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Monday, June 3, 2024

GRICE E PREVE

  LA MISERIA DEL MONDO ROMANO   E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI DEL CRISTIANESIMO.  IL ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA  E L'INVERSIONE ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO    La filosofia stoica, nata sulla base della violazione sistematica del comune senso  del pudore (anaideia), e poi gradualmente “normalizzata” in innocuo sapere del  saggio capace di vincere il turbamento (ataraxia), diventò la koiné filosofica più dif-  fusa nel mondo ellenistico-romano. E questo non è un caso, perché si passò da una  prima fase “politica”, provocatoriamente antischiavistica ed antiproprietaria, ad  una seconda fase “apolitica” di semplice cura dell'anima individuale. Il percorso  normalizzatore dall’anaideia all'ataraxia è ovviamente mistificato e nascosto dalla  manualistica filosofica ordinaria, che lo rovescia integralmente. Tace e censura il  momento fondante dell’anaideia, e sostiene al contrario che la teoria della ataraxia è  la sola “filosofia politica” delo mondo romano. Se si legge Seneca e Marco Aurelio,  tuttavia, si vede che in realtà quello che viene impropriamente chiamato “stoici-  smo”, ed invece non lo è per niente, non è altro che la vecchia buona “cura di sé”  platonica (ricordo la corretta interpretazione di Alessandro Biral cui ho accennato  nel precedente capitolo su Platone), del tutto desocializzata. E vedremo più avanti  che proprio la desocializzazione della saggezza sta al centro di quella che Hegel ha  chiamato la “miseria del mondo romano”. L'unica definizione filosofica possibile  della “miseria sociale”, a fianco ovviamente della povertà materiale della gente  (povertà materiale su cui tornerò diffusamente nel prossimo capitolo), è proprio  la desocializzazione della saggezza, per la saggezza stessa, non avendo più alcun  mandato sociale, non può che avvizzire nell'ampio spettro di posizioni che vanno  dallo specialismo alla stravaganza, e cioè dalla filologia universitaria ai punkabbe-  stia.  Il pensiero stoico ha però “messo in circolo” due elementi filosofici nuovi, e cioè  l'universalismo del genere umano (katholikòs) e l’idea di necessità provvidenziale  (pronoia). Il primo concetto è ovviamente un derivato categoriale del cosmopoli-  tismo prodotto dalle conquiste di Alessandro il Macedone in Oriente, mentre il  secondo ha una derivazione “mista”, in parte greca ed in parte orientale. Zenone  riteneva che l'universo periodicamente terminasse nella conflagrazione e che gra-  dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il vuoto che lo avvolge, il tem-  po è un interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dirà poi qualcosa di simile). I fatti  della storia universale ritornano eternamente. Si ripresenterà in futuro un nuovo  Socrate per subire un nuovo processo, e ci saranno nuovi Anito e nuovi Meleto    135    CariroLo XIX    per accusarlo. Chi sostiene quindi che il concetto di storia universale è nato con il  cristianesimo e con la fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lòwith ed altri)  a mio avviso sbaglia. Il concetto di storia universale è nato prima in forma ciclico-  ripetitiva con lo stoicismo di Zenone, ed è nato sulla base di una provvidenza pu-  ramente naturalistica e non divino-religiosa (pronoia), il cristianesimo l’ha incor-  porata in una visione messianica e salvifica della storia, e poi la filosofia classica  tedesca della storia (Fichte, Hegel e Marx) l’ha rielaborata in forma dialettica. Ma  questo punto verrà ovviamente sviluppato più avanti. Al tempo di Zenone, data  l'impossibilità di pensare la storia universale con un solo concetto unitario trascen-  dentale riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di non essere vissuto  nel settecento illuministico europeo), era inevitabile che la si pensasse nella forma  ciclica della ripetizione. Il pensiero ciclico, infatti, riflette in forma astratta il ciclo  delle stagioni che determina l'agricoltura, la pastorizia, l'allevamento e l'uscita in  mare dei pescatori, mentre il pensiero lineare-progressivo riflette la fine dei cicli  stagionali e l'avvento dell’accumulazione “lineare” del capitale. Ma su questa ov-  vietà, naturalmente, ritornerò più avanti in un prossimo capitolo.   Lo stoicismo, quindi, passata la fase provocatoria dell’anaideia, consegna al  mondo classico posteriore i due concetti di universalismo cosmopolitico e di prov-  videnza necessaria (pronoia). Entrambi staranno alla base del cristianesimo. È giun-  to allora il momento di parlare delle origini del cristianesimo, di Gesù di Nazareth  e di Paolo di Tarso, che ne sono stati entrambi i fondatori a “pari grado”, il primo  nella sua dimensione messianica, ed il secondo nella sua complementare dimen-  sione di assoggettamento universalistico ad un unico salvatore, codice filosofico  già presente da almeno duecento anni nei trattati in lingua greca “sulla monar-  chia” (perì basileias). Mentre infatti il primo ciclo della filosofia greca produce innu-  merevoli testi sulla natura (perì physeos), natura con cui veniva metaforizzata la so-  cietà (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia greca vede la pubblicazione  di innumerevoli testi sulla monarchia (perì basileias), con cui veniva metaforizzato  l'incredibile bisogno di protezione ed assistenza dei poveri abbandonati allo sca-  tenamento selvaggio della crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori  dalla storia della filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla  sala dei concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani.   Affrontiamo quindi il noto e cruciale problema dell’interpretazione filosofica  delle origini storiche del cristianesimo. Si tratta del secondo grande problema teori-  co del pensiero occidentale, dopo il primo grande problema che abbiamo affrontato  nei capitoli precedenti, quello delle origini e della natura della filosofia greca clas-  sica e poi ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporterò come mi sono  comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica della  deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo ontologico-sociale. In estrema  sintesi, sebbene mi ritenga più competente per il primo problema che per il se-  condo (sono infatti un filosofo che legge correntemente il greco antico ed il latino,  non sono per nulla un esegeta biblico e non conosco assolutamente né l'ebraico né  l’aramaico), considero l’analisi ontologico-sociale delle origini del cristianesimo    136    La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo    più facile di quanto lo sia l’analisi complessiva del mondo greco. I Greci antichi  sono già volati via, infatti, e non sono più fra noi, mentre i cristiani, sia pure “ir-  riconoscibili” rispetto ai loro lontani progenitori (e vedremo il perché in questo e  nei prossimi capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che  restino con noi a lungo.   Una parentesi. D'accordo con lo studioso di scienze sociali svedese Myrdal, io  ritengo che il massimo di “oggettività” possibile nelle scienze sociali ed in filoso-  fia, in cui non esiste la matematizzazione, l'esperimento e la verifica dei protocolli  sperimentali, sia l’esplicitazione pubblica chiara e veridica delle proprie premesse  di valore. Ciò vale soprattutto quando si parla di politica (destra e sinistra, ecc.) e di  filosofia (credenti e non credenti, ecc.). E farò anch'io così, interrompendo brevemen-  te la mia esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la pensa  colui che sta leggendo. :   Personalmente, sono stato battezzato a pochi giorni di vita nel culto cattolico  romano. Ho perso la cosiddetta “fede” nelle discussioni adolescenziali e da allora  potrei essere classificato fra coloro che si dicono e vengono detti “atei”. Termine  che non mi piace, peraltro, e in cui non mi riconosco, perché non mi piace per nulla  che ci si definisca in negativo con l'alfa privativo (a-teo). Da filosofo, preferisco le  definizioni in positivo, e non quelle in negativo. Pur non essendo in alcun modo un  “credente”, e pur ritenendo (a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo  e lo riteniamo necessario “possiamo anche non dirci cristiani” (su questo punto  Alain de Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore della  necessità sociale della religione. La religione, a mio avviso, è sempre e comunque  un katechon contro lo scatenamento della bestialità nichilistica della crematistica  nei rapporti sociali ( si tratta di un punto che mi differenzia fortemente dal mio  maestro di ontologia sociale Lukécs). Gli atei mangiapreti a mio avviso non lo  capiscono, ed è per questo che considero il loro un pensiero dell'intelletto astratto  (Verstand) e non della ragione concreta (Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto  astratto (Verstand) mi sembra del tutto logico sostenere non solo che Dio non è  logicamente “dimostrabile” (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant) e che non  è logico rappresentarselo come un soggetto progettante antropomorfizzato (vedi  l’Etica di Spinoza), ma che siano anche del tutto plausibili le teorie dell'evoluzione  darwiniana e delle capacità auto poietiche ed auto-organizzative della materia e  dell'energia, da cui deriva la necessaria conclusione per cui “Dio non esiste”. Dal  punto di vista della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della necessità  sociale della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e la possibile corruzione  venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti ( comunque minore di quanto sosten-  gono i suoi avversari laici) considero in termini di katechon, e cioè di freno verso  una bestializzazione crematistica integrale dei rapporti umani. Sbagliano quindi  coloro che contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come atei e materialisti  (vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo posteriore superstizioso  dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio i Greci, che invece non conosco-  no e su cui coltivano pittoreschi ed infondati luoghi comuni da scuola media, sa-    137    CaprroLo XIX    prebbero che i Greci veri si fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello  razional-politico non disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que-  sto, e messe bene le carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. 

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