L'ultima opera di Dal Pra, la lunga intervista rilasciata a Fabio Minaz-
zi (il quale ha, con ampiezza di riferimenti, sollecitato la memoria storica e l’interpretazione teorica del filosofo ‘milanese’ intorno al proprio pen- siero ricollocato nel suo tempo storico) che porta significativamente il ti- tolo di Ragione e storia, è un'occasione preziosa per rileggere e ripensare la vicenda filosofica di Dal Pra e il significato che essa ha assunto nella filosofia italiana contemporanea. Si è trattato di una presenza filosofica ampia e variegata, gestita da una cattedra universitaria illustre e operati- vamente immersa nella organizzazione della ricerca filosofia (con riviste, collane, raccolte di documenti, ecc.), ma soprattutto aperta al dialogo — e al dialogo critico - con tutta la filosofia attuale e con la stessa tradizione filosofica che alimenta (e deve alimentare) la ricerca contemporanea!. Con Dal Pra siamo davanti a un maestro, come è stato sottolineato anche in occasione della morte?, non solo perché ha accompagnato da protagoni- sta il travaglio della filosofia dal 1940 circa a oggi, - travaglio complesso, giocato su fronti teorici, ma anche ideologici e politici, intessuto di oppo- sizioni, di contrasti, di rifiuti e di fughe in avanti come pure di resistenza e di rilanci da parte della tradizione -,, bensì anche per il ruolo di inter- locutore critico, di coscienza vigile e inquieta, ma salda nei principi che la guidano (la laicità, la ragione, la criticità, tanto per anticipare), che ha assunto in questo lungo e conflittuale itinerario. Il suo doppio ruolo di organizzatore della ricerca filosofica e di vigile coscienza filosofica si è ve- nuto delineando già nei primi anni del secondo dopoguerra, per perma- nere poi nei decenni successivi, sia pure in forme mutate, come centrale ! Cfr. M. Dal Pra, F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano 1992; per la bibliografia degli scritti di Dal Pra: La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti a Mario Dal Pra, Franco Angeli, Milano 1984. 2 Cfr. E. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia», 1992, I e Id., In ricordo di M. Dal Pra, «Bollettino SFI», 145, 1992; ma anche rico- struzioni composte prima della morte: A. Pacchi, Il filosofo l’educatore, in In onore di M. Dal Pra, Quaderni della Biblioteca Civica, Montecchio Maggiore 1988; E. Ga- rin, Per Mario Dal Pra, in La storia della filosofia come sapere critico, cit. Franco Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli, attualità, ISBN 978-88-8453-782-9 (online), ISBN 978-88-8453-781-2 (print), © 2008 Firenze University Press 156 PENSIERO E TEMPO nel dibattito filosofico italiano; doppio ruolo —- va aggiunto - che Dal Pra ha vissuto con straordinario equilibrio e senza oscurare né l’uno né l’al- tro dei suoi ambiti di lavoro, come è riuscito a pochi filosofi della sua ge- nerazione (forse a Preti o a Garin o a Pareyson, molto meno a Geymonat o a Paci, che hanno avuto un'evoluzione più tormentata e un campo di lavoro meno organico). Di questo ruolo di maestro della filosofia nazionale, di questa immer- sione in un complesso travaglio storico, di questo felice equilibrio tra i due ambiti della sua ricerca (storico e teorico) è puntuale testimone il libro-in- tervista già ricordato. In esso Dal Pra ripercorre, sinteticamente e in pro- spettiva, più di cinquant’anni di filosofia italiana, dandoci non le cronache ma la ‘storia’ (l’interpretazione) di quel mezzo secolo, assumendosi come protagonista, ma in quanto immerso in una temperie collettiva e con es- sa e in essa interagente. L'immagine che ci consegna di quel cinquanten- nio è sostanzialmente positiva e assai fedele nel processo tortuoso, anche ambiguo, sempre inquieto che viene descrivendo come proprio della fi- losofia italiana. In esso viene indicato anche un filo rosso che ne rileva la ricchezza e lo sviluppo: la ragione, che è stata la grande protagonista del dibattito e che si è evoluta verso forme sempre più ricche e radicali di cri- ticità. Certamente in questo richiamo alla centralità della ragione ci sono — e assai diretti — gli echi di quel neoilluminismo che nei primi anni Cin- quanta era stato una voce autorevole e innovatrice (ma anche di sintesi) sul fronte laico della filosofia italiana. Ma sono echi che non offuscano affatto la portata del suo disegno storico e teorico, poiché si tratta di un neoilluminismo che fa, via via, i conti con le critiche alla ragione avanza- te da marxisti, da empiristi e da dialettici (assai meno dagli ermeneutici), arricchendosi e sofisticandosi. Il volume risulta avere - così - un doppio obiettivo: di interpretazione storica e di messaggio teorico. Sul primo piano Dal Pra ha sottolineato al- meno tre aspetti: il ruolo di svolta filosofica (anche filosofica) giocato dalla Liberazione e dalla Resistenza; il caratterizzarsi della filosofia - dopo questa svolta - in direzione critica, ma secondo una criticità aperta; il neoillumi- nismo come tappa cruciale (e plurale) del rinnovamento della filosofia ita- liana ed europea. In tal modo Dal Pra ha posto in luce il senso del pensiero contemporaneo riconoscendolo nell’apertura e nel pluralismo, ma anche nella vocazione antidogmatica e postmetafisica. Qui interviene, poi, la le- zione teorica del volume: nel disegnare l’orizzonte di quella criticità a cui Dal Pra si mostra consapevolmente e radicalmente fedele, posta al punto d’incontro di diversi modello filosofici, ma visti come intersecantisi e reci- procamente integrativi (quali prassismo, empirismo e storicismo). 3 Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. passim. Sui filosofi italiani del do- poguerra: V. Verra, Parlano i filosofi italiani, in La filosofia dal ’45 a oggi, ERI, Tori- no 1976; M. Dal Pra, Filosofi del Novecento, Franco Angeli, Milano 1989 e Id., Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 157 Quanto al ruolo della Resistenza, Dal Pra è assai esplicito: per lui stes- so è l'approdo di un lungo travaglio che lo conduce dal realismo cristiano a un immanentismo critico, che sposta il baricentro etico del suo lavoro dall’impegno religioso a quello civile-politico, che viene a evidenziare la centralità della categoria della prassi, intesa però come prassi storica; di un travaglio che attraverso molteplici contatti con gli ambienti padovani e vicentini lo indirizza verso un cristianesimo eretico, poi lo immerge ne- gli studi filosofici. Dal Pra aveva compiuto tali studi a Padova, con Troi- lo, ma era stato influenzato anche da Stefanini e da Zamboni, maturando una netta posizione antidealistica, ma studiando con passione le opere dell’ultimo Croce (soprattutto La storia come pensiero e come azione). Poi aveva affidato lo sviluppo di un pensiero autonomo ad alcuni studi teorici (che mostrano il suo passaggio dal realismo cristiano all’immanentismo critico: Il realismo e il trascendente, del 1937; Pensiero e realtà, del 1940; Necessità attuale dell’universalismo cristiano, del 1943; Valori cristiani e cultura immanentistica, del 1944) e ad altri storici (su Scoto Eriugena e il neoplatonismo medievale, del 1941; Condillac, nel 1942; su Il pensiero di S. Maturi, del 1943; che svolgono alcuni sondaggi/bilanci sul pensiero cri- stiano e su quello idealistico, su Maturi erede fedele di Spaventa e su un filosofo appiattito dall’idealismo storiografico come Condillac), che ave- vano tra loro una significativa continuità e simmetria, una problematica unità: erano tutti testimonianze di una viva e sofferta ricerca in corso, che liberamente si veniva confrontando con i nodi della filosofia e della storia italiana di quegli anni*. «Un momento rilevante della mia maturazione filosofica si colloca proprio tra il 1940 e il 1943», e sia in senso storico che teorico. Teoreticamente «l’essere passato attraverso la rivendicazione della primarietà della coscienza e dell’autocoscienza mi ha infatti introdotto al problema della storia in senso vero e proprio», come riconoscimento del- la storicità del pensiero e quindi della necessità di sviluppare la riflessione anche attraverso le indagini di storia della filosofia. Ma fu un momento che coincise con il rinnovamento della vita nazionale (prima nell’attività clandestina antifascista poi nella guerra di liberazione e nella Resistenza) in senso democratico, secondo un modello di democrazia dal basso, ca- pace di fare i conti con la tradizione nazionale, che aveva condotto al fa- scismo, e di avviarne una nuova, attivata su principi di partecipazione e di solidarietà, di «giustizia e libertà». Il dopoguerra filosofico in Italia assunse, infatti, il volto di una ri-fon- dazione del pensiero nazionale, aprendo la filosofia italiana a modelli eu- ropei e americani (l’esistenzialismo, il neopositivismo, il materialismo storico, il pragmatismo) che permettessero di innovarne le prospettive 4 Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.; Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit.; F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano: 1945-1954, Cisalpino-Goliardi- ca, Milano 1983. ° Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 95. 158 PENSIERO E TEMPO e attuando in essa un intenso dialogo tra correnti e posizioni diverse. A questo lavoro critico e pluralistico di sondaggio internazionale partecipò attivamente anche la «Rivista di storia della filosofia», fondata da Dal Pra nel 1946 e al rinnovamento teorico del lavoro filosofico Dal Pra (con Vasa) dette il suo contributo col «trascendentalismo della prassi», una filosofia antiteoreticistica e problematicistica, connotata dal primato della prassi, intesa, appunto, come prassi storica. La vocazione della filosofia postbellica si delineava come legata al criticismo, al valore della criticità, ma assun- ta senza ipoteche univoche, senza attenersi ad alcuno indirizzo di scuola, anzi incrociando problematicamente i diversi indirizzi del pensiero con- temporaneo, per decantarne il radicalismo e la capacità di affinamento teoretico. Bene, questo compito era indicato anche dal lavoro svolto dalla «Rivista» di Dal Pra‘, in ambito storico e teorico. Questo lavoro critico/aperto venne consolidandosi - nel corso degli anni Cinquanta - nelle posizioni del neoilluminismo: un movimento as- sai articolato e variegato, in verità, ma che manteneva un intento comune nella fedeltà alla ragione e nel riconoscimento della sua priorità nel lavoro filosofico, vista come strumento critico capace di illuminare anche i domi- ni della prassi (etica e politica). Il neoilluminismo, in Abbagnano come in Preti, in Paci come in Geymonat, in Dal Pra, anche in Banfi razionalista critico e in Garin storicista critico”, viene indicato come l’approdo del tra- vaglio postbellico in filosofia e come la ‘via aurea’ anche per la riflessione attuale, in quanto capace di saldare criticamente insieme ragione e vita, ragione e storia. Se pure oggi esso deve essere svolto in forma più matura, più articolata e sottile, come la stessa evoluzione della ricerca teorica di Dal Pra ci viene ad indicare con precisione. Anche tutto quello che è avve- nuto nel pensiero filosofico (italiano e non) tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta, tra strutturalismo e fenomenologia, tra marxismo critico e filo- sofia postanalitica, tra neostoricismo e ermeneutica, non cancella affatto l’attualità di quell’indirizzo, anzi lo conferma e lo impone ancora come un filo rosso della teoresi*. Ed è proprio questo l’altro obbiettivo e/o risul- tato del volume Ragione e storia: obiettivo pienamente raggiunto, poiché ° Per il clima filosofico postbellico in Italia cfr. E. Garin, Quindici anni dopo, in Id., Cronache della filosofia italiana del XX secolo, Laterza, Bari 1966; M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in E. Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Bari 1985; N. Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, in Atti del XXIV Congresso Nazionale di filosofia (L'Aquila 28 aprile-2 maggio 1973), I, Relazio- ni introduttive, Società Filosofica Italiana, Roma 1973. 7 Sul neoilluminismo cfr. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit.; M. Pasini, D. Ro- lando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, Il Saggiatore, Milano 1991; ma anche: M. Ferrari, Origini e motivi del neoilluminismo italiano tra il dopoguerra e gli anni Cinquanta, «Rivista di storia della filosofia», 1985, 3-4; E. Lecaldano, L'analisi filo- sofica tra impegno e mestiere, «Rivista di Filosofia», 1988, 2-3. 8 Sull’attualità del neoilluminismo cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit.; Pasini, Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, cit. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 159 - specialmente negli ultimi due capitoli - viene indicato sia il processo di maturazione di questo modello neoilluministico, così come è stato ri- vissuto da Dal Pra, ma in fedeltà ai suoi principi, sia il ‘modello massimo’ (per così dire) raggiunto da questo stile di pensiero, da questa prospettiva teoretica. Ripercorrere analiticamente - restando dentro il testo del 1992 e andando oltre di esso, ripensando cioè å part entière la filosofia elabo- rata da Dal Pra - questo cammino è ciò che ci ripromettiamo di fare nei paragrafi seguenti, allo scopo di sottolineare la profonda fedeltà attuata da Dal Pra a un modello critico di filosofia, ispirato a una criticità che pro- prio nel criterio di apertura, di reciproco innesto tra prospettive teoriche diverse e risolte in senso anti-teoricistico, viene a riconoscere il proprio principio animatore e il proprio senso. La densa intervista di Dal Pra a Minazzi si offre, abbiamo detto, co- me un'occasione preziosa per ripensare l’avventura filosofica di Dal Pra; inoltre — e soprattutto — per cogliere con nitidezza il posto che essa occu- pa nella filosofia nazionale contemporanea, nel percorso del neoillumini- smo e nella radicalizzazione del criterio della criticità vista come fulcro del pensiero filosofico attuale. Di questa criticità Dal Pra ci consegna - an- cora oggi - un'immagine assai acuta: non formalistica, plurale e aperta, capace anche di rovesciare se stessa cogliendo i propri limiti interni e le integrazioni ab extra che le sono necessarie. 2. Neoilluminismo e ragione critica: evoluzione e identità Sul neoilluminismo Dal Pra si è soffermato abbastanza di recente par- lando del razionalismo critico, nel volume laterziano dedicato alla filosofia italiana contemporanea, edito nel 1985. Partendo da Banfi, il Banfi di «Stu- di filosofici» e teorico di una razionalità critica come momento integratore dell’esperienza rispettata e potenziata nel suo pluralismo e nella sua sto- ricità, procede dal «nuovo razionalismo» di Geymonat al neopositivismo critico di Preti, all’esistenzialismo positivo di Abbagnano, toccando anche la propria opera - in particolare la «Rivista di storia della filosofia», che «muove da alcune premesse che in parte si richiamo al pensiero di Banfi» e «in parte sottolineano un'accentuazione polemica antidealistica nella con- cezione della storia del pensiero»? — e quella di Vasa, quella di Bobbio e di altri studiosi più giovani (da Morpurgo Tagliabue a Santucci). Dal Pra vie- ne così delineando i confini geo-storici del neoilluminismo che proprio in una prospettiva teorica legata al razionalismo critico raggiunge la propria più forte identità. Tale movimento aveva congiunto «temi filosofici e po- sizioni politiche»'°, ma assegnando ai primi la priorità e il ruolo di guida. Sia pure secondo diverse angolazioni, con uscite più o meno convincenti e coerenti, il neoilluminismo si caratterizzava come una filosofia engagée ° Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., p. 53. 10 Ivi, p. 59. 160 PENSIERO E TEMPO ma razionale, tesa a costruire il proprio modello di razionalità criticamen- te, aprendosi alle varie tecniche di razionalità e mantenendo aperta anche l’idea stessa della ragione; senza ontologizzarla, senza assolutizzarla, bensì ponendola sempre al servizio dell'esperienza e della storia, dei loro intri- cati processi; che essa può illuminare e contribuire a risolvere attraverso un controllo esercitato dagli uomini in carne ed ossa. Attraverso una serie di convegni - su cui si sono soffermati di recente Pasini e Rolando" - il modello neoilluministico di filosofia venne messo ulteriormente a fuoco e decantato nella sua ampiezza, ma anche nella sua problematicità; fino al convegno fiorentino del 1956 che mostra già in atto una rottura all’interno del movimento. Poi, secondo Dal Pra, si va «verso la dissoluzione»: diversi filosofi si separano per ragioni filosofiche e politiche, dando vita a modelli difformi di razionalismo, in cui sussiste ben poco di comune e si poten- ziano invece le differenze (si pensi agli esiti alla fine degli anni Cinquanta di Preti o di Geymonat, di Paci o di Garin, come sottolinea lo stesso Dal Pra). Soprattutto è la doppia istanza di razionalismo e di storicità che viene a rompersi, dando luogo a filosofie o analitiche o storiche (come rivelano gli esiti di Bobbio e di Garin), che non colgono più l’elemento di criticità nel reciproco innesto di ragione e storia. Gradatamente si entra poi in una fase - come già Bobbio aveva rilevato parlando del neoempirismo in Italia e della sua parabola" - in cui si sondano piuttosto «i limiti della ragione», oppure si operano riduzioni (acritiche) della ragione, avviluppandola in una lunga crisi da cui non è più uscita. In tale fase si ha ancora un'eclisse della storia o la sua riduzione in chiave politico-prassica, come pure declina la «politica culturale» del neoilluminismo, assediata da nuovi massimalismi e da nuove divisioni nella Sinistra. E Dal Pra così - significativamente - chiudeva quel saggio: «la crisi della ragione» mette in evidenza come all’unidireziona- le movimento della razionalità possa sottentrare una pluralisti- ca politica di potenza e un'articolata elaborazione del consenso, cioè una razionalità tecnica e operativa, strumentale ed efficien- te. Così emerge in forma più svagata e dissacratoria come sia la traduzione storica sia la funzione della riflessione filosofica si trovino attraverso vari legami in relazione col movimento sto- rico presente; e in esso possano collaborare e ripristinare, conti- nuamente rinnovandolo, quel senso della ragione che negli anni Cinquanta ebbe una sua, anche se breve, primavera." E sono parole che riaffermano l’attualità di quella lezione teoretica, come Dal Pra stesso la verrà fissando nel suo ultimo testo: caratterizzata !! Cfr. Pasini, Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano, cit. !° Cfr. Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, cit. 8 Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., pp. 91-92. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 161 dall’unità critica di ragione e storia, da una criticità che nella loro reci- proca intersezione riconosce il proprio campo d’azione e il proprio fon- damento. Dal Pra alla fine del suo ‘viaggio filosofico’, ci consegna, quindi, un monito e un legato: ritornare a quel neoilluminismo (come formula di politica culturale), animarlo - ancora - attraverso il razionalismo critico e fissare l'identità di tale modello di pensiero nella reciproca interferenza di ragione e storia, attuata secondo procedure sempre più sottili e sempre più plastiche. Intorno al futuro di questo neorazionalismo critico (per co- sì definirlo, in modo - forse - inadeguato) Dal Pra non ci dice poi molto di più - come vedremo -, anzi lo rimodella partendo dalla riflessione di Preti, che pur non aveva decantato a pieno (anche nel proprio itinerario teoretico, approdato a un empirismo critico alla fine degli anni Cinquan- ta e poi ricondotto verso Kant e verso Husserl, verso il trascendentalismo, negli anni Sessanta)! l’istanza neoilluministica e che aveva messo la sor- dina (anche se niente affatto soffocata) all’istanza della storicità, alterando il profilo del suo razionalismo in senso empiristico e teoreticistico, e al- lontanandosi da quell’intersezione tra ragione e storia che Dal Pra stesso indicava come la ‘sezione aurea’ della teoresi razionalistico-critica. Va sottolineato, infatti che il costante richiamo a Preti che anima il volume-intervista di Dal Pra, il suo presentarlo non solo come una delle grandi voci (e europee) della filosofia italiana del dopoguerra (quale Preti, di fatto, fu), bensì anche come un modello di teoresi, rischia di mettere in ombra proprio l’asimmetria che corre tra Preti e Dal Pra. Pur riconoscen- do a Preti, forse, maggiore genialità filosofica, acume e rigore esemplari, finezza nell’elaborazione del tessuto teoretico (e non solo rispetto a Dal Pra, che pur lo eguaglia per conoscenze storiche, per pulizia filosofica, per viva sensibilità teoretica: siamo davanti a due filosofi di razza, in cui agi- sce å part entière la teoreticità filosofica), va anche riconosciuto che il suo modello di ragione (trascendentalistico-analitico) è assai diverso da quello che guida la ricerca di Dal Pra (criticistico-storico-prassico). Ma non solo: il modello dalpraiano si rivela — sia pure nella sua esecuzione un po’ pro- grammatica, carente di sviluppi analitici - più pregnante e più resistente (nel tempo storico e nella teoria) rispetto a quello pretiano; tanto che Dal Pra può riproporlo come via centrale anche nella crisi filosofica (e non) degli anni Ottanta. E ciò accade perché in Dal Pra quel modello di ragione si è interrogato più radicalmente su se stesso, recuperando nell’orizzonte della propria teoreticità anche l’elemento extrateorico, storico e prassico, ponendolo come un fattore, centrale e determinate, del fare teoria”. !* Sulla parabola del pensiero di Preti cfr. F. Cambi, Metodo e storia. Biografia filosofica di Giulio Preti, Grafistampa, Firenze 1978 e Id., Razionalismo e prassi a Milano, cit.; ma anche F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, passim. !5 Cfr. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, cit., e Dal Pra, Minaz- zi, Ragione e storia, cit. 162 PENSIERO E TEMPO Anzi, a ben riflettere, l’incontro con Preti corrisponde a una fase del- la evoluzione del razionalismo di Dal Pra, alla quale però Dal Pra stesso assegna un'enorme importanza, indicandocelo un po’ come la chiave di volta del suo pensiero; il che è vero e no. In tal modo, infatti, viene a met- tere in ombra qual razionalismo critico a cui - in conclusione — assegna il ruolo di guida, storica e teorica. Va, infatti, sottolineato che la riflessione teorica di Dal Pra, dopo il suo passaggio giovanile dal realismo cristiano all’immanentismo, si è contrassegnata attraverso tre tappe o fasi, che pe- rò non sono mai del tutto separate e che si differenziano soprattutto per la diversa accentuazione di comuni elementi teoretici: 1. la fase del trascendentalismo della prassi, che - come abbiamo indica- to altrove! - può essere considerata chiusa intorno al 1954 e che pone l’accento sull’antiteoricismo della nuova filosofia e sul primato della prassi storica, sulle motivazioni extrateoretiche che accendono e gui- dano i processi di teoreticità; 2. la fase dell’empirismo critico, che sviluppa la teoricità in senso analitico e che corregge e integra il primato della prassi col ruo- lo-chiave riconosciuto all’intelligenza; non a caso le guide di que- sta fase sono Dewey da un lato e il Preti di Praxis ed empirismo dall’altro; 3. la fase del razionalismo critico che riafferma la centralità della storia nella teoresi, sia come molla genetica, sia come struttura, e che richia- ma a un uso critico della ragione che non è più inteso in senso solo strumentalistico o empirico-analitico; è una fase che si apre con la ri- lettura di Marx e continua a crescere fino ai richiami a Banfi del 1985 e alle tesi di Ragione e storia del 1992". Certamente, come abbiamo già accennato, questa terza fase attendeva di essere ulteriormente sviluppata e meglio definita nei suoi confini e nelle sue strutture; stranamente - nella coscienza di Dal Pra - essa si allacciava troppo intensamente ancora (e l’abbiamo detto) al lavoro di Preti, men- tre da esso in realtà veniva a differenziarsi profondamente; pur tuttavia è una fase nettamente riconoscibile è abbastanza ben definita, anche se non cancella affatto le altre due precedenti, bensì le integra e le rinnova, radicalizzandole. Infatti il telos che guida il processo di Dal Pra nella ri- cerca filosofica è una precisa e convinta fedeltà alla criticità, alla ragione critica, di cui la fase di approdo del suo pensiero e anche la testimonian- za più radicale. 16 Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit. 17 Sulle fasi del pensiero di Dal Pra, scandite dal trascendentalismo della prassi e da uno storicismo critico/razionalismo critico, cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 163 3. Antiteoricismo e trascendentalismo della prassi Quando Dal Pra nel 1945, a liberazione avvenuta, riprende il lavoro filosofico in modo organico, la sua fisionomia filosofica presenta ormai caratteri in parte nuovi: siamo davanti a un filosofo decisamente laico, che fa i conti con l’idealismo e che si apre alle filosofie internazionali, ma che fa tutto ciò ancorando il suo pensiero al metacriterio della criticità. Il rinnovamento è avvenuto attraverso la scoperta della storicità e del lai- cismo, «al quale Dal Pra giunse in un modo che mostra tutta la serietà del suo procedere: non lo abbracciò di colpo, bensì tentò, con profondo dramma interiore e sotto la tragica spinta degli eventi politici, di assi- milare la componente pratica» dell’immanentismo laico alla concezione cristiana, come ci ha ricordato Rambaldi! Di qui (da questa esperienza culturale e politica insieme) nascono anche l’antiteoricismo e la coscien- za del primato della prassi che verranno a caratterizzare la sua posizione filosofica postbellica, contrassegnata come «trascendentalismo possibile della prassi». Si è trattato di una presa di posizione assai netta, rivolta a ricollocare nell’esperienza il senso e il ruolo della teoresi, sottraendola a ogni ipoteca metafisica e ponendola, invece, al servizio di un uomo finito, problematico, faber, che con fatica (e attraverso molti errori) cerca di da- re un ordine razionale alla realtà, ispirandosi ad un Logos sempre ipoteti- co e strumentale, ma che, proprio per questo, deve essere costantemente sviluppato e controllato. Tutto il lavoro che per dieci anni Dal Pra conduce a ritmi intensissimi e su fronti assai variegati si coagula intorno a questo progetto di raziona- lità prassica e aperta e, in quel momento, attenta soprattutto a garantire la propria apertura. Nella ricchissima produzione di quegli anni!’ ci sono alcuni testi che hanno un po’ la funzione di boa: di indicatori del tragitto. Tali la Premessa al primo numero nel 1946 della «Rivista di storia della filosofia» e ancora i Cinque anni di vita, sempre sulla «Rivista» nel primo numero del 1951; l’articolo Sul concetto di criticità, del 1953, sempre sul- la «Rivista» e quello su Critica metafisica e immanentismo, del 1952 sulla «Rivista di filosofia», preceduti da Problematicismo e teoreticismo, del 1950, e da A proposito di trascendentalismo della prassi, sempre del ’50, usciti sulla «Rivista», seguiti poi da Sul trascendentalismo della prassi, relazione presentata al Congresso di filosofia a Bologna nel 1953. A questo nucleo centrale fanno corona anche gli interventi su Dewey, su Abbagnano, su Gentile, sull’esistenzialismo, sul positivismo logico, sul socialismo, ma an- che le discussioni - che furono copiose e articolate — sul trascendentalismo della prassi con le diverse risposte di Dal Pra (e di Vasa)”. È però attraver- 18 Ivi, p.19. !° Cfr. la bibliografia degli scritti di Dal Pra in La storia della filosofia come sa- pere critico, cit. e Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. 2 Cfr. di M. Dal Pra: L'identità di teoria e prassi nell’attualismo gentiliano, «Ri- 164 PENSIERO E TEMPO so quel corpus di interventi principali che Dal Pra viene delineando la sua posizione filosofica, che è (ripetiamo) nettamente antiteoricistica, ispirata alla criticità, regolata dal «trascendentalismo della prassi». Nel volume-intervista del ’92 così Dal Pra rievoca quelle posizioni: il tema del «trascendentalismo della prassi» aveva le sue radici più profondi lontane in questo terreno culturale (più che filosofico), di un movimento che era, per un lato, cattolico e, per un altro lato, aperto a vari indirizzi di pensiero moderno e che si valeva, in modo precipuo, delle riflessioni svolte da Vasa.” La sua genesi fu complessa (politica, culturale e filosofica), ma diventa progressivamente, l’anima dell’atteggiamento critico as- sunto dalla Rivista nei confronti dei vari indirizzi di pensiero contemporanei.’ Esso si caratterizzava come anti-teoricismo in nome - ha sottolineato Minazzi - dell’«esigenza libera e mobile della ricerca», che non può ap- prodare ad alcun ‘assoluto’, e fa leva su una istanza di natura eminentemente pratica sottolineando la parzialità e la limitatezza storicamente condizionata nonché la piena responsabilità (morale e teorica) del punto di vista filosofico che de- cide di assumere”. Esso «prospetta un quadro problematico più ampio e aperto al cui in- terno nessuno può illudersi di ‘vedere’ in modo privilegiato l’assoluto né può quindi trasformarsi in messaggero privilegiato dell’‘absoluto’», ap- proda a «un senso non garantito del reale, un senso solo possibile, che proprio nella libertà della sua apertura ritrova il criterio fondante», per «lasciare aperta ogni via di esplicazione all’iniziativa pratico-razionale dell’uomo», come ha rilevato Arrigo Pacchi, citato anche da Minazzi nella sua intervista”. Da parte sua Dal Pra sottolinea il carattere di possibilità che è costitutivo del «trascendentalismo della prassi» (t.d.p.): «l’aggettivo più importante, in questa prospettiva critica, era proprio possibile», che vista critica di storia della filosofia», 1951, 1; Sul trascendentalismo dell’esistenzia- lismo trascendentale, ivi, 1950, 2; Il pragmatismo axiologico di Nicola Abbagnano, ivi, 1948, 3-4; Positivismo logico e metafisica, ivi, 1950, 4; Socialismo e metafisica, ivi, 1951, 2; sulle discussioni intorno al trascendentalismo della prassi rinviamo a Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit. (cap. III). 2! Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 115. 22 Ivi, p. 168. 23 Ivi, p. 169. 24 Pacchi, Il filosofo l’educatore, cit., p. 19. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 165 - soggettivamente - significa libertà e quindi esclusione di ogni chiusura metafisica o ancora teoreticistica del t.d.p., come pure soltanto praticisti- ca — e irrazionalistica: in quanto il suo anti-intellettualismo si applicava all’esercizio della ragione, era un criterio di organizzazione interna e non solo di superamento/negazione, (che sono «le insidie nel trascendentali- smo della prassi»)?5. Anche nella ricostruzione di Dal Pra e Minazzi emerge con forza il carattere critico del t.d.p., l'aspetto di criticità aperta, capace di radicaliz- zarsi e trascendersi nelle sue chiusure, attraverso il varco del possibile e il costante rinnovamento (e revisione) delle strutture teoretiche, in modo da non farle retrocedere né nel teoreticismo né nel prassismo irrazionali- stico; rinnovamento attuato con uno scandaglio sempre più consapevole della propria libertà e del suo effettivo esercizio secondo molteplici mo- delli e/o paradigmi e attraverso il loro intreccio. A ben guardare il t.d.p. manifesta - per noi oggi - proprio questo carattere di criticità aperta in- nestata però nell’esercizio effettivo, operativo della ragione, quindi un ca- rattere di razionalismo critico orientato in senso storico-critico, in quanto la storicità viene recuperata all'orizzonte della criticità, secondo il dettato anche del pensiero banfiano, che Dal Pra indica come una delle matrici teoriche del suo t.d.p.?°. Se nella discussione, che fu ampia e articolata, e che ho altrove rico- struita”, intorno al t.d.p. prevalsero i richiami all’«ancora teoreticismo» o al prassismo (legato a una prassi non-marxiana, di sapore quasi pragma- tista — e la critica non era del tutto peregrina, come ho cercato di mostra- re nel mio Razionalismo e prassi a Milano” - oppure al metafisicismo che venivano a caratterizzarlo, più in ombra resto il suo carattere razionalisti- co e il suo tipico criticismo, che sono invece gli aspetti che la ricostruzione più recente ha posto maggiormente — e giustamente - in luce. Tutta l’ope- razione del t.d.p., sia in Dal Pra che in Vasa, si sviluppa invece in un’otti- ca di razionalismo critico, di liberazione, di ampliamento delle tecniche di razionalità, di revisione aperta dei propri statuti e di elaborazione di una idea di ragione che faccia centro - appunto - sulla criticità. Criticità che Dal Pra, nel 1953 (l’anno della presentazione ‘ufficiale’ al Congresso di Bologna del t.d.p., va ricordato), indicava come «problema del fondamen- to» e del fondare, da sottrarre a ogni ipoteca metafisica, anche minimale, e ad ogni ipoteca teoreticistica — «il fondamento sarebbe rilevabile come dato della conoscenza»? —, senza cadere in alcun prassismo come atto di fondazione, riconfermando così un teoreticismo fondazionistico (sia pu- 3 Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 183. 26 Ivi, pp. 184 e ss. ? Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit. 28 Ivi, pp. 158-161. 29 M. Dal Pra, Sul concetto di criticità, «Rivista critica di storia della filosofia», 1953, 1, p. 4. 166 PENSIERO E TEMPO re risolto in forma prassica). Va invece posto al centro del processo critico «l’inattualismo della prassi», ovvero la «possibilità di fare dell’inattuale e quindi del non-saputo la funzione universalizzante [...] della trasforma- zione dell’esperienza e dell’attuale»?°: la criticità è un «ideale-limite d'un impegno pratico-puro»*; il che significa un processo di pensiero fondati- vo che rimuove il fondamento ed accoglie l’extrateoretico come matrice e momento-chiave della teoreticità, che su tale esteriorità e su tale apertura si misura nel suo senso e nella sua efficacia. La criticità, per affermarsi nella sua identità verace, deve innestarsi con e nella storicità, deve interagire con e assumere la storia, intesa come prassi sociale, di uomini reali collocati in un tempo reale e in una situazione altrettanto reale e determinata. Questo innesto di t.d.p. e criticità viene a connotare in senso fortemente razionalistico il prassismo di Dal Pra (pur lasciando in ombra i suoi rap- porti col marxismo, con la dialettica e la filosofia della praxis, che verranno affrontati più tardi)” e a dare un carattere non-kantiano al suo criticismo, che si nutre piuttosto della lezione hegeliana e di quella deweyana, come dei richiami alla soggettività-in-situazione dell’esistenzialismo. Tra Cro- ce, Dewey e Abbagnano si viene a descrivere l’orizzonte problematicistico di questa criticità, assai vicina - ma con anche forti caratteri differenziali - al Banfi del dopo-1943*. Siamo davanti a un criticismo storico-prassi- co e pluralistico-aperto, che gioca audacemente come suo «fondamento» proprio la critica del fondare e il pluralismo del fondamento, fino ad ac- cogliere l’extrateoretico come momento - e cruciale — della fondazione possibile. Siamo davanti anche a una posizione teoretica di largo fascino e di rigore - se pure spesso imbozzolata in lessici post-attualistici e esi- stenzialistico-trascendentali —, di indubbio valore e di notevole forza, che restò - invece — poco operante nella cultura filosofica nazionale, per vari motivi: tecnico-filosofici, culturali, politici (per il ritorno degli «ismi» filo- sofici; per la fine del pluralismo culturale del dopo-Resistenza; per le chiu- sure neodogmatiche della guerra fredda); ma anche perché lo stesso Dal Pra e Vasa non vollero imprimerle un'accelerazione e un potenziamento e perché assunsero - in modi diversi - l’empirismo a interlocutore fonda- mentale, lasciando in ombra quel faccia-a-faccia della teoresi tra ragione e storia, che era, invece, il lievito e il legato del «trascendentalismo della prassi», recuperandolo poi in anni molto lontani da quelli della maturità e per vie aperte anche dal postempirismo, maturando attraverso ragioni e suggestioni da questo sollecitate. 30 Ivi, p. 7. 31 Ivi, p.13. 32 Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit., cap. II. 3 Sul Banfi teorico del razionalismo critico Cfr. F. Papi, Il pensiero di Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1961; Antonio Banfi e il pensiero contemporaneo, Atti del Convegno di studi banfiani (Reggio Emilia, 12-14 maggio 1967), La Nuova Italia, Firenze 1969; Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit., (cap. 1). MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 167 4. Incontro con l’empirismo Nel 1949 Dal Pra aveva diretto la propria indagine storiografica su Hu- me, visto come maestro dello scetticismo moderno e corretto interprete della sua portata antimetafisica e problematizzante, del suo ruolo di ‘de- costruttore’ della ragione e di appello ai diritti dell’empiria (soprattutto importanti in Hume). In questa scelta agivano ragioni storiografiche (di revisione della storiografia positivistica e di quella idealistica, dimostra- tesi per il filosofo scozzese assai povere; per porre al centro del pensiero humiano quella «scienza della natura umana», di tipo naturalistico, che era in votis nella sua ricerca), ma soprattutto impulsi teorici, sollecitati da quel neoilluminismo rivolto - specialmente con Preti — a risolvere la ra- gione in organizzazione dei saperi scientifici e in costruzione elaborata a partire dall'esperienza umana e ad essa orientata a ritornare. Proprio in quegli anni Dal Pra subiva - come ha ricordato nel 1992 - un «avvicina- mento con Giulio Preti», visto come interprete critico del razionalismo critico banfiano, che lo sviluppava poi in senso empiristico e strumenta- listico e che assegnava un ruolo cruciale allo scetticismo nella vita dialet- tica della ragione**. Hume, quindi, costituisce una via per affrontare lo scetticismo - in- dagato poi anche nell’antichità, nel 1950 con Lo scetticismo greco” -, ma anche per rileggere in senso empiristico lo statuto della razionalità, facen- do assumere al criterio-guida della criticità un aspetto più operativo, più tecnico, ma anche più ristretto. Siamo nella fase dell’empirismo critico di Dal Pra, che manifesta sensibili vicinanze a quello di Preti, teorizzato nel ’58, ma con esso non coincidente, e sul quale hanno insistito — giustamente - tanto Rambaldi quanto Minazzi?. Infatti per Rambaldi, fu «l'amicizia con Preti» ad attuare «una evoluzione di Dal Pra che lo condusse a dare uno spazio nuovo alla teoria rispetto alla prassi»? ed a convergere con le posizioni a assunte poi da Preti in Praxis ed empirismo, con un pensiero tendente a risolvere ogni aseità logico-teorica in termini di costruzione empirica, storicamente ma razionaliticamente connotata. Questo empi- rismo critico, ha scritto Minazzi, è «un empirismo consapevole del ruolo e delle funzioni che le strutture (razionali e istintive) svolgono nel pro- cesso costitutivo dell’esperienza stessa». Lo stesso empirismo di Hume si presenta come un modello di questa «filosofia critica», capace di opera- 34 Cfr. M. Dal Pra, Hume e la scienza della natura umana, Bocca, Milano 1949 (la seconda edizione, «interamente rielaborata», esce a Bari, da Laterza, nel 1973); Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. (cap. IV). 3 Cfr. M. Dal Pra, Lo scetticismo greco, Bocca, Milano 1950 (seconda edizione: Laterza, Bari 1975). 3% Cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit.; Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. 7 Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 33. 168 PENSIERO E TEMPO re una fondazione aperta dei problemi e delle strutture della esperienza e della cultura che la illumina e l’organizza, quale Hume ha intrapreso nel trattato della natura umana, imprimendo un «impianto sistematico alla sua ricerca empiristica»**. Lo studio delle «diverse componenti dello scetticismo storico» (Hu- me, lo scetticismo antico, Nicola d’Autrecourt) esprimeva sia l’esigenza di una ricomprensione critica della storia del pensiero, capace di ricollocare le diverse forme e fasi dello scetticismo, sia «l’obiettivo di cogliere il valo- re teorico» del pensiero scettico: critico in quanto empirico”, in quanto connotato dal realismo, come sottolineava Preti. Intorno all’empirismo critico Dal Pra è tornato più volte negli ultimi venti anni ripercorrendo con cura e sagacia il complesso itinerario e il si- gnificato del pensiero di Preti, mettendo in evidenza il complesso perimetro che lo individua, in cui istanze trascendentalistiche e neopositivistiche si saldano a forti elementi di marxismo e di pragmatismo, come pure la den- sa tensione critica, di continuo approfondimento e di continua revisione che lo ha contrassegnato. Si tratta di un empirismo appunto critico, cioè attraversato da un'istanza criticista e quindi attento a sondare le proprie condizioni di possibilità, ma anche a leggere i propri limiti e ad integrarli con altre tradizioni di pensiero, capaci di salvaguardare ora l'autonomia del teoretico ora la sua funzionalità pratico-sociale e storica‘. Nel testo del 1992 Dal Pra sottolinea anche, di questo modello di criticità, la sensi- bile attualità, di cui la pubblicazione degli inediti e delle lezioni di Preti aveva voluto e vuole essere testimonianza, «prova concreta» di vitalità «di una tradizione» (empiristico-critica) «a cui noi, per parte nostra, ci sfor- ziamo, sia pure con la nostra modestia e con il nostro volenteroso impe- gno, di essere, in qualche modo, presenti»‘!. La fedeltà a Preti corre come una costante in Dal Pra dagli anni Cinquanta alla morte e testimonia di una tappa essenziale della sua evoluzione teoretica, quella appunto che è stata definita dell’empirismo critico, contrassegnata da una risoluzione in senso empirico-tecnico della razionalità, piuttosto che in chiave storica. Certamente l’aspetto storico non scompare mai dalla teoresi di Dal Pra, ma si indebolisce, si sfuma nel contorno, per lasciare al centro l’indagine logico-empirica del razionale. Se dovessimo citare alcuni testi che indichino con chiarezza questa presa di posizione in Dal Pra, non potremmo, forse, individuare alcun te- sto esplicitamente programmatico di questo mutamento di accento, bensì potrebbe essere indicato tutto il lavoro condotto sulla «Rivista» in tutti gli anni Cinquanta, specialmente con i numeri unici dedicati alla tradizione dell’empirismo logico e dello strumentalismo, a Dewey e a Russell, a Car- 38 Dal Pra, Minazzi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 209. 8 Ivi, p. 219. 4° Cfr. Dal Pra, Studi sull’empirismo critico di Giulio Preti, cit. ^ Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 321. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 169 nap e su su fino a Vailati”. Si tratta di un lavoro imponente non tanto per quantità quanto per qualità, per capacità di approfondimento e per impe- gno teoretico, poiché si tratta sempre di contributi che tendono a sondare gli aspetti di teoreticità di quegli empirismi (critici). Anche Rambaldi ha sottolineato questo spostamento di accento e di orizzonti nel pensiero dalpraiano alla metà degli anni Cinquanta, in vici- nanza col neorazionalismo (o neoilluminismo) e attraverso «una più spe- cifica sensibilità per i problemi di storia della scienza» e una ricollocazione della istanza razionale in ambito empirico-analitico*. Il suo «storicismo critico» storiografico si carica ora di aspetti più nettamente razionalistici e si colloca in più stretta simbiosi con l’empirismo critico di Preti, per non lasciarlo più come interlocutore-principe della propria ricerca teoretica, anche attraverso gli ulteriori sviluppi di un «ritorno a Hegel» e a Marx e una ripresa (critica) della dialettica, nonché di un richiamo al raziona- lismo critico come reciproca intersezione di ragione e storia che viene a chiudere la traiettoria teoretica di Dal Pra. La fase empiristica di Dal Pra va considerata più che come una fase in senso proprio (una tappa) come un'istanza che anima da un momento particolare in poi il complesso profilo della teoresi, offuscandone sì altri aspetti, precedentemente più sviluppati e necessari di ulteriori artico- lazioni, ma decantandone altri ancora e evidenziandoli come momenti centrali e fondanti. In tal senso, però, questa fase si manifesta come una crescita irreversibile della teoresi critica di Dal Pra, come funzionale al suo radicalismo e alla sua capacità costruttiva nell’esperienza, come un nucleo costitutivo, anche se niente affatto finale. Infatti, dopo questo ap- prodo dal «trascendentalismo della prassi» a un empirismo critico, la ri- flessione teoretica di Dal Pra si rimette in marcia, muove verso ulteriori orizzonti, incontra Hegel e Marx, esige un confronto con la dialettica e della dialettica con l’epistemologia per attuare non solo il recupero di un versante della teoreticità sacrificato dall’empirismo (anche critico) nella sua sordità storicistica (se pure non alla storia vista come processualità), ma anche una rifondazione più critica, più radicale della teoresi. Nei secondi anni Cinquanta non si assiste in Dal Pra a una riduzione empiristica della criticità - come in parte invece si assiste nel suo referen- te principe: in Preti -, però all’istanza critica viene fatta assumere una curvatura empiristica che la emancipa da ipoteche postidealistiche e an- cora teoreticistiche e la immerge sul terreno delle tecniche di razionalità, come pure - tuttavia - la riduce nella sua portata più radicale, nella sua capacità metacritica, in quanto capace di collegare la teoresi all’extrateo- retico, al tempo sociale o storia che l’empirismo lascia, necessariamente, ai margini nei suoi aspetti genealogici e decostruttivi, nelle sue capacità 4 Sul lavoro della «Rivista di storia della filosofia» cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragio- ne e storia, cit. (cap. IV) e Cambi, Razionalismo e prassi a Milano cit. 4 Cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit., p. 32. 170 PENSIERO E TEMPO di dissolvere aseità e di mostrare le ‘impurità’ delle genesi. Quello di Dal Pra è un empirismo ‘senza miti’, siano essi l’Analisi o il Linguaggio o la Verificazione (presenti, invece, ancora in Preti)‘, che lavora con una no- zione plastica di esperienza (storicizzata, esistentiva), aperto alla propria autocritica, assunto come ‘canone’ e non come ‘fondazione’, che sottoli- nea le ragioni - critiche e costruttive - dell’empirismo e le impone come essenziali per la crescita della teoresi (tali lo strumentalismo e l’antime- tafisica, la costruttività della conoscenza e il dinamismo dell’esperienza): un empirismo strumentale che è un momento della teoresi critica (e co- me tale necessario) ma che non rappresenta affatto né la sua interezza né il suo traguardo. 5. La dialettica e la storia Dal Pra stesso ci ha detto come e perché è arrivato a un recupero della dialettica e cosa abbia significato questa ripresa dello storicismo attraver- so Hegel e Marx. Alla base sta «la questione decisiva e aperta del rapporto tra teoria e prassi, ragione e storia», che sottrae la conoscenza a ogni «sus- sistenza autonoma» e la sottopone a un'indagine critica che ne dissolve l'«assolutezza» di «sostanziale carattere metafisico», facendola incontra- re con la prassi, attraverso l’incontro con Marx e con Dewey, visti come correttori ma anche continuatori di Hegel”. Anzi, nota Dal Pra, «senti- vo l’esigenza di collegare in qualche maniera lo strumento conoscitivo ad una dimensione della razionalità concreta», quella «illuminata da Marx e da Dewey», relativa al rapporto che si viene ad instaurare tra la dimensione logica del pen- siero e il tessuto concreto dell’esperienza, tra la configurazione astrat- ta delle interpretazioni teorico-ideali del mondo e la dimensione della prassi.“ Di qui l’esigenza di ripensare la transazione e la dialettica come stru- menti concettuali capaci di leggere in modo interattivo la teoria e la pras- si, la ragione e la storia. Ma è soprattutto «lo studio della dialettica» che «si presentava come più interessante proprio perché era ricco di una com- plessa tradizione di pensiero» e perché ricomprendeva anche la transa- zione deweyana”°. 44 Cfr. G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957 e Id., Il mio empiri- smo critico, in Id., Saggi filosofici, I, La Nuova Italia, Firenze 1976. 4 Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit., p. 268. 4° Ivi, pp. 271-272. 47 Ivi, p. 274. 48 Ivi, p. 275. 4° Cfr. M. Dal Pra, Presentazione, in J. Dewey, A. Bentley, Conoscenza e transa- MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 171 Lo studio delle mediazioni tra ragione e storia — che ritorna così, come abbiamo detto, al centro del pensiero di Dal Pra - si compie in una dire- zione più operativa, più legata a tecniche di razionalità, più segnata dalle esigenza di un empirismo critico, rispetto alla fase del «trascendentalismo della prassi», ma ne rinnova e ne sviluppa l’istanza fondamentale. E la dia- lettica si pone esplicitamente su questo terreno di mediazione tra cono- scenza e prassi, e prassi storica in particolare. È lo strumento più maturo per pensare questa mediazione, anche perché dotato di una ricca tradizione storica che ne ha approfondito le strutture e il significato. Anche Rambaldi riconosce l’importanza del rapporto Hegel-Marx per comprendere l’“ulti- mo’ Dal Pra che svolge «una indagine, sorretta dallo storicismo critico e condotta sull’ismo della ‘dialettica’ come struttura formale» in Marx, ma non solo in Marx (anche in Hegel, attraverso Marx, e in Dewey, attraverso Hegel)”. La scelta di Marx non è causale: nasce dalla volontà di adire una dialettica non-speculativa, antiteologica (non-metafisica), nutrita di refe- renti empirici e attivi nella comprensione dell’esperienza, quindi risolta in senso strumentale e niente affatto ontologico. Il Marx di Dal Pra - come molto Marx degli anni Cinquanta e Sessanta, da quello ‘giovanile’ di Cor- nu a quello ‘galileiano’ di Della Volpe - è un Marx che opera la rivoluzione cognitiva più radicale della modernità, innestandola nella prassi, rivolta a «sussumere la prassi nel tessuto logico-organistico della dialettica», come ha scritto Rambaldi”. Il Dewey ‘dialettico’ di Dal Pra trova poi una preci- sa definizione nel saggio su Dewey e il pensiero del giovane Marx del 1960 come poi - molti anni dopo - nella introduzione a Conoscenza e transa- zione di Dewey e Bentley”. In ambedue i casi è la vicinanza/distanza da Hegel che viene a sottolineare l'aspetto empirico e cognitivo della dialet- tica e il suo sostanziarsi di caratteri prassici, in quanto capace di cogliere i nessi tra teoria e storia, tra conoscenza e tempo storico. Nel 1965 esce da Laterza il volume su La dialettica in Marx, nel giovane Marx e fino all’opera del 1857, che studia il configurarsi di una dialettica empirico-epistemica nella riflessione svolta fino a Per la critica da Marx e che è erede e correttrice a un tempo della dialettica hegeliana, sia pure con oscillazioni e pentimenti. L'incontro con Marx si faceva centrale poiché - pur mantenendo un ruolo autonomo alla teoria, una «relativa autono- zione, La Nuova Italia, Firenze 1974; ma anche Id., Dewey e il pensiero del giovane Marx, «Rivista di filosofia», 1960. 5° Rambaldi, Ragione e storia, cit., p. 37. `! Ibidem. Sul Marx degli anni Cinquanta e Sessanta cfr. Il marxismo italiano degli anni Sessanta e la formazione teorico-politica delle giovani generazioni, Editori Riu- niti, Roma 1972; G. Della Volpe, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, Roma 1969; A. Cornu, Marx e Engels dal liberalismo al comunismo, Feltrinelli, Milano 1962; M. Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, I e II, Editori Riuniti, Roma 1960-63. 5 Sull’importanza di Dewey nel pensiero di Dal Pra cfr. Rambaldi, Ricordo di Mario Dal Pra, cit. 172 PENSIERO E TEMPO mia della teoria nei confronti della prassi» (ha detto Rambaldi)” - attiva- va anche una ripresa dello studio del nesso che deve correre tra ragione e storia e che nella dialettica trova il proprio dispositivo (fino ad oggi) fon- damentale. Lopera su Marx ha quindi un preciso connotato cognitivo e una funzione in qualche modo programmatica, aspetti che superano de- cisamente il suo pur importante e significativo impegno di ricostruzione e interpretazione storica. Il primo elemento sottolineato da Dal Pra, intorno alla dialettica marxia- na, è il suo forte legame con la dialettica di Hegel e che, «se la dialettica è sempre presente nelle pagine (di Marx), dalla Tesi di dottorato al Capitale, non è ovunque presente allo stesso modo e con una formulazione rigoro- samente identica», ma viene scandita secondo diverse fasi: «il metodo dia- lettico è largamente presente nei primi scritti di Marx», assunse poi «una posizione nettamente diversa e fortemente critica nei riguardi della dialetti- ca», nella Sacra famiglia, nell’Ideologia tedesca e nella Miseria della filosofia, «per poi tornare esplicitamente a una rivalutazione della Logica hegeliana e del metodo dialettico nell’Introduzione del 1857», fino a Perla critica”. Si tratta però di una dialettica antidealistica, ripensata in termini realistici, ma non ontologistici o scientifici (alla Engels): Marx guarda, in particolare, a «una fondazione empiristica dalla dialettica» e a un suo uso empirico-cri- tico e storico; essa è uno strumento pratico «per una descrizione concreta delle condizioni in cui si svolge l’attività umana» e tale «processo fondato in modo pragmatico-fattuale diverrebbe strumento utile perla elaborazione di un discorso scientifico nell’ambito del sapere storico», che ne indichi la processualità e il senso. La dialettica è in Marx «uno strumento limitato di analisi» applicabile «con frutto ad un complesso determinato di fatti»9, ma che anche mantiene oscillazioni e qualche regressione (verso Hegel). In Marx è all’opera quella «nuova logica» che riguarda «la fondazione empiri- stica della dialettica» e che collega divenire storico e concetto, ma sempre per via ipotetica ed euristica, senza necessità a-priori. Dietro queste affermazioni sta il «marxismo empiristico» di Preti espresso nell’opera del 1957, ma ci sta anche la ripresa di quel razionali- smo critico anni Quaranta-Cinquanta che viene ricondotto - anche nel suo nucleo più problematico: il nesso teoria/prassi o ragione/storia — verso terreni analitici, assumendo la dialettica a strumento cognitivo-principe di queste mediazioni. Ma una dialettica risolta in puro strumento cogni- tivo, sottratta a ipoteche ontologiche e speculative, ancora presenti nella stessa tradizione marxista, nella «dialettica della natura» e nelle formula- zioni del Diamat. Così «la nuova filosofia» di Marx assumeva «caratteri di grande interesse proprio per chi fosse interessato a considerare in modo 53 Ivi, p. 39. % M. Dal Pra, La dialettica in Marx, Laterza, Bari 1977, p. IX. 5 Ivi, p. XVIII. 5 Ivi, p. XIX. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 173 particolare il rapporto che può instaurarsi tre le strutture della razionali- tà e il mondo della prassi»”. E Marx su questo terreno è una buona guida, perché fa un uso «euristico» della dialettica, attraverso anche i numerosi richiami all’esigenza di mettere sempre capo a riscontri empirici sicuri, alla rivendicazione della base sensibile dell’esperien- za e alla necessità di sottoporre sempre il piano teorico al riscontro puntuale dell’esperienza.8 Assunta la dialettica in questi termini cognitivi, si tratta poi di inne- starla nel circuito tecnico del pensiero epistemologico contemporaneo, mostrando la funzione di interazione (critica) che essa esercita e di corre- zione alle ipostasi analitiche (attuando una critica dell’epistemologia), ma anche quella di estensione critico-analistica su terreni come la storia - che sfuggono alla sola logica analitica, richiamandosi in questa operazione al lavoro del marxismo critico per tradurre il movimento della dialettica in ‘schema empirico’. Non si tratta, certo di superare il metodo scientifico bensì di integrarlo e di assumerlo in forma critica, rivivendone le istanze in ambiti differenti con metodologie differenti. La dialettica si fa una di quelle «tecniche dell’intelletto» che devono rendersi operative per attuare un «approfondimento» della «istanza della criticità». Così Dal Pra ritorna - ma in forma più ricca e matura - verso il razio- nalismo critico degli inizi del suo pensiero (laico), riconfermando al cen- tro la nozione di criticità, innestando questa nella relazione tra ragione e storia, ma dispiegando questo nesso - attraverso la dialettica - in modo empirico, analitico-critico, mostrando la puntuale, concreta interferenza tra conoscenza e prassi, tra l'autonomia teoretica e il terreno della storia e della prassi. Nell’intervista del 1992 Dal Pra riconosceva con precisione questa sua unitaria vocazione teoretica: Più che ad una corrente del pensiero contemporaneo nel corso del- la mia ricerca e delle lezioni universitarie ho cercato di dare rilievo ad un problema concernente il nesso tra lo sviluppo storico e la struttu- ra teorica che mi è sembrato farsi strada verso correnti diverse confi- gurandosi in molteplici modi. Il suo chiarimento mi ha poi indotto a prestare attenzione particolare alle differenti fasi del «pensiero criti- co», riconoscendo in esso il volano stesso del pensiero e del pensiero occidentale in particolare." Ed è intorno al nesso ‘attivo’ di teoria e prassi che si gioca — oggi - il destino della criticità, torna a ricordarci l’ultimo Dal Pra. 5 Dal Pra, Minazzi, Ragione e stora, cit., p. 290. 58 Ivi, p. 295. 9 Ivi, p. 303. 174 PENSIERO E TEMPO 6. Razionalismo critico e criticità aperta: qualche osservazione La ricca e complessa parabola che il razionalismo critico vive nella rifles- sione di Dal Pra si caratterizza come una sua crescita concentrica, intorno ad un nucleo forte e stabile (il nesso teoria/prassi o ragione/storia) che, pe- rò, viene articolandosi secondo accenti diversi (ora sottolineando il ruolo della prassi ora quello della teoria ora il loro equilibrio e/o reversibilità). In questo processo si dispiega un modello critico (autocritico/metacritico) di teoresi che si salda a una prospettiva stabile, ma al tempo stesso la dispiega in tutta la sua variegata problematicità, in tutto il suo iter di sviluppo e di approfondimento. La lezione teoretica di Dal Pra si innesta così al centro del problema teoretico contemporaneo, legandosi alla volontà di pensare una ragione che coglie le sue stesse radici/implicazioni extrateoretiche, che esce dalla sua purezza/aseità per definirsi come strumento e come strumen- to pratico e che intorno alla sua valenza pratica deve costantemente inter- rogarsi e definirsi. Aspetti tutti che travagliano e strutturano la riflessione contemporanea. Siamo davanti quindi a una ripresa dello storicismo, risol- to nella forma critica e nel suo nucleo più radicale alla luce di una criticità aperta e consapevolmente aperta, che si gioca intorno all’interrogazione fondativa e la risolve in senso storico-empirico come costruzione di pro- cessi razionali a partire da una particolare condizione storica, tramata di problemi concreti e determinati. Lo storicismo critico di Dal Pra è, in realtà, un razionalismo critico che viene sviluppandosi attraverso un empirismo critico, per approdare a un potenziamento analitico della stessa criticità, conducendola oltre il suo carattere esigenziale o programmatico e connet- tendola invece a precise tecniche di razionalità (come la dialettica). Tutto questo colloca Dal Pra in una significativa zona di confine tra neoilluminismo e neostoricismo - tra Preti e Garin potremmo dire? -, annodando insieme le due anime del neorazionalismo postbellico, nel quale la sua posizione filosofica nettamente si colloca e nel quale viene a ricoprire un ruolo di punta e una funzione di continuità. Ruolo di pun- ta poiché pone faccia a faccia Analisi e Storia, le media reciprocamente, riprendendo le più deboli e parziali mediazioni di Preti e di Garin (negli opposti fronti) e conducendole verso esiti di connessione più intima e più tecnica (attraverso la dialettica, che non a caso resta marginale tanto in Preti quanto in Garin, dal punto di vista strettamente logico-cognitivo). Funzione di continuità, poiché Dal Pra ha continuato a riflettere intorno al nucleo del neoilluminismo, trasportando le sue istanze teoretiche in una nuova stagione filosofica e, quindi, aggiornandone la voce ma ricon- fermandone la prospettiva, sia pure allargata e sofisticata. Si è trattato, in breve, di una crescita del razionalismo critico che lo ha contrassegnato sia dal punto di vista tecnico e cognitivo, arricchendone °° Cfr. Preti, Praxis ed empirismo, cit., e E. Garin, La filosofia come sapere storico, Laterza, Bari 1959. MARIO DAL PRA E LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA 175 e determinandone le procedure razionali, sia dal punto di vista teoretico generale (o filosofico), fissandone il connotato di criticità e la dimensione aperta del suo lavoro critico, che si contrassegna, anche, come controllo costante dell’itinerario di criticità (quindi come metacritico). Ora - però - è proprio su questo fronte della criticità e della sua aper- tura che possono essere colte anche le timidezza o le eventuali chiusure del razionalismo critico di Dal Pra. E prima di tutto le sue chiusure rispetto alle ultime voci della filosofia critica e della stessa ricerca di mediazione tra ragione e storia, tra pensiero e tempo, rappresentate dalla filosofia at- tuale, specialmente dalla ermeneutica critica e dalla sua doppia identità della decostruzione e dalla interpretazione, in quanto capace di riafferrare il faccia a faccia tra teoria e storia e di sondarne gli intrecci, le filiazioni, i nessi cognitivi, immaginativi e pratici. Accanto all’ermeneutica anche la teoria critica dei francofortesi appare assai sullo sfondo®, nel lavoro filoso- fico di Dal Pra, non recepita nella sua base metacritica e nella sua volontà di liberalizzare la dialettica e di ricondurla al suo puro (e vero) iter cogni- tivo. Eppure tanto l’ermeneutica quanto la teoria critica hanno procedu- to avanti nell’ambito di una storicizzazione del pensiero, di una revisione storico-critica della ragione e di un suo potenziamento non-formalisti- co. Entrambe poi hanno sondato le matrici extrateoretiche della ragione e il suo stretto e problematico legame con la prassi (sia etica sia politica). Purtuttavia l’attenzione di Dal Pra per queste frontiere della teoresi con- temporanea è stata - nel complesso - esile. Tutto questo ha un'origine e un senso, ma anche un costo. L'origine del silenzio/disinteresse nasce da quel collocarsi di Dal Pra nell’ambito del neoilluminismo, cioè in un modo di fare filosofia cha muove dalla ragione e che l’assume come prospettiva fondamentale, sen- za pensare come utile e come possibile una sua destrutturazione radicale e una decostruzione in senso nietzschiano o heideggeriano (Nietzsche e Heidegger sono, infatti, i ‘grandi assenti’ nel pensiero filosofico di Dal Pra: nell’intervista del ’92 Nietzsche non viene mai citato né lo è Heidegger), una sua ri-comprensione ermeneutica. Così, tutto ciò produce anche un silenzio intorno ad altre procedure critico-razionali - come il Verstehen, il «comprendere» - capaci di pensare la non-aseità del teoretico, di ricollo- carlo nelle sue origini storiche e di ripensarlo intorno al proprio senso. I costi sono evidenti: la criticità - pur assunta come aperta — viene fermata nel suo processo metacritico e nella sua radicalizzazione, ancorandola ad un ambito storicistico inteso in senso un po’ pragmatista, come dialogo tra teoria e prassi e non come lavoro decostruttivo/ricostruttivo del senso storico del loro rapporto e quindi dell’uso teoretico della tradizione (ei- detica e linguistica) che facciamo in questo campo quando assumiamo come guida l’intersezione (reciproca) di ragione e storia. Certo sono co- sti storici che non limitano affatto l’itinerario teorico dalpraiano e il suo & Cfr. Dal Pra, Minazzi, Ragione e storia, cit. 176 PENSIERO E TEMPO significato attuale, ma indicano anche un compito oltre di esso: di fare i conti - in quella interazione (reciproca) - anche con gli appositi dell’er- meneutica critica, in particolare, che proprio su quella medesima ‘lun- ghezza d’onda'’ si è esercitata, se pure con procedure assai diverse rispetto al razionalismo critico”. Con tutto questo niente viene tolto al significato teorico e storico del lavoro di Dal Pra: alla sua fedeltà alla ragione, anzi ragione critica, anzi ad una criticità aperta, ma che conferma al centro un suo nucleo storico- teorico essenziale (ripetiamo ancora: il nesso problematico e tensionale tra ragione e storia) e lo impone come asse del pensiero contemporaneo, come un po’ il suo ‘osso di seppia’ e la sua sfida ancora incompiuta. E pro- prio in questo richiamo prende corpo l’attualità di Dal Pra, connessa alla funzione che il suo razionalismo critico non ha ancora finito di esercitare: funzione di memento teoretico e di exemplum critico e analitico-critico. La lezione filosofica di Dal Pra - pur nei suoi confini, pur con gli inevita- bili limiti storici - viene oggi a sfidare proprio quei neodogmatismi che in molti territori della filosofia vengono a prendere corpo, e partendo del- le scienze assunte come modello ne varieteur di razionalità o dal rilancio della metafisica, come ‘sapere dell’inizio’ e del fondamento, o dalla set- torializzazione tecnica e tecnologica della filosofia che la depriva proprio della sua generalità e quindi della sua radicalità. Dal Pra con la sua densa ed esemplare lezione teorica, consegnataci anche nella rivisitazione fattane con Minazzi in limine vitae, ci aiuta a resistere alle sirene di una teoreticità che vuole - per molte vie — ricostruire approdi sicuri, certezze confortanti e quel «mondo della sicurezza» che le filosofie del Novecento - come ben vedeva Dal Pra - hanno dissolto per sempre e al cui posto hanno collo- cato una teoresi inquieta che vuole interrogare se stessa e il proprio costi- tuirsi, che intende pensarsi in modo autentico e radicale, e criticamente radicale, partendo proprio dal traguardo storicamente raggiunto nel suo processo - tipicamente occidentale — di progressiva problematizzazione e spostando oltre di esso la frontiera dell’indagine critico-radicale. € Per la teoreticità ermeneutica cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo, Fabbri, Mi- lano 1972 e L. Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971; G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’91, Laterza, Roma-Bari 1992. & Cfr. Dal Pra, Filosofi del Novecento, cit. e Id. (a cura di), Storia della filosofia, 10 voll., Milano, Vallardi, 1975-1978.
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