acciò che berefia cofi itile 
mai non guafìi per alcun tempo k philofophk d'Arifioti 
le . Ma/e noi fitte in effetto di cofi fìrano parere ; che 
non ut fate a di noflri il Redentore di quejla lingua uoU 
gare f P e r. Perche tardi ccnobbi la ucritk ;er a tari* 
po,qumdo la fòrza dettinteQetto non è eguale al uolere. 
Lasc. Cofi Dbirìaiuti ;comc io credo che motteg* 
giite;faluofe,comè fanno i maliticft, queQovicco no bU 
fonate , ebe non potete ottenere. Per. Mon/ìgnor le 
ragioni dk nxi addotte da n!e 3 non fono lieui ; che io deb* 
ha dirle per ifberxare icrnonè cofi eoft éffiàle U co* 
gnition delle lingue ; che bucino di meno che di me* 
diocre memoria , er fenz* ingegno ueruno , non le pcfft 
imparare : quando non pur a dotti , ma d forfennati 
Atbenicft , er Romani, folea parlare eloquentemente 
Cicerone,?? Demojlhette, er era intefo (Utero . Cerio 

P 4 «tfnif 



DI A I O G O 

«inijgr Ufirimiferamente poniamo in apprender queU 
le dite lingue t non per grandezza d'oggetto ; ma) olamen, 
te perche aUo lludio delle parole contri la naturale meli 
nxtione del nojlro bumatio intelletto ci riuolgiamoul qua 
le difiderofo di fermar)] nella cognitione detle.cofè, onde 
diurna perfetto , non contenta d'efferc altroue piegato , 
otte ornando la lingua di parolctte er di dande refli uas 
ttd Li nofbra mente . Dunque dal contrailo che è tnttauid 
tra la natura dell'animi , er trai cojlume del nojlro jlu* 
dio,dipende la difficultàdcRa cogmtion delle lingue, de* 
gna neramente non d'wuìdktma d'odio: non di fatica 3 mt 
difajlidio : er degna finalmente di douere effere non ap 
prefajna ripreja dalle p.rfone : fi come coftMqualc non 
è cìboma fogno , er ombra deluero cibo delTinteUetto . 
V a s c , Mentre noi piatiate cofi , io imaginaua di 
ittderc krittalapbitcfopbiad'Ariftotikin Unguabm* 
barda udirne parlai e tra loro ogni tùie maniera di 
gentcJaecbinUontadinhbarcaroli, er altre tali per fané, 
con certi fuoni,<cr con certi accenti, i più noiofi , er ipitt 
{brani, che mai udijii alla tòta mia . In quejlo mezzo , mi 
fi paraua dinanzi effa madre philofopbia utilità affai po 
veramente di rontagniuolo piangendo , er lamentando^ 
i' Arijlotih,cbe difprezzando lafua eccellcnzatbautft 
fediate condotta , et minacciando di non twlre fior piti 
in terra : fi bello bonore ne te era fatto dalle fue opere : 
ilquale ifeufandofi con effo lei „ negaua d'bauerU offefa 
giamai : fempremai bauerla amata , er lodata ne me* 
no che borreuolmente batterne fcritto , o parlato men* 
tre egli luffe ; lui effer nato tj morto greco,non Brefciae 

U9 



DELLE L I K G V E. I 17 

no ncVergomafco , er mentire chi dir uolcffc aUranvm 
te : olla qui uifione diftderaua che noi mfujHe prefetste. 
•P e i. Et io (e fiato ui f«j?t > harei tetto non douerfi U 
pbthfopkia dolere ; perche ogni buomofer ogni luogfc 
con ogni linguai (ho ualorc effàhaffc : quefiofarfi an# 
a gloria , che a ucrgogm di hi . la quale (e non fi (degni 
Stergare negli intelletti Lombardi , non fi dee ancb$ 
(degnare (Teff, r tratta daHU br lingua : l'Indù , la Srtf 
tbia,CT f Egitto,cue babitaua fi uokntieri,produrrc gc* 
ti cr parole molto pi.i jkane e pi» bai bare, che non fono 
bora le Mantouanc , er le Eoiogw/i : lei lo (ìndio tkU 
Ungua greca,® 1 latina bauer quaft delnoflro mondo crftf 
ciato ; mentre hv.cmo non curando di faper , che fi dica } 
nanamente fnok imparare a parlarci & lafciandof Intel 
letto dormire, fucglu er opra la lingua. Notar* in ogni 
ct4,m ogni prouincid, cr in ogni babùo effer (emprcnai 
ma cofa medeftma ; Lupaie , cefi cerne uolonticrifa fuz 
arti per tutto l mcndc,non meno in tcrra,cbc in cielo; cr 
per effer intenta aUa produttione delle creature rationa* 
Unon fifeorda delle irratiotitlii ma con eguale artifìcia 
genera noi,er t bruti animaliicofi da ricchi parimentc,et 
peneri huommi , da nobili , er «ili perfone con ogni Un* 
glia, greca , latina , hebrea , cr lombarda , degna d'ef* 
fere&-conofcittta,cr lodata . Gli auge Hypcfci er 
tre be(ìie terrene d'ogni maniera,bora con un (uovo, ho* 
u con altro fenza dijìintione di parolai loro affetti f già 
(icore ì molto meglio douer ciò (are noi buomini, ciafeu* 
no con la fua liìtgud ;fcnz<tricorrere aWaltruidcfcrittu* 
re,cr i linguaggi efferc fiati trottati ma ajaltite teUa n* 



Di A l O C O 
turala quahicome diumd,cbe etk è)non ha mefticri iti 
mftro diutojmafolamentea utilitaet commodità nojìra, 
gecioée abfenti, prcfenti 3 uiui,& marti , manife\ìando 
(un Ultra ifecreti dei cuore , più facilmente canfeguias 
no la noflra propri* fe liciti ; laquale è pefìd neUmtcU 
tetto delle dottrine > non nel fuono delle parole : er per 
confeguente quella lingua,?? quella fcritturddouerfi u* 
fare da mortali , la quale con più agio apprtndemo: er 
€omemeglio farebbe itatele foffe fiato pofiibilc) Chaue 
re un fol linguaggio, l'i quale naturalmente fuffe ufato da 
gli huomiri,cofi bora ejfer meg^ebe tbuoma (crina, et 
ragioni neUamaniera , ebemen fi fcofladatta natura : k 
qualìTumicrd di ragionare appcnanati impariamo :ey a 
tempo-,quando altra ecft non fono atti ad apprendere, et 
étrotavto barri detto al mio maeflro Anjlotilc ideila 
etti eleganza goratione poco mi i urarei , quando fènza 
ragione fusero da lui ferita i fuoi libri ; natura bauer lui 
mietuta per figliuolo, non pcrtffer nato in Atbcne , ma 
per bauer bene in atto intefo<bcne pérldtOi&benclcrit 
to di tei : la verità trouata da hi, tadifpofitene, cr Cor* 
dine delle coje,la grauità er breuitì del parlare eflerfua 
propria,®- non d'alìrme quella poter)] mutare per mu* 
tomento di uoce : il nome falò di lui difeampagnato dalla 
ragione ( quanto a me ) ejjere di affai piatola auttoritd, 
a lui fiore , fe ( emendo Lem bardo ridotto) effer uelef* 
fc Annotile .noimirtali di quella eùcojì bauer cani 
f noi libri tramuta incluùm i '.inguaiarne glibcbberoi 
greci = mentre greci gli jludu iurta . li quai libri con ogni 
iniujbia procuriamo d'intendere per diuenire una uolta 

non 



DELLE L IN G V E. I 18 

non Athcniefi ima philofophiicr con quefìa riftojl* 
mi farci pai-tito da lui . L a s c. Di'fe pure , CT diff 
derate aè che uolete j m i io Jprro , òe a di uoftri non 
utdrete Arijhtik fitto minare. Per. "Perciò mi 
doglio delhmiferaccnditione di quefli tempi moderni, 
ne quali fi finiti non ad ejfer, mt a parer fauio : che ohc 
fola una liti di ragione in qualnnque linguaggio può con 
du ne alla cogniimedeìh iteriti ; quella da canto lafdi 
ta , ci mettiamo per jìrada,ti quale in eff. tto tanto ci dfc 
lunga dal noftrofme {quanto altrui pare , che ni ci metà 
uicini ; che affai credemo d'alcuna cofa faperc , quando , 
fenza conofeerc la natura di ki:pofi mio dire in che mo- 
do In nominali Cicerone, Plinio, tmctfo, cr Virgili» 
tra latini fcrittori ;cr tra greci Platone, Arijhtile t De 
mojlbene, cr Efclme ideile cuifemplici parolctte fan- 
noglìbuominidiquefta etàlc loro arti, cr fcicntiejn 
giujx , che dir lingua greca , C latina par dire lingua di 
ulna , cr che la lingua uclgarc fa una lingua inhu* 
man* , prilli al tutto del difeorfo dcU 'intelletto ; for* 
fe non per altra rdgione , faluo perche qucftunx da 
fanciulli , cr fina jhidio imperimi) ; oue a quel* 
laltre con molta cura ciconuertiamo icome a lingue , 
lequali giudichiamo più conuenirji con le doArine , che 
non fanno le parole della E «griffa , cr del batte f* 
ino con ambidue tai facramentii la quale feioccaop* 
penione è fi fiffanc gli animidc mortai, che molti fi 
fanno a credere , che a douere farfi philofophi bxjti lo* 
rofapcrefriuere , cr leggere greco fenza più : non aU 
tramente, chefe lo fòirito dì Ari] fatile , aguija difolkt* 



to in cr&aUofieffe rmchiufo neWabhabeto di Grechiti 
con lui mfiemefuffc corretto a entrar loro neWinteSct* 
tea fargli propbeti: onde molti n'ho già vedutiti miei 
giorni fi arroganti,cbe priid in tutto d'ogni fdcnza,con* 
fidundofi folamentc neUacognition della lingua , bmm 
hauuto ardimento di por mano afuoi libri , quelli a guifa 
de gli altri libri d'bumanità publicamtnie ponendo . 
Dùque a colìoro il far uolgan le dottrine di Grecia par 
rebbe opra, perduta fi per la indegniti della linguaicome 
per l'angujHa de' termini, dentro a quali col fuo Ikguag 
gioè r'màiiufahtaha, uanaiflimando l'imprefa dello 
Jciuere , er delparlare in maniera, ebe non [intendano 
, li iìudiofi di tuttol mondoMa quello che non è fiato ue* 
duto da meìfpero douer uedere (quando che fia) chi no* 
/ceni dopo mc&r 4 tempo t che le perfone certo piti dot' 
te t ma meno ambitiofe delie brefenti , degneranno £ef* 
jer lodate nella lor patria, femy. curar fi, che la Magna, 
c .diro fìrano paefe riticrifca i lor nomi ichefela forma 
delle parole , onde i futuri pbibfopbi ragioneranno, er 
fermeranno delle fetenze, farà commune alla plebe, tin* 
iellato , er il fentimento di quelle farà proprio de gli a* 
autori, V jiudiofi delle dottrinerò quali hanno ricetto, 
noiicUelinguefmanegUatiimidimcrtali.S c a ol.Gw 
sapparcccbiauamcffer LafcariaUarijj>ojla,quando fo* 
prauenne brigata di gentillniomini, che ueniuano a uifì* 
tarb, da quali fu interrotto [incominciato ragionamene 
toipercbc faktati [un [altro con prameffa di tornare al* 
tra uoltajl Peretto,et io co lui ci partimmo. Cojteg. 
Co fi bene mi difendere con [annidelmacftro Peretta 

che 



DELLE UNCVt. "9 

che l'I por mano alle uojire , farebbe cofdfuperfbd ■ per- 
ii <M cofa auegnd,cbe Hparkrt intorno a quefìamate 
rid fulfe iiojìra profetane > nondimeno io mi contento, 
ée uì tacciate: ma del foccorfo preftatcmi.partt dd Tdii 
tariti di coft degno philofophofdrte dette rdgionUnte* 
dettelo ue ne muto immite grdtici&uiprometto, che 
perfinire ilfdjìidio dello imparare a parlare con le Un 
gue de' morti; feguitando il coniglio del maeflro Perei* 
tadorne fon nato.cofi uoglio iti uere Romam,parlar Ko 
mano , 0-fcriutre Romano : V * uoì meffer L4Zaro, 
cornea perjona d'altro parere,predico,che indarno tcn* 
tate di ridurre Mjuo lungo eftlio in ltdlidktwjhra Un* 
gua Latina, cr dopo la totale réna di tei , fottcuM* 
terraxhefc quando Jk comineidud a cadere,nonfu huo 
mojhefojlcnere ue la poteffext chiuque atta rumasi 
pofe>aguifd di Polidamante fu oppreffodalpefoi feoM, 
cUgìdce del tutto , rotta parimente dal principio et dal 
dal tempo; quale Aéletd, o qual gigante potrà uantarft 
ii rQtmWne a me parere a uofbri fritti riguardose 
ne uogliate far pruoua-xonftderando chel mètro jerme* 
re latino non è altroché mandare ritogliendo per que» 
fì'auttore , cr per queUo,bora un nome, bora un ucrbo, 
hard un'dduerbo della fu lingua: il che facendo ,/e noi 
fperate (quafmuouo Efculapio) che il porre mjir.ne 
cotdikagmentipo^farldrifufcitdre^iu'mgamuU; 
non ui accorgendo , che nel cader ^ dififuperbo edificio, 
una parte diuenne poluerej? un'altrd dee effer rotta (« 
più pczzdt quali uolcre in uno ridurre, farebbe cofdim* 
paRibik ■Jenzd , 'he molte fono dell'altre parti , k quii 
r ' ' ruiwfe 



D I A L O C O 

timafè in fondo delmucchio , o mudate daltempo ,Hen 
fon trottate d'dkwno:onde minore,cy men ferma rifarete 
lafabrica , ch'eUa non erida prima : cr uettendoui fatto 
di ridur lei alla fu* prima grandezza ; mai non fa acro, 
(he «01 le ditte Inferma, che antkaincte ledicrono que" 
fn'mi buoni architetti, quado mona la [abbicarono: anzi 
oucfoleua effer la fala, farete le camere , cmfjnddrete 
le pori e , cr delle jineftre di lei } que&a alta , quell'altra 
baffa nformarete: iuifode tutte , £r intere rifugeranno 
tefue mmtglie , onde primieramente s'i&unwaua il pa* 
lazzo:?? altronde dentro di lei con la luce del Sole alctt 
fiato di trijlo uento entrerà , che fari inferma la flanzd, 
finalmente fari miracolo più, che httmano prottadimen* 
fo il rifarla mai più cguale,o fintile a quetTantic^ejfen* 
do mancata (idea, onde il mondo tolfe l'effempio di edì* 
ficatU . perche io ui etnforto et lafciar ttmprefa dì uoler 
faruifmguUre dagli altri buominh affaticandoti uana* 
mente fenz4prouolhro ì & 1 d'altrui. Lai. Perdonate* 
migentdbuomo f uoinonponeSeben mentealle parole 
delmiomacftro perettoUqualenonfolainentenon rie» 
faua,eome Mifdtc^i^&Mgr&^O'bxmmzifi bt* 
puntava d'effere a farlo sforzato ; dtftdcrando macia, 
neUd quaUfenzA l'aiuto di quelle lmgue,potef]e il popò* 
b }ludiare,& farft perfetto in ogmjaenzaJa quale ope 
nione io non hudo, ne uitupero , perche quello nonpofa 
fo,quejlo non uogUoìdico follmente non effere Hata he* 
ne intefa da uoimde la deUberatione uoiìra non hauerk 
origine ne de£t4Utorità 3 nc delle ragioni del maejiro Pe* 
retto :m àalm&ro appetita ì hqmlefeguite quanta 

n'aggrada, 



DELLE tINOVE, I IO* 

Aggrada, che altrettanto iofaròdelmioiéhefcl «ag- 
gio, the io tenga , è più lungo cr piti fatkofo del «oSroì 
ptraftenttar* non fjajluanoiO'd fine delk magioni* 
ti a buona albergo fmo 3 quantimqic Sa no, mi condur* 
ù , B £ m, Mefier LdZaro dice il uero,& u\ggiungù 
cbe'l Peretta in qucll'hota{comefime pare) attuto del 
le UngueMuendo ricetto ali* phibfophk,et altre /imi 
li fetente. Perche po\ìo,che uerafu kfua cpmonr.zT 
cofì bene poteffe pbilofopbareil contadino, come il gen 
(fl/7«o»io,er il Lombardo, come il Romano; non è però 
the in ogni lingua egualmente fi poJ?rf poetar eg? crare^ 
tonciofiacofa che fra loro luna frn pia et meno dotata de 
gli orn ament i della profa, er del uerfojbe taUra non è. 
ha cjualcofafu tra noi difputata da prima, fenZftjar p< 
role deBe dottrinexT eome albera ui difìi,cofi uì dico di 
nuouoìche fe uoglia ut urna mai di comporre o canzoni; 
c noueUe al modo uoiìro, cioè in lingua , che fia diuerft 
dalla Thofca>ìd,etfenza unitateli Petrarca,oilBoccac 
tioyper duentura noi {irete buon cortigiano, ma. poeta,o 
oratore non mai. Onde tmto diuoifi ragionerà,ej fare* 
te conofeiuto dal mondo, quanto k usta uidurerà, ey no 
più ; < ociofta che la uofbra lingua RotiMiw hébk uerti 
tt forili piutoBogratiofo, cheghriofo. 

Dialogo 



DIALOGO DELLA RETHORICA. 

LI B IO PRIMO. 

Valerio, Brocdrio, Soranzo. 

A l. Horrf mentre, che noi 
ridiamo,?? giuochiamo o Bro 
cardo Jl Cardinale Don Her* 
cole col Friuli, e col Nauagc* 
ro,w cafa de lambafciador co 
t armi, dieno effere a quejlion* 
dijputado fra loro detta nojìra 
mrnortalìtkq-im forfè n'iettano, ej duole loro il no* 
fbro tardare, perche a me pare, cbcfenz* indugio niuuo 
noi andiamo a trouarlikqual cofajhieri diferainful par 
tir fi da lorojagionduamo diàouer farext quello, fenoli 
penaltrofi atmeno t percbe il soràio fludiofifìimo gioua 
ne,©" no bene ufo difoler perder te fuegiornate,delfm 
iffer co noi coglier poffa alcun frtitto.w pur otwxt joU 
l.tZZo.'B r o. Io ho openiane* cbeiefferprefente a loro 
dotti ragionamenitfarebbe indarno per noixociofìa t cht 
«Ut nojbri fludij mal fi confaccia k questo dijputata.per 
chepiutofìo configlierei,chefra tui,cofa parlando, (he 
ti conuenga,fì comoartiffe qwcjta giornata* t /ìa la co/a, 
qtule il Soranzo U eleggerai al cuiferuigio il prww di, 
che iol iQnabbi t di tutto cuore moferfi, et offero hoggi, 
(ytuttauia. Val. Dite-id^ueo Sorarc?o,aò che ut 
parcchemifacciamo, chelparer ucftro d'mbidue noi 
uotenticrifijeguarà. S o a. Forfè accettando le uoihre 

offerte 




DELLA BHETOHICA IH 

offerte farò tenuto profontiwfo; ma a mio danno non io 
fdrò. Quiftaremoje egli tdpidce, w a phdojopbi io fbc 
cular rimettendo,dcUa ulta ciuile,nolha humana profef* 
fione,dìquaittodegnaretc di [duellarmi. Chiamo uiuci* 
mìe nonfoUmcnte la bontà de cojlumi col morahnete o* 
per ore , ma il parlar beat a beneficio ddl'haucre. , delle 
ferfoneg? deKbonore de mortali: Lt qua! cofa perauen* 
tura è utrtu non mcn bella infe jlefi^omen gicucuole al 
li bumankjJeUa prudenza, & detkgwfiitUi ma in m* 
siero difficile do poter effer'apprefdst effercitata da noi 
tbenuUdpiu.lo ueramente quato ho di tempo, cr dOnge 
gtìo uohntmi tutto dono dllo jìudio dell' eloquenzdMcbc 
faccio $arte leggendo, parte •fcriuende ; er quei precetti 
tdempicndo^he Cicerone,ey Quintiliano con meli* cu 
ra lìudivrono d'infegnore : eoa tutto ciò io non nc jò nuU 
k ; nefo s'io fyerifaperncjcrm. , rj legga quanto io mi 
troglker ciò è, perciobe a me pare t cbe iprecettìdeSar 
te loro fono infittiti i e7$<$é uolte (òche io m'inganno) 
f uno aSdkro fi contradice : io giudico , Cicerone tfferc 
fitto oratore moka miglior , che Rbetore:fì come quel* 
b,cbe meglio parla,chenon ci infogna a parlare . Oltr4 
di quejlty , io fono in dubbio fe Torte Oratoria deSd Un* 
pia Latina fi conuegno con Poltre lingue , jbetuimaitc 
con la Tofcana,die noi uftamoboggià > nel quale io ho 
opinione che a dilettare alcunmamnconico , mutando il 
Boccaccio gualche noueUéft pojfafcriuere fenzdpm co 
fa ueramente ditterfa dalle tre guifh dicduje .; le quali da 
latini fcrittori fola, cr generd!t materia deUd loro arte 
Rhetowa fi nominarono . Do quejH adunque, rydaah* 

<C tri 



DIALOGO 

tri tdi dubij, che di continuo mi s'aggirano neu"inte n etto t 
infm bor j. non ho trottato chi mi fuiluppi ; che di miti , 
che io n'ho pregati più mite , a tale manca ilfapere, a U 
le il modo dellinfcgnare : mi affai nefapcte,er d'ogni 
cofa da uoifapuU con bcUo, er difereto ordine [lete ufo.* 
tidiragionare. percbe,hora, che uaipottte,io ttiprego, 
che de precetti di cotale arte, quanto a uoi pare , che mi 
fu lecita di conoscerne, liberamente mi [duelliate. V Ala 
Cerio egli è il nero quel che uoi dite , cheli Khetorica 
è buoni parie di nojtra iuta cmU ; fenZA là quale rima* 
" ne mutola ogniutrtu : ma ella è cofa da ogni parte infini* 
t a , er è difficile parimente il tronarui cofi il principio , 
come il fine , quindi ddiuiene, che Cicerone in molti fuoi 
libri parlandone , mai non ne parla in un modo : come e 
Adunque pojiibile che dWimproiafo in un giorno, tale& 
Unti arte vii fu mojìrata da noi ì Bróc. Quejìo è 
cofi imponibile m lo dimanda il Stronzo, ma alprc* 
ferite tf una parte dì Uì , er fu la parte che uoi uorrete, 
famìgliarmente parlando , è ben degno che'l campiacia* 
te. Vai. Io per me in quanto poffo pronto fono d do* 
uerU piacere > dicale? chiede ciò che a lui piace,ch'io ne 
ragioni. S o tL.Miodifiderio farebbe da principio face» 
doro/, (fogni fua parte infmo afta fine mformareùkbe ef* 
fere non potendo , ditejni almeno una cofa , cioè,chefetf 
do ufficio decoratore il perfuader gliafcoUanti dilef 
tando,infegnando,rj mouédo,ìn qual modo di quefìi tre, 
più conueneuole affarte fua con maggior laude dife, re* 
chi ad effetto il fua diftderio .Val. Molte cofe in 
foche parole mi domandate; onde io comprendo j che 



DELLA R ITHO RICA. 1%1 

piufapete dcSa Khctortca, che non ui atunza imparar* 
ne. La quefiione è bellif?ima,aMa quale non terminando* 
me dijputondo rifonderò. Voiopporecchiateuinonfo* 
Unente od udire , ma a contradire : cr cefi ficài il Bro 
cardo, il cui parere nella preferite materici perauentura 
farà diuerfo dal mio. B r oc. Senza altramente poi* 
faruijl mio parere fi è, cbe'l diletto fta U uertu deKord* 
tione,onde ella prende la bcttezzd,zr U forza d perfua* 
derechìl accolta : che poflo cafo che f Oratore, quanto 
è in lui,habbia uirtu £mfcgnare,ct di mjiiere,infinitifon 
gli accidenti , dalli quali impedito non può fornire a fuo 
ufficio. Ciò fono U bruttezza del corpo fuc,U dijpropor 
tion della itoccj.i mala fama del fuo cliente , h dtshonc* 
fladclla confa , cr finalmente la (lanchezza de glt audi* 
tori, li quali lungamente fiati attenti alle parole de gli 
auuerfarij ,fchùà fono daffofcoltare : fenza che il fuo 
nome altrui ad ira , a mifericordia , o ad altro affit « 
to coUle, dee effere co/a non sforzala, ej per confe* 
guente noiofa 5 ma fornmamente piaceuole a quel cotale, 
cui egli muoue , ©" jojpmge . Segno ueggiamo , che A 
precettori dell'arte non bafiando il darci tonofeereinge 
nerale in qual modo lOratorfia poffentt di comoue* 
re li noftri affètti idiflintamentc quali fiata i coflumi 
de ighuani , uecebi nobili , itili , ricchi, c poueri cidi* 
moftrano : itile nature de i quali con bell'arte tantedet* 
to lor motùmento uomo cercando dtaccommodare . 
Dettinfegnare non parlo , che non ha il mondo la mag* 
gior pena, che [imparare mal mtontieri.quefìojàoe 
grìwto , che fi morda, fofferc fiato fanciullo , cr f>l* 



DI A L O G Q 

fb io,per quel ch'io prono al prefente mczo vecchio Jì co 
me io fono ; che mai non odo il Koinojne leggo Bartolo, 
c Bili) (il che faccio ognigiorno per compiacere a mio 
fière ) ch'io non bclìemmi gii occhigli orecchilo ingc* 
gno fflio,©" lo uitamia condannata innocentemente afa 
ucr cofa imparare, che mi fio noia il faperhMdarm adu 
que iinfegnare , 0" dì moucr non dilettando ci fatichi** 
uno i zi dilettando fenza altro(quanta è la forza del com 
piactre)ftasno polenti di perfuader gliafcoltantitripor* 
tondo U difiato tintoria non per forzarne quali merito di 
ragione, ma come gratta a noi fatta da gli afcoltanti, per 
quel diletto, che nelle menti di quelli fuol partorire Torà* 
tione ben compojìd, ©" bea recitata, E f ucr amete quella 
ì buono Oratore , il quale parlando £ alcuna cofa princi 
palmcntcnon con U confa trattata , fi come fanno ì philo 
fophi,mo con tarbìtrio^ol nuto&col piacere degli au* 
ditori,tenta,cr procura dì convenire,qucUi allcttando in 
maniera , che altrettanto dì gioia rechi loro loratione la 
otte eUamoue, ©" infegna, quanto fare ne la ueggiamo 
mentre ci lo adorna per dilettare . er queSio è quanto mi 
par di dire nella prefente materia . Val. No» pen* 
pie dtcofi tatto ifbedirui dalla imprefa già cominciata, 
the le ragwtJJ,efw ci adducete, quelle meglio non diflm* 
guendo, nonfonbajlattti di farne credere fopenicne prò 
polla, adunque egliè meflicri che in qnefla confa medefì* 
ma argomentiate altramente :ilche fatto, perche al So* 
rmzopienainentefcÀisfocciatejpmmimfacédouitCoa 
bello ordine mofhrarete in che modo, er per qual uia prò 
udendo coté uicà del dilettar gli afcoltanti poffa acqui 



DELLA RHETORICA. I1J 

fiarft f orario)» uotgare : che a tal fineife io non ntingaa 
mìgli udimmo fjre kfm dimanda. Broc, Molte fon 
le ragioni, per le quali fi può Koftrar chiarantnteipet 
fetto Oratorcdilettandopiu che tnfcgnxndo,omouenda 
ti fttóttfficio adempire: te quai ragioni , {Indiando dejfet 
brieue,perche a uoi pia tojlo il douer dire uemffe,dc(ibt 
rai di tacere s ma fé mi o Scròto, cotanto difiderate (fòt 
lèderle, er ciò ut pare che molto bene al fatto uojiro per 
Ugna io che ne parlo per cMpiaccrtà aclentieri incornili 
darò i quindi ti principio prendendo j che la Rhetoriat 
non è étro,cbe un gentile artificio d'acconciar bene, & 
leggiadramente quelle parole , onde noi buominifignifi* 
marno Um (altro i concetti de nofìri cuori. Diremo adu 
que, che le parole nafeono al mondo dalla bocca del noi* 
goderne i colori dulie herbe ì ma il Grammatico <fWf O * 
rator famigliare t quafi fante di dipintore,queBa decada* 
Cr polifcctonde il macjlro della Khetorka dipingendo U 
ucritiyparlit er ori a fuo modo. Che cofi come col pendei 

10 materiale t uolti, er i corpi delle perfonefa dipingere 

11 dipintore la natura imitando, che cefi fatti ne generò s 
cofi k lingua decoratore con lo flilc delle parole bora 
in Senato , bora ingiudkio , bora al uotgo parlando , ci 
ritragge la ueritÀ ila quale proprio obietto delle dottri* 
ne fyecuUtiuejwn altroue che nelle fcboleg? tra pbilo* 
fophi corniciando ; finalmente dopo alcun tempo d grufi 
pena con molto fludio impariamo .Ut è il nero, che coji 
come a ben dipingere Ut mia effgie,è afpti il ueder>ni,fn 
Za Altramente hauer contezza de miei coltumi, o lunga* 
«ente con effo meco domfkarf: » dipingendo l'artefice 



DIALOGO 
miffabra cofa di me.faluo U ejhrema mixfuperficie,nota 
agli occhi di ciafcheduno j fmitmcnte a bene orare in o* 
giù materia ball<i ti conofecre un certo no /o che detta tic 
ritk che di continuo ci jia innanzi fi come cofa , ti quale 
ne i nofìri aitimi naturalmét e difaperk itftderofi , fin di 
principio uoik imprimer Domenedio , Può bene effere, 
tyfbefic uolte adiiuenc che la ignoranti* del uutgo f 0« 
rotore afcoltando,colga in f cambio cotale effigie dipinta, 
lei ifìimando U uerità ; non altr umente per anenturd>chc 
l'idolatra plebeioje dipinture^- le 0atttc,nojkc buma* 
ne operationi s f accia fuo Dio, er come Dio le riuerifed* 
Può anche ejfere che Foratore ori a fine d'ingannar le. 
perfonerfando loro ad intendere, che'lfuo diffegm fìa il 
uero,non del nero ftmilitudìne ; nclquat cafo quello coM 
lejnon ofìante il fuo ingegno merauigtivfo, meritarebbe, 
che fi sbandiffe del mondo itydift fatti oratori fi deono 
intender le parole di chi biafima la Khetorka ; cioè colo 
ro che ad altro fine la effercùancyhe tindulìria ciuile no 
U fermò. La qual cofi no pur a lci,ma a qualunque altra 
più honoreuole,et utile arte è tra noi,facilmente intrauit 
ne.Uora al propofito ritornado, certo per le cofe già det 
te, in qualche parte no fìa difficile il giudicare la queflian 
coiiiweiittJ , percioebe Cinfegnare , il quale è jtrada alla 
uerità propriamente parlandolo è cofa da Oratore; piti 
tofto è opra diUe dottrine fpectdatitte; le quali fono fden 
Ze non di parole , mi di cofe , parte dìuine , parte prò* 
dotte dadi natura . Kelìa adunque che noi tteg giamo 
quale ufficio f ìa più proprio deli" Oratore trai ddstta* 
re, zi d mouere , fi mamme , che innanzi tratto; un 

co* 



DELLA. SHETORICi, 1*4 

corolario inferiamo ; cioè , conciofia cofi chel perfetta 
Oratore tuie fappia,qual parli ; e quale in fegna tale imm 
par affé i troppo ora chi ha opinione cbe'lfuo intelletto^ 
che non fa nidla 3 fìa uno armarlo d'ogni fetenza : non per 
Unto fempremai in ogni età rari furono non pur li buoni 
ma i mediocri Oratori ; ertili nofìri fono ronfimi ino* 
gm lingua ; fi è coft diffìcile non follmente il faper bene 
U miti, ma ii pxrcr difaperk , Hor di quejìo non più i 
er aUe l te del diletto, &■ del mouimento conferiate che 
io ini riuolga . Certo,nattfrabnente parlando,ogni dilet* 
tofièiHomnentojna. in contrario , fiando ne itcrmini di 
quella arte , ogni Oratorio mouimento è diletto; concio», 
fu cofi che'l perfetto Oratore muoue altrui non per fcr 
za , er con uìoknx.4 , in quel modo che noi mouiamo le 
cofe graia aRinju , o k leggieri a!? ingiù ;md fempremai 
muoue ha cotifome affindination del fm affetto : U* 
<jiol cofa non può effer , che non glifia altra modo pù* 
ce«oJr ,cr giowfi molto i ne ad altro fine ( fi come dian* 
Xt io diceua)da maefhideUa Khetonca fono dijìinte. 
«•■mutamente le dijhofitioni degli ascoltasti : i cui affet» 
ti col mutamento della fortuna, rj degli anni fono u* 
fati di ttarùrfi ifalxo , accioebe tomfeenda il buon». 
Oratore otte pieghino k pacioni de petti lpro,iui col ut* 
gore delle parole (indie , ©" f enti dì ritirarli. Et per «r 
(o ,fèl mouimento rhetorico fuffe Saltra maniera } ogni 
mgenua perfona come sforzata , ty tiranneggiata dal* 
f Oratore mortalmente Codiarebbe : ne pofp credere 
che ninna Kepublica , bene o male ordin.it*, fol che tJU 
tmajfe U l/bcrtà, comporujje 4 fuoì cittadini befferei* 

SI 4 



DI A t O G O 

Urft in una arte; con k quale non porgli equaU,m i mi 
gijbr-ttiiZr le leggi loro di dominar stttgegniffro . Re* 
jta a dirut in qttal inoliti diletti tal mcwmai ù, er onde 
uegm cfje*/ diletto che ne gli afitti dcUbuomo partorii 
fcc i'orotiùne,fia muramento appellato: che tutto che co* 
taitofe paiono alquanto più pkfcefoWie . ck orione , 
tttttauia egli è hello ilfaperlt; miggiormenle Se alla ma 
tem di che partiamo , grandemente fon pt t'inaiti . Mi 
deUa prima brievemente miefbedirò : Che fi come i^di* 
pintore, or il poeta t dite artefici il? Oratore fmbùnti , 
per diletto di noi fanno tterfì , er imagim di diuerfe mi* 
nieraquali hombili,quai pkceuolì,qtat dolenti^ qud 
liete *po/i i't buono Oratore nm folamente con le [accie, 
con gli ornamentici co numeri, ma ad ira, ad odio or ai 
inuidia mentendo, fuol dilettar gli afcoltanti . lo ucramen 
te mai non leggo in Virgilio k tragedia di ElijajVìo no 
pianga con effofeco ilftto mah;non per tanto eonfideran 
io con che gentile artificio ci dipingefp il poeta l'amor 
fuo,et k morte fua : cofì uinto, come io mi trotto d.dli pie 
tà,non pofio itero che fomm&ìientc allegrarmi ita qual 
cofa non dee parer merauiglia a chi per troppa aUegrez 
ti alcuni uolti fu cofbrctto di lagrimare . E ti uero che 
una tallettione è polènte di più, or meno commettermi, 
fecondo che et più t er meno fon dijhojh a compaflione t 
ma in ogniguifa più mi è agrado il lagrùnnr con virgi* 
Ito , die non è Under con klartkle : Md tornando oSl* 
rottone ,ame pare che in quel modo 3 cheti trafitto dalli 
l 'aranti pudendo il fuono coniteniente alfuo morfoji le* 
uifufo i er filta tanto fin che fbwmor perturbato fi ri* 



DELL* KH STORICA. 1 1 5 

folitc in [udore er qaafi marefenzà onda queto flafii nr! 
Iwcgo jtto ;/MHfciiefiff><UJc parole d'uno Oratore eceet* 
lòtte ntoffo udirà alcuno buono «r(icondo,nonfenz<t mal 
to piacere sfoga il cédo f cbe k complelìione naturale , o 
altro tirano accidente gli tiene accefo nell'animo ; il quat 
piacere.perciocbe nafee da cofa per fe medefxma óifpk* 
ceuole ,et noiofa moltOtcbc non diletta ,fe non per queU4 
conformiti eb'è tra lci,ty l'affetto deWafcoltanteila quaì 
cofa mafie PbikRrato effóndo Re detta fm giornata i « 
comandare a ciimpagni, che di cokrojcuiamorimiferé 
méte fìn'mmojfi ragionaffe)perb è ben fatto ebe proprii 
mente park ndo,taipmere non diletto, nw mournié to ft& 
nomiìuto'a cuinatura odioft.acciocbe a litigo andàe 
non « fi (àcckfentire i ty altrotanto per feci annoienti* 
to dinar zi nel conformar fi aWaffctto nedtkttaua(concia 
fia coft che corta fìa k concordia delle cofe non buone ) 
pere uolferoiKbetorkbe l'oratore bricuemente,^- in 
pothe parole fe ne doueffe efpedòrt.Mtnel nero il diletto 
di l mouimento è coni un rifo nato innoinondi uerà atte* 
fktIBtijm di foUetìco ; il quale continuato da noi final» 
mente in doglia,cr foafmo fi conuerte . Md le facetie » ì 
motti,kfcntemie,k figurej colori,k elettione, il nume» 
rorfilfitodcUeparole ; l'ufeer fuord delkmateria, et al 
quanto,a guifa d'buomo di fokxzo difiderofo,per logkr 
dino dell'altre cofe uicinegir uagando con l'inteHcttofo* 
no cofe tutte quante per far natura fommamente pìaeeuo 
li i nelle quali di continuo non altramente fuol compiacer 
fi k nofkd mentCiChe degli odori,de fuoni , er de colorì 
materiali fi dilettino ì fentimenti del corpo. V a l. Fera 

tutetà 



D I A t O C O 

tnatetà m poco o Brocardo , mentre ancora ( benché di 
kmge ) noi feorgiamo l 'entrata del cominciato ragiona" 
mento,z? innanzi che la dolcezza deldtlettog? del max 
fttmento tratto ultracorte più altra yio at flagrate d'in- 
dire eiòy che ante pare di poter dire con uertta de gli *f* 
fettig? de movimenti di quelli: perciò cheto ho per fera 
ino, che f Oratore principalmente habbkatra non di co 
movere , ma £ acquetar le procelle , che neUe parti pia 
bajfe de nofbri animi , Ora , fottìo , er la màdia (uenti 
contrari] al fereno deJkragionc ) fono ufatidi coautore; 
0- ciò può far l Oratore non folamente nel fine, ma 
mi principio del fio fermane jnutando foratone, chefe 
Cefare nel Senato a [onore de' congiuntati prigioni. E k il 
Vero the quello iiìeffo Oratore che ha uirt* di rafferend 
re , può turbare i fentimeni: ma chi ciò face,o è perfom 
vittima , che male adopera lo [uà fetenza > quafi medico , 
che auelena gl'infermi ; o è di farlo corrette , fendo coft 
mbojjibilt il torre altrui fèdamente dallo ejlremodel* 
f oiioit? nel mezo della ragiaue riporlo, fenza alquanto 
fargli jentire dell'altro efìremo contrario , La qual cofé 
auegnadio che ver afta , non per tanto, uolgarmente par 
landò, fìamoufai Udire efjer proprio deU" Oratore ìt 
cominoiter gii jifeta , fecondo il qual modo di faueUare 
fece il Soranzoùfua dimanda :percìocbe il mouimento 
èautÀgaripmnoto,a'pareopradimagporforzache 
la quiete mnè: fenza che la maggior parte de gii Or j* 
tori orano apnc non d'acquetare , ma di commouere gli 
af cattanti. Io iter amen te per una terza ragione, ho api 
mone , che ali Oratore {hu portegna d commouere , che 

tacqm^ 



DELLA RUMOR ICA. llS 

tacqttetare iconcioftacofacbe iartefua non fokmente 
turbando(ilche è noto per fe medeftmo ) m componete 
dogUaffettì t queUimmua > a'fofp'tngaìche grandifiima 
noientu deeefferqueUa decoratore ne nofhri animi» 
qtulbora a benfare ne perlmde,cofaoprandù con le p4 
role in unahor^che inmolti anni utrtuofanentc uiuen* 
do,a gran penartele acquijiarfi il pbtiafopho . Hor ne* 
dete hoggimaific k R betono* è atte comeniente atta ci 
ittita della uita,cr aUa public* libertà) cr fe ilcommottcr 
gli affètti è operatione piti , ometto aU 'Oratore bonore* 
itole de$infegnare,w del dilettare, Eroc. Certo fe il 
mouimento oratorio fuffe tale, er ft fatto,quale dianzi il 
defcr'iMuatejmakfecel Ariopago a divietarlo agli A* 
thenkfi i maio non uedoebe egli fiatale, confideranno 
the Foratore nel trattar de gli affitti , ponga mente pili 
tofio aUa etagj atta fortuna che ciperturba ,òealkr4 
gione,cuifola tocca di temperarne . Ma pojìo cèfo che 
eofi }ìa , come mi dite , io ho per fermo , che cofi come 
per le ragioni già dette concludemmoicbc la dottrina del 
foratore a gli afcoltanti infegnata non è (denta di ueri 
td.nw opinione , cr di nero Jhntlitudwe,fmelcmentc 
k quiete dcfeiitimeiiti,che negli animi bumani fuolgene 
rarela Grattane none umii,ma dipintura delia, uirtu: 
eonciofia cofa che U uirtù è un buono babito di cofiunù , 
ilqualencn con parole in ijlantejnu con penfieri,or con 
opre a lungo andare ci guadagmmo . 
Wrf accioche non creggute che U buona arte Rhe* 
torica di tutte Urti reinajia una eerta buffonariadd 
far ridere t benché egli tibabbhdi queUi chealk cu* 

cina 



DIALOGO 

cimi la^imigliarono) noi douete fapere, che dd numero 
dcu"arti,altre fono piaceuolij^ altre utili : quelle fono le 
utili, le quali communementc nominiamo mecanke: delle 
piaceuolt parte Im uiriù di dilettar l'animo , parte il cor» 
po delle perfonew parlando più chiaramente pjrte il feti 
fojparte la mente fuol dilettare. La dipintura,et la rnufì* 
Citigli occhiagli orecchi'; gli unguentari} ,il j;<j/ó i! cww 
co, li gujìo j er la Jiufa ccn la temperanza del c.ddo Ino, 
tutto l corpo con magHìerio piaceuolc,fono tifali di con* 
fortareittu te artiche Ciiìtdletto dlcitano,qvMtù al prò 
pofito fi conuiene ,fono due ; cioè Khetorica cr Voefta: 
le quali , muegnadio che altramente che per gli orecchi 
paffando, non peruegnano aU\ntelletto, nondimeno per* 
ciò fono da effer dette intctkttudi, che elle fono arti deU 
le parole, ijkometi deltinteuettoi con li quali figmfìchia 
tao lun tauro ciò che intende U nojira mente. Certo del 
la «o£rc,cr de fuoni è la mufìca, con la quale annoucran* 
do igrauijzr gli acuti } quegli in manier4 tempriamole 
diuerfì ( fs come fono ) jì congìungono infieme a generar 
thartnoniaxhe non pur noijma moki bruti animali muo* 
«c,CT diletta mirabilmente; ma la Rbeloricajy la pot* 
fia fono artifici] delle noci de gli huomini, nocome gratti 
C7 acute t ma propriamente come parole, cioè in quanto 
elle fonfegni delTinteUetto , quelle accordando fi fatta' 
mente, che ne nefea. una confonantia, U quale,metapho* 
riamente parlandola primi Khetori alnumero mufteo 
dflimighandola , numero anch'effa fu nominata: fcnxA d 
qital numero,non è oratione la erottone; er col qml nu* 
imo ogni mlgarttet inerudite ragionamento più hauer 

nome 



DELLA RMBTOStCA. 127 

nome ioratìone. Ma quello è punto ì che aben uolcrlo 
mm0are(conciofucbe in Mfolo,quaf in contro /ir* 
mifiimo , è fondato il dìfcorfo di tutu Urte oratori* ) c 
mefòeri che un'altra nolta per altrajìrada noi ci faccia* 
tuo da capo,conftderando che tutto ì corpo detta eloquen 
tia quanto egliè grande, non è altro che cinque membra, 
CT non piu,cìoè parlando latinamente jnttentione,difj>o* 
fttione, elocutione, attiene, CT memoria . Infra le quali, 
finta alcun dubbio la ebcutioneè la prima parte , quafì 
fuo cuora effe anima la chiamafihnon crederei di men* 
tire: dalla quale,non chealtrojl nome proprio della eh* 
quentìa, comeuiuodauitauien deriuando . Et per certa 
la muentioncjty dift>ofttione,fono parti che alle cofe per 
tengono : le quS ritrattate nelle feienze uà ordinando U 
erottone } ma la terza , per quel chefuona il uocabob ,i 
propria parte delle parole , le quali non à cafo , ma eoa 
giudicio eleggiamo,*? dette leghiamo. Adunque aiate* 
gna che la elocutionc fia un terzo membro della chqitett 
tia , iiuerfomolto da primi duci nondimeno ella è fuo 
membro fj principale , che netta ifleffa elocutione nuoti* 
inuentìone, et dijpofitionc oratoria ut fi poffono annoue* 
rare. etctoè,perciochenon ciafehedma elocutione è or* 
toru,anxi in ogni linguaggio «vite fon k paroltjequali 
ttilitroppa,o uabgari,o afbre,o uecch'te, umciuile per* 
fona mninfmtofi in gtudicio, m con gli amici, cr co' 
famigliari parlandoci guarderebbe di proferire: etguar 
derebbeft fxcèntnte fenxA arte adoperare, foi che un 
tempo dèh fu uiti con gentili^ difereii kuomwifuffe 
ufato di conuerfaram le parole gUruromte dfikhcbia 



DI SLOGO 

fe,& fotmtijporreinftemeycr otte prima ddfe mdefi* 
me <tUc cofe fignifkite faccomodawtno, hor trifefìeffe 
gli decenti loro,cr le loro fiUibe inmuerandoyidmark 
è «-ti/few: it quale folo,o primo fa Orator lOrat ore. Et 
ttenmente,fc quello è nero che io trono fcritto né" Rbeto 
ri, ftmtentione,cr dijba fittone (fette co/e effere opri più 
toflo di prudenti , cr accorti huomini , che di eloquenti 
Oratori Job il [ito Me parole è tutta Ixrte Oratoria: 
onde tutu è k quejìione del dilettare , del mettere , cr 
AcU'infegnire . Che, come il mcttere,& Sdegnare fono 
frutti cCinuentione , le cui parti fon proemio^arrattone, 
diuifione, eonfìmationc, confutinone, cr epilogo; cofi 
il diletto fi dee dire opra deUi Oratoria elocutione. 
"gorfe io u annoio mentre con le parole ualgari, k Ixtine, 
CT le greche uà mcfcolxndogr contri quello ch'io ui di* 
teua pur dianzi > non difecrnendo frale parole* come io 
U trotto coft le ammaffo, cr confondo. Ma che poffo iot 
cèrto qucjti è colpi de nofki padri Tbofcamjt quali 
fion curando k cofe grani, che aUedottrmepertengono, 
follmente deUeamorofe con nouellettt , cr con rime fi 
dettarono dt parkreiben u y hi di quelli che fumo ardi* 
ti in tentar le fetenze^ pochi fono,crfeit&t fama ; CT 
fi anticbiycbel ngionarne co' uocaboli loro , per la loro 
UtcchiaXi, uta più jirani che i Latini non fono , fareb* 
he opri perduta . Io uermente qualunque wua in uece 
ài njtrationcii amftrmdtme.cr di confutarne, diui* 
[mento, confirmamento , cr dif ermamente dicefii , me 
tnedefìmo tra gli intrichi di total nomi facilmente rauol 
perei m marna* ebe in qudparte Sortitone fidjc intra. 

topcr 



DELLA HHETORICA, I iS 

to per ragionarne, potrebbe effcrcbe io r,d fcorclifii . F, v 
adunque mn mule iìrkorrere a forrejìicri, le cuiuoci 
intendiamo, che a mftrani che non i'mtcnàano,imàando 
i Latmìi quatt dd padri Grechi le dottrine,?? le parole 
prendendo , ferono lor priuitegio di poter tffer Ro>w« 
ne cornetti in lor feruigio le adoperarono .Val. 
Infitto a qui uoi non ufajle parola , che alcun uolgare a* 
fiottandola fe ne douefa merauigUd re: ; ma procedendo 
pinoltrit uoi incaperete in concetti che ragionandone, a 
volere efiere intefo , uifid meflieri di proueder di «dei* 
toh, che a gli orecchi di Italia fi confacciano un poco 
meglio , che t Latini non fanno , B k o c. Ragionando 
con efio uoi netti prefente materia , la cui mente di gran 
lunga lentie parole preuiene , non ho paura di doucr 
dire ucabolo che peregrino to ejitjlimiaie . Val. 
kvxgnadio che delta arte oratoria tra mi pochi, & 
con jtiUrimofio molto (quale* camera fi conmene > 
habbiate tolto a parlare: nientedimeno io tri configlio, 
che cenquetTammo , er in epteimodonefautUiate, che 
mifartpejeinprefentia di motti cofi dotti, comeigno* 
untine ragionafte; laqualcofa perauentura auerrà t 
perciochtl Soranxo Mgentifiimo gnardatort de ho* 
fhi detti , quelli in uno raccoglier k , CT raevUì , non pò* 
irà fare che moki just amici diftderofi di novità , non ne 
faccia partecipi .So% Certo m fui partir di Vincgia 
mio germano mefier eteronimo grettamente mi co * 
mandò , che mentre io \\efiiin Kotogna, d'ogni cofa^he 
h giudicaci notabile, ne lo donefit auifare, er botte fot* 
to infttìhmspenfate qutUhe io fatò permmvdicoft 



DIALOGO 

tmbit r<tgtonmento:dopol qua^permio gtudkb, um* 
ito ì Papi,ctgflmpcrddorì.B boc. Ben conofeo meffar 
Gieronimo,atk prefenza dd quale ne paroline oprc,fe 
non elette jion fon degne diperuenire . Ma noi Soranzp 
foche fare ilpotrejle) farcjìe bene , detto che io 
xrihébk mia opinione,queUa jlelfa con altro jìilc di feri 
uere,che non V udite dame; che una coft è il pastore prk 
«diamente,?? dà omico,fi come io fdfeio con ttcixt altro, 
i lor fmuere altrui d perpetudmemork de paffati ragio- 
namenti .r?ncl aero ,fcciò hauefii penfato *thor , the 
fejle li qucjìione.Q io taceua del tatto, o cofì tojio non r| 
fbondetm cbelcpdrote>a' le cofeche a cotale arteper' 
tengono,*? foprd tutto il porle inficine, con heUo or« 
ime ckfcheduna afuo luogo dijliutamctc efbticareèfat 
tura di motti giorni, non d'unbora, o diàicsna rio errai 
neWmcomnciare, forfè net perfegwe tiimaidarò, Se 
otte io pen fitte hoggidiaìqnanto ufctndo detta mteritt 
di tutta l'arte oratoria (che ch'io nefappk) Ifaermcnte- 
parkruiiadoprando quelle parolesou le quali tw Latini 
frittali '.ftitdki d'imparark i bora alcune poche cofette^ 
che al fitto mffroccwengonojwieucmente percorrerò: 
coft ài un tratto pagarò il debito del dmer dirui mia opi 
Bi«te,et ddftQgli dth)e parole latine, nelle opali d lungo 
Mudare il parlamento fi ramperebbcbelkmcnte miguar 
dirómpili faggio nocchiero di me kfeiando k cura di do 
utrfarefi perigliofa «àggio, nùque al prcpofito ritorni 
do,bécbe diati ftcÓdo i rhctorijo ui dicefU £mfegnarc,e 
U mauere effer due opre d'muentione * conciofiacofa che 
quoto motte il proemio,®- [epilogavamo infegtia la tur 

rottone, 



DELLA RflETORKA, IIJ» 

ratione,et cottftrmatione ; nondimeno mutando in meglio 
mi* openione,cr cofa a coft proportionando j a me pare 
di douer direbbe impegnare propriamente alia dijj>oft* 
tiene portegna ; tome in contrario k confufion delle co* 
fe ci partorifee ignoranti* , Adunque [empremai col mo 
lamento la àutentione, et con k dijfccfitione Cuifegnare > 
dm il dilettoci che parliamo , con lafua madre clocutio* 
ne,forma,',a' aita dell'eloquenza, meritamente accampi 
gnarerao. Quindi pacando alle treguife di caufe dall'O 
rotore confìderatcg? a tre jìiU ucnendo,cioè che tre mo 
di di dbrejuna aU "altro con mijura agguagliatilo, io li con 
giungo in maitiera,cbe la ciufa giudicale , cui è proprio 
la grattiti dello jlilc,al mouuncntow inucntvmeJa deli 
beratiua coljuo }Ul bajfo,& minuto alla dtfbofitìonc, cr 
aUo infegnarcuuimamente la caufa dimojiratiua medio* 
cremente trattata.aUa elocutione,et al diktto,dirittamctt 
ttfta ribadente. Le quai cofe m cotal modo difpoéìe,pro 
cedendo più oltra facilmente fi può concludere , che cofì 
come tra le parti d oratìone la elocutione è la prima , CT 
k caufa dimojiratiua è k più nobiie,ct più capace d'opti 
ornamento , che d'altre ducnonfono&glifìili del dtre, 
l'I più perlettto,zx più uirtuofo è il medmera ilquale non 
è auarojx prodigo,ma liberale wn fuperbo,ne abietto, 
ma altero , non audace, ne piiftUxiìimo, ma ualorofo; non 
kfciuojte (lupido, ina temperato ,coful diletto oratorio 
al mouimento , ey affmfegnare è ben degno , che fi pre* 
ponga . Però ueggiamo non fempre mauere,o magnar 
Voratore > ben quello ijleffo per ogni parte ioratione, in 
ogni cauja con parole elegàttjiudiarc di dilettarne: dqtu 

K le 



DI A L O G o 
te non contento del diletto delle parole , per raddoppiar* 
ne il piacere*? compitamente addolcirne ,r icone ai ge* 
flo^dff 'attiene detoratione condimento, cr mele , er 
Zucchero foauifiimo degli orecchi, et degli occhi nojìri, 
X)aQaqu<tleattione,perqueliagratia,cbe è in ki.dcpen 
de in gwi/rf la uertù deli'oratu ne , che ella è nuUajcn* 
%ieffa;la quale fentenza da Dcmojlhene data , E/cIn* 
lìt fuo auuerfmo poco appreffo con bcllaproua ci con' 
fermò i mentre leggendo a KhodianiU oratione di De* 
tnojlhene , marauigliandofi gli afeoitanti, bebbe a dire 
Ueramente m^rauigliofa effere Hata la oratione, effoDe 
tnojlhme recitandola iquafi dire mlejle,Cattentioncdel 
recitatore potere feentare ,cr accrescer forza aU'oratio* 
tic j er in maniera da fe mcdeflma tramutarla che non pa 
rejjè pia d'ejfa. Val. inu jrc&cfori/ Soranzo eonfentd^ 
cbedikttattdopiu, che infegnando, omoitcndopcrfuadd 
la oratione,egli difetta d'intendere con quat ragioni con 
tra la mente di Cicerone gli protiarcfe , che la caufa de* 
mofìrattua fiapiu nobile dell'altre due ,0-che defliliil 
migliore fia il mediocre : ef per certo da due colali pre* 
ìmffe più tojfofalfe,che dubbiofe^alanetcfipuo decide 
re U queflion dijbutota. ErOc. Qui dfbcttaud,che inter 
rompere le mie parole ì fendo certo,chcctò io difii dcUd 
tanfi dmoflratiua , cr delio Me mediocre Subitamente 
rifìiitarejle.Peròfxppidte,ct)dppìalo anche il Soranzo» 
che ragionata di cotai cofe con mufemplice narrattone, 
cr fenza dkmodrgomentojvbebbiinanimodich'giun* 
gere infime ì tre jhU,te tre caufe, er i tre modi del per* 
imicretCW k tre fwM d'erottone m maniera che atta in 

ucn 



DELLA RHETORICA. l^O 

ucntione ilmouimentonelkcdufa giuàicìak t conlo jUl 
graie principalmente correfpondelfe : ma éU dtfeofuio 
ne Fmfegnare,tiella caufa, deliberatila con lo /iti baffo:ul 
tintamente ti diletto ali a docutioue, nettd caufa demojìra 
tiut con lo Ihlc metano propriamente fmferiffe Al qud* 
le ordine da tutti i Rbetori cofi greci,come latini , effere 
flato offriuto,cbi le loro opre riguarda, fidimele giudi 
cari laqual cofafe eofi è(cbe certamente è cofi)uoi me 
de fimi per una ijleffa ragione argomentando k oratoria. 
tlocutione,con tutta quanta la fchierd fua , alle altre due 
partid'oraticne con le loro ordinate debitamente prepo 
nercte;cbs no è honejlo ilbncn col ti ijlo agguagliarexia. 
il tuono al buono,etal migliorejl miglior fliie,fwfe-,c<t« 
fdyCt per Jual ione, co rdgtoneuolmtfura dee pareggiai, 
M a de (itli poco appreffo perauctura ragionaremoye del 
diletto fi èfauellato a bajlàza. Dunque alle caufe ucnen* 
4o>come io dilUjtoji ridico di nuouo, che la caufa demo* 
fìratiudè laputborreuole , la più perfetta , la più difficì 
le&finahnente la più oratoria,che tutina deU'dltrc due: 
la qual cofa mentre io tento di dimofirarui , io iti prega, 
che non guardando alh fama de gli faritlori detta Kheto 
rka , poniate mente atta uerka : la quale da ragione aiti* 
tataro mi apparecchio di palcfarui. Perciò che altra co* 
fa è il parlar di quejla arte , le ucne fue , ifuoi membri » 
l'offa, i ncrui , er la carne fud dnnoaerdndo, parten* 
do: la quA guifd d'anatomia, hi infegmtndo con Itrd* 
gioii! operiamo ; cr altra cofa è il parlare oratoriamen* 
te al uolgo , àgiudteio , d Senatori , <fteìUaUettando,cr 
mouendo iti che non faccio ai prefente orje una uol* 

Ri U 



DIA LOGO 

U(che Dio noi uogtkyjl farò : quando t ubìdiendo,a mio 
padre , la «o«,er il fìtto, che ei mi donò penderò a liti* 
ganti. Hot di quefio non più, et al propoftto ritorniamo. 
Io ucrmentc le tre caufe oratorie per li lor fini, per Ufo 
ro ufficij,et per te loro materie 3 con diligenza confiderai 
dojia pojfo akro,ée credere, che la cattfa dimofkatm 
fta infra tutta la principdled cui fine è koncflà; U cui ma 
teria è uertù^cr il cui ufficio è il dilettar ^intelletto,®- di 
ien fare ammonirlo. Quindi nacque il coflunte nella Re 
publica Atbeniefe , publicamente ognanno queicittadi* 
ni lodare,iquali fortemente per la br patria combattei 
dojfuffero flati ammazzati. La quale annua aratiom (fe 
A Vintone crediamo}lodando i morti,® le uertti lorojut 
to in un tempo le madrij padri,® le mogli confolaua he 
nignamente 5 ma ifrate&j figliuoli,®- i «ipoteche dop* 
po lor rimaneuano , a douer quelli imitare , ®- farfì loro 
fintili mirabilmente accendeua . Adunque non indarno fo 
ìeua dir Cicerone , ninna guifa d'or ottone potere efferne 
più ornila nel dire,ne più utile alle Kep.di quefia una,di 
mojìr attua : i cui precetti bornio uertu non folamente di 
farne buoni oratori,ma a douer uiuere honejìamente con 
bella arte ne efortano ; il che di queUìdeUaltre due non 
amene ; con effe qudifpeffe fiate guerre mgiuBe perfm 
demo, er uendieando le nofìre ingiuricjhor gliimtocen* 
ti offendiamo, bor difendiamo i nocenti.Confufamente 
peruuentura più, che io non debbio , uà comparando fra 
loro le tre caufe oratorie ; il che faccio, perche io difidt* 
ro divedimene, ®-adar luoco al Valerio^he s'appre 
flaper contradire: mi ambiiue col uojìro ingegno il mio 



DELLA BHETOEICA, 1} I 

difetto adempiendoci parte in parte k mie parole d$in 
guerete. Adunque,feguitando il ragionmnento t etfra me 
jìeffo confìderando ciò, che dianzi dicem deltoration di 
Demollkene,fomm<mentc daWattion dependente Jbofer 
minima openione,cbe nelle caufe deliberatine, cr guidi* 
cidi molto più opri la natura decoratore, cr della mate 
rid,cbe non ftttarte oratoria, il cetraria è della caufa di* 
mojhratiud,neUd quale kggendo,non è men bella U ora» 
tione , che recitando iperò ueggiamo mediocri Oratori 
bene informiti delle ciudi materie , cr aiutati dattattio* 
ne, tj dalla memoriajn Senato^ er in giudiciofoler par 
htre affai bene : che in té cafi dalle cofe trattate nafeono 
in noi le parole ; le qualiconcordate con li concetti deffa 
nimo , ne riejce queUa barmonia, che fa 3upir chi l'afols 
td.Verk qual cofa molte fiate ne comandano i Kbctori, 
che non curado della uaghezza delle parole efqmftte, ad 
alcune altre non coft beUe,ma proprie molto» cr di gran 
forza neWefplìcare i concetti,uolgarmente parlando , ci 
debbiamo appigliare : ma nella caufa dimoflratiua è ine* 
flierinon foLonente di concordare le parole a i concetti^ 
ma quelle fcielte,ey dette fi fattamente ddunare, chepa* 
re a pare t tyfmile a fimik con belld arte fi referifed :& 
quelle ijìefji parole bor raddoppiare , er replicarle pia 
mite jhora a contrari) eògiungerlc ; imitando la projpet 
tùia de depintori,iquali molte fiate il negro al bianco oc* 
compignano,a fme,che più beUa&r più alta, et più ilhi* 
(Ire cifimojbri lafua bianchezza- Le quai cofe,tutte qua* 
te fono puro artificio, ma in mdniera difficile, che dWitn* 
prouifo poter lodare, o uituperare eloquentemente, fa* 

R 3 re* 



DIALOGO 
rette opra miracolosa. E* il uero che nell'altre due cdU* 
f edema uolta tutta betta, er tutti ornata ua emulando 
U oratione ; cioè a dire negli epiloghi, V ne proemij i il 
quali proemij ; benché primi fi proferivano , nondimeno 
ft come co/c più oratorie,et di «tàggìor magiflerio, gli ut 
timi fono > che fi compongono : cr li quali Marco Tullia 
Cicerone, padre, cr principe degli ebquéù douédo orda 
rc,di parolai» parola bnparaua^ 4 memoria gli fi man 
dalia. Adunque può bene efjer,cbe le due guife, Senato* 
riae giudicale ftano agli fotimmi pi» neceffarie di que* 
&a terza demo\bratiua;et che da loroifi come prime che 
fi trattarono ) Thiftd , Corace , o altro antico Qra ore 
l'arte Rbetorica i'infegnaffe di generare ima lepiuuot 
te quel , ch'è ultimo per origine,àuenta primo in perfet* 
rione j fempremai neUbumxne oper adoni, iui è »wg* 
gior l'artificio , oueil bìfogno è minore : eonciofiacofa, 
che nei bifognila nojlra madre Naturaper fe fola, da 
niund arte aiutata è tenuta diprouederne.Naturalmente 
con le xmpe, O* «> danti pugna t Orfeo" fi L ione ; & 
U damma con U preSexx.* del cor/o /ho fifotragge aU 
fmgittrié. F<* ilfuo nido la Kondine ; nj la Ragna tef* 
fendo fi pr xura di nutricar ji una noi buominicrea'ure 
ciuilicontaiutodeUe parole, mefU cfegnideU'inteUet* 
to , con gli amici dell' auenir configliamo ; a" raffrenai* 
dole mani delTìrdccndia minijìre,hor dar.entcid noi 
prefenti ci difendiamo ;hor quelli tfìejii offendiamo. 
■Poco adunque miai caft ci puoinfegnar l'artificio ìfc 
non dijponere , er ordinare U inueiuione naturale ì ma 
mila caufa demo(bratm non ncceffamalk wftraui* 



DELIA SH STORIC A. 131 
ti a k parole , le cofe col loro ordine , CT col /j(o /cw 
ro jóro puro artificio : il <jMd!e /cmiiufo nefk «afwa <fc/» 
le due prime , cr dafl 'indujlria nudrito divenne grande » 
CT neilff f er^J dcmojiratiua,quafi terza fui età , fi fc in* 
tiero.et perfetta,?? coft intiero cr perfetto, non pur ititi 
lira la buona confà demojìratiuà, itero nido Mfuo iplen 
dcre,ntà riflettendo ifuoi ràggi le altre due pia inferiori 
f caldai alluma mirabilmente. Quindi adititene, che v.ei 
kcaufegiudicialild gii$itia,eyleleggimoltc uolte fon 
laudate, erbiafunato cln le perturba ;et ne confglidel* 
k Kepttblicc la libertà, la pace , er la giuda guerra con 
/ornine Ludi fi effaltano ; er i tirami con uùuperiofon U 
cerati . Là quaUnijlura di oratione nelle Pbilippice di 
DemoBbcne,neUe Verrine & Antonimie di Cicerone,, 
riufei opra meraitigliofa. Finalmente Carte jet le caufe 0* 
ratorie a fentùnem di nofìra uita agguagliando , ofo di* 
rcj che le due prime fono il fenfo del tatto , fenzà le quili 
non nafceua,ne uiuerebbe la oratione : ma la caufa demo 
flratiuotornamcnto della Kbetorka,è oeebìoet luce ->che 
fa chiara la uitd ju.tykiagr.de inalzandole nulla del* 
Maitre iutnon èpofjcnte dipcruentre . Sia dimando m 
buono buomo pien d'eloquenza,?? d'ingegnojlqudle u* 
feito della fua patria folo,z? mdo{quafi utìaltro BÙnteX 
«e/ig.1 a Harfi in Bologna^ be farà egli deSarte fuaife e*. 
gli accu[a,o difcnde,ecco un tale amocato , che uendc al 
uolgo lefue parole :fe delibcra,non fendo parte deUs Re 
publica, i fuoi configli non fono uditi . tacerà egli , er 
jiafua uita otiofa ì non ueramentc , ma di continuo con 
lajua penna nella caufa danofìratiuabiafìttmdùtty 

R 4 lo* 



D I A L O C O 

toltitelo Ufua eloquenza effercitara . La qttat cofa non 
per odio>o per premio , ma per itero dire facendo jn po* 
co tempo non follmente da pari fuoijma da /ignori, et da 
regi (ari temuto,?? Stonato. Sor, Qkc/ìo ttojìro eh 
t{! lente (fe non m'inganna lafimiglianza)è il ritratto del* 
t Aretino. Enoc, Io non nomino alcuno; ma chiun* 
quefì è,einon può efferefe non grand'bmmo,ondc ante 
pare , che quefìa caufa demofkatiaa tale fid alla fenato* 
ria,w giudidale, quali fono le dignità ecclefiafticbe aUe 
grandezze de fecolari ; queUe fono naturali fucceftioni t 
qnejieper propria indufbia acquisiamo . er ro/ì come 
un ^articolar gentWhuomo fatto Papa è adorato da (noi 
/ignori, cofì al buono Oratore per la fua caufa demofbra 
tiua cedono igrandi del mondo : che ilcaufidico,w il Se 
nitore non degnarebbeno di guardare. Ncn per tanto jon 
de uegnaxbe neff altre due cavfe i parlaméti aratori) per 
li lor grattiti nonfonmen cari ad udire deU'orationi de* 
moflratiue,non è difficile il giudicare. Perciò che ifog* 
getti di quelle due fon cofe trance pertinenti parte alla 
uita della perfona , parte aUo Hata della Kepublìca : wt4 
quefU terza demoftr attua i uiui,imorti lafciando flare , 
folmente gli altrui nomi, cr memorie , d*ogn'm(orno di 
tode,z? biafimi ita dipìngendo . Adunque , cofì come il 
tteder pugnare a. corpo a corpo due nemici in camifeia co 
le coltella affilate , è affetto non men grato per le ferite 
typel ftngue , che fta il combattere a giuoco esercitato 
da fehermidoricon artificiomerauighofo ,caft te caufe 
ciudi altrettanto per le materie trattate fono ufate di di* 
Iettarne , quanto quefìa demofkatm con Ufua arte del 



DELLA' HH1T0HIC A, T33 

dire ne recagioia,cr fotiaxzo. Quindi adiuiene(fì come 
dmziio dicetu)cbein Senato, & in giudkio i medio* 
tri Oratori uolontieri affidino , out il difetto dell'arte 
col [oggetto ali che ragionano, facilmente fi ricompenfaz 
m le orationi demofkdtiue ( fi come ancora i poemi ) /e 
«ori fon cofd perfetta,non è chi degni ne d'udire, ne di He 
ocre . Et queflo batti al diletto, ey dSd cdujd demojbati 
Ud-m Vderìo,cbe ccnofcctc i miei falli, ghdicateìi , & 
correggeteli. Val. Può ben effer, che quel ck'è detto 
bdjlì al diletto^ alìd ciuf a demollratiua , ma non balli 
a gli Mi,dc quali,fbecialmentedel mediocre, fiete obli' 
g<rto di (duellare, B e o c. Veruna ifteffit ragione po 
tria parlare de gii ornamenti^ delle fomcdcldirt,o' 
dello flil mediocrexoneicfìd cofd che L ebcutionc è quei 
k punte della Kbctoriat, antiquate,®- col diletto, cf 
con lo jìil mediocre kbltondcaufd demofhriìiua fa de* 
compdgnata da me : mi qucflaè opra d'altro ingegno, et 
tfdlìriindufhridrcbedetli urna , fenza che ciò farebbe uri 
njcir fuori di quel proposto , interno di quale pideque al 
Soranxo,cbeiofaueUaffc, Sor. Come Brocdrdo, è 
fuor di propofito il ragionar dello fìile , con effol quale 
Urationc genera in noi il diletto,cbt al mouimento,r? d 
l'infegnate facete proua di proferìref Broc. Ocià 
ìfuordipropofito,oiofonfuor dimeflcffo, cr non Cm* 
tendo come io deurei i per la qua! cofa in ogniguifd io ho 
ragion di tdeere, Val, Ecco Brocardo noi conferii' 
tìamo,che'l parlamento de lìili,quando a uoipiace,in ah 
trofempo fi diffcrifcd.Uori(il che negare noncipctete) 
infegnatene ài che nwùera ì O' quai precetti o fermando, 



B I A L O C O 

il Tbofcano oratore in ciafcheduna delle tre cdufe,pof* 
fa ornarli di quel diletto , il qual impreffo ne noftri annui 
ne perfuade a douerfarc a fsto modo :che con ul patto 
noi rijbemdefìe alia qucjìian del SorM^o. Bnoc, 
Guardate che d dbrcofa non m'induciate , che la lingua 
Tofcana tri faccia battere in difbctto,cbe molte co/è puh 
tio beUe,cr nobili molto, quando fon fitte ; la cui origine 
è ui\ifiimd,et ripiena d'ognibruttura . V a l. Già a feo* 
tari di medefima,per fare ogni amo urta anatomia di cor 
pi bitmani,cj in quelli uedera,oue er come notte meft ne 
portino le nojìre madri,®' portati cipartortfconojio fon 
men care te belle donne,che elle fxmo agli idioti , che té 
fccreti non fanno : però dite ficur amente, che'l parlamen 
toma cominciato farebbe nuUa.fe in tal fmeiton terminaf 
fe. B r oc. Vorrò pofeia , che minfegnate an * 
àie noi i udiri madidi perfuadere , con li quali , benché 
molto taoff.-ndano.me al prefente fignor ergiate sfor, 
%ate . Sor. Duolui t-mto ch'io impari t B r oc. 
Per certo fi , percioebe attendendo aSe mie panie , noi 
iatparsrete quel? ijteffa ignoranza , che in mollami con 
moka indultria , er con poco honore la mia fcioccbexzA 
mha guadagnato : cmciofucofa,cbe i precetti ch'io ubo 
da dtre nonfono altro,che la bidona de i miei dudij; con 
effo i quali fon fatto t Acquale io mi fono. Sor. ogni 
punto mi pare una bora yebe de precetti mi faiieUutc,con 
U quali brutti er uih{came diccjie)diuenti atto a far bel* 
la la or ariane italgare. Adunque incominciate ,(euci me 
am.tte, CT quanto più facilmente potete ,diclmtr atemi il 
itero, che non ha faccia ài uerijmile, Broc, ìacil 



DELLA KHETORICA, I34 

cofa fìe Udopra-e ìprecem,Uquali intendo di dìmojtrar 
uima al mio iudìcio non fon cofa,che uno ingegno par 110 
fìro debbia degnarfi d'adoperarli i però uditemi, ma con 
animo d'ammendarmi, non d'imitarmi, lo neramente fin 
da primi anni dijìierando altra modo di parlare, cr di 
fcriuerc twlgarmente i concetti del mìo intelletto, c que* 
/io «on tanto per deuere eflere intefo(il che è cofa da o* 
giù mlgare)quanto a fine chc'l nome mio co qualche latt 
de tì-a ifamofi fi tiumeraffe;ogn 'altra curapofipojìa,aU(t 
tettiott del Petrarca~,ey delle cento Nouelk , confommo 
fludio mi riuolgeÌJicUa qual lettione con poco frutto non 
pochi meft per me mede fimo effercìi atomi , ultimamente 
da Dio infbirato, rkorfi al noftro Mefjer Tripbon Ga* 
brieUe-AÀ qiule benignamente aiutato uidi, Cr intefi per 
fett amente <]i<ei due autori i li quak\nonfapcndo,cbe no* 
tar mi doueffe,hauea trafeorfo piu uolte . QKejìo noliro 
buon paére primieramente mi fece noti i uocabolipci mi 
die regole da conofeere le declinationi-,et coniugationide 
nomi , er uerbi Tofcani : finalmente gli articoli j prono* 
ttiij participif,glì aduerbii,^ l'altre parti dtoratìone di* 
fiìntmentc mi dichiarò : tanto , che accolte in uno le co* 
fette imparate , io ne compofi una mia grammatica : con 
la quale fcrìuendo, io mi reggeua : in maniera,che in po* 
co tempo il mondo m'hebbe per dotto , ty tienimi anche* 
ra per tale. Sor. infmhcra non dite cofaxbe ci peti* 
tiamo ^udirla icr cofifbero the dek'auanzo atterrà ,fe 
colmaefko,eycon gli autori antedetti d'impararlo ut 
configliajle . Bkoc. Dunque al rimanente ucnendo , 
poi che a me parue ieffer fatto un foknne grammatico, 



DIALOGO 

tonfberanzagrandijlima di ekfcheduno,cbe miconofce 
m , io ini diedUlfar uerfiiaUbora pieno tutto di numeri, 
ài fententie,pr di parole Vetrarcbefcbe ì er Boccaccia* 
ne, per certi anni feicofe amici amici marauiglhfe . po* 
fck parendomi,ehe la mia uena iincmtinckffe afeccare 
ipcrcioebe alcune uoìtemi mancaua i uocabott , er non 
battendo che dire in dmerfi fonetti , uno ifleflò concetto 
mera venuto ritratto ) a quello ricorfì , chefe il mondo 
boggidi ; er congraudifiima diligenza feì un rimario , o 
vocabolario «algore: nelqualeperàlphabeto ognipa* 
rok,cbegk ufarono cjueftc due,dijiintamenteripofmy 
tra di ciò in un altro libro i modi loro del deferiuer le co* 
fegiorno, notte, ira, pace, odio, amore, paura, jberan* 
Xst, bellezza fi fattamente racolfi, che ne parolaie con* 
tetto non ufcitu di me, che le NootSc, er ì Sottetti foro 
non me nefuffero effempio. Vedete uoi boggimai <t qual 
haffex&t dijeefi ; er È» che Bretta prigione , cr con che 
Ucci m'incatenai . Ma molto più bo da dirui , che io non 
u'hodettofm'qukperciocbe bauèdo io(come dinoto {Tom 
biàut foro)ogni lor cofa cofi latina come uolgarc trafeor 
fb i cr ueggendo le foro cofe latine per rifletto alle To* 
fee, non effer degne de nomi lorogiudicéctò douere aite 
ttircperciocbe a uarie lingue uarie grammatiche, fegtien 
temente uarie arti poetiche, er uarie arti oratorie corre 
fpondcfferczrcbe il Petrarca,et il Boccaccio le lor uol 
garifapcndo , ma le latine (colpa o" agogna de tempi 
loro) ignorando , tante bene Tofcdnamente fcriueffero; 
quanto male latinamente poetarono; er orarono. Perk 
qual coftkfciaifiareitonfìgli detnofoo padre Mejfer 

Triphone, 



DELL A HHE TORICA. 135 

Triphonejlquale a poetar uolgarmente con Forticcio U 
tino mi richiamano, tener uoUi altra (froda : per la quale 
mcttendomijon giunto a tale } cbe io ueio il male^non 
lo poffofchiuarcMaperchc il tutto fappiate.foleua dir* 
miMejfer Tripbone,che al Petrarca teffer nato To/r,c 
m,&fiper ben kfua lingua,et in contrario il non [aper- 
ta latina, benché Torte tenefje, fu cagione difarbgran* 
de neffuna , ma neSaltra molto manco , che mediocre . 
UaaVincontro mi fi paratia tefoerienza ; percioche 4 
di nojhri U città di Fiorenza cofì Tbofcana, come è,non 
ha poeta, ne oratore pare al Bembo gentiluomo Vini* 
tiano . A dunque potuto barebbe il Petrarca con Virgi* 
fc,cr con Cicerone far fi tal oratore,®- tal poeta latino, 
quale U Bembo col Petrarca, cr con le Ranelle è diuenti 
to Tofcano : la qualcofi non emendo auucnuta ,/cgno è t 
óc in due lingue ha due arUi però il Petrarca con l'arte 
fui uolgare componendo latinamente,^ minor dife flef* 
fomentre egli fcrifjh nella fualingua Tofcana. Conftr* 
mauamiaopenione iluedere ogni giorno alcuni buomi* 
ni pur Tofcani latrati , er digrand^ima fama , li quali 
tolti dal Petrarca&hor Tibulb,bora Ouidio,hor Vir 
gilio imitando faceuan uerfi uolgari ; li quali mezzo tré 
volgari,®" latmi,parimentc a volgari,?? a latini jpiace* 
nano iinfra li quali chiunque con nuoua gutfa dt rime t 
afenzarima ninna ilatini inùtaua, meno errano- al mio 
parere, er con giudiciopiu ragioneuale kpoeftecon* 
fundeuaipcrciocbe toglièdo a uerfi la rimo,o delfuo loco 
mouendolx fileiubro gran parte di quella formami* 
gare ; che i latini , er loro arte naturalmente ékonfee . 



DIALOGO 

14 qualcoft fi pronai ia in quel tempo , quando (q&tfì 
nitouù akbimilìa)lungamente mi faticai per trottare ìhe 
roteo ; il qual nome ninna guifa di rima dehetrarca tef* 
futa, itone degnai appropriar fi. Mouemianchora <t 
douer creder eofi la nojbra guifa dì uerfa il quale contri 
i precetti latini fenz<t piedi, er con rime non è mai dolce 
Agli orecchi , ne men leggiadro nel caminare , di qual jì 
uttol dcgliantiévAc quaipiedi poco appreffo perauen* 
tura fi parlari . Vinto adunque dalle ragioni , er effe* 
rienze predette , a primi jludif tornai ; er aU'bora , oh 
tra'l continuo ejfercitarmineUa lettion del Petrarca ( U 
quakofa perfe fola fenza altro artificio può partorire di 
gran bene ) con maggior cura di prima ponendo mente 
«fmìmoài alcune coje offernai fommamente (come io 
tredeua) al poetai all'oratore pertinenti ; le quali,poi 
che uokte,che tal faccia, brieuemente ui cjblicarò. Pria 
meramente le [ite parole d'una in una annouerando ey 
penfando, ninna uile,niuna turpe,ajbre pocbe,tutte cbk 
re, tutte eleganti , mi fu auifo di ritrouarle ; er quelle in 
modo al commttne ufo conuenienti, che eglipareua , che 
col cònfigUo di tutta. Italia, thaueffe elette , er molte , 
In frale quali ( qttafifìeUe per lo jereno dimezzami* 
te ) nluccunto alcune poche , parte antiche , ma di uec* 
Metz* non difaiaceuole s buopo , unquanco ,fouentc : 
parte mghe, er leggiadre molto, le quali, quafi gemme 
belle agli occhi di cufcbeduno,folamente digentiti , & 
alti ingegni fono adoprate : quali fòno>gioia, fpeinejrai, 
dijìojoggmno jjekà, er altre a lor fmglianti ; le quali 
mm lingua erudii* non parlerebbe , ne ferimebbe k 

mano. 



DELÈA KHETCSTCA. 1 5 Ci 

maio, fé gli orecchi noi cofcntiftero. L ungo farebbe ti co 
Uriti dijimtamète tutti i uerbiigli aducrbijxt l'altre parti 
doratione> che fanno illumini juoi iter fuma una co fa non 
tacerò.cbe parlado della fua dbna,et di la bora il corpo, 
hard Tamma,bora ìlpiantojbora il rt)o,hora ràdare,hor 
lo (ìdrc,hor ltifdegno,horla pietà,bor la etàfmfinalmé 
te bar uiua 3 bor morta deferiuendo, ty magnificando, k 
più mite i propri) nomi tacendo* mirabilmente ogni cof<t 
dell'altrui Uocifuote adortiarxbiamàdo la teiìa oro }mo t 
tj tetto d'oragli occhi folitfìelletZapbiro, nido cr alber 
go d'amore de guancie,bor neue et rofe,bor latte cr fuo 
co; rubini i labri , perle i dentista gola cr 1/ petto , bora 
moria , bora akbaBro appellando : cr quejìo bajìi alle 
ditùonhiai dalpoco,cbe io dìcojl rimanente, che è ntols 
to,pcr tioi medefsmi oficru&rete. Hor venendo alia ora* 
tiotte, mila quale quejlo raro buomo le parole, che io ui 
lodai co bella arte ua coponendojifguardado alla copia, 
io m'accotfi che bauedo detto Una mlta litme,fitoco,cate 
ftajdilcttOjdoloreft altri tai nomi,maì 1 mede fimi in quel 
Sonetto no ridiceuajna in lor loco raggio,luce,fp lèaorei 
fÌMU^rdoreffamUe^nodOfUccioJegame^ioia^piaccre, 
pena,doglia,martiro,fìrato,affatmo et tormèto }i ddetta 
ua di reppticare. Oltra di ciò io comprefrxbe egli *<naM 
di contraporr e i cantrarif& a quelli i propri) affetti, cr 
le proprie opre, propriamente parlandoci cogmnger di 
ftderauddella difeordia de quiltj'uno aU'altro co mijura 
correjpotidcndo)ì,ufciuafuora il contètOicbejente 1 gn'u 
noi cr pochi fanno la [ita cagione . Ma ueramaiteqicHx 
cracoja mdrmghejx,iry-dcgn*certQ didouerc e);cre 

uff 



DIALOGO 
tan diligenza offeruata , che té contrari], crtaiuod, 
quafi (ili della fua telajn teffendo U ormone fono ordì* 
te in manieri , che ne afare per U fhrettezza, ne troppo 
motiijO <dUrg<Uc > ma falde.piane,et eguali per ogni par* 
te (tanno mfiemc le fue giunture : il che è tanto maggior 
uertu , quanto men della profa i noBri uer(t uotgart atte 
lor rime legati fon tenuti di adoprarU. Ma perciò che nei 
la orationc,non folamenle le dittimi, cr il loro [ito confi 
deriamojni farma,et fine determinato, cifrai quale non 
fpetie, è mefiierì di fiatubrr. la qualcofa non è altro che'l 
numero ( cofi il cbiamorno gli antichi ) del qual numero 
hoggipromifì , gt incomìnàai , ma non compiei di par* 
Urui. accioche piena informatione d'ogni mio jtudio por 
tiatCyitoi douete [opere che'lnoftro numero fi come quel 
lo demolire lingue : propriamente è mifura della gra&ez 
ZA del utrfo : le cui parole ben dijpojte , er ben termi* 
nate a Urotanto , er più piacciono a&'inteUetto quanto ti 
fuono, quanto lauoce, quanto ilntouerdeUdperfona t 
CT de piedi de baRatori , er de muftei gli occhi , er gli 
orecchi fuol dilettare . Onde io giudico al tempo antico 
forfè in Prouen%a,o in Skika,queimedeftmi, che erano 
mujìci cr danzatori, effere flati poetiiiquati pareggiati 
do i lor uerftai balli , aicami,ejafuoni, borfonettì 
bor canx,one,et hor ballate i lor poemi fi nominarono. E* 
l'I «ero che altramente mifurauano i uerft foro i latini, er 
altramente noi uolgari li mifurìamo:quelli, in fillabe d l ui 
dendo le ditioni,di effeftàabe alcuna %J,er alcuna brie 
ne feceuatmk quali infteme adunate norie mifure,cr uà 
rie forme di numeri (piedi dicono li fcrittori) iombi,tro* 



DELLA RHETORICA. I ; 7 

cheì,fboiidci,dattili , er mapcfti ne uaiimnoa rùtfcirc : 
con effe i quali i'ìorucrfi a oncia a oncia fmifuralfcro', 
et ttmerajfero. Ma noi altri i wflri ucrfi uotgari con mi 
nore arte, a 1 con più ragion mijuradofrutto eguale ala. 
tini finalmente ne riportiamo,percioche non curando del 
la htngbezz<t,nc breuità delle ftltabe piamente contane 
dclc, quelle in.uno accogliamo; o~ cofi accolte ceti dilete 
to de gliafcoltanti rendono intiera la claufula,cr in ucr< 
fo ne la cpnuertcno . il quai modo da mifurjrc è ccffyu* 
ra,w falcerà moho.cbenon perturba le fiUabe, nell'epa, 
ro'.e di cuifon parti , fccma,o rompe nel meza : ma ne lor. 
luoghi co lorofuoni&r intendimenti kfcÌMidole,fanr,cr 
falue per tutto l v.erfo le ci conferitale quai cofe non fin* 
no forfè i Latóri , o non le [aiuto fi bene : i quali cenfidee 
randa IcfUabe non come patii di dittionc , ma inquanto 
brietii, cr iti quarti lunghe , troncando col loro /««ae- 
re le parole , cr non parole tendendole , fanno numeri , 
(he non fon numeruna pagi, o braccia , o altra cofa cou 
lemifurante la oratione , non altramente, chefe ella M* 
fe\unafuperftcic ben continua , cr di un ptzzo /c/o : nel 
qual cahjpejfe mite quello <t Latini fuole auuenire men- 
tre efii fondono i ucrfi faro,, he a Latini , cr a noi con li 
cantori adiuienc-J quali concordando le parole al/e note, 
fenza curar de lignificanti, fan barbarifmi nonfoppor* 
tèdi. Non uuò però,che crcggLte,che la volgare fcan* 
fioncfiapuro numcro,tai:to , àie fole undici fdlabe , co» 
munqttc infoile fe adunino , facciano il uerfo Tofcano; 
ma è meltìeri in ntmeràdolc anziché all'ultima fi peruc* 
gna^lquuuoinfa la quarta a in fu k fefia, o infila otta 

S ua 



DIALOGO 

Ua fèdere; ouerkogkcndo lo fpirko,fdcilmenlònfmo al 
fine ci conduciamo. Bifogna adttque che la quartajafe* 
(ìa,& la ottaua fiUaba fu ecft piana, in maniera , che k 
uocegia faticata comodamele uifiripofi,et adagie.Verò 
non è uerfo , Voi ch"m rime fparfo afeohate il f nono ; ne 
quelk.Voi Min rime fparfo il fuono afcoltate.ma bene è 
bello, & buon uerfo con tutti gli altri di quel Sonetto , 
Voi che afcoltate in rime fparfo il fuono . Forfè direte co 
yual ragia da poeti udgm la undecima fiRaba(quafì Fu* 
M delie colme d'Hcrcele)fu pofta al uerfo per termine, 
oltre al quale non fi mettejje f A che rijpondo , che cofi 
uolfero i primi padri del uerfo di quefla lingua ; li quali 
per auentura mal poteuano accommoiarlo a fuoni,a con* 
tà& <* balli lom fi più oltra lo diflendeuatto , o è più to* 
iìocbe'lnojhronerfo Tofcano allhora è uerfo perfetto, 
quando egli è giunto alla rima. Adunque perche più fo* 
Ilo ft conducete a perfetti: ne , di fole undici fillabe, alla 
più lunga,ilformarono,concedendo il priuilegio di poter 
farft più brieue : er col conftglio di chi l'afcolta , alcuna 
folta con cinque, mafouente con fette fiUabe mtieramat 
te prommtiarfi.Molte altre cofe uipotrei dir delk rima , 
ma non ho tempo da ragionarne iperò paffando alla prò 
fa , nofhra propria materia, nella quale [e egltu'hanume 
ro alcuno ; noi il togliamo dal uerfo,ty in lei lo trappian 
turno, o inefliamo -.facilmente dalle cofe già dette fi può 
coeludere che i fuoi numerino so dattiliffle fpodei, mafo 
Ito appunto i medefmi che noi trouiamo nel uerfo, fc non 
che! uerfo ripofando in fu le quattrojinfu le fei,o in fu le 
vttofue ftltabe^ neUe undici terminando , ha più certi, 

& 



DELLA RETHORICA, I }8 

©* pi» noti ifuoi numeri che U profi non hainéSa quale 
farebbe uitio non picciolo, fc k fua ckufuk po(ata alqua 
to in fui quarto paffo,totalmente in fu l' undecime fi fer» 
maffc . Dunque in qual moda iti dirò io cbe'l boccaccio 
fuggendo iluerfo, loratione deUe fue Cento noueUe sin* 
gegnaffe di numeraref certo quejU no è imprefa dafeher 
Zo , ne io l'ho prefa perche io mi uantidi confumark, Z7 
condurk k buon fine ; ma aecioche conofeiate quali , er 
quanti infm horafiano jlati i miei Budip & di che piccia 
k utilità ; doppo lunga faticaci fono futi cagione. Voi 
hoggidl,fè non altro , fi almeno di meglio fpcndere il uo* 
flro tempo,che io il mio ncnfeppifarejmpararete a mie 
fpefe. Conftderando con diligenza hor le parole, le quali 
ufi il Boccdccio,et'4i cui dunzi ui ragionai,hor k kr co 
pofitkmejbora i fini de alcune ckufuk, hor le materie del 
le NoKeifo ninna cofa mi fi paraua innanzi che numero* 
fa s cioè compita,®- da ogni parte perfetta non mi pareffe 
di ritrouark.E' il ucro cheper diuerfe cagioni ciò auue* 
nir giudicaudtCr hor natura, & bora arte lo cfiftimaua ; 
C per dirui ogni cofa, hor con gli orecchi del corpo,hor 
con la mente deh" intelletto di cofì credere mi configli** 
uà . La elegantk , er antichità de uocaboli , co ì loro 
fuonipkeeuoU, le mie orecchie naturalmente di diletto 
defiderofe , compitamente addolcivano , La proprietà, 
er trasktione, k natura d'alcune cofe perfettamente aU 
[intelletto rapprefentando ,fenz<t modo mi diUttauano. 
Tanno anebora in unaltraguifa numerofe le fue Nouek 
te i pari, ifmili , er i contrariai quali fi come è loro na* ' 
tura, alcune stolte in alcune ckujule pienamente corre* 

$ x fpon* 



DIALOGO 

fyondcndofìjiel paragone acquetandomi , non poteuano 
non contentarmi . Per U qud ragione ,a me par tua di po- 
ter dire gli au uenbnenti di Pinnuccio , cr di Nicotofaji 
Spinelloccio , er del Ceppa di Cimone , di Salabetto , di 
Mibrogiuolo , er di Bernabò, beffa a beff ^ingiuria ad 
ingiuria , er cafo a cafo totalmente quadrando, le ter no 
uelk far numerofe. Kmneroja altrcfi poliamo dire la o* 
rationc,oue il fante di frate Cipolla guccìo imbratta, oue 
la bellezza iella uaUe dette donne,la greffezza di Fero» 
do, la uanttà dinudana Lifctta, la cofcjUonedi Ser Ciap 
pettetto, «r finalméte la mortalità di Firenze ci è deferite 
ta,ft fattamente , che più altra non fi defidcra : parla an* 
ebora in alcun hiogbibarkLìcifca, bar ta Bentiuegna 
del Mazza, hor lafuoccra di Arriguccio , bar la moglie 
di quel di Cbinzica,®- dice o>/fr,er parole in maniera al 
la ojona comtcnicti,cbe par che intiera ne la ritraggono; 
quello Jonnado co'lpuro inchiollro,cheTitianófoléni0 
mo dipintore co colorile con l'arte fua no potrebbe adont 
bfare. M a il numcrofo,di che ubo detto fin qui,pche può 
effcre, ej è forje non poche uolte dàniun numero accorri 
pagnato,non è il buono,di cui ho tolto a parlarui , bene è 
cofa da farne fltma , er ebeà trottare quel, che cerehia* 
mo facilmente r.e può guidare,?? far lume : però, pajjan 
do più altra al componer dette parole, ©" <d finir deU 
le claufaie,come douemo , armiamo . Dette quali due 
cofe, l'una nonèpoftibile,cbcfenr.amtmero fu numero* 
fa U 'altra è fontana del mmero,et d'ogni bene che fa par 
fetta {a oratici ne. Adunque incominciando dalla fontana, 
quindi a rufeetti imiendo 3 a me pare , er in effetto è cojì, 
- - - che 

?> 



DELL 4 E H E T O B,I C A. 
che torrione delle noucìle è talmente coìnpofli , che chi 
hi orecchie non inbumane,ftcibnente s'auede quanto eU 
U tiene di perfetto , er di numcrefo: la cagione oltre a 
queUo,che pur dianzi ucne diceua > non le orecchie , ma 
[intelletto dee far prona di ritrouare.zt per certa yuan* 
tunque uolte ddiuiene,che con parole gentili^ fi tra fos 
ro adunatele ne aftra. ne aperta la lorofabrica ne rie 
fca,akun concetto cfplichimo; altrotanto fenza altro mt 
mero è mtmerofa la oratione. Et talee quella delle novd 
le : alla qaale\fu fi intento il Boccaccio , che alcune uolte 
uno, cr due ucrfi iv.fcendcne,o non gli uidc , o minti di 
kuarli non fi\urè,ma qua}] hellci-a [o caprifico che da fe 
8efiifvafxf.o,et faffo germogliano, nelle fitc profe li co* 
portò, &U cefi cane dalle parole ben compojle,frafe 
medefme alcuna uolta per k profa deUe\nouclle nafeono 
verfi,de quali quanto fono miglìori,ta)ito è peggio abbati 
dare; coft in effe molte fiate, anzifanpre uarij nmrteri dì 
oratione parte graui,parte uaglù,cr leggiadri fono ufati 
dipulkhre . con effo i quali U Boccaccio non più a cafo t 

per natura delie parole, ma cv leggiadro artificio ua te 
gando le fue fentcntte ; quelle in quadro acconciando, eP 
fra i termini delle Icr claufule compitamente acceglièdo, 

1 quài mauri moderando la oratione,et la vaghezza del 
torfqfuo con piaceuolì intoppi foauanente a frenando , 
hamio uertù non fokmente di dilettarne , ma dì giouar* 
ne,che in quelmodo , che la dejhezza della perfona con 
lapofjanza congiunta, le mftre forze fa gròtte fe^ mi 
defbuamonel difender fi pi» ficuro, ey neUo fendere 
più itnpctuofo, cr più fiem coft k profa da cotainume* 

S 3 ri 



n I A t O G O 

ri rfceofflprfgriirtrf è più cara ad udire ; cr <J»« concrfft , 
cb'ellafignifica, con maggiore efficaci* ci fuol imprimer 
neWinteSetto . Forfè affrettate ch'io ue li nomini t cr che 
in trocbei,iambi 3 dattiÙ , CT piedi colali latinamente 
parlàdogli uì dìlìinguafmain darno affrettate, che {enei 
acrfo,ouc nafeono, er onde li prende toratione,non fon 
nomati , ne figurati 3 neRa profa , oue cfiìfon peregrini, 
quai figure , quai nomi può toro dare che ne ragiona ì 
Adunque a luoghi dotte efii albergano conducendotti, et 
quafì muto additandogli , il rimanente al uofbrofiudio co 
metterò. Ma itoi deuete fapere che enfi come la compofì 
tion della profa è ordinanza delle noci delle porole,ccfj i 
numeri fono ordini delle fiUabe loro i con U quali dilet* 
tondo gli orcchbi, la buona arte oratoria incominciamoti 
tinua, er finifee la oratone : percioche ogni cUufula co* 
me ha principio cofi ha mezp , cr fine, nel principio fi M 
mouendo, cr afeende meUnezo quafi fianca dalla fati* 
cacando m piè fi pofa alquantopoi difende, cr uola a\ 
fine per acquetarfi. Hora in quoti luoghi deUa fua uia di 
qua dal fine debbia pofarfì l'oratione,et quote fiUabe dal 
principio fta totani la prima paufa, no è precetto che nel 
comanàixt comodandolo, ragion farebbe il no ubbidirlo; 
ft perche la profa uttók effer liberajonde il numero no le 
è legamela compimento ; fi per fuggire ilfafiidio ycbe 
co i medefimi numeri,detthet ridetti più udtc,ci recar eh 
be loratione : fi anchora perche afententie.er affètti di* 
jfrari,partinteruaUi diparole non fi couengono . Che fe'l 
nerfonon fallidifce , ciò odimene perche ì fuo numero è 
puro numero , cr quafi muro della fua fabrica ; il male 



DELLA RHIIOUCA, 140 

[mattato con altri numeripiu rileuatifdrijmàli, cr co» 
trurifcr d'ognintorno di rime,d'tpitbeti,& di figure di* 
pinto perde il colore, maggiorméte che molte mite il fin 
del ucrfò è principio , et talhor mezo della fentcn%a i ma 
nelk proft un medefmo numero è dette co/c, cr delle pa 
role iperò abondando ài dipintore farebbe operaaffet* 
tata,nm dilettevole jet oratoria,ma ridienti, puerile . 
Adunquerkoghendo le cofe dettcjpfrafe ftcfji para* 
gonandok, concluderemo mi medefima oratione per di 
ucrfe cagioni poter effer numerofa , cr non numero fi , 
perciocbel uerfo può effer nero, ma di parole ÙSfóme , 
€7 mal compofte: zrètdhora che la rima,et quei cafri* ., 
rij.ct quei fimili fan fonorajtta afyra molto lorationezr 
la caporione elegante [beffe fiate guafla il ucrfox? non 
uerfofagiudicarlo, Similmente la profa alcuna uolta ben 
capane le parok non bette, cr dura wka belle malamcn 
te ua componendo 5 et può occorrere che cofì come nella 
mufìca bencfpefjh le buone uoci difeordano,^ k no bua 
ik,o per ufanza , per arte fono tra loro concordi ì cefi ì 
pari>i fnmliw i contrari} , cofe tutte per lor natura ben 
rifonanti,qualche uolta co uoce a$ra,ty àfforme, qual, 
che uolta feioce mentc^ & a bocca aperta ua e faticando 
U oratione. finalmente molte fiate intrauienecke Ltpm 
/<* perfettamente compofta , quafi fiume del proprio cor 
p dppagandofi,nonfi cura non cht digìugere al fine,m 
di pofarft per lo camino,^ uafemprawfe'l fiato non 
le mancale, continuamente tutta firn uita eminareb* 
be . però a numeri ricorriamo, lìquali attrauerfando I4 
(tratte pkccxoinmtc con Infinge , cr con uezzi ariti* 

' £ 4 jre* 



B I ALO CO 

f-efcarfi,ey albergare con loro la vantino , er non ualcn 
do la cortcfta,ucgliom uftr le forze; er per benfuo,mal 
fio grado,con violenza tarrefìino. Sor. Qae/fd leg 
gede nwnerideUa profauolgarepar molto incerta , er 
confufa nondOìinguendo otte, quando, & quante fiate dì 
qua dal fine debbia fermarli Toratione ; ne con quai pie* 
di cammì,o a qual termine fi conduci per ripofarfi . Md 
che è quello che ttoi dicefìe,che a fententie, er affetti di* 
fiori, pari intervalli non fi contengono f er come è uero 
che nella profa pitiche neluerfi,un medefimo numero 
fta delle cofe,ct delle parole tBxoc. BrieuementerìjbS 
derò,uoi(comefate)attentamcnte afcoltatemUo pur dia 
zi detCoratore,^ del muftcP-XT àc hr numeri ragiona 
ioui,hebbi a dire, che mufico ponedo infieme le mei gra 
tii,<y acute, et co fuoi numeri mifwrandolc campuceua a 
gli orecchimi lo ratore con le parole della mente fìmiii 
tudìnuVanìma noftra difoUazzo difiderofa , s'ingegnaua 
di dilettare. Adunque egli è ufficio d'Oratore dir parole 
non (olamente ben rifonanti,mamtctligibìli } ey a comete 
tifigniftcaticorrefhonientì,chcfi come nei ritraiti dì 
Titiano,oltra il diffegno,la fimiglianzà confideriamo(et 
fendo tali(fi come fon ueramente)che i loro effempij pie 
namente ci rapprefentìno,opra perfetta, eydilui degni 
gli efiiflìmiamo ■> co fi ancora ncWoratione conia teflura 
delle parole, con i loro numeri , er con la loro concinnità 
tintentionifigrìfìcate paragoniamo : procurando che le 
parole pronunciate fi pareggino alle fententie,et co quel 
lo ordine le fignifichino , che [ha notate la mente. Ver 
la qual cofafe i concetti fon grauì,le parole a douer loro 



DELLA R HE TO R ICA. 141 

rifondere deano farjì di fiUabe>cbe U lingm peni alcjua 
to nel proferirle ;fiano jpefiiiripofi , ey non s'mdugie il 
finire ìil contrario nelle parole jo' nelle fentenze piace* 
uoliueggofare al Boccacio,w altrettanto pofimo dir 
degli affetti . Perciocke i colerici con parole udibili, & 
prcjìe molto,mu imanmconicipigramentc y agguaglun= 
do conle parole ?h umor e, fono da effer pronunciati : che 
tuiegnadio chel Tbcfctno nel numerar delle ftlabe non 
pc ngd mente alla Uinghezz^o breuità loro ,f,che piedi 
[e ne cempongd ; nondimeno nciprouiamo ogni giorno , 
che in cffefUabe con pia tcmpo,et più dffrdn;entefi prò 
fc.ifconoleconfoiuntiibclciiocaliìion fanno, llke Da 
te confidcrando,alcund tic Ita nelle canzoni ;er nella ce* 
mcdia,non d cdfo,o per confuctudìtte,md a bello fludic e<f 
léffe rime molto dfprc, non per dltrofaluo perche al feg 
getto di che pdrhatdyi^ro molto , er priuo aitato d'u- 
gni dolcezza fi comtemffero. i\u per cicche 1 poeta altro 
non uuole,che dilettarne,!* Voratore dilettando ci per» 
fuade ; però è mefticrìche le parole decoratore total* 
mente fi confacciavo a concetti fignificali, er che i ntmte 
ri deÙa prefa, cioè il principio i! mezo,et il fin fuo.uada <t 
paro col mezo, et col principio delle fcntentie , ikhe de 
uerfi non adiuiene, i cuinumsri non da concetti deWinttì 
IcttoTtiaddbdUifunm acanti fon dependenti, El efuin* 
di uiene,cbe i perfètti Oratori so rari in numero piu,chc 
i poeti non femodi quali auegnadio ebegradanente fimo 
obligati d lor numeri, et però il uerfo paia oprat Uberto* 
fd&digrmdifiimo magiflerio ; nondimeno certieffm* 
do jnqualfad parte cotdimnerifmpariiiOffenztttnol 

to 



DIALOGO 

lo penfari(ifufo,fufo i .fubitamcnte li ritrouiamùì CrdagU 
orecchi guidati A mezo,ey al fine facilmente con effo lo 
ro ci conduciamo. Ma altra cofa è la profa,laquale dilet* 
tondo er pervadendo congli orecchi,®- con Cintetiettcr, 
fumo oblìgati dimifurare; guardàdofempre che te parò 
le nonfian più corte, opiu lunge della fentenxa fìgnifica 
fa : che ciò effendo,troppoofcura,o troppo fredda riufei 
rcbbcTcratione . Sono adunque ifuoìnumeri meno [enfi 
Mùtua affé più nobiliiun po più Uberi,ma non men certi 
diqueideluerfoi manon appare Uhr certezza, alber* 
gando neUefentenz<>kquaifon coje intellettuali. E< ofo 
dirc,che cq/ì come più perfettaèla muficddelletre uod 
the deUe due ; come mchoraè pmperfeita U dipintura 
de più coìori s chenonè queUa de pockixojììa prefa, nel* 
hi quale agli orecchici aU'inteUetto fi cecorda la lingua* 
è oratione più numerofa del uerfome la Ungua,ctglio* 
recchiaiue fole membra delnofbro corpo t fono ufate dì co 
Uenirfi . Qjtefioè il conto de fludij da ine fatti fmhorA 
nel Petrarca,et nelle NoueUe con fatica grandifimu, er 
con quel frutto che uoi uedete ; ne me ne pento del tutto , 
fyeràdo che i mici errori funo altrui occafione di dauer 
bene opcrareia me nmgii,tiquale auezxo a fallire appe 
na ueggo ti miofallom cheiopoff a ammendarmi Sor.— 
Seti uojbro fallo è fi picciolo che uoi peniate a uederb , 
fiate certo che agli altrui occhi fe totalncte imtiféile^e 
rò potete non curare. BkOc. L'errore è grande et da fe 
flefouffainoto t imldmk uifta ufa alle tenebre deWigno 
ronzammo che bafìi,nÓ lo difcernc:ct(che è peggiorai 
taddlmediuerttànonpuo affiffarfinel fuo fbkndorc . 

SOR, 



DELLA EH1TOSICA, 141 

Sor, Ver grulli additatemi quefìo more, er fe k m* 
(fra ignoranza ha prìmlegio di potarmi giouare infogni" 
domiaicana cofa,non ktentteociofa.B«oc. Hohijono 
gli mori onde io mi trotto impacciato ; ma tutti nafcono 
daìiaradiccji che dianzi ui ragionai : cioè, che torte lati 
tu deh"orare>o- dei poetatela diuerfa dalla Thofcani, 
tìqttakerrore doterebbe effer e a cufchedtmo manifejlif* 
fimo. quindi or gomento^bek mie lunghe, zrpueriliof* 
fauationifiano'morì j fbetkbnente quelli de numeri, 
deUa cui barmonia k mie orecchie s di miglior [nono difi* 
derofe,compitamctite non fi contentano. Sor. Deffrf m<t 
ierk de numeri poco baurete dafaueUare,fe a lombi, er 
4 dattili non ricorrete, maionottuedoin qual modo co te 
mifure latine knojira prof a uolgarefi pojfafar numero 
fa. B roc N«o ii uedo,ma altri forfè fri ueder*. Sor. 
Vrimier amente Magnerebbe far uerfi effametri, er peti 
tametriin quefla littgua,dando loro quei piedi^nde itati 
tiifono ujatidi cammare-.pofckaUa profawnendo, con 
quei medefmi in altra guifa dijpofli faticarci dinumerar 
la . ma ciò è cofa impofiMe,però il ?etrarca,iie il Boc< 
caccio non k tentò, Noiadtmque che fatto hr militiamo, 
per le loro-orme uenendo procuriamo difeguitarli , con* 
tentandoci ebe dopo loro nei loro ordme,non fecondi,ma 
terzi quarti ci nominiamo. Bsoc. Certo quefìo bo fat* 
(io,mentre io era d'opinione che k nojbra arte oratoria, 
cr poetica,attro non foffè che imitar loro ambidue; prò* 
fa,zj uerfi a loro modo fmuenàoxs' al prcfente,piu che 
tnaifcfitilfarei^into dal piacer della lettione,ry dal di* 
fw dclfhonore,chcfa ilmatido 4 ebigliafitmiglia j fe do 

non 



Mn fcffe che Cicerone in alcun libro àeUdfud arte orato 
rid,cotdlguifa difludio da Carbone adoprdtcgrandemé 
tefuol bùftmare ; lodando aWmcontro il tradurre cCun4 
ìingua iti un'altra i poemi, er laratiomdcpiufamofrXa* 
qual cofa(per uero dire) ionon bo fatto fin qui dubitarti 
do per le ragioni antedette, che la. fententia fritta da Ci 
terone delle due lingue piudnì'.cbe^eHa moderna non 
fi effequiffe cofi ufeito de i primi liudif, w ne fecondi no 
fendo ofo di effercitarmi,molti mefi fono'uiuuto otiofo.et 
fél Valeriononmi conftglia t non fo che farmineWaue* 
iwe. V a l. Hord4 uoi tocca di configliare il Soranzoì ' 
perojdfcidndo i afa uofhri ne loro termini fiore, condii* 
dete il ragionamento principiato; il cui fine ( fc il difide* 
rio deU'afcoltar non m'inganna) ci è lontano parecchie 
yùglia. Broc, Anzi io parlotta defdttimìehpercbe di 
quei del Soranzo non mièrimafo chefauellaretcbe batte" 
do detto per quii ragioni,fecando me,il diletto fta la air* 
tit de![ordtione,zT la eattfa demoftratiud, inquato io poj 
fo, foprd t 'altre effahttd, olirà di ciò della forma deWcf 
ferrite* > che tiene Umondo hoggìdì , zrde numeri quel 
io n intendo, er quanto io dubìtoragionatom,o bene, 
c male che io ne parlafiijo pretendo ibaucr rifpofìo 4* 
Idcjueflìone ifahofe io non entraci tra quei precetti in* 
finiti H far proemij,di narrare J argomentare, er di epi 
\ogar rATaratìone, o a fitte, ake figure , a gli ornamenti 
del dire,o dltattione,odUa memoria mi riuoglie(fe,o de* 
gli afctti,o de flati dipintamente uifaueUajìi. ìlebe fare 
ttonfaperei s'io nolefti,ne dotterei fe io fdpef.ifendo cofa 
mnpertmente,a fuori al tutto di quclpropojìto, tutor* 



DELLA KHETORICA. 143 

no al quelle fcìlsoranzo la fita dimanda. Val. Vc&t 
tdrtìi farebbe qucUadeS Oratore, feragionando fuor di 
propofito dilcttajfe in maniera,che chi ludiffe noi difeet 
neffe.B eocar. Alita cofa è il parlamento àeWQra* 
torc,cj -altra è quello del KhetorcSun diletta,®- l'altro 
infegnajbench'ìo fia Khetore atto meglio a douere irnpa 
rarc,chc infegnare. Val. Almeno rttinfegnarete rìfho 
dere a gli argomenti d'alcuni grandi, i quali confcffcmdo 
{quel che noi dite ) la Khetorica effere arte , U quale ne 
nofkri animi piacere,®- gratta partorifea-figuentementt 
non àmie utrtit ,maperuerfa adulatione fi fanno lecito 
di chìmxrU,<£r,come uirìo di makguifajei fbandifeono 
delle Kepubliche. Bkoc. Di Platone parlateci quale 
inperfonadi Socratejtonper uer dire,ma Polo,®- Gcr 
già tettando, coquello animo bìafimò U Khetorica, che 
altra uolta a Trafimacho,et Glaucone fe leuar Fingiuftì 
f i'i . Che cofì come fecondo lui, a cittadini , ey guardiani 
delle Kepubliche è neceffaria la muftea, arte più ditette* 
uole che utile,cofi a medefmi è buona cofa tmparare et 
teffercitarfì nella Khetorica,gioia s cr ditetto deWinteh 
letto. Ma accioche molto bene ilmio intento dpprendid* 
te , Koi douete fipcre che ifentimenti degli animali{ da i 
qualicomeda cofe più note, è bé fatto che ilnofhro efìent 
pio prciidiitmo)inféntcndo gli obietti loro,fe buoni fono 
s'allegrano,® fe rcì,cioè àamofì alle ulti loro,fono uja* 
ti di contriftarft. Adunque,come ti cane ha piacere di ue 
deregr fiutare, etmngiare cibo che lo conferma li di 
fbiuciono tema-zzate, cofì tamente di faperedefidcroft 
ji dtletta del uero,cr ilfaljb, cofa contraria al fdo difide* 

rio, 



DI A I O G O 

twjommmenteper fua natura abbonda : er per c erto 
quale è il cibo càio Homaca , tale è k uerità ah" intelletto} 
ma la bugia è il ueleno che lo difhrugge : cr d'immortale 
die nacque, peggio che morto fa. diuenirlo. Hora & (enfi 
tornando,cetto l'huomo è animale pia gentilefco,et di na 
tura migliore che le bcHie non fono,il quale foUeuato dai 
la bruttura di brutti ad altro attende , che ad empiexfi U 
gold, er molte fkte,per uedere una. dipintura , udire 
una muflcafaniettfete pdtifcejoglknda anzi dipafeer 
gli occhi, er gli orecchi, non jenzA damo della perfona, 
the di uuundcmMeridlineUa cucina ingnfftrfi.Laqml 
cofd,fì carne è uera de fentimetiicofi ha luogo ncWinteìlct 
to,alqmle fimilméte dee ejfer tecitojafckndo il uero che 
b mtrica.akuna uoìta per dilettar fupoter gujiare il pk 
ceuole. Nclqual cafo perauentura il noftrohumino intel 
letto è più dttànOytbe humano,percioche inquanto bum* 
no cioè nudo d'ogni dottrinaci <f imparare difìderofo,cor 
re al uero che'l fatiama co uerft,et co profeper fuo dilet 
tofcherzandofimile è molto alle inteMigèzeJe quali non 
perfaper più ch'elle [appiano, ma per fokzzo fotta d pì« 
di,miradofi,fono uaghe di riguardarne. Che }e noi forno 
philofophi, tali a noi fono k Retor ici et k poefid quali i 
frutti dUe tduole de fgnoriìltquali dopo ceni quando fon 
fatijiCùpiacendo al pakìo } alquanti per gentilezza ne ma 
giano-Mi d coloro che gii no fono,et fon perfarfì philofo 
f>hi,ledue arti predette fono i fiori che innanzi d i frutti 
JeRe fcienze,ù miti loro di fruttare difiderofe^uafi pia 
ta k primauera, fi dilettano di fiorare . Aluotgo poi che 
non fa mJkjte fa péfier di ftpere^tpur i parte delk rc 

piètica, 



DELLA. KHETOHICA. I44 

pub\ka,loratiani,et U rime fon tatto l cibori tutto l fi-ut 
ta deUd fui tàa . li qttd «oìgo non Ktutndo «irti didige 
rir ìefcknzejzT mfm prò conuertirk,de hro odori* cr 
delle toro finulitudmi gli Oratori afcoltandofuokiippat 
gdrfyo'coft ume,et mantienft, Dunque io non uedo per 
quul cagion k Rhetor icet debbufbanda fi delle Repiéli 
che, fendo arte che baper fubietto te nojhre bumane opt 
rttionkonde hanno origine le Republkhe : che bauegn<t 
dio che Foratore con ragioni probabili, cr anzi ùiccrte 
che nòidilettando , cr pervadendo giudichi , cr regga 
le diali operationii nondimeno fommamente è di con* 
mcndaretCr dbauer cara la fua folertiaxkfla quale le co 
fawflre perfettamente, zrproprimente, m quel moda 
che a loro effèrt fi conukne,fono trattde&r còfiderate. 
Quejlodko prefupponedo che uoifappiate(ikhe è noto 
ad ognuno)cbe l'huomo e mezzo teagf animali, cr fui* 
tcUigenze , però comfee fe (ìeffo in un modo mezzana 
tra la fcienza,ebe egli ha de Brutti, cr ti fede, onde egli 
adora Domenedio, Il qual modo non è amo che openio* 
ne generata dalla Rbetorka , con U quale il uohrfuo » 
Cr faitrtuka parenti, cr amici, neUafua patria ciuil* 
mente uiuendojee curar di corregger cxbe}e una opera 
medefima in uarij tempi dalle leggi cktadinefcbe,hor uie 
tata,<er hor comnandata può effer aitio,®- uirtà-ragio* 
ne è bene che k nollrc Republkhe, non <k faenze dima 
firatiue, uere,^ certe per ogni tempojma con Rhetori* 
che opmiotìiuariabih^rtramutabiìi(,qual fontopre,^ 
U kggi nojhre)pr udentemente finn gouermte. Vero Sa 
erate dannato a torto dell'ignoranza de giudici , abbi* 



DIALOGO 

dendo dUaopinione della fin patrìd,uolontieri fi fe incori 
tra alla inortc:U quale, pbilojophicamente argomentane 
do,come iniqua,?? mgruffc peiujoue tentar di fuggire. 
Etne! uc ro,comc il pinlofopbo ufo di intender nuTaltrd 
cofa filno quelk, che per li fenfi uenendogli ua ad dlber 
gare neffbitcUeitOjtMto men crede, quanto più fa cojj il 
medcfimo,ufo aVopre della natura,laquale eterna co leg 
g'e eterna,ct mconiutabilc ijuoi effetti produce,makmcn 
te può effere atto algouerno deRa Repubtica: le cui leggi 
per boneHe cagioni battendo ricetto a tempi , a hogbi % 
dUa !<tiht4,dUefttefoize,ct 4Wakm,fyeffc fiate da (tv. di 
altro mutano fornu&fembiahte; però ji creaiìo i magi- 
iìrati, li quali non altramente reggano lorotbc effe noi 
Sono adunque le legginon acri dei, quali fono la natura,. 
CT rinteUtgéze,nu fono idoli da quelli ijlefii adorate poi 
che fon fatte,che con loro arti le fabricaroiio.'Però è ben 
fatto,che con faenza non necefforia, ma ragioneuole,no 
pcrfctta,ma aìl'cffer loro perfettamente correfyondente, 
foratore , di cui parliamo, kèbia cura di conferuarle : 
chefe il noBro intelletto intendendo fi fa fimile alla cofi 
intefa, come può effer àie Thnomo auczzo a contemplar 
hfutìanza, er le maniere de bruttifi confacela col xege 
giment o della, città f più toflo c da credcre,quel che ogni 
giorno ueggiamo, che quejlo tale al fio fapcrfimiglim- 
dofi,udda cercado k}'olitndme,w in quella phiiofipbM 
do (ìfepelifca. li contrario fa Foratore, la cui arteji cui 
gouerno,i cui cafìumi, er le cui parole fono cofe propria, 
mente ciuadinefcbe,non credutc,non japutenu perfuafe 
co maggior dMtatione di qtfeUa, che k fciéza dnnojh-a 



DELLA H HE T O R I C A . 145 

tìwt det altre cofe più biffe , cr meno a noi pertinenti ci 
4pporta:che maggior dtlettatione è il ueder jokmentc, o 
fenz4 <tiiro,udir parlare tino amico da noi amato,*®- ha* 
vuto caro,che ttedtrc,udire,gttjiare , er toccare tuttele 
befìic del mondo : con k quàl dilettatone perfttadcndo^ 
gloria,®- (tinte afuoi cittadini fuolgcnetar loratcre t 
non altramente, che co i dilpttt carnati gli mimali fenz* 
ragione generUo l un labro, facciano intera k toro fpt 
eie . che altro non fendo k nójìra gloru , che openione, 
che hanno gli huomini dell'altrui fenno cr ual/orejagio* 
nt è bene, che k Khetoricótartipcio delle ciuHiopcnioni, 
fenza altramente philofophare , de nofiri nomi k par* 
torifea,, Quatito adunque è più nobile,®- più amabtlco* 
fa del generar de figliuoli latterà gloria frutto (temo 
della uirtii,per k quale, a Dio ottimo mafiimo ueramen* 
te ci afiimigliamo, tanto è più utile aUa Kepublica labuo 
ita arte oratoria di qualfi ueglk fetenza , che delle cofe 
de&ttnatuxt. con ragioni infallibili puQacquijlar fi k no* 
iira mente . VoLadunque Soranzo ( che già è tempo , 
che t ttoi riuotga il parlare,®- in (otMx , cerne 
4.a mi ì incominciò } continuate Imtprcfa , ® alloflu* 
dio detfelpquentia, che fi per tempo tentajìe , bora, che 
già ne è tempo , con tutto i[ cuore donai cut , cr confa* 
crateui, Conofco per. mote pruouc il ualor dello ingegno 
uoftroal quale benché fio, attoafapere, ®- operare ogni 
coft,che a gentiluomo pertenga , nondimeno ,fea fan* 
biantidellaperfonajcjìimoni dell'anima, fi dcedarjede, 
conftderando la figura deUafacck,et del corpo uopro , i 
mouùnenti di queko,U leggiadria defk linguaja uoce,ei 

T i fìait* 



T> t A E © O O 

{fianchi piati tutti di molto &mta , chiaramente compri 
do uoi c/Jir nato 4 cfowere effer oratore,il quale neUa wo« 
firn Rep,tra Scnatori,e tragittici acculiate ,et deliberi* 
tc,o nella corte di Roma tra letterati uiuendo,pcr diletto 
Ìel mondo,ccn grandilf ma uojbra ghria,bkfimando^ 
lodando componiate CT fermiate, quale bo fperanza che 
mi farete, fe accompagnando co la natura la indujhriajn 
quella parte riuctgtrete la mfte, oue tti chiama U uojìrd 
neUd x contentandola d'effer buomo,le cofebumanehua 
mattamente curaretc,ey apprezz&ctejche ejfendo ima* 
gine e finuglknxa di Dio, ben può bajlam che la uojìra 
fetenza fia una nobile dipintura,deUa medefma turiti dì 
tettante la ttoflra mcnte,m quel modo che de ritrattimi* 
terialifiwl dilettar fi U ttijìa. Che fe l'anima rationalefor 
Iftdjef uitd de noflri corpi, è immortale intelletto ( il che 
hoggiXambafciadot Contarmi col Cardinale »Cf cogli 
akri,fì come io ttimo,a ncluderanno > creder debbiamo t 
che'l itero cibo,cbe la nutrica, fia non faenza mortale da\ 
mi in terra aequijìdta, ma alatm cofa diurna conuenìéte 
ti f ito efferrJcUa quale alia gran menfa di Dio eipafcìd* 
moticlparadifo. ryurtqueintalcafofolamentea dilettar 
(intelletto fludiaremo t rt impararmoMpingendo con le 
parole la ucritk daquale liberi fatti dalla prigìo della cor* 
tte,in propria forma uede,et confèpla la mjlra méfe.Mi 
polio cafo(cbe Dio noi uoglia)che la ragione fta cofa hit 
mana,come noi ftamojaqual najca uiua,et inora con effo 
noijcertofuo ufficio dee effere ildifeorrere hunanamen» 
tejetqueUo principalmente confidcrare, ebefìconuiene 
éUa bumanità, torte oratoria adoprando,con la quale in 



DELLA RHETOFICA. I^ff 

tjue (là uita ciuSe,lemfìre Immane opcratiotà moderi» 
mo,et reggiamo. Ef per certo conte i colori materiali^* 
do fermine luoghi loro , mandano a gli occhi Fmagini, 
per lo cui mezo ti a>nojciamo,coft il itero dcUa naturai 
di Dio,m>n mfejìe([o,chenon poliamo , ma nell'ombra 
delle noBre opinioni contentiamo di Acculare: le quati 
(pitto piti ne dilett<tno t t<tnto più douemo credere che fio* 
nofmtli altiero, oue è npojh il piacere , che neramente 
ne fa felici. Ma acciò che neU'tmparar cr effercUar U 
Khetorica,queUo a uoi che a me auate, non intrauegtiai 
appigliateti intieramente a configli di Meffcr Tripbon 
Gabric&c,nmuo Socrate diquefìa etile cui uiue parole 
bene ìntefe da uoi,piu dì bene u'apportaraimo in un gior* 
nojolo,che a me non fece in due mefi la lettion del Boc* 
caccio ,col rimario ch'io ne carni . Qjufìinon men corte 
fe,che dotto uohntieri il fentiero^h'à buono albergo co* 
duce con diligenza Hi moftrark con quello uno il Petrar 
ca V il Boccaccio leggendo } non pur le ciancie da me of* 
feruate,(y notate, ma i fecreti dettate laro mi ben notf 
a mlgarUfacihnente penetrarcte: imparando in qualma 
do latinamente, cr grecamente parlando 3 queUi imitiate, 
CT loro fintile diuctitiatc . il quale M. Tripbonefebora 
fufic in Bobgna s me certamente dagli errori del mìo paf 
fato ragionamento, et il Valerio dalla fatica del fuo fuiu 
ro,perauentttra hbcrarebbe , terminando la quejìione in 
manierarne poco,o nulla uauanzarcbbe da dubitarci!} 
tanto uoi udirete il Valerio , ilquale fi puodirluidopà 
UUal cuiparere(che dianzi io dicefii) io ui conforto che 
iààttentate. Vai. Ricordini. * maca alcuna co fa. 

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